SACRO CUORE DI GESÙ (29): IL Sacro CUORE di GESÙ e il PAPA.

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ. TORINO, S. E. I. – 1920]

DISCORSO XXIX

Il Sacro Cuore di Gesù e il Papa.

(1) Di questo discorso stampatosi a parte nel 1892, per mezzo dell’Eminentissimo Card. Rampolla Segretario di Stato, fu umiliata copia dall’autore a S. S. LeoneXIII; e n’ebbe in risposta questa consolante lettera:

Bev. mo Signore,

Con molto piacere ho rassegnato al S. Padre uno dei recontissimi esemplari del discorso, al quale si riferisce la lettera da Lei indirizzatami il 2 del corrente mese. Sua Santità si è degnata accoglierlo con espressioni di particolare gradimento e nel commettermi di ringraziarla nell’Augusto Suo nome Le ha con affetto impartita l’Apostolica Benedizione. Mentre mi affretto ad eseguire il venerato incarico, L a ringrazio ben di cuore anche in mio nome dell’esemplare, che gentilmente mi ha Ella favorito, di esso discorso, e con sensi di distinta stima mi dichiaro

Aff.mo nel Signore M. Card. Rampolla

Di V. S.

Rev. D. ALBINO CARMAGNOLA, Sac. Salesiano

Roma, 7 Luglio 1892.

Nel corso di questo mese gettando lo sguardo sopra le opere del Cuore Sacratissimo di Gesù, non ne trovammo certamente alcuna, che non si mostrasse ammirabile, non ci parlasse della sua bontà e della sua misericordia infinita per noi. Ammirabile Vedemmo la sua Chiesa, ammirabili i suoi Sacramenti, ammirabile la sua dottrina, ammirabili i suoi esempi, ammirabili le sue promesse e le sue grazie, e tutto, grazie, promesse, esempi, dottrina, Sacramenti e Chiesa ci hanno fatto esclamare con gratitudine: Oh quanto è buono il Cuore di Gesù con noi! quanto è grande il suo amore, la sua misericordia! Eppure o miei cari, fra tante opere ammirabili del Cuore di Gesù Cristo io ne scorgo ancor una non meno ammirabile delle altre, che anzi più ancor dì ogni altra mi manifesta la sua bontà e la sua misericordia; e voglio dire il Papa. Sì, il Papa! e per poco che consideriate anche voi quest’opera, non penerete a convincervi della verità di questa mia asserzione. Ed invero, donde mai la Chiesa ritrae la essenza di sua unità, la beneficenza dei suoi Sacramenti, l’integrità di sua dottrina, la sicurezza della parola e degli esempi di G. Cristo? … Dal Papa. È il Papa, che in un cuor solo ed in un’anima sola unisce tutti i popoli a Cristo. È il Papa, che ci comunica la grazia per mezzo dei Vescovi e dei Sacerdoti. È il Papa, che custodisce inviolato il deposito del Santo Vangelo. È il Papa, che ci assicura degli insegnamenti di Gesù Cristo. È il Papa insomma quella fonte prodigiosa, che lo stesso Gesù Cristo ha stabilito nella Chiesa per farci gustare perpetuo il benefizio della sua redenzione, per tramandare in eterno l’abbondanza della sua misericordia. Ben ho ragione di asserire che il Papa è un’opera delle più ammirabili uscite dal Cuore ferito di Gesù Cristo, e che con quest’opera il Cuore di Gesù ha fatto alla sua Chiesa uno dei più segnalati benefizi. Ben ho ragione, additandovi il Papa, d’invitarvi con tutte le forze dell’animo mio a benedire questo Cuore Santissimo ed a confessare il suo amore e la sua bontà infinita per noi! Questo per l’appunto è lo scopo del discorso di oggi, questo giorno in cui celebriamo la festa del primo Papa, di S. Pietro, mettervi in qualche luce questo sì grande benefizio, affinché da tale considerazione se ne tragga la natural conseguenza di ricambiare il Cuore di Gesù della conveniente gratitudine.

I. — Ogni famiglia, ogni Stato, ogni società abbisognano di un capo. L’anarchia a cui tanti evviva s’innalzano ai giorni nostri non è che il più stupido degli assurdi: imperciocché anche gli anarchici costituiti in partito, come sono oggidì, obbediscono essi pure agli ordini di un capo o per lo meno si lasciano spingere da’ suoi iniqui incitamenti. Se pertanto a non sovvertire l’idea istessa di famiglia, di stato e di società assolutamente si appalesa la necessità di un rispettivo capo, ognuno vede a primo aspetto, che a porre ben salde le fondamenta di quell’ammirabile società, che il Cuore amoroso di Cristo venne a stabilire in sulla terra, era affatto necessario che le donasse un capo; un capo che con rettitudine la governasse, un capo che l’ammaestrasse con sapienza; un capo che per ogni verso la guidasse con sicurezza alla meta sublime, che Cristo le assegnava. Senza di un capo, supremo nella sua autorità, infallibile nel suo magistero, la Chiesa, quest’opera divina uscita dal Cuore squarciato di Cristo, sarebbe andata priva del principio di sua unità e di sua perfezione ed in breve divisa e moltiplicata nel governo, varia e confusa nella dottrina, sarebbe riuscita a quello scompiglio, di cui in ogni tempo l’eresia ha dato al mondo sì triste spettacolo. Ma grazie, infinite grazie sieno rese al Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo! Ripieno per la sua Chiesa di un amore infinito e divino, Egli allontana da Lei un tale pericolo, e pur rimanendo Egli stesso a suo capo invisibile sino alla consumazione dei secoli, le dona un capo visibile nel Romano Pontefice, il cui supremo potere, corrisposto dall’universale sommessione, costituirà sino alla fine del mondo il principio della vita, dello sviluppo e del perfezionamento della Chiesa istessa. Ecco il Divin Redentore a Cesarea di Filippo. Circondato da’ suoi discepoli, a questo modo li interroga: « Chi dicono gli uomini che io sia? » E i discepoli rispondono: « Gli uni dicono che voi siete Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti. » — « Ma voi, soggiunse il Salvatore, voi chi dite ch’io sia? » A questa domanda Simon Pietro, pigliando la parola a nome suo e degli altri Apostoli, esclama: « Tu sei il Cristo, Figliuolo di Dio vivo. » Allora il Salvatore ripiglia: « Beato te, o Simone, figliuolo di Giovanni, perché non è né la carne, né il sangue che ti ha rivelato ciò che tu dici, ma il Padre mio, che è ne’ cieli. Ed io dico a te che tu sei Pietro, e sopra di questa pietra fabbricherò la mia Chiesa e le potenze d’inferno non prevarranno contro di essa giammai. A te io darò le chiavi dei regno de’ cieli e tutto ciò che avrai legato sopra la terra sarà legato anche ne’ cieli, e tutto ciò che in sulla terra avrai sciolto, sarà sciolto anche nei cieli. » Udiste? Con parole del tutto esplicite Gesù Cristo promette a Pietro di lasciare in lui un capo alla sua Chiesa con autorità suprema di comando. Ed invero, dopo di averlo detto beato per aver parlato conforme l’illustrazione avuta dal Padre celeste, gli cambia il nome di Simone in quello di Pietro o Pietra e soggiunge: « Sopra di questa pietra fonderò la mia Chiesa; » come dicesse: Tu, o Pietro, sei destinato a far nella mia Chiesa quello, che fa il fondamento in una casa. Il fondamento è la parte principale e indispensabile in un edilizio. E tu sarai nella mia Chiesa l’autorità affatto necessaria. E come nella casa le parti che non posano sul fondamento cadono e vanno in rovina, così nella mia Chiesa chiunque si dividerà da te, non ubbidirà a te, non seguirà te, fondamento della mia Chiesa, non apparterrà alla medesima e cadrà nell’eterna rovina. Inoltre Gesù Cristo disse ancora a Pietro: « A te darò le chiavi del regno de’ cieli. » Ma le chiavi non sono per eccellenza il simbolo della padronanza e del potere? Quando il venditore di una casa porge le chiavi al compratore di essa, non intende forse con questo atto mostrargli che gliene dà pieno ed assoluto possesso? Parimenti quando ad un re sono presentate le chiavi di una città, non si vuole forse con tal omaggio significare che quella città lo riconosce per sovrano? Per simile guisa le chiavi spirituali del regno dei cieli, cioè della Chiesa, che Gesù Cristo promette a Pietro, indicano chiaramente che Egli è destinato ad essere signore, principe e reggitore della nuova Chiesa. Laonde Gesù soggiunge allo stesso: « Tutto quello che legherai sulla terra, sarà altresì legato in cielo e tutto quello che scioglierai in terra, sarà pure sciolto in cielo; » vale a dire: Tu avrai l’autorità suprema di obbligare e sciogliere la coscienza degli uomini con decreti e con leggi riguardanti il loro bene spirituale ed eterno. — Né si dica che anche gli altri Apostoli sono stati fatti capi della Chiesa, perché anche a loro Gesù Cristo diede la facoltà di sciogliere e di legare, che tale facoltà Gesù Cristo la diede loro in comune e dopoché già erano state rivolte a Pietro le parole soppradette, affinché capissero che la loro autorità doveva essere sotto ordinata a quella di S. Pietro, divenuto loro capo e principe, incaricato di conservare l’unità del governo e della dottrina. Ma alla promessa tien dietro il fatto. Dopo la risurrezione Gesù Cristo, avendo mangiato co’ suo discepoli per assicurarli vie meglio della realtà del suo risorgimento, si rivolge a Simon Pietro e gli domanda per tre volte: « Simone, mi ami tu più di questi? » Pietro che dopo il fallo della negazione di Cristo è divenuto più modesto, si contenta di rispondere: « Signore, voi sapete che io vi amo. » E due volte il Signore gli dice: « Pasci i miei agnelli. » Ed una terza volta: « Pasci le mie pecorelle. » Per siffatta guisa il Cuore amoroso di Cristo costituiva S. Pietro Principe degli Apostoli, Pastore universale di tutta la Chiesa; conferendogli di fatto il primato di onore e di giurisdizione, ossia quel potere supremo che dapprima avevagli promesso, e non sola sopra i semplici fedeli raffigurati negli agnelli, ma eziandio sopra i sacerdoti e sopra gli stessi vescovi raffigurati nelle pecorelle. Ma il Divin Redentore promettendo e donando a Pietro il supremo potere su tutta la Chiesa, cogli stessi termini gli prometteva egli donava l’infallibilità di magistero. Difatti era possibile che egli dicesse a Pietro: « Tu sei Pietro e sopra di questa Pietra innalzerò la mia Chiesa, e le potenze dell’inferno non prevarranno giammai contro di Essa; — Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli: tutto ciò che avrai legato o sciolto su questa terra, sarà legato o sciolto in cielo; — Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecorelle; » — e poi permettesse che Pietro avesse a sbagliare, e tutt’altro che essere agli altri fondamento della Fede, crollasse egli stesso nella medesima; tutt’altro che aprire agli uomini le porte del cielo colle chiavi di esso, li trascinasse alle porte dell’inferno; tutt’altro che pascere della verità e i pastori e gli agnelli, li avesse talora a pascere dell’errore? Ciò non era assolutamente possibile. D’altronde anche per questo riguardo Gesù Cristo ha parlato nei termini più chiari e precisi. Imperocché nell’ultima Cena, rivolto a Pietro, gli dice : « Simone, io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli. » (Luc. XXII) Ora, o bisogna dire che la preghiera di Gesù Cristo non fu esaudita, il che sarebbe una bestemmia, o fa d’uopo ammettere che il suo Cuore amoroso, mediante la sua preghiera, assicurò a Pietro una particolare assistenza, affinché come Maestro universale non avesse mai a venir meno nella fede, epperò con labbro infallibile insegnasse mai sempre la verità in tutto ciò riguarda la fede e la morale cristiana. – Ma qui, o miei cari, procuriamo di farci una idea esatta di questa infallibilità che Gesù Cristo prometteva e donava a Pietro. Perciocché vi hanno di coloro che non possono credere che, per quanto si tratti di un uomo posto alla testa di tutta la cristianità, non possa peccare come tutti gli altri uomini, non possono credere che bisogna aggiustar fede ad ogni parola, ad ogni giudizio che egli esprima, e su qualsiasi soggetto; non possono credere che Gesù Cristo abbia posto nella Chiesa un privilegio tirannico che inceppa la libertà dello spirito umano nelle sue ricerche scientifiche. Ma stolti ed ignoranti che sono! Se fosse questo l’infallibilità! … Ma è così forse? No, assolutamente. L’infallibilità non è affatto l’impeccabilità, perché Pietro in quanto è nomo potrà anch’egli peccare e dovrà perciò anch’egli gettarsi ai piedi di un altro ministro del Signore per implorare il perdono delle sue colpe. L’infallibilità non è legata ad ogni sua parola e ad ogni suo giudizio, che anch’egli come persona privata esprimendo il suo parere o sopra la storia, o sopra la scienza, o sopra la filosofia, o sopra la teologia potrà fallire. L’infallibilità non è un potere tirannico che inceppi la libertà della mente, è anzi un privilegio che l’affranca e la protegge dall’errore. L’infallibilità è quella prerogativa per cui Pietro, come Capo della Chiesa, in virtù della promessa di Gesù Cristo, giudicando e definendo dall’alto della sua suprema cattedra cose riguardanti la fede ed i costumi, non può cadere in errore, né quindi ingannare se stesso o gli altri. Ecco, o miei cari, che cosa è l’infallibilità. Ed una tale infallibilità non era del tutto necessaria alla Chiesa per raggiungere quaggiù il suo fine, la salvezza delle anime, mercé l’insegnamento della dottrina e della pura dottrina insegnata da Gesù Cristo? – Il divin Redentore adunque ha dato a S. Pietro quel potere supremo e quell’infallibile magistero, che come a Principe degli Apostoli e capo di tutta la Chiesa gli erano necessari. E S. Pietro riconobbe d’aver ricevuto tali prerogative, e senz’altro in lui le ammisero e le riverirono gli altri Apostoli e i primitivi fedeli. Difatti, appena salito al Cielo Gesù Cristo, Pietro nel cenacolo piglia il primo posto, parla pel primo e propone egli l’elezione di un altro apostolo in luogo di Giuda, il traditore. Nel dì della Pentecoste è egli che pel primo predica la fede di Gesù Cristo e la conferma coi miracoli. In seguito è ancor egli che pel primo avendo convertiti i Giudei, va pel primo a battezzare i Gentili. Così è egli, Pietro, che stabilisce i primi punti di disciplina e compone qualsiasi dissidio che insorga, tanto che tutta la Chiesa, pastori e fedeli a lui si affidano, lui seguono, lui obbediscono; e lo stesso grande S. Paolo, benché fatto apostolo direttamente da Gesù Cristo non è pago fino a che non ha fatto confermare da Pietro il suo ministero. – Se non che, o miei cari, quelle prerogative che Gesù Cristo donava a Pietro, erano a lui donate come a privato individuo, sicché colla sua morte avessero a perire? No assolutamente. E come poteva ancora sussistere la Chiesa, se per la morte di Pietro veniva a mancarle il fondamento? Come poteva rimanere unito e ordinato il gregge di Gesù Cristo, se per la morte di Pietro perdeva il pastore supremo? Come potevano i Vescovi e i fedeli essere ancora confermati nella fede se per la morte di Pietro veniva a mancare il Maestro infallibile di tutta la Chiesa? Il primato di Pietro adunque non è un privilegio personale, che abbia a perire colla sua morte; è un privilegio che raccoglierà ogni suo successore, un privilegio che rimarrà in tutti quelli che continueranno il suo pontificato sino alla consumazione dei secoli, ascendendo quella stessa cattedra romana, sulla quale per divina ispirazione egli andò ad assidersi e ad esercitare il suo supremo potere ed infallibile magistero; poiché Gesù Cristo colla durata perpetua della Chiesa volendo sino alla consumazione dei secoli trasmettere agli uomini il beneficio della sua redenzione, vuole altresì che sino alla consumazione dei secoli abbia a durare il primato di Pietro. Oh! consumi pur dunque il principe degli Apostoli in un sacrificio di amore il suo governo e magistero glorioso, cada pure ancor esso sotto i colpi di quella morte, che tutti miete implacabile senza eccezioni di sorta; non per questo andrà priva la Chiesa di un capo che la governi, di un dottore che l’ammaestri; le chiavi di S. Pietro passeranno nelle mani di S. Lino in quelle di San Cleto e per una trasmissione non. mai interrotta nel corso di diciannove secoli arriveranno alle mani del glorioso Pontefice regnante, dinnanzi al quale tutto il popolo cristiano prostrato, come dinnanzi a Pietro primo capo visibile della Chiesa, col cuore riboccante di amore e di entusiasmo ripeterà le parole di Cristo: Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam. – Così da diciannove secoli ha sempre creduto la Chiesa, e così ha sempre riconosciuto col fatto. Tutti i Padri, tutti i Dottori, tutti i Santi, tutti i Concili furono sempre di accordo nel credere e proclamare altamente che il Papa, il pontefice romano è il vicario di Gesù Cristo, il successore di Pietro e il reggitore della Chiesa universale e il suo infallibile Maestro. Ed ogni qualvolta i reggitori e maestri delle Chiese particolari, i Vescovi, si trovarono nel dubbio o nell’incertezza, o nel timore, o nella controversia per riguardo a qualche pratica religiosa, o a qualche punto di dottrina, fu sempre al Papa che si rivolsero siccome all’autorità suprema e al supremo maestro, per essere da lui consigliati, illuminati, rassicurati, e fu sempre alla sua decisione, al suo giudizio, alla sua sentenza, che si affidarono come all’oracolo divino; tanto che quando S. Ambrogio asseriva che dove è Pietro, ossia il Papa, ivi è la Chiesa con tutti i suoi poteri e tutte le sue prerogative; quando S. Agostino tagliava netto sentenziando: Roma ha parlato, la causa è finita; quando S. Girolamo volgendosi a S. Damaso Papa del suo tempo dicevagli: Ohi non è con voi, è contro Gesù Cristo: chi con voi non raccoglie, disperde; non erano altro che la voce di tutta la Chiesa, la quale in tutti i secoli, e negli anteriori a loro e nei posteriori, ha sempre creduto che Pietro rimane e vive in quelli che continuano nel suo pontificato: Perseverat Petrus et vivit in sucessoribus suis. (S. LEO. Serm. II). Sia adunque benedetto Gesù Cristo, che a mantenere incrollabile l’edifizio della sua Chiesa ci ha dato il Papa; quel Papa, che nella persona di Pietro fu stabilito della Chiesa medesima il saldo fondamento, che nella persona di Pietro ricevette le chiavi del supremo potere, che nella persona di Pietro ricevette l’incarico di addottrinare nella fede e pastori e fedeli, che nella persona di Pietro fu dichiarato infallibile nel supremo esercizio del suo ministero, quel Papa insomma che nella persona di Pietro fu costituito Luogotenente di Dio nel governo spirituale del mondo.

II. — Ma l’empietà, o miei cari, riconoscendo al par di noi che il Papa è veramente la base della Chiesa Cattolica, il centro di sua unità e la sorgente della sua vita e delle sue grandezze, contro il Papa mosse ognora i suoi più furiosi assalti, follemente sperando di abbattere il suo trono, e col trono del Papa la Chiesa istessa. Ma qui per l’appunto è dove che il Cuore amoroso di Gesù Cristo ci dà un’altra prova luminosa del suo infinito amore per noi, nel conservare cioè il Papa in tutto il corso dei secoli contro tutti gli assalti che gli furon mossi. Gettate uno sguardo sulle pagine della storia. Nel corso di diciannove secoli le più nobili e potenti dinastie dei regnanti si cangiarono e morirono; ma la dinastia del Papa persistette e persiste tuttora invariabile ed immortale. – La Chiesa, questa figlia di Dio, vagiva ancora in fasce, e i tiranni di Roma si armarono per ispegnerla. La rabbia dei persecutori si scatena più furente contro di coloro che i cristiani riconoscono e venerano per loro augustissimi capi. S. Pietro da Nerone, ventinove altri Pontefici in seguito da altri imperatori son fatti morire e della morte più spietata; gli uni son crocifissi, gli altri sono lapidati, gli altri precipitati nei fiumi, gettati altri in pasto alle fiere. « E si è mai veduto, domanda qui l’illustre Bougaud, una dinastia che cominci con trenta condannati a morte? » E si è mai veduta, soggiungo io, una dinastia che abbia resistito per lo spazio di tre secoli ad un assalto così formidabile? Eppure vi ha resistito il Papato. All’indomani di quel giorno, in cui credevasi di avere spenta colla vita del Papa la cristiana religione, nell’oscurità delle catacombe sorgeva un Papa novello, nelle cui braccia gettavasi fidente la Chiesa perseguitata a sangue. [Da allora nulla è cambiato, come allora anche oggi gli empi usurpanti servi di lucifero, hanno creduto di abbattere la Chiesa impedendone il Papato, ma esattamente come allora, nella Chiesa –  tra l’oscurità delle catacombe, dell’eclissi prodotta dalla sinagoga di satana, e tra la persecuzione delle anime a forza di malefiche eresie e culti diabolici – è sorto il Papa novello a guidare la navicella di Pietro – n.d.r.]. Ed intanto, che più restava delle famiglie di Nerone, di Massimiano, di Diocleziano, di Giuliano l’Apostata? Colla ignominiosa lor morte avrebbesi voluto por fine, non che alla loro discendenza, alla loro stessa memoria. Dopo i persecutori vennero gli Eretici. Il loro assalto contro del Romano Pontefice fu tanto più accanito quanto più astuto e fraudolento. Nel quinto secolo dapprima, e dopo più di mille anni nel secolo decimo quinto e decimo sesto quegli uomini infernali suscitati dall’odio diabolico contro di quella pietra che Gesù Cristo poneva a base della sua Chiesa, lanciaronsi contro di lei con un furore frenetico. E tanto fu l’apparato della forza, tanti gli artifici dell’inganno, tanto il fervore delle passioni, che come dapprima il mondo cristiano pareva essersi staccato dal Romano Pontefice per gettarsi nelle braccia di Ario, così dappoi parve staccarsi dal Romano Pontefice per gettarsi nelle braccia di Lutero, di quel Lutero che nell’ebbrezza del suo immaginario trionfo osava gridare: Pestis eram vivus, mortuus tua mors ero, Papa. Ma gli eretici non furono più forti contro del Papa di quello che furono i tiranni, e mentre Ario e Lutero con tutta la loro sequela finivano di orribile morte la loro vita, il Papato vincitore dell’eresia restava fermo sul suo trono fatto rutilante di luce più viva. Dopo l’eresia e di conserva alla stessa, a combattere il Romano Pontefice sorgono i governanti della terra. Dapprima gli imperatori del basso impero di Costantinopoli, dappoi quelli di Germania con una prepotenza incredibile pretendere di adunare concilii, di dettar articoli di fede, di manipolar i preti a lor capriccio, di conferire essi stessi ai vescovi l’autorità e nel dare loro in mano il pastorale e l’anello, che giurino di dipendere da loro e di servire ciecamente alle loro voglie, e soprattutto che il Papa, il Vicario di Cristo, il successore di Pietro ceda a queste loro pretese, acconsenta alle lor matte proposte, soscriva alle erronee lor formole e ai loro patti iniqui. Oh chi sa dire a che dure prove, a che aspri cimenti, a che gravosi patimenti furono assoggettati i Pontefici nell’una e nell’altra epoca ? Nella prima un Giovanni è gettato in carcere dove soccombe per i cattivi trattamenti; un Agapito è mandato in esilio; un Silverio, spogliato de’ suoi abiti pontificali e raso il capo, vien deportato i n un’isola ov’è lasciato morir di fame; un Vigilio, preso pei capelli e per la barba, è strappato dall’altare che aveva abbracciato ed è fatto perire in esilio; un Martino è tolto da Roma e carico di catene è gettato a languire nel Chersoneso. Nell’altra epoca, sotto gli imperatori di Germania, altri fra i Pontefici sono assediati in Roma, altri rinchiusi in prigione e fatti morir di fame e di miseria, altri avvelenati, altri cacciati in bando dove muoiono esclamando: « Ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità, perciò muoio in esilio. » E chi mai nell’imperversare di sì furiose tempeste non avrebbe creduto che il Romano Pontificato avesse a perire? Eppure no! Perirono l’un dopo l’altro tutti i suoi assalitori, trascinando nel sepolcro la lor discendenza, ma i Papi restarono ed alla morte dell’uno un altro sempre ne successe a governare, ad ammaestrare quella Chiesa, di cui Iddio lo eleggeva a capo. E ai tempi dei nostri avi e dei nostri padri l’empietà lasciava forse alcun che d’intentato contro dei Romani Pontefici? La rivoluzione, al cui apparecchio avevano lavorato orgogliosi filosofi, dopo aver bandita la croce al Cristianesimo, scannati a decine e a centinaia i Vescovi più venerandi e i sacerdoti più eletti, abbattute nelle chiese le sacre immagini e surrogatavi in lor vece la sozzura vivente della Dea Ragione, finì per gettare le mani sulla veneranda canizie del sesto Pio, strapparlo violentemente dalla sede di Pietro e trascinarlo nella terra d’esilio ed ivi con serie infinita di vessazioni e di dolori procurargli la morte. Più tardi un soldato felice insuperbito dei suoi trionfi, rinnovava le stesse sevizie su Pio settimo, gettandolo a gemere diviso dai suoi più cari in penosissima cattività, dove oltre al privarlo del pane necessario al sostentamento, negavagli persino il conforto della penna. Oh mio Dio! Tutto è pianto per la Sposa di Cristo; più non regna che la ragion del più forte, e quanti non hanno fede credono che a Savona debba alfin morire l’ultimo dei Papi. Ma viva Dio! Un bel giorno, mentre il rombo delle empie e sconsigliate guerre odesi ancora echeggiare per tutta Europa, gli eserciti dell’irrequieto conquistatore sono rotti e dispersi, lo snaturato tiranno vinto e soggiogato è mandato a languire sopra un arido scoglio dell’oceano, mentre il mite e travagliato Pontefice liberato dalla sua prigione e come portato sugli omeri di tutto il popolo cristiano ritorna trionfante nella santa città. Ma l’empietà, o miei cari, si ostina a non profittare delle toccate sconfitte ed anche ai dì nostri ritenta la prova e si getta rabbiosa a cozzare col Papato. Né si è ristretta a dimostrazioni di lingua e di penna. Armi si sono impugnate, atroci violenze si sono commesse, e il Capo Venerabile della Chiesa. Io qui mi arresto…. I fatti ai quali accenno sono accaduti ed accadono tuttora davanti ai vostri occhi, né avete bisogno che io ve li esponga. Vi chiederò piuttosto: Vi ha da temerne? …. Potrà temere colui che non crede o non conosce l’amore di Gesù Cristo per la sua Chiesa. Ma chi getta lo sguardo su quel Cuore tutto i n fiamme, chi porge ascolto ai suoi rinfrancanti detti: Ecce vobiscum sum usque ad consummationem sæculi; allo sforzo degli empi sorride, perché si assicura che, come il Cuore amoroso di Cristo non abbandonò mai il Papa, nel corso dei passati secoli, così non l’abbandonerà neppure nei secoli venturi e conservandolo in mezzo ad ogni sorta di assalti, lo circonderà di universale amore e gli preparerà uno splendido trionfo. Viva, viva adunque il Cuore Santissimo di Gesù che ci ha dato il Papa e lo conserva con tanta cura, ed affetto!

III. — Ma altra prova di amore, non meno splendida delle antecedenti, ci ha dato il Cuore Sacratissimo di Gesù nel glorificare il Papa. Conoscendo Egli a perfezione il cuore umano, che tanto facilmente sì lascia attrarre dalle cose sensibili, volle eziandio per la via delle cose sensibili trarre gli uomini all’amore ed alla venerazione del Papa; epperò non pago di conferirgli un’autorità spirituale, in tutto il corso dei secoli, lo circonda ognora di fulgidissima gloria ispirandogli ed aiutandolo a compiere opere, che niun’altra dinastia del mondo potrà mai vantare sì numerose e sì perfette. Ed in vero, o miei cari, a chi la gloria di atterrare i delubri del paganesimo, di raddolcire i costumi, di spezzare le catene della schiavitù, di far risplendere il sole della cristiana civiltà? Al papa! O santi pontefici de’ tre primi secoli, io mi prostro riverente dinanzi alla vostra veneranda persona. La vostra vita non passò che nell’oscurità delle catacombe, ma dal fondo di quei sotterranei il suono della vostra voce uscì per tutta la terra a portare dovunque la serenità e la pace! — A chi la gloria di evangelizzare il inondo, di spargere dappertutto il regno di Cristo, di inalberare per ogni dove lo stendardo della croce, di radunare i popoli in un sol cuore, in un’anima sola? Al Papa! Io vi saluto, o Gregorio Magno, o Nicolò I, o Zaccaria, o Gregorio II e III, o Giovanni XIII, o Gregorio IV; è per opera vostra, pel vostro soffio che sono successivamente evangelizzate l’Italia non solo, ma le Gallie, la Spagna, la gran Bretagna, la Svezia, l’Olanda, la Germania, la Polonia, la Russia, le immense contrade del nord. È per opera vostra, pel vostro soffio, o Sommi Pontefici, che a tutti i popoli del settentrione e del mezzodì, dell’oriente e dell’occidente, dell’antico e del nuovo mondo la fede rifulge, il vero Dio si adora, Cristo è amato. — A chi la gloria di liberarci dalla dominazione dei barbari e dei mussulmani, d’impedire che ricadessimo nella primiera barbarie? Al Papa! O magno Leone! io vi veggo, rivestito del vostro papale ammanto, in trepido, farvi innanzi a chi si noma flagello di Dio, ammansar quella belva e allontanarla d’Italia. Io vi veggo, o S. Leone IV, respingere ad Ostia colle vostre milizie i Saraceni, che vi sbarcarono già sicuri della vittoria. Io vi veggo, o S. Leone IX, combattere, a Civitella per l’indipendenza delle terre italiane e cadendo prigioniero restar tuttavia vincitore. Io veggo voi, o grande Ildebrando, farvi l’energico difensore dell’Italia contro l’influenza straniera ed umiliare a Canossa la prepotenza di un imperatore Germanico. Io veggo voi, o Alessandro III, farvi capo di una lega per allontanare dalle nostre terre il Barbarossa e felicemente riuscirvi, e voi, o Gregorio IX, tentare risolutamente la stessa cosa contro Federico II. Io vi veggo o grande Pio V, destare l’Europa col suono della vostra voce, radunarne i principi, benedire i loro eserciti, spedirli contro le falangi musulmane, e colle vostre preghiere ottener loro la più splendida vittoria. — Ancora. A chi la gloria di vedere suoi figliuoli gli stessi re ed imperatori del mondo, di essere il consigliere nelle loro imprese, l’arbitro nelle loro questioni, il pacificatore nelle loro contese? A chi la gloria di intimare ai prepotenti il dovere e la giustizia, di resistere ai loro capricci, di difendere l’innocenza ed il diritto contro il loro despotismo? Al Papa. Siete voi, o Innocenzo III, che obbligate Filippo Augusto di Francia a ripigliare la sua legittima sposa; voi, o Pio VI, e Pio VII, che forti per coscienza resistete alla volontà degli iniqui; voi, o Gregorio XVI, e Pio IX, che agli imperatori delle Russie ordinate di trattar meglio i Cattolici, — E finalmente, a chi la gloria d’aver protetto le lettere, le scienze, le arti? A chi?. Al Papa, sempre al Papa. È il Papa che nel buio del medio evo, apre scuole a spargervi la luce delle lettere e delle scienze: il Papa, che favorisce e promuove le università, il Papa che raccoglie biblioteche, il Papa che si circonda di dotti, il Papa che chiama ed accoglie onorevolmente nella sua Roma i più celebri artisti. È Giulio II, è Paolo III, èSisto V, è Leone X, èPio VI, èPio VII, è  Pio IX, è il glorioso Leone XIII, la cui splendida munificenza verso le scienze, le lettere e le arti va del pari colla sua altissima sapienza. E dinanzi a tanto splendore, dovrebbesi ancora far conto di quel po’ di nebbia che parvero gettare sul Papato alcuni pochi Pontefici? Io non nego che vi sia stato fra di loro qualcuno di ua vita non dicevole alla sublime dignità. Ma che per questo? Se come persone private fallirono, come Pontefici vennero forse meno al loro gravissimo ufficio? Lo stesso Alessandro VI, di cui tanti scrittori farisaici inorridiscono, dato pure che l a sua vita privata non sia stata sempre buona, non compié in qualità di Pontefice delle grandi cose? Non fu egli, come scrive lo stesso Boterò, che allo scoprimento di tante terre fatte dagli Spagnuoli e dai Portoghesi si adoperò presso i loro re, perché in quelle terre si attendesse anzitutto alla conversione dei popoli? Non fu egli che chiamato arbitro da questi due sovrani nella questione dei confini dell’America pose fine ai loro litigi, con la famosa linea di partizione da lui tracciata sulla carta geografica e che accolta di buon animo prova manifestamente che come Papa era avuto in altissima stima dai principi e dai popoli? E per non dire più di altro, non attese forse come Papa col massimo zelo al bene della Chiesa? Chi vuole adunque giudicare dirittamente dei Papi, distingua bene ciò che in essi vi è di umano e di persona privata, ed allora vedrà, se non vuole esser cieco, che come non vi ha dinastia di una potenza intima più grande, così non vi ha dinastia alcuna di una gloria più splendida e più pura. D’altronde, pur riconoscendo che sulla cattedra di Pietro insieme col supremo potere e col magistero infallibile si è assiso qualche Papa malvagio, il vero Cristiano non rinnoverà mai il delitto di Cham, ma chiudendo gli occhi come Sem e Jafet, si farà invece a coprire le colpe di questi padri col manto della pietà filiale. Benedizione adunque, benedizione eterna al Cuore di Gesù, che non solo ci ha dato il Papa e lo conserva con tanta cura ed affetto, ma lo circonda ancora di tanta gloria a radicare ognor più nei cuori nostri la venerazione e l’amore per lui, a costringere alla sua ammirazione tutti gli uomini del mondo. Ma se il Cuore Sacratissimo di Gesù nel darci il Papa, nel conservarlo e glorificarlo ci ha fatto il più segnalato benefizio e ci ha data una gran prova di amore, nostro dovere per conseguenza è quello di corrispondere a tanto benefizio colla più sincera gratitudine. E il modo migliore di manifestare al Cuore di Gesù la nostra gratitudine in questo caso è quello per l’appunto di obbedire, rispettare ed amare il Papa. Allor quando nel battesimo di Cristo lo Spirito Santo erasi posato sopra il suo capo nella sembianza di colomba, dalle altezze dei cieli era pur scesa la voce dell’Eterno Padre dicendo: « Questo è il mio Figliuolo prediletto, nel quale ho riposto le mie compiacenze; lui ascoltate.» Ebbene, o miei cari, qui avviene un fatto somigliante. Il Cuore Santissimo di Gesù posandosi sulla persona del Papa rivolge a tutti i suoi figli la sua voce e grida: Questi è il mio Vicario: ascoltatelo, rispettatelo, amatelo. Chi ascolta lui, ascolta me: chi disprezza lui, disprezza ine; chi non ama il Papa, non ama neppure me stesso. E vi sarà tra di noi chi si rifiuti a questo comando di Gesù ? Ahimè! se io getto lo sguardo nel mondo, vedo pur troppo di coloro che non ascoltano il Papa, che non lo rispettano, che l’odiano anzi e sino al furore; che vorrebbero, se loro fosse possibile, schiantarne l’ultimo vestigio dalla faccia della terra, e in fondo in fondo non per altra ragione, se non perché il Papa a nome di Dio impone loro una legge, ch’essi non vogliono praticare; perché il Papa svela le loro nequizie e le loro ipocrisie, condanna la loro superbia e la loro corruzione; perché il Papa mette in guardia il mondo dalle loro diaboliche arti; perché infine il Papa pel libero esercizio di quella autorità che ha ricevuto da Dio reclama quel temporale dominio, che la Divina Provvidenza gli ha a tal fine accordato. Sì, per questo, per questo solo tante bocche impure si aprono a bestemmiarlo, tante penne sataniche schizzano veleno a maledirlo, tante sozze caricature s’inventano a coprirlo di fango. Oh infelice Pontefice! Curvo sotto il peso di una responsabilità così grande, qual è quella che emana dalla sua autorità, egli deve per soprappiù gemere sotto il peso della moderna empietà e corruzione, che gli muove una guerra cotanto aspra. Ah deh! per quella gratitudine che ci lega al Cuore Sacratissimo di Gesù, che i suoi gemiti trovino un’eco pietosa nel cuore de’ suoi veri figli. Che noi almeno col rispetto e coll’obbedienza alla sua autorità, in tutto quello che egli ci prescrive per il vero nostro bene ci studiamo di porgere un po’ di conforto alle sue afflizioni. Che da noi almeno non mai si sparli del Papa, non mai si censurino i suoi pensamenti e le sue operazioni, non mai anche solo per rispetto umano si sorrida a chi lo deride: che da noi, da noi almeno si porti sempre alta la bandiera su cui sta scritto: Cattolici e Cattolici col Papa. E quando il Papa nella piena del suo dolore a noi si volge additandoci il cuore che gli sanguina, sempre abbia da noi tale una risposta… Miei cari amici! Allorché nel secolo passato, una grande imperatrice d’Austria, Maria Teresa, viste invase dalle potenze straniere le sue terre, confidata nell’amore dei suoi popoli, ancor sofferente di fresca malattia, presentossi alla dieta e svelate le sue pene chiese protezione per se e pel suo bambino, udì tosto con entusiasmo ripetere: Moriamur prò rege nostro Maria Theresia! Ealle parole s’aggiunsero i fatti: gli abili alle armi si fecero soldati e formossene un numeroso esercito: non mai dalla fertile Ungheria uscirono tante provvigioni: non mai con la violenza si riscossero tanti tributi, quanti allora spontanei, e l’ardore non fe’ mai sì belle prove. Ecco la risposta che dobbiamo dar noi all’appello del Papa: balzare risoluti al cospetto delle sue sofferenze, gettarci ginocchioni a’ suoi piedi, protestando di amarlo e di difenderlo; brandire coraggiosi le armi dell’azione e della preghiera, cooperare per quanto sta in noi e colle parole, e cogli scritti e colla stampa e coll’obolo della nostra carità, a mantenergli la gloria e lo splendore che gli si addice; con gemiti incessanti supplicare il Cuore di Gesù che lo renda libero, che lo conservi, lo vivifichi; lo faccia beato in terra e non lo lasci cadere nelle mani de’ suoi nemici; e piuttosto che vili cedere quest’armi in faccia ai nemici del Papa: Moriamur prò Papa nostro Leone! siamo pronti a soffrir qualsiasi iattura, anche la morte istessa se .le circostante lo richiedessero. Morir per il Papa saria lo stesso che morir per Cristo: perché il Papa è il Vicario di Cristo: e di miglior gratitudine non potremmo ripagare il Cuore di Cristo, né miglior testimonianza potremmo rendere alla sua bontà e misericordia nell’averci dato il Papa. E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che con l’istituzione del Papa avete dato alla vostra Chiesa il più saldo fondamento, fate che adesso noi siamo mai sempre uniti di mente e di cuore, sicché coll’amore, col rispetto, coll’obbedienza al Papa, Capo visibile della vostra Chiesa, noi siamo pur sempre muti a Voi, che ne siete il Capo invisibile, adesso e nell’eternità. [Oggi più che mai rinnoviamo questo grido di gioia e di fedeltà:

Moriamur prò Papa nostro Gregorio!

n.d.r.]

