IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (25)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (25)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 371a.

Concilio II° di Laterano (1139), can. 23:

« Scacciamo dalla Chiesa di Dio e condanniamo per eretici e ingiungiamo che siano puniti dalla potestà secolare coloro che, fingendo zelo religioso, condannano il sacramento del corpo e del sangue del Signore, il Battesimo de’ fanciulli, il sacerdozio e tutti gli altri Ordini ecclesiastici e i contratti di legittime nozze. Intendiamo compresi nella stessa condanna anche i loro difensori » .

(Mansi, XXI, 532).

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. I:

« Anzitutto il sacro Sinodo insegna e professa con schiettezza e semplicità che nell’augusto Sacramento della santa Eucaristia si contiene, dopo la consacrazione del pane e del vino, il Signor nostro Gesù Cristo, vero Dio e uomo, veramente, realmente e sostanzialmente sotto l’apparenza di quegli elementi sensibili. Nè del resto c’è contraddizione che proprio il Salvatore nostro, secondo il modo naturale di esistere, segga in cielo per sempre alla destra del Padre e che nondimeno stia con noi in molti altri luoghi, colla presenza sacramentale della sua sostanza. È questo un modo d’esistere possibile a Dio, per quanto a parole noi non possiamo se non a malapena esprimere: ma col pensiero illuminato dalla fede possiamo giungervi e dobbiamo credervi con perfetta costanza. Difatti anzi gli antenati nostri, quanti vissero nella Chiesa vera di Cristo, ragionando a proposito di questo santissimo Sacramento, professarono apertissimamente che questo mirabile Sacramento fu istituito dal nostro Redentore nell’ultima cena, quando, benedetto il pane e il vino, con eloquenti e chiarissime parole solennemente disse di porgere a coloro proprio il suo corpo e il suo sangue. E siccome queste parole, conservate dai santi Evangelisti e ripetute poi da san Paolo, offrono precisamente e propriamente quel significato, secondo il quale furono intese dai Padri, è davvero un’indegnità vergognosa che da taluni nomini cavillosi e cattivi siano stravolte, contro il pensiero universale della Chiesa, a sensi metaforici fittizi e immaginari, che rinnegano la verità della carne e del sangue di Cristo. Certo è che la Chiesa, quale colonna e fondamento della verità, ha detestato come ispirazione del demonio queste fandonie escogitate da uomini empii, riconoscendo sempre con animo grato e ricordevole questo eccellentissimo beneficio di Cristo ».

Leone XIII, Encicl. Miræ caritatis, 28 maggio 1902:

« Ebbene, siamo mossi e quasi sospinti precisamente dala medesima carità apostolica, la quale vigila sulle vicende della Chiesa ad aggiungere, a quelle già compiute proposte, alche altra cosa, come un perfezionamento loro, vale a dire che si raccomandi vivissimamente al popolo cristiano la santissima Eucaristia, quale dono divinissimo ricercato proprio dall’intimo Cuore del medesimo Redentore, che desiderò ardentemente questa singolare unione cogli uomini: dono fatto apposta per elargire i frutti sanitarissimi della sua redenzione…. « Ora, per rinvigorire e rinfervorar la fede negli animi è opportuno, che niente più, il mistero Eucaristico, detto con esattezza mistero di fede, in quanto che in esso solo si contiene, per un’abbondanza e varietà in certo modo unica di miracoli, tutto il soprannaturale: il Signore pietoso e compassionevole lasciò, come ricordo delle sue meraviglie, un cibo a quelli che lo temono (Salmo CX, 4-5). Difatti Dio volle riferito tutto il soprannaturale all’Incarnazione del Verbo, in grazia della quale il genere umano potesse riacquistare la salvezza, come dice l’Apostolo: Si propose di restaurare in Cristo, proprio in lui, le cose tutte del cielo e della terra (Agli Efes., I , 9-10); ora l’Eucaristia, secondo il pensiero de’ santi Padri, deve considerarsi come una certa quale continuazione e un’amplificazione dell’Incarnazione, dacché in virtù di essa la sostanza del Verbo incarnato s’unisce a ciascun uomo e si rinnova miracolosamente il supremo sacrificio del Calvario. Così profetò Malachia: Dappertutto è sacrificata e offerta in mio onore una vittima pura (I, 11) ».

(Acta Leonis XIII, XXII, 116, 122).

DOMANDA 372a

Concilio di Trento: Vedi D. 371.

DOMANDA 373a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. 4:

« Poiché Cristo redentor nostro dichiarò che è davvero suo corpo ciò che offriva sotto apparenza di pane, fu persuasione sempre della Chiesa di Dio, che ora di nuovo questo santo Sinodo ribadisce, che, per la consacrazione del pane e del vino, avviene la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo Signor nostro e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del sangue di lui; e questa conversione fu convenientemente e con esattezza chiamata Transustanziazione dalla santa Chiesa cattolica ».

S. Giustino, Apologia I , 66:

« E questo cibo si chiama da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparvi, se non crede alla verità de’ nostri insegnamenti e non è stato purificato dal lavacro istituito per la remission de’ peccati e la rigenerazione, e non viva come Cristo insegnò. Perché non prendiamo questi come un comun pane o una comune bevanda; ma come Gesù Cristo salvator nostro, fatto carne per il Verbo di Dio, rivestì carne e sangue per amor della nostra salvezza, così siamo ammaestrati che è carne e sangue appunto di Gesù incarnato quel cibo, sul quale furono rese grazie con la preghiera contenente proprio le parole di lui: cibo, in grazia del quale il nostro sangue e le nostre carni sono per trasmutazione alimentate. Difatti gli Apostoli nelle loro memorie, che sono i Vangeli, insegnarono che così fu comandato da Gesù; quando, cioè, preso il pane, dopo aver reso grazie, dichiarò: Fate ciò in memoria di me; questo è il mio corpo; e similmente, preso il calice e rese grazie: Questo — disse — è il sangue mio. E ad essi soli lo affidò ».

(P. G., 6, 427 s.).

S. Efrem, In Hebdomadam Sanctam, IV, 4. 6:

« Gesù Signor nostro prese nelle mani un pane, dapprima puro e semplice e lo benedisse, lo segnò e santificò nel nome del Padre e dello Spirito, lo spezzò e distribuì a’ suoi discepoli a bocconi, nella sua benignità; dichiarò corpo suo vivo il pane e lo riempì di sè stesso e dello Spirito; poi, porgendo colla mano, diede ad essi il pane, che la sua destra aveva santificato: Ricevete, mangiate tutti di questo, che è stato santificato dalla mia parola. Non giudicate pane quel che ora vi ho dato; prendete, mangiate questo pane, non lasciatene disperder le briciole; quest’è davvero quel che ho chiamato corpo mio. Un frammento duna sua briciola ha potenza di santificare migliaia di migliaia e basta per dar vita a ognuno che ne mangia. Prendete, mangiate con fede, senza il minimo dubbio che quest’è il mio corpo; e chi lo mangia con fede, mangia, in esso, fuoco e spirito. Ma chi lo mangia dubitoso, diventa per lui semplice pane; invece chi mangia con fede il pane consacrato nel mio nome, se è puro, puro si conserva, se peccatore, vien perdonato. Chi poi lo trascura o disprezza od offende, stia pur certo che offende il Figlio, il quale lo dichiarò ed effettivamente lo rese corpo suo.

« Dopo che i discepoli ebbero mangiato il pane nuovo e santo e capirono per fede d’aver mangiato, con esso, il corpo di Cristo, Cristo continuò a spiegare e a consegnare tutto il Sacramento. Prese e versò vino nel calice, poi lo benedisse, lo segnò e santificò, dichiarando ch’era sangue suo, destinato ad essere sparso…. Cristo li invitò a bere e spiegò loro ch’era suo sangue ciò che nel calice bevevano: Quest’è il vero mio sangue, eh’è sparso per tutti voi; prendete, bevetene tutti, perché il testamento nuovo è nel mio sangue. Come avete visto far me, così voi farete in mia memoria. Quando, in qualsiasi luogo, vi radunerete nella Chiesa in mio nome, fate in mia memoria quel che ho fatto io; mangiate il mio corpo e bevete il mio sangue, testamento nuovo e antico ».

(Lamy, 1. c., I , 416, 422).

S. Atanasio, Fragmenta sermonis cuiusdam ad Baptizatos:

« Vedrai le viti portar i pani e il calice del vino e deporli sulla mensa. E fino a che non sono state fatte ancora le preghiere e le invocazioni, non c’è altro che pane e calice. Ma, dopo fatte le grandi e mirabili preghiere, allora il pane diventa corpo e il calice sangue del Signor nostro Gesù Cristo…. « Veniamo al compimento de’ misteri. Questo pane e questo calice prima delle preghiere e delle suppliche non hai nulla fuor della propria natura, ma, pronunciate le grandi preghiere e le sante suppliche, il Verbo discende nel pane e nel calice e si fa suo corpo ».

(P. G., 26, 1326).

S. Cirillo di Gerusalemme, Cathecheses, XXII (mist. IV), 2-3. 6. 9; XXIII (mist. V), 7:

« Anche da sola questa istituzione del beato Paolo (I Cor., XI, 23) è più che sufficiente per assicurare la vostra fede circa i divini misteri, de’ quali voi fatti degni, siete diventati

concorporei e consanguinei di Cristo. Difatti egli proclamava testé: Ciò che in quella notte nella quale era consegnato, ecc. Orbene, dopo ch’egli in persona ha detto e dichiarato del pane: Quest’è il mio corpo, chi mai oserà d’or innanzi dubitare? E, dopo ch’egli ha affermato e dichiarato: Quest’è il mio sangue, chi mai avanzerà dubbii per dire che non è suo sangue? « Una volta cangiò, a Cana di Galilea, l’acqua in vino, che è affine al sangue; e lo giudicheremo non degno di fede, quando cangiò il vino in sangue? Invitato a nozze materiali, compì questo miracolo stupendo; e non ammetteremo anche più volentieri che abbia voluto donare il corpo e il sangue suo in godimento ai figli del talamo nuziale? « Perciò con piena persuasione riceviamo (quelli) come il corpo e il sangue di Cristo. Difatti sotto l’apparenza di pane ti è dato il corpo e sotto l’apparenza di vino il sangue nell’intento che, ricevuto il corpo e il sangue di Cristo, diventi proprio a lui concorporeo e consanguineo. Difatti diventiamo così, dopo comunicato il corpo e il sangue di lui alle nostre membra, i portatori di Cristo. Così diventiamo, al dir del beato Pietro, partecipi della natura divina (II di Piet., I, 4). « E perciò non considerarli semplice pane e vino; son davvero corpo e sangue di Cristo, secondo l’affermazione del Signore; e, benché il senso t’insinui quel pensiero, ti faccia fermamente certo la fede. Non giudicar dal gusto, ma sii certo per fede senza esitazione che sei stato fatto degno di questo dono: il corpo e il sangue di Cristo. « Così istruito e radicato nella fede certissima, che non è pane quel che sembra pane, benché sia tale al gusto del senso, ma corpo di Cristo, e che non è vino quel che par vino, benché così sembri al gusto, ma sangue di Cristo, e che a questo proposito sin dai tempi antichi Davide cantava nei salmi: e il pane sostenti il cuor dell’uomo, affinchè risplenda la faccia con l’olio (Ps. CIII, 15), conferma il tuo cuore, ricevendo come spirituale quel pane e rischiara di gioia il volto della tua anima. « Poi, santificati da queste lodi spirituali, preghiamo Dio benigno che piova lo Spirito Santo sulle offerte, di modo che renda proprio corpo di Cristo il pane e sangue di Cristo il vino. Perchè tutto quanto lo Spirito Santo ha toccato, è stato consacrato e tramutato ».

( P . G., 33, 1098 ss., 1114).

S. Giovanni Crisostomo, In Matthæum, LXXXII, 4:

« Rendiamo dappertutto l’ossequio nostro a Dio e non erigiamoci a lui in contraddizione, anche se par contrario alla nostra ragione e al nostro pensiero ciò ch’egli dice, ma sulla nostra ragione e sul nostro pensiero prevalga la parola di lui. Facciamo così anche ne’ misteri, non badando soltanto a quel che cade sotto il senso, ma tenendo fede alle sue parole; difatti la sua parola non può ingannare, mentre s’inganna facilmente il nostro senso; la sua parola non cade mai in fallo, spesso invece il nostro senso. E poiché egli ha detto: Questo è il mio corpo, siamo docili a credere e guardiamo a lui con occhi spirituali. Difatti Cristo non ci ha dato nulla di sensibile, ma nelle cose anche sensibili tutto è spirituale. Così appunto anche nel Battesimo il dono dell’acqua ci è dato pel tramite di cosa sensibile : quello poi che si compie è spirituale, generazione e rinnovamento. Perchè egli t’avrebbe dato schietti e senza corpo que’ doni, se tu fossi incorporeo; ma, perchè l’anima è congiunta col corpo, te li regala spirituali in forma sensibile. Quanti sono quelli che ora direbbero: Avrei voluto vederne la figura, la fisionomia, la veste, i calzari? Ecco: tu lo vedi, lo tocchi, mangi di lui in persona ».

(P. G, 58, 743).

S. Giovanni Damasceno, De fide ortodoxa, IV, 13 :

« È davvero unito alla divinità il corpo, ch’ebbe nascita dalla santa Vergine; non in guisa che ridiscenda il corpo, ch’è stato accolto ne’ cieli, ma perchè proprio il pane e il vino si tramutano in corpo e sangue di Dio. Se chiedi come avvenga ciò, ti basti sapere che avviene in virtù dello Spirito Santo; al modo stesso che il Signore si prese dalla santa Madre di Dio la carne, affinchè in lui precisamente avesse sussistenza, nè altro è a noi chiaro e conosciuto, salvo che la parola di Dio è verace ed efficace e può tutto, ma non possiamo affatto noi scrutarne il modo. Però assurdo non è dire: come con processo naturale il pane mangiato e il vino e l’acqua bevuti si tramutano in corpo e sangue di chi mangia e di chi beve, sicché non diventano altro corpo differente dal corpo suo, che prima esisteva; così, per l’invocazione e l’intervento dello Spirito Santo, si convertono in corpo e sangue di Cristo, con un processo troppo più alto delle forze e della condizione di natura, il pane, che fu preparato nella offerta, e similmente il vino e l’acqua: in modo che non sono affatto due, ma una cosa unica e identica…. Pane e vino poi non sono figura del corpo e sangue di Cristo — si badi bene! — ma proprio il corpo del Signore, congiunto colla divinità, poiché appunto il Signore ha detto: Questo è non figura del corpo, ma il corpo mio, e non figura del sangue, ma il sangue mio…. Che se taluni, come il divin Basilio, chiamarono il pane ed il vino gli antitipi del corpo e del sangue del Signore, così si espressero non dopo la consacrazione, ma prima che l’offerta stessa fosse consacrata. Orbene antitipi son detti di cose che han da essere, non perchè non siano davvero corpo e sangue di Cristo, bensì perchè ora siam fatti partecipi, pel loro tramite, della divinità di Cristo, allora invece coll’intelligeuza, attraverso la pura apparenza ».

(P. G., 94, 1143 ss.).

DOMANDA 374a.

Concilio IV di Laterano (1215), c. I, De fide catholica, contra Albigenses:

« Ebbene, unica è la Chiesa universale de’ fedeli, fuor della quale nessuno si salva affatto, nella quale l’identico sacerdote è anche sacrificio, Gesù Cristo; e il corpo e il sangue di lui son davvero contenuti sotto le apparenze di pane e di vino nel Sacramento dell’Altare, dopo la transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue, per divina potenza; sicché, a compire il mistero di unità, proprio noi riceviamo di suo tutto ciò ch’egli ebbe di nostro ».

(Mansi, XXII, 982).

II Concilio di Lione (1274), Professio fidei Michælis Paleologi.

« La medesima Chiesa Romana forma il Sacramento dell’Eucaristia con pane azimo, credendo e insegnando che nel Sacramento stesso il pane si transustanzia davvero in corpo e il vino in sangue del Signor nostro Gesù Cristo ».

(Mansi, XXIV, 71).

Concilio di Costanza (1414-1418), sess. VIII, prop. 1-3, tra gli errori di Giovanni Wicleff:

« 1. Rimangono nel Sacramento dell’altare la sostanza del pane materiale e similmente la sostanza del vino materiale.

« 2. Nel medesimo Sacramento gli accidenti del pane non rimangono senza soggetto.

« 3. Nel medesimo Sacramento Cristo non c’è identico e reale (nella) propria presenza corporale».

(Mansi, XXVII, 1207).

Concilio di Trento: Vedi D. 371.

Il medesimo, sess. XIII, Decreto sulla Ss. Eucaristia, can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che nel sacrosanto sacramento dell’Eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino insieme col corpo e il sangue del Signor nostro Gesù Cristo; e chi nega quella mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, rimanendo soltanto le specie del pane e del vino: conversione, che la Chiesa Cattolica chiama esattamente Transustanziazione ».

Benedetto XII, Dal libricino Jamdudum, an. 1341:

« Similmente che gli Armeni non affermano che, dopo Transudette le parole della consacrazione del pane e del vino, si sia compiuta la transustanziazione del pane e del vino nel vero corpo e sangue di Cristo, quale nacque dalla Vergine, patì e risuscitò; ma credono che quel Sacramento sia un esemplare, od un’immagine o figura del vero corpo e sangue del Signor e: . . . perciò essi non chiamano il Sacramento dell’altare corpo e sangue del Signore, ma vittima o sacrificio, o comunione ».

(Mansi, XXV, 1189).

Pio VI, Cost. Auctorem fidei, 28 ag. 1794, 29 prop. tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« La dottrina del Sinodo, in quel luogo dove, proponendosi d’insegnare la dottrina di fede circa il rito della consacrazione, si sbriga delle questioni scolastiche concernenti la maniera che Cristo è nella Eucaristia, dalle quali esorta i parroci, che hanno incarico d’insegnare, ad astenersi, ed, esposti questi due soli punti: 1° che Cristo è davvero, realmente e sostanzialmente sotto le specie, dopo la consacrazione; 2° che allora cessa tutta la sostanza del pane e del vino, rimanendo soltanto le apparenze —, tralascia addirittura qualsiasi cenno alla transustanziazione o conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, che il Concilio di Trento definì come un articolo di fede e ch’è contenuta nella solenne profession di fede; in quanto, per via di siffatta inconsulta e sospetta omissione, vien tolta la cognizione così d’un articolo, che riguarda la fede, come anche del vocabolo consacrato dalla Chiesa per proteggerne la professione contro l’eresie; e in quanto perciò mira a farla dimenticare, come si trattasse d’una questione puramente scolastica, la dottrina del Sinodo è perniciosa, si sottrae all’esposizione della verità cattolica, circa il dogma della transustanziazione, è favorevole agli eretici » .

(Bullarii Romani continuatio, ed. di Prato, VI, III, 2712).

DOMANDA 376a

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 1:

« Poiché sotto il vecchio Testamento, come attesta S. Paolo Apostolo, non c’era perfezione, per impotenza del sacerdozio levitico, convenne che sorgesse, per disegno di Dio padre di misericordia, un altro sacerdote dell’ordine di Melchisedecco, il Signor nostro Gesù Cristo, che fosse in grado di sollevare e perfezionare quanti dovevano essere santificati. Egli dunque, Dio e Signore nostro, si sarebbe un giorno sulla Croce, morendovi, immolato al Padre, per operare la redenzione eterna; ma, perchè il suo sacerdozio non doveva estinguersi per la morte, nell’ultima cena, nella notte del suo tradimento, per lasciare alla sua sposa diletta, la Chiesa, un visibile sacrificio, come la natura umana esige, dal quale fosse riprodotto quello di sangue che stava per consumarsi una volta soltanto sulla Croce; inoltre perchè ne restasse memoria sino alla fine del mondo e la sua salutare efficacia fosse applicata in remissione de’ peccati, che noi ogni giorno commettiamo, dichiarando d’essere stato costituito in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco, offerì a Dio Padre, sotto le specie del pane e del vino, il corpo e sangue suo, e sotto le apparenze di essi, ne fece dono, perchè lo ricevessero, agli Apostoli che costituì da quell’istante sacerdoti del nuovo Testamento; e fece loro precetto, e ai loro successori nel sacerdozio, di offrirlo con queste parole: Fate questo in memoria di me ecc., come intese e insegnò sempre la Chiesa Cattolica. Difatti, compiuta la vecchia Pasqua, che gl’Israeliti celebravano per memoria della liberazione dall’Egitto, istituì una Pasqua novella, cioè l’immolazione di sè stesso nella Chiesa, per mano de’ sacerdoti, sotto segni visibili, per memoria del suo passaggio da questo mondo al Padre, allorché ci redense con lo spargimento del suo sangue, ci strappò al dominio delle tenebre e ci trasferì nel suo regno. « Ed è questa la famosa vittima immacolata, che non può esser contaminata da qualsiasi indegnità o malizia di chi offre; quale il Signore predisse per bocca di Malachia che pura sarebbe stata offerta in ogni luogo al nome suo, ch’era per diventar grande fra le Genti; e quale chiaramente indicò l’Apostolo Paolo, scrivendo a’ Corinzii, quando dichiarava che chi è contaminato dalla partecipazione alla mensa de’ demonii non può farsi partecipe alla mensa del Signore (cfr. I ai Cor., X, 21); intendendo in entrambi i vocaboli, per mensa, l’Altare. Questa è finalmente la vittima prefigurata per via dei vari simboli di sacrifizi, al tempo della natura e della Legge; in quanto comprende tutti i benefici da quelli significati, come compimento e consumazione di essi tutti ».

Il medesimo, ib., can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che Cristo con quelle parole: Fate questo in memoria di me, non istituì sacerdoti gli Apostoli, oppure che non ordinò ad essi e agli altri sacerdoti che offrissero il corpo e sangue suo ».

DOMANDA 379a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, c. 3:

« La santissima Eucaristia questo ha in comune con gli altri Sacramenti, d’essere un simbolo di cosa sacra e un segno visibile della grazia invisibile; ma in essa è eccellente e singolare che, mentre gli altri Sacramenti hanno virtù di santificare solamente quando uno se ne giova, invece nella Eucaristia, anche prima di riceverla, c’è l’autore in persona della santità: difatti gli Apostoli ancora non avevan ricevuto dalla mano del Signore l’Eucaristia ed Esso appunto affermava in verità ch’era suo corpo quel che offriva; e sempre rimase nella Chiesa questa fede che, subito dopo la consacrazione, sotto l’apparenza del pane e del vino, esiste il vero corpo di nostro Signore e il suo vero sangue insieme coll’anima e divinità di lui stesso; però il corpo, in forza della significazione delle parole, sotto l’apparenza del pane e il sangue sotto l’apparenza del vino: ma lo stesso corpo sotto l’apparenza del vino, e il sangue sotto l’apparenza del pane e l’anima sotto l’una e l’altra in forza della naturale connessione e concomitanza, per cui sono congiunte tra loro le parti di Cristo Signore, ormai risorto da morte per non più morire; inoltre la divinità per la mirabile unione ipostatica col corpo e coll’anima. È perciò verissimo che sotto l’una o l’altra o sotto ambedue le specie c’è l’identico contenuto, perchè tutto e intero è Cristo sotto la specie del pane, come sotto qualsiasi frammento di essa; e tutto similmente sotto la specie del vino e le parti di essa.

« Can. 3. Sia scomunicato chi nega che tutto Cristo sia contenuto nel venerabile Sacramento dell’Eucaristia, sotto ciascuna specie e sotto le singole parti di ciascuna specie, se è avvenuta separazione ».

DOMANDA 382a.

Concilio di Firenze, Decretum prò Græcis:

« Che, parimenti, si consacra veracemente il corpo di Cristo con azimo, o pane fermentato di frumento; e che i sacerdoti devono consacrare nell’uno o nell’altro lo stesso

corpo del Signore, ciascuno conforme alla consuetudine della sua Chiesa, sia occidentale, sia orientale ».

(Mansi, XXXI, 1031).

Il medesimo, Decretum prò Armenis:

« Terzo è il Sacramento dell’Eucaristia e sua materia è il pane di frumento e il vino di vite, al quale dev’essere mescolato, prima della consacrazione, un pochino d’acqua. E l’acqua vi si mescola perchè, secondo le attestazioni de’ santi Padri e Dottori della Chiesa, riferite prima durante la discussione, si crede che il Signore stesso abbia istituito questo Sacramento col vino mescolato con acqua. Poi perchè conferisce alla rappresentazione della passion del Signore. Difatti il beato Alessandro, quinto papa dopo il beato Pietro, dice: « Nell’offerta, fatta a Dio durante la Messa, del Sacramento si offra soltanto pane e vino mescolato con acqua. Non si deve infatti infondere nel calice o solo vino o sola acqua, ma l’uno e l’altra mescolati, perchè si legge che l’uno e l’altra, cioè sangue e acqua, stillò dal fianco di Cristo » . Inoltre anche perché conferisca a significar l’effetto di questo Sacramento, cioè l’unione del popolo cristiano a Cristo. Infatti l’acqua significa il popolo, come dice l’Apocalisse: Acque molte…. molti popoli (Apoc, XVII, 15). E Papa Giulio II dopo il beato Silvestro dice: « Si deve offrire il calice del Signore, stando alla prescrizion de’ canoni, con vino mescolato di acqua, perchè intendiamo essere indicato nell’acqua il popolo e nel vino il sangue di Cristo. Dunque, quando nel calice si mescola l’acqua col vino, si riunisce il popolo a Cristo e si congiunge e stringe a colui, nel quale crede, la turba de’ fedeli » . Dunque poiché sia la S. Romana Chiesa, istruita dai Ss. Apostoli Pietro e Paolo, sia le altre Chiese de’ Latini e de’ Greci, nelle quali s’illustrarono i luminari d’ogni santità e dottrina, così osservarono fin dalla nascita della Chiesa e così osservano tuttora, sembra davvero sconveniente che qualunque altra regione si stacchi da questa universale e ragionevole osservanza. Perciò decretiamo che anche gli Armeni si conformino con tutto quanto il mondo cristiano: che i loro sacerdoti mescolino al vino, come s’è detto, un pochino d’acqua nell’offerta del calice ».

(Ib., 1056).

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 7:

« Inoltre il santo Sinodo ammonisce che fu prescritto dalla Chiesa ai sacerdoti di mescolare, all’offertorio, acqua col vino, sia perchè si crede che Cristo Signore così abbia fatto, sia perchè dal suo fianco uscì acqua insieme col sangue, sacro ricordo che con questa mistura viene richiamato; e poiché nell’Apocalisse del beato Giovanni acque son detti i popoli, si raffigura l’unione del popolo stesso fedele col capo Cristo ».

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis :

« Forma di questo Sacramento son le parole del Salvatore, colle quali istituì questo Sacramento: difatti il sacerdote compie questo Sacramento, in quanto parla nella persona di Cristo. Perchè, in virtù appunto delle parole, la sostanza del pane si converte in corpo di Cristo e la sostanza del vino in sangue; però in tal guisa che tutto Cristo esiste contenuto sotto la specie del pane e tutto sotto la specie del vino. E anche sotto qualsiasi parte dell’ostia consacrata e del vino consacrato, dopo la separazione, c’è Cristo intero. Effetto di questo Sacramento, ch’esso opera nell’anima di chi lo riceve degnamente, è l’unione dell’uomo a Cristo. E siccome per la grazia l’uomo s’incorpora a Cristo e si unisce alle sue membra, ne consegue che, in chi lo riceve degnamente, la grazia per opera di questo Sacramento s’accresce; e, rispetto alla vita spirituale, opera questo Sacramento ogni effetto del cibo e della bevanda materiale rispetto alla vita del corpo, col sostentarla, accrescerla, guarirla, riempirla di diletto. Difatti, come dice Papa Urbano, in esso noi rinnoviamo grato ricordo del nostro Salvatore, per esso siam preservati dal male, confortati al bene, aiutati efficacemente ad accrescere le virtù e la grazia » .

(Mansi, 1. c.).

DOMANDA 385a

Concilio IV di Laterano (1215), c. I, De fide catholica, contra Albigenses:

« Ora, unica è la Chiesa universale de’ fedeli; e in essa il sacerdote in persona è anche il sacrificio, Cristo Gesù, del quale nel Sacramento dell’altare si contengono sotto le specie

del pane e del vino il corpo e il sangue, dopo la transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue, per potenza divina ».

(Mansi, XXII, 982).

Concilio di Trento: Vedi D. 376.

S. Ireneo, Adversus hæreses, IV, 17, 5:

« Pertanto, volendo dare anche un consiglio a’ suoi discepoli, di offrire a Dio le primizie delle sue creature, non come n’avesse bisogno, ma perchè non siano, a suo riguardo, né indifferenti nè ingrati, prese quello che nella creazione è il pane e rese grazie, dicendo: Questo è il mio corpo (Matt., XXVI, 26). E similmente dichiarò suo sangue il vino, qual è nella creazione comune anche a noi; e insegnò il nuovo sacrificio del nuovo Testamento. E la Chiesa, ricevutolo dagli Apostoli, ne fa offerta a Dio in tutto il mondo, a Dio che fornisce gli alimenti, come primizia de’ suoi doni nel nuovo Testamento, del quale Malachia, tra i dodici profeti, aveva profetato così: Non sono ben disposto, dice il Signore onnipotente, verso di voi e non accetterò sacrificio dalle vostre mani; perchè dall’oriente all’occidente il mio nome tra i popoli è glorificato e dappertutto si offre incenso al mio nome e un sacrificio puro, perchè grande è il mio nome tra le Genti, dice il Signore onnipotente (Mal., X, 11); è chiarissimo da queste parole che il primo popolo cesserà le sue offerte a Dio e dappertutto invece si offrirà una vittima pura a Lui, e il nome di Lui è glorificato fra le Genti » .

( P . G., 7, 1023).

DOMANDA 386a.

Concilio di Trento: Vedi D. 376.

S. Gregorio Magno, Dialogus, IV, 58:

« Specialmente questa vittima salva l’anima dalla morte eterna, perchè essa misteriosamente rinnova per noi la morte dell’Unigenito, il quale sebbene risorgendo da morte più non muore e la morte non ne avrà dominio (Ai Romani VI, 9), pure, vivendo in se stesso immortale e incorruttibile, s’immola di nuovo per noi in questo mistero del santo sarrMcio. Infatti lì si riceve il suo corpo, la sua carne si distribuisce per la salvezza del popolo, il suo sangue vien versato non tra le mani degl’infedeli, ma nella bocca de’ fedeli. Perciò riflettiamo qual è per noi questo sacrificio, che per nostra assoluzione riproduce perpetuamente la passione del Figlio unigenito.

(P. L. 77, 425)

DOMANDA 387a

Concilio di Trento: Vedi D . 379.

DOMANDA 388°

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 2:

« E poiché in questo divin Sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e s’immola incruento quel Cristo medesimo, che una volta s’immolò cruento sull’ara della Croce, il santo Sinodo insegna che questo Sacrificio è veramente propiziatorio; e per sua virtù avviene che, se ci accostiamo a Dio con cuore sincero e retta fede, con timore e riverenza, contriti e pentiti, otteniamo misericordia e la grazia di un aiuto opportuno. Il Signore infatti, placato da quest’offerta, col concedere la grazia e il dono del pentimento, perdona colpe e peccati anche enormi; difatti unica è la vittima e la medesima e chi offre ora pel ministero de’ sacerdoti è il medesimo, che allora si sacrificò sulla Croce, diversificando soltanto il modo della offerta. E i frutti di quel cruento sacrificio si ricevono abbondantissimamente per mezzo di questo incruento, tant’è vero che questo non deroga in qualsiasi modo a quello. Perciò è offerto legittimamente, conforme alla tradizione degli Apostoli, non soltanto per i peccati, le pene, le sodisfazioni e le altre necessità de’ fedeli viventi, ma per i morti nel Cristo, ancora non interamente purificati ».

DOMANDA 389a.

Concilio di Trento: Vedi D . 388.

DOMANDA 390a.

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses XXIII, (mist. V), 10:

« Se un re relegasse in esilio gente da cui è stato offeso e poi quelli, a’ quali questa gente appartiene, composta una corona, l’offrissero al re per i proprii disgraziati da lui puniti, non condonerebbe forse il re a loro que’ supplizio? Così pure noi per i defunti, anche se son peccatori, offrendo preghiere a Dio, non intrecciamo una corona, ma offriamo Cristo immolato per i nostri peccati, intendendo soddisfare e propiziare per noi come per loro Dio clemente ».

(P. G., 33, 1118).

DOMANDA 392a.

Concilio di Trento, sess. 22, Del sacrificio della Messa, can. 5:

« Sia scomunicato chi dirà che è un’impostura celebrare la Messa in onore de’ Santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come intende la Chiesa ».

DOMANDA 393a.

Concilio di Trento, sess. 22, Del sacrificio della Messa, cap. 6:

« A dir vero il sacrosanto Sinodo desidererebbe che a ciascuna Messa i fedeli, che assistono, partecipassero con amore di spirito non soltanto, ma anche col ricevere l’Eucaristia sacramentalmente, affinchè così provenisse a loro più abbondante il frutto di questo santissimo Sacrificio: tuttavia, se ciò non avviene sempre, non perciò condanna quelle Messe nelle quali soltanto il sacerdote comunica sacramentalmente, come private e illecite, ma le approva, anzi le raccomanda: inquantochè anche quelle Messe hanno da esser considerate pubbliche, parte perchè il popolo vi partecipa spiritualmente, parte perchè son celebrate da un pubblico ministro della Chiesa, non solamente per sè, ma per tutti i fedeli che appartengono al corpo di Cristo ».

DOMANDA 394a.

Pio VI, Costit. Auctorem fidei, 28 ag. 1794, prop. 30 tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« Una dottrina del Sinodo dichiara di « credere che l’offerta del sacrificio s’estende a tutti, però in guisa che nella liturgia può essere fatta speciale memoria di alcuni tanto vivi quanto morti, supplicando Dio in modo particolare per essi »; poi subito soggiunge: « però non crediamo che sia ad arbitrio del sacerdote l’applicare i frutti del sacrificio a chi gli pare; anzi condanniamo quest’errore come assai lesivo de’ diritti di Dio, il quale solo distribuisce a chi vuole i frutti del sacrificio e secondo quella misura che proprio a lui piace »; sicché logicamente gabella per « falsa l’opinione invalsa tra il popolo che chi offre un’elemosina al sacerdote, col patto di dirgli una Messa, ne ricava un frutto speciale ». Tal dottrina, intesa nel senso che, oltre alla speciale commemorazione e orazione, quell’offerta particolare, ossia applicazione del sacrificio, fatta dal sacerdote, non giovi di più, a pari condizioni, per coloro, in favore de’ quali è applicato, che per altri qualsiasi, come se dalla speciale applicazione non derivasse nessun frutto speciale, che la Chiesa raccomanda e prescrive di fare per determinate persone o classi di persone, specialmente ai pastori per i loro greggi: conseguenza logica d’un precetto divino, espressamente formulata dal sacro Concilio di Trento (sess. XXIII, cap. II, sulla riforma; Bened. XIV, Costit. Cum semper oblatas, § 2): è falsa, temeraria, dannosa, ingiuriosa verso la Chiesa, e conduce all’errore altra volta condannato in Wicleff ».

(Bullarii Romani continuatio, 1. e, 2712 s.).

DOMANDA 397a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla Santissima Eucaristia, cap. 2:

« Dunque il nostro Salvatore, prima di ritornare da questo mondo al Padre, istituì questo Sacramento, nel quale per così dire die fondo alle ricchezze del suo divino amore verso gli uomini, lasciando un memoriale de’ suoi miracoli. (Salm. CX, 4); e, nel riceverlo, comandò che richiamassimo il ricordo di lui e ne annunciassimo la morte, fino a che verrà egli stesso a giudicare il mondo (I. Ai Cor., XI, 26). E volle che questo Sacramento fosse ricevuto come un cibo spirituale dell’anima, col quale si nutrono e confortano coloro che vivono la vita di lui, il quale proclamò: Chi mangia di me quello vivrà per amor mio (Gio., VI, 58), e come un contravveleno, col quule ci liberiamo dalle colpe d’ogni giorno e ci preserviamo dalle mortali. Inoltre volle che fosse un pegno della gloria avvenire dell’eterna felicità: e perciò simbolo di quel corpo, del quale è capo Egli stesso e al quale ci volle congiunti quali membra: con vincolo strettissimo di fede speranza e carità, sicché tutti fossimo concordi e non ci fossero tra noi divisioni (I ai Cor. I, 10) ».

S. Ignazio Martire, Epist. ad Magnesios, 20:

« …. Voi tutti quanti siete uniti, per la grazia, nell’unica fede e nell’unico Gesù Cristo (figlio dell’uomo, secondo la carne, dalla stirpe di Davide e figlio di Dio) per obbedire al vescovo e ai sacerdoti con animo concorde, spezzando l’unico pane, ch’è farmaco d’immortalità e contravveleno per non morire, anzi per viver sempre in Gesù Cristo ».

(P. G., 5, 662).

S. Ireneo, Adv. hæreses, V, 2, 3:

« E come la pianta di vite, deposta nel tempo fruttifica e il grano di frumento, cascando al suolo e dopo marcito, sboccia molteplice per virtù di Dio, la quale siili estende a tutte le cose, che poi vengono utili all’uomo grazie alla sapienza, e, ricevuta la parola di Dio, diventano l’Eucaristia, corpo e sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, da, essa nutriti, dopo la deposizione e la dissoluzione sottoterra risorgeranno a suo tempo nella gloria di Dio Padre, perchè il verbo di Dio dà loro la risurrezione».

(P. G., VII, 1127).

S. Giovanni Crisostomo, In Joann., XLVI, 3:

« Poi, allo scopo di congiungerci a sè non soltanto per via d’amore, ma realmente colla sua carne, effetto del cibo ch’egli donò per dimostrare di quanto grande amore ci ama, si mescolò a noi e si costituì tutto in un sol corpo, cosicché noi fossimo come un corpo unico, congiunto al suo capo ».

(P. G., 59, 260).

Il medesimo, In I Corinth., XXIV, 2:

« Poiché noi, moltitudine, siamo un sol pane e un sol corpo. Cos’è infatti, dico, la comunione? Noi siamo appunto quel corpo. Infatti cos’è il pane? Corpo di Cristo. E che cosa diventano quelli che comunicano? Corpo di Cristo; non una moltitudine di corpi, ma un corpo solo. Come infatti, benché consti di molti granelli, il pane forma una unità dove i granelli non più compariscono, eppure esistono, ma per l’unione non se ne vede la distinzione; così noi siam congiunti reciprocamente e con Cristo. Difatti non è l’uno nutrito d’un corpo e l’altro d’un altro, ma tutti da un medesimo ».

(P. G., 61, 200).

DOMANDA 399a.

S. Giovanni Crisostomo, In Matthaeum, LXXXII, 5:

« Pensa quanto ti sdegni contro il traditore e contro quelli che crocifissero Cristo: bada dunque di non renderti colpevole tu stesso del corpo e del sangue di Cristo. Quelli trucidarono un corpo sacro, tu lo ricevi con anima sporca dopo tanti beneficii. Difatti non gli bastò di farsi uomo, d’essere schiaffeggiato e immolato, ma volle accomunarsi a noi; ci costituì suo corpo non soltanto per via di fede, ma nella realtà. Quanta dunque dovrebb’essere la purezza di colui, che si giova di questo Sacrificio! »

(P. G., 58, 743).

DOMANDA 400a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. 7:

« Se a chicchessia è sconveniente accostarsi non devotamente a qualsiasi sacra funzione, senza dubbio quanto più è conosciuta all’uomo cristiano la santità e la divinità di questo Sacramento, tanto più attentamente gli convien evitare di accostarsi a riceverlo senza grande riverenza e pietà, specie se ricordiamo le parole dell’Apostolo, piene di terribilità: Chi mangia e beve da indegno, mangia e beve la sua condanna, non distinguendo il corpo del Signore (I ai Cor., XI, 29). Perciò a chi vuol comunicarsi è bene ricordare quel precetto di lui: L’uomo si renda degno (ibid.). Ora il costume della Chiesa mette in chiaro che è necessaria tal degnità nel senso di non accostarsi alla sacra Eucaristia colla coscienza del peccato mortale, per quanto il fedele creda di esser pentito, tralasciando di premettere la Confessione sacramentale: tal dovere questo sacro Sinodo ha deciso che debba esser osservato, come da tutti i Cristiani, così pure da que’ sacerdoti ai quali per ministero incombe di celebrare, salvo che non ci sia un confessore; che se, per urgente necessità, il sacerdote celebra senza prima confessarsi, è tenuto a confessarsi quanto prima ».

DOMANDA 405a.

S. Congregazione del Concilio, Decret. Sacra Tridentina Synodus, 20 dic. 1905, Sulla Comunione quotidiana:

« Si procuri che alla santa Comunione vada innanzi una accurata preparazione e segua poi un conveniente ringraziamento, secondo le forze, la condizione, gli uffici di ciascuno ».

( Acta Apost. Sedis, I I , 896).

DOMANDA 406a.

S. Basilio, Regolæ brevius tractatæ:

«Domanda 172: Con qual trepidazione o persuasione di animo o affetto abbiamo da ricevere il corpo e il sangue di Cristo?

« Risposta: La trepidazione ce l’insegna l’Apostolo, quando dichiara: Chi mangia e beve da indegno, mangia e beve la sua condanna (I ai Cor., XI, 29); e la perfetta persuasione risulta dalla fede nelle parole del Signore, che disse: Questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi; fate ciò in memoria di me (Luc., XXII, 19).»

(P. G., 31, 1195).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (26)

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (1)

F. CAYRÉ:

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (1)

Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania

Nulla osta per la stampa Catania, 7 Marzo 1957

P. Ambrogio Gullo O. P. – Rev. Eccl.

Imprimatur

Catanæ die 11 Martii 1957

Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.

CAPITOLO I

I PRIMI TESTIMONI DELLO SPIRITO NELLA CHIESA

I veri testimoni dello Spirito Santo

Con tale espressione designiamo in modo particolare i Padri della Chiesa. Distinguiamoli bene dagli Apostoli, senza dimenticare i punti di contatto, numerosi e importanti, che a questi li collegano. – Gli Apostoli sono essenzialmente i testimoni del Dio vivente. S. Pietro, nel Cenacolo, desiderando completare il numero simbolico di dodici col rimpiazzare il traditore Giuda, mette anzitutto come condizione l’eventuale candidato al titolo di Apostolo abbia conosciuto personalmente Gesù Cristo. – Che egli sia, dice il capo dei Dodici, « di questi uomini che sono stati insieme con noi per tutto quel tempo in cui il Signore Gesù è vissuto, è andato e venuto con noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui di mezzo a noi fu assunto » (Act. I, 21-22). Titolo incomparabile! I Dodici ebbero l’insigne privilegio di vivere nell’intimità dell’Uomo-Dio come nessuno al mondo vi è vissuto, all’infuori di Maria. In un certo senso la loro condizione ha persino  superato quella della Vergine, perché essi hanno ascoltato discorsi che non sono stati pronunciati davanti a lei, anche se Gesù gliene aveva trasmesso in precedenza la sostanza attraverso una sublime via spirituale. Egli ha compiuto davanti ai Dodici degli atti per mezzo dei quali i grandi misteri della Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione dovevano essere rivelati e trasmessi all’intera umanità. Dio non si è rivelato al mondo che attraverso i Dodici ed è la loro testimonianza che ha valore ufficiale. – S. Paolo non ha certamente visto il Cristo sulla terra ma ha il titolo di Apostolo per eccellenza, associato persino a S. Pietro, nel culto che la Chiesa gli rende da secoli. E questo perché anche lui testimone dell’Uomo-Dio, prima nell’atto stesso della sua conversione, in cui il Cristo, abbattendolo, gli si rivelò in persona: « Sono Gesù Cristo che tu perseguiti » (Act., 1, 5); e più tardi nelle rivelazioni che ebbe, poiché molte ne riferisce nelle sue Epistole, e gli Atti menzionano vari favori soprannaturali che fanno del convertito di Damasco un vero testimone di Dio. Se non ha visto il Cristo nella sua condizione terrena, lo ha visto spiritualmente nella sua gloria ed è a questo titolo che egli è Apostolo. Altri discepoli, fuori dei « Dodici » sono stati talvolta chiamati Apostoli, per il fatto che generalmente anch’essi, avevano conosciuto il Salvatore e potevano rendere testimonianza della sua azione, ma l’uso è piuttosto ristretto. La Didaché parla anche di missionari itineranti, chiamati Apostoli, che pare non siano stati necessariamente testimoni oculari del Cristo; ma la loro importanza è minima ed essi non contano nella gerarchia apostolica. Solo i testimoni ufficiali, raggruppati dal Cristo durante la sua vita o poco dopo la sua resurrezione, sono veramente Apostoli, e la loro influenza diretta continua fino alla fine dello stesso secolo, nella persona di S. Giovanni. – L’epoca patristica comincia con i primi scrittori cristiani, molti dei quali hanno conosciuto S. Giovanni, se non addirittura S. Pietro: essi ci si presentano con un’altra caratteristica essenziale: quella di testimoni dello Spirito Santo nella Chiesa. Il Cristo, salendo al Cielo aveva promesso agli Apostoli di realizzare ben presto la promessa che aveva loro fatta di un altro se stesso, un consolatore, una guida, un avvocato. La promessa fu mantenuta e il giorno di Pentecoste, dell’anno 30, inaugurò una nuova fase nella storia del Testamento Divino: la fondazione della Chiesa per mezzo dell’azione dello Spirito Santo. Gli Apostoli non ne furono soltanto gli Spettatori, ma gli organi. Cosicché, dopo essere stati i testimoni del Dio Incarnato, divennero da quel momento « I testimoni dello Spirito » che agiva nella Chiesa. Privilegiati della grazia, adempirono a questa duplice missione fino alla morte, che, secondo la tradizione, aggiunse alla testimonianza il sigillo del sangue. – È quésta seconda testimonianza degli Apostoli che doveva essere più tardi riservata più particolarmente  ai Padri, poiché nessuno, fra essi, aveva visto il Cristo in persona. Tuttavia, sul punto particolare dell’azione esercitata dallo Spirito nella Chiesa, gli scritti dei primi discepoli del Salvatore hanno essi stessi fornito una ricca documentazione, che occorre ricordare per sommi capi, perché sarà la sorgente principale alla quale attingerà largamente la pietà cristiana fin dall’antichità. – Tutti gli scritti apostolici hanno certamente evocato questa azione, ma quelli di S. Paolo e di S. Giovanni sono particolarmente ricchi in questo campo, se si è potuto parlare della mistica di questi due Apostoli, raggruppando soprattutto i testi delle loro opere che ne sono la sorgente o la manifestazione (J. Huby: Mystiques paulinienne et johannique Parii, 1946). Non è qui del resto la sostanza del messaggio cristiano?

