L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (2)

R. P. CHAUTARD D . G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (2)

TRADUZIONE

del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B.

8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

3.

Che cosa è la vita interiore?

Le espressioni vita di orazione, vita contemplativa, adoperate in questo libro, si riferiscono, come nell’Imitazione di Gesù Cristo, allo stato delle anime le quali si danno sul serio a una vita cristiana non comune, eppure accessibile a tutti e, in sostanza, obbligatoria per tutti (Pure, prescindendo sempre dai fenomeni che accompagnano certi stati straordinari di unione con Dio, siamo persuasi che Dio spesso concede, all’infuori di tali fenomeni, grazie speciali di orazione alle anime generose che bramano di vivere in intimità con Lui). Non è nostra intenzione fermarci qui in uno studio di ascetismo, ma ci limiteremo a ricordare in breve quello che CIASCUNO è obbligato ad accettare come assolutamente certo, per il governo intimo dell’anima sua.

I. VERITÀ. La vita soprannaturale è in me, la Vita di Gesù Cristo medesimo, per mezzo della Fede, della Speranza e della Carità, perché Gesù è la causa meritoria esemplare e finale e, come Verbo, è col Padre e con lo Spirito Santo la causa efficiente della grazia santificante nell’anima nostra.  La presenza di Gesù per mezzo di questa vita soprannaturale non è la presenza reale propria della santa Comunione, ma una presenza di AZIONE VITALE, come l’azione della testa o del cuore sulle altre membra; azione intima che Dio per lo più nasconde all’anima mia, per accrescere il merito della mia fede; dunque azione abitualmente insensibile alle mie facoltà naturali, che soltanto la fede mi obbliga a credere formalmente; azione divina che non distrugge il mio libero arbitrio e che si serve di tutte le cause seconde, fatti, persone e cose, per farmi conoscere la volontà di Dio e per darmi occasione di acquistare o di accrescere la mia partecipazione alla vita divina.  – Questa vita cominciata col Battesimo con lo stato di grazia, perfezionata con la Cresima, ricuperata con la Penitenza, mantenuta e arricchita con l’Eucarestia, è la mia VITA CRISTIANA.

II. VERITÀ. Per mezzo di questa vita, Gesù Cristo mi comunica il suo Spirito; così Egli diventa un principio di attività superiore il quale, se non vi metto ostacolo, mi fa pensare, giudicare, amare, volere, soffrire e lavorare con Lui, in Lui, per mezzo di Lui, come Lui. Le mie azioni esteriori diventano la manifestazione di questa vita di Gesù in me, e così io tendo ad effettuare l’ideale della VITA INTERIORE formulato da san Paolo: Non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me. – Vita cristiana, Pietà, Vita interiore, Santità non sono cose essenzialmente diverse, ma sono i gradi diversi di un medesimo amore: sono il crepuscolo, l’aurora, la luce, lo splendore di un medesimo sole.  – Quando in questo libro adoperiamo l’espressione Vita interiore, non intendiamo tanto la vita interiore abituale, cioè, se così possiamo esprimerci, « il capitale di vita divina » che possediamo per la grazia santificante, quanto piuttosto la Vita interiore attuale, ossia il buon uso di questo capitale per mezzo dell’attività dell’anima e della fedeltà alle grazie attuali. Possiamo dunque definirla lo stato di attività di unanima che REAGISCE per DOMINARE le sue inclinazioni naturali e si sforza di acquistare L’ABITUDINE di giudicare e di regolarsi IN TUTTO secondo la luce del Vangelo e gli esempi di Gesù Cristo.  Vi sono dunque due movimenti: col primo, l’anima si ritrae da ciò che il creato può avere di contrario alla vita soprannaturale, e cerca di essere sempre presente a se stessa: Aversio a creaturis; col secondo, l’anima si porta verso Dio e si unisce a Lui: Conversio ad Deum.  – Quest’anima vuole perciò essere fedele alla grazia che Nostro Signore le offre in ogni momento; insomma, essa vive unita a Gesù e avvera in se stessa la parola di Lui: Qui manet in Me et Ego in eo Me fert fructum multum – Chi si tiene in me, e in chi io mi tengo, questi porta gran frutto (Giov. XV, 5).

III. VERITÀ. Mi priverei di uno dei mezzi migliori per acquistare questa vita interiore, se non mi sforzassi di avere una fede PRECISA E CERTA di questa presenza attiva di Gesù in me e soprattutto di ottenere che tale presenza sia per me una realtà viva, ANZI VIVISSIMA, la quale penetri sempre più nella cerchia delle mie facoltà. Così, divenendo Gesù la mia luce, il mio ideale, il mio consiglio, il mio appoggio, il mio rifugio, la mia forza, il mio medico, il mio conforto, la mia gioia, il mio amore, insomma la mia vita, io acquisterò tutte le virtù. Soltanto allora potrò recitare con sincerità la bella preghiera di san Bonaventura, che la Chiesa mi propone come ringraziamento dopo la Messa: Transfige, etnicissime Domine Jesu..,

IV.VERITÀ. In proporzione dell’intensità del mio amore per Dio, la mia vita soprannaturale può crescere ogni momento per una nuova infusione della grazia della presenza attiva di Gesù in me, e questa infusione è prodotta:

1° Da ATTI MERITORI (virtù, lavoro, patimenti nelle loro varie forme, privazione di creature, dolore fisico o morale, umiliazione, abnegazione: preghiera, Messa, atti devoti verso Maria santissima ecc.) —

2° Dai SACRAMENTI e soprattutto dall’Eucaristia.

Dunque è cosa certa — e questa conseguenza mi schiaccia con la sua sublimità e con la sua profondità, ma più ancora mi rallegra e m’incoraggia — è dunque cosa certa che in ogni avvenimento, persona o cosa, siete Voi, o Gesù, proprio Voi che vi presentate a me e in ogni minuto! Sotto quelle apparenze Voi nascondete la vostra sapienza e il vostro amore e sollecitate la mia cooperazione, per accrescere in me la vostra vita! – O anima mia, è sempre Gesù che ti si presenta per mezzo della GRAZIA DEL MOMENTO PRESENTE, della preghiera che devi dire, della Messa che devi celebrare o ascoltare, della lettura che devi fare, degli atti di pazienza, di zelo, di rinuncia, di lotta, di confidenza, di amore che devi fare, e tu oseresti voltare la faccia o nasconderti?

V. VERITÀ. La triplice concupiscenza causata dal peccato originale e accresciuta da ciascuno dei miei peccati attuali, produce in me ELEMENTI DI MORTE, opposti alla vita di Gesù. Ora nella stessa misura con cui tali elementi si sviluppano, diminuiscono l’esercizio di tale vita e possono purtroppo anche arrivare a sopprimerla.  Tuttavia né inclinazioni, né sentimenti contrari a tale vita, né tentazioni anche violente e prolungate, non le possono nuocere finché la mia volontà vi si oppone; e in tal caso — oh! verità consolante! — essi contribuiscono anzi ad aumentarla,in proporzione del mio zelo, come qualunque elemento di lotta spirituale.

VI.VERITÀ. Se non faccio uso continuo di certi mezzi, la mia intelligenza si accecherà, e la mia volontà diventerà troppo debole per cooperare con Gesù ad accrescere ed anche a mantenere la sua vita in me; allora avviene una diminuzione progressiva di questa vita in me e io cammino verso la TEPIDEZZA DELLA VOLONTÀ (Questa tepidezza è ben diversa dall’aridità e anche dal disgusto che provano talvolta, loro malgrado, i fervorosi. Le colpe veniali che sfuggono alla fragilità e che sono combattute e subito detestate appena commesse, non rivelano neppur esse la tepidezza della volontà. L’anima che ha questa tepidezza, ha due volontà opposte, una buona e l’altra cattiva; una calda e l’altra fredda. Da una parte vuole la salute e perciò evita i peccati mortali e manifesti; d’altra parte non vuole le esigenze dell’amor di Dio, vuole invece le comodità di una vita libera e facile e perciò si permette peccati veniali deliberati… Quando questa tepidezza non è combattuta, per ciò stesso vi è nell’anima cattiva volontà, non totale, ma parziale; vi è cioè una parte della volontà che dice a Dio: « Su questo o su quel punto, non voglio cessare di dispiacervi » – P. DESURMONT, C. SS. R., Le Retour continuel à Dieu). Per dissipazione, per vigliaccheria, per illusione o per accecamento, vengo a patti col peccato veniale e per conseguenza divento incerto della mia salute, essendo quella una disposizione facile al peccato MORTALE.  – Se avessi la disgrazia di cadere in questa tepidezza, e tanto più se avessi la disgrazia di cadere anche più in basso, dovrei tentare ogni mezzo per uscirne, 1° con ravvivare il mio timor di Dio, rappresentandomi al vivo il mio fine, la morte, i giudizi di Dio, l’inferno, l’eternità, la malizia del peccato ecc.; 2° col ravvivare la mia compunzione per mezzo della scienza amorosa delle vostre Piaghe, o misericordioso Redentore, e portandomi in ispirito al Calvario, mi prostrerò ai vostri piedi santi, affinché il vostro Sangue vivo, scorrendo sulla mia testa e sul mio cuore, dissipi il mio accecamento, sciolga il ghiaccio dell’anima mia e desti dal torpore la mia volontà.

VII. VERITÀ. Devo seriamente temere di non avere il grado di vita interiore che Gesù esige da me:

1° Se tralascio di accrescere in me la SETE di vivere di Gesù, sete che mi dà il desiderio di piacere in ogni cosa a Dio e il timore di dispiacergli in qualche cosa; ora questo avviene necessariamente se non adopero più i mezzi che sono le preghiere del mattino, la Messa, i Sacramenti e l’Uffizio, gli esami particolare e generale, la lettura spirituale; oppure se per colpa mia tali mezzi non hanno effetto.

2° Se non ho almeno il puro necessario del RACCOGLIMENTO che mi permetta, durante le mie occupazioni, di custodire il mio cuore in una purezza e in una generosità sufficienti perché non venga soffocata la voce di Gesù che mi avverte degli elementi di morte che si presentano, e m’invita a combatterli. Ora quel tanto di raccoglimento mi mancherà, se trascuro i mezzi che me lo possono assicurare, cioè Vita liturgica, giaculatorie soprattutto in forma di suppliche, comunioni spirituali, esercizio della presenza di Dio ecc.  – Senza quel raccoglimento, i peccati veniali verranno a pullulare nella mia vita, e io non potrò forse neppure dubitarne; per nasconderli e anche per non lasciarmi vedere uno stato più deplorevole, l’illusione si gioverà dell’apparenza di pietà più speculativa che pratica, di zelo per l’azione ecc. Ma intanto il mio accecamento sarà colpevole, perché ne avrò messa o mantenuta la causa, con la mancanza di quel raccoglimento indispensabile.

 VIII. VERITÀ. La mia vita interiore sarà quale è la mia Custodia del cuore: Omni custodia serva cor tuum, quia ex ipso vita procedit (Prima di tutto custodisci il tuo cuore, perché da esso viene la vita (Prov. IV, 23).  La custodia del cuore altro non è che la sollecitudine ABITUALE o almeno frequente per preservare tutte le mie azioni, man mano che si presentano, da tutto ciò che potrebbe viziarle o nel loro MOTIVO o nella loro ESECUZIONE.  

Sollecitudine calma, tranquilla, senza sforzo, ma però forte, perché fondata sul filiale ricorso a Dio. È questo un lavoro del cuore e della volontà più che della mente la quale deve restare libera per compiere i suoi doveri. La custodia del cuore non solo non disturba l’azione, ma la perfeziona, perché la regola secondo lo spirito di Dio e l’aiuta nei doveri del proprio stato.  – Questo esercizio si può fare ogni momento; è come uno sguardo del cuore sulle azioni presenti a un’attenzione tranquilla sulle diverse parti di un’azione che si sta facendo; è la perfetta osservanza dell’Age quod agis. L’anima come una sentinella attenta esercita la sua vigilanza su tutti i movimenti del cuore, su tutto ciò che avviene nel suo interno, intenzioni, impressioni, passioni, inclinazioni, insomma su tutti i suoi atti interni ed esterni, pensieri, parole e azioni.  Per la custodia del cuore si richiede un certo raccoglimento, e un’anima dissipata non ne è capace. – Con la frequenza di questo esercizio, a poco a poco se ne acquista l’abitudine.

Quo vadam et ad quid? Che cosa farebbe Gesù, come si comporterebbe al mio posto! Che cosa mi consiglierebbe? Che cosa chiede da me in questo momento? Ecco le domande spontanee che vengono all’anima avida di vita interiore.  Per l’anima che va a Gesù per mezzo di Maria, la custodia del cuore prende un carattere ancora più facilmente affettivo, e per il suo cuore diventa un continuo bisogno il ricorrere a questa buona Madre.

IX. VERITÀ. Gesù Cristo regna nell’anima quando questa vuole imitarlo sul serio, in tutto e con affetto. In questa imitazione vi sono due gradi:

1° L’anima si sforza di divenire indifferente alle creature considerate in se stesse, siano esse conformi oppure contrarie ai suoi gusti. Come Gesù, non accetta altra legge che la Volontà di Dio in tutte le cose: Descendi de cœlo non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me (Sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato  – Giov. VI, 38).  —

Christus non sibi placuit (Rom. XV, 3. Il Cristo non ebbe compiacenza per se. ). L’anima tende più volentieri a ciò che è contrario e ripugna alla natura. Essa allora mette in pratica l’Agendo contra di cui parla sant’Ignazio nella sua celebre meditazione del Regno di Gesù Cristo; è l’azione contro la natura per dare la preferenza a ciò che imita la povertà del Salvatore e il suo amore dei patimenti e delle umiliazioni. Allora l’anima, secondo l’espressione di san Paolo, conosce davvero il Cristo: Didicistis Christum (Efes. IV, 20.).

X. VERITÀ. Qualunque sia il mio stato, se  voglio pregare ed essere fedele alla grazia, Gesù mi offre tutti i mezzi per ritornare ad una vita interiore che mi restituisce la sua intimità e mi permette di sviluppare in me la sua vita. Allora, nel suo progredire, l’anima possederà la gioia, anche in mezzo alle prove, e si avvereranno per lei le parole d’Isaia: Allora splenderà la tua luce come l’aurora, e la guarigione presto verrà; la tua giustizia camminerà dinanzi a te; la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai il Signore, ed Egli ti esaudirà; tu griderai, ed Egli dirà: Eccomi… E il Signore sarà la tua guida; sazierà l’anima tua nei luoghi aridi e darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino bene irrigato, come una sorgente le cui acque non vengono mai meno (Is. LVIII, 8, 9).

XI. VERITÀ. Se Dio vuole da me che io esplichi la mia attività non soltanto per la mia santificazione, ma anche per le opere di zelo, devo anzitutto formare nell’anima mia questa convinzione ferma: Gesù deve e vuole essere la vita di queste opere. – I miei sforzi da soli non sono nulla, assolutamente nulla: Sine me nihil potesti facete (Senza di me, voi non potete fare nulla  – Giov. XV, 5); non saranno né utili né benedetti da Dio, se non li unisco continuamente all’azione vivificatrice di Gesù, con una vera vita interiore; saranno invece onnipotenti, se così farò: OMNIA possum in eo qui me confortat (Io posso tutto in Colui che mi conforta – Filipp. IV, 13). Ma se derivassero da presunzione orgogliosa, dalla fiducia nella mia capacità, dal desiderio di una bella riuscita, i miei sforzi sarebbero rigettati da Dio: non sarebbe infatti una stoltezza sacrilega la mia, se volessi rubare qualche cosa alla gloria di Dio, per farmene bello? Tale convinzione non solo non mi renderà pusillanime, ma sarà la mia forza. Come mi farà sentire il bisogno della preghiera per ottenere questa umiltà che è tesoro per l’anima mia, assicurazione dell’aiuto di Dio e pegno di buona riuscita per le mie opere! – Ben convinto dell’importanza di questo principio, mi esaminerò seriamente nei giorni di ritiro, per vedere – se la mia convinzione della nullità delle mie azioni quando è sola, e della sua forza quando è unita all’azione di Gesù, non si è indebolita; – se escludo inesorabilmente la compiacenza, la vanità e la personalità nella mia vita di apostolo; – se conservo un’assoluta diffidenza di me stesso; – se prego Dio di dare vita alle opere e di difendermi dall’orgoglio, che è l’ostacolo principale al suo aiuto.  – Questo CREDO della vita interiore, quando è per l’anima la base della sua esistenza, le assicura fino di quaggiù una partecipazione alla felicità del cielo. 

La vita interiore è la vita dei predestinati.

Essa corrisponde al fine propostosi da Dio nel crearci (Ad contemplandum quippe Creatorem suum homo conditus fuerat eius semper speciem quæreret atque in noi idi tate amorfa illius habitaret (S. GREG., Moral. VIII, cap. XII). Essa corrisponde al fine dell’Incarnazione: Filium suum Unigenitum misit Deus in mundum ut vivanvus per eum (Dio mandò il suo Figlio Unigenito nel mondo, affinché noi viriamo per Lui  – I Giov. IV, 9).  È uno stato felice: Finis humanæ creaturæ est adhærere Deo: in hoc enim felicitas eius consistit (Il fine della creatura umana è di unirsi a Dìo; qui sta tutta la felicità (S. Tommaso). All’opposto delle gioie del mondo, se fuori vi sono spine, dentro vi sono rose. Come sono da compiangere i poveri mondani! dice il santo Curato d’Ars; essi portano su le spalle un mantello foderato di spine e non si possono muovere senza pungersi; invece i veri Cristiani portano un martello foderato di pellicce. Crucem vident, unctionem non vident (Si vede la croce, ma non se ne vede l’unzione – S. Bernardo).  – È uno stato celeste: l’anima diventa un cielo vivente (Semper memineris Dei, et cœlum mens tua evadit (S. Efrem). — Mens animæ paradisus est, in qua, dum cœlestia meditatur, quasi in paradiso voluptatis delectatur (Ugo da San Vittore). – Come santa Margherita Maria, essa canta: « Io posseggo in ogni tempo e porto in ogni luogo il Dio del mio cuore e il cuore del mio Dio ». – È il principio della beatitudine: Inchoatio quœdam beatitudinis (S. TOMM., 2a 2æ, q. 180, a. 4): la grazia è il Cielo in germe.

4.

Come è conosciuta male questa vita interiore

San Gregorio Magno, il quale fu esperto amministratore e apostolo zelante e nel tempo stesso un gran contemplativo, con questa semplice espressione Secum vivebat (Egli viveva con se stesso), caratterizza lo stato d’animo di san Benedetto il quale a Subiaco gettava le fondamenta della sua Regola, divenuta poi una delle più potenti leve di apostolato, di cui Dio si sia servito sulla terra. Della maggior parte dei nostri contemporanei bisognainvece dire il contrario; vivere con se stesso, in se stesso, voler governare se stesso e non lasciarsi governare dalle cose esteriori, obbligare la fantasia, la sensibilità, e anche l’intelligenza e la memoria a fare la parte di serve della volontà e conformare sempre la propria volontà a quella di Dio, è un programma che si accetta sempre di meno in questo secolo di agitazione, il quale vide nascere un ideale nuovo, cioè l’amore dell’azione per l’azione.  Per evitare questa disciplina delle facoltà, si prende per buono ogni pretesto; gli affari, le cure della famiglia, l’igiene, la buona fama, lo spirito di corpo, la pretesa gloria di Dio vanno a gara per non lasciarci vivere in noi stessi; questa specie di delirio della vita esteriore arriva anche ad attrarci irresistibilmente.Allora che meraviglia se la vita interiore è mal conosciuta? Dire che è mal conosciuta è anzi troppo poco; essa è spesso disprezzata e messa in ridicolo proprio da quelli che dovrebbero stimarne di più i vantaggi e la necessità. Per protestare contro le funeste conseguenze di un’ammirazione esclusiva per l’azione, ci voleva la memorabile lettera di Leone XIII al Cardinale Gibbons, Arcivescovo di Baltimora.  – L’ecclesiastico, per schivare la fatica della vita interiore, arriva al punto di non riconoscere l’eccellenza della vita con Gesù, in Gesù, per mezzo di Gesù,, di dimenticare che, nel disegno della Redenzione, tutto si fonda sulla vita eucaristica, come tutto è costruito sulla rocca di Pietro. Mettere in second’ordine quello che è ESSENZIALE, è appunto quello a cui tendono inconsciamente i partigiani di quella spiritualità moderna detta AMERICANISMO; per costoro la Chiesa non è ancora un tempio protestante, il santo tabernacolo non è ancora vuoto, ma la vita eucaristica, a loro giudizio, non può adattarsi né, molto meno, bastare alle esigenze della civiltà moderna, e la vita interiore la quale deriva necessariamente dalla vita eucaristica, ha fatto il suo tempo. Per le persone, purtroppo assai numerose, le quali sono imbevute di queste teorie, la Comunione non ha più il vero significato che in essa trovavano i primi Cristiani; esse credono all’Eucaristia, ma non vedono in essa un elemento di vita così necessario, tanto per loro che per le loro opere. Non fa perciò meraviglia che, non esistendo quasi più per loro l’intimità con Gesù, la vita interiore venga considerata come un ricordo del Medioevo.  – Davvero che al sentire questi uomini di azione a parlare delle loro imprese, sembrerebbe che il Creatore, il quale creò i mondi scherzando e per il quale l’universo è polvere e nulla, non possa fare a meno del loro concorso! Molti fedeli, e persino sacerdoti e religiosi, arrivano insensibilmente, con il culto dell’azione, a farsene una specie di dogma che ispira la loro condotta, le loro azioni, e li spinge ad abbandonarsi sfrenatamente alla vita esteriore. La Chiesa, la diocesi, la parrocchia, la congregazione, l’Azione Cattolica hanno bisogno di me; volentieri si vorrebbe poter dire… Io sono molto utile a Dio!… E se non si osa dire simile sciocchezza, stanno però nascoste in fondo al cuore la presunzione, che ne è la base, e la diminuzione di fede, che l’ha prodotta. Spesso si prescrive al nevrastenico di astenersi, talvolta anche per molto tempo, da qualunque lavoro; ma è questo un rimedio per lui insopportabile, perché appunto la sua malattia lo mette in una agitazione febbrile che diventa come una seconda natura e lo spinge a cercare continuamente nuovi sperperi di forze e nuove emozioni che aggravano il suo male.  Lo stesso avviene spesso all’uomo di azione, riguardo alla vita interiore; egli la sdegna, anzi sente di essa tanto maggiore ripugnanza appunto perché nella sua pratica soltanto si trova il rimedio al suo stato morboso; peggio ancora, cercando di stordirsi sempre più in un cumulo di lavori nuovi e non bene diretti, perde ogni possibilità di guarire. La nave corre a tutto vapore; ma mentre chi la guida ne ammira la velocità, Dio giudica che, per mancanza di un saggio pilota, quel bastimento va alla ventura e corre pericolo di perdersi. Dio vuole prima di tutto adoratori in ispirito e verità: l’americanismo invece pensa di dare grande gloria a Dio, mirando principalmente ai risultati esteriori.  Questo modo di pensare ci spiega come ai nostri giorni, se si fa un gran conto delle scuole, dei dispensari per i poveri, delle missioni, degli ospedali, sia invece sempre meno compresa l’abnegazione nella sua forma intima, cioè nella penitenza e nella preghiera. Chi non sa più credere al valore dell’immolazione nascosta, non si accontenta di trattare da vili e da illusi coloro che la praticano nella solitudine del chiostro, senza cederla, nell’ardore per la salute delle anime, ai più infaticabili missionari, ma metterà anche in ridicolo le persone di azione le quali credono cosa indispensabile il rubare qualche momento alle occupazioni più utili, per andare a purificare e a riscaldare il loro zelo dinanzi al Tabernacolo, per ottenere dall’Ospite divino migliori risultati alle loro fatiche.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/21/lanima-dellapostolato-3/

DA SAN PIETRO A PIO XII (15)

Da SAN PIETRO A PIO XII (15)

[G. Sbuttoni: da san Pietro a Pio XII, Ed. A.B.E.S. Bologna, 1953]

APPENDICE I.

L’INQUISIZIONE

PREAMBOLO

Collochiamola nella vera luce

Dal tempo della riforma protestante,  l’Inquisizione è generalmente conosciuta dal volgo — e in questo argomento è volto anche gran parte della cosiddetta cultura — come un capo d’accusa contro la Chiesa. Si ignorano le distinzioni, le forme, i procedimenti, le giustificazioni storiche, giuridiche, teologiche degli istituti designati da quella parola polivalente; eppure mentre negli ambienti in cui sorse e funzionò per lunghi secoli non aveva suscitato serie opposizioni né pratiche né teoriche perché si trovava in armonia con la struttura sociale d’allora, dall’epoca luterana solitamente si considera l’Inquisizione come un’infamia. – Il malvezzo ha già un’imponente storia letteraria e artistica: romanzi, drammi, poemi, storie romanzate, articoli di giornale e di rivista, libelli, pitture, sculture, incisioni, pezzi musicali… pullularono copiosamente dal Rinascimento in poi, alimentati originariamente dalla ribellione antichiesastica. Era facile ai falsari della storia eccitare l’immaginazione del credulo lettore e conquistare il suo commosso consenso, dipingendo, dinanzi ai suoi occhi ingenui, balenìi di roghi, orrori di prigioni, carni straziate da barbare torture, sevizie di inquisitori carnefici, innocenze idilliche dì accusati…; e si sa che il lettore sprovveduto, quando vede scorrere il sangue e lampeggiar la fiamma, senza esame dà torto ai giudice e alla giustizia. Fantasie di cattivo gusto, invenzioni abbondantemente menzognere; sia perché nascondono le fortissime ragioni che dinanzi agli spiriti bennati legittimarono in generale l’istituto dell’Inquisizione, sia perché in particolare ne deformano violentemente la natura, mettendole in conto soltanto i rari abusi e rari errori — del resto inevitabili — in cui cadde nella persona di alcuni suoi rappresentanti e in speciali circostanze storiche, dilatando a dismisura gli aspetti della sua azione che non rispondono più alla coscienza moderna, e minimizzando al contrario gli aspetti che farebbero onore al più perfetto tribunale. Cosi avvenne che gli acattolici trassero motivo dall’Inquisizione per dimostrare che la Chiesa Romana, rea di tanta tirannìa, non poteva essere la vera Chiesa del dolcissimo e giustissimo Gesù. Gli anticlericali trovarono nell’Inquisizione il più caro e comodo idolo polemico per la loro forsennata sassaiola contro la Chiesa. I più moderati preferiscono non parlarne per non sentirsi costretti a intrupparsi nella fauna degli anticlericali. Anche alcuni Cattolici sembrano vergognarsi, dell’Inquisizione, come di un’infausta colpa della madre e, per farsela meglio perdonare dagli avversari, non sono i meno severi nel giudicarla. – Oggi nel popolo la carica passionale dell’argomento è di molto precipitata: non forse per resipiscenza o maggior conoscenza, ma forse per ragione della generale indifferenza per le questioni religiose. – Neppure il comunismo sovietico, nella sua lotta cieca e furiosa contro la Chiesa, non manovra l’arma dell’Inquisizione nella misura che si attendeva; forse perché i suoi tribunali di Russia, di Ungheria, di Bulgaria, di Cecoslovacchia, di Jugoslavia devono ancora farsi perdonare dal mondo civile tali infamie che, a patto di esse, i declamati orrori dell’Inquisizione, compresa quella spagnola, sono trastulli innocenti di bimbi. Invece il mondo della cultura, anche, acattolica, s’è fatto più sereno, più saggio, perché più informato: le nuove scoperte e le pubblicazioni degli atti originali dei processi han fatto cadere come sacchi vuoti quasi tutte le antiche calunnie. Sicché, oggi, maneggiare le vecchie frecce avvelenate contro l’Inquisizione è gioco grottesco che può piacere soltanto a chi non teme di far cattiva figura.

* * *

D. Che cos’è l’Inquisizione?

— È un tribunale straordinario che la Chiesa istituì per individuare le eresie, che i sovversivi, nascondendosi sotto il pretesto religioso, diffondevano sovvertendo l’ordine pubblico e commettendo violenze e rapine.

— La ricerca (Inquisitio) e la repressione degli eretici furono sempre un dovere e un diritto dei Vescovi, esercitati solitamente da essi mediante le officiante diocesane, eccezionalmente, dai Legati Pontifici. La recrudescenza dell’ eresìa, manifestatasi in forme sociali imponenti nei sec. XI-XIII, rendendo quel compito ordinario particolarmente urgente, difficile e gravoso, provocò una nutrita legislazione ecclesiastica. – Quando Gregorio IX s’accorse del tentativo dell’ imperatore Federico II di avocare a sé il giudizio e la repressione dell’eresìa per conquistarsi una posizione di privilegio, e il primato sullo stesso potere pontificale, allora con abile mossa rivendicò alla Chiesa le cause di eresia e all’intemperante interessato zelo imperiale oppose un giudice delegato permanente, creando il tribunale straordinario dell’Inquisizione a salvaguardia delle competenze ecclesiastiche, a miglior tutela della fede e a difesa degli stessi, eretici.

D . Aveva diritto la Chiesa di istituire tale tribunale?

— Sì, perché società perfetta, fondata da Gesù Cristo, con il mandato esplicito di custodire il divino deposito delle verità rivelate.

D. Tale diritto lo ha sempre esercitato?

— Sì; ogni società, del resto, ha il diritto di provvedere alla sua conservazione e alla sua difesa. Gli stessi pagani non permettevano la diffusione di dottrine antireligiose ed antisociali.

D. Come lo ha esercitato?

— Da prima con la scomunica, poi con l’apposito tribunale.

D. Chi diede all’Inquisizione la sua forma giuridica?

— Fu papa Gregorio IX (1227 – 1241), il quale, davanti al momento delicatissimo che la Chiesa e la civiltà stavano attraversando, capì che solo mediante una ferrea repressione si poteva combattere l’eresia.

D. Erano poi tanto pericolosi gli eretici?

— Sì, perché nello Stato cristiano ciò che minacciava 1’ordine religioso era pure una minaccia all’ordine sociale. E appunto per questo, prima dell’inquisizione ecclesiastica, funzionava già un’inquisizione laica, come il tribunale costituito da Federico II, il quale considerava il delitto di eresia superiore allo stesso delitto di lesa maestà. E l’aver sottratto ai giudici secolari la punizione degli eretici segnò un progresso, perché furono mitigate le pene.