SALMI BIBLICI: “BONITATEM FECISTI CUM SERVO TUO” (CXVIII – 4)

SALMO 118 (4) “Bonitatem fecisti cum servo tuo

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (4)

TETH.

[65] Bonitatem fecisti cum servo tuo,

Domine, secundum verbum tuum.

[66] Bonitatem, et disciplinam, et scientiam doce me, quia mandatis tuis credidi.

[67] Priusquam humiliarer ego deliqui, propterea eloquium tuum custodivi.

[68] Bonus es tu, et in bonitate tua doce me justificationes tuas.

[69] Multiplicata est super me iniquitas superborum; ego autem in toto corde meo scrutabor mandata tua.

[70] Coagulatum est sicut lac cor eorum; ego vero legem tuam meditatus sum.

[71] Bonum mihi quia humiliasti me: ut discam justificationes tuas.

[72] Bonum mihi lex oris tui, super millia auri et argenti.

JOD.

[73] Manus tuae fecerunt me, et plasmaverunt me; da mihi intellectum, et discam mandata tua.

[74] Qui timent te videbunt me, et lætabuntur, quia in verba tua supersperavi.

[75] Cognovi, Domine, quia æquitas judicia tua, et in veritate tua humiliasti me.

[76] Fiat misericordia tua ut consoletur me, secundum eloquium tuum servo tuo.

[77] Veniant mihi miserationes tuæ, et vivam, quia lex tua meditatio mea est.

[78] Confundantur superbi, quia injuste iniquitatem fecerunt in me; ego autem exercebor in mandatis tuis.

[79] Convertantur mihi timentes te, et qui noverunt testimonia tua.

[80] Fiat cor meum immaculatum in justificationibus tuis, ut non confundar.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (4).

TETH.

65. Tu con bontà, o Signore, hai trattato il tuo servo: secondo la tua parola

66. Insegnami la bontà e la disciplina e la scienza, perché io ne’ comandamenti tuoi ebbi fede.

67. Prima ch’io fossi umiliato, io peccai; per questo ho custodita la tua parola.

68. Buono se’ tu, e secondo la tua bontà insegnami tu le tue giustificazioni.

69. È cresciuta l’iniquità de’ superbi contro di me; ma io con tutto il cuor mio studierò i tuoi precetti.

70. Il loro cuore come latte acquagliato; ma io meditai la tua legge.

71. Buona cosa per me l’avermi tu umiliato affinché io impari le tue giustificazioni.

72. Buona cosa per me la legge della tua bocca, più che l’oro e l’argento a migliai.

IOD

73. Le tue mani mi fecero e mi formarono; dammi intelletto, e imparerò i tuoi comandamenti.

74. Mi vedranno color che ti temono, e avranno allegrezza; perch’io nelle tue parole sperai grandemente.

75. Ho conosciuto, o Signore, che i giudizi tuoi sono equità, e che secondo la tua verità tu mi hai umiliato.

76. Venga la misericordia tua a consolarmi, secondo la parola data da te al tuo servo.

77. Vengano a me le tue misericordie, ed io avrò vita; perocché mia meditazione ell’è la tua legge.

78. Sieno confusi i superbi, perché ingiustamente hanno macchinato cose inique contro di me; ma io mi eserciterò ne’ tuoi comandamenti.

79. Si rivolgano a me quei che ti temono e quei che intendono i tuoi insegnamenti.

80. Sia immacolato nelle tue giustificazioni il cuor mio, affinché io non resti confuso.

Sommario analitico

IV SEZIONE

 65-80.

Davide domanda qui a Dio ciò che è necessario a sostegno della vita spirituale del viaggiatore: la bontà, la disciplina, la scienza, la fede.

I. – La bontà e la dolcezza verso il prossimo, la disciplina esatta e vigilante per combattere in se stesso e fuori da se stesso e che potrebbe portarlo al peccato, la scienza per ben comprendere la Legge di Dio ed i suoi misteri, tre doni che una fede ferma gli otterrà e di cui egli indica la necessità, dichiarando:

1° che per esserne stato privato, ha peccato ed è stato umiliato (67);

2° che grazie alla bontà tutta particolare di Dio, che ha voluto insegnargli Egli stesso, ha ottenuto questa scienza dei suoi ordini divini (68);

3° che con l’aiuto di questa disciplina vigilante, egli non ha ceduto agli sforzi dei superbi ed all’esempio degli uomini carnali, il cui cuore si è indurito e non può comprendere le verità più chiare; che egli ha cercato, nello studio e nella meditazione della legge di Dio, la forza di resistere agli insulti dei primi ed all’ignoranza grossolana degli altri (69, 70);

4° che ha riconosciuto l’utilità dell’umiliazione onde apprendere gli ordini pieni di giustizia del Signore, per lui preferibili a tutte le ricchezze della terra (71, 72).

II. – La fede che gli fa credere alla potenza benefica di Dio, che fortifica l’anima affaticata:

1° Nella prosperità, essa fa considerare:

a)La potenza del Creatore alla quale egli deve tutto il suo essere, il suo corpo, la sua anima, e questa intelligenza che gli fa comprendere le cose che tutte le viste umane non possono raggiungere (73);

b) La giustizia provvidenziale del legislatore negli effetti salutari che seguono il compimento o l’inosservanza della sua legge (74, 75);

c) la misericordia del Salvatore che gli dà la consolazione di cui ha bisogno (76), e la vita della grazia, frutto della meditazione della legge di Dio (77);

2° Nell’avversità:

a) egli prevede e desidera la confusione dei superbi che lo hanno perseguitato ingiustamente (78);

b) vede i giusti rivolgersi a lui ed unirsi a lui (79);

c) domanda che il suo cuore diventi più puro in mezzo alle sue prove (80).

Spiegazioni e Considerazioni

IV SEZIONE — 65-80.

I. – 65-72.

ff. 65-68. – La bontà di cui qui parla il Profeta sarebbe meglio tradotta dal greco e dall’ebraico con la parola “soavità”. Ma come ci può essere soavità nel male, quando gioie illeciti ed immorali ci dilettano; come può essercene nei piaceri della carne, anche quando sono legittimi; noi riteniamo di comprendere il termine di soavità secondo il senso di “crestoteta” che i greci non applicano se non ai beni dello spirito. « Voi avete dunque fatto “soavità” al vostro servo, » cioè Voi avete fatto che il bene fosse la mia delizia. In effetti, che il bene faccia le delizie di un uomo è una grande grazia di Dio (S. Agost.). – Ci sono tane cose di questo mondo che sembrano avere una certa soavità ma sono piene di amarezze. La voluttà sembra dolce, ma come diventa amara quando ha dissipato tutto un ricco patrimonio; la passione ci sembra dolce quando ci infiamma, ma diviene orribile ed abominevole quando viene disvelata; i cibi squisiti sembrano deliziosi quando si assaggiano, ed ispirano il disgusto quando sono digeriti. Quanti beni sembrano preziosi ai nostri occhi in questa vita, e che non ci servono più a niente al momento della morte, in cui bisogna abbandonarli. Non c’è dunque vera soavità se non quella che Dio ci fa gustare secondo la verità della sua parola (S. Ambr.). – Tutto ciò che Dio ha fatto nei riguardi del suo servo, è buono, perché lo fa secondo la sua parola. Ora, niente di ciò che è fatto secondo la sua parola può essere reputato cattivo, perché la volontà di Colui che solo è buono, è piena di bontà (S. Ilar.). – « Insegnatemi la bontà o la soavità, la disciplina e la scienza. » Tre doni necessari per ben osservare i comandamenti di Dio e restare fermo nella virtù: 1° La bontà e la dolcezza verso il prossimo; – 2° la disciplina esatta e vigilante per combattere in se stesso e fuor da se stesso tutto ciò che potrebbe portare al peccato; – 3° la scienza per ben comprendere la legge di Dio, per poterla ben osservare; ed i misteri della Religione, per poterli credere con fede chiara. – Il Profeta non domanda a Dio la scienza se non dopo aver chiesto la bontà e la disciplina. Io non dico che bisogni disprezzare la scienza che è un ornamento dell’anima, che la istruisce e la rende capace di istruire gli altri. Ma bisogna che sia preceduta nell’anima dalla bontà e dalla disciplina, che soprattutto sono necessarie alla salvezza. E vedete se il Profeta non avesse questo ordine in vista, e non ci insegnasse ad osservarla, quando diceva: « Seminate nella giustizia, e mietete nella misericordia e accendete dopo per voi la luce della scienza. » (Osea, X, 12). Egli pone la scienza all’ultimo posto come un dipinto che non può poggiare sul vuoto, e stabilisce innanzitutto la bontà e la disciplina come una base solida per ricevere questo dipinto.  (S. Bern. Serm. XXXVIII). –  La scienza è nominata in terzo luogo; perché se la scienza ha il sopravvento sulla carità, non edifica, ma gonfia; (I Cor. VIII, 1); ma quando la carità, unita alla dolcezza e alla bontà, avrà acquisito tanta forza perché le tribolazioni che impone la disciplina non possono spegnerla, allora la scienza sarà utile all’uomo per fargli conoscere ciò che ha meritato per se stesso ed i doni che Dio gli ha fatto (S. Agost.). – Una fede ferma ed un’umile fiducia ottengono da Dio questi tre doni. – « Prima di essere umiliato, io ho peccato. » La causa principale delle nostre umiliazioni, è il peccato. È perché il peccato ha preceduto che il Profeta dichiara che è stato umiliato, cioè distrutto dalle tentazioni e le afflizioni, ed esposto a tutte le angosce. .. Tuttavia benché queste umiliazioni siano spesso una punizione, pur cessano di essere un castigo del peccato per divenirne il rimedio ed un principio di virtù. Così voi attribuite ai vostri peccati le vostre umiliazioni, riconoscete che siete la causa di tutto ciò che vi accade di così sconveniente, e non appena giudicato colpevole, diventate giusto, per il solo fatto di condannarvi, « perché il giusto è il primo accusatore di se stesso. » (Prov. XVIII, 7), (S. Ambr.). – « Ecco perché ho conservato fedelmente la vostra parola ». Il Profeta ha trovato il vero ordine nel correggersi cominciando da ciò che era stato l’inizio della sua colpa. Egli si sottomette alla parola di Dio e cessa di peccare. (Idem). – Voi siete buono … diciamo talvolta ad un uomo, nel desiderio di conciliare le sue buone grazie: voi siete buono, per avvertirlo di essere ciò che non può essere, e questo richiamo indiretto alla bontà lo addolcisce, e gli fa deporre una durezza molto grande; quanto più noi dunque dobbiamo proclamare che Dio è buono, Egli al quale la sola bontà devono la conservazione della loro esistenza sulla terra. È proprio della natura di Dio l’essere buono … Ma benché Dio sia buono, il Profeta lo prega tuttavia di insegnargli, nella sua bontà, i suoi precetti pieni di giustizia, come noi preghiamo un medico che, perché buono non cerca che il maggior bene del malato, e trattarlo tuttavia con una certa dolcezza, per non impiegare dei rimedi troppo violenti, di non applicare il ferro sulla piaga, o almeno di farlo con moderazione ed addolcire con i suoi artifizi la vivacità del dolore. Così la dolcezza del Vangelo ci insegna molto meglio le giustificazioni di Dio, piuttosto che la sua Legge.    

ff. 69-72. – « L’iniquità dei superbi si è moltiplicata contro di me. » Più un Cristiano desidera servire Dio, più si eccita contro di lui l’animosità dei suoi nemici, e per questo, come un atleta coraggioso, egli desidera riportare la corona di giustizia, ed irrita il gran numero di coloro che sono invidiosi dei suoi progressi … È così che si moltiplicano i nostri nemici visibili ed invisibili. Ecco, per esempio, un uomo giusto che perde suo figlio, cosa che accade frequentemente, o è spogliato del suo patrimonio, o vede piombare su di lui ogni sorta di avversità: gli orgogliosi gli dicono allora: Dov’è la giustizia di Dio, dov’è la sua misericordia? Qual profitto ne viene dunque a quest’uomo così castigato nella sua virtù, nella sua innocenza? – « Il loro cuore si è indurito come il latte. » Il cuore dei santi è tenero, delicato; il cuore dei superbi è duro ed ispessito. Così come il latte è, per sua natura, di un biancore splendente e di una purezza senza mistura, ma si inacidisce facilmente per la dissoluzione delle sue parti, così lo spirito ed il cuore dell’uomo sono per loro natura puri e brillanti, ma si alterano facilmente con la mistura corruttrice dei vizi. Quando il latte si rapprende ed indurisce, forma una massa che gli fa perdere il gusto ed il sapore naturale. Ecco gli uomini in cui la grazia, la soavità delle loro parola, e pure con la dolcezza dell’amicizia, lasciano il posto all’amarezza della cattiveria ed al gusto sgradevole dell’invidia. Il cuore indurisce dunque per l’orgoglio, l’invidia, che alterano e corrompono la dolcezza della natura e la benevolenza, e sono fonte della mistura corruttrice della malvagità e della malizia. Mentre il cuore dei superbi, la cui iniquità si era moltiplicata su di lui, si indurisce, cosa fa il giusto? Egli si umilia meditando i precetti della legge, che è scuola di umiltà (S. Ambr.). –  Vedete poi ciò che aggiunge: « è bene che mi abbiate umiliato, affinché possa apprendere i vostri giusti precetti. » È ciò che dice l’Apostolo, sull’esempio del Profeta; « io mi sono compiaciuto nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle necessità, nelle angosce per Gesù-Cristo. » (II Cor. XII, 10). Per questo egli pure si compiace nelle sue debolezze, non si lascia abbattere dalle prove e dalle umiliazioni, e non si scoraggia davanti agli oltraggi: egli ha meritato di conoscere e compiere i comandamenti di Dio. (S. Ambr.) – Ogni sofferenza è buona, tutte le tribolazioni sono buone, poiché alla loro scuola apprendiamo a conoscere i giusti precetti di Dio, poiché esse correggono i peccatori con l’umiliazione, reprimono i prevaricatori con la severità ed insegnano la dottrina agli ignoranti. (S. Ilar.). – Il Re-Profeta fa chiaramente intendere che in questa circostanza, conoscere è praticare, praticare è conoscere … Ci sono molti che imparano le leggi giuste del Signore e che tuttavia non riescono ad apprenderle. Essi le conoscono in una certa maniera, e le ignorano dall’altre; perché non le praticano, non le conoscono (S. Agost.). – « La legge della vostra bocca è per me un bene più prezioso di milioni di pezzi d’oro e d’argento (S. Agost.). – Ma quanto sono rari coloro che possono esprimersi in tal modo, quanto cioè sono rari coloro che preferiscono la legge di Dio all’oro ed all’argento, e che sono pronti a lasciare tutto per compiere questa divina legge. Gesù-Cristo stesso non ha trovato questo distacco se non in coloro che aveva istruito. Così, Pietro ha fatto professione di questo distacco, egli che aveva lasciato tutto per Gesù-Cristo e che ha potuto dire: « Io non ho né oro, né argento » (Act. III, 6). Ma non è certo l’avaro che possa esprimersi così, egli che cova incessantemente con gli occhi l’oro che ha ammassato; non è l’uomo avido di ricchezze che considera ogni giorno con un ardore inquieto i guadagni che può realizzare, che ogni giorno incassa tesori su tesori, che tende le sue reti per farvi cadere le eredità che concupisce, e veglia incessantemente presso il letto dei malati per spiarne il loro ultimo sospiro. (S. Ambr.).

II. — 73-80.

ff. 73-76. – « Le vostre mani mi hanno fatto e mi hanno formato. » Il Profeta sembra dire a Dio: io sono l’opera vostra, non mi abbandonate. È a Voi, Autore dell’essere mio, che mi rivolgo, e a Voi, mio Creatore, che mi lego, non voglio cercare altri soccorsi. Preparatevi a venire in mio soccorso, Voi che siete preparato già prima di crearmi. Spiegatemi voi stesso, Davide, perché dite a Dio: « Le vostre mani mi hanno fatto ». Voi dite in un altro salmo: « Il Signore soddisferà per me, Signore, la vostra misericordia è eterna, non disprezzate l’opera delle vostre mani. » (Ps. CXXVII, 5).  Come se diceste: « Le vostre mani non hanno formato gli altri animali, ma Voi avete semplicemente detto: che le acque, che la terra producono gli animali, viventi ciascuno secondo la propria specie, e le acque e la terra producono i pesci, gli uccelli, gli animali domestici, i rettili e tutte le bestie secondo le loro differenti specie. » (Gen. I, 20, 24). Ma quanto a me, vi siete degnato di farmi con le vostre mani, formarmi a vostra immagine e somiglianza; « Datemi dunque l’intelligenza, affinché impari i vostri comandamenti. » (S. Ambr.). – Il Profeta che dice a Dio: « Datemi intelligenza, » non ne è affatto sprovvisto come gli animali, e non deve, come uomo essere contato … « tra coloro che camminano nella vanità del loro spirito, che hanno l’intelligenza offuscata e sono estranei alla voce di Dio, » (Ephes. IV, 17); perché se somigliasse loro, non parlerebbe come egli fa. Ora, non è far prova di poca intelligenza sapere a chi chiedere l’intelligenza. Ma pensiamo quale profondità di intelligenza sia necessaria per comprendere i comandamenti di Dio, vedendo che colui che li comprende già così bene, e che ha dichiarato di averli osservati, chiede ancora l’intelligenza per conoscerli (S. Agost.). – « Coloro che vi temono mi vedranno e saranno nella gioia. » Coloro che temono Dio provano una gioi vera nella conoscenza che hanno dei santi, perché colui che gioisce alla vista di un giusto, vuole egli stesso essere giusto. È conveniente che gioisca nel vedere negli altri ciò che vuole conservare in se stesso. È questa in effetti, una prerogativa dei buoni, che l’uomo saggio ama con santa affezione colui che è casto, riservato e prudente; e il misericordioso ama colui che è generoso; in una parola, noi amiamo negli altri le virtù che sono in noi … Ma al contrario, la vista del giusto che fa gioire il cuore degli innocenti, è un vero supplizio per i malvagi, perché la condotta dei santi è una condanna per la loro vita colpevole. La castità tormenta l’incontinenza, la liberalità è un tormento per l’avarizia, così come la fede per l’empietà; la presenza di un santo è come un peso insopportabile per la loro coscienza. Al contrario, la vista di un uomo fedele a Dio ha il privilegio di far gioire tutti coloro che temono Dio … La presenza stessa dei Santi è utile a coloro che temono Dio, perché porta con essa una grazia tutta particolare a coloro che considerano e studiano la condotta dei Santi (S. Ilar.). – Ora, colui che vede un giusto, deve sapere cosa vede: non è né il suo corpo, né il suo vestito, né il suo patrimonio, né il suo viso, ma il suo interno. No, egli non lo vede veramente che a condizione di veder la sua anima, di intendere i suoi discorsi, di comprenderne il senso e tirarne una lezione di saggezza … « Perché io ho messo tutta la mia speranza nelle vostre parole. » Ecco il vero motivo della loro gioia. Essi mi hanno visto interiormente, essi mi hanno toccato, mi hanno considerato nell’interno della mia anima, laddove io ho messo la mia speranza nelle vostre parole, ove le ho ricevute e comprese. Il contrario è per coloro che odiano i giusti, la cui occupazione è approfondire le parole di Dio; e quanti empi che quando sentono i Cristiani sapienti e dotti nella legge di Dio, li evitano a causa del loro stesso sapere e della loro dottrina. (S. Ambr.). « Io ho riconosciuto, Signore, che i vostri giudizi sono giusti. » Colui che può comprendere la condotta della divina Provvidenza adopera lo stesso linguaggio del santo re Davide, perché nulla si fa se non per giusto giudizio di Dio, sia che siate malato o in buona salute, ricco o povero, che moriate giovane o vecchio. Per poco che ci si sia applicato allo studio delle divine Scritture, si comprende che tutto si fa per la sovrana volontà di Dio, e che niente sfugga alla sua scienza infinita … Il Re-Profeta ha dunque ricevuto la grazia dell’intelligenza e della conoscenza, ha riconosciuto che i giudizi di Dio sono giusti, cosa che è propria di un’anima perfetta. C’è una gran differenza tra credere e comprendere. La fede è la parte di colui che teme, la conoscenza è riservata al saggio. Colui che teme, non cerca la ragione; il saggio cerca di avere la conoscenza di tutto ciò che desidera comprendere (S. Ambr.). – La conoscenza va più lontana dalla fede: la fede ha il merito dell’obbedienza, ma non ha la sicurezza della verità conosciuta. Così l’Apostolo mette una gran differenza tra la conoscenza e la fede. Egli pone al primo rango la saggezza, al secondo la conoscenza, al terzo la fede. In effetti, colui che ha fede, può non conoscere ciò che crede; ma colui che ha la conoscenza non può non credere a ciò che conosce… il Profeta vuol parlare qui non dei giudizi eterni, ma di quelli che si esercitano nella vita presente. (S. Ilar.). – E in cosa i giudizi di Dio sono giusti? In ciò che è per il lavoro, le tribolazioni e le afflizioni, che giungono alla eterne ricompense. Come con la corona vengono premiati con un giusto giudizio degli uomini, gli atleti che combattono e riportano la vittoria, così la palma del vincitore premia i Cristiani vincitori con un giusto giudizio di Dio. « A colui che sarà vincitore, darò di sedersi sul mio trono. » (Apoc. III, 21) – (S. Ambr.). – Non è dunque senza ragione se il profeta è stato sottomesso alla tribolazione, dato in mano alle persecuzioni e agli oltraggi, questo per un giusto e vero giudizio di Dio, è perché vuole per lui fare in modo da fargli espiare i suoi peccati, purificandolo come l’oro nella fornace (S. Ilar.). – « Consolatemi con il ritorno della vostra misericordia. Quanto grande è la misericordia di Dio. Perché non solo ci accorda la remissione dei peccati, ma ci prodiga ancora la consolazione durante il combattimento, per timore che lo spavento dei pericoli della lotta non ci faccia abbandonare il campo di battaglia. Egli implora dunque la misericordia, non come il vincitore che cede terreno, né come il peccatore che implora il suo perdono, ma affinché, rivestito dalla misericordia di Dio come arma invincibile, egli possa, con un sì potente soccorso, affrontare i più grandi pericoli. Considerate la virtù ammirabile e singolare del Profeta. Un altro, soccombendo sotto il peso dei suoi dolori, avrebbe domandato che Dio li faccia cessare e lenirne la violenza e la tempesta; Davide, come un atleta coraggioso e paziente che sa che le tribolazioni esercitano la sua anima e la formano alla perfezione, non domanda a Dio di allontanare da lui le afflizioni, gli attacchi, i lavori, le fatiche, ma di accordargli in mezzo alle sue prove una parola di consolazione, perché il suo coraggio non venga a mancare … ed aggiunge con ragione: « Secondo la vostra parola, » perché il Signore stesso ha promesso il suo soccorso a coloro che combattono per il suo Nome. « Quando vi faranno comparire, non vi inquietate per come parlate, né di ciò che direte; ciò che dovete dire vi sarà dato in quell’ora stessa; perché non sarete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. » (Matth. X, 19, 20), (S. Ambr.).   

ff. 77-80. – Ma questi doni della divina misericordia non sono ancora, in questa vita di miserie e di tempeste, che una consolazione e non le gioie della beatitudine; queste gioie della beatitudine non verranno se non dopo le miserie della vita, ed anche in mezzo a queste miserie; così il Profeta aggiunge: « Che le vostre misericordie si effondano su di me ed io vivrò. » In effetti io non vivrò realmente se non quando non potrò più ridurre a niente la morte. È di questa vita che si tratta quando la Scrittura nomina puramente e semplicemente la vita, e questa vita non può concepirsi eterna e felice, come se essa meritasse solo di essere chiamata vita in confronto alla vita presente, che bisogna piuttosto chiamare una morte … ma come meriterà questa vita? « Perché la vostra legge è l’oggetto della mia meditazione. » Se questa meditazione non fosse accompagnata dalla fede che agisce per l’amore (Galat. V, 6), mai essa avrebbe il potere di far giungere alcuno a questa vita. Nessuno dunque, per aver appreso a memoria tutta la legge ed averla spesso cantata richiamandola a suo ricordo, non tacendo ciò che essa prescrive, ma non vivendo come prescrive, s’immagini di aver praticato ciò che qui dice: « Perché la vostra legge è la mia meditazione, » ed aver meritato ciò che il Profeta domandava come ricompensa per una meditazione simile. Questa meditazione è la riflessione di colui che ama ed ama talmente che l’amore di questa meditazione non si raffredda mai in lui, benché possa essere oppresso dall’iniquità altrui (S. Agost.). – Apprendiamo dunque noi stessi a meditare la legge di Dio, non lasciamoci distogliere da questa meditazione dalla seduzione e dalle preoccupazioni del mondo, ma restiamo incessantemente applicati allo studio di questa legge divina. Ma è soprattutto ai preti che questa meditazione è necessaria, come scrive San Paolo a Tito, suo discepolo:  « Il Vescovo, egli dice, deve essere legato alle verità della fede così come gli sono state insegnate, affinché sia capace di esortare secondo la sana dottrina, e convincere coloro che la combattono, » (Tito, I, 9); ciò non può essere che il frutto di una meditazione attenta e non di una lettura superficiale. Scrivendo a Timoteo, egli dice egualmente: « Applicatevi alla lettura, all’esortazione, all’istruzione … meditate queste verità, siatene sempre occupato, perché tutti vedano il vostro progresso (I Tim. IV, 13-14). È con questa lettura frequente e con questa meditazione continua che si acquisisce il dono prezioso della dottrina e della scienza (S. Ambr.). – Le persecuzioni ingiuste sono le più difficili da soffrire rispetto alle altre; sono quelle di cui ci si lamenta maggiormente, e quelle che bisogna amare di più e di cui rallegrarsi, secondo la dottrina dell’Apostolo S, Pietro (I Piet. IV, 14-16). La confusione che il Profeta augura qui ai suoi ingiusti persecutori, è il maggior bene che possa giungerne loro: questa onta salutare può divenire per essi un principio, un inizio di penitenza e di conversione. È un indizio che essi comincino a riconoscere le loro colpe e siano disposti a rinunciarvi, quando sono già capaci di arrossirne. (S. Ambr. e S. Ilar.). – « Tutti coloro che vi temono e conoscono le vostre testimonianze, si volgono verso di me. » Noi possiamo desiderare come il Profeta che coloro che temono Dio abbiano affezione per noi, ma non è il nostro vantaggio personale che bisogna cercare, ma quello di Dio. Se desideriamo che ci si ami, è affinché si passi fino a Dio e che ci si rivolga versi di Lui con un amore più grande. Ci sono persone che temono Dio, ma che non hanno alcune scienza, e non si applicano alla lettura delle Scritture, perché non le comprendono; ce ne sono altre che conoscono Dio e che forse hanno una qualche intelligenza della Scrittura, ma non temono Dio e provano con la propria vita che essi ignorano completamente ciò che sembrano avere appreso nei libri: due stati ugualmente pericolosi che si possono evitare con l’unione del timore e della scienza di Dio. « Che il mio cuore si conservi nella pratica dei vostri precetti. » Più il Re-Profeta è elevato, sia con il dono di profezia, sia dalla dignità reale, più si applica a praticare l’umiltà, insegnandoci in ciò che dobbiamo imitarlo. Egli prega Dio di rendere il suo cuore senza macchia nella pratica dei suoi comandamenti, perché in effetti, benché il suo cuore sia puro, è facilmente macchiato dal flusso immondo dei pensieri impuri. Ora, se un solo pensiero impuro può sporcare un cuore, quanto più gli atti che seguono. Guardatevi dal profanare dunque con nessun pensiero colpevole l’interno della vostra anima, per non sporcare ciò che credete avere di puro in voi. Voi lavate le vostre mani come se poteste cancellare i vostri crimini, ma non potete così facilmente lavare la vostra anima disonorata da pensieri immondi. È il cuore per primo ad essere insudiciato dal peccato, è il cuore che innanzitutto bisogna purificare. Se esso è puro, tutto il resto è puro. Ecco un’acqua torbida nel suo corso: inutilmente la pulirete dove essa ristagna, se la sorgente continua ad essere torbida. Siete dunque voi che dovete innanzitutto purificare perché tutto ciò che esce da voi, sia puro.  Il vostro cuore è la sorgente dei vostri pensieri: da questa sorgente cola l’acqua torbida dell’impurità, o l’onda chiara e limpida della castità e della pietà (S. Ambr.). – Ora, questa purezza di cuore, il Profeta sa che la troverà nell’osservanza costante dei giusti comandamenti di Dio, ed il frutto di questa fedeltà sarà il non restare confuso. In effetti, la confusione viene da una coscienza colpevole, e dall’obbrobrio che segue il peccato. Là dove non c’è confusione, non c’è peccato; e là dove non c’è peccato, l’anima resta fedele alla pratica dei comandamenti, che ha come frutto la purezza del cuore (S. Ilar.). 

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/03/salmi-biblici-defecit-in-salutare-tuo-anima-mea-cxviii-5/

SALMI BIBLICI: “MEMOR ESTO VERBI TUI” (CXVIII – 3)

SALMO 118 (3): MEMOR ESTO VERBI TUI servo tuo

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (3)

ZAIN.

[49] Memor esto verbi tui servo tuo,

in quo mihi spem dedisti.

[50] Haec me consolata est in humilitate mea, quia eloquium tuum vivificavit me.

[51] Superbi inique agebant usquequaque, a lege autem tua non declinavi.

[52] Memor fui judiciorum tuorum a sæculo, Domine, et consolatus sum.

[53] Defectio tenuit me, pro peccatoribus derelinquentibus legem tuam.

[54] Cantabiles mihi erant justificationes tuæ in loco peregrinationis meæ.

[55] Memor fui nocte nominis tui, Domine, et custodivi legem tuam.

[56] Hæc facta est mihi, quia justificationes tuas exquisivi.

HETH.

[57] Portio mea, Domine, dixi, custodire legem tuam.

[58] Deprecatus sum faciem tuam in toto corde meo; miserere mei secundum eloquium tuum.

[59] Cogitavi vias meas, et converti pedes meos in testimonia tua.

[60] Paratus sum, et non sum turbatus, ut custodiam mandata tua.

[61] Funes peccatorum circumplexi sunt me, et legem tuam non sum oblitus.

[62] Media nocte surgebam, ad confitendum tibi super judicia justificationis tuae.

[63] Particeps ego sum omnium timentium te, et custodientium mandata tua.

[64] Misericordia tua, Domine, plena est terra; justificationes tuas doce me.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (3).

ZAIN

49. Ricordati di tua parola in favor del tuo servo, nella quale mi desti speranza .

50. Questo nella mia umiliazione fu il mio conforto, che la tua parola mi diede vita.

51. I superbi agivano sempre iniquamente; ma io non ho declinato dalla tua legge.

52. Mi ricordai de’ giudizi tuoi, o Signore, che son eterni; e fui consolato.

53. Mancommi il cuore per cagione de’ peccatori, che abbandonano la tua legge.

54. Miei cantici erano le tue giusti Reazioni nel luogo del mio pellegrinaggio.

55. Del nome tuo mi ricordai nella notte, o Signore, e osservai la tua legge.

56. Questo avvenne a me, perché cercai ansiosamente tue giustificazioni.

HETH.

57. Signore, porzione mia: io ho detto di osservar la tua legge.

58. Ho domandato con tutto il cuor mio il tuo favore; abbi pietà di me secondo la tua parola.

59. Ho disaminati i miei andamenti, e ho indiritti i miei passi a seconda de’tuoi comandamenti.

60. Preparato son io (e nulla mi tratterà) ad osservare i tuoi comandamenti.

61. Mi cinsero d’ogni parte i lacci de’ peccatori, ed io non mi scordai della tua legge.

62. Di mezza notte mi alzava a lodarti per ragione de’ giudizi di tua giustizio.

63. Io ho società con tutti quei che ti temono e osservano i tuoi comandamenti.

64. Di tua misericordia, o Signore, è piena la terra; insegnami tu le tue giustificazioni.

Sommario analitico

III SEZIONE — 49-64.

Davide chiede a Dio, perché lo accompagni e lo consoli in mezzo alle difficoltà della strada, la speranza e la carità:

I. La speranza che:

1° Interiormente consola e riempie di gioia colui che si umilia:

a) secondo la promessa divina (49),

b) secondo l’efficacia della parola divina (50)

2° Esteriormente lo difende dalle ingiustizie dei superbi, che sono sovente una grande tentazione per i giusti, e gli danno la forza di non allontanarsi dalla legge, e di non perdere in un solo momento il frutto di una lunga pazienza (51):

a) Con il ricordo dei giudizi che Dio ha esercitato dall’inizio del mondo, e le consolazioni che questo ricordo effonde nell’anima dei giusti;

b) Con uno zelo ed un dolore che vanno fino allo scoramento alla vista non del male che fanno i malvagi, ma del male che si fanno essi stessi abbandonando la legge di Dio (53);

c) Con il canto, il ricordo perpetuo, l’osservanza e lo studio approfondito dei comandamenti di Dio in questa terra di esilio (54-56).

II. – La carità che:

I° l’unisce interamente a Dio con la ferma risoluzione di prendere Dio come sua parte e di osservare la sua legge (57), risoluzione che è accompagnata:

a) dalla richiesta di assistenza divina che implora con tutto il suo cuore (58);

b) dalla riflessione seria sulle sue vie, e della riforma della sua vita (59);

c) dalla disposizione presente e ferma in cui si trova, di essere fedele alla legge di Dio senza turbarsi, qualunque cosa accada (60);

2° egli brucia tutti i legami del peccato con il ricordo della legge di Dio, che oppone ai discorsi ed agli esempi dei peccatori (61):

a) con il manifestare le lodi di Dio, fin nella notte, per espiare con le sue sante preghiere i crimini che vi si commettono (62);

b) con l’entrare in società stretta con coloro che temono Dio, con questa unione di carità che ci fa entrare nella partecipazione di tutte le buone opere dei giusti e dei santi (63);

c) e celebrare la misericordia di Dio che riempie tutta la terra (64).

Spiegazioni e Considerazioni

   III SEZIONE — 49-64.