Gli Apostoli, precursori dei Padri

Il Cristianesimo è essenzialmente un mutuo dono di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, attraverso l’azione dello Spirito Santo. È la vita stessa di Dio portata all’umanità del Verbo fatto carne: « A quanti lo accolsero, ai credenti nel suo nome, diede il diritto di diventare figli di Dio; i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini ma da Dio sono nati ». S. Giovanni scriveva queste cose verso la fine del primo secolo; condensava in queste parole « nati da Dio », non soltanto i ricordi della sua intimità personale con Gesù Cristo durante tre anni, ma quelli delle esperienze di tre quarti di secolo in quegli ambienti cristiani d’Oriente, in Siria e in Asia Minore, così profondamente imbevuti del pensiero di S. Paolo. Quel pensiero che egli stesso in qualche modo personificava e che i Padri ricevettero dalle sue mani come una eredità sacra. – I primi scritti del Cristianesimo mostrano i loro autori preoccupati di fare un larghissimo posto all’azione dello Spirito Santo. Nemmeno i Vangeli sinottici, la cui funzione era solo di evocare, davanti ai Cristiani che vivevano ancora in un ambiente pentecostale, la vita terrestre del Salvatore, e soprattutto la sua attività pubblica, hanno omesso questo aspetto superiore. Esso domina dall’alto, in due di questi Vangeli, il sermone della montagna attraverso le beatitudini: i Padri ne faranno una realizzazione propria dello Spirito Santo. San Giovanni vi insisterà ancor di più, soprattutto nel discorso dopo la cena: lì, tutto è ordinato alla promessa dello Spirito Santo, la cui venuta esige il sacrificio di Cristo e la sua dipartita per il Cielo: la Pentecoste esige un tal prezzo. – Le Epistole riecheggiano largamente la dottrina del Vangeli. San Pietro è, secondo gli Atti, il primo testimone ufficiale di questa azione dello Spirito, nel momento stesso in cui essa comincia a manifestarsi in pubblico, con la Pentecoste. Egli cita la profezia di Gioele, ma le sue parole ne evocano altre, che diverranno famose. S. Pietro stesso sarà, fra i ministri dello Spirito Santo, quello posto più in alto, nelle prime cristianità, e non è senza emozione che di ciò si trova menzione sobria ma decisa sia nelle sue Epistole che nei discorsi. Nella II Epistola, egli collega questa azione dello Spirito Santo al commovente ricordo della Trasfigurazione e questa evocazione ne dimostra l’importanza che assumeva ai suoi occhi; « perché non furono pronunziate per umano volere le profezie, ma ispirati dallo Spirito Santo parlavano i santi uomini di Dio ». – San Paolo metterà, più di ogni altro, l’accento su queste dottrine. Egli ha, senza dubbio, insistito molto sui danni del peccato originale, in modo particolare nell’Epistola ai Romani, (c. V e VII). Ma generalmente si separano troppo questi testi da quelli del capitolo VIII, splendido omaggio all’azione dello Spirito nel bazzettato: non solo, egli dichiara che il peccato è distrutto, ma che una vita nuova si stabilisce nel Cristiano (VIII, 1-11): essa gode di favori celesti fino all’intimità in questa vita (12-27) e garantisce una vita eterna di felicità (28-39). Queste pagine sulle virtù teologali sono un’eco del magnifico elogio che ne aveva fatto l’Apostolo, l’anno precedente, nella sua prima lettera ai Corinti (XIII, 1-13). – Il Cristiano dovrebbe avere sempre presenti alla memoria questi testi; essi erano l’anima delle direttive date dall’Apostolo a proposito dell’azione dello Spirito Santo nelle comunità. È lo Spirito che dà al battezzato la forza necessaria per lottare contro la carne ed i suoi appetiti; è mediante lo Spirito che, a poco a poco, l’amore diventa una forza che trasforma la Legge, nella misura in cui l’uomo sa conformarvisi. Allora, l’ubbidienza al comandamento non viene tanto dal di fuori quanto dal di dentro, grazie allo Spirito Santo che ci è stato donato. E questa espansione dello Spirito è, essa pure, una larga partecipazione alla vita divina stessa, a quella vita posseduta pienamente dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Tale è la dottrina che costituirà per secoli la sostanza dell’insegnamento patristico. – Le Epistole di San Giovanni, e in particolare la prima, danno tutto il loro significato ai testi del suo Vangelo sullo Spirito Santo designato qui col nome di Unzione, per fissare i suoi legami con colui che è egli stesso « l’Unto » per eccellenza, il Cristo. Per tre volte, San Giovanni gli dà qui questo titolo (I, 11, 20 e 22). Tale insistenza è in funzione sia della verità che viene dal Cristo, sia della carità che è la caratteristica propria dell’Apostolo, carità verso il prossimo e verso Dio. Ma l’accento è messo con maggior decisione sull’origine divina della dottrina che penetra con forza nello spirito e nel cuore: « Quanto a voi, dimori in voi l’Unzione che da lui avete ricevuta e così non avete bisogno che alcuno vi ammaestri perché l’Unzione di lui vi insegna tutte le cose, ed è verace e non ha menzogna (11, 27).

Il tema centrale della patristica

Ecco infatti, precisamente, la nota patristica per eccellenza: i primi scritti cristiani ci introducono in un ambiente saturo di vita divina, frutto del battesimo e animato dall’azione dello Spirito Santo, nel quale Cristo continua a governare la Chiesa. In realtà, i Padri sono i primi spirituali della cristianità. Troppo spesso oggi vien dimenticato questo aspetto della loro personalità. Si vede anzitutto in loro dei testimoni della fede, ardenti apologisti, polemisti, creatori persino di scuole nel senso moderno della parola, col rischio di falsare la loro vera personalità, se si trascura quanto è essenziale, cioè la vita soprannaturale. È questa che nelle loro opere è veramente fondamentale e che bisogna mettere in primo piano. Non si tratta di trascurare la fede, ma non bisogna separarla dalla carità che ne è l’anima, secondo, la parola di San Paolo, che ricordava ai Galati: «In Cristo Gesù, ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione ma la fede operante per la carità » (Gal. V, 6). – Questa verità elementare è ammessa da tutti nella Chiesa sul piano dei principi. In realtà, tuttavia, è raro che le si dia tutta l’importanza che merita quando descrivono i tempi antichi e, ancora di più quando si arriva ai periodi più recenti. Troppo spesso la Chiesa viene considerata sotto aspetti multipli, ma dispersi, che impediscono ogni visione profonda dell’insieme in coloro che non vi sono attratti da una forza speciale. È questo, precisamente, un punto debole al quale vorremmo rimediare con la presentazione di testi antichi essenziali in questo campo. ‘ – I doni dello Spirito Santo possono esserne il centro, poiché i Padri stessi ne hanno dato moltissime descrizioni. Essi li presentano come una forza divina superiore, che anima il Cristianesimo autentico e gli infonde un’intensa vitalità, sotto ogni punto di vista, sul piano della dottrina come sul piano dell’azione. D’altronde i due aspetti sono, in essi, generalmente uniti in modo indissolubile: questo è uno dei caratteri salienti della Chiesa primitiva e rimarrà dominante per dei secoli. È forse qui che il periodo patristico trova il suo carattere specifico più marcato. È quindi d’immenso interesse mettere in luce questa dottrina, non solo considerandola da un punto di vista teorico o letterario, ma ponendola nell’antico quadro vitale, sia della cristianità in genere, sia della anima cristiana singola, la quale risponde con generosità ai richiami della grazia. – D’altronde, i centri di intenso fervore sono numerosi nell’antichità, anche al di fuori dei chiostri, ed è possibile trovare su questa strada preziose indicazioni riguardanti la vita profonda delle cristianità primitive. Le stesse opere dottrinali hanno una nota spirituale che è un’eco dell’ambiente; più ancora, evidentemente, i sermoni o i trattati religiosi. Possono scaturirne vere illuminazioni, purché si badi un poco a rilevarle. Ci limitiamo qui a indicare le sorgenti più abbondanti sul tema speciale dei doni dello Spirito Santo, schematizzati nell’elenco compilato da Isaia a proposito dell’annunciato Messia. Non che tutto si riduca a questo piccolo documento, ma esso può servire a raggruppare molti testi patristici che toccano le vette più alte della vita spirituale. Per questo l’elenco ha un grande interesse. Molto tempo prima di Cristo, si parla nel Vecchio Testamento dello Spirito di Dio come principio di illuminazione morale o intellettuale, profetica o artistica. Con i Salmi ed i Libri Sapienziali, la nota religiosa e morale passa al primo piano, e diventa preponderante negli ambienti ferventi, poco prima della venuta di Cristo. – Il testo d’Isaia ha un ruolo importantissimo, ma non esclusivo. Verso l’anno 50 a. C., uno dei Salmi detti di Salomone, il XVII al v. 37, riproduce presso a poco l’elenco d’Isaia il cui testo è ben conosciuto: « Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse, Un fiore verrà su da questa radice; E sopra di lui riposerà Io Spirito del Signore Spirito di Sapienza e di intelletto, Spirito di consiglio e di fortezza; Spirito di scienza e di pietà. Lo riempirà lo spirito del timor di Dio (Is., XI, 12). – Anche se la parola timore, che nella Scrittura traduce tante sfumature, non esprime nulla di nuovo, il fatto di esser ripetuto nella conclusione indica che si suol completare il numero « sette », che risponde ad una pienezza; è un elemento questo che bisogna tener presente soprattutto qui. Tutta la tradizione cristiana, fondata sui molteplici settenari dell’Apocalisse (I e V), lo interpreterà in questo senso, con una unanimità che fa legge (V. A. Gardeil, « Dons du Saint-Esprit », i n D. T. coll. 1749-1751).

Fonti delle dottrine sullo Spirito Santo

Questi testi dell’antico Testamento furono messi pienamente in luce dai Padri, grazie a S. Paolo e a S. Giovanni, la cui influenza fu assolutamente decisiva fin dai primi secoli. Questi due Apostoli rappresentano d’altronde, nonostante il loro fondamentale accordo, numerose sfumature che è bene mettere in rilievo, perché si ritroveranno nei Padri, secondo i doni accordati ad ognuno e secondo la loro missione nella Chiesa. L’insistenza su Cristo, sia in San Paolo che in San Giovanni, non deve farci dimenticare il posto che entrambi fanno allo Spirito Santo nelle esortazioni che rivolgono ai fedeli nelle loro Epistole. – Come San Paolo, San Giovanni ha proclamato la dottrina dell’azione universale dello Spirito nei Cristiani, e ha preparato remotamente la sua diffusione tra i Padri. Questa dottrina divenne così comune, in quella forma settenaria che ne è l’espressione corrente. San Giovanni non ha parlato dei sette doni, ma ha moltiplicato i richiami al numero sette nell’Apocalisse, parlandò delle sette Chiese, dei sette candelabri, delle sette stelle, dei sette spiriti divini, e più tardi collegherà le sue misteriose profezie a sette sigilli, sette trombe, sette segni e sette coppe, altrettante occasioni per evocare i sette doni enumerati da Isaia: ben presto si stabilirono dei legami fra gli uni e gli altri. Assumendo il numero sette per le attività dello Spirito Santo, Agostino non farà che fissare una regola cui si ispirava la letteratura religiosa già da molti secoli e la cui origine divina sembrava ormai indiscutibile.

« Spirituali e mistici dei primi tempi »: questo titolo potrebbe essere preso in senso stretto come criterio di scelta fra gli antichi scrittori ecclesiastici. Ma, così facendo, introdurremmo nell’antichità cristiana una categoria mentale che essa ignorava. Rischieremmo di restringere troppo l’argomento, e, forse, di tagliarlo fuori dalle sue vere fonti di ispirazione. In realtà, tutti gli antichi scrittori ecclesiastici, durante gli ottocento anni che vanno dalle ultime decadi del I secolo alla metà del IX, possono essere considerati come « spirituali » e « mistici », se si prendono queste parole in senso largo, e questa accezione risponde bene alla denominazione di Padri che diede loro l’antichità a partire dal secolo V e che è loro rimasta. La si è progressivamente estesa fino al VII sec, poi all’VIII e anche alla prima parte del IX; ma l’estremo limite è là. Infatti, questa denominazione di Padri, presa in se stessa, risponde bene a una preoccupazione spirituale e designa gli organi qualificati dello Spirito Santo nel Corpo Mistico di Cristo. La parola risale alle origini della Chiesa, benché sia divenuta corrente solo in seguito ai Grandi Concili, che provarono il bisogno di affermare l’adattamento delle nuove formule di fede al contenuto delle esposizioni tradizionali, specialmente sulla divinità del Cristo e sulla sua umanità. Designava pure, poiché allora non si separavano questi due aspetti di una realtà vivente, l’autorità degli stessi uomini in quanto concerne le regole della vita cristiana e particolarmente le più alte. – Fra queste regole, legate al dogma, ma di alta portata vitale, quelle che toccano l’unione personale delle anime con Dio presero un rilievo straordinario fin dal II secolo, e più ancora nel III e IV. La sapienza ne è l’aspetto più saliente, ed essa implicava già una vera intimità con Dio, frutto di una altissima conoscenza e di un ardente amore, attribuiti, l’uno e l’altro, ad una azione superiore della grazia. Tutti i grandi Dottori ne beneficiarono, ma il più eminente di essi, in questo come in molti altri campi, è Sant’Agostino; e in lui noi ascoltiamo non soltanto la voce dell’antica Chiesa di Occidente, ma anche di quella d’Oriente di cui il grande Dottore conobbe certamente le grandi tendenze spirituali attraverso Sant’Ambrogio, fervente discepolo dei mistici alessandrini. Egli stesso poi fu maestro incomparabile della vita interiore. – Questo misticismo non era mai isolato, negli antichi, da altre attività interiori della vita cristiana; ne era piuttosto l’anima e il sostegno. Bisogna discernerlo con cura fra le molteplici attività cui essi si dedicavano, per seguire le indicazioni della Provvidenza nei fatti che richiedevano il loro intervento, o nelle vaste  meditazioni che la pietà ispirava loro. La teologia, la filosofia stessa vi trovavano spesso il loro alimento, e non lo si deve dimenticare studiandole. Non bisogna né attaccarsi a queste discipline al punto di trascurare la profonda ispirazione religiosa che ne era spesso il principio animatore, né disdegnarle, col pretesto di andare più in profondità fino al midollo divino che ne è la forza animatrice. – È questa forza interiore che deve essere tenuta maggiormente in considerazione da ogni vero Cristiano che affronta i Padri, ed è ad essa soprattutto che vogliamo rivolgere la nostra attenzione in quest’opera, breve riassunto di studi generali sul pensiero dei Padri. Tuttavia l’insistenza sullo Spirito non è possibile e non può essere utile se non si ha una visione abbastanza precisa dell’insieme di quest’opera letteraria che forma la Patristica. Ne daremo qui un quadro molto sommario, ma indispensabile per classificare bene i diversissimi dati dottrinali di cui dobbiamo fare la sintesi. Potremo distinguervi senza sforzo tre gruppi abbastanza distinti: gli iniziatori, nei tre primi secoli; i grandi pensatori, dei sec. IV e V, da Sant’Atanasio a San Leone Magno (+ 461); i continuatori, dal 461 all’843. – I tre primi secoli sembrano essere un periodo preparatorio, quando li si paragona al prestigio di cui dovevano godere i grandi Dottori del IV sec. Esso è infatti fondamentale, perché fissa le basi sulle quali si eleverà l’imponente edificio spirituale ulteriore. Indubbiamente, anche su questo punto, questo o quel Padre del gran secolo avrà la preminenza; però malgrado alcune lacune, che non bisogna del resto esagerare, i primi Padri hanno, generalmente, un sapore evangelico molto marcato che proviene, senza dubbio, dal contatto più diretto coi tempi apostolici, o da un’azione provvidenziale più accentuata in favore della Chiesa nascente e perseguitata. – I grandi pensatori dell’antichità cristiana si trovano nel periodo che va dalla pace di Milano, 313, alla morte di San Leone, 461, tosto seguita dalla caduta definitiva dell’Impero d’Occidente. Questi centoquaranta anni, che formano, per noi. il gran secolo patristico, non sono, come spesso si crede, un periodo di riposo e di facile trionfo. Invece di essere esteriore, il combattimento per la fede si svolge ora dentro la Chiesa stessa ed è quindi ancora più grave. La Provvidenza divina vi provvede appunto suscitando un maggior numero di uomini superiori che faranno trionfare l’ortodossia tradizionale e cattolica. Alcuni di questi Dottori ebbero una certa funzione pubblica, come San Basilio di Cesarea, San Cirillo d’Alessandria in Oriente, Sant’Ambrogio in Occidente, ma sarebbe ingiusto vedere in essi delle personalità politiche; essi sono anzitutto uomini di Chiesa, così come lo furono San Giovanni Crisostomo e Sant’Agostino, il cui carattere eminentemente soprannaturale è indiscusso. Tutti, malgrado le modalità di azione imposte dalle circostanze, furono uomini di Chiesa e organi dello Spirito Santo. I loro continuatori, dal V al IX secolo, hanno avuto evidentemente meno splendore: le grandi indagini dottrinarie si chiudono con il papa San Leone. Gli scrittori degli ultimi secoli patristici hanno avuto provvidenzialmente il merito di serbare il deposito sacro, ricevuto dagli Apostoli attraverso la Chiesa. Il Papato, in Occidente, deve maggiormente prendere in mano la direzione della Chiesa e San Gregorio il Grande è il modello più perfetto di questa sublime azione della Chiesa e dello Spirito Santo, per mezzo di lei, nel mondo. In Oriente, la Chiesa bizantina, ridotta sempre più dalle conquiste persiane e arabe, si lega strettamente all’impero, senza rompere i legami con Roma soprattutto grazie ai monaci, grandi difensori del culto integrale di Cristo, della Madonna e delle immagini, tre veri centri del loro trionfante misticismo.

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (2)

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (24)

CATECHISMO CATTOLICO

A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (25)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 291a.

S. Giovanni Crisostomo, In Genesim, XXX, 5:

« Gran bene è la preghiera. Difatti, se uno parlando ad un uomo fornito di virtù, ne percepisce non piccolo vantaggio, di quanto gran beni non godrà colui, il quale parlerà con Dio? Difatti la preghiera è un colloquio con Dio…. A dir vero, non può egli esaudirci prima che lo preghiamo? Eppure, per questo egli differisce di esaudirci e aspetta, per cogliere l’occasione di renderci degni giustamente della sua provvidenza ».

(P. G., 53, 280).

DOMANDA 298a

S. Agostino, In Joann., CVII, I:

« Dobbiamo ora trattare di questa parola del Signore: In verità, in verità vi dico: se chiederete al Padre qualche cosa in mio nome, ve la darà. (Gio., XVI, 23). È già stato detto nei punti precedenti di questo discorso del Signore — in considerazione di chi chiede qualche cosa al Padre in nome di Cristo, ma non riceve — che non si chiede nel nome del Salvatore quel che non si chiede in ordine alla salvezza. Difatti quando dice In nome mio s’ha da intendere che dica non una serie di lettere o di sillabe, ma ciò che è significato precisamente dal suono delle parole e che con quel suono si comprende rettamente e veracemente, Di conseguenza chi sente di Cristo ciò, che non si deve sentire dell’unico Figlio di Dio, non chiede in nome di lui, anche se pronuncia materialmente, con lettere e sillabe, la parola Cristo: dal momento che chiede in nome di colui, a cui pensa, quando chiede. Ma chi pensa quel che ha da pensarsi di lui, chiede proprio in nome di lui: e riceve quel che chiede, e non chiede in contrasto colla sua eterna salute. Ma riceve quando deve ricevere. Certe cose ifatti non sono ricusate, ma si differiscono per concederle a tempo opportuno. Così appunto s’ha da intendere ciò che dice: Darà a voi: perchè con queste parole si vedano significati que’ beneficii, che spettano propriamente a quelli che chiedono. In verità tutti i Santi sono per se stessi esauditi, ma non per tutti gli amici o nemici loro o altri qualsiasi: non indifferentemente fu detto Darà, ma Darà a voi ».

(P. L., 35, 1896).

DOMANDA 313a.

Concilio di Trento: Vedi D. 189.

DOMANDA 322a.

Leone XIII, Encicl. Adiutricem populi, 5 sett. 1895:

« Si palesa splendidamente il mistero della singolare carità di Cristo verso di noi, anche dal fatto che morendo egli volle lasciare la Madre sua per madre al discepolo Giovanni col memorabile testamento: Ecco il tuo figlio. Ora Cristo designò in Giovanni, come fu sempre pensiero della Chiesa, la persona del genere umano, specialmente di coloro che per la fede aderirebbero a lui. Su questo pensiero dice S. Anselmo di Canterbury: « Che cosa di più degno può immaginarsi che tu, Vergine, sii madre di coloro, di cui Cristo volle essere padre e fratello? » (Preghiera 47). Ella dunque di questo compito singolare e laborioso si assunse il carico e morì da magnanima, dopo i sacri auspicii del Cenacolo ».

(Acta Leonis XIII, XV, 302).

Pio X, Encicl. Ad diem illum, 2 febbr. 1904:

« Non è forse madre di Cristo Maria? dunque è anche madre nostra. Difatti ognuno deve ritenere che Gesù, Verbo fatto carne, è anche il salvatore dell’uman genere. Ora, in quanto Dio-Uomo, ebbe un corpo materiale, come tutti gli altri uomini; in quanto poi restauratore dell’uman genere, una specie di corpo spirituale e, come si dice, mistico, ed è la società di coloro, che credono in Cristo. Siamo molti in un unico corpo di Cristo (Ai Rom., XII, 5). Ma la Vergine non concepì il Figlio eterno di Dio soltanto allo scopo che diventasse uomo, assumendo da lei la natura umana; ma anche allo scopo che diventasse, per mezzo della natura assunta da lei, il salvatore degli uomini. Perciò disse l’Angelo ai pastori: È nato a voi oggi il Salvatore, che è Cristo Signore (Luc., II, 11). Nell’unico e medesimo grembo dunque della Madre purissima Cristo, come assunse la carne, così s’aggiunse una specie di corpo spirituale, costituito cioè da coloro ch’eran per credere in lui. Sicché Maria, in quanto ha in grembo il Salvatore, può dire d’avervi portato anche quelli, la vita de’ quali era contenuta nella vita del Salvatore. Tutti dunque, quanti siamo congiunti con Cristo, e che, al dir dell’Apostolo, siamo membra del corpo di lui, della carne e delle ossa di lui (Agli Efes., V, 30), siamo usciti dal grembo di Maria, a modo di corpo intimamente aderente al capo. Onde, per una ragione a dir vero spirituale e mistica, siamo noi chiamati figli di Maria, ed ella è madre di noi tutti. Madre, a dir vero, spirituale… ma davvero madre delle membra di Cristo, che siamo noi. (S. Agost., De sancta virginitate, 6). Se dunque la beatissima Vergine è madre insieme di Dio e degli uomini, chi mai potrebbe dubitare ch’ella non faccia ogni sforzo affinchè Cristo, capo del corpo della Chiesa (Ai Coloss., I , 18), diffonda su noi, sue membra, i suoi doni, specie quello di riconoscerlo e di vivere per lui? (I. di Giov., IV, 9) ».

(Acta Pii X, I, 152).

Benedetto XV, Lett. al Sodalizio di N. Signora della Buona Morte, 22 marzo 1918:

« …. Similmente è chiaro che la Vergine Dolorosa, in quanto che, costituita da Gesù Cristo Madre di tutti quanti gli uomini, li accolse in virtù del testamento d’un amor infinito lasciato a lei e compie con materna bontà il suo ufficio per la loro vita spirituale, non può far a meno di venire in soccorso ai carissimi figli di adozione più sollecitamente in quel momento, nel quale si tratta della loro salvezza e santificazione da confermarsi per l’eternità ».

(Acta Apost. Sedis, X , 182).

Pio XI, Encicl. Rerum Ecclesiæ, 28 febb. 1926:

« Orbene arrida benigna e soccorra ai comuni propositi la Santissima Regina degli Apostoli Maria, che, avendo avuto raccomandati al suo cuore materno tutti quanti gli uomini sul Calvario, aiuta e ama coloro, che ignorano d’essere stati redenti da Cristo Gesù, non meno di coloro, che godono fortunatamente dei beneficii della di lui redenzione ».

(Acta Apost. Sedis, XVIII, 83).

DOMANDA 325A.

Concilio di Firenze, Decretimi prò Armenis:

« Sono sette i Sacramenti della nuova legge: cioè Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio, che differiscono assai dai Sacramenti dell’antica legge. Quelli difatti non conferivano la grazia, ma solamente la raffiguravano come un dono della passione di Cristo: mentre questi nostri come contengono la grazia così la conferiscono a chi li riceve degnamente. Di questi i primi cinque sono ordinati alla spiritual perfezione di ciascun uomo in se stesso, i due ultimi al reggimento e moltiplicazione di tutta la Chiesa. Difatti per mezzo del Battesimo rinasciamo spiritualmente: per mezzo della Cresima cresciamo in grazia e siamo rafforzati nella fede. Rinati poi e rafforzati ci nutriamo del cibo divino dell’Eucaristia. Che se per causa del peccato incorriamo nell’infermità dell’anima, ne siamo risanati spiritualmente per mezzo della Penitenza: spiritualmente e anche corporalmente, in quanto giova all’anima, per mezzo della Estrema Unzione; per mezzo dell’Ordine poi la Chiesa è governata e moltiplicata spiritualmente, per mezzo del Matrimonio è aumentata corporalmente. Tutti questi Sacramenti sono costituiti di tre elementi, vale a dire di oggetti come materia, di parole come forma e della persona del ministro, che conferisce il Sacramento, coll’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa; e, se manca uno di essi, il Sacramento non si compie ».

(Mansi, XXXI, 1054).

Concilio di Trento, sess. VII, Dei Sacramenti in generale, can. 1 e 6:

« Sia scomunicato chi afferma che i Sacramenti della nuova legge non sono stati tutti istituiti da Gesù Cristo, o che sono più o meno di sette, vale a dire: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio, oppure che qualcuno di questi sette non è davvero e propriamente un Sacramento. – « Sia scomunicato chi afferma che i Sacramenti della nuova legge non contengono la grazia che significano, oppure che non conferiscono la grazia stessa a coloro che non vi mettono ostacolo; quasi che fossero segni soltanto esteriori della grazia o della giustizia ricevuta per mezzo della fede e una specie di contrassegno della professione cristiana, per mezzo del quale dinanzi agli uomini si distinguono i fedeli dagli infedeli ».

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 39-41 tra le condannate:

« 39. Le opinioni di cui erano imbevuti i Padri del Concilio di Trento, circa L’origine dei Sacramenti, e che ebbero senza dubbio influenza sui loro canoni dogmatici, sono ben differenti da quelle che ora hanno credito meritamente presso gli storici critici del fatto cristiano.

« 40. I Sacramenti ebbero origine dal fatto che gli Apostoli e i loro successori interpretarono, per la spinta delle circostanze e degli avvenimenti, una semplice idea e intenzione di Cristo.

« 41. I Sacramenti mirano soltanto allo scopo di richiamare in mente all’uomo la presenza sempre benefica del Creatore ».

(Acta Apost. Sedis, XL, 472).

DOMANDA 326a.

Concilio di Firenze, Vedi D. 325.

Concilio di Trento, Sess. VII, Dei sacramenti in generale, can. 11:

« Sia scomunicato chi affermerà che nei ministri, mentre formano e conferiscono i Sacramenti, non si richiede almeno l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa ».

DOMANDA 329a.

Concilio di Firenze: Vedi D . 325.

DOMANDA 331a

Concilio di Trento, sess. VII , Dei Sacramenti in generale, can. 7, 8:

« Sia scomunicato chi dirà che non sempre nè a tutti, ma qualche volta e a qualcuno, per mezzo di questi Sacramenti è data la grazia, per quanto dipende da Dio, anche se li ricevono convenientemente. « Sia scomunicato chi afferma che, per mezzo dei Sacramenti della nuova legge, non è conferita la grazia ex opere operato, ma che basta la sola fede nella divina promessa, a conseguire la grazia ».

S. Agostino, Epist. 98, 2:

« L’unico Spirito, dal quale il presentato viene rigenerato, opera in modo che…. chi ha da essere santificato possa rigenerarsi quand’è presentato, per l’intervento dell’altrui volontà. Difatti non sta scritto: Se uno non sarà rinato dalla volontà dei genitori o dalla fede dei presentatori o dei ministri, ma: Se uno non sarà rinato di acqua e Spirito Santo (Gio., III, 5). Dunque l’acqua conferendo all’esterno il Sacramento della grazia e lo Spirito operando all’interno il beneficio della grazia…. rigenerano nell’unico Cristo l’uomo generato dall’unico Adamo ».

(P. L., 33, 360).

Il medesimo, In Ioann., LXXX, 3:

« Ormai voi siete mondi per la parola che io ho detto a voi » (Gio., XV, 3). Perché non sarà: Voi siete mondi per il Battesimo, nel quale siete stati lavati, ma dice: Per la parola che ho detta a voi, se non perché la parola purifica anche nell’acqua? Togli la parola e che cos’è l’acqua, se non acqua? S’aggiunge la parola all’elemento e si compie il Sacramento, anch’esso come una parola visibile ».

(P. L., 35, 1840).

DOMANDA 337a.

Concilio di Trento, sess. XIV, Del Sacramento della Penitenza, cap. 4:

« Inoltre insegna che, quantunque questa contrizione talvolta accade che sia carità perfetta e che riconcilii l’uomo a Dio, prima che questo Sacramento sia attualmente ricevuto, nondimeno la riconciliazione non dev’essere attribuita precisamente alla contrizione, senza il desiderio del Sacramento, che in essa è compreso ».

DOMANDA 339a.

S. Agostino, Contra Epistolam Parmeniani, I I , 28:

« L’uno e l’altro (Battesimo e Ordine) è un Sacramento ed è conferito all’uomo con una specie di consacrazione, quello quando si battezza, questo quando si ordina, e perciò nella Chiesa Cattolica l’uno e l’altro non è lecito che sia ripetuto. Difatti se talvolta anche prelati, che vengono dalla stessa parte, corretto per amor di pace l’errore scismatico, furono accolti, benché parve conveniente che sostenessero i medesimi uffici di prima, non furono di nuovo ordinati, ma, come il Battesimo, così l’Ordinazione rimase intatta in loro, perchè ciò che fu corretto nella pace dell’unità era vizio nella separazione, non nei Sacramenti, che dappertutto sono quel che sono ».

(P. L., 43, 70).

DOMANDA 341a.

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis:

« Tra questi Sacramenti, il Battesimo la Cresima e l’Ordine sono i tre che imprimono nell’anima il Carattere, cioè una specie di contrassegno spirituale, indelebile, distintivo da tutti gli altri. Onde non si ripetono nella medesima persona. Invece gli altri quattro non imprimono il Carattere e possono ripetersi ».

(Mansi, XXXI, 1054).

Concilio di Trento, sess. VII, Dei Sacramenti in generale, can. 9:

« Sia scomunicato chi afferma che coi tre Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine non s’imprime nell’anima il Carattere, vale a dire una specie di contrassegno spirituale e indelebile, sicché non posson esser ripetuti » .

Innocenzo III, Epist. Majores Ecclesiae Causas (1201) a Umberto arcivescovo di Arles:

« Altri non senza ragione distinguono tra involontario e involontario, tra costretto e costretto, perchè chi è piegato violentemente dal terrore e dai supplizii e riceve il Battesimo per non incontrar danno, colui a dir vero, come chi s’accosta al Battesimo per finzione, riceve impresso il carattere di cristianità ed egli, come volente sotto condizione, benché in assoluto non voglia, è da costringersi alla osservanza della fede cristiana…. Chi poi non mai è consenziente, ma affatto contrario, non riceve né la realtà né il carattere del Sacramento, perché conta di più contraddire espressamente che non consentire…. A lor volta i dormienti e i dementi se, prima di entrare in demenza o nel sonno, persistevano a contraddire, non ricevono il carattere del Sacramento, perché s’intende che in essi perduri il proposito del rifiuto, anche se sono stati così immersi; non invece, se prima erano stati catecumeni e avevano avuto il proposito di essere battezzati; perciò la Chiesa in caso di necessità è solita battezzarli. Dunque il rito sacramentale imprime il carattere, quando non trova in contrasto l’opposizione della volontà ».

(Decretales Gregorii IX, 1. III, tit. 42, cap. 3).

DOMANDA 348a.

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 42 tra le condannate:

« La comunità cristiana introdusse la necessità del Battesimo, adottandolo come un rito necessario e annettendogli i doveri della professione cristiana » .

(Acta Apost. Sedis, XL, 472).

S. Basilio Magno, Homilia 13, 5:

« Il Battesimo è il prezzo del riscatto per i prigionieri, il condono dei debiti, la morte del peccato, la rigenerazione dell’anima, l’abito della luce, il sigillo che non può essere infranto con nessuno sforzo, guida al cielo, pegno del regno, dono di adozione ».

(P. G., 31, 434).

DOMANDA 349a.

Concilio di Vienna (1311-1312), Constitutio de Trinitate et fide, cantra errores Petri Olivi:

« Da tutti i fedeli dev’essere professato un unico Battesimo, che rigenera tutti i battezzati in Cristo, come unico è Dio e unica la fede (agli Efes., IV, 5). Ed esso, celebrato coll’acqua nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, crediamo che sia perfetto rimedio di salvezza tanto per gli adulti, quanto pei bambini, senza distinzione ».

(Mansi, XXV, 411).

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis:

« Occupa il primo luogo fra tutti i Sacramenti il santo Battesimo, che è porta della vita spirituale; difatti per mezzo di esso noi diventiamo membra di Cristo e del corpo della Chiesa. E siccome per causa del primo uomo la morte entrò in tutti quanti, non possiamo, come dice la Verità, entrare nel regno de’ cieli, se non rinasciamo dall’acqua e dallo Spirito (Gio., III, 5). Materia di questo Sacramento è l’acqua vera e naturale; non importa se calda o fredda. La forma è poi: Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Tuttavia non neghiamo che vero battesimo si compia anche con quelle parole: È battezzato il tal servo di Cristo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, oppure: È battezzato dalle mie mani il tale nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; dacché, essendo la Santa Trinità la causa principale onde il Battesimo ha forza, e strumentale invece il ministro che conferisce all’esterno il Sacramento, se si effettua l’atto, coll’invocazione della Santa Trinità, il Sacramento è compiuto. Ministro di questo Sacramento è il sacerdote, al quale compete battezzare d’ufficio. In caso poi di necessità non soltanto il sacerdote o il diacono, ma anche un laico o una donna, anzi pure un pagano o un eretico può battezzare, purché osservi la forma della Chiesa e intenda fare ciò che fa la Chiesa. L’effetto di questo Sacramento è la remissione d’ogni colpa originale e attuale, anche di ogni pena dovuta per la colpa stessa. Perciò nessuna soddisfazione si deve imporre ai battezzati per i peccati del passato: ma essi morendo prima di commettere qualche colpa, ottengono subito il regno de’ cieli e la visione di Dio ».

(Mansi, XXXI, 1059).

Concilio di Trento, sess. VII, Sui Sacramenti in generale, can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che l’acqua vera e naturale non è necessaria per il Battesimo, e perciò stravolge a senso metaforico quelle parole del Signor Nostro Gesù Cristo : Se uno non sarà rinato di acqua e di Spirito Santo ( Giov., III, 5) ».

Innocenzo III, Epist. Non ut apponeres, 1 marzo 1206, a Toria arcivescovo di Nidrosia. ‘

« Hai domandato se si devono considerar cristiani i bambini, qualora, in punto di morte, per mancanza d’acqua e per assenza del sacerdote, qualcuno per semplicità li ha bagnati di saliva sul capo sul petto e tra le scapole, in luogo di Battesimo. Rispondiamo che, siccome nel Battesimo si richiedon sempre due cose, cioè la parola e l’elemento, necessariamente, secondo dice la Verità a proposito della parola: Andate nel mondo ecc. (Marc, XVI, 15; Matt., XXVIII, 19) e, parimenti, riguardo all’elemento: Se alcuno non ecc. (Gio., III, 5), non devi nemmeno aver dubbio che non abbiano un vero Battesimo coloro per i quali è stato omesso non solo l’uno e l’altro requisito, ma uno di essi ».

(Decretales Gregorii IX, III, 42, 5).

Didaché, VII, 1:

« Quanto poi al Battesimo, battezzate così: e dopo aver detto tutto ciò, battezzate nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, con acqua viva ».

(Patres Apostolici, ed. Funk, I, 17 s.).

DOMANDA 352a

Concilio IV di Laterano (1215), c. I , De fide catholica contra Albigenses:

« Il Sacramento del Battesimo (che si compie coll’acqua, invocando Dio e l’individua Trinità, vale a dire il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo), conferito legittimamente nella forma della Chiesa da chicchessia, tanto ai bambini quanto agli adulti giova alla salvezza » .

(Mansi, XXII, 982).

Concilio di Firenze, Vedi D. 349.

S. Agostino, Contra Epistolam Parmeniani, II, 29:

« Del resto, anche se darà (il Battesimo) un qualsiasi laico, spinto dalla necessità del morente, sapendo, da quando lo riceveva lui stesso, come si dovesse dare, non so chi mai vorrebbe piamente sostenere che debba essere ripetuto. Difatti, quando non vi sia un’urgente necessità, a conferirlo si usurpa un compito altrui; se poi c’è necessità urgente, o non è peccato o è veniale. Ma anche se è arbitrario, non essendoci urgenza, e sia dato a chicchessia da chicchessia, ciò che è stato dato non può dirsi non dato; al più si può dire giusto che fu dato illecitamente » .

(P. L., 43, 71).

DOMANDA 354a

Concilio di Firenze, Decretum prò Jacobitis:

« Impone a tutti quelli…. che si gloriano del nome cristiano, che bisogna metter da parte addirittura la circoncisione, in qualunque tempo, sia prima, sia dopo il Battesimo, poi che nessuno affatto la può praticare, tanto se riponga, quanto se non riponga speranza in essa, senza pregiudizio della salute eterna. Quanto poi a’ fanciulli, a cagion del pericolo di morte, che può accadere spesso, insegna che, siccome ad essi non si può venir in aiuto con altro rimedio se non col Sacramento del Battesimo, per mezzo del quale vengono sottratti alla schiavitù del demonio e adottati come figli di Dio, il sacro Battesimo non dev’essere differito, secondo la pratica di certuni, per quaranta oppure ottanta giorni o altro tempo, ma si deve conferire al più presto che è comodamente possibile; a condizione però che, se incombe il pericolo di morte, siano battezzati subito, senza differimento, anche da un laico o da una donna, nella forma della Chiesa, se manca il sacerdote, com’è contemplato più distesamente nel decreto per gli Armeni ».

(Mansi, XXXI, 1738 ss.).

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 43 tra le condannate :

« L’usanza di conferire il Battesimo ai bambini derivò da un’evoluzione della disciplina, e fu una delle cause per le quali il Sacramento si sdoppia, cioè in Battesimo e Penitenza ».

(Acta Apost. Sedis, X L , 472).

DOMANDA 357a.

Concilio di Trento, Sess. V I I , De’ Sacramenti in generale, can. 7:

« Sia scomunicato chi afferma che i battezzati appunto per il Battesimo hanno l’obbligo unicamente della fede, ma non di osservare tutta quanta la legge di Cristo ».

DOMANDA 358a

Concilio di Cartagine: V. D. 74; Concilio di Firenze: V. D. 341.

Concilio di Trento, Sess. VII, Sul Battesimo, can. 5:

« Sia scomunicato chi afferma facoltativo il Battesimo, cioè non necessario per la salvezza ».

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, III, 10:

« Uno, se non riceve il Battesimo, non può aver salute, eccetto i soli martiri, che ricevono il regno anche senza l’acqua » .

(P. G., 33, 439).

DOMANDA 359a.

Innocenzo III, Epist. Majores Ecclesiae Causas (fine del 1201) a Umberto arcivescovo di Arles:

« La pena del peccato originale è la mancanza della vision di Dio, quella dell’attuale è il tormento della geenna perpetua…. » .

(Decretales Gregorii IX, 1. III, tit. 42, cap. 3).

Pio VI, Costit. Auctorem fìdei, 28 ag. 1794, prop. 26 tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« È falsa, temeraria, ingiuriosa contro le scuole cattoliche la dottrina, la quale ci gabella, alla pari d’una storiella Pelagiana, quel luogo d’oltretomba (designato talvolta dai fedeli col nome di limbo de’ bambini) nel quale son punite colla pena del danno, senza quella del fuoco; le anime de’ morti con la sola colpa originale; come se per ciò stesso, che alcuni escludono la pena del fuoco, dimostrassero l’esistenza di quel luogo e stato scevro di colpa e pena tra mezzo al regno di Dio e alla dannazione eterna, come favoleggiavano i Pelagiani » .

(Bullarii Romani continuatio, 1. c. , 2711 ss.).

Pio IX: V. D. 162.

DOMANDA 360a.

Innocenzo II: V. D. 162.

S. Fulgenzio, De fide, 41:

« Da quando il Salvatore disse: Se uno non rinascerà dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrar nel regno di Dio (Gio., III, 5). Non può alcuno ricevere il regno de’ cieli né la vita eterna, senza il Sacramento del Battesimo, tranne quelli che versano per Cristo il sangue nella Chiesa Cattolica. Perché sia nella Chiesa Cattolica, sia in qualunque eresia o scisma, chi riceve il Sacramento del Battesimo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, riceve perfetto il Sacramento; ma non avrà la salvezza, che è virtù del Sacramento, se riceverà il Sacramento stesso fuori della Chiesa cattolica. Dunque ha da far ritorno alla Chiesa, non precisamente per ricever di nuovo il Sacramento del Battesimo, che nessuno deve rinnovare in un uomo battezzato, ma per ricevere nella società cattolica la vita eterna, perchè non può esser mai in grado di ottenerla, chi col Sacramento del Battesimo sia rimasto estraneo alla Chiesa cattolica ».

(P. L., 65, 692).

DOMANDA 363a.

Concilio II di Lione (1274), Professione di fede di Michele Paleologo:

« La medesima santa Romana Chiesa crede anche e insegna che son sette i Sacramenti ecclesiastici, vale a dire un solo Battesimo, e di esso s’è detto sopra; altro Sacramento è quello della Confermazione, che è conferito dai vescovi colla imposizion delle mani, cresimando i battezzati; un altro è la Penitenza, un altro l’Eucaristia, un altro il Sacramento dell’Ordine, un altro il Matrimonio, un altro l’Estrema Unzione, che, secondo la dottrina del beato Giacomo, s’adopera per gli infermi. Il Sacramento dell’Eucaristia la medesima Romana Chiesa lo forma col pane azimo, credendo e insegnando che nel Sacramento appunto il pane si transustanzia davvero nel corpo e il vino nel sangue del Signor nostro Gesù Cristo. Quanto poi al Matrimonio crede che non si permette che un solo marito abbia più mogli contemporaneamente, né una donna più mariti. Ma, sciolto il legittimo matrimonio per la morte dell’uno de’ coniugi, afferma che sono lecite successivamente le seconde e poi le terze nozze: purché non s’opponga per qualche ragione un altro impedimento canonico ».

(Mansi, XXIV, 71).

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis:

Il secondo sacramento è la Confermazione; e di esso materia è il crisma composto di olio, che significa la purezza di coscienza, e del balsamo, che significa il profumo della buona fama, benedetto dal vescovo. La forma poi è: Io ti segno della croce e ti confermo col crisma della salute nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Ordinario ministro è il vescovo. E, mentre un semplice sacerdote può compiere tutte l’altre unzioni, quest’altra non la deve conferire se non il vescovo: perchè si legge de’ soli Apostoli, de’ quali tengono le veci i vescovi, che davano lo Spirito Santo per mezzo dell’imposizione della mano, come fa chiaro il passo degli Atti degli Apostoli: Ora, avendo udito gli Apostoli, che erano in Gerusalemme, che Samaria aveva ricevuto la parola di Dio, mandarono là Pietro e Giovanni. E, com’essi vi giunsero, pregarono per loro perchè ricevessero lo Spirito Santo; non ancora infatti era sceso su alcuno di essi, ma soltanto eran stati battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano su di essi le mani e ricevevano lo Spirito Santo (Atti, VIII, 14 ss.). Orbene nella Chiesa si conferisce la Confermazione i n luogo di quella imposizion delle mani. Si legge tuttavia che qualche volta, con dispensa della Sede Apostolica, per causa ragionevole e assai urgente, un semplice sacerdote, consacrato il crisma dal Vescovo, amministrò con esso il Sacramento della Confermazione. L’effetto poi di questo Sacramento è che in esso è conferito lo Spirito Santo per rinvigorire, come fu dato agli Apostoli nel giorno della Pentecoste, affinchè il cristiano confessi coraggiosamente il nome di Cristo. E perciò il cresimando è unto sulla fronte, sede della timidezza, affinchè non arrossisca di professare il nome di Cristo e specialmente la Croce di lui, la quale è scandalo per i Giudei e per le Genti una stoltezza (ai Cor., I , 23), come dice l’Apostolo; perciò è segnato col segno della croce ».