D. E l’Inquisizione di Spagna?

— Fu introdotta, con Bolla di Sisto IV del 1 Novembre 1478 dal re Ferdinando il Cattolico, date le condizioni particolari di quella nazione.

D. Quali erano queste condizioni particolari?

— Quelle determinate dalla lotta formidabile che questo re ebbe a sostenere, alla fine del sec. XV, contro i « Maranos » ( — ebrei, finti Cristiani) e i « Moriscos »  — i mori», i quali costituivano un serio pericolo non solo per la fede, ina anche per l’unità nazionale.

D. Non furono commessi abusi!

— Purtroppo si; ina l’Inquisizione spagnola fu manovrala dall’autorità civile, giacché era composta di sei laici e di due soli ecclesiastici eletti anch’essi dal re.

D). Che ne dicono gli storici!

— Tutti gli storici, compresi i protestanti, hanno considerato la Inquisizione di Spagna un’istituzione civile, con la quale i sovrani spagnoli si proposero di raggiungere e mantenere l’unità religiosa e civile del loro paese. Se commise degli eccessi, questi non furono né voluti, né tanto meno approvati dalla Chiesa.

D. Quante furono le vittime dell’Inquisizione Spagnola?

— Il Llorente, unica fonte storica, dice 30.000. Ma non è attendibile, perché distrussi» tutti i documenti originali dai quali aveva attinto le sue notizie. Del resto se tale cifra la si confronta con le stragi di milioni di vittime perpetrate dalle polizie segrete degli Stati totalitari d’oggi giorno diventa irrisoria. – Le stesse pretese torture usate allora, paragonate con quelle messe in atto dal fascismo, dal nazismo, dal comunismo (luoghi di confino, campi e forni e camere di eliminazione, i processi tipici sovietici,, come il Mindszentj, ecc., inoltre i processi in Messico e nella Cina di Mao contro il clero cattolico, le suore, i fedeli in genere…) vedono svanire gran parte del decantato orrore.

D. Quante le vittime dell’Inquisizione a Roma?

— Quelle che salirono il patibolo furono tre: Giordano Bruno, Pietro Carnesecchi e Antonio Paleario; numero ben esiguo in confronto delle stragi di Cattolici consumate dal Protestantesimo fino al Comunismo.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (1)

R. P. CHAUTARD D. G. B.

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (1)

TRADUZIONE del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B. 8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PREPAZIONE

Perché la versione di questo libro?

Datomi all’Azione Cattolica fin dai primi anni della mia vita ecclesiastica, notai ben presto che il piò, valido aiuto mi veniva da coloro che, sebbene laicierano stati formati nello spirito da un vecchio Sacerdote, il quale non aveva molta coltura, ma aveva però molta pietà, e passava tutto il suo tempo in una piccola chiesa, ove, con istruzioni sacre in forma molto semplice, e col promuovere la frequenza dei Sacramenti, lavorava con zelo in prò delle anime. Alla scuola di quel pio Sacerdote imparai anch’io la necessità che avevo di ritemprare spesso lo spirito con gli Esercizi Spirituali, e di ricorrere frequentemente air orazione per raccogliere dall’operosità quel frutto che ardentemente bramavo. Capii quindi fin d’allora che l’Azione Cattolica, mentre è commendevole sotto molti rispetti, può tuttavia divenire facilmente per tutti (anche pei Sacerdoti) sorgente di dissipazione, se chi la esercita non attende seriamente a coltivare anzitutto lo spirito in sé e negli altri.  Divenuto poi Vescovo, nel governo della Diocesi questa verità mi apparve sempre più evidente, e deplorai che, per non avere tenuto nel debito conto un principio così essenziale, fossero le tante volte e in tanti luoghi riuscite sterili le fatiche ed inutili i vari mezzi adoperati per dar vita o incremento all’Azione Cattolica. Mi provai quindi a manifestare questa mia convinzione desiderosissimo di rimuovere la causa di sì funesta sterilità, ma mi parve die pochi mi volessero dare ascolto, ed i più avessero invece una specie di compatimento per me, quasi che io non conoscessi le anime moderne e l’azione che deve spiegarsi ai giorni nostri dai cattolici. Avrei desiderato che su tale argomento vi fosse qualche libro per diffonderlo largamente, e dissipare con siffatto  mezzo i pregiudizi che offuscano le menti, ma non ne conoscevo alcuno.  Gesù buono seppe rimediare a tutto, ed un bel giorno, per le mani di uno zelante Religioso della Società di Maria, mi fece capitare il libro che da tanto tempo sospiravo.  Io non sto a lodare il libro presente, perché le cose belle come le cose buone, bisogna gustarle per apprezzarle convenientemente. Dirò soltanto che in Francia è giunto in breve alla settima edizione, e se ne sono già pubblicati 70.000 esemplari, e spero che in Italia sì diffonderà così da emulare anche in questo la Francia cattolica. Per conto mio, faccio voti che vada in mano a tutti i Parroci ed a tutti i Sacerdoti della mia Diocesi, né manchi a nessuno di quelli che fanno parte delle Associazioni Cattoliche della Diocesi di Arezzo.

All’ardente ed umile solitario, che tra i rigori della troppa scrisse, pregando, questo libro, in cui si rispecchia al vivo il suo animo di apostolo, conceda il Maestro Divino copiose benedizioni e quell’approvazione che Egli già fece sentire ad altri, i quali coi loro libri dettero a Lui gloria ed alle anime luce e pascolo salutare.

Arezzo, dall’Episcopato, 7 giugno 1918, festa del Sacro Cuore di Gesù.

GIOVANNI VOLPI, Vescovo d’Arezzo

INTRODUZIONE

Ex quo omnia, per quem omnia, in quo omnia.

O Dio infinitamente grande e buono, le verità che la Fede ci rivela sulla nostra vita intima, sono ammirabili e stupende.  O Padre santo, Voi vi contemplate eternamente nel Verbo, vostra perfetta immagine; il vostro Verbo trasalisce rapito dalla vostra Bellezza; e dalla vostra comune estasi divampa un fuoco di amore, lo Spirito Santo.  O adorabile Trinità, voi sola siete la vita interiore perfetta, sovrabbondante e infinita.  Voi, bontà infinita, volete diffondere fuori di voi la vostra vita intima; Voi parlate, e le vostre opere si slanciano dal nulla, per manifestare le vostre perfezioni, per cantare la vostra gloria.  Tra Voi e la polvere animata dal vostro soffio, corre un abisso che il vostro Spirito di amore vuole colmare: così potrà soddisfare l’immenso suo bisogno di amare e di darsi.  Egli dunque, nel vostro Seno, provoca il Decreto della nostra divinizzazione, e questo fango plasmato dalle vostre mani potrà, o meraviglia!, essere deificato e partecipare alla vostra eterna felicità!  Per compiere quest’opera, si offre il vostro Verbo: Egli si fa carne, affinché noi diventiamo Dèi (Factus est homo, ut homo fieret deus – S. AGOSTINO, Serm. 9 de Nativ.). Voi intanto, o Verbo, non lasciate il Seno di vostro Padre: là è la vostra vita essenziale, e da quella sorgente sgorgheranno le meraviglie del vostro Apostolato.  O Gesù, Emanuele, Voi affidate ai vostri Apostoli il vostro Vangelo, la vostra Croce, la vostra Eucaristia, e date loro la missione di andare a generare figli di adozione al Padre vostro. – Poi risalite al Padre. O Spirito divino, ora tocca a Voi il compito di santificare e dì governare il Corpo mistico dell’Uomo-Dio (Deus cujus Spiritu totum corpus sanctificatnr et regitur… – Liturgia). Perché dal Capo scenda nelle membra la vita divina, Voi vi degnate di scegliere dei collaboratori all’Opera Vostra; accesi del fuoco della Pentecoste, essi andranno per tutto il mondo a seminare nelle intelligenze il verbo che illumina, e nei cuori la grazia che infiamma, e a comunicare cosi agli uomini quella vita divina di cui Voi siete la Pienezza.  O fuoco divino, destate in tutti coloro che partecipano al vostro Apostolato, quegli ardori che trasformarono i felici congregati del Cenacolo: essi saranno allora non più semplici predicatori del dogma e della morale, ma organi viventi della trasfusione del Sangue divino nelle anime.  O Spirito di luce, scolpite a caratteri indelebili nelle loro intelligenze questa verità, che cioè il loro apostolato sarà efficace soltanto in quella misura in cui essi stessi vivranno di quella vita intima soprannaturale di cui Voi siete il primo PRINCIPIO e di cui Gesù Cristo è la SORGENTE.  O Carità infinita, accendete nella loro volontà una sete ardente della vita interiore: penetrate il loro cuore con i vostri soavi e potenti effluvi, fate sentire loro che anche quaggiù non vi è vera felicità fuori di quella vita che è imitazione e partecipazione della vostra e di quella del Cuore di Gesù nel seno del Padre di tutte le misericordie e di tutte le tenerezze. O Maria Immacolata, Regina degli Apostoli, degnatevi di benedire questo modesto libro. A tutti quelli che lo leggeranno, ottenete la grazia di comprendere bene che, se Dio si vuole servire della loro attività come di uno strumento ordinario della Provvidenza, per diffondere nelle anime i suoi beni celesti, tale attività, per dare buoni risultati dovrà partecipare in qualche modo della natura dell’Uomo divino, quale Voi lo contemplavate nel Seno di Dio, quando nelle vostre viscere verginali s’incarnò Colui al quale dobbiamo la fortuna di potervi chiamare nostra Madre.

PARTE PRIMA

Dio vuole le opere e la vita interiore

1.

Le opere, e perciò anche lo zelo sono voluti da Dio

È proprio della natura divina l’essere sommamente liberale. Dio è Bontà infinita, e la bontà tende a diffondersi e a comunicare il bene di cui essa gode.  La vita mortale di Gesù Cristo non fu altro che una continua manifestazione di questa inesauribile liberalità: il Vangelo ci presenta il Redentore che sparge a piene mani i tesori di amore di un Cuore avido di attirare gli uomini alla verità e alla vita.  Gesù Cristo comunicò quella fiamma di Apostolato alla Chiesa che è dono del suo amore, diffusione della sua vita, manifestazione della sua verità, splendore della sua santità; e la Sposa mistica di Gesù, animata dello stesso ardore, continua attraverso i secoli l’opera di apostolato del suo divino Modello.  – È un magnifico disegno, una legge della Provvidenza, che per mezzo dell’uomo, l’uomo debba conoscere la via della salute (Ad communem legem id pertinet qua Deus Providentissimus, ut homines plerumque fere por homines salvandos decrerlt… ut nlmirum, quemadmodum Chrysostomus ait, per homines a Deo discamus – Lettera di LEONE XIII, 22 gennaio 1899, al Card. Gibbons). Soltanto Gesù versò il sangue che redime il mondo, perciò Egli solo ne potrà applicare la virtù e agire direttamente sulle anime, come fa per mezzo dell’Eucarestia. Egli però volle avere dei cooperatori nel distribuire i suoi benefizi; e perché! Certamente cosi voleva la Maestà divina, ma ve lo spingevano anche le sue tenerezze per l’uomo. Se è conveniente per il più grande dei monarchi, che in via ordinaria governi per mezzo di ministri, quale condiscendenza da parte di un Dio, che egli si degni di associare povere creature al suo lavoro e alla sua gloria! La Chiesa, nata sulla Croce, uscita dal fianco ferito del Salvatore, continua col ministero apostolico l’azione benefica e redentrice dell’Uomo-Dio; e tale ministero voluto da Gesù, diventa il fattore essenziale della diffusione della Chiesa in mezzo alle nazioni e lo strumento più ordinario delle sue conquiste.  Per tale apostolato vi è in prima fila il clero, la cui gerarchia forma i quadri dell’esercito di Gesù Cristo; clero illustrato da tanti Vescovi e Sacerdoti santi e pieni di zelo, e onorato gloriosamente dalla recente beatificazione del Curato d’Ars. – Accanto al clero ufficiale, fin dall’origine del Cristianesimo, sorsero compagnie di volontari, veri corpi scelti la cui continua e rigogliosa vegetazione sarà sempre uno dei fenomeni più manifesti della vitalità della Chiesa. Sono anzitutto, nei primi secoli, gli Ordini contemplativi la cui preghiera continua e le dure macerazioni contribuirono tanto alla conversione del mondo pagano. Nel Medioevo sorgono gli Ordini predicatori, gli Ordini mendicanti, gli Ordini militari, gli Ordini dedicati all’eroica missione della redenzione dei prigionieri in potere degli infedeli. Finalmente i tempi moderni vedono nascere una moltitudine di Milizie insegnanti, Istituti, Società di missionari, Congregazioni di ogni specie, la cui missione è quella di diffondere il bene spirituale e corporale sotto tutte le forme. La Chiesa inoltre, in ogni epoca della sua storia, ha trovato preziosi collaboratori nei semplici fedeli, come quei ferventi Cattolici che oggi sono legione, persone di azione — secondo l’espressione di uso — cuori ardenti che sanno unire le loro forze e mettono interamente a servizio della nostra Madre comune, tempo, capacità, averi, sacrificando spesso la loro libertà e talora il loro sangue.  – È davvero uno spettacolo ammirabile e confortante questa provvidenziale fioritura di opere che spuntano a tempo opportuno e così adatte alle circostanze. La storia della Chiesa dimostra che ogni nuovo bisogno, ogni pericolo da scongiurare, vide sempre apparire l’istituzione richiesta dalle necessità del momento. Così vediamo ai nostri giorni opporsi a mali di particolare gravità, una moltitudine di opere che prima appena si conoscevano: Catechismi di preparazione alla prima comunione, Catechismi di perseveranza, Catechismo per i fanciulli abbandonati, Congregazioni, Confraternite, Riunioni e Ritiri per uomini e per giovani, per signore e per fanciulle, Apostolato della Preghiera, Apostolato della carità, Leghe per il riposo festivo, Patronati, Circoli cattolici, Opere di assistenza per i soldati, Scuole private, Buona stampa ecc., forme tutte di apostolato suscitate da quello spirito che infiamma l’anima di un san Paolo: Ego autem libentissime impendam et superimpendar ipse prò animabus vestris(Assai volentieri spenderò il mio e spenderò di più me stesso per le anime vostre – II Cor. XII, 15), e che vuol diffondere dappertutto i benefizi del sangue di Gesù Cristo.  Vadano queste umili pagine ai soldati che, tutto zelo e ardore per la loro nobile missione, si espongono, appunto per la loro attività, al pericolo di non essere prima di tutto uomini di vita interiore e che, se un giorno venissero puniti con insuccessi in apparenza inesplicabili, come pure da gravi danni spirituali, si sentirebbero tentati di abbandonare la lotta e di rientrare scoraggiati sotto la tenda.  I pensieri sviluppati in questo libro hanno aiutato anche me a lottare contro la dissipazione prodotta dalle opere esteriori. Possano essi evitare a qualcuno le delusioni e guidare meglio il loro coraggio, mostrando loro che il Dio delle opere non deve mai essere abbandonato per le opere di Dio e che il Væ mihi si non evangelizavero (Guai a me se non evangelizzerò – 1 Cor. I X , 16). non ci dà il diritto di dimenticare il Quid prodest Uomini si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur (Che giova all’uomo il guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima? – MATT. XVI, 26).  – I padri e le madri di famiglia, a cui non sembra ancora un libro troppo vecchio l’Introduzione alla vita divota, gli sposi Cristiani che si credono obbligati vicendevolmente ad un apostolato che essi esercitano nel tempo stesso verso i loro figli per formarli all’amore e all’imitazione del Salvatore, possono anche essi applicare a sé medesimi l’insegnamento di queste modeste pagine. Possano essi meglio comprendere la necessità di una vita non solo pia, ma interiore, per rendere efficace il loro zelo e per imbalsamare la loro casa con lo spirito di Gesù Cristo e con quella pace inalterabile che, nonostante le prove, sarà sempre il retaggio delle famiglie profondamente cristiane.

2.

Dio vuole che Gesù sia la vita delle opere

La scienza, e non a torto, va superba dei suoi immensi risultati; però una cosa le fu fino a oggi e le sarà sempre impossibile, cioè il creare la vita, il far uscire dal laboratorio di un chimico un chicco di grano, una larva. Le clamorose sconfitte dei difensori della generazione spontanea ci dicono qualche cosa su tale pretesa. Dio riserva per sé il potere dì creare la vita. Nel regno vegetale e animale, gli esseri viventi possono crescere e moltiplicarsi, ma la loro fecondità si esplica soltanto nelle condizioni stabilite dal Creatore. Quando però si tratta della vita intellettuale, Dio la riserva a sè, ed è lui che crea direttamente l’anima ragionevole. Vi è tuttavia un dominio di cui è ancora più. geloso, quello della Vita soprannaturale, perché questa è un’emanazione della vita divina comunicata alla Umanità del Verbo incarnato.  L’Incarnazione e la Redenzione stabiliscono Gesù Cria io Sorgente, e Sorgente unica, di quella vita divina alla cui partecipazione sono chiamati tutti gli uomini. Per Dominum nostrum Jesum Christum; Per ipsum, et curri ipso et in ipso (Per mezzo di Nostro Signor Gesù Cristo. — Per mezzo di Lui, con Lui e in Lui – Liturgia). L’azione essenziale della Chiesa consiste nel diffonderla per mezzo dei Sacramenti, della Preghiera, della Predicazione e di tutte le opere che vi si riferiscono.  Dio fa tutte le cose per mezzo di suo Figlio: Omnia per Ipsum facta sunt et sine Ipso factum est nihil – Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e non fu fatto niente senza dì Lui  – Giov. I, 3). Questo è vero nell’ordine naturale, ma quanto più nell’ordine soprannaturale, dove si tratta di comunicare la sua vita intima e di fare gli uomini partecipi della sua natura, per renderli figli di Dio! Veni ut vitam habeant; — In Ipso vita erat;— Ego sum vita (Io sono venuto affinché abbiano la vita (Giov. X, 10). — In Lui era la vita (Giov. I, 4). — Io sono la vita (Giov. XIV» 6). Quanta precisione in queste parole! Quanta luce nella parabola della vite e dei tralci, nella quale il Maestro svolge questa verità! Con quanta insistenza Egli vuole scolpire nella mente dei suoi Apostoli questo principio fondamentale, che Egli solo, Gesù, è la Vita, e questa conseguenza che, per partecipare a tale Vita e per comunicarla agli altri, essi debbono essere innestati su l’Uomo-Dio! – Gli uomini chiamati all’onore di collaborare col Salvatore per trasmettere alle anime questa Vita divina, debbono dunque considerare se stessi come modesti canali incaricati di attingere a questa unica Sorgente.  L’uomo apostolico il quale non riconoscesse questi princìpi e credesse di poter produrre la più lieve traccia di vita spirituale senza attingerla totalmente da Gesù, ci farebbe credere che la sua ignoranza di teologia è uguale alla sua sciocca presunzione. Se pure riconoscendo teoricamente, che il Redentore è la causa prima di ogni vita divina, l’apostolo, nella sua azione, dimenticasse tale verità e, accecato da una stolta presunzione che è ingiuriosa per Gesù Cristo, non facesse assegnamento che sulle sue forze, sarebbe questo un disordine meno grave dell’altro, ma però sempre insopportabile agli occhi di Dio. Il respingere la verità o il fare astrazione da essa nell’azione, è sempre un disordine intellettuale, o dottrinale o pratico; è la negazione di un principio che deve informare la nostra condotta. Il disordine sarà ancora più grave se la verità, invece di risplendere, trova nell’uomo di azione un cuore che per il peccato o per la tepidezza abituale sia in opposizione col Dio della luce.  Ora la condotta pratica di chi si occupa delle opere come se Gesù non fosse il solo principio di vita, è chiamata dal cardinale Mermillod ERESIA DELL’AZIONE. Con tale espressione egli condanna l’aberrazione di un apostolo il quale dimenticando che la parte sua è secondaria e subordinata, attendesse la buona riuscita del suo apostolato unicamente dalla sua attività personale e dalla sua capacità. E non è forse, praticamente, la negazione di una gran parte del Trattato della Grazia? È vero che tale conseguenza a prima vista ripugna, ma se vi si pensa un poco, essa è purtroppo vera.

Eresia dell’Azione! L’attività febbrile che si sostituisce alla azione di Dio; la grazia disconosciuta; l’orgoglio umano che vuole detronizzare Gesù; la vita soprannaturale, la potenza della preghiera, l’Economia della Redenzione collocate, almeno praticamente, nel numero delle astrazioni, sono un caso tutt’altro che immaginario, che lo studio delle anime mostra anzi come assai frequente, benché in gradi diversi, in questo secolo di naturalismo, in cui l’uomo giudica soprattutto dalle apparenze e agisce come se il risultato di un’opera dipendesse principalmente da una buona organizzazione. Anche prescindendo dalla Rivelazione, alla sola luce della sana filosofia, ci farebbe pietà la vista di un uomo fornito di belle doti, il quale non volesse riconoscere Dio come il principio delle buone qualità che si vedono in lui.  Che cosa deve dire un Cattolico istruito nella Religione, alla vista di un apostolo il quale mostrasse, almeno implicitamente, la pretesa di fare a meno di Dio, per comunicare alle anime anche solo il minimo grado di vita divina? Noi chiameremmo insensato l’operaio evangelico che osasse dire: «Mio Dio, non mettete ostacoli alle mie imprese, non venite a intralciarle e io m’incarico di condurle a buon termine! ».  – Il nostro sentimento non sarebbe che un riflesso dell’avversione che prova Dio alla vista di un simile disordine, alla vista di un presuntuoso il quale spinge il suo orgoglio fino alla pretesa di dare la vita soprannaturale, di produrre la fede, di far cessare il peccato, di spingere alla virtù, di infervorare le anime con le sole sue forze e senza attribuire tali effetti all’azione diretta, costante, universale e sovrabbondante del Sangue divino il quale è il prezzo, la causa e il mezzo di ogni grazia e di ogni vita spirituale. – Perciò, per riguardo all’Umanità di suo Figlio, Dio deve confondere questi pseudocristi col paralizzare le loro opere di superbia o col permettere che esse non producano altro che un miraggio effimero.  Eccetto quello che agisce sulle anime ex opere operato, Dio, per riguardo dovuto al Redentore, deve privare l’apostolo presuntuoso delle sue migliori benedizioni, per darle al tralcio che umilmente riconosce di trarre dalla Vite divina ogni suo vigore. Ma se Dio benedicesse con risultati seri e durevoli un’attività infetta dal veleno chiamato Eresia dell’Azione, sembrerebbe incoraggiare quel disordine con permetterne il contagio.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/19/lanima-dellapostolato-2/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “SÆPE NOS”

Ecco come il Santo Padre interviene nella questione irlandese «… di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere ». Questo è il compito del “vero” Papa, quello cioè di ricordare nelle situazioni scabrose e difficili, la retta dottrina per guidare ogni azione, sia essa personale, sociale o politica, al fine supremo al quale ogni fedele debba tendere: la salvezza eterna dell’anima. È quello che il Sommo Pontefice fa appunto in questa breve lettera sfidando in modo paterno tutti coloro che fomentavano rivolte e delitti sotto il preteso di giustizia e benessere, o liberazione da soprusi e tirannie. A questo oggi non siamo abituati, anzi i falsi “burattini in talare” orientano, o meglio disorientano, volutamente i presunti ciechi-fedeli (oramai essi stessi non sanno più di chi siano fedeli!)  a comportamenti anticristiani, sotto il pretesto di una tolleranza buonista, che in realtà è tolleranza, o meglio incoraggiamento dell’empietà, del sacrilegio, del peccato e di tutto quanto il loro padre, il diavolo, suggerisce loro.

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Leone XIII
Saepe Nos

Lettera Enciclica

Spesso, dall’atto di questo Apostolico ufficio, Noi abbiamo dedicato attenzioni e riflessioni ai vostri concittadini Cattolici: più di una volta abbiamo espresso il nostro proposito con pubbliche lettere, nelle quali è manifesto ad ognuno, senza alcun dubbio, da quali sentimenti siamo animati verso l’Irlanda. Oltre i decreti che negli anni precedenti la Sacra Congregazione di Propaganda Fide promulgò a nome Nostro sulle questioni irlandesi, parlano abbastanza chiaro le lettere che a più riprese abbiamo inviato al Nostro Venerabile Fratello Cardinale Mac-Cabe, Arcivescovo di Dublino; lo stesso si dica del discorso che abbiamo recentemente rivolto a molti Cattolici della vostra nazione, dai quali abbiamo ricevuto non solo felicitazioni e voti per la Nostra salute, ma anche espressioni di gratitudine per la Nostra buona disposizione verso gli Irlandesi. Anche in questi ultimi mesi, quando si decise di innalzare in questa alma Città un tempio in onore di Patrizio, grande Apostolo degli Irlandesi, Noi abbiamo incoraggiato questo proposito con tutto il fervore dell’anima e ne favoriremo il compimento secondo le Nostre forze. – Ora, mentre perdura in Noi questo stesso paterno affetto, non possiamo tuttavia nascondere la profonda angoscia che Ci proviene dalle recenti vicende di costà. Ci riferiamo a quella inattesa concitazione degli animi, sorta all’improvviso in seguito al decreto del Santo Ufficio che nella lotta contro i nemici della Chiesa proibisce di usare quel metodo che si chiama piano di campagna e boicottaggio a cui molti avevano cominciato a far ricorso . – Ed è ancor più deplorevole il fatto che siano in gran numero coloro che si ostinano a radunare il popolo in tumultuose assemblee nelle quali si diffondono sconsiderate e pericolose opinioni, senza rispetto per l’autorità del decreto che viene travisato con fallaci interpretazioni, molto lontane dal fine cui esso realmente tende. Anzi, negano perfino che da esso derivi l’obbligo dell’obbedienza, come se la missione vera e propria della Chiesa non fosse quella di giudicare della onestà e della malvagità delle azioni umane. Un tal modo di agire si allontana parecchio dalla professione del nome Cristiano, di cui senza dubbio sono compagne le virtù della moderazione, del pudore, dell’obbedienza verso il potere legittimo. Inoltre non conviene, in una buona causa, dare l’impressione di imitare quegli uomini che pretendono di ottenere con le agitazioni ciò che chiedono senza alcun diritto. E ciò è tanto più grave in quanto Noi abbiamo esaminato con cura ogni questione per poter conoscere a fondo e senza errore la vostra situazione e i motivi delle proteste popolari. Abbiamo informatori degni di fede; abbiamo personalmente interrogato voi stessi e inoltre, lo scorso anno, Noi vi abbiamo inviato come Legato un uomo apprezzato e serio con l’incarico di ricercare con la massima diligenza la verità e di riferirla fedelmente a Noi. Per questo nostro zelo il popolo Irlandese volle renderci pubblici ringraziamenti. Non è dunque avventato chi afferma che Noi abbiamo giudicato senza un’adeguata cognizione di causa? Tanto più che abbiamo riprovato azioni che gli uomini onesti concordemente condannano, cioè tutti coloro che non sono coinvolti in codesta vostra contesa e quindi possono esaminare i fatti con più sereno giudizio. – È del pari offensivo il sospetto che la causa dell’Irlanda non Ci stia debitamente a cuore e che non Ci preoccupiamo abbastanza della condizione del vostro popolo. Al contrario, la sorte degli Irlandesi Ci colpisce assai più di chiunque altro, e nulla desideriamo maggiormente che di vederli sereni, dopo aver conseguito la pace e la prosperità dovuta e meritata. Ad essi Noi non abbiamo mai contestato il diritto di battersi per una vita migliore, ma si può sopportare che nella contesa si dia adito ai delitti? Anzi, proprio perché nell’irrompere delle passioni e degli interessi delle fazioni politiche, il lecito e l’illecito si trovano rimescolati nella stessa causa, Noi ci siamo sempre preoccupati di distinguere ciò che è onesto dal disonesto, e di distogliere i Cattolici da tutto ciò che la morale cristiana non approvava. Perciò con tempestivi suggerimenti abbiamo raccomandato agli Irlandesi di ricordare la loro fede cattolica, di non fare mai nulla che contrastasse con la normale onestà e che non fosse consentito dalla legge divina. Pertanto il recente decreto non deve essere giunto inatteso, tanto più che Voi stessi, Venerabili Fratelli, riuniti a Dublino nel 1881, avete raccomandato al Clero e al popolo di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere. Queste raccomandazioni, ispirate a giustizia e del tutto opportune, hanno ottenuto i Nostri elogi e la Nostra approvazione. – Tuttavia, dato che il popolo era travolto e sconvolto da inveterato ardore di passioni, né mancavano coloro che ogni giorno suscitavano nuove fiammate, abbiamo compreso che occorreva formulare precetti più definiti di quelli di carattere generale che in precedenza avevamo ricordato a proposito di giustizia e di carità. Il Nostro ufficio ci proibiva di tollerare che tanti Cattolici, la cui salvezza è anzi tutto affidata a Noi, continuassero a percorrere una via lubrica e precipitosa che conduceva alla sovversione più che a un lenimento delle miserie. Occorre dunque la situazione secondo verità: l’Irlanda riconosca in quel decreto il Nostro animo ricolmo d’amore per essa e concorde nel desiderio di prosperità, poiché una causa, per quanto giusta essa sia, non incontra mai tanti ostacoli come quando è difesa con la forza e con gli oltraggi. – L’Irlanda apprenda, grazie al vostro magistero, Venerabili Fratelli, ciò che vi abbiamo scritto. Noi abbiamo fiducia che Voi, uniti, come è necessario, da idee e volontà comuni, e sorretti non solo dalla vostra ma anche dalla Nostra autorità, conseguirete i migliori risultati e specialmente quello di impedire che le tenebre delle passioni offuschino ancora la facoltà di distinguere il vero e soprattutto che i sobillatori del popolo si pentano di aver agito in modo temerario. Siccome sono molti coloro che sembrano cercare pretesti per sfuggire ai doveri, anche i più elementari, fate in modo di non concedere spazio all’ambiguità circa l’efficacia di quel decreto. Comprendano tutti che non è assolutamente lecito adottare una linea di condotta che Noi abbiamo interdetta. Cerchino tutti, onestamente, beni onesti, e soprattutto, come si addice ai Cristiani, serbando intatte la giustizia e l’obbedienza alla Sede Apostolica: in queste virtù l’Irlanda ha trovato in ogni tempo conforto e forza d’animo.

Frattanto, come auspicio di celesti doni e come testimonianza del Nostro affetto, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al popolo Irlandese, con grande amore nel Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 giugno 1888, nell’anno undicesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2020)

Semidoppio – Paramenti verdi.