I. — 49-56.

ff. 49, 50. – Davide era spesso favorito da comunicazioni celesti, nelle quali Dio gli elargiva la ricompensa della sua fede e dei suoi meriti. Sembra dunque dire a Dio, come più tardi l’Apostolo San Paolo: « Ho sostenuto il buon combattimento, ho completato la corsa, aspetto la corona di giustizia che mi è riservata. » (II Tim. IV, 7). Non è questa una speranza presuntuosa e temeraria, ma una testimonianza di fede, con la quale confessa che il vero Dio non può ingannare. Sul suo esempio Davide dice a Dio: io chiedo il compimento della domanda che Voi avete fatto al vostro servo. La mia speranza non può essere accusata di presunzione, poiché Voi ne siete l’Autore. Io sono servo, attendo dal mio padrone il nutrimento; io sono soldato, ed ho il diritto di esigere la mia paga dal mio generale; io sono stato chiamato, io chiedo a Colui che mi ha chiamato ciò che mi ha promesso (S. Ambr.). – Lungi da noi il pensiero che Dio possa mai dimenticare le sue promesse: il Profeta che ha creduto alle sue promesse, che è pieno di desideri dei beni celesti, che non ha che disprezzo per le cose della terra, e mette tutta la sua speranza nei beni eterni, prega Dio non di ricordarsi della sua promessa, ma di renderla degna perché questa promessa possa compiersi in lui (S. Ilar.). – « Questa speranza mi ha consolato nel mio abbassamento, nella mia umiliazione. » Noi siamo dunque consolati dalla speranza che non confonde nei giorni della nostra umiliazione, cioè nei tempi della tentazione e della tribolazione. – Per questa umiliazione, bisogna intendere non soltanto l’umiltà dell’uomo che confessa i suoi peccati, e non attribuirsi la qualità del giusto, ma l’abbassamento nel quale cade sotto i colpi di qualche tribolazione o di qualche rovescio, castigo del suo orgoglio o testimonianza ed esercizio per la sua pazienza. (S. Agost.). – Questa parola ci consola nella nostra umiliazione, quando siamo oggetto di disprezzo, di insulti, di ingiurie, di oltraggi degli uomini, che ci ricordano allora che la vita presente è una battaglia, e che le tentazioni o le prove sono la legge del paese in cui abitiamo. (S. Ilar.). – In mezzo a queste umiliazioni, noi siamo vivificati dalla parola di Dio. È là in effetti che si trova la sostanza vivificante della nostra anima, che la nutre e la dirige. Nessun altro principio di vita c’è per l’anima ragionevole, che la parola di Dio … Applichiamoci dunque a fare di questa parola divina, ad esclusione di ogni altra cosa, come una pia collezione che noi depositeremo nella nostra anima per essere il principio direttivo dei nostri pensieri, delle nostre sollecitudini, delle nostre risoluzioni e di tutte le nostre azioni. (S. Ambr.). – Colui che poggia la sua vita nella parola di Dio non è scosso dalla vanagloria che avolge i superbi. Egli sa che la sua indigenza è mille volte più ricca di tutte le loro ricchezze. Egli sa che i suoi digiuni sono saziati da una benedizione celeste ed evangelica; egli sa che la sua umiltà riceverà come ricompensa un onore, una gloria incomparabile. Aggiunge anche: « I superbi non cessano di agire con ingiustizia, ma io non sono allontanato dalla vostra legge. » (S. Ilar.).  

f. 51, 52. – A questo orgoglio incessante dei nemici di Dio, il Re-Profeta oppone questo sovrano rimedio: « io non mi sono allontanato dalla vostra legge. » – Con quali mezzi si è mantenuto fermo nell’osservazione della legge? Con il ricordo dei giudizi di Dio. Se, in effetti, Colui che è stato istruito e formato dagli esempi della legge cessa di credere per un istante alla verità dei giudizi di Dio, egli si allontana ben presto della legge. Per chi, al contrario risale al ricordo dei secoli passati, si convince facilmente che mai il peccatore sia potuto sfuggire al castigo della sue empietà, e che il giusto mai sia stato frustrato nella ricompensa delle sue virtù … ma chi è colui tra noi che potrebbe trovare la sua consolazione nella considerazione dei giudizi di Dio?. I giudizi degli uomini sono pur terribili per i colpevoli, quanto più i giudizi divini? Per chiarire questa verità con un esempio, noi vediamo in questo mondo gli innocenti affrettarsi con i loro desideri al giorno del giudizio, temere i ritardi, chiedere istantaneamente di essere citati davanti ai loro giudici; mentre i colpevoli sono in agitazione e nel terrore, cercano tutti i mezzi per differire questo giorno fatale, e sono profondamente rattristati quando viene loro notificato che questo giorno è arrivato. Felice dunque colui che può attendere nella gioia, questo giudizio celeste. Egli sa che gli sono riservati il regno dei cieli, la società degli Angeli e la corona dei suoi meriti (S. Ambr.). – « Io sono caduto nello scoraggiamento alla vista dei peccatori che abbandonano la vostra legge. » Ecco un sentimento ben poco comune; la maggior parte in effetti si rattrista per essere oggetto di una ingiuria, di un oltraggio, di un qualunque danno dei propri beni e della propria reputazione … Ma Davide si affligge non perché sia disprezzato, o perseguitato, ma perché la legge di Dio è abbandonata, ed egli deplora la triste sorte di questi prevaricatori che periscono così davanti a Dio senza ritorno. (S. Ambr.). – Che i giusti del Signore siano il soggetto dei nostri inni, dei nostri cantici, dei nostri salmi. Cantiamo con spirito, cantiamo con il cuore, affinché nel giorno della necessità non veniamo puniti del nostro oblio con questo rimprovero: « Voi avete rigettato le mie parole lontano da voi. » (Ps. XLIX, 17). Ma questo non è molto: il cantare le giustizie di Dio; bisogna farlo con spirito distaccato da tutte le sollecitudini della terra; è per questo che il Profeta aggiunge: « nel luogo del mio pellegrinaggio. » L’ Apostolo non vuole che noi siamo degli estranei, dei pellegrini nella casa di Dio, ma i concittadini dei Santi e della casa stessa di Dio. Perché colui che fa parte della casa di Dio si considera come esiliato in questo mondo; colui che vive già nel cielo è un pellegrino sulla terra (S. Ambr.). – Apprendiamo qui dal Profeta a ritenere nei nostri cuori i canti dei salmi che abbiamo ascoltato, e a non cessare mai da questi canti divini. Non è con negligenza che egli li ascolta, e non legge la parola di Dio con gli occhi preoccupati e divisi tra mille oggetti diversi, come tante anime irreligiose, egli non l’ascolta con orecchie che le lasciano cadere in oblio, ma questa parola divina è l’oggetto di questi canti assidui, ovunque si trovi nel suo pellegrinaggio sulla terra (S. Ilar.). – « Io mi sono sovvenuto, Signore, del vostro Nome nella notte. » Il Profeta sa che bisogna applicarsi ad osservare la legge di Dio, soprattutto nel tempo in cui i pensieri colpevoli scivolano nello spirito. È allora che i pungiglioni dei vizi, eccitati dai calori degli alimenti, sollevano le cattive inclinazioni del nostro corpo, che bisogna ricordarci del Nome di Dio e restare fedeli a questa legge che ci comanda la purezza, la continenza, il timore di Dio (S. Ilar.).- Io mi sono ricordato del vostro Nome durante la notte. » La notte è anche l’abbassamento in cui si tiene la miseria della nostra mortalità; la notte è l’orgoglio dei superbi, che commettono l’iniquità oltre misura; la notte è il disgusto di vedere i peccatori abbandonare la legge di Dio; la notte, infine è questo soggiorno nel luogo dell’esilio, fino a che venga il Signore che illuminerà i segreti delle tenebre e svelerà i pensieri dei cuori, di modo che ciascuno riceva da Dio la lode che merita. « Io ho osservato la vostra legge. » Egli non l’avrebbe osservata se, confidando nelle proprie forze, non si fosse ricordato del Nome di Dio, e in effetti, « … il nostro soccorso è nel nome del Signore. » (S. Agost.). – Voi avete perso vostro figlio? In questo dolore, in questa notte, in questa immensa privazione, ricordatevi del Signore, vostro Dio, per non essere ingrato verso Dio, come se avesse disdegnato la vostra preghiera. Voi siete stato inviato in esilio? Ricordatevi del Signore vostro Dio, per non preferirgli l’amore della patria che vi ha interdetto. Vittima dell’oppressione di un ricco iniquo e potente, voi siete stato spogliato dei vostri beni, siete nell’indigenza? Ricordatevi del Signore vostro Dio, per paura che la notte della povertà vi allontani dai doveri della pietà. (S. Ambr.). – Ricordatevi dunque incessantemente degli ordini pieni di giustizia del Signore, affinché, mentre li cantiamo con la voce interiore della nostra anima, noi ci ricordiamo nel contempo nella notte del Nome del Signore, e possiamo aggiungere: « Questo mi è sopraggiunto perché ho cercato i vostri comandamenti; cioè questo ricordo si è presentato al mio spirito fin nella notte, perché io non ero né assopito per l’estasi, né appesantito dall’intemperanza, né preoccupato dalle sollecitudini del secolo, ma perché io castigavo il mio corpo con una meditazione costante, ed esercitavo così le forze interiori della mia anima (S. Ambr.).

II. — 57-64.

f. 57-60. – « Io ho detto al mio Dio: mia parte è compiere la vostra legge. » Che gli oratori siano appassionati dai loro studi letterari, che i filosofi si compiacciano nella loro pretesa saggezza, che i ricchi vantino le loro ricchezze, che i re siano fieri della loro potenza; per noi, la nostra gloria, il nostro possesso, il nostro regno, è Gesù-Cristo. Egli è la nostra saggezza nella follia della predicazione, la nostra forza nell’infermità della carne, la nostra gloria nello scandalo della croce, con la quale il mondo è morto per noi e noi per il mondo, affinché viviamo per Dio (S. Paolo, in Ep. ad Aprum.). – Ma sono pochi quelli che possono dire con tanta fiducia che Dio sia la loro parte! Bisogna essere estranei al vizio ed ad ogni sozzura; bisogna non aver nulla in comune con il secolo e non tenere niente nel mondo. L’avaro non lo saprebbe dire, perché l’avarizia accorre e gli dice: « è a me che tu appartieni; » io ti ho messo sotto il mio giogo, sono io che sono il tuo padrone; tu ti sei venduto a me per questo oro; tu ti sei consegnato a questa terra. Il sensuale non può dire; Gesù-Cristo è la mia parte, perché la sensualità accorre e gli dice: « Sei tu la mia parte; io ti ho asservito in tale festino; io ti ho preso in trappola in questo pasto; la tua intemperanza ha segnato la tua intemperanza ha siglato il contratto che ti tiene sotto le mia leggi; » dimentichi che la tavola è sempre stata per te più cara che la vita? Mi riferisco a te, negalo, se puoi; ma … come negarlo? L’adultero non può più dire: « Il Signore è la mia parte,» perché la voluttà accorre e gli dice: sono io la tua parte, ricordati questa notte in cui tu hai conosciuto la mia legge, dove sei passato sotto il mio impero. » Infine il traditore non può dire: Gesù-Cristo è mia parte, perché ben presto la nera perfidia piomba su lui ed esclama: « egli mente, Signore Gesù, egli è mio. » (S. Ambr.). – La carità vera, che ci fa prendere come nostra parte, ci porta anche al compimento fedele di tutto ciò che ci comanda: « L’amore è la pienezza della legge. » (Rom. XIII, 10), – Ma come osservare la legge, se questo non è per grazia e per soccorso dello Spirito vivificante, nel paura che la lettera non uccida (II Cor. III, 6), e che il peccato, prendendo occasione dal comandamento, non operi nell’uomo ogni concupiscenza? (Rom. VII, 8). Bisogna dunque invocare questo Spirito: è così che la fede ottiene da Lui ciò che la legge comanda, perché colui che avrà invocato il nome del Signore sarà salvato (Gioele, II, 32). –   Si possono intendere anche queste parole dal vivo desiderio che ha il Profeta di contemplare la faccia di Dio. Egli sa che gli è impossibile in questa vita, vedere ciò che l’occhio dell’uomo non ha mai visto, ciò che il suo orecchio non ha mai inteso, ciò che il suo cuore non ha mai compreso. Egli sa che la gloria di Dio è invisibile ai suoi occhi carnali, che sarebbero abbagliati dal fulgore e dallo splendore degli Angeli, e che non hanno ugualmente potuto sopportare la gloria che risplendeva dal viso di Mosè .. ma egli non lascia il desiderare, con tutto l’ardore del suo cuore, il momento felice in cui potrà gioire della chiara visione. Colui, in effetti che ha preso Dio come sua parte, domanda con fiducia di essere ammesso a contemplare la sua faccia; perché, benché nessun mortale possa vederla quaggiù, questa felicità, è tuttavia riservata a coloro che hanno il cuore puro. (S. Ilar.). – « Io ho ripensato alle mie vie, », io ho pensato alle mie vie che ho seguito nel passato, vie piene di cadute e di peccati, e questo per meritare la remissione delle mie colpe con una conversione sincera ed un’applicazione seria alla virtù. « Io ho riportato i miei passi nella via dei vostri Comandamenti, »  per non seguire più queste viecosì sovente testimoni delle mie cadute; ma per camminare in questa via dei vostri comandamenti, che mi impedirà di smarrirmi laddove io mi sono sì sovente perso lontano dalla vera via, che è Gesù-Cristo? … ebbene, io ho pensato, non alle vie che ho seguito altre volte, ma a quelle che devo ora percorrere; vale a dire, io ho fatto precedere tutte le mie azioni da una seria considerazione, per vedere chiaramente se dovessi agire, e come dovessi agire, se dovessi parlare pubblicamente o in segreto, davanti a qualche persona o senza testimoni. Non agiamo dunque se non dopo aver pensato a ciò che dobbiamo fare, se non vogliamo caricarci di pentimenti tardivi ed inutili (S. Ambr.). – Se le nostre azioni sono mal composte, se ci accade ogni giorno di ingannarci nei nostri giudizi, o di errare nella nostra condotta, l’esperienza ci ha fatto conoscere che la causa di questa svista, è che non deliberiamo posatamente su ciò che dobbiamo fare, e che ci lasciamo assoggettare dagli oggetti che si presentano. Un ardore sconsiderato ci induce all’azione, prima di considerare bene le sequele e le circostanze; sebbene che un consiglio poco sicuro, procedendo dalle risoluzioni precipitose, fa sì ordinariamente che noi erriamo di qua e di là, piuttosto che camminare nella retta strada. Davide è ben lontano da questi due errori. Egli ha, dice, studiato le sue vie, ha liberato il suo spirito da tutte le preoccupazioni estranee, ha meditato seriamente su dove portino le sue inclinazioni. Ecco una delibera ben posta; dopo ciò io non mi stupisco se ha preso la parte migliore, e se ci dice che il risultato di questa importante consultazione sia stato il tornare con i suoi passi dal lato della legge di Dio. (BOSSUET, sur la Loi de Dieu). – Così, vedete qual frutto raccolga il Profeta da questa attenzione nel pensare alle sue vie, nel riflettere innanzitutto su ciò che debba fare. « Io sono pronto e non sono turbato nell’osservanza dei precetti del mio Dio. » Colui che ha cominciato a riflettere seriamente su quel che si debba fare, è sempre pronto ad agire; egli è fermo ed irremovibile, e non può essere turbato da alcun accidente. Il soffio pericoloso dell’ambizione non può agitarlo; la cupidigia, la lussuria non possono eccitare alcuna tempesta nella sua anima; egli resta indifferente alle seduzioni ingannevoli della voluttà … Se si leva la persecuzione, essa lo trova pronto, ed il turbamento che causa ad un’anima l’incertezza della sua salvezza, fa posto in lui alla speranza certa della corona che lo attende dopo il combattimento. Se la sua reputazione è sovente minacciata dalla calunnia, non pensa che il discepolo sia al di sopra del Maestro. Obbrobri di ogni genere si sono abbattuti sul Figlio di Dio; come il servo ne potrebbe sfuggire? Prepari egli dunque il suo spirito alla meditazione e dica: io sono pronto e non sono turbato nell’osservare i vostri comandamenti. (S. Ambr.).

ff. 61-64. – Queste corde, questi legami dei peccatori sono gli ostacoli di ogni genere che ci oppongono i nemici, sia spirituali, come il demonio e i suoi angeli, sia carnali, come i figli dell’infedeltà, sui quali agisce il demonio (Efes. II, 2). Minacciando i giusti con ogni sorta di mali, al fine di distruggerli ed impedir loro di soffrire per la legge di Dio, essi li allacciano come con delle corde nelle loro forti e solide reti; perché essi li catturano in seguito ai loro peccati, come in una rete (Isai. V, 18), e si sforzano di avvolgere i santi, e talvolta questo è loro permesso; ma se essi allacciano il corpo, non potranno legare l’anima, ove il salmista non ha messo in oblio la legge di Dio, perché, dice l’Apostolo, San Paolo (II Tim. II, 7) « la parola di Dio non è incatenata. » (S. Agost.). – « Io mi alzavo nella notte a rendervi gloria. » Non è abbastanza il pregare di giorno, occorre alzarsi di notte e nel mezzo della notte. Nostro Signore ha passato la notte in preghiera, per invitarvi alla preghiera con il suo esempio; e cosa chiedeva a Dio? Il perdono dei vostri peccati, nel tempo stesso che ce lo accordava con la propria volontà. «Alzatevi nel mezzo della notte per rendere gloria a Dio; » cioè per piangere i vostri peccati, non solo per ottenere il perdono delle colpe passate, ma per evitare le occasioni presenti di peccato, e mettervi in guardia contro coloro che vi potrebbero far cadere in avvenire, perché la notte è il tempo più fecondo per le tentazioni: è allora che le seduzioni della carne sono più vive, che il tentatore raddoppia i suoi sforzi, che l’anima è come appesantita dal lavoro della digestione e che lo spirito ha perso una parte del suo vigore, è allora che gli spiriti di malizia gettano tenebre sulla nostra anima e la persuadono a darsi al crimine, allorché non ha alcun testimone, alcuno spettatore, alcun accusatore da temere; è allora che la eccitano al peccato con l’esempio anche dei Santi che son caduti, ma che si sono pentiti e che hanno coperto i loro peccati con la penitenza … Prevenite queste astuzie del tentatore con la frequentazione del banchetto divino e con il digiuno che la Chiesa vi prescrive … Ricevete Nostro-Signore Gesù-Cristo nell’abitazione della vostra anima: la dove è il suo Corpo, là è Cristo stesso. Quando il vostro nemico verrà nella vostra dimora interiore tutto raggiante di splendore celeste, gli spiriti delle tenebre comprenderanno che la vostra anima è inaccessibile ai loro attacchi; essi fuggiranno e voi passerete la notte senza alcun timore (S. Ambr.). –  I santi vegliano e lodano Dio anche durante il loro sonno. « Io dormo, dice lo Sposo dei cantici, ma il mio cuore veglia. » (Cant. V, 2). – Io non temo di dirlo, quando voi dormite, che la vostra anima benedica il Signore! Non lasciatevi né agitare da pensieri di alcun crimine, né eccitare dalla concupiscenza dei beni altrui, né turbare dal fermento di una corruzione interiore. La vostra innocenza anche durante il vostro sonno sarà come la voce ella vostra anima (S. Agost.). « Io sono in società con tutti coloro che vi temono. » È la comunione dei Santi, in virtù della quale i giusti partecipano alle buone opere gli uni gli altri. – Nostro Signore Gesù-Cristo vuole che entriamo in società con Lui; e come? Prendendo parte alla sua giustizia, alla sua verità, alla sua vita senza macchia, colui che cammina in una santa novità di vita, che segue i sentieri della giustizia, è in società con Gesù-Cristo. Se ho onore della menzogna, io sono in società con Gesù-Cristo, perché Egli è la verità; se io fuggo l’iniquità, sono in società con Gesù-Cristo, perché Egli è la giustizia. Felice colui che può rendere questa testimonianza! Come un membro è unito intimamente con tutte le altre membra del corpo, così è del Cristiano che è unito con tutti coloro che temono Dio; egli non dice al suo fratello: voi non siete del mio corpo; cioè il ricco non dice al povero, il nobile a colui che è di oscura condizione, il forte al debole, il sapiente all’ignorante: voi non mi siete necessari, perché egli è in società con il corpo dI Gesù-Cristo, che è la Chiesa. Ma poiché c’è un timore che non è santo e che resta molto spesso infruttuoso, il Profeta aggiunge: « e chi osserva i vostri comandamenti, per ben distinguere il timore filiale e santo, dal timore ozioso e sterile, » (S. Ambr.). – « La terra, Signore, è piena della vostra misericordia. » Si, essa è piena della misericordia di Dio, questa terra, insudiciata e corrotta dai crimini degli uomini, questa terra ove abbondano l’empietà, l’infedeltà, la perfidia. E se qualcuno osi qui qua accusare di menzogna il Profeta, e dirgli che la misericordia di Dio non sia diffusa su tutta la terra, che ricordi queste parole di Nostro Signore: « Siate buoni come il Padre vostro che è nei cieli, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, e fa piovere sui giusti e sui peccatori. » (Matth. V, 45). – È soprattutto con la Passione del Salvatore che la terra è stata ripiena della misericordia di Dio. – Perché non ha detto: « Il cielo è pieno della misericordia di Dio? » Perché ci sono nelle sfere superiori degli spiriti che hanno perso ogni diritto all’indulgenza di Dio ed alla remissione di peccati, e che le potenze celesti che sono rimaste fedeli, benché sostenute dal soccorso di Dio, non hanno bisogno della misericordia di Dio come coloro che abitano la terra, liberi come sono da questo involucro di carne che è per noi un focolaio di tentazioni continue? … « Insegnatemi i vostri comandamenti. » In effetti è difficile trovare sulla terra un maestro che possa insegnare convenientemente ciò che non abbia visto. Il Profeta ci indirizza dunque con fervore a Colui che è il solo vero maestro. Come l’uomo potrebbe insegnare la verità che egli ignora, egli che non è che menzogna’ … Così Davide si rivolge al Signore, per dirgli: insegnatemi le vostre giustificazioni, perché Voi siete la vera giustizia; insegnatemi le parole della saggezza, perché Voi siete la saggezza stessa. Aprite il mio cuore, perché siete Voi che avete aperto il libro. Aprite questa porta che è nel cielo, perché Voi stesso siete la porta. Colui che vi entra per mezzo di Voi, non sarà ingannato, perché entra nel soggiorno stesso della verità (S. Ambr.).  

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PREDICHE QUARESIMALI (V-2020)

[P. P. Segneri S. J.: QUARESIMALE – Ivrea, 1844, dalla stamp. Degli Eredi Franco – tipgr. Vescov.]

XXXI.

NEL MERCOLEDÌ DOPO LA DOMENICA DI PASSIONE

Ego vitam æternam do eis

Jo. X, 28.

I. E quando mai cesserete di travagliarmi, O miei funesti pensieri, con tante angustie, e con tante ambiguità, che voi mi sollevate nel cuore intorno al successo della mia predestinazione? È il mio cuore ornai divenuto qual fragile palischermo, che soprappreso a notte buja da un impeto di borrasca imperversata, e implacabile, non sa più qual onda debba secondar come amica, qual temere come avversaria; mentre or viene una che, sollevandolo in alto, par che promettagli di portarlo alle stelle; ed or un’altra che, al basso precipitandolo, par che gli minacci d’asconderlo negli abissi. Così talora un de’ pensieri, innalzandomi a sublimi speranze, mi dice ch’io sono del numero degli eletti, e un altro, deprimendomi a gran terrori, mi dice eh’ io sono nel ruolo de’ condannati. – Ma pace, pace, o combattuto mio spirito, ch’oggi io rimiro alcun porto, dove gettarmi: e per quanto si giri, o quanto si cerchi, non credo già che più sicuro di questo trovar si possa in una notte di tenebre sì profonde, in uno stretto di gorghi sì tortuosi. Andate dunque, o teologi, andate via, e non mi tornate a confondere più la mente con tanto vostre importune difficoltà. Che mi opporrete? Che io non sappia se la elezione de’ mortali alla Gloria sia susseguente alla vision de’ lor meriti, o antecedente? Verissimo, io non lo so. Ch’io non intenda come i decreti celesti, essendo immutabili, non impongali necessità? Verissimo, io non l’intendo. Ch’io non capisca come la scienza divina, essendo infallibile, non tolga la contingenza? Verissimo, io nol capisco. Ma ciò che prova? É questo colpa della mia debole vista, la qual né anche sa penetrare altri arcani men astrusi, men ardui, quali sono gli arcani medesimi di natura: Et quæ in prospectu sunt, invenit cura labore  (Sap. IX. 16). Nel resto nessun uomo nel mondo si troverà, il quale mi persuada ch’io mai possa esser dannato, s’io non voglio essere. – Che cercar dunque terra più ferma di questa, in cui porre il piede? Qui qui v’invito a riposare, o voi tutti, i quali andate in un mar sì vasto aggirandovi senza timone, senza remi, senz’albero, senza vela. Se non gittate qui l’ancora, siate certi di perdervi quanto prima, ed o di rompere in qualche scoglio nascosto con gl’infedeli, o d’incagliarvi in qualche sirti arenosa con gl’ignoranti. Ma perché vediate che non senza ragione vi prometto qui qualche quiete, prestate voi questa mane più solenne audienza, e più sollecita applicazione al mio dire, mentre io vi dimostrerò che  Dio, quanto a sé, è dispostissimo a salvar tutti: ego vitam æternam do eis; e che però troppo sfacciata è la temerità di coloro, i quali, non contenti d’offendere un Dio sì buono, vogliono ancora rifondere in lui la colpa della loro perdizione, amando meglio di accusar Lui come ingiusto, che sè com’empj.

II. E prima basterebbero a provare una sì riguardevole verità le tante dichiarazioni che Dio n’ha fatte nelle sue stesse Scritture, nelle quali nessuna cosa forse Egli inculca con maggior chiarezza di questa, che se ci danniamo, da noi nasce la perdizione: perditio tua, Israel (Os. XIII. 9). Onde, se ciò fosse falso, Dio verrebbe ad essere il maggior menzognere che fosse al mondo; imperciocché non solo ci gabberebbe in materia rilevantissima, ma con moltiplicate bugie. – E qual interesse avrebbe Egli mai di voler mentire, quando ancora potesse? Pensò Platone, che chiunque mentisce, mentisca per timor di una forza maggior di sé; come mentisce il reo per timer del giudice, lo scolare per timor del maestro, il bambino per timor della madre, il servidore per timor del padrone: laddove chi non ha timore di un altro, non si rimane di dirgli libera in faccia la verità. E però inferì quel gran Savio, che Dio non poteva mai dir menzogna, perché nessuno mai può recargli timore. Or posto c’è, qual timore avrebbe Dio di protestarsi liberamente ch’Egli, senz’alcun riguardo di meriti, salva a suo capriccio chi vuole, è chi vuol condanna, quando ciò fosse vero? Gli darebbon forse noja i nostri latrati? gli turberebbero forse la pace le nostre bestemmie? gli contenderebbero forse lo scettro le nostre sollevazioni ? Nulla meno. Quis tibi imputabit, si perierint nationes, quas tu fecisti, Domine? (diceva a lui lo Scrittore della Sapienza) Non est alius Deus quam tu: neque rex, neque tyrannus in conspectu tuo inquirent de his quos perdidisti[… Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall’accusa di giudice ingiusto, né un re né un tiranno potrebbe affrontarti in difesa di quelli che hai punito] (Sap. XII, 12 ad 14). Potremmo a Dio ribellarci quanto volessimo, ch’Egli farebbe de’ tumulti nostri men caso, che non fa il sole di que’ popoli sciocchi meridionali, i quali, mentr’egli spunta su l’orizzonte, o gli dicon degl’improperj, o gli avventano degli strali. Mentre dunque Egli nelle sue sacre Scritture con tanta asseveranza ci attesta ch’Egli, quanto a sé, è desioso di salvar tutti: Deus vult omnes homines salvos fieri (1 ad Tim. II. 4); ch’egli vorrebbe che non perisse veruno: non est volutilas ante Patrem vestrum, qui in cœlis est, ut pereat unus (Math. XVIII, 14); non vult aliquos perire (2 Petr. III. 9); non venit animus perdere (Luc. IX. 56); e che non ama la morte del peccatore: nolo mortem impii; ma che ne vuole la conversione: sed ut convertatur; ma che bramane la salvezza: sed ut vivat (Ezech. XXXIII. 11); conviene infallibilmente che così sia. – Ma perché non debbonsi ancora in materie tali disprezzar le ragioni, quando non come padrone precedan l’autorità, ma come ancelle la seguano, contentatevi che parimente di queste noi ci vagliamo.

III. Già voi sapete, uditori, ch’essendo Dio la cagion superiore d’ogni cagione, e, come dicon le Scuole, la cagion prima, conviene per conseguente ch’egli concorrano gli effetti di tutte l’altre cagioni, le quali si chiamano o subordinate, o seconde: anzi, come san Tommaso dimostra, molto più vi concorre di qualunque altra. E però più ha Dio parte nella produzione dell’erbe, di quel che ve n’abbia la terra; più nella generazion de’ metalli, che non ve n’hanno i pianeti; più nella respirazione degli animali, che non ve n’ha l’aria; più nella formazion del frutto, che non ve n’ha l’albero; e così andate voi discorrendo. –  Ma se ciò si avvera in ordine ad altri effetti molto più avverasi in riguardo dell’ uomo nella cui formazione ha Dio sempre la maggior parte, non solamente perch’Egli viene a concorrervi, come cagione suprema potissima e principale, ma ancor perché noi da’ nostri genitori terreni non riceviamo se non che il semplice corpo, ch’è la peggior parte di noi, ma la migliore, ch’è 1’anima, tutta immediatamente ci vien da Dio; e però più propriamente noi siam figliuoli di Dio, che non siamo o di nostro padre o  di nostra madre, perché da Dio solamente noi riceviam tutto quello ch’è proprio di noi; al che pare appunto che Cristo volesse alludere quando disse: patrem nolite vacare vobis super terram; unus est enim  Pater vester, qui in cœlis est (Matth. XXIII, 9). – Or che ne segue di ciò. Ne segue che Dio, quanto a sé, non vuol mai dannarci: non laetatur (come dice il Savio), non lætatur in perditione vivorum ( Sap. I, 13). Ditemi un poco, voi padri, voi madri, ditemi: amereste voi di vedere un vostro figliuolo bruciar per vostra elezione giù nell’inferno? Uh padre, e che cosa dite? E volete che tanto male a voi voglia Dio, il quale è più padre vostro, che non siete voi de’ vostri figliuoli? Miglior dunque sarebbe alla propria prole un padre terreno, il quale le ha dato il meno, che il Padre celeste, il quale le ha dato il più. Mirate un poco quella madre, e osservate quanto ella spasima per quel figliuol da lei nato. S’ella cuce, cuce per lui; s’ella parla, parla di lui; s’ella dorme, sogna di lui; non gli sa mai levare gli occhi d’attorno. S’ella sente soffiare un’ orrida tramontana, ahimè che il mio figliuolo non patisca freddo; s’ella sente diffondersi un pericoloso contagio, ahimè che al figliuol mio non si appicchi il male; ed è tanto da lungi ch’ella mai goda della perdizion del figliuolo, ch’anzi non cura di recare a sé pregiudizio, per accrescere a lui venture. – Ma che dich’io! Non  vediam noi le bestie medesime quant’amano le lor proli, con quanta cura le allevano, con quanta pazienza le allattano, conquanta sollecitudine le provveggono? Mira la cicogna quando in qualche aperta campagna non può trovar ombra a’ suoi teneri pargoletti: distend’ella sopra di lor le sue ali, perché se il sole vuole sfogar le sue vampe, le sfoghi sopra di lei. Mira l’aquila quando per qualche urgente occasione dee trasportare altrove i suoi piccoli figliuolini: portagli ella sulla sua schiena, perché  se di terra venga scoccato alcun dardo, debba ferir prima lei. Anzi gl’istessi parti insensati usciti da noi, quali sono le pitture, i libri, le statue, quanto ci sono anche cari! Osservate quella signora, quant’ama quel bel ricamo, perché è parto delle sue dita! quanto si adira, se vi vede sopra cadere un filo di polvere! Miseri loro, se que’ bambini lo toccano, se quella cameriera lo macchia! Lo ravvolge dentro a lini bianchissimi, lo ripon nella cassa, il rinserra a chiave, ed hanne tal gelosia, qual ella avrebbe di un prezioso tesoro. E perché ciò? Perché è troppo innato ad ogni cagione amare i suoi proprj parti, o sien ragionevoli, o sien brutali, o sien vivi o siano insensati. – E volete voi sospettare che Dio, il quale è cagione tanto più nobile, ed è Padre tanto più proprio di tutti noi, ami, quanto a sé, di vedere verun di noi per tutta una eternità ardere in fornaci di fuoco, stridere in lacune di ghiaccio, spasimare in carceri orribili di tormenti? Non può essere, signori miei, non può essere: non laetatur in perditione vivorum (Sap. 1. 13). Questo sarebbe fare un Dio molto peggiore che non sono gli uomini stessi; anzi peggior che non sono gli stessi bruti. Se noi con le nostre colpe il costringeremo a pigliar le parti di giudice, dopo avere invano tentate quelle di padre, Egli s’indurrà a condannarci (come fecero ancora con tanta lode gli Epaminondi e i Torquati, gl’Ippomani, e gl’Ippodamanti, divenati implacabili verso i loro figliuoli degni di morte), perchè, eum sit justus, juste omnia disponiti ma, quanto a sé, siamo pur tutti sicuri, ripiglia il Savio, che non ci vorrìa tanto male. Jpsum autem (belle parole!), ipsum autem, qui puniti non debet, condemnare, exterum judicat a virtute sua (Ibid. XII, 15). Non è questo il suo genio, non è questo il suo godimento; e senza dubbio piuttosto vorrebbe esercitare verso di noi le parti di padre, che non quelle di giudice. E non vedete l’affezion tenerissima, con cui egli distendit membra, dilatat viscera, pectus porrigit, offert sinum;, gremium pandit, ut Patrem se tantæ obsecrationis demonstret affectu? Adunque che segno è questo, seguirò a dire con san Pietro Grisologo, se non che Deus non tam_ Dominus esse vult, quam pater, e che rogat per misericordiam, ne vindicet per rigorem? (Serm. 108)

IV. E certamente come può mai giudicarsi ch’Egli voglia la nostra perdizione, mentre tanto si adopera a fine di conseguir la nostra salvezza? Qual prudenza sarebbe mai di colui il quale spendesse mezzi grandissimi, atti a conseguire alcun fine, ed insieme avesse efficacissima volontà di sortire il fine contrario? Chi è mai che semini il campo, ma a fine ch’egli non frutti? Che inaffi il vaso, ma a fine ch’ei non fiorisca? che attizzi il fuoco, ma a fine ch’egli non arda? che ammaestri il discepolo, ma a fine ch’ei non impari? che sproni il destriere, ma a fine ch’egli non corra? Questi sono meri delirj; perché chiunque adopera un mezzo, ha desiderio di conseguire quel fine, a cui val quel mezzo. Adunque se Dio è prudentissimo, com’Egli è, non può insieme adoperar tanti mezzi per salvar tutti, ed insieme volere che qualcun non si salvi con tali mezzi. Rappresentatevi un cacciatore, il quale correa anelante dietro una fiera, or la trace per balze, or la segua per piani, or la cerchi per le caverne; che le abbia da una parte tese le reti, che dall’altra le abbia lasciati i cani; ch’ora gridi per atterrirla, ora faccia per assicurarla, ora mirala per colpirla; e che però si disciolga tutto in sudori, e nol curi; s’insanguini tra pruni, e non si rimanga. Potrà mai cadervi in sospetto ch’egli non sia vago di prendere una tal fiera? Nessuno dirà ch’egli usi tante fatiche, non a fine di averla nelle sue mani, ma a fine di non averla. Perché, se non volev’altro che questo, non accadeva ch’egli si movesse di casa: poteva rimanersi tra le sue piume, poteva dormire i suoi sonni, senza uscir su l’alba più cruda a gelar tra ghiacci, ed a perdersi tra i dirupi. Or bene. Iddio, per aversi nel paradiso, fa come que’ cacciatori, i quali, quando non possono raggiungere la fiera per una strada, la tracciano per cent’altre. Id facit Deus, quod venatores soletti facere (sono parole di san Giovanni Crisostomo), qui quando fugacissima, captuque difficillima insectantur animalia, non una via, sed diversis, et per contraria plerumque aggrediuntur, ut si alterum effugerint, in alterum incidant (in Matth. Hom. 38). Anzi egli si è consumato, si è insanguinato, si è impiagato, si è lacero per averci. Che segno è dunque? Non è manifestissimo segno ch’Egli ci vuole? Se non ci avesse curati, poteva restarsene in cielo; non accadeva scendere in terra. A che fine tollerare tanti disagi di fame, di sete, di freddo, di arsure, di nudità, di viaggi, di spine, di flagelli, di chiodi? Non poteva risparmiarsi tanti dolori? Nè mi dite aver esso patito tanto solamente per quei che dovevan salvarsi, ma non per quei che si dovevano dannare; perché affermar ciò sarebbe ora bestemmia orribile, condannata appunto in questi ultimi tempi dal Vaticano, com’empia, come sacrilega, come eretica, e come troppo ingiuriosa alla divina bontà. Mediator Dei, et hominum, homo Ciristus Jesus (sono parole chiarissime dell’Apostolo) dedit redemptionem semetipsum prò ómnibus (1 ad Tim. 2. 5 et 6). È Cristo morto verissimamente per tutti gli uomini, o giusti o peccatori, o eletti o presciti, ch’eglino siano; che però tante volte nelle divine Scritture è chiamato Sole, e Sol di giustizia, cioè Sol comune di tutti. Sol justitiæ (così tra gli altri il testificò sant’Ambrogio – in Ps. 118. Serm. 8), Sol justitiæ omnibus ortus est, omnibus venit, omnibus passus est, omnibus resurrexit. – E così, quanto a sé, per tutti, che lo vorranno, Egli ha aperto il cielo; per tutti, che nol vorranno, ha chiuso l’inferno; e per tutti egli ha meritati dal Padre ajuti bastevoli da potersi efficacemente salvare; conforme a ciò che mostrò assai bene di intendere san Giovanni quando egli disse: de plenitudine ejus nos omnes accepimus (Jo. I. 16).