(Mansi, XXXI, 1055 s.).

Concilio di Trento, sess. VII, Del Sacramento della Confermazione:

« Can. 1. Sia scomunicato chi afferma che la Confermazione dei battezzati è una cerimonia oziosa e non piuttosto un vero e proprio Sacramento, oppure che una volta fu nient’altro che un insegnamento catechistico, col quale i fanciulli vicini all’adolescenza esponevano in cospetto alla Chiesa la ragione della loro fede ».

« Can. 2. Sia scomunicato chi afferma che fanno ingiuria allo Spirito Santo coloro i quali attribuiscono qualche virtù al sacro crisma della Confermazione ».

« Can. 3. Sia scomunicato chi afferma che l’ordinario ministro della santa Confermazione non è solamente il Vescovo, ma qualsiasi semplice sacerdote ».

Innocenzo III, Epist. Cum venisset, 25 febbr. 1204, ad Basili um archiep. Trinovitanum:

« L’imposizione della mano, che con altro nome si chiama Confermazione, è designata per mezzo dell’unzione della fronte, perché per mezzo di essa è dato lo Spirito Santo ad aumento e irrobustimento. Onde, mentre un semplice sacerdote o presbitero può compiere tutte l’altre unzioni, questa non la può conferire se non il sommo sacerdote cioè il vescovo, perché dei soli Apostoli, di cui i vescovi son vicari, si legge che comunicavano lo Spirito Santo per l’imposizione della mano

(Atti, VIII, 14 ss.) ».

(P. L., 215, 285).

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 44 tra le condannate:

« Niente dimostra che il rito del Sacramento della Cresima sia stato introdotto dagli Apostoli; ma la formale distinzione tra i due Sacramenti, cioè Battesimo e Confermazione, non entra nella storia del cristianesimo primitivo ».

(Acta Apost. Sedis, XL, 473).

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, XXI, (mist. III), 3:

« Guardati dal sospettare che questo sia unguento nudo e crudo. Difatti come il pane dell’Eucaristia, dopo l’invocazione dello Spirito Santo, non è più pane ordinario, ma corpo di Cristo, così anche codesto santo unguento non è più unguento puro, o, se piace meglio dir così, comune, dopo l’invocazione, ma donativo di Cristo e dello Spirito Santo, divenuto efficace per presenza della sua divinità. Ed esso viene simbolicamente spalmato sulla fronte e sugli altri tuoi sensi. E, mentre il corpo è unto coll’unguento visibile, l’anima è santificata dal santo Spirito vivificatore ».

(P. G., 33, 1090 ss.).

S. Cirillo d’Alessandria, In Joel, 32:

« Ci è stata data, come pioggia, l’acqua vivace del sacro Battesimo e, come frumento, un pane vivo e, come vino, un sangue. S’è aggiunto similmente l’uso dell’olio, affinchè conferisse perfezione ai giustificati in Cristo per mezzo del santo Battesimo » .

(P. G., 71, 374).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XI – “DIVINI REDEMPTORIS”

La Divini Redemptoris è un’Enciclica magistrale del Pontefice Pio XI che ha per tema la denuncia della perversa ideologia comunista nei confronti della dottrina sociale della Chiesa Cattolica, diametralmente opposta, che da par suo, maestra dei popoli e luce per l’umanità tutta, l’ha definita in modo infallibile sulla scorta dei principi evangelici fissati dall’irreformabile Magistero apostolico. Il comunismo, già nome di una setta protestante della prosapia degli anabattisti, è l’ennesimo travestimento della gnosi e del panteismo satanico. In realtà l’idea che soggiace all’apparente truffaldina filantropia pro poveri-operai, è che, poiché tutto l’universo è Dio stesso in espansione evolutiva, e noi tutti siamo fiammelle divine, cioè parti di Dio: … ergo, tutti abbiamo il diritto di possedere tutto, e nessuno può arrogarsi il diritto di appropriarsi di una cosa qualsiasi che invece, essendo parte immanente di Dio, appartiene a tutti (… case, campi, donne e figli compresi). Questa idea bislacca o se volete, tragicomica (.. che era già quella stessa di Platone e dei neoplatonici alessandrini, oltre che degli gnostici di ogni tempo e di ogni latitudine…), ovviamente suggerita dal serpente maledetto ai suoi adepti, tutti aderenti a logge massoniche o professanti culti magico-esoterici, è esattamente all’opposto dell’insegnamento apostolico come sottolinea il Santo Padre nella presente enciclica: « … Conseguentemente Dio l’ha dotato – l’uomo – di molteplici e svariate prerogative: diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza; diritto di tendere al suo ultimo fine nella via tracciata da Dio; diritto all’associazione, alla proprietà, e all’uso della proprietà ». Se pensiamo che la setta gnostico-modernista insediata in Vaticano – là dove abita satana, dice l’Apocalisse –, deponendo la sua maschera luciferina, professa oggi la stessa dottrina marxista che nega la proprietà privata in nome di un pauperismo spacciato come francescano – che è però quello dei condannati con l’anatema da Giovanni XXII, i “fraticelli” medioevali, la setta che tra i suoi eretici simpatizzanti annoverava nientemeno che lo gnostico-sodomita, il nemico giurato del primato Pontificio e del Vicario di Cristo, lo scopiazzatore di poemi arabi, ma sì, proprio lui: Dante Alighieri, mascherato – per fuggire all’inquisizione – da tomista ipocrita … ma questa è un’altra storia anche se la radice è la medesima, per appunto il panteismo anticristiano. Ed ancora il comunismo ha oggi assunto un aspetto da farsa teatrale mondialista in mano a poche vipere della razza – come li stroncava s. Giovanni Battista-, imponendosi col terrore mediatico sanitario e finanziario, a braccetto con la bestia del falso Cristianesimo degli apostati montini-conciliari che “reggono il moccolo”, in attesa di imporre la religione unica mondiale, quella noachide del Corona-lucifero e della statua della bestia dell’anticristo da porre in adorazione “controllata da chip sottopelle” nel tempio santo. – Per il resto l’Enciclica è un documento straordinario che non ha bisogno di commenti, ma solo di riflessione e – per chi ha ancora qualche neurone funzionante – di santa condivisione.

LETTERA ENCICLICA

DIVINI REDEMPTORIS

DEL SOMMO PONTEFICE

PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA,

SUL COMUNISMO ATEO

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

1. – La promessa di un divino Redentore illumina la prima pagina della storia dell’umanità; e così la fiduciosa speranza di tempi migliori lenì il rimpianto del « paradiso » perduto e accompagnò il genere umano nel suo tribolato cammino, « finché nella pienezza dei tempi » il Salvatore del mondo, venendo sulla terra, compì l’attesa e inaugurò una nuova civiltà universale, la civiltà cristiana, immensamente superiore a quella che l’uomo aveva fino allora laboriosamente raggiunto in alcune nazioni più privilegiate.

2. – Ma la lotta fra il bene e il male rimase nel mondo come triste retaggio della colpa originale; e l’antico tentatore non ha mai desistito dall’ingannare l’umanità con false promesse. Perciò nel corso dei secoli uno sconvolgimento è succeduto all’altro fino alla rivoluzione dei nostri giorni, la quale o già imperversa o seriamente minaccia, si può dire, dappertutto e supera in ampiezza e violenza quanto si ebbe a sperimentare nelle precedenti persecuzioni contro la Chiesa. Popoli interi si trovano nel pericolo di ricadere in una barbarie peggiore di quella in cui ancora giaceva la maggior parte del mondo all’apparire del Redentore.

3. – Questo pericolo tanto minaccioso, Voi l’avete già compreso, Venerabili Fratelli, è il « comunismo bolscevico » ed ateo che mira a capovolgere l’ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà cristiana.

I

ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA DI FRONTE AL COMUNISMO

CONDANNE ANTERIORI

4. – Di fronte a tale minaccia la Chiesa Cattolica non poteva tacere e non tacque. Non tacque specialmente questa Sede Apostolica, che sa essere sua specialissima missione la difesa della verità e della giustizia e di tutti quei beni eterni che il comunismo misconosce e combatte. Fin dai tempi in cui i circoli colti pretesero liberare la civiltà umana dai legami della morale e della religione, i Nostri Predecessori attirarono l’attenzione del mondo apertamente ed esplicitamente alle conseguenze della scristianizzazione della società umana. E quanto al comunismo, già fin dal 1846 il venerato Nostro Predecessore Pio IX di s. mem. pronunciò solenne condanna, confermata poi nel Sillabo, contro « quella nefanda dottrina del cosiddetto comunismo sommamente contraria allo stesso diritto naturale, la quale, una volta ammessa, porterebbe al radicale sovvertimento dei diritti, delle cose, delle proprietà di tutti, e della stessa società umana » . Più tardi, l’altro Nostro Predecessore d’immortale memoria, Leone XIII, nell’Enciclica Quod Apostolici muneris lo definiva « peste distruggitrice, la quale, intaccando il midollo della società umana, la condurrebbe alla rovina »; e con chiara visione indicava che i movimenti atei delle masse nell’epoca del tecnicismo traevano origine da quella filosofia, che già da secoli cercava separare la scienza e la vita dalla fede e dalla Chiesa.

ATTI DEL PRESENTE PONTIFICATO

5. – Noi pure durante il Nostro pontificato abbiamo sovente e con premurosa insistenza denunziate le correnti atee minacciosamente crescenti. Quando nel 1924 la Nostra missione di soccorso ritornava dall’Unione Sovietica, Ci siamo pronunziati contro il comunismo in apposita Allocuzione diretta al mondo intero. Nelle Nostre Encicliche Miserentissimus Redemptor, Quadragesimo anno, Caritate Christi, Acerba animi, Dilectissima Nobis, abbiamo elevato solenne protesta contro le persecuzioni scatenate ora in Russia, ora nel Messico, ora nella Spagna; né si è ancora spenta l’eco universale di quelle allocuzioni da Noi tenute l’anno scorso in occasione dell’inaugurazione della Mostra mondiale della stampa cattolica, dell’udienza ai profughi spagnoli e del Messaggio radiofonico per la festa del Santo Natale. Persino gli stessi più accaniti nemici della Chiesa, i quali da Mosca dirigono questa lotta contro la civiltà cristiana, con i loro ininterrotti attacchi a parole e a fatti rendono testimonianza che il Papato, anche ai giorni nostri, ha continuato fedelmente a tutelare il santuario della Religione Cristiana, e più frequentemente e in modo più persuasivo che qualsiasi altra pubblica autorità terrena ha richiamato l’attenzione sul pericolo comunista.

NECESSITÀ DI UN ALTRO DOCUMENTO SOLENNE

6. – Ma nonostante questi ripetuti avvertimenti paterni, che sono stati da Voi, Venerabili Fratelli, con Nostra grande soddisfazione, così fedelmente trasmessi e commentati ai fedeli con tante vostre recenti lettere pastorali anche collettive, il pericolo sotto la spinta di abili agitatori non fa che aggravarsi di giorno in giorno. Perciò Noi Ci crediamo in dovere di elevare di nuovo la Nostra voce con un documento ancora più solenne, com’è costume di questa Sede Apostolica, maestra di verità, e come lo rende naturale il fatto che un tale documento è nel desiderio di tutto il mondo cattolico. E confidiamo che l’eco della Nostra voce giunga dovunque si trovino menti scevre di pregiudizi e cuori sinceramente desiderosi del bene dell’umanità; tanto più che la Nostra parola ora viene dolorosamente avvalorata dalla vista dei frutti amari delle idee sovversive, quali Noi abbiamo previsti e preannunziati e che si vanno paurosamente moltiplicando nei paesi già dominati dal comunismo e che minacciosamente incombono agli altri paesi del mondo.

7. – Noi, quindi, vogliamo ancora una volta esporre in breve sintesi i princìpi del comunismo ateo come si manifestano principalmente nel bolscevismo, con i suoi metodi di azione, contrapponendo a questi falsi princìpi la luminosa dottrina della Chiesa ed inculcando di nuovo con insistenza i mezzi con i quali la civiltà cristiana, sola civiltà veramente umana, può essere salvata da questo satanico flagello e maggiormente sviluppata, per il vero benessere dell’umana società.

II

DOTTRINA E FRUTTI DEL COMUNISMO

DOTTRINA

Falso ideale

8. – Il comunismo di oggi, in modo più accentuato di altri simili movimenti del passato, nasconde in sé un’idea di falsa redenzione. Uno pseudo-ideale di giustizia, di uguaglianza e di fraternità nel lavoro, pervade tutta la sua dottrina, e tutta la sua attività d’un certo falso misticismo, che alle folle adescate da fallaci promesse comunica uno slancio e un entusiasmo contagioso, specialmente in un tempo come il nostro, in cui da una distribuzione difettosa delle cose di questo mondo risulta una miseria non consueta. Si vanta anzi questo pseudo-ideale come se fosse stato iniziatore di un certo progresso economico, il quale, quando è reale, si spiega con ben altre cause, come con l’intensificare la produzione industriale in paesi che ne erano quasi privi, valendosi anche di enormi ricchezze naturali, e con l’uso di metodi brutali per fare ingenti lavori con poca spesa.

Materialismo evoluzionistico di Marx

9. – La dottrina che il comunismo nasconde sotto apparenze talvolta così seducenti, in sostanza oggi si fonda sui princìpi già predicati da C. Marx del materialismo dialettico e del materialismo storico, di cui i teorici del bolscevismo pretendono possedere l’unica genuina interpretazione. Questa dottrina insegna che esiste una sola realtà, la materia, con le sue forze cieche, la quale evolvendosi diventa pianta, animale, uomo. Anche la società umana non ha altro che un’apparenza e una forma della materia che si evolve nel detto modo, e per ineluttabile necessità tende, in un perpetuo conflitto delle forze, verso la sintesi finale: una società senza classi. In tale dottrina, com’è evidente, non vi è posto per l’idea di Dio, non esiste differenza fra spirito e materia, né tra anima e corpo; non si dà sopravvivenza dell’anima dopo la morte, e quindi nessuna speranza in un’altra vita. Insistendo sull’aspetto dialettico del loro materialismo, i comunisti pretendono che il conflitto, che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini. Quindi si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono fra le diverse classi della società; e la lotta di classe, con i suoi odi e le sue distruzioni, prende l’aspetto d’una crociata per il progresso dell’umanità. Invece, tutte le forze, quali che esse siano, che resistono a quelle violenze sistematiche, debbono essere annientate come nemiche del genere umano.

A che cosa si riducono l’uomo e la famiglia

10. – Inoltre il comunismo spoglia l’uomo della sua libertà, principio spirituale della sua condotta morale; toglie ogni dignità alla persona umana e ogni ritegno morale contro l’assalto degli stimoli ciechi. All’uomo individuo non è riconosciuto, di fronte alla collettività, alcun diritto naturale della personalità umana, essendo essa, nel comunismo, semplice ruota e ingranaggio del sistema. Nelle relazioni poi degli uomini fra loro è sostenuto il principio dell’assoluta uguaglianza, rinnegando ogni gerarchia e ogni autorità che sia stabilita da Dio, compresa quella dei genitori; ma tutto ciò che tra gli uomini esiste della cosiddetta autorità e subordinazione, tutto deriva dalla collettività come da primo e unico fonte. Né viene accordato agli individui diritto alcuno di proprietà sui beni di natura e sui mezzi di produzione, poiché, essendo essi sorgente di altri beni, il loro possesso condurrebbe al potere di un uomo sull’altro. Per questo appunto dovrà essere distrutta radicalmente questa sorta di proprietà privata, come la prima sorgente di ogni schiavitù economica.

11. – Rifiutando alla vita umana ogni carattere sacro e spirituale, una tale dottrina naturalmente fa del matrimonio e della famiglia una istituzione puramente artificiale e civile, ossia il frutto di un determinato sistema economico; viene rinnegata l’esistenza di un vincolo matrimoniale di natura giuridico-morale che sia sottratto al beneplacito dei singoli o della collettività, e, conseguentemente, l’indissolubilità di esso. In particolare per il comunismo non esiste alcun legame della donna con la famiglia e con la casa. Esso, proclamando il principio dell’emancipazione della donna, la ritira dalla vita domestica e dalla cura dei figli per trascinarla nella vita pubblica e nella produzione collettiva nella stessa misura che l’uomo, devolvendo alla collettività la cura del focolare e della prole. È negato infine ai genitori il diritto di educare, essendo questo concepito come un diritto esclusivo della comunità, nel cui nome soltanto e per suo mandato i genitori possono esercitarlo.

Che cosa diventerebbe la società

12 – Che cosa sarebbe dunque la società umana, basata su tali fondamenti materialistici? Sarebbe una collettività senz’altra gerarchia che quella del sistema economico. Essa avrebbe come unica missione la produzione dei beni per mezzo del lavoro collettivo e per fine il godimento dei beni della terra in un paradiso in cui ciascuno « darebbe secondo le sue forze, e riceverebbe secondo i suoi bisogni ». Alla collettività il comunismo riconosce il diritto, o piuttosto l’arbitrio illimitato, di aggiogare gli individui al lavoro collettivo, senza riguardo al loro benessere personale, anche contro la loro volontà e persino con la violenza. In essa tanto la morale quanto l’ordine giuridico non sarebbero se non un’emanazione del sistema economico del tempo, di origine quindi terrestre, mutevole e caduca. In breve, si pretende di introdurre una nuova epoca e una nuova civiltà, frutto soltanto di una cieca evoluzione: « una umanità senza Dio ».

13. – Quando poi le qualità collettive saranno finalmente acquisite da tutti, in quella condizione utopistica di una società senza alcuna differenza di classi, lo Stato politico, che ora si concepisce solo come lo strumento di dominazione dei capitalisti sui proletari, perderà ogni sua ragione d’essere e si « dissolverà »; però, finché questa beata condizione non sarà attuata, lo Stato e il potere statale sono per il comunismo il mezzo più efficace e più universale per conseguire il suo fine.

14. – Ecco, Venerabili Fratelli, il nuovo presunto Vangelo, che il comunismo bolscevico ed ateo annunzia all’umanità, quasi messaggio salutare e redentore! Un sistema, pieno di errori e sofismi, contrastante sia con la ragione sia con la rivelazione divina; sovvertitore dell’ordine sociale, perché equivale alla distruzione delle sue basi fondamentali, misconoscitore della vera origine della natura e del fine dello Stato, negatore dei diritti della personalità umana, della sua dignità e libertà.

DIFFUSIONE

Abbaglianti promesse

15. – Ma come mai può avvenire che un tale sistema, scientificamente da lungo tempo sorpassato, confutato dalla realtà pratica; come può avvenire, diciamo, che un tale sistema possa diffondersi così rapidamente in tutte le parti del mondo? La spiegazione sta nel fatto che assai pochi hanno potuto penetrare la vera natura del comunismo; i più invece cedono alla tentazione abilmente presentata sotto le più abbaglianti promesse. Con il pretesto che si vuole soltanto migliorare la sorte delle classi lavoratrici, togliere abusi reali prodotti dall’economia liberale e ottenere una più equa distribuzione dei beni terreni (scopi senza dubbio pienamente legittimi), e approfittando della mondiale crisi economica, si riesce ad attirare nella sfera d’influenza del comunismo anche quei ceti della popolazione che per principio rigettano ogni materialismo e ogni terrorismo. E siccome ogni errore contiene sempre una parte di vero, questo lato della verità che abbiamo accennato, messo astutamente in mostra a tempo e luogo per coprire, quando conviene, la crudezza ributtante e inumana dei princìpi e dei metodi del comunismo, seduce anche spiriti non volgari, fino a diventarne a loro volta gli apostoli presso giovani intelligenze ancora poco atte ad avvertirne gli intrinseci errori. I banditori del comunismo sanno inoltre approfittare anche degli antagonismi di razza, delle divisioni od opposizioni di diversi sistemi politici, perfino del disorientamento nel campo della scienza senza Dio, per infiltrarsi nelle Università e corroborare i princìpi della loro dottrina con argomenti pseudo-scientifici.

Il liberalismo gli ha preparato la strada

16. – Per spiegare poi come il comunismo sia riuscito a farsi accettare senza esame da tante masse di operai, conviene ricordarsi che questi vi erano già preparati dall’abbandono religioso e morale nel quale erano stati lasciati dall’economia liberale. Con i turni di lavoro anche domenicale non si dava loro tempo neppur di soddisfare ai più gravi doveri religiosi nei giorni festivi; non si pensava a costruire chiese presso le officine né a facilitare l’opera del sacerdote; anzi si continuava a promuovere positivamente il laicismo. Si raccoglie dunque ora l’eredità di errori dai Nostri Predecessori e da Noi stessi tante volte denunciati, e non è da meravigliarsi che in un mondo già largamente scristianizzato dilaghi l’errore comunista.

Propaganda astuta e vastissima

17. – Inoltre la diffusione così rapida delle idee comuniste, che si infiltrano in tutti i paesi grandi e piccoli, colti e meno sviluppati, sicché nessun angolo della terra è libero da esse, si spiega con una propaganda veramente diabolica quale forse il mondo non ha mai veduto: propaganda diretta da un solo centro e che abilissimamente si adatta alle condizioni dei diversi popoli; propaganda che dispone di grandi mezzi finanziari, di gigantesche organizzazioni, di congressi internazionali, di innumerevoli forze ben addestrate; propaganda che si fa attraverso fogli volanti e riviste, nei cinematografi, nei teatri, con la radio, nelle scuole e persino nelle Università, penetrando a poco a poco in tutti i ceti delle popolazioni anche migliori, senza che quasi si accorgano del veleno che sempre più pervade le menti e i cuori.

Congiura del silenzio nella stampa

18 – Un terzo potente aiuto al diffondersi del comunismo è una vera congiura del silenzio in grande parte della stampa mondiale non cattolica. Diciamo congiura, perché non si può altrimenti spiegare che una stampa così avida di mettere in rilievo anche i piccoli incidenti quotidiani, abbia potuto per tanto tempo tacere degli orrori commessi in Russia, nel Messico e anche in gran parte della Spagna, e parli relativamente così poco d’una tanto vasta organizzazione mondiale quale è il comunismo di Mosca. Questo silenzio è dovuto in parte a ragioni di una politica meno previdente, ed è favorito da varie forze occulte le quali da tempo cercano di distruggere l’ordine sociale cristiano.

DOLOROSI EFFETTI

Russia e Messico

19. – Intanto i dolorosi effetti di quella propaganda ci stanno dinanzi. Dove il comunismo ha potuto affermarsi e dominare — e qui Noi pensiamo con singolare affetto paterno ai popoli della Russia e del Messico —, ivi si è sforzato con ogni mezzo di distruggere (e lo proclama apertamente) fin dalle loro basi la civiltà e la religione cristiana, spegnendone nel cuore degli uomini, specie della gioventù, ogni ricordo. Vescovi e sacerdoti sono stati banditi, condannati ai lavori forzati, fucilati e messi a morte in maniera inumana; semplici laici, per aver difeso la religione, sono stati sospettati, vessati, perseguitati e trascinati nelle prigioni e davanti ai tribunali.

Orrori del comunismo nella Spagna

20. – Anche là dove, come nella Nostra carissima Spagna il flagello comunista non ha avuto ancora il tempo di far sentire tutti gli effetti delle sue teorie, vi si è, in compenso, scatenato purtroppo con una violenza più furibonda. Non si è abbattuta l’una o l’altra chiesa, questo o quel chiostro, ma quando fu possibile si distrusse ogni chiesa e ogni chiostro e qualsiasi traccia di religione cristiana, anche se legata ai più insigni monumenti d’arte e di scienza! Il furore comunista non si è limitato ad uccidere Vescovi e migliaia di sacerdoti, di religiosi e religiose, cercando in modo particolare quelli e quelle che proprio si occupavano con maggior impegno degli operai e dei poveri; ma fece un numero molto maggiore di vittime tra i laici di ogni ceto, che fino al presente vengono, si può dire ogni giorno, trucidati a schiere per il fatto di essere buoni cristiani o almeno contrari all’ateismo comunista. E una tale spaventevole distruzione viene eseguita con un odio, una barbarie e una efferatezza che non si sarebbero creduti possibili nel nostro secolo. – Non vi può essere uomo privato, che pensi saggiamente, né uomo di Stato, consapevole della sua responsabilità, che non rabbrividisca al pensiero che quanto oggi accade in Ispagna non abbia forse a ripetersi domani in altre nazioni civili. Frutti naturali del sistema

21. – Né si può dire che tali atrocità siano un fenomeno transitorio solito ad accompagnarsi a qualunque grande rivoluzione, isolati eccessi di esasperazione comuni ad ogni guerra; no, sono frutti naturali del sistema, che manca di ogni freno interno. Un freno è necessario all’uomo, sia individuo, sia in società. Anche i popoli barbari ebbero questo freno nella legge naturale scolpita da Dio nell’animo di ciascun uomo. E quando questa legge naturale venne meglio osservata, si videro antiche nazioni assurgere ad una grandezza che abbaglia ancora, più di quel che converrebbe, certi superficiali studiosi della storia umana. Ma se si strappa dal cuore degli uomini l’idea stessa di Dio, essi necessariamente sono dalle loro passioni sospinti alla più efferata barbarie.

Lotta contro tutto ciò che è divino

22. – È quello che purtroppo stiamo vedendo: per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell’uomo contro « tutto ciò che è divino ». Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la religione come « l’oppio del popolo » perché i princìpi religiosi che parlano della vita d’oltre tomba, distolgono il proletario dal mirare al conseguimento del paradiso sovietico, che è di questa terra.

Il terrorismo

23. – Ma non si calpesta impunemente la legge naturale e l’Autore di essa: il comunismo non ha potuto né potrà ottenere il suo intento neppure nel campo puramente economico. È vero che nella Russia ha potuto contribuire a scuotere uomini e cose da una lunga e secolare inerzia, e ottenere con ogni sorta di mezzi, spesso senza scrupoli, qualche successo materiale; ma sappiamo per testimonianze non sospette, anche recentissime, che di fatto neppur là ha raggiunto lo scopo che aveva promesso; senza contare poi la schiavitù che il terrorismo ha imposto a milioni di uomini. Anche nel campo economico è pur necessaria qualche morale, qualche sentimento della responsabilità, che invece non trova posto in un sistema prettamente materialistico come il comunismo. Per sostituirlo non rimane che il terrorismo, quale appunto vediamo ora nella Russia, dove gli antichi compagni di congiura e di lotta si dilaniano a vicenda; un terrorismo, il quale per altro non riesce ad arginare né la corruzione dei costumi, e neppure il dissolvimento della compagine sociale.

UN PATERNO PENSIERO AI POPOLI OPPRESSI IN RUSSIA

24. – Con questo però non vogliamo in nessuna maniera condannare in massa i popoli dell’Unione Sovietica, per i quali nutriamo il più vivo affetto paterno. Sappiamo che non pochi di essi gemono sotto il duro giogo loro imposto con la forza da uomini in massima parte estranei ai veri interessi del paese, e riconosciamo che molti altri furono ingannati da fallaci speranze. Noi colpiamo il sistema e i suoi autori e fautori, i quali hanno considerato la Russia come terreno più adatto per introdurre in pratica un sistema già elaborato da decenni, e di là continuano a propagarlo in tutto il mondo.

III

OPPOSTA LUMINOSA DOTTRINA DELLA CHIESA

25. – Esposti così gli errori e i mezzi violenti e ingannevoli del comunismo bolscevico ed ateo, è tempo ormai, Venerabili Fratelli, di opporgli brevemente la vera nozione della civiltà umana, della umana Società, quale ce l’insegnano la ragione e la rivelazione per il tramite della Chiesa Magistra gentium, e quale Voi già conoscete.

SUPREMA REALTÀ: DIO!

26. – Al di sopra di ogni altra realtà sta il sommo, unico supremo Essere, Dio, Creatore onnipotente di tutte le cose, Giudice sapientissimo e giustissimo di tutti gli uomini. Questa suprema realtà, Dio, è la condanna più assoluta delle impudenti menzogne del comunismo. E in verità, non perché gli uomini credono, Dio è; ma perché Egli è, perciò lo crede e lo prega chiunque non chiuda volontariamente gli occhi di fronte alla verità.

CHE COSA SONO L’UOMO E LA FAMIGLIA SECONDO LA RAGIONE E LA FEDE

27. – Quanto a ciò che la ragione e la fede dicono dell’uomo, Noi abbiamo esposto i punti fondamentali nell’Enciclica sull’educazione cristiana. L’uomo ha un’anima spirituale e immortale; è una persona, dal Creatore ammirabilmente fornita di doni di corpo e di spirito, un vero « microcosmo » come dicevano gli antichi, un piccolo mondo, che vale di gran lunga più di tutto l’immenso mondo inanimato. Egli ha in questa e nell’altra vita solo Dio per ultimo fine; è dalla grazia santificante elevato al grado di figlio di Dio e incorporato al regno di Dio nel mistico Corpo di Cristo. Conseguentemente Dio l’ha dotato di molteplici e svariate prerogative: diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza; diritto di tendere al suo ultimo fine nella via tracciata da Dio; diritto all’associazione, alla proprietà, e all’uso della proprietà.

28. – Come il matrimonio e il diritto all’uso naturale di esso sono di origine divina, così anche la costituzione e le prerogative fondamentali della famiglia sono state determinate e fissate dal Creatore stesso, non dall’arbitrio umano né da fattori economici. Nell’Enciclica sul matrimonio cristiano e nell’altra Nostra, sopra accennata, sull’educazione, Ci siamo largamente diffusi su questi argomenti.

CHE COSA È LA SOCIETÀ

Mutui diritti e doveri tra l’uomo e la società

29. – Ma Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa. Ciò non è da intendersi nel senso del liberalismo individualistico, che subordina la società all’uso egoistico dell’individuo; ma solo nel senso che, mediante l’unione organica con la società, sia a tutti resa possibile per la mutua collaborazione l’attuazione della vera felicità terrena; inoltre nel senso che nella società trovano sviluppo tutte le doti individuali e sociali, inserite nella natura umana, le quali sorpassano l’immediato interesse del momento e rispecchiano nella società la perfezione divina: ciò nell’uomo isolato non potrebbe verificarsi. Ma anche quest’ultimo scopo è in ultima analisi in ordine all’uomo, perché riconosca questo riflesso della perfezione divina, e lo rimandi così in lode e adorazione al Creatore. Solo l’uomo, la persona umana, e non una qualsiasi società umana, è dotato di ragione e di volontà moralmente libera.

30. – Pertanto come l’uomo non può esimersi dai doveri voluti da Dio verso la società civile, e i rappresentanti dell’autorità hanno il diritto, quando egli si rifiutasse illegittimamente, di costringerlo al compimento del proprio dovere, così la società non può frodare l’uomo dei diritti personali, che gli sono stati concessi dal Creatore, i più importanti dei quali sono stati da Noi sopra accennati, né di rendergliene impossibile per principio l’uso. È quindi conforme alla ragione e da essa voluto che alla fin fine tutte le cose terrestri siano ordinate alla persona umana, affinché per mezzo suo esse trovino la via verso il Creatore. E si applica all’uomo, alla persona umana, ciò che l’Apostolo delle Genti scrive ai Corinti sull’economia della salvezza cristiana: «Tutto è vostro, voi siete di Cristo, Cristo è di Dio » . Mentre il comunismo impoverisce la persona umana, capovolgendo i termini della relazione dell’uomo e della società, la ragione e la rivelazione la elevano così in alto!

L’ordine economico-sociale

31. – Sull’ordine economico-sociale i princìpi direttivi sono stati esposti nell’Enciclica sociale di Leone XIII sulla questione del lavoro, e nella Nostra sulla ricostruzione dell’ordine sociale sono stati adattati alle esigenze del tempo presente. Poi, insistendo di nuovo sulla dottrina secolare della Chiesa, circa il carattere individuale e sociale della proprietà privata, Noi abbiamo precisato il diritto e la dignità del lavoro, i rapporti di vicendevole appoggio e aiuto che devono esistere tra quelli che detengono il capitale e quelli che lavorano, il salario dovuto per stretta giustizia all’operaio per sé e per la sua famiglia.

32. – Nella stessa Nostra Enciclica abbiamo mostrato che i mezzi per salvare il mondo attuale dalla triste rovina prodotta dal liberalismo amorale non consistono nella lotta di classe e nel terrore, e neppure nell’abuso autocratico del potere statale, ma nella penetrazione della giustizia sociale e del sentimento di amore cristiano nell’ordine economico e sociale. Abbiamo mostrato come una sana prosperità deve essere ricostruita secondo i veri princìpi di un sano corporativismo che rispetti la debita gerarchia sociale, e come tutte le corporazioni devono unirsi in un’armonica unità, ispirandosi al principio del bene comune della società. E la missione più genuina e principale del potere pubblico e civile consiste appunto nel promuovere efficacemente questa armonia e la coordinazione di tutte le forze sociali. Gerarchia sociale e prerogative dello Stato

33. – In vista di questa collaborazione organica per il conseguimento della tranquillità, la dottrina cattolica rivendica allo Stato la dignità e l’autorità di un vigilante e previdente difensore dei diritti divini e umani, sui quali le Sacre Scritture e i Padri della Chiesa insistono tanto spesso. Non è vero che tutti abbiamo uguali diritti nella società civile, e che non esista legittima gerarchia. Ci basti richiamarCi alle Encicliche di Leone XIII, sopra accennate, specialmente a quella sul potere dello Stato [18] e all’altra sopra la costituzione cristiana dello Stato [19]. In esse il cattolico trova esposti luminosamente i princìpi della ragione e della fede, che lo renderanno capace di proteggersi contro gli errori e i pericoli della concezione statale comunista. La spoliazione dei diritti e l’asservimento dell’uomo, il rinnegamento dell’origine prima e trascendente dello Stato e del potere statale, l’abuso orribile del potere pubblico a servizio del terrorismo collettivista sono proprio il contrario di ciò che corrisponde all’etica naturale e alla volontà del Creatore. Sia l’uomo sia la società civile traggono origine dal Creatore, e sono da Lui mutuamente ordinati l’uno all’altra; quindi nessuno dei due può esimersi dai doveri correlativi, né rinnegarne o menomarne i diritti. Il Creatore stesso ha regolato questo mutuo rapporto nelle sue linee fondamentali ed è ingiusta usurpazione quella che il comunismo si arroga, d’imporre cioè in luogo della legge divina basata sugli immutabili princìpi della verità e della carità, un programma politico di partito, che promana dall’arbitrio umano ed è pieno di odio.

BELLEZZA DI TALE DOTTRINA DELLA CHIESA

34. – La Chiesa, nell’insegnare questa luminosa dottrina, non ha altra mira che di attuare il felice annunzio cantato dagli Angeli sulla grotta di Betlemme alla nascita del Redentore: «Gloria a Dio… e… pace agli uomini… » ; pace vera e vera felicità, anche quaggiù quanto è possibile, in vista e in preparazione della felicità eterna, ma agli uomini di buona volontà. Questa dottrina è ugualmente lontana da tutti gli estremi dell’errore come da tutte le esagerazioni dei partiti o sistemi che vi aderiscono, si attiene sempre all’equilibrio della verità e della giustizia; lo rivendica nella teoria, lo applica e lo promuove nella pratica, conciliando i diritti e i doveri degli uni con quelli degli altri, come l’autorità con la libertà, la dignità dell’individuo con quella dello Stato, la personalità umana nel suddito con la rappresentanza divina nel superiore, e quindi la doverosa soggezione e l’amore ordinato di sé, della famiglia e della patria, con l’amore delle altre famiglie e degli altri popoli, fondato nell’amore di Dio, padre di tutti, primo principio ed ultimo fine. Essa non disgiunge la giusta cura dei beni temporali dalla sollecitudine degli eterni. Se quelli subordina a questi, secondo la parola del suo divino Fondatore: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato per giunta », è lungi dal disinteressarsi delle cose umane e dal nuocere ai progressi civili e ai vantaggi materiali; anzi li sostiene e li promuove nella più ragionevole ed efficace maniera. Così, anche nel campo economico-sociale, la Chiesa, benché non abbia mai offerto un determinato sistema tecnico, non essendo questo compito suo, ha però fissato chiaramente punti e linee che, pur prestandosi a diverse applicazioni concrete secondo le varie condizioni dei tempi, dei luoghi e dei popoli, indicano la via sicura per ottenere il felice progresso della società.

35. – La saggezza e la somma utilità di questa dottrina vengono ammesse da quanti veramente la conoscono. Ben a ragione insigni statisti poterono affermare che, dopo avere studiato i diversi sistemi sociali, non avevano trovato nulla di più sapiente che i princìpi esposti nelle Encicliche Rerum novarum e Quadragesimo anno. Ma anche in paesi non cattolici, anzi neppur cristiani, si riconosce quanto siano utili per la società umana le dottrine sociali della Chiesa; così, or fa appena un mese, un eminente uomo politico dell’estremo Oriente, non cristiano, non dubitò di proclamare che la Chiesa con la sua dottrina di pace e di fraternità cristiana porta un altissimo contributo allo stabilimento e al mantenimento della pace operosa tra le nazioni. Perfino gli stessi comunisti, come sappiamo dalle sicure relazioni che affluiscono da ogni parte a questo Centro della Cristianità, se non sono ancora del tutto corrotti, quando viene loro esposta la dottrina sociale della Chiesa, ne riconoscono la superiorità sulle dottrine dei loro capi e maestri. Soltanto gli accecati dalla passione e dall’odio chiudono gli occhi alla luce della verità e la combattono ostinatamente.

È VERO CHE LA CHIESA NON HA AGITO CONFORME A TALE DOTTRINA?

36. – Ma i nemici della Chiesa, pur costretti a riconoscere la sapienza della sua dottrina, rimproverano alla Chiesa di non aver saputo agire in conformità di quei princìpi, e perciò affermano di doversi cercare altre vie. Quanto questa accusa sia falsa e ingiusta lo dimostra tutta la storia del Cristianesimo. Per non accennare che a qualche punto caratteristico, fu il Cristianesimo a proclamare per primo, in una maniera e con un’ampiezza e convinzione sconosciute ai secoli precedenti, la vera e universale fratellanza di tutti gli uomini di qualunque condizione e stirpe, contribuendo così potentemente all’abolizione della schiavitù, non con sanguinose rivolte, ma per l’interna forza della sua dottrina, che alla superba patrizia romana faceva vedere nella sua schiava una sua sorella in Cristo. Fu il Cristianesimo, che adora il Figlio di Dio fattosi uomo per amor degli uomini e divenuto come « Figlio dell’Artigiano », anzi « Artigiano » Egli stesso, fu il Cristianesimo ad innalzare il lavoro manuale alla sua vera dignità; quel lavoro manuale prima tanto disprezzato, che perfino il discreto Marco Tullio Cicerone, riassumendo l’opinione generale del suo tempo, non si peritò di scrivere queste parole di cui ora si vergognerebbe ogni sociologo: «Tutti gli artigiani si occupano in mestieri spregevoli, poiché l’officina non può avere alcunché di nobile » .

37. – Fedele a questi princìpi, la Chiesa ha rigenerato la società umana; sotto il suo influsso sorsero mirabili opere di carità, potenti corporazioni di artigiani e lavoratori d’ogni categoria, derise bensì dal liberalismo del secolo scorso come cose da Medio Evo, ma ora rivendicate all’ammirazione dei nostri contemporanei che cercano in molti paesi di farne in qualche modo rivivere il concetto. E quando altre correnti intralciavano l’opera e ostacolavano l’influsso salutare della Chiesa, questa fino ai giorni nostri non desisteva dall’ammonire gli erranti. Basti ricordare con quanta fermezza, energia e costanza il Nostro Predecessore Leone XIII rivendicasse all’operaio il diritto di associazione, che il liberalismo dominante negli Stati più potenti si accaniva a negargli. E questo influsso della dottrina della Chiesa anche al presente è più grande che non sembri, perché grande e certo, benché invisibile e non facilmente mensurabile, è il predominio delle idee sui fatti.

38. – Si può ben dire con tutta verità che la Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli « facendo del bene » a tutti. Non vi sarebbero né socialismo né comunismo se coloro che governavano i popoli non avessero disprezzato gli insegnamenti e i materni avvertimenti della Chiesa: essi invece hanno voluto, sulle basi del liberalismo e del laicismo, fabbricare altri edifici sociali, che sulle prime parevano potenti e grandiosi, ma ben presto si videro mancare di solidi fondamenti, e vanno miseramente crollando l’uno dopo l’altro, come deve crollare tutto ciò che non poggia sull’unica pietra angolare che è Gesù Cristo.

IV

RIMEDI E MEZZI

NECESSITÀ DI RICORRERE AI RIPARI

39. – Questa, Venerabili Fratelli, è la dottrina della Chiesa, l’unica che possa apportare vera luce, come in ogni altro campo, così anche nel campo sociale, e possa recare salvezza di fronte all’ideologia comunista. Ma bisogna che tale dottrina passi sempre più nella pratica della vita, secondo l’avvertimento dell’Apostolo San Giacomo: « Siate… operatori della parola e non semplici uditori, ingannando voi stessi »[24]; perciò quello che più urge al presente è adoperare con energia gli opportuni rimedi per opporsi efficacemente al minaccioso sconvolgimento che si va preparando. Nutriamo la ferma fiducia che almeno la passione con cui i figli delle tenebre giorno e notte lavorano alla loro propaganda materialistica e atea, valga a santamente stimolare i figli della luce ad uno zelo non dissimile, anzi maggiore, per l’onore della Maestà divina.

40. – Che cosa bisogna dunque fare, di quali rimedi servirsi per difendere Cristo e la civiltà cristiana contro quel pernicioso nemico? Come un padre nel cerchio della sua famiglia, Noi vorremmo intrattenerci quasi nell’intimità sui doveri che la grande lotta dei giorni nostri impone a tutti i figli della Chiesa, indirizzando il Nostro paterno avvertimento anche a quei figli che si sono allontanati da essa.

RINNOVAMENTO DELLA VITA CRISTIANA

Rimedio fondamentale

41. – Come in tutti i periodi più burrascosi della storia della Chiesa, così ancor oggi il fondamentale rimedio è un sincero rinnovamento di vita privata e pubblica secondo i princìpi del Vangelo in tutti coloro che si gloriano di appartenere all’Ovile di Cristo, affinché siano veramente il sale della terra che preservi la società umana da una tale corruzione.

42. – Con animo profondamente grato al Padre dei lumi, da cui discendono « ogni cosa ottima data e ogni dono perfetto », vediamo dappertutto consolanti segni di questo rinnovamento spirituale, non solo in tante anime singolarmente elette che in questi ultimi anni si sono innalzate al vertice della più sublime santità e in tante altre sempre più numerose che generosamente camminano verso la stessa luminosa meta, ma anche nel rifiorire di una pietà sentita e vissuta in tutti i ceti della società, anche nei più colti, come abbiamo rilevato nel Nostro recente Motu-proprio In multis solaciis del 28 ottobre scorso, in occasione del riordinamento della Pontificia Accademia delle Scienze.

43. – Non possiamo però negare che molto ancora resta da fare su questa via del rinnovamento spirituale. Anche in paesi cattolici, troppi sono coloro che sono cattolici quasi solo di nome; troppi coloro che, pur seguendo più o meno fedelmente le pratiche più essenziali della religione che si vantano di professare, non si curano di conoscerla meglio, di acquistarne una più intima e più profonda convinzione, e meno ancora di far sì che all’esterna vernice corrisponda l’interno splendore di una coscienza retta e pura, che sente e compie tutti i suoi doveri sotto lo sguardo di Dio. Sappiamo quanto il Divin Salvatore aborrisse questa vana e fallace esteriorità, Egli che voleva che tutti adorassero il Padre « in spirito e verità ». Chi non vive veramente e sinceramente secondo la fede che professa, non potrà oggi, mentre tanto gagliardo soffia il vento della lotta e della persecuzione, reggersi a lungo, ma verrà miseramente travolto da questo nuovo diluvio che minaccia il mondo, e così mentre si prepara da sé la propria rovina, esporrà al ludibrio anche il nome Cristiano.

Distacco dai beni terreni

44. – E qui vogliamo, Venerabili Fratelli, insistere più particolarmente sopra due insegnamenti del Signore, che hanno speciale connessione con le attuali condizioni del genere umano: il distacco dai beni terreni e il precetto della carità. «Beati i poveri di spirito » furono le prime parole che uscirono dalle labbra del Divino Maestro, nel suo sermone della montagna [28]. E questa lezione è più che mai necessaria in questi tempi di materialismo assetato dei beni e piaceri di questa terra. Tutti i cristiani, ricchi o poveri, devono sempre tener fisso lo sguardo al cielo, ricordandosi che « non abbiamo qui una città permanente, ma cerchiamo quella avvenire ». I ricchi non devono porre nelle cose della terra la loro felicità né indirizzare al conseguimento di quelle i loro sforzi migliori; ma, considerandosene solo come amministratori che sanno di doverne rendere conto al supremo Padrone, se ne valgano come di mezzi preziosi che Dio loro porge per fare del bene; e non lascino di distribuire ai poveri quello che loro avanza, secondo il precetto evangelico [30]. Altrimenti si verificherà di loro e delle loro ricchezze la severa sentenza di San Giacomo Apostolo: « Su via adesso, o ricchi, piangete, urlate a motivo delle miserie che verranno sopra di voi. Le vostre ricchezze si sono imputridite e le vostre vesti sono state ròse dalle tignole. L’oro e l’argento vostro sono arrugginiti; e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi, e come fuoco divorerà le vostre carni. Avete accumulato tesori d’ira, per gli ultimi giorni…» .