La Chiesa nella liturgia di questo giorno ci insegna come Dio accordi il suo aiuto divino a tutti quelli che lo domandano con confidenza. Ezechia guarì da una malattia mortale, grazie alla sua preghiera, come pure liberò il suo popolo dai nemici; mercè la sua preghiera sulla croce, Gesù cancella i nostri peccati (Ep.) e risuscita il suo popolo a nuova vita mediante il Battesimo di cui è simbolo la guarigione del sordo muto, dovuta pure alla preghiera di Cristo (Vang.). Così, dato che per la virtù dello Spirito Santo, Gesù caccio il demonio dal sordo muto e che i sacerdoti di Cristo cacciano il demonio dall’anima dei battezzati, si comprende come questa XI Domenica dopo Pentecoste si riferisca al mistero pasquale ove, dopo aver celebrata la risurrezione di Gesù si celebra la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, e si battezzano i catecumeni nello Spirito Santo e nell’acqua affinché, come insegna S. Paolo seppelliti con Cristo, con Lui resuscitino. – Il regno delle dieci tribù (regno d’Israele) durò 200 anni circa (938-726) e contò 19 re. Quasi tutti furono malvagi al cospetto del Signore e Dio, allora, per castigarli, dette il loro paese ai nemici. Salmanassar, re d’Assiria, assediò Samaria e trascinò Israele schiavo in Assiria nell’anno 722. I pagani, che presero il posto nel paese; non si convertirono totalmente al Dio d’Israele e furono detti samaritani dal nome di Samaria. — Il regno di Giuda durò 350 inni circa (938-586) ed ebbe 20 re. Una sola volta questa stirpe regale fu per perire, ma venne salvata dai sacerdoti che nascosero nel tempio Gioas, al tempo di Atalia. Parecchi di questi re furono malvagi, altri finirono come Salomone nel peccato, ma quattro furono, fino alla fine, grandi servi di Dio. Questi sono Giosafat, Gioathan, Ezechia, Giosia. L’ufficio divino parla in questa settimana di Ezechia, tredicesimo re di Giuda. Egli aveva venticinque anni quando diventò re e regnò in Gerusalemme per ventinove anni. Durante il sesto anno del suo regno Israele infedele fu tratto in schiavitù. « Il re Ezechia, dice la Santa Scrittura, pose la sua confidenza in Jahvè, Dio d’Israele e non vi fu alcuno uguale a lui fra i re che lo precedettero o che lo seguirono; così Jahvè fu con lui ed ogni sua impresa riuscì bene ». Allorché Sennarerib, re d’Assiria, voleva Impadronirsi di Gerusalemme, Ezechia salì al Tempio e innalzò una preghiera a Dio, pura come quelle di David e Salomone. Allora il profeta Isaia disse a Ezechia di non temere nulla poiché Dio avrebbe protetto il suo regno. E l’Angelo di Jahvè colpì di peste centottantacinque mila uomini nel campo degli Assirii. Sennacherib, spaventato, ritornò a marce forzate a Ninive ove morì di spada. Dio accordò più di cento anni di sopravvivenza al regno di Giuda pentito, mentre aveva annientato il regno d’Israele impenitente. — Ma Ezechia cadde gravemente malato e Isaia gli annunciò che sarebbe morto: « Ricordati, o Signore, disse allora il re a Dio, che io ho proceduto avanti a te nella verità e con cuore perfetto, e che ho fatto ciò che a te è gradito » (Antifona del Magnificat). E Isaia fu mandato da Dio ad Ezechia per dirgli: « Ho intesa la tua preghiera e viste le tue lacrime; ed ecco che ti guarisco e fra tre giorni tu salirai al Tempio del Signore ». Ezechia infatti guari e regnò ancora quindici anni. Questa guarigione del re che uscì, per cosi dire, dal regno della morte il terzo giorno, è una figura della risurrezione di Gesù. Così la Chiesa ha scelto oggi l‘Epistola di S. Paolo nella quale l’Apostolo ricorda che il Salvatore è « morto per i nostri peccati, è stato seppellito ed è resuscitato « nel terzo giorno » e che per la fede in questa dottrina noi saremo salvi come l’Apostolo stesso. Per questo stesso motivo è preso per l’Introito il Salmo 67, nel quale lo stesso Apostolo ha visto la profezia dell’Ascensione (Ephes., IV, 8).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]
Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.

[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.

O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

LA RISURREZIONE DELLA CARNE

“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve e più di cinquecento fratelli in una sol volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi appare a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, appare anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.”

L’ultima questione di grande importanza a cui risponde S. Paolo nella prima lettera ai Corinti è quella della risurrezione dei morti. Questo domma, stimato assurdo dai pagani, ripugnava a molti cristiani di Corinto, i quali avevano difficoltà ad ammetterlo. S. Paolo prova la risurrezione dei morti argomentando dalla risurrezione di Gesù Cristo, e dimostrando le assurde conseguenze che verrebbero dalla negazione di questa verità. L’epistola di quest’oggi contiene la prova della risurrezione di Gesù Cristo. Parliamo anche noi della risurrezione dei morti, la quale:

1. È un punto fondamentale della dottrina cattolica,

2.  È basata sulla risurrezione di Gesù Cristo,

3. Avrà conseguenze diverse pei giusti e per i reprobi.

I.

Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti. Parole solenni con le quali S. Paolo si introduce a parlare della resurrezione dei morti. Per mezzo della fede nel Vangelo i Corinti perverranno all’eterna salvezza, se saranno costanti sino alla fine, e se crederanno nel Vangelo tal quale l’Apostolo l’ha predicato, senza togliere o travisare alcuna verità. Quei Corinti che non credono alla verità della risurrezione dei morti, credono invano. Al conseguimento dell’eterna salute a nulla giova credere le altre verità, se negano questa.La fede nella risurrezione dei morti è di grande efficacia nel sostenere il Cristiano in questa vita « Fiducia dei Cristiani è la risurrezione dei morti» (Tertull. De Resurr. carnis). Nella speranza della futura risurrezione i martiri trovano la forza di andar contro ai tormenti e alla morte. Se essi perdono, tanto volentieri. la vita presente, è per la speranza di entrare nella vita futura. S. Ignazio martire che scongiura i Romani a non impedirgli il martirio, esclama: « È bello tramontare al mondo diretti a Dio. per risorgere in Lui!» (ad Rom. 2). Senza l’immortalità dell’anima e la conseguente risurrezione del corpo, sarebbe irragionevole esporsi alla perdita della vita; bisognerebbe anzi cercar di prolungarla il più possibile. Le malattie, le privazioni, le fatiche logorano questo nostro corpo continuamente; gli anni gli tolgono ogni vigore; la morte lo riduce in polvere. Chi può sottrarsi a un senso di grande tristezza e di noia della vita? Chi pensa alla risurrezione. Chi pensa che un giorno Gesù Cristo «trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso» (Filipp. III, 21). Chi pensa che questo stesso nostro corpo risorgerà immortale, e non sarà più soggetto alle debolezze e ai dolori. – Una delle più amare circostanze per l’uomo quaggiù è la perdita dei suoi cari. Il dolore in quel momento è troppo giusto e legittimo. È impossibile sottrarsi alle lagrime. S. Ambrogio, parlando delle lagrime che aveva versato per la morte del fratello Satiro, osserva: «Ho pianto anch’io, si, è vero; ma pianse anche il Signore. Egli sopra un estraneo; io sopra un fratello» (De excessu. frat. sui. Sat. Lab. 1, 10). Ma al momentaneo tributo di lagrime, che pagano tutti, succede nei Cristiani un pensiero consolante: I nostri cari, partendosi da questo mondo, non ci lasciano ma ci precedono. «Non vogliamo — scriveva l’Apostolo ai Tessalonicesi — che siate nell’ignoranza intorno a quelli che si sono addormentati, affinché non vi rattristiate come gli altri che non hanno speranza» (1 Tess. IV, 13). Se si sono addormentati, un giorno si sveglieranno. Quando Gesù, entrato nella casa di Giairo, vide gente che piangeva e ululava per la morte della figlia di questi, disse: «Perché v’affannate e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme» (Marc. V, 39). E, dette queste parole, la sveglia da quel breve sonno di morte. Quando s’apre la tomba per qualche persona amata la fede dice a ciascuno di noi: quella persona a te cara non è morta, ma dorme. I nostri parenti, i nostri amici, i nostri benefattori, dovunque abbiano avuto una sepoltura, non sono morti, ma dormono. Catene di monti, distese di mari divideranno i sepolcri d’una stessa famiglia; ma verrà il giorno in cui questi sepolcri si apriranno; i cadaveri riprenderanno nuova vita; e i beati riprenderanno in Dio quell’unione, che la morte non ha potuto troncare che temporaneamente. –

II.

Che cosa aveva insegnato San Paolo ai Corinti? Udiamolo da lui: In primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellireito e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture. Il racconto della Resurrezione di Gesù Cristo, fatto dai Vangeli, contiene quanto è necessario per ottenere fede indiscussa sulla realtà della risurrezione di Lui. Lo stupore e il dolore delle pie donne che trovano vuoto il sepolcro. Il timore là cui erano state prese, tanto da mettersi a fuggire e da non aver parola, sulle prime, per narrare quanto avevano veduto; l’Angelo che mostra il luogo preciso ove giaceva Gesù, il quale non va più cercato tra i morti, perché è risuscitato; l’apparizione a Maria Maddalena, dicono abbastanza perché uno che non sia dominato da preconcetti debba credere alla verità della risurrezione di Gesù Cristo. Ma v’ha di più. Dopo che alla Maddalena Gesù apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sol volta… Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. – È da notare che quando le pie donne annunciano agli Apostoli la risurrezione di Gesù Cristo, sono trattate da deliranti. Pietro entra nel sepolcro, vede i lenzuoli per terra, non trova più il corpo del Maestro, ne è meravigliato, ma non si decide ancora a credere alla risurrezione. La Maddalena annunzia agli Apostoli d’averlo visto risuscitato, d’aver parlato con Lui, « ed essi, avendo udito com’egli era vivo, e com’ella l’aveva visto, non credettero » (Marc. XVI, 11). Ènecessario che Gesù appaia a Pietro, appaia agli Apostoli e ai discepoli radunati insieme, e mostri loro le mani e il costato con le cicatrici gloriose, perché ogni dubbio sia tolto da loro. Davanti a prove così numerose e così palmari, anch’essi sono costretti a credere la risurrezione del divin Maestro, che predicheranno poi con una fermezza incrollabile. – Gli Apostoli danno principio alla predicazione insistendo sul fatto della risurrezione di Gesù Cristo. San Pietro rinfaccia ai Giudei: «Gesù di Nazaret… voi lo avete trafitto per mano d’empi, e ucciso… Dio l’ha risuscitato, avendo infranto i legami della morte» (Att. XXII-24) E questo si rinfacciava ai figli d’Israele pochi giorni dopo l’avvenimento; quando era facilissimo interrogare, controllare, vivendo ancora tutti o quasi tutti coloro a cui Gesù Cristo era apparso. E vediamo che i Giudei invece di fare obiezione alle parole di Pietro si compungono nei loro cuori, e gli domandano quel che han da fare. Non sappiamo se si possono desiderare prove più concludenti. Ne consegue che se risuscitò Gesù Cristo, risusciteranno anche i fedeli. Questi formano un sol corpo mistico con Lui. Gesù è il capo; e se il capo è risuscitato, non si spiega perché le membra debbano rimanere nel sepolcro. La risurrezione di Gesù Cristo ha introdotto un nuovo ordine di cose. Con Adamo era entrato nel mondo il dominio della morte. Con la risurrezione di Gesù Cristo questo dominio fu vinto. Egli lo ha vinto per sé e lo ha vinto per noi. E così «la morte del Figlio di Dio, che egli subì nella carne, distrusse in noi la duplice morte, quella dell’anima e quella del corpo, e la risurrezione della sua carne ci apportò la grazia della risurrezione spirituale e corporale » (S. Fulgonio Episcop. 17,16).

III.

S. Paolo aggiunge che Gesù Cristo apparve anche a lui l’ultimo degli Apostoli. Tanto egli poi, l’ultimo degli Apostoli, già persecutore della Chiesa, a cui Gesù apparve sulla via di Damasco, quanto gli altri Apostoli, ai quali Gesù risorto apparve prima di salire al cielo, hanno sempre predicato la stessa cosa: la risurrezione di Gesù Cristo. «Cristo è risuscitato, primizia dei dormienti !» esclama più innanzi S. Paolo, con un grido come di vittoria (I. Cor. XV, 20). – Non si può parlar di primizia senza supporre il seguito della messe. Quando compare la primizia, la messe è garantita. Gesù Cristo risorge pel primo a vita immortale: primo per ordine di tempo, di dignità, di merito. Dopo di Lui, a suo tempo, quando Egli comparirà di nuovo su questa terra. resusciteranno tutti i giusti. – Anche i reprobi resusciteranno? La parola di Gesù Cristo non lascia dubbio alcuno. «Verrà un tempo — dice il Redentore — in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udiranno la voce del Figliuolo di Dio, e usciranno fuori quelli che hanno fatto opere buone risorgendo per vivere: quelli poi che avranno fatto opere malvage, risorgendo per essere condannati» (Giov.V, 28-29). « La maniera della resurrezione sarà duplice. La prima è quella dei santi i quali, radunati con distintivo reale, al primo suono della tromba ricevono, con grande trionfo, il regno della beatitudine sotto Cristo, re eterno: la seconda è quella che assegna alla pena eterna gli empi assieme con i peccatori e con tutti gli increduli» (S. Zenone, L. 1, Tract. 16, 11). Il corpo dei giusti fu unito all’anima nel fare il bene; riceva, dunque, con essa il premio eterno. Il corpo dei cattivi cooperò con l’anima a fare il male: riceva con essa il meritato castigo. A ciascuno il suo. La società non è composta né esclusivamente di buoni, né esclusivamente di cattivi. Come in un campo frammischiata al buon grano si trova la zizzania, così, nella società, frammisti ai buoni si trovano i cattivi. E come al tempo della raccolta si lega la zizzania in fastelli per essere bruciata e il grano vien radunato nei granai, così succederà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai giusti, «e getteranno quelli nella fornace di fuoco: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del loro Padre» (Matt. XIII, 42-43). È chiaro che un tal giorno infonda coraggio ai buoni che l’attendono come il giorno del trionfo finale, e rechi sgomento ai peccatori, che lo temono come il giorno della finale rovina. Questo timore sarebbe salutare, se servisse a trattenerli dal peccato, o meglio a farli uscire dallo stato di peccato. S. Agostino narra di sé stesso: « Né altro mi richiamava dal profondo abisso dei piaceri carnali che il timor della morte e del giudizio avvenire: il qual timore,… non si partì mai dal mio petto » (Conf. L. 6, 16,).Se non ci dimenticheremo del giorno della risurrezione della carne, e del giudizio che vi avrà luogo, sarà facile la riforma di noi stessi. Chi teme quel giorno comincia a vegliare sulle proprie passioni, a guardarsi dall’avarizia, dall’impurità, dall’odio. Per vincer gli assalti del demonio comincia a mortificar se stesso con la custodia dei sensi. Le buone opere che prima gli erano pesanti diventeranno una necessità. I doveri del proprio stato gli saranno molto leggeri da compiere, e finirà per desiderare ciò che prima temeva: la seconda venuta di Cristo, nella speranza, di risalire con Lui in cielo a godere nel regno della gloria.

Graduale

Ps XXVII:7 – :1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.

[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja

[A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Alleluja

Allelúia, allelúia
Ps LXXX:2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venitper Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

[“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapali. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”


Omelia II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la maldicenza.

Solutum est vinculum linguæ eius, et loquebatur recte.

Che bella sorte per quell’uomo sordo e muto nello stesso tempo, di cui parla il Vangelo, di trovar un medico cosi pietoso e così potente come Gesù Cristo! Ma che avremmo noi detto di quell’uomo se, dopo aver ricevuto un sì gran beneficio, se ne fosse servito per oltraggiare il suo benefattore; se, invece di usar della sua lingua per lodare benedire Colui che gliel’aveva snodata l’avesse impiegata a maledirlo? Sarebbe egli stato ritenuto senza dubbio e si riterrebbe ancora al giorno d’oggi un mostro d’ingratitudine. Or quel che avreste biasimato con giusta ragione in quell’uomo, si è, fratelli miei, ciò che voi fate tutti i giorni. Dio vi ha dato l’uso della parola, egli è un beneficio che voi avete ricevuto dalla sua bontà: e come vi servite voi di questa parola? Qual uso fate voi della vostra lingua? Gli uni se ne servono a bestemmiare il santo nome di Dio; gli altri se ne servono a pronunciare parole oscene; questi a gettare colpi di maldicenza contro il prossimo; quegli a moltiplicare rapporti che lo disonorano; e se si vedono tante riputazioni macchiate, tanti giusti ricoperti d’obbrobrio, tanti odi perpetuarsi nelle famiglie, non ne sono forse cagione queste lingue armate del fiele della maldicenza? Si è dunque a voi, maldicenti, ch’io indirizzo in quest’oggi la parola e a cui vorrei, se fosse possibile, imporre eterno silenzio, poiché voi fate un sì malvagio uso del talento, che Dio vi ha confidato, e attaccando la reputazione del prossimo, che dovreste risparmiare, voi attaccate Dio medesimo, che dovete amare nel vostro prossimo – Ma come posso io sperare di distrugger un male oggidì sì comune, e che fa tante stragi nella società umana? Quanto mi stimerei io fortunato, se potessi almeno correggere qualcheduno di coloro, che vi sono soggetti! Per ciò io dico: niente di più comune della maldicenza, primo punto; niente più difficile a riparare che le conseguenze della maldicenza, secondo punto. Conoscendo la cagione della maldicenza, voi la distruggerete; scoprendo i suoi funesti effetti, la riparerete. Cominciamo.

I . Punto. Ella è una grande obbligazione, che noi abbiamo a Dio per averci dato l’uso della parola. Per mezzo di essa noi possiamo manifestare i nostri sentimenti agli uomini, mantenere con essi una dolce e piacevole società, cercar aiuto nei nostri bisogni, consolazione nelle nostre afflizioni. Ma la fatalità dell’uomo è di far servire alla sua rovina i doni, ch’egli ha ricevuti da Dio per suo vantaggio; e si può dire che il dono della parola è uno di quelli, di cui si fa il più malvagio uso. Il che ha fatto dire all’ apostolo S. Giacomo, che la lingua è un fuoco divorante, un mondo d’iniquità, una sorgente piena di veleno mortale: Lingua ignis est, universitas iniquitatis,malum inquietum, piena veleno mortifero (Jac. 3). Si è principalmente con la maldicenza, che questa velenosa sorgente comunica il suo veleno tanto più rapidamente, quanto che vi sono più maniere di mormorare, si trova più facilità ed occasione di mormorare e quasi niuno s’astiene dal mormorare. Le diverse specie di maldicenze, la facilità delia maldicenza, il gran numero delle persone date alla maldicenza, ecco ciò che prova che questo vizio è molto comune. Che cosa è mai la maldicenza? Ella dice s. Tommaso, è un parlar ingiurioso con cui si denigra l’altrui riputazione; il che si fa in più maniere, dice lo stesso dottore: l’una che si chiama diretta e l’altra indiretta. Si dice male direttamente del suo prossimo. allorché gli si imputa un delitto di cui è innocente; ecco la calunnia;: 2. quando si esagera un mancamento che ha fatto, facendo credere un peccato considerabile ciò che è mancamento leggiero; 3. Quando si rivela un mancamento occulto, che egli ha commesso, o un diletto cui è soggetto; 4. quando; si dà un malvagio colore alle azioni del prossimo o s’interpreta in mala parte il bene, che ha fatto: ecco la maldicenza. Si dice male indirettamente allorché si nega il bene, che taluno ha fatto, o si sminuisce, ovvero si osserva un silenzio ingiurioso, quando si odono gli elogi che gli si danno. Voi vedete di già, fratelli miei, da queste diverse specie di maldicenze, quanto questo peccato sia comune, e forse vi riconoscete di già colpevoli di qualcheduna di queste guise di maldicenza. Quante volte vediamo noi al giorno d’oggi persone innocenti, che la calunnia ha caricate di atroci delitti cui esse non hanno neppur pensato? Calunnia che non ha per l’ordinario altro fondamento che un sospetto ingiurioso, un giudizio temerario che si fa del prossimo. Quell’uomo, quella donna, male intenzionati a riguardo d’un altro, pensano male sulla sua condotta, interpretano in cattiva parte un’azione da sé indifferente, ed anche lodevole nel suo principio e nel suo fine. Avranno essi veduta questa persona entrar in una casa, parlar ad un’altra, le danno subito qualche malvagia intenzione. Avrà taluno fatto qualche perdita di beni, egli sospetterà aver quell’altro commessa quell’ingiustizia; non ardisce esso subito accertare ciò che non prende che per una congettura, ma palesando quei sospetti ingiuriosi, che ha concepiti sull’altrui condotta, producendo quelle congetture, egli dà a credere che le parole dette sono la pura verità. Il che fa che dal sospetto si viene alla persuasione, all’accusa, alla calunnia, che distrugge in un istante la riputazione della persona più innocente. Qual precauzione non si deve prendere, non solo per ritener la lingua, ma per non formare alcun sospetto ingiurioso sulla condotta del prossimo, né ascoltare coloro che temerariamente lo giudicano? Egli è vero che si trovano comunemente calunniatori, che oltrepassano i limiti della equità, sino ad imputar il delitto ad un innocente. Ma quanti ve ne sono che non si fanno alcuno scrupolo d’ingrandire gli altrui vizi, di esagerare una colpa, che han veduta commettere a taluno, di far credere una scelleratezza ciò che non è che un leggero mancamento, o una inavvertenza? Qualche parola poco pesata, sfuggita senza riflessione ad una persona d’un certo grado, qualche convenienza tralasciatali alcune leggerezze, effetto più di fragilità umana, che di malizia, sono tenuti da certuni per grandi delitti. Si spacceranno per tali, si faran nascere le idee più disgustose sopra certi falli, che non erano in verun modo così considerabili come furono immaginati. Si è questa forse una specie di calunnia molto comune nel mondo? Perciocché invece di scusare i mancamenti altrui si fanno alcuni un piacere maligno d’accrescerli e d’ingrandirli. Oh quante volte cangiano di natura per esser pubblicati da lingue, maldicenti! Ma, diranno altri, noi nulla asseriamo, che non sia vero; nulla aggiungiamo al mancamento, che riveliamo. Non è forse permesso, e non è anche un bene, il far conoscere gli uomini quali sono, affinché si badi a cui fidarsi e non si confonda la virtù col vizio, che si deve smascherare e fare conoscere palesemente per non lasciarsi da esso sorprendere? Questo è, fratelli miei, una specie di sotterfugio alla maldicenza per accreditarsi nei suoi passi; sotto il falso pretesto che tutto quel che si dice è vero, si crede sia permesso dire ogni cosa, rivelare indifferentemente i mancamenti del prossimo. Eh! dove è dunque, fratelli miei, quella carità, che deve coprire la moltitudine dei peccati? Charitas operit moltitudinem peccatorum!. (Pet. IV). La carità ci proibisce di far ad altri ciò che non vorremmo che si facesse a noi medesimi, perché dunque vi prendete la libertà di scoprire i mancamenti del vostro prossimo? Invano coprite voi la maldicenza col pretesto della giustizia e del ben pubblico, il quale richiede, a vostro parere, che si conoscano gli uomini per quel che sono. – Finché il mancamento del vostro prossimo è segreto, egli ha diritto alla sua reputazione, ed è un’ingiustizia il rapirgliela: il bene pubblico non chiede neppure che voi facciate conoscere i difetti del vostro fratello. 1. Scoprenti il suo mancamento, voi non lo guarite, ma lo inasprite. 2. Voi somministrate agli altri una occasione di peccato, insegnando loro ciò che non sapeva apprendendo loro il traviamento di persona per cui avevano della stima, e che era commendabile agli occhi loro per altri titoli: con questo, voi autorizzate il vizio nei ribaldi, e le vostre maldicenze divengono pei deboli una pietra d’inciampo. Ma, direte voi , io ho rivelato quel mancamento ad una persona confidente, ho raccomandato il tenerlo segreto. Or io vi domando: con questa precauzione, quasi sempre inutile, fate voi men perdere a quella persona la stima, che essa aveva pel vostro fratello, di cui voi parlate male? D’altra parte, voi le avete confidato sotto segreto ciò che avete detto; voi credete dunque che non era permesso di divulgare quel mancamento; e perché rivelarlo a quella persona? Pensate voi forse, che quella sarà più fedele a custodire il segreto che voi? Oimè!. quante cose confidate sotto segreto, divengono pubbliche in tutto un villaggio, sotto pretesto che ciascuno le ha confidate sotto segreto? – Non è dunque punto permesso di parlare dei mancamenti del suo prossimo, quantunque nulla si dica che non sia vero, fuorché ciò sia per suo bene, come sarebbe di avvertire un padre, una madre, un padrone, un superiore, di correggere i disordini dei figliuoli o di quelli che loro sono soggetti, o per il bene di colui cui si rilevano i mancamenti, che gli cagionerebbero gran danni, se non li conoscesse; ma bisogna in queste occasioni usare molta prudenza e non seguir la passione che ci porta ordinariamente ad eccessi o contro la giustizia o contro la carità. – Veniamo adesso ad altre specie, di maldicenze, che non sono meno frequenti, e che noi chiamiamo maldicenze indirette. Si ha orrore d’imputar a qualcheduno un delitto di cui è innocente, si prova anche una pena a rivelare un mancamento commesso; ma non si teme di spargere sopra le virtù altrui una tinta che ne offusca lo splendore. Si fa l’elogio di qualche azione virtuosa; altri si sforza di toglierne la gloria a chi è dovuta, o negando che abbia egli fatto quell’azione, o dandole un cattivo colore, o attribuendola ad una malvagia intenzione, o diminuendo il merito con qualche circostanza viziosa che si aggiunge. Alcuni Giudei accusavano il Salvatore di scacciare il demonio nel nome di Belzebù, di amar i piaceri della mensa, perché mangiava coi peccatori per trarli a sé. Si vuol investigare sino fondo delle coscienze per iscoprirvi un male, che non vi è. Un uomo caritatevole per i poveri farà delle limosine, dirassi che lo fa per vanità ad ostentazione: un altro avrà renduto un servigio essenziale ad alcuno che ne aveva bisogno, si dirà che per interesse. Quella donna, quella donzella sarà regolata nella sua condotta; questo, dirà taluno, è per ipocrisia, o perché il mondo non sa che farne, o a fine di esser creduta la gloria della pietà cristiana. Quell’uomo paziente, moderato, perdona un’ingiuria e rende bene per male: è stupidità, e bassezza di spirito; quell’altro regola con prudenza i beni che il Signore gli ha dati, egli è un avaro; oppure se fa qualche liberalità, egli è un prodigo: in una parola, non è virtù alcuna che i maldicenti non trovino il segreto di avvelenare. Essi conservano sotto le loro labbra, per servirmi delle parole del profeta, il veleno degli aspidi, e portano dappertutto la contagione dei loro discorsi: Venenum aspidum sub labiis eorum (Ps. XIII). Altri, non meno a temere, renderanno al merito la giustizia, che gli è dovuta, converranno volentieri del valore di quell’azione, del pregio di quella virtù, incominceranno a far l’elogio di coloro che vogliono biasimare. Quell’uomo è caritatevole verso i poveri; ma egli ha un difetto, che non gli si può perdonare, mantiene un commercio con una persona che frequentar non dovrebbe. Quell’altro fa lunghe preghiere, è assiduo ai divini uffizi; ma egli è un usurpatore dei beni altrui. Quella donna è modesta in chiesa, governa bene la sua casa, ma ella è una maldicente, una lingua da temere. Che gran danno di quel giovane, di quella giovane! Hanno eccellenti qualità; ma l’uno è soggetto all’intemperanza, l’altra alla vanità. – L’avreste voi creduto, dirà questi, che quella persona che conoscevate sì virtuosa fosse caduta in quel mancamento? Io ne sono afflitto e per riguardo ad essa e per riguardo della sua famiglia. Quel sacerdote, dirà quell’altro (poiché il maldicente non risparmia alcuno) sì zelante, sì esatto a compiere il suo dovere, sarebbe perfetto, se non fosse cotanto attaccato ai beni della terra. Così, fratelli miei, il maldicente, secondo l’espressione del profeta, tempera i suoi dardi nell’olio, affinché penetrando più addentro, facciano più profonde ferite: Molliti sunt sermones eius super oleum, et ipsi sunt iaculo,. (Ps. LIV). Si lodano le virtù, a fine di meglio persuadere i vizi di coloro di cui si vuole oscurare la riputazione. Se non si osa denigrarli apertamente, si trova il segreto di farlo con certi segni, certi gesti, con cenni d’occhio od anche con un silenzio affettato, o con una tristezza che si mostra ascoltando le lodi altrui, silenzio e tristezza, che dicono sovente più che le parole, perché sono una specie di disapprovazione di quanto si avanza. Io non finirei mai fratelli miei, se volessi rappresentarvi tutte le vie per cui la maldicenza sparge il suo veleno. Ciò che dà ancora una sì grand’estensione a questo vizio, si è la facilità, che evvi di cadervi, e le occasioni che si trovano di commetterlo. Infatti non si può dire di questa passione come delle altre, che sono arrestate dagli ostacoli che esse incontrano. Un ladro non può sempre riuscire nei furti che medita: un impudico non trova sempre l’occasione e gli oggetti per appagare la sua passione: il vendicativo trova resistenza in un nemico che lo perseguita; ma quanto al maldicente, tutto concorre a rendergli facile il suo peccato, facile dal canto di colui, che spaccia la maldicenza, facile dal canto di coloro che l’ascoltano. La maldicenza è facile dal canto di colui che la spaccia. Che cosa si ricerca, infatti, per contentare su di ciò la sua inclinazione? La lingua e la parola sono sempre in disposizione nostra: un segno ci basta per venire a capo del nostro progetto, e portare alla riputazione altrui il colpo più funesto. Negli uni è una precipitazione, un certo prurito di parlare, onde nulla tacer possono di quel che sanno per diffamare il loro prossimo; si è un peso che li opprime, di cui sono impazienti di alleggerirsi alla prima occasione, che troveranno; negli altri è una maligna gelosia della gloria e della prosperità altrui che li rende più attenti a cercarne e a pubblicarne i difetti, che le sue buone qualità; e quante occasioni.non trovano di soddisfarsi sopra questo punto! Occasioni dalla parte di quelle danno materia alla maldicenza poiché chi è quell’uomo sì perfetto che non mostri qualche volta tratti di debolezza, e che non sia esposto alla censura dei maldicenti? Occasioni nel commercio, che si ha col mondo nelle conversazioni  che fanno i legami della società, e che si aggirano per lo più sopra gli altrui difetti: senza questo dicesi, esse languirebbero, convien più metter qualcheduno sulla scena; siamo sempre accolti con piacere in una compagnia quando sappiamo rallegrarla a spese di qualcheduno, che ha dato materia di parlare. Con questo la maldicenza diventa facile per parte di coloro che l’ascoltano. Quantunque si abbia dell’avversione per i maldicenti, si ama la maldicenza, si ascolta con piacere, si è curioso di sapere ciò che il tale ha detto, ha fatto; di conoscere la sua condotta, i suoi costumi, di osservare il suo modo di operare; si vuole penetrare il segreto delle famiglie ed anche dei pensieri; si prova piacere a conoscere le inclinazioni, gli andamenti di quella persona. Per animare il maldicente, si fa applaudire ai suoi discorsi, si lodano i tratti ingegnosi di cui servesi per lanciare i suoi colpi penetranti contro coloro che non sono in istato di avvisarli; si osserva un reo silenzio quando si ode parlar male del prossimo; mentre chi è che ne prende la difesa? Ecco ciò che autorizza, che incoraggia il maldicente. Egli non trova che approvatori della sua malvagità; attacca gli assenti, quando sono fuori di stato di difendersi, e che gli chiuderebbero la bocca se fossero presenti; niuno si ritrova caritatevole abbastanza per prendere le loro parti, al contrario, quelli che ascoltano il maldicente, si uniscono spesse volte a lui per caricare della loro maligna critica coloro in cui esso ha già portato i colpi mortali. Convien forse stupirsi dopo questo, che la maldicenza faccia sì grandi progressi nella società umana, poiché non trova essa alcun ostacolo che le resista, e la maggior parte al contrario si fa un piacere di ascoltarla e di divulgarla? – Imperciocché, chi sono coloro, fratelli miei, che vanno esenti da questo vizio ? Oimè! Quasi tutte le condizioni della vita ne sono infette. Egli regna nella città, come nelle campagne; egli è il vizio dei ricchi come dei poveri, dei grandi come dei piccoli, dei sapienti come degli ignoranti. Si entri nelle case, si ascolti ciò che si dice nelle conversazioni: appena si vedranno due o tre persone insieme che non abbiano messo qualcheduno in giuoco nei loro discorsi. Appena si passa un’ora di tempo, di cui la maldicenza non occupi la maggior parte. Non è questo principalmente il difetto degli oziosi, di quelle persone, che, annoiate di sé medesime, vanno di conversazione in conversazione a spandere il veleno della loro maligna oziosità, alzando dappertutto tribunale, ove condannano senza pietà tutto ciò che loro dispiace ? Voi li vedrete scorrere minutamente tutti gli stati della vita; ora è l’avarizia o la prodigalità d’un ricco; or è l’insolenza d’un povero, che serve di materia alla loro censura. – Senza risparmiare sacro né profano, voi li vedrete scatenarsi senza pietà contro la condotta delle persone consacrate a Dio, la cui riputazione è necessaria al bene pubblico. Qui è un mercante che ne scredita un altro, che egli vede più accreditato di sé nel negozio; là è un artigiano che per mettersi in credito dispregia il lavoro di quelli della sua professione. Non si vedono forse anche persone d’altra parte regolate nella loro condotta, che, per stabilire la loro riputazione sulla rovina di quella degli altri, non hanno difficoltà di vibrare i colpi della loro maligna critica contro quelli la cui virtù fa loro ombra? A udir questi astuti maldicenti, non è già per invidia né per odio che essi divulgano certe debolezze che han vedute nel loro prossimo; ma è per zelo della gloria di Dio e del ben pubblico; e sotto questo pretesto si credono in diritto di rivelare ciò che converrebbe occultare. Non spacceranno, per verità, atroci calunnie, nere maldicenze; ma useranno di certi artifizi per sminuire l’altrui stima. Si è una compassione, che fingono di avere alla loro debolezza; sono sospiri che gli altrui mancamenti cavano dai loro cuori; faranno doglianze su qualche cattivo tratto che altri usa loro, su qualche parola scortese, che ha offeso il loro amor proprio; e sotto pretesto di cercare consolazione del loro dispiacere, non pensano che a soddisfare la loro vendetta, manifestando tutto ciò che riconoscono di difettoso in quelli che hanno avuta la disgrazia di loro dispiacere. Ah! quanto è mai raro di trovare in questo mondo persone irreprensibili su questo punto; ed è con molta ragione che s. Giacomo ha detto, che convien essere molto perfetto per non peccare parlando: Si quis in verbo non offendit, hic perfectus erit (Jac. III). Ma quanto la maldicenza è comune, altrettanto le sue conseguenze sono difficili a riparare.