V . – Né può essere che tali ajuti non si somministrino a tutti con grandissima fedeltà: non solamente perché il Padre Eterno non può negarci quel che il suo Figliuolo  umanato ci ha meritato col prezzo vantaggiosissimo del suo sangue, ma ancor perché, se ognun di noi non avesse ajuti bastevolissimi da salvarsi, ne seguirebbe (come notò san Tommaso), che tutte le creature ancorché insensate, fossero state ordinate meglio al lor fine, che l’uomo al suo. Girate gli occhi d’intorno a tutto il creato:voi non vedrete cosa veruna che non sia stata sovvenuta da Dio di mezzi opportuni ad ottenere il fine propostole. Il fine, che per ora hanno i cieli, è di stare in perpetuo moto, per compartire i loro influssi alla terra: però giacché non hanno in sé stessi. un’anima informatrice, com’ è la nostra,che possa muovergli, è stata loro assegnata un’intelligenza assistente. Le stelle debbono mitigare gli orrori della notte più tenebrosa;ma non han da sé tanto lume, che a questo basti: però il Sole ha ordini  espressi di provvedere le della sua perenne lumiera. La terra dee saziare le voglie degli agricoltori più avidi, ma non ha asé tanto umore, che a questo vaglia; però le acque hanno commissiono perpetua a fecondarla co’ loro sotterranei pellegrinaggi.Agli animali bruti manca artificio, con guernirsi o di vesti che li difendan dal.freddo, o d’armi che gli assicurino dai nemici: però guardate, come la Provvidenza somministra lor tutto questo insieme col nascere. Contro al freddo ella ricopre altri di cuojo, altri di piume, ed altri di squame; contro i nemici  ella fornisce altri di unghie altri di rostri, ed altri di aculei. Le ostriche, le conchiglie, le cappe, le quali vivono attaccate agli scogli, non hanno piedi onde muoversi a fine di procacciarsi il sostentamento: però che avviene? lo scoglio stesso d’intorno a loro germoglia il pascolo loro amico. Se la balena,  qual animato navilio, da sé girasse pel mare, correrebbe spesso pericolo di arenar nelle secche: però un piccolo pesciolino ha l’istinto d’indirizzarla. Se le coturnici che sono popolo imbelle, tragit’assero sole per l’aria, rimarrebbero spesso preda d’avvoltoi rapaci: però altri uccelli considerati han costume di convojarle. E così andate voi discorrendo per l’universo, ritroverete non v’esser cosa sì vile, la quale, se con la sola propria virtù non può conseguire il suo fine, non sia munita di qualche altro ajuto imprestatole. – Ora ditemi: volete voi che Dio usi meglio co’ bruti, servi dell’uomo, di quel ch’egli usi coll’uomo, signor de’ bruti? Ma cert’è ch’Egli userebbe così, se non avvenisse quel che dico io. Conciossiachè il fine dell’uomo è la felicità soprannaturale, a cui egli con le sue semplici forze mai non può giungere. Adunque conviene affermare che Dio infallibilmente provveggalo d’altri mezzi, e questi veraci, e questi valevoli, onde giungere a sì gran fine. Aggiungete, che ad arrivare a un tal fine Egli ancora ci obbliga con precetti strettissimi, e sotto severissime pene. Apprehende, ci fe’ dir per san Paolo, apprehende vitam æternam (1 ad Tim. VI. 12); che fu quasi un dire: benché paja a te ch’ella fuggati, valle dietro, arrivala, arrivala, falla tua, apprehende. Conviene adunque che somministrici parimente le forzo, con cui soddisfare a un tal obbligo. – Altrimenti non sarebb’Egli il più fier tiranno che si possa mai immaginare? Qual concetto voi formereste di Dio, s’Egli comandasse a noi di volare, ma non ci volesse dar però ali? se di favellare, ma non ci volesse dar però lingua? se di vedere, ma non ci volesse dar però lumi? Or sappiate che molto più impossibile è a noi il conseguire con le nostre sole forze l’eterna felicità, di quel che sarebbeci veder senza lumi, favellar senza lingua, volar senz’ale. E volete che Dio non ci suggerisca ajuti bastevoli ad avvalorar tali forze? Che se inter homines a recti discordat affectu, quia subjectis exigit, quod in potestate nontribuit, hoc de Deo qua conscientia sentiatur? esclamerò con Ennodio (ap. Turrian. I. 4). Se un tal genere di tirannia non potrebbe condonarsi ad un uomo, come dovrà supporsi in un Dio? Quando Saule volle che Davide si cimentasse contro del Filisteo, non gli offerse le sue armature? Quando Eliseo volle che Giezi risuscitasse il figliuolino della vedova, non diede gli il suo bastone? Quando Mosè volle che Aronne popolasse di zanzare l’Egitto non gli prestò la sua verga? E come dunque non farà il simile Dio, quando non solamente vuol, ma comanda che l’uomo giunga ad impadronirsi del paradiso: apprehende vitam æternam? Quegli ajuti dunque che necessariamente richieggonsi a sì gran fine, chiamateli come a voi piace, che a me non rilieva nulla, definiteli come a voi pare; non sono mai negati a veruno, per empio ch’egli si sia; perchè o gli ha, o, se non gli ha, li può subito avere, come c’insegna il Concilio (Sess. VI. c. 10), sol che li chiegga, conforme a quell’assioma celebratissimo del padre santo Agostino: Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet, aut facere quod possis, aut petere quod non possis. Però, ogni giusto può mantener la grazia, se vuole; ogni malvagio so vuole, può racquistarla; e così tutti posson salvarsi egualmente ancora, se vogliono. -Si conchiuda pur dunque, per ritornare al nostro primo proposito, che in Dio non si può rifondere la perdizione di alcuno; vere Deus non condemnàbìt frustra (Job. XXXIV. 12): ma ch’Egli con volontà vera, leale, limpida, sincerissima, e, quanto è dalla sua parte, ancora operante, vuole la salvazione di tutti: Deus vult omnes homines salvos fieri [Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi](1 ad Tim. II. 4).

VI. Ma piano, voi mi replicherete, che or tocca a parlare a noi. Se tutti gli nomini hanno ajuti bastevoli da salvarsi, non è però vero che alcuni n’hanno più, ed altri n’han meno. Orbene: ecco la cagione, per la qual noi sì malamente c’incamminiamo alla Gloria. Non accade sfuggir la difficoltà: bisogna un poco rispondere a questo punto. Se Dio porgesse ancora a noi tanti ajuti, quanti ne porge a questo ed a quello, di noi migliori, ancora noi diverremmo perfetti, saremmo santi. Ma egli a nostro prò restringe la mano, e slargala a favor d’altri; onde non sarà maraviglia se ci danniamo (che Dio ne guardi), mentre a noi solamente dà quanto basti, e ad altri tanto che avanza. – Oh qui si che voi mi farete avvampar di sdegno. O homo, tu qui es, qui respondeas Deo? – ad Rom. IX. 20. – (se non tacete, io vi sgriderò con san Paolo ) O homo, O homo, quis es? Chi siete voi, che presumete di far il censor di Dio? S’Egli vi dà con pienezza puntualissima tutto quello a ch’Egli è tenuto, di che vi dolete voi? che bisbigliate? che brontolate? che dite? per questo intenderete di ascrivere a Lui la colpa della vostra perdizione? Falso, falso. Non potrà Egli usar cortesia con uno, senza far torto all’altro? Oh questa è bella, che Dio solo nel mondo non possa fare un maggior servizio a un amico. Mentre a ciascun si dia quello che gli è dovuto, nulla iniquitate agitur, dice san Prospero (de Vocat. gent. c. 31), siquidem in ipsis quoque fidelium populis, non omnibus eadem, neque parìa conferantur. Non vi ho io provato che Dio vi porge quanto evvi suffìcientissimo? Adunque ite in pace. Benché, fermatevi. Con qual faccia ardite voi di chiamare Dio scarso delle sue grazie verso la vostra persona, come se non parlaste in questa città, in questa chiesa, di questi tempi? E che avrebbero dunque a dire quo’ barbari sfortunati, a’ quali è toccata così rea sorte di nascere o su spiagge deserte, o dentr’isole abbandonate, dove la Fede, tenuta indietro ora da’ marosi, or da’ mostri, non è potuta ancor giungere a inalberare le sue vittoriose bandiere? Eppur è certo che nemmen quelli, dannandosi, potranno punto fiatare in loro discolpa. Rerum autem nec his debet ignosci (Sap. XIII. 8). E per qual ragione? Non per altro, siccom’è noto, se non perchè a magnitudine speciei et creaturæ cognoscebilìter poterat Creator horum videri(Ibid.: XIII. 5); perché dalla cognizion delle creature poteano quasi per una scala levarsi di grado in grado alla notizia del Creatore, e così servirlo conforme allo scarso lume che loro ne folgorò nella mente. Adunque che potrete dir voi? Vi dolete dunque di avere penuria grande di ajuti, voi che siete nati nel cuore del Cristianesimo, in una città sì eletta, in un secolo sì erudito, e molti ancor di famiglia così cospicua? E quanta notizia vi ha Iddio donata di sè con tanti oracoli di Scritture? quanta con tante dichiarazioni di Concilj? Non passaste la maggior parte di voi l’età più pericolosa sotto la tutela di parenti singolarmente gelosi del vostro bene, di maestri tutti applicati al vostro profitto? Cresciuti poi ad età più matura, quanta comodità vi si è offerta di ben operare in tanta abbondanza di padri spirituali, atta ad indirizzar vostra coscienza! in tanta copia di predicatori devoti, acconcia ad infervorar la vostra freddezza! in tanta dovizia di libri pii, opportuna ad allattare la vostra pietà! In tanta moltitudine di uomini religiosi, avida d’impiegarsi in vostro servizio! Vi manca forse o tribunali d’assoluzione, se volete scaricar la vostr’anima dal peso delle colpe: o chiostri di solitudine, se volete rimuovere il vostro cuore da’ tumulti del mondo? E che fan del continuo quegli angeli tutelari che avete a lato, se non incitarvi or a schivare quel vizio, or ad esercitare quella virtù, or a superar quella tentazione, or ad imitar quell’esempio? Iddio medesimo con le sue illustrazioni interiori quanto si adopera affine di agevolarvi la salvazione. Lascia Egli, per così dire, mezzo intentato? Ora vi alletta con gl’inviti; ora vi sgomenta con le minacce, ora vi sollecita coi rimproveri, ora vi lusinga con le prosperità, ora vi stimola co’ flagelli. Vocat undique ad correptionem, così disse santo Agostino (in Ps. 102) vocat undique ad pœnitentiam: vocat benefeiis creaturæ, vocat per lectorem, vocat per tractatorem, vocat per intimam cogitationem, vocat per flagellum correptionis; vocat per misericordiam consolationis. E voi vi lamenterete di Dio? Siasi pur vero che Egli ad alcuni dia più ajuti di quelli che a voi non dà, sicché li voglia, per così dire, anche salvi a dispetto loro, come con quel Saulo, a cui dinunziò che lo stimolo era calcato, durum est contra stimulum calcitrare(Act. IX. 7): potete voi però querelarvi, se a voi ne dà un numero cosi grande, che non solo è bastevole per ma traboccante?

VII. Ma lasciate, che io mi voglio  avanzare ancora più oltre, ed ardimentarmi di turare a ognuno la bocca con una risposta sodissima fra’ teologi, e universale. Ditemi dunque: che sapete voi di aver minor copia di ajuti per ben operare, di quella ch’abbiane ogn’altro miglior di voi; e non piuttosto d’averne o eguale, o maggiore? Che ne sapete? Forse perché vi scorgete peggior di altrui, però credete di essere ancora men provveduti di grazia, men forniti di ajuti? Ma io nego assolutamente esser vero ch’ogni volta che uno opera minor bene, ne segua per infallibile conseguenza ch’egli abbiasi minor grazia; o che ogni volta ch’uno ha maggior grazia, ne segua parimente ch’egli operi maggior bene. Signori no. Possono duo, provveduti di un’egual grazia, fare azioni tanto diverse, che altre sien di merito grande, ed altre di niuno: il che colpa non è delia grazia, ch’è la medesima; ma della cooperazione ch’è differente. Se voi non credete a me una tal verità, uditela dall’angelico san Tommaso (3 p. q. 69, art. 8 ad 2), da cui pur alcuni si studiano di dedurre a tutto loro potere dottrine opposte: licet baptizati aliqui interdunm æqualem gratiam percipiant, non asqualiter ea utuntur, sed unus studiosius in ea profìcit, alias per negligentiam gratiæ Deideest. Ch’è quanto dire, che benché alcuni Cristiani ricevano talora un’egual provvisione di grazia, non però sempre egualmente se ne approfittano, ma talor uno caveranne grand’utile, un altro niuno. E non vedete voi come ad un medesimo sole liquefassi la cera, s’indura il loto? Cosi dice S. Girolamo, ad una medesima grazia un cuore s’intenerisce, un altro resiste. Leggesi ciò in quella dottissima epistola da lui dirizzata ad Edibia (ep. 105). Non vedete come ad una medesima pioggia un campo germoglia fiori, ed un altro lappole? Così, dice Origene, ad una medesima grazia un cuore fruttifica, un altro insalvatichisce. Trovasi ciò in quel notissimo libro, da lui intitolato Periarcon (L. 3. c. 1). E santo Agostino quanto chiaramente insegna ancor egli questa dottrina, adonta dei suoi moderni depravatori! Afferma egli nel dodicesimo libro della divina Città (cap. 6), poter esser due uomini, egualissimamente disposti per qualità di temperamento e per ajuti di grazia, i quali guardino un volto stesso donnesco, e che nondimeno uno di essi s’infiammi di compiacimenti impudici, ed un altro mantenga l’animo casto, non per altra cagione, se non perché diversamente prevalgonsi a piacer loro della lor libertà. L’istessa dottrina parimente conferma san Gregorio Niceno nell’orazione de’ Catecumeni (cap. 30); l’istessa san Giovanni Crisostomo sopra l’epistola a’ Romani (Hom. I. 16); l’istessa san Cirillo sul Vangelo di san Giovanni (1. 11); l’istessa san Prospero in quel suo famoso volume sopra la vocazion delle genti (Lib. 2. e. 16); e per finire, l’istessa san Bonaventura nel quarto delle sentenze (Dist. 16, p. 2 , art. 4, q. 1), dov’egli dice queste precise parole: ex æquali gratia aliquando magis fervens elicitur motus, aliquando minus, secundum cooperationetn liberi arbitrii. – Or come dunque ardite voi di affermare di non ricever da Dio tanta gran copia di ajuti per bene operare, quanta da Lui ne ricevano questi o quelli? Chi ve l’ha detto? qual indizio n’avete? qual fondamento? Dite bensì che la vostra grazia non riesce efficace, ma vana, ma infruttuosa, ma nulla; e direte il vero. Ma chi ha la colpa di ciò? Non l’avete voi, che in cambio di profittarvi della grazia celeste con quell’ardore che richiedeva dal suo Timoteo l’Apostolo quando gli disse, noli negligere gratiam quæ data est libi (1 ad Tim. IV, 14), la trascurate, e fate a guisa di quei nocchieri, o poco abili, o poco attenti, che restano dietro gli altri con la lor nave, non perché non godano anch’essi un istesso vento, ma perché non san prenderlo quando spira? Lasciate dunque di querelarvi di Dio, e non vogliate attribuire a difetto della sua liberale beneficenza, ciò che è mancanza del vostro libero arbitrio: mentre con solo è certo, ch’ei vi vuol salvi, e che però vi somministra ajuti abbondevolissimi, non che sufficienti a tal fine, ma può fors’essere ch’Egli altresì ve li porga in copia maggiore di quel che faccia con altri di voi più spirituali, di voi più santi. Ese pur quegli ajuti vi porge, a cui Egli, come savissimo, ben prevede che voi non corrisponderete; questo medesimo si deve ascrivere a voi, i quali lor lascerete di corrispondere. Ipsi fuerunt rebelles lumini, disse Giobbe (XXIV. 13) de’ peccatori. Non fu che Dio non desse loro un vivacissimo lume a conoscer la verità; fu ch’essi chiusero gli occhi per non conoscerla. Ed altrove: Dicebant Deo, recede a nobis (Ibid.XXVIII, 12); ed altrove: Dixerunt Deo, recede a nohis (lb. 21. 14); ed altrove: Quasi de industria recesserunt ab eo, et omnes vias ejus intelligere noluerunt (Ib. 34. 27). – E però avvezzatevi a dar di tutto il mal vostro la colpa a voi. Perditia tua, Israel.. Dite fra voi medesimi, ma di cuore: Ego sum qui peccavi, ego qui impìe egi, ego qui inique gessi (2 Reg. XXIV. 17). Dite con Geremìa, che voi da voi stessi vi andate a vendere schiavi dell’inimico per un vile acquisto di niente: Ægypto dedimus manum, et Assyriis, ut saturemur pane (Thr. 5. 6). Dite che cedete, dite che cadete, verissimo; ma perché? Perché così piace a voi: volete cadere, volete cedere. Non si può dar altra ragione, lpsi nos seducimus: così ne dice l’apostolo san Giovanni (Epist. I, 1. 8). Vedete quanta sia la forza di tutti i demonj insieme? Eppure nemmen essi mai possono ottener nulla da voi, se loro spontaneamente non lo doniate. Vi possono istigare, vi possono importunare, ma non possono violentarvi. Dixerunt animæ tuæ (notate luogo sceltissimo d’Isaia su questo proposito (LI. 23), Dixerunt animae tuae: incurvare, ut transeamus. Avete sentito? Non ardiscon di mettervi i piedi addosso: incurvare, incurvare. Si raccomandano, perché vi gettiate per terra. E però se bene spesso prevalgono sopra voi, se vi conculcano, se vi calpestano, donde accade? Perché voi vilmente vi contentate di mettervi da voi stessi sotto le lor fetide piante. Dixerunt animæ tuæ: incurvare, ut transeamus: et posuisti ut terram corpus tuum, et quasi viam transeuntibus (Ibid.). Eh Cristiani, tenete forte il vostro libero arbitrio, e non dubitate di niente: sarete salvi; sarete salvi. L’Oloferne infernale non potrà mai toccare la bella Giuditta, voglio dire l’anima vostra, se starà salda: solo potrà procurare ut sponte consentiat (Judith X. 10), che consenta spontaneamente. Ma lasciatelo fare, ciò non importa: fuggite quanto si può l’occasioni cattive, valetevi de’ mezzi donativi alla salute, confessatevi spesso, comunicatevi spesso, raccomandatevi continuamente al Signore, perché vi assista; e io vi prometto che ancora voi, quanto ogni altro, vi salverete.

VIII. Ma sapete quel ch’è? Ve lo dirò chiaro. Tutto il punto è, che vorreste poter insieme goder la terra più di ciò conviensi allo stato vostro, e truffarvi in cielo. Vorreste vivere a seconda de’ vostri sensuali appetiti, compiacere ogni voglia, soddisfare ad ogni passione; e poi finalmente trovarvi su in paradiso, senza di avervi posto nulla del vostro, se non fori ancora vorreste che il paradiso calasse a ritrovar voi, perché non vi scomodiate. Ma questo non può avvenire. Una volta sola si legge nelle Scritture, che il paradiso per gran favore calasse a trovar veruno, e quest’uno fu S. Giovanni. Vidi sanctam civitatem Jerusalem novam descendentem de cœlo (Apoc. XXI. 2). Ma quella volta medesima dove calò? dove venne? il notaste mai? Super montem magnum et altum (lb. XXI, 10). Sopra la cima di un monte e d’un monte sublime, e d’un monte alpestre. E perché ciò? Giacché quella città santa volea discendere, perché non poteva discendere alla pianura, e risparmiare all’Apostolo, già estenuato, già vecchio, anzi già decrepito, la fatica di salir sopra una montagna? No, no, uditori: il paradiso non donasi agl’infingardi (questo è il mistero), il paradiso non donasi agl’infingardi. Bisogna che si tragga di mente sì sciocco inganno, se alcun ve l’ha. Iddio ci vuol dar la sua gloria; ma come premio, intendete? come mercede, sicché ancor noi rimettiamo qualche passo del nostro per arrivarvi. Non posuit nos Deus in iram, questo è verissimo; ma conseguentemente in che posuit? In salutem? in salutem? No,  sed in acquisitionem salutis, dice l’Apostolo (1 ad Thessal. V. 9): vuol che noi ce la guadagniamo. Vuol Egli che in questo mondo noi non abbiamo occasione né di viver troppo oziosi, né di diventare troppo superbi. Però che ha fatto? ha disposte le cose in modo, che l’esecuzione della nostra salute eterna non fosse né tutt’opera nostra, né tutta sua. Non tutta nostra, perché ci mantenessimo umili; non tutta sua, perchè non divenissimo scioperati. Neque nos supinos esse vult Deus, proptem non ipse totum operatur (così avvertillo san Giovanni Crisostomo);. neque vult esse superbos, et ideo totum nobis non cessit (Hom. 60 ad pop.). Ma noiameremmo che facesse tutt’Egli, e non vorremmo far nulla noi. No Signori miei, no: a Lui spelta chiamarci, ed a noi corrispondere; a lui tocca invitarci, e noi di andare. Vocabis me, et respondebo tibi(Job XIV. 15). Egli ci ecciterà ancora, ci spingerà, ci sostenterà: Operi manuum suarum porrige dexteram(Ibid.), perché arriviamo fino alla cima del monte, quantunque altissimo, a trovar la bella città di Gerusalemme; ma non bisogna che a primi passi noi gli facciam resistenza; altrimenti, se nonotterrem la salute da noi bramata, tengasi pur per costante, che sarà nostra la colpa, non sarà sua? Perditio tua, Israel.

SECONDA PARTE.

IX. Un’altra scusa potrebbe ancora restare a favor degli empi; e sarebbe, quando Dio per salvarli richiedesse da loro fatiche molto ardue, o strazj molto penosi; perché in tal caso par che potrebbero rigettare in lui qualche colpa del loro male, s’essiin cambio di giungere a salvamento n’andasseroin perdizione. Ma quando mai chied’Egli tanto da’ perfidi per salvarli, quanto vede ch’essisopportano per dannarsi? Sentite ciò che Geremìa già diceva ai peccatori: Ut inique agerent, laboraverunt [lavorarono per agire iniquamente] angheria sopra angheria, inganno su inganno; (Jer. IX. 5). Credete voi che ai più di essinon costasse molto il farmale ? Laboraverunt, laboraverunt. Non si può dire quanto imiseri fecero per perire, quanto stentarono, quanto soffersero: ut inique agerent laboraverunt. E certamente ditemi un poco, uditori; è difficile la legge cristiana; è così? Oh padre, s’ella è difficile! Ma dite, in che? Forse nel maltrattare il corpo talmente, che non si ribelli allo spirito. Ma quanti sono gli strapazzi che voi gli usate, quando si tratti di un traffico ancora ingiusto! Non laboratis, con esporvi subito a brine, a venti, ad arsure? Forse nel soggiogare talmente la volontà, che non oppongasi alla ragione? Ma quante sono le schiavitù, con le quali voi l’avvilite, quando si tratti di un avanzamento anche improprio? Non laboratis, con umiliarvi pur a cortigiani, a uffiziali, a ministri? Et si tanta suffert anima, ut possideat unde pereat, quanta debet sufferre ne perent? Vi dirò con santo Agostino (De Pat. t. 4). Ma forse la legge divina riesce difficoltosa nel comandare, che a fine di salvar l’anima null’altra cosa si prezzi di questa terra, non ricchezze, non patria, non parentele, non sanità; e quel ch’è più, non la medesima vita, quando bisogni? Ma questa vita medesima quante volte vien da voi posta a sbaraglio per un puntiglio vano di mondo! Un titolo, un disparere, una precedenza non si decide continuamente col ferro? Vadane la roba, vadane la famiglia, vadane il sangue, vadane il corpo, vadane l’anima, la vendetta s’ha da pigliare. Voi stessi, benché talora vi conosciate disuguali di forze, inferiori d’appoggio, voi siete i primi a provocare il nemico, voi ad affrontarlo, voi ad assalirlo, e con disfide sciocchissime laboratis, per andare a dare di petto nell’altrui spada. E quando mai vi viene occasione di arrivare a tanto per Dio? Vi ricerca mai Egli più per donarvi il Cielo, di quel che fate per comperarvi l’inferno? O cæcitas! O insania! esclamerò con l’eloquente Salviano (Lib. 3 ad Eccl.). Quanto studio infelicissimi hominum id efficiiis, ut miserrimi in æternitate sitis! Quanto minore cura, minore ambitu id vobis præstare potuistis ut semper beati esse possetis! Rispondete quanto sapete: di qui non potete uscire. Se voi non aveste forze bastevole a tollerare tutti que’ patimenti, co’ quali voi comperate l’inferno, facilmente potreste darea d intendere di non averle a soffrire quelle fatiche con cui vi dovreste acquistare il Cielo. Ma se l’avete per fare il male, come vi scuserete di non averle per fare il bene? – Eppure quanto mi rimarrebbe anche a dire, mentre è cosa certa che i reprobi non solamente laborant per ire a perdersi, ma lassantur, com’essi medesimi confessarono dall’inferno a dispetto loro, quando già dissero lassati sumus in via iniquitatis, lassati sumus in via perditionis, ambulavimus vias difficiles  [… Ci siamo saziati nelle vie del male e della perdizione; abbiamo percorso deserti impraticabili] (Sap. V. 7). Non ho detto i patimenti della milizia, non gli orrori delle battaglie, non le inquietudini delle liti, non le angosce delle ambizioni, non le sollecitudini delle avarizie, non le infermità delle crapule, non le pene, non le perversità, non le turbazioni di una passione sola amorosa, non le lagrime che per essa si spargono, non i servizj che si usano, non le gelosie che si soffrono, non le villanie che s’inghiottino, non i pericoli che s’incontrano, non i sonni che si perdono, non le ricchezze che si scialacquano, non l’onore che non si cura, non i morbi anche strani che si contraggono. E non si ritrovano ogni dì nuovi Ammoni, che del continuo attenuantur macie [… tu diventi sempre più magro]  (2 Reg. XIII, 4) per una Tamar? che si svengono? che si struggono? Se però faceste per Dio una minima particella di quel che voi talora, o giovani, fate per una druda vilissima (lasciatemi ragionare con libertà), se lo faceste per Dio, non diverreste non solo salvi, ma santi?

X . O padre, mi risponderete, voi forse non siete pratico. Questi, che avete voi raccontati, sono patimenti sì, ma gradevoli, ma gustosi, che però, se voi nol sapete, i poeti nostri li chiamano dolci-amari: sono confacevoli all’istinto, son conformi all’inclinazione. Non sono come quelli che sopportiamo per osservar le leggi evangeliche: questi sono tutti spiacevoli, tutti acerbi. Sì? Veramente io confesso che non ci credeva esser tanta diversità: ma vi ringrazio che me l’abbiate voi suggerito opportunamente, perché della vostra risposta mi varrò dunque a stringere tanto più l’argomento mio. E qual può essere la ragione di tanta diversità? Perché i patimenti, considerati materialmente per sè medesimi, sien differenti? Questo non si può dire, poiché sarebbe direttamente contrario alla supposizione che noi facciamo: trattandosi di patire l’istessa fame per Dio, l’istessa sete, l’istesso sonno, l’istesse contrarietà che si patiscon per altri. Tutta la diversità dee consistere dunque in questo, che in un caso voi ciò patite per altri, nell’altro voi lo patireste per Dio: e perché lo patite per altri, per questo è gradevole, per questo è gustoso, per questo riesce un amaro-dolce; laddove, se il patiste per Dio, non saria punto dolce, ma tutto amaro. Non è così? Orsù dunque, che i peccatori hanno finalmente vinta la causa. Se non »i salvano, hanno pronta la scusa, hanno facili le discolpe. A che noi faticare con tante prove, sfiaterò con tante ragioni, struggerci con tanti argomenti? Possiam finire. Hanno essi una risposta da sciorli tutti. – Che dunque aspettasi? Vengano gli angeli, vengano i santi,  vengano i demonj, venga il cielo, venga la terra, e mi apprestino tutti udienza. Audite hæc, omnes gentes; auribus percipite omnes, qui habitatis orbem ( Ps. XLVIII, 2) omnes, omnes. Sono finalmente scusabili i Cristiani peccatori, se non si salvano, sono scusabili. E perché? Perché Dio non voglia ammetterli in cielo? No, perché Egli, come lor padre, e padre senza dubbio miglior d’ogni altro, a questo è disposto con verissima volontà. Perché essi non abbiano ajuti sufficienti da giungervi? No, perché a niuno s’impone peso, o s’ingiunge precetto su le sue forze. Perché non abbiamo almeno ajuti abbondanti? No, perché a loro è toccato in sorte di nascere dove n’è dovizia maggiore. Perché non gli abbiano almeno eguali a quei di coloro, i quali si salvano? No, perché non è sempre legge infallibile, che maggiori ajuti sortisse chi maggior bene operò. Perché almeno non sieno usi per altro a sopportare tante gravi molestie, quante richieggono a volersi salvare? Nemmeno per questo, perché ne sopportano anche maggiori per un interesse, per un’ambizione, per un puntiglio, un capriccio, e fin talora per una femmina vile; giungendo a segno, che, come deplorò Geremia (XVI. 13), volentierissimo  serviunt Diis alienis, qui non dant eis quiem die ac nocte, [… servirete divinità straniere giorno e notte]. E perché dunque, se non si salvano, essi sono scusabili? Ecco perché: perché queste molestie si avrebbero a tollerar da essi per Dio; torno a ripeterlo, perché si avrebbero a tollerare per Dio (qui si riduce tutta la loro discolpa), perché si avrebbono a tollerare per Dio. Cristiani peccatori, che dite? Siete contenti di una simile scusa? Volete che ella vi suffraghi, ch’ella vi vaglia? Su, sia così. Portatela in faccia a Cristo. Dite animosamente, sicché ognun senta: se per altri si dovesse sopportare quel che conviene sopportare per voi, non riuscirebbe tanto difficile; anzi riuscirebbe spesso giocondo, confacevole all’istinto, conforme all’inclinazione, sicché chiamare potrebbesi un dolce-amaro. Ma per voi non si può; il patire altrettanto per voi, tutto amaro sarebbeci, niente dolce. Oh vergogna. E avete cuor di parlar sul volto di Cristo in questa maniera, come s’Egli, perché sta qui coperto, sta qui celato, non vi sentisse? Questa è la riverenza a quel sangue sparso, questa è la gratitudine a quelle membra scarnificate per voi? dire che non sia dolce il patir per Dio? Ah! ben si scorge che voi non lo avete provato. Però, se voi vi fidate di tale scusa, seguite a vivere pure come a voi piace, eh’ io per me mi arrossisco di confutarvela. Ma se conoscete questa essere la peggiore di quante n’avete addotte, a quale dunque vi appiglierete? dove vi volgerete? come risponderete? Non rimarrete convinti che altra risoluzione più opportuna non si può prendere da tutti noi peccatori, se non che cominciamo da questo punto ad emendar seriamente la nostra vita, a fine di potere schivare in tal modo quella gran dannazione, in cui traboccando, non potrem da altri dolerci, se non di noi? Perditio tua, Israel (Os. XIII. 9).

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL MESE DI APRILE 2020

CALENDARIO LITURGICO DEL MESE DI APRILE 2020

APRILE è il mese che la Chiesa dedica

alla Santa Pasqua ed alle LITANIE maggiori.

La Chiesa, che ogni anno rinnova nella sua liturgia il ricordo degli avvenimenti della vita del Salvatore, ai quali ci invita Chiesa, che ogni anno rinnova nella sua liturgia il ricordo degli avvenimenti della vita del Salvatore, ai quali ci invita a partecipare, celebra nella festa di Pasqua il trionfo di Gesù, vincitore della morte. Questo, come tutti sanno, è l’avvenimento centrale di tutta la storia, è il punto verso il quale tutto converge nella vita di Cristo, ed è anche il punto culminante della vita della Chiesa nel suo Ciclo liturgico. La Resurrezione del Salvatore è la prova più luminosa della sua divinità, perché bisogna essere Dio per poter, come diceva Gesù, «lasciare la propria vita e riprenderla di nuovo ». La fede nella Risurrezione di Gesù è dunque la base stessa della fede cristiana. Infatti la Pasqua di Cristo, ossia il suo passaggiodalla morte alla vita e dalla terra al cielo, è la consacrazione definitiva della vittoria che l’uomo, l’umanità intera hanno riportato in Gesù sul demonio, sulla carne e sul mondo1 . Infatti noi siamo morti e risuscitati con Lui. Effettivamente la virtù di questi misteri opera nei fedeli durante tutta la loro vita, e più specialmente durante il Triduo Pasquale (Venerdì Santo, Sabato Santo, Domenica di Pasqua) allo scopo di farli passare dal peccato alla grazia e più tardi dalla grazia alla gloria. (….)Perciò la settimana di Pasqua è la festa dei Battezzati e la Chiesa, concentrando tutte le sue cure di madre su questi, che S. Paolo chiama « i suoi neonati », li fortifica, dando loro, insieme all’Eucarestia, per 7 giorni consecutivi, alcune istruzioni riguardanti la Resurrezione, modello iella nostra vita soprannaturale. « Se siete risuscitati con Cristo, dice S. Paolo, ricercate le cose celesti e non le cose di questa terra ». « Mortificate le vostre membra, spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi dei nuovo ». Dunque conclude S. Agostino: « Quando deponete la veste bianca dei battesimo, custoditene sempre il candore nell’anima vostra » (Dom. in Albis). Il Tempo Pasquale rappresenta, dunque, un’epoca di rinnovellamento. In corrispondenza col periodo di quaranta giorni, nel quale dopo la sua Risurrezione, Gesù stabilì la sua Chiesa, esso ci ricorda più specialmente la Chiesa nascente.

(De Stefani Messale Romano – L.I.C.E. Torino, 1950)

Le feste del mese di APRILE sono:

2 Aprile S. Francisci de Paula Confessoris    Duplex

3 Aprile I Venerdì

4 Aprile S. Isidori Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

              I Sabato

5 Aprile Dominica in Palmis    Semiduplex I. classis

               S. Vincentii Ferrerii Confessoris    Duplex

9 Aprile Feria Quinta in Cena Domini    Duplex I. classis *I*

10 Aprile Feria Sexta in Parasceve    Duplex I. classis

11 Aprile Sabbato Sancto    Duplex I. classis

12 Aprile Dominica Resurrectionis    Duplex I. classis

13 Aprile Die II infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

14 Aprile Die III infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

15 Aprile Die IV infra octavam Paschæ    Semiduplex

16 Aprile Die V infra octavam Paschæ    Semiduplex

17 Aprile S. Aniceti Papæ et Martyris    Semiduplex

19 Aprile Dominica in Albis in Octava Paschæ    Duplex I. classis

21 Aprile S. Anselmi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

22 Aprile SS. Soteris et Caji Summorum Pontificum et Martyrum    Semiduplex

23 Aprile S. Georgii Martyris    Semiduplex

24 Aprile S. Fidelis de Sigmaringa Martyris    Duplex

25 Aprile  S. Marci Evangelistæ    Duplex II. classis.

LITANIE MAGGIORI

26 Aprile Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

                SS. Cleti et Marcellini Paparum et Martyrum    Semiduplex

27 Aprile S. Petri Canisii Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

28 Aprile S. Pauli a Cruce Confessoris    Duplex m.t.v.

29  S. Petri Martyris    Duplex

30 Aprile S. Catharinæ Senensis Virginis    Duplex

SALMI BIBLICI: “LEGEM PONE MIHI, DOMINE” (CXVIII -2)

SALMO CXVIII (2) “LEGEM PONE MIHI, DOMINE”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (2)

HE.

[33] Legem pone mihi, Domine,

viam justificationum tuarum, et exquiram eam semper.

[34] Da mihi intellectum, et scrutabor legem tuam, et custodiam illam in toto corde meo.

[35] Deduc me in semitam mandatorum tuorum, quia ipsam volui.

[36] Inclina cor meum in testimonia tua, et non in avaritiam.

[37] Averte oculos meos, ne videant vanitatem; in via tua vivifica me.

[38] Statue servo tuo eloquium tuum in timore tuo.

[39] Amputa opprobrium meum quod suspicatus sum, quia judicia tua jucunda.

[40] Ecce concupivi mandata tua; in æquitate tua vivifica me.

VAU.

[41] Et veniat super me misericordia tua, Domine; salutare tuum secundum eloquium tuum.

[42] Et respondebo exprobrantibus mihi verbum, quia speravi in sermonibus tuis.

[43] Et ne auferas de ore meo verbum veritatis usquequaque, quia in judiciis tuis supersperavi.

[44] Et custodiam legem tuam semper, in saeculum et in sæculum sæculi:

[45] et ambulabam in latitudine, quia mandata tua exquisivi.

[46] Et loquebar in testimoniis tuis in conspectu regum, et non confundebar.

[47] Et meditabar in mandatis tuis, quæ dilexi.

[48] Et levavi manus meas ad mandata tua, quae dilexi, et exercebar in justificationibus tuis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (2).

HE.

33. Dammi per norma, o Signore, la via di tua giustificazione e io sempre la seguirò.

34. Dammi intelletto, e io attentamente studierò la tua legge, e la osserverò con tutto il cuor mio.

35. Conducimi tu pel sentiero de’ tuoi precetti, perché desso mi piacque.

36. Inclina il cuor mio verso di lue testimonianze, e non verso l’amore delle ricchezze.

37. Rivolgi gli occhi miei, perché non veggan la vanità; nella tua via dammi vita.

38. Tien fissa nel tuo servo la tua parola, mediante il tuo timore.

39. Togli da me l’obbrobrio, ch’io ho temuto, perocché amabili sono i tuoi giudizi.

40. Ecco che io ho amati i tuoi comandamenti: fammi vivere secondo la tua equità.

VAU

41. E venga sopra di me, o Signore, la tua misericordia; la tua salute secondo la tua parola.

42. E darò per risposta a quelli che mi dileggiano, che nelle tue parole ho posta la mia speranza.

43. E non togliere tu giammai dalla mia bocca la parola di verità, perché ne’ tuoi giudizi ho fortemente sperato.

44. E osserverò mai sempre la tua legge pe’ secoli, e pei secoli de’ secoli.

45. E io camminava al largo perché cercai studiosamente i tuoi comandamenti.

46. E di due testimonianze parlava al cospetto dei re; e non ne avea rossore.

47. E meditava i tuoi precetti, che io ho amati.

48. E stesi le mani mie ai tuoi comandamenti amati da me; e nelle tue giustificazioni mi esercitava.

Sommario analitico

II  SEZIONE —33-48.

Il Profeta chiede a Dio una guida per procedere ed accompagnarlo sulla buona strada

I. Egli prega di dargli, per guidarlo in questa via:

1° la legge, dottrina esteriore, affinché sia la regola della sua condotta ed egli la ricerca sempre – dice Sant’Agostino – con un desiderio sempre più grande di perfezione (33);

2° l’intelligenza, l’illuminazione e l’ispirazione interiore della grazia che gli farà non solo approfondire e conoscere, ma osservare la legge (34);

3° Egli stesso come guida,

a) alfine di condurla come desidera nel sentiero della perfezione (35);

b) inclinare il suo cuore verso i suoi precetti, e di allontanarlo dalla triplice avarizia dei beni esteriori, dei beni dello spirito e delle virtù stesse che l’uomo è portato ad attribuirsi, senza rendere gloria a Colui che ne è l’Autore (36);

c) di allontanare i suoi occhi dalla vanità e dai falsi bagliori delle cose del mondo (37);

4° La sua parola che:

a) congiunta al timore, lo indirizzi verso il dovere (38), e gli faccia sormontare l’obbrobrio della concupiscenza e del peccato (39);

b) congiunta all’amore, gli ispiri il desiderio di osservare i Comandamenti di Dio, e gli dia la forza necessaria per compierli (40);

5° la sua misericordia con la quale:

a) lo condurrà alla salvezza (41);

b) gli darà la sicurezza e la fermezza per rispondere a coloro che insultano la virtù e la pietà (42);

c) gli conserverà sempre il linguaggio della verità, il coraggio e la fermezza necessaria per annunciarla (43).

II. Egli promette a Dio di testimoniargli la sua riconoscenza osservando fedelmente i suoi precetti:

1° Non soltanto per un tempo, ma per sempre (44);

2° Con tutte le sue forze, per tutta l’estensione del suo cuore (45);

3° Con la bocca, dandone pubblica testimonianza, senza paure, senza timori davanti ai grandi e potenti della terra (46);

4° con lo spirito, con una meditazione seria e piena di amore (47);

5° Sormontando, con questo grande amore, tutte le difficoltà che si oppongono al compimento dei comandamenti (48).

Spiegazioni e Considerazioni (1)

II SEZIONE  — 33-48.

I. —  33-43.

ff. 33. – Il soldato che si mette per strada non traccia da sé il cammino che deve seguire, non sceglie quello a lui più gradito, e non cerca di abbreviarlo per darsi poi alla ricreazione; ma egli riceve dal suo generale la mappa da seguire e la segue esattamente senza mai deviare, marcia sempre con le sue armi, e si ferma nei punti stabiliti per trovarvi i viveri che gli vengono preparati. Tale è la legge prescritta a tutti coloro che vogliono camminare al seguito di Gesù-Cristo. Il Re-Profeta dice a Dio, non semplicemente “datemi”, ma « ispiratemi per legge la via dei vostri comandi, » affinché resti ferma ed indistruttibile nel suo cuore, e non sia sradicata da qualche tempesta violenta del secolo, e e non sia legge a se stesso portando invece la legge scritta nel suo cuore « ed io non cesserò di ricercarla. » Non è un leggero favore che cerchiamo, ma il possesso del cielo, il regno di Dio, la società degli Angeli, il soggiorno dell’immortalità. Non è dunque per un giorno, né per due o tre, né per qualche mese che bisogna cercare questa via, ma sempre ed in tutte le circostanze, per formare così come un fascio di meriti di tutte le azioni della nostra vita. (S. Ambr.).

 ff. 34. – Ma non vale tanto il ricercare se non si comprende qual sia l’oggetto dello proprie ricerche. Bisogna dapprima cercare, poi comprendere ed approfondire tutti i misteriosi segreti della legge e ritenerli nel proprio cuore (S. Ambr.). – Il Profeta prega Dio di dargli l’intelligenza perché possa praticare con lo spirito ciò che conosceva già nella lettera. Si tratta di comprendere perché la legge sia stata data a degli uomini che non devono osservarla, e comprendere anche in cosa sia stata utile che la legge si verificasse, affinché il peccato sovrabbondasse; ora nessuno lo può, se Dio non gli fornisce l’intelligenza. Ecco perché egli aggiunge: « Datemi intelligenza ed io scruterò la vostra legge, » (S. Agost.) – Datemi l’intelligenza ed io scruterò la vostra legge, e la osserverò con tutto il cuore. » Egli non la osserva dunque ancora, non l’ha ancora approfondita, non la comprende ancora? Egli non parla dunque della legge nella quale è nato, allevato ed ha osservato nei suoi atti? Siccome egli sa che il primo dovere della prudenza è interrogare i saggi su ciò che non si possa comprendere, e cercare di comprendere ciò che si ignora, egli chiede a Dio l’intelligenza. E siccome l’intelligenza deve servire per studiare, scrutare la legge di Dio, aggiunge: « Ed io scruterò, approfondirò la legge di Dio. » E comprendendo che l’osservazione perfetta della legge dipenda essenzialmente dal cuore, termina dicendo: « ed io la osserverò con tutto il mio cuore » (S. Ilar.). – Noi dobbiamo studiare, scrutare, approfondire la legge di Dio, non per vano spirito di curiosità, ma per compierla più facilmente. « Ed io la osserverò con tutto il mio cuore. » In effetti, chiunque avrà scrutato tutta la legge, e sarà arrivato alle sommità alla quale è come sospeso, dovrà certamente amare Dio con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutto il suo spirito, ed amare il prossimo suo come se stesso. (S. Agost.). 

ff. 35-37. – Ma siccome le sue forze non possono essere sufficienti, se colui che comanda non lo aiuti a compiere ciò che comanda, egli aggiunge: « Conducetemi nel sentiero dei vostri comandamenti. » Per me è troppo poco conoscere, volere anche, se non mi conducete Voi stesso, secondo questa volontà. Il sentiero di cui parla è certamente la via dei comandamenti di Dio; egli lo chiama un sentiero, perché la via che conduce alla vita è stretta (S. Agost.). – Il Profeta sa che la natura è debole, che non può intraprendere il cammino su questo sentiero senza una guida che lo conduca. Dio è questa guida, quando ci dice: « Chi non porta la sua croce e non mi segue, non è degno di me. » (Matth. X, 38). È questa guida che ci conduce, che per primo segue il cammino delle sofferenze. Se gli Apostoli ce l’insegnano, Egli ce lo ha insegnato per primo. Se noi compiamo ora qualche atto di giustizia, Egli è per noi il capo, il principe della nostra giustizia, perché Egli è la giustizia stessa. (I Cor. I, 38). Se siamo flagellati per la fede, Egli per primo ha teso il suo dorso ai flagelli, se riceviamo degli affronti oltraggiosi, Egli per primo li ha ricevuti prima di noi. Se ci si sputa in volto ignominiosamente, ricordiamoci che Egli non ha voltato il suo volto agli sputi. (S. Ilar.). Ma poiché il Profeta ancora progredisce, ancora corre, e di conseguenza implora il soccorso di Dio perché lo conduca nella sua via, poiché nulla dipende né da colui che vuole, né da colui che corre, ma da Colui che usa misericordia (Rom. IX, 16); infine, poiché Dio opera in noi stessi il volere (Fil. II, 13), poiché il Signore prepara la volontà, il Profeta continua e dice: « Inclinate il mio cuore verso le vostre testimonianze. » (S. Agost.). – « Lo spirito ed il cuore dell’uomo sono inclinati al male fin dalla gioventù. » (Gen. VIII, 21). Le affezioni dell’anima sono i piedi del cuore: esso si porta dove esse lo introducono, e non c’è che Dio che possa portarle al lato del bene. « Allontanate i miei occhi affinché non vedano la vanità. » (S. Ambr.). – La vanità e la verità, tutto sommato, differiscono tra loro. Ora è nella cupidigia di questo mondo che consiste la vanità, ed il Cristo che ci libera dal mondo, è la verità … Ma finché siamo in questo mondo, potremo mai non vedere la vanità? Il Profeta chiede dunque di non vivere sotto il sole, ove tutto è vanità, ma unicamente in ciò per il quale egli vuol essere vivificato. Se dunque la nostra vita è là dove si trova la verità, cioè nei cieli ove Gesù-Cristo è seduto alla destra di Dio, la nostra vita non è sotto il sole ove si trova la vanità (S. Agost.). – O Signore, arrestate in Voi i miei sguardi e allontanateli dalle vanità, dalle illusioni dei beni temporali, da tutti gli splendori della terra, affinché io non le veda solamente, ed un tal niente non tiri solo da me un colpo d’occhio. « Distogli i miei occhi perché non vedano la vanità. » Ma aggiungete ciò che segue: « Datemi la vita attaccandomi alle vostre vie; che io non veda le vanità; che io tolga tutto dai miei occhi. È così che attaccandomi alle vostra vita mi darete la vita, e la mia vita sarà nascosta in Voi. » (BOSSUET, Sur la Vie cachée, II’ p.).

ff. 38 – 40. – Come si farà per allontanare gli occhi dalla vanità? « Fermate, fisate la vostra parola nel vostro servo, perché sia nel vostro timore, » cioè concedetemi di agire conformemente alla vostra parola. In effetti la parola di Dio non è raffermata, fissata in coloro che la rendono mobile nel loro cuore a forza di agire contrariamente a questa parola; essa è al contrario fissata nel cuore in cui essa è immobile. Dio ha dunque fissato la sua parola per tenere nel timore coloro ai quali dà lo spirito del suo timore. (S. Agost.). – « Allontanate da me l’obbrobrio che ho temuto. » L’Apostolo sembra darci la spiegazione di ciò che questo versetto può avere di oscuro, quando dice: « la mia coscienza non mi rimprovera nulla, ma io non sono per questo giustificato. » Egli sapeva di essere un uomo, e si asteneva, per quanto poteva, da ogni peccato che avrebbe potuto commettere. La sua coscienza non gli rimprovera nulle; ma, poiché era un uomo, si confessava peccatore, sapendo bene che Gesù, la vera luce, era il solo che non avesse commesso peccato, e nella cui bocca non sia stata mai trovata menzogna. Il Re-Profeta voleva egualmente evitare il peccato, ed esprimeva il desiderio che Dio volesse ben allontanarlo da lui. Egli voleva che si allontanasse l’obbrobrio che temeva, proprio perché aveva avuto nel suo cuore un pensiero colpevole che non aveva messo in esecuzione e che, benché fosse cancellato dalla penitenza, temeva che l’obbrobrio dimorasse nella sua anima. Egli prega dunque Dio di allontanare questo obbrobrio, Lui che solo può conoscere ciò che può malauguratamente ignorare colui che ha commesso il peccato, causa di questo obbrobrio. (S. Ambr.). – Chiedendo a Dio di allontanare da lui l’obbrobrio, egli prega Dio di eliminare dalla sua anima il peccato, che è quasi sempre seguito dall’obbrobrio. Egli non chiede a Dio di allontanare, di eliminare un peccato commesso, ma un peccato che egli suppone essere presente nella sua anima per l’infermità della sua carne; egli in effetti non dice: eliminate l’obbrobrio che è in me, ma l’obbrobrio che io ho temuto (S. Ilar.). – « Ecco che io ho desiderato di compiere i vostri comandamenti, » cioè io ho desiderato amarvi con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima e tutto il mio spirito: « Fatemi vivere, non nella mia giustizia, ma nella vostra giustizia, » vale a dire riempitemi della vostra carità che ho desiderato. Aiutatemi a fare ciò che Voi raccomandate, datemi Voi stesso ciò che comandate. Fatemi vivere nella vostra giustizia, perché io ho tutto in me per morire e non trovo che in Voi di che vivere (S. Agos.).

ff. 41-43. – « E la vostra misericordia, discenda su di me. » Il Profeta chiede qui la grazia di compiere i comandamenti di Dio, che la sua misericordia gli aveva fatto desiderare. Così non è per nostra giustizia, ma per la misericordia di Dio che ci ha fatto parte della sua giustizia alla quale ci ha condotto la sua misericordia. « Che la vostra misericordia discenda su di me, e la vostra salvezza secondo le vostre promesse. » Dapprima la misericordia, e poi la salvezza, perché la nostra salvezza è tutta intera l’opera di misericordia e della bontà di Dio. – La vostra misericordia venga su di me, perché io non posso andare da lei. Che essa scenda su di me, perché essa è sopra di me ed elevata non solo al di sopra di ogni mio merito, ma anche sopra ogni mio pensiero. – « Ed io risponderò una sola parola a coloro che mi insultano, etc. ». Il Profeta segue qui un ordine perfetto: se la vostra misericordia e la vostra salvezza scendono su di me secondo la vostra promessa, come una conseguenza necessaria, io saprò cosa rispondere a coloro che mi trattano come un insensato, che mi rimproverano l’illusione della mia speranza e il credere alla vostra parola. Che può, in effetti, opporre uno spirito senza religione a questa risposta del Profeta? Egli ha pregato Dio di accordargli la sua misericordia, attende la sua salvezza da Dio, e mostra che Dio gliela ha formalmente promessa sulla sua parola. (S. Hil.). La risposta è breve ma perentoria, che i servi di Dio devono dare alle persone del secolo che insultano talvolta la loro pietà in mezzo alle afflizioni che soffrono, come se la loro virtù, la loro pazienza fosse vana e senza fondamento; è come dire, senza turbarsi: « Io ho messo la mia speranza nella parola di Dio. » (Dug.). – « E non togliete dalla mia bocca la parola di verità. » Quale lavoro è per voi ricevere la parola di verità! Ma qual danno non meno grande se venite a perderla! Così l’Apostolo vi dice: « Non trascurate la grazia che è in voi. » (I Tim. IV, 14). La parola di verità non sia mai rimossa dalla vostra bocca, le parole non siano mai in contraddizione con le azioni, e il magistero della disciplina non sia disonorato dalle opere di iniquità. La parola di verità è rimossa quando Dio dice al peccatore: « perché divulgate le mie giustizie? » (Ps XLIX. 16). L’eloquenza più feconda diviene muta se la coscienza è malata. Gli uccelli del cielo vengono e tolgono la parola dalla vostra bocca, essi che rimuovono questa divina semenza dal terreno pietroso ed impediscono che produca frutto. (S. Ambr.). – Venga l’orgoglio umano qui a ricevere una lezione di umiltà e di modestia. Il Profeta riconosce che tutto avviene in lui per effetto della bontà di Dio, e non può perseverare se non per effetto di questa stessa bontà. Ma approfondiamo il senso di queste parole: « E non togliete dalla mia bocca per sempre la parola di verità ». Tutto il dovere della bocca è mettersi al servizio dei sentimenti dell’anima e delle affezioni del cuore. Ora, perché il Profeta chiede a Dio di non togliergli dalla bocca la parola di verità? Egli non temeva che gli fosse tolta dal cuore, perché aveva messo la sua speranza nelle parole di Dio; ma sapeva che certi peccati tolgono dalla bocca la parola di verità. Dio dice al peccatore: « Perché annunziate le mie giustizie? » (Ps. XLIX, 16). Egli non gli dice: perché avete dimenticato le mie giustizie? Ma avverte il peccatore che dimora nel suo peccato di astenersi dall’ufficio della predicazione. Perché Egli vuole che il predicatore della dottrina celeste sia puro da ogni crimine, e che le sue parole siano annunciate dalla bocca pura di un corpo amico della castità. Stiamo dunque attenti a che la parola di verità non sia mai tolta dalla nostra bocca. (S. Ilar.).   

II. — 44 – 48.

ff. 44 – 48. – Osservare la legge per un tempo solo, e non per sempre, non è osservarla bene. « E nei secoli dei secoli. » Queste ultime parole spiegano il senso di “sempre”. In effetti “sempre” talvolta si intende della durata della vita presente, ma allora non può spiegarsi con: « nei secoli dei secoli… » La legge di cui parla il Profeta è dunque quella di cui l’Apostolo dice: « La pienezza della legge è la carità. » (Rom. XIII, 10). Questa legge è osservata dai Santi, dalla bocca dei quali non è tolta la parola di verità, cioè dalla Chiesa stessa di Cristo, non solo in questo secolo, ma pure nell’altro secolo che si chiama il secolo dei secoli (S. Agost.).- Il Profeta non teme qui niente che venga a mettere fine alla sua vita, la sua fede non è racchiusa nello stretto spazio dei secoli presenti, ma essa si estende fino all’infinità dei tempi per osservare la legge di Dio … Non è dunque in causa la legge che egli osserva per un tempo; questa legge è l’ombra della legge futura, di questa vera Legge che deve essere eterna, ed è verso queste leggi dei secoli eterni che egli aspira di arrivare con i desideri del suo cuore (S. Ilar.) .- Colui che segue la via stretta ed angusta dei comandamenti di Dio « cammina al largo, » perché cammina in una carità sparsa nei nostri cuori dallo Spirito-Santo che ci è stato dato. Noi leggiamo in effetti: « È nelle angosce che avete steso lo spazio davanti a noi [ci avete liberato]. Ed allora. « Dal mezzo delle angosce io ho invocato il Signore, Egli mi ha esaudito ed ha dilatato il mio cuore (Ps. CXVII, 5). Ascoltate come l’Apostolo in mezzo alle più grandi tribolazioni, non avverte alcuna angoscia. « Noi subiamo ogni sorta di tribolazione, ma non siamo schiacciati. » (II Cor. IV, 8). Che cos’è vuol dunque dirci con questo “camminare al largo”? « O Corinti, la mia bocca si apre ed il mio cuore si dilata verso di voi. Non siete allo stretto nel mio cuore, ma io sono allo stretto nelle vostre viscere (ivi, VI, 11). essi non potevano essere allo stretto nel cuore di San Paolo, ove si trovava l’altezza della saggezza e la larghezza della fede. Ma essi erano allo stretto in se stessi, perché il peccatore è come rinchiuso in se stesso, strangolato nei lacci della propria malizia. Datemi un avaro che estende ogni giorno i limiti dei suoi campi, che ne esclude incessantemente i suoi vicini, vi sembra che sia al largo, egli che la terra può appena contenere. Guardatevi dal crederlo. Egli ha da retrocedere i limiti dei suoi territori, è rinchiuso nei limiti della sua personale stima, egli che non trova mai averne assai. Tale è colui che dice: « io camminavo al largo, » ma egli ne dà anche la causa: « perché io ho cercato i vostri comandamenti » (S. Ambr.).- Si, la ricerca assidua dei comandamenti di Dio mette il cuore al largo. Ricordiamoci ciò che giunge tutte le volte che siamo applicati alla lettura delle Sante Scritture, per scrutare ed approfondire i comandamenti ed i precetti di Dio: quale larghezza di intelligenza viene a dilatare la ristrettezza del nostro spirito, e come il nostro cuore, sì umile e piccolo, si trova ingrandito ed allargato per desiderare ed amare le cose divine. (S. Ilar.). – La grazia è sì dolce nei suoi movimenti, sì delicata in tutte le sue operazioni, che lungi dall’essere offesa ed annientata sotto la sua stretta, la natura illuminata e riscaldata dal suo soffio, dispiega tutte le sue facoltà con più facilità ed abbondanza che se fosse rimasta prigioniera nei limiti della propria sfera. Così il Cristiano fedele esclama volentieri con il salmista: « Signore io ho visto che tutto il resto era ristretto e limitato, ma la vostra legge è di una grande ampiezza. Io ho comincia a camminare in largo, perché ho osservato i vostri comandamenti, (Mgr. Pie, t. V, p. 145). –  « Io parlavo delle vostre testimonianze davanti ai re. » Questa grazia che il Profeta ha ricevuto da Dio, gli impone dei doveri. Un cuore così dilatato deve spandere con abbondanza le parole della sua divina dottrina, anche davanti ai re ed i potenti della terra, ai quali fa richiamare l’obbligo che hanno di osservare la legge di Dio come gli altri uomini, senza temere in alcun modo le conseguenze di questa santa libertà (S. Ilar.) – Esempio che ci hanno dato in tutti i tempi i Santi confessori della fede. Nostro-Signore rianima il nostro coraggio, quando dice: « Io stesso vi darò delle parole ed una saggezza alle quali tutti i vostri nemici non sapranno resistere, ed essi non potranno contraddire. » (Luc. XXI, 15). « Quando vi faranno comparire, non vi preoccupate di come parlerete, di ciò che direte; ciò che dovete dire vi sarà dato in quel momento. » (Matth. X, 19). –  « Ed io ho meditato incessantemente i vostri comandamenti. » Sottolineiamo questo ordine ammirevole: fare dapprima dei precetti con cui amiamo il soggetto delle nostre continue meditazioni; perché è per effetto di questa costante meditazione che contraiamo l’abitudine della pratica delle buone opere. Ugualmente in effetti, la fine della meditazione delle parole è il conservarne il ricordo nella nostra memoria; così la fine della meditazione dei precetti divini, è la pratica ed il compimento di questi comandamenti, che non si può compiere che amandoli! (S. Ambr.). –  Il Profeta ha doppiamente amato i comandamenti di Dio e con il pensiero e con l’azione; perché in ciò che riguarda il pensiero, egli ha detto: « Io meditavo sui vostri comandamenti; » e quanto all’azione: « Io ho alzato le mani verso i vostri comandamenti. » Ma a ciascuna di queste parole egli ha aggiunto: « che io ho amato, » perché la fine del precetto è la carità che viene da un cuore puro.  (I Tim. I, 15), (S. Agost.). – Non è dunque molto che noi parliamo con libertà dei comandamenti di Dio davanti ai grandi della terra, questi comandamenti devono essere l’oggetto delle nostre continue meditazioni. Ma questa meditazione non è veramente utile se non quando amiamo la legge che meditiamo. Ed ancora, né questa meditazione, né questo amore sono sufficienti se non sono seguiti da una volontà ferma di compiere la legge di Dio e del frutto delle buone opere. (S. Ilar.).

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SALMI BIBLICI: “BEATI IMMACULATI IN VIA” (CXVIII – 1)

SALMO CXVIII (1): BEATI IMMACULATI IN VIA

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (1)

Questo salmo alfabetico, è diviso in ventidue strofe, che comprendono ognuna otto versetti tutti inizianti con la stessa lettera. Questa disposizione simmetrica piace allo spirito, serve a coprire l’aridità di un insegnamento didattico, e soprattutto allevia la memoria. – Si trovano in questo salmo undici parole differenti per designare la legge di Dio; esse sono: Lex, testimonia, viæ mandata, justificationes, mandatum, præceptum, judicium, verbum, sermo, eloqtiium, veritas, justitia. Salvo il versetto 122, non ce n’è alcun altro ove non compare almeno una di queste parole. (Le Hir.). In questo salmo CXVIII, in cui Davide parla tanto bene della legge di Dio, si è marcato: che egli la chiama sia con il nome di comandamento, che con il nome di consiglio; talvolta la nomina: un giudizio, e talvolta: una testimonianza. Ma ancora questi quattro termini non significano altra cosa che la Legge di Dio; tuttavia bisogna osservare che i due primi gli sono propri per il secolo in cui siamo, e che gli altri due gli convengono meglio in Colui che attendiamo. Nel corso del secolo presente, questa stessa verità di Dio, che ci appare nella sua legge, è insieme un comandamento assoluto ed un consiglio caritatevole. Essa è un comandamento che racchiude la volontà di un sovrano; essa è anche un consiglio che si propone come l’avviso di un amico. I predicatori del Vangelo fanno apparire la legge di Dio in queste due auguste qualità: in qualità di comandamento, in quanto necessaria ed indispensabile, ed in qualità di consiglio, in quanto utile e vantaggiosa. Che se, mancando per uno stesso crimine a ciò che dobbiamo a Dio, ed a ciò che dobbiamo a noi stessi, noi disprezziamo tutto insieme, sia gli ordini di questo Sovrano, sia i consigli di questo amico, allorché questa stessa verità, prendendo nel suo tempo altra forma, sarà una testimonianza per convincerci, ed una sentenza ultima per condannarci. (BOSSUET, Sur la Prédic. évang.)

DIVISIONE GENERALE.

Davide, considerando in questo salmo – di cui nulla ce ne determini l’epoca – la legge dei comandamenti di Dio, sotto la figura di una strada, di un cammino, che l’uomo deve percorrere per arrivare al cielo, chiede a Dio di essere per lui:

I. – un dottore che gli mostri la buona strada, ed un maestro, un precettore che lo allontani dalla cattiva strada;

II. – una guida che lo preceda in questa buona via;

III. – un compagno di viaggio che addolcisca per lui le amarezze e le pene della strada;

IV. – un benefattore vigilante che fornisca tutto ciò che è necessario alla vita spirituale di un viaggiatore;

V. – un sostegno, un medico saggio che ripari le forze del viaggiatore spossato dalla fatica;

VI. – un amico fedele che scopra le trappole del nemico;

VII. – un aiuto, un ausiliario benevolo contro i loro attacchi;

VIII. – un padre misericordioso che si prenda cura delle ferite e punisca il nemico per le sue ingiuste aggressioni;

IX. – un salvatore che lo liberi interamente da ogni pericolo;

X. – un remuneratore che lo ricompensi e lo incoroni dopo il combattimento.

I. – In effetti, quando intraprendiamo un viaggio, abbiamo bisogno che ci si indichi la strada per arrivare più in fretta e con sicurezza al termine, e ci occorre un precettore chiaroveggente che impedisca di allontanarci dalla retta via.

II. – Noi abbiamo bisogno di una guida che ci preceda per rassicurarci contro tutti i timori di deviare.

III. – Ci occorre un compagno di viaggio per temperare con le sue dolci conversazioni le pene e le noie della strada.

IV. – Un benefattore non è meno necessario per i poveri viaggiatori che non possono sopperire da se stessi ai costi del cammino.

V. – Se il viaggiatore sta per soccombere alla fatica, bisogna che si venga in suo soccorso, e che se ne riparino le forze esaurite.

VI. – Non di meno c’è bisogno di un amico fedele che gli scopra tutte le insidie che il nemico abbia potuto seminare sulla sua via.

VII. – Se si ingaggia la lotta, ha bisogno di un valido aiuto, un ausilio per difendersi dalle aggressioni dei suoi nemici.

VIII. – Se riceve delle gravi lesioni nello scontro, c’è bisogno della mano di un padre per curargli le ferite e restituirgli la salute.

IX. – Egli ha bisogno infine di un salvatore che lo liberi da ogni pericolo e lo ponga in un luogo sicuro.

X. – Infine, a combattimento ultimato, bisogna che il giusto remuneratore di tutti i suoi lavori, delle sue lotte, gli dia una ricompensa e la corona che meriti.

(Questa divisione in 16 versetti, ad eccezione della prima, che ne contiene 32, ha inoltre il vantaggio di essere quella che la Chiesa ha adottato per la recita di questo salmo nei suoi uffici; la giustezza di questa divisione apparirà molto più chiaramente nell’analisi dettagliata che stiamo per dare di ognuna di queste divisioni generali).

SEZIONE I.

Alleluja.

ALEPH.

[1] Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini.

[2] Beati qui scrutantur testimonia ejus, in toto corde exquirunt eum.

[3] Non enim qui operantur iniquitatem in viis ejus ambulaverunt.

[4] Tu mandasti mandata tua custodiri nimis.

[5] Utinam dirigantur viae meæ ad custodiendas justificationes tuas!

[6] Tunc non confundar, cum perspexero in omnibus mandatis tuis.

[7] Confitebor tibi in directione cordis, in eo quod didici judicia justitiæ tuæ.

[8] Justificationes tuas custodiam; non me derelinquas usquequaque.

BETH.

[9] In quo corrigit adolescentior viam suam? in custodiendo sermones tuos.

[10] In toto corde meo exquisivi te; ne repellas me a mandatis tuis.

[11] In corde meo abscondi eloquia tua, ut non peccem tibi.

[12] Benedictus es, Domine; doce me justificationes tuas.

[13] In labiis meis pronuntiavi omnia judicia oris tui.

[14] In via testimoniorum tuorum delectatus sum, sicut in omnibus divitiis.

[15] In mandatis tuis exercebor, et considerabo vias tuas.

[16] In justificationibus tuis meditabor: non obliviscar sermones tuos.

GHIMEL.

[17] Retribue servo tuo, vivifica me, et custodiam sermones tuos.

[18] Revela oculos meos, et considerabo mirabilia de lege tua.

[19] Incola ego sum in terra, non abscondas a me mandata tua.

[20] Concupivit anima mea desiderare justificationes tuas in omni tempore.

[21] Increpasti superbos; maledicti qui declinant a mandatis tuis.

[22] Aufer a me opprobrium et contemptum, quia testimonia tua exquisivi.

[23] Etenim sederunt principes, et adversum me loquebantur; servus autem tuus exercebatur in justificationibus tuis.

[24] Nam et testimonia tua meditatio mea est; et consilium meum justificationes tuae.

DALETH.

[25] Adhæsit pavimento anima mea; vivifica me secundum verbum tuum.

[26] Vias meas enuntiavi, et exaudisti me; doce me justificationes tuas.

[27] Viam justificationum tuarum instrue me, et exercebor in mirabilibus tuis.

[28] Dormitavit anima mea prae taedio; confirma me in verbis tuis.

[29] Viam iniquitatis amove a me, et de lege tua miserere mei.

[30] Viam veritatis elegi; judicia tua non sum oblitus.

[31] Adhaesi testimoniis tuis, Domine; noli me confundere.

[32] Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (1).

Encomio della legge di Dio ed esortazione a custodirla,con intramezzo di varii affetti e suppliche a Dio. È Salmo che avanza gli altri in utilità, essendo tutto morale ed esortatorio a serbar la legge divina: in lunghezza essendo di 176 versetti e in artificio, cominciando i primi otto versetti dalla prima lettera dell’alfabeto ebraico, gli altri otto dalla seconda, e cosi per le 22 lettere. Sembra composto da cantare per via, quando il popolo nelle tre solennità dell’anno si recava al tabernacolo. La legge di Dio, ad impedire il tedio, è chiamata con diversi nomi di testimonianze, giudici, giustificazioni, precetti, mandati, giustizie, sermoni, parole di Dio.

Alleluja. Lodate Dio.

ALEPH.

1. Beati quelli che nella via (del Signore) son senza macchia, che nella legge del Signore camminano.

2. Beati quelli che le testimonianze di lui investigano, lui cercano con tutto il cuore.

3. Imperocché quei che operano l’iniquità, nelle vie di lui non camminano.

4. Tu hai comandato che i tuoi comandamenti sien custoditi con grande esattezza.

5. Piaccia a te che sieno indirizzati i miei passi all’osservanza di tue giustificazioni.

6. Allora io non sarò confuso, quando sarò stato intento a tutti i tuoi precetti.

7. Con cuor sincero a te darò laude dell’aver io imparati i giudizi di tua giustizia.

8. Custodirò le tue giustificazioni: non abbandonarmi fino all’estremo.

BETH.

9. Per qual maniera corregge il giovinetto le sue inclinazioni? in osservando le tue parole.

10. Te io ho cercato con tutto il cuor mio; non permettere ch’io declini dai tuoi comandamenti.

11. Nel cuor mio riposi le tue parole, per non peccare contro di te.

12. Benedetto se’ tu, o Signore; insegna a me le tue giustificazioni.

13. Colle mie labbra ho annunziati tutti i giudizi della tua bocca.

14. Nella via de’ tuoi precetti ho trovato diletto, come in lutti i tesori.

15. Mi eserciterò ne’ tuoi comandamenti, e considererò le tue vie.

16. Mediterò le tue giustificazioni: ì tuoi parlari non porrò in oblivione.

GIMEL

17. Fa mercede al tuo servo, dammi vita: e osservi io le tue parole.

18. Togli il velo a’ miei occhi, e considererò le meraviglie della tua legge.

19. Pellegrino sono io sopra la terra; non celare a me i tuoi precetti.

20. L’anima mia bramò di desiderare le tue giustificazioni in ogni tempo.

21. Facesti minaccia a’ superbi; maledetti quei che declinano dai tuoi precetti.

22. Toglimi all’obbrobrio e al disprezzo, perché le tue giustificazioni ho cercalo con ansietà.

23. Imperocché si mettevano a sedere i principi, e parlavano contro di me; ma il tuo servo si esercitava nelle tue giustificazioni.

24. Imperocché e i tuoi comandamenti sono la mia meditazione, e le tue giustificazioni sono i miei consiglieri.

DALETH.

25. L’anima mia al suolo è distesa; dammi vita secondo la tua parola.

26. Esposi (a te) le mie vie, e tu mi esaudisti; insegna a me le tue giustificazioni.

27. La via dimostrami dei tuoi comandamenti, e contemplerò le tue meraviglie.

28. Assonnò, vinta dal tedio, l’anima mia; colle lue parole dammi vigore.

29. Rimuovi da me la via dell’iniquità, e fammi misericordia, perch’io adempia la tua legge.

30. Elessi la via della verità; non mi sono scordato de’ tuoi giudizi.

31. Mi appoggiai a’ tuoi insegnamenti: Signore, non voler ch’io resti confuso,

32. Corsi la via de’ tuoi comandamenti, quando tu dilatasti il cuor mio.

Sommario analitico

I. – SEZIONE. – 1-16

Il Re-Profeta domanda a Dio di essere per lui un dotto che gli insegni la buona strada:

I.- Egli considera fin dall’inizio: il fine della legge, il termine della via, cioè la beatitudine.

1° che ottengono non i ricchi, o i felici del mondo, ma: – a) coloro che sono senza macchia; – b) coloro che con le loro opere buone camminano nella legge del Signore; – c) coloro che, non contenti di un’osservanza esteriore della legge, approfondiscono, scrutano incessantemente le lettere sante con uno studio serio dello spirito, coloro che fanno le loro escursioni favorite e le loro passeggiate di delizie attraverso i campi della legge di Dio, e nel giardino delle sue Scritture; – d) quelli che la ricercano con gli sforzi della loro volontà e del loro cuore per farne la regola della loro condotta (1, 2);

2° Dalla quale sono esclusi i peccatori che,

a) Con i loro peccati commessi operano l’iniquità;

b) con i loro peccati di omissione non camminano nella via del Signore, e non osservano i suoi comandamenti (3).

II. – Egli considera il direttore di questa vita, cioè Dio, che prescrive ai viaggiatori il cammino che essi debbano seguire.

1° Egli chiede a Dio di dirigere le sue vie (5);

2° Sotto questa saggia direzione, si ripromette una viaggio felice, e di evitare la confusione da cui saranno coperti coloro le cui azioni non hanno come regola la volontà del Creatore (6).

3° Promette di cantare le lodi di Colui che lo ha istruito e diretto; rettitudine di cuore necessaria perché le azioni siano rette (7);

4° Si ripromette di osservare fedelmente le leggi che gli ha imposto, promettendo di non abbandonarle mai (8).

III. – Egli considera se stesso un viaggiatore in questa via dei comandamenti di Dio.

1° convinto che non possa dirigere con sicurezza la sua via, preso com’è da tutto l’ardore e le passioni giovanili, riconosce di non potere arrivare a questo risultato se non osservando la legge di Dio (9).

2° Dichiara che cerca Dio con tutto il suo cuore, e gli domanda la forza di spirito sufficiente per studiare, approfondire, osservare i suoi comandamenti: dipendenza continua da Dio, tutta la sicurezza di questa vita consiste nel non vivere in sicurezza (10).

3° Per evitare la via di coloro che operano l’iniquità, egli osserverà la legge di Dio in fondo al suo cuore (11).

4° Per osservare sicuramente i comandamenti di Dio, egli domanda a Dio stesso di insegnarglieli (12).

5° Il frutto di questo insegnamento divino sarà l’annunciare agli altri le ordinanze che la bocca di Dio stesso gli ha rese note (13).

6° Agendo così egli trova la sua gioia, non solo nei comandamenti, ma nella via e nell’osservazione dei comandamenti che egli pone nella sua stima al di sopra di tutte le ricchezze (14).

7° Come prova che voglia con tutto il cuore darsi allo studio della legge di Dio, egli promette di esercitare il suo spirito nella meditazione dei suoi comandamenti, nella considerazione delle sue vie e nel non dimenticarle mai (15, 16).

I SEZIONE  (SEGUITO). — 17-32.

Il Profeta chiede a Dio di essere per lui un maestro, un precettore che lo ritragga dalla cattiva strada.

I. – Egli indica gli ostacoli intrinsechi ed estrinsechi che incontra in questa via dei comandamenti di Dio:

I –  Ostacoli intrinseci:

a) il languore e la morte dell’anima, per cui prega Dio di allontanarli da lui, non rendendogli ciò che merita, ma dandogli la vita (17);

b) l’accecamento di spirito, seguito naturale delle passioni e delle false massime del mondo: prega Dio di dissiparlo, desidera innanzitutto di vivere la vera vita, ed in seguito di vedere le meraviglie della legge e di avere più preoccupazione dell’anima che della scienza (18);

c) l’ignoranza della regione che percorre, egli è straniero quaggiù e cerca la sua patria, non sulla terra, ma in cielo (19);

d) la debolezza della volontà che si limita spesso al desiderio, se pur essa desidera ancora! Ma essa vuole solo desiderare (20). [Sant’Ambrogio da un altro senso che noi pure ammetteremo volentieri].

e) L’orgoglio che rifiuta di umiliarsi e che Dio punisce con le sue maledizioni (21).

II. – Ostacoli estrinseci: le derisioni e gli oltraggi ai quali sono esposti coloro che sono fedeli osservanti della Legge di Dio, soprattutto da parte di coloro che, più elevati nel mondo, professano un sovrano disprezzo per coloro che sono piccoli davanti a Dio. – Osservare i comandamenti di Dio, malgrado tutte queste difficoltà, meditare assiduamente i suoi precetti e consultarli come degli oracoli infallibili (22-24).

II. – Bisogna conoscere i due grandi danni nell’allontanarsi dalla via retta:

1° Il suo attaccamento alla terra con il peso della concupiscenza, che abbassa i desideri verso le cose terrene: egli chiede a Dio di strapparlo da esso, rendendogli vita e forza (25), e dà due motivi di appoggio alla sua preghiera:

a) ha riconosciuto e confessato le sue deviazioni (26);

b) è disposto a condurre una vita più fervente dopo che Dio, al quale espone le sue vie, gli avrà insegnato le sue (27).

2° L’assopimento spirituale della sua anima per la lassezza, la tiepidezza, ed il disgusto; egli prega Dio di risvegliarlo, di confermarlo con la sua grazia (28).

III. – Egli esprime il desiderio di rientrare nella buona strada, e chiede a Dio di ricondurvelo per effetto della sua misericordia (29), ed appoggia la sua preghiera su tre ragioni:

1° ha scelto con il soccorso di Dio la via della verità, e per non levarsi da questa via, ha sempre davanti agli occhi i giudizi di Dio (30);

2° ha creduto e si è legato ai suoi comandamenti (31);

3° ha corso con ardore nella via dei comandamenti di Dio, grazie al soccorso che ne ha ricevuto.

Spiegazioni e Considerazioni (1)

(1) [Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e San Ilario, hanno scritto sul salmo CXVIII, dei veri trattati, contenenti le più belle considerazioni, ma in cui, come in Sant’Ambrogio soprattutto, vi sono molti sviluppi che non hanno un rapporto diretto con il salmo. È da questi tre grandi Dottori che abbiamo tratto la maggior parte delle spiegazioni e considerazioni che seguono. Sant’Ilario vi figura in parte minore, perché per la maggior parte, riproduce sotto altra forma, le spiegazioni di Sant’Agostino e di Sant’Ambrogio].

Ia SEZIONE

 I. — 1-3

ff. 1-3. – Cinque cose vengono fuori per noi da questo primo versetto: 1° noi dobbiamo essere senza macchia; 2° questo è necessario lungo la via; 3° bisogna camminare; 4° nella via del Signore; 5° costoro sono felici, coloro che sono senza macchia e camminano in questa via. – Il Re-Profeta contempla in spirito i frutti della passione e della resurrezione di Gesù-Cristo; egli vede le assemblee dei giusti, i popoli riscattati dal sangue del Salvatore, la salvezza di coloro che erano perduti, la resurrezione dei morti, la santificazione delle anime, frutti preziosi dei Sacramenti, ed esclama: « Beati coloro che sono in via senza macchia. » Ed aggiunge: « Beati coloro che scrutano le testimonianze del Signore. » Qual ordine ammirabile! Come è pieno di dottrina e di grazia. Egli non ha cominciato con il dire: « Beati coloro che scrutano le sue testimonianze, » ma in primo luogo: « Beati coloro che sono senza macchia lungo la via. » Il nostro primo oggetto è una vita santa; la dottrina, la scienza non vengono che al secondo posto. Una buona vita senza dottrina può essere gradita a Dio; la dottrina senza una vita santa non può piacergli, dice lo Spirito-Santo; la saggezza non entrerà in un’anima che vuole il male. (S. Ambr., e S. Ilar.). – Ma chi è senza macchia? Non è sufficiente per questo, camminare in una via qualunque, bisogna camminare in Gesù-Cristo, che ha detto: « Io sono la via. » (Giov. XIV, 6). Colui che cammina in questa via non si ingannerà, se tuttavia prenda cura di non allontanarsene. Questa via è anche la legge: colui che è senza macchia deve camminare nella via del Signore, se vuole conservare questa preziosa purezza dell’anima (S. Ambr.). – Un’osservazione esteriore della legge non è sufficiente; c’è bisogno di aggiungere la conoscenza di questa legge, conoscenza che è il frutto di uno studio approfondito, di sforzi perseveranti dello spirito  e del cuore (S. Chrys., omel. XXIV, in Gen.). – Al primo versetto il salmista non parla che di una via; qui ne menziona diverse. Egli vuole insegnarci che queste vie multiple devono ricondurci ad un’unica via, ove dobbiamo essere senza macchia, se vogliamo essere beati. Il profeta Geremia si esprime negli stessi termini: « Ecco ciò che dice il Signore: tenetevi sulle strade; considerate e domandate quali siano i sentieri antichi, per conoscere una buona strada e camminarvi. » (Gerem. VI, 16). Vi sono diverse vie che sono le vie del Signore: bisogna scegliere la migliore tra esse. – Vi sono più vie, diversi comandamenti di Dio, diversi Profeti attraverso i quali giungiamo ad un’unica via. C’è una via da Mosè, una via da Gesù, una via da Davide, una via da Isaia, una da Geremia, una dagli Apostoli, e tutte queste vie devono condurci a Colui che ha detto: « Io sono la via; nessuno viene al Padre mio se non attraverso di me. (Giov. XIV, 6); (S. Ilar.). – Se coloro che camminano nella via, cioè nella legge del Signore, sono coloro che scrutano le sue testimonianze e le ricercano con tutto il loro cuore, sicuramente coloro che commettono l’iniquità non scrutano le sue testimonianze. E tuttavia noi sappiamo che certi fautori di iniquità, scrutano le testimonianze del Signore, perché preferiscono essere sapienti più che giusti. Noi sappiamo ancora che altri scrutano le testimonianze del Signore, non che al presente vivano nella giustizia, ma per sapere come debbano vivervi. Questi uomini non camminano dunque senza macchia nella legge del Signore … È perché lo Spirito Santo sapeva che molti scrutano le testimonianze di Dio, non per tenerle proprie, ma per altri motivi, che ha aggiunto, « … e che la cercano con tutto il cuore » per farci conoscere come e in quale spirito noi dobbiamo scrutare le testimonianze del Signore (S. Agost.).  

II. — 4 – 8.

ff. 4-8. – Dio comanda non solo di leggere ed imparare a conoscere i suoi comandamenti, ma di osservarli ed osservarli attentamente. – Chi è colui che ordina, cosa ordina, e qual è la cosa che ordina? – Lungi da noi questa orgogliosa presunzione che ci fa contare sulle nostre forze per osservare la legge di Dio; « Io so, Signore, che la via dell’uomo non è in lui, e non appartiene all’uomo di camminare e dirigere da se stesso i suoi passi. » (Gerem., X, 23). Pregate dunque pure voi il Signore, perché diriga i passi della vostra anima, e possiate così osservare i suoi comandamenti (S. Ambr.). –  Ascoltando queste parole: « Possano le mie vie! » riconosciamo un grido di desiderio, ed ascoltando questo grido di desiderio, abbandoniamo ogni orgoglio di presunzione; perché cosa esprime mai il desiderio di una cosa che si ha talmente sotto mano, che non c’è alcun bisogno di aiuto per arrivarvi? (S. Agost.).- Vogliamo evitare questa spaventosa confusione dalla quale saranno ricoperti i riprovati nel gran giorno del giudizio? Osserviamo i comandamenti del Signore, ed osserviamoli senza eccezione; perché a cosa serve obbedire ad un comandamento quando se ne trasgredisce un altro? (Giac. II, 10; S. Ambr. e S. Ilar.). Non si tratta qui di una considerazione oziosa, speculativa, che non può che nutrire le illusioni dell’amor proprio, ma di una considerazione pratica che si manifesta con degli effetti. – Colui che crede di avere l’intelligenza della legge di Dio senza che ami maggiormente Dio, senza che annunzi le sue lodi, senza indirizzare incessantemente il suo cuore a questa legge sovranamente equa, è ancora in una ignoranza profonda. Quando si raddrizzano i loro piedi, essi camminano; quando si raddrizza il cuore, amano e lodano Dio.   

III. — 9-16.

ff. 9-16. – Quanto è difficile alla gioventù vivere nella purezza e nell’innocenza! Le passioni, le  inclinazioni della carne sono in tutta la loro forza, i mezzi di seduzione sono più numerosi e più potenti; la gioventù non ha né prudenza, né esperienza, e segue ciecamente il torrente del mondo, perché ne ignora la corruzione. Come vincere queste difficoltà tutte insieme? Con l’osservazione esatta dei comandamenti fuoriusciti dalla bocca di Dio. – Se Dio respinge dai suoi comandamenti colui che giudica doverli respingere, non dà un motivo di scusa a colui che è stato respinto quando voleva seguirlo? No, perché Dio, buono per essenza, e che non vuole la morte, ma la conversione e la vita del peccatore, non rigetta che colui che meriti di essere rigettato, perché compie l’opera di Dio negligentemente. Unico mezzo per evitare questa punizione, è cercare Dio con tutto il cuore (S. Ambr. E S. Ilar.). – È sovranamente desiderabile che l’uomo, in ogni età della vita, si distacchi dai vizi della natura corrotta per applicarsi alla pratica di una vita innocente e pura; ma il Profeta non attende di essere invecchiato in una lunga abitudine al crimine, per imparare la dottrina ed i precetti del Signore … egli non attende le freddezze della vecchiaia, in cui l’abitudine al male si spegne, per così dire, con la vita. Egli vuole un soldato che abbia a sostenere lunghe battaglie; Egli vuole per servo di Gesù-Cristo colui il cui spirito sia puro, anche dei ricordi dei suoi falli passati; perché nell’animo di coloro che hanno abbracciato la fede e la vita cristiana in età avanzata, la grazia ha ben deposto il perdono dei peccati, ma non ha potuto cancellare il triste ricordo dei crimini della vita antica (S. Ilar.). « È bene nascondere il segreto del re, » ed è peccare contro Dio rivelare a degli indegni i misteri segreti che ci sono stati confidati, e gettare le perle davanti ai porci (Matth. XIII, 44). C’è dunque pericolo per noi, non soltanto nel parlare contro la verità, ma nel dire la verità senza discrezione e senza prudenza, ciò che si fa sotto l’influenza dell’adulazione, dell’avarizia, della vanità o dell’indiscrezione abituale della lingua. (S. Ambr.). – La parola di Dio è una semenza divina che deve restare nascosta nel fondo della nostra anima, per produrvi il frutto che Dio ha il diritto di attendersi. Ed il primo frutto è la fuga dal peccato. – « Non chi dirà Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che avrà fatto la volontà di Dio ». Così il Profeta che ha seguito la via retta dalla sua giovinezza, che ha cercato il Signore suo Dio, che Dio non ha respinto dai suoi comandamenti, che ha giudicato degno delle sue intime comunicazioni, e che ha rinchiuso nel suo cuore i segreti della saggezza per non peccare contro Dio, rende grazie a Dio, ed esprime i desiderio di averlo come dottore e come maestro (S. Ambr.). – Dio è il solo maestro capace di insegnarci e di istruirci utilmente. –  Tuttavia, la parola di Dio non deve essere per sempre nascosta nel fondo del cuore. « Noi crediamo con il cuore per nostra giustificazione, e confessiamo con la bocca per la nostra salvezza. » (Rom. X, 10). Dopo aver tratto profitto per noi stessi da questa divina parola bisogna farne profittare gli altri: « Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo, perché le tue sorgenti non scorrano al di fuori, i tuoi ruscelli nelle pubbliche piazze. »  (Prov. V, 15). L’Apostolo S. Paolo vuole che i Cristiani, e a maggior ragione i predicatori, siano delle riserve piene ed abbondanti per versarsi in seguito sugli altri: «  La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza. » (Colos. III, 16). – Un Prete, un pastore di anime deve insegnare nei suoi discorsi, non delle vane curiosità e ricerche sottili, ma i precetti, tutti i giudizi che Dio ha volute farci conoscere. – « I giudizi della vostra bocca, » non di conseguenza questi giudizi che sono un abisso profondo, (Ps. XXXV, 7) e di cui San Paolo ha detto: « I giudizi di Dio sono insondabili. » (Rom. XI, 32), ma « i giudizi usciti dalla bocca di Dio, » e che Egli si è degnato rivelare con i suoi profeti (S. Ilar.). – Gli uni mettono la loro gioia nei tesori in cui hanno accumulato oro ed argento, gli altri nei vestiti sfarzosi, questi in ampi possedimenti, in campi coperti da abbondanti messi; questi nei capolavori della pittura, della scultura; l’uomo spirituale mette tutta la sua gioia nella via delle celesti testimonianze, come se possedesse i patrimoni più ricchi, nel senso dell’Apostolo (I Cor., III, 4, 5). « Io rendo grazie al mio Dio per tutte le ricchezze di cui siete stato ricolmi in Lui in tutta parola ed in tutta scienza. » (S. Ambr.). –  L’analogia dei misteri rivelati con i fatti constatati e le leggi riconosciute dell’ordine naturale; gli spazi vuoti della grazia divina disseminati nell’intera natura; il nome tre volte Santo di Dio scritto su tutta la terra con caratteri ammirevoli; le vestigie della Trinità e dell’incarnazione impresse dappertutto; le aspirazioni, le aspettative che non si sospettano neppure, risvegliate e soddisfatte tutte insieme da questa rivelazione divina ed il mondo nuovo che essa ci scopre; le convenienze segrete dei due ordini; l’unione pienamente ordinata di realtà sì distinte e naturalmente sì separate; l’armonia intrinseca e l’ineffabile bellezza dei misteri stessi; infine i presentimenti intellettuali con cui la contemplazione ci dà le evidenze abbaglianti che ci sono riservate lassù: sono là i nostri tesori domestici, tesori di cui la fede ci mette d’insieme in possesso e che la ragione, illustrata e fortificata da essa, non cessa di aprirci. Cosa che ci permette di dire con il salmista: « O Dio! Io mi sono dilettato nella via delle vostre testimonianze, come in seno a tutte le ricchezze » (Mgr. Pie, T. VII, 243). – Sei cose soprattutto sono per noi causa di vera gioia nella via dei comandamenti di Dio: – 1° il pensiero della patria alla quale tendiamo; – 2° la corona che speriamo; – 3° la grazia che ci è data; – 4° la luce che ci illumina; – 5° la pace interiore di cui godiamo; – 6° di Gesù-Cristo che si fa compagno e guida della nostra via. – « Io mi eserciterò nella meditazione dei vostri comandamenti. »  Doppio esercizio dell’azione e del pensiero. L’azione, la pratica dei comandamenti deve precedere la meditazione, la considerazione delle vie di Dio; perché se la pratica delle buone opere non precede, ci sarà impossibile giungere alla conoscenza della dottrina (S. Ilar.). « Ed io metterò le vostre giustizie. » Il Profeta ci insegna qui non solo a non perdere il ricordo dei comandamenti di Dio, ma ad aggiungere la pratica alla meditazione; perché non sono coloro che discutono sulla legge, senza fare ciò che essa comanda, che saranno giustificati, ma coloro che  la compiono fedelmente. (S. Ambr.).

Ia SEZIONE (Seguito).

 I — 17-24.

ff. 17-21. – « Rendete questa grazia al vostro servo. » Non c’è né presunzione, né temerarietà da parte di Davide nel chiedere a Dio che gli renda la ricompensa delle sue opere buone. È una prerogativa della fede e della giustizia contare sulla ricompensa che loro riserva il favore divino. Ascoltate San Paolo che dopo aver proclamato più in alto (I Cor. XV, 9), dice in un’altra Epistola: « Del resto, la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice mi renderà in questo giorno, mi è riservata (II Tim. IV, 8; S. Ambr.). – Si, è giustizia del patto di Dio, quando Egli rende il bene per il bene; ma la misericordia ha preceduto questa giustizia, allorché Dio ha reso il bene per il male … se colui che prega e dice: « Rendete al vostro servo la vita, ed io vivrò, fosse interamente morto, egli non avrebbe pregato; egli ha dunque ricevuto un inizio di santi desideri da Colui al quale ha domandato la vita per obbedirgli (S. Agost.). – Chiedete dunque con fiducia se i vostri meriti vengono in appoggio alla vostra preghiera, affinché questa preghiera vi porti anche a rendervi più degni di ciò che domandate … tuttavia per affievolire ciò che questa domanda sembrerebbe di avere di presuntuoso, il Re-Profeta dice: « Rendete al vostro servo, » espressione che riassume nel contempo la grazia dell’umiltà e la ricompensa della servitù, perché colui che è chiamato al servizio del Signore, diviene suo affrancato, riscattato com’è da questo Sangue prezioso. Colui dunque che è il servitore del Signore, e non fa nulla come schiavo del peccato, ma che ha detto a Dio: « Io sono un servo inutile, ho fatto ciò che dovevo fare, costui può dire con sicurezza: « Rendete al vostro servo. » (S. Ambr. e S. Ilar.).- Chi può domandare altra cosa che la vita, colui che indirizza la sua preghiera all’Autore della vita, che è la vita di coloro che lo amano, che solo possono ridarla a coloro che l’hanno perduta, o aumentarla in coloro che l’hanno conservata? – « Togliete il velo che è sui miei occhi. » Chiedendo a Dio di aprirvi gli occhi, il profeta riconosce che essi sono appesantiti ed oscurati. Non si fa ricorso al medico se non per applicare il rimedio sulla parte malata. Egli dice dunque al Medico disceso dal cielo: « Togliete il velo che è sui miei occhi. » Come per gli occhi del corpo, vi sono certe affezioni, certe passioni che oscurano gli occhi dell’anima, riempendoli di un umore spesso che vela loro la vista degli oggetti che avevano percepito fino ad allora, e le meraviglie rinchiuse nella legge di Dio … Ora voi sapete come potete togliere questo velo che resta sugli occhi del vostro cuore: convertitevi al Signore ed il velo cadrà (S. Ambr.). – Noi otterremo che questo velo sia tolto dai nostri occhi con la preghiera, con l’umile riconoscenza ed il rigetto dei nostri peccati, con la tribolazione che sovente ci dà l’intelligenza (Isai. XXVIII, 19); con la mortificazione volontaria. – « Io sono come uno straniero sulla terra. » Non è concesso a tutti il potere di dire a Dio con il Re-Profeta: « Io sono straniero sulla terra. » Può farlo solo colui che ha rinunciato a tutte le voluttà sensuali; chi si è spogliato da ogni affezione alle cose visibili. Solo costui è veramente straniero sulla terra per poter dire con l’Apostolo: « … noi viviamo già nel cielo, » (Phil., III, 16), che considera Dio solo come sua eredità, che si affligge e si dispiace di vivere così lungo tempo sulla terra, e vedere il suo esilio prolungarsi, che non teme la dissoluzione del proprio corpo, e spera con fiducia che sarà, alfine, per sempre, con Gesù-Cristo. Ecco il vero straniero sulla terra, egli è il cittadino dei Santi, è della casa di Dio, ed ha il suo tesoro nei cieli (S. Ambr.). – Tutti, fintantoché Cristiani, siamo poveri banditi che, relegati in un pellegrinaggio continuo, deplorando incessantemente la miseria dei nostri peccati che ci ha fatto perdere la dolcezza e la libertà della nostra aria nativa, da sola capace di riparare le nostre forze perdute e ristabilire la nostra salute quasi disperata. Tuttavia, ciò che addolcisce le difficoltà e gli incomodi del nostro esilio, sono le lettere che riceviamo dalla nostra patria beata. Queste lettere, sono le Scritture divine che il nostro Padre celeste ci indirizza mediante il ministero dei suoi Profeti e dei suoi Apostoli, ed anche del suo caro Figlio che ha inviato sulla terra per riportarci delle nuove dal nostro paese, e darci la speranza di un rapido e felice ritorno … Ecco perché il profeta Davide si rivolgeva al suo Dio tra i sospiri amorosi: « O Signore, vedete che sono uno straniero sulla terra; almeno non mi rifiutate questa unica consolazione di meditare la vostra santa parola. » (BOSSUET, Sur le mél. des bons avec les méch.). – « La mia anima ha agognato di desiderare i vostri ordini. » Io credo che non li desiderava ancora quando ambiva desiderarli. I giusti ordini del Signore producono le azioni giuste, cioè le opere di giustizia. Se dunque colui che desidera queste opere non le compie ancora, quanto ne è più lontano colui che desidera solamente desiderarle, e quanto ancor più lontano colui che non ha neppure questo desiderio! (S. Agost.). – Sant’Ambrogio dà una spiegazione più verosimile di questo versetto. Così come vivere della “vita” esprime una vita più perfetta della semplice vita, così l’espressione “desiderare il desiderio dei comandamenti” significa un desiderio più ardente del semplice desiderio dei suoi comandamenti. Noi desideriamo desiderare come se questo desiderio non fosse in nostro potere, ma dipendesse dalla grazia di Dio. In effetti quando il Signore vede che noi riponiamo tutta la nostra gioia nella santa concupiscenza che ci fa desiderare i suoi comandamenti, Egli aumenta in noi questo desiderio con la sua grazia (S. Ambr.). – Desiderare, amare la legge di Dio in ogni tempo ed in tutti gli incontri. – « Voi avete fatto manifesti i vostri rimproveri contro i superbi, i maledetti che si allontanano dai vostri comandamenti. » Altra cosa in effetti, è il non compiere i comandamenti di Dio per debolezza o per ignoranza, altra cosa è l’allontanarsene per orgoglio, come fanno coloro che ci hanno generato a questa vita di miseria e di morte (S. Agost.). – Orgoglio deplorevole, che disdegna di vivere sottomesso ai precetti divini che, sotto il gonfiarsi di uno spirito infedele, prende in disgusto i suoi celesti precetti; Ci sono diverse specie di crimini; innumerevoli sono i peccati che gli uomini possono commettere, ma nessuno provoca tanta collera in Dio quanto l’orgoglio. « Voi avete fatto manifesti i vostri rimproveri non contro gli avari, contro i voluttuosi, che tuttavia li meritano a giusto titolo, ma contro i superbi, perché essi ne hanno un gran numero, per il fatto che questo stesso orgoglio fa loro disprezzare gli uomini, disprezzare i comandamenti di Dio e disdegnare di obbedirvi. (S. Hil.).  

f. 22-24. – Nessun c’è obbrobrio maggiore né disprezzo da temere che quello in cui si vedranno esposti eternamente coloro che avranno violato la legge di Dio. Non bisogna temere di ricevere degli obbrobri e dei disprezzi dagli uomini del secolo, quando si tratta di compiere i comandamenti di Dio. – Ci sono ancora di questi prìncipi, di questi uomini di potere che fanno lega contro di noi. Essi si riuniscono in consiglio per esaminare e contare quali siano i Cristiani degni di questo nome, che servono Dio fedelmente e testimoniano lo zelo più grande per le buone opere, e dicono: prepariamo loro delle insidie, mettiamoci di traverso alle loro imprese, impediamo loro con ogni mezzo di compiere il bene che hanno in vista, fiacchiamo il loro zelo, distruggiamo il loro coraggio con colpi ripetuti ed imprevisti, e, se sono graditi a Dio a causa della loro giustizia, ci si lasci la cura di provarli (S. Ambr.). – Coloro che crediamo i nostri migliori amici troppo spesso ci ingannano, o per l’infedeltà o per ignoranza: l’uomo dabbene nei suoi dubbi consulta gli amici fedeli, che sono le testimonianze di Dio; questi amici sinceri e veraci gli insegnano ciò che debba fare e lo consigliano per la vita eterna. (BOSSUET, Sur la loi de Dieu.)

II. — 25-27

ff. 25-27. – « La mia anima è rimasta legata a terra, » letteralmente … al pavimento. Si potrebbro intendere queste parole di preghiera continua ed assidua che faceva il profeta prosternato sul pavimento del tempio; ma esaminando la proprietà e la forza delle parole di cui si serve, vi scopriamo un senso più elevato. In effetti egli non dice « io sono rimasto attaccato, » ma « la mia anima è rimasta attaccata al pavimento. » Egli si lamenta qui delle tristi sequele dell’unione della sua anima con questo corpo che San Paolo chiama « un corpo di umiliazione. » (Filip. III, 21), (S. Ilar.). che cos’è dunque questo pavimento? Se si vuole paragonare il mondo intero ad una vasta casa, il cielo ne sarà la volta e la terra il pavimento. Il profeta vuole dunque essere strappato alle cose terrestri, e dire con l’Apostolo: « La nostra vita è nei cieli. » (Fil. III, 20) Da qui ne segue che essere attaccato alle cose della terra è la morte dell’anima, e che egli chiede il bene contrario a questo male quando dice: « rendetemi la vita ». Qualunque uomo, se fa qualche progresso sulla via della giustizia, risente sempre le affezioni della sua carne mortale per le cose terrene, in mezzo alle quali la sua vita sulla terra è un combattimento perpetuo (Giobbe, VII, 1), e se si strappa costantemente a questa morte dell’anima, tutti i giorni egli ritorna alla vita che gli rende incessantemente Colui che, per sua grazia, rinnova di giorno in giorno in noi l’uomo interiore (S. Agost.). – Non resta attaccato al pavimento colui al quale Gesù fa detto: “Seguimi” (Giov. I, 43); non resta legato al pavimento chi intende e chi ascolta la legge che gli dice: « Camminate dietro al Signore vostro Dio, e vi attaccherete a Lui solo. » (Deuter., X, 20). « Colui che si attacca al Signore diviene come uno stesso spirito in Lui … » (I Cor. XVI, 17). È buono per noi tenerci attaccati al Signore, e non curvare la nostra testa sotto il giogo del mondo, « ma tenerla elevata verso Dio perché possa ricevere il giogo di Cristo. » (S. Ambr.). – « Io vi ho esposto le mie vie. » In qual senso bisogna intendere queste parole: « Io vi ho mostrato le mie vie? » Se Egli ci mostra le sue vie, queste sono necessariamente le vie del peccato, perché si è nella via del peccato quando non si è nella via di Dio. È dunque in questo senso che il Profeta dice altrove: « Ti ho manifestato le mie ingiustizie. » (Ps. XXXI, 5). Questa dichiarazione non è una lode, ma una confessione dei suoi atti; cioè una confessione dei suoi peccati. Ed egli fa questa confessione per rendersi degno dello spirito di profezia, e diventar capace che Dio gli insegni le sue giustizie. (S. Ilar.).  Il Re-Profeta ci traccia l’ordine mirabile con il quale possiamo pervenire alle giustificazioni del Signore, e la prima cosa da fare è la confessione dei nostri peccati, « dite le vostre iniquità affinché siate giustificati. » (Isai. XLIII, 26). –  Le vie della carne sono affatto diverse dalle vie di Dio, e se vogliamo camminare nelle vie di Dio, occorre abbandonare, come Davide, le vie della carne e della saggezza del secolo, confessare i nostri errori e non tacere le nostre cadute (S. Ambr.). –  Dopo aver esposto le sue vie a Dio, occorre domandargli di insegnarcele e farci comprendere le sue. Vedete l’ordine mirabile che segue il Profeta, primariamente noi dobbiamo apprendere le giustizie del Signore; secondariamente, conoscere i diversi gradi di questi ordini per sapere ciò che dobbiamo fare da principio e ciò che non debba giungere che in un secondo tempo. Sapere ciò che dovete fare non è sapere in quale ordine dovete farlo, ma è avere delle vie di Dio una conoscenza incompleta. (S. Ambr.). – Ecco perché il Profeta distingue qui le giustificazioni del Signore dalla via delle sue giustificazioni, perché lo scopo verso cui tende un cammino è differente dal cammino che conduce a questo termine. (S. Ilar.). – « Ed io mediterò le vostre meraviglie, » vale a dire le stesse leggi così perfette che egli desidera conoscere e praticare avanzando nella virtù. (S. Agost.).

III. — 28-32

ff. 28. – Talune di queste  leggi sono così mirabili che coloro che non ne hanno esperienza le credono inaccessibili alla umana debolezza. Ecco perché il Profeta, affaticato e gravato dalle difficoltà che vi incontra, aggiunge: « La mia anima si è assopita sotto il peso della noia. » Il che significa che la sua anima si è assopita se non in quanto ha sentito rallentare la speranza che aveva concepito di arrivare a questa alta virtù. Ma, aggiunge immediatamente, « fortificatemi con le vostre parole nel timore che mi assopisca e non cada e non perda anche ciò che già ho acquisito. » (S. Agost.). – Il Profeta non dice che la sua anima si è addormentata, ma che si è assopita, perché colui che si addormenta è nell’atto stesso del sonno; ma colui che si assopisce prelude al sonno; questo ordine è osservato in queste parole di un altro salmo: « Colui che custodisce Israele non si assopirà né dormirà. » (Ps. CXX, 4). Il Profeta dunque, benché sia assopito, non si è ancora addormentato, ed è per prevenire questo sonno completo che aggiunge: « Fortificatemi con le vostre parole. » (S. Hil.).  

ff. 29. – Fortificato e confermato da queste parole divine, il Profeta prega Dio di allontanare da sé la via dell’iniquità. Egli non dice: allontanatemi dalla via dell’iniquità, ma allontanate da me la via di iniquità, » come se essa fosse in noi e ci fosse inerente. In effetti, quando facciamo qualcosa di male, la via di iniquità resta dentro di noi e non si allontana da noi; facciamo dunque tutti i nostri sforzi per separarcene … ed è a questo proposito che dice, allontanate da me non l’iniquità, ma « la via d’iniquità », perché l’iniquità non ci è naturale, ma lo è la via che è stata come tracciata e battuta dai passi dei nostri ancestri che correvano dietro al peccato (S. Ambr.). – O ancora meglio, egli non dice: allontanate da me l’iniquità, ma la via dell’iniquità; perché benché fosse cosciente della sua debolezza, tuttavia il timore di Dio lo allontanava dall’atto stesso del peccato. Egli prega dunque Dio di allontanare da lui la via che conduce al peccato, cioè di togliere tutti i desideri delle voluttà terrene, e non permettere che sia assalito dalle tentazioni della concupiscenza o dell’ignoranza, che sono come le vie, i viali del peccato e dell’iniquità. (S. Hil.). 

ff. 30. – La verità è la patria di coloro che sono quaggiù nell’esilio. Noi vi saremo stabili un giorno, ma essa si è fatta nostra via affinché noi vi camminiamo. Come può arrivare a questa patria colui che se ne è allontanato, se non vi cammina per arrivarci? Egli ha scelto questa via non per potervi disputare, ma per camminarci e camminarvi costantemente. – « Io ho scelto la via della verità. » Ecco ciò che non può dire colui che erra nei dogmi della fede; ecco ciò che non può dire l’avaro che brama i beni grossolani e materiali della terra; ecco ciò che non può dire colui che è assorbito interamente dalle speculazioni del commercio, perché la via della verità non ha nulla in comune con il desiderio delle ricchezze, con la cupidigia dei possedimenti della terra. La via della verità non ha nulla in comune con gli onori del secolo, con le sollecitudini della terra. La via della verità non ha nulla in comune con gli onori del secolo, con le sollecitudini del mondo (S. Ambr.).

ff. 31. – « Io mi sono attaccato, Signore, alle testimonianze della vostra legge. » Attaccarsi alle testimonianze del Signore, non è rigettare i suoi comandamenti, né dimenticare i suoi giudizi, ma nulla accordare ai desideri della carne. Colui che si attacca alle testimonianze del Signore rinuncia al mondo, dimentica tutto ciò che lo allettava nel passato, avanza verso ciò che è davanti a lui per giungere allo scopo ed al premio della vittoria. Costui non è mai confuso, perché, se si fosse reso colpevole di qualche errore, ne sollecita il perdono a Gesù-Cristo, che non solo gli rimette suoi peccati, ma distrugge anche la sua affezione al peccato (S. Ambr.).

ff. 32. – « Io ho corso nella via dei vostri comandamenti ». Questo versetto spiega il senso delle parole del versetto precedente: « … io ho scelto la via della verità, non ho dimenticato i vostri giudizi, mi sono attaccato alle vostre testimonianze. » Ecco, in effetti che cosa è correre nella via dei comandamenti di Dio. È come se dicesse: come avete corso in questa via, scegliendola, non dimenticando i giudizi di Dio ed attaccandovi alle sue testimonianze? Come avete potuto farlo da voi stesso? Risponde il profeta, « Io ho corso nella via dei vostri comandamenti, quando avete dilatato il mio cuore. » Io non ho fatto nulla con la mia determinazione, come se il vostro soccorso non mi fosse stato necessario; io non ho agito che « quando avete dilatato il mio cuore. » La dilatazione del cuore, è il diletto che viene dalla giustizia. È un dono di Dio, che fa che noi non siamo tenuti prigionieri dal timore nell’osservazione dei suoi comandamenti, ma che il nostro cuore sia allargato dall’amore delle delizie che troviamo nella giustizia. In effetti, Dio ci promette quella dilatazione del cuore, quando dice: « Io abiterò in essi, ed Io camminerò in mezzo ad essi. » (II Cor., VI, 16). Quale vasto spazio è quello in cui Dio cammina! È nei nostri cuori così dilatati che la carità è sparsa dallo Spirito-Santo che ci è stato dato. (Rom. V, 5), (S. Agost.). – Ecco ciò che fa il fervore. Il fervore, in effetti, è una disposizione dell’anima che rende docili alla volontà, anche alle cose più difficili della legge di Dio: è una forza che ci solleva, e con noi i fardelli della vita; è un vapore divino che non ci fa solamente camminare, ma correre nella via dei comandamenti di Dio. 

https://www.exsurgatdeus.org/2020/03/31/salmi-biblici-legem-pone-mihi-domine-cxviii-2/

TEMPO DI PASSIONE (2020)

TEMPO DI PASSIONE

I. — Commento dogmatico.

La Chiesa, che, dal principio del ciclo di Pasqua ha seguito Gesù nel suo ministero apostolico, durante il Tempo della Passione, contempla, in lutto, i dolorosi avvenimenti che segnarono l’ultimo anno (Settimana di Passione) e l’ultima settimana (Settimana Santa) della vita mortale del Redentore. L’odio dei nemici del Messia si accresce di giorno in giorno, fino a culminare, nel giorno del Venerdì Santo col più orribile dei delitti, col dramma cruento del Golgota, annunciato dai profeti e da. Gesù stesso. Cosi la liturgia, mettendo a confronto il Vecchio ed il Nuovo Testamento, stabilisce un parallelo impressionante tra le parole di S. Paolo e degli Evangelisti a proposito della Passione, e le profezie così chiare di Geremia, di Isaia, di Davide, di Giona e di Daniele. Via via che il fatale scioglimento si avvicina, gli accenti di dolore della Chiesa, si fanno più commossi e ben presto noi sentiremo i suoi lamenti per lo Sposo che non è più. « Il Cielo della Santa Chiesa si oscura sempre più », scrive Don Guéranger. Come in un giorno di temporale, si vedono accumularsi all’orizzonte nubi sinistre, cariche di tempesta. La folgore della Giustizia divina sta per cadere ed essa colpirà il Salvatore che per amore verso il suo Padre e verso di noi si è fatto uomo. In virtù della solidarietà misteriosa che esiste fra tutti i membri della grande famiglia umana, questo Dio fatto uomo si sostituisce ai suoi fratelli colpevoli. « Egli si riveste dei nostri peccati », dice il Profeta, « come di un mantello, e si fa peccatore per noi (II Cor. V, 21) per poterlo portare nella sua carne sulla Croce (I Piet. II, 24) e di struggerlo con la sua morte ». Nell’orto del Getsemani, i peccati di tutti i secoli e di tutte le anime, affluiscono orribili, ripugnanti, in onde fangose, nell’anima rarissima di Gesù che viene così « il ricettacolo di tutto il fango umano e il rifiuto della creazione ». Così il Padre, facendo violenza all’amore per il Figlio, deve trattarlo come un essere maledetto, poiché è scritto: « Sia maledetto chiunque è appeso al legno » (Gal. II, 13). Per la nostra salvezza, bisognava veramente » che Gesù « fosse appeso al legno della Croce affinché la vita ci fosse resa da chi si aveva dato la morte e che colui che aveva trionfato della Croce, fosse a sua volta vinto dalla Croce » [Prefazio della croce – Così è segnato il principio di opposizione che fa dire allo Spirito Santo: «Considera tutte le opere dell’Altissimo: esse a due a due, l’una di fronte all’altra». Di fronte al male sta il bene, di fronte alla morte sta la vita: così di fronte al peccatore sta il giusto (Eccles., XXXIII, 15). Poiché — dice San Paolo — da un uomo è venuta la morte, da un uomo pure deve venire la risurrezione da morte. E , come in Adamo, tutti muoiono, così pure in Cristo tutti saranno vivificati ( I Cor., XV, 21). E la liturgia nota che siccome i nostri progenitori sono stati ingannati da satana, bisognava che «uno stratagemma divino sventasse l’artificio del serpente» (Inno mattutino della Domenica di Passione). San Bernardo lo spiega dicendo che, « poiché Gesù non aveva che l’apparenza del peccato, fu appunto quest’apparenza a mascherare la trappola in cui satana cadde ». E S. Agostino: « Per un giusto permesso di Dio, Lucifero perdette il diritto di morte che aveva sui peccatori, il giorno in cui egli fu abbastanza temerario da usarlo contro il Giusto]. Si tratta di una lotta senza l’uguale tra il principe della vita e quello della morte (Seq. di Pasqua) ma « immolandosi, Cristo trionfa » (Pange lingua). La Domenica delle Palme infatti, Egli si avanza come un conquistatore, sicuro di sé, acclamato e cinto di palme e di alloro « segni della vittoria che doveva riportare » (Oraz. della benediz. delle palme). « Gioisci, figlia di Sion, poiché il tuo Re viene a te », dice Zaccaria, e la folla stende le sue vesti sotto i piedi di Gesù, come si faceva per i Re, e grida: « Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XXII, 13). Gesù entra nella capitale Gerusalemme, sale sul trono prezioso che il suo sangue « orna della porpora regale » (Vexilla Regis) e in alto del quale Giudei e Romani scrivono nelle tre lingue allora in uso: il suo titolo glorioso « Gesù di Nazareth, Re dei Giudei ». L’oracolo di Davide si è compiuto « Dio ha regnato dalla Croce » che, da oggetto d’ignominia, diventa «il vessillo del re »  e « la nostra sola speranza in questo tempo di Passione ».

« Noi ci prostriamo davanti alla Croce poiché è per Essa che è venuta la gioia in tutto il mondo » (Ador. della croce il ven. santo). E per ben dimostrare che è da questo punto di vista che la Chiesa considera Gesù in Croce, gli artisti cristiani un tempo cambiavano la corona di spine in una corona araldica e reale. I Concilii ordinavano che si amministrassero i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia ai catecumeni e che si desse l’assoluzione sacramentale ai penitenti pubblici, alla fine della Quaresima, quando cioè, la Chiesa celebra il ricordo della morte e del trionfo di Gesù. I catecumeni venivano cosi « sepolti con Gesù per il Battesimo, per resuscitare poi con Lui a vita nuova» (Rom. VI, 4). A questo modo, i Tempi di Passione, rappresentando per tutti i Cristiani l’anniversario di questi benefici ricordavano loro che la morte e la risurrezione di Cristo, che erano state la causa efficiente e l’esempio della loro morte al peccato e della loro risurrezione spirituale, dovevano continuare ad esserlo soprattutto in questa parte dell’anno.

Queste feste non sono dunque un semplice ricordo storico riferentesi alla sola persona di Gesù; esse devono essere, per l’unione della fede e dell’amore che suscitano nelle anime, una realtà per tutto il corpo mistico di Gesù. Per esse il dramma del Golgota si estende dunque atutto il mondo e con Cristo suo Capo, la Chiesa riporta ogni anno,all’epoca delle solennità di Pasqua, una nuova vittoria su Satana. Il Tempo della Passione, per la sua connessione intima col Tempo di Pasqua, ha dunque lo scopo di rinnovare in noi lo spirito delBattesimo nel quale la nostra anima è stata lavata nel sangue diGesù, e quello della nostra prima Comunione colla quale l’animanostra si è dissetata di questo stesso sangue. Colla Confessione ela Comunione Pasquale, residui della disciplina penitenziale ebattesimale di un tempo, questo Tempo liturgico ci fa morire e risuscitare sempre più con Cristo.

II. Commento storico.

Il Tempo di Passione, che ricorda le sofferenze di Gesù, sì riporta specialmente all’ultimo anno del suo ministero, poiché fu allora soprattutto che l’odio, ogni giorno crescente, dei suoi nemici si manifestò in modo più tangibile e culminò nel dramma che la Chiesa celebra durante la cosi detta Settimana Maggiore O Settimana Santa durante la quale Essa segue il Maestro giorno per giorno.

Secondo anno. – Dopo aver guarito il figlio della vedova di Naim, Gesù assolve quella eccatrice, la quale non ebbe timore di venire a gettarsiai suoi èiedi, mentre Egli era a tavola a casa di Simone il fariseo. L’avarizia di Giuda fa prevedere il suo delitto (Giov. di passione).

Terzo anno. — Dopo la Trasfigurazione, Gesù andò a Cafarnao, poi a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli (Mart. di passione). Egli disse di essere la fontana di acqua viva che disseta le anime, ed annunciò la Sua prossima fine. Il giorno dopo queste feste, Egli dette ai Giudei le prove della Sua divinità, ma essi tentarono di lapidario. (Dom. Pass.). Tornato in Galilea, andò nuovamente a Gerusalemme per celebrarvi, durante l’inverno, la festa dell’Anniversario della Dedicazione del Tempio. I Giudei volevano ancora lapidarlo: non era egli forse un bestemmiatore Colui che pretendeva di essere una sola natura col Padre Celeste? (Merc. Pass.) Poi, essendo andato in Perea, Gesù fu chiamato a Betània, dove risuscitò Lazzaro. Questo prodigio gli procurò tanta rinomanza che i Giudei, non potendo contenere più a lungo la loro gelosia, stabilirono di farlo morire. Gesù si rifugiò ad Ephrem (Ven. Pass.). Sei giorni avanti la Pasqua, Egli ritornò a Betania, dove Maria sparse il profumo sui suoi piedi (Lun. santo).

Settimana Santa. — Il giorno dopo, Gesù fece l’ingresso trionfale a Gerusalemme (Vang. della benediz. delle Palme). Lasciò la città quella sera stessa per tornarvi il giorno seguente, il Lunedi Santo, giorno nel quale Egli s’intrattenne con i Giudei nel Tempio (Sabato di Passione). Il Martedì Santo andò di sera, verso il Monte degli Ulivi e predisse agli Apostoli la sua Passione prossima. Non ritornò a Gerusalemme che il Giovedì sera per l’ultima Cena (Giov. santo) e fu crocefisso il giorno dopo alle porte della città, sul Monte Calvario. Nello stesso giorno fu deposto nel sepolcro e ne usci glorioso, il mattino della Domenica seguente.

III. — Commento Liturgico.

Il Tempo di Settuagesima è una preparazione remota alla festa di Pasqua, il Tempo di Quaresima è una preparazione prossima e le due ultime settimane di Quaresima, che portano il nome di « Tempo di Passione », sono una preparazione immediata. Le feste e le cerimonie dell’ultima settimana, detta Settimana Santa o Settimana Maggiore, hanno origine dalla Chiesa di Gerusalemme. Col Vangelo alla mano, i Cristiani seguivano passo passo il Salvatore, venerando sul posto i preziosi ricordi degli avvenimenti solenni coi quali si era compiuta la Sua vita mortale. Roma adottò questa Liturgia dapprima locale e sistemò le sue Chiese in modo da poter celebrare gli Uffizi della Settimana Santa, come si facevano a Gerusalemme. Per una quindicina di giorni la Chiesa sopprime il Salmo il «Judica me » e il « Gloria Patri » che non si trovano nella liturgia antica. Essa copre pure di veli violetti le sante immagini. Senza dubbio, la devozione ai Santi si oscura davanti al grande avvenimento della Redenzione, ma, se si pensa che il Crocifisso stesso è velato, si vedrà in quest’uso un vestigio della tenda che, un tempo, veniva tesa durante tutta la Quaresima, tra la navata e l’altar maggiore. Nei tempi antichi, i penitenti pubblici che erano stati espulsi dalla Chiesa, non potevano rientrarvi che il Giovedì Santo. Dopo la soppressione di questa cerimonia, tutti i Cristiani furono più o meno assimilati ai penitenti pubblici e pur non pronunciando contro di essi la pena di espulsione, si nascose loro l’altar maggiore e tutto quello che vi si trovava, per mostrar loro che essi non meritavano di prender parte al culto eucaristico con la Comunione Pasquale che dopo aver fatta la debita penitenza.

Alcuni autori credono che questo velo avesse per scopo di nascondere la Croce, che nei tempi, antichi non aveva su di essa il Cristo, masplendeva di pietre preziose. Era quindi necessario togliere aglisguardi questo segno di Trionfo fino al Venerdì Santo, quando Gesù riportò la sua vittoria sulla croce, che si espone allora alla adorazione dei fedeli. Spogliando gli altari e facendo tacere le campane il Giovedì, il Venerdì e il Sabato della Settimana Santa la Chiesa mostra la tristezza che prova al ricordo delia morte del suo Sposo divino.

UN’ENCICICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XIV – “QUEMADMODUM PRECES”

La preghiera a Dio, praticata oggi, è quanto di più blasfemo e sacrilego si possa immaginare, ed è particolarmente questo un segno distintivo del Novus Ordo degli apostati usurpanti modernisti. Ognuno, magari in buona fede, e nella totale ignoranza delle disposizioni ecclesiastiche, che sono espressioni della volontà divina, si sente in diritto di comporre preghiere fantasiose e melodie pseudo liturgiche, modellate su motivetti alla moda accompagnati da strumentacci elettronici che definire cacofonici, sarebbe un ignobile ed eufemistico complimento. Si compongono melodie sdolcinate, testi ammiccanti a capricciose passionalità, ritmate su tempi da discoteche o dancing … un vero affronto alla sacralità dei luoghi e delle funzioni nelle quali non c’è più ritegno alcuno nello scimmiottare satanismi e diavolerie varie. Eppure la preghiera liturgica, o in comune per le pubbliche calamità, è preghiera che deve rispondere a precisi criteri che solo la Chiesa può stabilire. Tutto ciò che esula da questo controllo o da regole di fede ben determinate, è solo sacrilegio e blasfemia, superstizione ed idolatria nel migliore dei casi, e quindi offesa diretta a Dio. È quello che leggiamo in questa lettera enciclica di un Santo Padre particolarmente edotto nelle pratiche liturgiche, come S. S. Benedetto XIV: « … spetta unicamente all’Autorità Ecclesiastica stabilire e prescrivere quelle preci, in quanto a nessun potere secolare è consentito decidere e stabilire per legge che si innalzino pubbliche preghiere, sia per rendere grazie a Dio per qualche beneficio ricevuto, sia per implorare il Suo aiuto in un momento di grave difficoltà » – « … il Sacro Concilio Tridentino ha diffidato dall’accogliere nella celebrazione delle Messe, preghiere “…. che non siano quelle approvate dalla Chiesa e che non siano state accolte per assidua e lodevole consuetudine” …. Basterebbe solo questa citazione per comprendere che l’attuale setta del Novus Ordo, guidata truffaldinamente dal “Gatto e la Volpe”, è la vera sinagoga di satana delle profezie dei sacri Testi biblici, la setta dalla quale viene l’anticristo, che travestito da angelo di luce, si spaccerà e si farà adorare come Dio … ma non usiamo il futuro, perché il signore dell’universo è già messo sugli altari del Novus Ordo ed adorato con l’offerta del Corpo e Sangue di Cristo, come nelle infernali agapi rosacrociane. Anche le preghiere fatte da chi si spaccia per autorità ecclesiastica senza esserlo canonicamente, sono sacrilegi orrendi ed attirano maledizioni tremende, come già Malachia ci ha avvertito nei suoi scritti: et maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis…

In attesa dell’intervento del Cristo, che con il soffio della sua bocca brucerà l’anticristo ed i suoi adepti del Novus Ordo e satelliti, leggiamo la lettera odierna:

S. S. Benedetto XIV

Quemadmodum preces

Come è sommamente giusto innalzare preghiere a Dio in favore dei Principi, così conviene che le formule delle stesse preci siano conformi a quelle che la Chiesa ha adottato; soprattutto poi se tali preghiere sono da recitare durante la celebrazione delle Messe. Inoltre spetta unicamente all’Autorità Ecclesiastica stabilire e prescrivere quelle preci, in quanto a nessun potere secolare è consentito decidere e stabilire per legge che si innalzino pubbliche preghiere, sia per rendere grazie a Dio per qualche beneficio ricevuto, sia per implorare il Suo aiuto in un momento di grave difficoltà.

1. Come Voi ben sapete, San Paolo, nella prima [lettera] a Timoteo, cap. 2, così si esprime: “Chiedo, domando, invoco, anzitutto, che le pubbliche preghiere, le orazioni, le suppliche, le azioni generose siano rivolte a pro di tutti gli uomini, a pro dei Sovrani e di tutti coloro che stanno ai vertici del potere” (1Tm 2,1-2). Che se poi è consentito a questo punto indicare la prassi che la Chiesa primeva seguiva nelle orazioni e nelle preci per offrire i Principi a Dio, hanno potuto renderla abbastanza manifesta la lettera di San Dionigi, Vescovo Alessandrino, al Governatore Emiliano; Tertulliano nel libro Ad Scapulam e nell’Apologetico; San Cipriano nell’Epistola a Demetriano;Origene nella Risposta a Celso e Atenagora nella sua ambasceria presso gl’Imperatori, in favore dei Cristiani.

2. Essi, invero, per molti versi sono d’accordo circa il modo di professare la propria fede e di pregare. Parimenti nelle celeberrime addizioni della lettera di San Celestino ai Vescovi della Gallia, cap. 11, si legge: “Rivolgiamo l’attenzione anche ai vincoli delle preghiere sacerdotali… affinché la legge della preghiera sancisca la legge della fede“.Da qui deriva che occorre adottare nelle pubbliche preghiere le formule prescritte dalla Chiesa, soprattutto se si tratta di orazioni che devono essere recitate nella Messa, come si è detto. Quindi anche il Sacro Concilio Tridentino ha diffidato dall’accogliere nella celebrazione delle Messe, preghiere “che non siano quelle approvate dalla Chiesa e che non siano state accolte per assidua e lodevole consuetudine“. Perciò nel Messale Romano esistono quasi per ogni circostanza, pie e devote orazioni, desunte opportunamente dagli antichi e venerabili testi sacri.

3. Per la verità, non pensiamo di procedere troppo oltre; anzi Noi crediamo di mantenerci sicuramente entro i giusti limiti della Nostra Autorità, quando sosteniamo che solo alla Potestà Ecclesiastica e non già a quella secolare compete la facoltà di regolare le questioni Ecclesiastiche e spirituali. Quel grande Osio, Vescovo di Cordova, in una lettera relativa a coloro che conducevano vita solitaria presso Sant’Atanasio, così scrisse all’Imperatore Costanzo circa la libertà ecclesiastica: “Non intrometterti nelle questioni ecclesiastiche né dettar legge a Noi in questa materia, ma piuttosto apprendila da Noi. A Te Dio affidò l’Impero, a Noi affidò tutto ciò che appartiene alla Chiesa… Evita di renderti colpevole di grave delitto, avocando a Te ciò che compete alla Chiesa. Sta scritto: A Cesare ciò che è di Cesare; a Dio ciò che è di Dio“.

4. Riferendoci poi a tempi più vicini e al fatto che diede occasione a questa Nostra lettera, affermiamo che lo stesso tribunale laico aveva abrogato e stracciato i Decreti di un certo magistrato con i quali erano state indette pubbliche preghiere per i Principi: esso aveva reso noto che tali Decreti erano destituiti d’ogni autorità e di ogni forza legale. Non molti anni addietro la Sacra Congregazione del Concilio, con il consenso dei Nostri Predecessori, pubblicamente revocò e rese inoperante un Editto del potere secolare con cui esso,  in seguito a una vittoria conseguita dal Principe, aveva indetto un Te Deum laudamus di ringraziamento, sebbene avesse assicurato di non voler violare il diritto ecclesiastico, mentre senza dubbio, la stessa assicurazione veniva di fatto smentita.

5. Affinché dunque si proceda rigorosamente con equità e rettitudine, Vi ammoniamo e Vi esortiamo perché sia Voi, sia altri per opera Vostra, preghiate con insistenza Dio per l’incolumità e la felicità dei vostri Principi, come anche Noi facciamo ogni giorno per i Principi cattolici. – Accogliete con animo sereno e lieto tutto ciò che i poteri secolari vi chiedono perché si recitino pubbliche preghiere per loro, e fate in modo che in esse si usi la liturgia della Chiesa e che non si recitino nella Messa nuove e inusitate orazioni.

6. Se invece (ma stentiamo a crederlo) qualche potere laicale, in forza di qualche usanza o consuetudine (che in realtà deve essere definita abuso), presume di non riconoscere per nulla la Vostra autorità, ma con atto arbitrario pretende d’indire pubbliche preghiere e anzi osa stabilire anche una pena per chi protesta, allora parlerete anche Voi come Osio parlò all’Imperatore. Usate argomenti che forse sono ignorati da chi è in errore. Spiegate ad essi che non è questo il modo di pregare Dio e di realizzare i propri voti; spiegate che essi devono rifugiarsi in Voi in quanto Voi, sebbene scelti fra gli uomini, tuttavia, a tutto vantaggio degli uomini, siete posti fra coloro che appartengono a Dio come dice l’Apostolo agli Ebrei; spiegate che all’infuori di Voi nessuno può intraprendere un’opera di tal fatta e assumere su di sé questo onore ma solo chi è chiamato da Dio come Aronne.

7. Che se poi alle vostre parole non si presta fede, né Voi giudicate che sia opportuno procedere verso di essi conforme ai dettami della disciplina ecclesiastica, a Voi tassativamente prescriviamo di renderci quanto prima edotti su tali questioni, anche trasmettendo nelle Nostre mani l’opportuna documentazione: Noi siamo infatti pronti a compiere tutti quegli atti che i Nostri insigni Predecessori erano soliti affrontare in analoghe circostanze. Non vogliamo infatti, una volta chiamati davanti al supremo tribunale di Dio, essere accusati d’aver negletto i diritti della Santa Sede. Frattanto Vi abbracciamo con paterno amore e Vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 23 marzo 1743, nell’anno terzo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI PASSIONE (2020)

DOMENICA DI PASSIONE (2020)

Stazione a S. Pietro;

Semidoppio, Dom. privit. di I cl. • Pagamenti violacei.

« Noi non ignoriamo, dice S. Leone, che il mistero pasquale occupa il primo posto fra tutte le solennità religiose. Durante tutto l’anno, col cercare di migliorarci sempre più, noi ci disponiamo a celebrare questa solennità in maniera degna e conveniente, ma questi ultimi e grandissimi giorni esigono ancor più la nostra devozione, poiché sappiamo che essi sono vicinissimi al giorno in cui celebriamo « il mistero cosi sublime della misericordia divina » (II Notturno). Questo mistero è quello della Passione del Salvatore di cui è ormai prossimo l’anniversario. Pontefice e mediatore del Nuovo Testamento, Gesù salirà ben presto sulla Croce e presenterà al Padre, il sangue, che Egli verserà entrando nel vero Sancta Sanctorum che è il Cielo (Ep.). « Ecco, canta la Chiesa, brilla il mistero della Croce, dove la Vita ha subito la morte e con la Sua morte ci ha reso la vita » (Inno dei Vespri). E l’Eucaristia è frutto dell’amore immenso di un Dio per gli uomini, poiché istituendola, Gesù ha detto: « Questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi. Questo è il calice della nuova alleanza nel sangue mio. Fate questo in memoria di me » (Com.). Cosa fecero gli uomini in risposta a tutte queste bontà divine? « I suoi non lo ricevettero » dice S. Giovanni, parlando dell’accoglienza fatta a Gesù dai Giudei: » Gli fu reso il male per il bene » (4 Ant. della Laudi) e gli furono riservati solamente gli oltraggi « Voi mi disonorate » dirà loro Gesù ». Il Vangelo ci mostra in fatti l’odio sempre crescente del Sinedrio,  Abramo, [Dopo la festa dei Tabernacoli che ebbe luogo il terzo anno del suo ministero pubblico, Gesù pronunciò nel Tempio le parole del Vangelo d’oggi. Una parte dell’atrio era stata trasformata in deposito Perché il Tempio non era ancora interamente ricostruito. I Giudei vi raccolsero delle pietre per lapidare Gesù che si nascose ai loro sguardi, la sua ora non essendo ancora, venuta.] il padre del popolo di Dio, aveva fermamente creduto alle promesse divine che gli annunciavano Cristo futuro, e nel Limbo la sua anima che, avendo avuto fede in Gesù, non è stata colpita da morte eterna, si è rallegrata nel vedere il realizzarsi di queste promesse, con la venuta del Salvatore. I Giudei che avrebbero dovuto riconoscere in Gesù il Figlio di Dio, più grande di Abramo e dei profeti perché  eterno, misconobbero il senso delle sue parole e, dopo averlo insultato trattandolo da invaso dal demonio e bestemmiatore, lo vollero lapidare (Vang.). « Non temere davanti ad essi, gli dice Dio in persona di Geremia, poiché io farò che tu non tema i loro volti. Poiché oggi Io ti ho reso come una città fortificata, come una colonna di ferro, come un muro di bronzo contro i re di Giuda, i suoi principi, i suoi sacerdoti ed il suo popolo. Essi combatteranno contro te, ma non prevarranno: perché io sono con te, dice il Signore, per liberarti (I Notturno). « Io non cerco la mia gloria, dice Gesù; vi è qualcuno che la cerca e giudica» (Vang.). E per bocca del salmista, Egli continua: « Giudicami, Signore, e discerni la mia causa da quella della gente empia: liberami dall’uomo iniquo ed ingannatore». Questo popolo «bugiardo» (Vang.) afferma Gesù, è il popolo Giudeo. « Liberami dai miei nemici, continua il Salmista; mi strapperai dalle mani dell’uomo iniquo » (Grad.). « Il Signore è giusto. Egli decapiterà i peccatori » (Tratto). Dio infatti, non permise agli uomini di mettere la mano su Gesù prima che la sua ora fosse giunta (Vang.) e quando l’ora dell’immolazione fu suonata, Egli strappò il Suo figlio dalle mani dei malvagi, risuscitandolo. Questa morte e questa resurrezione erano state annunciate dai Profeti ed Isacco ne era stato il simbolo, allorché, mentre per ordine di Dio, stava per essere immolato da Abramo, suo padre, fu salvato da Dio stesso e sostituito da un ariete, che rappresentava l’Agnello di Dio sacrificato per il genere umano. . Gesù doveva dunque nel Suo primo avvento essere umiliato e soffrire; soltanto dopo Egli apparirà in tutta la Sua potenza: ma i Giudei, accecati dalle passioni, non ammisero che una sola venuta: quella che deve prodursi nella gloria e, scandalizzati dalla Croce di Gesù, lo respinsero. Per questo motivo, Dio li respinse a sua volta, mentre accolse con benevolenza coloro che hanno poste le loro speranze nella redenzione di Gesù, ed uniscono le loro sofferenze alle Sue. « Giustamente e per ispirazione dello Spirito Santo, dice S. Leone, i SS. Apostoli hanno ordinato digiuni più austeri durante questi giorni; affinché, con una comune partecipazione alla Croce di Cristo, noi pure facciamo qualche cosa che ci unisca a quello che Egli ha fatto per noi. Come dice l’Apostolo S. Paolo: « Se soffriamo con Lui, saremo anche glorificati con Lui ». Certa e sicura è l’attesa della promessa beatitudine là dove vi è partecipazione alla passione del Signore (IV Lezione). — La Stazione si tiene nella Basilica di S. Pietro, innalzata sull’area dove prima sorgeva il Circo di Nerone, dove il Principe degli Apostoli morì, come il suo Maestro, sopra una Croce. – In ricordo della Passione di Gesù, di cui si avvicina l’anniversario, pensiamo che, per risentirne gli effetti benefici, bisogna, come il Divin Maestro, saper soffrire persecuzioni per la giustizia, e quando, membri della «famiglia di Dio », siamo perseguitati con e come Gesù Cristo, chiediamo a Dio che « custodisca i nostri corpi e le nostre anime » (Or.).

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

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Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLII: 1-2.

Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab homine iníquo et dolóso éripe me: quia tu es Deus meus et fortitudo mea. [Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa da gente malvagia: líberami dall’uomo iniquo e fraudolento: poiché tu sei il mio Dio e la mia forza].

Ps XLII:3

Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me de duxérunt et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernácula tua. [Manda la tua luce e la tua verità: esse mi guídino al tuo santo monte e ai tuoi tabernàcoli.]

Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab homine iníquo et dolóso éripe me: quia tu es Deus meus et fortitudo mea. [Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa da gente malvagia: líberami dall’uomo iniquo e fraudolento: poiché tu sei il mio Dio e la mia forza].

Oratio

Orémus.

Quæsumus, omnípotens Deus, familiam tuam propítius réspice: ut, te largiénte, regátur in córpore; et, te servánte, custodiátur in mente. [Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, guarda propízio alla tua famiglia, affinché per bontà tua sia ben guidata quanto al corpo, e per grazia tua sia ben custodita quanto all’ànima.]

 Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebræos.

Hebr IX: 11-15

Fatres: Christus assístens Pontifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum, et cinis vítulæ aspérsus, inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ideo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem eárum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

OMELIA I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

GESÙ CRISTO SACERDOTE

“Fratelli: Cristo, essendo venuto come pontefice dei beni futuri, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d’uomo, cioè non appartenente a questo mondo creato, e mediante non il sangue di capri e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, entrò una volta per sempre nel santuario, avendo procurato una redenzione eterna. Poiché se il sangue dei capri e dei tori e l’aspersione con cenere di giovenca santifica gli immondi rispetto alla mondezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale, mediante lo Spirito Santo, ha offerto se stesso immacolato a Dio, monderà la nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivente? E per questo Egli è il mediatore del nuovo testamento, affinché, essendo intervenuta la sua morte a redimere dalle trasgressioni commesse sotto il primo testamento, quelli che sono stati chiamati conseguono l’eterna eredità loro promessa, in Gesù Cristo Signor nostro”. (Ebr. IX, 11-15).

L’Epistola di quest’oggi è tratta dalla lettera agli Ebrei, della quale si è già parlato nella solennità di Natale. Qui si parla della superiorità e della efficacia del Sacrificio di Gesù Cristo, in confronto del sacrificio della legge ebraica. Difatti Gesù Cristo:

1. È il Sacerdote della nuova legge,

2. Che offre a Dio il proprio sangue,

3. E si fa nostro mediatore.

1.

Cristo, essendo venuto come pontefice dei beni futuri; cioè dei beni del Nuovo Testamento, come: l’espiazione valevole per tutti i tempi, la santificazione interna, l’eterna felicità ecc.; venivano, necessariamente, a perdere tutta la loro importanza i riti del culto levitico. Ciò che è imperfetto dove cedere il posto a ciò che è perfetto. Gesù Cristo è il Sacerdote della nuova legge. Non si assume da sé la dignità sacerdotale: ma vi è destinato da Dio, come da Dio vi fu destinato Aronne. Il Padre, che dall’eternità gli dà l’essere di Figlio, con giuramento solenne, irrevocabile, lo dichiara: «Sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedech» (Salm. CIX, 4). Sarà un sacerdote che durerà in eterno. Melchisedech, sacerdote e re, tipo di Gesù Cristo, è introdotto nella Sacra Scrittura, così minuziosa nelle genealogie dei  Patriarchi, senza che si faccia menzione né del padre né della madre, né del tempo della nascita né del tempo della  morte, né di chi l’abbia preceduto né di chi gli sia succeduto nel sacerdozio. Gesù Cristo, come non ebbe antecessori, non avrà successori nel suo sacerdozio. Vivendo Egli in eterno, il suo sacerdozio non avrà mai fine, a differenza del sacerdozio secondo l’ordine di Aronne, che aveva carattere transitorio. Mediante il sacerdozio di Gesù Cristo abbiamo un’espiazione valevole per tutti i tempi. Al pari degli antichi re e sacerdoti, anche il sacerdote della nuova legge, Gesù Cristo, riceve l’unzione, ma in modo più eccellente. Egli viene unto «non con olio visibile, ma col dono della grazia … E deve intendersi unto con questa mistica e invisibile unzione, quando il Verbo di Dio si è fatto carne» (S. Agostino, De Trinit. L . 15. c. 26). In virtù dell’unione ipostatica con la divinità, la natura umana di Gesù Cristo ricevette, fin dal primo momento dell’incarnazione, la pienezza di tutte le grazie e di tutti i doni dello Spirito Santo. Così, la natura umana assunta riceve l’unzione dalla divinità. Gesù è, quindi, sacerdote fin dal principio della sua esistenza. È sacerdote nella culla, è sacerdote nell’esilio, è sacerdote durante la vita nascosta di Nazaret.

2.

Gesù Cristo, mediante lo Spirito Santo, ha offerto se stesso immacolato a Dio. Negli antichi sacrifici la vittima che doveva essere immolata veniva trascinata all’altare. Gesù Cristo, che sostituirà se stesso alle vittime del sacrificio levitico, non ha bisogno d’essere condotto per forza al luogo dell’immolazione. Prima di sacrificare il suo corpo sacrifica la sua volontà. Al Padre non piacciono più i sacrifici dell’antica legge, e fa conoscere la sua volontà che il Figlio, assumendo un corpo, lo offra in sacrificio per la salvezza degli uomini. E il Figliuolo, incarnandosi, può ripetere le parole del salmista: «Ecco io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà» (Ebr. X, 7). Ecco, io assumo un corpo, mi faccio uomo, affinché offra me stesso in luogo del sacrificio mosaico. E questa spontanea ubbidienza dimostra in tutte le circostanze della sua vita mortale. La volontà del Padre è volontà sua. È volontaria la povertà di Betlemme, l’amarezza della fuga in Egitto, il sudore della bottega, le fatiche dell’apostolato. Sono volontarie tutte le privazioni, le persecuzioni, i dolori della vita pubblica; è volontario il sacrificio supremo sulla croce. Venuta l’ora dell’immolazione « non ha aperto la sua bocca; come pecorella sarà condotto ad essere ucciso: e come un agnello si sta muto dinanzi a colui che lo tosa, così Egli non aprirà la sua bocca » (Is. LIII, 7). – Siamo al sacrificio cruento. Il sangue scorre; ma questa volta non scorre sangue di capretti e di vitelli; scorre il sangue del Figlio di Dio fatto uomo; sangue d’un valore infinito. Per mezzo di questo sangue offerto a Dio, l’uomo è liberato dalla schiavitù di satana. Gli antichi schiavi che ottenevano la libertà, l’ottenevano depositando essi stessi il prezzo della propria liberazione. Noi pure siamo stati liberati dalla schiavitù mediante un prezzo e « caro prezzo »; (I Cor. VI, 20) ma questo caro prezzo, non l’abbiamo sborsato noi. L’ha sborsato Gesù Cristo « il quale ha dato se stesso quale riscatto per tutti », (I Tim. II, 6) versando il suo prezioso sangue. La pena dovuta ai nostri peccati, e che noi non avremmo mai potuto scontare, con questo sangue è cancellata. La giustizia di Dio è soddisfatta: l’uomo è riconciliato col suo creatore.

3.

E per questo egli è il mediatore del nuovo testamento. – « Egli è il solo mediatore tra Dio e gli uomini » (1 Tim. II, 5). Il sacerdote è mediatore tra Dio e gli uomini specialmente per mezzo del sacrificio e della preghiera. « Il buon mediatore offre a Dio le preghiere e i voti dei popoli, e porta loro da parte di Dio benedizioni e grazie. Supplica la divina maestà per le mancanze dei peccatori; e redime negli offensori l’ingiuria fatta a Dio» (S. Bernardo, De mor. et off. Epist. c. 3, 10). La preghiera del Sacerdote ha sempre grande valore: è la preghiera dell’uomo di Dio. Qual valore non avrà la preghiera di Gesù Cristo? « Facilmente si ottiene quando prega un figlio ». (Tertulliano, De pœn. 10). E Gesù Cristo è Figlio di Dio: « Figlio diletto », (Luc. III, 22). « Figliuolo dell’amor suo ». (Col. 1. 13) Egli stesso ha assicurato agli Apostoli che otterrebbero dal Padre qualsiasi cosa, se chiesta in nome suo. A maggior ragione si otterrà dal Padre, quanto chiede Egli stesso. Gesù Cristo innalza al Padre la sua efficace preghiera, quando appare in questo mondo; l’innalza durante la sua vita. Egli prega in ogni tempo e in ogni luogo. Prega di giorno, prega di notte. Prega in pubblico, prega nella solitudine. Dopo aver parlato agli uomini di Dio, del suo regno, si ritira a parlare degli uomini a Dio. – Nel tempio, nel deserto, nell’orto s’innalza a Dio il profumo della sua preghiera. Ma sul Calvario specialmente, quando pende dalla Croce, la sua preghiera sacerdotale si innalza ad interporsi tra la giustizia e la misericordia di Dio. – E sui nostri altari continua ancora oggi a innalzare al Padre la sua preghiera in favore dell’umanità. Ogni qualvolta s’immola misticamente il suo Corpo e il suo Sangue offerti all’eterno Padre, hanno forza più efficace di qualsiasi voce sensibile, presso la maestà di Dio offesa, ad ottenere il perdono per gli offensori. Egli continua il suo ufficio sacerdotale di mediatore su in cielo, dove si fa nostro avvocato alla destra del Padre. Lassù Gesù Cristo continua ad essere il nostro sacerdote, che prega, manifestando al Padre il suo vivissimo desiderio della nostra salute, e presentandogli l’umanità assunta, coi segni gloriosi dei misteri in essa compiuti. E continuerà il suo ufficio di mediatore per noi sino alla fine dei secoli. I Sacerdoti, suoi rappresentanti su questa terra, passeranno. Agli uni succederanno gli altri: il loro ministero sarà limitato dal tempo. Ma Gesù, Sacerdote eterno, non passerà « vivendo egli sempre affine di supplicare per noi ». (Ebr. VII, 25). Gesù Cristo, Sacerdote della Nuova Alleanza, s’interessa di noi al punto da offrire al Padre il suo Sangue per i nostri debiti, e continua a far l’ufficio di nostro difensore lassù in cielo. E noi fino a qual punto ci interessiamo di Gesù? Forse l’abbiamo completamente dimenticato. La Serva di Dio suor Benedetta Cambiago, entrata un giorno nella sala da lavoro dell’educandato da lei diretto, ove si trovavano delle fanciulle esterne, domanda: — Mie care, vorrei sapere da voi una cosa. Là vi è il Crocifisso, amor nostro, morto per noi sulla croce. Quanti atti di offerta gli avete fatto oggi? E visto che nessuna di loro si era ricordata di Gesù ripiglia: — Ebbene, chi si scorda di Gesù è indegna di star con Lui. — E senz’altro piglia una sedia, stacca il Crocifisso dalla parete e lo porta via. A questa conclusione le fanciulle si mettono a piangere, e pregano Benedetta che riporti loro il crocifisso. (Vittorio Bondiano, Suor Benedetta Cambiagio, fondatrice delle Suore di N. S.  della Provvidenza ecc. Verona, 1925; p. 92). – Se noi dovessimo piangere sulle giornate trascorse senza fare un’offerta a Gesù, che per noi offrì se stesso, senza rivolgere un pensiero a Lui, che continuamente intercede per noi, forse dovremmo piangere ben frequentemente. Un degno cambio per tutto quello che Gesù Cristo ha fatto, e fa continuamente per noi, non lo potremo mai rendere: nessuno può dubitare. Possiamo però tener sempre presenti i suoi benefici. Sarebbe già qualche cosa: ama chi non oblia. Possiamo offrirgli giornalmente i nostri pensieri, i nostri affetti, le nostre fatiche, i nostri dolori. Possiamo offrirgli le nostre preghiere. « Gesù Cristo nostro Signore — osserva S. Agostino — prega per noi come nostro Sacerdote… è pregato da noi come nostro Dio ». (Enarr. in Ps. LXXXV, 1) Lo preghiamo davvero come nostro Dio? Lo preghiamo frequentemente?

Graduale

Ps CXLII: 9, 10

Eripe me, Dómine, de inimícis meis: doce me fácere voluntátem tuam

Ps XVII: 48-49

Liberátor meus, Dómine, de géntibus iracúndis: ab insurgéntibus in me exaltábis me: a viro iníquo erípies me.

Tractus

Ps CXXVIII: 1-4

Sæpe expugnavérunt me a juventúte mea.[Mi hanno più volte osteggiato fin dalla mia giovinezza.]

Dicat nunc Israël: sæpe expugnavérunt me a juventúte mea. [Lo dica Israele: mi hanno più volte osteggiato fin dalla mia giovinezza.]

Etenim non potuérunt mihi: supra dorsum meum fabricavérunt peccatóres. [Ma non mi hanno vinto: i peccatori hanno fabbricato sopra le mie spalle.]