45. – Ma anche i poveri, a loro volta, pur adoperandosi secondo le leggi della carità e della giustizia a provvedersi del necessario e anche a migliorare la loro condizione, devono sempre rimanere essi pure « poveri di spirito » , stimando più i beni spirituali che i beni e i godimenti terreni. Si ricordino poi che non si riuscirà mai a fare scomparire dal mondo le miserie, i dolori, le tribolazioni, alle quali sono soggetti anche coloro che all’apparenza sembrano più fortunati. Quindi, per tutti è necessaria la pazienza, quella pazienza cristiana che solleva il cuore alle divine promesse di una felicità eterna. « Siate dunque pazienti, o fratelli, — vi diremo ancora con San Giacomo — sino alla venuta del Signore. Ecco, l’agricoltore aspetta il prezioso frutto della terra, e l’aspetta con pazienza finché riceva le primizie e i frutti successivi. Siate anche voi pazienti, e rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina » . Solo così si adempirà la consolante promessa del Signore: «Beati i poveri! » E non è questa una consolazione e una promessa vana come sono le promesse dei comunisti; ma sono parole di vita che contengono una somma realtà e che si verificano pienamente qui in terra e poi nell’eternità. Quanti poveri, infatti, in queste parole e nell’aspettativa del regno dei cieli, che è già proclamato loro proprietà: « perché il regno di Dio è vostro »[34], trovano una felicità, che tanti ricchi non trovano nelle loro ricchezze, sempre inquieti e sempre assetati come sono di averne di più.

Carità cristiana

46. – Ancora più importante, come rimedio del male di cui trattiamo, o certo più direttamente ordinato a risanarlo, è il precetto della carità. Noi pensiamo a quella carità cristiana, « paziente e benigna », la quale evita ogni aria di avvilente protezione e ogni ostentazione; quella carità che fin dagli inizi del Cristianesimo guadagnò a Cristo i più poveri tra i poveri, gli schiavi; e ringraziamo tutti coloro che nelle opere di beneficenza, dalle conferenze di San Vincenzo de’ Paoli fino alle grandi recenti organizzazioni d’assistenza sociale, hanno esercitato ed esercitano le opere della misericordia corporale e spirituale. Quanto più gli operai e i poveri sperimenteranno in se stessi ciò che lo spirito dell’amore animato dalla virtù di Cristo fa per essi, tanto più si spoglieranno del pregiudizio che il Cristianesimo abbia perduto della sua efficacia e la Chiesa stia dalla parte di quelli che sfruttano il loro lavoro.

47. – Ma quando vediamo da un lato una folla di indigenti, che per varie ragioni indipendenti da loro sono veramente oppressi dalla miseria, e dall’altro lato, accanto ad essi, tanti che si divertono spensieratamente e spendono enormi somme in cose inutili, non possiamo non riconoscere con dolore che non solo non è ben osservata la giustizia, ma che pure il precetto della carità cristiana non è approfondito abbastanza, non è vissuto nella pratica quotidiana. Desideriamo pertanto, Venerabili Fratelli, che venga sempre più illustrato con la parola e con gli scritti questo divino precetto, preziosa tessera di riconoscimento lasciata da Cristo ai suoi veri discepoli; questo precetto, che c’insegna a vedere nei sofferenti Gesù stesso e ci impone di amare i nostri fratelli come il divin Salvatore ha amato noi, cioè fino al sacrificio di noi stessi e, se occorre, anche della propria vita. Si meditino poi da tutti e spesso quelle parole, per una parte consolanti ma per l’altra terribili, della sentenza finale, che pronuncerà il Giudice Supremo nel giorno dell’estremo Giudizio: «Venite, o benedetti dal Padre mio: … perché io ebbi fame, e voi mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere… In verità vi dico che tutte le volte che avete fatto qualche cosa a uno di questi minimi tra i miei fratelli, l’avete fatta a me » . E di contro: «Andate via da me, maledetti nel fuoco eterno…: perché io ebbi fame, e voi non mi deste da mangiare; ebbi sete, e non mi deste da bere… Io vi dico in verità che tutte le volte che voi non l’avete fatto a uno di questi minimi tra i miei fratelli, non l’avete fatto a me » .

48. – Per assicurarsi dunque la vita eterna e poter efficacemente soccorrere gli indigenti, è necessario ritornare ad una vita più modesta; rinunziare ai godimenti, spesso anche peccaminosi, che il mondo oggi offre in tanta abbondanza; dimenticare se stesso per l’amore del prossimo. Una divina forza rigeneratrice si trova in questo « precetto nuovo » (come Gesù lo chiamava) di carità cristiana, la cui fedele osservanza infonderà nei cuori un’interna pace sconosciuta al mondo, e rimedierà efficacemente ai mali che travagliano l’umanità. Doveri di stretta giustizia

49. – Ma la carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia. L’Apostolo insegna che « chi ama il prossimo, ha adempiuto la legge »; e ne dà la ragione: « poiché il Non fornicare, Non uccidere, Non rubare, … e qualsiasi altro precetto, si riassume in questa formula: Amerai il tuo prossimo come te stesso » . Se dunque, secondo l’Apostolo, tutti i doveri si riducono al solo precetto della vera carità, anche quelli che sono di stretta giustizia, come il non uccidere e il non rubare; una carità che privi l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è carità, ma un vano nome e una vuota apparenza di carità. Né l’operaio ha bisogno di ricevere come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia. Carità e giustizia impongono dei doveri, spesso circa la stessa cosa, ma sotto diverso aspetto; e gli operai, a questi doveri altrui che li riguardano, sono giustamente sensibilissimi per ragione della loro stessa dignità.

50. – Perciò Ci rivolgiamo in modo particolare a voi, padroni e industriali cristiani, il cui compito è spesso tanto difficile perché voi portate la pesante eredità degli errori di un regime economico iniquo che ha esercitato il suo rovinoso influsso durante più generazioni; siate voi stessi memori della vostra responsabilità. È purtroppo vero che il modo di agire di certi ambienti cattolici ha contribuito a scuotere la fiducia dei lavoratori nella religione di Gesù Cristo. Essi non volevano capire che la carità cristiana esige il riconoscimento di certi diritti, che sono dovuti all’operaio e che la Chiesa gli ha esplicitamente riconosciuti. Come è da giudicarsi l’operato di quei padroni cattolici, i quali in qualche luogo sono riusciti ad impedire la lettura della Nostra Enciclica Quadragesimo anno, nelle loro chiese patronali? o di quegli industriali cattolici che si sono mostrati fino ad oggi gli avversari di un movimento operaio da Noi stessi raccomandato? E non è da deplorare che il diritto di proprietà, riconosciuto dalla Chiesa, sia stato talvolta usato per defraudare l’operaio del suo giusto salario e dei suoi diritti sociali?

Giustizia sociale

51. – Difatti, oltre la giustizia commutativa, vi è pure la giustizia sociale, che impone anch’essa dei doveri a cui non si possono sottrarre né i padroni né gli operai. Ed è appunto proprio della giustizia sociale l’esigere dai singoli tutto ciò che è necessario al bene comune. Ma come nell’organismo vivente non viene provvisto al tutto, se non si dà alle singole parti e alle singole membra tutto ciò di cui esse abbisognano per esercitare le loro funzioni; così non si può provvedere all’organismo sociale e al bene di tutta la società se non si dà alle singole parti e ai singoli membri, cioè uomini dotati della dignità di persone, tutto quello che devono avere per le loro funzioni sociali. Se si soddisferà anche alla giustizia sociale, un’intensa attività di tutta la vita economica svolta nella tranquillità e nell’ordine ne sarà il frutto e dimostrerà la sanità del corpo sociale, come la sanità del corpo umano si riconosce da una imperturbata e insieme piena e fruttuosa attività di tutto l’organismo.

52. – Ma non si può dire di aver soddisfatto alla giustizia sociale se gli operai non hanno assicurato il proprio sostentamento e quello delle proprie famiglie con un salario proporzionato a questo fine; se non si facilita loro l’occasione di acquistare qualche modesta fortuna, prevenendo così la piaga del pauperismo universale; se non si prendono provvedimenti a loro vantaggio, con assicurazioni pubbliche o private, per il tempo della loro vecchiaia, della malattia o della disoccupazione. In una parola, per ripetere quello che abbiamo detto nella Nostra Enciclica Quadragesimo anno: «Allora l’economia sociale veramente sussisterà e otterrà i suoi fini, quando a tutti e singoli i soci saranno somministrati tutti i beni che si possono apprestare con le forze e i sussidi della natura, con l’arte tecnica, con la costituzione sociale del fatto economico; i quali beni debbono essere tanti quanti sono necessari sia a soddisfare ai bisogni e alle oneste comodità, sia a promuovere gli uomini a quella più felice condizione di vita, che, quando la cosa si faccia prudentemente, non solo non è d’ostacolo alla virtù, ma grandemente la favorisce » .

53. – Se poi, come avviene sempre più frequentemente nel salariato, la giustizia non può essere osservata dai singoli, se non a patto che tutti si accordino a praticarla insieme mediante istituzioni che uniscano tra loro i datori di lavoro, per evitare tra essi una concorrenza incompatibile con la giustizia dovuta ai lavoratori, il dovere degli impresari e padroni è di sostenere e di promuovere queste istituzioni necessarie, che diventano il mezzo normale per poter adempiere i doveri di giustizia. Ma anche i lavoratori si ricordino dei loro obblighi di carità e di giustizia verso i datori di lavoro, e siano persuasi che con questo salvaguarderanno meglio anche i propri interessi.

54. – Se dunque si considera l’insieme della vita economica, — come l’abbiamo già notato nella Nostra Enciclica Quadragesimo anno, — non si potrà far regnare nelle relazioni economico-sociali la mutua collaborazione della giustizia e della carità, se non per mezzo di un corpo di istituzioni professionali e interprofessionali su basi solidamente cristiane, collegate tra loro e formanti, sotto forme diverse e adattate ai luoghi e circostanze, quello che si diceva la Corporazione.

STUDIO E DIFFUSIONE DELLA DOTTRINA SOCIALE

55. – Per dare a questa azione sociale una maggiore efficacia, è assai necessario promuovere lo studio dei problemi sociali alla luce della dottrina della Chiesa e diffonderne gli insegnamenti sotto l’egida dell’autorità da Dio costituita nella Chiesa stessa. Se il modo di agire di taluni cattolici ha lasciato a desiderare nel campo economico-sociale, ciò spesso avvenne perché essi non hanno abbastanza conosciuto e meditato gli insegnamenti dei Sommi Pontefici su questo argomento. Perciò è sommamente necessario che in tutti i ceti della società si promuova una più intensa formazione sociale corrispondente al diverso grado di cultura, intellettuale, e si procuri con ogni sollecitudine e industria la più larga diffusione degli insegnamenti della Chiesa anche tra la classe operaia. Siano illuminate le menti dalla luce sicura della dottrina cattolica e inclinate le volontà a seguirla e ad applicarla come norma del retto vivere, per l’adempimento coscienzioso dei molteplici doveri sociali. Si combatta così quella incoerenza e discontinuità nella vita cristiana da Noi varie volte lamentata, per cui taluni, mentre sono apparentemente fedeli all’adempimento dei loro doveri religiosi, nel campo poi del lavoro o dell’industria o della professione o nel commercio o nell’impiego, per un deplorevole sdoppiamento di coscienza, conducono una vita troppo difforme dalle norme così chiare della giustizia e della carità cristiana, procurando in tal modo grave scandalo ai deboli e offrendo ai cattivi facile pretesto di screditare la Chiesa stessa.

56. – Grande contributo a questo rinnovamento può rendere la stampa cattolica. Essa può e deve dapprima in vari e attraenti modi far sempre meglio conoscere la dottrina sociale, informare con esattezza ma anche con la debita ampiezza sull’attività dei nemici, riferire sui mezzi di combattere che si sono mostrati i più efficaci in varie regioni, proporre utili suggerimenti e mettere in guardia contro le astuzie e gli inganni coi quali i comunisti procurano, e sono già riusciti, ad attrarre a sé uomini in buona fede.

PREMUNIRSI CONTRO LE INSIDIE DEL COMUNISMO

57. – Su questo punto abbiamo giù insistito nella Nostra Allocuzione del 12 maggio dell’anno scorso, ma crediamo necessario, Venerabili Fratelli, di dover in modo particolare richiamarvi sopra di nuovo la vostra attenzione. Il comunismo nel principio si mostrò quale era in tutta la sua perversità, ma ben presto si accorse che in tale modo allontanava da sé i popoli, e perciò ha cambiato tattica e procura di attirare le folle con vari inganni, nascondendo i propri disegni dietro idee che in sé sono buone ed attraenti. Così, vedendo il comune desiderio di pace, i capi del comunismo fingono di essere i più zelanti fautori e propagatori del movimento per la pace mondiale; ma nello stesso tempo eccitano a una lotta di classe che fa correre fiumi di sangue, e sentendo di non avere interna garanzia di pace, ricorrono ad armamenti illimitati. Così, sotto vari nomi che neppure alludono al comunismo, fondano associazioni e periodici che servono poi unicamente a far penetrare le loro idee in ambienti altrimenti a loro non facilmente accessibili; anzi procurano con perfidia di infiltrarsi in associazioni cattoliche e religiose. Così altrove, senza punto recedere dai loro perversi princìpi, invitano i cattolici a collaborare con loro sul campo così detto umanitario e caritativo, proponendo talvolta anche cose del tutto conformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa. Altrove poi spingono l’ipocrisia fino a far credere che il comunismo in paesi di maggior fede o di maggior cultura assumerà un altro aspetto più mite, non impedirà il culto religioso e rispetterà la libertà delle coscienze. Vi sono anzi di quelli che riferendosi a certi cambiamenti introdotti recentemente nella legislazione sovietica, ne concludono che il comunismo stia per abbandonare il suo programma di lotta contro Dio.

58. – Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per primi come vittime del loro errore, e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l’antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l’odio dei « senza Dio ».

PREGHIERA E PENITENZA

59. – Ma « se il Signore non sarà il custode della città, indarno veglia colui che la custodisce » . Perciò, come ultimo e potentissimo rimedio, vi raccomandiamo, Venerabili Fratelli, di promuovere e intensificare nel modo più efficace nelle vostre diocesi lo spirito di preghiera congiunta con la cristiana penitenza. Quando gli Apostoli chiesero al Salvatore perché non avessero essi potuto liberare dallo spirito maligno un demoniaco, il Signore rispose: «Demoni siffatti non si scacciano, se non con la preghiera e col digiuno » . Anche il male che oggi tormenta l’umanità non potrà esser vinto se non da una universale santa crociata di preghiera e di penitenza; e raccomandiamo singolarmente agli Ordini contemplativi, maschili e femminili, di raddoppiare le loro suppliche e i loro sacrifici per impetrare dal Cielo alla Chiesa un valido soccorso nelle lotte presenti, con la possente intercessione della Vergine Immacolata, la quale, come un giorno schiacciò il capo all’antico serpente, così è sempre il sicuro presidio e l’invincibile « Aiuto dei Cristiani ».

V

MINISTRI E AUSILIARI DI QUEST’OPERA SOCIALE DELLA CHIESA

I SACERDOTI

 60. – Per l’opera mondiale di salute che siamo venuti tracciando e per l’applicazione dei rimedi che abbiamo brevemente indicati, ministri e operai evangelici designati dal divino Re Gesù Cristo sono in prima linea i Sacerdoti. Ad essi, per vocazione speciale, sotto la guida dei sacri Pastori e in unione di filiale obbedienza al Vicario di Cristo in terra, è affidato il compito di tener accesa nel mondo la fiaccola della fede e di infondere nei fedeli quella soprannaturale fiducia colla quale la Chiesa nel nome di Cristo ha combattuto e vinto tante altre battaglie: «Questa è la vittoria che vince il mondo, la fede nostra ».

61. – In modo particolare ricordiamo ai sacerdoti l’esortazione del Nostro Predecessore Leone XIII, tante volte ripetuta, di andare all’operaio; esortazione che Noi facciamo Nostra e completiamo: « Andate all’operaio, specialmente all’operaio povero, e in generale, andate ai poveri », seguendo in ciò gli ammaestramenti di Gesù e della sua Chiesa. I poveri difatti sono i più insidiati dai mestatori, che sfruttano la loro misera condizione per accenderne l’invidia contro i ricchi ed eccitarli a prendersi con la forza quello che sembra loro ingiustamente negato dalla fortuna; e se il sacerdote non va agli operai, ai poveri, per premunirli o disingannarli dai pregiudizi e dalle false teorie, essi diventeranno facile preda degli apostoli del comunismo.

62. – Non possiamo negare che molto si è fatto in questo senso, specialmente dopo le Encicliche Rerum novarum e Quadragesimo anno; e con paterna compiacenza salutiamo le industriose cure pastorali di tanti Vescovi e Sacerdoti, che vanno escogitando e provando, sia pure con le debite prudenti cautele, nuovi metodi di apostolato meglio corrispondenti alle esigenze moderne. Ma tutto questo è ancora troppo poco per il bisogno presente. Come, quando la patria è in pericolo, tutto ciò che non è strettamente necessario o non è direttamente ordinato all’urgente bisogno della difesa comune, passa in seconda linea; così anche nel caso nostro, ogni altra opera, per quanto bella e buona, deve cedere il posto alla vitale necessità di salvare le basi della fede e della civiltà cristiana. E quindi nelle parrocchie i sacerdoti, pur dando naturalmente quello che è necessario alla cura ordinaria dei fedeli, riservino il più e il meglio delle loro forze e della loro attività a riguadagnare le masse dei lavoratori a Cristo e alla Chiesa e a far penetrare lo spirito cristiano negli ambienti che ne sono più alieni. Essi poi nelle masse popolari troveranno una corrispondenza e un’abbondanza di frutti inaspettata, che li compenserà del duro lavoro del primo dissodamento; come abbiamo visto e vediamo in Roma e in molte altre metropoli, dove al sorgere di nuove chiese nei quartieri periferici si vanno raccogliendo zelanti comunità parrocchiali e si operano veri miracoli di conversioni tra popolazioni che erano ostili alla religione solo perché non la conoscevano.

63. – Ma il più efficace mezzo di apostolato tra le folle dei poveri e degli umili è l’esempio del sacerdote, l’esempio di tutte le virtù sacerdotali, quali le abbiamo descritte nella Nostra Enciclica Ad catholici sacerdotii; ma nel caso presente in modo speciale è necessario un luminoso esempio di vita umile, povera, disinteressata, copia fedele del Divino Maestro che poteva proclamare con divina franchezza: « Le volpi hanno delle tane e gli uccelli dell’aria hanno dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo » . Un sacerdote veramente ed evangelicamente povero e disinteressato fa miracoli di bene in mezzo al popolo, come un San Vincenzo de’ Paoli, un Curato d’Ars, un Cottolengo, un Don Bosco e tanti altri; mentre un sacerdote avaro e interessato, come abbiamo ricordato nella già citata Enciclica, anche se non precipita come Giuda, nel baratro del tradimento, sarà per lo meno un vano « bronzo risonante » e un inutile « cembalo squillante » , e troppo spesso un impedimento piuttosto che uno strumento di grazia in mezzo al popolo. E se il sacerdote secolare o regolare per obbligo del suo ufficio deve amministrare dei beni temporali, si ricordi che non soltanto deve scrupolosamente osservare tutto ciò che prescrivono la carità e la giustizia, ma deve mostrarsi in modo particolare veramente un padre dei poveri.

L’AZIONE CATTOLICA

64. – Dopo che al Clero, Noi rivolgiamo il Nostro paterno invito ai carissimi figli Nostri del laicato, che militano nelle file della tanto a Noi diletta Azione Cattolica, che già dichiarammo in altra occasione « un sussidio particolarmente provvidenziale » all’opera della Chiesa in queste contingenze tanto difficili. Infatti l’Azione Cattolica è pure apostolato sociale, in quanto tende a diffondere il Regno di Gesù Cristo non solo negli individui, ma anche nelle famiglie e nella società. Deve perciò anzi tutto attendere a formare con cura speciale i suoi soci e prepararli alle sante battaglie del Signore. A tale lavoro formativo, quanto mai urgente e necessario, che si deve sempre premettere all’azione diretta e fattiva, serviranno certamente i circoli di studio, le settimane sociali, corsi organici di conferenze e tutte quelle altre iniziative atte a far conoscere la soluzione dei problemi sociali in senso cristiano.

 65. – Militi dell’Azione Cattolica così ben preparati ed addestrati saranno i primi ed immediati apostoli dei loro compagni di lavoro e diventeranno i preziosi ausiliari del sacerdote per portare la luce della verità e sollevare le gravi miserie materiali e spirituali in innumerevoli zone refrattarie all’azione del ministro di Dio, o per inveterati pregiudizi contro il Clero o per deplorevole apatia religiosa. Si coopererà in tal modo, sotto la guida di sacerdoti particolarmente esperti, a quella assistenza religiosa alle classi lavoratrici, che Ci sta tanto a cuore, come il mezzo più adatto per preservare quei Nostri diletti figli dall’insidia comunista.

66. – Oltre a questo apostolato individuale, spesse volte nascosto, ma oltremodo utile ed efficace, è compito dell’Azione Cattolica fare con la propaganda orale e scritta una larga seminagione dei princìpi fondamentali che servano alla costruzione di un ordine sociale cristiano, quali risultano dai documenti Pontifici.

ORGANIZZAZIONI AUSILIARIE

67. – Attorno all’Azione Cattolica si schierano le organizzazioni che Noi abbiamo già salutato come ausiliarie della stessa. Anche queste così utili organizzazioni Noi esortiamo con paterno affetto a consacrarsi alla grande missione di cui trattiamo, che attualmente supera tutte le altre per la sua vitale importanza.

ORGANIZZAZIONI DI CLASSE

68. – Noi pensiamo altresì a quelle organizzazioni di classe: di lavoratori, di agricoltori, di ingegneri, di medici, di padroni, di studiosi, e altre simili; uomini e donne, i quali vivono nelle stesse condizioni culturali e quasi naturalmente sono stati riuniti in gruppi omogenei. Proprio questi gruppi e queste organizzazioni sono destinate ad introdurre quell’ordine nella società, che Noi abbiamo avuto di mira nella Nostra Enciclica Quadragesimo anno, e a diffondere così il riconoscimento della regalità di Cristo nei diversi campi della cultura e del lavoro.

69. – Che se, per le mutate condizioni della vita economica e sociale, lo Stato si è creduto in dovere di intervenire fino ad assistere e regolare direttamente tali istituzioni con particolari disposizioni legislative, salvo il rispetto doveroso delle libertà e delle iniziative private; anche in tali circostanze l’Azione Cattolica non può tenersi estranea alla realtà, ma deve dare con saggezza il suo contributo di pensiero, con lo studio dei nuovi problemi alla luce della dottrina cattolica, e di attività con la partecipazione leale e volonterosa dei suoi inscritti alle nuove forme ed istituzioni, portando in esse lo spirito cristiano, che è sempre principio di ordine e di mutua e fraterna collaborazione.

APPELLO AGLI OPERAI CATTOLICI

70. – Una parola particolarmente paterna vorremmo qui indirizzare ai Nostri cari operai cattolici, giovani e adulti, i quali, forse in premio della loro fedeltà, talvolta eroica in questi tempi tanto difficili, hanno ricevuto una missione molto nobile e ardua. Sotto la guida dei loro Vescovi e dei loro sacerdoti, essi devono ricondurre alla Chiesa e a Dio quelle immense moltitudini dei loro fratelli di lavoro, i quali, esacerbati per non essere stati compresi o trattati con la dignità alla quale avevano diritto, si sono allontanati da Dio. Gli operai cattolici col loro esempio, con le loro parole, dimostrino a questi loro fratelli traviati che la Chiesa è una tenera Madre per tutti quelli che lavorano e soffrono, e non ha mai mancato, né mai mancherà al suo sacro dovere materno di difendere i suoi figli. Se questa missione, che essi debbono compiere nelle miniere, nelle fabbriche, nei cantieri, dovunque si lavora, richiede alle volte dei grandi sacrifizi, si ricorderanno che il Salvatore del mondo ha dato non solo l’esempio del lavoro, ma anche quello del sacrificio.

NECESSITÀ DELLA CONCORDIA TRA I CATTOLICI

71. – A tutti i Nostri figli poi, d’ogni classe sociale, d’ogni nazione, di ogni gruppo religioso e laico nella Chiesa, vorremmo indirizzare un nuovo e più urgente appello alla concordia. Più volte il Nostro cuore paterno è stato addolorato dalle divisioni, spesso futili nelle loro cause, ma sempre tragiche nelle loro conseguenze, che mettono alle prese i figli d’una stessa Madre, la Chiesa. Così si vede che i sovversivi, che non sono tanto numerosi, approfittando di queste discordie, le rendono più acute, e finiscono per gettare gli stessi cattolici gli uni contro gli altri. Dopo gli avvenimenti di questi ultimi mesi, dovrebbe sembrare superfluo il Nostro monito. Lo ripetiamo però una volta ancora per quelli che non hanno capito, o forse non vogliono capire. Quelli che lavorano ad aumentare discordie fra cattolici prendono sopra di sé una terribile responsabilità dinanzi a Dio e alla Chiesa.

APPELLO A QUANTI CREDONO IN DIO

72. – Ma a questa lotta impegnata dal « potere delle tenebre » contro l’idea stessa della Divinità, Ci è caro sperare che, oltre tutti quelli che si gloriano del nome di Cristo, si oppongano pure validamente quanti (e sono la stragrande maggioranza dell’umanità) credono ancora in Dio e lo adorano. Rinnoviamo quindi l’appello che già lanciammo cinque anni or sono nella Nostra Enciclica Caritate Christi, affinché essi pure lealmente e cordialmente concorrano da parte loro « per allontanare dall’umanità il grande pericolo che minaccia tutti ». Poiché — come allora dicevamo, — siccome « il credere in Dio è il fondamento incrollabile di ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra, perciò tutti quelli che non vogliono l’anarchia e il terrore devono energicamente adoperarsi perché i nemici della religione non raggiungano lo scopo da loro così apertamente proclamato » .

DOVERI DELLO STATO CRISTIANO

Aiutare la Chiesa

73. – Abbiamo esposto, Venerabili Fratelli, il compito positivo, d’ordine dottrinale insieme e pratico, che la Chiesa si assume, per la sua stessa missione affidatale da Cristo, di edificare la società cristiana e, ai nostri tempi, di oppugnare e infrangere gli sforzi del comunismo; e abbiamo fatto appello a tutte e singole le classi della società. A questa medesima impresa spirituale della Chiesa lo Stato cristiano deve pure positivamente concorrere, aiutando in tale compito la Chiesa coi mezzi che gli sono propri, i quali, benché siano mezzi esterni, non mirano meno, in primo luogo, al bene delle anime.

74. – Perciò gli Stati porranno ogni cura per impedire che una propaganda atea, la quale sconvolge tutti i fondamenti dell’ordine, faccia strage nei loro territori, perché non si potrà avere autorità sulla terra se non viene riconosciuta l’autorità della Maestà divina, né sarà fermo il giuramento se non si giura nel nome del Dio vivente. Noi ripetiamo ciò che spesso e così insistentemente abbiamo detto, particolarmente nella Nostra Enciclica Caritate Christi: « Come può sostenersi un contratto qualsiasi e quale valore può avere un trattato, dove manchi ogni garanzia di coscienza? E come si può parlare di garanzia di coscienza, dove è venuta meno ogni fede in Dio, ogni timor di Dio? Tolta questa base, ogni legge morale cade con essa e non vi è più nessun rimedio che possa impedire la graduale ma inevitabile rovina dei popoli, della famiglia, dello Stato, della stessa umana civiltà » .

Provvedimenti di bene comune

75. – Inoltre lo Stato deve mettere ogni cura per creare quelle condizioni materiali di vita senza cui un’ordinata società non può sussistere, e per fornire lavoro specialmente ai padri di famiglia e alla gioventù. S’inducano a questo fine le classi possidenti ad assumersi, per la urgente necessità del bene comune, quei pesi, senza i quali la società umana non può essere salvata né essi stessi potrebbero trovar salvezza. I provvedimenti però che lo Stato prende a questo fine, devono essere tali che colpiscano davvero quelli che di fatto hanno nelle loro mani i maggiori capitali e vanno continuamente aumentandoli con grave danno altrui.

Prudente e sobria amministrazione

76. – Lo Stato medesimo, memore della sua responsabilità davanti a Dio e alla società, con una prudente e sobria amministrazione sia di esempio a tutti gli altri. Oggi più che mai la gravissima crisi mondiale esige che coloro che dispongono di fondi enormi, frutto del lavoro e del sudore di milioni di cittadini, abbiano sempre davanti agli occhi unicamente il bene comune e siano intenti a promuoverlo quanto più è possibile. Anche i funzionari dello Stato e tutti gli impiegati adempiano per obbligo di coscienza i loro doveri con fedeltà e disinteresse, seguendo i luminosi esempi antichi e recenti di uomini insigni, che con indefesso lavoro sacrificarono tutta la loro vita per il bene della patria. Nel commercio poi dei popoli fra loro, si procuri sollecitamente di rimuovere quegli impedimenti artificiali della vita economica, che promanano dal sentimento della diffidenza e dall’odio, ricordandosi che tutti i popoli della terra formano un’unica famiglia di Dio.

Lasciare libertà alla Chiesa

77. – Ma nello stesso tempo lo Stato deve lasciare alla Chiesa la piena libertà di compiere la sua divina e del tutto spirituale missione per contribuire con ciò stesso potentemente a salvare i popoli dalla terribile tormenta dell’ora presente. Si fa oggi dappertutto un angoscioso appello alle forze morali e spirituali; e ben a ragione, perché il male che si deve combattere è prima di tutto, considerato nella sua prima sorgente, un male di natura spirituale, ed è da questa sorgente che sgorgano per una logica diabolica tutte le mostruosità del comunismo. Ora, tra le forze morali e religiose eccelle incontestabilmente la Chiesa Cattolica; e perciò il bene stesso dell’umanità esige che non si pongano impedimenti alla sua operosità.

78. – Se si agisce altrimenti e si pretende in pari tempo di raggiungere lo scopo con mezzi puramente economici e politici, si è in balìa di un errore pericoloso. E quando si esclude la religione dalla scuola, dall’educazione, dalla vita pubblica, e si espongono a ludibrio i rappresentanti del Cristianesimo e i suoi sacri riti, non si promuove forse quel materialismo donde germoglia il comunismo? Né la forza, neppure la meglio organizzata, né gli ideali terreni, siano pur essi i più grandi e i più nobili, possono padroneggiare un movimento, che getta le sue radici proprio nella troppa stima dei beni del mondo.

79. – Confidiamo che coloro che dirigono le sorti delle Nazioni, per poco che sentano il pericolo estremo da cui oggi sono minacciati i popoli, sentiranno sempre meglio il supremo dovere di non impedire alla Chiesa il compimento della sua missione; tanto più che nel compierla, mentre mira alla felicità eterna dell’uomo, essa lavora inseparabilmente anche per la vera felicità temporale.

APPELLO PATERNO AI TRAVIATI

80. – Ma non possiamo porre fine a questa Lettera Enciclica senza rivolgere una parola a quegli stessi figli Nostri che sono già intaccati o quasi dal male comunista. Li esortiamo vivamente ad ascoltare la voce del Padre che li ama; e preghiamo il Signore che li illumini affinché abbandonino la via sdrucciolevole che travolge tutti in una immensa catastrofica rovina e riconoscano anch’essi che l’unico Salvatore è Gesù Cristo Signor Nostro: « perché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’esser salvati » .

CONCLUSIONE

S. GIUSEPPE MODELLO E PATRONO

81. – E per affrettare la tanto da tutti desiderata pace di Cristo nel regno di Cristo, poniamo la grande azione della Chiesa Cattolica contro il comunismo ateo mondiale sotto l’egida del potente Protettore della Chiesa, San Giuseppe. Egli appartiene alla classe operaia ed ha sperimentato il peso della povertà, per sé e per la Sacra Famiglia, di cui era il capo vigile ed affettuoso; a lui fu affidato il Fanciullo divino, quando Erode sguinzagliò contro di Lui i suoi sicari. Con una vita di fedelissimo adempimento del dovere quotidiano, ha lasciato un esempio a tutti quelli che devono guadagnarsi il pane col lavoro delle loro mani e meritò di essere chiamato il Giusto, esempio vivente di quella giustizia cristiana, che deve dominare nella vita sociale.

82. – Con gli occhi rivolti in alto, la nostra fede vede i « nuovi cieli » e la « nuova terra », di cui parla il primo Nostro Antecessore, San Pietro. Mentre le promesse dei falsi profeti in questa terra si spengono nel sangue e nelle lacrime, risplende di celeste bellezza la grande apocalittica profezia del Redentore del mondo: « Ecco, Io faccio nuove tutte le cose » . – Non Ci resta, Venerabili Fratelli, che alzare le mani paterne e fare scendere sopra di Voi, sopra il Vostro clero e popolo, su tutta la grande famiglia cattolica, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, festa di San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale, il 19 marzo 1937, anno XVI del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SUL SANTO NATALE

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

PER IL GIORNO DI NATALE

(Primo discorso)

SUL MISTERO

Annunciare ad un moribondo il quale è estremamente affezionato alla vita, che un medico valente può trarlo dalle porte della morte e restituirgli una sanità perfetta, si potrebbe recargli una più felice novella? Ma infinitamente più lieta è quella che l’angelo reca oggi a tutti gli uomini nella persona dei pastori! Si, miei Fratelli, il demonio col peccato, aveva inferto le ferite più crudeli e più letali alle nostre povere anime. Vi aveva piantato le tre passioni le più funeste, dalle quali derivano tutte le altre, che sono l’orgoglio, l’avarizia, la sensualità. Essendo divenuti gli schiavi di queste vergognose passioni, noi eravamo tutti come altrettanti infermi pei quali non eravi speranza di sorta e non potevamo aspettarci che la morte eterna, se Gesù Cristo nostro vero medico non fòsse venuto in nostro soccorso. Ma no, commosso della nostra sventura, lasciò il seno del Padre suo, discese nel mondo nell’umiliazione, nella povertà e nei patimenti, affin di distruggere l’opera del demonio e applicare dei rimedi efficaci alle crudeli ferite che ci aveva recate questo antico serpente. Sì, egli viene, questo tenero Salvatore, per guarirci da tutti questi mali spirituali, per meritarci la grazia di condurre una vita umile, povera e mortificata; e, per meglio muoverci a far ciò, Egli medesimo ce ne porge l’esempio. È quello che noi vediamo in un modo ammirabile nella sua nascita. Noi vediamo che egli ci prepara 1° colle sue umiliazioni e colla obbedienza sua un rimedio al nostro orgoglio; 2° colla sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo, e 3° col suo stato di patimento e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi. Con questi rimedi ci restituisce la vita spirituale che il peccato di Adamo ci aveva rapita, diciamo ancor meglio, Egli viene ad aprirci la porta del cielo che il peccato ci aveva chiusa. Dopo tutto ciò, io vi lascio pensare quale debba essere la gioia e la riconoscenza d’un Cristiano alla vista di tanti benefizi! Ne occorrono altri per farci amare questo tenero e dolce Gesù, il quale viene per prendere sopra di sé tutti i nostri peccati, e che soddisfa alla giustizia del Padre suo per noi tutti? 0 mio Dio! Un Cristiano può pensare a tutto ciò senza venir meno d’amore e di riconoscenza?

I. — Io dico adunque, che la prima piaga che il peccato ha recato nel nostro cuore è l’orgoglio, questa passione così pericolosa, la quale consiste in un fondo d’amore e di stima di noi medesimi, e fa: 1° che noi non amiamo di dipendere da alcuno, né di obbedire; 2° che noi nulla temiamo tanto quanto di vederci umiliati agli occhi degli uomini; 3° che noi ricerchiamo tutto ciò che può farci emergere nella stima degli uomini. Ora, ecco quello che Gesù Cristo viene a combattere nella sua nascita colla umiltà più profonda.  – Non solamente Egli vuol dipendere dal Padre suo e obbedirgli in tutto, ma vuole ancora obbedire agli uomini e dipendere in qualche modo dalla loro volontà. Infatti, l’imperatore Augusto, per vanità, per capriccio o per interesse, ordina che si faccia il censimento di tutti i suoi sudditi, e che ciascun suddito si rechi a farsi registrare nel luogo nel quale sia nato. Noi vediamo che appena questo ordine è stato pubblicato, la Ss. Vergine e S. Giuseppe si mettono in viaggio, e Gesù Cristo benché nel seno della madre sua, obbedisca prontamente e con conoscenza a questo ordine. Ditemi, possiamo noi trovare un esempio di umiltà più adatto a farci praticare questa virtù con amore e con premura? E che! Un Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse, e noi, miserabili peccatori, che dovremmo, alla vista delle nostre miserie spirituali, nasconderci nella polvere, potremmo noi cercare mille pretesti per dispensarci dall’obbedire ai comandamenti di Dio e della sua Chiesa, ai nostri superiori, i quali in ciò tengono il luogo di Dio? Quale onta per noi se confrontiamo la nostra condotta con quella di Gesù Cristo! Un’altra lezione di umiltà che Gesù Cristo ci porge, è di aver voluto subire il rifiuto del mondo. Dopo un lungo viaggio, Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme; con quale onore non dovevasi ricevere Colui che si aspettava da quattromila anni! Ma come Egli veniva per guarirci del nostro orgoglio e per insegnarci l’umiltà, permette che tutti lo rifiutino e che nessuno voglia ricettarlo. Ecco dunque il padrone dell’universo, del cielo e della terra, disprezzato dagli uomini per i quali viene a sagrificare la propria vita per salvarli! E necessario adunque che questo tenero Salvatore sia ridotto di prendere a prestito il luogo degli animali. O mio Signore! quale umiltà e quale annientamento per un Dio! Certamente, nulla ci è più sensibile che gli affronti, i disprezzi, ed i rifiuti; che se noi vogliamo considerare quelli che furono fatti provare a Gesù Cristo, per quanto grandi siano i nostri, potremmo noi mai levarne lamento? Quale felicità per noi di avere dinanzi agli occhi un così bel modello che possiamo riprodurre senza timore di ingannarci! Io dico che Gesù Cristo, lontano dal cercare ciò che poteva farlo emergere nella stima degli uomini, all’opposto, vuol nascere nell’oscurità e nell’oblio; Egli vuole che poveri pastori siano istruiti segretamente della sua nascita da un angelo, affinché le prime adorazioni che riceverebbe provenissero dai più umili degli uomini. Lascia nel loro riposo e nella loro abbondanza i grandi ed i fortunati del secolo, per mandare i suoi ambasciatori ai poveri, onde siano consolati nel loro stato vedendo in una mangiatoia, adagiato sopra una manata di paglia, il loro Dio e il loro Salvatore. I ricchi non sono chiamati che alcun tempo dopo per farci comprendere che ordinariamente le ricchezze, gli agi, ci allontanano dal buon Dio. Possiamo noi, dopo un tale esempio, avere dell’ambizione, conservare un cuore gonfio d’orgoglio, ripieno di vanità? Possiamo ancora cercare la stima e le lodi degli uomini, gettando gli occhi sopra questa mangiatoia? Non vi pare di udire questo tenero ed amabile Gesù dire a tutti: “Imparate da me quanto sono dolce ed umile di cuore? „ – Dopo ciò, amiamo di vivere nella dimenticanza e nel disprezzo del mondo; non temiamo tanto, scrive S. Agostino, quanto gli onori e le ricchezze di questo mondo, perché se fosse permesso di amarli, Colui che si è fatto uomo per l’amore di noi, Egli medesimo li avrebbe amati. Se Egli fugge e disprezza tutto ciò, noi dobbiamo fare lo stesso, amare quello che ha amato e disprezzare quello che ha disprezzato; ecco l’insegnamento che Gesù Cristo ne porge venendo al mondo, ed ecco nell’atto stesso il rimedio che Egli applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. Ma ne abbiamo una seconda, la quale non è meno pericolosa: è l’avarizia.

II. — Noi diciamo che la seconda piaga che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, è l’avarizia, con altre parole, un amore smodato delle ricchezze e dei beni di questo mondo. Ah! quanto questa passione mena strage nel mondo! S. Paolo ha ben ragione di dirci che essa è la sorgente di tutti i mali. Infatti, non è da questo malaugurato interesse che provengono le ingiustizie, le invidie, gli odi, gli spergiuri, i processi, le querele, le animosità e le durezze verso i poveri? Dopo ciò possiamo meravigliarci che Gesù Cristo, il quale non viene sopra la terra che per guarire le passioni degli uomini, voglia nascere nella più grande povertà e nella privazione di tutti gli agi anche di quelli che sembrano necessari alla vita degli uomini? Per questo noi vediamo che Egli comincia a scegliere una madre povera, e vuol essere creduto il figlio di un povero operaio, e, come i profeti avevano annunciato che nascerebbe dalla famiglia regale di Davide, così affin di conciliare questa nobile origine col suo grande amore per la povertà, permette che, nel tempo della sua nascita, questa illustre famiglia sia caduta nell’indigenza. Non è tutto. Maria e Giuseppe, benché poveri, avevano una piccola casa a Nazareth; era ancora troppo per Lui; Egli non vuol nascere in un luogo che possa chiamar suo; e per questo obbliga Maria, la sua santa Madre, a intraprendere con Giuseppe il viaggio di Betlemme nel tempo preciso nel quale doveva darlo in luce. Ma almeno in Betlemme, che era la patria del loro avo Davide, non troverà parenti per riceverlo in loro casa? No, dice il Vangelo, nessuno lo vuol ricevere; tutti lo rimandano col pretesto che è povero. Ditemi, dove si recherà questo tenero Salvatore, se nessuno vuol riceverlo per guarentirlo dalle ingiurie del tempo cattivo? Tuttavolta resta ancora uno spediente; entrare in una locanda. Infatti, Maria e Giuseppe si presentano. Ma Gesù, il quale aveva tutto preveduto, permise che il concorso fosse così grande, sicché essi non trovarono luogo. Oh! dove riposerà dunque il nostro amabile Salvatore? S. Giuseppe e la Ss. Vergine cercano da ogni parte; essi scorgono una vecchia casupola nella quale le bestie si ritiravano nel cattivo tempo. O cieli! meravigliate! un Dio in una stalla! Egli poteva scegliere un magnifico palazzo; ma colui che ama cotanto la povertà non lo farà. Una stalla sarà il suo palazzo, una mangiatoia la sua culla, un po’ di paglia comporrà il suo letto, miserabili pannolini saranno tutti i suoi ornamenti, e dei poveri pastori formeranno la sua corte. – Ditemi, poteva Egli insegnarci in modo più efficace, il disprezzo che dovremmo fare dei beni e delle ricchezze di questo mondo, e nell’atto stesso, la stima che dobbiamo avere per la povertà e per i poveri? Venite, miserabili, ci dice S. Bernardo, venite voi tutti che attaccate i vostri cuori ai beni di questo mondo, ascoltate quello che vi diranno in questa stalla, questi pastori e questi pannolini che involgono il vostro Salvatore! Ah! sventura a voi che amate i beni di questo mondo! Ah! quanto è difficile che i ricchi si salvino! — Perché, mi direte voi? — Perché? 1° perché  ordinariamente una persona che è ricca è piena d’orgoglio; è necessario che tutti si curvino dinanzi a lei; che tutte le volontà degli altri siano sottomesse alla sua; 2° perché le affezionano i nostri cuori alla vita presente per la qual cosa, noi vediamo ogni giorno che un ricco teme grandemente la morte; 3° perché le ricchezze rovinano l’amore di Dio, estinguono tutti i sentimenti di compassione verso i poveri, o, per dir meglio, le ricchezze sono uno strumento che mette in movimento tutte le altre passioni. Ah! se noi avessimo gli occhi dell’anima aperti, quanto temeremmo che il nostro cuore si affezionasse alle cose di questo mondo! Ah! se i poveri potessero comprendere quanto il loro stato li avvicina a Dio e loro dischiude il cielo, benedirebbero il buon Dio di averli collocati in uno stato che li avvicina al loro Salvatore! Ma se voi mi domandate, chi sono questi poveri che Gesù Cristo ama tanto? Sono quelli che soffrono la loro povertà in ispirito di penitenza, senza mormorare e senza lagnarsi.  Altrimenti, la loro povertà non servirebbe che a renderli più colpevoli dei ricchi.- Ma i ricchi, mi direte voi, che cosa devono per imitare un Dio così povero e così disprezzato? — Ecco: non affezionare il loro cuore ai beni che posseggono; consacrarli in buone opere per quanto il possono; ringraziare il buon Dio di aver loro concesso un mezzo per cancellare i loro peccati colle loro limosine; di non mai disprezzare coloro che sono poveri; all’opposto rispettarli per la grande rassomiglianza che hanno con Gesù Cristo. È dunque con questa grande povertà che Gesù Cristo ci insegna a combattere l’attaccamento che abbiamo per i beni di questo mondo: è con ciò che Egli ci guarisce della seconda piaga che il peccato ci ha recato. Ma questo tenero Salvatore vuol guarircene un’altra recata dal peccato, che è la sensualità.