II. Punto. Egli è un principio incontrastabile nella Religione e nella morale, che, per ottenere il perdono del suo peccato, bisogna farne la penitenza e la riparazione. Se ci siamo impadroniti della roba altrui o se gli abbiamo cagionato qualche danno, non evvi salute alcuna a sperare, sin che non l’abbiamo ristabilito nei suoi diritti. Lo stesso obbligo sussiste per il torto che abbiamo fatto colla maldicenza all’onore, e alla riputazione altrui. Ma quanto questa riparazione non è ella difficile? Difficile dalla parte dell’onore che convien riparare, difficile dalla parte di colui che deve fare questa riparazione. La riputazione consiste nella stima, che alcuno si è acquistata nello spirito degli uomini con le sue buone qualità, con azioni virtuose, che hanno meritato la loro approvazione. Ella è un bene di cui ciascuno è così geloso che sacrificherebbe volentieri tutti gli altri per conservare questo. Mentre a che servono tutti i beni senza l’onore? Non osiamo più comparir nel mondo, vi siamo morti civilmente tosto che siamo denigrati su questo punto. Quindi qual precauzione lo Spirito Santo non ci comanda di prendere per conservarlo? Curam habe de bono nomine (Eccli XLI). Egli è un bene che ci è personale, un bene che è la sorgente di molti altri beni, che ci tien dietro anche dopo la morte. Ma tosto che questa riputazione è oscurata dai neri vapori che una lingua maledica vi ha sparsi, non è possibile di renderle il suo primo splendore; ella è una piaga in certo modo incurabile. Ed in vero, per guarir questa piaga, per riparare il torto fatto alla riputazione, che convien fare? Bisogna ristabilire nei suoi diritti la persona cui abbiamo rapito l’onore, e per ciò cancellare le sinistre idee, che abbiamo impresse sulla sua condotta nello spirito degli altri: or è forse cosa facile cambiare queste malvage impressioni? L’orgoglio che signoreggia gli uomini non ispira loro che buoni sentimenti per se medesimi e dispregio per gli altri. Quindi ne viene che si prova ordinariamente maggior piacere nell’udire biasimare qualcheduno, che negli elogi che gli si danno; amiamo di autorizzarci nei nostri disordini, con l’esempio di coloro che sono sregolati. Ecco perché si ascolta e si crede così facilmente ciò che lusinga le passioni, e cosi difficilmente si depongono le idee che le favoreggiano. Perciò un maldicente avrà bel fare a disingannare coloro cui egli ha parlato male del suo prossimo, ma non gli riuscirà; molti discorsi non basterebbero per rendere alla riputazione il primo lustro, che un sol tratto di lingua le ha tolto. Poiché, o chi ha parlato male ha detto il vero o ha detto il falso: se quel che ha detto è vero, non potendo più disdirsene, tutte le lodi che esso darà al suo prossimo per rifarne la riputazione, non le renderanno giammai il suo primiero splendore; qualunque azione virtuosa egli pubblichi in lode della persona di cui ha parlato male, sarà sempre vero che questa persona è colpevole d’un mancamento che sminuisce la stima che si aveva della sua virtù. Se il male che il maledico ha pubblicato è vero, e se ne disdica, si è forse taluno, perché un confessore l’ha obbligato a farlo, o perché ha qualche ragione particolare d’interesse: forse i cattivi discorsi che si sono tenuti avevano qualche fondamento. Checché ne sia, è forse molto comune che la ritrattazione della maldicenza equivalsi all’ingiuria? Si è ciò che l’esperienza fa vedere pur troppo sensibilmente. Quegli era tenuto per un uomo dabbene nel concetto altrui, era tenuto per uomo giusto e ragionevole: ma un nemico geloso del suo onore e dei suoi successi ha sparso sulla sua condotta il veleno della sua censura; egli l’ha dipinto per un uomo di malvagia fede, e per un impostore, che non cerca che il suo interesse in pregiudizio degli altri. Ecco quell’uomo divenuto tutt’altro che non era nello spirito di coloro che lo stimavano; le sue virtù, i suoi meriti l’hanno abbandonato; non osa più comparire, non è più riguardato che come un uomo pericoloso alla società, qualunque cosa possa fare per sostenere la sua riputazione e qualunque cosa fare possa il maledico per disingannare gli animi, ch’egli ha contro di lui prevenuti. – Quel ministro del Signore, esatto a compiere i suoi doveri, ha voluto correggere alcuni disordini, riprendere un libertino della sua vita licenziosa: questi, per vendicarsi ed autorizzarsi nella sua empietà, l’accuserà ingiustamente di essere soggetto alle medesime debolezze. Sarà egli creduto, malgrado tutto ciò che potrà fare quel ministro del Dio vivente per cancellare con una condotta edificante le impressioni che altri ha concepito contro di lui. Si chiudono gli occhi sopra le sue virtù: venga egli annunciato per un santo quanto si vorrà, il libertino prevenuto non si disinganna più dei suoi pregiudizi, e l’uomo di Dio rimane coperto d’obbrobrio e diventa inutile alle anime che gli sono affidate. – Quella donna, quella fanciulla, regolate nella loro condotta, non avevano giammai dato luogo a parlar mal di sé; ma una lingua maledica ha sparsi malvagi rumori sui loro andamenti, eccole rovinate nella stima; tutto ciò che potranno esse fare non le impedirà di essere sospette d’intrighi peccaminosi, di disordini cui non hanno esse neppure pensato; e checché ne dica il maldicente per ritrattare quanto ha asserito, è stato creduto e lo sarà sempre. – Ah! fratelli miei, quanto i colpi di lingua di un maldicente sono terribili, e quali stragi un uomo di tal fatta cagiona nella società [Terribilis homo linguosus – Eccl. IX]. È un incendio che ha messo il fuoco in una casa, che non si può più estinguere; è una saetta mortale, che ammazza tanto vittime, quante sono le persone cui porta i suoi colpi. Egli è la cagione delle perpetue divisioni e di discordie nelle famiglie, e di perdite di beni cui non rimedierà giammai. Quel marito, quella moglie erano uniti insieme; quei congiunti, quei vicini vivevano in buona armonia; ma l’uomo nemico, che si compiace di seminar la zizzania tra il buon grano, ha fatto cattivi rapporti contro gli uni e gli altri; il marito e la moglie non possono più sopportarsi; i congiunti, i vicini sono divenuti nemici irreconciliabili. I confessori, i predicatori impieghino pure tutto ciò che v’ha di più forte nella Religione per riunirli, non ne potranno venir a capo. Chi è mai la cagione di questi mali? Siete voi, lingue di vipere, che avete cercati i motivi di divisione, o che non avete saputo osservare il silenzio sopra quei segreti a voi affidati. Invano farete degli sforzi per disingannare gli animi divisi; non ne verrete a capo: voi avrete parlato male di quell’uomo, che occupa nel mondo un posto vantaggioso, di quel mercante, di quell’artigiano, di quel servo; il posto di quell’uomo gli diventa inutile; il negozio di quel mercante cade, quell’artigiano perde i suoi avventori, quel servo non può più trovare padrone. Voi avete macchiato l’onore di quel giovane, di quella zitella, che erano sul punto di prendere un collocamento; essi sono al presente frustrati delle loro speranze, non possono più trovar partito. Come riparerete i danni che avete loro cagionati? Eppure voi siete a questo obbligati sotto pena di dannazione; ma troppo vi costerebbe l’adempiere a quest’obbligo; e però voi non lo farete. Ed ecco ciò che rende il vostro peccato in qualche modo irremissibile per una certa impossibilità in cui siete di ripararne i funesti effetti, tanto più ancora che questa riparazione trova in voi medesimi ostacoli quasi insuperabili. – Quando alcuno ha fatto torto al prossimo ne’ beni di fortuna, può ripararlo senza farsi conoscere; egli può servirsi d’una via straniera, come d’un amico fedele, d’un prudente confessore, per le restituzioni a cui è obbligato; può anche ritrovarsi in uno stato d’impossibilità, che lo esenti affatto dalla restituzione; ma non così della riparazione che deve farsi alla riputazione che si è denigrata. Siccome quest’obbligo non può esser adempito che da colui che ha parlato male, bisogna che comparisca in persona, e che si faccia conoscere in questa riparazione; il che non può fare che a danno della sua propria riputazione. Cioè a dire, che deve o farsi credere un impostore, se quel che ha detto non è vero; oppure un indiscreto, un indegno, un invidioso, un temerario, se quel che ha detto è vero: bisogna dunque che ripari l’altrui onore con la perdita dei suoi propri beni. Or è ella cosa facile di sacrificare il suo onore, la sua riputazione, infamarsi, screditarsi nel concetto degli altri, per onorare quelli che si sono diffamati? Ah! quanto mai non costa questo all’amor proprio sempre ingegnoso a evitar l’obbrobrio, e a conservarsi la stima altrui! Un tale sforzo non può essere che l’effetto d’una grazia onnipotente e di un desiderio ardentissimo della sua salute. Ma la prova che questo passo è difficile, si è che non si fa. Si odono moltissimi mormorare, ma se ne vedono forse molti che riparino il torto, che han fatto con la maldicenza? Eppure è un obbligo indispensabile, ove non si può allegare pretesto d’impossibilità, perché siamo sempre padroni di parlare a vantaggio del prossimo, e nulla è maggiormente a nostra disposizione che l’uso della parola. – Ma io suppongo ancora, che il maldicente si faccia violenza per rendere alla riputazione altrui il lustro che le ha tolto: ne potrà egli venir a capo, quando il veleno della sua maldicenza si è sparso si lungi che non è quasi più possibile di arrestarlo? Quando la sua maldicenza è giunta alle orecchie d’un gran numero di persone, come accade ordinariamente, allorché essa è divulgata in un villaggio, in una città, in una provincia; Come mai il maldicente potrà egli riparare l’onore altrui in tutti i luoghi ove è stato macchiato? Ed è forse d’uopo il dirvi, fratelli miei, che, se Dio domandasse questa riparazione per intero, la maldicenza diverrebbe un peccato irremissibile? Eppure se in queste circostanze la riparazione diventa impossibile, il maledico non lascia perciò di essere obbligato di fare tutto ciò che dipende da lui per riparare il male che ha fatto. Or farà egli tutto ciò che è necessario per questo? Prenderà egli tutte le misure convenevoli per scaricarsi dell’obbligo in cui si è impegnato? Lo farete voi? L’avete voi di già fatto, voi che avete questi rimproveri a farvi? Ah! grande e giusto Dio, quanti mali e qual difficoltà per ripararli! Avvertite dunque ben bene, dice lo Spirito Santo, a non peccare con la lingua, per tema che la vostra caduta, divenuta incurabile, non vi dia la morte: Casus insanabilis ad mortem (Eccli. XXVIII).

Pratiche. Mettete dunque un freno alla lingua, e non ve ne servite giammai per intaccare la riputazione altrui. Parlate sempre bene degli assenti; se nulla in loro lode avete a dire, tenetevi in silenzio; poiché diceva un antico, niuno si penti mai tanto di aver taciuto, quanto di aver parlato: Nullum locutum fuisse sæpe poenituit, tacuisse nunquam. Mettetevi in luogo di coloro di cui vorreste censurare la condotta. Sareste voi contenti che taluno vi trattasse nel modo che trattate gli altri? Non vorreste voi forse al contrario, che se qualcheduno parlasse male di voi in un’assemblea, un altro prendesse la vostra difesa? Fate lo stesso a riguardo del vostro prossimo, ed eserciterete la carità, che Dio richiede da voi. Imponetevi per penitenza, osservare il silenzio un certo tempo della giornata, e domandate a Dio ogni mattina la grazia di fare un santo uso della vostra lingua. Se voi avete diffamato il vostro prossimo di qualche delitto che gli abbiate imputato per calunnia, bisogna a qualunque costo disdirvi: se il delitto di cui l’avete accusato è vero, bisogna con tutte lodi che potete dargli, cancellare le malvage impressioni, che la vostra maldicenza ha fatto sopra lo spirito di coloro che vi hanno udito. Siccome la maldicenza viene ordinariamente dalla superbia, e dalla brama che abbiamo d’innalzarci al di sopra degli altri, siate umili ed abbiate bassi sentimenti di voi medesimi, ad esempio del grande Apostolo, che si riguardava come un aborto ed il maggiore dei peccatori: allora voi non parlerete male di alcuno. Ricordatevi ancora dell’avviso che vi dà lo Spirito Santo; di non frequentar né ascoltare i maldicenti: Cum detractoribus ne commisceamini (Prov. XXIV),poiché se voi li ascoltate , vi renderete complici della loro maldicenza per l’occasione che loro darete, Voi sareste ancora molto più colpevoli, se induceste i maldicenti a parlar male, o con i vostri cattivi consigli o con interrogazioni che loro fareste, o con l’approvazione, che loro dareste tenendo un iniquo silenzio. Allorché alla vostra presenza si opprime un innocente, che non dipenderebbe che da voi di giustificare, voi siete obbligati in quell’occasione a prendere la sua difesa e ad opporvi alla calunnia. Se la maldicenza che si spaccia è vera, voi siete sempre colpevoli di prestarle orecchio. Che convien dunque fare quando udiamo parlare male? Se coloro che mormorano sono vostri inferiori, servitevi, della vostra autorità per imporre loro silenzio; se sono vostri uguali, opponetevi alla maldicenza, o volgendo altrove il discorso e scusando coloro di cui si parla male sopra l’intenzione, la debolezza, la fragilità umana o qualche altra circostanza, che una carità ingegnosa sa benissimo ritrovare, o finalmente abbandonando la compagnia, se si può convenevolmente: se sono vostri superiori, coloro che parlano male, dimostrate il vostro dispiacere col silenzio, gemete nel fondo della vostra anima su ciò che udite; mettete, secondo il consiglio dello Spirito Santo, delle spine alle vostre orecchie, affinché il veleno della maldicenza non penetri nel vostro cuore, vale a dire, rendetele inaccessibili alle impressioni che essa fa in un cuore che volentieri vi si arrende, o che non sa difendersene. Finalmente in qualunque occasione il caso o la necessità vi esponga ad udire parlar male, comportatevi in tal modo che il vostro contegno faccia conoscere quanto la maldicenza vi dispiace; poiché siccome, dice la Scrittura, il vento di aquilone dissipa le piogge, così un mesto sembiante arresta la lingua d’un detrattore: Ventus aquilo dissipat pluvias, et facies tristis linguam detrahentem (Prov. XXV). Fatevi una legge non solamente di non fare giammai alcun rapporto contro chicchessia, ma ancora di non ascoltare giammai coloro che ve ne faranno; mentre o colui che vi riferisce qualche fallo che può muovervi a sdegno contro d’un altro è un nemico, o è suo amico. Se è un nemico, egli opera per odio, voi non dovete credergli; se è un amico, egli è un amico falso che non ne merita il nome; riguardatelo come un traditore, un indegno, un infedele, capace di rendere un sì malvagio servizio a voi come ha fatto con altri. Finalmente, fratelli miei, regolate così bene la vostra lingua che non ve ne serviate giammai se non per ben parlare, per glorificar Dio in questo mondo, a fine di glorificarlo nell’altro. Così sia.

 Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XXIX:2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.

[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.

[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio   

Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’ànima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “MUNIFICENTISSIMUS DEUS”

Davanti a questa Lettera Enciclica si resta come rapiti ed estasiati davanti alla scienza teologica, alla dottrina così sapientemente esposta, alla devozione manifestata con tale amore filiale, con la decisione ed il piglio sicuro di chi si assume in piena autorità e responsabilità il compito di definire un dogma di fede così importante e fondamento dell’edificio spirituale Cattolico. Si intravede qui con chiarezza il “dito di Dio” e la pienezza dello Spirito Santo in azione. Innanzitutto il Pontefice non nasconde le difficoltà della vera Chiesa di Cristo, e del suo Pontificato « … assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l’aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù … », e dopo aver dato tutte le prove dottrinali, scritturali, patristiche e teologiche per la definizione del grande dogma di fede cattolica e divina, si augura che ciò possa portare il Cristiano a vivere con gioia la sua vita di fede nell’attesa di una resurrezione così splendidamente illustrata da questo procedente eclatante e meraviglioso … « mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati ». Non c’è nulla da aggiungere a commento delle parole sapientissime del Sommo Pontefice, anche se non possiamo rammaricarci del fatto che tanti Cristiani, senza scienza né conoscenza dottrinale neghino nei fatti questa verità di fede guidati come sono da un’orda di irresponsabili chierici, per lo più finti e sacrileghi, che guidano milioni di anime verso il modernismo anticristiano, somma di tutte le eresie, praticato dalla setta del “falso profeta”, quella del Vaticano II, condividendone la sorte finale: lo stagno di fuoco eterno. Che la Vergine Assunta in cielo possa schiacciare il capo del dragone maledetto, che è il diavolo, capo della bestia, le sue membra, cioè gli aderenti alle conventicole di perdizione, ai partiti politici laici anticristiani, ai poteri cosiddetti forti nell’empietà, e al falso profeta, cioè a tutte le sette eretiche e scismatiche che operano sacrilegamente a perdizione delle anime create da Dio per partecipare alla vita divina ed all’eterna felicità in anima e corpo.

PIO XII
SERVO DEI SERVI DI DIO
A PERENNE MEMORIA

COSTITUZIONE APOSTOLICA

MUNIFICENTISSIMUS DEUS (1)

LA GLORIFICAZIONE DI MARIA
CON L’ASSUNZIONE AL CIELO
IN ANIMA E CORPO

Il munificentissimo Dio, che tutto può e le cui disposizioni di provvidenza sono fatte di sapienza e d’amore, nei suoi imperscrutabili disegni contempera nella vita dei popoli e in quella dei singoli uomini dolori e gioie, affinché per vie diverse e in diverse maniere tutto cooperi in bene per coloro che lo amano (cf. Rm VIII, 28).  – Il Nostro pontificato, come anche l’età presente, è assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l’aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù; ma Ci è di grande conforto vedere che, mentre la Fede Cattolica si manifesta pubblicamente più attiva, si accende ogni giorno più la devozione verso la vergine Madre di Dio, e quasi dovunque è stimolo e auspicio di una vita migliore e più santa. Per cui, mentre la santissima Vergine compie amorosissimamente l’ufficio di madre verso i redenti dal sangue di Cristo, la mente e il cuore dei figli sono stimolati con maggiore impegno a una più amorosa contemplazione dei suoi privilegi.  Dio, infatti, che da tutta l’eternità guarda Maria vergine, con particolare pienissima compiacenza, «quando venne la pienezza del tempo» (Gal. IV, 4), attuò il disegno della sua provvidenza in tal modo che risplendessero in perfetta armonia i privilegi e le prerogative che con somma liberalità ha riversato su di lei. Che se questa somma liberalità e piena armonia di grazie dalla chiesa furono sempre riconosciute e sempre meglio penetrate nel corso dei secoli, nel nostro tempo è stato posto senza dubbio in maggior luce il privilegio della corporea assunzione al cielo della vergine Madre di Dio Maria.  – Questo privilegio risplendette di nuovo fulgore fin da quando il nostro predecessore Pio IX, d’immortale memoria, definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione dell’augusta Madre di Dio. Questi due privilegi infatti sono strettamente connessi tra loro. Cristo con la sua morte ha vinto il peccato e la morte, e sull’uno e sull’altra riporta vittoria in virtù di Cristo chi è stato rigenerato soprannaturalmente col battesimo. Ma per legge generale Dio non vuole concedere ai giusti il pieno effetto di questa vittoria sulla morte se non quando sarà giunta la fine dei tempi. Perciò anche i corpi dei giusti dopo la morte si dissolvono, e soltanto nell’ultimo giorno si ricongiungeranno ciascuno con la propria anima gloriosa. – Ma da questa legge generale Dio volle esente la beata vergine Maria. Ella per privilegio del tutto singolare ha vinto il peccato con la sua concezione immacolata; perciò non fu soggetta alla legge di restare nella corruzione del sepolcro, né dovette attendere la redenzione del suo corpo solo alla fine del mondo. 

Plebiscito unanime

 Per questo, quando fu solennemente definito che la Vergine Madre di Dio Maria fu immune della macchia ereditaria fin dalla sua concezione, i fedeli furono pervasi da una più viva speranza che quanto prima sarebbe stato definito dal supremo Magistero della Chiesa anche il dogma della corporea Assunzione al cielo di Maria Vergine.  – Infatti si videro non solo singoli fedeli, ma anche rappresentanti di nazioni o di province ecclesiastiche e anzi non pochi padri del concilio Vaticano chiedere con vive istanze all’apostolica sede questa definizione.  In seguito queste petizioni e voti non solo non diminuirono, ma aumentarono di giorno in giorno per numero ed insistenza. Infatti per questo scopo furono promosse crociate di preghiere; molti ed esimi teologi intensificarono i loro studi su questo soggetto, sia in privato, sia nei pubblici atenei ecclesiastici e nelle altre scuole destinate all’insegnamento delle sacre discipline; in molte parti dell’Orbe Cattolico furono tenuti congressi mariani sia nazionali sia internazionali. Tutti questi studi e ricerche posero in maggiore luce che nel deposito della fede affidato alla Chiesa era contenuto anche il dogma dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo; e generalmente ne seguirono petizioni con cui si chiedeva instantemente a questa Sede Apostolica che questa verità fosse solennemente definita. – In questa pia gara i fedeli furono mirabilmente uniti coi loro pastori, i quali in numero veramente imponente rivolsero simili petizioni a questa Cattedra di S. Pietro. Perciò quando fummo elevati al trono del Sommo Pontificato erano state già presentate a questa Sede Apostolica molte migliaia di tali suppliche da ogni parte della terra e da ogni classe di persone: dai nostri diletti figli Cardinali del sacro collegio, dai venerabili fratelli Arcivescovi e Vescovi, dalle diocesi e dalle parrocchie. Per la qual cosa, mentre elevavamo a Dio ardenti preghiere perché infondesse nella Nostra mente la luce dello Spirito Santo per decidere di una causa così importante, impartimmo speciali ordini perché si fondessero insieme le forze e venissero iniziati studi più rigorosi su questo soggetto, e intanto si raccogliessero e si ponderassero accuratamente tutte le petizioni che dal tempo del Nostro predecessore Pio IX, di felice memoria, fino ai nostri tempi erano state inviate a questa Sede Apostolica circa l’assunzione della Beatissima Vergine Maria al cielo.(2)

Il Magistero della chiesa

Ma poiché si trattava di cosa di tanta importanza e gravità, ritenemmo opportuno chiedere direttamente e in forma ufficiale a tutti i venerabili fratelli nell’episcopato che Ci esprimessero apertamente il loro pensiero. Perciò il 1° maggio 1946 indirizzammo loro la lettera [enciclica Deiparae Virginis Mariae, in cui chiedevamo: «Se voi, venerabili fratelli, nella vostra esimia sapienza e prudenza ritenete che l’assunzione corporea della beatissima Vergine si possa proporre e definire come dogma di fede, e se col vostro clero e il vostro popolo lo desiderate».  – E coloro che «lo Spirito Santo ha costituito Vescovi per pascere la chiesa di Dio» (At XX, 28) hanno dato all’una e all’altra domanda una risposta pressoché unanimemente affermativa. Questo «singolare consenso, dell’episcopato cattolico e dei fedeli»,(3) nel ritenere definibile, come dogma di fede, l’assunzione corporea al cielo della Madre di Dio, presentandoci il concorde insegnamento del Magistero Ordinario della Chiesa e la fede concorde del popolo cristiano, da esso sostenuta e diretta, da se stesso manifesta in modo certo e infallibile che tale privilegio è verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e infallibilmente lo dichiarasse.(4) Il Magistero della Chiesa, non certo per industria puramente umana, ma per l’assistenza dello Spirito di verità (cf. Gv XIV, 26), e perciò infallibilmente, adempie il suo mandato di conservare perennemente pure e integre le verità rivelate, e le trasmette senza contaminazione, senza aggiunte, senza diminuzioni. «Infatti, come insegna il concilio Vaticano, ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo, perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, ossia il deposito della fede».(5) Pertanto dal consenso universale di un Magistero Ordinario della chiesa si trae un argomento certo e sicuro per affermare che l’Assunzione corporea della Beata Vergine Maria al cielo, – la quale, quanto alla celeste glorificazione del corpo virgineo dell’augusta Madre di Dio, non poteva essere conosciuta da nessuna facoltà umana con le sole sue forze naturali è verità da Dio rivelata, e perciò tutti i figli della Chiesa debbono crederla con fermezza e fedeltà. Poiché, come insegna lo stesso Concilio Vaticano, «debbono essere credute per fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa oralmente o col suo Ordinario e Universale Magistero, propone a credere come rivelate da Dio».(6)  – Di questa fede comune della Chiesa si ebbero fin dall’antichità lungo il corso dei secoli varie testimonianze, indizi e vestigia; anzi tale fede si andò manifestando sempre più chiaramente. I fedeli, guidati e istruiti dai loro pastori, appresero bensì dalla s. Scrittura che la Vergine Maria, durante il suo terreno pellegrinaggio, menò una vita piena di preoccupazioni, angustie e dolori; inoltre che si avverò ciò che il santo vecchio Simeone aveva predetto, perché un’acutissima spada le trapassò il cuore ai piedi della croce del suo divino Figlio, nostro Redentore. Parimenti non trovarono difficoltà nell’ammettere che Maria sia morta, come già il suo Unigenito. Ma ciò non impedì loro di credere e professare apertamente che non fu soggetto alla corruzione del sepolcro il suo sacro Corpo e che non fu ridotto in putredine e in cenere l’augusto tabernacolo del Verbo divino. Anzi, illuminati dalla divina grazia e spinti dall’amore verso Colei che è Madre di Dio e Madre nostra dolcissima, hanno contemplato in luce sempre più chiara l’armonia meravigliosa dei privilegi che il provvidentissimo Iddio ha elargito all’alma Socia del nostro Redentore, e che hanno raggiunto un tale altissimo vertice, quale da nessun essere creato, eccettuata la natura umana di Cristo, è stato mai raggiunto.