V. Prolongavérunt iniquitátes suas: Dóminus justus cóncidit cervíces peccatórum. [Per lungo tempo mi hanno angariato: ma il Signore giusto schiaccerà i peccatori.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joann VIII: 46-59

“In illo témpore: Dicébat Jesus turbis Judæórum: Quis ex vobis árguet me de peccáto? Si veritátem dico vobis, quare non créditis mihi? Qui ex Deo est, verba Dei audit. Proptérea vos non audítis, quia ex Deo non estis. Respondérunt ergo Judæi et dixérunt ei: Nonne bene dícimus nos, quia Samaritánus es tu, et dæmónium habes? Respóndit Jesus: Ego dæmónium non hábeo, sed honorífico Patrem meum, et vos inhonorástis me. Ego autem non quæro glóriam meam: est, qui quærat et jdicet. Amen, amen, dico vobis: si quis sermónem meum serváverit, mortem non vidébit in ætérnum. Dixérunt ergo Judaei: Nunc cognóvimus, quia dæmónium habes. Abraham mórtuus est et Prophétæ; et tu dicis: Si quis sermónem meum serváverit, non gustábit mortem in ætérnum. Numquid tu major es patre nostro Abraham, qui mórtuus est? et Prophétæ mórtui sunt. Quem teípsum facis? Respóndit Jesus: Si ego glorífico meípsum, glória mea nihil est: est Pater meus, qui gloríficat me, quem vos dícitis, quia Deus vester est, et non cognovístis eum: ego autem novi eum: et si díxero, quia non scio eum, ero símilis vobis, mendax. Sed scio eum et sermónem ejus servo. Abraham pater vester exsultávit, ut vidéret diem meum: vidit, et gavísus est. Dixérunt ergo Judaei ad eum: Quinquagínta annos nondum habes, et Abraham vidísti? Dixit eis Jesus: Amen, amen, dico vobis, antequam Abraham fíeret, ego sum. Tulérunt ergo lápides, ut jácerent in eum: Jesus autem abscóndit se, et exívit de templo.” Laus tibi, Christe!

Omelia II

“In quel tempo disse Gesù alla turbe dei Giudei ed ai principi dei Sacerdoti: Chi di voi mi convincerà di peccato. Se vi dico la verità, per qual cagione non mi credete? Chi è da Dio, le parole di Dio ascolta. Voi per questo non le ascoltate, perché non siete da Dio. Gli risposero però i Giudei, e dissero: Non diciamo noi con ragione, che sei un Samaritano e un indemoniato? Rispose Gesù: Io non sono un indemoniato, ma onoro il Padre mio, e voi mi avete vituperato. Ma io non mi prendo pensiero della mia gloria; vi ha chi cura ne prende, e faranno vendetta. In verità, in verità vi dico: Chi custodirà i miei insegnamenti, non vedrà morte in eterno. Gli dissero pertanto i Giudei: Adesso riconosciamo che tu sei un indemoniato. Abramo morì, e i profeti; e tu dici: Chi custodirà i miei insegnamenti, non gusterà morte in eterno. Sei tu forse da più del padre nostro Abramo, il quale morì? e i profeti morirono. Chi pretendi tu di essere? Rispose Gesù: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è un niente; è il Padre mio quello che mi glorifica, il quale voi dite che è vostro Dio. Ma non l’avete conosciuto: io sì, che lo conosco; e se dicessi che non lo conosco, sarei bugiardo come voi! Ma io conosco, o osservo le sue parole. Abramo, il padre vostro, sospirò di vedere questo mio giorno: lo vide, e ne tripudiò. Gli dissero però i Giudei: Tu non hai ancora cinquant’anni, e hai veduto Abramo? Disse loro Gesù: In verità, in verità vi dico: prima che fosse fatto Abramo, io sono. Diedero perciò di piglio a de’ sassi per tirarglieli: ma Gesù si nascose, e uscì dal tempio” (Jo. VIII, 46 59).

DISCORSO PER LA DOMENICA DI PASSIONE

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la Contrizione.

Quii ex vobis arguet me de peccato (Joan. VIII)

Non appartiene che a Gesù Cristo, la stessa santità, di sfidare i suoi nemici con santa franchezza, come lo fa nell’odierno Vangelo, di rimproverargli un qualche peccato.  La santa dottrina che loro aveva predicato, gli esempi di virtù che loro aveva dati, lo mettevano in sicuro da ogni censura; era Egli medesimo in diritto di far a tali suoi nemici i più giusti rimproveri sulla perversa resistenza alla verità che loro predicava, perché la sua santa vita era una prova convincente della sua missione. Quanto siamo lontani, Fratelli miei, dal poter renderci una simile testimonianza, come Gesù Cristo rende in quest’oggi alla sua innocenza? Oltre che non havvi alcuno di noi, che non possa, e che non debba dire col Profeta, ch’egli è stato concepito nell’iniquità; havvene alcuno che non abbia avuto la disgrazia di cadere in qualche peccato attuale?  Havvene alcuno che ben lungi di poter dire, con Gesù Cristo, chi mi convincerà di peccato: non debba all’opposto confessare ingenuamente, ch’egli ha incorsa la disgrazia di Dio? Confessiamolo tutti, Fratelli miei, con altrettanto di dolore che di sincerità, che noi siamo rei degni dì portare il peso dell’ira del nostro Dio. Ma benediciamo mille volte la divina misericordia, che ci apre nei suoi tesori un rimedio al nostro male. Qualunque peccato abbiamo noi commesso, essa ce ne offerisce il perdono, purché noi lo domandiamo con un cuore contrito ed umiliato. Questo buon Padre è sempre pronto a ricevere il figliuol prodigo che ritorna dai suoi traviamenti, e che ne fa una confessione sincera con un cuore spezzato dal dolore. Volete voi dunque, peccatori, trovar grazia presso di Dio, quel tenero Padre che avete lasciato? Abbandonate i vostri cuori ai sensi di un vivo dolore: questo è un mezzo sicuro per rientrare nella casa paterna, e per ricuperare il diritto che avete perduto. Dio dimentica tutti i nostri peccati, tosto che noi li detestiamo di tutto cuore: voglio io in quest’oggi ragionarvi di questo dolore che cancella il peccato; soggetto tanto più importante, che la maggior parte delle confessioni che si fanno, principalmente in questo tempo Pasquale, sono nulle e sacrileghe per difetto di questo dolore. Si esaminano i peccati, si accusano; ma ben pochi vi sono che abbiano il dolore necessario per ottenere il perdono. Se v’è qualche confessione difettosa per mancanza di dichiarazione, molte più ve ne sono per mancanza di contrizione. Gli uni mancano affatto di contrizione; gli altri non hanno la contrizione quale Dio la richiede per accordare il perdono al peccatore. Vediamo dunque in quest’oggi la necessità della Contrizione: primo punto. Le qualità della Contrizione: secondo punto.

I Punto. La contrizione che tiene il primo luogo tra gli atti del penitente, come dice il santo Concilio di Trento, è un dolore, ed una detestazione del peccato commesso, con un fermo proponimento di non più commetterlo in avvenire. Non è solamente una interruzione, né anche una cessazione dal peccato, come lo pretendevano gli eretici che furono condannati in quel Concilio; egli è ancora una tristezza, ed un dolor vivo di cuore che ammollisce la sua durezza, gli fa odiare il peccato, e determina efficacemente il peccatore a non più commetterlo. Quindi la contrizione ha due oggetti : l’uno riguarda il passato, e l’altro l’avvenire. Ella affligge il cuore sul passato, dice S. Gregorio, e gli fa prendere delle precauzioni per l’avvenire: Pœnitere est perpetrata piangere, et plangenda non perpetrare. Or questa contrizione, questo dolore, come dice ancora il santo Concilio di Trento, è sempre stato necessario per ottenere il perdono. Egli è la prima porta per rientrare nello stato di giustizia e d’innocenza, da cui l’uomo è decaduto per il peccato. Iddio non ha mai accordato, e non accorderà mai il perdono al peccatore che a questa condizione: ella è una verità, di cui la sacra scrittura e la ragione ci forniscono prove senza replica. Apriamo primieramente i santi libri: che cosa Dio domanda ai peccatori che vogliono rientrare in grazia con lui? Gettate lungi da voi, loro dice per un Profeta, le vostre iniquità, e fatevi un cuor nuovo: Projiecite a vobis omnes prævaricationet vestras, et facite vobis cor novum (Ezech. XVIII). Invano dareste voi tutti i segni esteriori di penitenza; inutilmente coprireste i vostri capi di cenere, e i vostri corpi di cilicio; indarno squarcereste le vostre vestimenta, se i vostri cuori non sono penetrati di rammarico, e spezzati dal dolore: Scindite corda vestra, et non vestimenta vestra (Joel. II). Sì, Fratelli miei, benché per uscire dalla schiavitù del peccato, e ricuperare la libertà dei figliuoli di Dio, voi castigaste il vostro corpo, e lo riduceste in servitù con le penitenze le più austere, coi digiuni i più lunghi, e i più rigorosi; benché vi spogliaste di tutti i vostri beni per darli ai poveri; se il vostro cuore ama ancora l’oggetto di vostra passione, la vostra penitenza è vana, non è che un’ombra, e voi dimorerete sempre sotto l’anatema. Convertitevi a me in tutto il vostro cuore, vi dice il Signore, ed io mi convertirò a voi: Convertimini ad me in toto corde vestro, et ego convertar ad vos (Joel. II). Interrogate su di ciò, Fratelli miei, tutti coloro, cui il Signore ha fatto grazia e misericordia: vi diranno che non han trovata la pace delle loro anime, che nei pianti e nei gemiti; interrogate principalmente il Re Profeta, quel gran modello di penitenza: v’insegnerà che l’afflizione del cuore è l’anima della penitenza: mirate anche i sentimenti di dolore, di cui sono ripieni i suoi Salmi. Egli piange e geme ogni giorno sul suo peccato, che è sempre avanti a lui. L’agitazione e l’inquietudine si sono impadronite della sua anima sino a penetrare la midolla delle sue ossa : Conturbata sunt omnia essa mea ( Psal. VI), Il suo dolore è così grande, che interrompe il suo sonno per dare un libero corso alle lagrime abbondanti che colano dai suoi occhi: Lavabo per singulas noctes lectum meum; lacrymis meis stratum meum rigabo. Qual è l’origine di queste lagrime? Donde viene il dolore, cui questo gran Re si abbandona? Si è, ch’egli ha offeso il suo Dio, e che tutt’altro sacrificio non può appagarlo, che quello d’un cuor contrito ed umiliato: Sacrificium Deo spiritus contribulatus cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies. Così non ottiene il perdono del suo peccato, che pel dolore che ne ha concepito; le sue lagrime furono il bagno salutevole che lavarono la sua anima dal suo delitto, e la resero tanto bianca, come la neve. Or se Davide, quell’uomo che Dio aveva eletto secondo il suo cuore, non può trovar grazia dopo il suo peccato, che pel dolore che ne ebbe, invano pretendete, peccatori, ottenerlo altrimenti; mentre questo dolore non è men necessario nella legge di grazia, che nell’antica legge. Infatti, quantunque Gesù Cristo abbia istituito il Sacramento della penitenza per la remissione dei peccati, non vi ha perciò dispensati dal dolore che dovete concepirne; anzi ha voluto ch’egli fosse una parte essenziale del Sacramento, come l’ha dichiarato il santo Concilio di Trento, appoggiato su queste parole dì Gesù Cristo: se voi non fate penitenza, voi perirete tutti: Si pœnitentiam non egeritis, omnes similiter peribitis! (Luc., XIII). Cioè, se voi non vi pentite dei vostri peccati, se il vostro cuore non è tocco, ammollito, cambiato, voi non riceverete giammai il perdono, e per conseguenza non vi sarà giammai salute per voi. Perciocché notate col Crisostomo che, sebbene il nome di penitenza possa estendersi a tutte le opere penose e soddisfattorie, che dispongono il peccatore a riconciliarsi con Dio, la penitenza consiste principalmente nel dolore dei suoi peccati nel cangiamento di cuore, che sono l’anima della penitenza, senza di cui tutte le altre non ne sono che l’ombra e la scorza pœoenitentiæ larva et umbra ista sunt. Invano dunque, Fratelli miei, avreste voi fatto ricorso al Sacramento della riconciliazione; invano dichiarereste tutti i vostri peccati ai ministri che Gesù Cristo ha stabiliti per rimettervegli; invano il ministro del Signore pronuncerebbe su di voi la sentenza dell’assoluzione; tutte le vostre confessioni, tutte le assoluzioni che egli vi darebbe, vi sarebbero inutili, giacché non avreste la contrizione. Si può dirvi in un senso, che la contrizione è più necessaria alla salute che la Confessione; non già che questa non sia di un obbligo indispensabile; ma la contrizione può supplire alla Confessione, e non già la Confessione alla contrizione … Se voi siete in ìstato di peccato mortale, e che per motivo di un puro amor di Dio, voi ne concepiate dolore, qualunque peccato abbiate commesso, vi sarà perdonato; Dio vi renderà la sua amicizia, perché Egli ama coloro che l’amano: Ego diligentes me diligo (Prov. VIII). Se voi morite in questo stato senza esservi presentati al tribunale della penitenza, purché però non v’abbia alcuna vostra colpa, il Cielo vi è aperto. Convien tuttavia osservare che questa contrizione che viene dalla carità perfetta, deve rinchiudere il proponimento di sottoporre i vostri peccati alle chiavi della Chiesa; senza di che sarebbe di nessun effetto, come dice il Concilio di Trento. Al contrario, non foste voi colpevoli che di un solo peccato mortale, se voi moriste senz’averlo detestato, o con una contrizione perfetta fuori del Sacramento, o con una contrizione imperfetta insieme col Sacramento; aveste voi praticate tutte le altre virtù le più eroiche, voi non potete aspettarvi che un’eterna riprovazione; Comprendete da questo, Fratelli miei, la necessità della buona contrizione; ella è sì grande che nulla può dispensarne, così ha ordinato Iddio per la riconciliazione del peccatore, al cuore Egli si attiene; è la conversione del cuore ch’Egli dimanda, tutt’altro sacrificio non potrebbe essergli gradito. Ne volete voi sapere la ragione sensibile e con vincente? Eccola. Dio non può accordare all’uomo il perdono del suo peccato, che cangiando di disposizione riguardo all’uomo peccatore, cioè rendendogli la sua amicizia invece dell’odio, che aveva contro di Lui concepito. Or Dio non può cangiare di disposizione riguardo all’uomo peccatore, se questo peccatore non cangia egli medesimo di disposizione riguardo a Dio. Che fa l’uomo peccando? Si stacca, e si allontana da Dio per attaccarsi alla creatura, cui dà un’indegna preferenza sul suo Creatore; questa preferenza è l’opera del cuore; bisogna dunque che questo cuor cambi riguardo a Dio, attaccandosi a Lui, dandogli la preferenza che merita sulla creatura; bisogna che questo cuore divenga un cuor nuovo, amando ciò che odiava, ed odiando ciò che amava. Ecco, dice S. Agostino, quel che fa la vera penitenza, l’odio del peccato, e l’amor di Dio: Pœnitentiam non facit, nisi amor Dei, et odium peccati. Or l’odio e l’amore non possono venir che dal cuore. Non havvi dunque alcun perdono a sperare pel peccatore, se il suo cuore non è spezzato, cangiato dalla contrizione, che è nello stesso tempo l’odio del peccato, e l’amor di Dio. Inoltre non è forse il cuore che ha gustato il primo la dolcezza del frutto proibito, che si è abbandonato ai piaceri vietati, seguendo l’attrattiva della sua passione? Deve egli opporre il dolore al piacere, la tristezza al diletto, l’amarezza della penitenza alle false dolcezze che ha egli ricercate nel peccato. – Ed è così, peccatori, che l’avete voi compreso, voi che sino al presente non vi siete attaccati che alla scorza della penitenza, che avete conservato lo stesso cuore, cioè un cuore egualmente attaccato all’oggetto di vostra passione, che non avete concepito né dolore, né tristezza sui vostri peccati? Ohimè! Fratelli miei, quale illusione! Illusione, che vi ha sinora ingannati. Voi avete creduto essere sufficientemente disposti a ricevere il vostro perdono, avete esaminata la vostra coscienza, accusati i vostri peccati, fatti atti di contrizione, gettati sospiri, versate alcune lagrime; ma siccome con tutto questo il vostro cuore non era punto cangiato, e che non detestava il peccato come doveva, la vostra penitenza è stata vana, sterile, ed infruttuosa. Se aveste a fare con un uomo, egli si contenterebbe di questa esterior penitenza; ma Dio non se ne contenterà giammai, perché Egli vede il fondo del cuore; e finché questo cuore amerà i piaceri vietati, con tutte le lagrime che possiate spargere, con qualsivoglia protesta, che facciate di non più ricadere, voi sarete sempre colpevoli avanti a Dio, voi sarete sempre carichi del peso dei vostri peccati; come le vostre parole, che sono altrettanti inganni, e menzogne, ben lungi di giustificarvi, non serviranno che a rendervi più rei. Io so benissimo che per eccitarvi al dolore dei vostri peccati, voi leggete in certi libri alcune formule proprie ad ispirarvelo; ma credere, che queste preghiere bastino, e che a forza di leggere più formule proprie a toccate il cuore, senza che realmente lo sia, si otterrà il perdono del suo peccato, egli è un errore. Leggete tante preghiere che vi piacerà, pronunciate di bocca tanti atti di contrizione, quanti può formarne lo spirito, se il dolor non è nel cuore, se il cuore non è penetrato di pentimento del suo peccato, se il cuore, in una parola, non è cambiato, tutte le preghiere a nulla servono. – Ma in che, mi direte, consiste dunque questo dolore, questa tristezza che aver si deve del peccato? Questo dolore non è una semplice conoscenza che si ha della difformità del peccato; i demoni hanno questa conoscenza, e non hanno la contrizione! Non è neppure una semplice disapprovazione del peccato, che ogni uomo ragionevole non può trattenersi di condannare nel tempo stesso in cui egli si abbandona al peccato. Che convien dunque far di più, direte ancora? Bisogna forse che il cuore sia commosso da qualche dispiacer sensibile, come lo risentiamo quando ci giunge qualche funesta nuova? No, Fratelli miei, questo dolore che Dio ci domanda, non è un sentimento della natura, sovente non dipende da noi; neppure sono lacrime, ch’Egli esige, esse non sono sempre in nostra disposizione; felici tuttavia sono coloro che ne spargono per un vero dolore dei loro peccati! Eccovi dunque in che consiste questa contrizione necessaria per la giustificazione: ella è un atto della volontà che ritratta, che detesta, che odia il peccato, che si pente d’averlo commesso, e che mette il peccatore in tal disposizione, che vorrebbe non averlo mai commesso. –  Giudicate, Fratelli miei, di questa disposizione, in cui deve essere il peccator penitente, da quella in cui vi trovate, allorché vi pentite di aver fatta una qualche azione che vi ha cagionato una perdita di bene, un disonore, la disgrazia di una persona che vi amava, e vi proteggeva; voi ritrattate questa azione, voi avete dispiacere di averla fatta, voi vorreste non averla fatta. Tale è la disposizione in cui dovete essere per rapporto al peccato; non basta non volerlo più commettere, ma bisogna essere disgustato di averlo commesso. Or ecco ciò in che molti penitenti presentemente s’ingannano. Uno crede di detestar bene il peccato, perché non vi vuol più cadere; ma è forse sempre disgustato per questo di averlo commesso? Un altro ha lasciato un’occasione, una persona, che non vuol più frequentare forse perché ne è stato rigettato, o che vi si è determinato di sua elezione. Ma non si richiama egli forse con compiacenza la memoria dell’oggetto di sua passione, i piaceri, ch’egli ha gustati, i disordini, cui si è abbandonato? Non  vuoi più avere alcuna rea compiacenza per certe amate persone; ma si ha forse pentimento di quelle che si ha permesse, che sono state ottenute a prezzo d’argento, che han procurata l’amicizia d’un grande, che hanno aperta la strada ad una certa fortuna, ad uno stabilimento vantaggioso, dove si compiace d’essere pervenuto? Ah! quanto è difficile, quanto è raro di pentirsi di questa sorte di peccati! Non vuole quello più rapire la roba degli altri; ma è forse disgustato d’essersi arricchito a loro spese? Se si pentisse delle sue ingiustizie passate, penserebbe a restituire. Un vendicativo perdona al suo nemico, perché la collera è passata; ma è egli ben pentito di aver soddisfatta la sua vendetta? Questo è ciò che accade molto di rado. Ahi non sono queste, Fratelli miei, penitenze capaci di calmare l’ira di Dio. L’ho detto e non saprei troppo ripeterlo: la penitenza del cuore, che è la contrizione, ha due oggetti; ella è un rammarico, un dispiacere del peccato commesso, con un fermo proponimento di non più commetterlo in avvenire. Contrizione assolutamente necessaria per ottenere la remissione del peccato. Quali ne sono le qualità?

II. Punto. La contrizione per essere gradita a Dio e salutevole ai peccatori, deve essere soprannaturale nel suo principio e nel suo motivo, universale nel suo oggetto, efficace e costante nel suo proponimento. Essa deve esser soprannaturale nel suo principio e suo motivo, cioè deve esser prodotta da un impulso della grazia, e da un motivo soprannaturale. La ragione è che la contrizione è una disposizione prossima alla giustificazione del peccatore; cioè a quel felice passaggio dal peccato alla grazia, per cui il peccatore diventa l’amico di Dio, l’erede del regno eterno. Ora la fede c’insegna che tutto ciò che ci dispone prossimamente alla giustificazione, deve essere soprannaturale, cioè, venire dal Santo Spirito, perché la giustificazione medesima è un dono soprannaturale, che non è dovuto all’uomo, e dove non può pervenire con le sue proprie forze: egli ha dunque bisogno di un soccorso che lo innalzi su di se stesso; egli deve avere una disposizione proporzionata al fine felice che si propone, che è di riconciliarsi con Dio, e di ricuperare i suoi diritti alla celeste eredità. Egli è vero che questo soccorso soprannaturale, questo dono prezioso ci viene dal Padre dei lumi, il quale è la sorgente d’ogni dono perfetto; che è la sua grazia onnipotente che agisce in noi, che ci solleva su di noi medesimi per renderci partecipi della natura divina. La contrizione è un movimento dello Spinto Santo cui solo appartiene di fare scorrere col suo soffio divino le acque salutari della compunzione, che debbono lavare le nostre iniquità: Flabit spiritus ejus, et fluent aquæ (Psal. CXLVII). Ma Dio è sempre pronto a darci il suo aiuto, purché noi glielo domandiamo, e non formiamo alcun ostacolo alle sue operazioni. Bisogna dunque operare dal canto nostro per corrispondere alla grazia, e renderci sensibili ai motivi di dolore, che essa ci propone. Bisogna di concerto con essa proporci noi medesimi questi motivi di dolore, lasciarcene toccare, penetrare, abbandonare i nostri cuori ai sentimenti che essi non mancheranno d’ispirarci. Or quali sono questi motivi soprannaturali che debbono produrre in noi il dolore dei nostri peccati? Sono oggetti che la fede ci propone per farci odiare il peccato, facendoci considerare ciò, ch’egli è per rapporto a Dio e alla nostra salute eterna. Bisogna dunque che la fede operi in questa occasione per sollevarci su di qualunque mira umana, e rappresentarci un Dio oltraggiato pel peccato, i suoi benefici dispregiati, la passione e la morte di Gesù Cristo, di cui il peccato è stata la cagione, una felicità infinita di cui ci ha Egli privati, i castighi eterni che ci ha meritati. Questi sono i motivi soprannaturali che debbono farci detestare il peccato, o come il sommo male di Dio, o come il sommo male dell’uomo. Se voi detestate il peccato come il sommo male di Dio, come un’ingiuria fatta alla sua infinita Maestà, e non in vista delle ricompense che ci promette o dei castighi, di cui ci minaccia, ma unicamente perché il peccato gli dispiace, perché è opposto alle sue infinite perfezioni che meritano tutto l’amore delle sue creature; si è l’effetto della vostra carità perfetta che solo può giustificarvi, come l’abbiamo già detto prima anche di accostarvi al Sacramento della Penitenza; lasciandovi per altro l’obbligo di sottoporre i vostri peccati alle chiavi della Chiesa; questa è la dottrina del Santo Concilio di Trento: Etsi contritionem hanc aliquando charitate perfectam esse contingat, hominemque Deo reconciliare priusquam hoc Sacramentum actu suscipiatur . Felice chi portato sull’ale dell’amore si solleva in tal modo sino a Dio, detesta il peccato per l’opposizione che egli ha alla sua infinità bontà e che con questo si assicura dell’amicizia del suo Dio, il Quale ama coloro che l’amano: ego dìligentes me diligo! – Voi potete ancora, e dovete per lo meno, detestar il peccato come vostro sommo male, in quanto vi priva dell’amicizia di Dio, del possesso della sua gloria, e vi rende l’oggetto delle vendette eterne. Questo dolore che viene da un amor imperfetto, e dal timore delle pene, benché da se stesso insufficiente per giustificarvi fuori del Sacramento, vi dispone nulla dimeno a ricevere nel Sacramento la grazia della riconciliazione; questa è ancora la dottrina del citato Concilio di Trento. Ma bisogna per questo, che esso scacci ogni affetto al peccato, che vi porti a Dio per l’amor della giustizia, e che sia unito alla speranza del perdono. Perciocché se voi non evitate il peccato, che per il timore dei castighi, di modo che non lascereste di commetterlo, se restasse impunito, questo timore è non solo inutile, ma eziandio biasimevole, dice S. Agostino, perché non cambia punto il vostro cuore. Fa d’uopo dunque, che sia accompagnato dall’amor della giustizia, cioè da una volontà di amar Dio, di praticare le virtù, ch’Egli vi comanda. Fa d’uopo ch’Egli vi porti a Dio con un amor di speranza che vi unisca a Lui, come a vostro sommo bene, che merita di esser preferito ad ogni altro, di tal maniera, che voi foste disposti a perdere piuttosto tutti i beni creati, a soffrire tutti i mali, che di perdere l’amicizia di Dio; senza di che questo dolore imperfetto non sarebbe sommo, come deve essere, per giustificarvi anche insieme col Sacramento. – Lungi dunque da qui, Fratelli miei, ogni altro dolore, che sarebbe di un inferiore ordine, che non avrebbe alcun rapporto a Dio, o alla salute eterna dell’uomo. Lungi da qui quei dolori, che non sono prodotti che da motivi umani, e che perciò sono incapaci di toccare il cuor di Dio e di operare la guarigione del peccatore. Tale fu il dolore di Antioco, il quale piangeva i mali, che aveva fatti in Gerusalemme, che prometteva anche di ripararli e che domandava a Dio il suo perdono con lagrime e gemiti; ma il suo dolore non era che l’effetto dei mali di cui Dio l’aveva oppresso: e non ottenne il perdono che domandava: Orabat autem hic scelestus Dominun, a quo non esset misericordiam consecuturus (2. Mach. IX). Tale è ancora il dolore di un gran numero di penitenti, che sono più sensibili ai mali temporali, che sono stati la conseguenza dei loro peccati, che all’oltraggio che han fatto a Dio. Molti piangono, dice S. Agostino, ed io piango anche con essi; ma io piango perché essi piangono male. Quel dissoluto piange la sua vita licenziosa, perché ha messo in disordine i suoi affari, rovinata la sua sanità. Quella figlia sparge molte lagrime, si strugge di dolore, perché il suo peccato l’ha disonorata, perché è divenuta la favola del pubblico. Quella donna racconta con lagrime i suoi affanni e i cattivi trattamenti che gli ha fatti suo marito: ne veggo un altro metter fuori singhiozzi e sospiri, che gli cava la confusione naturale che ha di confessar certe azioni, che vorrebbe poter a se stesso occultare. Chi non vede, Fratelli miei, che questi dolori sono tutti naturali, che sono meno l’effetto della grazia, che della natura, incapaci per conseguenza di riconciliare il peccatore con Dio? Queste sono, dice S. Bernardo, piogge fredde, che cagionano la sterilità, invece di apportar l’abbondanza. Queste tristezze del secolo non sono capaci che di cagionare la morte, dice S. Paolo: laddove la vera Contrizione, che è una tristezza secondo Dio, opera la salute: Quæ secundum Deum tristitia est, pœnitentiam in saluterai stabilem operatur, sæculi autem tristitia mortem operatur (2. Cor. VII). Volete voi, Fratelli miei, che la vostra sia tale? Sollevatevi con la fede sopra di tutti i motivi umani, per non riguardare nel peccato, che l’offesa di Dio, la perdita della sua amicizia, le pene eterne che ne sono la conseguenza. Se il vostro dolore è animato da un motivo soprannaturale, egli sarà universale nel suo oggetto; cioè egli detesterà tutti i vostri peccati senza eccezione, Mentre se voi detestate il peccato, o come sommo male di Dio, o come vostro sommo male, qualunque abbiate commesso, tosto che è mortale, portando questi odiosi caratteri, merita egualmente il vostro odio, ed il vostro dolore. Invano dunque offrireste a Dio il sacrificio di un cuor contrito su certi peccati, mentre questo cuore sarebbe attaccato ad altri oggetti che lo renderebbero colpevole avanti a Dio. Invano detestate voi la vendetta per principio di carità, se il vostro cuore è occupato di un amor profano per l’oggetto di una sregolata passione. Invano, per un principio dì giustizia, non vi impadronirete del bene altrui; se voi prodigate il vostro in folli spese, se voi l’impiegate a mantenere la vostra vanità, se voi lo consumate in dissolutezze. Dio riproverà i vostri sacrifizi, come fece altre fiate quello di Saulle, che nello sterminio degli Amaleciti, aveva risparmiato il Re, contro il divieto che gliene aveva fatto. No, Fratelli miei, Dio non vuole di questi cuori mezzo contriti, come dice S. Agostino, di questi cuori mezzo Cristiani, mezzo pagani, che offrono con una mano incensi al vero Dio, e con l’altra agl’Idoli, che detestano certi vizi, e non si pentono d’altri, di cui non vogliono correggersi. Il sacrificio del cuore per essere accetto a Dio, deve esser intiero; siccome Egli non perdona per metà, e nel perdono che ci accorda, rimette tutti i nostri debiti; così bisogna che il peccatore non riserbi alcun peccato, che la sua contrizione si estenda a tutti, che sia come un mare che gli anneghi, che gli assorbisca tutti nel suo seno: Magna est velut mare contritio tua. La spada del dolore deve tutti sacrificarli. Un solo risparmiato è un ostacolo al perdono. Finalmente la Contrizione deve essere efficace e costante nel buon proponimento di non più peccare. Chiunque infatti è veramente pentito di aver offeso Dio, deve essere ben risoluto di non più ricadere nel peccato. Se la Contrizione, siccome abbiam detto, rinchiude l’odio del peccato e l’amore di Dio, può uno odiar il peccato, senza essere risoluto di evitarlo? Può uno amar Dio come deve essere amato, senza esser disposto ad osservare i suoi divini comandamenti, il che è il segno il più certo dell’amore che si ha per lui? Tali esser debbono, o peccatori, le vostre disposizioni per l’avvenire, se volete ottenere il perdono del passato. Volete voi dunque conoscere se il vostro proponimento è stato sincero ed efficace? Giudicatene dal cangiamento dei vostri costumi, e dalla vostra fedeltà ad osservare la legge del Signore. Quindi ciò che fa la vostra sicurezza, deve accrescere il vostro timore; alla vista dei vostri peccati, voi vi rassicurate sulle vostre confessioni, voi credete averne ottenuto il perdono, perché gli avete accusati: errore, Fratelli miei; confessioni sacrileghe non saprebbero giustificarvi avanti a Dio; confessioni fatte senza un buon proponimento non possono che rendervi più colpevoli. Ora la prontezza e la facilità, con cui siete caduti nel peccato mortale dopo le vostre confessioni, non prova che forse giammai non avete voi avuto un sincero proponimento di non più peccare? Ma che qualità deve avere questo proponimento? Egli deve essere accompagnato da fermezza e da vigilanza: da fermezza per resistere alle tentazioni; da vigilanza per fuggire le occasioni. Che tutti i nemici di vostra salute, per farvi cangiar di risoluzione, si colleghino contro di Voi; che il mondo per guadagnarvi vi presenti lo splendore dei suoi beni, le lusinghe dei suoi piaceri; che il demonio come un leone che rugge giri intorno di voi per divorarvi; che di concerto con le vostre passioni vi solleciti ad accordar loro piaceri che la legge del Signore vi proibisce; voi dovete esser fermi e costanti per resistere e trionfare in tutti questi combattimenti: io l’ho promesso, dovete voi dire col Profeta, io ho risoluto di osservar la legge del Signore: juravi et statui custodire judicia justitiæ tuæ (Ps. CXVIII). Ma per riportare una sicura e piena vittoria , è necessaria la vigilanza per fuggire le occasioni del peccato. Mentre invano, Fratelli miei, vi lusingate di esser fedeli a Dio; se v’impegnate nelle medesime occasioni: qualunque risoluzione abbiate presa, voi soccomberete. Le medesime cagioni produrranno i medesimi effetti; gli oggetti che non vi eccitavano punto allorché n’eravate separati, riaccenderanno con la loro presenza le vostre passioni, e vi strascineranno nei medesimi disordini da cui siete usciti. – Concepite dunque, Fratelli miei, una ferma risoluzione di fuggir il peccato e le occasioni del peccato, di corregger i vostri malvagi abiti, servendovi dei mezzi che vi sono stati prescritti nel tribunale della penitenza, mentre non solo per ricevere il perdono delle vostre colpe dovete voi accostarvene, ma ancora per correggervi. A che vi servirebbe ricuperare per qualche tempo la grazia di Dio, se voi la perdeste per vostra incostanza? Il vostro stato diverrebbe peggiore che non era prima. Ah! è finito, dovete voi dire, già da troppo lungo tempo mi abuso dei Sacramenti. Io mi confesso e sempre ricado; la mia vita non è che una vicissitudine di peccato e di penitenza. Ma voglio che la mia penitenza metta fine ai miei peccati, che questa sia una penitenza ferma e durevole, che non finisca che con la vita. Se il vostro dolore è così costante nel suo proponimento, voi avrete , Fratelli miei , un segno tanto sicuro, quanto avere si possa in questa vita, ch’esso è stato vero, e che avete ottenuto il vostro perdono.

Pratiche – 1.° Domandate a Dio questo dolore; giacché è l’effetto della grazia, si richiedono molte preghiere per ottenerlo . – 2. Per eccitarvi alla contrizione dei vostri paccati, ritiratevi in un luogo conveniente, il più proprio si è la Chiesa; ivi vi proporrete i motivi capaci di muovere il vostro cuore, di penetrarlo dei sentimenti della più viva, della più amara compunzione. Riguardandovi come un figliuol prodigo, che ha lasciato il migliore di tutti i padri, vi getterete dentro le sue braccia, dicendogli: mio Padre, io ho peccato contro il cielo e davanti a Voi, io ne sono molto pentito; io vorrei non averlo mai fatto. Ah! la risoluzione è presa, io faccio sino d’ora un divorzio eterno con il peccato; piuttosto morire, o Signore, che di offendervi, si è la sola grazia ch’io vi domando. – 3. Rappresentatevi Gesù Cristo sulla croce (abbiate, per quanto vi sarà possibile, la sua immagine avanti agli occhi); immaginatevi che vi dica: ecco, peccatore, lo stato in cui tu m’hai ridotto col tuo peccato; la mia morte è opera tua, non ti penti tu di avermi così trattato? Vorresti tu ora non averlo fatto? Indi rispondetegli di tutto vostro cuore: sì, o Signore, io lo vorrei benissimo; io me ne pento sinceramente; ma è finito, non più peccati nella mia vita, non più tiepidezza nel vostro servizio. Per rendere il vostro dolore più gradito a Dio e più salutevole per voi, unitelo a quello che questo divin Mediatore concepì nel giardino degli ulivi sui peccati degli uomini, il quale gli cagionò un sudore di sangue; mischiate le vostre lagrime con quel Sangue prezioso; offrite a Dio i suoi meriti, per supplire a ciò che vi manca. Ma applicatevi altresì i meriti di quel Sangue adorabile col dolore che concepirete dei vostri peccati; non è che a questa condizione, ch’Egli purificherà, come dice l’Apostolo, le vostre coscienze dalle opere morte, cioè, dalle opere di peccato, e che avrete parte all’eredità, che vi è promessa. Gesù Cristo vi è entrato pel suo Sangue, voi dovere entrarvi per le vostre lagrime; dopo aver pianto sulla terra, voi sarete consolati nel Cielo. Così sia.

Credo …

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 Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 17, 107

Confitébor tibi, Dómine, in toto corde meo: retríbue servo tuo: vivam, et custódiam sermónes tuos: vivífica me secúndum verbum tuum, Dómine. [Ti glorífico, o Signore, con tutto il mio cuore: concedi al tuo servo: che io viva e metta in pràtica la tua parola: dònami la vita secondo la tua parola.]

Secreta

Hæc múnera, quaesumus Dómine, ei víncula nostræ pravitátis absólvant, et tuæ nobis misericórdiæ dona concílient. [Ti preghiamo, o Signore, perché questi doni ci líberino dalle catene della nostra perversità e ci otténgano i frutti della tua misericórdia.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

 Communio

1 Cor XI: 24, 25

Hoc corpus, quod pro vobis tradétur: hic calix novi Testaménti est in meo sánguine, dicit Dóminus: hoc fácite, quotiescúmque súmitis, in meam commemoratiónem. [Questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi: questo càlice è il nuovo patto nel mio sangue, dice il Signore: tutte le volte che ne berrete, fàtelo in mia memoria.]

Postcommunio

Orémus.

Adésto nobis, Dómine, Deus noster: et, quos tuis mystériis recreásti, perpétuis defénde subsidiis. [Assístici, o Signore Dio nostro: e difendi incessantemente col tuo aiuto coloro che hai ravvivato per mezzo dei tuoi misteri.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/