III. — Questa passione consiste nell’amore smodato dei piaceri che si gustano coi sensi. Questa funesta passione prende nascimento dall’eccesso del bere e del mangiare, dall’amore eccessivo del riposo, degli agi e delle comodità della vita, dagli spettacoli, dalle assemblee profane, in una parola, da tutti i piaceri che noi possiamo godere coi sensi. Che cosa fa Gesù Cristo per guarirci da questa pericolosa malattia? Egli nasce fra i patimenti, nelle lagrime, nella mortificazione; Egli nasce nel cuor della notte, nella stagione più rigorosa dell’anno. Appena nato, è coricato sopra una brancata di paglia, in una stalla. O mio Dio! quale stato per un Dio! Quando il Padre eterno creò Adamo, lo collocò in un giardino di delizie; quando nasce il Figlio suo, lo colloca sopra una manata di paglia! O mio Dio! quale stato! Colui che abbellisce il cielo e la terra, che forma tutta la felicità degli Angeli e dei santi vuol nascere, vivere e morire nei patimenti. Può Egli dimostrare in un modo più forte il disprezzo che dobbiamo fare del nostro corpo, e come dobbiamo trattarlo duramente, per timore che non perda l’anima nostra? O mio Dio! quale contraddizione! un Dio soffre per noi, un Dio versa lagrime sopra i nostri peccati, e noi non vorremmo soffrir nulla, aver tutti i nostri agi! … – Ma le lagrime e i patimenti di questo divino Bambino ci muovono terribili minacce. “Sventura a voi, ci dice, che passate la vostra vita nel ridere, perché sorgerà un giorno nel quale verserete lagrime che mai avranno termine.„ — “Il regno dei cieli soffre violenza e non è che per coloro che se la fanno continuamente. „ Sì, se noi ci avviciniamo con fiducia alla culla di Gesù Cristo, se noi mescoliamo le nostre lagrime con quelle del nostro tenero Salvatore, nell’ora della morte, noi udremo queste dolci parole: “Beati color che hanno pianto, perché saranno consolati.” Ecco dunque questa terza piaga che Gesù Cristo vuol guarire venendo al mondo, che è la sensualità, vo’ dire quel malaugurato peccato d’impurità. Con quale ardore dobbiamo amare e ricercare tutto ciò che può procurarci o conservare una virtù che ci rende aggradevoli a Dio! Sì, prima della nascita di Gesù Cristo correva troppa distanza tra Dio e noi, perché potessimo osare di pregarlo. Ma, il Figlio di Dio, facendosi uomo, volle avvicinarci grandemente a Lui, e forzarci ad amarlo fino alla tenerezza. In qual modo vedendo un Dio in questo stato di bambino, potremmo negargli di amarlo con tutto il nostro cuore? Egli vuole egli medesimo essere il nostro Mediatore, è Lui che si incarica di domandare ogni cosa al Padre suo per noi; ci chiama fratelli suoi, figli suoi; poteva egli prendere dei nomi che ci inspirino una più grande fiducia? Accostiamoci adunque a lui con una grande confidenza tutte le volte che abbiamo peccato; egli medesimo domanderà il nostro perdono, e ci otterrà la sorte di perseverare. Ma per meritare questa grande e preziosa grazia, è necessario camminare sulle tracce del nostro modello; che a suo esempio noi amiamo la povertà, il disprezzo e la purità; che la nostra vita risponda alla grandezza della nostra qualità di figli e di fratelli di un Dio fatto uomo. No, noi non possiamo considerare la condotta dei Giudei senza essere compresi di meraviglia. Questo popolo lo aspettava da quattro mila anni, aveva fervorosamente pregato pel desiderio che aveva di riceverlo; e quando Egli viene, non trova alcuno per fornirgli un qualche ricovero; gli è necessario, benché sia onnipotente, benché sia Dio, prendere a prestito dagli animali un asilo. Tuttavia, io trovo nella condotta dei Giudei, benché colpevole sia, non un argomento di scusa per questo popolo, ma un motivo di condanna per la maggior parte dei Cristiani. Noi vediamo che i Giudei si erano formati del loro liberatore un’idea che non si accordava collo stato d’umiliazione nel quale apparve; sembravano non potersi persuadere che Egli fosse colui che doveva essere il loro liberatore; poiché S. Paolo ha lasciato scritto che “se i Giudei l’avessero conosciuto per Dio, non lo avrebbero mandato a morte „ (I. Cor. II, 8). Ecco una piccola scusa per i Giudei. Ma per noi quale scusa potremo recare della nostra freddezza e del nostro disprezzo per Gesù Cristo? Si, certamente, noi crediamo che Gesù Cristo è venuto sulla terra, che ha prodotto le prove più convincenti della sua divinità: ecco quello che forma l’oggetto della nostra solennità. Questo medesimo Dio vuol prendere, coll’effusione della sua grazia, una nascita spirituale nei nostri cuori: ecco i motivi della nostra fiducia. Noi ci gloriamo e abbiamo ragione di riconoscere Gesù Cristo per nostro Dio, per nostro Salvatore e per nostro modello: ecco il fondamento della nostra fede. Ma, ditemi, con tutto ciò, quale omaggio gli rendiamo noi? Qual cosa facciamo di più per Lui, come se non crediamo tutto ciò? Ditemi, la nostra condotta risponde alla nostra credenza? Consideriamo più attentamente e noi vedremo che siamo più colpevoli dei Giudei nel loro accecamento e nel loro induramento.

IV. — Dapprima, M. F., non parleremo di coloro i quali, dopo di aver perduto la fede, non la professano più esternamente; ma parliamo di coloro i quali credono tutto ciò che la Chiesa insegna, e che tuttavia nulla fanno di quanto la religione ci comanda. Facciamo alcune riflessioni particolari, opportune per il tempo nel quale viviamo. Noi rimproveriamo i Giudei di aver negato un asilo a Gesù Cristo, benché non lo conoscessero. Ora, abbiamo noi ben posto mente che noi gli rechiamo lo stesso affronto tutte le volte che trascuriamo di riceverlo nei nostri cuori colla santa comunione? Noi riprendiamo i Giudei di averlo appeso alla croce, benché non avesse loro procurato che del bene; ditemi, qual male ci ha recato, o più giustamente, qual bene non ci ha procurato? E noi non gli rechiamo lo stesso oltraggio, tutte le volte che abbiamo l’audacia di abbandonarci in preda del peccato? E i nostri peccati non sono ancora più penosi a questo buon cuore che non quello che i Giudei gli fecero soffrire? Noi non possiamo leggere senza essere compresi d’orrore tutte le persecuzioni che i Giudei gli fecero soffrire, benché credessero di fare una cosa accettevole a Dio. Ma non facciamo noi alla santità del Vangelo una guerra mille volte più crudele colle sregolatezze dei nostri costumi ? Ah! noi non apparteniamo al Cristianesimo che per una fede morta, e non sembra che noi non crediamo in Gesù Cristo che per oltraggiarlo maggiormente e per disonorarlo con una vita cosi miserabile agli occhi di Dio. Posto ciò, giudicate ciò che i Giudei devono pensare di noi, e con essi, tutti i nemici della nostra santa Religione. Quando essi esaminano i costumi della maggior parte dei Cristiani, essi ne trovano una quantità che vivono quasi non fossero mai stati Cristiani: lascio di essere più particolare per non dilungarmi lungamente. Io mi limito a due punti essenziali, che sono il culto esterno della nostra santa Religione, ed i doveri della carità cristiana. No, nulla dovrebbe essere per noi più umiliante e più amaro di quei rimproveri che i nemici della nostra Religione muovono contro di noi; perché tutto ciò tende ad assodare come la nostra condotta è in contraddizione colla nostra credenza. Voi vi gloriate, ci dicono, di possedere in corpo ed in anima la Persona di quel medesimo Gesù Cristo che è vissuto in altro tempo sopra la terra, e che voi adorate come vostro Dio e vostro Salvatore; voi credete che Egli discende sopra i vostri altari, che riposa nei vostri tabernacoli, e voi credete che la sua carne è veramente il vostro nutrimento e il suo sangue la vostra bevanda; ma se la vostra fede è tale, siete voi gli empi, perché  vi recate nelle vostre chiese con minor rispetto, ritenutezza e decenza, che non fareste recandovi nella casa di un uomo onesto per fargli visita. I pagani non avrebbero certamente permesso che si commettessero nei loro templi e in presenza dei loro idoli, mentre si offrivano sacrifizi, le immodestie che voi commettete alla presenza di Gesù Cristo nel momento nel quale voi dite che Egli discende sopra i vostri altari. Se veramente credeste quello che voi dite di credere, voi dovreste essere compresi d’un santo tremore. Ah! questi rimproveri sono pur troppo meritati. Che cosa pensare vedendo il modo col quale la maggior parte dei Cristiani si conducono nelle nostre chiese? Gli uni hanno lo spirito volto ai loro affari temporali, gli altri ai loro piaceri; questi dorme, si gira la testa, si sbadiglia, si squaderna il libro, si guarda se i santi uffici saranno quanto prima terminati. La presenza di Gesù Cristo è un martirio, mentre si passeranno le cinque o le sei ore nei salotti, in una bettola, alla caccia, senza che si trovi questo tempo troppo lungo; e vediamo che in questo tempo che si consacra al mondo ed ai piaceri suoi, non si pensa né a dormire, né a sbadigliare, né ad annoiarsi. È mai possibile che la presenza di Gesù Cristo sia così penosa per Cristiani i quali dovrebbero riporre tutta la loro felicità nel venire a tenere un momento di compagnia ad un cosi buon padre? Ditemi, che cosa deve pensare di noi Gesù Cristo medesimo, il quale non si è reso presente nei nostri tabernacoli che per amore per noi, e che vede che la sua santa presenza, che dovrebbe formare tutta la nostra felicità, ed essere il nostro paradiso in questo mondo, sembra essere un supplizio ed un martirio per noi? Non si ha ragion di credere che codesti Cristiani non saranno mai assunti in cielo, dove sarebbe necessario restare per il volgere di tutta l’eternità alla presenza di questo medesimo Salvatore? Il tempo non sarebbe soverchiamente lungo?… Ah! voi non conoscete la vostra felicità, quando siete così fortunati di venire a presentarvi davanti al Padre vostro che vi ama più che se medesimo, e che vi chiama ai piedi dei suoi altari, come altra volta chiamò i pastori, per ricolmarvi d’ogni sorta di benefizi. Se noi fossimo ben penetrati di ciò, con quale amore, con quale sollecitudine non ci recheremmo qui come i magi, per offrirgli in dono tutto quello che possediamo, vo’ dire, i nostri cuori e le anime nostre? I padri e le madri non verrebbero con maggior diligenza ad offrirgli tutta la loro famiglia, perché la benedicesse e le concedesse le grazie di santificazione? Con qual piacere i ricchi non verrebbero ad offrirgli una parte dei loro beni nella persona dei poveri? Mio Dio, la nostra poca fede ci fa perdere i beni dell’eternità! – Ascoltate ancora i nemici della nostra santa religione: noi nulla diciamo, così essi, dei vostri sacramenti per riguardo ai quali la vostra condotta è tanto lontana dalla vostra credenza, quanto lo è il cielo dalla terra, giusta i principi della vostra fede. Voi diventate per il vostro battesimo come altrettanti Dei, ciò che vi aderge ad un grado di onore che non si può comprendere, perché si suppone che solo Dio vi sia superiore. Ma che devesi pensare di voi, vedendo il maggior numero abbandonarsi a delitti che vi mettono al disotto dei bruti privi di ragione? Voi diventate, per il sacramento della Confermazione, come altrettanti soldati di Gesù Cristo, che si inscrivono sotto lo stendardo della croce, che non devono mai arrossire delle umiliazioni e degli obbrobri del loro Padrone, che, in ogni circostanza, devono rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Ma tuttavolta, chi oserebbe dirlo? occorrono nel mezzo di voi non so quanti Cristiani che il rispetto umano impedisce di fare pubblicamente le loro opere di pietà; che forse non oserebbero avere un crocifisso nella loro camera e dell’acqua benedetta a lato del loro letto; che avrebbero vergogna di fare il segno della croce prima e dopo i loro pasti, o che si nascondono per farlo. Vedete quanto siete lontani dal vivere secondo che la vostra Religione vi comanda? Voi ci dite, per riguardo alla confessione e alla comunione, delle cose che sono bellissime e consolantissime: ma in qual modo vi accostate voi a questi sacramenti? In qual modo li ricevete voi? Negli uni, non è che un’abitudine, un uso, un trastullo; negli altri è un supplizio: è necessario trascinarveli. per così dire. Vedete come è necessario che i vostri ministri  vi incalzino e vi sollecitino, perché vi accostiate a questo tribunale della penitenza dove ricevete, voi dite, il perdono dei rostri peccati: a questa mensa dove voi credete di mangiare il pane degli angeli, che il Salvator vostro? Se voi credete quello che dite, non si sarebbe piuttosto obbligati di frenarvi, vedendo come è grande la felicità vostra di ricevere il vostro Dio, che deve formare la consolazione vostra in questo mondo e la gloria vostra nell’altro? Tutto quello che, giusta la fede vostra, si chiama una sorgente di grazia e di santificazione, non è, nel fatto, per la maggior parte di voi, che una occasione di irriverenza, di disprezzo, di profanazione e di sacrilegi. O voi siete degli empi, o la vostra Religione è falsa, perché se voi foste veramente persuasi che la vostra Religione è santa, voi non vi condurreste in questo modo in tutto quello che vi comanda. Voi avete, oltre la domenica, delle feste le quali, voi dite, sono istituite, le une per onorare quello che voi chiamate i misteri della vostra Religione; le altre per celebrare la memoria dei vostri Apostoli, le virtù dei vostri martiri, ai quali è tanto costato il fondare la vostra Religione. Ma diteci, queste feste, queste domeniche, in qual modo le celebrate voi? Non sono segnatamente tutti questi giorni che voi scegliete per darvi in balia di ogni sorta di disordini, di stravizzi e di libertinaggio? Non commettete un male più grave, in questi giorni che voi dite essere così santi, che in tutti gli altri tempi? Le vostre funzioni, che voi ci dite essere una riunione coi santi che sono in cielo, dove voi cominciate a gustare la medesima felicità, vedete il pregio nei quale li tenete: una parte non vi si reca quasi mai; gli altri vi sono come i colpevoli sul banco degli accusati; che cosa potrebbesi pensare dei vostri misteri e dei vostri santi, se si volesse giudicarne dal modo col quale celebrate le loro feste? – Ma non badiamoci più a lungo intorno a questo culto esteriore, il quale, per una singolare bizzarria, e per una inconseguenza piena di irreligione, rivela la vostra fede e nell’atto medesimo la smentisce. Dove si trova nel mezzo di voi quella carità fraterna, la quale, nei principì di vostra credenza, è fondata sopra motivi così sublimi e così divini ? Siamo un po’ più particolari, e noi vedremo se questi rimproveri non sono ben fondati. Quanto la vostra Religione è bella, ci dicono i Giudei ed anche i pagani, se voi faceste quello che essa vi comanda! Non solamente voi siete fratelli, ma, ciò che è più bello, voi non formate tutti insieme che un medesimo corpo con Gesù Cristo, la cui carne e il cui sangue vi servono ogni giorno di nutrimento; voi siete tutti membri gli uni degli altri. Bisogna convenirne, questo articolo della vostra fede è ammirabile, vi è qualche cosa di divino. Se voi operaste secondo la vostra credenza, voi sareste nel caso di attrarre tutte le altre nazioni alla vostra Religione, tanto è bella, consolante, e ineffabili beni vi promette per l’altra vita! Ma quello che fa credere a tutte le nazioni che la vostra Religione non è tale quale voi la dite, è che la condotta vostra è affatto opposta a quello che la vostra Religione vi comanda. Se si interrogassero i vostri pastori, e che loro fosse permesso di svelare quello che vi ha di più segreto, ci mostrerebbero le querele, le inimicizie, la vendetta, le gelosie, le maldicenze, i falsi rapporti, i processi e tanti altri vizi che eccitano l’orrore di tutti i popoli, anche di coloro dei quali voi dite che la Religione è tanto lontana dalla vostra per rapporto alla santità. La corruzione dei costumi che regna in mezzo a voi, trattiene coloro che non sono della vostra Religione di abbracciarla; perché se voi foste ben persuasi che essa è buona e divina, voi vi condurreste in modo tutto diverso. Ah! qual vergogna per noi che i nemici della nostra santa Religione tengano un tal linguaggio! E non hanno ragione di tenerlo? Esaminando noi medesimi la nostra condotta, noi vediamo positivamente che nulla facciamo di quello che essa comanda. All’opposto, noi non sembriamo appartenere ad una Religione così santa che per dimenticarla, e per allontanare coloro che avrebbero desiderio di abbracciarla; una Religione che ci proibisce il peccato che commettiamo con diletto e verso il quale siamo trasportati con un tal furore, che non sembriamo vivere che per moltiplicarlo; una Religione che espone ogni giorno Gesù Cristo ai nostri occhi, come un buon padre che vuole colmarci di benefizi: ora noi fuggiamo la sua santa presenza, o, se qui ci rechiamo, non è che per disprezzarlo e renderci più colpevoli; una Religione che ci offri il perdono dei nostri peccati per il ministero dei suoi sacerdoti: lontani dal approfittare di questi mezzi, o li profaniamo, o li fuggiamo; una Religione che ci lascia intravvedere tanti beni per l’altra vita, e che ci mostra dei mezzi così chiari e così facili per acquistarli: e noi sembriamo non conoscere tutto ciò che per farli segno di disprezzo e di scherno; una Religione la quale ci dipinge in un modo così spaventoso i tormenti dell’altra vita, onde farceli evitare: e noi sembriamo non aver mai commesso abbastanza di male per meritarli! Mio Dio, in quale abisso di accecamento siamo caduti! una Religione che non cessa mai di avvertirci che dobbiamo continuamente adoperarci a correggerci dei difetti, a reprimere le nostre tendenze verso il male: e, lontani dal farlo, sembriamo cercare tutto ciò che può accendere le nostre passioni; una Religione che ci avverte che non dobbiamo operare che per il buon Dio e sempre nella vista di piacergli: e noi non abbiamo in quello che facciamo che viste umane; noi vogliamo sempre che il mondo ne sia testimonio, ci lodi, feliciti. O mio Dio, quale accecamento e quale povertà! E noi potremmo adunare tanti beni per il cielo, se volessimo condurci secondo le regole che ci fornisce la nostra santa Religione. Ma, ascoltate ancora i nemici della nostra santa e divina Religione, come ci opprimono di rimproveri. Voi dite che il vostro Gesù Cristo, che credete essere il Salvator vostro, vi assicura che Egli terrebbe in conto come fatto a se medesimo tutto ciò che voi fareste al fratel vostro; ecco una delle vostre credenze, e certamente ciò è bello, ma se ciò è come voi dite, voi non lo credete che per insultare Gesù Cristo medesimo! Voi non lo credete che per straziarlo e oltraggiarlo, in una parola per maltrattarlo nel modo più crudele nella persona del vostro prossimo! Le più lievi colpe contro la carità devono essere considerate, giusta i principi vostri, come altrettanti oltraggi recati a Gesù Cristo. Ma, dite, Cristiani, qual nome dobbiamo dare a tutte quelle maldicenze, a quelle calunnie, a quelle vendette e a quegli odi con cui vi divorate gli uni gli altri? Voi siete dunque mille volte più colpevoli verso la Persona di Gesù Cristo che non i Giudei medesimi ai quali rimproverate la sua morte! No, M. F, le azioni dei popoli più barbari contro l’umanità, sono nulla in confronto di ciò che noi facciamo ogni giorno contro i princìpi della carità cristiana. Ecco, M. F., una parte dei rimproveri che ci muovono i nemici della nostra santa Religione. – Io non ho la forza di andare innanzi, tanto ciò è triste e disonorevole per la nostra santa Religione, la quale è così bella, così consolante, e capace di renderci felici anche in questo mondo, preparandoci una così grande felicità per la eternità. Voi converrete con me che se questi rimproveri hanno già qualche cosa che umilia un Cristiano, benché non siano mossi che da uomini, io vi lascio pensare quello che essi saranno, quando avremo la sventura di udirli dalla bocca medesima di Gesù Cristo, quando ci presenteremo dinanzi a Lui per rendergli conto delle opere che la nostra fede avrebbe dovuto produrre in noi. Miserabili Cristiani, ci dirà Gesù Cristo, dove sono i frutti di quella fede nella quale siete vissuti e della quale voi recitaste ogni giorno il Simbolo? Voi mi avete preso per Salvator vostro e per vostro modello: ecco le mie lacrime e le mie penitenze; dove sono le vostre? Qual frutto avete voi tratto dal mio sangue adorabile, che ho fatto fluire sopra di voi co’ miei sacramenti? A che vi ha giovato questa croce, dinanzi alla quale tante volte vi siete prostrati? Quale rassomiglianza corre tra me e voi? Qual cosa vi ha di comune tra le vostre penitenze e le mie? tra la vostra vita e la mia? Ah! miserabili, rendetemi conto di tutto il bene che questa fede avrebbe prodotto in voi, se voi aveste avuto la sorte di farla fruttificare! Venite, vili e infedeli, rendetemi conto di questa fede preziosa e inestimabile, la quale poteva e che avrebbe dovuto farvi produrre le ricchezze eterne. Voi l’avete indegnamente associata con una vita tutta carnale e tutta pagana. Vedete, infelici, quale rassomiglianza corre tra voi e me! Ecco il mio Vangelo, ed ecco la vostra fede. Ecco la mia umiltà ed il mio annientamento, ed ecco il vostro orgoglio, la vostra ambizione e la vostra vanità. Ecco la vostra avarizia, e il mio distacco dalle cose di questo mondo. Ecco la vostra durezza verso i poveri e il disprezzo al quale li avete fatti segno; ecco la mia carità e l’amor mio per essi. Ecco tutte le vostre intemperanze, e i miei digiuni e le mie mortificazioni. Ecco tutte le vostre freddezze e tutte le vostre irriverenze nel tempio del Padre mio; ecco tutte le profanazioni vostre, tutti i vostri sacrilegi e tutti gli scandali che avete dati ai miei figli; ecco tutte le anime che avete perdute, e tutti i patimenti e tutti i tormenti che ho sofferto per salvarle! Se voi siete stati la causa per cui i miei nemici hanno bestemmiato il mio santo nome, io saprò ben punirli; ma per voi, io voglio farvi provare tutto ciò che la mia giustizia ha di più rigoroso. Sì, ci dice Gesù Cristo,  (Matth. x, 15) gli abitanti di Sodoma e di Gomorra saranno trattati con minore severità che questo popolo infelice, al quale ho elargito tante grazie, ed al quale i miei lumi, i miei favori e tutti i benefizi miei sono tornati inutili, e che mi ha ricambiato colla più nera ingratitudine. – Sì, i cattivi malediranno eternamente il giorno nel quale hanno ricevuto il santo Battesimo, i pastori che li hanno istruiti, i sacramenti che sono stati loro amministrati. Ah! che dico! quel confessionale, quella sacra mensa, quella cattedra, quell’altare, quella croce, quel Vangelo, o per meglio farvelo comprendere, tutto ciò che è stato l’oggetto della loro fede sarà l’oggetto delle loro imprecazioni, delle loro maledizioni, delle loro bestemmie e della loro disperazione eterna. O mio Dio! quale onta e quale sventura per un Cristiano di non essere stato Cristiano che per dannarsi più facilmente e per meglio far patire un Dio il quale non voleva che la sua felicità eterna, un Dio che non ha risparmiato nulla per questo, che ha abbandonato il seno del Padre suo, che è disceso sopra la terra, ha assunto la nostra umanità, ha trascorso tutta la sua vita nei patimenti e nelle lagrime e che è morto appeso ad una croce per lui! Egli non ha cessato, esso dirà, di incalzarmi con tanti buoni pensieri, con tante buone istruzioni dalla parte dei miei pastori, coi rimorsi della mia coscienza. Dopo il mio peccato, Egli medesimo si è offerto per servirmi di modello; che poteva egli fare di più per procurarmi il cielo? No, nulla di più; se io avessi voluto, tutto ciò mi avrebbe servito per guadagnare il cielo, che mai possederò. Ritorniamo dai nostri traviamenti, e procuriamo di condurci meglio che non abbiamo fatto sino al presente.

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE (2020)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Messa ci dice che « il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredita come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.).

Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori» (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.) pietra angolare «per molti in Israele» (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpi i primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Sap XVIII: 14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII: 1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]

Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio 

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV:1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

[Fratelli: Fin quando l’erede è minore di età, benché sia padrone di tutto, non differisce in nulla da un servo, ma sta sotto l’autorità dei tutori e degli amministratori, fino al tempo prestabilito dal Padre. Così anche noi, quando eravamo minori d’età, eravamo servi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, affinché redimesse quelli che erano sotto la legge, e noi ricevessimo l’adozione in figli. Ora, poiché siete figli, Iddio ha mandato lo spirito del suo Figlio nei vostri cuori, il quale grida: Abba, Padre. Perciò, ormai nessuno è più schiavo, ma figlio, e se è figlio, è anche erede, per la grazia di Dio.]

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV: 3; 2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.

[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]

V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.

[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

 [Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilæam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

[“In quel tempo il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto por ruiua e per risurrezione di molti in Israele, eper bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, esi fortificava pieno di sapienza: el a grazia di Dio era in lui”]

OMELIA

Gesù modello dei figli

[Mons. A. Feruglio, Vescovo di Vicenza: Omelie di Natale – Soc. An. Tipogr. fra Cattolici Vicentini, 1914 – imprim. 1913]

(NATALE 1905)

Parvulus natus est nobis. —

Pastores invenerunt Mariam et Joseph et

Infantem positum in præsepio.

Un pargoletto è nato a noi.—

I pastori trovarono Maria, Giuseppe e

l’Infante posto in una mangiatoia.

Is. IX, 6 – Luc. XI, 16.

SOMMARIO: Per darci esempio delle più perfette virtù famigliari:

a) Gesù si diporta da vero figlio di Maria e di Giuseppe;

b) Maria e Giuseppe trattano con lui da veri genitori.

Non è mio intendimento intrattenervi quest’oggi sui santi motivi che devono eccitare in noi sentimenti di ammirazione, di gioia, di amore e di gratitudine, alla considerazione del portentoso avvenimento della nascita del Salvatore. Già i vostri cuori ne sono altamente compresi. L’immensa carità per cui un Dio si abbassa alla condizione di uomo, e, a costo di indicibili umiliazioni e patimenti, viene a trarci dalla schiavitù di satana, dall’abisso tenebroso dell’ignoranza e della corruzione, all’ammirabile sua luce, alla speranza dell’immortale felicità, non può non riempirci di stupore e di tenerezza. – Ma se ci arrestassimo a questi, affetti, ben poco corrisponderemmo all’immensa sua carità ed alla sua Redenzione pur sì copiosa. — Giacché se, a dir di San Cirillo, Egli ci è vita perché ci santifica, verità pel dono della fede, ci è pur via per gli esempi che ci ha dati. Est nobis via per vitæ actionem, veritas per fidei rectitudinem, vita per sanctificationem. Saremmo sommamente ingrati all’amor suo perché non raggiungeremmo la nostra santificazione e salute, se paghi di credere alle sue parole e di ammirare le sue opere, non ci curassimo d’imitarne gli esempi. E poiché anche le minime circostanze della vita del Salvatore sono ammaestramenti per noi, e come nota Sant’Agostino: Ei ci fu maestro perfino col nascere — etiam nascendo magister extitit (Aug. contra Faustum, lib. 24, c. 64) — non ci sia grave rilevare gli insegnamenti che ci porge il neonato Messia. — Questi, a dir vero, sono innumerevoli, noi però fisseremo il pensiero su quella circostanza predetta da Isaia, che Egli cioè apparve pargoletto — parvulus natus est nobis (Is. IX, 6) — e ricordata da San Luca allorché scrive che i pastori trovarono Maria e Giuseppe e l’infante posto in una mangiatoia. Invenerunt Mariam et Joseph et infantem positum in præsepio.

1. Gesù si diporta come vero figlio di Maria e di Giuseppe.

A chi chiedesse perché mai il Redentore abbia voluto comparire bambino, per passare gradatamente nei diversi stadi della vita umana, sarebbe facile il rispondere che così era decretato dall’infinita sapienza dell’Eterno. Però, se è vero che Iddio, di alcune sue disposizioni ne tiene occulti i motivi e perciò sarebbe temeraria stoltezza il volerli scandagliare, è vero eziandio che di altre si compiace renderli accessibili all’umano intelletto, affinché invitati a considerarli, ci sentiamo attirati ad ammirare la sua sapienza, potenza e bontà, ed a seguirne i pietosi disegni. E tale appunto è la grande opera dell’Incarnazione del Verbo. Nessuna necessità, osserva S. Agostino, costringeva il Verbo a nascere di donna, per farsi vero uomo (Aug. contra Faust, lib. 26, c. 7). Che, se diciamo che era conveniente s’incarnasse nel seno della Vergine, per assumere un corpo come gli altri uomini derivante dal comun padre Adamo, qual necessità v’era che venuto alla luce non comparisse tosto uomo di età matura? Perché presentarsi impotente bambino, bisognoso di tutto, incapace di muoversi e di parlare? Perché insomma assoggettarsi a tutti gli inconvenienti che circondano l’età infantile? Così ci diede esempio, è vero, di umiltà e di pazienza, ma tali esempi poteva darceli, come ce li diede, in età perfetta. Sembrerebbe dunque inesplicabile il motivo per il quale ci apparve bambino, tanto più che la sua anima sarebbe già stata adatta ad un corpo nel suo pieno sviluppo, capace di tutti gli atti d’un uomo giunto a perfetta età. Difatti mentre gli altri bambini sono in istato di perfetta ignoranza che andrà man mano dileguandosi, Egli fin dal suo concepimento fu sì ricolmo di tutti i tesori della sapienza e della scienza, che, a suo confronto, il più dotto tra gli uomini sarebbe un povero ignorante. Perché dunque volle comparire in tale condizione? – La fede c’insegna che Gesù venne al mondo per restaurare ogni cosa. Instaurare omnia quæ in terris sunt (Eph. 1, 10). Il peccato aveva guastata l’opera di Dio sotto ogni rapporto. Era quindi necessario che il Redentore, come coi suoi meriti e colla sua dottrina così col suo esempio, risanasse tutto l’uomo. Perciò non bastava si rendesse modello delle virtù riguardanti l’uomo individualmente considerato, ma poiché l’uomo è per natura socievole, conveniva che Gesù col suo esempio gli si facesse maestro di virtù anche nei suoi rapporti con la società. Conveniva insomma che coll’individuo risanasse la società stessa. Ora, o dilettissimi, perché l’uomo viva rettamente qual membro della società, è requisito essenziale l’ossequio alla autorità. — Ed oh! quali e quanti solenni esempi ci ha dato il Redentore in età adulta, di sommissione all’autorità dichiarando che essa viene da Dio. Ma poiché la società fondamentale, da cui dipende il benessere di ogni altra società, è la famiglia, il Verbo fatto uomo dispose di essere membro d’una famiglia dalla quale dispensa gli esempi delle più perfette virtù domestiche e sociali. — Volle pertanto convivere con Maria, sua vera Madre, sino al tempo della sua vita pubblica; e benché la sua generazione fosse per opera dello Spirito Santo e non di padre terreno, volle tuttavia che l’autorità paterna dirigente la sua famiglia fosse un nomo, non avventizio, ma congiunto per intimo naturale legame alla medesima, perché San Giuseppe fu vero marito dell’intemerata e purissima tra le Vergini. Fu dunque per nostro ammaestramento che il Salvatore si degnò di apparir pargoletto, di passare dall’infanzia ai successivi stadi della vita umana, come pure di richiedere le cure della sua santissima Madre e del suo putativo Padre. Infatti qual necessità vi era che essi gli procurassero l’alimento, mentre Egli è Colui che dà l’essere, la vita e l’alimento a tutte le creature? Forse non era sua quella provvidenza per cui Giuseppe e Maria trovavano di che nutrirlo e vestirlo? Qual bisogno aveva Egli della loro tutela? Non poteva Egli, come fece in altra età, sottrarsi prodigiosamente ai suoi nemici persecutori? Non poteva comandare ai venti ed alle procelle, camminar sulle onde, frenare gli spiriti d’abisso, disporre a suo piacimento di tutto il creato? — Qual bisogno che altri lo guidasse, se Egli è la Sapienza increata che infonde l’intelligenza e l’accorgimento in quelli che devono dirigerlo? — Ah! sì, è un tratto d’immensa carità, che ben meditato non può non riempirci d’indicibile stupore, l’abbassarsi di Gesù alla condizione di bambino, di figlio di famiglia, per essere nostro modello. – Né si pensi, soggiunge Sant’Agostino, che di tale abbassamento abbia solo in apparenza mostrato di provare, ma provò in realtà la debolezza, le privazioni, le ripugnanze e tutti gli inconvenienti che ne conseguono. Humanæ conditionis affectus non simulavit sed exhibuit, non necessitate conditionis, sed magisteri voluntate (Aug. contra Faust, lib.26, c. 7). Pertanto, con vera dipendenza, quale si addice a figlio verso i genitori, s’assoggetta a Maria e a Giuseppe. — È da sottrarsi alla persecuzione di Erode, o, defunto quest’empio dopo sette anni, è da far ritorno a Nazareth? Gesù non fa cenno, non parla. Un Angelo illuminerà Giuseppe il capo della famiglia, e da questi dipenderà la fuga ed il ritorno. Né questa soggezione ha fine coll’infanzia. Ben poco ci narrano gli Evangelisti della vita di Gesù fino alla sua predicazione. Ma la risposta data a Maria e a Giuseppe quando, a dodici anni, rimase a loro insaputa nel tempio, ben ci fa comprendere ch’Egli non voleva disporre di sé, ma dipendere in tutto dai loro cenni. Non sapevate, disse, che dove mi chiama il Padre mio, io devo trovarmi? Nesciebatis quia in iis quæ Patris mei sunt oportet me esse?(Luc. II, 49). — Quasi dicesse: la straordinarietà stessa di quest’incidente doveva rendervi accorti che una volontà superiore mi obbligava a derogare alla rigorosa soggezione che costantemente vi professo. — E perché da tal fatto non si potesse pensare che la sua dipendenza da Maria e Giuseppe non fosse perfetta, l’Evangelista s’affretta a soggiungere che ritornò con loro a Nazareth e se ne stava soggetto ad essi. Et erat subditus illis (Luc. II, 51). Deh! qual lezione, o dilettissimi! Il Padrone dell’universo, per insegnarci il rispetto all’autorità, s’assoggetta per tal modo a coloro ai quali Egli stesso comunica l’autorità. Qual confusione per quei figli che non si conformano a questodivino esemplare, mentre è assoluta disposizione di Dio che devano star soggetti ai loro genitori; per figli, dico, tanto bisognosi di direzione, perché non hanno quell’esperienza che s’acquista solo coll’avanzar degli anni, e perciò sono tanto esposti alle illusioni ed alle seduzioni. — Qual rimprovero per tutti coloro che acciecati dalla superbia non venerano nei superiori l’autorità di Dio, ma se vi si adagiano, lo fanno solo per motivi umani, pronti a trasgredirne i comandi per quanto giusti, ed a ribellarsi alla legittima podestà, appena il possano senza danno. Deh! quanti guai non affliggono ai dì nostri la società e ne minacciano la rovina, appunto perché si disconosce il fonte dell’autorità che è Dio. — Contro quegl’infelici il mitissimo San Bernardo indicando l’esempio di Gesù fanciullo esclama: Confonditi, o uomo, confonditi, superba polvere. Un Dio si umilia e tu ti esalti? Un Dio si assoggetta agli uomini e tu anelando a sollevarti sopra gli uomini, t’innalzi al di sopra del tuo Facitore? O uomo, se sdegni d’imitare un altro uomo, non deve sembrarti cosa indegna imitare il tuo Creatore (S. Bern. Hom. I super Missus).Ma fissiamo ancora il pensiero sul fanciullo Gesù. Se in tutte, anche le minime cose, Egli pende dai cenni di Maria e di Giuseppe, quando tale dipendenza è in opposizione alla volontà del celeste Padre, non la osserva. — Un atto di sublime missione affidatagli dal Padre, richiede la sua presenza nel tempio. Egli allora s’apparta da Maria e da Giuseppe, permettendo l’affanno che ne deriverebbe a quei santi Personaggi, appunto per dimostrare come ogni terreno affetto deve farsi tacere di fronte alla certa e precisa volontà dell’Eterno. Ah! non sia mai che la soggezione all’uomo ci porti a violare i voleri di Dio. Ciò non sarebbe un assoggettarsi alla autorità di Dio che risiede nell’uomo, ma un turpe assoggettarsi alla creatura in onta al Creatore. Quindi Pietro e Giovanni al Sinedrio, che ingiungeva loro di smettere l’esercizio dell’apostolato, rispondevano: Giudicate voi stessi se dinanzi al Signore sia giusto l’obbedire a voi anziché a Dio (Act. IV, 19).Non sia mai che i figli trascurino una manifesta vocazione di dedicarsi interamente a Dio, o senza vocazione si avventurino in uno stato al quale Egli non li ha destinati, per non contristare i genitori. Dell’amore ai parenti, che fa preferire la loro volontà a quella di Dio, Gesù Cristo ha pronunciata questa terribile sentenza: Chi ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me: non est me dignus (Matth. X, 37). Eccovi, o figli dilettissimi, le splendide lezioni che ci porge il divin Salvatore, il quale per darcele si degnò di cominciare coll’infanzia la sua mortale carriera. Ecco perché, come predisse Isaia ci apparve pargoletto e, come scrive S. Luca, fu trovato bambino circondato dalle cure della sua Genitrice e del suo padre putativo. Invenerunt Mariam et Joseph et ìnfantem positum in præsepio Luc. II. 16 — Non si creda tuttavia che colle considerazioni fatte finora si sieno posti in rilievo tutti gli esempi e gli ammaestramenti che risultano dalla circostanza che ha dato argomento ai nostri riflessi. Ben altri ne rimangono, e della più alta importanza: noi contentiamoci di considerarne un altro ancora.

2. Maria e Giuseppe trattano con Lui da veri genitori.

Il Redentore volle sulla terra essere membro d’una famiglia, perché da quella emanassero gli esempi di tutte le domestiche virtù. In essa Egli offrì sé stesso perfetto modello di figlio, rispettoso ed ossequente ai genitori. — Ma quali poi dovevano essere gli uffici ed i rapporti di Maria e di Giuseppe verso di Lui? — Dovevano alimentarlo, vestirlo, circondarlo di tutte quelle cure, che richiede il benessere corporale di un figlio. Così han fatto con la più affettuosa ed instancabile sollecitudine. Ma ciò che maggiormente attira la mia attenzione e che mi infonde quasi un senso di sgomento, è che sopra di Lui quei santi personaggi esercitavano veramente l’autorità paterna. E come mai, si potrà dire, essi per quanto grandi, per quanto santi, sapendo chi era Gesù, osavano sorvegliarlo quasi che ne abbisognasse, tenerlo soggetto e comandargli? – Ah! dilettissimi, se l’uomo ragiona con le sue corte vedute, si troverà dinanzi un inesplicabile mistero. Ma se per poco ci eleviamo a superiori considerazioni, troveremo che appunto perché illuminati e santi, appunto perché conoscevano bene Gesù, facevano così. — Essi, ripieni delta Spirito divino, compresero che, posti a capo di una famiglia di cui Gesù volle essere figlio, era nei disegni dell’Eterno che con Lui esercitassero le parti di genitori, facendo tacere la ripugnanza derivante dalla profonda venerazione che per Lui nutrivano. Non erano guidati da umane considerazioni, per quanto nobili e plausibili, ma dalla sola volontà di Dio manifesta, e per l’ufficio cui furono assunti e per la condizione in cui il divin Figlio si degnò di figurare. Per questo non esitano a sottoporlo alla dolorosa ed umiliante cerimonia della circoncisione. Nessuno meglio di loro sapeva che Egli non vi era soggetto, ma sapevano pure che il loro Gesù, si degnò d’apparir figlio di quella nazione nella quale i pargoletti per legge divina dovevano sottostare a tale cerimonia. — Per la stessa ragione, pargoletto di quaranta giorni, lo presentano al tempio per offrirlo al Signore e quindi riscattarlo, come per tutti i primogeniti prescriveva la legge mosaica, legge che certamente non poteva riguardare l’Uomo-Dio. – E che dirò poi della vigilanza e dell’impero esercitati da Maria e da Giuseppe sul fanciullo Gesù? L’Evangelio ci dice tutto con dire che se ne stava soggetto a loro. — Che a Nazareth s’occupasse di questa o di quella cosa, che si recasse in questo o quel luogo, pendeva dai loro cenni. — E poiché è compito dei genitori di educare i figli alle osservanze religiose, giunto ai dodici anni, lo conducono al tempio per la solennità della Pasqua, come era prescritto dalla legge per tutti i maschi, incominciando da quell’età. Vi era forse tenuto? Sarebbe follia ed empietà il pensarlo. Ma tant’è; la volontà di Dio, per rapporto ai genitori è tale, ed essi vi si conformano con tutta esattezza. — Quanto poi s’interessassero di averlo sempre in custodia, lo dicono le affannose ricerche, quando di ritorno a Nazareth, per un inevitabile equivoco, non lo trovarono in loro compagnia. Lo dicono le dolci ma accorate rimostranze della Vergine, allorché finalmente lo ritrovarono nel tempio. – Ma basti, o dilettissimi. Ora sia lecito domandare: Se a sì scrupolosa vigilanza si tennero obbligati Maria e Giuseppe, non perché Gesù ne abbisognasse, ma solo perché lo richiedeva il loro officio secondo i voleri del Cielo, quale sarà il dovere dei genitori verso i figliuoli? Ve ne sono molti di quelli che sanno sacrificarsi pel benessere fisico e materiale dei figli, perché civilmente educati ed istruiti riescano a ben figurare nel mondo, ad occupare posti luminosi e lucrosi, ad acquistare rinomanza e vantaggi terreni, ma quanto pochi si curano della vera educazione che consiste essenzialmente nell’indirizzarli al gran fine per cui furano creati, che è quello di servire il Signore e salvare l’anima. — Quanto raramente parlano ai figliuoli di Dio e dei loro doveri verso di Lui! — Quanto poco si curano d’infervorarli nelle pratiche di religione e di metterli in guardia contro i pericoli e le seduzioni del mondo: — Quanto spesso, per una stolta fiducia, rallentano la vigilanza massime per riguardo a certi ritrovi, a certe compagnie, a certe letture di libri e di giornali, allora più funesti, quando sotto la larva di Cattolicismo e di pietà, nascondono il veleno dell’empietà! — E non si tratta già del figlio di Maria, impeccabile, ricolmo di tutti i tesori della grazia, vero Dio. Si tratta di miseri figli d’Adamo colle conseguenze della colpa d’origine, inclinati al male, accessibili a tutte le seduzioni dell’errore e del vizio. Mio Dio! quale spaventoso rendiconto al tribunale di quel Gesù che, se oggi consideriamo pargoletto, è pur giudice supremo degli uomini. Di quel Gesù che a costo di tanta pena, per la sua santissima Genitrice e per il casto Sposo di Lei, volle che per nostro ammaestramento esercitassero su di Lui scrupolosamente l’autorità e la vigilanza di genitori. Che risponderanno coloro che nell’educazione dei figli si prefiggono viste puramente mondane, e non l’adempimento della volontà di Dio, e quindi la vita religiosamente morale dei medesimi? Deh! piaccia al Signore che a quanti m’ascoltano sia dato di fissare a cuor tranquillo la capanna di Betlemme, nella coscienza di aver ricopiati gli esempi derivanti dalla condizione del Pargolo divino. — Piaccia al Signore che tali esempi vengano imitati da tutti. Per tal modo la società, funestata da tanti guai, perché il giusto concetto dell’autorità è troppo spesso disconosciuto e da chi deve esercitarla e da chi deve sottostarvi, mentre si dimentica che essa è da Dio e non da altri, la società, dico, si risanerà col vero culto della autorità nel fondamento della medesima che è la famiglia. Ed a questi miei voti infonda efficacia la benedizione coll’indulgenza plenaria che a nome e per concessione del Sommo Pontefice sto per impartirvi ….

  Credo …

IL CREDO

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri.

[Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (141)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (8)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE VIII

Il Regno temporale de’ Papi.

46. Prot. Accordo dunque che al Papa veramente appartengono tutte quello sublimissime prerogative che egli si attribuisce come Capo Supremo visibile di tutta la Chiesa; ma egli non è di tutto questo contento: vuol’esser per di più anche Re temporale! Con ciò fa conoscere non esser più egli il degno vicario di Gesù Cristo, il quale non era al certo Re temporale, avendo chiaramente detto: « Il mio regno non è di questo mondo. » (Giov. XVIII, 36)

Bibbia. È scritto: « Quando (Gesù) fu vicino alla scesa del monte Oliveto, tutta la turba de’ discepoli cominciò lietamente a lodare il Signore,… dicendo: Benedetto il Re che viene nel nome del Signore. Ed alcuni de’ Farisei mescolati col popolo gli dissero: Maestro sgrida i tuoi discepoli. Ma egli rispose loro: « Vi dico che se questi taceranno grideranno le pietre. » (Luc. IX, 37 e segg.) E quelli che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro sclamavano dicendo: Osanna: Benedetto colui che viene nel nome del Signore: benedetto il regno che viene del padre nostro Davide.3» (Marc. XI, 9-10). E una gran turba di gente…. gridavano: Osanna: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele.» (Giov. XII. l2. 13.). – « Avendo i Principi de’ sacerdoti, e gli Scribi veduti i fanciulli che gridavano nel tempio: Osanna al figliuolo di David, arsero di sdegno, e dissero a lui: Senti tu quel che dicon costoro? E Gesù disse loro: Si certamente. Non avete mai letto: dalla bocca dei fanciulli, e dei bambini di latte hai renduta perfetta laude? » (Matt. XXI, 10, 13, 16). – Ora è certo che gli Ebrei aspettavano il Messia come restauratore del trono di Davidde, del regno d’Israele: cosicché i medesimi Apostoli, anche dopo la risurrezione del Redentore, erano persuasi che Egli ciò far dovesse per compimento della sua divina missione. «Unitisi insieme gli domandavano dicendo: Signore, renderai tu, adesso il regno ad Israele? » (Att. I. 6.) Quindi è certo, che qual Re temporale fu acclamato dai discepoli, dalle turbe, e dai bambini nel tempio. 2.° Che in questo senso reclamarono i Scribi e i Principi dei sacerdoti. 3.° Che Gesù nel senso Medesimo approvò quelle acclamazioni (non avendo fatto dichiarazione in contrario), e rintuzzò le grida de’ suoi nemici. Tutto questo chiaramente apparisce dai testi citati. Come poteva dunque Gesù diportarsi in tal modo, se non fosse stato realmente quale era da tanti acclamato? Poteva mai egli approvare, ratificare una falsita? No certamente. Ma egli ha detto: « Il mio regno non è di questo mondo. » Ciò avrebbe forza se lo avesse detto quando fu acclamato Re d’Israele; ma l’averlo detto davanti a Pilato, rende il caso molto diverso. Quindi per conoscere il vero senso di queste parole, è d’uopo riandare il fatto colle sue circostanze.