L’omaggio dei fedeli

Questa stessa fede attestano chiaramente quegli innumerevoli templi dedicati a Dio in onore di Maria Vergine Assunta al cielo, e le sacre immagini ivi esposte alla venerazione dei fedeli, le quali pongono dinanzi agli occhi di tutti questo singolare trionfo della Beata Vergine. Inoltre città, diocesi e regioni furono poste sotto la speciale tutela e patrocinio della Vergine Assunta in cielo; parimenti con l’approvazione della Chiesa sono sorti Istituti religiosi che prendono nome da tale privilegio. Né va dimenticato che nel Rosario mariano, la cui recita è tanto raccomandata da questa Sede Apostolica, viene proposto alla pia meditazione un mistero che, come tutti sanno, tratta dell’Assunzione della Beatissima Vergine.

La liturgia delle chiese d’oriente e d’occidente

Ma in modo più splendido e universale questa fede dei sacri Pastori e dei fedeli Cristiani è manifestata dal fatto che fin dall’antichità si celebra in Oriente e in Occidente una solenne festa liturgica: di qui infatti i santi Padri e i Dottori della Chiesa non mancarono mai di attingere luce, poiché, come è ben noto, la sacra liturgia, «essendo anche una professione delle celesti verità, sottoposta al supremo Magistero della Chiesa, può offrire argomenti e testimonianze di non piccolo rilievo, per determinare qualche punto particolare della dottrina cristiana».(7)  – Nei libri liturgici, che riportano la festa sia della Dormizione sia dell’Assunzione di santa Maria, si hanno espressioni in qualche modo concordanti nel dire che quando la vergine Madre di Dio salì al cielo da questo esilio, al suo sacro Corpo, per disposizione della divina Provvidenza, accaddero cose consentanee alla sua dignità di Madre del Verbo incarnato e agli altri privilegi a Lei elargiti. Ciò è asserito, per portarne un esempio insigne, in quel Sacramentario che il Nostro predecessore Adriano I, d’immortale memoria, mandò all’imperatore Carlo Magno. In esso infatti si legge: «Degna di venerazione è per noi, o Signore, la festività di questo giorno, in cui la santa Madre di Dio subì la morte temporale, ma non poté essere umiliata dai vincoli della morte Colei che generò il tuo Figlio, nostro Signore, incarnato da lei».(8) – Ciò che qui è indicato con la sobrietà consueta della Liturgia romana, nei libri delle altre antiche liturgie, sia orientali, sia occidentali, è espressa più diffusamente e con maggior chiarezza. Il Sacramentario gallicano, per esempio, definisce questo privilegio di Maria «inspiegabile mistero, tanto più ammirabile, quanto più è singolare tra gli uomini». E nella liturgia bizantina viene ripetutamente collegata l’assunzione corporea di Maria non solo con la sua dignità di Madre di Dio, ma anche con altri suoi privilegi, specialmente con la sua Maternità verginale, prestabilita da un disegno singolare della Provvidenza divina: «A te Dio, re dell’universo, concesse cose che sono al disopra della natura; poiché come nel parto ti conservò vergine, così nel sepolcro conservò incorrotto il tuo corpo, e con la divina traslazione lo conglorificò».(9)

La festa dell’Assunta

Il fatto poi che la Sede Apostolica, erede dell’ufficio affidato al Principe degli apostoli di confermare nella fede i fratelli (cf. Lc XXII, 32), con la sua autorità rese sempre più solenne questa festa, stimolò efficacemente i fedeli ad apprezzare sempre più la grandezza di questo mistero. Così la festa dell’Assunzione dal posto onorevole che ebbe fin dall’inizio tra le altre celebrazioni mariane, fu portata in seguito fra le più solenni di tutto il ciclo liturgico. Il Nostro predecessore s. Sergio I, prescrivendo la litania o processione stazionale per le quattro feste mariane, enumera insieme la Natività, l’Annunciazione, la Purificazione e la Dormizione di Maria.(10) In seguito s. Leone IV volle aggiungere alla festa, che già si celebrava sotto il titolo dell’Assunzione della beata Genitrice di Dio, una maggiore solennità, prescrivendone la vigilia e l’ottava; e in tale circostanza volle partecipare personalmente alla celebrazione in mezzo a una grande moltitudine di fedeli.(11) Inoltre che già anticamente questa festa fosse preceduta dall’obbligo del digiuno appare chiaro da ciò che attesta il Nostro predecessore s. Niccolò I, ove parla dei principali digiuni «che la santa Chiesa Romana ricevette dall’antichità ed osserva tuttora».(12) – Ma poiché la liturgia della Chiesa non crea la Fede Cattolica, ma la suppone, e da questa derivano, come frutti dall’albero, le pratiche del culto, i santi Padri e i grandi Dottori nelle omelie e nei discorsi rivolti al popolo in occasione di questa festa non vi attinsero come da prima sorgente la dottrina; ma parlarono di questa come di cosa nota e ammessa dai fedeli; la chiarirono meglio; ne precisarono e approfondirono il senso e l’oggetto, dichiarando specialmente ciò che spesso i libri liturgici avevano soltanto fugacemente accennato: cioè che oggetto della festa non era soltanto l’incorruzione del corpo esanime della beata vergine Maria, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste «glorificazione», a somiglianza del suo unigenito Gesù Cristo.

La voce dei Santi Padri

Così s. Giovanni Damasceno, che si distingue tra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l’assunzione corporea dell’alma Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: « Era necessario che Colei, che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità, conservasse anche senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Era necessario che Colei, che aveva portato nel suo seno il Creatore fatto bambino, abitasse nei tabernacoli divini. Era necessario che la Sposa del Padre abitasse nei talami celesti. Era necessario che Colei che aveva visto il suo Figlio sulla croce, ricevendo nel cuore quella spada di dolore dalla quale era stata immune nel darlo alla luce, lo contemplasse sedente alla destra del Padre. Era necessario che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio e da tutte le creature fosse onorata come Madre e Ancella di Dio ».(13) – Queste espressioni di s. Giovanni Damasceno corrispondono fedelmente a quelle di altri, affermanti la stessa dottrina. Infatti parole non meno chiare e precise si trovano nei discorsi che in occasione della festa tennero altri Padri anteriori o coevi. Così, per citare altri esempi, s. Germano di Costantinopoli trovava consentanea l’incorruzione e l’Assunzione al cielo del corpo della Vergine Madre di Dio, non solo alla sua divina Maternità, ma anche alla speciale santità del suo stesso corpo verginale: «Tu, come fu scritto, apparisci “in bellezza”, e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto domicilio di Dio; cosicché anche per questo sia poi immune dalla risoluzione in polvere; trasformato bensì, in quanto umano, nell’eccelsa vita della incorruttibilità; ma lo stesso vivo, gloriosissimo, incolume e dotato della pienezza della vita».(14) E un altro antico scrittore dice: « Come gloriosissima Madre di Cristo, nostro Salvatore e Dio, donatore della vita e dell’immortalità, è da Lui vivificata, rivestita di corpo in un’eterna incorruttibilità con Lui, che la risuscitò dal sepolcro e la assunse a sé, in modo conosciuto da Lui solo».(15) – Con l’estendersi e l’affermarsi della festa liturgica, i pastori della chiesa e i sacri oratori, in numero sempre maggiore, si fecero un dovere di precisare apertamente e con chiarezza il mistero che è oggetto della festa e la sua strettissima connessione con le altre verità rivelate.

L’insegnamento dei teologi

Tra i Teologi scolastici non mancarono di quelli che, volendo penetrare più addentro nelle verità rivelate e mostrare l’accordo tra la ragione teologica e la Fede Cattolica, fecero rilevare che questo privilegio dell’Assunzione di Maria Vergine concorda mirabilmente con le verità che ci sono insegnate dalla sacra Scrittura. – Partendo da questo presupposto, presentarono per illustrare questo privilegio mariano diverse ragioni, contenute quasi in germe in questo: che Gesù ha voluto l’Assunzione di Maria al cielo per la sua pietà filiale verso di Lei. Ritenevano quindi che la forza di tali argomenti riposa sulla dignità incomparabile della Maternità divina e su tutte quelle doti che ne conseguono: la sua insigne santità, superiore a quella di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli; l’intima unione di Maria col suo Figlio; e quell’amore sommo che il Figlio portava alla sua degnissima Madre. – Frequentemente poi s’incontrano teologi e sacri oratori che, sulle orme dei santi Padri, (16) per illustrare la loro fede nell’Assunzione si servono, con una certa libertà, di fatti e detti della s. Scrittura. Così per citare soltanto alcuni testi fra i più usati, vi sono di quelli che riportano le parole del Salmista: «Vieni o Signore, nel tuo riposo; tu e l’Arca della tua santificazione» (Sal CXXXI, 8), e vedono nell’Arca dell’Alleanza fatta di legno incorruttibile e posta nel tempio del Signore, quasi una immagine del corpo purissimo di Maria Vergine, preservato da ogni corruzione del sepolcro ed elevato a tanta gloria nel cielo. Allo stesso scopo descrivono la Regina che entra trionfalmente nella reggia celeste e si asside alla destra del divino Redentore (Sal XLIV, 14-16), nonché la Sposa del Cantico dei cantici «che sale dal deserto, come una colonna di fumo dagli aromi di mirra e d’incenso» per essere incoronata (Ct III, 6; cf. IV, 8; VI, 9). L’una e l’altra vengono proposte come figure di quella Regina e Sposa celeste, che, insieme col divino Sposo, è innalzata alla reggia dei cieli. – Inoltre i dottori scolastici videro adombrata l’assunzione della vergine Madre di Dio, non solo in varie figure dell’Antico Testamento, ma anche in quella Donna vestita di sole, che l’Apostolo Giovanni contemplò nell’isola di Patmos (Ap 12, 1s). Così pure, fra i detti del Nuovo Testamento, considerarono con particolare interesse le parole «Ave, o piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne» (Lc 1, 28), poiché vedevano nel mistero dell’Assunzione un complemento della pienezza di grazia elargita alla beatissima Vergine, e una benedizione singolare in opposizione alla maledizione di Eva. – Perciò sul principio della teologia scolastica il pio Amedeo, Vescovo di Losanna, afferma che la carne di Maria Vergine rimase incorrotta; – non si può credere infatti che il suo corpo vide la corruzione, – perché realmente fu riunito alla sua anima e insieme con essa fu circonfuso di altissima gloria nella corte celeste. «Era infatti piena di grazia e benedetta fra le donne (Lc 1, 28). Lei sola meritò di concepire Dio vero da Dio vero, che partorì vergine, vergine allattò, stringendolo al seno, ed al quale prestò in tutto i suoi santi servigi e omaggi».(17) – Tra i sacri scrittori poi che in questo tempo, servendosi di testi scritturistici o di similitudini ed analogie, illustrarono e confermarono la pia sentenza dell’assunzione, occupa un posto speciale il dottore evangelico, s. Antonio da Padova. Nella festa dell’Assunzione, commentando le parole d’Isaia: «Glorificherò il luogo dove posano i miei piedi» (Is 60, 13), affermò con sicurezza che il divino Redentore ha glorificato in modo eccelso la sua Madre dilettissima, dalla quale aveva preso umana carne. «Con ciò si ha chiaramente – dice – che la beata Vergine è stata Assunta col corpo, in cui fu il luogo dei piedi del Signore». Perciò scrive il Salmista: «Vieni, o Signore, nel tuo riposo, tu e l’Arca della tua santificazione». Come Gesù Cristo, dice il santo, risorse dalla sconfitta morte e salì alla destra del Padre suo, così «risorse anche dall’Arca della sua santificazione, poiché in questo giorno la Vergine Madre fu assunta al talamo celeste».(18)

La dottrina di s. Alberto Magno e di s. Tommaso d’Aquino

Quando nel Medio Evo la teologia scolastica raggiunse il suo massimo splendore, s. Alberto Magno, dopo aver raccolti, per provare questa verità, vari argomenti, fondati sulla s. Scrittura, la tradizione, la liturgia e la ragione teologica, conclude: «Da queste ragioni e autorità e da molte altre è chiaro che la beatissima Madre di Dio è stata Assunta in corpo ed anima al disopra dei cori degli Angeli. E ciò crediamo assolutamente vero».(19) E in un discorso tenuto il giorno dell’Annunciazione di Maria, spiegando queste parole del saluto dell’Angelo: «Ave, o piena di grazia …», il dottore universale paragona la Santissima Vergine con Eva e dice espressamente che fu immune dalla quadruplice maledizione alla quale Eva fu soggetta.(20) – Il Dottore Angelico, seguendo le vestigia del suo insigne Maestro, benché non abbia mai trattato espressamente la questione, tuttavia ogni volta che occasionalmente ne parla, ritiene costantemente con la Chiesa Cattolica che insieme all’anima è stato assunto al cielo anche il corpo di Maria.(21)

L’interpretazione di s. Bonaventura

Dello stesso parere è, fra molti altri, il dottore serafico, il quale ritiene assolutamente certo che, come Dio preservò Maria santissima dalla violazione del pudore e dell’integrità verginale nella concezione e nel parto, così non ha permesso che il suo corpo si disfacesse in putredine e cenere.(22) Interpretando poi e applicando in senso accomodatizio alla Beata Vergine queste parole della s. Scrittura: «Chi è costei che sale dal deserto, ricolma di delizie, appoggiata al suo diletto?» (Ct VIII, 5), così ragiona: «E di qui può constare che è ivi (nella città celeste) corporalmente. … Poiché infatti … la beatitudine non sarebbe piena, se non vi fosse personalmente; e poiché la persona non è l’anima, ma il composto, è chiaro che vi è secondo il composto, cioè il corpo e l’anima, altrimenti non avrebbe una piena fruizione». (23)

Il pensiero della Scolastica nel secolo XV

Nella tarda scolastica, ossia nel secolo XV, s. Bernardino da Siena, riassumendo e di nuovo trattando con diligenza tutto ciò che i teologi del Medioevo avevano detto e discusso a tal proposito, non si restrinse a riportare le principali considerazioni già proposte dai dottori precedenti, ma ne aggiunse delle altre. La somiglianza cioè della divina Madre col Figlio divino, quanto alla nobiltà e dignità dell’anima e del corpo – per cui non si può pensare che la celeste Regina sia separata dal Re dei cieli – esige apertamente che «Maria non debba essere se non dov’è Cristo»; (24) inoltre è ragionevole e conveniente che si trovino già glorificati in cielo l’anima e il corpo, come dell’uomo, così anche della donna; infine il fatto che la Chiesa non abbia mai cercato e proposto alla venerazione dei fedeli le reliquie corporee della Beata Vergine, fornisce un argomento che si può dire «quasi una riprova sensibile».(25)

La conferma dei più recenti scrittori sacri

In tempi più recenti i pareri surriferiti dei santi Padri e dei Dottori furono di uso comune. Aderendo al consenso dei Cristiani, trasmesso dai secoli passati, s. Roberto Bellarmino esclama: «E chi, prego, potrebbe credere che l’arca della santità, il domicilio del Verbo, il tempio dello Spirito Santo sia caduto? Aborrisce il mio animo dal solo pensare che quella carne verginale che generò Dio, lo partorì, l’alimentò, lo portò, o sia stata ridotta in cenere o sia stata data in pasto ai vermi».(26) – Parimenti s. Francesco di Sales, dopo avere asserito che non è lecito dubitare che Gesù Cristo abbia seguito nel modo più perfetto il divino mandato, col quale ai figli s’impone di onorare i propri genitori, si pone questa domanda: «Chi è quel figlio che, se potesse, non richiamerebbe alla vita la propria madre e non la porterebbe dopo morte con sé in paradiso ?».(27) – E s. Alfonso scrive: «Gesù preservò il corpo di Maria dalla corruzione, perché ridondava in suo disonore che fosse guasta dalla putredine quella carne verginale, di cui Egli si era già vestito».(28) – Chiarito però ormai il mistero che è oggetto di questa festa, non mancarono dottori i quali piuttosto che occuparsi delle ragioni teologiche, dalle quali si dimostra la somma convenienza dell’Assunzione corporea della beata Vergine Maria in cielo, rivolsero la loro attenzione alla fede della Chiesa, mistica Sposa di Cristo, non avente né macchia, né grinza (cf. Ef V., 27), la quale è detta dall’Apostolo «colonna e fondamento della verità» (1 Tm III, 15) e appoggiati a questa fede comune ritennero temeraria per non dire eretica, la sentenza contraria. Infatti s. Pietro Canisio, fra non pochi altri, dopo avere dichiarato che il termine Assunzione significa la glorificazione non solo dell’anima, ma anche del corpo e dopo aver rilevato che la Chiesa già da molti secoli venera e celebra solennemente questo mistero mariano dell’Assunzione, dice: «Questa sentenza è ammessa già da alcuni secoli ed è issata talmente nell’anima dei pii fedeli e così accetta a tutta la Chiesa, che coloro che negano che il corpo di Maria sia stato assunto in cielo, non vanno neppure ascoltati con pazienza, ma fischiati come troppo pertinaci, o del tutto temerari e animati da spirito non già cattolico, ma eretico».(29)  Contemporaneamente il dottore esimio, posta come norma della mariologia che «i misteri della grazia, che Dio ha operato nella Vergine, non vanno misurati secondo le leggi ordinarie, ma secondo l’onnipotenza di Dio, supposta la convenienza della cosa in se stessa, ed esclusa ogni contraddizione o ripugnanza da parte della s. Scrittura» (30) fondandosi sulla fede della chiesa tutta, circa il mistero dell’assunzione, poteva concludere che questo mistero doveva credersi con la stessa fermezza d’animo, con cui doveva credersi l’Immacolata Concezione della Beata Vergine; e già allora riteneva che queste due verità potessero essere definite. – Tutte queste ragioni e considerazioni dei santi padri e dei teologi hanno come ultimo fondamento la s. Scrittura, la quale ci presenta l’alma Madre di Dio unita strettamente al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Per cui sembra quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere separata da Cristo – non diciamo, con l’anima, ma neppure col corpo – Colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo portò fra le braccia e lo strinse al petto. Dal momento che il nostro Redentore è Figlio di Maria, non poteva, come osservatore perfettissimo della divina legge, non onorare oltre l’eterno Padre anche la Madre diletta. Potendo quindi dare alla Madre tanto onore, preservandola immune dalla corruzione del sepolcro, si deve credere che lo abbia realmente fatto.

Maria è la nuova Eva

Ma in particolare va ricordato che, fin dal secolo II, Maria Vergine viene presentata dai santi Padri come nuova Eva, strettamente unita al nuovo Adamo, sebbene a lui soggetta, in quella lotta contro il nemico infernale, che, com’è stato preannunziato dal protovangelo (Gn III, 15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, sempre congiunti negli scritti dell’Apostolo delle genti (cf. Rm cc. V e VI; 1 Cor XV, 21-26.54-57). Per la qual cosa, come la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la lotta che ha in comune col Figlio suo si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale: perché, come dice lo stesso Apostolo, «quando… questo corpo mortale sarà rivestito dell’immortalità, allora sarà adempiuta la parola che sta scritta: è stata assorbita la morte nella vittoria» (1 Cor XV, 54). – In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità «con uno stesso decreto» (31) di predestinazione, immacolata nella sua concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro, e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli (cf. 1 Tm 1, 17).

Le ragioni del nuovo dogma

Poiché la Chiesa universale nella quale vive lo Spirito di verità e la conduce infallibilmente alla conoscenza delle verità rivelate, nel corso dei secoli ha manifestato in molti modi la sua fede, e poiché tutti i Vescovi dell’Orbe Cattolico con quasi unanime consenso chiedono che sia definita come Dogma di fede divina e cattolica la verità dell’Assunzione corporea della Beatissima Vergine Maria al cielo – verità fondata sulla s. Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi – riteniamo giunto il momento prestabilito dalla provvidenza di Dio per proclamare solennemente questo privilegio di Maria Vergine. – Noi, che abbiamo posto il Nostro Pontificato sotto lo speciale patrocinio della santissima Vergine, alla quale Ci siamo rivolti in tante tristissime contingenze, Noi, che con pubblico rito abbiamo consacrato tutto il genere umano al suo Cuore Immacolato, e abbiamo ripetutamente sperimentato la sua validissima protezione, abbiamo ferma fiducia che questa solenne proclamazione e definizione dell’Assunzione sarà di grande vantaggio all’umanità intera, perché renderà gloria alla santissima Trinità, alla quale la Vergine Madre di Dio è legata da vincoli singolari. Vi è da sperare infatti che tutti i Cristiani siano stimolati da una maggiore devozione verso la Madre celeste, e che il cuore di tutti coloro che si gloriano del nome Cristiano sia mosso a desiderare l’unione col Corpo Mistico di Gesù Cristo e l’aumento del proprio amore verso Colei che ha viscere materne verso tutti i membri di quel Corpo augusto. Vi è da sperare inoltre che tutti coloro che mediteranno i gloriosi esempi di Maria abbiano a persuadersi sempre meglio del valore della vita umana, se è dedita totalmente all’esercizio della volontà del Padre celeste e al bene degli altri; che, mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati; che infine la fede nella corporea Assunzione di Maria al cielo renda più ferma e più operosa la fede nella nostra Risurrezione. – La coincidenza provvidenziale poi di questo solenne evento con l’Anno santo che si sta svolgendo, Ci è particolarmente gradita; ciò infatti Ci permette di ornare la fronte della vergine Madre di Dio di questa fulgida gemma, mentre si celebra il massimo giubileo, e di lasciare un monumento perenne della nostra ardente pietà verso la Regina del cielo.

La solenne definizione

« Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio Onnipotente, che ha riversato in Maria Vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ».

Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla Fede Divina e Cattolica. – Affinché poi questa Nostra definizione dell’Assunzione corporea di Maria vergine al cielo sia portata a conoscenza della Chiesa Universale, abbiamo voluto che stesse a perpetua memoria questa Nostra lettera apostolica; comandando che alle sue copie o esemplari anche stampati, sottoscritti dalla mano di qualche pubblico notaio e muniti del sigillo di qualche persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti assolutamente da tutti la stessa fede; che si presterebbe alla presente, se fosse esibita o mostrata. – A nessuno dunque sia lecito infrangere questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o ad essa opporsi e contravvenire. Se alcuno invece ardisse di tentarlo, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso S. Pietro, nell’anno del massimo giubileo 1950, 1° novembre, festa di tutti i santi, nell’anno dodicesimo del Nostro pontificato.

Noi PIO, Vescovo della Chiesa Cattolica,
così definendo abbiamo sottoscritto


(1) PIUS PP. XII, Const. apost. Munificentissimus Deus qua fidei dogma definitur Deiparam Virginem Mariam corpore et anima fuisse ad caelestem gloriam assumptam, 1 novembris 1950: AAS 42 (1950), pp. 753-771.

La glorificazione di Maria nella sua corporea assunzione è verità radicata profondamente nel senso religioso dei cristiani, come dimostrano lungo il corso dei secoli innumerevoli forme di specifica devozione, ma soprattutto il linguaggio della liturgia dell’Oriente e dell’Occidente. I santi padri e i dottori della chiesa, facendosi eco della liturgia, nelle feste dell’Assunta parlano chiaramente della risurrezione e glorificazione del corpo della Vergine, come di verità conosciuta e accettata da tutti i fedeli. I teologi, trattando di questo argomento, dimostrano l’armonia tra la fede e la ragione teologica e la convenienza di questo privilegio, servendosi di fatti, parole, figure, analogie contenuti nella sacra Scrittura. Accertata così la fede della chiesa universale, il papa ritiene giunto il momento di ratificarla con la sua suprema autorità.

(2) Petitiones de Assumptione corporea B. Virginis Mariae in Cælum definienda ad S. Sedem delatæ, 2 voll., Typis Polyglottis Vaticanis, 1942.

(3) Bulla Ineffabilis Deus: Acta Pii IX, pars I, vol. 1, p. 615; EE 2/app. 

(4) Cf. CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 4: COD 808-809.

(5) CONC. VAT. I, Const. dogm. Pastor Æternus de Ecclesia Christi, c. 4: COD 816.

(6) CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 3: COD 807.

(7) Litt. enc. Mediator Dei: AAS 39 (1947), p. 541; EE 6/475.

(8) Sacramentarium Gregorianum.

(9) Menæi totius anni

(10) Liber Pontificalis.

(11) Ibidem.

(12) Responsa Nicolai Papæ I ad consulta Bulgarorum, 13 nov. 866.

(13) S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariæ, hom. II, 14; cf. etiam ibid., n. 3.

(14) S. GERMANUS CONST., In sanctæ Dei Genetricis Dormitionem, sermo I.

(15) Encomium in Dormitionem sanctissimæ Dominae nostrae Deiparae semperque Virginis Mariae (S. Modesto Hierosol. attributum), n. 14.

(16) Cf. S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariæ, hom. II, 2, 11; Encomium in Dormitionem… (S. Modesto Hierosol. attributum). 

(17) AMEDEUS LAUSANNENSIS, De Beatæ Virginis obitu, Assumptione in Caelum, exaltatione ad Filii dexteram.

(18) S. ANTONIUS PATAV., Sermones dominicales et in solemnitatibus. In Assumptione S. Mariæ Virginis sermo.

(19) S. ALBERTUS MAGNUS, Mariale sive quæstiones super Evang. “Missus est”, q. 132.

(20) S. ALBERTUS MAGNUS, Sermones de sanctis, sermo XV: In Annuntiatione B. Mariæ; cf. etiam: Mariale, q. 132. ,

(21) Cf. Summa theol., III, q. 27, a. 1 c.; ibid., q. 83, a. 5 ad 8; Expositio salutationis angelicæ; In symb. Apostolorum expositio, art. 5; In IV Sent., D. 12, q. 1, art. 3, sol. 3; D. 43, q. 1, art. 3, sol. 1 et 2.

(22) Cf. S. BONAVENTURA, De Nativitate B. Mariæ Virginis, sermo 5. 

(23) S BONAVENTURA, De Assumptione B. Mariæ Virginis, sermo 1.

(24) S. BERNARDINUS SENENSIS, In Assumptione B.M. Virginis, sermo 2. 

(25) IDEM, l.c.

(26) S. ROBERTUS BELLARMINUS, Conciones habitæ Lovanii, concio 40: De Assumptione B. Mariæ Virginis.

(27) Oeuvres de St François de Sales, Sermon autographe pour la fete de l’Assomption.

(28) S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, Le glorie di Maria, parte II, disc. 1.

(29) S. PETRUS CANISIUS, De Maria Virgine.

(30) SUAREZ F., In tertiam panem D. Thomæ, quaest. 27, art. 2, disp. 3, sec. 5, n. 31.

(31) Bulla Ineffabilis Deus: l. c., p. 599; EE 2/app.

FESTA DELL’ASSUNTA (2020)

15 AGOSTO. Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

Doppio di I classe con Ottava Comune – Paramenti bianchi.

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.).

In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi La festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. . Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ap XII: 1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie].

Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.

[Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria].

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10

Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.
[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV: 11-12; XLIV: 14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum.

[Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja.

[V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia].

V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  

[Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc. 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

ASSUNZIONE E INCORONAZIONE DI MARIA

(G. PERARDI: “LA VERGINE MADRE DI DIO E LA VITA CRISTIANA”, Libr. del SACRO CUORE, TORINO, 1908)

[Imprim. AUG. Card. RICHELIMY, Archiepiscopus. Torino]

XXIV.

Assunzione e Incoronazione di Maria

Un profondo pensatore (Nicolas) meditando sulle relazioni che corrono tra i misteri che celebriamo in onore di Gesù Cristo e quelli che celebriamo in onore di Maria vi riscontrò un’analogia grande, espressa in una splendida pagina che merita di essere ricordata come introduzione al mistero che oggi ricordiamo: l’Assunzione di Maria Vergine al cielo, e la sua incoronazione. – Non v’è un solo mistero di Gesù Cristo, che non abbia il suo accompagnamento, e come il suo eco, in un mistero corrispondente della santissima Vergine, e questo parallelo de’ misteri del Figlio e di quelli della Madre è così costante, che è impossibile non vedervi una legge. Così il primo di tali misteri, quello della predestinazione di Gesù Cristo, implica necessariamente quello della predestinazione di Maria, poiché Egli è predestinato solo in quanto Uomo, e per conseguenza come Figlio di Maria. Il secondo mistero di Gesù Cristo, quello della sua prenunciazione profetica non si presenta a noi senza associar Maria alla medesima grandezza: la donna, la Vergine è sempre mostrata congiuntamente al suo seme, ossia al suo Figliuolo… – Il mistero della venuta di Gesù Cristo sulla terra nell’Incarnazione del Verbo, ne forma un solo con quello dell’Annunciazione: il medesimo mistero che produce un Uomo-Dio fa una Madre di Dio. Il mistero della visita di Gesù Cristo al suo Precursore e della santificazione che gli reca, va unito con quello della visitazione di Maria a sant’Elisabetta; e lo Spirito santo per bocca di questa non benedice a Gesù nascituro senza benedir a Maria. Il mistero del Natale presenta il Bambino con Maria sua madre, sulla quale riflette lo splendore della sua divinità e della gloria che gli danno gli Angeli, i pastori ed i re. Il mistero della presentazione di Gesù al Tempio si congiunge con quello della Purificazione di Maria: di Gesù è annunziato che sarà posto come segno di contraddizione: a Maria è annunziato che la spada del dolore le trapasserà l’anima. – La fuga e il ritorno dall’Egitto ci fanno vedere il Bambino e la Madre, affidati, come unico tesoro, alla custodia, alla fedeltà di Giuseppe. Gesù manifesta nel Tempio la sua sapienza divina; manifesta nel medesimo tempo la sua sommissione a Maria. Inizia i prodigi a Cana di Galilea, che aprono la serie della vita apostolica, ma vi appare l’intercessione potente di Maria. Muore in croce per la nostra salute; presso la Croce sta Maria: in quell’ora dolorosa mentre Gesù morendo diviene nostro Salvatore, Maria coi suoi dolori diviene nostra Madre.  – Così accanto ad ogni mistero, ad ogni gloria di Gesù v’ha un mistero, v’ha una gloria di Maria. Solamente il mistero dell’Ascensione di Gesù non avrà il suo riscontro in un mistero di Maria? Due destini così meravigliosamente uniti sin dalla loro origine e in tutto il loro corso, si separeranno al loro termine? (La Vergine sec. il Vangelo, capo XXII, p. 5°) No! E noi oggi ricordando la gloriosa Assunzione di Maria in corpo ed anima, al cielo, troviamo il mirabile compimento della piena e perfetta unione delle glorie di Maria colle glorie di Gesù Cristo. Esultiamo di questo novello trionfo di Maria.