47. « Lo condussero a Pilato, e. cominciarono ad accusarlo dicendo: Abbiamo trovato costui che seduce la nostra gente, e proibisce di pagare il tributo a Cesare, e dice di esser egli il Cristo Re. » (Luc. XXIII, 1, 2, 3) « Entrò dunque di nuovo Pilato nel pretorio, e chiamò Gesù e gli disse: Sei tu dunque il Re dei Giudei? » (Giov. XVIII, 33 e segg.).

Ognuno vede dalla qualità dell’accusa, che la domanda fatta da Pilato non riguardava il diritto di Gesù, tanto più che era noto a tutti, né l’ignorava Pilato, esser egli il discendente di Davide, ma riguardava unicamente il fatto di cui era accusato, cioè se fosse vero che avesse tramato di togliere a’ Romani il regno dei Giudei, per mettersi Egli stesso in trono come loro Re. Questo e non altro dichiara Gesù non esser vero, essere una pretta calunnia dei suoi nemici, dicendo a Pilato: « Dici tu questo da te stesso, ovvero altri te lo hanno detto di me? » Vedendo Pilato la falsità dell’accusa, ne rovescia tutta la responsabilità sopra li accusatori, dicendogli: « Son’io forse Giudeo? La tua nazione, e i Pontefici ti hanno messo nelle mie mani: che hai tu fatto? » Sventata cosi la calunnia, Gesù risponde: « Il mio regno non è di questo mondo: se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri certamente contrasterebbero, affinché non fossi dato in poter dei Giudei: ora poi il mio regno non è di qua. » Con tal dichiarazione primieramente Gesù torna a negare il fatto di cui era accusato, adducendo la forte ragione che, se ciò fosse vero; avrebbe avuto ministri in sua difesa contro i Giudei. Secondariamente conferma di nuovo il suo diritto, di esser cioè vero Re temporale; poiché non dice: Il mio regno non è in questo mondo, non è qui – ma dice – non è dì questo mondo, non è di qua: il che vuol dire che non appartiene al mondo, non lo ha, non lo riconosce dal mondo: nel modo stesso che se uno ti dicesse, questo libro, per esempio, non è di te, da te, verrebbe a dire che non è tuo, non lo riconosce da te, non te ne ha obbligo alcuno. Ed infatti, Gesù Cristo considerato come Dio è il Signore assoluto dell’universo, tutto è suo: e considerato come uomo il suo regno lo ha come discendente di Davide, il quale non lo ebbe dagli uomini, ma unicamente immediatamente da Dio; onde non ne ha verun obbligo al mondo. Che Gesù in questo senso parlasse è tanto vero, che Pilato medesimo così precisamente l’intese, e perciò tornò a dirgli: « Tu dunque sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici che io sono re. La qual risposta nella parola di Dio è affermativa, ed equivale a questa: Tu hai colto nel segno, è così. – Oltre a ciò è scritto : « Si accostarono a Pietro quelli che riscuotevano le due dramme, e gli dissero: Il vostro Maestro non paga egli le due dramme?… Ed entrato (Pietro) in casa, Gesù lo prevenne, e gli disse: Che te ne pare, o Simone? Da chi ricevono il tributo, o il censo i re della terra? Da’ propri figliuoli. o dagli estranei? Dagli estranei, rispose Pietro: E Gesù soggiunsegli: Dunque esenti sono i figliuoli. Con tutto ciò, per non recare ad essi scandalo, va’…. e paga per me e per te.1 » ( Matt. XVII, 23 e segg.). Ecco dunque che Gesù dichiara nel modo più preciso e formale di non essere obbligato a pagare il tributo, appoggiandosi alla ragione che a ciò obbligati non sono i figliuoli dei re non estranei, ossia i figliuoli dei re esistenti nel proprio regno; e per tal modo formalmente dichiara che Egli è figlio di re, e quindi che è vero Re temporale, e che ivi era nel proprio suo regno. Che poi col fatto non abbia voluto esser Re, ciò non impedisce che possa esserlo il suo Vicario; poiché non solo non ne ha fatto proibizione di sorta, che anzi volle a questo regno espressamente alludere, allorché dopo l’ultima Cena, comandò agli Apostoli di prender seco loro due spade, (Luc. XXII, 51), le quali, se ben rifletti, non poterono avere altro oggetto, altro significato che il doppio regno della sua Chiesa, spirituale, cioè, temporale. ,,

48. Prot. Ad ogni modo, se Gesù Cristo non volle esser Re, il Papa non può esserlo, se deve rappresentar Gesù Cristo.

Bibbia. Questa ragione a nulla vale; perché il Papa non rappresenta Gesù Cristo mortale, paziente, ma lo rappresenta già glorioso, trionfante, che « ha scritto sulla veste e sopra il suo fianco: Re de’ Re e padrone di coloro che imperano: » (Apoc. XIX, 16) Quindi non vi è inconvenienza di sorta, e molto meno peccato, anzi è del tutto conveniente che il suo Rappresentante sottoposto non sia agli umani capricci, che abbia un piccolo regno per la necessaria sua indipendenza. Di più, se questo regno è di vantaggio per la Religione, non solamente può averlo, ma avendolo non lo può rinunziare, perché è obbligato a profittare pel vantaggio della fede di tutti quei mezzi che la Divina Provvidenza gli somministra.

49. Prot. In verun modo può dirsi somministrato dalla Provvidenza Divina un mezzo indecente al sacerdozio, incompatibile col sacro Ministro, e del quale, perciò, mai si è dato esempio.

Bibbia. Davvero? Melchisedech, rappresentante in figura Gesù Cristo, era Gran Sacerdote e Re temporale.2 (Gen. XIV, 18). Noè, Giobbe. Abramo, Isacco, Giacobbe presiedevano ai loro sottoposti nello spirituale e nel temporale. Mosè fu sovrano temporale e Sommo Pontefice. (Esod. XVIII, 13 – XX. 11. e seg. – Levit. VIII. 1. e seg). Heli Sommo Pontefice « fu giudice d’Israele per quarant’anni » (I. Re, IV, 18) cioè fin che visse. Lo stesso dicasi di Giuda Maccabeo, e di tutti i suoi successori sino ad Erode, e di moltissimi altri prima di essi. Nel principio della Cristiana Chiesa, quando i fedeli mettevano i loro beni in comune, portandone il prezzo a’ piedi degli Apostoli. S. Pietro, che certamente ben conosceva gli insegnamenti e le intenzioni del Redentore, ne era il supremo depositario e dispensatore, governava i fedeli anche nel temporale, e con tale un’autorità, che col soffio potente di sua parola colpì di morte Anania e Saffira, perché convinti di menzogna circa il prezzo di un loro podere venduto. (Act. IV, V) Sicché, sebben S. Pietro non fosse in rigor di termine re temporale,, stando però al fatto, alla sostanza, è certo che sopra i fedeli temporalmente regnava, e quindi in qualche modo può dirsi che il primo Papa dei Cristiani ne fu anche il primo Re.

50. Prot. Io mi ritratto: la penso come voi: eccovi adesso i veri miei sentimenti. « Qualunque sia l’opinione che si possa avere sul governo ecclesiastico nello Stato della Chiesa, non si può tuttavia negare il fatto che da oltre mille anni tutti gli sforzi, e tutte le lotte de’ Bisantini e dei Longobardi, degli Imperatori di Germania e dei Re di Francia, dei Crescenzi e de’ Cola di Renzo; tutte le occupazioni di Roma fatte da eserciti stranieri, tutte le rivoluzioni aristocratiche e democratiche succedute in quella città, e gli esilii, e gli imprigionamenti, e le uccisioni de’ Papi, non hanno recato mutamento radicale nello Stato del Patrimonio di S. Pietro: lo hanno aumentato, non già diminuito. » Ferrara, per esempio, è un acquisto piuttosto recente dello Stato Pontificio. Questo cotanto mirabil carattere di durazione dello Stato della Chiesa, si spiega molto facilmente mercé il carattere storico e universale della Chiesa Romana. Questa Chiesa non può esser dipendente da un Monarca laico, come lo è la Chiesa Bizantina. Accadde da ciò, che durante il medio evo, fino a tanto che non vi era che aa solo Imperatore, essa si trovava in opposizione con lui. Ma dacché accanto dell’Impero Germanico la Francia, e più tardi la Spagna si elevarono al grado di grandi potenze Cattoliche indipendenti, egli divenne affatto impossibile di secolarizzare lo Stato della Chiesa, e dì far del Papa un suddito di un principe laico, perché se l’uno avesse tentato di renderlo suo suddito, li altri non lo avrebbero permesso. – Né lo Stato Pontificio può essere essenzialmente diminuito e circoscritto alla città di Roma e contorni, perché allora sarebbe assolutamente troppo debole riguardo ai suoi vicini. Ora siccome lo Stato della Chiesa è una condizione dell’esistenza dell’UNITÀ CATTOLICA, e poiché alcune grandi potenze e popoli latini quasi senza eccezione, i tedeschi in gran parte, e gli slavi, sebbene in minor numero, sono Cattolici ed appartengono a quella UNITÀ INCROLLABILE, perciò lo Stato della Chiesa continuerà ad esistere ad onta delle idee … ad onta di tutti i congressi, ad onta di tutti i MAZZINI e i GARIBALDI…. e ad onta di tutte le LAGNANZE degli ACATTOLICI TEDESCHI e INGLESI. » (Il protestante signor Volfango Menzel, nel sao Giornale di Letteratura: n. 90. Vedi il Cattolico (giornale) di Genova. 8 Genn. 1860. n. 3038). « Se tutti gli imperatori, re, principi e cavalieri della cristianità dovessero far valere i titoli, per cui giunsero al potere, il gran Pontefice di Roma ornato della sua triplice corona potrebbe benedirli tutti, e dir loro: Senza di me voi non sareste divenuti ciò che siete. I Papi hanno salvato l’antichità, e Roma merita di restare il Santuario pacifico, dove si conservano tutti i preziosi tesori del Papato. » (Herder, Filosofia della Storia). – « Gli avvenimenti dello Stato Pontificio…. toccano gli interessi ecclesiastici di tutto il mondo. La Chiesa Cattolica non è Chiesa provinciale, né nazionale: più antica di qualsiasi, formazione di Stati  dell’antico e del nuovo mondo, le sue istituzioni si sentono superiori ai confini ed ai poteri degli Stati, ed onorano nel Vescovo di Roma il loro Capo Supremo. La dipendenza di questo Vescovo da qualsiasi potenza temporale, porrebbe in pericolo la stessa indipendenza della Chiesa Cattolica. Le più importanti cose da essa operate, qual potenza religiosa e incivilitrice, sono dovute alla sua indipendenza dal poter temporale. La Chiesa non può abbandonare tale indipendenza, se non vuol esser tratta in mezzo a’ mutabili avvenimenti, principii ed aspetti politici, e risentire danni incalcolabili. La residenza del Capo Supremo della Cristianità in paese che non è unitario, ed il potere temporale del Papa sono le guarantigie dell’indipendenza di questo Capo Supremo, e di tutta la Chiesa Cattolica. » (Cosi il giornale protestante La Spener’sehe zeit: 1830. Ved, La Civiltà Cattolica: 19 Novemb. 1839. nella nota.).

61. Bibbia. Mi hanno fatto non buona impressione quelle tue prime parole: – Qualunque sia l’opinione che si possa avere sul governo ecclesiastico, etc. Forse il Papa governa male i suoi sudditi?… Che ne dice il mondo? Tu che ne pensi?

Prot. « Ho letto la settimana passata’ ne’ pubblici fogli che gli Stati del Papa sono i peggio amministrati di tutta l’Europa. Questa proposizione l’aveva letta già per lo innanzi moltissime volte, ma in che consista precisamente questa cattiva amministrazione, o come si dice – questo dispotismo papale, – e sin dove si estenda, ecco, vel confesso, ciò che non riesco a ben capire. – I nostri editori di giornali, e i nostri pubblicisti che si danno pena d’illuminarci, non si degnano poi di scendere alle particolarità che chiamano volgari. Tuttavia dee esser permesso ad un uomo del volgo d’indirizzar loro qualche domanda. – Domanderò adunque, in che consista definitivamente questo dispotismo del governo papale? Si è forse perché gli ecclesiastici vi compiono funzioni pubbliche? Ma durante parecchi anni vi ebbero in Roma assai meno ecclesiastici in funzione che in alcuni Stati della nostra Unione Americana, e i loro stipendi erano di molto inferiori a quelli dei secolari. – Si è forse perché il governo spende troppo? Ma il governo Pontificio è uno dei più economici di Europa. Gli stipendi degli alti funzionari non oltrepassano i 3mila dollari per anno, e tutta la lista civile ascende a circa 600mila dollari. – Il popolo vi e forse aggravato d’imposte? A Roma le imposte sono molto inferiori a quelle d’Inghilterra, di Francia e di Nuova York. – I Romani sono privi de’ benefizi dell’educazione? Gli Stati del Papa, con una popolazione minore di tre milioni, possiedono parecchie università, e fatta la proporzione col numero degli abitanti, la città di Roma ha essa sola più scuole libere che quelle di Nuova York. E d’altra parte, ciò che più importa, queste scuole frequentate sono da un numero ben più grande e considerabile di fanciulli. – Forse in Roma non si ha cura del povero, e non si bada ad alleviarne le pene e le miserie? A Roma, fatta sempre la proporzione colla popolazione, gli ospedali pubblici per gli ammalati, per gli indigenti, pei vecchi, per gli infelici di ogni specie, sono più numerosi e meglio tenuti che in qualunque altra città del mondo. Per ospitare le persone in queste case non si chiede loro né la patria a cui appartengono, né la religione che professano. – Ma forse questo detestabile governo papale ha ridotto il popolo alla povertà? A questo io rispondo che l’Olanda, la Francia e qualche altra nazione libera e illuminata racchiudono da tre a dieci volte più poveri che Roma. – Dove è dunque questo detestabile dispotismo? Il governo è una monarchia elettiva: vi si trova un regime dolce, pesi leggieri, pochissimi poveri, un’amministrazione economica, un’istruzione libera e a buon mercato per tutte le classi della società; infine gran numero d’istituzioni caritatevoli destinate ai bisognosi ed ai sofferenti. – Ardisco affermare che la sola città di Nuova York paga più imposte, prova maggiori perdite per l’infedeltà dei suoi funzionari, ha più di poveri da soccorrere, racchiude più figli senza istruzione, dee subire il triste spettacolo di più persone che si danno all’ubriachezza, al vizio, ad ogni maniera di depravazione, che noi chiamiamo rowdyism, in una parola, più di delitti che non ve ne siano in mezzo a tre milioni incirca degli abitanti degli Stati della Chiesa. » (Lettera del protestante sig. Taylor, stampata teste nel giornale americano il New York Mercuri. Vedi l’Armonia, etc. di Torino, 2 Agosto 1860. n. 179)

52. Bibbia. Se così è, perché mai tante grida, tante insidie, tante rivoluzioni, calunnie e persecuzioni contro il governo temporale del Papa?

Prot. « La persecuzione ordita contro la Chiesa per mano di apostati, tra cui ve ne ha di tali che si vorrebbero eziandio spacciare per credenti! va pigliando tuttora incrementi novelli, e se nulla veggiamo negli indizi che ci porgono i tempi, questa persecuzione riuscirà tosto o tardi ad un macello spaventevole. La rivoluzione non è mai che pigli di mira le cose temporali soltanto, ma tiene inteso l’occhio perpetuamente all’ordine divino. Inoltre ella dirige da principio li suoi assalti contro la Chiesa, e solo più tardi fulmina colle sue batterie i re, i principi, i ricchi e le classi dei possidenti.  

« Ma in genere i possenti della terra sono ciechi in quel che si attiene a questi primi cominciamenti della rivoluzione, e tale accecamento spingono tant’oltre da favorire la rivolta, scavandosi così una tomba che tranghiottirà i loro propri diritti. Si direbbe talvolta, vedendoli tenere una simile condotta, che per mezzo di cotali favori intendono rifarsi presso la rivoluzione della perdita dei loro diritti medesimi. I più furiosi assalti dei rivoluzionari han sempre per segno quel potere tra i poteri temporali che invoca, mentre pur vi si appoggia, il diritto del Dio vivente che ammette i diritti della Chiesa del Cristo.

« Volgiamo primieramente gli sguardi all’Italia. La persecuzione quivi, già son molti anni, organata dal governo Piemontese contro la Chiesa, ha soprattutto, io nol niego, per iscopo la forma esteriore di essa Chiesa, cioè, i beni ecclesiastici, il dominio temporale del Papa; ma in verità l’assalto è mosso contro il potere spirituale nascosto sotto quella estrinseca forma. Ora pelle genti cattoliche il potere spirituale dimora in questo segnatamente, che il Papa è Vicario del Cristo. E contro appunto il dominio del Cristo si scatenano i nostri cattolici (?) nell’irrompere che essi fanno contro la dominazione del Papa, eziandio temporale. Chiunque ripudia il Papa, ripudia il Cristo: adunque nessun’altra alternativa più rimane ai Cattolici, se non l’ammettere il Papa e il Cristo, o il non ammettere né Papa, né Cristo.

« Chi pigli la norma dalle condizioni presenti, quali lo han partorite, i capi politici dappoi mille anni, non che indotto, si trova irresistibilmente necessitato a non riconoscere come depositario della piena autorità apostolica un Papa, che dipendesse politicamente da un altro Monarca.

« …. E collo scopo medesimo di tutelare il dominio temporale del Papa, vediamo levarsi come un sol uomo non l’alto Clero soltanto, ossia l’Episcopato, ma pur anco (fatte pochissime eccezioni) il Clero in universale, armato del soccorso delle lettere pastorali e della preghiera; per questo medesimo fine il popolo dico prende così a petto l’opera del Danaro di S. Pietro; e per questo ancora drappelli di guerrieri magnanimi, con a capo il valoroso Lamoricier, tolgono in mano la spada della difesa.

« La Chiesa Cattolica, e nessuno lo disconosce, geme per ora in una profonda costernazione. Se nondimeno il Papa esce da strette così difficili, aiutatovi dai propri suoi mezzi, e da quelli che il mondo cattolico gli ha spontaneamente fornito, gioverà questo a dare all’elemento rivoluzionario una tale disfatta, quale non ha egli sofferto mai da tutte le violenti repressioni adoperate dopo il 1848, e d’altra parte un simile evento sarà per la Chiesa un mezzo di consolazione sì viva che altrettanta ella non ne ha più sentito da cinquecento anni al dì d’oggi.

« Quanto a noi troppo saremmo lontani dall’esultare per la decadenza del Papa e del suo poter temporale, perché non è già la Chiesa protestante quella in cui prò tornerebbe una tal caduta, ma unicamente la sua caricatura, la negazione, la mogia incredulità, e la folla stupida di coloro, che nel voler essere in voce di uomini di fede, si precipitano nelle braccia della crassa empietà e del suicidio morale, nelle braccia degli insensati protestanti dell’Inghilterra, dell’alleanza evangelica, degli iscritti al partito della Gazzetta Ecclesiastica, e di tutta la borra e il pattume della stessa specie. – Se anche qui e colà, alcuni membri della Chiesa protestante, benché animati dal vero spirito clericale, han manifestato la speranza che il decadimento del Papa recherà il trionfo della Chiesa protestante (nel che ci muovono a pietà del fatto loro), essi ci porgono in questo una prova d’imbecillità politica e religiosa, la quale è tutt’altro che convenevole per la nostra Chiesa. » (Cosi il celebre protestante prof. Leo d’Halle, nel suo giornale intitolato: Volh’shlat zur stadt und land, 1860. Vedi l’Armonia suddetta, 6 Ottobre 1860. n. 233.). « L’integrità degli Stati Romani deve essere considerata come l’elemento essenziale dell’indipendenza politica della penisola italiana. Nessuna invasione del territorio di questi Stati potrebbe avvenire, senza condurre a risultati di grande gravità e di’ grande importanza. » (Lord Palmerston Ministro Inglese; Nota a Lord Ponsomoby ambasciatore a Vienna – 11 sett.1847). « Qualunque cosa avvenga, il Papa ci sarà sempre imposto dall’Europa, sotto qualunque titolo si sia. Gli uomini di stato d’Inghilterra non accetteranno mai l’esautorazione del Papa. (Il medesimo, Risposta alla repubblica romana nel 1849, che domandava l’intervento dell’Inghilterra per distruggere il regno temporale del Papa. Vedi il Cattolico di Genova, 3 dic. 1859).

SANTO NATALE (2020): MESSA DEL GIORNO

MESSA DI NATALE (2020) TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO.

Staz. a S. Maria Maggiore.

« In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio. Tutte le cose sono state fatte da Lui » (Vang.). «Tu, o Signore, in principio hai creato la terra: i cieli sono opera delle tue mani » (Ep.). « Tuoi sono i cieli e la terra, sei tu che hai creato l’Universo e tutto ciò che contiene » (Off.). L’uomo, che è stato creato da Dio, da Lui sarà ristabilito nella primitiva dignità. Cosi « il Verbo si fece carne ed abitò in noi” (Vang.). «Iddio, in questi ultimi tempi (cioè nei giorni messianici) ci ha parlato nella persona del Figlio, che è lo splendore della sua gloria » (Ep.). Così la Chiesa canta oggi che una gran luce è discesa sulla terra (Allel.). Questa luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta, perché il Verbo è venuto nel mondo, ma i suoi non l’hanno ricevuto. A quelli invece che l’hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio (Vang.). « È infatti per liberarci dalla schiavitù del peccato, per purificarci dalle nostre colpe (Secr.) e per farci nascere alla vita divina (Poste.) che l’Unigenito di Dio è nato secondo la carne » (Ep.). Più di settecento anni prima di questa nascita, Isaia esaltava già la potenza dell’Uomo-Dio. «Un bambino ci è nato, egli porterà i segni della sua regalità. E i prodigi ch’Egli operò sono raffigurati in quelli che Dio fece quando liberò gli Ebrei dalla schiavitù d’Egitto (Vers. Dell’Intr.). Cosi, oggi come allora, «tutti i confini della terra sono testimoni della salvezza che Dio operò per il suo popolo » (Grad. Comm.). – La salvezza che Cristo ha realizzato nel suo primo avvento, la compirà alla fine dei tempi. « Dopo che Gesù ebbe operato la purificazione dai peccati, spiega l’Apostolo Paolo, sali in Cielo, dove è assiso alla destra della Maestà divina » (Ep.). La sua umanità glorificata partecipa dunque del trono dell’Eterno: « Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli: lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia » (Ep.). « La giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono » (Offerì.). « E un giorno, dice S. Luca, il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria e in quella del Padre e degli Angeli suoi, per rendere a ciascuno secondo le proprie opere ». Quando Dio manderà di nuovo (cioè alla fine del mondo) il suo Primogenito sulla terra dirà: « tutti gli Angeli lo adorino » (Ep.). E ci sarà allora una trasformazione di tutte le creature, perché il Figlio di Dio, che non muta, rinnoverà le creature come si fa di un vestito vecchio (Ep.). E l’Apostolo in una settima citazione delle Sacre Scritture, che segue quelle che troviamo oggi nell’Epistola, aggiunge che « Iddio farà allora dei nemici di Cristo uno sgabello ai suoi piedi ». Sarà il trionfo finale del Verbo incarnato che punirà, nella sua seconda venuta, quelli che non l’avranno accolto nella prima; mentre farà partecipi della sua immortalità quelli che saranno nati da Dio, avendo questi accolto con fede e con amore il Verbo incarnato, come lo hanno accolto i Re Magi, venuti da lontano per adorarlo (Vangelo dell’Epifania, letto come ultimo Vang.). Ed essendo Gesù presente anche nell’Eucarestia, cosi come lo era a Betlemme, adoriamolo sull’Altare, vera mangiatoia, dove si trovò il Bambino Gesù, perché in questo tempo di Natale la liturgia grazie al Messale, ci rappresenta l’Ostia nel quadro di Betlemme. È nella gran Chiesa della Vergine, che a Roma rappresenta Betlemme, che si celebra la Messa del giorno di Natale, come vi si è celebrata quella di mezzanotte.

Incipit

In nómine Patris, ☩︎ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Àngelo del buon consiglio.]

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebraeos.
Hebr 1: 1-12
Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et saecula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in saeculum saeculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt coeli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929 – imprim.]

[A più riprese e in molte maniere, parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni; ha parlato a noi per mezzo del suo Figliuolo, che egli ha costituito erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio che è lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza, e che sostiene tutte le cose con la sua potente parola, compiuta che ebbe l’espiazione dei peccati; s’è posto a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli, fatto di tanto superiore agli Angeli, di quanto più eccellente del loro è il nome da lui ereditato. Infatti, a quale degli Angeli disse mai. Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generata? E ancora: Io gli sarò Padre, ed Egli mi sarà Figlio? E quando introduce di nuovo il primogenito nel mondo dice: E l’adorino tutti gli Angeli di Dio. Agli Angeli, poi, dice: Colui che fa dei suoi Angeli i venti, e dei suoi ministri guizzi di fuoco. Al Figlio, invece dice: Il tuo trono, o Dio sta in eterno: lo scettro del tuo regno è scettro di rettitudine. Hai amato la giustizia, e hai odiato l’iniquità; perciò, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di allegrezza a preferenza dei tuoi compagni. E tu in principio, o Signore, hai creato la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi passeranno, ma tu rimarrai, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li cambierai come un mantello, ed essi saranno cambiati. Ma tu sarai sempre quello, e i tuoi anni non finiranno mai.”].

S. Paolo era venuto a conoscenza delle persecuzioni che subivano i Cristiani palestinesi, convertiti dal giudaismo, e non gli sfuggiva i l pericolo che correvano di abbandonare la Religione cristiana per far ritorno a quella ebraica. A confortarli nella loro tribolazione, e a confermarli nella religione abbracciata manda loro dall’Italia una lunga lettera. In essa è dimostrata la grande superiorità del Nuovo Testamento su l’antico, e se ne deducono pratiche esortazioni. Il principio di questa lettera forma l’Epistola di quest’oggi. — Premesso che Dio ci ha parlato, un tempo, per mezzo dei profeti, in molti e vari modi, e, ora, per mezzo del proprio Figlio, prova, con diversi argomenti che il Figlio di Dio è molto superiore agli Angeli. Guidati dagli insegnamenti dell’Apostolo, portiamoci davanti alla culla di Gesù a venerare Colui che è:

1. La luce fra le tenebre,

2. Il Salvatore del mondo,

3. Il dispensatore delle grazie.

1.

Quando nasce il figlio di un re si fa festa in tutto il regno. Il giorno della sua nascita è considerato un giorno di letizia. La nascita di Gesù Cristo si festeggia in tutto il mondo: il giorno di questa nascita è il giorno del gaudio universale. Tutti vi prendono parte: adulti e piccini, fortunati e infelici. E perché tanto gaudio, da 19secoli, si rinnova di anno in anno davanti alla culla di Gesù? Chi è quel bambino che vagisce nella mangiatoia, che non balbetta una parola? Egli è l’interprete della volontà di Dio, egli è colui che rivela pienamente le verità che riguardano l’Altissimo. Nell’Antico Testamento erano state fatte al popolo ebreo divine rivelazioni: e questo tesoro delle divine rivelazioni rendeva quel popolo grandemente superiore a tutti gli altri popoli. Con l a nascita di Gesù Cristo comincia una nuova rivelazione. Udiamo S. Paolo:

A più riprese e in molte maniere parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni, parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo. Fin dal tempo deiprimi patriarchi Dio manifesta i suoi oracoli a uomini, che si è scelti come strumenti per manifestare la sua volontà. Non tutto è rivelato ai profeti, né a tutti è rivelata la stessa cosa. Una cosa è rivelata ai nostri progenitori, altra a Noè, altra ad Abramo. A Isaia è rivelato il parto della Vergine e la passione di Cristo. A Daniele il tempo della nascita del Messia; a Michea il luogo. La rivelazione è fatta come a frammenti, a più riprese, in modo che s’accresce col succedersi dei tempi.Orbene, il fanciullo che noi contempliamo nella culla di Betlemme, è strumento di rivelazione divina molto più completa di quella fatta per mezzo dei profeti, attraverso tanto volgere di secoli. Quel Bambino ci istruirà non solamente intorno a qualche verità, ma intorno a tutte le verità. Non ci istruirà in modo confuso, ma chiaro. Quel Bambino è il riflesso della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza; è il Verbo fatto carne. La dottrina che Egli insegna l’ha attinta nel seno del Padre. «Tutto quello che intesi dal Padre — dirà un giorno agliApostoli — l’ho fatto sapere a voi» (Giov. XV, 15). E la sua rivelazione non è riservata ai soli Ebrei: è fatta per tutti i popoli della terra. Questo profeta di tutti i tempi e ditutte le verità è anche il profeta di tutte le genti». « È la luce che splende fra le tenebre» (Giov. I, 5) dovunque esse si stendano. La luce che questo Bambino è venuto a portare porterà un nuovo ordine, che andrà estendendosi a tutto il mondo.

2.

Il Fanciullo che contempliamo nella culla è colui che si porrà, compiuta  l’espiazione dei peccati, a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli.

Sofonia aveva predetto:« In quel giorno si dirà in Gerusalemme: … Il Signore, il Dio tuo forte sta in mezzo a te » (Sof. III, 16-17). Quel giorno è venuto. Il Fanciullo che vagisce è il Dio forte venuto a salvarci, espiando per noi i peccati. Attorno a lui l’occhio umano non scorge nulla che indichi chi strapperà i popoli al potere dei nemici. Dalle pareti tra cui vagisce non pendono i ritratti di antenati guerrieri. Alla soglia non vegliano soldati armati. Le sue mani non stringono la spada. Egli è avvolto nelle fasce, debole come tutti i fanciulli appena nati. Crescerà non in una scuola di guerra, ma in una bottega di falegname. Un giorno si assocerà dei discepoli, che non avranno mai combinato piani di battaglia, ma unicamente tese le reti nel lago di Genesaret, E se un giorno, uno di loro, in un momento di zelo, sfodererà la spada per difendere il Maestro; questi lo richiamerà prontamente: «Rimetti la spada al posto, perché tutti coloro che si serviranno della spada, periranno di spada» (Matth. XXVI, 52). – Gesù, come predisse l’Angelo a S. Giuseppe, «salverà il popolo dai suoi peccati» (Matth. I, 21). ma non per mezzo di eserciti. Egli combatterà non sterminando i nemici col ferro e col fuoco, ma consegnando se stesso alla morte come mite agnello. «E l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei Signori e il R e dei Re» (Apoc. XVII, 14). Questo Bambino nella natura umana che ha assunto ha deposto la maestà divina, ma non il potere» (S. Zenone, L. 2 Tract. 9, 1). – I tiranni sorgono e scompaiono. I regni da loro fondati si dilatano, poi vanno restringendosi, e poi non sono che ricordi. Ma il tiranno, contro cui prende a lottare Gesù Cristo, regna da secoli. Ha posto il suo giogo sul primo uomo, e continua a porlo sopra i suoi discendenti. Il suo regno, che è il regno del peccato, si estende a tutto il mondo. Non c’è nazione, non c’è individuo che se ne possa sottrarre. « In vero tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio » (Rom. III, 23).Gesù Cristo sarà il liberatore di tutti. – Quel Bambino, è l’innocente, è il segregato dai peccatori. Egli è sfuggito al dominio di satana, e sulla croce lo infrangerà completamente. Da Adamo fino a Gesù Cristo ha dominato il peccato. Con la venuta di Gesù Cristo si inizia il dominio della grazia. L’impero di satana andrà perdendo terreno ogni giorno. I tempi dedicati agli idoli cadranno a mano a mano, e al loro posto sorgeranno chiese, in cui si innalzeranno preghiere al vero Dio, e a Lui si faranno sacrifici accetti, l’uomo è ora destinato alla morte eterna, e Gesù gli aprirà le porte della vita beata. Egli salirà al cielo a ricevere il premio della sua vittoria, e dietro di Lui saranno continuamente i suoi seguaci. Come aveva ragione l’Angelo di dire ai pastori: «Vi reco una buona novella di grande allegrezza per tutto il popolo. Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore che è il Cristo Signore» (Luc. II, 10-11).

3.

In principio hai creato la terra e i cieli sono opera delle tue mani.

È la preghiera che il popolo d’Israele, schiavo in Babilonia, rivolge a Dio, perché lo liberi, e faccia risorgere Gerusalemme. Egli può farlo: è onnipotente (Salm. CI, 26). Lo stesso possiam dire Con S. Paolo del fanciullo di Betlemme. Egli è padrone del cielo e della terra: l’universo e quanto vi si contiene è suo. Egli può ricolmarci di tutti i beni. Non sconfortiamoci se non lo vediamo in una culla dorata, se non è difeso da cortine di seta, se il suolo della sua abitazione non è coperto di ricchi tappeti. « La povertà di Cristo è più ricca che tutta la roba, che tutti i tesori del mondo » (S. Bernardo. In Vig. Nat. Serm. 4, 6). Questo povero Fanciullo un giorno darà abbondanza di pane alle turbe affamate. Darà il camminare agli storpi, l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la loquela ai muti, la liberazione agli indemoniati. – Padrone della vita e della morte, ascolterà la preghiera delle sorelle di Lazzaro, e richiamerà dalla tomba, ove è già in preda alla corruzione, il loro fratello; scuoterà dal sonno della morte la figlia di Giairo, fermerà la bara che porta alla sepoltura il figlio unico della vedova di Naim; e, ridonata la vita al giovinetto, lo consegnerà alla madre. – Chi giace privo di tutto nella mangiatoia è il dispensatore dei regni. Un giorno dirà agli eletti : « Venite, o benedetti dal Padre mio; prendete il regno che vi è stato preparato dalla fondazione del mondo » (Matth. XXV, 34).Egli richiamerà i peccatori dalla morte alla vita spirituale. La peccatrice, il paralitico, ascolteranno dalla sua bocca la consolante parola: « Va, ti sono rimessi i tuoi peccati » (Luc. V, 20; VII, 48). S. Giovanni racchiude tutto in una frase: E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia » (Giov. I, 16). E intanto gli uomini cominciano a godere il dono della pace. Poco lontano dalla sua culla uno stuolo dell’esercito celeste canta: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Luc. II, 14). La pace tra Dio e l’uomo è stata inaugurata con la nascita del Redentore. Il Bambino di Betlemme è la vittima destinata a placare la divina giustizia offesa. La culla in cui piange è come un altare su cui comincia per noi il sacrificio che deve riconciliarci al Padre. Su questo altare versa lagrime; sulla croce verserà sangue, e sarà compiuto l’ultimo atto del sacrificio. L’opera è cominciata con l’offerta di pace; non respingiamola. È un dono che non troveremo altrove, perché, nessuno può dare quel che non ha. Togliamo prontamente tutto ciò ch’è d’ostacolo a questa pace, e godremo pienamente di questo giorno. Oggi dev’essere giorno di letizia. « Non è lecito dar luogo alla tristezza quando è il giorno natalizio della vita» (S. Leone M. Serm. 21, 1). Non potremo sottrarci alla tristezza se avremo il peccato su l’anima: via, dunque, il peccato. E se vogliamo gustare appieno la letizia, procuriamo di stringere al nostro cuore, sotto le specie eucaristiche, quel Bambino che contempliamo nella culla di Betlemme. – È commovente la storia del piccolo Giorgio, nipote del celebre ebreo convertito, Ermanno Cohen. Per obbligarlo ad abiurare la religione cattolica, che il fanciullo aveva abbracciato con la madre, il padre, ebreo, lo separa da questa, e lo conduce in un paese protestante, lontano quattrocentocinquanta leghe da lei. Si era fatto Cristiano per poter ricevere Gesù nella S. Comunione, e ora ne è severamente impedito. Era questo il suo maggior tormento. All’avvicinarsi di Natale può far pervenire allo zio i suoi lamenti: « Siamo alla vigilia di Natale, ed all’approssimarsi di questa solennità la sorveglianza si raddoppia per impedirmi di ricevere il mio Dio. Ahimè! Dovrò dunque passare queste belle feste nel digiuno e privo del pane di vita? Prego il Santo Bambino Gesù che il mio digiuno presto finisca ». Il non rimaner digiuno del pane di vita sarà appunto il modo migliore di assaporare tutta intera la gioia che ci reca la nascita di Gesù.

Graduale

Ps XCVII: 3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio].

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]

V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.

[Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Joann 1:1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. (Hic genuflectitur) Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Genuflettiamo E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigénito dal Padre, pieno di grazia e di verità.]

OMELIA II

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

PER IL GIORNO DI NATALE

(Primo discorso)

SUL MISTERO

Annunciare ad un moribondo il quale è estremamente affezionato alla vita, che un medico valente può trarlo dalle porte della morte e restituirgli una sanità perfetta, si potrebbe recargli una più felice novella? Ma infinitamente più lieta è quella che l’angelo reca oggi a tutti gli uomini nella persona dei pastori! Si, miei Fratelli, il demonio col peccato, aveva inferto le ferite più crudeli e più letali alle nostre povere anime. Vi aveva piantato le tre passioni le più funeste, dalle quali derivano tutte le altre, che sono l’orgoglio, l’avarizia, la. sensualità. Essendo divenuti gli schiavi di queste vergognose passioni, noi eravamo tutti come altrettanti infermi pei quali non eravi speranza di sorta e non potevamo aspettarci che la morte eterna, se Gesù Cristo nostro vero medico non fòsse venuto in nostro soccorso. Ma no, commosso della nostra sventura, lasciò il seno del Padre suo, discese nel mondo nell’umiliazione, nella povertà e nei patimenti, affin di distruggere l’opera del demonio e applicare dei rimedi efficaci alle crudeli ferite che ci aveva recate questo antico serpente. Sì, egli viene, questo tenero Salvatore, per guarirci da tutti questi mali spirituali, per meritarci la grazia di condurre una vita umile, povera e mortificata; e, per meglio muoverci a far ciò, Egli medesimo ce ne porge l’esempio. È quello che noi vediamo in un modo ammirabile nella sua nascita. Noi vediamo che egli ci prepara 1° colle sue umiliazioni e colla obbedienza sua un rimedio al nostro orgoglio; 2° colla sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo, e 3° col suo stato di patimento e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi. Con questi rimedi ci restituisce la vita spirituale che il peccato di Adamo ci aveva rapita, diciamo ancor meglio, Egli viene ad aprirci la porta del cielo che il peccato ci aveva chiusa. Dopo tutto ciò, io vi lascio pensare quale debba essere la gioia e la riconoscenza d’un Cristiano alla vista di tanti benefizi! Ne occorrono altri per farci amare questo tenero e dolce Gesù, il quale viene per prendere sopra di sé tutti i nostri peccati, e che soddisfa alla giustizia del Padre suo per noi tutti? 0 mio Dio! Un Cristiano può pensare a tutto ciò senza venir meno d’amore e di riconoscenza?

I. — Io dico adunque, che la prima piaga che il peccato ha recato nel nostro cuore è l’orgoglio, questa passione così pericolosa, la quale consiste in un fondo d’amore e di stima di noi medesimi, e fa: 1° che noi non amiamo di dipendere da alcuno, né di obbedire; 2° che noi nulla temiamo tanto quanto di vederci umiliati agli occhi degli uomini; 3° che noi ricerchiamo tutto ciò che può farci emergere nella stima degli uomini. Ora, ecco quello che Gesù Cristo viene a combattere nella sua nascita colla umiltà più profonda.  – Non solamente Egli vuol dipendere dal Padre suo e obbedirgli in tutto, ma vuole ancora obbedire agli uomini e dipendere in qualche modo dalla loro volontà. Infatti, l’imperatore Augusto, per vanità, per capriccio o per interesse, ordina che si faccia il censimento di tutti i suoi sudditi, e che ciascun suddito si rechi a farsi registrare nel luogo nel quale sia nato. Noi vediamo che appena questo ordine è stato pubblicato, la Ss. Vergine e S. Giuseppe si mettono in viaggio, e Gesù Cristo benché nel seno della madre sua, obbedisca prontamente e con conoscenza a questo ordine. Ditemi, possiamo noi trovare un esempio di umiltà più adatto a farci praticare questa virtù con amore e con premura? E che! Un Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse, e noi, miserabili peccatori, che dovremmo, alla vista delle nostre miserie spirituali, nasconderci nella polvere, potremmo noi cercare mille pretesti per dispensarci dall’obbedire ai comandamenti di Dio e della sua Chiesa, ai nostri superiori, i quali in ciò tengono il luogo di Dio? Quale onta per noi se confrontiamo la nostra condotta con quella di Gesù Cristo! Un’altra lezione di umiltà che Gesù Cristo ci porge, è di aver voluto subire il rifiuto del mondo. Dopo un lungo viaggio, Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme; con quale onore non dovevasi ricevere Colui che si aspettava da quattromila anni! Ma come Egli veniva per guarirci del nostro orgoglio e per insegnarci l’umiltà, permette che tutti lo rifiutino e che nessuno voglia ricettarlo. Ecco dunque il padrone dell’universo, del cielo e della terra, disprezzato dagli uomini per i quali viene a sagrificare la propria vita per salvarli! E necessario adunque che questo tenero Salvatore sia ridotto di prendere a prestito il luogo degli animali. O mio Signore! quale umiltà e quale annientamento per un Dio! Certamente, nulla ci è più sensibile che gli affronti, i disprezzi, ed i rifiuti; che se noi vogliamo considerare quelli che furono fatti provare a Gesù Cristo, per quanto grandi siano i nostri, potremmo noi mai levarne lamento? Quale felicità per noi di avere dinanzi agli occhi un così bel modello che possiamo riprodurre senza timore di ingannarci! Io dico che Gesù Cristo, lontano dal cercare ciò che poteva farlo emergere nella stima degli uomini, all’opposto, vuol nascere nell’oscurità e nell’oblio; Egli vuole che poveri pastori siano istruiti segretamente della sua nascita da un angelo, affinché le prime adorazioni che riceverebbe provenissero dai più umili degli uomini. Lascia nel loro riposo e nella loro abbondanza i grandi ed i fortunati del secolo, per mandare i suoi ambasciatori ai poveri, onde siano consolati nel loro stato vedendo in una mangiatoia, adagiato sopra una manata di paglia, il loro Dio e il loro Salvatore. I ricchi non sono chiamati che alcun tempo dopo per farci comprendere che ordinariamente le ricchezze, gli agi, ci allontanano dal buon Dio. Possiamo noi, dopo un tale esempio, avere dell’ambizione, conservare un cuore gonfio d’orgoglio, ripieno di vanità? Possiamo ancora cercare la stima e le lodi degli uomini, gettando gli occhi sopra questa mangiatoia? Non vi pare di udire questo tenero ed amabile Gesù dire a tutti: “Imparate da me quanto sono dolce ed umile di cuore? „ – Dopo ciò, amiamo di vivere nella dimenticanza e nel disprezzo del mondo; non temiamo tanto, scrive S. Agostino, quanto gli onori e le ricchezze di questo mondo, perché se fosse permesso di amarli, Colui che si è fatto uomo per l’amore di noi, Egli medesimo li avrebbe amati. Se Egli fugge e disprezza tutto ciò, noi dobbiamo fare lo stesso, amare quello che ha amato e disprezzare quello che ha disprezzato; ecco l’insegnamento che Gesù Cristo ne porge venendo al mondo, ed ecco nell’atto stesso il rimedio che Egli applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. Ma ne abbiamo una seconda, la quale non è meno pericolosa: è l’avarizia.

II. — Noi diciamo che la seconda piaga che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, è l’avarizia, con altre parole, un amore smodato delle ricchezze e dei beni di questo mondo. Ah! quanto questa passione mena strage nel mondo! S. Paolo ha ben ragione di dirci che essa è la sorgente di tutti i mali. Infatti, non è da questo malaugurato interesse che provengono le ingiustizie, le invidie, gli odi, gli spergiuri, i processi, le querele, le animosità e le durezze verso i poveri? Dopo ciò possiamo meravigliarci che Gesù Cristo, il quale non viene sopra la terra che per guarire le passioni degli uomini, voglia nascere nella più grande povertà e nella privazione di tutti gli agi anche di quelli che sembrano necessari alla vita degli uomini? Per questo noi vediamo che Egli comincia a scegliere una madre povera, e vuol essere creduto il figlio di un povero operaio, e, come i profeti avevano annunciato che nascerebbe dalla famiglia regale di Davide, così affin di conciliare questa nobile origine col suo grande amore per la povertà, permette che, nel tempo della sua nascita, questa illustre famiglia sia caduta nell’indigenza. Non è tutto. Maria e Giuseppe, benché poveri, avevano una piccola casa a Nazareth; era ancora troppo per Lui; Egli non vuol nascere in un luogo che possa chiamar suo; e per questo obbliga Maria, la sua santa Madre, a intraprendere con Giuseppe il viaggio di Betlemme nel tempo preciso nel quale doveva darlo in luce. Ma almeno in Betlemme, che era la patria del loro avo Davide, non troverà parenti per riceverlo in loro casa? No, dice il Vangelo, nessuno lo vuol ricevere; tutti lo rimandano col pretesto che è povero. Ditemi, dove si recherà questo tenero Salvatore, se nessuno vuol riceverlo per guarentirlo dalle ingiurie del tempo cattivo? Tuttavolta resta ancora uno spediente; entrare in una locanda. Infatti, Maria e Giuseppe si presentano. Ma Gesù, il quale aveva tutto preveduto, permise che il concorso fosse così grande, sicché essi non trovarono luogo. Oh! dove riposerà dunque il nostro amabile Salvatore? S. Giuseppe e la Ss. Vergine cercano da ogni parte; essi scorgono una vecchia casupola nella quale le bestie si ritiravano nel cattivo tempo. O cieli! meravigliate! un Dio in una stalla! Egli poteva scegliere un magnifico palazzo; ma colui che ama cotanto la povertà non lo farà. Una stalla sarà il suo palazzo, una mangiatoia la sua culla, un po’ di paglia comporrà il suo letto, miserabili pannolini saranno tutti i suoi ornamenti, e dei poveri pastori formeranno la sua corte. – Ditemi, poteva Egli insegnarci in modo più efficace, il disprezzo che dovremmo fare dei beni e delle ricchezze di questo mondo, e nell’atto stesso, la stima che dobbiamo avere per la povertà e per i poveri? Venite, miserabili, ci dice S. Bernardo, venite voi tutti che attaccate i vostri cuori ai beni di questo mondo, ascoltate quello che vi diranno in questa stalla, questi pastori e questi pannolini che involgono il vostro Salvatore! Ah! sventura a voi che amate i beni di questo mondo! Ah! quanto è difficile che i ricchi si salvino! — Perché, mi direte voi? — Perché? 1° perché  ordinariamente una persona che è ricca è piena d’orgoglio; è necessario che tutti si curvino dinanzi a lei; che tutte le volontà degli altri siano sottomesse alla sua; 2° perché le affezionano i nostri cuori alla vita presente per la qual cosa, noi vediamo ogni giorno che un ricco teme grandemente la morte; 3° perché le ricchezze rovinano l’amore di Dio, estinguono tutti i sentimenti di compassione verso i poveri, o, per dir meglio, le ricchezze sono uno strumento che mette in movimento tutte le altre passioni. Ah! se noi avessimo gli occhi dell’anima aperti, quanto temeremmo che il nostro cuore si affezionasse alle cose di questo mondo! Ah! se i poveri potessero comprendere quanto il loro stato li avvicina a Dio e loro dischiude il cielo, benedirebbero il buon Dio di averli collocati in uno stato che li avvicina al loro Salvatore! Ma se voi mi domandate, chi sono questi poveri che Gesù Cristo ama tanto? Sono quelli che soffrono la loro povertà in ispirito di penitenza, senza mormorare e senza lagnarsi.  Altrimenti, la loro povertà non servirebbe che a renderli più colpevoli dei ricchi.- Ma i ricchi, mi direte voi, che cosa devono per imitare un Dio così povero e così disprezzato? — Ecco: non affezionare il loro cuore ai beni che posseggono; consacrarli in buone opere per quanto il possono; ringraziare il buon Dio di aver loro concesso un mezzo per cancellare i loro peccati colle loro limosine; di non mai disprezzare coloro che sono poveri; all’opposto rispettarli per la grande rassomiglianza che hanno con Gesù Cristo. È dunque con questa grande povertà che Gesù Cristo ci insegna a combattere l’attaccamento che abbiamo per i beni di questo mondo: è con ciò che Egli ci guarisce della seconda piaga che il peccato ci ha recato. Ma questo tenero Salvatore vuol guarircene un’altra recata dal peccato, che è la sensualità.

III. — Questa passione consiste nell’amore smodato dei piaceri che si gustano coi sensi. Questa funesta passione prende nascimento dall’eccesso del bere e del mangiare, dall’amore eccessivo del riposo, degli agi e delle comodità della vita, dagli spettacoli, dalle assemblee profane, in una parola, da tutti i piaceri che noi possiamo godere coi sensi. Che cosa fa Gesù Cristo per guarirci da questa pericolosa malattia? Egli nasce fra i patimenti, nelle lagrime, nella mortificazione; Egli nasce nel cuor della notte, nella stagione più rigorosa dell’anno. Appena nato, è coricato sopra una brancata di paglia, in una stalla. O mio Dio! quale stato per un Dio! Quando il Padre eterno creò Adamo, lo collocò in un giardino di delizie; quando nasce il Figlio suo, lo colloca sopra una manata di paglia! O mio Dio! quale stato! Colui che abbellisce il cielo e la terra, che forma tutta la felicità degli Angeli e dei santi vuol nascere, vivere e morire nei patimenti. Può Egli dimostrare in un modo più forte il disprezzo che dobbiamo fare del nostro corpo, e come dobbiamo trattarlo duramente, per timore che non perda l’anima nostra? O mio Dio! quale contraddizione! un Dio soffre per noi, un Dio versa lagrime sopra i nostri peccati, e noi non vorremmo soffrir nulla, aver tutti i nostri agi! … – Ma le lagrime e i patimenti di questo divino Bambino ci muovono terribili minacce. “Sventura a voi, ci dice, che passate la vostra vita nel ridere, perché sorgerà un giorno nel quale verserete lagrime che mai avranno termine.„ — “Il regno dei cieli soffre violenza e non è che per coloro che se la fanno continuamente. „ Sì, se noi ci avviciniamo con fiducia alla culla di Gesù Cristo, se noi mescoliamo le nostre lagrime con quelle del nostro tenero Salvatore, nell’ora della morte, noi udremo queste dolci parole: “Beati color che hanno pianto, perché saranno consolati.” Ecco dunque questa terza piaga che Gesù Cristo vuol guarire venendo al mondo, che è la sensualità, vo’ dire quel malaugurato peccato d’impurità. Con quale ardore dobbiamo amare e ricercare tutto ciò che può procurarci o conservare una virtù che ci rende aggradevoli a Dio! Sì, prima della nascita di Gesù Cristo correva troppa distanza tra Dio e noi, perché potessimo osare di pregarlo. Ma, il Figlio di Dio, facendosi uomo, volle avvicinarci grandemente a Lui, e forzarci ad amarlo fino alla tenerezza. In qual modo vedendo un Dio in questo stato di bambino, potremmo negargli di amarlo con tutto il nostro cuore? Egli vuole egli medesimo essere il nostro Mediatore, è Lui che si incarica di domandare ogni cosa al Padre suo per noi; ci chiama fratelli suoi, figli suoi; poteva egli prendere dei nomi che ci inspirino una più grande fiducia? Accostiamoci adunque a lui con una grande confidenza tutte le volte che abbiamo peccato; egli medesimo domanderà il nostro perdono, e ci otterrà la sorte di perseverare. Ma per meritare questa grande e preziosa grazia, è necessario camminare sulle tracce del nostro modello; che a suo esempio noi amiamo la povertà, il disprezzo e la purità; che la nostra vita risponda alla grandezza della nostra qualità di figli e di fratelli di un Dio fatto uomo. No, noi non possiamo considerare la condotta dei Giudei senza essere compresi di meraviglia. Questo popolo lo aspettava da quattro mila anni, aveva fervorosamente pregato pel desiderio che aveva di riceverlo; e quando Egli viene, non trova alcuno per fornirgli un qualche ricovero; gli è necessario, benché sia onnipotente, benché sia Dio, prendere a prestito dagli animali un asilo. Tuttavia, io trovo nella condotta dei Giudei, benché colpevole sia, non un argomento di scusa per questo popolo, ma un motivo di condanna per la maggior parte dei Cristiani. Noi vediamo che i Giudei si erano formati del loro liberatore un’idea che non si accordava collo stato d’umiliazione nel quale apparve; sembravano non potersi persuadere che Egli fosse colui che doveva essere il loro liberatore; poiché S. Paolo ha lasciato scritto che “se i Giudei l’avessero conosciuto per Dio, non lo avrebbero mandato a morte „ (I. Cor. II, 8). Ecco una piccola scusa per i Giudei. Ma per noi quale scusa potremo recare della nostra freddezza e del nostro disprezzo per Gesù Cristo? Si, certamente, noi crediamo che Gesù Cristo è venuto sulla terra, che ha prodotto le prove più convincenti della sua divinità: ecco quello che forma l’oggetto della nostra solennità. Questo medesimo Dio vuol prendere, coll’effusione della sua grazia, una nascita spirituale nei nostri cuori: ecco i motivi della nostra fiducia. Noi ci gloriamo e abbiamo ragione di riconoscere Gesù Cristo per nostro Dio, per nostro Salvatore e per nostro modello: ecco il fondamento della nostra fede. Ma, ditemi, con tutto ciò, quale omaggio gli rendiamo noi? Qual cosa facciamo di più per Lui, come se non crediamo tutto ciò? Ditemi, la nostra condotta risponde alla nostra credenza? Consideriamo più attentamente e noi vedremo che siamo più colpevoli dei Giudei nel loro accecamento e nel loro induramento.

IV. — Dapprima, M. F., non parleremo di coloro i quali, dopo di aver perduto la fede, non la professano più esternamente; ma parliamo di coloro i quali credono tutto ciò che la Chiesa insegna, e che tuttavia nulla fanno di quanto la religione ci comanda. Facciamo alcune riflessioni particolari, opportune per il tempo nel quale viviamo. Noi rimproveriamo i Giudei di aver negato un asilo a Gesù Cristo, benché non lo conoscessero. Ora, abbiamo noi ben posto mente che noi gli rechiamo lo stesso affronto tutte le volte che trascuriamo di riceverlo nei nostri cuori colla santa comunione? Noi riprendiamo i Giudei di averlo appeso alla croce, benché non avesse loro procurato che del bene; ditemi, qual male ci ha recato, o più giustamente, qual bene non ci ha procurato? E noi non gli rechiamo lo stesso oltraggio, tutte le volte che abbiamo l’audacia di abbandonarci in preda del peccato? E i nostri peccati non sono ancora più penosi a questo buon cuore che non quello che i Giudei gli fecero soffrire? Noi non possiamo leggere senza essere compresi d’orrore tutte le persecuzioni che i Giudei gli fecero soffrire, benché credessero di fare una cosa accettevole a Dio. Ma non facciamo noi alla santità del Vangelo una guerra mille volte più crudele colle sregolatezze dei nostri costumi ? Ah! noi non apparteniamo al Cristianesimo che per una fede morta, e non sembra che noi non crediamo in Gesù Cristo che per oltraggiarlo maggiormente e per disonorarlo con una vita cosi miserabile agli occhi di Dio. Posto ciò, giudicate ciò che i Giudei devono pensare di noi, e con essi, tutti i nemici della nostra santa Religione. Quando essi esaminano i costumi della maggior parte dei Cristiani, essi ne trovano una quantità che vivono quasi non fossero mai stati Cristiani: lascio di essere più particolare per non dilungarmi lungamente. Io mi limito a due punti essenziali, che sono il culto esterno della nostra santa Religione, ed i doveri della carità cristiana. No, nulla dovrebbe essere per noi più umiliante e più amaro di quei rimproveri che i nemici della nostra Religione muovono contro di noi; perché tutto ciò tende ad assodare come la nostra condotta è in contraddizione colla nostra credenza. Voi vi gloriate, ci dicono, di possedere in corpo ed in anima la Persona di quel medesimo Gesù Cristo che è vissuto in altro tempo sopra la terra, e che voi adorate come vostro Dio e vostro Salvatore; voi credete che Egli discende sopra i vostri altari, che riposa nei vostri tabernacoli, e voi credete che la sua carne è veramente il vostro nutrimento e il suo sangue la vostra bevanda; ma se la vostra fede è tale, siete voi gli empi, perché  vi recate nelle vostre chiese con minor rispetto, ritenutezza e decenza, che non fareste recandovi nella casa di un uomo onesto per fargli visita. I pagani non avrebbero certamente permesso che si commettessero nei loro templi e in presenza dei loro idoli, mentre si offrivano sacrifizi, le immodestie che voi commettete alla presenza di Gesù Cristo nel momento nel quale voi dite che Egli discende sopra i vostri altari. Se veramente credeste quello che voi dite di credere, voi dovreste essere compresi d’un santo tremore. Ah! questi rimproveri sono pur troppo meritati. Che cosa pensare vedendo il modo col quale la maggior parte dei Cristiani si conducono nelle nostre chiese? Gli uni hanno lo spirito volto ai loro affari temporali, gli altri ai loro piaceri; questi dorme, si gira la testa, si sbadiglia, si squaderna il libro, si guarda se i santi uffici saranno quanto prima terminati. La presenza di Gesù Cristo è un martirio, mentre si passeranno le cinque o le sei ore nei salotti, in una bettola, alla caccia, senza che si trovi questo tempo troppo lungo; e vediamo che in questo tempo che si consacra al mondo ed ai piaceri suoi, non si pensa né a dormire, né a sbadigliare, né ad annoiarsi. È mai possibile che la presenza di Gesù Cristo sia così penosa per Cristiani i quali dovrebbero riporre tutta la loro felicità nel venire a tenere un momento di compagnia ad un cosi buon padre? Ditemi, che cosa deve pensare di noi Gesù Cristo medesimo, il quale non si è reso presente nei nostri tabernacoli che per amore per noi, e che vede che la sua santa presenza, che dovrebbe formare tutta la nostra felicità, ed essere il nostro paradiso in questo mondo, sembra essere un supplizio ed un martirio per noi? Non si ha ragion di credere che codesti Cristiani non saranno mai assunti in cielo, dove sarebbe necessario restare per il volgere di tutta l’eternità alla presenza di questo medesimo Salvatore? Il tempo non sarebbe soverchiamente lungo?… Ah! voi non conoscete la vostra felicità, quando siete così fortunati di venire a presentarvi davanti al Padre vostro che vi ama più che se medesimo, e che vi chiama ai piedi dei suoi altari, come altra volta chiamò i pastori, per ricolmarvi d’ogni sorta di benefizi. Se noi fossimo ben penetrati di ciò, con quale amore, con quale sollecitudine non ci recheremmo qui come i magi, per offrirgli in dono tutto quello che possediamo, vo’ dire, i nostri cuori e le anime nostre? I padri e le madri non verrebbero con maggior diligenza ad offrirgli tutta la loro famiglia, perché la benedicesse e le concedesse le grazie di santificazione? Con qual piacere i ricchi non verrebbero ad offrirgli una parte dei loro beni nella persona dei poveri? Mio Dio, la nostra poca fede ci fa perdere i beni dell’eternità! – Ascoltate ancora i nemici della nostra santa religione: noi nulla diciamo, così essi, dei vostri sacramenti per riguardo ai quali la vostra condotta è tanto lontana dalla vostra credenza, quanto lo è il cielo dalla terra, giusta i principi della vostra fede. Voi diventate per il vostro battesimo come altrettanti Dei, ciò che vi aderge ad un grado di onore che non si può comprendere, perché si suppone che solo Dio vi sia superiore. Ma che devesi pensare di voi, vedendo il maggior numero abbandonarsi a delitti che vi mettono al disotto dei bruti privi di ragione? Voi diventate, per il sacramento della Confermazione, come altrettanti soldati di Gesù Cristo, che si inscrivono sotto lo stendardo della croce, che non devono mai arrossire delle umiliazioni e degli obbrobri del loro Padrone, che, in ogni circostanza, devono rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Ma tuttavolta, chi oserebbe dirlo? occorrono nel mezzo di voi non so quanti Cristiani che il rispetto umano impedisce di fare pubblicamente le loro opere di pietà; che forse non oserebbero avere un crocifisso nella loro camera e dell’acqua benedetta a lato del loro letto; che avrebbero vergogna di fare il segno della croce prima e dopo i loro pasti, o che si nascondono per farlo. Vedete quanto siete lontani dal vivere secondo che la vostra Religione vi comanda? Voi ci dite, per riguardo alla confessione e alla comunione, delle cose che sono bellissime e consolantissime: ma in qual modo vi accostate voi a questi sacramenti? In qual modo li ricevete voi? Negli uni, non è che un’abitudine, un uso, un trastullo; negli altri è un supplizio: è necessario trascinarveli. per così dire. Vedete come è necessario che i vostri ministri  vi incalzino e vi sollecitino, perché vi accostiate a questo tribunale della penitenza dove ricevete, voi dite, il perdono dei rostri peccati: a questa mensa dove voi credete di mangiare il pane degli angeli, che il Salvator vostro? Se voi credete quello che dite, non si sarebbe piuttosto obbligati di frenarvi, vedendo come è grande la felicità vostra di ricevere il vostro Dio, che deve formare la consolazione vostra in questo mondo e la gloria vostra nell’altro? Tutto quello che, giusta la fede vostra, si chiama una sorgente di grazia e di santificazione, non è, nel fatto, per la maggior parte di voi, che una occasione di irriverenza, di disprezzo, di profanazione e di sacrilegi. O voi siete degli empi, o la vostra Religione è falsa, perché se voi foste veramente persuasi che la vostra Religione è santa, voi non vi condurreste in questo modo in tutto quello che vi comanda. Voi avete, oltre la domenica, delle feste le quali, voi dite, sono istituite, le une per onorare quello che voi chiamate i misteri della vostra Religione; le altre per celebrare la memoria dei vostri Apostoli, le virtù dei vostri martiri, ai quali è tanto costato il fondare la vostra Religione. Ma diteci, queste feste, queste domeniche, in qual modo le celebrate voi? Non sono segnatamente tutti questi giorni che voi scegliete per darvi in balia di ogni sorta di disordini, di stravizzi e di libertinaggio? Non commettete un male più grave, in questi giorni che voi dite essere così santi, che in tutti gli altri tempi? Le vostre funzioni, che voi ci dite essere una riunione coi santi che sono in cielo, dove voi cominciate a gustare la medesima felicità, vedete il pregio nei quale li tenete: una parte non vi si reca quasi mai; gli altri vi sono come i colpevoli sul banco degli accusati; che cosa potrebbesi pensare dei vostri misteri e dei vostri santi, se si volesse giudicarne dal modo col quale celebrate le loro feste? – Ma non badiamoci più a lungo intorno a questo culto esteriore, il quale, per una singolare bizzarria, e per una inconseguenza piena di irreligione, rivela la vostra fede e nell’atto medesimo la smentisce. Dove si trova nel mezzo di voi quella carità fraterna, la quale, nei principì di vostra credenza, è fondata sopra motivi così sublimi e così divini ? Siamo un po’ più particolari, e noi vedremo se questi rimproveri non sono ben fondati. Quanto la vostra Religione è bella, ci dicono i Giudei ed anche i pagani, se voi faceste quello che essa vi comanda! Non solamente voi siete fratelli, ma, ciò che è più bello, voi non formate tutti insieme che un medesimo corpo con Gesù Cristo, la cui carne e il cui sangue vi servono ogni giorno di nutrimento; voi siete tutti membri gli uni degli altri. Bisogna convenirne, questo articolo della vostra fede è ammirabile, vi è qualche cosa di divino. Se voi operaste secondo la vostra credenza, voi sareste nel caso di attrarre tutte le altre nazioni alla vostra Religione, tanto è bella, consolante, e ineffabili beni vi promette per l’altra vita! Ma quello che fa credere a tutte le nazioni che la vostra Religione non è tale quale voi la dite, è che la condotta vostra è affatto opposta a quello che la vostra Religione vi comanda. Se si interrogassero i vostri pastori, e che loro fosse permesso di svelare quello che vi ha di più segreto, ci mostrerebbero le querele, le inimicizie, la vendetta, le gelosie, le maldicenze, i falsi rapporti, i processi e tanti altri vizi che eccitano l’orrore di tutti i popoli, anche di coloro dei quali voi dite che la Religione è tanto lontana dalla vostra per rapporto alla santità. La corruzione dei costumi che regna in mezzo a voi, trattiene coloro che non sono della vostra Religione di abbracciarla; perché se voi foste ben persuasi che essa è buona e divina, voi vi condurreste in modo tutto diverso. Ah! qual vergogna per noi che i nemici della nostra santa Religione tengano un tal linguaggio! E non hanno ragione di tenerlo? Esaminando noi medesimi la nostra condotta, noi vediamo positivamente che nulla facciamo di quello che essa comanda. All’opposto, noi non sembriamo appartenere ad una Religione così santa che per dimenticarla, e per allontanare coloro che avrebbero desiderio di abbracciarla; una Religione che ci proibisce il peccato che commettiamo con diletto e verso il quale siamo trasportati con un tal furore, che non sembriamo vivere che per moltiplicarlo; una Religione che espone ogni giorno Gesù Cristo ai nostri occhi, come un buon padre che vuole colmarci di benefizi: ora noi fuggiamo la sua santa presenza, o, se qui ci rechiamo, non è che per disprezzarlo e renderci più colpevoli; una Religione che ci offri il perdono dei nostri peccati per il ministero dei suoi sacerdoti: lontani dal approfittare di questi mezzi, o li profaniamo, o li fuggiamo; una Religione che ci lascia intravvedere tanti beni per l’altra vita, e che ci mostra dei mezzi così chiari e così facili per acquistarli: e noi sembriamo non conoscere tutto ciò che per farli segno di disprezzo e di scherno; una Religione la quale ci dipinge in un modo così spaventoso i tormenti dell’altra vita, onde farceli evitare: e noi sembriamo non aver mai commesso abbastanza di male per meritarli! Mio Dio, in quale abisso di accecamento siamo caduti! una Religione che non cessa mai di avvertirci che dobbiamo continuamente adoperarci a correggerci dei difetti, a reprimere le nostre tendenze verso il male: e, lontani dal farlo, sembriamo cercare tutto ciò che può accendere le nostre passioni; una Religione che ci avverte che non dobbiamo operare che per il buon Dio e sempre nella vista di piacergli: e noi non abbiamo in quello che facciamo che viste umane; noi vogliamo sempre che il mondo ne sia testimonio, ci lodi, feliciti. O mio Dio, quale accecamento e quale povertà! E noi potremmo adunare tanti beni per il cielo, se volessimo condurci secondo le regole che ci fornisce la nostra santa Religione. Ma, ascoltate ancora i nemici della nostra santa e divina Religione, come ci opprimono di rimproveri. Voi dite che il vostro Gesù Cristo, che credete essere il Salvator vostro, vi assicura che Egli terrebbe in conto come fatto a se medesimo tutto ciò che voi fareste al fratel vostro; ecco una delle vostre credenze, e certamente ciò è bello, ma se ciò è come voi dite, voi non lo credete che per insultare Gesù Cristo medesimo! Voi non lo credete che per straziarlo e oltraggiarlo, in una parola per maltrattarlo nel modo più crudele nella persona del vostro prossimo! Le più lievi colpe contro la carità devono essere considerate, giusta i principi vostri, come altrettanti oltraggi recati a Gesù Cristo. Ma, dite, Cristiani, qual nome dobbiamo dare a tutte quelle maldicenze, a quelle calunnie, a quelle vendette e a quegli odi con cui vi divorate gli uni gli altri? Voi siete dunque mille volte più colpevoli verso la Persona di Gesù Cristo che non i Giudei medesimi ai quali rimproverate la sua morte! No, M. F, le azioni dei popoli più barbari contro l’umanità, sono nulla in confronto di ciò che noi facciamo ogni giorno contro i princìpi della carità cristiana. Ecco, M. F., una parte dei rimproveri che ci muovono i nemici della nostra santa Religione. – Io non ho la forza di andare innanzi, tanto ciò è triste e disonorevole per la nostra santa Religione, la quale è così bella, così consolante, e capace di renderci felici anche in questo mondo, preparandoci una così grande felicità per la eternità. Voi converrete con me che se questi rimproveri hanno già qualche cosa che umilia un Cristiano, benché non siano mossi che da uomini, io vi lascio pensare quello che essi saranno, quando avremo la sventura di udirli dalla bocca medesima di Gesù Cristo, quando ci presenteremo dinanzi a Lui per rendergli conto delle opere che la nostra fede avrebbe dovuto produrre in noi. Miserabili Cristiani, ci dirà Gesù Cristo, dove sono i frutti di quella fede nella quale siete vissuti e della quale voi recitaste ogni giorno il Simbolo? Voi mi avete preso per Salvator vostro e per vostro modello: ecco le mie lacrime e le mie penitenze; dove sono le vostre? Qual frutto avete voi tratto dal mio sangue adorabile, che ho fatto fluire sopra di voi co’ miei sacramenti? A che vi ha giovato questa croce, dinanzi alla quale tante volte vi siete prostrati? Quale rassomiglianza corre tra me e voi? Qual cosa vi ha di comune tra le vostre penitenze e le mie? tra la vostra vita e la mia? Ah! miserabili, rendetemi conto di tutto il bene che questa fede avrebbe prodotto in voi, se voi aveste avuto la sorte di farla fruttificare! Venite, vili e infedeli, rendetemi conto di questa fede preziosa e inestimabile, la quale poteva e che avrebbe dovuto farvi produrre le ricchezze eterne. Voi l’avete indegnamente associata con una vita tutta carnale e tutta pagana. Vedete, infelici, quale rassomiglianza corre tra voi e me! Ecco il mio Vangelo, ed ecco la vostra fede. Ecco la mia umiltà ed il mio annientamento, ed ecco il vostro orgoglio, la vostra ambizione e la vostra vanità. Ecco la vostra avarizia, e il mio distacco dalle cose di questo mondo. Ecco la vostra durezza verso i poveri e il disprezzo al quale li avete fatti segno; ecco la mia carità e l’amor mio per essi. Ecco tutte le vostre intemperanze, e i miei digiuni e le mie mortificazioni. Ecco tutte le vostre freddezze e tutte le vostre irriverenze nel tempio del Padre mio; ecco tutte le profanazioni vostre, tutti i vostri sacrilegi e tutti gli scandali che avete dati ai miei figli; ecco tutte le anime che avete perdute, e tutti i patimenti e tutti i tormenti che ho sofferto per salvarle! Se voi siete stati la causa per cui i miei nemici hanno bestemmiato il mio santo nome, io saprò ben punirli; ma per voi, io voglio farvi provare tutto ciò che la mia giustizia ha di più rigoroso. Sì, ci dice Gesù Cristo,  (Matth. x, 15) gli abitanti di Sodoma e di Gomorra saranno trattati con minore severità che questo popolo infelice, al quale ho elargito tante grazie, ed al quale i miei lumi, i miei favori e tutti i benefizi miei sono tornati inutili, e che mi ha ricambiato colla più nera ingratitudine. – Sì, i cattivi malediranno eternamente il giorno nel quale hanno ricevuto il santo Battesimo, i pastori che li hanno istruiti, i sacramenti che sono stati loro amministrati. Ah! che dico! quel confessionale, quella sacra mensa, quella cattedra, quell’altare, quella croce, quel Vangelo, o per meglio farvelo comprendere, tutto ciò che è stato l’oggetto della loro fede sarà l’oggetto delle loro imprecazioni, delle loro maledizioni, delle loro bestemmie e della loro disperazione eterna. O mio Dio! quale onta e quale sventura per un Cristiano di non essere stato Cristiano che per dannarsi più facilmente e per meglio far patire un Dio il quale non voleva che la sua felicità eterna, un Dio che non ha risparmiato nulla per questo, che ha abbandonato il seno del Padre suo, che è disceso sopra la terra, ha assunto la nostra umanità, ha trascorso tutta la sua vita nei patimenti e nelle lagrime e che è morto appeso ad una croce per lui! Egli non ha cessato, esso dirà, di incalzarmi con tanti buoni pensieri, con tante buone istruzioni dalla parte dei miei pastori, coi rimorsi della mia coscienza. Dopo il mio peccato, Egli medesimo si è offerto per servirmi di modello; che poteva egli fare di più per procurarmi il cielo? No, nulla di più; se io avessi voluto, tutto ciò mi avrebbe servito per guadagnare il cielo, che mai possederò. Ritorniamo dai nostri traviamenti, e procuriamo di condurci meglio che non abbiamo fatto sino al presente.

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta

Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.

[Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps XCVII:3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:

[Fa, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE (2020): MESSA DELL’AURORA

SANTO NATALE – (2020

SECONDA MESSA ALL’AURORA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Anastasia.

La Messa Dell’Aurora si celebrava a Roma nell’antichissima chiesa di S. Anastasia. La sua posizione ai piedi del Palatino, dov’era la residenza dei Cesari, ne faceva la Chiesa degli alti funzionari della Corte. Il nome di S. Anastasia è inserito al Canone della Messa. Santa Anastasia, di cui oggi si fa memoria, è la celebre martire di Sirmio. – La liturgia della Messa ci fa salutare « con gioia il santo Re che viene » (Com.) « il Signore che è nato per noi » (Intr.), « il Bambino adagiato nella mangiatoia » (Vang.). Ci dice che « colui che è nato uomo in questo giorno, si è rivelato anche ai nostri occhi come Dio » (Secr.). Perchè Egli è « il Verbo fatto carne (Or.) si chiama Dio (Intr.) ed « esiste sino dall’eternità » (Off.). E, se Egli viene, è per salvarci (Ep. Com.) e « per farci eredi della vita eterna » (Ep.) della quale noi godremo nel cielo, quando questo Principe della pace, tornerà alla fine del mondo rivestito di forza» (V. dell’ Intr., Alleluia) e in tutto lo splendore della sua Maestà. Allora « il Re dei cieli, che s’è degnato nascere per noi da una Vergine per richiamare al Regno celeste l’uomo che ne era decaduto» (1° resp.)» regnerà per sempre «(Intr.)sugli uomini di buona volontà (Gloria) che lo avranno accolto con fede e amore al tempo della sua prima venuta. Le feste di Natale hanno dunque lo scopo di prepararci al 2° Avvento « giustificandoci per la grazia di Gesù Cristo » (Ep.) « distruggendo in noi il vecchio uomo » (Postcom.) « conferendoci ciò che è divino » (Secr.) e aiutandoci « a fare risplendere nelle nostre opere ciò che per la fede brilla nelle nostre anime » (Or.). – Con i pastori, ai quali il Signore manifesta l’Incarnazione del Suo Figlio, « affrettiamoci di andare» (Vang.) ad adorare all’Altare, che è il vero presepe, il Verbo, nato nell’eternità dal Suo Padre celeste, nato da Maria sopra la terra, e che deve nascere sempre più colla grazia nelle nostre anime, in attesa che ci faccia nascere alla vita gloriosa nel cielo.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is IX:2 et 6.
Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis. [La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Ps XCII:1
Dominus regnávit, decorem indutus est: indutus est Dominus fortitudinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza.]

Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis.
[
La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Oratio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui nova incarnáti Verbi tui luce perfúndimur; hoc in nostro respléndeat ópere, quod per fidem fulget in mente.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, essendo inondati dalla nuova luce del Tuo Verbo incarnato, risplenda nelle nostre opere ciò che per virtù della fede brilla nella nostra mente.]

Orémus.
Pro S. Anastasiæ Mart:
Da, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ sollémnia cólimus; ejus apud te patrocínia sentiámus.
[ Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, celebrando la solennità della Tua Martire Anastasia, possiamo godere presso di Te il beneficio del suo patrocinio.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Titum.
Tit III: 4-7
Caríssime: Appáruit benígnitas et humánitas Salvatóris nostri Dei: non ex opéribus justítiæ, quæ fécimus nos, sed secúndum suam misericórdiam salvos nos fecit per lavácrum regeneratiónis et renovatiónis Spíritus Sancti, quem effúdit in nos abúnde per Jesum Christum, Salvatorem nostrum: ut, justificáti grátia ipsíus, herédes simus secúndum spem vitæ ætérnæ: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: Apparsa la bontà e l’umanità del Salvatore, nostro Dio: Egli ci salvò non già in ragione delle opere di giustizia fatte da noi, ma per la Sua misericordia: col lavacro di rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, diffuso largamente su di noi per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore: affinché, giustificati per la Sua grazia, divenissimo eredi, in speranza, della vita eterna: in Cristo Gesù, Signore nostro.]

Graduale

Ps CXVII: 26; 27; 23
Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: Deus Dóminus, et illúxit nobis.

[Benedetto Colui che viene nel nome del Signore: Il Signore è Dio e ci ha illuminati.]

ALLELUJA

V. A Dómino factum est istud: et est mirábile in óculis nostris. Allelúja, allelúja

V. Questa è opera del signore: ed è mirabile ai nostri occhi. Allelúia, allelúia
Ps XCII: 1
V. Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

[V. Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II:15-20
In illo témpore: Pastóres loquebántur ad ínvicem: Transeámus usque Béthlehem, et videámus hoc verbum, quod factum est, quod Dóminus osténdit nobis. Et venérunt festinántes: et invenérunt Maríam et Joseph. et Infántem pósitum in præsépio. Vidéntes autem cognovérunt de verbo, quod dictum erat illis de Púero hoc. Et omnes, qui audiérunt, miráti sunt: et de his, quæ dicta erant a pastóribus ad ipsos. María autem conservábat ómnia verba hæc, cónferens in corde suo. Et revérsi sunt pastóres, glorificántes et laudántes Deum in ómnibus, quæ audíerant et víderant, sicut dictum est ad illos.

[In quel tempo: I pastori presero a dire tra loro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è accaduto, come il Signore ci ha reso noto. E andati con prontezza, trovarono Maria, e Giuseppe, e il bambino giacente nella mangiatoia. Dopo aver visto, raccontarono quanto era stato detto loro di quel bambino. Coloro che li udirono rimasero meravigliati di ciò che i pastori avevano detto. Intanto Maria riteneva tutte queste cose, meditandole in cuor suo. E i pastori se ne ritornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, come era stato loro detto.]

[DA: MEDITAZIONI DI NATALE

OMELIA

(A. Carmignola – Sacerd. Sales. -: MEDITAZIONI; VOL. I, S. E. I. Torino, 1942)

Mediteremo sopra i sentimenti di Maria e di Giuseppe nella nascita di Gesù Bambino. C’immagineremo di entrare nella capanna di Betlemme e di vedervi Maria e Giuseppe inginocchiati presso il santo presepio, in atto di profonda adorazione. Ci prostreremo in ispirito anche noi, unendo le adorazioni nostre alle loro e pregando il Santo Bambino di volerci rendere partecipi dei sentimenti, che vi ebbero la sua santissima Madre e il suo padre nutrizio.

Sentimenti di pena di Maria e di Giuseppe.

Quali sentimenti di pena ebbero nel loro cuore Maria e Giuseppe allora che, respinti da Betlemme, furono costretti a entrare nella povera capanna! S. Giuseppe, dalla Divina Provvidenza destinato a essere l’angelo tutelare visibile di Maria, ebbe asoffrire il più grande affanno, non per sé certamente, ma per lei. Per Maria quel luogo gli si mostrava troppo orrido, troppo aspro e inospitale, e pensando poi chi Ella fosse, doveva sentirsi nel petto scoppiare il cuore dall’ambascia. Maria Vergine dal canto suo quanto pure doveva soffrire al pensiero che il suo divin Figlio, Creatore e Signore del cielo e della terra, doveva nascere in quel meschino tugurio! Con tutto ciò i santi sposi chinarono la fronte ai disegni di Dio, e riconoscendo che così piaceva al Signore, conformarono pienamente la loro volontà alla sua. Ecco la virtù, che noi pure dovremmo esercitare continuamente. Purtroppo noi vorremmo sempre le cose a modo nostro; Dio invece le vuole a modo suo. Noi vorremmo sempre sanità, e invece Iddio talora ci vuole infermi; noi vorremmo sempre essere ben voluti, onorati e rispettati, e Iddio permette che siamo non curati, scherniti e perseguitati; noi vorremmo che non ci mancasse mai nulla, e invece Iddio dispone che ora ci troviamo senza una cosa, ora senza un’altra. Ma tutto ciò che Dio vuole è senza dubbio per la sua gloria e per il bene nostro. Come dunque non conformarci sempre alla sua santa volontà?

Sentimenti di gioia di Maria e di Giuseppe.

Ai sentimenti di pena sottentrarono ben preso in Maria e Giuseppe i sentimenti della più ineffabile gioia, appena nacque il sacrosanto Bambino. Maria per la prima vide a sé dinanzi il vezzosissimo suo Figlio, che la guardava, le sorrideva e le tendeva le candide manine. Per impeto d’ineffabile amore lo adorò dicendo: O Gesù Bambino, nato da Dio prima del tempo, nato da me or ora, tu sei il mio Figlio e il mio Dio, ed io sono la tua Madre, la Madre di Dio. O Gesù, Salvatore del mondo, Re del cielo e della terra, tu sei il mio tesoro, il mio amore, la gioia del mio cuore! San Giuseppe da parte sua, sebbene come semplice custode di Gesù non potesse esprimergli i medesimi sentimenti, tuttavia anch’egli invaso dalla gioia più viva e più santa non lasciava di sfogare il suo cuore nei più teneri accenti. E noi quali sentimenti proviamo ricevendo Gesù nel nostro cuore per la S. Comunione, o venendo a visitarlo nel SS. Sacramento? Non dobbiamo confessare che purtroppo le nostre comunioni e le nostre visite sono fredde, senza gusto spirituale e senza gioia alcuna del cuore?

Sentimenti di fede di Maria e di Giuseppe.

I sentimenti di gioia, che riempirono Maria e Giuseppe per la nascita di Gesù, erano la conseguenza dei sentimenti vivissimi della loro fede. Gesù Bambino, pur essendo vero Dio, sotto il velo della carne nascondeva al tutto la sua divinità, e nella carne istessa non appariva nulla più di quello che sono gli altri bambini appena nati. Di modo che era debole, sofferente, bisognoso di venir ricoperto, allattato, sostentato; come gli altri bambini piangeva, dormiva, non mostrava intelligenza di sorta; insomma sebbene a differenza di tutti gli altri bambini non avesse in sé il peccato e le impure sue conseguenze, era tuttavia – come dice S. Paolo – nella somiglianza della carne di peccato, umiliato e passibile: in similitudinem carnis peccati(Rom.. VIII, 3). Ora a riconoscere che questo Bambino era vero Dio. si richiedeva una vivissima fede. E tale fu propriamente la fede di Maria e di Giuseppe. Entrambi riconobbero in Lui il vero Figlio di Dio, incarnatosi e fattosi uomo per la salute del mondo, e come tale Maria lo adorò: Ipsum quem genuit, adoravit. E alle adorazioni di Maria si unirono ben tosto quelle di S. Giuseppe. Oh se anche noi avessimo nel cuore una fede somigliante a quella di Maria e di Giuseppe! La fede sarà tanto più viva in noi, quanto più sull’esempio di Maria e di Giuseppe saremo puri ed umili di cuore. – Mediteremo poi sopra gli atti interiori del Bambino Gesù appena nato. C’immagineremo di vedere questo Santo Bambino, che nel presepio si considera come sull’altare, di dove, sacerdote e vittima ad un tempo, si offre al suo Eterno Padre in espiazione dei nostri peccati. E prostrati in spirito dinanzi alla sua culla lo adoreremo e ringrazieremo di quanto comincia a operare in nostro vantaggio e gli prometteremo di non mandare a vuoto ciò che Egli ha tosto fatto per noi appena nato.

Gesù Bambino si offre al suo Divin Padre.

Secondo la testimonianza di S. Paolo, Gesù Cristo, entrando nel mondo, disse a Dio suo Padre: Tu non hai gradito i sacrifici di quelle vittime, che furono precedentemente offerte; e perciò a me hai formato un corpo, con cui io fossi atto a venir immolato in luogo di tutte le vittime precedenti per la tua gloria e per la salute del mondo, e questo corpo io te l’offro in espiazione dei peccati degli uomini fin da questo momento, compiendo perfettamente la tua santa volontà (Hebr., X , 5-7). Così

adunque Gesù appena nato si offre vittima al suo Divin Padre per ripararlo delle nostre ingratitudini, colpe, tiepidezze, debolezze e miserie, e per espiarle comincia tosto a offrirgli quei patimenti che soffre nel suo tenero corpicciuolo. O vittima adorabile, come non esaltare e ringraziare la vostra bontà infinita? – Con quanta prontezza, con quanto zelo voi v’immolate per la mia salute! Ma se Gesù si offre tosto, appena nato, in sacrifizio al suo Divin Padre, c’insegna altresì che noi, dovendo imitarlo come nostro modello, dobbiamo menare volentieri una vita di sacrifizio per espiare i tanti peccati da noi commessi e cooperare in tal guisa alla nostra salvezza. Miseri noi se non siamo fermamente risoluti di immolare a Dio la nostra volontà, il nostro carattere, il nostro io, l’amore dei nostri comodi e delle nostre soddisfazioni! Molto facilmente lasceremo la via del bene per metterci su quella del disordine e della rovina.

Gesù Bambino prega il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato, oltre all’offrirsi al suo Divin Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati, gli rivolse pure le più efficaci preghiere a nostro vantaggio, per implorarci la sua misericordia e impetrarci tutte le grazie, di cui abbiamo bisogno. Sì, Gesù ha cominciato le sue preghiere fin dal presepio, preghiere non espresse con parole, ma con lagrime, come furono poi altresì quelle offerte al suo Padre celeste dall’alto della croce. Nei giorni della sua carne, dice S. Paolo, offerse preghiere e suppliche con forti grida e con lagrime: in diebus carnis suæ preces supplicationesque… cum clamore valido et lacrimis offerens(Hebr., V, 7). E quanto furono ferventi talipreghiere! Costituito nostro Pontefice, resosi simile in tutto anoi, fuorché nel peccato, conoscendo in se stesso le infermitàe miserie nostre, ne sente la più tenera compassione, e volendotosto alleviarle implora col massimo fervore su di noi la misericordiae la grazia di Dio. Oh bontà grande del mio Gesù!Voi appena nato rivolgete subito il pensiero a me, alla miameschinità e impotenza, e per me indirizzate al vostro DivinPadre i sentimenti del vostro cuore e le lagrime de’ vostriocchi, supplicandolo che si muova a pietà di me, che mi perdonii miei peccati e mi conceda i suoi celesti favori! Voi senzaavere alcun bisogno di pregare, tuttavia appena nato, non curandoi vostri patimenti, pregate per l’anima mia, e io contanto bisogno che ne ho, anche in mezzo ai patimenti, pensocosì poco a pregare! Concedetemi, o caro Gesù, che comprendal’importanza e la dolcezza della preghiera, e preghi anch’io epreghi con fervore.

Gesù Bambino glorifica il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato rinnovò l’atto di glorificazione, che al suo Divin Padre aveva fatto sin dal primo istante della sua Incarnazione. Giacché, siccome nessun’altra opera, neanche la creazione del cielo e della terra, fu di tanta gloria a Dio, quanto l’Incarnazione del Verbo eterno, così ora che l’Incarnazione di Lui si era manifestata al mondo con la sua nascita, Gesù dice con slancio: la mia gloria è un niente: gloria mea nihil est(S. Jo., VIII, 54), non mi preoccupo che della gloria di mio Padre: honorifico Patrem meum(S. Jo., VIII, 49). Così Egli rese tosto a Lui onore e gloria infinita per tutto ciò che aveva stabilito si avesse a fare per la salvezza degli uomini. Che zelo Ammirabile! Che purità di amore! Avviciniamoci a questo fuoco sacro, che arde in petto al Bambino Gesù per purificare le nostre azioni, guaste così spesso da mire ambiziose, che ci tolgono il merito delle nostre opere, e per accenderci anche noi di zelo per i grandi interessi della gloria di Dio. Non siamo noi tanto saldi per gli interessi della gloria nostra! Per acquistare, o per non perdere questa gloria, che cosa non diciamo, che cosa non facciamo, che cosa non soffriamo? E per la gloria di Dio invece siamo tanto freddi, tanto trascurati? Impariamo, sì, impariamo da Gesù Bambino a non dire, a non fare, a non desiderare nulla per l’amor proprio, per la lode e riputazione nostra, ma tutto per l’onore e la gloria di Dio. – Mediteremo ancora sopra gli omaggi resi dagli Angeli al Bambino Gesù. C’immagineremo di vederli raccolti intorno al presepio per adorare il Divin Salvatore, lodarlo e benedirlo. Ci uniremo a loro, pregando questi beati spiriti che vogliano congiungere le loro e le nostre adorazioni e benedizioni in una sola oblazione, che riesca così meno indegna del Divino Infante.

Gli angeli adorano il Bambino Gesù.

Essendo il Divin Salvatore nato pressoché incognito agli uomini, ancorché fosse stato predetto da tanti profeti e aspettato da tutto il mondo, tuttavia ben lo conobbero gli Angeli. Obbidienti all’ordine del Padre celeste di adorarlo, secondo che si apprende S. Paolo: cum introducit Primogenitum in orbem terræ dicit: Et adorent eum omnes angeli Dei(Hebr., I , 6), discesero tosto dal paradiso per prosternarsi in adorazione intorno al loro sovrano sotto la forma di tenero bambino. E chi può dire la loro ammirazione, il loro slancio d’amore e di ossequio davanti alle umiliazioni dell’eterno Figlio di Dio? Quanto più lo veggono impicciolito, tanto più riconoscono la sua infinita grandezza e tanto più si fanno con riverenza ad adorarlo. Confrontando le loro perfezioni con quelle di Lui, si riconoscono un nulla al suo cospetto e sentono ad ogni modo che quanto vi ha di bello e grande in loro, da Lui l’hanno ricevuto. E col sentimento della più viva gratitudine lo ringraziano e lo esaltano, e confessano che a Lui solo si devono onore e gloria, lode e benedizione per tutti i secoli dei secoli. Oh il bell’esempio, che ci danno in tal modo, del come dobbiamo diportarci con Gesù, che si trova pure realmente presente tra di noi nei santi tabernacoli! Quando entriamo nelle dimore del Dio Sacramentato, portiamovi gli stessi sentimenti e affetti, che ebbero gli Angeli nella grotta di Betlemme.