I . — Maria, morta, venne seppellita. Il corpo di Maria, come quello di Gesù scese nella tomba. Vi rimarrà preda della corruzione? La morte è l’eco della vita. Maria visse umile; ma la sua vita è un intreccio di grandezze. Queste grandezze debbono riflettersi sulla sua morte, accordarvisi in meraviglioso concerto e comporre, nella sua Assunzione al cielo, la gloria delle sue glorie, la grandezza delle sue grandezze (Nicolas, op. cit.). – 1° Maria da tutta l’eternità è stata predestinata Madre di Gesù, Madre di Dio, e perciò è la più santa e la più perfetta immagine del suo Figliuolo. Non si può concepire Gesù senza Maria, separato da Maria; come non possiamo pensare il figlio senza la madre. Maria, per divina predestinazione, unita con Gesù in tutto ne sarebbe poi separata nell’ultimo termine per essere confusa col termine generale degli uomini? La ragione vi ripugna. La destinazione dev’essere al medesimo livello della predestinazione. Maria superiore a tutte le creature per la sua predestinazione di Madre di Dio, deve altresì salire a tutta l’altezza di questa dignità, esservi come portata dal peso medesimo di questa dignità. La predestinazione richiede l’Assunzione perché il primo mistero del destino della Vergine corrisponde all’ultimo.

2° Vi ha un rapporto fra l’entrata e l’uscita di questa vita, tra la concezione e la morte: ed è la mortalità, l’essere soggetti alla morte. Al nostro entrare nel mondo, il peccato originale, la morte spirituale dell’anima ci attende; al nostro uscire la morte ci aspetta. La morte è figlia del peccato. Dove il peccato ebbe una volta accesso trascina dietro di sé la morte. Ma dove il peccato non ha mai potuto avere accesso, neppure la morte ha potere di nuocere. La vita finisce nella morte, perché la vita s’inizia in una morte: la morte del peccato. Tale è la sorte infelice di tutti i figli di Adamo. Di qui la preghiera del profeta che domanda la custodia divina nell’entrata e nell’uscita dal mondo (Salm. CXX, 8. Dominus custodiat introitum tuum et exitum tuum).), nei due passi pericolosi, in due insidie. La grazia di Gesù esaudì la preghiera del profeta e ci libera da queste due insidie: dal peccato originale nel rinascimento spirituale, dalla morte per la risurrezione finale. Questa grazia però lascia sussistere le conseguenze temporali e specialmente la concupiscenza per l’anima durante la vita, e la corruzione pel corpo durante il tempo. Maria preservata dal peccato originale che è la causa della concupiscenza, della morte e della corruzione dell’uomo, doveva pure essere preservata da queste funeste conseguenze. Preservata dal peccato originale che è la corruzione dell’anima, doveva pure essere preservata dalla corruzione del corpo che è la conseguenza del peccato. Perché crederemo noi che Dio abbia accordato a Maria il primo privilegio che è il più grande e non le abbia accordato il secondo che è ben meno del primo? Maria è morta. La morte non fu per Maria l’effetto, la conseguenza del peccato. Morendo, piuttostoché morire, dice il Nicolas « depone la sua mortalità nella tomba per rivestirvi la gloria. Ella fu come concepita alla gloria frammezzo alla morte, come era stata concepita alla grazia di mezzo al peccato. Concepita alla grazia sotto l’involucro spinoso del peccato, senza riceverne il morso, Ella è stata ugualmente concepita alla gloria sotto l’inviluppo della morte senza riceverne la corruzione… È passata per la morte, ma non vi è restata; ella è passata per la morte, ma non per la corruzione. Vi è passata come e perché vi è passato il suo Figliuolo: Egli vi è passato per virtù propria; Ella mercé la grazia di Lui, di quella medesima grazia che ha prevenuto in lei la corruzione, come vi aveva prevenuto il peccato ». La Concezione Immacolata ha come il suo compimento nell’Assunzione.

3° Tra i misteri del Cristianesimo, scrive Bossuet (Sermone II per la festa dell’Assunzione), v’è una concatenazione ammirabile. Il mistero dell’Assunzione di Maria ha un legame particolare coll’Incarnazione del Figliuolo di Dio. Maria ha ricevuto altra volta Gesù dal cielo; è giusto che alla sua volta Gesù riceva in cielo Maria; discendendo fino a Maria, doveva esaltarla lino a sé. Anzi Gesù prende la vita umana da Maria: a Maria rende la vita per riconoscenza. E come appartiene a Dio di mostrarsi sempre più munifico, mentre da Maria non ricevette che una vita mortale, è degno della sua grandezza dartene una gloriosa. Così questi due misteri sono concatenati insieme: e affinché la relazione sia più perfetta gli Angeli intervengono nell’uno e nell’altro, si rallegrano oggi con Maria di vedere un sì bel seguito del mistero ch’essi hanno annunziato. Gesù Cristo, alla fine del mondo, invitando gli eletti alla gloria celeste, dirà loro: « Venite benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparatovi fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame, e mi rifocillaste; ebbi sete, e mi deste da bere; fui pellegrino, e mi ricettaste; ignudo e mi copriste; infermo, e mi visitaste; carcerato, e veniste da me… Quante volte avete fatto qualche cosa a uno di questi de’ minimi miei fratelli, l’avete fatta a me» (S. MATTEO XXV 34-36, 40). Or con qual sollecitudine Gesù ha dovuto andare incontro a questa creatura Benedetta fra tutte che l’ha ricevuto in persona, che gli ha dato la vita, l’ha nutrito, allevato per la salute del mondo e per quella gloria celeste di cui ora gode la sua umanità? – Anche sotto un altro aspetto conveniva che Gesù elevasse Maria al trono del cielo, in corpo ed anima, perché conveniva che in cielo fosse onorato il segno sensibile della divina marternità; cioè il corpo stesso di Maria. Per essere glorificato in questo titolo di Figliuolo dell’uomo, Gesù Cristo è asceso al cielo col suo corpo. Per la medesima ragione era conveniente che sollevasse quel corpo di Maria, che ha fornito la materia del suo, per rendere testimonianza a quella qualità di Figliuolo, nella quale ha voluto ricevere le adorazioni nel sommo de’ cieli come le aveva ricevute prima in terra. – Era la gloria, l’onore stesso di Gesù che esigeva l’Assunzione di Maria. – Che cos’è Maria? Ci risponde un principe dell’eloquenza cristiana, che Maria è come Gesù Cristo incominciato. Difatti Gesù è nato da Maria. E perciò dopo l’Ascensione di Gesù al cielo, Maria è stata come un resto di Gesù. E Gesti avrebbe permesso la corruzione nella tomba della carne sua, nella propria Madre ? Gesù trasse la sua vita da Maria e perciò la volle non solo pura nell’anima, ma la onorò singolarmente anche nel corpo per la verginità. Per Gesù, Maria fu vergine e di una verginità singolare, nobilitata pel voto. Gesù nascendo conserva incorruttibile cioè intatto questo corpo verginale. Come ammettere che quel corpo che diede la vita a Gesù, adorno di tante grazie, sia stato abbandonato alla corruzione del sepolcro, sia diventato quell’orribile decomposizione che ci fa indietreggiare inorriditi, quel non so che, pel quale non si ha più nome in alcuna lingua? Come ammettere che la potenza e l’amore di Dio che hanno conservata la casta integrità di Maria, l’abbiano dimenticata poi sino a lasciarla diventare obbrobrio della nostra natura nella tomba? Esclama a questo proposito sant’Agostino: Non solo non ardisco dirlo, ma sento orrore al solo pensarlo. E soggiunge: Se Gesù ha avuto la potenza di conservare, nascendo, vergine Maria, Egli ha avuto altresì il potere di conservarla incorruttibile nella tomba. Se n’ebbe il potere, n’ebbe la volontà e perciò lo ha fatto.

4° Abbiamo altra volta considerato Maria a’ pie’ della Croce, ov’Ella combatte il combattimento decisivo contro il demonio. Maria ha compito sul Calvario la sua missione: è divenuta corredentrice col più grande, col più doloroso sacrificio che creatura abbia mai potuto compiere. Sola Maria, sul Calvario, soffriva non solo nell’anima, ma anche nel corpo quello che Gesù soffriva per le sue ferite. Ella che ha così intimamente partecipato ai dolori, agli strazi di Gesù, doveva egualmente partecipare alla sua gloria. Nel Paradiso terrestre l’uomo e la donna perdettero l’umanità col peccato; entrambi portarono il doloroso peso della prevaricazione. Sul Calvario, a Gesù è associata Maria per la Redenzione dell’uomo. L’Ascensione di Gesù al cielo ha, come risulta da tutta la Scrittura, relazione diretta colla sua dolorosa passione. Egli stesso lo manifestò apertamente ai discepoli d’Emmaus: O stolti, e tardi in cuore a credere cose dette già tutte dai profeti. Non doveva forse Cristo patire tali cose, e così entrare nella sua gloria? (S. LUCA XXIV, 25, 26) E come mai Maria così strettamente unita a Gesù nel dolore della passione, sarebbe esclusa dal suo trionfo? Oh non dubitiamo! Al Calvario doloroso risponde per Gesù la gloria dell’Ascensione, risponde per Maria il trionfo dell’Assunzione.

II. — L’Assunzione di Maria al cielo, non è solo dogma di fede (1 Nov. 1950 Munificetissimus Deus) ma è verità che non possiamo mettere in dubbio senza venire meno al nostro onore ed al nostro dovere di Cristiani.

1° La tradizione cristiana ha sempre ritenuto come verità l’Assunzione di Maria al cielo. I Venerandi Padri del Concilio Vaticano, nella domanda per la definizione dogmatica dell’Assunzione di Maria così parlano: « Se non si vuole appuntare di leggerezza e di credulità la fede della Chiesa in riguardo all’Assunzione di Maria — pensare il che, sarebbe empietà — senza dubbio bisogna fermamente ritenere che tale credenza abbia origine dalla tradizione apostolico-divina, ossia dalla rivelazione ». San Giovanni Damasceno ci ricorda che Giovenale, Patriarca di Gerusalemme, rispondendo nell’anno 451 all’imperatore Marciano che gli aveva inviato messaggeri per avere notizie del sepolcro di Maria, rispondeva, unitamente a’ vari Vescovi di passaggio a Gerusalemme reduci dal Concilio di Calcedonia, dicendo che il corpo di Maria non era nel sepolcro su cui era edificata una Chiesa, ma che il terzo giorno dopo il transito era stato trasportato dagli Angeli in cielo; che il sepolcro, aperto dagli Apostoli, non conteneva che i lintei e le sacre vesti in cui era stata avvolto il cadavere, dalle quali emanava una celestiale fragranza.

2° La Chiesa ha in vari modi confermato la sua fede nell’Assunzione di Maria al cielo. Il pontefice Nicolò I, nell’anno 858 parla del digiuno e della vigilia di tale festa, tramandata dall’antichità coi digiuni delle vigilie di Natale e Pentecoste. Già sotto san Gregorio Magno (590-604) la festa dell’Assunzione era celebrata con rito festivo. Fu pur confermata dall’istituzione dell’ottava che segue la solennità; e nello stabilire festa di precetto il giorno dell’Assunzione.

III. — Oh fossimo capaci di contemplare, o almeno di raffigurarci la gloria di Maria nella sua risurrezione, e nella gloriosa Assunzione. Oseremo tentarlo noi, poveri e deboli mortali? O Maria, deh! manifestaci la gloria dei tuoi trionfi, perché siamo tuoi figli.

1° Il terzo giorno dopo che Maria fu seppellita, riferisce la tradizione, « gli Apostoli che si trovavano a Gerusalemme, essendo sopravvenuto san Tommaso, l’unico che non era stato presente alla morte di Maria, il quale ardentemente desiderava di venerare anche una volta il sacro Corpo che aveva concepito il Figlio di Dio fatto Uomo, aprirono il sepolcro; ma non vi ritrovarono il sacro cadavere » (TAIT, Vita di Maria. Occorre anche notare che, mentre possediamo molte reliquie dei corpi degli Apostoli, nessuno ha mai preteso di possedere una reliquia del corpo di Maria. Se .Maria non fosse assunta in cielo bisognerebbe dire che mentre i primi Cristiani ebbero tanta premura di conservarci i resti mortali degli Apostoli e dei Martiri non si siano dato alcun pensiero dei resti mortali della madre del loro Signore). – Presi di ammirazione alla vista di questo mistero, gli Apostoli, assistiti dallo Spirito di Dio, l’interpretarono così: che Quegli a cui era piaciuto di prender carne nel seno immacolato di Maria, il Verbo di Dio, il Signore della gloria, che nel parto stesso di Lei non aveva voluto offendere la integrità di quel corpo verginale, si era compiaciuto di trasportarlo incorruttibile e immacolato nella gloria, senza fargli aspettare la comune e universale risurrezione degli eletti. Insieme cogli Apostoli si trovavano a questo grande avvenimento Timoteo primo vescovo di Efeso, e Dionigi l’areopagita il quale ne parla egli stesso ne’ suoi scritti (S. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso 2° sulla Dormizione di Maria; Sofronio, Sant’ATANASIO, ecc., Breviar. Rom., die 18 augusti. — Non dobbiamo discutere questa tradizione perché non fondiamo tanto sopra di lei, quanto nel Vangelo la nostra fede in questo glorioso mistero. Tuttavia, osserveremo col Nicolas « …non possiamo trattenerci dal far osservare questa prova morale della sua perfetta veracità, che, se fosse stata un’invenzione, non si sarebbe mancato di rendere gli Apostoli testimoni del miracolo medesimo dell’Assunzione, come lo erano stati di quello dell’Ascensione; eche, limitandosi ad arguire l’Assunzione dal fatto solo della scomparsa del corpo della Santissima Vergine e dalle circostanze che avevano accompagnate la morte e la traslazione di lei, lo stesso racconto imprime, per la sua propria riservatezza, a queste circostanze soprannaturali ea questa induzione dell’avvenimento principale, uncarattere di veracità più conveniente che non sarebbe stata la descrizione dell’avvenimento medesimo »). – Maria a guisa di una nube d’incenso, uscita dalla tomba, si era innalzata verso il cielo. È il dolce paragone che ci presenta la sacra Scrittura: Chi è costei che ascende per deserto quasi piccola colonna di fumo dagli aromati di mirra ed incenso ? (Cant. III, 6). E noi ammirati, rispondiamo: Maria, la Vergine Madre di Dio.

2°Così finisce la scena della terra: nel medesimo tempo s’inizia il trionfo di Maria in cielo. Rappresentate alla vostra mente tutto quanto di grande, di splendido vi è dato immaginare: in confronto della realtà è un nulla. Quando l’intrepida Giuditta tornò vittoriosa dal campo degli Assiri portando la testa del duce Oloferne, « corsero a lei tutti piccoli e grandi… e accesi de’ lumi, se le affollarono tutti d’intorno… tutti adorando il Signore le dissero: Il Signore ti ha benedetta comunicandoti la sua possanza… E Ozia capo del popolo di Israele, le disse: Benedetta se’ tu, o figliuola, dal Signore Dio altissimo, sopra tutte le donne della terra. Benedetto il Signore… perocché Egli questo dì ha talmente esaltato il tuo nome che le tue lodi saranno mai sempre nelle bocche degli uomini… E tutto il popolo disse: Così è, così è » (Giud. XII ). Più tardi « Joakim sommo sacerdote si portò da Gerusalemme a Betulia con tutti gli anziani per vedere Giuditta. Ed essendo ella andata ad incontrarli, la benedissero tutti ad una voce dicendo: Tu gloria di Gerusalemme, tu letizia d’Israele, tu onore del popolo nostro: perocché virilmente hai operato, e hai avuto un cuore costante, perché hai amato la castità » (Ibid. XV, 9-12). Giuditta è figura di Maria: il trionfo suo è una pallida e meschina immagine del trionfo di Maria.

3° L’incomparabile donna s’avvicina al cielo. Principi della Gerusalemme celeste, apritene le porte imperocché si avvicina la vera Giuditta, la benedetta fra tutte le donne. S’aprono i cieli, e n’escono a schiere gli spiriti celesti per andare incontro alla vittoriosa Regina, e farle solenne corteggio. Non più un Angelo solo la saluta piena di grazia; i cori angelici l’acclamano: Gloria di Gerusalemme, letizia del cielo. Non più la sola madre del Battista, non più una sola donna rapita dalla sapienza del Redentore ne acclama beata la madre: ma gli eletti tutti a cori le si fanno incontro: i patriarchi, i profeti, i giusti dell’antico Testamento, i martiri, i vergini l’acclamano giubilanti. Adamo riconosce in Lei la donna promessa. Le eroine di Israele che la figurarono, i suoi santi genitori, il suo sposo Giuseppe gioiscono del suo trionfo. E Maria, più splendida dell’aurora, « bella come la luna, eletta come il sole, terribile come un esercito » (Cant. VI, 9), acclamata da tutti i cori celesti entra nella gloria. Oh feste, oh trionfi della terra! siete un nulla in confronto del trionfo di Maria in cielo. Maria entra in cielo; Iddio, il Signore degli Angeli, le si fa incontro: Surrexit rex in occursum eius (III Re, II, 19). Oh immaginate, se siete capaci, l’incontro di Maria con Dio! Con Gesù suo divino Figliuolo!… la mente si confonde, la parola viene meno. Iddio le stende la mano, la invita alla corona: Veni de Libano, coronaberis (Cant. IV, 18); le addita il trono preparatole da tutta l’eternità. Iddio Padre accoglie la sua figlia; e Maria l’adora. Gesù accoglie la Madre sua; Maria rivede, ritrova il suo Figlio nella gloria che non verrà meno. Lo Spirito Santo accoglie la sua sposa. L’eterno Padre incorona Maria della sua potenza; il Figliuolo della sua sapienza; lo Spirito santo della sua bontà, del suo amore. Maria, sollevata al di sopra degli ordini dei Patriarchi, dei Profeti, de’ Martiri, de’ Vergini, delle Potestà; de’ Cherubini, de’ Serafini, che l’acclamano Signora e Regina, ascende il suo trono alla destra del divin Figlio, riceve gli omaggi di tutti gli spiriti beati della Corte celeste. In quell’istante divenne realtà, la visione che san Giovanni contemplò in cielo: « Una donna vestita di sole, e la luna sotto i piedi di Lei, e sulla testa di Lei una corona di dodici stelle » (Apoc. XII, 1). Intanto la Vergine, mentre gli spiriti beati la circondano in rispettoso silenzio, traendo un’altra volta dal cuore il cantico della riconoscenza, esclama: « L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore. Perché Egli ha riguardato alla bassezza della sua ancella: ed ecco da questo punto mi chiameranno beata tutte le generazioni» (S. Luc. I, 46-48). Anche noi uniamo la mente ed il cuore agli eletti del cielo, anche noi acclamiamo Maria, anche noi deponiamo dinanzi al suo trono i nostri devoti omaggi proclamiamola nostra celeste Regina!

4° La gloria di Maria è gloria nostra perché di Maria siamo figli devoti. Ma oh quali salutari pensieri si affollano alla mente, ricordando il trionfo, l’assunzione e l’incoronazione di Maria in cielo. Maria fu dalla SS. Trinità coronata di gloria come figlia del Padre, come madre del Figlio, come sposa dello Spirito santo, come Regina degli Angeli e degli uomini; coronata per la purezza più angelica, di cuore, di spirito, di corpo, per l’ubbidienza perfetta e l’umiltà profonda, per la carità ardente che la fece vivere e morire d’amor di Dio. E nella eternità beata da sola rende a Dio una gloria più grande di quella che Egli riceve da tutta la Corte celeste; colla sua presenza accresce la gioia di tutti i beati, è mediatrice fra il cielo e la terra, e colla sua intercessione ottiene a noi tutte le grazie. Iddio, coronando, la Santissima Vergine come Regina del cielo, non ha limitato la potenza che le ha decretato sulla creazione. I Dottori pensano che gli eletti vedano in Dio la loro famiglia, le persone colle quali ebbero relazioni in questo mondo. Maria che ha adottato tutti gli uomini ai piedi della Croce, e che ha per noi viscere materne, non può restare indifferente al nostro destino quaggiù; e una delle prerogative della sua beatitudine è quella di seguire col suo sguardo e di proteggere il nostro triste esilio in questa valle di dolore. – Maria ci vede; la divinità è come uno specchio immenso nel quale si riflettono agli occhi della Regina del cielo tutte le creature e tutte le loro opere buone o cattive, ha dunque conoscenza delle nostre miserie, e dell’estremo bisogno che abbiamo della grazia, della misericordia divina, e conosce insieme tutto ciò che Iddio vuole e aspetta da noi. Ora la vista del bene aumenta la sua felicità; essa esulta quando uno dei suoi figliuoli pensa a Dio, ed opera con rettitudine e con carità. Maria ci ama, come oggetto dell’eterno amore di Dio, come immagine di Lui, sue creature di predilezione, e suoi figli; ama in noi i fratelli di Gesù Cristo, conquista e prezzo del suo Sangue adorabile, i tempi dello Spirito santo, i futuri eredi del cielo, di tal guisa, dice sant’Alfonso de’ Liguori, che tutte le tenerezze riunite della terra non sono paragonabili all’affetto che Maria dal cielo porta a ciascuna anima amata da Dio. – Maria ci protegge. Essa è non solo per noi mediatrice supplichevole, ma potente avvocata; non domanda solo per grazia e misericordia, ma quasi comanda. Offre per noi i meriti di Gesù Cristo, e v’aggiunge i suoi; e, come Gesù interpone per noi i suoi meriti avanti al Padre, Maria difende la nostra causa presso Gesù. Il Figlio di Dio ama di essere pregato dalla Madre sua, perché vuole accordare a noi, per l’intercessione di Lei, tutte le sue grazie. E Dio ha dato a Maria un cuore proporzionato a tanto ministero; essa prova un desiderio ardente della salute di ciascuno di noi, e uno zelo indicibile per aiutarci a raggiungere il nostro fine, a meritare la felicità eterna. Oh rallegriamoci dunque che n’abbiamo ben ragione. Maria desidera la nostra salute: dasideriamola anche noi. Maria ci vuole aiutare a conseguirla: vogliamo conseguirla; desideriamo l’aiuto di Maria, domandiamolo, e cerchiamo di rendercene ognor più degni.

IV. — La gloriosa risurrezione e incoronazione di Maria porta di necessità il nostro pensiero al ricordo del nostro ultimo destino. Il nostro corpo, morto, sarà portato al cimitero, seppellito. La corruzione sarà l’ultima sorte del nostro corpo nella tomba? No! Rallegriamoci: questo corpo tempio vivo di Dio, consacrato nel Battesimo, albergo di Dio, un giorno risusciterà. La morte è il trionfo del demonio, perché il peccato, opera del demonio, ha introdotto la morte nel mondo. La risurrezione sarà la riparazione di questo disordine. Sarà anzi l’applicazione della Redenzione al corpo. Nel Battesimo, la Redenzione è applicata all’anima; nella risurrezione verrà applicata al corpo. — Sarà il trionfo completo di Gesù Cristo sulla morte. Se il corpo non risuscitasse, il demonio avrebbe trionfato di Dio, guastando per sempre l’opera di Lui. L’anima è creata per essere unita al corpo. Il demonio è riuscito a rompere questa armonia, col peccato. Alla fine del mondo, Dio, trionfando completamente del demonio, riunirà il corpo e l’anima. — Non l’anima solamente, ma tutto l’uomo, anima e corpo, hanno concorso ad operare il bene ed a commettere il peccato. Così è giusto che non l’anima sola, ma tutto l’uomo (anima e corpo riuniti per la risurrezione) riceva il premio od il castigo meritato. E perciò san Paolo insegna : « È necessario per tutti noi di comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno ne riporti quel che è dovuto al corpo secondo che ha fatto il bene od il male » (II Corinti v, 10. Il Grisostomo – Omelia 103 sulla II ai Corinti – cosi commenta: «Ciò che è stato istrumento di virtù o vizio, non resterà escluso dalla ricompensa o dal castigo; ma insieme coll’anima anche il corpo riceverà tormento o premio »). Dio metteva già sulle labbra di Giobbe queste parole: « Io so che vive il mio Redentore e che nell’ultimo giorno io risorgerò dalla terra, e di nuovo sarò rivestito di questa mia pelle, e nella mia carne vedrò il mio Dio, cui vedrò io medesimo » (Giob. IX, 25-27). Dio, per mezzo di Daniele ci insegna che « la moltitudine di quei che dormono nella polvere della terra si risveglieranno, altri per la vita eterna, ed altri per l’ignominia » (Dan XII, 2). Il secondo dei fratelli Maccabei diceva al tiranno: « Tu, o uomo iniquissimo, distruggi noi nella vita presente, ma il Re dell’universo risusciterà per la vita eterna noi, che moriamo per le sue leggi »; il quarto vicino a morire, diceva: « Ell’è cosa molto buona l’essere uccisi dagli uomini colla speranza in Dio di essere da Lui nuovamente risuscitati, perocché la tua risurrezione non sarà per la vita (I Macc, VII, 9, 14). Diceva Gesù: « Viene l’ora in cui tutti nei sepolcri udiranno la voce del Figliuolo di Dio, e ne usciranno quanti fecero il bene in risurrezione di vita; quanti poi fecero il male, in risurrezione di condanna» (S. Giov. V, 28, 29). E prima di risuscitar Lazzaro volle che Marta facesse un atto di fede nella risurrezione finale, e poi Egli soggiunse: « lo sono la risurrezione e la vita » (S. Giov. XI, 25). – Come preparazione poi alla promessa della SS. Eucaristia tenne un discorso, in cui tra le altre cose disse : « …La volontà del Padre, che mi ha mandato, è questa: chiunque conosce il Figlio e crede in Lui, abbia la vita eterna; e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (ibid. VI, 40). Risusciteremo dunque. Saremo anche noi assunti in cielo in corpo ed anima? Oppure avremo ad essere precipitati negli eterni tormenti in anima e corpo? Siamo devoti di Maria, onoriamola non solo colle parole, cogli atti esterni, ma col cuore, colle virtù, e forti della sua protezione vinceremo il demonio e la carne nelle lotte della vita, e meriteremo così di vincere allora la morte con una risurrezione gloriosa che sarà per noi il principio dell’eterna e perfetta gloria, cui saremo ammessi nel nostro essere perfetto di corpo ed anima.

ESEMPIO. — Maria Teresa. — Correvano giorni dolorosi per la monarchia austro-ungarica. La donna che ne reggeva le sorti, benché di mente eletta ed impavida di cuore, dopo la morte di suo padre Carlo VI, abbandonata da tutti, venne assalita dai principi vicini, che le rubavano le provincie e minacciavano di sfasciarle il regno. L’infelice regina vedeva che al suo figliuolo, anziché un diadema, avrebbe lasciato una corona di spine. Come rimediare? Radunò a Presburgo i Grandi restatile fedeli, e alla loro presenza, tenendo il bambino sulle braccia, pronunciò queste commoventi parole: « Abbandonata da tutti, non ho altra difesa che la vostra generosità; nelle vostre mani, o miei amici, io confido il figlio dei vostri re, che aspetta da voi la sua salvezza ». Alla vista di quella sfortunata regina e del tenero bambino, i nobili Ungheresi si sentirono profondamente commossi, e pieni di santo entusiasmo, sguainarono la spada, gridando ad alta voce: Moriamo per la nostra regina Maria Teresa! Al grido di questi prodi l’Ungheria si scosse; da tutte le parti si corse alle armi, e si formò un formidabile esercito, che, di vittoria in vittoria, ricacciò i nemici dalle sue terre. In breve ogni cosa mutò aspetto e colla pace di Aquisgrana nel 1748 la regina ed il figliuolo ripresero il pacifico possesso della loro eredità. Questo fatto mi richiama alla mente un’altra ben più grande regina e tenera Madre, ancor Essa abbandonata oggi da molti, anzi perseguitata. Maria, l’augusta Regina del cielo, col suo Gesù in braccio, si vede costretta ad uscire da tanti cuori, da tante famiglie, dove aveva fissato il suo trono. Le si muove una guerra spietata, preferendo a Lei il suo eterno nemico, il demonio. Essa si volge a noi e c’invita a prendere le sue difese e ristabilire fra gli uomini il regno del suo divin Figlio, mettendo in fiore la Religione, e le pratiche devote. Coraggio, fratelli, all’opera; lo richiede l’onor della nostra Madre e della nostra Religione. Si, o Vergine Santa, noi ci faremo vostri apostoli, ci adopreremo con tutte le nostre forze per trarre i nostri fratelli dall’errore e dal vizio e condurli a’ vostri piedi. Vogliamo che voi regniate sopra di tutti, perché  siete Regina dell’universo, Madre di Dio, la donna sublime, sola degna delle divine compiacenze. Ed incominciamo ad offrirvi la nostra mente ed il nostro cuore, perché vi riconosciamo e proclamiamo nostra Regina.

CREDO …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.

[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.
[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Luc 1: 48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est.

[Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.
[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

L’IDEA RIPARATRICE (9)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (9)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO III

CAPO SECONDO (2)

LA VITA PERFETTA E LA RIPARAZIONE.

Che nel mondo si diano delle anime che hanno l’ambizione di « star male » collo stesso ardore con cui la massa degli uomini si mostra avida di « star bene », ecco il più bel trionfo della Provvidenza divina. Non è a stupire quindi se, quando gli vien fatto di scoprire qualcuna di queste anime, il Signore, per così dire, esulti in cuor suo e non possa resistere alla voglia di rendersi complice dei loro desideri di immolazione. Tuttavia quella sete è già il Signore che l’ha messa in cuor loro. Quando il Maestro divino vuole ricolmare le anime, prima incomincia a vuotarle Egli stesso direttamente. E così mentre tutto all’intorno la maggior parte degli uomini restano senza aspirazioni e desiderio alcuno, esse sono come torturate da esigenze infinite. E primieramente un bisogno di non lasciar che il Signor nostro soffra così come fa in Croce, di alleggerirne i dolori, di alleggerirli prendendone per sé una parte, di asciugare il sangue che sgorga dalla corona che gli trafigge le tempia, di espiare i colpi di martello delle mani e dei piedi, i solchi lividi della flagellazione, con altrettanti sacrifizi ricercati con ardente amore. Dall’altra parte della Croce c’è ancor un posto vuoto, esse vi si inchioderanno, avide di una cosa sola, di diventare così come una seconda copia, una ripetizione di Gesù Crocifisso. Esse prenderanno alla lettera il consiglio di S. Caterina da Siena: « Che l’albero della Croce sia piantato nel nostro cuore e nell’anima nostra! Fatevi simili a Gesù Cristo Crocifisso; nascondetevi nelle piaghe di Gesù Cristo Crocifisso; bagnatevi nel sangue di Gesù Cristo Crocifisso; inebriatevi e rivestitevi di Gesù Cristo Crocifisso: saziatevi di obbrobrii soffrendo per amore di Gesù Cristo Crocifisso ». In una lettera al suo direttore spirituale « Consummata » si lascia sfuggire questo lamento: « Talora si vorrebbe cantare qualche poco le misericordie del Signore; ma questa povera cetra è troppo vibrante per la durezza della materia di cui è formata; è quasi impossibile servirsi di essa. Giorni sono aveva incominciato a scriverle ma non ho potuto continuare; la prima nota che ne venne fuori fu cosi forte che una seconda avrebbe spezzate le corde. Il mio corpo è troppo piccolo per l’anima mia, e il mio cuore non può contenere l’amore con cui io Lo amo, il mio Gesù… È ben raro che io possa scriverle così come ho fatto sta sera, ma se ho voluto farlo, ho dovuto trattenere il mio sguardo perché non si fissasse in Lui … ». Si narra di una Suora che per grazia speciale del Signore, nella considerazione dei dolori di Gesù Cristo in Croce, provava una tale fitta al cuore, sentiva una tale scossa in tutta la persona, che aveva dovuto fare il proposito di non guardare più il Crocifisso. Siccome per discendere al refettorio comune era necessario passare dinanzi ad un grande Crocifisso appeso al muro, avvenne che un giorno ebbe l’imprudenza di alzare gli occhi; il suo sguardo incontrò la immagine sanguinolente del suo Salvatore ed essa cadde al suolo svenuta. Si dirà: testa esaltata, sensibilità esagerata. Sia pure. Ma tutto ben considerato, ove troviamo maggior ragione di meraviglia? Che si dia una persona che non può mirare il Crocifisso senza soffrirne, ovvero che se ne diano tante che possono benissimo guardarlo anche a lungo senza provarne alcun dolore? Se v’ha dello strano, dite pur voi da quale parte si trovi. – I santi non posseggono come noi la facoltà dì restare indifferenti alla presenza della immolazione di un Dio umanato: i santi, cosa singolare! non possono non soffrire quando vedono il loro Dio a soffrire. « Mi pare che, se questo sentimento di compassione dovesse prolungarsi, non saprei a quale tortura anche crudelissima paragonare quest’intima pena dell’anima, perché essa è ben simile a quella che Nostro Signore sostenne in cuore nel Getsemani quando uscì nel lamento: « L’anima mia è contristata fino a doverne morire » e dopo lunga preghiera prostrato a terra agonizzò e sudò sangue ». Così lasciò scritto il buon S. Alfonso Rodriguez, umile fratello coadiutore della Compagnia di Gesù, portinaio al Collegio di Maiorca, il quale soleva poi offrirsi al Signore per ogni sorta di patimenti (anche quelli dell’inferno, pena del senso) per ottenere che il Signore non fosse più offeso e più nessun uomo andasse dannato. Negli Acta Sanctorum (Vita Sanctæ Birgittæ) al giorno 8 ottobre si narra di S. Brigida di Svezia il fatto seguente: « Giovanetta ancora, nell’ascoltare un sermone sulla Passione di Gesù Cristo, fu tanto commossa che le dolorose scene di essa le rimasero profondamente impresse nel cuore. E subito la notte seguente essa vide Nostro Signore Crocifisso che si lamentava: Ecco in quale stato mi hanno ridotto! — Essa, semplicetta, domanda al Signore: E chi vi ha trattato così? — Quelli che mi offendono e che sono insensibili al mio amore —, rispose Gesù. Da quel momento Brigida fu tanto sensibile al pensiero della Passione del Salvatore che non poteva trattenersi in essa senza piangere teneramente ». Un’afflizione che si manifesta così in maniera sensibile suppone una grazia speciale e un amore particolare da parte di Dio. Questo però non contraddice punto quanto abbiamo sopra riferito, che cioè il restar del tutto insensibili alle pene del Signore, come fa un troppo grande numero di Cristiani, manifesta un’incoscienza ovvero una ingratitudine che non si può concepire. Oh! a che giova la crocifissione di questo nostro povero Salvatore? Egli è là sospeso tra cielo e terra, mediatore tra Dio e gli uomini, così afflitto, così addolorato!… e intanto così prodigiosamente « inutile »! Che si può fare per compensare tutta questa gloria che dovrebbe risultare al Signore e che gli uomini così ostinati gli rifiutano? — Amare? Ahimè! la meschina parola e soprattutto la povera cosa! Amare! E con che cosa, o grande Iddio? Amare con un sì miserabile cuore quale noi abbiamo in petto. Un cuore umano! Amare Iddio con un cuore sì meschino! Quale derisione, quale ironia! Con quanto vi ha di più debole amare Colui che è infinito; con quanto vi ha di meno generoso amare Colui che si è sacrificato per noi com’Egli solo ha saputo fare: il presepio, la Croce, la Santa Messa, i Sacramenti, la Chiesa; con una facoltà che è gretta quanto mai, amare Colui che si è dato senza misura; con delle piccolezze d’amore, amare Colui che è lo stesso Amore… No, Signore, non è possibile!… – Quale lotta! Dover competere con chi può brandire come arma di combattimento l’infinito è cosa che getta l’anima nello strazio e nella tortura. Voler dare e non poterlo fare; voler dare molto e non possedere nulla; a Colui che è tutto non offrire di continuo che così poco! È vero che non è necessario aver molto per dare molto, perché dà sempre molto chi dà tutto quello che ha, pur avendo poco. Ma… ahimè! anche qui, quale affanno per l’anima, quale angoscia di tutti i giorni. Quel poco che essa possiede, così fosse vero che lo offrisse senza riserva alcuna! Essa invece si conosce intimamente e sa benissimo quante mancanze vadano segnando il cammino di ciascun giorno: difetti leggeri, sì, ma per un cuore che ama queste indelicatezze hanno sempre alcun che di odioso. E quello che dovrebbe servire a calmare la pena non fa che aumentarla. Si consolerebbe il Maestro divino nel suo abbandono col donarsi interamente a Lui; ma si ha coscienza di procedere con raggiri, con grettezza e che l’amor proprio non disarma. « Egli non cesserà di molestarci che un quarto d’ora dopo la nostra morte », ci dice S. Francesco di Sales argutamente. E questo ci accora: vedersi forzati a servire Colui che merita tutto per mezzo di un «nonnulla » che pur non riesce a darsi interamente (Si confronti quanto abbiamo detto più sopra di Suor Geltrude-Maria la quale si rimproverava delle sue indelicatezze nell’amare il Signore. Cosa naturalissima quando si pensi a chi è Dio). – Il Signore tortura i santi con siffatte angosce continue. Non v’ha cosa che tanto sollevi l’animo al di sopra di se stesso quanto il desiderio di cose grandi, e il divin Maestro mette in cuore ai suoi cari questi ardenti ideali appunto per il piacere che prova nel contemplare queste anime grandi, anime veramente magnifiche in mezzo a tante piccolezze che loro sono ripugnanti. « Per vivere in atto di perfetto amore — dirà S. Teresa del Bambino Gesù — io mi offro come vittima di olocausto al vostro Amore misericordioso, supplicandovi di consumarmi incessantemente e di lasciar riversare nell’anima mia i torrenti della vostra tenerezza infinita così che io diventi martire del vostro amore, o mio Dio!… « … Io intendo rinnovarvi, o Gesù caro, ad ogni battito del mio cuore, infinite volte questa offerta finche, svanite le ombre, io possa di presenza colassù dirvi il mio amore in eterno ». – S. Maria Maddalena de’ Pazzi al termine di una sua orazione in cui ricevette grazie speciali da Dio, così si esprime di San Luigi Gonzaga: « Chi potrà mai apprezzare il valore degli atti interiori e la ricompensa che essi meritano! Non v’ha paragone tra quanto appare al di fuori e quanto avviene nell’intimo dell’anima. E Luigi, durante tutta la sua vita fu costantemente affamato delle ispirazioni interne che il Verbo eterno gli insinuava in cuore. Luigi fu un martire sconosciuto; perché chi vi ama, o Signore, vi vede sì grande e sì infinitamente amabile che per lui è un grande martirio il vedersi incapace di amarvi quanto egli vorrebbe e lo scorgere le creature che invece di amarvi teneramente vi offendono sempre più » (LYONARD: L’apostolat de la souffrance, p. 200). Così almeno l’anima assetata e in cerca di Dio potesse finalmente raggiungerlo, impadronirsene e tenerlo stretto fra le sue braccia… Ma, ahimè! sovente quanto più lo si cerca, tanto più Dio si allontana e si nasconde. Noi abbiamo l’Eucaristia, ma la presenza reale non dura che brevissimo tempo e poi anch’essa è tutta avviluppata di mistero: visus, tactus, gustus in te fallitur. Abbiamo la grazia santificante: ma quella presenza continua di Dio in noi che essa produce, non è la stessa cosa che la presenza continua di noi in noi medesimi. Avviene troppo spesso che noi siamo assenti da noi stessi. Le nulle e mille occupazioni quotidiane ci portano lontano da questo centro prezioso ove. per lo stato di grazia « i Tre », il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo, fanno continuamente la loro dimora. Iddio è dunque in noi: e noi non vi ci troviamo — o molto di rado’ — Abbiamo inoltre la preghiera: ma: lì nella preghiera non troviamo che la fede ove vorremmo il possesso reale: l’ombra, ove vorremmo il dono; la immagine, ove vorremmo la realtà presente. Si vorrebbe un Gesù così com’è naturalmente, e non si può avere che un Gesù « mascherato ». che sfugge continuamente e non si lascia raggiungere. E non dico nulla delle prove terribili dell’aridità in cui il Signore non si scorge più se non a grande distanza, sfumatura appena percettibile e così confusa che ci si domanda se veramente è Lui e si è quasi tentati a dire come gli Apostoli sul lago di Genezareth: « Phantasma est… un fantasma! ». – Eppure Gesù non ignora che noi abbiamo abbandonato tutto per poterlo seguire! Maria de la Bouillerie, poi religiosa del S. Cuore, parlando di sua madre diceva: « Io non l’abbandonerò mai per seguire un uomo! » . Ma abbiamo accettato di abbandonare anche la nostra madre perché sapevamo che seguire Gesù non è seguire un uomo, e con forza di volontà abbiamo detto a Nostro Signore: « Io verrò, dove abitate voi? ». — « Sei deciso?… Vieni! … ». — E ci siamo messi in cammino verso la terra promessa anche sapendo che prima di arrivare fino ad essa avremmo dovuto attraversare il deserto. Che importa? Si cammina per un buon tratto… e un bel giorno si crede di esser finalmente al termine del viaggio, alla casa del Maestro — l’abitazione del Re —. Invece, come quel fanciullo che montato sopra una sedia dinanzi all’altare batteva alla porta del Tabernacolo chiamando Colui che vi si è rinchiuso per amor nostro, anche noi battiamo: « Signore, ci siete voi? ». E come per quel fanciullo la porta del Tabernacolo non si apre e il Signore non dà segno alcuno della sua presenza. Deus absconditus! O Dio che martirizzi le tue anime care restando nascosto, misterioso sempre e inaccessibile. E noi ci fermiamo in faccia a Lui certi ch’Egli è presente, che potrebbe mostrarsi se il volesse, ma preferisce aspettare… e farsi aspettare. Una pena simile a quella della Maddalena al Sepolcro, la mattina della risurrezione. Fin dall’alba si era partita di casa portando con sé come unico tesoro dei poveri aromi — tutto quello che possedeva di utile in quella circostanza — e camminava in tutta fretta. Arriva finalmente… entra… e vede il Sepolcro vuoto… un Angelo, il sudario ripiegato da un lato, qualche cosa che appartenne a Lui, ma Egli non è là. Ed essa cercava Gesù, non soltanto la parola dell’Angelo, ma quella di Gesù. Non soltanto una reliquia di Lui, un documento della dimora sua in quel luogo fino a qualche momento prima, ma Lui, presente nel Sepolcro, che si lasciasse vedere… « Signore, ci siete voi? ». Il divin Maestro però non era lontano: anzi Egli è sempre vicinissimo ad un cuore che lo cerca. « Tu non mi cercheresti se tu non mi avessi già trovato »; parole poste sul labbro di Gesù Cristo da Pascal; e nulla di più vero. Chi cerca sinceramente Gesù e gli dice: « Signore, ove siete voi? » , non è più in cammino ma è giunto al termine della sua via. Nel momento stesso che ha formulata la sua domanda il Maestro gli si fa innanzi presente. Sì, il divin Maestro, ma sempre, secondo la sua abitudine, in modo più o meno velato. – Per la Maddalena Gesù Cristo è in sembianze d’un giardiniere e la poveretta non lo riconosce: ce Ditemi, dov’Egli si trova? Oh! ve ne scongiuro, non mi lasciate più a lungo in pena; io andrò a cercarlo fin là dov’Egli si trova… ». Se Egli si manifestasse interamente colmerebbe il desiderio dell’anima ma non già il proprio. Egli gode nel vedersi così desiderato dalle anime ardenti: imita in ciò la madre che si nasconde per provare il gusto di vedersi ricercata dal proprio bambino. Iddio, dice S. Agostino, non desidera di meglio che vedersi desiderato. Questa è la ragione di questi suoi abili raggiri che danno a noi tanta pena e a Lui procurano tanta gioia. Deus absconditus. Il Signore si nasconde: quindi le anime veramente accese d’amore per Lui soffrono a dismisura. Tutto hanno abbandonato solo per poterlo avere, possederlo e unirsi a Lui: e non giungono mai ad averlo, possederlo e unirsi a Lui come esse vorrebbero. Quindi il lamento della sposa dei Cantici: « Fasciculus myrrhæ dilectus meus. Il mio diletto è come un fascio di amarezza. In queste amarezze Iddio trova una soave dolcezza perché sono una prova certa di un amor grande per parte nostra. – Ma Egli non resiste a lungo e chiama la Maddalena col suo nome: « Maria! ». Così come in un baleno talora Egli si lascia quasi intravedere, e allora ci pare poter gettare ai suoi piedi e tendere le mani a Lui: finalmente lo si possederà e per sempre!. Ahimè! « No, non mi toccare», e questa noli me tangere pone il colmo al nostro martirio. Oh! che vale dunque l’amore se non si può procedere più innanzi? « Signore, sradicate del tutto quanto voi stesso mi avete posto in cuore, altrimenti abbiate pietà di me! ». Anche allora — anzi specialmente allora — il Maestro divino non cambia per nulla la sua tattica. Egli vuole scavare nell’anima degli abissi ancor più profondi, ed esce in quella risposta che sì direbbe crudele, ma in realtà è piena di misericordia: « Non è ancora venuta l’ora. Abbi pazienza ancora un po’ di tempo e poi mi vedrai » . « Che dite voi, o Signore — esclamava a questo proposito Paolina Reynolds — e parlate cosi ad un cuore che vi ama? ». « Sì — potrebbe rispondere Nostro Signore — così parlo ad un cuore che mi ama appunto perché anch’io lo amo. E voi fidatevi di me ». È in mezzo a questi patimenti interiori — che noi ci accorgiamo di non esser riusciti a descrivere, come avremmo voluto (Si legga a proposito il 2° Sermone di Bossuet per la festa dell’Assunzione…: « Egli vuole che si distrugga, si devasti, si annienti tutto quello che non è Lui: e per parte sua Egli si nasconde, e si rende quasi inaccessibile,sì che l’anima per l’una parte distaccata da ogni cosa, per l’altra non trovando modo di arrivare a Dio fuorché colla fede… cade in languori inconcepibili.«O sposo di sangue, date alle vostre spose queste armi che devastano e distruggono affinché esse si uniscano a Voi nel mistero della Croce, e vi portino come dote a voi cara il loro totale spogliamento. – « Questo è il mistero di unità che ogni giorno si opera con un martirio inesplicabile e che si terminerà con una pace che è Dio stesso. – « Oh! qual rovesciamento di cose, quale violenza e qual terribile lavoro, poiché Dio non scioglie dolcemente ma strappa; non piega ma rompe; non separa ma spezza e devasta tutto. Gesù, quando sarà che voi distruggerete interamente quanto ci distrugge?… Ah!come voi siete crudele! ») —patimenti nutriti soprattutto di desideri, che mai si giunge ad appagare, di sacrificarsi in qualche cosa, di sacrificarsi in tutte le cose: che il Signore darà alle anime occasione di mostrarsi un po’ meno inferiori al compito intravisto e alle ambizioni sognate.Offrirsi al Signore, già da lungo tempo si è capito che equivale a soffrire. E per questo appunto si è addolorati perché nell’offerta di se stessi pare che non ci sia abbastanza di penoso.È allora che Iddio invia a quell’animadelle pesanti croci: le aridità, le malattie,il lutto, il tradimento nell’amicizia, la persecuzione, l’insuccesso, le tribolazioni più varie e più dolorose. Nostro Signore in ciò non si trova mai imbarazzato, la sua provvista è abbondante, ha di che scegliere:si direbbe che a Nazareth abbia impiegato il suo tempo a preparare in gran copia delle croci, non abbia fatto altro; e se ne vedono di ogni sorta di legno e di tutte le dimensioni. Ed ecco come procede il Signore: per calmare l’angoscia di chi si lamenta di non soffrire abbastanza, Egli si decide di inviare una buona dose di patimento. Così Egli colma un martirio saziando di dolore, e il risultato di questa singolare interferenza di pene è un’immensa gioia. Si soffre; il Signore moltiplica la sofferenza: come risultato finale, ecco la felicità.Se non fossimo già avvezzi a trovare nelle cose divine di che strabiliare, quale non sarebbe il nostro stupore alla vista di questo strano e divino « circolo vizioso »nel quale l’Altissimo rinchiude le anime che sono tanto generose da consacrarsi senza riserva all’opera riparatrice dell’olocausto? (l’anima mia si nutre di tutti gli « Alleluja ». « Laudate ». • Cantate… », il che non toglie, è vero, la sofferenza, ma mi fa trovare in essa la mia pace, o se preferite: la pena è in me, ma io non sono in pena » – Consummata, 1. c .1).Noi abbiamo già udita l’esclamazione di S. Liduina e delle altre anime consimili ad essa. Al più profondo dei suoi più crudeli martirii un forte grido : « Io non sono da compatire, io sono felice! », il che suggerisce all’autore della sua Vita un commento veramente degno di nota, forse quanto di meglio sia stato scritto sul patimento. Le vittime — dice egli in sostanza — le più offerenti fra le creature, sono nello stesso tempo di tutte le creature le più felici. Offrirsi per l’olocausto è offrirsi per la felicità; perché Gesù si fa onore nel restituire con altrettanta pace e altrettanto gaudio, quanto a Lui si sacrifica con generosità. Per tutti i grandi « immolati » è avvenuto così. Iddio ha compensato la loro donazione con una tale pienezza da farli esclamare: « Ma Signore! questo non è il mio conto: io mi sono offerto per il sacrifizio e non ne ho che felicità!». Sì, quando un’anima s’è offerta a Gesù: « Voglio per me stessa mettermi,o Signore, sulla vostra Croce voglio che Voi siate colui che mi crocifigge ». Gesù accetta questa parte di carnefice e incomincia battere; ma alla vista del sangue che cola, dell’anima che si strugge, il suo cuore si spezza: non ha più il coraggio di continuare e si arresta. Allora si accosta e in un attimo colma l’abisso scavato dal patimento e l’anima allora rimane talmente trasportata che sente il bisogno di pregare il Signore a risparmiarle la gioia, come altri supplica il Signore a risparmiargli il dolore. Essa continua ad offrirsi ma la sua immolazione diventa la sua felicità, o meglio la sua immolazione, che continua ad esser in qualche modo dolorosa, è accompagnata da un tale gaudio divino che l’anima per nessuna cosa al mondo vorrebbe vedersene priva. Questo gaudio le è necessario per mantenere vive le fiamme dell’amore e attizzare il rogo permanente del Sacrifizio; e così con sapiente arte il Signore, per tener l’anima in continuo esercizio, alternale allegrezze e i dolori; le dolcezze sono il battistrada delle tribolazioni e le prove non precedono che di poco le gioie spirituali; ma, a conto fatto, il patimento è come affogato nel gaudio; non si può reprimere il singhiozzo, ma, come felicemente si esprime il Buathier, questi singhiozzi si risolvono in altrettanti cantici di allegrezza.L’abate Perreyve, uno di quelli che hanno meglio compreso e meglio spiegato il sacrifizio incontrato per amore, nell’analizzare questa contraddizione o, se vogliamo, questo equilibrio, lasciò scritto: « Donde viene, o Signore, che appena incamminato sulla via della Croce, io sento dalle vostre labbra parole d’ineffabile dolcezza? ». Infatti non appena Nostro Signore ha pronunziata la prima frase: « Se altri vuol venire dietro di me prenda la sua croce », Egli continua dicendo: «Il mio giogo è soave, il mio peso è leggero ». — « Appena ho incominciato a soffrire — soggiunge l’abate Perreyve— e già voi mi portate la consolazione;appena ho posto sulle mie spalle la croce e già la vostra mano divina me la rende leggera…« O Gesù! che imponete dei sacrifizi necessari ma che ne diminuite subito la pena col vostro tenero amore: o Gesù! che comandate la rinunzia a tutte le cose ma che fate poi trovare all’anima distaccata da se stessa un cumulo di tesori più grandi di quelli che potrebbe possedere: o Gesù! che ci obbligate a portare ogni giorno la nostra croce se vogliamo veramente seguirvi, ma che mutate poi questa croce in un giogo soave e in un peso leggero; o Gesù! Che spesso vi contentate della più piccola buona volontà dei nostri cuori e che ricambiate con sovrabbondanti consolazioni i nostri più deboli sforzi, no, non ho più paura di voi! Non mi spavento più del vostro Vangelo, io non tremo più al solo nome della Croce! Ormai ho capito che in essa sta il segreto delle grandi consolazioni e del vero appoggio nel cammino della vita, ove, anche contro il volere nostro, conviene soffrire. Io mi accosto quindi alla Croce con tutta confidenza e vengo a cercare ai suoi piedi, nel ricordo della vostra Passione, nuove grazie di forza e di pazienza. Non me le rifiutate, o generoso mio Maestro; e ricevetemi nel vostro corteo, fra quelle anime che trovano, venendo dietro di voi al Calvario, la forza di trar profitto dalle loro pene e di mutare in ricchezze senza fine tutte le amarezze della vita ». E con questa preghiera così bella, così ardente, così confidente, così umile poniamo termine al nostro lavoro. Quest’ultimo carattere di umiltà manifesta e consacra il vero spirito della Riparazione. – Quanti si vogliono dedicare, in unione di Gesù, alla Redenzione del mondo per mezzo del patimento, non possono farlo senza tremare conoscendo in modo evidente la loro assoluta incapacità. Essi comprendono che. lasciati a sé, al primo contatto del dolore essi fuggirebbero ben lontani. – Nessuno sa meglio di loro che essi non sono che la goccia d’acqua che si lascia versare nel vino del calice pel Sacrificio cruento: cosicché quelli che dànno di più sono quelli che sono convinti del « nessun valore » di quanto danno.

CONCLUSIONE

Non era nostra intenzione di scrivere un trattato completo sulla Riparazione: tanto meno un trattato scientifico di molta dottrina. Noi abbiamo semplicemente tentato di mostrare, ricordando brevemente su quali basi teologiche e dogmatiche si appoggi la Riparazione, quale posto dovrebbe avere l’idea riparatrice nel pensiero e nelle opere del buon Cristiano. Ai nostri giorni molti si sentono attirati da questa parte, ma restano esitanti, vanno a tentoni, poi indietreggiano o cambiano rotta perché mancano loro spesso i concetti chiari intorno alla riparazione. Queste nostre pagine vorrebbero risvegliare molti per metterli sull’avviso e ad altri già in guardia e desiderosi di luce, fornire le prime indicazioni. – In siffatta materia certamente una monografia o il contatto vivente d’un’anima riparatrice sono più efficaci che tutto un manuale; perciò abbiamo spesso rinviato il lettore a consultare diverse « Vite » . Tuttavia un breve schizzo della teoria non è inutile; è un allettamento e una prima indicazione. La lettura di opere più complete, il consiglio d’un savio direttore, e la grazia dello Spirito Santo finiranno d’illuminare, di convincere e di stimolare all’impresa. Durante la guerra sulle vie che andavano alla fronte si scorgevano di tratto in tratto degli avvisi a caratteri grossolani con qualche nome e una freccia: « Per il tal posto, seguite questa direzione ». Queste pagine non hanno altra ambizione; esse dicono: « Per andare al sacrifizio mettetevi sulla via della riparazione: non c’è passo più sicuro ». Cioè abbiamo voluto indicare da lungi la strada e non guidare fino alla linea di combattimento e ancora meno descrivere minutamente quanto si trova al termine della via… E come quelli soltanto che vissero nelle trincee della grande guerra hanno « sentito la realtà » della vita che vi si passava e possono parlarne — anche con pericolo di non esser compresi o neppur ascoltati — così solo quelli hanno i dati necessari a descrivere la vita di riparazione, cui il signore ha concesso di conoscere per esperienza propria e per il contatto delle anime altrui le regioni del completo devastamento dell’amor proprio, dello schiacciamento totale, della festa sanguinosa nel dono assoluto di tutto se stesso. Quindi si spiegano qua e colà i diversi punti in cui ci contentiamo di dare idee schematiche, incomplete e anche solo accennate. Non è da noi il penetrare nei domini riservati all’azione del Signore, lo scoprire « i segreti del Re », il far comprendere il modo che tiene nel comunicarsi alle anime privilegiate. Per questo è necessaria un’autorità, una pratica di ascetica e di mistica… e qualche altra cosa ancora, che noi non abbiamo. Un cieco non parlerà mai di luce o di colori. Dunque meglio d’ogni altro noi sappiamo quanto sia lontano questo nostro opuscolo da quello che si potrebbe desiderare. Anche così imperfetto, questo nostro lavoro potrà il Signore adoperarlo come strumento di sua gloria se il vorrà fare. Talora i mezzi in apparenza meno idonei sono quelli di cui Egli si serve per ottenere il risultato che ha di mira. Ci sia lecito aggiungere ancora una parola prima di terminare: un ricordo dell’ultima campagna. – Nel settembre 1917 due soldati di Liévin, in licenza a Hersin-Coupigny presso Pas de-Calais, pensarono di recarsi al villaggio natio per ricercare il loro piccolo peculio che avevano nascosto sotterra al momento dell’invasione. Essi vanno, ma l’uno di essi purtroppo non trova più nulla del suo. Prima di ritornarsene si portano all’antica chiesa del villaggio e la trovano tutta abbattuta al suolo. Solo una pesante croce in ferro fuso non è caduta, ma sta in piedi contro un resto di muro. E il soldato si avanza, la prende e, al cospetto d’un gruppo di Canadesi che applaudiscono, egli la stringe fra le sue braccia dicendo al suo compagno: « T u hai trovato il tuo tesoro, ecco il mio, io lo porto con me ». E in mezzo ai rottami e alle fosse scavate dalle bombe, a stento e gocciolanti sudore e coperti di fango i due amici portano fino ad Hersin la Croce della loro chiesa, Ritrovare la Croce, non già quella d’una chiesa distrutta, in mezzo ai rottami, ma quella del Salvatore del mondo rizzata sulla cima del Calvario si direbbe cosa facile. Ebbene, no! Meditando sulla festa dell’Invenzione di S. Croce, Mgr. d’Hulst ha potuto scrivere: « È una bella invenzione. Già da molto tempo abbiamo la croce dei due ladroni, la croce che disonora, ma la gran novità, essa è la Croce di Gesù… la quale per tante anime non è ancor stata trovata ». Oh! sì, essa è ancora da ritrovare per molte anime. E poi quando sia stata scoperta non convien fermarsi a contemplarla soltanto, ma bisogna prenderla e abbracciarla. I Canadesi applaudirono… il mondo, lui, non comprenderà nulla… e che importa? La croce afferrata a due mani poniamocela risolutamente sulle spalle. I rottami, le buche, le occasioni di cadute non mancheranno; la strada sarà difficile a percorrersi, il cammino un po’ lungo. Verrà spesso la tentazione di liberarsi da un tal peso, di gettare a terra queste due traverse che opprimono le spalle. « Come? — mormora allora Gesù — vorrai tu abbandonarmi?… Non vi sarà qualche Cireneo e qualche Veronica che vogliano aiutarmi a custodire intatta la mia Croce preziosa? ». Non vi sarà nessuno? È forse vero? Un giorno, durante la S. Messa, il Signore comunicò a S. Angela da Foligno una molto viva cognizione delle pene sofferte in Croce; ed essa così narra il fatto: — Sentii la sua voce a benedire i devoti che imitano la sua Passione e che hanno pietà di Lui: « Siate benedetti dalla mano del Padre, voi che avete partecipato e pianto la mia Passione; voi che ricomprati dall’Inferno cogli immensi dolori della mia Croce, avete sentito compassione di me. Siate benedette, fedeli memorie! voi che conservate nel vostro cuore il ricordo della mia Passione. Poiché voi avete offerta ad un Dio desolato la sacra ospitalità del vostro amore. Io era nudo sulla Croce, ero affamato, assetato, e voi aveste pietà di me. Siate benedetti, voi che avete usato misericordia. Al momento terribile di vostra morte io vi dirò: Venite benedetti dal Padre mio, io avevo fame e voi m’avete offerto il pane della vostra compassione… sospeso in Croce, ho pregato per i miei carnefici; che dovrò dire per voi che mi siete cosìdevoti quando verrò nella gloria per giudicare il mondo?». E mi è assolutamente impossibile esprimere l’amore che brillava sopra coloro che hanno pietà. — Al presente, più che in ogni altro tempo, Nostro Signore cerca dei « devoti che imitano la sua Passione ed abbiano compassione di Lui » . – Conceda il Signore a molti dei lettori e delle lettrici di queste pagine il desiderio di arruolarsi nella squadra dei « devoti » e la volontà generosa di fare parte di «quelli che hanno compassione ».

Chi vuole?

— « Oh! Signore, io lo voglio ».

FINE

DA SAN PIETRO A PIO XII (14)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

PARTE SECONDA

DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI

CAPO IV.

IL RINASCIMENTO

PREAMBOLO

La civiltà italiana del rinascimento

Lo studio dei classici latini, mai cessato in Italia nel Medio Evo, nel sec. XV, divenne un vero fanatismo; e questo furore, per cui parve rinascere la civiltà romana, fu detto « RINASCIMENTO ». I dotti, trascurando gli studi teologici o divine lettere e preferendo quelli dei classici, chiamati in opposizione: umane lettere, furono detti « umanisti » ed il nuovo indirizzo prese anche il nome di « umanesimo», perché ritornando al naturalismo, si allontanò dall’ideale religioso predicato dalla Chiesa (Se ci si accinge a giudicare oggettivamente la posizione spirituale degli umanisti, essa ci appare come uno svigorimento e, spesso, un annullamento delle tesi più specifiche del Cristianesimo. Mettendo alla pari le due rivelazioni, classica e cristiana, l’Umanesimo abolisce i confini fra naturale e soprannaturale; in nome dell’agostiniano « Omnis veritas a Deo » confonde la verità, che si trova nei classici e quindi è qualcosa di creato, con Dio stesso; nell’astratta contemplazione di tale verità razionale, pone il fine della vita; ed esalta perciò le soddisfazioni conseguibili in questo mondo, perdendo il senso dell’ascesi, del peccato, della preghiera. Idolatra la creatura, celebra 1’attività demiurgica dell’uomo, perde di vista il fatto storico dell’Incarnazione; fa di Dio un’entità astratta che si rivela (necessariamente?) nel Logos ». Così che, nato come reazione al razionalismo averroista, l’Umanesimo si chiude in un nuovo razionalismo – di carattere gnostico e cabalistico – ndr. -). Oltre il latino, si coltivò anche il greco con valenti maestri, quali il Crisolora, il Pletone, il Bessarione; si fondarono accademie a Firenze, a Roma, a Napoli; nacque il senso critico; s’iniziò la filologia e si ripresero le antiche dottrine filosofiche, specialmente quella di Platone (tipicamente gnostica, come il neoplatonismo alessandrino ed il cabalismo giudaico – ndr. -). L’Umanesimo ed il Rinascimento rinnovarono la vita intellettuale, artistica, morale e politica. Tutti i cittadini, non i soli umanisti, sentirono il bisogno di istruirsi e ciò fu reso facile dall’invenzione della stampa che, con il nuovo sistema dei caratteri mobili, divulgò la scienza e sostituì i libri ai costosi manoscritti. Si cominciò ad avere una libertà di pensiero, la cultura divenne sempre più laica e più largamente umana, e, con il ritorno al culto pagano della bellezza, della forza e della gloria, si affinò il senso artistico: Papi, prìncipi e nobili fecero a gara per ornare le città con magnifiche opere d’arte e per avere nei loro palazzi i migliori artisti. Il benessere, la magnificenza e la bellezza artistica giovarono agli Stati per consolidare il loro assolutismo, giacche lo sfarzo, le feste e i giochi pubblici resero i popoli meno gelosi della loro libertà ed attutirono la loro coscienza nazionale. Tuttavia i cittadini, svincolati dalle corporazioni, cominciarono a gustare i primi semi della libertà del lavoro, la donna fu elevata, e s’ingentilirono i costumi con tutto danno dei vincoli morali, rallentati per l’indifferenza religiosa e per il prevalente spirito umanistico razionale e scettico. L’invenzione delle armi da fuoco trasformò poi l’arte della guerra; alle ambascerie occasionali si sostituirono quelle permanenti e nacque la moderna diplomazia. Tra i « mecenati » che promossero ed agevolarono la cultura italiana del rinascimento notiamo: Lorenzo il Magnifico a Firenze, i Visconti e gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, Nicolò V e Pio II a Roma.

D . Che cos’ è il Rinascimento?

— È il periodo storico e letterario, succeduto al Medio Evo e protrattosi lungo i sec. XV e XVI, durante il quale si ebbe un meraviglioso rifiorire dell’antica cultura classica.

D. Come vide la Chiesa il Rinascimento?

— Di buon occhio, anzi Vescovi e Cardinali protessero artisti e letterati. Il capo degli umanisti, Francesco Petrarca, trovò comprensione presso i Pontefici.

D. Quale fu la preoccupazione costante della S. Sede?

— Fu di incanalare il movimento rinascimentale sulla via tracciata dal Cristianesimo, per impedire pericolose deviazioni pagane. In una parola, la Chiesa, assimilando la bellezza dell’arte greco-romana, ha avuto cura di eliminare la concezione puramente naturalistica ed edonistica, ispirata ai principi del paganesimo.

D. Intendendo così lo studio e l’imitazione dei classici che ne veniva?

— Veniva potentemente favorito il progresso medesimo della civiltà

cristiana, in quanto il pensiero cristiano avrebbe trovato un’incomparabile

espressione artistica nelle rinate forme ellenico-romane.

D. Perché i Papi tanto entusiasticamente collaborarono al Rinascimento?

— Proprio perché ispirati da simile intento.

D. È tuttavia facile la conciliazione tra la forma pagana e il contenuto cristiano?

— No, e per questo non sempre seppero sottrarsi al fascino di un’arte troppo naturalistica e corrompitrice.

D. Che ne seguì?

— L’introdursi nel clero e nella corte pontificia di un certo spirito paganeggiante. Parve per un momento che la bellezza classica, pericolosamente accolta e festeggiata in veste d’ancella, fosse per assidersi come sovrana, in seno alla Chiesa di Dio.

D. Che cosa si ebbe?

— Un periodo tanto oscuro per la santità della disciplina ecclesiastica quanto splendido per un fiorire d’opere d’arte immortali.

D. Che cosa verrà poi a richiamare parte dell’alto clero dalle regioni dell’Olimpo alla triste realtà?

— La bufera del luteranesimo, che lo farà correre ai ripari, onde salvare i l salvabile, mediante la grande Riforma Tridentina.

IL SAVONAROLA

Cacciato Piero de’ Medici, la repubblica di Firenze ebbe breve durata e fu difesa nei primi tempi dal domenicano « GIROLAMO SAVONAROLA », nemico dei costumi guasti e corrotti.

I seguaci del frate erano detti per dileggio «piagnoni » come quelli che piagnucolavano sui peccati degli uomini. Suoi avversari erano:

1) i «palleschi» così chiamati dallo stemma a palla dei Medici;

2) gli «arrabbiati » fautori del governo oligarchico;

3) i « compagnacci » che amavano la vita carnevalesca;

4) il papa Alessandro VI, i cui scandali erano stati biasimati dal frate;

5) e i Francescani che mal tolleravano il disprezzo del Savonarola alle censure ecclesiastiche.

Uno di questi ultimi, Francesco di Puglia, assalì dal pulpito il ferrarese come impostore e lo sfidò ad un giudizio di Dio. Domenico Buonvicini, discepolo del Savonarola, accettò la sfida ed intendeva passare sul rogo con il Crocifisso in mano e l’Ostia consacrata. L’opposizione del francescano e la pioggia impedirono la barbara prova e si generò un tumulto; assalito il convento dì San Marco, il Savonarola, il Buonvicini e frate Silvestro Maruffi caddero in mano degli avversari e, dopo un processo sommario, furono impiccati ed arsi. A torto il Savonarola fu giudicato un precursore di Lutero; egli fu « un cattolico puro », bramoso di riformare i costumi del clero e non i dogmi religiosi.

I PAPI DEL RINASCIMENTO

D. Tra i Papi, chi fu il primo fautore del Rinascimento?

— Fu Nicolò V (1447 – 1455). Egli intese di fare di Roma il centro degli studi d’Europa, il focolare della cultura classica per assicurare alla Chiesa che il nuovo movimento letterario rimanesse in perfetta armonia con lo spirito cristiano,

D. Chi chiamò a Roma?

Una folla di artisti, di letterati e di dotti, che sosteneva regalmente con ogni sorta di soccorsi. Fondò anche la Biblioteca Vaticana.

D. Anche i suoi successori coltivarono l’arte, la letteratura ecc.?

Sì, pur non dimenticando la difesa della Cristianità dai Turchi, come fece Callisto  III (1455 – 1458), che li fermò al Danubio in Serbia (1456). Così pure Pio II e Sisto IV, per quanto l’opera loro approdasse a poco, a motivo delle discordie dei principi cristiani.

D. Quale difetto si comincia a notare nei Papi di questo periodo in avanti?

— Il nepotismo, che talora ne oscura la fama e che preparerà la rivoluzione religiosa del sec. XVI.

D. Che dire di Alessandro VI?

— La sua vita privata fu macchiata di gravi manchevolezze, ancorché gli avversari gli abbiano attribuite tante colpe che di fatto non commise.

D. Quale fu la sua colpa maggiore ?

Quella di aver lasciato troppo braccio al figlio Cesare Borgia, il famoso Duca Valentino, che, a forza d’astuzie e di delitti, riuscì ad impadronirsi di molte città delle Marche e della Romagna.

D. Come pontefice tuttavia come si diportò?

— Bene; poiché difese la libertà della Chiesa, propugnandone la purezza della dottrina, inviando missionari nelle terre scoperte proprio in quegli anni da Cristoforo Colombo, promovendo la vita religiosa e il culto della Madonna.

D. Che dimostra la sua vita scandalosa?

— Dimostra come anche nella Chiesa non manchi purtroppo l’elemento umano, capace di recarle serio pregiudizio, ma non mai di comprometterne l’esistenza, la quale poggia sull’assistenza divina.

D. Chi tra i Papi di questo tempo è ricordato tra gl’ingegni più originali del Rinascimento?

— Il famoso Giulio II (1503 – 1513), che chiamò a Roma Raffaello e Michelangelo, e fece gettare al Bramante le fondamenta della nuova Basilica di S. Pietro, « l’impresa architettonica più colossale dei tempi moderni ». Sulla sua tomba troneggia il Mosè di Michelangelo.

D. A chi s’intitola il secolo d’oro del Rinascimento, cioè il ‘500?

A Leone X (1513-1521), grande mecenate, ma per glorificare più la sua famiglia (i Medici di Firenze) e le proprie gesta, che la Chiesa.

D. Fu felice Leone X nella politica?

— No, per i suoi ondeggiamenti tra Carlo V e Francesco1, che lo fecero poi piegare verso Carlo V.

D. Capì almeno l’importanza e la gravità dell’eresìa luterana?

— Neppure; essa scoppia nel 1517 e si propaga con incredibile celerità.

L’IDEA RIPARATRICE (8)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (8)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale; Torino-Roma – Casa Editrice MARIETTI 1926]

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO III

CAPO SECONDO (1)

LA VITA PERFETTA E LA RIPARAZIONE.

Simona Denniel, la suora di Maria Riparatrice, che noi abbiamo testè citata, morta ancor giovane dopo un lunga e dolorosa infermità ottenuta da Dio come ricompensa dei suoi ardenti desideri, il 4 novembre 1910 scriveva: « Questa mattina, protraendo il ringraziamento alla S. Comunione per ripetere a Gesù che io desideravo ardentemente essere la sua piccola ostia, mi venne in mente ch’Egli forse andava cercando molte ostie… e che sarebbe certo una grande cosa il gettare nelle anime il germe del desiderio di diventare ostie. Pregherò dunque e soffrirò a questo fine che Dio moltiplichi le sue ostie, quelle vere, pure, generose e sante ». – Vi sono infatti delle anime che non si contentano del sacrifizio « a piccole dosi ». Sì sono trattenute troppo a mirare il loro Gesù sulla Croce, hanno misurato con troppa esattezza la profonda miseria del prossimo per non sentire ambizione di diventare anch’esse con Gesù per il bene delle anime come un « riscatto » e ciò nel massimo grado posatale, cioè vittime ». – Questa parola nel linguaggio ordinario ha un certo qual significato che umilia, che spiace. Si dirà più volentieri «sacrificarsi » che « esser vittima »; quest’ultima espressione non si circonda come la prima di una aureola di gloria. Se si dice: « Il sacrifizio dei nostri soldati in guerra », noi intendiamo qualche cosa di eroico: se parliamo delle vittime della guerra non si vede la gloria dell’impresa ma soltanto il dolore provato nel compierla. Tuttavia in sostanza le due espressioni si riferiscono alla medesima realtà di cose; non vi ha sacrifizio senza vittima. Ma sacrificarsi dice anzitutto slancio di affetto, dono di sé, immolazione volontaria, o almeno volontariamente accettata; mentre « esser vittima » lascia supporre facilmente che la pena si subisce un po’ per forza, si sopporta con malanimo, vedendo in essa più che un castigo meritato, una ingiustizia e una persecuzione. È da deplorare che questa parola si prenda spesso in così cattivo senso, e noi non la useremo che escludendo del tutto questo significato indegno del Cristiano. Nella nostra trattazione non significherà «ricevere a malincuore » ma piuttosto « darsi a cuor contento ». Per certe anime, l’abbiamo già detto, non basta rassegnarsi, sottomettersi, esse cercano, vogliono trovare la Croce, e quando finalmente l’hanno trovata, fuor di sé per la gioia esclamano con Andrea l’Apostolo: « O bona Crux! » e la abbracciano e se la stringono al seno e con risoluzione, nonostante lo scricchiolare delle ossa e il ripugnare di tutta la natura, come Gesù, per amore e per la Redenzione del mondo, si stendono sulle due traverse nodose e si offrono al martello che le configgerà, liete nel soffrire, sul legno infame insieme e glorioso. – Noi troviamo fra gli scritti intimi di una giovine (Morta nel 1918 a 29 anni. Essa verso la fine di sua vita dava a sé il nome di « consummata ») ricolma da Dio di grazie, elette, la seguente confidenza: « Una volta Nostro Signore mostrandomi i suoi dolori mi fece comprendere che me lì avrebbe dati tutti a soffrire. Io sapevo bene che non avrei potuto contenerli tutti come aveva fatto Egli stesso, ma compresi che ne sarei rimasta sempre ricolma. Se il mio patimento non avrebbe potuto essere grande come Lui. certo sarebbe stato almeno grande come me ». E aggiungeva: « il mio calice è pieno ma vorrei averne uno più grande ». Esser « ostia », che bel sogno! Sogno strano che non riescono a spiegare quelli che non comprendono le grandi cose, che cioè hanno il cuore piccino. Esser « ostia ». Sogno folle? No, ma sapienza sublime! Sogno forse alla portata di poche anime se per viverlo questo sogno fa d’uopo di grandi virtù e di copiose grazie? No. questo sogno può esser raggiunto da molti più che non si pensi; non tutti sanno parlare, scrivere, insegnare, ma chi non potrà imparare l’arte di soffrire e di sacrificarsi? Già altrove (Ames réparatrices, p, 10), abbiamo fatto notare questo doppio carattere apparentemente contraddittorio della riparazione: Vocazione per l’una parte « difficilissima fra tutte », perché esige assolutamente una rinunzia totale; vocazione per l’altra parte « accessibile a molti » meglio che non si possa immaginare, perché assicurata quest’intima e completa rinunzia, tutto il resto non conta per nulla. In altre parole: È vero che per sacrificarsi come « ostie » nel senso che abbiamo spiegato è necessaria una grazia speciale che il Signore non fa a tutti, ma è certo pure che il Signore tale grazia speciale la concede alle anime sue care ben più spesso che noi non supponiamo. – E qui specialmente va ricordato quanto già abbiamo detto dell’obbligo di consultare non soltanto le ispirazioni della grazia, ma ancora i doveri del proprio stato e il consiglio di un buon direttore spirituale. Offrirsi come vittime è cosa che deve durare a lungo, e per impegnarsi così per l’avvenire in cosa di tanta importanza non basta un fervore sensibile passeggero, uno slancio di divozione, una parola data in istato di consolazione spirituale. Il patimento, quando non è che immaginato, non fa ancora soffrire; quando invece è vissuto allora sì che grava sulle nostre spalle. Ai piedi del Crocifisso e da lontano la parola: « Vittima » sembra scritta a lettere d’oro; da vicino, nella realtà, è scritta a lettere di sangue. Non che domandi sempre il martirio della carne, ma comprende sempre, in tutte le ipotesi, una buona dose di tribolazioni, che quando ci vengano a colpire sconcertano una troppo semplice presunzione. – Fatta questa osservazione, diceva il vero Mgr. D’Hulst scrivendo ad una persona un po’ mondana : « La dottrina delia riparazione noi la troviamo sempre al fondo di ogni vera vita interiore. Ogni vita interiore quando sia vera conterrà implicitamente in ogni caso normale il desideri più o meno sentito di esser ostia ». Ogni vita interiore vera dunque, non solamente nei chiostri, ma anche nel mondo. Certamente la vita religiosa — e noi l’abbiamo già notato — specialmente negli Istituti che della Riparazione fanno un oggetto primario della loro attività, è come il campo più appropriato, ma non unico, allo sviluppo della vocazione speciale di « ostia » . Ma. la Dio mercé, può darsi benissimo, e si dà veramente, come già abbiamo constatato, che nel mondo e sotto le apparenze d’una vita di mondo vivano molte anime profondamente riparatrici. La persona a cui scriveva Mgr. D’Hulst era allora una di queste anime. Nelle tre lettere del 19 novembre 1880, 18 gennaio e 4 ottobre 1895, egli le spiegava meglio il suo pensiero: « Molto vi ha da riparare nel mondo e, diciamolo pur anche e soprattutto nel Santuario e nei chiostri. Nostro Signore aspetta un compenso dalla parte di quelle anime che non hanno abusato di certe sue grazie più scelte… Quale afflizione alla vista di tanti scandali! Solo il pensiero che possiamo riparare ce ne può diminuire l’amarezza. Prendere sopra di sé l’espiazione è rassomigliare a Colui di cui fu detto: Vere languores nostros ipse tulit. Se noi fossimo ben penetrati di questo pensiero, senza cercar grandi penitenze, non faremmo noi ben altra accoglienza alle contrarietà e alle amarezze della vita? ». Poi indica più chiaramente il modo di riparare: « Bisogna riparare per mezzo delle lagrime del nostro cuore, della fedeltà, della pazienza, per mezzo d’una profonda religione, e dell’amore. Bisogna riparare ricorrendo a Maria Santissima ed ai Santi, coll’offerta dei loro meriti, della loro virtù e del loro amore. Bisogna riparare colle nostre pene, colle nostre impotenze rassegnate, colle nostre oscurità, colle nostre angosce, colle nostre debolezze, coi nostri abbattimenti e dire: tutto questo va bene, io lo voglio, non c’è nulla di troppo fin qui: è meglio che sia così, e che io serva come le legna da bruciare per l’olocausto: se io non sono capace a fare da sacrificatore, se non so esser vittima, che io sia almeno quel pezzo inerte che altri abbrucia e consuma alla gloria di Dio » (Vie, t. II, p. 523). Olocausto, ecco il motto finale. Olocausto cioè sacrifizio, non sacrifizio qualunque, ma sacrifizio completo, ove tutta la vittima è sacrificata, nulla è risparmiato; sacrifizio totale. Fra gli atti di culto, di religione, il sacrifizio costituisce il più perfetto, il più glorioso a Dio, il più meritorio per l’uomo perché è la testimonianza più significativa che l’uomo possa rendere alla Sovrana Maestà di Dio, la protesta più solenne che egli possa fare della sua completa dipendenza al cospetto della potenza assoluta dell’Altissimo. – « Le parole — osserva il P. Ramière — non sono che un rumore che passa, che spesso rimane a fior di labbra. I sentimenti del cuore non sono intesi che da Dio e benché il loro linguaggio sia più sincero che quello delle labbra, non è tuttavia a riparo dall’illusione. Ma quando la creatura dà mano alla propria distruzione per onorare il Creatore, allora riconosce in modo efficace che Egli è il principio della sua vita e l’arbitro supremo dei suoi destini. E in questa distruzione di sé consiste propriamente il Sacrifizio. « Il Sacrifizio non è soltanto la testimonianza delle parole, o dei sentimenti, o delle azioni; è la testimonianza di tutta la vita, cioè della morte » (La Divinisation du Chrétien, p. 369). Quando il sacrifizio diventa olocausto raggiunge i limiti estremi di quanto l’uomo può dare: al di là di una simile immolazione radicale non c’è più nulla. Però la difficoltà non è propriamente nel darsi così senza riserve una volta e come in blocco, ma piuttosto, quando già ci si è dati cosi tutto in una volta e in blocco, nel non riprendere in diverse volte e a poco a poco quello che in un fascio era stato gettato sul rogo. La storia delle continuate « rapine nell’olocausto » è talmente umana anche in mezzo a quelli che hanno una virtù solida e una volontà risoluta! E il Signore permette che l’amor proprio tenti sempre qualche offensiva perché non manchino mai le occasioni di acquistarsi qualche merito. Se bastasse l’aver fatta l’offerta una volta sola la cosa sarebbe veramente troppo comoda. Ripetere l’offerta ogni giorno e molte volte al giorno — e sempre l’offerta totale — questo è propriamente offrirsi in olocausto. In pratica, cercando in tutto e sempre il beneplacito del Signore, come faceva Gesù Cristo, il cui cibo era appunto il compiere incessantemente la volontà del Padre (« … Fatemi trovare, o mio Dio, quell’atto si comprensivo e sì semplice che dia totalmente a Voi quello che io sono, che mi unisca a tutto quello che voi siete… « Tu lo senti già, anima cristiana, Gesù te lo dice in cuore che quest’atto non è altro che l’atto di abbandono con cui l’uomo lascia nelle mani di Dio tutto quello che ha e che è: anima e corpo, in generale ed in particolare Tutto abbandono in Voi, o Signore, fatene quello che volete. Mio Dio, io vi abbandono la mia vita e non soltanto questa che conduco nell’esilio a nella cattività sulla terra ma anche quella dell’eternità. Io rimetto nelle vostre mani la mia volontà, vi rimetto pure il dominio che voi mi avete concesso sulle mie azioni… Tutto vi ho dato; non mi resta più nulla, tutto l’uomo è nelle mani vostre. « Quest’atto si riferisce a tutto quanto è nell’uomo e nello stesso tempo anche a tutto quanto è in Dio. Io m’abbandono in voi, mio Dio! Alla vostra unità per esser una cosa sola con voi, alla vostra infinità, ecc. – « Con quest’abbandono non si cade punto nell’inazione; al contrario noi tanto più diventeremo attivi quanto più saremo guidati dallo Spirito Santo; quest’atto con cui noi ci diamo a Lui e alla sua azione in noi ci mette per così dire i n piena attività per Dio » (BOSSUET: Discorso dell’abbandono in Dio). – Così si vede che « l’abbandono in Dio » ben compreso, sfugge a qualsiasi taccia di quietismo. Sovente siamo ricorsi alle parole di Bossuet nel nostro presente scritto appositamente per evitare ogni ragione a dubitare della sicurezza di dottrina nel soggetto trattato); quello che ci piace non farlo mai « per questo solo » che ci piace; fra due azioni indifferenti eleggere quella che più è contraria al nostro gusto (Quest’impegno, sotto forma di voto, vien detto « Voto del più perfetto ». Come facilmente si può capire, chi voglia pronunziare un tal voto conviene che ne richieda l’approvazione dal Padre suo spirituale, che non la concederà se non a persona di virtù soda, di buon senso ed equilibrata; diversamente è una porta aperta a lutti gli scrupoli e a mille stranezze. In sostanza anche qui, come sempre altrove, « una mente che calcola e un cuore che rifugge da ogni calcolo »; ci vogliono le due cose. Con un cuore generoso, uno spirito saggio e ponderato, questo soprattutto.); nulla tenere per sé delle opere buone che possiamo fare, ma metter tutto a disposizione del Signore, sia per lo scopo particolare di suffragare le anime del Purgatorio (pratica dell’ « Atto eroico ») sia in generale per quelle intenzioni che gli sono più care; dare come in prestito a Gesù che non può più soffrire le nostre immolazioni come l’ostia gli dà in prestito la sua forma e le altre sue esteriorità; lasciare che Egli prenda in noi i patimenti che tanto desidera offrire al Padre per la gloria dell’Adorabile Trinità e per la salute delle anime, tendere a diventare Lui sotto le « apparenze » nostre (Nessuno meglio che Huysmans ha esposto questo pensiero con cui si arriva alle più intime profondità dell’Idea riparatrice: « Il Salvatore non può più soffrire in sé stesso; se vuole patire quaggiù noi può fare che nella Chiesa i cui figli formano il suo Corpo mistico. Queste anime riparatrici che ricominciano gli spasimi del Calvario, che si pongono in Croce nel posto lasciato vuoto da Gesù sono quindi in certo modo le sosie del Figlio di Dio; esse riflettono in uno specchio sanguinante il suo povero Volto; esse fanno di più: esse sole danno al Dio Onnipotente qualche cosa che ora a Lui manca, cioè la possibilità di soffrire ancora per noi: che appagano questo desiderio che è sopravvissuto alla sua morte, desiderio infinito come è infinito l’amore che l’ispira ». Esse possono « fare l’elemosina a questo misterioso Mendicante delle loro lacrime e rimetterlo nella gioia dell’olocausto, gioia che non può più provare altrimenti » – S. Liduina, p. 101): domandare umilmente a Dio. desiderare e cercare, sempre nei limiti della discrezione prima e poi dell’ubbidienza, le più minute occasioni che si presentano per sacrificarsi, aspettando di meglio se così piaccia al divin Maestro: — questo è l’incredibile programma che noi vediamo adottato da certe anime le quali seguono con gioia ardente i diversi impulsi della grazia e le varie sfumature della divozione propria di ciascuna di esse. V’ha chi giunge fino ad impegnarsi con voto di vivere come Vittima. Nelle Costituzioni delle Suore Benedettine dell’Adorazione perpetua — costituzioni approvate in forma speciale dalla S. Sede — al c. 58, § 23, si legge: « Voveo et promitto omni studio servare perpetuam SS. Sacramenti altaris adorationem et cultum, uti victima gloriæ ipsius immolata ». Così abbiamo una conferma autentica da Roma di questa qualità di vittima immolata alla gloria di Nostro Signore (Cf. Vita della fondatrice Mechtilde du Saint-Sacrement di M. HERVIN – Bray. Retaux, 1883). – Sua Santità il Papa Pio X, con rescritto del 16 dicembre 1908 e con breve del 9 luglio 1909, ha concessa l’indulgenza plenaria una volta al mese ai Sacerdoti che in date condizioni facessero un tale voto per la riparazione sacerdotale. Ma voti di questo genere — non meno ardui che quello del « più perfetto » che la Chiesa dichiara esser « arduum » (Oremus di S. Andrea Avellino e lezioni del Breviario nella festa di S. Teresa), ed anche « arduissimum » (lezioni del Breviario nella festa di S. Giovanna di Chantal) — tali voti non si possono, come ben si comprende, né fare né consigliare fuorché alle condizioni già indicate di sapienza, di discrezione, di prudenza e di soggezione al Padre Spirituale. Non è quindi nostro intento discorrerne più a lungo, poiché non abbiamo né competenza né mandato per trattare una questione che riguarda esclusivamente i maestri di vita spirituale di lunga esperienza. Ci contenteremo di aggiungere ancora qualche osservazione generale. A nostro parere la prima condizione in questa materia è di determinare in modo ben chiaro quello che noi intendiamo obbligarci a fare. Le promesse possono passare attraverso ad una gamma variabilissima, ma tutte si possono tuttavia ridurre in pratica a due tipi: Accettare giorno per giorno — con atto previo di rassegnazione — insieme col divin Riparatore, quei patimenti che il Signore nell’ordinaria sua Provvidenza ha previsti per noi nella sua eternità. Questa è una prima maniera di costituirsi « vittima » nelle mani di Dio, e di grande perfezione. Domandare a Dio, per soddisfare ad un desiderio di immolazione più completa, che Egli mandi all’infuori delle disposizioni ordinarie di sua Provvidenza una dose supplementare di patimenti (di corpo, di spirito, di cuore, e anche la morte anticipata). – In quale misura questa seconda maniera di costituirsi « vittima » possa dirsi: 1° possibile; 2° lodevole, sono punti da esaminarsi nei casi singoli con un’attenzione tanto più minuziosa e accurata quanto più la materia è fuori dell’ordinario, quindi più soggetta all’illusione; e con una prudenza tanto più ritenuta, con un « discernimento degli spiriti » tanto più illuminato e più severo, quanto più è prossimo il pericolo che la generosità del cuore confini colla temerità (Il ben noto autore di Jesus intime nell’Introduzione alla Vita della M. Maria Veronica del Cuor di Gesù, fondatrice dell’Istituto delle Suore Vittime del Cuor di Gesù (P. PRÉVOST, S. C. J.), lasciò scritto: « Circa il voto di desiderare i patimenti… converrà mostrarsi severi all’estremo. Difficilmente troverete un tale voto nella vita dei Santi. Alle anime generose che si perdono dietro a tali finezze, alle anime meno generose che le cercano per entusiasmo momentaneo, per Trasporto passeggero noi diremo: Voi farete cosa più utile nel nutrirvi prima di tutto di soda dottrina… studiata non soltanto in simili sottigliezze che turbano e snervano, ma nella distesa della sua ampiezza e nelle ricchezze delle sue cognizioni » – Introduction doctrinale sur l’idée, l’état et le voeu de victime, p. XXVII e XXX, par M. Charles SAUVÉ). – Non si creda però che la Vita di riparazione includa necessariamente o l’uno o l’altro di questi voti: essi tutt’al più in determinati casi possono costituirne come il perfezionamento, la corona: ma non ne sono mai il carattere fondamentale. Essi sono come un maximum, un grado estremo, e nella seconda ipotesi lo diremo un « maximum inedito, fuori quadro ». In che consista propriamente l’essenza della vita di riparazione noi l’abbiamo già detto abbastanza fin qui ((« Talora avviene che Nostro Signore si unisce più intimamente a qualche anima privilegiata e la chiama ad una vita più misticamente intensa, confidandole una missione riparatrice ancor più commovente… Queste sono belle ma rare eccezioni. Possiamo esser felici anche se l’invito del Signore ci chiama soltanto per una strada più umile e più accessibile». DE BRETAGNE: La vie réparatrice, p. 7). – 

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