Gli angeli annunziano la nascita di Gesù.

Gli Angeli, non paghi di adorare essi il Santo Bambino, ardono della brama di guadagnargli altri adoratori. Uno, che piamente si crede essere stato l’Arcangelo Gabriele, a nome di tutti gli altri, prendendo vaghissima forma umana, apparve, in una fulgidissima luce, ad alcuni pastori che stavano vigilando alla custodia del gregge nei dintorni di Betlemme. E poiché per quella luce i pastori furono presi da gran timore, l’Angelo li rassicurò tosto dicendo: Non temete, perché io vengo ad annunziarvi una grande allegrezza, non solo per voi, ma anche per tutto il popolo: oggi è nato in Betlemme, città di David, il Salvatore, che è Cristo, il Messia aspettato da tutti i secoli; ed ecco il segnale a cui lo riconoscerete: troverete un bambino involto in pannicelli, messo dentro un presepio. Quando si ama Iddio, si ha zelo di farlo conoscere e amare anche dagli altri, e quanto più vivo è l’amore a Dio, tanto più ardente è lo zelo per acquistargli altri cuori amanti. Le persone religiose, che si sono consacrate a Dio per tendere meglio alla loro perfezione, si sono pure consacrate a Lui per zelare la sua gloria e la salute delle anime in quelle opere apostoliche, le quali mirano a farlo meglio conoscere, amare e servire. Questo ufficio compiamo noi davvero nel debito modo e con rettitudine di l’intenzione?

Gli angeli cantano gloria a Dio e pace agli nomini.

All’Angelo che era apparso ai pastori, si unì la moltitudine degli altri spiriti celesti lodando Dio e dicendo: Gloria a Dio negli altissimi cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà. Gloria a Dio negli altissimi cieli, perché la nascita del Bambino ci ha operato questo primo effetto di procurare a Dio, che abita nel più alto de’ cieli, una gloria infinita, essendoché l’abbassamento a cui si è assoggettato Gesù nella sua Incarnazione e nascita, è per Iddio un omaggio di valore infinito. Pace allora agli uomini di buona volontà, perché la nascita di Gesù ha operato questo secondo effetto di apportare la vera pace a tutti quegli uomini, che, essendo animati da buona volontà, amano praticamente la legge divina, operando il bene e fuggendo il peccato. Anche noi siamo venuti al mondo e vi dobbiamo vivere per dar gloria a Dio. Se persino il sole, la luna, le stelle, le piante, gli animali e tutte le altre creature irragionevoli esistono per dar gloria a Dio, quanto più noi dotati di ragione e d’intelligenza! Il che dobbiamo fare in due modi: praticando opere buone ogni volta che ce ne viene l’opportunità; facendo tutte le nostre azioni, anche indifferenti, per l’onore di Dio. Solo così acquisteremo tesori di meriti per l’eternità; solo così gusteremo intanto su questa terra un preludio di quella felicità, che si gode in cielo nel possesso della pace del Signore, pace che Dio dà realmente a godere a quelli che lo amano e lo servono, anche in mezzo alle tribolazioni del mondo. – Mediteremo infine sopra la santa condotta tenuta dai pastori chiamati dall’Angelo alla grotta di Betlemme. C’immagineremo di vederli davanti alla culla del Bambino Gesù, in atto di vagheggiarlo con gioia ineffabile e di adorarlo col più profondo rispetto. Prostrandoci in ispirito accanto a loro, adoreremo anche noi il Divin Salvatore e lo ringrazieremo d’averci concessa una fortuna anche maggiore di quella concessa ai pastori, potendolo noi ricevere dentro i nostri cuori per mezzo della Santa Comunione.

PUNTO 1°.

I pastori si recano prontamente alla capanna.

Con quale prontezza i buoni pastori si recarono alla grotta di Betlemme! Il Vangelo ci dice che appena gli Angeli si furono ritirati da loro verso il cielo, i pastori presero a dirsi l’uno all’altro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è ivi accaduto, come il Signore ci ha manifestato. E andarono con prestezza: et venerunt festinantes(S. Luc. , II, 15). Lasciarono dunque i loro armenti e partirono senza indugio, ancorché fosse nel cuor della notte. Le buone ispirazioni sono messaggi celesti che c’invitano a lasciare il male e a operare il bene. Quante volte non ne facciamo caso o lasciamo che si spengano nel nostro cuore, perché differiamo a metterle in pratica! Se in questi santi giorni si faranno sentire più forti le ispirazioni della grazia, che ci chiamino a far sacrifizio di noi stessi, del nostro amor proprio, delle nostre comodità, per dedicarci interamente all’amore del Bambino Gesù, arrendiamoci ad esse con tutta prestezza. I pastori assecondano senza più l’invito dell’Angelo, perché sono uomini umili e semplici e credono tosto a quanto è stato loro detto. Così anche noi ci arrenderemo facilmente alle divine inspirazioni, se avremo umiltà e semplicità, scacciando dall’animo nostro quei sentimenti di orgoglio, che soli sono la causa, per cui non seguiamo l’invito dei celesti messaggi.

PUNTO 2°.

I pastori adorano Gesù nella capanna.

I pastori arrivati alla grotta vi trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino giacente nella mangiatoia. Con che divozione e fede l’adorarono! Oh come, piegati i ginocchi e giunte le mani, saranno stati estatici a rimirarlo! Ed ecco a quali persone il Signore manifestò se medesimo prima che ad altre. Oh come il Signore intende le cose a rovescio del mondo, il quale si mostra sempre incantato dallo splendore delle ricchezze, della gloria e dell’umana sapienza, dando le sue preferenze a coloro che di tutto ciò sono ammantati! E la condotta che Gesù tiene dalla nascita è quella che seguirà mai sempre; perciocché – dice San Paolo – il Signore elegge le cose stolte del mondo per confondere le sapienti, le cose deboli per confondere le forti, le cose ignobili, le spregevoli e quelle che sono reputate un nulla per distruggere quelle che sono stimate assai, affinché non vi sia alcun uomo che abbia ardire di darsi vanto dinanzi a Lui (I Cor., I, 27-29). Di qui dobbiamo imparare che non la nostra abilità, sapienza, valentia induce il Signore a farci favori speciali e a chiamarci all’onore di compiere le sue grandi imprese, ma l’umiltà, la semplicità, la rettitudine. Non lasciamo, no, di mettere il nostro impegno ad acquistare scienza, idoneità e pratica per compiere bene certi uffici, essendo pur questo il nostro dovere; ma più di tutto adoperiamoci ad avere in noi quelle virtù, per le quali solanto possiamo piacere a Dio, ed essere da Lui prescelti e aiutati a far del bene.

PUNTO 3°.

I pastori ritornano giubilanti dalla capanna.

I pastori, poiché ebbero resi i loro omaggi al Bambino Gesù, se ne ritornarono alle loro abitazioni pieni di santo giubilo, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, conforme era stato ad essi predetto, di guisa che tutti quelli, che li sentivano a parlare, restarono meravigliati delle cose da essi riferite (S. Luc., II, 18, 20). Ecco quello che dovremmo fare anche noi quando il Signore per grazia sua ci fa sentire le dolcezze della vita cristiana e delle pratiche devote. Con il nostro contegno, più ancora che con le parole, dovremmo glorificare e lodare Iddio al cospetto degli uomini, dimostrando loro coi fatti che la vita veramente cristiana, anziché riuscire di peso, arreca consolazioni e gioie ineffabili; che sono veramente beati coloro che abitano per la grazia, per l’orazione, e per la frequenza dei Sacramenti, nella casa del Signore; che vale infinitamente più un’ora passata davanti al tabernacolo, che non mille giorni trascorsi nelle case dei peccatori: così il nostro prossimo sarebbe indotto dal nostro esempio a fare anch’esso la prova.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sǽculo tu es.
[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il Tuo trono, o Dio, è stabile, fin dal principio, fin dall’eternità Tu sei.]

Secreta

Múnera nostra, quǽsumus, Dómine, Nativitátis hodiérnæ mystériis apta provéniant, et pacem nobis semper infúndant: ut, sicut homo génitus idem refúlsit et Deus, sic nobis hæc terréna substántia cónferat, quod divínum est.
Pro S. Anastasia.
Acipe, quǽsumus, Dómine, múnera dignánter obláta: et, beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ suffragántibus méritis, ad nostræ salútis auxílium proveníre concéde.

[Le nostre offerte, o Signore, riescano atte ai misteri dell’odierna Natività e ci infondano pace duratura: affinché, come il Tuo Figlio nascendo uomo rifulse quale Dio, così queste offerte terrene conferiscano a noi ciò che è divino.]
Pro S. Anastasia.
[O Signore, Te ne preghiamo, accogli favorevolmente i doni offerti: e concedi che, per i meriti della beata Anastasia, Martire Tua, giovino a soccorso della nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Zach IX:9
Exsúlta, fília Sion, lauda, fília Jerúsalem: ecce, Rex tuus venit sanctus et Salvátor mundi

[Esulta, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme: ecco che viene il tuo Re santo, il Salvatore del mondo.]

Postcommunio


Orémus.
Hujus nos, Dómine, sacraménti semper nóvitas natális instáuret: cujus Natívitas singuláris humánam réppulit vetustátem.

Orémus.
Pro S. Anastasia.
Satiásti, Dómine, famíliam tuam munéribus sacris: ejus, quǽsumus, semper interventióne nos réfove, cujus sollémnia celebrámus.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE (2020): MESSA DELLA NOTTE

SANTO NATALE (2020)

Doppio di I cl. con ottava privileg. di III ord. – Paramenti bianchi.

PRIMA MESSA • DURANTE LA NOTTE.

Stazione a S. Maria Maggiore all’altare del Presepe.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Il Verbo, generato nell’eternità del Padre, (Com. Grad.) ha elevato fino all’unione personale con sé il frutto benedetto del seno verginale di Maria, ciò che significa che la natura umana e la natura divina sono legate in Gesù nell’unità di una sola Persona, che è la seconda Persona della SS. Trinità. E, come quando si parla di figliolanza, è la persona che si designa, si deve dire che Gesù è il Figlio di Dio perché la sua persona è divina; è il Verbo incarnato. Perciò Maria è la Madre di Dio; non perché essa abbia generato il Verbo, ma perché ha generato l’umanità che il Verbo si è unito nel mistero dell’Incarnazione; mistero di cui la nascita di Gesù a Betlemme fu la prima manifestazione al mondo. Si comprende allora perché la Chiesa canti ogni anno a Natale: « Puer natus est nobis et Filius datus est nobis»; un fanciullo è nato per noi, un figlio ci viene dato, (Intr., Allei.). Questo Figlio è il Verbo incarnato, generato come Dio dal Padre nel giorno dell’eternità: Ego hodie genui te, e che Dio genera come uomo nel giorno dell’Incarnazione: Ego hodie genui te; perché con l’assunzione della sua umanità in Dio « assumptione humanitatis in Deum » (Simbolo di S. Atanasio), il Figlio di Maria è nato alla vita divina, ed ha Dio stesso per Padre, perché Egli è unito ipostaticamente a Dio Figlio. – «Con grande amore, dice S. Leone, il Verbo incarnato ha ingaggiato la lotta contro satana per salvarci, perché l’onnipotente Signore ha combattuto con il crudelissimo nemico non nella maestà di Dio, ma nella debolezza della nostra carne » (5a Lez.). E la vittoria che ha riportato, malgrado la sua debolezza, mostra che Egli è Dio. – Fu nel mezzo della notte, che Maria mise al mondo il Figlio primogenito e lo depose in una mangiatoia. Cosi la Messa si celebra a mezzanotte nella Basilica di S. Maria Maggiore, dove si conservano le reliquie della mangiatoia. – Questa nascita in piena notte è simbolica. È il « Dio da Dio, luce da luce » (Credo) che disperde le tenebre del peccato. « Gesù è la vera luce che viene a illuminare il mondo immerso nelle tenebre » (Or.). «Col Mistero dell’Incarnazione del Verbo, dice il Prefazio, un nuovo raggio di splendore del Padre ha brillato agli occhi della nostra anima, perché, mentre conosciamo Iddio sotto una forma visibile, possiamo esser tratti da Lui all’amore delle cose invisibili ». « La bontà del nostro Dio Salvatore si è dunque manifestata a tutti gli uomini per insegnarci a rinunciate alle cupidigie umane, per redimerci da ogni bassezza e per fare di noi un popolo gradito, e fervente di buone opere» (Ep.). «Si è fatto simile a noi perché noi diventiamo simili a Lui (Secr.) e perché dietro il suo esempio possiamo condurre una vita santa » (Postcom.). « È cosi che vivremo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, attendendo la lieta speranza e l’avvento della gloria del nostro grande Iddio Salvatore e nostro Gesù Cristo » (Ep.). Come durante l’Avvento, la prima venuta di Gesù ci prepara dunque alla seconda.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps II: 7.
Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te

(Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato).
Ps II:1
Quare fremuérunt gentes: et pópuli meditáti sunt inánia?

[Perché si agitano le genti: e i popoli ordiscono vani disegni?]

Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te.

[Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato].

Oratio

Orémus.
Deus, qui hanc sacratíssimam noctem veri lúminis fecísti illustratióne claréscere: da, quǽsumus; ut, cujus lucis mystéria in terra cognóvimus, ejus quoque gáudiis in coælo perfruámur:

[O Dio, che questa notta sacratissima hai rischiarato coi fulgori della vera Luce, concedici, Te ne preghiamo, che di Colui del quale abbiamo conosciuto in terra i misteriosi splendori, partecipiamo pure i gaudii in cielo:]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum
Tit 2:11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc sǽculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: La grazia salvatrice di Dio si è manifestata per tutti gli uomini e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, aspettando la lieta speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha dato sé stesso per noi, a fine di riscattarci da ogni iniquità, e purificare per sé un popolo suo proprio, zelante per buone opere. Insegna queste cose e raccomandale: in nome del Cristo Gesù, Signore nostro.]

Aspirazione. Siate benedetto, o mio divin Salvatore, che vi siete degnato di scendere dal cielo e rivestirvi di nostra carne mortale, per venire ad insegnarmi il cammino giustizia! Riconoscente a sì grande amore e per profittare di un sì gran benefizio, rinunzio ad ogni empietà e ad ogni inimicizia, ai piaceri della carne ed a tutte le azioni, parole, pensieri che potessero dispiacervi, e prometto fermamente di vivere con temperanza, giustizia e pietà. Deh! la vostra grazia, o mio Dio, mi renda fedele ai disegni che essa m’ispira!

(Goffinè: Manuale per la santif. della Domenica, etc …)

Graduale

Ps CIX:3; 1
Tecum princípium in die virtútis tuæ: in splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.
[Con te è il principato dal giorno della tua nascita: nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

V. Dixit Dóminus Dómino meo: Sede a dextris meis: donec ponam inimícos tuos, scabéllum pedum tuórum. Allelúja, allelúja.

[V. Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra: finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Allelúia, allelúia.]

Ps II: 7
V. Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Allelúja.

[V. Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secundum Lucam
Luc II: 1-14
In illo témpore: Exiit edíctum a Cæsare Augústo, ut describerétur univérsus orbis. Hæc descríptio prima facta est a præside Sýriæ Cyríno: et ibant omnes ut profiteréntur sínguli in suam civitátem. Ascéndit autem et Joseph a Galilæa de civitáte Názareth, in Judæam in civitátem David, quæ vocatur Béthlehem: eo quod esset de domo et fámilia David, ut profiterétur cum María desponsáta sibi uxóre prægnánte. Factum est autem, cum essent ibi, impléti sunt dies, ut páreret. Et péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit juxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ coeléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

[In quel tempo: Uscì un editto di Cesare Augusto che ordinava di fare il censimento di tutto l’impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirino era preside della Siria. Recandosi ognuno a dare il nome nella propria città, anche Giuseppe, appartenente al casato ed alla famiglia di Davide, andò da Nazareth di Galilea alla città di Davide chiamata Betlemme, in Giudea, per farsi iscrivere con Maria sua sposa, ch’era incinta. E avvenne che mentre si trovavano lì, si compì per lei il tempo del parto; e partorì il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non avevano trovato posto nell’albergo. Nello stesso paese c’erano dei pastori che pernottavano all’aperto e facevano la guardia al loro gregge. Ed ecco apparire innanzi ad essi un Angelo del Signore e la gloria del Signore circondarli di luce, sicché sbigottirono per il gran timore. L’Angelo disse loro: Non temete, perché annuncio per voi e per tutto il popolo un grande gaudio: infatti oggi nella città di Davide è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sia per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia. E d’un tratto si raccolse presso l’Angelo una schiera della Milizia celeste che lodava Iddio, dicendo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.]

Omelia

(Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, I vol. Queriniana, Brescia, 1894)

Il nascimento di Gesù Cristo

Signori! Voi ora avete udita la narrazione che S. Luca, unico dei quattro Evangelisti, ci lasciò del nascimento di Gesù Cristo e dei particolari semplicissimi, che lo accompagnarono. È una narrazione, che abbiamo udito cento e cento volte, eppure ci torna sempre bella e cara come la memoria dell’infanzia. Quella capanna abbandonata, quei poveri sposi, Giuseppe e Maria, che si ricoverano nel cuore della notte, quella mangiatoia, quel Bambino, che avvolto in fasce sopra vi è adagiato, quegli angeli, che aleggiano e cantano sulla capanna e chiamano i pastori, i primi pastori, che accorrono dai vicini colli e adorano  il nato Salvatore del mondo, formano un quadro d’una semplicità incantevole, d’ una bellezza impareggiabile, che rapisce il cuore. In quella deserta capanna tutto parla a chi ha scintilla di fede. Quell’Infante celeste, promesso da Dio, annunziato dai patriarchi e dai profeti, simboleggiato nei riti della sinagoga, aspettato confusamente da tutti i popoli, nel quale si concentrano i desideri e le speranze tutte del passato e si concentreranno l’ammirazione, la fede e l’amore dei futuri, quell’Infante celeste non sa articolare un solo accento; piange e vagisce anch’egli come l’ultimo bambino del popolo; ma se  tace la lingua parlano le opere. E che dicono l’opere sue? Ciò che più tardi confermeranno le parole, secondo la bella frase di S. Bernardo – lam clamat exæmplo quod postmodum conmaturus est verbo – In questo ragionamento, che è piuttosto una Omelia, noi seguiremo passo passo il racconto evangelico, cavandone quelle pratiche applicazioni che per essere comuni non cessano d’essere interessanti e importantissime. Il racconto evangelico, che vi ho riportato, ha tre parti distinte: la prima comincia dal primo versetto e si chiude col sesto e narra il viaggio di Giuseppe e Maria da Nazaret a Betlemme e la ragione del viaggio: la seconda parte si racchiude tutta nel versetto settimo e narra il nascimento di Gesù Cristo: la terza corre dal settimo al decimo-settimo versetto e contiene l’annunzio angelico datone ai pastori e la loro andata a Betlemme. L’Impero romano, dopo le ferocissime guerre civili, che l’aveano riempiuto di stragi e di sangue, era composto in pace profonda: il tempio di Giano era chiuso e Cesare Augusto vedeva le aquile romane temute e rispettate dal Tigri al Tago, dal Reno al Nilo. La civiltà, quella che era possibile nel paganesimo, avea toccato il supremo fastigio: nel foro risuonavamo ancora le voci di Ortensio e Cicerone, le odi di Orazio si cantavano per le vie e i versi del dolce Virgilio, che salutavano il rinnovamento del secolo e la prole celeste erano sulle bocche di tutti. I tempi erano mutati: lo scettro di Giuda era caduto nelle mani d’uno straniero, si compivano le settanta settimane e il mondo aspettava il Salvatore. Un’umile verginella di Nazaret, a tutti ignota, lo portava nel suo seno intemerato e il giorno, in cui dovea comparire sulla terra era vicino. Ma vi era un vaticinio, celebre in Israele, il vaticinio di Michea (. 2): esso diceva a chiara note che il Promesso duce d’Israele sarebbe nato in Betlemme: ora la Vergine vivea in fondo alla Galilea, a Nazaret, precisamente nella regione più lontana da Betlemme. Come dunque si adempirà la parola del profeta? Tutto è nelle mani di Dio e delle sue parole non cade un apice solo. Gli uomini operano liberamente ed anche seguendo le loro passioni servono inconsci ai suoi disegni e se ne fanno i suoi esecutori fedeli. Udite il Vangelista. « A que’ giorni uscì un editto da Cesare Augusto perché si facesse il censo del mondo intero: questo censo fu il primo, che si facesse, essendo Quirino preside della Siria. Qual’era il fine che mosse Cesare Augusto ad imporre quel censo? La Storia nol dice, ma è troppo naturale che fosse quello di determinare i tributi e regolare l’amministrazione dell’immenso Impero e fora’ anche l’orgoglio di poter dire con certezza: – Tanti milioni si curvano sotto il mio scettro! – Chi mai poteva immaginare, che quel decreto dell’Imperatore romano adempiva il vaticinio d’ un profeta, vissuto sei secoli prima e obbligava a un lungo viaggio il figlio di Dio fatto uomo, i Vicari del quale un giorno si sarebbero assisi sul suo trono istesso! – Impariamo a rispettare e venerare i consigli di Dio in tutti i fatti degli uomini, perché a lui servono i buoni e i cattivi, Davide come Saule, Ciro come Zorobabele. La Palestina allora non era propriamente provincia dell’Impero romano, ma n’era re Erode: re tributario dovette sottostare a quel censimento delle persone e delle sostanze, che preludeva alla prossima unione all’ Impero. Il censimento, secondo l’uso degli Ebrei, richiedeva che ciascuno dovesse recarsi nella tribù o nella città, donde teneva l’origine e perciò Giuseppe dovette recarsi a Betlemme e condursi seco Maria, ancorché già presso a dare alla luce. Entrambi in quel decreto videro il dito di Dio, che li conduceva là dove secondo i Profeti doveva nascere il Salvatore del mondo. Da Nazaret a Betlemme vi sono circa quattro giornate di cammino, che è quanto dire circa 80 chilometri, pigliando la via dritta, che attraversa la pianura di Iesrael, tocca Betulia, Sichem e Gerusalemme, la via battuta dalle carovane. La povera gente camminava a piedi, guidando per lo più 1’umile cavalcatura del povero, il giumento col carico delle provvisioni necessarie e di cui talvolta usava per alleggerire la fatica. La carovana, in cui gli uomini viaggiavano separatamente dalle donne, sostava a quando a quando all’ombra di qualche albero o presso qualche fonte e per difendersi dal calore del sole si raccoglieva nel Khan o caravan-serragli, specie di recinto di pietre gregge, che sorgeva all’ingresso d’ogni villaggio e offriva un miserabile riparo ai viaggiatori ed alle bestie. Allo spuntare dell’alba, la carovana si metteva in cammino, cantando i salmi, che si riferiscono a Gerusalemme e al tempio (Didon, Vol. I, pag. 50). Era uno spettacolo di fede e di pietà, che riflette mirabilmente il carattere dei popoli orientali, grave, solenne e profondamente religioso. – Maria e Giuseppe, seguendo la carovana, attraversata Gerusalemme e fatto ivi secondo ogni verosimiglianza una sosta più o meno lunga, ripresero il cammino alla volta di Betlemme, che dista circa dieci chilometri, nella direzione di mezzogiorno. Il paese è tutto rotto a valli, colli e burroni e Betlemme giace sopra due colline, che si congiungono in forma di semicerchio e formano un grandioso anfiteatro verdeggiante e coperto di viti e di olivi, di fichi e di mandorli. Poco lungi si vede il campo, dove Ruth, la povera moabita, spigolava e lì presso il piccolo colle, su cui era l’aia di Booz. Ecco la patria di Davide, che vi custodiva il gregge paterno: ecco il luogo, che Dio ha scelto e dove vedrà la luce il Figliuol suo. Maria e Giuseppe vi dovettero giungere in sul fare della sera: il carovan-serragli, o albergo di Betlemme, era ingombro e pei due poverelli non v’era più luogo, scrive 1’Evangelista – Non erat eis locus in diversorio -. Nei fianchi dei monti e dei colli di Palestina, che sono calcarei, spesso la natura e talvolta la mano dell’uomo qua e là hanno aperto ampie fessure e caverne e profondi scavi, che si nascondono nelle viscere della terra; in uno di quegli scavi, che talora serviva di riparo agli animali ed anche agli uomini che forse si chiamava la stalla, i due viaggiatori, stanchi del cammino, trovarono un ricovero (Didon, 1. c.) Fratelli! Non vi sia grave udire alcune considerazioni volgari, si, ma sempre belle e acconce ad ogni stato di persone e che scaturiscono dal racconto evangelico. Noi vediamo le due più sante creature, che fossero sulla terra, Giuseppe e Maria, ubbidire con gravissimo loro disagio al comando d’un Imperatore straniero e per giunta pagano; ciò è nulla: noi vediamo lo stesso Figliuol di Dio, il Salvatore del mondo, che sta per nascere, nella Madre e colla Madre ubbidire allo stesso comando, con qual disagio, pensatelo voi, che sapete per fede, Gesù Cristo dal primo istante di sua incarnazione aver avuto perfettissimo conoscimento d’ogni cosa, anzi aver avuto la visione beatifica. Ecco, o signori e fratelli miei, il modello sovrano della nostra condotta per ciò che riguarda le Autorità costituite anche politiche e civili. Se vi erano persone, che potevano sottrarsi al dovere della ubbidienza verso di esse, erano Giuseppe e Maria e sopra tutto il nascituro Figliuolo di Dio, supremo legislatore del cielo e della terra. Eppure ubbidiscono prontamente, non si lagnano del lungo cammino, del rigore della stagione: non mettono innanzi ragioni o privilegi: non cercano se l’autorità che comanda è legittima, né perché comandi: nulla di tutto ciò: obbediscono semplicemente. Noi Cristiani cattolici dobbiamo seguire tanto esempio. La nostra regola immutabile è stabilita da S. Paolo, che dice ai Cristiani di Roma, ai tempi di Nerone « Ogni uomo è sottoposto alle podestà superiori, perché non vi è podestà se non da Dio: e le podestà che sono, sono da Dio ordinate, a talché chi resiste alle podestà resiste all’ordine di Dio ». Noi cristiani cattolici, fissi gli occhi sull’esempio della santa Famiglia e fermi nella dottrina del grande Apostolo, dinnanzi alle Autorità non discutiamo: non domandiamo le prove della loro origine, né esaminiamo i titoli della loro legittimità: al di sopra di loro vediamo Iddio, che regge le cose umane e fa passare lo scettro dall’uno all’altro monarca come e quando gli piace: noi non guardiamo agli uomini che tengono il potere, ma sì al potere, che è nelle loro mani: questo è sempre da Dio anche quando è in mani inique, come sull’altare è sempre il ministro di Dio, che parla e offre i sacri misteri, ancorché indegno. Noi cristiani cattolici non ci rivoltiamo mai contro le Autorità, le rispettiamo ed ubbidiamo, non solo per timore, ma per coscienza, pel sentimento del dovere, perché in una parola, ubbidiamo a Dio. Che se codeste Autorità ci comandano ciò che offende Dio e le sue leggi, allora noi senza timore e con ogni rispetto rispondiamo cogli Apostoli: – Si deve ubbidire prima a Dio e poi agli uomini. Fate ciò che volete di noi, non possiamo calpestare la nostra coscienza e fallire ai nostri doveri verso Dio. E questa la nostra regola in faccia a Diocleziano, come in faccia a Costantino, a Carlo Magno o Enrico VIII, dinnanzi ad una repubblica, come dinnanzi ad un Impero, dinnanzi ad un corpo legislativo, come ad un corpo esecutivo. E questa la libertà, che ci ha portata il Vangelo di Cristo, allorché disse: – Rendete a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che spetta a Cesare -. Vi piaccia contemplare coll’occhio della fede i due viaggiatori, che da Nazaret salgono a Betlemme. Vedeteli questi due sposi, che non si separano un solo istante, sempre a fianco l’uno dell’altro: pieni di affetto riverente mettono ogni studio in compiacersi a vicenda: i loro cuori si intendono a meraviglia; parlano tra loro con voce piana e soave, ma non delle cose della terra: i loro pensieri come i loro discorsi sono tutti di cielo; non un lamento, non ombra di timore o sconforto; in ogni cosa veggono la mano amorosa della Provvidenza e da essa si lasciano docilmente condurre. Sempre lieti e tranquilli portano sulla fronte la serenità imperturbabile dell’animo. Amabili, cortesi con tutti, non cercano, non schivano la compagnia di persona, felici di rendere a tutti qualche servigio se possono: nascondono studiosamente il mistero, del quale essi soli posseggono il segreto e gustano la gioia di trovarsi in mezzo a quella turba di poveri e di anime pie, che con essi salgono verso Betlemme. Quanta pace! Quanta modestia! Quanta umiltà! Quanta fede e quale abbandono in Dìo! I compagni di viaggio li miravano stupiti, li segnavano a dito e li circondavano di rispetto religioso; parea che dagli sguardi, dagli atti e dalla persona di quo’ due sposi raggiasse una luca divina, un’aura di paradiso. L’Uomo-Dio, l’aspettato Redentore del mondo camminava con essi e schiere di angeli invisibili e venerabondi li seguivano e spandevano intorno un profumo di cielo, ammiranti tanta grandezza e tanta povertà, tanta virtù congiunta a tanta umiltà e semplicità. I due pellegrini, come dicevamo, non trovato luogo nel Khan o caravan serragli, si erano ridotti in una di quelle grotte od in uno di quegli scavi, che si vedono ancora a metà costa della collina per trovarvi un riparo nella notte, che cadeva. Grande Iddio! Ed è qui, in questa grotta, che deve venire alla luce il vostro Figliuolo, il sospirato Messia? E questo il palagio, è questa la reggia, che avete preparata a Colui, che deve essere il Re di tutte le nazioni e che voi dalla eternità generate di voi stesso tra gli splendori dei santi? La ragione si confonde, si smarrisce e non ci resta che credere al Vangelo e adorare in silenzio il mistero di fede e di amore, che sta per compirsi. In un cielo limpidissimo, com’è in Oriente, scintillano le stelle e lo dipingono per tutti i seni; il confuso rumore del giorno a poco a poco si è dileguato; qua e là per le capanne sparse lungo le colline e nel gruppo di case, che formano Betlemme, appariscono e spariscono lumi incerti; la notte col nero suo manto avvolge tutte le cose e il silenzio regna profondo e solenne in tutta la valle e intorno alla fortunata grotta. Accostiamoci riverenti e vediamo che cosa avviene in quell’antro, che sta per tramutarsi in un paradiso. Giuseppe, tutto raccolto in sé, in un angolo, prega e medita; la Vergine, le mani giunte, gli occhi fissi in alto e pieni di letizia, circonfusa d’una luce celeste, più simile ad un Angelo che ad una creatura terrestre, sembra estatica e tutta rapita in Dio. – In quel silenzio beato, nel cuore della notte, ecco nato sul duro terreno un bambino, che tende le picciolette e tremanti mani alla Vergine e tacitamente chiede le cure materne. Ella estatica lo contempla, si inginocchia, l’adora, lo piglia tra le sue braccia, cogli occhi ineffabilmente ridenti e gonfi di lagrime lo mostra a Giuseppe, lo bacia, lo avvolge tra le fascia e lo depone sulla paglia della mangiatoia. È il Vangelo che dice tutto questo con una semplicità sublime e inarrivabile. Udite le sue parole: « E partorì il Figliuolo suo primogenito e lo fasciò e lo reclinò in una mangiatoia, perché per loro non vi era un posto nell’albergo ». Il fatto più grande, che si incontri in tutta la storia, a cui e legata la sorte dell’umanità tutta quanta, si  contiene in questa sentenza brevissima! Non un accenno di stupore, non una parola di compatimento pel parvolo, che soffre, per la madre sì povera: non un cenno alla durezza ed alla ingratitudine degli uomini, che non hanno un asilo per questi tre abbandonati e nemmeno un cenno alla futura grandezza del nato bambino: nulla: la narrazione nuda, brevissima del fatto e nient’altro! « Colei che era divenuta madre, rimanendo vergine, vergine partorisce. Il Vangelo lo lascia capire: ella non conosce né la debolezza, né lo sfinimento delle madri comuni. E dessa che raccoglie il suo bambino, è dessa che lo colloca nella culla allora trovata. La fede cristiana rimase in ginocchio dinnanzi a questa donna e al bambino, che riposa sul suo seno: contemplandola, apprese dolcezza, la povertà, il sacrificio; di questa scena ineffabile essa si creò in ogni tempo visioni novelle senza stancarsi mai, senza mai esaurirne la forza, la bellezza, l’incanto » (P. Didon, pag. 52). – Ponete mente a questa parola – Primogenito – con cui il Vangelista designa il divino Infante. Forrsechè con essa il Vangelo vuole insinuarci, che Maria ebbe altri figli? Tolga il cielo! Sarebbe manifesta eresia, giacché noi salutiamo Maria quale vergine per eccellenza, sempre vergine. La parola primogenito significa il primo nato? Che può essere primo ed ultimo, unico, come crediamo essere stato Gesù Cristo. E chi può mai credere che Maria, sì tenera e gelosa della sua verginità, ch’era disposta a rifiutare la gloria della maternità divina, se questa le avesse tolta quella, potesse poi farne getto? Chi potrebbe mai immaginare, che dopo essere diventata madre con sì strepitoso miracolo, rimanendo vergine, volontariamente a tanta gloria rinunciasse? Come credere, scrive S. Tommaso, che, avendo ricevuto dal cielo tal Figlio, potesse desiderare d’averne altri? O Maria, o Vergine e Madre! Noi ci prostriamo ai vostri piedi e crediamo che questi due titoli sì gloriosi si accoppiano in voi in guisa, che l’uno abbellisce e compie l’altro e insieme congiunti fanno di voi un miracolo quale il mondo mai non vide, né vedrà l’uguale. Voi foste simile ad un albero gentile, che sotto i raggi del sole e la rugiada del cielo cresce, cresce sempre e di sé germoglia un fiore candido come la neve e nel fiore germoglia il frutto, che maturo si stacca da sé e fiore e frutto sono lavoro della pianta, che non pure non ne riceve offesa, ma bellezza e decoro. Dio, scrisse il Nazianzeno, è la fonte della purezza e della verginità, anzi è la stessa purezza e verginità e perciò quanto più l’anima si avvicina a Dio e tanto più diventa pura e vergine, simile, ad una nube che più si imbianca e si imporpora quanto più si solleva da terra e più diritti riceve i raggi del sole. Maria sì alta levossi e tanto si avvicinò a Dio, che tutta fu penetrata e investita della sua virtù, lo toccò nell’essere suo immediatamente per guisa, che nel proprio seno ricevette il Figlio di lui e lo vestì della propria carne e così vestito lo porse a tutta la progenie di Adamo. Nessuna creatura fu più vergine di Maria e la sua purezza e verginità allora toccò il sommo grado della perfezione quando divenne madre, onde questi due titoli, che nelle altre donne si escludono a vicenda, in Maria si uniscono per modo che a vicenda si perfezionano. Maria concepì vergine e la sua generazione nel tempo è simile alla generazione del Padre nella eternità. Ecce virgo concipiet – Maria diede alla luce vergine – Natus ex Maria Virgine – Il raggio del sole attraversa l’aria, l’acqua e il cristallo, eppure l’aria e l’acqua non tremolano tampoco e il cristallo non si spezza, né si appanna. Io penso e il mio pensiero si genera nel fondo dell’anima mia senza sforzo, senza divisione: penso, e il mio pensiero, pur rimanendo tutto nei penetrali dell’anima mia, invisibile a tutti, tutto intero esce dall’anima mia, si veste del suono e del segno esterno e diventa sensibile e visibile, a tutti si manifesta senza che avvenga dentro o fuori di me ombra di divisione. Similmente Gesù nasce da Maria, rimanendo inviolata la sua verginità – Natus ex Maria Virgine – . Poco lungi da Betlemme, a levante e a mezzogiorno, s’apre una bella e ricca valle. In quella anche nella stagione invernale, giorno e notte, andavano errando e pascendo numerosi greggi, secondo l’uso orientale. Mentre nella grotta si compiva il mistero, che S. Paolo chiama nascosto ai secoli: mentre la piccola città di Betlemme era sepolta nel sonno, lo spirito di Dio comincia quell’opera, che avrà fine col termine dei tempi. Lungo la valle, che si distende ad oriente e a mezzogiorno di Betlemme, alcuni pastori vegliavano e facevano la guardia al loro gregge. Erano forse i soli uomini, che a quell’ora vegliavano ed erano certamente tra più poveri della contrada, 2) (Il P. Didon che per due anni visse e studiò in Palestina, nella Vita di Gesù, pag. 53, scrive: – 1 pastori in Oriente rappresentano la classe infima della popolazione agricola: sono i servi dei servi dei servi. Il padrone del campo non lavora : ha i suoi lavoratori, i suoi operai i guardiani dei greggi. I pastori si vedono ancor oggi, la testa coperta d’un lungo velo nero, una pelle di montone sulle spalle, i pie’ nudi o avvolti in miserabili sanigli, un piccolo bastone di abete o di sicomero in mano.) ma di costumi semplici e pieni di fede antica; a questi uomini, che vegliano, che sono poverissimi, ma ricchi di virtù, è riserbato l’alto onore d’essere chiamati pei primi ad adorare il nato Salvatore, ad essere la primizia dei credenti in Israele. Gran cosa, o fratelli! I primi uomini che sono reputati degni di vedere e adorare il Figlio di Dio fatto uomo, non sono i ricchi, non sono i dotti, non sono i grandi, i re della terra, ma i poveri, gli ignoranti, gli ultimi del popolo. E questo il carattere della Religione, che Gesù Cristo porta sulla terra, la preferenza per le classi spregiate e sofferenti, perché queste dalla povertà e dal dolore meglio preparate al conoscimento della verità, più prontamente ubbidiscono alla sua voce. E in vero come mai i grandi, i ricchi, i potenti della terra, a quell’ora sepolti nel sonno, o intesi ai trastulli e ai piaceri, avrebbero udita la voce di lui e sarebbero accorsi a’ suoi piedi? Come mai, essi pieni di fasto e di orgoglio, si sarebbero prostrati dinnanzi ad un bambino adagiato sulla paglia di una mangiatoia? Dio nell’ordine soprannaturale come nel naturale opera per mezzo delle cause seconde e gli angeli sono gli ordinari messaggeri del suo volere; ed ecco un angelo, credo de’ primi, apparve a que’ pastori « e un fulgore divino li ravvolse, sicché essi forte temettero ». Le apparizioni degli esseri celesti sono quasi sempre accompagnate da irradiamenti di luce. Forsechè gli angeli sono luce e di lor natura diffondono intorno a sé onde luminose? No, per fermo; gli Angeli sono sostanze spirituali di ben altra natura di questa luce, che si spande per ogni dove nell’atmosfera. Gli esseri invisibili (e tali sono gli angeli) a noi esseri visibili non possono far conoscere la loro presenza e la loro azione se non mercé di manifestazioni esterne e perciò devono usare di cose sensibili, e poiché la luce tra le cose sensibili è la più bella e meglio d’ogni altra rappresenta la perfezione degli spiriti, di questa si mostrano ammantati e in questa sogliono far sentire la loro presenza. Quella luce sfolgorante in mezzo alle fìtte tenebre della notte riempì naturalmente di timore qne’ poveri pastori e subitamente l’angelo, per assicurarli, disse: « Non temete. Anzi rallegratevi, perché vi do l’annuncio, che dee riempire voi e tutto Israele d’immensa gioia. A Betlemme, la città di Davide, è nato il Salvatore e lo riconoscerete a questo segno: troverete un bambino, avvolto tra fasce e reclinato in una mangiatoia. » E son questi, o signori, i segni per riconoscere il Messia, il Figlio dell’Eterno, divenuto Figlio dell’uomo? I segni della debolezza, dell’estrema povertà? così è: l’orgoglio umano avea bisogno d’esser fiaccato ed è questa la prima lezione che ci è data a Betlemme. E vero, tanta debolezza e povertà poteva essere uno scandalo, poteva offendere la ragione e mettere a pericolo la fede de’ pastori; ma Dio dispone ogni cosa con somma sapienza e mentre da un lato umilia l’orgoglio degli uomini collo spettacolo della grotta di Betlemme, dall’altro conforta ed avvalora la fede coll’annunzio celeste degli ‘angeli: se le fasce e la mangiatoia mostrano la debolezza e la povertà estrema dell’Infante celeste, il messaggio degli Angeli, la luce che li avvolge, provano ad evidenza ch’egli è veramente il promesso Salvatore. Sempre così: la vita di Gesù Cristo, dalla mangiatoia alla croce, ci dispiega sotto gli occhi l’incessante alternativa della debolezza massima e della massima grandezza, della potenza propria di Dio e della infermità propria dell’uomo: così si rivela costantemente la doppia natura di Cristo, e mentre per una parte siamo costretti a vedere in Lui l’uomo, per l’altra dobbiamo riconoscere in Lui Dio e la nostra fede in Lu i , Dio-Uomo, è perfettamente stabilita. – E mentre così parlava co’ pastori l’Angelo, una moltitudine d’altri Angeli a quello si unì e insieme cantavano lodando Dio: « Gloria nel più alto de’ cieli a Dio e in terra pace agli uomini di buon volere ». Tutto ciò che avviene quaggiù, lassù in Cielo è preveduto e voluto e tutti i fatti, che si svolgono sulla terra, sono l’effetto delle cause invisibili e arcane, che operano in cielo. E bene a ragione si può dire, che tutto il mistero della vita di Cristo, che oggi nasce, si racchiude in queste due parole, che riempiranno lo spazio e i secoli: Gloria e pace! Gloria a Dio in Cielo, pace agli uomini in terra (Didon 1. c.). — E perché gloria a Dio? Perché Dio si è abbassato fino a farsi uomo e perché un uomo ora è Dio! Perché Dio fatto uomo, disvela la smisurata grandezza dell’amore suo e dispiega le ricchezze della sua sapienza, della sua potenza, della sua giustizia, di tutte le sue perfezioni. Gloria a Dio, perché ora si dischiudono le porte de’ cieli e gli uomini, riconciliati con Dio, rifatti secondo la sua immagine, vi potranno entrare e cresceranno le lingue, che lassù lo esaltano e cantano le sue grandezze. Pace agli uomini in terra, perché il maestro divino è comparso in mezzo a loro, perché la vittima espiatrice de’ loro falli è preparata e comincia il sacrificio, che più tardi sarà consumato sul Golgota. Ciò, che porta la pace agli uomini, glorifica Dio, e ciò che glorifica Dio porta la pace agli uomini. In questo giorno Dio dall’alto de’ cieli vede per la prima volta nato sulla terra un figlio innocente, santo, immacolato, eguale a sé e a cui può e deve dire: – Tu sei il Figliuol mio diletto: in te trovo tutte le mie compiacenze -. Oggi per la prima volta dalla terra s’innalza un grido, un gemito, che placa Iddio, e gli rende un onore adeguato, degno di lui. Oggi Iddio dall’ alto de’ cieli vede il Figliuol suo unigenito vestito della forma umana e, abbracciando Lui, non può non abbracciare tutti i fratelli suoi secondo la carne e perciò è fatta la pace tra il cielo e la terra, tra Dio e gli uomini. Gloria adunque a Dio in alto e pace in terra agli uomini. Ma a quali uomini? Agli uomini di buona volontà, bonæ voluntatis: non agli uomini pigri, non agli uomini indolenti, non ai malevoli, ma agli uomini alacri, pronti, benevoli, di buona volontà. – Le anime semplici, rette, di buona volontà, ancorché spesso digiune d’ ogni scienza, illuminate da Dio, non so come, hanno uno sguardo netto, acuto, sicuro più dei dotti; hanno l’attrazione, l’istinto santo della verità e tosto l’afferrano. La fede semplice e docile va dritta a Dio, mentre la scienza gonfia e superba discute, è restìa, e si smarrisce nel labirinto delle prove e dei dubbi. I Pastori hanno veduta la luce, hanno udito la voce degli Angeli, che li invitano a Betlemme; non frappongono indugio e chiamandosi gli uni gli altri, gridano: – Andiamo, andiamo a Betlemme, a vedere questo fatto che è avvenuto e che il Signore ci ha manifestato; e vennero in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino posto sulla mangiatoia -. Ciò che dicessero e facessero que’ pastorelli là nella grotta di Betlemme, chi ha filo di fede in cuore, può troppo bene immaginarlo. Fratelli dilettissimi! Uomini di buona volontà, pieni di fede e docili come i pastori, in spirito, andiamo, andiamo noi pure a Betlemme; vediamo il mistero d’amore, che vi si è compiuto e, prostrati a’ piedi di quella mangiatoia, facciamo ciò che la fede e l’amore ci domandano.

IL CREDO

Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XCV:1 1:13
Læténtur cæli et exsúltet terra ante fáciem Dómini: quóniam venit.

[Si allietino i cieli, ed esulti la terra al cospetto del Signore: poiché Egli è venuto.]

Secreta

Acépta tibi sit, Dómine, quǽsumus, hodiérnæ festivitátis oblátio: ut, tua gratia largiénte, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia:

[Ti sia gradita, o Signore, Te ne preghiamo, l’offerta dell’odierna solennità: affinché, aiutati dalla tua grazia, mediante questi sacrosanti scambi, siamo ritrovati conformi a Colui nel quale la nostra sostanza è unita alla Tua:]

Prefatio de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ideo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus …

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIX:3
In splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.

[Nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

Postcommunio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, qui Nativitátem Dómini nostri Jesu Christi mystériis nos frequentáre gaudémus; dignis conversatiónibus ad ejus mereámur perveníre consórtium:

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, che celebrando con giubilo, mediante questi sacri misteri, la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, meritiamo con una vita santa di pervenire al suo consorzio:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA