DOMENICA VII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

In questa settimana non si poteva scegliere una lettura migliore nel Breviario,  del doppio racconto degli ultimi giorni di David — poiché, dice S. Girolamo, « tutte le energie del corpo si indeboliscono nei vecchi, mentre solo la sapienza aumenta in essi » (2° nott.) — e della storia di suo figlio Salomone, che fu celebre fra tutti i re per la sapienza. – David, sentendo avvicinarsi il momento della morte, designò come suo successore, fra i suoi figli, Salomone, il diletto da Dio. E Natan profeta, condusse Salomone a Gihon, ove il sacerdote Sadoc prese dal tabernacolo l’ampolla d’olio e unse Salomone; si suonò la tromba e tutto il popolo disse: « Viva il Re Salomone! ». David disse a suo figlio: «Sarai tu a innalzare il tempio del Signore. Mostrati forte e sii uomo! Osserva fedelmente i comandamenti del Signore, affinché si compia la parola che pronunciò su me: « Il tuo nome si è affermato e i tuoi discendenti regneranno per sempre! Tu agirai secondo la tua sapienza, poiché sei un uomo saggio ». E David s’addormentò coi suoi padri e fu sepolto nella città che porta il suo nome dopo aver regnato sette anni a Ebron e trentatré anni a Gerusalemme, la fortezza inespugnabile che egli aveva preso ai Filistei. E Salomone si assise sul trono di suo padre, ed il suo regno fu ben sicuro. Era un giovane di diciassette anni, amava il Signore e gli offriva olocausti. – Iddio apparve in sogno a Salomone e gli disse. «Chiedi tutto quello che vuoi e io te lo darò ». Salomone gli rispose: « Signore, io non sono che un fanciullo per regnare al posto di David, mio padre; accordami la sapienza affinché io possa discernere il bene dal male e conduca il tuo popolo sulle tue vie ». E Dio aggiunse: « Ecco io ti dono un cuore saggio e intelligente, tale che tu supererai tutti i sapienti che furono e quelli che verranno, e ciò che tu non mi hai chiesto (lunga vita, ricchezza, trionfi) te lo darò in più ». Secondo la promessa del Signore, Salomone non solo fu il più sapiente, ma il più splendido e possente re d’Israele. Tutti i re gli apportavano i loro doni e tutte le nazioni che fino allora avevano disprezzato Israele, ne ricercavano l’alleanza. La regina di Saba venne a consultarlo e rimase piena di ammirazione per tutti quello che vide e intese da lui. Il Faraone, re d’Egitto, gli dette la figlia in isposa; Hiram, re di Tiro, fece con lui alleanza e un trattato, pel quale, in compenso del grano, dell’orzo, del vino, dell’olio, che le campagne della Palestina producevano abbondantemente, gli forniva legni preziosi delle foreste del Libano, e operai per la costruzione del tempio. Salomone insegnò al popolo il timor di Dio e questi lo protesse in tutte le imprese e lo aiutò quando il suo fratello maggiore avrebbe voluto regnare in sua vece. Così si realizzarono le parole che Salomone medesimo pronunciò e che S. Girolamo ci ricorda nell’ufficio di oggi: « Non disprezzare la sapienza e questa ti difenderà. Mettiti in possesso delia sapienza e acquista la prudenza; impadronisciti di essa ed essa ti esalterà, tu sarai glorificato da essa e, quando l’avrai abbracciata, ti metterà sul capo splendori di grazia e ti coprirà di una gloriosa corona ». « Infatti colui che giorno e notte, commenta S. Girolamo, medita la legge del Signore, diventa più docile con gli anni, più gentile, più saggio col progresso del tempo e negli ultimi giorni raccoglie i più dolci frutti dei suoi lavori d’altri tempi » (2° Nott.). – Laddove, « Quale frutto, chiede l’Apostolo, avete tratto dal peccato, se non la vergogna e la morte eterna? », mentre « ricevendo Dio voi producete frutti di santità e guadagnate la vita eterna » (Ep.). E nostro Signore dice nel Vangelo: « Si riconosce l’albero dai suoi frutti. Ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo porta frutti cattivi ». E aggiunge: « Non sono già quelli che mi dicono: Signore, Signore, che entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fan la volontà del Padre mio che è nei cieli • Cosi, commentando l’Introito di questo giorno, S. Agostino dice « È necessario che le mani e la lingua siano d’accordo: che l’una glorifichi Dio e che le altre agiscano ». La vera sapienza non consiste solamente nell’intendere le parole di Dio, ma nel realizzarle; né pregare Dio, ma anche nel mostrargli con le opere che lo amiamo ». « Il Vangelo – dice S. Ilario – ci avverte che le parole dolci e gli atteggiamenti mansueti debbono essere valutati dai frutti delle opere e che bisogna apprezzare qualcuno non secondo quello egli si mostra a parole, ma secondo quello che si mostra ai fatti, perché spesso la veste dell’agnello serve a nascondere la ferocità dei lupi. Dunque, attraverso la nostra maniera di vivere noi dobbiamo meritare la beatitudine eterna, di modo che noi dobbiamo volere il bene, evitare il male e obbedire di tutto cuore ai precetti divini per essere gli amici di Dio mediante il compimento di questi propositi » (3° Nott.). – Salomone, il re pacifico, non è che una figura del Cristo: il suo segno che tutti acclamano (Intr., Alt.) annuncia quello del Messia che è il vero Re della pace; Salomone, il più saggio dei re, presagisce il Figlio di Dio del quale il Padre disse sul Tabor: « Ascoltatelo » (Grad.). Egli presagisce la Sapienza incarnata che ci insegnerà il timor di Dio (id.) e il modo per distinguere il bene dal male (Vang.). Gli olocausti, fatti al tempo della consacrazione del Tempio di Salomone (Off.) sono, come quello di Abele (Secr.), ombra dell’unico sacrificio cruento, che Cristo offrì sul Calvario; che coronò in cielo, ove entrò dopo aver ottenuta la vittoria su tutti i suoi nemici. Questo dichiara il Salmo XLVI (Intr.), nel quale i Padri hanno visto, sotto il simbolo dell’Arca dell’alleanza che il popolo di Dio fa passare, in mezzo alle acclamazioni, dai campi di battaglia sulla montagna di Sion, una figura dell’Ascensione di Gesù nel regno celeste.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI: 3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram.

[Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.]

Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Oratio

Orémus.

Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas.

[O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI: 19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

“Fratelli: Parlo in modo umano, a motivo della debolezza della vostra carne. Come deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per commettere l’iniquità; così ora date le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite? Giacché il loro termine è la morte. Ma adesso, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché la paga del peccato è la morte, ma il dono grazioso di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore…”.

DUE LIBERTA’.

C’è un giudice nel vocabolario. Il vocabolario nostro dispone di una sola parola, per la realtà vera e per il suo surrogato: così ad esempio, ci si chiama caffè tanto il moca o il portorico, caffè vero e proprio, come il caffè maltus miserabile surrogato. Monete si chiamano le vere e le false. E libertà si chiama la falsa e la vera, la libertà liberale e la libertà cristiana. San Paolo con una genialità stupenda definisce nel brano della lettera sua ai Romani che oggi si legge alla S. Messa, la libertà falsa, la pagana d’allora, la liberale d’adesso, che è poi la libertà pagana rediviva. Una volta dice ai Cristiani, alludendo ai giorni ormai passati e superati del loro paganesimo, una volta (quando non eravate ancora Cristiani, ma pagani), voi eravate « liberi dalla giustizia e servi del peccato ». Parole testuali d’un sapore evidentemente ironico nella prima parte ai Romani: « Eravate liberi dalla giustizia ». Bella libertà! La libertà di uno spiantato che dicesse: eccomi qua, mi sono liberato dai danari: la libertà di un malato che dicesse anche lui con una falsa soddisfazione: mi sono liberato dalla salute. Liberazione equivoca, o, piuttosto, uso equivoco della parola « liberazione », la quale suona uno svincolarsi da un peso, da una disgrazia, non da una fortuna o di una grazia. – Ebbene, è proprio sullo stesso equivoco che giuocano i liberali vecchi e nuovi, quando parlano di libertà, e intendono con tal parola il liberarsi, l’affrancarsi dalla legge, l’esserne emancipati. Si gloriano i liberali della loro libertà, come di una cosa bella, buona, onorifica, gloriosa; ma la loro libertà non è altro che emancipazione dalla legge. I pagani antichi, quelli di cui San Paolo parla direttamente, erano fuori dalla legge, liberi da essa, perché non la conoscevano o la conoscevano poco; i moderni liberali, perché l’hanno calpestata e dimenticata. Paolo però nota subito molto bene l’equivoco di quella libertà, osservando che i fautori, i glorificatori di essa, erano perciò stesso schiavi del peccato: del male! Ed è proprio così. Automaticamente chi si sottrae alla luce, entra nel regno delle tenebre. Automaticamente chi si sottrae alla legge del bene, cade sotto il giogo della legge del male. E qui è proprio il caso di parlare di giogo. Giogo pesante, obbrobrioso quello del male, del peccato. Catena del peccatore il peccato, vischio in cui rimane impigliato chi una volta ci casca dentro. « Qui facit peccatum servus est peccati: » servo del vino l’ubriacone, servo della donna, schiavo di essa l’uomo, corrotto. – A questa pseudo libertà di quando erano ancora pagani, S. Paolo contrappone il quadro della libertà di cui veramente godono ora che sono Cristiani. – I termini sono letteralmente invertiti. Allora liberi (per modo di dire; anzi per antifrasi liberi) dall’onestà, dal bene e schiavi del male, oggi liberi dal peccato, dal male e schiavi della giustizia. Ah, questa è libertà vera! La libertà del male, da malvagi istinti, dalle ree consuetudini, è questa è servitù nobile e degna; la servitù del bene, della giustizia, della legge. Sì, perché — e lo dice equivalentemente S. Paolo — servire alla giustizia; alla verità, alla bontà, significa ed importa servire a Dio. S. Paolo, l’Apostolo, sente la grandezza, la poesia di tale servizio divino. Un servizio, nel quale c’è un segreto di vita e di gioia e di gloria, mentre nel servizio del male c’è un segreto opposto d’ignominia e di morte. Il male uccide. « Stipendium peccati mors: » uccide in tutti i sensi, perché  uccide in senso pieno. E potremmo dire che: « Stipendium legis vita,» vita del tempo, vita nell’eternità.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 12; XXXIII: 6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur.

[Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI: 2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. Allelúja.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII: 15-21

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

[“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; né un albero cattivo far dei frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, si taglia, e si getta nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli”]

Omelia

DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

(Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933)

[Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

La virtù falsa e la virtù vera.

A fructibus eorum cognoscetis eos.

(MATTIH. VII, 16).

Miei Fratelli, poteva Gesù Cristo indicarci una prova più chiara e più sicura per farci conoscere e distinguere i buoni dai cattivi Cristiani, che insegnandoci a discernerli non dalle loro parole, ma dalle loro opere? “Un albero buono – disse Egli – non può dare frutti cattivi, come un albero cattivo non può dare frutti buoni. „ Sì, M. F., un Cristiano, il quale non abbia che una devozione falsa, una virtù affettata e tutta esteriore; malgrado tutte le precauzioni che prenderà per contraffarsi, non tarderà molto a lasciar trasparire le sregolatezze del suo cuore, sia nelle parole, sia nelle azioni. M. F., nulla vi è di più comune che queste virtù apparenti, cioè nulla è così frequente come questa ipocrisia. E ciò è tanto più deplorevole, perché quasi nessuno vuol riconoscerlo. Bisognerà dunque lasciarli in uno stato così infelice, stato che senza dubbio li conduce all’inferno? No, no, miei cari, tentiamo almeno di farne loro comprendere qualche cosa. Ma, mio Dio! chi vorrà riconoscersi colpevole? Ahimè! quasi nessuno! Quest’istruzione non servirà adunque che ad accecarli di più? Tuttavia, M. F., io vi parlerò come se doveste approfittarne tutti. Per farvi ben conoscere il misero stato di quei poveri Cristiani che forse si dannano facendo il bene, perché non conoscono il modo di farlo, vi mostrerò:

1° quali sono le condizioni per avere una virtù vera;

2° quali sono i difetti di quella che non è che apparente.

Ascoltate bene questa istruzione, la quale potrà giovarvi assai in tutto ciò che farete riguardo a Dio. Se mi domandate perché mai sono sì pochi i Cristiani che operano unicamente per piacere a Dio, eccovene, M. F., la ragione vera: è perché i Cristiani nel maggior numero sono sepolti nell’ignoranza più spaventosa; è perché fanno tutte le loro azioni con fini meramente umani. Di modo che, se paragonaste le loro intenzioni con quelle dei pagani, non vi trovereste differenza alcuna. Ah, mio Dio! quante opere buone perdute per il cielo! — Altri, che hanno qualche cognizione di più, non cercano che la stima degli uomini e fingono più che possono: il loro esterno pare buono, mentre “il loro interno è pieno di lordura e di doppiezza (Matth. XXIII, 27, 28). Sì, M. F., al giudizio vedremo che la maggior parte dei Cristiani non avranno avuto che una religione di capriccio o di simpatia, vale a dire, d’inclinazione, e che troppo pochi avranno cercato Dio solo nelle loro azioni. E dico, anzitutto che un Cristiano, il quale voglia lavorare davvero alla sua salvezza, non deve accontentarsi di fare opere buone; egli deve anche sapere per chi le fa e come deve farle. Dico poi, in secondo luogo, che non basta mostrarsi virtuosi agli occhi del mondo; ma bisogna anche esserlo nell’intimo del cuore. Che se mi domandate come potremo conoscere che una virtù è vera e ci conduce al cielo, eccolo, M. F.: ascoltatelo bene, imprimetevelo bene in cuore, affinché, di ogni vostra azione, possiate sapere se sarà ricompensata per il cielo. Perché un’azione possa piacere a Dio, deve avere tre condizioni: prima, essere interiore e perfetta; seconda, umile e senza alcun risalto per chi la compie; terza, costante e perseverante. Se, in tutto ciò che fate, trovate queste condizioni, siete sicuri di lavorare per il cielo.

I. — Anzitutto la virtù deve essere interiore; non basta adunque che apparisca al di fuori. No, bisogna, F. M., ch’essa nasca dal cuore, e che la carità sola ne sia l’anima e il principio; poiché S. Gregorio ci dice, che tutto ciò che Dio domanda da noi deve essere fondato sull’amore che gli dobbiamo. Il nostro esterno non deve adunque essere che uno strumento per manifestare ciò che passa dentro di noi. Cosicché, M. F., tutte le volte che le nostre parole o le nostre azioni non sono prodotte da un movimento del nostro cuore, dinanzi a Dio noi non siamo altro che ipocriti. Inoltre, la nostra virtù deve essere perfetta; non basta, cioè, che ci attacchiamo a qualche virtù, cui ci porta la nostra inclinazione; ma dobbiamo abbracciarle tutte, voglio dire tutte quelle che si confanno al nostro stato. San Paolo ci dice che dobbiamo provvederci abbondantemente di ogni sorta d’opere buone per la nostra santificazione. Andiamo un poco più innanzi, e vedremo, M. F., quanti s’ingannano facendo il bene, e camminano sull’orlo dell’inferno. Ci sono alcuni che si rassicurano su qualche virtù che praticano, solo perché vi sono portati dalle loro inclinazioni. Una madre, p. es., si terrà sicura della sua virtù, perché fa qualche elemosina, è assidua alle preghiere, frequenta i Sacramenti, fa anche qualche pia lettura; ma ella vede, senza inquietarsi, che i suoi figli s’allontanano dai Sacramenti. I suoi figli non fanno Pasqua; ma questa madre dà loro di tempo in tempo il permesso d’andare ai piaceri, alle danze, a feste di nozze, e qualche volta anche alle veglie; ama mettere in mostra le sue figliuole, e crede che, se non frequentano certi luoghi, resteranno ignorate e non riusciranno a collocarsi. Sì, senza dubbio, esse resteranno ignorate, ma dai libertini; sì, esse non riusciranno a collocarsi che con persone che le maltratteranno come vili schiave. Quella madre ama vederle ben abbigliate; quella madre ama vederle in compagnia di giovani più ricchi di loro. Ciò non ostante, per un po’ di preghiera e per qualche buona opera che farà, si crede sulla via del cielo. Andate, povera madre; voi non siete che una cieca ed un’ipocrita, la vostra virtù non è che apparente. Vi tenete sicura perché fate qualche visita al Ss. Sacramento: ciò sta bene, senza dubbio; ma intanto vostra figlia è alla danza; ma intanto vostro figlio è alla bettola coi libertini, i quali non c’è laidezza che non vomitino; ma intanto vostra figlia, di notte, va in luoghi dove non dovrebbe andare. Andate, madre cieca e riprovata, uscite di chiesa, lasciate la vostra preghiera; non vedete che somigliate ai Giudei, i quali piegavano i ginocchi dinanzi a Cristo per far mostra di adorarlo? E che? voi venite ad adorare il buon Dio, mentre i vostri figli stanno crocifiggendolo? Povera cieca! voi non sapete né ciò che dite, né ciò che fate: la vostra preghiera non è che un’ingiuria che fate a Dio. Cominciate ad andare in cerca di vostra figlia, che perde l’anima sua; e poi tornerete a domandare a Dio la vostra conversione. – Un padre crederà che basti mantenere il buon ordine in casa sua; non permetterà che si bestemmii, né che si pronuncino parole sconce: ciò va benissimo; ma intanto non si fa scrupolo di lasciare i suoi ragazzi ai giuochi, alle fiere, ai divertimenti. Ma questo signor padre lascia lavorare i suoi operai alla domenica, col minimo pretesto, o anche solo per non contrariare i suoi mietitori o i suoi battitori. Con tutto ciò, voi lo vedete alla chiesa adorare il buon Dio, prostrato al suolo: mentre si dà gran premura di cacciare ogni minima distrazione. Ma ditemi, amico mio, con qual occhio pensate voi che Dio possa guardare costoro? Andate, amico, voi siete cieco; andate a istruirvi nei vostri doveri, e poi verrete a presentare a Dio le vostre preghiere. Ma non vedete che non fate altro che ripetere la commedia di Pilato, il quale riconosceva Gesù Cristo e lo condannava al tempo stesso? Il vostro vicino sarà caritatevole, farà elemosina, si commoverà alle miserie del prossimo: benissimo; ma intanto lascia vivere i suoi figli nella più grande ignoranza: forse non sanno neppure che cosa occorra per salvarsi. Andate, amico : voi siete cieco; le vostre elemosine, la vostra sensibilità non faranno che condurvi a grandi passi verso l’inferno. — Questi avrà abbastanza buone qualità, amerà far piaceri a tutti; ma intanto non può soffrire la sua povera moglie, né i suoi figliuoli, che carica d’ingiurie e forse di mali trattamenti. Andate, amico; la vostra religione non vale niente. — Quegli si crederà abbastanza buono perché non è un bestemmiatore, un ladro, e neppure un impudico; ma intanto non si dà pena di quei suoi pensieri di odio, di vendetta, d’invidia, di gelosia, che lo rodono quasi ogni giorno. Amico mio, la vostra religione non varrà che a perdervi. — Ne vedremo altri, carichi di pratiche di pietà, farsi scrupolo di tralasciare una preghiera che son soliti dire, credersi perduti se non si comunicano in quei dati giorni in cui sono soliti comunicarsi; ma intanto un nonnulla li impazienta, li fa mormorare, una parola non detta come avrebbero voluto, è per loro motivo di freddezza: stentano a veder di buon occhio il prossimo; amano di non aver nulla a che fare con voi; con vari pretesti evitano la vostra compagnia; e troveranno sempre che si manca loro di riguardo. Andate, poveri ipocriti, andate a convertirvi; dopo ricorrerete ai Sacramenti, che, in questo stato, senza saperlo, profanate con la vostra pietà malintesa. Merita certamente lode un padre che corregge i suoi figliuoli quando offendono Dio; ma chi potrà lodarlo del suo non correggersi mai egli stesso dei vizi che riprende nei suoi figliuoli? Nessuno, senza dubbio. No, questo padre non ha che una religione falsa, che lo getta nell’accecamento. Certo, non si può che lodare un padrone il quale riprenda i suoi domestici dei loro vizi; ma si potrà per questo lodarlo quando lo si sente egli stesso imprecare e bestemmiare quando qualche cosa gli capita di contrario? No, no, F. M., costui non ha mai conosciuto né la sua religione, né i suoi doveri. — Uno poserà da saggio, da illuminato, e riprenderà i difetti che scorgerà nel suo vicino: sta bene; ma che pensarne quando si vedessero più difetti in lui che in quegli ch’ei riprende. « Donde proviene questa condotta – domanda S. Agostino – se non da ciò ch’egli è un ipocrita, il quale non conosce affatto la sua religione? » Andate, amico, voi non siete che un fariseo, tutte le vostre virtù non sono che virtù false; tutto ciò che fate e che voi credete bene, non serve ad altro che ad ingannarvi. — Quel giovine lo vedremo frequentare la chiesa e fors’anche i Sacramenti: ma, nel tempo stesso, le bettole e i giuochi. — Quella figliuola si presenterà sì, di tempo in tempo alla sacra Mensa; ma si presenterà anche alle danze e a certi ritrovi in cui i buoni Cristiani non si trovano mai. Andate, povera ipocrita; andate, larva di cristiana; verrà un giorno in cui vi accorgerete di non aver lavorato che per perdervi. — M. F., un Cristiano che vuol salvarsi davvero non si accontenta di osservare un comandamento, di adempiere uno o due de’ suoi doveri; ma tutti osserva i comandamenti di Dio, tutti adempie i doveri del proprio stato.

II. — In secondo luogo la nostra virtù deve essere umile e senza alcun risalto per chi la compie. Gesù Cristo ci avverte di – non far mai le nostre azioni per esser lodati dagli uomini ;„ (Matth. IV, 1)se vogliamo riceverne la ricompensa, dobbiamo nascondere, quanto è possibile, il bene ch’Egli ha messo in noi, per timore che il demone dell’orgoglio non ci rapisca il merito del bene che facciamo. — Ma, forse pensate voi, il bene che facciamo, lo facciamo appunto per il buon Dio, non già per il mondo. — Io non lo so, amico; so che ce ne sono molti che s’ingannano in questo; e credo che non mi sarebbe difficile mostrarvi che voi non avete che una religione esteriore, e non una religione che sia nell’intimo dell’anima. Ditemi: provereste maggior pena sesi sapesse che non digiunate nei giorni prescritti dalla Chiesa, o se si sapesse che digiunate? Provereste maggior dispiacere se vi si sorprendesse a rubar qualche cosa al vostro vicino, o a far l’elemosina? Prescindiamo dallo scandalo Non è forse vero che preferireste esser visto a pregare, che sentito bestemmiare (dato che abbiate fatto l’una e l’altra cosa)? Non è forse vero che preferireste vi si vedesse insegnar le orazioni o dar buoni consigli ai vostri figliuoli, che non vi si sentisse consigliarli a vendicarsi dei loro nemici? — Sì, senza dubbio, direte voi, questo mi spiacerebbe di più. — E perché ciò? Se non perché avete una religione falsa, se non perché siete ipocriti e null’altro? Eppure noi vediamo che i santi facevano tutto l’opposto. E perché? Perché conoscevano la loro religione, e perciò non cercavano che di umiliarsi per attirare sopra di sé le misericordie del Signore. Ahimè! quanti Cristiani non hanno che una pietà d’inclinazione, di capriccio, d’abitudine, e nient’altro! Ma, direte voi, questo è davvero un po’ troppo. —Sì, senza dubbio, è un po’ troppo; ma non per questo cessa d’essere la verità. — Per inspirarvi un orrore infinito di questa maledetta ipocrisia, vi mostrerò dove conduce questo sciagurato peccato con un esempio, che merita davvero di restar ben impresso nei vostri cuori. Leggiamo nella storia che S. Palemone e S. Pacomio vivevano molto santamente. Una notte ch’essi vegliavano e avevano acceso il fuoco, sopravvenne un solitario che voleva restar con loro. Accoltolo tra loro per unirsi e pregare insieme il buon Dio, lungo il discorso, egli disse loro: “Se avete fede, avanzatevi arditamente, e, tenendovi in piedi su questi carboni ardenti, recitate adagio l’orazione domenicale. „ I due santi, udendo una tal proposta del solitario, e pensando che non avrebbe potuto farla che un orgoglioso o un ipocrita, “Fratel mio, gli disse S. Palemone, pregate il Signore; voi siete tentato: guardatevi bene dal commetter simil follia e dal ripeterci tale proposta. Il nostro Salvatore non ci ha detto che non bisogna mai tentar Dio? Ed è un vero tentarlo il domandargli simile miracolo.„ Quel povero cieco, quel povero ipocrita, invece di approfittare del buon consiglio, s’inorgoglì ancor più per la vanità delle sue pretese opere buone; e, senz’altro, s’avanzò arditamente e si mise in piedi sul fuoco, senza che alcuno glielo comandasse, ma spintovi dal demonio, il nemico degli uomini … Il buon Dio, costretto dal suo orgoglio a ritirarsi da lui, per giudizio secreto e terribile, permise al demonio di difenderlo dal fuoco;ciò che l’accecò maggiormente, facendogli credere d’esser già perfetto e gran santo. Il mattino dopo lasciò i due solitari rimproverando ad essi la loro poca fede. “Avete visto,diceva, che cosa può fare colui che ha fede. „Ma aihmè! poco dopo, il demonio, vedendo che quest’uomo era suo e temendo di perderlo, volle assicurarsi la sua vittima e imprimergli il sigillo della riprovazione. Egli prese la forma d’una donna riccamente vestita e andò a battere alla sua cella. dicendogli che era perseguitata da’ suoi creditori, e che temeva di cadere in qualche sciagura non avendo di che pagarli; per questo ricorreva a lui come molto caritatevole. “Deh! Vi supplico, diceva, ricevetemi nella vostra cella, affinché possa esser salva da questo pericolo. „ Quel povero uomo, abbandonato dal Signore, accecato nell’anima dal demonio, non vide il pericolo cui s’esponeva: e la ricevette nella sua cella. Un momento dopo si sentì orribilmente tentato contro la santa virtù della purità e si fermò su questi pensieri. Osò anche accostarsi alla pretesa donna, la quale non era che il demonio in persona, per parlarle più familiarmente, e giunse fino a toccarla. Ma il demonio all’istante gli piomba addosso, lo prende, lo trascina fuori sulla soglia e ve lo sbatte con tanta forza che il suo corpo ne resta tutto ammaccato, e lo lascia disteso al suolo, dove rimane lungo tempo quasi morto. Alcuni giorni dopo, ripreso un po’ di forza e pentendosi del suo peccato, tornò a trovare  i due santi, per metterli a parte della sciagura che gli era toccata. Dopo aver loro raccontato tutto con abbondanza di lagrime: “Ah! Padri miei, disse loro, confesso sinceramente che tutto m’è avvenuto per il mio peccato; io stesso fui causa della mia rovina, perché non ero che un orgoglioso e un ipocrita, che volevo passare per più santo di quel ch’io era. Deh! vi prego, assistetemi, di grazia, col soccorso delle vostre preghiere, poiché temo che, se il demonio mi riprende di nuovo, non mi faccia a pezzi.„ Mentre piangono tutti e tre assieme, ecco d’un colpo il demonio impadronirsi di lui, portarlo via con una rapidità spaventosa attraverso alle foreste fino alla città di Panoplia, dove era una fornace. Ve lo precipitò dentro, e là abbruciò in un istante — Ebbene, F . M., perché gli venne questo castigo sì terribile? Ahimè! perché il suo cuore mancava d’umiltà, sì; ma anche perché egli era un ipocrita e non conosceva la sua religione. Ahimè! quanti fanno molte opere buone, e tuttavia vanno perduti, perché non conoscono bene la loro religione! Molti faranno lunghe preghiere, frequenteranno anche i Sacramenti, ma conservano sempre le stesse cattive abitudini e finiscono per familiarizzarsi e con Dio e col peccato. Ed oh! quanto grande ne è il numero!  Vedete quell’uomo? Pare un buon Cristiano.  Ma provatevi a fargli capire ch’egli ha offeso qualcuno; provatevi a fargli notare i suoi difetti, o qualche peccato di cui s’è reso colpevole nel suo cuore. Subito s’adira e non può più vedervi. Al rancore tien dietro l’odio… Eccone un altro. Voi giudicherete ch’egli non debba accostarsi alla sacra Mensa. E lui vi risponderà villanamente e vi porterà odio, come se foste stato voi la causa del male che ha commesso. Altri, appena capiti loro qualche dispiacere, subito lasciano la chiesa e i Sacramenti. Uno avrà qualche difficoltà col suo parroco, il quale, gli avrà detto qualcosa per il bene dell’anima sua: ebbene, ecco l’odio! Egli ne parlerà male, gusterà sentirne dir male, volgerà in male tutto ciò che gli si dirà. Perché tutto questo, F. M.? Semplicemente perché ha una religione falsa e nient’altro. Un’altra volta negherete a uno l’assoluzione o la santa Comunione; e lo vedrete subito rivoltarsi contro di voi e considerarvi peggiore del demonio. In tempo di quiete, invece, lo vedete servire il Signore con fervore, e vi parlerà di Dio, come un angelo in corpo umano. Perché quest’incostanza? Ahimè! perché egli è un ipocrita, che non conosce se stesso, che forse non si conoscerà mai, e che non vuole neppure lo si riguardi come tale. — Se ne vedono altri che hanno qualche vera apparenza di virtù; e se avviene che qualcuno si raccomandi a loro per ottenere qualche grazia, dopo le prime preghiere, gli domandano subito se abbia ottenuto ciò che chiedeva. Se sì, eccoli raddoppiare le loro preghiere: chissà che possano ottenere anche un miracolo!? … Se invece non sono stati esauditi, li vedete subito scoraggiarsi e perdere il gusto della preghiera. Andate, poveri ciechi; voi non vi siete mai conosciuti, voi non siete che ipocriti. — Un altro vi parlerà con interesse del buon Dio; se voi ne lo lodate, vedrete cadergli persino le lagrime dagli occhi; ma se gli dite anche solo una parola che l’urti un poco, eccolo subito scaldarsi la fantasia; però teme di mostrarsi qual è, e vi porterà un odio celato in fondo al cuore, e per lungo tempo. Perché ciò, se non perché la sua è una religione di capriccio e di puro temperamento? Ebbene: voi ingannate il mondo, e ingannate persino voi stessi; ma Dio non l’ingannerete certo, e un giorno Egli vi mostrerà chiaro che non siete altro che ipocriti. Volete sapere che cos’è una virtù falsa? Eccone u n bell’esempio. Leggiamo nella storia che un solitario venne a trovare S. Serapione per raccomandarsi alle sue preghiere; il santo a sua volta si raccomandò alle sue; ma l’altro, con parole che parevano dettate dall’umiltà più profonda, gli disse ch’egli non meritava una sì grande fortuna, che era troppo peccatore. Il santo gli disse di sedersi accanto a lui; ma l’altro rispose che non ne era degno. Allora il santo, per conoscere se questo solitario era davvero ciò che voleva far credere, si provò a dirgli: “Mi pare, amico, che fareste molto meglio a starvene nella vostra solitudine, anziché correre il deserto. „ Bastò ciò per metterlo in una collera spaventosa. “Ma, amico, riprese allora il santo, voi mi dicevate or ora d’essere un sì gran peccatore, che non volevate neppur sedervi accanto a me; e ora, perché v’ho detto una parola piena di carità, andate in collera. Andate, amico, voi non avete che una virtù falsa, o piuttosto non ne avete alcuna„ (Vita de1 Padri del deserto, t. II, p. 417). Ahimè, F. M., quanti ce ne sono di costoro, che sembrano santi a chiacchiere, e, alla minima parola che li urti un pochino, s’adirano e si fanno conoscere per quel che sono nell’interno del cuore. Ma, se questo peccato è sì grave, osserviamo anche che Dio, pur sì buono, lo castiga assai rigorosamente. Vedetelo da questo esempio. Leggiamo nella santa Scrittura (III Re. XIV) che il re Geroboamo, mandò sua moglie dal profeta Ahia per consultarlo sulla malattia di suo figlio, dopo averla però travestita in modo da offrir tutta l’apparenza d’una donna di pietà.Usava quest’artificio per timore che il popolo non s’accorgesse ch’egli consultava il vero Dio, e notasse la poca confidenza che aveva nei suoi idoli. Ma, sa riusciamo qualche volta a ingannare il prossimo, non riusciremo mai a ingannare Dio. Quando la donna entrò nell’abitazione del profeta, questi, senza neppur vederla, gridò: “Moglie di Geroboamo, perché fingete d’essere diversa da quella che siete? Venite, ipocrita, io vi annunzierò una terribile notizia da parte di Dio. Sì, una notizia terribile; uditela: Il Signore mi ha comandato di dirvi ch’Egli farà cadere ogni sorta di mali sulla casa di Geroboamo; ne farà perire perfino gli animali; quelli di casa sua che moriranno nei campi saranno mangiati dagli uccelli; e quelli che morranno in città saranno divorati dai cani. Andate, moglie di Geroboamo, andate ad annunziarlo a vostro marito.E nel momento stesso che metterete piede in città, vostro figlio morrà.„ E tutto avvenne come il profeta aveva predetto: neppur uno sfuggì alla vendetta del Signore. Voi vedete, M. F., come il Signore punisce questo maledetto peccato dell’ipocrisia. Ahimè! quanti poverelli si lasciano su ciò ingannare dal demonio, e non solo perdono il merito del bene che fanno, ma le loro azioni diventano per essi argomento di condanna. Tuttavia vi dirò, F . M., che non è già la grandezza delle azioni ciò che dà loro il merito, ma la purità d’intenzione con cui le facciamo. Ce ne dà un bell’esempio l’Evangelo. Narra S. Marco (Cap. XII, 41-44) che Gesù Cristo, entrato nel tempio, si assise presso la cassetta in cui si gettavano le elemosine per i poveri, (Il danaro messo nella cassetta era destinato alla conservazione del tempio, piuttosto che al sollievo dei poveri) e stette osservando in che modo il popolo vi gettava il danaro. Vide che parecchi ricchi vi gettavano molto, e nello stesso tempo, vide una povera vedova che s’accostò umilmente alla cassetta e vi mise soltanto due pezzi di moneta. Allora Gesù chiamò i suoi apostoli e disse loro: “Ecco, molti hanno messo elemosine considerevoli in quella cassetta; invece una povera vedova non vi ha messo che due oboli: voi che ne pensate di questa differenza? A giudicar dalle apparenze, crederete forse che abbiano maggior merito i ricchi; io invece vi dico che quella vedova ha dato più di loro, perché i ricchi non hanno dato che un po’ della loro abbondanza e del loro superfluo, mentre la vedova ha dato parte di ciò che le era necessario; la maggior parte di quei ricchi non hanno cercato che la stima degli uomini, per farsi credere migliori di quel che sono invece, la vedova non ha cercato che di piacere a Dio. „ Bell’esempio, M. F., il quale c’insegna con quanta purità d’intenzione e con quanta umiltà dobbiamo compiere le nostre azioni, se vogliamo riceverne la ricompensa. È vero che Dio non ci proibisce di fare le nostre azioni davanti agli uomini; ma vuole che il mondo non v’entri per nulla e Dio solo ne sia il motivo. D’altra parte, F. M., perché voler mostrarci migliori di quel che siamo, ostentando quel bene che non è in noi? Ahimè, M. F., è perché amiamo esser lodati di ciò che facciamo; siamo gelosi di questa forma d’orgoglio, e per procurarcela, sacrifichiamo tutto, il nostro Dio, l’anima nostra, la nostra eterna felicità. Quale accecamento, mio Dio! Ah, maledetta ipocrisia, quante anime trascini all’inferno con azioni che, se fossero fatte bene, le condurrebbero diritte al cielo! Ahimè! una buona parte dei Cristiani non si conosce e non cerca neppure di conoscersi; continua a seguire le proprie abitudini, e non vuol intender ragioni. Sono ciechi e camminano da ciechi. Se, un sacerdote vuol far conoscere ad essi il loro stato, non lo ascoltano, o, se pur fingono d’ascoltarlo, non ne fanno nulla. Ecco, M. F., lo stato più infelice che si possa immaginare e fors’anche il più pericoloso.

III. — La terza condizione necessaria alla virtù vera è la perseveranza nel bene. Non bisogna dunque accontentarsi di far il bene per qualche tempo; vale a dire, pregare, mortificarsi, rinunciare alla propria volontà, sopportare i difetti di quelli con cui viviamo, combattere le tentazioni del demonio, soffrire il disprezzo, le calunnie, vegliare su tutti i movimenti del proprio cuore; no, no, M. F., bisogna continuare fino alla morte, se vogliamo andar salvi. S. Paolo dice che dobbiamo essere fermi e irremovibili nel servizio di Dio e che dobbiamo lavorare tutti i giorni della nostra vita alla santificazione dell’anima nostra, sapendo benissimo che il nostro lavoro non sarà ricompensato se non persevereremo fino alla fine. “Bisogna, ci dice egli, che né le ricchezze, né la povertà, né la sanità, né le malattie, sieno capaci di farci abbandonare la salvezza dell’anima nostra e di separarci da Dio: poiché siamo sicuri che Dio non coronerà se non le virtù che saranno state perseveranti fino alla morte. „ (Rom. VIII, 38). E ciò che vediamo in modo ammirabile nell’Apocalisse e nella persona di un vescovo che pareva sì santo, che Dio stesso ne fa l’elogio. – Io conosco, gli dice Iddio, tutte le buone opere che tu fai, tutte le pene che hai sofferto, la pazienza che hai avuta; sì, lo so che non puoi sopportare i malvagi, e che hai sofferto ogni cosa per la gloria del mio nome; so tutto questo, eppure ho un rimprovero da farti, ed è che, invece di perseverare in tutte le tue opere buone, in tutte le tue virtù, ti sei rilassato, hai abbandonato il primitivo fervore, non sei più quello di prima. Ricordati donde sei caduto, riprendi il tuo primo fervore con una pronta penitenza, altrimenti sarò costretto a rigettarti ed a punirti„ Dite, F. M., di qual timore non dobbiamo esser compresi noi vedendo le minacce che Dio stesso fa a questo vescovo, perché s’era un pochino rilassato? (Apoc. II, 1-5) Ah! F. M.! che cosa siamo noi diventati, anche dopo la nostra conversione? Invece d’andar sempre aumentando, quale fiacchezza, quale indifferenza! No, Dio non può tollerare questa perpetua incostanza, con cui passiamo dalla virtù al vizio, dal vizio alla virtù. Ditemi, F. M., non è forse questa la vostra condotta, il vostro modo di vivere? La vostra povera vita è forse qualche altra cosa che un susseguirsi di peccati e di virtù? Non è forse vero che oggi vi confessate e domani, o forse oggi stesso, cadete di nuovo? Non è forse vero che avete promesso di non trovarvi più con certe persone, che vi hanno spinto al male, e invece alla prima occasione le avete accolte ancora? Non è forse vero che vi siete confessati d’aver lavorato la domenica, e poi  avete ripetuto lo stesso fallo? Non è forse vero che avete promesso a Dio di non tornar più alle danze, ai giuochi, alle osterie, e poi siete ricaduti in tutti questi peccati? E perché questo, M. F., se non perché avete una pietà falsa, una pietà d’abitudine e di temperamento, e non la pietà vera del cuore? Andate, amico, voi non siete che un incostante. Andate, fratello, voi non avete che una divozione falsa; in tutto ciò che fate voi siete un ipocrita e nient’altro: Dio non ha il primo posto nel vostro cuore, ma il mondo eil demonio. Ahimè, M. F.! quanti, per un certo tempo, sembrano amar Dio con tutta schiettezza, e poi l’abbandonano. Che cosa trovate adunque di sì duro e penoso nel servizio di Dio, che vi offenda tanto e vi faccia ritornare al mondo? Eppure, quando Dio v’ha fatto conoscere il vostro stato, voi avete pianto e avete riconosciuto quanto vi eravate ingannato. Ahimè! se avete perseverato poco, è perché il demonio era troppo contristato d’avervi perduto, ed ha fatto tanto che vi ha riguadagnato e spera ora di tenervi assolutamente. Ahimè! quanti apostati! quanti che hanno rinunciato alla loro Religione, e non sono più Cristiani che di nome. Ma, domanderete voi, come possiamo conoscere se abbiamo la religione del cuore, quella religione che non si smentisce mai? — Eccolo, M. F., ascoltatelo bene e voi potrete comprendere se questa pietà l’avete quale Dio la vuole per condurvi al cielo. — Nulla è capace di smuovere chi possiede una virtù vera, egli è come una roccia in mezzo all’oceano flagellata dalla tempesta. Che vi si disprezzi, vi si calunnii, vi si dileggi, vi si tratti da ipocriti, da falsi bigotti, tutto ciò non deve togliervi per nulla la pace dell’anima; voi dovete amarli quelli che vi trattano così, come li amereste se di voi dicessero bene: non dovete tralasciare di beneficarli e soccorrerli,  quand’anche dicano male, e continuare le vostre preghiere, le vostre confessioni e comunioni, la vostra Messa, come se nulla fosse. Per farvelo comprendere meglio, eccone un esempio. Si racconta che in una parrocchia c’era un giovine, vero modello di virtù. Quasi in tutti i giorni assisteva alla S. Messa, e si comunicava spesso. Avvenne che un altro, geloso della stima che si aveva di lui, un giorno che si trovavano tutti e due in compagnia di un vicino che aveva una bella tabacchiera d’oro, il geloso la prese dalla tasca di questi e la mise in quelle del giovine, senza che se n’avvedesse. Dopo questo bel colpo, non facendo mostra di nulla, domanda al vicino di vedere la sua tabacchiera. L’altro crede di averla in tasca, e con grande stupore non la trova. Nessuno può uscire dalla stanza prima che si sia frugato in tasca a tutti. Ed ecco che la tabacchiera si trova nella tasca del giovine. All’istante tutti si mettono a gridare al ladro, e a scagliarsi contro la sua religione; a trattarlo da ipocrita, da falso bigotto. Il giovine non può difendersi, date le circostanze del fatto; perciò tace e tutto soffre come se venisse dalla mano di Dio. Quando tornava dalla chiesa, dalla Messa o dalla comunione, tutti quelli che lo vedevano passare per via lo coprivano di beffe e d’insulti chiamandolo ipocrita, falso bigotto e ladro. Così durò molto tempo. Malgrado tutto, egli continuò sempre i suoi esercizi di pietà, le sue confessioni, le sue comunioni, tutte le sue preghiere, come se tutti gli avessero sempre portato il più grande rispetto. Dopo qualche anno, colui ch’era stato causa di tutto, essendo caduto ammalato, confessò che era stato lui la causa di tutto il male che s’era detto di quel giovine virtuoso e che per gelosia, affine di farlo disprezzare, gli aveva messo lui la tabacchiera nella tasca. Ebbene. M. F., ecco una religione vera, una religione che ha messo radice nel cuore. Ditemi, se tutti quei poveri Cristiani che fanno professione di pietà fossero messi a tali prove, avrebbero essi la forza di imitare quel santo giovine? Ahimè, F. M.! quante mormorazioni, quanti rancori, quanti pensieri di vendetta! E la maldicenza e la calunnia e fors’anche i tribunali! … Si infuria contro la religione, la si deride, la si disprezza, se ne dice male, non si può più pregare, non più ascoltar la Messa, non si sa più quel che si faccia, se ne parla a tutti, si ha premura di dir tutto ciò che potrebbe giustificarci, si accumula e rinvanga tutto il male di quella persona, lo si dice ad altri, lo si ripete a tutti quelli che si conoscono per farli passare quali bugiardi e calunniatori. Perchè questa condotta, M. F . , se non perché non abbiamo che una religione di capriccio, di temperamento e d’abitudine o, per dir meglio, se non perché noi non siamo che ipocriti, i quali servono Dio sol quando tutto va a loro talento? Ahimè, F. M.! tutte queste virtù che vediamo nella maggior parte dei Cristiani non sono che fiori di primavera che il primo soffio di vento caldo fa appassire. Diciamo inoltre che la nostra virtù, per essere vera, dev’esser costante; dobbiamo cioè essere attaccati a Dio e ferventi così nelle croci e nel disprezzo, come quando tutto ci va a seconda. E ciò che hanno fatto tutti i santi. Vedete tutte quelle folle di martiri che hanno sopportato tutto ciò che la rabbia dei tiranni ha saputo inventare e che, non lungi dal rilassarsi, si univano sempre più a Dio. Nulla, né i tormenti, né il disprezzo di che venivano coperti potevano smuoverli. Ma il più bell’esempio ch’io possa darvi credo sia quello del santo Giobbe, nelle prove che il Signore gli mandò. Un giorno il Signore domanda a satana: “Donde vieni? — Dal fare il giro del mondo, gli risponde il demonio. — Non hai tu visto il mio buon servo Giobbe? egli non ha l’eguale sulla terra per la sua semplicità e la sua rettitudine di cuore. — Bella fatica, gli risponde il demonio, ad amarvi e a servirvi” così !… Lo colmate d’ogni sorta di benedizioni… Ma provatelo un poco, o vedrete se vi sarà sempre fedele. — Ebbene, soggiunse il Signore, io ti do ogni potere sopra di lui; non però quello di togliergli la vita.„ — Il demonio, pieno di gioia, nella speranza di portarlo a mormorare contro Dio, cominciò a fargli perdere tutti i suoi beni immensi. Poi per strappargli qualche bestemmia o almeno qualche lamento, gli suscitò contro, di mano in mano, ogni sorta di noie, di disgrazie, di sventure, tanto che il poveretto infine non poteva più respirare. Un giorno, mentr’era tutto tranquillo in casa sua, improvvisamente arriva tutto spaventato un suo domestico, e “Signore, gli dice, vengo ad annunziarti una grande sciagura. Tutte le tue bestie da soma e tutti gli animali adoperati nell’aratura furon rapiti dai briganti, i quali uccisero anche tutti i tuoi servi. Io solo ho potuto sfuggire per venire ad annunciartelo.„ Parlava ancora, quand’ecco un nuovo messaggero più spaventato del primo. “Ah! Signore, esclama, un uragano terribile si è scagliato sopra di noi ; il fulmine del cielo ha distrutto tutte le tue gregge, abbruciato tutti i tuoi pastori: io solo fui risparmiato per venirtelo ad annunciare.„ Non ha ancor finito, che ne arriva un terzo, — poiché il demonio non voleva dargli tempo di respirare e di raccapezzarsi — e, tutto costernato “siamo stati assaliti dai ladri, gli dice, i quali ci hanno rapito tutti i tuoi cammelli e tutti i tuoi servitori; la fuga m’ha sottratto solo alla strage per venirtelo ad annunciare. „ A queste parole eccone un quarto tutto in pianto “Ah, Signore! gli dice, tu non hai più figliuoli !… mentr’essi mangiavano insieme, improvvisamente una furiosa tempesta ha rovesciato la casa, schiacciandoli tutti sotto le rovine: così pure tutti i tuoi servi: io solo fui salvo per miracolo. „ — Durante il racconto di tutti questi che il mondo giudica mali, senza dubbio l’anima sua fu commossa di compassione per la morte dei suoi cari figliuoli. Subito tutti gli amici gli voltano le spalle e l’abbandonano: ciascuno se ne fugge, sicché l’infelice resta tutto solo col demonio, fiducioso d’indurlo, con tanti mali, alla disperazione, o, almeno, a qualche lamento, a qualche impazienza; poiché bisogna ben confessare che la virtù, per quanto solida. non rende per nulla insensibili ai mali che ci travagliano: i santi, non ebbero, diversamente da noi, un cuor di marmo. Questo santo, riceve, in un solo istante, tutti i colpi più sensibili a un grande del mondo, a un ricco, a un buon padre di famiglia. In un sol giorno, da principe e. per conseguenza, da uno dei più felici fra gli uomini, diviene il più sventurato, ricolmo d’infortuni, privo di tutto ciò che aveva di più caro al mondo. A calde lagrime prosterna la sua faccia a terra, ma per far che? per lamentarsi o mormorare? No, M. F., no. La santa Scrittura ci dice ch’egli adora e bacia la mano che lo percuote; fa a Dio il sacrificio delle sue ricchezze e della sua famiglia, e lo fa con la rassegnazione più generosa, più perfetta, più intera, dicendo: “Il Signore è il padrone di tutti i miei beni, poiché ne è l’autore: tutto ciò è avvenuto perché Egli lo ha voluto: sia benedetto in tutto il suo santo Nome.„ (Job 1). Che pensate, F . M . , di quest’esempio? Non è questa una virtù solida, costante, perseverante? E crederemo ancora d’aver qualche virtù, noi quando, alla prima prova, diamo in mormorazioni e spesso abbandoniamo anche il servizio di Dio? Ma ciò non è tutto. Il demonio vedendo che non aveva guadagnato nulla, attaccò la sua stessa persona: il suo corpo diventò una piaga sola, la sua carne cadeva a brandelli. — Vedete ancora, se vi piace, S. Eustachio, come fu costante in tutto ciò che Dio gli mandò per provarlo. Ahimè, M. F.! quanto pochi sarebbero i Cristiani che non si lascerebbero andare alla tristezza, alla mormorazione, e fors’anche alla disperazione, maledicendo la loro sorte, nutrendo odio contro Dio. e pensando: “Ma che cosa ho fatto adunque, per esser trattato in questo modo? . Ahimè. M. F! quante virtù non hanno che l’apparenza! quante virtù non sono che esteriori e, alla minima prova, si smentiscono!… Concludiamo, M. F., dicendo che la nostra virtù, per essere solida e accetta a Dio, deve radicarsi nel cuore, attribuire tutto a Lui, nascondere quanto è possibile le sue buone opere. Bisogna guardarsi bene dal rilassarsi nel servizio di Dio; dobbiamo anzi andar sempre aumentando. E così che i santi si sono assicurati la felicità eterna. Ed è ciò ch’io vi auguro di cuore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Dan III: 40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”.

[Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem.

[O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXX: 3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me.

[Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat.

[O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SULLA BUGIA”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

Sulla bugia.

(DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

(Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933)

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Attendite a falsis pròphetis.

(MATTH. VII, 15).

Guardatevi bene, ci dice Gesù Cristo, dal frequentare quelli che usano astuzia nelle loro parole e nelle loro azioni. Infatti, miei Fratelli, vediamo che nulla è più indegno di un Cristiano, il quale dev’essere un fedele imitatore del suo Dio, che è la rettitudine e la verità per essenza, quanto il pensare una cosa e dirne un’altra. Per questo Gesù Cristo ci raccomanda, nel Vangelo, di non mentire mai: “Dite sì o no. secondo che la cosa è o non è.„ (Matth V, 37). S. Pietro ci dice che dobbiamo essere simili ai piccoli fanciulli, i quali sono semplici e sinceri, nemici d’ogni menzogna e dissimulazione.„ (II Petr. II, 2). Sì, M. F.; se volessimo esaminare le funeste conseguenze della doppiezza e della menzogna, vedremmo che esse sono la fonte di un’infinità di mali che desolano il mondo. Fermiamoci. M. F.. sopra un punto morale sì poco conosciuto e pur tanto necessario. Sì, M. F., non c’è vizio così diffuso nel mondo come la doppiezza e la menzogna: ed è appunto in questo senso che si dice che quasi tutti gli uomini son mentitori. Se vogliamo piacere a Dio, dobbiamo temere assai di contrarre una sì malvagia abitudine, che è tanto più dannosa perché tutto la favorisce e fomenta. Per farvene concepire tutto l’orrore, che dovete averne, vi mostrerò: 1° che cos’è la menzogna e la doppiezza; — 2° quanto Dio stesso l’abbia in orrore; — 3° quanto egli la punisca anche in questo mondo.

I . Se domandassi a un fanciullo che cosa s’intenda per mentire, mi risponderebbe: “Mentire, signor Parroco, è parlare contro il proprio pensiero, dire cioè una cosa e pensarne un’altra.„ Ma, domanderete voi, in quanti modi si può mentire? — Eccolo, M. F.: ascoltate bene. Si mente: 1° per orgoglio, quando si racconta ciò che si è fatto o detto e lo si accresce (Mentire per orgoglio, dice il Beato, è raccontare ciò che si è fatto o ciò che si è detto, aumentandolo. „ E più innanzi aggiunge: “Mentire per orgoglio, dicendo, per farci stimare, più di quello che abbiamo fatto o detto, è peccato mortale.„ Perché ci sia peccato mortale in questa circostanza bisogna che lo cose accresciute, ampliate, scandalizzino gravemente gli astanti, o che il sentimento di orgoglio sia estremamente grave nel cuore di colui «he pronuncia la menzogna). quando insomma si dice più di quello che è;

— 2° per danneggiare il prossimo, dicendo male o della sua persona, o delle sue merci, o quando si dicono cose false per vendetta;

— 3° per piacere al prossimo, e ciò avviene quando nascondiamo certi difetti che dovremmo far conoscere, come fanno quei domestici e quei figliuoli che vedono altri di casa derubare i padroni e interrogati, sostengono che non è vero, che non li hanno mai visti; — ovvero quando, chiamati in giudizio, non diciamo la verità per non far condannare quelli che amiamo ; — 4° per vendere più caro o comprare a miglior mercato, ciò che facciamo per avarizia; — 5° per ischerzare qualcuno, o per far ridere e divertire la compagnia; — 6° nel confessarci. Ecco, M. F., le bugie più comuni e che dobbiamo spiegar bene nelle nostre confessioni, poiché vedete che diversi sono i sentimenti nelle diverse bugie. — Sì, M. F., da qualunque parte vogliamo considerare la menzogna e la doppiezza, esse ci si mostreranno infinitamente odiose. Anzitutto, da parte di Dio, che è la verità stessa, nemico d’ogni menzogna. Ahimè, M. F., quanto poco conosciamo che cosa sia questo peccato! Quanti peccati sono bugie mortali, danno perciò la morte all’anima, e ci tolgono il cielo per sempre! Infatti, M. P., mentire per orgoglio, dicendo, per farci stimare, più di quello che abbiamo fatto o detto, è peccato mortale. Mentire in giudizio è pure peccato mortale, se si nasconde la verità; così mentire per vendetta; mentire in confessione poi è un sacrilegio. Ahimè! quante anime, mio Dio, la menzogna conduce all’inferno! Ma supponiamo, M. F., che tutte, o almeno il maggior numero delle vostre bugie, non sieno che peccati veniali. Ebbene? Abbiamo noi ben compreso che cosa sia il peccato veniale? Scorrete tutte le varie circostanze della passione e della morte di N . S. Gesù Cristo fino al Calvario, esaminate tutto ciò che ha sofferto e potrete farvi un’idea della gravità della menzogna e dell’oltraggio che reca a Dio. Voi dite che la bugia non dà la morte all’anima, né a Gesù Cristo. Ah! sciagurati voi dunque non contate per nulla la sua agonia nel giardino degli ulivi, quando fu preso, legato, maltrattato da’ suoi nemici? voi dunque contate per poco la flagellazione, la coronazione di spine, in cui il suo povero corpo fu ridotto tutto sanguinoso? per poco i tormenti sofferti in tutta quella notte orribile, in cui gli si fece patire tutto ciò che né mente d’uomo né d’angelo non potranno comprendere mai? Per nulla gli orrori che gli si fecero subire mentre portava la croce sul Calvario? Ebbene, M. P., ecco i tormenti che la bugia procura a Gesù Cristo. Vale a dire che ogni bugia che noi diciamo, secondo che è più o meno grave, conduce N. S. Gesù Cristo fino sul Calvario. Dite, F. M., avreste voi creduto di trattare Gesù Cristo, il nostro amabile Salvatore, in un modo sì indegno, ogni volta che avete detto una bugia? Ahimè! quanto è vero che chi pecca ignora quel che si faccia!

II. — Se consideriamo la bugia riguardo a noi stessi, vedremo quanto ci allontani da Dio, quanto affievolisca in noi la sorgente delle sue grazie, vedremo come essa porti il buon Dio a diminuirci i suoi benefizi. Ahimè! quanti Cristiani hanno cominciato la loro dannazione con questi peccati e ora piangono nell’inferno — Ma consideriamola sotto un altro punto di vista; consideriamola in rapporto colla nostra dignità di Cristiani. Noi, o F., che, per mezzo del Battesimo, siamo diventati templi vivi dello Spirito Santo, che è nemico d’ogni menzogna, ahimè! dal momento che abbiamo la disgrazia di mentire, lo Spirito Santo se ne va, ci abbandona, e al suo posto entra il demonio e diventa nostro padrone. Ecco, M. F., i tristi effetti, ecco la rovina spaventosa che la menzogna produce in colui che è sì cieco da commetterla. Eppure, M. F., quanto sono comuni questi peccati nel mondo! Vedete quei padri e quelle madri che continuano tutto il giorno a ripeterle ai loro figliuoli col pretesto di tenerli a bada e farli star quieti. Ahimè! questi poveri infelici non vedono che attirano la maledizione sui loro poveri figliuoli e cacciano lo Spirito Santo dai loro cuori dando loro l’abito di mentire. — Ma, mi diranno questi padri e queste madri, che non hanno mai conosciuto il loro dovere; è per aver un po’ di pace; ci son sempre attorno…; del resto ciò non fa male a nessuno. — Ciò non fa male a nessuno? Ma, amici miei, non contate per nulla l’allontanare da voi lo Spirito Santo, il diminuire in voi la sorgente delle grazie per la vostra salvezza? Non contate per nulla voi l’attirare la maledizione del cielo sopra i vostri poveri figliuoli? non contate per nulla il prendere voi Gesù Cristo stesso e condurlo fino al Calvario? Mio Dio! come conosciamo poco la rovina che il peccato produce in colui che ha la sventura di commetterlo! Bisogna però convenire che le bugie più ordinarie e più perniciose sono quelle che dite nel vendere e nel comprare che fate tra voi: sul che trovo una bella espressione nella santa Scrittura: “La bugia, dice lo Spirito Santo, è tra il venditore e il compratore come un pezzo di legno stretto fra due pietre; „ vale a dire, il guadagno sarà di colui che è più scaltro e astuto e che ha meno buona fede. Vedete il compratore: non c’è bugia che non dica per abbassare il prezzo della merce che compera; vi trova mille difetti, grandi o piccoli. Vedete il venditore: a sua volta, inventa ogni sorta di falsità per elevare il prezzo. E, cosa strana, M. F., colui che ha appena comperato e un minuto fa diceva tanto male della merce, e vi trovava mille difetti, ora che ne è lui il padrone, non c’è menzogna che non dica per elevarne il prezzo e farla valere di più di quello che vale; e, per garantire che dice la verità, quanti giuramenti, quante astuzie, quante parole inutili! E donde ciò, M. F.? dal desiderio d’aver beni o danaro, che ci fa preferire un bene perituro alla salute dell’anima nostra e al godimento di Dio. Ahimè! chi potrà mai comprendere quanto siamo infelici nel vendere l’anima nostra, il cielo, Dio stesso per sì piccola cosa. Ma, mi direte voi, è pur permesso lodare la propria merce. — Sì, senza dubbio, amico, ma quando non si dice che la pura verità…; ma mentire per ingannare il vostro prossimo è permesso? No, senza dubbio ; e lo sapete benissimo. Se uno v’ha ingannato in qualche affare, dite subito che è uno scaltro, un birbante, che voi non avreste mai fatto questo a lui;  e voi, alla prima occasione, ne ingannate, se potete, un altro: e credereste con ciò di diventare un galantuomo? Capite, M. F., fino a qual punto l’avarizia v’acceca? Ma, insisterete voi, quando si vende qualche cosa, si è forse obbligati di farne conoscere i difetti? — Senza dubbio; quando vendete qualche cosa che ha difetti nascosti in modo che il compratore non può né vederli né conoscerli, voi siete obbligati a farglieli conoscere, altrimenti sareste tanto, e anche più, colpevoli quanto se gli rubaste il danaro in tasca, perché là diffiderebbe di voi, mentre qui si fida e voi lo ingannate. Se ciò avete fatto, dovete restituire e riparare la perdita che gli avete causato. Se ciò avvenne in una fiera, per cui non conosciate affatto né la persona, né i suoi parenti, siete obbligati di darlo ai poveri, affinché il buon Dio benedica colui ne’ suoi beni per compensarlo del torto che gli avete fatto. Né credete, M. F., che Dio lasci passare tutto questo: vedrete che al giudizio ritroverete tutte le ingiustizie commesse nelle vostre compere o nelle vostre vendite: persino quelle di un soldo. Ma, direte ancora voi, anch’io sono stato ingannato, e, quando sono stato ingannato, nessuno mi ha mai restituito niente: io faccio agli altri ciò che gli altri hanno fatto a me: tanto peggio per chi si lascia imbrogliare. — Sì, senza dubbio, F . M., ecco il linguaggio del mondo, di quelli, cioè, che non hanno religione. Ma ditemi, F. M., siete proprio ben persuasi che, quando comparirete davanti al tribunale di Gesù Cristo, Egli vi farà buone tutte queste piccole scuse? Che cosa vi dirà? “Miserabili, perché gli altri facevano male, si dannavano e mi facevano soffrire, si dovevano imitare?„ Eppure, a sentir voi, le vostre bugie non fanno male a nessuno. Ma avete riflesso bene a ciò che dite? Prendete tutti i vostri contratti, tutte le vostre vendite, e, una dopo l’altra, ripassate nella vostra memoria tutte le bugie che avete detto. Non è forse vero che non avete mai mentito a vostro svantaggio? e che invece, tutte le volte che avete mentito, fu per ingannare il vostro prossimo, e quindi recargli danno? Quante volte, F. M., vendendo le vostre merci, o le vostre bestie, o altre cose, avete detto che ne avevate trovati tanti …, mentre, il più delle volte, non era vero. Se ciò vi ha fatto vendere di più, esaminatevi, e, nel caso, non mancate di far la restituzione, alla persona, se la conoscete, ai poveri, se non la conoscete. So bene che non lo farete; ma io vi dirò sempre ciò che dovete fare; che se non opererete bene, non per questo io andrò dannato, ma soltanto se non vi facessi conoscere i vostri doveri. Ma, insisterete voi, io non ho fatto più male degli altri, i quali m’ingannano appena lo possono. — Ma se gli altri si dannano, non è proprio necessario che vi danniate anche voi per sì poca cosa. Lasciate che si perdano, poiché non potete impedirneli; ma voi cercate di salvare la povera anima vostra; poiché N. S. Gesù Cristo ci dice che se vogliamo salvarci dobbiamo proprio fare tutto il contrario di ciò che fa il mondo. — Faccio come gli altri, dite voi. — Ma se vedeste uno correre in un precipizio, perché ci va lui, ci andreste anche voi? No, senza dubbio. Dite piuttosto adunque che non avete fede, che poco v’importa ingannare il prossimo, purché vi troviate il tornaconto e di che saziare la vostra avarizia. Ma, domanderete, come dobbiamo dunque diportarci nelle nostre compere e nelle nostre vendite? — Come, M. F.? Ecco ciò che dovete fare, ma che non fate quasi mai. Quando vendete, dovete mettervi al posto di colui che compera; e, quando comprate, al posto di colui che vende; e non mai approfittare della buona fede o dell’ignoranza degli altri per vendere più caro o comprare a miglior mercato. — Ma, direte, malgrado tutte le precauzioni che si prendono, tante volte si resta gabbati. — Eppure, M. F., io devo dirvi che, se davvero desiderate il cielo, benché altri v’inganni, voi non potete servirvi di questo pretesto per ingannare gli altri. — Allora, conchiuderete voi, dato il modo di condursi della maggior parte dei commercianti, credo che ve ne saranno ben pochi di salvi. — E ciò non è che troppo vero; ma pure, benché abbiano a essere pochissimi coloro che si salvano, noi dobbiamo procurare di salvarci. Dobbiamo preferire piuttosto di non esser tanto ricchi, di fare qualche perdita e ingannare meno che possiamo, anziché perdere il cielo.

III. — Ed ora, M. F., per concepire un grande orrore contro la menzogna, non abbiamo che da percorrere la santa Scrittura e vedremo quanto grandi sono i castighi con cui Dio punisce, anche in questa vita, quelli che si rendono colpevoli di questo peccato; e, nello stesso tempo vedremo come i santi hanno preferito e amato tutti i tormenti, anche i più rigorosi, anche la stessa morte, anziché dire una semplice bugia. – Lo Spirito Santo ci dice: “Non mentir mai né ingannare alcuno. „ (Eccli. VII, 14). Il Profeta ci dice che “il Signore farà perire tutti quelli che osano mentire.„ (Ps. V, 7). Sì, M. F., i santi ci dicono che sarebbe meglio che tutto il mondo perisse anziché dire una sola bugia. Ci dicono che, quand’anche una sola bugia bastasse a liberare tutti i dannati dai loro tormenti e condurli al cielo, non dovremmo dirla. Leggiamo nella vita di S. Antimo, che essendo egli cercato dagli arcieri dell’imperatore con l’ordine di togliergli la vita, essendosi questi indirizzati a lui senza conoscerlo, egli fece loro far buon’accoglienza. Quand’ebbero conosciuto dalle sue parole chi egli era, non ebbero il coraggio di farlo morire dopo tanta bontà. “No, gli dissero, noi non abbiamo il coraggio di farti morire, tu ci hai accolti troppo bene; resta: all’imperatore diremo che non ti abbiamo trovato. . — ” No, miei fratelli, disse loro il santo, non è mai permesso mentire; io preferisco mille volte morire ch’essere causa di una vostra bugia.„ E se ne va con loro per soffrire la morte più crudele (Ribadeneuira, Le vite dei Santi, al 27 aprile). Leggiamo nella storia (Ibid.. t. III, 5 marzo) che l’imperatore aveva mandati uomini armati per impadronirsi di un certo giardiniere, chiamato Foca, con l’ordine di farlo morire; ma, siccome non lo conoscevano neppure, incontratolo, domandarono a lui stesso se conoscesse un certo Foca, giardiniere, aggiungendo ch’essi venivano da parte dell’imperatore per farlo morire. Egli, con voce ferma e tranquilla, rispose di sì,  s’incaricava lui di questo. Intanto che glisgherri mangiavano, egli scavò una fossa nel suo giardino. Il domani si presentò loro dicendo: “Vedete, quel Foca che cercate sono io.„ Mai soldati, stupiti, “E come, gli dissero, potremo noi farti morire dopo che ci hai trattati con tanta bontà e liberalità? No, è impossibile: diremo all’imperatore che, malgrado tutte le nostre ricerche, non ti abbiamo trovato.„ — “No, miei amici, disse loro il santo, non mentite; preferisco morire anziché lasciarvi dire una bugia. „ Essi gli tagliarono la testa e lo seppellirono nel suo giardino, dove egli stesso s’era scavato la fossa. — Dite, M. F., questi santi comprendevano sì o no la gravità del male che fa il menzognero? Mio Dio, quanto è misero chi ha perduto la fede, poiché non comprende bene tutto il male che fa il peccato. Lo Spirito Santo ci dice che “ogni bocca che mentisce dà morte all’anima (Sap. I, 11). E nostro Signore diceva ai Giudei “ch’erano figli del demonio, perché in essi non era la verità.„ (Giov. VII, 44). Perché, M. F.? Perché il demonio è il padre della menzogna. — Leggiamo nella vita del santo Giobbe che un giorno il Signore domandò a satana donde venisse. “Torno, rispose il demonio, dal fare il giro del mondo. „ – “Non hai trovato, soggiunse il Signore, il mio buon servo Giobbe, quell’uomo semplice che opera con gran rettitudine di cuore, teme il Signore, ha cura di evitare il male ed è nemico della menzogna e d’ogni sorta di doppiezza? „ (Giob. I) Vedete, M. F., come il buon Dio si compiace di far l’elogio d’una persona semplice e retta in tutte le sue azioni? — Vedete ancora che cosa avvenne ad Aman, favorito del re Assuero, per aver mentito, facendo passare i Giudei per dei perturbatori. Avendo fatto innalzare un patibolo per impiccarvi Mardocheo, vi fu appeso egli stesso. Vedete quel paggio della regina Elisabetta che. per aver mentito contro un altro paggio, fu bruciato sul posto. Leggiamo nell’Apocalisse che S. Giovanni vide, in una visione, nostro Signore che assiso su un trono sfolgorante di gloria, gli diceva: Io rinnoverò ogni cosa. „ (Apoc. XXI, 6). Egli fece vedere la celeste Gerusalemme che era d’una bellezza ineffabile, e gli disse che chi dominerà se stesso e vincerà il mondo e la carne possederà quella bella Gerusalemme; ma che gli omicidi, i fornicatori, gli adulteri e i menzogneri saranno gettati in uno stagno di zolfo e di fuoco, che è una seconda morte. Nostro Signore ci dice che i mentitori avranno nell’inferno la stessa punizione dei fornicatori. Ditemi, F. M., potremo noi considerare come poca cosa o come fallo leggiero ciò che Dio punisce così rigorosamente, anche in questo mondo? Vedete ciò che avvenne ad Anania e a Saffìra sua moglie, colpiti da morte improvvisa per aver mentito a S. Pietro. Leggiamo nella santa Scrittura che, avendo venduto un podere, vollero tenersi una parte del prezzo e portare il resto agli apostoli perché lo distribuissero ai poveri, facendo credere che davano tutto. Volevano parer poveri e restar ricchi; ma Dio fece conoscere a S. Pietro ch’essi lo ingannavano. S. Pietro disse loro: “Come mai lo spirito di satana vi ha ripieno il cuore fino al punto di farvi mentire contro lo Spirito Santo? Non è agli uomini che avete mentito, ma a Dio.„ Appena Anania ebbe udite queste parole, cadde a terra morto. Tre ore dopo venne Saffira, sua moglie, ignara di ciò ch’era capitato al suo marito, e si presentò davanti agli apostoli. S. Pietro le disse: “È  vero che avete venduto il podere per questo prezzo?„ — “Sì, rispose la donna, non abbiamo preso di più.„ Allora riprese S. Pietro: “Come tuo marito, anche tu ti sei accordata per ingannare lo Spirito del Signore. Ma credete forse di poter ingannare lo Spirito di Dio? Tu sarai punita della tua menzogna come tuo marito. Ecco quelli che tornano dall’aver seppellito tuo marito, e presto seppelliranno anche te. „ Appena detto ciò, ella cadde morta, e fu portata via dagli stessi uomini (Act. XV). Tuttavia, M. F., possiamo dire che le bugie più gravi sono quelle che diciamo in confessione, al tribunale della penitenza. Allora non solo disprezziamo il comando che ci impone d’essere sinceri, ma profaniamo altresì il Sangue adorabile di Gesù Cristo; cambiamo in veleno mortale ciò che dovrebbe rendere la vita alla povera anima nostra, e oltraggiamo Dio nella persona de’ suoi ministri, che sono postisul trono della sua misericordia; facciamo rallegrare l’inferno, contristando tutto i1 paradiso; mentiamo a Gesù Cristo che vede e conta tutti i moti del nostro cuore. Voi capite benissimo. M. F., che se aveste mentito in confessione e vi accontentaste d’accusarvi d’aver mentito, non varrebbe niente. Io dico inoltre, M. F., che noi mentiamo col nostro silenzio o con qualche segno che facciamo credere il contrario di ciò che pensiamo. Leggiamo nella storia un esempio che ci fa vedere come Dio punisca rigorosamente i mentitori. Si racconta nella vita di S. Giacomo, vescovo di Nisibi in Mesopotamia, vissuto nel quarto secolo, che, mentr’egli passava per una città, due poveri vennero a domandargli danaro dicendogli ch’era morto un loro compagno e non avevano nulla per farlo seppellire. Sapendo essi ch’egli era molto caritatevole, avevano suggerito a uno dei loro di fingersi morto, ch’essi sarebbero andati dal vescovo a domandargli danaro per poi divertirsi. Infatti quello si getta a terra come se fosse morto davvero. Il santo, pieno di carità, diede loro ciò che poté. Pieni di gioia, ritornarono dal compagno per fargli parte del danaro del vescovo, e lo trovarono morto davvero. Il santo vescovo si era messo a pregare per domandar perdono dei peccati di quel povero uomo. Pregava ancora quando vide ritornare quei due tutti in lacrime, per essere stati puniti della loro menzogna. Essi si gettarono ai piedi del santo e lo pregarono di perdono, dicendo che, se lo avevano ingannato, a ciò li aveva spinti la miseria; e lo scongiurarono, per pietà, di pregare il buon Dio perché risuscitasse il loro compagno. Il santo invece di rimproverarli imitò la carità del suo divin Maestro; acconsentì di cuore alla loro domanda, pregò per lui e il buon Dio rese la vita a chi la menzogna aveva dato la morte. “Perché, figliuoli miei, disse loro il santo, avete voi mentito? dovevate chiedermi semplicemente ciò che volevate; io ve l’avrei dato, e il buon Dio non sarebbe stato offeso ,, (RlBADENEIRA, 15 Luglio). No. M. F., non è permesso mentire, come lo credono certuni, ignoranti e senza religione, per evitare il baccano in casa; non ai figli verso i genitori, non ai domestici verso i padroni. Sarà sempre meno male lasciar gridare il marito, la moglie o il vicino, che mentire. Non è meglio che le sopportiate voi le umiliazioni invece di farle sopportare a Dio stesso? E non dobbiamo neppur mentire per nascondere le nostre opere buone. Quando qualcuno vi domanda se avete fatto qualche opera buona e siete obbligato di parlare, dite di sì, perché la vostra bugia offenderebbe di più il Signore di quello che lo glorifichi la vostra opera buona. Eccone un bell’esempio. Si racconta che un santo, chiamato Giovanni, era andato a visitare un monastero. Quando i religiosi furono riuniti insieme (c’era tra essi un diacono, il quale per umiltà, temendo gli si usasse qualche riguardo non aveva mai detto di esserlo) questo santo domandò se in mezzo a loro non ci fosse qualche ecclesiastico. Tutti risposero di no. Ma il santo volgendosi dalla parte del giovine e prendendolo per una mano, “Ma ecco qui, disse, uno che è diacono!„ — “Padre, gli rispose il superiore, egli non l’ha detto che a uno solo. „ Allora il santo, baciandogli la mano, disse al diacono: “Amico, guardatevi bene dal negare la grazia che Dio v’ha fatta, affinché non vi capiti la disgrazia, che l a vostra umiltà non vi faccia cadere nella bugia. Mentire non si deve mai, non solo con uno scopo cattivo, ma neppure col pretesto del bene. „ Il diacono lo ringraziò, né più nascose ciò ch’egli era (Vita dei Padri del deserto). S. Agostino ci dice che mentire non è permesso assolutamente mai, neppure quando si trattasse di sottrarre qualcuno alla morte, e narra che v’era nella città di Tagaste in Africa, un vescovo chiamato Firmino. Un giorno andarono a lui uomini inviati da parte dell’imperatore, a domandargli un uomo ch’egli teneva nascosto presso di sè. Egli rispose a quelli che l’interrogavano che non poteva né mentire né dire dove l’altro fosse. Al suo rifiuto, quelli lo presero e gli fecero soffrire tutto ciò che la loro crudeltà poté ad essi inspirare. Quindi lo condussero dinanzi all’imperatore; ma questi ne fu sì commosso, che non solo non lo fece morire, ma concesse la grazia a quegli che stava nascosto presso di lui. Ahimè, F. M.! se Dio ci mettesse a tali prove, chi di noi non soccomberebbe? Quanto piccolo sarebbe il numero di quelli che imiterebbero questo santo vescovo, il quale preferì la morte piuttosto che mentire per salvare la propria vita e quella dell’amico. Ahimè, M. F.! è perché questo santo comprendeva tutto l’oltraggio che la menzogna arreca a Dio, e quanto sia meglio soffrir tutto e perdere anche la vita, anziché farsene rei; mentre noi, con il nostro accecamento, riguardiamo come nulla ciò che è tanto grave agli occhi di Dio e ch’Egli punisce così rigorosamente nell’altra vita. Sì. F. M., sarebbe molto meglio perdere, supponiamo la vostra salute, i vostri beni, la vostra riputazione, la vita stessa, anziché offendere Dioe perdere il cielo. Tutti i beni sono per il tempo presente: Dio e l’anima nostra sono per l’eternità. – Abbiamo visto quanto la menzogna e la doppiezza siano comuni nel commercio; non lo sono meno nelle conversazioni nelle conversazioni e nei ritrovi, Se il buon Dio ci concedesse di scoprire e vedere i cuori di quelli che compongono un ritrovo o una compagnia, vedremmo che quasi tutti i pensieri sono diversi dalle parole che escon loro di bocca. Si sa benissimo conciliare assieme il linguaggio e tutte le esteriorità della stima, della benevolenza e dell’amicizia coi sentimenti di odio e di disprezzo che si nutron nel cuore contro quelli coi quali si chiacchiera. Se entrate in una casa e vi presentate a una conversazione dove si è occupati a diffamare la vostra riputazione, d’un tratto tutti cambiano viso, e vi si riceve e vi si accoglie con fare grazioso e quasi vi si soffoca di gentilezze. Non siete ancora uscito, che ricominciano le risa e le maldicenze sul vostro conto. Dite, M. F., è possibile trovare qualche cosa di più falso, di più indegno per un Cristiano? Eppure, ahimè! nulla di più comune al mondo. Gran cosa, M. F.questo mondo ingrato ha un bell’ingannarci, noi possiamo ben essere il suo zimbello; eppure noi lo amiamo, eppure siamo infinitamente felici d’esserne amati! O accecamento del cuore umano, e fino a quando ti lascerai sedurre? fino a quando aspetterai di rivolgerti al tuo Dio, il quale non ti ha mai ingannato, e abbandonerai questo falso mondo ipocrita, il quale non può che renderti infelice e in questa e molto più nell’altra vita? Ahimè, M. F.! quanto è stolto chi gode d’esserne amato e applaudito, poiché questo mondo è sì bugiardo e ingannatore. Chi mai potrà far assegnamento su tutte le astuzie, su tutti gli inganni che si usano nel mondo? E vedete anche, M. F., il vostro linguaggio riguardo a Dio. “Mio Dio, dice quell’avaro quando prega, io vi amo sopra tutte le cose e disprezzo le ricchezze poiché esse non sono che fango in confronto dei beni che ci promettete nell’altra vita.„ Ma, ahimè! quest’uomo, finita appena la preghiera o uscito di chiesa, non è più lo stesso; questi beni, che nella preghiera erano sì vili, ora egli li preferisce a Dio e all’anima sua; egli non si dà pensiero né dei poveri né degl’infermi, e, forse forse li schiva per timore che gli domandino qualche cosa. Direste voi, M. F., che questi è ancor quell’uomo che or ora diceva a Dio ch’egli era tutto suo? — Fate la stessa riflessione per il vendicativo. ” Mio Dio, vi amo, nel suo atto di carità, e con voi amo tutti gli uomini,, ; e non ha ancor fatto due passi, e dice tutto il male possibile del suo vicino. Vedete quell’ambizioso. “Signore, dice nella sua preghiera,s’io ho il bene di amarvi, sono ricco abbastanza, non bramo di più: e un momento dopo si dispera se vede qualcuno fare un guadagno che avrebbe potuto fare lui. E quell’impudico che vi fa i più bei elogi della santa virtù della purezza? Fra qualche minuto vomiterà  ogni sorta di laidezze o vi s’avvoltolerà. Quell’ubbriacone, biasimerà tutti quelli che si danno al vino e perdono la ragionesperperando sì male il loro danaro; e fra un’ora forse, alla prima compagnia, con cui s’imbatterà, si lascerà trascinare all’osteria e s’abbandonerà al vino. Dite altrettanto, F. M. di tutti coloro che sanno mettere assieme le pratiche esterne della religione e le loro cattive inclinazioni. In chiesa, vicino a Dio, sono tutti buoni Cristiani, almeno in apparenza: fuori, sparsi nel mondo, non sono più gli stessi, non si riconoscono più. Apriamo gli occhi. M. F ., e riconosciamo quanto tutte queste menzogne, tutte queste astuzie sono indegne dei figli di quel Dio, che è la carità, la verità in persona. Sì, M. F., siamo sinceri, in tutto ciò che facciamo per Dio e per il prossimo, facciamo per gli altri ciò che vorremmo che gli altri facessero per noi, se non vogliamo camminare sul sentiero della perdizione. In terzo luogo, spesso alla bugia si aggiungono giuramenti e maledizioni. Ciò avviene quasi tutti i giorni. Se qualcuno non vi vuol credere, voi dite subito: “Se ciò non è vero, non possa neppur muovermi. E tanto vero quanto è vero che Dio vi vede, che questa merce è buona, che questa bestia non ha difetti.„ — Guardatevi bene, M. F., dall’aggiungere giuramenti alla menzogna; mai, neppure per attestare una cosa vera. Gesù Cristo lo proibisce. “Quando vorrete garantire una cosa dite solamente: è così, o, non è così; sì, o, no; l’ho fatto, o, non l’ho fatto. Tutto ciò che dite di più, viene dal demonio (Matth. V, 37).„ Persuadetevi bene, M. F., che non sono né le vostre bugie né i vostri giuramenti che vi fanno vendere di più, né danno fede a ciò che dite: anzi, tutto il contrario. Prendete esempio da voi stessi e vedete se vi lasciate gabbare da tutti giuramenti che vi fanno, da tutte le bugie che vi dicono quelli dai quali comprate. Per conto vostro dite: “So che i giuramenti e le bugie non costano loro niente: non hanno altro in bocca!„ Eppure il mondo dice: “Se non mento nel vendere, non venderò quanto gli altri.„ Grosso errore! Più si vede uno accumular menzogne per vendere la sua merce, più lo si sente giurare; e meno gli si crede e più se ne diffida. Ma se, vendendo o comperando, usate il  timor di Dio, comprerete venderete quanto gli altri; con la differenza in più che voi avrete la felicità di salvare l’anima vostra. E d’altra parte, M. F. , non dovremmo noi preferire di perdere qualche cosa piuttosto che perdere l’anima nostra, il nostro Dio, il nostro Paradiso? Alla nostra morte, a che ci serviranno tutte quelle astuzie, tutte quelle doppiezze che avremo usato in vita? Qual rammarico, aver perduto il cielo per sì poca cosa!… – Sentite ciò che narra il cardinal Bellarmino. C’erano in Colonia due mercanti, che, per vendere le loro merci, quasi non dicevano parola senza mentire e giurare. Il loro pastore li consigliò a smettere questa cattiva abitudine, perché tutte queste bugie e tutti questi giuramenti facevano loro male; e si diceva persuaso che, se dicessero semplicemente la verità, Dio non mancherebbe di benedirli. Essi non volevano saperne; pure, per obbedire al loro pastore, finalmente si decisero, e a tutti quelli che venivano per comperare dicevano semplicemente quanto volevano senza mentire, né giurare. Dopo qualche tempo, il pastore domandò se avessero fatto ciò che aveva loro detto. Gli risposero di sì. Allora domandò anche se vendessero meno di prima. “ Signore, dissero quelli, dacché abbiamo smesso l’abitudine di mentire e di giurare, vendiamo più di prima. Ora ci accorgiamo davvero che tutte quelle menzogne e tutti quei giuramenti non sono che astuzie del demonio per ingannare e perdere i mercanti. Ora che la gente sa che non giuriamo né mentiamo più, vendiamo il doppio di prima, e vediamo che Dio benedice la nostra casa in un modo visibile, e tutto ci riesce bene. „ Ah, M. F.! se avessimo la fortuna d’imitare quei mercanti nelle nostre vendite e nelle nostre compere, quanti peccati di meno, quanti timori di meno per l’avvicinarsi della morte quando, nessuno ne dubita, bisognerà pur renderne conto, poiché Gesù Cristo stesso ci dice che dovremo rendere conto anche di ogni parola oziosa» (Matt. XII, 36). Ma, no; a tutto non si pensa. Non doveste anche vendere per un soldo, appena vi si offre l’occasione, voi mentite. Nessun timore, né di far soffrire il buon Dio, né di perdere la vostr’anima, purché guadagniate due soldi, voi siete contenti: il resto non importa. Ma soprattutto guardatevi bene, F. M., dall’aggiungere mai il giuramento alla menzogna. Vedete che cosa avvenne davanti a S. Edoardo re d’Inghilterra. Essendo a mensa col conte Gondovino, suo suocero, oltremodo orgoglioso e gelosissimo fino al punto di non poter soffrire alcuno accanto al re, questi gli disse che sapeva benissimo ch’egli aveva contribuito alla morte di suo padre. “Se ciò è vero, giurò il conte, che questo boccon di pane mi soffochi. „ Orrore! Appena messolo in bocca, gli si fermò nella gola e lo soffocò. Il misero cadde morto vicino al re (Ribadeneira, 13 ottobre)— E vero: Dio non ci castiga sempre in modo così terribile, ma non per questo siamo meno colpevoli dinanzi ai suoi occhi. Che cosa concludere da tutto questo? Eccolo, F. M.: Non avvezzarsi mai a mentire; perché, una volta presa l’abitudine, non se ne può più correggere. Dobbiamo essere sinceri, veritieri in tutto ciò che diciamo o facciamo. Se non ci si vuol credere, pazienza! Non costringete mai altri a mentire; ci sono di quelli soliti a questionare tanto che quasi vi costringono o a dir bugie o andar in collera. Questi sono ancor più colpevoli di chi mente, perché, senza di essi egli non avrebbe mentito. In confessione bisogna precisar bene le bugie che abbiamo dette, poiché avete visto che ce n’è di quelle che possono essere peccati mortali, secondo l’intenzione che si ha nel dirle. D’altra parte, M. F., come mai potremmo adoperare a mentire la nostra lingua che più volte fu irrorata del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo; la nostra bocca che tante volte ha servito da tabernacolo al Corpo adorabile del Signore? Mio Dio, se pensassimo bene a tutto questo, dove troveremmo tanto coraggio? M. F., beato colui che opererà sempre con schiettezza e dirà sempre la verità! È la felicità ch’io vi auguro di cuore…

LO SCUDO DELLA FEDE (164)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (32)

FIRENZE, DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi

PUNTO VII.

Che cosa debbano aspettarsi i Regnanti ed i popoli, e singolarmente i liberali dal Protestantismo.

62. Apost. È veramente una grande infelicità, ed insieme un’onta, una vergogna, un obbrobrio per la vostra Riforma l’aver perduto là sua religiosa libertà, l’andar sottoposta non solo ad un Papa, ad un Papismo, ma a tanti Papi e Papismi, quanti sono gli Stati, anche microscopici, ove ella si trova: e per soprassello di umiliazione, di avvilimento, sottoposta persino alle donne, ai ragazzi!!! Poffare! Almeno il Papismo Cattolico è decoroso, onoraio, encomiato da’ suoi stessi nemici. Caro Protestantismo, comincio a nausearmi di voi; perché io sono liberale liberalissimo, Italiano (capite?) Italianissimo; e voi, per quanto si pare da ciò che adesso mi avete detto, sembra siate nato fatto per promuovere ed assicurare le ambiziose speranze, la felicità dei regnanti. Ora capisco perché certi sovrani semicattolici poco si curano, che sia manomessa da’ vostri emissarii la Cattolica Fede.

Prot. T’inganni a partito, e per levarti d’inganno, eccoti la bella dottrina predicata, insegnata a questo proposito dal mio gran Patriarca Lutero. « I Principi sono ragazzaglia, stupidi, tiranni, masnadieri, custodi di carceri; manigoldi; scimuniti, bolle d’acqua, cani furiosi, gente tutta da esser tolta di mezzo spargendone il sangue, e lavandosene le mani. » (Lutero, nel suo scritto: Dell’autorità secolare, e sino a qual punto si debba obbedire).

Apost. Viva Lutero!… Viva l’Apostolo, il Banditore della libertà: viva! viva!

Prot. Adagio, adagio, bambino mio. Prima di cantar l’evviva, ascolta che cosa predicava e insegnava a’ Principi e ai popoli lo stesso Lutero contro i tuoi pari.

« Hannovi di presente circostanze talmente nuove, che un Principe può ben guadagnarsi il Paradiso spargendo copiosamente il sangue altrui; mentre altri per ciò ottenere han mestieri di esercitarsi in lunghe e continuate orazioni. Ognun che possa, ferisca di coltello, si levi diritto e scanni e uccida i contadini (ribellati): beato colui che darà la vita in questa pugna, perocché non può morire alcuno più santamente, più felicemente di lui. Oggimai non è più tempo di dormire, di starsene colle mani alla cintola. Lungi la pazienza, lungi la misericordia e la grazia; è sonata l’ora dell’ira e della spada. Ognuno che col ferro in mano sen muore combattendo in difesa dell’autorità, può essere un vero martire in faccia a Dio; poiché egli obbedisce e compie valorosamente il comando dell’Eterno. Ma chi prende le armi a pro de’ contadini, e rende lo spirito sul campo di battaglia in loro difesa, oh! Questi è un tizzone tratto dal fuoco eterno dell’inferno, perché ha snudata la spada per disobbedire a Dio, e per combatter la parola di lui; questi; lo ripeto, è un membro del diavolo, Va’, figlio, in nome di Dio: incendia, ruba, ammazza, secondo ti vengono alle insanguinate mani i contadini, o le robe loro. Tuttociò che di male ti verrà fatto di recare a costoro, fallo allegramente, in buona coscienza, e con fede costante; non aver pietà di cosa alcuna; pensa che tutto ti è lecito secondo gli usi della guerra. A questo solo pon mente che devi dimenticare ed aver per nulla le vedove, e gli orfanelli da te privati de’ loro sostegni.  »  (Lutero, Op. contro i contadini ribelli, ladri e assassini, Wittemberga 1525). Che te ne pare? Ora canta l’Evviva.

Apost. Ah sanguinario tiranno! Assassino dell’umanità! Morte a Lutero! morte! morte!… Viva però la vostra Riforma; che sdegnando questi ferali principii, ov’ella apparisce, sempre apparisce in compagnia della libertà.

Prot. Erri di molto, dovevi dire: Sempre apparisce in compagnia del disordine e della sventura. « In Alemagna non ci era libertà politica, né la Riforma ve l’ha punto introdotta: anzi ha piuttosto rafforzato che affievolito il potere de Principi: è stata più contraria alle istituzioni libere del medio evo, che non favorevole al loro sviluppamento. » (Guizot, Cours d’Histoir Modern. XII Leçon, p. 23.) Per la sua influenza …

» L’impero (germanico) divenne un vasto cimitero, Ove due generazioni furono inghiottite, ove le città non divennero che ruine e mucchi di cenere, le scuole deserte e senza precettori, l’agricoltura distrutta, le manifatture incendiate. Arroge, dove gli spiriti caddero inviliti, consumati, dispettosi. Così noi vediamo la nazione tedesca per una parte del secolo XVI in una specie di torpore, incoltura pressochè totale. La sua letteratura, durante questo periodo, resta indietro a quella degli Italiani, de’ Francesi e degli Inglesi! » (Willers; Op. Sopra lo spirito e l’influenza della Riforma di Lutero, p. 273).

PUNTO VIII

Le Società Bibliche protestanti, e i loro agenti: – Chi sieno:- Che cosa cerchino: – Gli ingannatori : – La Chiesa bottega.

64. Apost. Quei vostri Missionarii mandati dalle vostre Società bibliche a regalarci Bibbie e libercoli, asseriscono in ogni punto tutto l’opposto di quello che voi mi dite. Come va questa cosa?

Prot. « La società biblica Inglese ed estera con quel suo far comunanza con tutti, e con quel prendere accordo con uomini di ogni confessione religiosa, chiarisce non solo un’idea, ma eziandio un fatto, cioè stabilisce un largo sistema d’indifferentismo nelle cose spettanti alla Religione, il quale non vi ha dubbio, è nocevolissimo ai veri e puri interessi del Vangelo. Non vediamo già noi, co’ nostri medesimi occhi le triste conseguenze che ne sono l’infausto parto? Non è forse l’incredulità che ci passa dinanzi come in trionfo, facendoci il viso dell’armi? » (Vix, Op. cit. c. 1, punto 2, p. 66).

« Il comitato della Società biblica di Londra ha la sfrontatezza di asserire, che un incredulo può pur troppo essere un buono e saggio agente (ossia missionario). E quasi ciò fosse poco, i loro fratelli della Scozia non se ne contentano, ma procedendo innanzi, uno di essi giunse fino a dire che egli non avrebbe avuto nessun dubbio, che fosse stato tale da perturbargli la mente, allora che si persuadesse di servirsi e giovarsi del Diavolo stesso! (Thomson, Discorso intorno alle Società Bibliche 1830, p. 17).

« Parecchi eziandio di quelli che in fatto di religione sentono altamente ed hanno per conseguente una profonda venerazione pel libro della Bibbia, sono al presente rimasti sul forse, se battendo questa via si possa poi, come si è voluto pur cotanto decantare, afferrare ed ottenere l’intento di render comune, universale la cognizione e la virtù. Facilmente sonò giunti a credere, covarsi qualche non puro intendimento nel cuore di queste bibliche Società; e non sono molto lontani dall’opinare, non aver esse altro scopo che tentare Iddio a benedire gli uomini di tante fatiche cadute invano col darsi attorno a distribuir Bibbie, e premiarli mediante beni mondiali e passeggeri. » (Niemeyer; Osservazioni fatte ne’ miei viaggi in Inghilterra etc., Tom. I, p. 208).

« In molte parti dall’universale degli uomini si tien per fermo, avere oggimai le Società Bibliche una meta a raggiugnere assai ben diffente da quella che pur vorrebbero addimostrare al di fuori. L’affaccendarsi degli Inglesi, e quel non darsi posa per ispargere e seminar Bibbie per ogni trivio, non fa mostra nel vero di disinteresse; ma anzi dà ‘indizio non dubbio di qualche vile guadagno o ruberia? » (Il Mercurio del Reno 1814, N. 157).

65. Andando infatti, i loro agenti, o Missionarj, a far proseliti tra gli infedeli, « come prima giungono in mezzo a quei popoli, non fanno altro che trasformarsi di missionarj che erano in tanti conquistatori, arraffando ed usurpando i terreni più. Ubertosi de’ selvaggi, dando loro, per illuderli, o come infinto cambio, qualche cattivo fucile, e altre e tali oggetti ormai, fuori di uso. Quindi i rapiti campi coltivano a proprio profitto, facendo piantagioni di zucchero, di caffè e d’indico. Quindi comprando a vilissimo prezzo i bestiami e gli altri prodotti del paese, non si vergognano di stare alla vedetta per venderli a prezzo carissimo ed enorme a naviganti che per avventura si accostano a quelle spiagge. L’educazione morale e civile di quelle genti bisognose d’ogni soccorso, loro non importa un nulla, né le degnano neppure di uno sguardo benigno. Innalzano qui e colà, per salvar apparenza, come han fatto nelle isole della Società del mare del sud. cappelle e Oratorii; ma accanto ad esse (N. B.) mettono botteghe, e spacciano acquavite. » (Il Times, Vedi la Gazzetta universale di Augusta 1840, N, 60.)

« Le navî di Francia conducono seco veri messaggeri del Vangelo; le nostre navi Inglesi non lasciano a terra che speculatori di terreni e di ricchezze, i quali sempre colla Bibbia in mano comprano campi, bestiami, prodotti de’ paesi per far la buona fortuna dei loro figli, e costituirli in ricchi proprietari negozianti.» (Lettera da Londra di un protestante. Vedi la Gazzetta Universale di Augusta 1848, N, 103).

Apost. Indegna condotta, ma almeno annunzieranno a quei popoli, come annunziano a noi, la stessa dottrina del gran Patriarca Lutero.

Prot. Sia pure: ma senti ciò che Lutero medesimo ne ha lasciato scritto:

« Quando una volta noi non avremo più nulla a temer, quando saremo lasciati in pace, allora sarà il tempo di rettificare i nostri inganni, le mostre bugie ei nostri errori. » (Lettera di Lutero, del 30 Agosto 1530, ultimamente ritrovata e pubblicata, Vedi L’Univers, 25 Mai 1845).  Hai capito?

PUNTO IX.

Anche gli atei sono riconosciuti e accettati come veri membri della Riforma protestante! Questo fa Orrore. — Guai a chi abbandona la fede cattolica, unica vera. — Conclusione.

66. Apost. Oh: qual velo mi avete tolto dagli oechi! I vostri emissarii ed agenti, e singolarmente quei mercanti di bibbie, e di coscienze, che si dànno il titolo di Ministri, di annunziatori del puro Vangelo, gridano a tutta gola, e fanno gridare dai oro affiliati: che la Chiesa Romano-Cattolica è la brutta Chiesa dell’anticristo: che ha corrotto la Santa Scrittura, la vera dottrina, i costumi: che essa è la Chiesa-bottega; che ha un Papato tirannico; e leggi sanguinarie: che è nemica d ogni verità e libertà: che il Papa; i Vescovi; i Preti, i Frati sono tutti ingannatori del genere umano; etc. etc.. Ora voi confessate, anzi asserite che: tutto questo appartiene veramente e propriamente alla Protestante Riforma ed ai suoi Ministri, i quali; oltre tutto il resto, nel correr qua e colà, a far proseliti covano nel cuore qualche non puro intendimento.» Hanno una meta a raggiungere ben differente da quella che pur vorrebbero addimostrare al di fuori !!! Con ciò mi confermate nel fondato sospetto che già ne fecero persone avvedute; cioè che la loro meta, il loro intento non puro, sia d’impadronirsi col tempo del nostro ameno Paese, di spogliarci delle nostre sostanze, di aggravarci allora delle loro dure catene, come han praticato nell’isola infelice di O-Thaiti, il cui popolo già sì ricco e industrioso; hanno talmente oppresso a forza di espoliazioni, angherie e vessazioni, che di 130,000 abitanti che erano quando essi vi entrarono, secondo il computo di Forster, l’hanno in breve tempo ridotto a 6,000. Infelici! (Ciò è testificato dai medesimi protestanti. Così ne fa fede un testimonio oculato; il cav. Ottone de Kotzebue, capitano di vascello al servizio dell’Imperatore di Russia, nella relazione del suo viaggio dal 1823, al 1826. Allora erano ridotti a 8,000 – Weimar, T. I, p. 92-100-115-118, ed è confermato dal Quaterly Reviec, nel N. di Marzo 1841; p. 40. In questa epoca erano ridotti a 6,000,). Asserite inoltre che la Chiesa Cattolica non solo va esente dà quelle macchie, ma che è l’unica vera Chiesa di Gesù Cristo: e (quello che più mi punge) asserite, che noi disertori del Cattolicismo siamo da voi riputati come la feccia della Canaglia !!! – Con tutto ciò ammiro e lodo la vostra sincerità, e per degna gratitudine e ricompensa voglio ancor io parlarvi sinceramente, e levarvi d’inganno sul conto mio e de’ miei bravi compagni di apostasia. Sappiate dunque, e tenetelo a mente, che di quanti arrolati ci siamo sotto la vostra bandiera nessuno è propriamente protestante, nessuno è vostro; perché siamo tutti o increduli affatto che nulla crediamo, o affatto indifferentisti, a cui nulla importa di avere una religione speciale; onde noi siamo bensì veri seguaci della vostra pensione, ma non già della vostra lorda religione, se non in quanto è connivente a tutte le scellerate passioni. Credete forse che io esageri? Provate a toglierci la pensione, e vedrete.

Prot. Balordo che sei! Credi tu che ti sia facile il non esser protestante, o l’uscire dal Protestantismo, come facil ti fu l’apostatare dal Cattolicismo? Balordo che sei! Se non vuoi esser Cattolico, sei per necessità protestante, perché tutto ciò che non è cattolico, è protestante, è posso addurtene una dogmatica decisione. Credi forse che io esageri? Leggi gli Atti delle Camere di Berlino del mese di Gennaio 1859, ove troverai: che – I comuni dissidenti (sette protestanti) invocarono in favor loro le libertà religiose concedute dagli articoli 12 e 16 della Costituzione, e tuttavia negate loro fino ad ora; che il Ministro si dichiarò. pronto ad annuire ad una tale richiesta, confessando però, che tra le sette dissidenti alcune ve ne erano le quali più non credono neanche all’esistenza di Dio! — Che si opposero loro i Cattolici, e i Protestanti credenti, ma il Governo riconobbe quelle sette (N. B.) come Società religiose (protestanti), e accordò le domandate libertà » (Vedi la Civiltà Cattolica, 2 Aprile 1859, Prussia, Corrispondenza di Berlino, N, 3.); vale a dire; libertà di professare l’ateismo senza cessare di appartenere alla Riforma protestante. Né ciò ti deve recar meraviglia, mentre ti ho già dichiarato (sop. n. 64), che il diavolo stesso da noi si riconosce e si ammette per un buono agente, ossia buon Missionario, e per conseguenza buon membro della nostra Riforma…. Anzi egli ne è il membro primario, il primario suo fondatore, essendo ormai fuor di dubbio che fu egli il gran Maestro del nostro gran Padre Lutero! (Vedi sop: c. 3, § 1, n. 38). Onde altra via non ti resta per non esser protestante, per uscire dal Protestantismo, che far ritorno al Cattolicismo. Hai capito?

Apost. Ma che diavolo è questa vostra Riforma? Alla larga!!!.

Prot. « Ritrovasi nel nostro odierno protestantismo (o Riforma) un malore, che sebbene non mi saprei a prima giunta ravvisare, nondimeno tale si mostra che ributta e spinge altrui ad allontanarsene; e conduce di necessità un uomo onesto ad anelare di spogliarsi di quelle vesti disonorevoli, e rivestirsi delle gloriose e sante divise del fedele cattolico… Perciocché si è voluto sottilizzare per maniera, da giungere infino al punto estremo; male avvisando di tramutare ogni fede positiva in pure idee razionali, vuote per conseguente non men di senso che di vita. Con una smania violenta ed irrequieta si è menata tanto avanti la ragione, da farla in fine soprastare per guisa al dominio terreno della fede, che insultasse e facesse villanie ed ingiuria a Cristo; volendo torlo giù dall’augusto, suo seggio, e porre lei usurpatrice e tiranna in quel posto. » (Ammon, L’unità invariabile della Chiesa evangelica, Dresda 1826, p., 50.).

« Noi, così facendo, assisterem pur troppo fra poco alla fine ed alla mala morte del protestantismo; noi vedremo o presto o tardi menarsi sopra di lui glorioso trionfo, e sarà il Papismo quello che lo schiaccerà co’ suoi piedi, e farassene sgabello. » (Zimmermann, nella Gazzetta universale eeclesiastica di Darmstadt 1826, N, 1, p. 9). Imperocchè:

« La Chiesa (Romano-Cattolica) è la vera Chiesa. Essa è il sostegno e la colonna della verità. In questa chiesa Iddio miracolosamente conserva il Battesimo, il testo del Vangelo in tutte le lingue, la remissione dei peccati, il Sacramento dell’altare, la vocazione e l’ordinazione dei Pastori, la consolazione nell’agonia, l’immagine del Crocifisso, e in pari tempo la memoria della Passione e della morte di Gesù Cristo; il Salterio, l’ Orazione Domenicale, il Simbolo, il Decalogo e molti pietosi cantici. In essa si trovano le vere Reliquie de’ Santi. Essa, senza dubbio; è stata ed è tuttora la Santa Chiesa di Gesù Cristo. In essa hanno abitato i Santi, perché vi sono le istituzioni e i Sacramenti di Gesù Cristo. » (Lutero, De Missa privata, T. 7, Opp. p. 236, e seg.).

Insomma, concludiamo:

« Il Cattolicismo è l’ultima risorsa delle menti che vogliono una fede, e de’ cuori che vogliono una religione. » (Sentenza pronunziata nel Sinodo protestante di Berlino, tenutosi nel Maggio del 1846). Quindi:

« Il primo passo onde altri si dilunga dalla Chiesa Romana, è anche il primo per avvicinarsi a quel punto ove si perde la fede » (Tommaso Green, Op. e luog. cit. nel Frontispizio di questa Operetta.).

Ho detto…. Addio, galantuomo.

F I N E

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (XI)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (XI)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A  TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO VICENZA Società Anonima Tipografica – 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922. Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

TERZO PRINCIPIO FONDAMENTALE: L’amore a Nostro Signor Gesù Cristo

CAPITOLO V.

Il migliore Maestro e Direttore delle anime.

1. Giunto all’età perfetta, comincia il Salvatore la sua vita pubblica. Come Profeta e come Maestro era già stato preannunziato nella Scrittura, e l’insegnamento sosteneva la parte essenziale dell’ufficio suo di Redentore. Senza la fede è impossibile vivere rettamente e salvarsi. Abbiamo bisogno, quindi, d’un maestro, ed il migliore e più sapiente lo troviamo in Gesù Cristo nostro Salvatore. –

2. E certamente Egli aveva tutte le doti per insegnare. La prima è l’autorità. Istruire ed educare è in certo qual modo creare, potere che appartiene esclusivamente a Dio ed a chi Egli l’abbia comunicato. L’autorità del Salvatore non derivava dagli uomini, ma dalla sua stessa persona divina, e siccome era Sommo Sacerdote, così del pari era Maestro per natura. Tutto questo si dica della seconda dote, della scienza. Cristo è Dio, la Verità, l’Unigenito e la Sapienza del Padre, partecipe di tutti i secreti del cielo e del cuore umano. Quante volte, nel corso della sua predicazione, si valse di quest’interno conoscimento delle anime! La terza dote dell’insegnamento suo è l’efficacia, che anzitutto derivava dalla santità della sua vita, la quale già di per sé era un vivo insegnamento; seguiva, quindi, il potere di far miracoli, coi quali confermava irrefragabilmente la propria dottrina, ed infine la grazia che a tutto questo aggiungeva per muovere i cuori, e rendere facile e soave l’adempimento de’ suoi precetti. Per questo Egli insegnava come avente autorità, ed i suoi insegnamenti erano d’un’efficacia incomparabile.

3. E che cosa insegnava il Salvatore? Anzitutto, ciò che voleva Dio che insegnasse, e ciò che era necessario ed utile per noi. C’insegnò a considerare Dio come Padre, e come nostro ultimo e beato fine; c’insegnò la preghiera, l’umiltà, l’abnegazione e la resistenza alla passione dominante, ed il modo di portare la nostra croce con rassegnazione ed altresì con gaudio; ci insegnò ad amare Dio sopra tutte le cose e con tutto il nostro cuore, ed il prossimo come noi medesimi. Questo è il compendio della sua dottrina: quanto potevamo aver bisogno in questo mondo per essere felici. E spargeva questi insegnamenti dovunque e di continuo a piene mani, e sebbene avesse potuto dirci di più all’infinito, volle farne riserva pel Cielo, perché avessimo il merito della fede. Lassù Egli ci comunicherà tutto, e senza pericolo di farci cadere in superbia. Gesù Cristo c’insegna la scienza, ma più ancora la sapienza, e la più alta sapienza consiste nel credere.

4. Il modo che adoperava il Salvatore nell’insegnare era, in primo luogo, con una tale chiarezza e semplicità, che persino i più rozzi ed i fanciulli potevano intenderlo; e nello stesso tempo con una profondità e con sì elevati sensi, che nemmeno l’intelligenza più acuta poteva, senza una sua spiegazione, penetrare sempre tutto il valore delle sue parole. In secondo luogo, istruiva con prudente moderazione e misura, senza dire tutto a tutti, e sempre a tempo debito (Luc. V, 35), per non sopraccaricare l’intelletto e la volontà degli uomini, o impor loro più di quanto avessero potuto portare. – Viene richiesto dal giovane ricco come poteva conseguire la sua salvezza, e Gesù Cristo passo passo lo va conducendo dai più semplici doveri all’osservanza dei Comandamenti sino ad indicargli i consigli (Matt. XIX, 16 sgg.). Agli Apostoli dice che non potevano ancora comprendere tutta la verità, ma che più tardi saprebbero tutto (Giov. XVI, 12). E quanta saggezza e prudenza dimostrò Egli nel rivelare la sua morte di croce ed il mistero della sua divinità! Finalmente, il Salvatore insegna con grande pazienza, spargendo instancabilmente la semente feconda della sua dottrina nei cuori, sebbene veda che di sovente va a cadere sull’aperto cammino o tra le spine, ed è calpestata o mangiata dagli uccelli, o non germina, o viene soffocata o dà il frutto con somma lentezza. Ma Egli non si stanca mai: ancora nella prima solennità di Pasqua il granellino della fede era caduto nel cuore di Nicodemo, ed aspettò di germogliare tre anni dopo, in seguito alla morte del Signore in croce, Quanto tempo spese nel formare gli Apostoli e renderli degni dell’ufficio a cui li aveva chiamati! Ed il risultato coronò magnificamente le sue fatiche, non soltanto per le anime di ciascuno di essi, ma per le anime insieme di tutta l’umanità; e se la Giudea, terreno pietroso, non ricevette la semente divina della sua parola, lo Spirito Santo a mezzo degli Apostoli la portò ai gentili e di essi formò un mondo cristiano; con scienza, civiltà, leggi ed arti cristiane. E prosegue l’opera sua il Salvatore, mediante la predicazione, convertendo le anime, insegnando agli ignoranti, infondendo il conforto e la letizia nei cuori (Sal. XVIII, 8).

5. Abbiamo bisogno di verità, di luce e di grazia; abbiamo bisogno d’un maestro che ci guidi: dove trovarlo se non in Gesù Cristo? Egli è nostro Dio, e come ci trasse fuori dal nulla, così continua a formarci e ad educarci; Egli è il Signore della nostra coscienza e conosce le nostre debolezze e la suscettibilità nostra di essere educati; Egli sa renderci perfettamente felici, ha la pazienza di sopportare l’incostanza nostra e la nostra miseria; tiene a sua disposizione grazie potenti, per compiere l’opera sua felicemente. Cerchiamolo come Nicodemo, come Pietro, come Andrea, come Natanaele, i quali trovarono in Lui il Maestro sapientissimo inviato da Dio, il Signore della loro coscienza, della loro vita, della loro felicità. Maestro, dove abiti? Gli domandarono; e immediatamente Lo seguirono e divennero suoi discepoli (Giov. 1, 37 segg.). Cerchiamolo, leggendo e meditando il suo santo Vangelo. Oh! il gran bene che si ricaverà dal sedersi ai piedi della Verità eterna e dall’ascoltarne le parole! E quando, come si apprende dal Vangelo, Dio medesimo viene agli uomini per portar loro la sua legge soave e vivificatrice e per rivelare agli stessi, con parole sublimi e semplici nello stesso tempo, i secreti del cielo, chi potrebbe dubitare che in esse non s’inchiudano verità d’una importanza immensa, spettacoli celesti meritevoli di tutta considerazione e tali da riempirci d’ammirazione e d’amore verso quell’intelligenza altissima e quel Cuore sapientissimo da cui questi insegnamenti scaturiscono? Lì abbiamo il Maestro più sapiente e guida delle anime; lì abbiamo Gesù Cristo che realmente ci conduce alla salvezza, alla sapienza ed alla giustizia dinanzi a Dio (I. Cor. IV, 30). Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole lì vita eterna (Giov. VI, 69). Con questa risposta piena di fede e d’amore, allontanò Pietro i pericoli d’un’ora decisiva; la vittoria fu il risultato d’un’altr’ora felice, in cui seduto ai piedi del suo Maestro ascoltò attentamente le istruzioni sue. Rabbonì, buon Maestro, fu la parola con cui Maddalena, la discepola del Signore, lo salutò al vederlo la prima volta dopo risuscitato (Ib. XX, 16): unica parola, ma che comprende tutto quello che la Maddalena sa, sente ed è. Non si danno corrispondenze più belle, più nobili, più delicate né più commoventi di quelle che corrono tra il discepolo e 1’educatore, perché esse sono un complesso di rispetto, di gratitudine, di confidenza e d’amore.

CAPITOLO VI.

Il Figliuolo dell’Uomo.

Il sovrannome di Figliuolo dell’Uomo col quale i profeti preannunziarono il Salvatore (Dan. VII. 13 segg.) e che Egli diede a sé medesimo ripetute volte (Matt. XXVI, 64), non lo prendiamo qui nel significato di Messia, Figliuolo di Dio o capo dell’umanità, ma in quello di persona che sostiene la natura umana nel senso più perfetto ed elevato della parola. Il Salvatore è l’espressione e l’immagine del più amabile degli nomini. E questa amabilità rilevasi in tre cose principali.

1. La prima è che il Salvatore visse costantemente la vita ordinaria degli uomini. Non così San Giov. Battista, suo precursore e profeta la cui vita fu straordinariamente austera, rozzo il vestito e la sua dimora il deserto, senza che méttesse mai piede nelle città. La sua voce potente udivasi sulle rive del Giordano, attraendo là le moltitudini. Gesù Cristo, al contrario, abitò e visse tra gli uomini, trattando continuamente con essi come membro di una stessa famiglia e di una medesima società. Si sottomise parimenti a tutte le cure e le attenzioni, grandi e piccole, che porta con sé la vita ordinaria. Il suo primo riguardo fu per la religione; Egli, Verità eterna; Principio e Fine di tutti i doveri religiosi, si adattò alle prescrizioni d’una religione determinata, e, come pio israelita, compì ogni giustizia frequentando il tempio e la sinagoga. Più ancora: volle assoggettarsi anche alle pratiche di pietà secondarie e non rigorosamente comandate, e per questo si portò cogli altri ad udire la predicazione di Giovanni ed a ricevere il suo battesimo. Al dovere d’osservare la religione segue quello d’obbedire alle autorità, vincolo d’unione d’ogni umano consorzio; e nemmeno al Salvatore mancarono dei superiori, in famiglia prima, e nella vita pubblica, sia nazionali, sia stranieri; tutti i quali esigevano da Lui il tributo dell’obbedienza; ed Egli vi si sottomise come il più docile dei sudditi, e volle che nel Vangelo si facesse espressa menzione di questa sua soggezione alle autorità (Luc. II, 54), e nel processo che seguì il giorno della sua Passione, l’unica accusa da cui si difese fu quella di ribellione alle autorità costituite (Giov. XVIII, 37). Il lavoro è la terza condizione della vita sociale, ed il Salvatore lavorò sempre. Passò la maggior parte del suo vivere in un’umile e faticosa arte, guadagnandosi il pane colle sue proprie mani, e, nobilissimo tra i figli degli uomini. Facendosi il più fedele compagno degli operai. Né prende parte soltanto alle serie occupazioni ed al lavoro, ma anche alle liete effusioni d’uso comune. Già al principio della sua vita pubblica Lo vediamo presenziare ad una festa di nozze; e l’imbarazzo degli sposi lo commuove sì che opera il duo primo miracolo, convertendo l’acqua in vino, il giorno precisamente in cui fondavasi una nuova famiglia. A quanto pare, era costume in Terra Santa d’invitare al convito i dottori della Legge che andavano predicandola per le diverse regioni, ed il Salvatore non volle contrariare quest’usanza, ed accettava gl’inviti, quantunque sapesse che molte volte facevansi con intenzioni tutt’altro che rette ed aprissero la via a penosi compromessi ed a spiacevoli discussioni (Luc. VII, 36; XIV, 1), e conoscesse altresì che accettandoli veniva tracciato di mangiatore e bevitore (Matt. XI, 19). Perfino nella sua vita gloriosa, dopo la risurrezione, volle far uso delle costumanze della buona società, prendendo congedo da’ suoi discepoli con un banchetto (Att. 1, 4). – Per mantenersi nel grado ordinario degli uomini, il Signore nascose le straordinarie qualità della sua Persona. Così nascondeva la grazia e la beltà della sua giovinezza all’ombra d’una bottega di falegname in un piccolo villaggio, talmente che nessuno mai avrebbe potuto immaginare, nemmeno lontanamente, i tesori di sapienza, di potere e di santità ch’Ei possedeva. E dal momento che volle vivere in sì umile villaggio, avrebbe potuto almeno valersi dell’altissima sua intelligenza per molte cose, principalmente per la salvezza delle anime; ma non volle fare nemmen questo, ed anche della sua santità non manifestò se non quanto corrispondeva a un fanciullo o ad un giovane buono e pio. E tenne occulti talmente i suoi doni straordinari, che Natanaele, il quale abitava a poche leghe da Nazaret. non aveva nemmeno sentito parlare di Lui (Giov. 1, 46). Per questo, con molta ragione, s’impose il nome di vita nascosta agli anni che passò a Nazaret. Ma anche durante la sua vita pubblica, quando per tutte le parti correva la fama de’ suoi prodigi, non manifestò la sua sapienza, il suo potere e la sua santità se non nella misura che richiedeva il suo ministero, ed è infinitamente di più ciò che occultò agli occhi degli uomini. E se è certo che questa premura del Salvatore di voler apparire sempre eguale a noi ebbe per oggetto di darci esempio d’umiltà. molto più però procedette dal desiderio di cattivarsi l’amor nostro per la delicatezza ch’ebbe di non voler apparire da più di noi, poiché l’uguaglianza è la condizione necessaria ed il fondamento dell’amore.

2. Ciò che in secondo luogo fa vieppiù risaltare il bellissimo carattere del Figliuolo dell’Uomo, è l’attenzione e sollecitudine amorosa che sempr’ebbe per coloro che Lo circondavano e seguivano. Nella seconda moltiplicazione dei pani, non Gli sfuggì che molti erano venuti da lontano e pativano fame e stanchezza, e mosso a compassione diede ordine agli Apostoli che presentassero loro da mangiare (Marc. XIII, 2 segg.). – Fu sì vivo il sentimento che ebbe pel dolore di quella povera e desolata vedova di Naim che seguiva la funebre comitiva del seppellimento dell’unico suo figlio, che le venne in aiuto senza che nessuno ne Lo avesse pregato. In mezzo alle feste religiose ed al giubilo della seconda Pasqua, non si dimenticò dei poveri infermi della probatica piscina, ma passò a consolarli ed a guarire il più abbandonato di essi. – Che di più insignificante d’un pezzettino di pane? Eppure Egli medesimo ha comandato che Glielo domandiamo nel Pater noster; e nella moltiplicazione dei nani ordinò agli Apostoli che raccogliessero i frammenti rimasti. Quando scacciò la prima volta dal tempio i venditori, rovesciò le tavole dei banchieri, ma ebbe compassione dei colombi, e comandò di portarli fuori nelle loro gabbie (Giov. II, 16). Con questi riguardi e come amorevolmente si comportò col padre del povero muto, indemoniato (Marc. IX. 20) e coi fanciulli che gli Apostoli, per un riguardo alla di Lui Persona, volevano allontanarli! Nel giorno viù glorioso della sua vita, in mezzo alle acclamazioni di giubilo, il pensiero della futura rovina di Gerusalemme Lo commuove a tal punto da farlo versar lagrime. Sulla croce, tra le angustie e i dolori dell’agonia, ascolta i gemiti di pentimento del buon ladrone, pensa alla propria Madre e ne prende cura con tenerezza. L’inconsiderazione e la dimenticanza provengono sempre da poca previsione e da poco amore, e possono cagionare incalcolabili disgusti. Chi sa mantenere in tutto i dovuti riguardi, dimostra di essere prudente e di aver un buon cuore, e si merita perciò la nostra gratitudine e confidenza. Orbene, così fu il Salvatore.

3. Una delle qualità proprie d’un animo nobile è la gratitudine; e questa rifulge in un modo tutto proprio nella vita di Gesù Cristo. Come regalmente e divinamente ricompensava qualunque servizio e dimostrazione d’amore! Per un’ora nella quale Pietro mise a sua disposizione la propria barca affinché da essa predicasse, lo ripaga con una pesca miracolosa e col farlo pescatore d’uomini; in premio d’averlo confessato risolutamente per Figlio di Dio, lo costituisce Sommo Pontefice della Chiesa. Nicodemo riceve la grazia della fede pel piccolo incomodo che si prese d’andarlo a visitare nottetempo; Zaccheo, per essergli andato incontro alcuni passi, ha la fortuna d’averlo ospite in casa sua, e di ricevere insieme con Lui grazie straordinarie per la propria salvezza. Giusta una pia tradizione, la Veronica offrì il suo velo al Salvatore, perché si rasciugasse il sudore lungo il cammino del Calvario, ed ai soldati il vino mescolato con mirra che dovea servire a Gesù pel momento terribile della sua crocifissione, e come prova tenerissima di gratitudine essa riceve da Lui indietro il velo, su cui meravigliosamente era rimasto impresso il suo volto, e per far piacere all’anima compassionevole che Gli aveva preparato il vino mescolato con mirra e manifestarle la propria riconoscenza, ne gustò altresì anticipatamente alcune gocce, A S. Giovanni, in premio dell’amore che dimostrò seguendolo sino al Calvario. lascia come un legato preziosissimo sua Madre. Incoraggia e conforta le pie donne con parole della più tenera compassione. A Maria Maddalena in premio di ciò che avea fatto a di Lui servigio, promette, in ricompensa, la perenne memoria che dovea restare di essa, nella Chiesa (Matt. XXVI, 14). E finalmente, Lazzaro, il risuscitato, non è una splendida prova dei premi magnifici e straordinarî che possono sperare gli amici di Gesù?

4. Da ciò che si è detto vediamo quanto si manifesti amabile ed umano nostro Signore e Dio, come la sua maestà ci si presenti sotto la forma così attraente dell’umanità sua nobile e semplice, e come Egli cammini tra gli uomini quasi uno di essi, perché la sua vita non apparisce realmente se non come la vita ordinaria di tutti. Si direbbe che abbia voluto darci come un compenso della sua divinità e maestà incomprensibile. Poteva, chi sa, averci intimoriti con la magnificenza del suo potere, ed in sua vece vuole attrarci a Sé mostrandoci l’umanità sua amabilissima; il che è più che degnazione, è amore e tenerezza dell’eterna Verità, di cui sta scritto che prima istruì Giacobbe, suo servo, ed Israele suo prediletto: poi fu visto Egli stesso sulla terra e camminò tra gli uomini (Bar. III, 37-38).

CAPITOLO VII.

L’Operatore di maraviglie.

Il Salvatore era uomo nel più perfetto e vero senso della parola; ma era anche infinitamente più di quello che competesse alla natura che per noi avea preso, era l’Essere per eccellenza, poiché era Dio. La prova convincente ci viene data dai suoi miracoli, i quali nello stesso tempo parlano potentemente al nostro cuore, in tre distinte maniere, considerandoli in relazione alla fede, all’amore ed alla fiducia.

1. Innumerevoli sono i miracoli che operò il Salvatore nell’ordine invisibile degli spiriti e della verità, mediante le profezie, e nel mondo visibile, con prodigi d’ogni genere. Il fine a cui mirava nell’operarli, come ripetutamente lo manifestò (Giov. V, 36; X, 25; XI, 42), era di confermare con essi la sua dottrina acciocchè vi credessimo. La fede è il primo e più indispensabile requisito per conseguire la salvezza, ed il miracolo è il mezzo più semplice, più rapido e, per molti, l’unico che conduca alla fede. Imperocchè dove interviene un miracolo vero per confermare la dottrina, là è Dio che ne dà testimonianza, e ciò che dice Dio è verità infallibile. Ed è per questo che il Salvatore sì appella così di frequente e con tanta solennità ai suoi miracoli, come prova della propria dottrina e della propria missione, poiché tutto l’edificio della nostra fede si basa sulla realtà di questi miracoli. Da ciò possiamo dedurre di quale importanza siano per noi, e quanta riconoscenza dobbiamo a Gesù per essi. Ma è anche bello e sorprendente il nesso che passa tra i miracoli e la dottrina di Gesù. Molti de’ suoi insegnamenti Egli li conferma con un miracolo corrispondente. Io sono la luce del mondo, dice, e rende la vista ad un cieco; afferma che Egli è la risurrezione e la vita, e risuscita un morto; si dice pane di vita, e segue il prodigio della moltiplicazione dei pani; per provare che ha il potere d’infrangere le catene del peccato, sana il paralitico. Molti altri suoi miracoli sono immagini e predizioni di ciò che dovea succedere nella Chiesa. Così il ridonare la vista ai ciechi, l’udito e la favella ai sordo-muti, figuravano gli effetti del Battesimo; la guarigione dei lebbrosi ed il richiamo in vita dei morti erano figura del Sacramento della Penitenza; la moltiplicazione dei pani indicava l’Eucaristia; la navicella di Pietro rappresentava la Chiesa ed il Primato di San Pietro medesimo, di maniera che i miracoli erano altrettante manifestazioni della sua dottrina, delle0 sue opere e della sua persona. E questa bella ed intima correlazione e dipendenza tra i suoi insegnamenti ed i suoi miracoli, quanto rende evidente e fortifica la nostra fede, altrettanto serve ad accrescere poderosamente l’amor nostro verso Colui che con tanta sapienza, con tanta efficacia e sollecitudine così disponeva tutto pel bene nostro.

2: I miracoli di Gesù Cristo, inoltre, eccitano l’amor nostro; poiché ci rivelano non già il temibile suo potere, ma l’immensa carità sua. Venne il Redentore su questa terra per salvarci, e come Salvatore, dovea liberarci dal potere del demonio, il quale unitamente al peccato avea introdotto ogni sorta di miserie, anche corporali, infermità e con esse la morte. E questo tristissimo campo fu scelto dal Salvatore per manifestare il suo potere, e dinanzi a Lui fuggono tutte le calamità, i dolori, l’impero del demonio, la morte. I suoi miracoli insieme al carattere sovrumano e divino presentano la impronta della bontà e dell’amabilità più squisita, perocché tutti sono prove del più puro suo amore agli uomini, e per conseguenza stimoli poderosi affinché ci consacriamo all’amor suo. E questo carattere amabilissimo de’ suoi miracoli influisce dal canto Suo sulla fede; imperocché siccome la materia della fede è formata da verità che superano il potere dell’intelligenza nostra, interviene necessariamente la volontà per farcele accettare; ed i benefizi fatti da Cristo agli uomini per mezzo de’ suoi miracoli inclinano efficacemente la volontà ben disposta. Di buon grado prestiamo fede a coloro che ci dimostrano amore. E questo è il modo con cui la bontà del Signore, che risplende nei suoi miracoli, opera parimente sul terreno della fede e attrae a Sé tutto l’uomo mediante la fede e l’amore.

3. Finalmente 1 miracoli di Gesù Cristo eccitano in noi una somma fiducia. 1 miracoli sono per se stessi prova d’un potere infinito, e quelli di Gesù Cristo manifestano questo potere in una maniera chiarissima ed irrefragabile, dimostrando il dominio che ha sopra tutte le creature, razionali. ed irrazionali, sopra viventi e morti, sugli Angeli ed i demoni, quale supremo ed assoluto Signore di quanto esiste. Non c’è dolore, non disgrazia cui non possa porgere sollievo; le porte stesse dell’eternità sì aprono al suo comando. In qualunque necessità e tribolazione in cui abbia a trovarsi l’uomo può fare ricorso al Salvatore e dirgli: «Signore, sé volete potete venire in mio aiuto e salvarmi». – Una prova luminosissima è il fatto della risurrezione del giovane di Naim. Lo portavano già al sepolcro, e sua madre desolata seguiva il feretro. I numerosi amici non trovavano altri termini che ripeterle: «Non piangere. Arriva il Salvatore pronunzia queste medesime parole, ma insieme richiama in vita il figlio e 10 restituisce alla madre (Luc. VII, 13). E quando si trovò di fronte al sepolcro di Lazzaro, e le sorelle e gli amici del defunto ed una innumerevole turba che Gli si erano prostrati dinanzi piangevano, attendendo unicamente da Lui il rimedio nella loro afflizione, Sì commosse e versò lagrime Egli parimenti; ma non si arrestò alla pura compassione ed alle lagrime, Gesù per l’amico Lazzaro, operò infinitamente di più: lo richiama in vita, lo restituisce alle sorelle ed agli amici e muta in gaudio una sì grande tribolazione. Ecco il conforto che dà il Salvatore; ed Egli è l’unico che possa darlo. Espande il suo potere ed amore con prodigalità a favore di tutti, Egli che nessun vantaggio personale ritrae dai suoi miracoli. Orbene, anche adesso ha il medesimo potere e pari amore, e l’amor suo è onnisciente ed il suo potere infinito; chi sarà mai colui che credendo in Gesù Cristo ed amandolo non riponga in Lui tutta la sua fiducia? La morte è l’estremo male di questo mondo, ma Egli la vinse anche. e ci assisterà in essa colla sua vittrice grazia. Per questo conchiude sapientemente l’Imitazione di Cristo: « In vita ed in morte riponi la tua fiducia in Colui che mai t’abbandonerà, avvenisse pure che tutti t’abbandonassero ».

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (XII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (VII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (VII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR , RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO PRIMO

SEZIONE III.

SUL CAPITOLO III.

DELLE TRE ULTIME ETÀ DELLA CHIESA MILITANTE.

§ II.

Della sesta età della Chiesa, che sarà un’età di consolazione, e che inizierà con il santo Pontefice e il potente Monarca, e durerà fino alla comparsa dell’Anticristo.

CAPITOLO III. VERSETTI 7-13.

Et angelo Philadelphiæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit Sanctus et Verus, qui habet clavem David: qui aperit, et nemo claudit: claudit, et nemo aperit: Scio opera tua. Ecce dedi coram te ostium apertum, quod nemo potest claudere: quia modicam habes virtutem, et servasti verbum meum, et non negasti nomen meum. Ecce dabo de synagoga Satanæ, qui dicunt se Judæos esse, et non sunt, sed mentiuntur: ecce faciam illos ut veniant, et adorent ante pedes tuos: et scient quia ego dilexi te, quoniam servasti verbum patientiæ meæ, et ego servabo te ab hora tentationis, quæ ventura est in orbem universum tentare habitantes in terra. Ecce venio cito: tene quod habes, ut nemo accipiat coronam tuam. Qui vicerit, faciam illum columnam in templo Dei mei, et foras non egredietur amplius: et scribam super eum nomen Dei mei, et nomen civitatis Dei mei novae Jerusalem, quae descendit de caelo a Deo meo, et nomen meum novum. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così dice il Santo e il Verace, che ha la chiave di David: che apre, e nessuno chiude: che chiude, e nessuno apre: Mi sono note le tue opere. Ecco io ti ho messo davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere: perché hai poco di forza, ed hai osservata la mia parola e non hai negato il mio nome. Ecco io (ti) darò di quelli della sinagoga di satana, che dicono d’essere Giudei, e non lo sono, ma dicono il falso: ecco io farò sì che vengano e s’incurvino dinanzi ai tuoi piedi: e sapranno che io ti ho amato. Poiché hai osservato la parola della mia pazienza, io ancora ti salverò dall’ora della tentazione, che sta per sopravvenire a tutto il mondo per provare gli abitatori della terra. Ecco che io vengo tosto: conserva quello che hai, affinché niuno prenda la tua corona. Chi sarà vincitore, lo farò una colonna nel tempio del mio Dio, e non ne uscirà più fuori: e scriverò sopra di lui il nome del mio Dio, e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme, la quale discende dal cielo dal mio Dio, e il mio nuovo nome. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese.]

I. Vers. 7. – Scrivi anche all’Angelo della chiesa di Filadelfia. La sesta età della chiesa inizierà con il potente Monarca ed il santo Pontefice di cui si è già parlato, e durerà fino alla comparsa dell’anticristo. Quest’epoca sarà un’epoca di consolazione (consolativus), in cui Dio consolerà la sua santa Chiesa per le afflizioni e le grandi tribolazioni che ha sopportato nella quinta epoca. Tutte le nazioni saranno restaurate all’unità della fede cattolica. Il sacerdozio fiorirà più che mai, e gli uomini cercheranno il regno di Dio e la sua giustizia con tutta la sollecitudine. Il Signore darà alla Chiesa buoni pastori. Gli uomini vivranno in pace, ognuno nella sua vigna e nel suo campo. Questa pace sarà loro concessa perché saranno stati riconciliati con Dio stesso. Vivranno all’ombra delle ali del potente Monarca e dei suoi successori. Troviamo il tipo di questa età, nella sesta epoca del mondo, che iniziò con l’emancipazione del popolo d’Israele e la restaurazione del tempio e della città di Gerusalemme, e durò fino alla venuta di Gesù Cristo. Perché come in quel tempo il popolo d’Israele fu confortato al massimo grado dal Signore loro Dio, con la liberazione dalla cattività; come Gerusalemme ed il suo tempio furono restaurati; che i regni, le nazioni e i popoli sottomessi all’Impero Romano furono sconfitti e soggiogati da Cesare Augusto, un monarca potentissimo e distinto, che li governò per 56 anni, ristabilì la pace nell’universo e regnò da solo fino alla venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, ed anche dopo; così nella sesta epoca Dio gioirà della Sua Chiesa con la più grande prosperità. Infatti, sebbene nella quinta età non vediamo altro che le più deplorevoli calamità ovunque: mentre tutto è devastato dalla guerra; mentre i Cattolici sono oppressi dagli eretici e dai cattivi Cristiani; mentre la Chiesa e i suoi ministri sono resi tributari; mentre i principati sono sconvolti; mentre i monarchi sono uccisi, i soggetti rigettati, e tuti gli uomini cospirano per erigere delle repubbliche, avviene un cambiamento strabiliante per mano di Dio onnipotente, come nessuno può umanamente immaginare (si ricordi anche lo stato dell’Europa nel 1848). Infatti, questo potente monarca, che verrà come messaggero di Dio, distruggerà le repubbliche da cima a fondo; sottometterà tutto al suo potere (sibi subjugabit omnia) ed userà il suo zelo per la vera Chiesa di Cristo. Tutte le eresie saranno consegnate all’inferno. L’impero dei Turchi sarà spezzato e questo Monarca regnerà in Oriente ed in Occidente. Tutte le nazioni verranno ad adorare il Signore loro Dio nella vera fede cattolica romana. Molti santi e maestri fioriranno sulla terra. Gli uomini ameranno il giudizio e la giustizia. La pace regnerà in tutto l’universo, perché la potenza divina legherà satana per molti anni, ecc; finché non verrà il figlio della perdizione, che lo slegherà di nuovo, ecc. È anche a questa sesta età che, per la somiglianza della sua perfezione, si riferisce il sesto giorno della creazione, quando Dio fece l’uomo a sua somiglianza, e gli sottomise tutte le creature del mondo per essere loro signore e padrone. Ora questo Monarca regnerà su tutte le bestie della terra, cioè sulle nazioni barbare, sui popoli ribelli (si sa che la Svizzera è composta da diverse repubbliche, la maggior parte delle quali sono protestanti), e su tutti gli uomini che sono dominati dalle loro cattive passioni. È anche a questa sesta epoca che si riferisce il sesto Spirito del Signore, cioè: lo spirito di sapienza, che Dio riverserà in abbondanza su tutta la superficie del pianeta in quel tempo. infatti gli uomini temeranno il Signore, il loro Dio, osserveranno la sua legge e lo serviranno con tutto il loro cuore. Le scienze saranno moltiplicate e perfezionate sulla terra. La Sacra Scrittura sarà unanimemente compresa, senza controversie e senza errori di eresie. Gli uomini saranno illuminati sia nelle scienze naturali che in quelle celesti. Infine, la Chiesa di Filadelfia è il tipo di questa sesta epoca; perché Filadelfia significa amore del fratello (amor fratris sulutans), e ancora, conservare l’eredità, in unione con il Signore (hæreditatem salvans adhærente Domino). Ora, tutti questi personaggi sono perfettamente adatti a questa sesta epoca, in cui ci sarà amore, concordia e pace perfetta, ed in cui il potente Monarca potrà considerare quasi tutto il mondo come sua eredità. Egli libererà la terra, con l’aiuto del Signore suo Dio, da tutti i suoi nemici, dalla rovina e da ogni male.

II. Questo è ciò che dice il Santo e Vero, che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude; che chiude e nessuno apre. Come è solito fare nella descrizione di ogni epoca, San Giovanni indica di nuovo, con queste prime parole, alcune delle insegne di Nostro Signore Gesù Cristo; insegne che egli non solo indossa in se stesso, ma che fa anche risplendere esteriormente nelle sue membra e nel suo Corpo, che è la Chiesa, in modo particolare alla sesta età. Questo è ciò che dice il Santo dei Santi ed il vero Dio e uomo. È a causa di queste insegne infine, che sono la santità e la verità, e che appartengono a Nostro Signore Gesù Cristo dall’ipostasi divina, che ogni ginocchio deve inchinarsi a Lui in cielo, in terra e e negli inferi, ecc. Qui è anche chiamato Santo e Vero, come capo delle sue membra e del suo corpo, che è la Chiesa, e anche perché la sua Chiesa sarà particolarmente santa e vera nella sesta epoca. Sarà santa perché gli uomini cammineranno allora con tutto il loro cuore nelle vie del Signore e cercheranno il regno di Dio con tutta sollecitudine. La Chiesa sarà vera, perché dopo che tutte le sette saranno state consegnate all’inferno, sarà riconosciuta come vera su tutta la faccia della terra. Che ha la chiave di Davide. Con queste parole si intende il potere regale e universale che Cristo possiede sulla sua Chiesa, un potere che manterrà fino alla consumazione dell’epoca, in esecuzione della volontà e dei consiglio di Dio Padre. (Matth. XXVIII, 18): « Mi è stata data ogni autorità in cielo e in terra. » – Vedi Libro II, capitolo 4 -. Inoltre, si dice qui che Cristo ha la chiave di Davide, perché Davide e il suo regno erano figura di Gesù Cristo e del suo regno, come vediamo nei libri dei profeti. Che apre e nessuno chiude; che chiude e nessuno apre. Queste parole esprimono qual è il potere di questa chiave di Cristo. È un potere illimitato, costituito dalla sua sola potenza, che può distribuire beni e mali secondo la sua volontà. Per questo si dice: … apre la porta ai beni diffondendoli, e apre la porta ai mali permettendoli. E nessuno chiude, cioè nessuno può impedire che i decreti della sua volontà divina si compiano in cielo, sulla terra e negli inferi. Il malvagio non può impedire il bene, ed i buoni non saprebbero impedire i mali. Infatti è detto dei malvagi in San Matteo, XVI, 18: « Le porte dell’inferno non prevarranno contro di esso. » E dei giusti in Ezechiele, (XIV, 14): « Che se questi tre uomini, Noè, Daniele e Giobbe, saranno trovati in mezzo a quella terra (di una nazione che avrà peccato contro il Signore), essi libereranno le loro anime con la loro propria giustizia, dice il Signore degli eserciti, ecc. » Che chiude e nessuno apre, vale a dire, di contro, che rimuove a suo tempo i mali della sua Chiesa e le restituisce i beni. Poi Egli permette di nuovo i castighi, e non c’è nessuno che possa toglierli dalla Sua mano o impedirli, come è scritto (Ps. CIII, 28): « …. Quando date loro del cibo, lo raccolgono immediatamente. Quando apri la mano, sono tutti pieni dei tuoi beni. Ma se tu distoglierai il tuo volto da loro, saranno turbati. Tu toglierai loro lo spirito ed essi torneranno alla loro polvere. Manderai il tuo spirito e saranno ricreati, e rinnoverai la faccia della terra, ecc. » Conosco le tue opere. Queste parole sono un elogio generale delle opere della sesta età, come hanno espresso sopra un rimprovero sulle opere della quinta. Conosco le tue opere, che sono tutte sante, buone, perfette e piene di carità, come il seguito farà vedere. VERSETTO. 8: Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere, perché tu hai poca forza, eppure hai mantenuto la mia parola e non hai abbandonato il mio nome, ecc. Queste parole sono piene di consolazione; esse descrivono la felicità che verrà nella sesta epoca, una felicità che consisterà in: – 1° L’interpretazione vera, chiara e unanime delle Sacre Scritture. Perché allora le tenebre dell’errore e le false dottrine degli eretici, che non sono altro che la dottrina dei demoni, saranno dissipate e scompariranno. I fedeli di Cristo, sparsi su tutta la superficie del pianeta, saranno i fedeli di Cristo, sparsi su tutta la superficie del pianeta, saranno attaccati alla Chiesa nel cuore e nello spirito, nell’unità della fede e nell’osservanza dei buoni costumi. Ecco perché si dice: ho aperto una porta davanti a voi, cioè la comprensione chiara e profonda delle Sacre Scritture. Che nessuno può chiudere, intendendo dire che nessun eretico potrà pervertire il senso della parola di Dio, perché in questa sesta epoca ci sarà un Concilio ecumenico, il più grande che abbia mai avuto luogo, nel quale, per un favore speciale di Dio, per il potere del Monarca annunciato, per l’autorità del santo Pontefice e per l’unità dei pii principi, tutte le eresie e l’ateismo saranno proscritte e bandite dalla terra. Il legittimo significato delle Sacre Scritture sarà dichiarato, ed esse saranno credute e accettate. – 2°. Questa felicità consisterà in un immenso numero di persone fedeli, perché in quel tempo tutti i popoli e le nazioni si riuniranno in un solo ovile ed entreranno attraverso l’unica porta della vera fede. Così si compirà la profezia di San Giovanni X: 16: « Ci sarà un solo pastore e un solo ovile ». E anche quello di San Matteo, XXIV, 14: « Questo Vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo come testimonianza a tutte le nazioni, e poi verrà la fine. » Ora, è anche in questo senso che è detto qui: Ho aperto una porta davanti a voi, la porta della fede e della salvezza delle anime, che fu chiusa a innumerevoli uomini nella quinta epoca a causa delle eresie e degli abomini dei peccatori. Ecco perché l’ovile era allora limitato, svilito, umiliato e disprezzato al massimo grado. Ma ora la porta è aperta davanti a voi; è aperta a tutti, come la grande porta di un palazzo reale, quando non ci sono né nemici né sedizione da temere. – 3°. Questa felicità consisterà nella moltitudine dei predestinati. Infatti, un gran numero di fedeli sarà salvato in quel tempo, perché la vera fede brillerà in splendore e la giustizia abbonderà. Ho aperto una porta davanti a voi, la porta del cielo, che nessuno può chiudere fino al tempo fissato. Il testo latino inizia con la particella ecce, ecco, perché, come è già stato detto altrove, questa parola eccita il nostro spirito a concepire qualcosa di grande e ammirevole in questa opera che Dio compirà per la nostra consolazione, per la nostra felicità e la nostra gioia spirituale. Perché tu hai poca forza, eppure hai mantenuto la mia parola. Questo passaggio indica tre cause o tre meriti particolari, per i quali Dio avrà pietà della sua Chiesa e aprirà la porta della sua misericordia in questa sesta epoca. Il primo merito è messo al presente: Perché hai poca forza. Queste parole esprimono l’industria dei servi di Dio che useranno con prudenza e zelo le poche forze che hanno ricevuto da Lui, e otterranno così frutti molto grandi attraverso la conversione dei peccatori e degli eretici. Ed è questo grande sforzo che avranno fatto, soprattutto all’inizio della sesta epoca, per realizzare queste conversioni, che Gesù Cristo ricompenserà con una grande prosperità. Il secondo e il terzo merito sono messi al passato: Hai mantenuto la mia parola e non hai rinnegato la mia fede. Con questo designa la costanza e la perseveranza dei suoi servi nel suo amore e nella sua fede. Perché verso la fine del tempo della quinta età, questi, avendo poca forza, si solleveranno tuttavia contro i peccatori che hanno rinnegato la fede per amore dei beni terreni. Si solleveranno anche contro certi preti che, essendosi lasciati sedurre dalla bellezza e dalle attrazioni delle donne, vorranno abbandonare il celibato. Ora, nel momento in cui il diavolo godrà di una libertà quasi assoluta ed universale, e quando la più grande tribolazione imperverserà sulla terra, questi fedeli servitori, uniti tra loro dai legami più forti, proteggeranno il celibato mantenendosi puri in mezzo al mondo. Saranno considerati vili agli occhi degli uomini e saranno disprezzati e rifiutati dal mondo, che li ridicolizzerà. Ma il Salvatore Gesù Cristo, nella sua bontà, guarderà con favore la loro pazienza, la loro industria, la loro costanza e la loro perseveranza, e li ricompenserà nella sesta età assistendo e favorendo i loro sforzi nella conversione dei peccatori e degli eretici. Perché tu hai poca forza, sei misconosciuto e senza potere, senza ricchezze e senza gloria; e perché la grazia di Dio non vi è stata data e distribuita che solo in misura; tuttavia avete fatto i più grandi sforzi nel vostro zelo e nella vostra ardente carità per il santo Nome di Gesù, per la sua Chiesa e per la salvezza delle anime. Ecco perché Cristo, nella sua misericordia, verrà finalmente in vostro aiuto e aprirà la porta della vera fede e della penitenza agli eretici ed ai peccatori. Eppure hai conservato la mia parola. – La parola di Cristo è presa qui come la speciale dottrina e conoscenza di un precetto o consiglio che non era contenuto nella vecchia legge e che era del tutto contrario al mondo. Ora il Vangelo contiene tre parole di questo tipo: la prima è il precetto dell’amore per i propri nemici e della carità fraterna. Il secondo è il consiglio della continenza e del celibato. (Matth. XIX, 12): « Ci sono alcuni che si sono fatti eunuchi. » La terza parola è la pazienza che dobbiamo praticare. (Matteo V, 39): « Se qualcuno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra. E a colui che vuole discutere con te nel giudizio e toglierti la tunica, tu lasciagli pure il tuo mantello. » Ora è detto nel testo: E tuttavia hai mantenuto la mia parola, cioè la parola dell’amore fraterno, del celibato, della pazienza e della mitezza, che Dio ha pronunciato con la sua bocca benedetta e che Lui stesso ha osservato. E tu non hai abbandonato il mio Nome. Il testo latino dice: Non hai rinnegato la mia fede. Ora la fede è più spesso rinnegata per amore della ricchezza, dell’onore e del piacere. Ma i servi di Cristo disprezzeranno queste tre concupiscenze verso la fine della quinta età, e condurranno una vita umile, senza cercare dignità o potere. Saranno disprezzati ed ignorati dai grandi, e se ne rallegreranno. Sacrificheranno le loro entrate per i poveri e per l’edificazione e la propagazione della Chiesa cattolica, che ameranno come loro Madre. Cammineranno in semplicità di cuore alla presenza di Dio e degli uomini; e per questo la loro vita appartata sarà considerata una follia. La saggezza di questo mondo consiste nel conservare ciò che si ha e nell’accrescerlo; questi veri credenti, al contrario, disprezzeranno i beni e gli onori terreni e si preserveranno dalla contaminazione con le donne. La loro conversazione sarà conforme alla santità della loro vocazione. Quando, quindi, vedranno i loro simili apostatare e rinnegare la fede di Gesù Cristo per amore delle ricchezze, degli onori e dei piaceri, gemeranno nei loro cuori davanti al loro Dio, e persevereranno nei veri principi della fede cattolica. Gesù Cristo li elogia giustamente: E voi non avete rinnegato la mia fede.

III. Vers. 9Vi darò alcuni della sinagoga di satana, che si chiamano Giudei e non lo sono, ma sono bugiardi. Farò in modo che vengano ad adorare ai tuoi piedi, e sapranno che ti amo, ecc. Ora segue la promessa della grazia più abbondante di Dio, che è solito aiutare e coronare con successo gli sforzi pii dei suoi servitori, e ricompensarli per i loro sforzi e premiare la loro fedeltà, costanza e perseveranza nel bene che fanno. Il testo latino, citato sopra, contiene la particella ecce tre volte, come segue 1° Ecce dedi coram te ostium apertum. Ti ho aperto la porta. 2º Ecce dabo. Eccp Io darò. 3º Ecce faciam. Lo farò. È per elevare il nostro spirito e farci concepire quanto grande e ammirevole siano le opere della misericordia divina, che manifesteranno le ricchezze della sua gloria, della sua grazia e della sua infinita bontà. 1° Ecce, ecco. si rivolge dapprima ai suoi servi e dice loro: Ecco i frutti del vostro lavoro e delle vostre opere. 2°. Ecce dabo. Vi darò ciò che avete così a lungo invocato con le vostre lacrime ed i vostri pii gemiti. 3° Ecce. Ecco, io farò ciò che nessuno credeva. Consolati dunque adesso, ecc.; perché Io ti darò alcuni della sinagoga di satana, che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono mendaci. Ora nella sinagoga di satana ci sono i Giudei e coloro che errano nella fede ammettendo la falsa dottrina del demonio, il padre della menzogna. Allo stesso modo, per Giudei, intendiamo anche in senso figurato e per allegoria, gli eretici e gli scismatici che si definiscono Cristiani, ma che non lo sono, e che sono bugiardi. Gesù Cristo promette dunque qui la conversione degli eretici, degli scismatici e di tutti coloro che errano nella fede. E questa conversione avrà luogo nella sesta epoca, quando la Chiesa greca sarà di nuovo unita alla Chiesa latina. Li farò venire ad adorare ai tuoi piedi. Queste parole esprimono la forza, l’efficacia e l’abbondanza della grazia e della bontà di Dio, che farà sì che intere nazioni, e persino tutti i popoli, vengano ad adorarlo, sottomettendosi alla Chiesa Cattolica, che diventerà la loro Madre. E li farò venire alla luce della mia grazia spontaneamente e non più costretti dalla guerra e dal ferro. Li farò inchinare ai tuoi piedi, cioè umiliarsi e sottomettersi al tuo potere spirituale. Da ciò che è stato appena detto, possiamo vedere quale fede e fiducia debbano avere tutti i prelati ed i pastori di anime nella grazia di Dio, senza la quale nulla è possibile e nulla si fa. Da quasi cento anni combattiamo contro gli eretici, non solo con discussioni forti e accorate e con gli scritti più dotti, ma anche con la forza delle armi… senza successo! Non ci resta quindi altro da fare che ricorrere al Signore nostro Dio, umiliarci, condurre una vita santa e lavorare ardentemente per preservare i resti del Cattolicesimo, finché piaccia a Gesù Cristo avere finalmente pietà della sua Chiesa, che non può dimenticare, ed avere riguardi agli sforzi dei Suoi servi, che continuano a temerlo ed a servirlo. Riponiamo dunque la nostra speranza e la nostra viva fiducia nella grazia onnipotente di Gesù Cristo, che può illuminare le menti accecate di miserabili peccatori ed eretici con un solo raggio della sua luce. È questa fiducia che ci raccomanda il Salmista, (Salmo XXX, dal versetto 3 al 7) … e sapranno che io ti amo, cioè confesseranno che tu sei la mia unica sposa scelta e amata, la vera Chiesa ed erede del regno celeste, fuori dalla quale non c’è salvezza. Perché nella sesta epoca la Chiesa cattolica sarà esaltata all’altezza della sua gloria temporale, e sarà esaltata da un mare all’altro: allora non ci saranno più controversie né questioni tra gli uomini su quale sia la vera Chiesa. Ecco perché si dice: “Sapranno“, cioè che ciò che è così controverso e discusso nella nostra quinta epoca sarà portato alla luce nella sesta età. È così che la bontà divina sa far uscire il bene dal male permettendo eresie e tribolazioni, affinché il Suo santo Nome sia meglio conosciuto. – Ne abbiamo un esempio in tutti gli errori che sono apparsi nelle varie epoche e che, per quanto spaventosi fossero, sono scomparsi di nuovo per la potenza della verità divina. Citeremo solo quella di Ario contro la divinità di Gesù Cristo. Ce n’era uno simile per l’ostinazione? Ma l’eresia moderna può certamente essere paragonata ad essa.

Vers. 10. Perché hai conservato la parola della mia pazienza, e Io ti preserverò dall’ora della tentazione, che sta per venire su tutto il mondo per mettere alla prova coloro che abitano sulla terra. L’ora della tentazione che deve venire, e che qui è predetta, è il tempo della persecuzione dell’Anticristo, che Nostro Signore ha profetizzato in San Matteo, XXIV, e in Daniele, XI e XII. Egli la chiama l’ora della tentazione, perché durerà un tempo breve, e la settima età della Chiesa sarà breve, come vedremo più avanti. La bontà divina ha l’abitudine di preservare i suoi eletti dall’ora della tentazione, e dai tempi delle calamità, con due mezzi:

1°. Chiamandoli a sé in pace, attraverso una morte naturale, prima che i mali e le tribolazioni li sorprendano. Essa accordò questa grazia ad Ezechia, Giosia e ad altri santi dell’Antico e del Nuovo Testamento. – 2°. Essa conserva anche i suoi, senza toglierli da questo mondo, ma liberandoli dal male. (Jo. XVII, 18): « Non vi prego di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male »; così Gesù Cristo mandò i suoi Apostoli e discepoli in mezzo ai lupi. Ora, è con questi due mezzi che Dio preserverà la sua Chiesa, nella sesta epoca, dall’ora della tentazione dell’Anticristo. 1° Chiamandola a sé, perché alla fine della sesta età, la carità si raffredderà, i peccati cominceranno a moltiplicarsi, e sorgerà gradualmente una generazione perversa e di figli infedeli. I giusti, i santi, i buoni prelati ed i buoni pastori saranno allora portati via, in gran numero, da una morte naturale, ed al loro posto verranno uomini tiepidi e carnali, che si preoccuperanno solo di se stessi, e saranno come alberi senza frutti, stelle erranti e nuvole senza acqua. 2°. Gesù Cristo preserverà la sua Chiesa dal male senza toglierla dal mondo; perché la Chiesa durerà fino alla fine dei tempi, ed in confronto alla grande moltitudine di uomini malvagi rimarranno pochi santi e maestri, che Dio manderà in mezzo ai lupi per insegnare a molti la verità e la giustizia. Questi cadranno di spada, tra le fiamme, nelle catene e nella rovina. (Dan, XI): Dio conserverà così questi ultimi eletti dall’ora della tentazione, liberandoli dal male, cioè impedendo loro di acconsentire all’empietà del tiranno furioso, e aiutandoli a morire per la verità, per la giustizia e per la fede di Gesù Cristo.

Vers. 10. Perché hai conservato la parola della mia pazienza, e Io ti preserverò dall’ora della tentazione, che sta per venire su tutto il mondo per mettere alla prova coloro che abitano sulla terra. L’ora della tentazione che deve venire, e che qui è predetta, è il tempo della persecuzione dell’Anticristo, che Nostro Signore ha profetizzato in San Matteo, XXIV, e in Daniele, XI e XII. Egli la chiama l’ora della tentazione, perché durerà un tempo breve, e la settima età della Chiesa sarà breve, come vedremo più avanti. La bontà divina ha l’abitudine di preservare i suoi eletti dall’ora della tentazione, e dai tempi delle calamità, con due mezzi: – 1°. Chiamandoli a sé in pace, attraverso una morte naturale, prima che i mali e le tribolazioni li sorprendano. Essa accordò questa grazia ad Ezechia, Giosia e ad altri santi dell’Antico e del Nuovo Testamento. – 2°. Essa conserva anche i suoi, senza toglierli da questo mondo, ma liberandoli dal male. (Jo. XVII, 18): « Non vi prego di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male »; così Gesù Cristo mandò i suoi Apostoli e discepoli in mezzo ai lupi. Ora, è con questi due mezzi che Dio preserverà la sua Chiesa, nella sesta epoca, dall’ora della tentazione dell’Anticristo: – 1° Chiamandola a sé, perché alla fine della sesta età, la carità si raffredderà, i peccati cominceranno a moltiplicarsi, e sorgerà gradualmente una generazione perversa e di figli infedeli. I giusti, i santi, i buoni prelati ed i buoni pastori saranno allora portati via, in gran numero, da una morte naturale, ed al loro posto verranno uomini tiepidi e carnali, che si preoccuperanno solo di se stessi, e saranno come alberi senza frutti, stelle erranti e nuvole senza acqua. – 2°. Gesù Cristo preserverà la sua Chiesa dal male senza toglierla dal mondo; perché la Chiesa durerà fino alla fine dei tempi, ed in confronto alla grande moltitudine di uomini malvagi rimarranno pochi santi e maestri, che Dio manderà in mezzo ai lupi per insegnare a molti la verità e la giustizia. Questi cadranno di spada, tra le fiamme, nelle catene e nella rovina. (Dan, XI): Dio conserverà così questi ultimi eletti dall’ora della tentazione, liberandoli dal male, cioè impedendo loro di acconsentire all’empietà del tiranno furioso, e aiutandoli a morire per la verità, per la giustizia e per la fede di Gesù Cristo.

Vers. 11. – Verrò presto, conserva ciò che hai, per evitare che qualche altro riceva la tua corona.  Queste parole contengono un salutare avvertimento dell’arrivo improvviso ed inaspettato di Gesù Cristo, così come un’esortazione ai fedeli a continuare sulla retta via. E questi sono come due scudi di prima necessità, che ci presenta prima di tutto contro l’ultima tribolazione descritta in San Matteo. 1°. Perché allora gli uomini penseranno che il regno dell’Anticristo sarà di durata eccessiva, a causa della grande felicità e potenza di questo tiranno. I Giudei e gli altri miscredenti che lo riceveranno come Messia crederanno che il suo regno durerà per sempre. Ora, è per abbattere questa presunzione, e per distruggere questa falsità, che Egli dice qui: Io verrò presto. 2. Come al tempo dell’orribile persecuzione di Diocleziano, che fu il prototipo vivente dell’Anticristo, molti fedeli rinunciarono alla fede di Gesù Cristo e sacrificarono agli idoli; tra questi il S. P. Marcellino stesso, che poi fece penitenza e subì coraggiosamente il martirio; come anche i quaranta martiri (di Sebaste) al tempo dell’imperatore Licinio, uno dei quali disertò, e la cui corona fu poi data a Janitor, … così sarà nella persecuzione della fine dei tempi, ed anche peggio, perché supererà tutte quelle precedenti. Ecco perché Gesù Cristo, come un generale in capo, si preoccupa di avvertire in anticipo i suoi soldati, armandoli con lo scudo sovranamente necessario della forza, della costanza e della perseveranza. Egli quindi li esorta dicendo loro:

Vers. 12. – Conserva ciò che hai, affinché nessun altro riceva la tua corona. Chiunque prevarrà, lo farò diventare una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà più; e scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, la nuova Gerusalemme, che scende dal cielo dal mio Dio, e il mio nuovo Nome. Per dare più forza ai suoi amati soldati, e per confermarli ancor più nell’ultima e più terribile persecuzione, Nostro Signore Gesù Cristo fa seguire nel contesto, la promessa dei più grandi beni, come una ricompensa proporzionata alle difficili vittorie che i giusti avranno ottenuto sul tiranno. La prima di queste vittorie sarà la fermezza e la costanza, con cui saranno come colonne di perseveranza nella Chiesa di Cristo. Resisteranno alla furia del tiranno, ai suoi falsi miracoli ed alle sue invenzioni diaboliche, e sacrificheranno i loro corpi, il loro sangue e le loro vite per la verità e la giustizia. La seconda vittoria sarà la confessione del vero Dio, che ha creato il cielo e la terra e tutto ciò che essi racchiudono; ed è contro questa confessione che l’Anticristo infurierà principalmente, e si costituirà il dio degli dei. La terza vittoria sarà la ferma fede e la fedeltà della Chiesa di Cristo, che l’Anticristo respingerà come un’impostura, e disperderà nella sua furia ai quattro venti del cielo, sulle montagne aride e nelle caverne. Infine, il quarto sarà la confessione del Nome di Gesù Cristo, contro il quale si eleverà il tiranno. Egli si glorificherà nei suoi falsi miracoli, che compirà per mezzo di artifici diabolici. Si proclamerà il Messia, e sarà ricevuto come tale dai Giudei, secondo le parole di Gesù Cristo stesso, in San Giovanni, V, 43: « Sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete. Se un altro viene nel suo proprio nome, lo riceverete. » A queste quattro virtù, meriti e vittorie del giusto, Dio promette, in proporzione, quattro tipi di ricompense e di glorie. – Il primo è contenuto in queste parole: Lo farò diventare una colonna nel tempio del mio Dio e non se ne allontanerà. Le colonne sono collocate nei palazzi dei re per sostenere la massa dell’edificio per esserne la gloria e l’ornamento, e per amplificarne lo splendore: ora è così che i giusti di Dio, che nel tempio di Cristo, cioè nella Chiesa militante, saranno stati, per la fermezza della loro fede, colonne della verità e della giustizia di Gesù Cristo, difendendola, predicandola, combattendo e morendo per essa; è così, diciamo ancora, nel tempio di Dio e nella Chiesa trionfante, i giusti saranno anche colonne eterne, splendenti di gloria, alla presenza di tutti i Santi e di tutti gli Angeli del cielo. Allora, come questi giusti saranno rimasti fedelmente e costantemente nel tempio di Dio sulla terra, cioè nella Chiesa Cattolica, senza mai lasciarla per andare nelle sette dell’Anticristo e di altri eretici, abbandonando la vera fede; così rimarranno nel tempio eterno di Dio, senza mai lasciarlo. Saranno immortali, impeccabili, stabili e immutabili per l’eternità! Non avranno più dolori da soffrire e non verseranno più lacrime. Infine, la morte, la fame, la sete e tutte le altre miserie del corpo e dell’anima non avranno più alcuna presa su di loro. La seconda ricompensa si trova in queste parole: Scriverò su di lui il Nome del mio Dio. Perché essi saranno come Lui, secondo San Giovanni, III, 3, e saranno persino chiamati Dei, come vediamo nel Salmo LXXX, 6: « Ho detto: voi siete dei, voi tutti figli dell’Altissimo. » La terza ricompensa si esprime così: E scriverò su di lui….. il Nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo dal mio Dio. Cioè, i giusti saranno il tempio di Dio, in cui il Re dei re e il Signore dei signori si degneranno di abitare, e lo possederanno per tutta l’eternità, attraverso la visione beatifica. La quarta ricompensa, infine, si trova in queste parole: Scriverò su di lui ….. il mio Nuovo nome; cioè, che onorerà i giusti con il suo Nome; perché saranno chiamati figli di Dio, secondo San Giovanni, III, 1.

Vers. 13. – Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Stessa spiegazione di cui sopra.

III.

Della settima e ultima età della Chiesa, che sarà l’età della desolazione, che inizierà all’apparizione dell’Anticristo e durerà fino alla fine del mondo.

CAPITOLO III. – VERSETTI 14-22.

Et angelo Laodiciaæ ecclesiæ scribe: Hæc dicit: Amen, testis fidelis et verus, qui est principium creaturæ Dei. Scio opera tua: quia neque frigidus es, neque calidus: utinam frigidus esses, aut calidus: sed quia tepidus es, et nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo: quia dicis: Quod dives sum, et locupletatus, et nullius egeo: et nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et caecus, et nudus. Suadeo tibi emere a me aurum ignitum probatum, ut locuples fias, et vestimentis albis induaris, et non appareat confusio nuditatis tuae, et collyrio inunge oculos tuos ut videas. Ego quos amo, arguo, et castigo. Aemulare ergo, et poenitentiam age. Ecce sto ad ostium, et pulso: si quis audierit vocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum, et coenabo cum illo, et ipse mecum. Qui vicerit, dabo ei sedere mecum in throno meo: sicut et ego vici, et sedi cum Patre meo in throno ejus. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’amen, il testimone fedele e verace, il principio delle cose create da Dio. Mi sono note le tue opere, come non sei né freddo, né caldo: oh fossi tu freddo, o caldo: ma perché sei tiepido, e né freddo, né caldo, comincerò a vomitarti dalla mia bocca. Perciocché vai dicendo: Sono ricco, e dovizioso, e non mi manca niente: e non sai che tu sei un meschino, e miserabile, e povero e cieco, e nudo. Tì consiglio a comperare da me dell’oro passato e provato nel fuoco, onde tu arricchisca, e sia vestito delle vesti bianche, affinché non comparisca la vergogna della tua nudità, e ungi con un collirio i tuoi occhi acciò tu vegga. Io, quelli che amo, li riprendo e li castigo. Abbi adunque zelo, e fa penitenza. Ecco che io sto alla porta, e picchio: se alcuno udirà la mia voce, e mi aprirà la porta, entrerò a lui, e cenerò con lui, ed egli con me. Chi sarà vincitore, gli darò di sedere con me sul mio trono: come Io ancora fui vincitore, e sedei col Padre mio sul trono. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese.]

I. Vers. 14. – All’Angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice colui che è la verità stessa, il testimone fedele e verace, che è il principio della creatura di Dio. – La settima e ultima età della Chiesa inizierà all’apparizione dell’Anticristo e durerà fino alla fine del mondo. Sarà un’epoca di desolazione, in cui ci sarà una defezione totale della fede, (Luca XVIII, 8): « Ma quando il Figlio dell’Uomo verrà, pensate che troverà la fede sulla terra? » È in quest’epoca che si compirà l’abominio della desolazione descritto in San Matteo, XXIV, e in Daniele, XI e XII. È anche allora che l’epoca finirà e che la parola della volontà divina si compirà. A questa età si rapporta il settimo giorno della creazione del mondo, quando Dio finì la Sua opera e si riposò il settimo giorno, (Genesi II). Ora, nella settima epoca della Chiesa, Dio completerà la Sua opera spirituale, che ha decretato di compiere attraverso il Figlio Suo Gesù Cristo. E poi si riposerà con i suoi Santi per tutta l’eternità. Questa epoca è anche rappresentata dal settimo Spirito del Signore, lo Spirito di scienza. Perché in quel tempo si saprà chiaramente, dopo che l’Anticristo sarà stato distrutto e gettato nell’inferno, che Gesù Cristo è venuto sulla terra come uomo. E poi quelli dei Giudei che rimarranno, faranno penitenza. Questa età è anche rappresentata dal settimo Spirito del Signore, perché allora la Scienza si moltiplicherà sulla terra, secondo Daniele, XII, 4. Allora apparirà il segno del Figlio dell’uomo nel cielo, ed ogni occhio lo vedrà. Inoltre, questa settima età è rappresentata dalla settima epoca del mondo. Perché come questa epoca sarà l’ultima a finire il secolo, così la settima epoca sarà l’ultima della Chiesa. Infine, il tipo di questa epoca è la Chiesa di Laodicea, che si spiega con il vomito. Ora, questa parola è appropriata per l’ultima epoca, durante la quale, in attesa che l’Anticristo salga al potere, la carità si raffredderà, la fede verrà meno, tutti i regni saranno in subbuglio ed in agitazione, e si divideranno tra loro; sorgerà una razza di uomini egoisti, accidiosi e tiepidi. I pastori, i prelati ed i principi saranno ingannevoli, simili agli alberi d’autunno, senza foglie e senza frutti di buone opere; essi saranno come stelle erranti, nuvole senza acqua. E allora Cristo comincerà a vomitare dalla sua bocca la Chiesa, e permetterà a satana di essere sciolto e di spargere il suo potere in tutti i luoghi; e il Figlio della perdizione entrerà nel regno, che è la Chiesa.

II. Questo è ciò che dice colui che è la verità stessa, il testimone fedele e vero, che è il principio della creatura di Dio. Le prime parole di questo testo contengono nuovi attributi o distintivi di Gesù Cristo. Questo è ciò che dice Colui che è la verità stessa. Il testo latino esprime queste prime parole con la parola amen. Amen è una parola ebraica, che significa vero. Questa parola si adatta perfettamente a Cristo, a causa della divinità che ha da sé, e che è la sua essenza, perché è la prim a Verità. Per questo San Giovanni, (XIV, 6) dice: « Io sono la via, la verità e la vita. » Questo attributo non può adattarsi a nessun uomo comune, perché ogni uomo è mendace, e solo Dio è verace. Il testimone fedele e verace della gloria e della maestà del Padre, al Quale ha reso testimonianza, essendo il Figlio, suo stesso e rimanendogli fedele fino alla morte, e alla morte di croce. Che è il principio della creatura di Dio, perché, secondo San Giovanni, 1: 2, «… tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui, e senza di Lui non è stato fatto nulla di ciò che è stato fatto ».  – L’Apostolo inizia esprimendo questi attributi ed insegne divine, per confermare le menti dei suoi servi nella verità del Vangelo, contro l’empietà dell’Anticristo, che, vantandosi di essere il Signore Dio del cielo e della terra, bestemmierà in modo orribile, dicendo che Gesù Cristo non è Dio, che non si è fatto carne e che né la sua testimonianza né il suo Vangelo sono veri, ecc.

Vers. 15. – Conosco le tue opere. Con queste parole, che l’Apostolo ha l’abitudine di usare, egli rimprovera le opere di questo tempo, come è chiaro da ciò che segue: Non sei né freddo né caldo, cioè non avete né il timore di Dio né il fervore della carità, con cui mettereste in pratica la giustizia e la verità. Il freddo e il caldo sono metafore che distinguono queste due virtù. Perché negli ultimi giorni l’iniquità abbonderà e l’amore di molti si raffredderà. (Matteo, XXIV, 12). È dunque con ragione che Gesù-Cristo rimprovera a questa età della Chiesa di non essere né fredda né calda. Piacesse a Dio che tu fossi freddo o caldo! Queste parole contengono una sorta di augurio con cui Nostro Signore Gesù Cristo, nel suo affetto paterno, lamenta il triste stato della sua Chiesa, come un padre o una madre sono soliti lamentare la morte di un figlio o di una figlia, e come un marito piange la moglie che ha amato.

Vers. 16. – Ma poiché siete tiepidi, cioè perché languite e perdete la fede, la speranza e l’amore, e quindi non osservate più i miei comandamenti, facendo opere di giustizia, Io vi vomiterò dalla mia bocca. L’uomo è solito buttare fuori dalla sua bocca ciò che gli appare cattivo e sgradevole, come, per esempio, l’acqua tiepida, che rappresenta, con una vera metafora, il fedele che langue nella fede, nella speranza e nella carità, e che non è più Cristiano se non solo di nome. Per questo dice: ti vomiterò dalla mia bocca. Il testo latino dice: Incipiam, comincerò a vomitarti dalla mia bocca, cioè comincerò a poco a poco a respingerti da me, a dimenticarti, ad abbandonarti e a lasciarti cadere nelle eresie. Vi vomiterò dalla mia bocca, cioè permetterò alle nazioni e all’Anticristo di calpestarti, come si usa calpestare la saliva e l’acqua tiepida che si getta a terra. Il popolo cristiano è nella bocca di Cristo attraverso la fede nella sua parola e nel suo Vangelo, e Gesù Cristo lo vomita a causa della follia delle sue abominazioni, permettendo loro di cadere nell’errore e di abbandonare la giustizia. Questo è ciò che Gesù Cristo comincerà a fare verso la fine della sesta epoca, ed è ciò che continuerà a fare nella settima, quando la carità si raffredderà, l’iniquità abbonderà e quasi tutti gli uomini perderanno completamente la loro fede.

Vers. 17. – Tu dici: Io sono ricco ed opulento e non ho bisogno di nulla; e non sai che sei un miserabile, un infelice, povero, cieco e nudo.

Vers. 18. – Io ti consiglio di comprare da me dell’oro provato nel fuoco per arricchirti, e delle vesti bianche per vestirti, affinché non appaia la vergogna della tua nudità; e applica ai tuoi occhi un rimedio affinché tu possa vedere. Gesù Cristo rivela qui, sotto la forma di una correzione paterna, i vizi ed i difetti di quest’epoca, contro i quali dà allo stesso tempo un consiglio salutare ed un rimedio opportuno. Il primo di questi vizi sarà una colpevole presunzione della mente, basata sulla propria conoscenza, che accecherà talmente gli uomini da non riconoscere nemmeno i loro peccati o i loro errori. Diventeranno così induriti nei loro vizi, nelle loro voluttà e menzogne che si giustificheranno e ignoreranno la sana dottrina. Questo è ciò che Gesù Cristo esprime con queste parole: tu dici con falsa iattanza e vana presunzione: Io sono ricco, cioè sono dotato di giustizia, di verità e delle più perfette e belle scienze. Io sono opulento nella conoscenza e nella pratica di tutte le arti. La mia esperienza supera quella di tutti i secoli. E non ho bisogno di nulla. Non ho bisogno di essere istruito da altri. Questo è anche lo spirito satanico degli pseudo-politici e dei falsi Cristiani del nostro tempo, i quali, disprezzando ogni vera scienza, ogni sana dottrina, e non ascoltando più i direttori delle anime, si giustificano in ogni cosa, e seguono solo gli impulsi del loro amor proprio e della loro volontà perversa. In questo modo corrono così verso la loro stessa perdizione. Ne consegue che: E voi non sapete, cioè non riconoscete di essere infelici. Perché tu sei davvero miserabile a causa della tua cecità, della tua mancanza di grazia e della vera luce, e di conseguenza sei anche miserabile a causa dell’inimicizia di Dio, che è la più grande di tutte le miserie. Ma la tua miseria è tanto più grande perché non sai, o non vuoi riconoscere il male, né vuoi usare il rimedio che Io o altri ti proponiamo. Sei infelice a causa della pena che ne seguirà. Inoltre, sei povero di meriti spirituali, meriti che non possono sussistere nello stato di inimicizia in cui ti trovi con Dio. Sei cieco, perché non vedi, e non riconosci i tuoi difetti, i tuoi vizi, la tua povertà e la tua miseria. E tu sei nudo e spoglio delle virtù della vera fede, della speranza, della carità, della giustizia e della religione; perché le virtù sono come l’abito dell’anima. Il secondo vizio di quest’epoca sarà la vana fiducia nelle ricchezze, nei tesori, negli oggetti preziosi, nei ricchi ornamenti, nella magnificenza degli edifici e dei templi, e nello splendore esterno delle cose spirituali e temporali. E poiché tutti questi vantaggi non saranno uniti alla carità verso Dio, non piaceranno a Gesù Cristo. Perché anche i sacrifici dell’Antico Testamento non erano accettati da Dio senza la misericordia. Tutti questi beni diventeranno la preda dell’Anticristo, che godrà dei tesori delle chiese, dei re, di principi e dei grandi. Egli calpesterà tutto ciò che è santo e sacro; consegnerà alle fiamme e rovinerà completamente i templi più magnifici. Allora ci sarà la più grande desolazione ed abominazione che ci sia mai stata; perché tutto ciò che è santo sarà consumato. Questo è ciò che dal fuoco e ridotto in cenere. È contro tali disgrazie che Gesù Cristo dà qui un consiglio salutare ed un avvertimento prezioso: Ti consiglio, già morente ed in lotta contro la morte, di comprare da me, invece di tutti questi tesori, dell’oro provato dal fuoco della carità e della sapienza celeste, con delle opere di misericordia, con delle elemosine e con delle pie fondazioni. Vi consiglio di comprare da me l’oro provato, che il tiranno non può portarti via e che nessuno può corrompere, come fecero San Lorenzo ed altri Santi martiri che, avvicinandosi alla morte e nell’ora della tentazione, distribuirono ai poveri i tesori della Chiesa e comprarono l’oro provato della carità, la cui fiamma ardente li aiutò a sopportare il fuoco e tutti gli altri supplizi dei tiranni. Questo è ciò che i santi di Dio devono fare, specialmente in questi ultimi tempi di calamità, dopo i quali non ci sarà più tempo e non ci sarà bisogno di oro, argento, vasi preziosi o di tesori. Così ci esorta paternamente Nostro Signore Gesù Cristo.  Per arricchirti, cioè per arricchirci di tesori celesti che nessuno può o potrà toglierci nell’eternità, se facciamo di noi stessi il sacrificio di questi beni deperibili e di breve durata. Io ti consiglio di comprare da me …. abiti bianchi per i gli occhi. Cioè gli abiti della virtù e dei vantaggi che Dio ti darà come ricompensa per la tua carità e le tue opere di misericordia. Compra questo oro, per non mostrare la vergogna della tua nudità. Copri i tuoi peccati, che sono come la nudità dell’anima; perché la carità ci ottiene il perdono della moltitudine dei nostri peccati. E applica sui tuoi occhi il collirio che ti faccia vedere. Il collirio è un rimedio; gli occhi dell’anima sono la memoria e l’intelletto. Ora, questi occhi dell’anima sono spesso oscurati ed accecati dal richiamo dei beni terreni. Il rimedio che Dio propone qui come medicina spirituale contro queste due malattie degli occhi, per preservarci dalla cecità spirituale, consiste soprattutto nella considerazione degli ultimi fini, e nella meditazione sulle Sacre Scritture. Questi rimedi saranno particolarmente necessari in questi ultimi tempi ai soldati di Gesù Cristo, a causa dell’orrore dei tormenti, degli errori e degli inganni dei falsi profeti, ed anche a causa degli scandali e della perdita totale della fede. È dunque per il nostro bene che Gesù Cristo ci avverte, dicendo: Applica un rimedio ai tuoi occhi, cioè, applica gli occhi della tua anima alla meditazione dei tuoi ultimi fini; scruta le sacre Scritture, per distinguere meglio la vanità dei beni presenti dalla solidità dei beni futuri. Cerca di distinguere anche la verità dall’iniquità del tiranno, che cercherà di sedurti con false promesse, con l’adulazione, con falsi prodigi e miracoli.

Vers. 19. – Io rimprovero e castigo coloro che amo; cioè, come un padre avverte i suoi figli amati, così io vi rimprovero, vi avverto e vi informo dei difetti che dovete correggere e dei pericoli che dovete evitare. E Io castigo coloro che amo, permettendo avversità, tribolazioni e persecuzioni contro di loro in questa vita; e li sottopongo al potere degli empi, secondo il Salmista, Ps. LXV, 12: « Tu hai sollevato gli uomini sulle nostre teste, siamo passati attraverso il fuoco e l’acqua, e ci hai portato al luogo di ristoro. »

III. Riaccendi il tuo zelo, allora, e fai penitenza. Queste parole contengono due ordini da seguire, e che Gesù Cristo intima ai fedeli che vivranno in quest’ultima prova, cioè il buon esempio e la penitenza. Riaccendete il vostro zelo, imitate i miei coraggiosi e prudenti soldati, che soffrirono simili persecuzioni sotto Diocleziano ed altri tiranni. E fa’ penitenza per i tuoi peccati, rialzati prontamente dalla tua caduta, come fece Papa Marcellino, che, dopo aver sacrificato agli dei nel timore dei tormenti e della morte, fece nondimeno penitenza.

Vers. 20. – Io sono alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Queste parole ci annunciano l’arrivo ed il pasto dell’Agnello, al quale ci invita dicendo: Sono alla porta e busso. Gesù Cristo sarà alla porta della Sua Chiesa quando verrà per il giudizio alla fine del mondo. E busserà quando gli uomini vedranno i segni e la grande tribolazione che ha predetto in Matteo XXIV, 32, dove aggiunge, nella parabola del fico: « Imparate e sappiate che quando vedrete queste cose, il Figlio dell’uomo è vicino ed è alla porta. » Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta. In quel tempo si sentiranno due voci: una vera e santa, che sarà quella di Gesù Cristo, e l’altra falsa ed empia, che sarà quella dell’Anticristo e dei suoi seguaci; poiché essi diranno che l’Anticristo è il Messia. È contro quest’ultima voce che Gesù Cristo ci mette in guardia quando dice in San Matteo, XXIV, 23: « Se dunque qualcuno vi dice che Cristo è qui o là, non credetegli. » L’altra voce è quella di Gesù Cristo, che dice nella Sacra Scrittura di essere veramente il Messia ed il Figlio di Dio. Questa voce sarà udita per bocca di Enoch ed Elia, e degli altri servi di Dio, che allora resisteranno all’Anticristo, e predicheranno che Gesù Cristo dice: … il vero Messia, che Egli è Dio e uomo, e che si è fatto carne, etc. È quindi con ragione che Gesù Cristo ci dice qui: Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta del suo cuore, credendo in me, Io entrerò in lui con la grazia della mia consolazione, in mezzo a tutti i tormenti e a tutte le avversità. E Io cenerò con lui ed egli con me. La cena corporale è il ristoro che l’uomo prende prima del sonno, così come la Cena del Signore è il ristoro dell’anima prima del sonno, come la anta cena è la refezione dell’anima prima della morte. È in questo senso che Gesù Cristo dice: Io mangerò con lui, cioè lo ristorerò, lo rafforzerò nella morte con la grazia della perseveranza … e si nutrirà con me, cioè sopporterà i tormenti fino alla morte, per ottenere la corona dell’immortalità.

Vers. 21. – A colui che sarà vincitore del mondo, della carne, del demonio e della morte, Io gli darò di sedere con me sul mio trono, come Io stesso ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono. Queste parole promettono ai soldati di Gesù Cristo, che saranno stati vittoriosi nell’ultima agonia di questo mondo, il potere e l’onore di giudicare i vivi e i morti, proprio come Gesù Cristo ha promesso ai suoi Apostoli in Matteo XIX, 28: « In verità vi dico che voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo siederà sul trono della gloria nel tempo della rigenerazione, anche voi siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. » Ora, Gesù Cristo promette ai suoi servi dell’ultima epoca una insigne distinzione in cielo, che sarà il potere giudiziario e la gloria di sedere su di un trono, come ricompensa per la difficile vittoria che avranno ottenuto nella più grande delle persecuzioni.

Vers. 22. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese.

FINE DEL PRIMO LIBRO

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (VIII)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (X)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (X)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica; 1922

Nihil obstat quominus imprimatur. Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

TERZO PRINCIPIO FONDAMENTALE: L’amore a Nostro Signor Gesù Cristo

Bella e dolcissima occupazione è quella d’intrattenersi con Dio nella preghiera. Degnissimo di lode è altresì il saperci dominare e vincere nella lotta contro le passioni, per renderci degni di trattare con Dio: nondimeno sì l’una che l’altra cosa, in molte occasioni sono difficili all’uomo; ma se interviene l’amore ad informarle riescono più che agevoli.

CAPITOLO I.

L’amore.

1. Staccare il cuore dalla terra ed elevarlo al cielo; portare generosamente la croce ed accettare con gioia ogni sorta di sacrifici, senza dubbio è cosa molto ardua alla povera natura nostra; e molto ci gioverebbe se avessimo a nostra disposizione qualche mezzo che soavemente e poderosamente ci stimolasse ed incoraggiasse a sopportare, con animo tranquillo tutte le tribolazioni della vita.

2. Ora, questo mezzo è l’amore. L’amore è l’inclinazione della volontà nostra a un bene adeguato al nostro cuore, che soddisfa i suoi desideri di felicità, ed il cui possesso lo ricolma di pace e di gioia. Suoi compagni sono sempre la tranquillità e la contentezza, che nascono naturalmente dal possesso del bene anelato, e con esse tutto domina. L’amore è la forza più potente che esista in cielo e sulla terra. Dio è amore, e l’amore è il dono e la partecipazione più eccellente da Lui fatta agli uomini.

3. Ma perché l’amore sia durevole e capace di soddisfare tutti gli appetiti dell’uomo, il bene, oggetto di codesto amore, e che è la sorgente di pace e di gaudio, dev’essere un ideale supremo di verità, di bontà e di bellezza; ideale vero e reale, non immaginario e puramente possibile, il quale da una parte bisogna che sia molto elevato sopra di noi perché possa innalzarci verso di sé, e dall’altra che sia somigliante a noi medesimi perché lo possiamo comprendere, abbracciare, sentirci con tutta sicurezza attratti a Lui. Inoltre fa d’uopo che sia immutabile, incorruttibile, perpetuo, che oltrepassi i limiti della vita nostra; poiché altrimenti sarebbe inferiore a noi. È necessario, infine, che sia un bene senza limiti né misura, perché possa colmare tutte le nostre aspirazioni e l’immensa e sconfinata capacità del nostro cuore.

4. Ma, dove trovare sulla terra quest’ideale, se quaggiù tutto è piccolo e fragile? Fa d’uopo salire più su, al cielo, per trovarlo e trarlo a noi (Deut. XXX, 12). Iddio che ha impresso nel nostro cuore la brama d’amore e di felicità ci ha dato nello stesso tempo il modo di ricolmarla. Esiste un essere più alto della terra e più immenso che il cielo, Dio ed uomo insieme, ed in cui si uniscono la maestà divina e la grandezza umana,  dalla Cui vita traggono esistenza tutte le cose nel cielo e sulla terra, e che tutto rallegra con lo splendore della sua bellezza, Mai, nemmeno in tutta l’eternità, potremo abbracciare né comprendere la sua maestà; basta un raggio della sua essenza per rendere felice l’intera vita e per compensare ogni gusto e piacere terreno, ed è un balsamo per tutte le pene ed un gaudio anticipato del paradiso. Quest’ideale, quest’essere è nostro Signor Gesù Cristo, Dio benedetto nei secoli (Rom. IX, 5). Per stimolarci ad amarlo addurremo qui alcuni tratti del suo carattere e della sua vita, i quali basteranno per infondere nel cuor nostro quest’amore, accrescerlo e portarlo a sì alto grado che valga ad informare tutta la nostra vita.

CAPITOLO II.

Cristo – Dio

Dio solo basta all’uomo per la sua perfetta felicità, Come lo dimostra una triste esperienza, erra ed inutilmente si affanna quel cuore che si attacca alle creature, credendo di trovare in esse una completa soddisfazione. Quant’è piccolo e spregevole tutto ciò che appartiene a questo mondo, di quante imperfezioni e nere ombre è coperto, e come presto tutto passa lasciandoci inquieti e con le stesse ansie infinite di felicità e d’amore! Solo un bene infinito ed eterno, solo Dio può soddisfarci. È l’immagine di Dio che portiamo impressa nell’anima nostra, è l’innata dipendenza che abbiamo dal nostro Creatore e l’istinto della divina filiazione ciò che ci porta a Dio come all’ultimo fine nostro, e fa che Lo consideriamo quale sorgente d’ogni felicità.

1. Rallegriamoci: stando con Cristo stiamo con Dio; poiché Egli è vero Dio e Dio nostro. Non è qui il luogo di provarlo scientificamente; parliamo ad anime che sono più che convinte di questa verità, e solo desiderano di penetrarne la bellezza ed efficacia di cui è adorno.

2. San Giovanni comincia il suo Vangelo colle parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era appresso Dio, e il Verbo era Dio (Giov. I, 1). Per la qual cosa, da tutta l’eternità nel suo essere Cristo si manifesta come Dio, come soggetto e possessore della vera divinità. E nella divinità Egli è il Verbo, la sapienza, la verità, il Figlio, la luce, la vita, la bellezza. Sono tutti questi nomi che Ei si dà a Sè medesimo e che la Scrittura Gli attribuisce, e che indicano le qualità della sua Persona. E quali immagini e sentimenti non destano nel nostro cuore. Qual cosa più piacevole, più dolce, più amabile e quale maggior fiducia può infondere nel cuore che la verità, la bellezza, la vita? Ebbene, tutto questo, nel più elevato grado, è la persona di nostro Signore Gesù Cristo.

3. San Giovanni continua: Egli era nel principio, e per Mezzo di Lui furono fatte le cose tutte (Giov. I, 3). Come sapienza del Padre Egli era il libro della vita in cui stava l’esemplare della bontà creatrice di Dio e della sua partecipazione alle creature, con infinita perfezione, varietà e bellezza; e secondo questo esemplare il Padre creò tutte le cose. E chi potrà concepire il potere e la magnificenza di questa forza creatrice? Là stavamo noi pure come vive immagini della sua bontà, là vivevamo e là eravamo amati in una maniera singolare, posto che volle darci realmente l’esistenza, mentre altri innumerevoli esseri rimasero nel numero dei meramente possibili. Fu, dunque, la sapienza di Dio il primo focolare nostro. originario ed eterno, la sorgente e il fondamento del nostro essere e dell’esistenza nostra. Come potremo noi non amarlo ? Sarà egli possibile che ci dimentichiamo di Lui? Spesso ci viene il pensiero e il desiderio: « Oh se io potessi vedere Dio! Come mi tornerebbe allora facile amarlo! » Ebbene, in qualche maniera, Lo vediamo anche adesso; vediamo almeno qualche cosa di Lui, nella natura e nelle creature. Il mondo della scienza e dell’arte, le cose visibili ed invisibili non sono, certamente, che un’immagine, immagine però di Dio, per la quale possiamo formarci un’idea di Lui ed amarlo. Ed anche queste creature terrene e visibili si presentano con una tale bellezza e magnificenza, che siamo obbligati a lottare e vincerci perché il cuor nostro non si lasci trascinare da esse e perdiamo Dio. Ora, che sarà Dio medesimo? È un essere affatto distinto da quanto possiamo figurarci, e sarà sempre vero ch’Egli è infinitamente più grande e bello di quanto ci sia dato concepire. Egli è la causa di tutti gli esseri, e perciò l’intero creato nella sua vita; nel suo ordine, nella sua varietà e nella sua bellezza rispecchia l’immagine del Figlio, e tutto il visibile è una manifestazione dell’invisibile maestà sua. Chi potrebbe dubitare che il Signore, il Creatore della bellezza, Colui che ha impresso su quanto esiste una sì incomparabile beltà, non sia Egli medesimo infinitamente più bello ? (Sap. XIII, 3 segg.). Oh! quanto, dunque, dev’essere Egli grande, eccelso, amabile!

4. Gesù Cristo è Dio; e per darci una testimonianza di questa verità, che torna a nostro onore ed a nostra salvezza, Ei venne in questo mondo. E quanto spesso, ed in quante commoventi e diverse maniere manifestò la coscienza che aveva della propria divinità! Conversava un giorno teneramente co’ suoi Apostoli, descrivendo loro la dimora celeste e parlando di suo Padre, ed essi Gli dissero: Signore, facci vedere il Padre, e siamo contenti. Gesù rispose: Filippo, chi vede me, vede anche il Padre… Non credete voi che Io sono nel Padre, e il Padre è in me? (Giov. XIV, 8 Segg.). Io e il Padre siamo una cosa sola. (Ib. 10, 30). Io sono la luce (VIII, 12) e la vita del mondo. (Ib. IX, 3). Io sono la via, la verità e la vita (Ib. XIV, 6). Or la vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e Gesù Cristo mandato da te. (Ib. XVII, 3). E per confermare queste parole operò miracoli nel mondo degli spiriti, profetizzando, e nel mondo visibile, sanando infermi e risuscitando morti. Ed in cambio di queste prove Egli esige fede: Credete in Dio (nel Padre), credete anche in me (ib. XIV, 1); e più che fede, ci domanda amore quale unicamente un Dio può domandare: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore (Luc. X, 27). Dio solo può esigere che Gli si consacrino tutti gli affetti del cuore, come Egli solo è l’unico che possa rendere pienamente soddisfatte le sue ansie di felicità e d’amore.

5. E dal canto suo Egli ha trovato amore quale solamente a un Dio può tributarsi. Di passaggio sulla terra vi fondò un regno: universale, un regno nel quale Egli è adorato ed amato come Dio. Incominciando dagli Apostoli e dai primi discepoli si ebbe sempre una moltitudine di anime che rinunciarono a tutti i beni della terra, disprezzarono e sacrificarono la stessa vita, crocifissero il mondo nel loro cuore e si consacrarono totalmente all’amore di Cristo. E così avverrà sempre. Ogni vero Cristiano è disposto a confermare questa verità fondamentale del Cristianesimo col sacrificio della propria vita e dei suoi viù cari interessi. Fede ed amore sono le basi di questo regno, e non verranno meno mai. Ed una prova splendida della divinità di Gesù Cristo è la vittoria morale che conseguì sul mondo, convertendolo alla sua fede ed al suo amore. Vissero dei grandi uomini che colla potenza del loro genio e colla propria vigoria trassero dietro di sé il mondo, mentre vissero; ma chi è colui che per amore ai medesimi rinnegò se stesso e le intime aspirazioni del proprio cuore? Sparirono quei potenti, il loro operato con essi, né v’ha più chi si ricordi di loro. Dunque altro potere completamente distinto è quello che opera ed influisce di continuo nel mondo, dacché Cristo partì da esso, e quello che alimenta nelle anime la sua fede ed il suo amore; e questo è il potere della sua divinità che dall’uno e l’altro lato del sepolcro manifestasi splendido e vittorioso.

6. Cristo, in Cui crediamo, in Cui speriamo, e Cui amiamo è Dio: esultiamo. In Lui abbiamo quanto il nostro cuore con tanto ardore ed incessantemente desidera. Imperocché Cristo non è solamente l’essere primo, il più nobile, il più forte e bello del creato; è Dio, e per ciò è infinitamente più che tutte le creature insieme. Non solo possiamo ammirarlo, lodarlo ed amarlo, ma anche adorarlo. In Lui troviamo l’ultimo nostro fine e riposo; è inutile cercar altrove verità, bontà, bellezza: in Cristo troviamo tutto questo perfettamente. Servire Lui è servire Dio, e tutto il nostro bene e la nostra felicità consistono nell’onorarlo. Né il tempo né la morte che ci strappano da tutto ciò che è terrena, potranno mai privarci dell’oggetto del nostro amore. Mai sazietà o noia potranno distruggere né diminuire questo gaudio. Poiché avviene con Dio il contrario di ciò che succede fra noi. Noi siamo mutuamente gli uni per gli altri sorgenti povere e meschine di conforto, che tocchiamo l’esaurimento senza averci potuto saziare; l’infedeltà o la morte troncano tutto. Al contrario, in Dio, quanto più si cerca, tanto più si scopre; e la pace, l’amore ed il gaudio non hanno fine. Ed è anche in questo senso che si possono interpretare le parole di S. Giovanni: Dio è maggiore del nostro cuore (Giov. Epist. I, III, 20). E nessuno vi toglierà il vostro gaudio (Giov. XVI, 22). Chi crede nel Figliuolo ha la vita eterna (Ib. 3, 36). – Ma la vita, come scrive S. Agostino, consiste nel conoscere, amare ed essere felice: Vacabimus et videbimus, videbimus et amabimus, amabimus et laudabimus: ecce quod erit in fine sine fine (De civ. Dei 1. 22, c. 30, n. 5). « Riposeremo e vedremo, vedremo ed ameremo, ameremo e loderemo.., Ecco quello che sarà in fine e non avrà fine ». – La prima condizione, dunque, dell’amore, vale a dire, che il suo oggetto sia molto superiore a noi e infinito sotto ogni rapporto, resta perfettamente soddisfatta dalla divinità di Gesù Cristo, Quanti ringraziamenti non dobbiamo al nostro celeste Padre per averci inviato il suo Figliuolo e con lui tutte le cose, anche Se stesso e lo Spirito Santo ! Non abbiamo più bisogno di andar mendicando amore e felicità fra le creature: in Cristo, Figlio di Dio, abbiamo tutto. E possiamo dire cogli Apostoli, sebbene in diverso modo: « Padre, mostraci il Figlio, e questo a noi basta » (Giov. XIV, 8).

CAPITOLO III.

Dio – Uomo

L’uomo per la sua felicità ha bisogno in primo luogo di Dio, ed in secondo luogo dell’uomo stesso. Per questo Dio s’è fatto uomo, per avvicinarglisi di più e cattivarsi l’amor suo. Dio per natura è invisibile e puro spirito, e fu d’uopo che si presentasse in figura visibile, affinché l’uomo potesse conoscerlo e comprenderlo debitamente. E come dev’essere bella ed amabile l’immagine che Iddio ci diede di se stesso. E così è realmente; codesta immagine è l’umanità di Cristo, e Cristo vero Dio ed uomo, apparve in mezzo a noi ricolmo di amabilità e di tenerezza (Tit. III, 4).

4. Il Figlio di Dio, senza lasciare di esserlo, s’è fatto uomo, prendendo realmente l’umana carne, Aveva, quindi, corpo ed anima, intelletto e volontà, fantasia e sentimenti, come noi, colla differenza che la Persona divina era quella che sosteneva in Lui le due nature, la divina e l’umana, tra loro unite. Ma questa unione non alterava mai minimamente l’umana natura; l’unica cosa che faceva era di elevarla alla partecipazione della dignità e gloria divina, e di comunicare alle potenze naturali una perfezione mai vista fino allora. L’intelletto suo chiarissimo penetrava i più reconditi secreti delle verità naturali e soprannaturali; la sua volontà, dotata d’un’ingenita purità e santità, aveva un potere così immenso che non conosceva limiti né in cielo né sulla terra; il suo corpo, delicatissimo e bellissimo, era lo strumento di meravigliose azioni; l’Uomo-Dio era sotto ogni aspetto il capolavoro della creazione, e la manifestazione più ammirabile di Dio.

2. E se noi riflettiamo sul modo che il Figlio di Dio tenne nel prendere l’umana carne, vedremo che fu quello che più poteva obbligare l’amor nostro e la nostra riconoscenza. Perocché non la prese ricevendola, come Adamo, immediatamente dalle mani di Dio, ma nascendo dalla nostra stirpe e dal nostro sangue, di maniera che poterono contarsi i suoi antenati sino al primo uomo. Più ancora: volle essere, in tutto, uomo come noi, aver madre, appartenere a famiglia, a patria, a nazionalità, a religione determinata, e ricevere persino un nome come gli altri. In tutto, eccettuato unicamente il peccato, volle rassomigliarsi a noi; e così realmente e con tutta verità è del nostro sangue fratello nostro secondo la carne. Inoltre, Ei prese la natura nostra, non già come la ricevette Adamo originariamente, immortale e impassibile, ma tale come restò dopo il peccato; soggetta ai patimenti ed alla morte. E questi stessi suoi patimenti non furono quelli che comunemente proviamo tutti nel corpo e nell’anima, ma nella misura che Egli determinò, e che manifestò durante la sua vita. Giusta il parere molto probabile di teologi, Iddio mostrò al Salvatore nel primo istante del suo essere tutti i mezzi che potevano servirgli onde salvarci, lasciandone a Lui la scelta. E con un atto perfettamente libero, come conveniva al Figlio di Dio, determinò tutte le circostanze della vita e Passione sua santissima, facendone realmente la scelta al momento dell’Incarnazione (Ebr. X, 5 sgg.). E sappiamo bene in quale misura rinunziò agli onori e comodità terrene, e come abbracciò la povertà, le fatiche, le umiliazioni, i patimenti. Così, con questa elezione, impresse su tutta la sua vita il sigillo e la marca del sacrifizio; così effettivamente annichilò sé stesso presa la forma di servo (Filipp. II, 7).

3. E perché volle così? La ragione ultima è l’amore che ci portò. Per la gloria di Dio e per soddisfare compiutamente pel peccato, sarebbe stata sufficiente la più piccola opera dell’Uomo-Dio; poiché quanto fece e patì aveva un valore infinito ed a ciò più che bastante. Nemmeno cercava la sua propria gloria e vantaggio, poiché la gloria sostanziale eragli stata comunicata totalmente nel primo istante dell’essere suo, e non era suscettibile d’aumento; e per quello che riguarda la gloria accidentale, che consiste nell’onore e nell’amore che noi Gli tributiamo, era bastantemente amabile in Se stesso perché avessimo ad amarlo sopra tutte le cose ed in tutto Lo servissimo, ed avevamo inoltre la sua grazia che ce lo rendesse possibile. Di maniera che resta infine solo l’amore come causa della elezione che fece. Perché non volle in vita sua essere da più di noi suoi fratelli, ma in tutto rassomigliarci: volle che in tutti i nostri patimenti avessimo in Lui un modello ed un fedele compagno e consolatore, e che seguendolo conseguissimo l’eterna ricompensa delle opere e dei patimenti nostri. Che amore disinteressato, nobile e fedele! Tanto ci amò fin d’allora e si diede per noi (Gal. II, 20).

4. E quanti beni e vantaggi non ci apportò l’unione sua colla natura nostra! In primo luogo, disposandosi il Figlio di Dio con essa, la elevò e nobilitò sino a renderla quasi divina e imparentata, per così dire, con Dio. Uno di noi è per natura vero Figlio di Dio. Siamo oggetto di venerazione anche agli Angeli, poiché  in Cristo la nostra schiatta è stata elevata al di sopra di tutte le Gerarchie angeliche. Cristo è Signore degli Angeli, ma non loro fratello per natura, e tutti essi adorano Lui che sta seduto sul trono di Dio. In secondo luogo, con Cristo ci vennero tutte le ricchezze. Egli è il Capo dell’umanità, e come il capo comunica ai membri tutti i suoi beni, così Cristo rende partecipe l’umana natura di tutti i suoi tesori. La vita soprannaturale, la grazia, la gloria e tutti i meriti di Cristo ci appartengono e ne siamo possessori nella loro sorgente. Abbiamo un diritto su di essi, se crediamo in Cristo e l’amiamo. Più; persino rispetto a Dio ci siamo arricchiti in Cristo, poiché per suo mezzo possiamo offrire al Signore il dovuto tributo d’adorazione, di ringraziamento e di soddisfazione, in modo tale che corrisponda degnamente a quanto Dio esige da noi. In terzo luogo, il considerare che Cristo è anche vero uomo risveglia nelle anime nostre sentimenti d’intima consolazione e di confidenza senza limiti. Oh, sì! Cristo è vero Dio, ma nello stesso tempo è vero uomo, con tutto ciò che appartiene all’umanità, eccetto il peccato, e quanto ha in più di noi lo deve esclusivamente alla liberalità e condiscendenza di Dio. Ben lo sapeva Egli, e per questo era ed è così umile, così buono, così misericordioso con noi, malgrado la nullità nostra e le nostre miserie. Prima di giungere ad essere il Sommo Sacerdote, pieno di misericordia, si sottomise a tutte le penalità della vita (Ebr, V, 2). Non dobbiamo, quindi, mirarlo con timore, e come se fosse collocato a una immensa distanza da noi e di distinta natura. No; non è Egli un essere estraneo e superiore da doverlo contemplare con apprensione; è come noi, della medesima nostra natura, uno di noi; e perciò dobbiamo amarlo ed appressarci a Lui con tutta fiducia; perocché come uomini, come fratelli suoi, quantunque sì miserabili e peccatori, possiamo fare assegnamento sull’illimitato amore del suo cuore. – Tutto questo si è fatto per noi il Figliuolo di Dio mediante l’Incarnazione, il cui effetto è l’Uomo-Dio, quest’Essere mirabile ed immenso; quest’Essere che la Scrittura chiama la causa, il primogenito fra le creature (Col. I, 15, 16, 19), l’erede universale di Dio (Ebr. I, 2); Uomo-Dio, quest’Essere potentissimo, dinanzi al quale si piega ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno (Filipp. II, 10); Uomo-Dio, il più bello ed amabile, la quintessenza dei pensieri di Dio; Uomo-Dio, l’amore e l’ammirazione del cielo; Uomo-Dio, la vita e il conforto della povera umanità; Gesù, che si fece fratello nostro e che stringendoci al cuore colle braccia dell’amor suo ci solleva alla patria eterna, e ci presenta a suo Padre come dolci conquiste della sua tenerezza ed amabilità. Che mai potrebbe Dio ideare e creare di più per un cuore che non si commovesse a tanta maestà e bellezza?

CAPITOLO IV.

Dio – Bambino

1. Dio si fece Uomo in tutta l’estensione della parola, e per conseguenza, anche bambino; perché l’infanzia appartiene naturalmente all’essere ed alla vita dell’uomo. È qui noi prendiamo la parola fanciullezza, non nel senso più ristretto, ma riel più ampio, che abbraccia tutto il periodo dello sviluppo dell’uomo, dal suo primo momento fino all’acquisto completo delle sue forze giovanili. E questa è la prima differenza fra il primo ed il secondo Adamo. Il primo non conobbe infanzia né gioventù, ma si presentò immediatamente al mondo come uomo perfetto. Il secondo Adamo volle percorrere tutti gli stadi della vita, e così l’infanzia di Gesù è una conseguenza del mistero dell’Incarnazione, e del proposito suo di voler conformare perfettamente la propria vita alla nostra.

2. E qual è il tratto più caratteristico di questa prima apparizione di Cristo tra gli uomini? L’Apostolo ce lo dice con queste parole: Apparve la benignità e l’umanità di Dio nostro Salvatore (Tit. III, 4). La benignità e l’amabilità sono il carattere, quindi, della prima venuta di Gesù al mondo, ed a manifestarle concorreva appunto il suo modo di presentarsi. Ed invero, che di più amabile d’un fanciullo? L’uomo è l’essere più nobile delle creature visibili, ed il fanciullo è il fiore dell’umanità. Chi può contemplare la sua bellezza fresca e delicata, l’anima tenera che vi s’intravede e l’attrattiva della semplicità ed innocenza di lui, senza commuoversi ed amarlo? Chi sarebbe capace di respingere un fanciullo, quando confidente si stringesse a lui per implorare soccorso? Ebbene, questa fu l’arte del Figliuolo di Dio al suo primo apparire sulla terra onde cattivarsi l’amor nostro. – Tutte le manifestazioni di Dio sono altrettanti modi di cui si vale nella sua bontà per avvicinarsi a noi; ma non ve n’ha una che sia tanto commovente come questa (Ebr. I, 2). Di fronte a questo fanciullo sembra di sentirci più sapienti, più forti di lui, a tal punto da aver compassione di Dio, povero ed abbandonato sulla terra. Spariscono qui tutte le barriere che la divina Maestà innalzava tra Lui e noi. Dio s’è fatto come uno di noi e, in apparenza, meno di noi. Un pargoletto è nato a noi, e il Figlio è dato a noi (Is. IX, 6). Figlio dell’uomo chiamasi l’eccelso Dio nostro; il segno meraviglioso della sua venuta dato ai pastori era, che avrebbero trovato un Bambino povero ed ignorato, ravvolto in pannicelli e giacente in una mangiatoia. Come con verità e bellamente disse S. Bernardo: « Grande è il Signore e degno di lode oltre ogni misura; il Signore è piccolo e si merita tutto l’amore senza eccezioni! » E lo stesso modo tenne durante la sua fanciullezza e gioventù. Che amabilità quella dell’Onnipotente nel sottomettersi alle sollecitudini d’una madre e di un padre putativo su questa terra, nel ricevere da essi l’alimento e mostrare che fossero i suoi difensori contro i propri nemici! Qual soave mistero quello del suo crescere e svilupparsi, allorché il suo corpo diveniva sempre più bello e dignitoso, allorchè l’anima di Lui manifestavasi ognor più risplendente, allorchè Egli eseguiva gradatamente azioni vieppiù perfette! Quanto amabile l’umiltà sua, la sua obbedienza, la sua pietà, la laboriosità della sua vita nascosta, meraviglia del cielo e della terra, la cui vista eccitava, a favore de’ proprî figli, una santa emulazione nelle donne di Nazareth verso la fortunata madre di quel Fanciullo! Qual soave mistero quello della sua fermata nel tempio, raggio anticipato della sua vita pubblica, in cui si manifesta come Messia e Figlio di Dio, ma povero e staccato da quanto sa di carne e di sangue, per dichiararci quanto prima che più che alla Madre sua appartiene a noi, che ardentemente desidera giunga l’ora di essere tutto nostro! Il presepio medesimo col suo Silenzio e la sua povertà è un segno eloquente di ciò che ha da operare più tardi a nostro favore; la madre Lo involge ora in pannicelli, più innanzi Lo involgerà nella Sindone: adesso Ei versa lagrime, verserà poi tutto il suo Sangue; nasce in una misera grotta in aperta campagna, e più tardi un sepolcro prestatogli ne riceverà l’adorabile corpo.

3. Le circostanze di luoghi e persone che circondano l’infanzia del Salvatore fanno che ne risalti vieppiù l’amabilità sua. Si presenta innanzi tutto la piccola, ma regale città di Davidde, distesa sopra verdi colline e ondeggianti praterie, ricca di gradite memorie degli antichi tempi; quindi, la misteriosa terra dei Faraoni colle sue piramidi, alla cui ombra si ammaestrarono i figli d’Israele nella religione, nelle arti e nei lavori, fino a divenire un popolo potente; indi la pacifica Nazareth, gradita dimora per tanto tempo della sua gioventù e testimonio della sua vita nascosta e del suo tranquillo lavoro: e finalmente il sacro tempio di Gerusalemme, l’antica città dei profeti, dove ci si Manifesterà un giorno glorioso e dove ora fa che i dottori della legge, venerati quasi superstiziosamente dai Giudei, rendano omaggio a Lui, Fanciullo di dodici anni: luoghi tutti celebri e strettamente legati alla vita di Gesù Cristo. Similmente amabile e pieno di significati è il gruppo di persone che circonda la sua infanzia: la Vergine Madre, di regale prosapia, il giusto e fedelissimo Padre putativo, i semplici e pii pastori, i celesti messaggeri che intonano inni di giubilo, i santi Simeone ed Anna, i Re Magi fedeli alla vocazione della stella. Tali sono i santissimi personaggi che intervengono alla nascita di Gesù, i suoi primi adoratori e profeti, che annunziano al mondo la di Lui venuta e fanno testimonianza della sua divinità. E questa divinità per noi è della massima importanza; perocché a che gioverebbe senza di essa la povertà e l’amabilità del Bambino Gesù? Ei non vuole da sé stesso rompere il silenzio della propria infanzia per manifestarsi Dio qual è, ma ne lascia la cura a codesti santi, e per ciò i medesimi sono intimamente legati alla prima di Lui età, ed offrono al mondo l’incomparabile loro servigio di attestarne la divinità.

4.Che quadro stupendo è mai quello dell’infanzia del nostro Dio! Un Dio-Bambino, giacente in una mangiatoia, che abbisogna d’alimento e di attenzioni, che piange, che si sottrae colla fuga ai suoi nemici, che vive vita nascosta e si guadagna l’alimento con un’umile arte! E pensare che in Lui non può aver luogo alcuna debolezza interiore né l’inconsapevolezza degli altri fanciulli! Al contrario, tutto in Lui vibra forza e vita, vita divina che tutto vivifica, sotto la forma dell’amabilità senza limiti e dell’amore più tenero; potere che tutto attrae a sé irresistibilmente. Infatti, dove sarebbe al mondo colui che non sentisse l’attrattiva potente di quest’infanzia? Non fu dessa la delizia della prima nostra età? Non furono per Betlemme i primi palpiti del nostro cuore, gli affetti tutti dell’anima nostra? Oh! con che soavità ed amore pregavamo dinanzi al presepio, come mai forse l’avremo poi fatto! E perché non possiamo tornar al fervore di quei giorni? Nella grotta di Betlemme come sul Calvario, dinanzi al l’abernacolo come in Cielo, nostro Signore è sempre il medesimo, degno mai sempre d’adorazione, di rispetto e d’amore. Tutte le divozioni indirizzate all’umanità di Cristo conducono a Dio. Per questo un S. Francesco, un S. Bernardo e tanti altri santi personaggi, col fervore del loro spirito rinnovarono il mondo, furono specialissimamente devoti dell’infanzia di Gesù Dove potremmo trovare più verità, più sapienza, più amabile grandezza, beltà più attraente che non nel Bambino di Betlemme? Confidenza ed amore sono la caratteristica della divozione al Bambino Gesù; perché non dovrebbero formare altresì la caratteristica della nostra vita?

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (VI)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (VI)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO PRIMO

SEZIONE III


SUL CAPITOLO III


DELLE TRE ULTIME ETÀ DELLA CHIESA MILITANTE.

 § I.


La quinta era della Chiesa militante, chiamata era di afflizione, iniziata dopo Leone X e Carlo Quinto, va fino al Pontefice santo ed al Monarca potente.


Cap. III. VERSETTI. 1-6.

Et angelo ecclesiæ Sardis scribe: Hæc dicit qui habet septem spiritus Dei, et septem stellas: Scio opera tua, quia nomen habes quod vivas, et mortuus es. Esto vigilans, et confirma cetera, quae moritura erant. Non enim invenio opera tua plena coram Deo meo. In mente ergo habe qualiter acceperis, et audieris, et serva, et pœnitentiam age. Si ergo non vigilaveris, veniam ad te tamquam fur et nescies qua hora veniam ad te. Sed habes pauca nomina in Sardis qui non inquinaverunt vestimenta sua: et ambulabunt mecum in albis, quia digni sunt. Qui vicerit, sic vestietur vestimentis albis, et non delebo nomen ejus de libro vitæ, et confitebor nomen ejus coram Patre meo, et coram angelis ejus. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Mi sono note le tue opere, e come hai il nome di vivo, e sei morto. Sii vigilante, e rafferma il resto che sta per morire. Poiché non ho trovato le tue opere perfette dinanzi al mio Dio. Abbi adunque in memoria quel che ricevesti, e udisti, e osservalo, e fa penitenza. Che se non veglierà! verrò a te come un ladro, né saprai in qual ora verrò a te. Hai però in Sardi alcune poche persone, le quali non hanno macchiate le loro vesti: e cammineranno con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. Chi sarà vincitore, sarà così rivestito di bianche vesti, né cancellerò il suo nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome dinanzi al Padre mio e dinanzi ai suoi Angeli. Chi ha orecchio, oda quello che dica lo Spirito alle Chiese.]

VERSETTO 1. – Scrivi all’Angelo della Chiesa di Sardi: Ecco ciò che dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere.

I. –  La quinta età della Chiesa è iniziata sotto l’imperatore Carlo V ed il Papa Leone X intorno all’anno 1520 e durerà fino al Santo Pontefice e al potente Monarca che verrà nella nostra epoca e che sarà chiamato l’Aiuto di Dio, cioè restaurando tutte le cose. La quinta età è un’età di afflizione, desolazione, umiliazione e povertà per la Chiesa, e può essere giustamente chiamata un’età purgativa. (purgativus). Infatti, in quest’epoca Gesù Cristo ha purgato e purgherà il suo frumento con guerre crudeli, con sedizioni, con carestie e pestilenze, ed altre orribili calamità, affliggendo ed impoverendo la Chiesa latina con molte eresie, e anche con cattivi Cristiani che le toglieranno un gran numero di vescovadi, un numero quasi innumerevole di monasteri, ricchissime prepositure, etc. La Chiesa sarà sopraffatta e impoverita dalle imposizioni e dalle esazioni dei principi cattolici, così che possiamo giustamente gemere ora, e dire con il profeta Geremia, nel suo libro delle Lamentazioni, (I, 1.): « La regina delle città è tributaria. » Poiché la Chiesa è umiliata e svilita, poiché è bestemmiata dagli eretici e dai cattivi Cristiani, i suoi ministri sono disprezzati e non c’è più onore né rispetto per loro. In questo modo Dio purificherà il suo grano e getterà la pula nel fuoco, mentre raccoglierà il buon grano mettendolo nel suo granaio. Infine, questa quinta epoca della Chiesa è un’epoca di afflizione, un’epoca di sterminio, un’epoca di defezione piena di calamità. Saranno pochi i Cristiani rimasti sulla terra ad essere risparmiati dal ferro, dalla carestia o dalla pestilenza. I regni combatteranno contro i regni, e tutti gli stati saranno desolati per le lotte intestine. Principati e monarchie saranno rovesciati; ci sarà un impoverimento quasi generale ed una grande desolazione nel mondo. Queste disgrazie si sono già in parte compiute e si stanno compiendo ancora. Dio le permetterà con un giustissimo giudizio, a causa della piena misura dei nostri peccati che noi ed i nostri padri avremo commesso nel tempo della sua liberalità nell’aspettarci di fare penitenza. La Chiesa di Sardi è un tipo di questa quinta epoca. Perché la parola “Sardi” significa principio di bellezza, cioè principio della perfezione che seguirà nella sesta età. infatti la tribolazione, l’impoverimento e le altre avversità sono l’inizio e la causa della conversione degli uomini, come il timore del Signore è l’inizio della sapienza. Ecco che noi temiamo Dio ed apriamo gli occhi, quando le acque e i flutti della tribolazione vengono su di noi. Quando invece siamo nella felicità, ognuno sotto il suo fico, nella sua vigna, all’ombra degli onori, nella ricchezza e nel riposo, ci dimentichiamo di Dio, il nostro Creatore, e pecchiamo in tutta sicurezza. Ecco perché la divina provvidenza ha saggiamente ordinato che la Sua Chiesa, che Egli vuole conservare fino alla fine dei secoli, sia sempre irrorata dalle acque della tribolazione, proprio come un giardiniere che innaffia le sue piante in tempi di siccità. A questa epoca è anche legato il quinto Spirito del Signore, che è lo Spirito di consiglio. Infatti, Egli usa questo spirito per allontanare le calamità o per impedire mali maggiori. Lo usa anche per conservare il bene o per procurare un bene ancora maggiore. – Ora la Saggezza divina comunicò lo spirito di consiglio alla sua Chiesa, principalmente nella quinta età:

1°. Affliggendola, affinché non fosse corrotta interamente dalle ricchezze, dalla voluttà e dagli onori, e per evitare che perisse.

2°. Interponendo il Concilio di Trento come una luce nelle tenebre, affinché i Cristiani che la vedessero sapessero in cosa credere nella confusione di tante sette che l’eresiarca Lutero diffuse nel mondo. Senza questo Concilio di Trento, molti più Cristiani avrebbero abbandonato la fede cattolica, tanto grande era la divergenza di opinioni a quel tempo. Gli uomini sapevano a malapena a cosa dovessero credere.

3°. Opponendosi diametralmente a questo eresiarca ed alla massa degli empi di quel tempo, Sant’Ignazio e la sua Società, con il loro zelo, la loro santità e la loro dottrina, impedirono che la fede cattolica si estinguesse completamente in Europa.

4°. Con il Suo saggio consiglio, Dio fece anche in modo che la fede cattolica e la Chiesa, che era stata bandita dalla maggior parte dell’Europa, fosse portata in India, in Cina, Giappone ed in altre terre lontane dove ora fiorisce e dove il santo Nome del Signore è conosciuto e glorificato.  – Questa quinta età è anche rappresentata dalla quinta epoca del mondo, che durò dalla morte di Salomone alla cattività babilonese compresa. – In effetti: a. Come in quella quinta epoca del mondo Israele cadde nell’idolatria per il consiglio di Geroboamo, e solo Giuda e Beniamino rimasero nel culto del vero Dio; così nella quinta epoca una grandissima parte della Chiesa latina abbandonò la vera fede e cadde nelle eresie, lasciando in Europa solo un piccolo numero di buoni Cattolici. b. Come a causa della sua condotta, la sinagoga e l’intera nazione giudaica furono afflitte dai gentili e furono spesso lasciate alle rapine, così ora i Cristiani, l’Impero romano e gli altri regni da quali calamità non sono afflitti? L’Inghilterra, la Boemia, l’Ungheria, la Polonia, la Francia e gli altri stati d’Europa non ci servono come testimoni e non devono deplorare i loro mali con lacrime amare e persino con lacrime di sangue? – c. Proprio come Ashur venne da Babilonia con i Caldei per impadronirsi di Gerusalemme, distruggere il suo tempio, bruciare la città, spogliare il santuario e condurre il popolo di Dio in cattività, ecc.; così, in questa quinta epoca, non dobbiamo forse temere che i turchi irrompano presto e covino sinistri piani contro la Chiesa latina; e questo a causa della ricolma portata dei nostri crimini e delle nostre più grandi abominazioni?  d. Come nella quinta età il regno d’Israele e il regno di Giuda furono molto indeboliti, e divennero sempre più deboli, finché alla fine, prima il regno d’Israele e poi quello di Giuda, furono completamente distrutti; così anche, in questa quinta età, vediamo che l’Impero romano fu diviso, ed è ora in un tale tumulto, che dobbiamo temere che perisca, come l’impero orientale perì nell’anno 1452. – Infine, a questa quinta età si riferisce anche il quinto giorno della creazione del mondo, quando Dio comandò che le acque producessero tutti i tipi di pesci e rettili, e quando creò gli uccelli dell’aria. Ora questi due tipi di animali figurano la più grande libertà. Perché cosa c’è di più libero del pesce nell’acqua e dell’uccello nell’aria? Così troviamo metaforicamente in questa quinta età la terra e l’acqua piena di rettili e di uccelli. Infatti vi abbondano gli uomini carnali che, avendo abusato della libertà di coscienza, e non essendo contenti delle concessioni che erano state loro accordate in precedenza nel trattato di pace, strisciano e volano dietro gli oggetti della loro voluttà e della loro concupiscenza. Ognuno crede e fa quello che vuole. È a loro che si riferiscono le parole dell’Apostolo San Giuda, al v. 10 nella sua Epistola Cattolica, quando dice: « Questi bestemmiano tutto ciò che non conoscono, e si corrompono in tutto ciò che conoscono naturalmente, come bestie irragionevoli. Il disordine regna nei loro festini; mangiano senza ritegno, pensano solo a nutrir se stessi, vere nuvole senza acqua che il vento porta qua e là, alberi autunnali, alberi sterili due volte, morti e sradicati, onde furiose del mare che spargono la loro confusione come schiuma; stelle erranti, alle quali è riservato un turbinio di tempeste per l’eternità….. Mormoratori inquieti, che camminano secondo i loro desideri, e la cui bocca proferisce orgoglio; ammiratori di persone secondo il profitto che ne sperano… Uomini che si separano da se stessi, uomini sensuali che non hanno lo spirito di Dio. » – Ed è così che in questa miserabile epoca della Chiesa, ci si rilassa sui precetti divini e umani, la disciplina è indebolita, i sacri Canoni non contano nulla, le leggi della Chiesa non sono meglio osservate dal clero delle leggi civili tra il popolo. Perciò da questo noi siamo come rettili sulla terra e nel mare, e come uccelli nell’aria: ognuno è portato a credere e a fare ciò che vuole, secondo l’istinto della carne.

II. Da cui segue: Questo è ciò che dice Chi ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle. Questi sette Spiriti di Dio sono i sette doni dello Spirito Santo, che Gesù Cristo mandò in tutto il mondo e rivelò alle nazioni nella verità della fede. Le sette stelle designano l’universalità dei Vescovi e dei Dottori, come dimostrato sopra. Questo è ciò che dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle; cioè, che Gesù, il Figlio di Dio, al quale è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra, ha in suo potere i sette spiriti della verità della fede, e le sette stelle: i prelati ed i Dottori, che Egli può toglierci e portare nelle Nazioni lontane, a causa dei nostri grandi crimini e a causa della durezza dei nostri cuori e della nostra incredulità. Questo è quello che fece quando permise alla luce della fede di lasciare la maggior parte dell’Europa e di essere portata fino alle più lontane Indie, che erano immerse nelle tenebre del paganesimo. Egli illuminò queste Nazioni attraverso il ministero di San Francesco Saverio e di altri dottori. Se non facciamo penitenza al più presto, conformando la nostra vita a quella di Gesù Cristo, c’è da temere che questa luce della fede ci venga completamente tolta. Con queste parole, Cristo vuole suscitare nella sua Chiesa un timore salutare, perché il timore del Signore è l’inizio della sapienza. E poiché Dio non può mandarci un flagello più grande come quello di accecare il suo popolo togliendogli il dono della vera fede per mezzo di falsi dottori, che Egli suscita al posto di quelli veri, come punizione delle nostre abominazioni e dei nostri cuori impenitenti, dobbiamo dunque, mossi da santo timore e coperti di sacco e cenere, venire a prostrarci umilmente ai piedi di Gesù Cristo, e dirgli, con il profeta Re, Sal, L; 13: « Non cacciarmi dalla tua presenza e non ritirare il tuo spirito da me. Ridammi la gioia che viene dalla tua salvezza e rafforzami con uno spirito di potenza, ecc. » Conosco le tue opere. Con queste parole Egli rimprovera le opere di questa quinta epoca. Io conosco, cioè: le vostre opere malvagie non mi sono nascoste, le vostre opere piene di imperfezioni, le vostre opere false ed ipocrite, che hanno l’apparenza della pietà, ma non hanno la verità della carità. Le tue opere, cioè il tuo fasto, il tuo splendore e la tua santità esterna. Io conosco le vostre opere: Io, che sono il cercatore di cuori, non ignoro che in generale le vostre opere sembrano buone all’esterno, ma all’interno sono cattive e mortali. Per questo dice e aggiunge: Tu hai il nome di vivente, ma tu sei morto. Ora, possiamo acquistarci nome di vivere spiritualmente in Gesù Cristo, come principio di vita, in tre modi: – 1° dalla fede in Gesù Cristo, e da questo portiamo il nome di Cristiani; – 2° dalle opere di giustizia e carità in Gesù Cristo, della cui vita vive chiunque non sia in stato di peccato mortale, ed è in grazia di Dio; – 3° dall’osservanza dei consigli evangelici, dai sacri Ordini dell’Episcopato, del Sacerdozio, ecc. Con i voti che si fanno dedicandosi specialmente alla vita religiosa, abbandonando i fasti, le ricchezze ed i piaceri del mondo, e consacrandosi a Dio solo e al suo Cristo. Ora, Gesù Cristo rimprovera soprattutto la quinta età di essere macchiata dal vizio particolare di attribuirsi falsamente il nome di vivere in Lui, mentre si vive ben diversamente. Questo è dimostrato per induzione: – 1°. Tutti gli eretici, che nella quinta epoca sono numerosi come le locuste sulla terra, si vantano del nome di Cristo; dicono di essere veri Cristiani e di vivere in Gesù Cristo, eppure sono tutti morti e moriranno eternamente a meno che non facciano penitenza e rientrino in se stessi. Hanno solo Dio ed il Figlio suo Gesù sulle loro labbra, mentre hanno il diavolo nei loro cuori ed il mondo tra le loro braccia. 2°. Quante migliaia di Cristiani si sono raffreddati in questa epoca calamitosa, che, considerando solo il felice successo ottenuto in ogni cosa dagli eretici, e osservando malignamente i costumi degli ecclesiastici ed il loro modo di vivere, conservano il nome di cattolici per un certo timore e rispetto umano, ma che sono morti dentro nell’ateismo e nell’indifferentismo, nel calvinismo e nello pseudo-politicismo, e nel loro odio per i preti? Essi hanno il nome di viventi, perché pretendono di avere la religione, perché affettano pietà, fanno sembiante di aver religione, si pretendono come persone coscienziose, comunicando con i Cattolici e confessando di appartenere alla vera fede, alla presenza dei principi e dei grandi. Si lasciano persino impegnare in opere pie e le promuovono; vedono i religiosi e li frequentano, fanno mostra di zelo con le loro parole, con i loro consigli, e anche con un certo zelo esteriore per la costruzione di monasteri e collegi, per esempio; ma essi fanno tutto questo per avere il nome di esseri viventi, e per mettersi nel favore presso gli uomini ed i grandi. Cercano di conquistare la fiducia del mondo con questa apparenza di pietà e religione, per riuscire più facilmente nelle loro trame e nei progetti oscuri. 3°. Se esaminiamo in dettaglio il piccolo numero dei Cattolici, la loro rettitudine ci apparirà disgustosa come la biancheria sudicia; perché la maggior parte di loro non è dedita ad altro che alla voluttà, ed è morta nel peccato. Essi badano solo le apparenze; si gloriano delle cose esteriori, e sembrano ignorare il fatto che “non possa una pecora senza lana”; la loro carità cristiana, infatti, è diventata fredda, e ricercano solo il loro benessere ed i propri vantaggi. Di solito non c’è né giustizia né equità nei tribunali, ma piuttosto l’accettazione di persone e di regali, che porta a processi interminabili. L’umiltà è quasi sconosciuta in questo secolo, e ha ceduto il passo al fasto ed alla vanagloria, giustificati dalla convenienza e dal rango. La semplicità cristiana è ridicolizzata come stoltezza e stupidità, mentre è considerato come sapienza l’elevato sapere ed il talento di oscurare con questioni insensate ed argomenti complicati tutti gli assiomi della legge, i precetti della morale, i santi canoni ed i dogmi della religione; così che non c’è più alcun principio sì santo, sì autentico, sì antico e sì certo possa essere, che sia esente da censure, critiche, interpretazioni, modifiche, di delimitazioni e di discussioni da parte degli uomini, etc. si frequentano le verità della Chiesa, ma non si mostra rispetto alla presenza di Dio onnipotente, ridono, parlano, guardano qua e là, scherzano, si provocano a vicenda con i loro sguardi, ecc. – Il corpo è adornato da begli abiti, mentre l’anima è macchiata dalle lordure del vizio. La parola di Dio è trascurata, disprezzata e ridicolizzata. La Sacra Scrittura non è più tenuta in considerazione; solo Machiavelli, Bodin e tutti i loro simili sono stimati e apprezzati. Solo la mente, non il cuore, viene coltivata nell’educazione dei bambini, che divengono così disobbedienti, dissoluti, chiacchieroni, litigiosi e irreligiosi. I genitori li amano con un amore disordinato, nascondendo i loro difetti, non correggendoli e non facendo lor rispettare la disciplina domestica. Si dovrebbe fare del bambino un figlio semplice, buono, amante della verità, un Cristiano vero, retto e giusto; ma ci si preoccupa invece molto di più che diventi un politico o un sapiente. Solo quando parlerà diverse lingue e sarà stato addestrato nei costumi stranieri, sarà considerato un giovane di buone speranze e un cittadino di successo. Si esigerà da lui il saper fingere, il dissimulare, il parlare e sentire in modo nuovo, il fare tutto e imitare tutto, come un istrione. Infine, non dovrà cercare i suoi piaceri che nelle novità, etc. Ora, è così che quest’epoca fa consistere la sua giustizia e la sua vita nella falsità, nel fasto esterno, nella moda e nell’applauso degli uomini, mentre trascura la vera ed interiore giustizia, che sola possa piacere a Dio. 4°. Non dirò nulla su come sono miserabili gli ecclesiastici ed i religiosi; ecco perché molti di loro hanno nome di viventi, ma sono morti, etc. Questo dettaglio dovrebbe bastare per provare che Gesù Cristo rimprovera giustamente questa quinta età della Chiesa, dicendole: Tu hai il nome di un vivente, ma sei morto. Oh! quanti pochi uomini ci sono in quest’epoca che sono veramente vivi, servono il Signore loro Dio e sono amici del suo Cristo! Il significato di queste parole è dunque: Hai il nome di un uomo vivo, ma sei morto nella falsa dottrina, sei morto nell’ateismo e nello pseudo-politicismo, sei morto nell’ipocrisia e nella pretesa giustizia, tu sei morto nei tuoi peccati occulti, nel segreto delle tue abominazioni, sei morto nelle voluttà e nelle delizie, sei morto nella sfrontatezza, nella gelosia e nell’orgoglio; tu sei morto nei peccati della carne, nell’ignoranza dei misteri e delle cose necessarie alla salvezza; sei morto nell’irreligione e nel disprezzo della parola di Dio, perché ogni carità, che è l’unica vera vita in Cristo Gesù, si è raffreddata in te.

III. Vers. 2. – Sii vigilante, e conferma tutti coloro che sono vicini alla morte. Con queste parole esorta i Pontefici, i Prelati e i Dottori alla vigilanhza e alla sollecitudine pastorale, che deve essere tanto più grande perché i tempi sono peggiori e più difficili, e perché molti lupi si sono insinuati nel mondo tra le pecore. Le pecore sono dunque più esposte alla corruzione, all’avidità ed al pericolo di perire, se non trovano un solido sostegno nella vigilanza e nella sollecitudine dei Prelati. È dunque con disegno che dice: Sii vigilante nel pregare Dio per quelli che ti sono stati affidati e per quelli che sono deboli nella fede; sii vigilante nell’amare i peccatori. Ora, il fondamento della vera vigilanza e della sollecitudine pastorale consiste nel pregare frequentemente, umilmente e devotamente per il proprio gregge: per i buoni, perché si conservino; per i deboli, perché siano alleviati e fortificati; per i cattivi, perché siano ricondotti alla verità e alla giustizia, ecc. – Sii vigilante sulla tua persona, affinché i tuoi pensieri, le tue parole e le tue opere siano sante ed irreprensibili; affinché tu sia casto, sobrio, modesto; e affinché tu non sia collerico, focoso e tiranno. Sii vigilante sulla tua casa e sulla tua famiglia, affinché la tua casa sia santa e pura da ogni fornicazione e dallo scandalo. Sii vigilante nel mantenere la sana ed ortodossa dottrina, in modo da poterla predicare agli adulti ed insegnarla ai bambini. Sii vigilante, e che ognuno faccia il suo dovere; il Vescovo, il Prelato, etc. Sii vigilante ed abbi cura di visitare, esaminare, correggere, esortare, consolare e proteggere i prelati, i curati ed i predicatori che sono sotto la tua giurisdizione. Sii vigilante nel procurare a che tutti i tuoi subordinati siano nella sana dottrina, dei buoni Vescovi, dei buoni Prelati, dei buoni parroci e altri buoni pastori delle anime. Sii vigilante contro la malizia degli eretici, contro i cattivi libri, contro i falsi Cristiani, contro i costumi depravati, i vizi pubblici, lo scandalo, il furto, l’adulterio, ecc. e conferma; vale a dire, conserva ciò che resta dei Cattolici che, cadendo a poco a poco nell’eresia e nell’ateismo, stanno morendo per mancanza di vigilanza pastorale, ecc. – Il testo dice deliberatamente in senso condizionale: Conferma tutti coloro che erano vicini alla morte; perché: – 1° come è stato detto, i resti dei Cattolici sono stati conservati in Europa con l’aiuto del Concilio di Trento, della Compagnia di Gesù e altri uomini pii; e senza questi rimedi tutti sarebbero caduti nell’eresia e sarebbero morti spiritualmente. – 2º Queste parole sono poste in senso condizionale, affinché i Vescovi, i prelati e gli altri pastori di anime comprendano che non è dal caso o da una cieca predestinazione di Dio che dipende la salvezza o la morte delle anime redente dal prezioso sangue di Gesù Cristo, come possono immaginare i lassi e gli empi. Sappiano, al contrario, che la vita delle anime dipende dalla vigilanza e dalla sollecitudine, e che la morte eterna viene dallo scandalo e dall’incuria dei pastori.

IV. Sii vigilante e conferma tutti coloro che erano vicini alla morte. Qui di nuovo, Gesù Cristo ci intima, attraverso la voce del profeta, la necessità di vegliare, perché siamo in tempi malvagi ed in un’epoca piena di pericoli e di calamità. L’eresia sta prendendo il sopravvento ovunque e sta alzando la testa; il suo corpo sta diventando più forte che mai ed i suoi seguaci hanno guadagnato potere quasi ovunque. Essi sono trionfanti nell’impero, nei regni e nelle repubbliche, e si sono arricchiti con il bottino della Chiesa. Questo è ciò che fa sì che molti Cattolici diventino tiepidi, che i tiepidi disertino e che molti concepiscano lo scandalo nei loro cuori. La guerra è anche causa di ignoranza, anche nelle cose essenziali della fede. La corruzione della morale è in aumento nei campi e tra i soldati, che raramente ricevono buoni pastori, buoni predicatori e buoni catechisti. Da ciò deriva che, la generazione resta rude grossolana ed inflessibile, ignorante di tutto o di quasi tutte le cose; dimentica di Dio e dell’onestà; non conoscente altro che la rapina, il furto, la bestemmia e la menzogna, e in studio solo per aggirare il suo vicino, ecc. Nella fede cattolica, la maggioranza è tiepida, ignorante ed aggirata dagli eretici, che applaudono e si rallegrano della propria felicità, e deridono i veri fedeli, che vedono afflitti, impoveriti e desolati. Allo stesso tempo, nessuno studia le scienze sacre, perché i genitori sono poveri e non c’è altro che desolazione nella maggior parte dei seminari, che non godono più delle entrate e delle rendite delle loro fondazioni. Da ciò che è stato appena detto, e anche da altre miserie, è chiaro quanto grande sia il pericolo per la fede cattolica nell’Impero Romano. – Siate dunque vigili, o voi Vescovi e Prelati della Chiesa di Dio! Prendete consiglio da voi stessi e riflettete attentamente con il vostro gregge sui mezzi di procurare loro, in questa urgente necessità, dei sacerdoti pii, zelanti e dotti che, con le loro sane parole ed i buoni esempi, brillino come una luce agli occhi delle loro pecore, per condurle al buon pascolo e confermarle nella fede cattolica. Sii vigile e conferma tutti coloro che erano vicini alla morte, perché non trovo le tue opere piene davanti a Dio. Qui Nostro Signore Gesù Cristo parla come uomo e come capo invisibile della Chiesa. La Divinità, nell’infinito abisso della sua eterna prescienza, gli rivelò le colpe ed i peccati dei pastori e degli altri futuri membri della Chiesa, e allo stesso tempo conferì la missione di correggerli. – Gesù Cristo basa dunque il suo rimprovero sulla mancanza di vigilanza e di sollecitudine pastorale di cui sopra, che Dio tuttavia esige dai Vescovi e dai prelati della Chiesa. Ecco perché si serve della congiunzione “perché”, che unisce ciò che precede con ciò che segue; cioè: sii vigilante …; perché non trovo le vostre opere piene davanti al mio Dio. Cioè, non fai il tuo dovere come potresti e dovresti; non sei abbastanza vigilante, e non hai abbastanza sollecitudine per le pecore che ti sono state affidate; perché le tue opere non sono piene, cioè perfette nella carità; e perché hai poca cura della salvezza delle anime. Perché non trovo le tue opere piene, per quanto riguarda le ordinazioni, le istituzioni, le promozioni, le visite pastorali e la disciplina. Non trovo le tue opere piene, perché tu non cammini come mi è stato comandato dal Padre mio, e come Io stesso ho camminato nell’umiltà, nella povertà e nell’abnegazione delle pompe del secolo. Perciò Gesù Cristo dice: … perché non trovo piene le tue opere, per esprimere che esse: non sono gradite alla sua volontà, contro la quale tu agisci, preoccupandoti solo di te stesso, usando indulgenza verso la tua persona nell’accecamento del tuo amor proprio e delle tue voluttà. Tu sei affezionato ai fasti, sei gonfio di onori, profondi il mio patrimonio nel lusso della tavola, nella brillantezza delle corti, nello splendore dei palazzi, in una numerosa servitù; nel lusso dei cavalli e delle carrozze; nei mezzi per esaltare e arricchire i tuoi parenti; in una parola, nella pompa del secolo. Mentre, al contrario, dovresti usare le tue entrate per nutrire i poveri, per consolare le vedove e gli orfani, e per aiutare i Cattolici nei paesi dove sono stati impoveriti e derubati dalle depredazioni degli eretici e degli altri nemici della Religione, e dove gemono sotto il giogo privi di soccorso umano. Dovresti anche usare i tuoi profitti per promuovere gli studi dei giovani che non hanno mezzi, onde compensare la penuria di buoni pastori; e anche per restaurare le chiese in rovina. E poiché tutte queste opere appartengono al dovere pastorale, e tuttavia non le fai, non trovo le tue opere piene davanti al mio Dio, che conosce le tue colpe, che ti renderanno inescusabile al suo giudizio.

V. Vers. 3 – Da cui prosegue: Ricordati, dunque di ciò che hai ricevuto e di ciò che hai udito, e conservalo, e fa’ penitenza. Qui applica il rimedio al male. Questo rimedio è composto da cinque cose: – 1°. Ricorda dunque … Queste parole raccomandano la frequente meditazione di una verità grave ed importante, ed il costante e fermo ricordo del dovere pastorale. Questo ricordo e questa meditazione sono un dovere tanto serio quanto importante per i Vescovi, i prelati e gli altri pastori, che dovrebbero farne il soggetto abituale delle loro riflessioni e inciderle profondamente nella loro memoria. Il fondamento ed il primo rimedio, quindi, è che i prelati correggano le loro colpe e negligenze, che studino e conoscano i doveri del loro ufficio. Ecco perché dice in secondo luogo: … Ricordatevi dunque di ciò che avete ricevuto. Con queste parole Gesù Cristo designa la qualità dell’ufficio e del dovere episcopale e pastorale, che sono santi, e sono stati ricevuti dal ministero degli Angeli; e che Dio ha affidato agli uomini, non come un regno o per un vantaggio terreno, ma per la salvezza delle anime, per le quali Io – Egli dice – l’eterno Figlio di Dio, il Re dei re ed il Dominatore dei dominatori, sono disceso dal cielo, mi sono fatto uomo, sono nato in una stalla, ho vissuto tra gli animali, ho vissuto in povertà ed umiltà, conversando con gli uomini sulla terra per trentatré anni, e sono stato crocifisso tra due ladroni. – O tu, dunque, prelato e pastore, non hai ricevuto questo ufficio per essere onorato e lodato dagli uomini, per indulgere nei piaceri e nelle delizie dei festini, per accumulare oro e argento, per esaltare ed arricchire i tuoi parenti, né per cercare il fasto del secolo o la vanità del mondo, ma per essere mio imitatore. Se vuoi essere ammesso nel numero dei miei eletti, devi essere puro ed immacolato tra gli uomini, dei quali devi essere un modello tanto più distinto, poiché il ministero che hai ricevuto in eredità è più alto, più santo e più perfetto. Il tuo fardello è pesante, pieno di lavori, sollecitudini e pericoli. Esige una vigilanza esatta, il timore di Dio, una preghiera continua ed instancabile, una casta sobrietà, ecc. – Ricordati dunque di ciò che hai ricevuto, cioè per quale scopo sei stato nominato Pontefice, Vescovo e prelato, cioè per pascere il gregge che ti è stato affidato, per brillare come una luce nelle tenebre, per essere il sale della terra e per condire spiritualmente le anime e gli spiriti degli uomini; infine per essere il capo o la guida che dà vita ai membri e al corpo ecclesiastico. Ricordati, dunque, di ciò che hai ricevuto dal mio Dio: tanti doni di natura, di fortuna e di grazia dati gratuitamente, non per godere arbitrariamente di questi vantaggi, ma per farli fruttare come un servo fedele ed utile. Tu non hai ricevuto questi doni per nasconderli nel lino (espressione biblica) del tuo amore, o per sotterrarli nella terra dei piaceri e degli onori, ma per farli fruttificare e beneficiare spiritualmente il mio Dio con le tue opere di misericordia e di carità: tu devi servirtene per le vedove e gli orfani, per sostenere i poveri e gli indigenti sull’esempio dei vostri santi. – Da questo deriva il terzo ingrediente del rimedio: Ricordati, dunque, di ciò che hai ascoltato nel mio Vangelo: come sono andato tra gli uomini e ho dato la mia vita per le mie pecore. Ricordati … di quello che hai sentito negli atti e nella vita dei miei Apostoli, di come si sono comportati. Di quello che hai sentito dai tuoi padri, dai tuoi predecessori: i Pontefici, i Vescovi ed i prelati della mia Chiesa. Perché tu sai che erano umili, poveri, prudenti, sobri, casti, solleciti ed adorni di ogni virtù. Perciò, seguendo l’esempio del tuo Signore e Maestro, degli Apostoli, degli altri Santi ed amici del mio Dio, devi vivere come essi hanno vissuto, e comportarti come essi si sono comportati in questo mondo. Ricorda … quello che hai sentito, la vita e la condotta che i santi Canoni, gli scritti dei santi Padri, i Concili generali, provinciali e diocesani prescrivono. Ricorda … ciò che hai sentito recentemente nel Concilio di Trento, tutti i suoi statuti sulla vita, l’onestà e la riforma che devono essere osservati. Perciò aggiunge immediatamente il – 4° quarto rimedio: … e conservalo. Queste parole ci esortano ad osservare ciò che è stato detto sopra, e allo stesso tempo contengono un rimprovero particolare sul vizio di questa epoca, che consiste nel fatto che quasi nessuno di questi doveri viene osservato. Perché il nostro secolo è carnale e delicato; si vanta di molte cose,  specialmente delle sue sublimi scienze. E poiché sa così tanto, pensa di avere il diritto di non osservare nulla. Noi abbiamo in effetti, tanti santi Canoni, tanti salutari Concili generali e sinodali, tante buone leggi civili, tanti libri spirituali, tanti interpreti delle Sacre Scritture, tanti scritti dei santi Padri pieni di forza e di dottrina; infine, tanti esempi di Santi. Eppure facciamo così poco nelle opere buone! Ah, è perché siamo figli di un’epoca carnale! – È per questo che Cristo ci esorta ed esorta ad imitare e seguire con le nostre azioni il giusto cammino che conosciamo e nel quale Lui e i suoi Santi hanno camminato, servendoci da esempio. – 5° Il quinto rimedio è contenuto nelle seguenti parole: E fai penitenza. La penitenza che egli prescrive qui contiene tre punti, cioè: 1° L’uomo deve riconoscere e confessare la sua colpa. 2. Deve chiedere perdono a Dio con un cuore contrito e umiliato. 3. Deve correggere i suoi peccati, riformare la sua vita e la sua condotta, e pagare la soddisfazione dovuta per le sue colpe. Ora, poiché la generazione perversa di questa quinta epoca della Chiesa non fa niente di tutto questo,  ecco perché Cristo esorta la sua Chiesa sopra ogni cosa a fare una salutare penitenza, che ci propone non solo come l’unico rimedio necessario per restituire alla vita spirituale le nostre anime morte nel peccato, ma anche come mezzo per placare l’ira di Dio, per allontanare da noi i mali che Egli ha riversato su questa generazione, e che ancora riverserà a torrenti all’infinito, se non facciamo penitenza! Nonostante tutto questo, nessuno vuole convertirsi, come si può dimostrare per induzione. Infatti: 1. Gli eretici che sono morti nei loro errori disprezzano la penitenza e non riconoscono o non vogliono riconoscere il loro stato miserabile, anzi se ne vantano e dicono che stanno bene anche se … sono morti. 2. Tra i Cattolici, sono pochi quelli che riconoscono le proprie colpe ed i loro peccati. Tutti i Vescovi, prelati e pastori di anime dicono che fanno sempre bene il loro dovere, che vegliano e vivono come si addice al loro stato. Allo stesso modo, gli imperatori, i re, i principi, i consiglieri ed i giudici, si vantano di aver agito bene e di continuare ad agire bene. Tutti gli ordini sacri si proclamano innocenti. Infine, il popolo stesso, dal primo all’ultimo, è abituato a dire: … cosa ho fatto di male e cosa faccio di male? Ed è così che tutti si giustificano. Così, affinché la Sapienza e la Bontà divine riportassero alla penitenza questa generazione pervertita e corrotta al massimo grado, essa mandò quasi continuamente su di essa i mali della guerra, della peste, della carestia ed altre calamità. Fu per questo motivo che afflisse di nuovo tutta la Germania con trent’anni di continue e straordinarie calamità, per farci finalmente aprire gli occhi e obbligarci a riconoscere i nostri peccati e ad implorare il perdono e la misericordia di Dio con un cuore contrito ed umiliato; e anche per impegnarci a riformare la nostra vita e la nostra condotta, ognuno secondo gli obblighi del suo stato. Ma invece di far tutto questo, siamo diventati peggiori, e siamo così accecati che non vogliamo nemmeno credere che siamo immersi in questi mali a causa dei nostri peccati, mentre la Sacra Scrittura dice: « Non ci sono mali in Israele che il Signore non abbia mandato. » Perciò c’è da temere che il Signore si esasperi ancora di più nella sua ira, di cui ci minaccia con le parole che seguono:

VI. Vers. 3. … perché se tu non veglierai, io verrò a te come un ladro e tu non saprai a che ora verrò. 1° Dopo la prescrizione del rimedio segue una terribile minaccia contro la Chiesa di Dio. Perché se non vegliate, dopo che vi sarete finalmente svegliati dal sonno profondo della vostra voluttà, della vostra pigrizia e dei vostri peccati, in cui avete dormito fino ad ora, io verrò da voi e vi porterò sventura. Si esprime al tempo futuro, perché, come è stato spesso detto, l’ira di Dio, nella longanimità della sua bontà spesso ci minaccia da lontano e per molto tempo. Ma poiché non pensavamo di essere al sicuro dai suoi colpi a causa della sua lentezza, egli dice: Verrò a voi in modo sicuro e infallibile. La Scrittura ci avverte allo stesso modo, (in Abacuc II, 3): « Aspettatelo; egli verrà e non tarderà. » 2 ° Verrò a voi ….. come un ladro. Qui paragona la sua visita e l’invio dei suoi mali all’arrivo di un ladro. Infatti, – a. il ladro è solito arrivare all’improvviso e senza preavviso; – b. arriva durante il sonno; – c. irrompe nella casa; – d. infine, saccheggia e ruba tutto. Ora, tale sarà il carattere del male che Dio solleverà contro la Sua Chiesa. Questo male saranno gli eretici ed i tiranni, che arriveranno all’improvviso e inaspettatamente, che irromperanno nella Chiesa mentre i Vescovi, i prelati ed i pastori dormono; che si impadronirà e ruberà o saccheggerà i vescovadi, le prelature, i beni ecclesiastici, come vediamo con i nostri occhi che hanno fatto in Germania e nel resto d’Europa. Ed è anche pericoloso che essi continuano a dominare e portare via tutto ciò che rimane. Verrò a voi come un ladro, suscitando contro di voi le nazioni barbare ed i tiranni, che verranno come un ladro, improvvisamente e inaspettatamente, mentre voi dormite nelle vostre vecchie abitudini di voluttà, di impurità e di abominio. Irromperanno e penetreranno anche nelle fortezze e nelle guarnigioni. Entreranno in Italia, devasteranno Roma, bruceranno i templi e mineranno tutto, se non farete penitenza e se non vi sveglierete finalmente dal sonno dei vostri peccati. E tu non saprai a che ora verrò. Gesù Cristo lo indica qui, come di passaggio, l’accecamento con cui Dio è solito colpire i governanti del popolo, in modo che essi non possano prevedere, e di conseguenza prevenire, i mali che li minacciano. Perché nasconde ai loro occhi, intorpiditi dal sonno della voluttà, i mali e la vendetta che li deve colpire. È in questo senso che dice: … e tu non saprai a quale ora Io verrò; cioè, il tempo della sua visita sarà nascosto ai tuoi occhi; e tu non potrai prevenire il male, né prepararti alla battaglia, perché il nemico verrà rapidamente, e inonderà tutte le cose come le acque di un fiume impetuoso, come una freccia scoccata nell’aria, come un fulmine e come un cane veloce.

Vers. 4 – Tu hai pochi uomini a Sardi che non hanno contaminato le loro vesti. Ora segue la lode ordinaria dei pochi, in relazione alla moltitudine di uomini che sono sulla terra. Perché per quanto afflitta e desolata possa essere la Chiesa, e per quanto malvagio possa essere il mondo, il Signore Dio ha sempre riservato per sé, e sempre riserva per sé, alcuni dei Santi suoi amici, che brillano come una luce o un faro in mezzo al mondo, per impedire che tutte le cose siano corrotte e tutte le cose siano avvolte nelle tenebre. Tu hai un piccolo numero di uomini a Sardi che non hanno contaminato le loro vesti. Con queste parole, Egli indica il tipo di iniquità di cui tutto l’universo è macchiato e infettato, con poche eccezioni. Egli designa questa specie d’iniquità per la sua somiglianza con gli indumenti contaminati. Ora, si contaminano le proprie vesti: 1°. con il fango e lo sterco che si trovano camminando per le strade 2°. Col sudiciume di diverse immondizie che si usano per la conservazione della propria vita. 3°. Con la peste e con la lebbra.  Queste tre metafore significano l’universalità dei gravi peccati e delle iniquità in cui il mondo quasi intero è miseramente piombato e nelle quali langue di malattie spesso mortali. In effetti, questa generazione è completamente perversa, delicata, effeminata, molle, carnale, avara e superba. È da lì che è sprofondata nel pantano della voluttà e del piacere, nell’eresia e nella dimenticanza di Dio suo Creatore. Tra i tanti stati diversi ed i tanti uomini nel mondo, ce ne sono solo alcuni che fanno eccezione e che credono ancora con tutto il cuore nel Signore Dio, che è in nei cieli. Sono pochi quelli che sperano nella sua provvidenza, che servono Gesù Cristo secondo la loro vocazione e che amano Dio ed il prossimo. Perciò dice: pochi! Il testo latino esprime i nomi (nomina), cioè così pochi da poter essere chiamati facilmente con i loro nomi. Come è detto nella Scrittura, « Quelli i cui nomi sono scritti nel libro della vita », a causa del piccolo numero di coloro che saranno salvati. « Perché ci saranno molti chiamati e pochi eletti (in relazione alla massa degli empi e degli increduli) ». E cammineranno con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. L’Apostolo indica qui la condotta di Cristo sulla terra, il cui esempio questi pochi amici seguiranno. Cristo camminava in bianco, 1°. Perché visse tra gli uomini nella più grande mitezza, purezza, umiltà, povertà, pazienza ed abbandono; e tutte queste virtù di Gesù sono rappresentate dalla sua veste bianca. 2°. Camminava in bianco, quando, essendo disprezzato da Erode nella sua beata passione, Erode lo fece rivestire di una veste bianca, e dopo averlo fatto sembrare pazzo, lo rimandò a Pilato. Ora questo è il modo in cui i pochi eletti che rimangono immacolati in mezzo al mondo camminano come Cristo sulla terra, in grande umiltà, in povertà e mitezza, e gemono nei loro cuori davanti al Signore loro Dio. Hanno molto da soffrire e sono disprezzati e derisi dal mondo, perché la loro vita e la loro condotta non sono considerate altro che follia. Perché è così in effetti che il mondo ha sempre trattato i Santi di Dio, e come li ha sempre giudicati, e non si è vergognato di giudicare lo stesso unico Figlio di Dio, sceso dal cielo per la salvezza degli uomini. Ecco perché Gesù Cristo disse, per consolare i suoi amici, Jo. XV, 17: « Quello che vi ordino è che vi amiate gli uni gli altri. Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma poiché non siete del mondo, e Io vi ho scelti dal mondo, ecco perché il mondo vi odia. Ricordate quello che ti ho detto, che il servo non è più grande del padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. » Perché l’amicizia di questo mondo è inimicizia davanti al Signore, e l’amicizia con Dio è inimicizia con il mondo. Perciò il testo dice: Camminano con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. L’amicizia e la stima di Dio per i suoi giusti e i suoi amici ci stupisce, in quanto Egli vuole e permette che essi vaghino per il mondo coperti di pelli di pecora, disprezzati, impoveriti, vili, in mezzo a tribolazioni, persecuzioni, insulti, offese, tentazioni, freddo, nudità, ecc. Al contrario, il mondo e coloro che appartengono al mondo prosperano nelle delizie, vivono nella gloria e nelle ricchezze, ridono e si rallegrano nell’abbondanza di ogni bene. Ora questa è l’amicizia di Dio per i suoi eletti, di cui il mondo non è degno. Da qui questo passo di San Paolo agli Ebrei, XI, 35: « Alcuni furono crudelmente tormentati, non volendo riscattare la loro vita presente per trovarne una migliore nella risurrezione. Altri hanno subito insulti e flagellazioni, catene e prigioni; sono stati lapidati, sono stati segati, sono stati sottoposti alle prove più dure; sono morti a fil di spada; hanno condotto una vita errante, coperti di pelli di pecora e di capra, abbandonati, afflitti, perseguitati, loro di cui il mondo non era degno. » Questo lo sapevano bene i santi Apostoli di Dio, che tornarono dal sinedrio pieni di gioia, perché erano stati trovati degni di subire oltraggi per il Nome di Gesù.

VII. Vers. 5.Colui che vincerà sarà vestito di bianco. Queste parole contengono la promessa di una ricompensa, ricompensa e piena consolazione nell’altra vita. È con questa promessa che Egli esorta noi, i suoi soldati, e ci sprona alla vittoria. Colui che vince il mondo, la carne e il diavolo; colui che vince sfuggendo al giogo del diavolo, al quale era precedentemente sottomesso a causa dei suoi peccati e delle sue voluttà, e che fa penitenza; colui che vince praticando la carità verso Dio ed il prossimo, che cancella la moltitudine dei nostri peccati; colui che vince perseverando nella vera fede cattolica in mezzo a tante defezioni, scandali e afflizioni tra i Cristiani; Chi vince le persecuzioni, le tribolazioni, le angosce e le calamità inflitte dagli eretici e dai cattivi Cristiani; chi vince le astuzie, gli inganni e le falsità con prudenza e vera semplicità cristiana; infine, chi vince, perseverando nella sana dottrina, con santi costumi e la sincerità della carità, sarà vestito di bianco, cioè sarà pienamente ricompensato secondo la misura delle sue sofferenze. Perché quanto uno è stato disprezzato in questo mondo, tanta gloria gli sarà data nell’altro; tanta tribolazione, … tanta consolazione. Quanto più uno è stato oppresso nell’umiltà, povertà, nudità, sete, miseria, persecuzioni, tribolazioni e avversità di questo mondo, tanto più sarà esaltato nell’altra vita. Si abbonderà di ricchezze celesti, si sarà rivestiti della stella dell’immortalità, saziati della pienezza di tutte le delizie, che non saranno mai più tolte. È dunque per una maggiore consolazione degli afflitti che aggiunge la postilla: “E non cancellerò il suo nome dal libro della vita“. Il libro della vita è la predestinazione, cioè la prescienza eterna di Dio, con la quale egli ha disposto il suo regno per i suoi eletti, da tutta l’eternità, in modo certo ed infallibile, secondo le opere di ciascuno. – Così, tale è la promessa che fa qui per la consolazione dei suoi amici e dei giusti: Io non cancellerò il suo nome dal libro della vita; cioè, egli sarà scritto come erede nel testamento dell’eredità eterna, che nessuno gli toglierà per i secoli dei secoli. E confesserò il suo nome davanti al Padre mio e ai suoi Angeli. La confessione di Cristo sarà il più grande onore dei Santi in cielo. Questa confessione, che è spesso ripetuta dagli Evangelisti, è promessa qui a coloro che hanno confessato il suo santo Nome sulla terra, e che lo hanno conservato non solo con la bocca, ma anche con il cuore e le azioni. Ora, questa confessione degli uomini per il santo Nome di Gesù davanti al mondo, è del tutto estranea alla generazione perversa del nostro tempo; poiché quasi tutti confessano con la bocca di conoscere Cristo, e Lo negano con le loro azioni. Ma questa confessione di Cristo davanti a Suo Padre è promessa qui solo ai Suoi servi fedeli, come una ricompensa speciale, come uno stimolo ai suoi soldati alla vittoria, e come il più grande onore che riserva loro: essere lodati e confessati da Lui, anche davanti a Suo Padre il Re dei re, il Signore dei signori, ed alla presenza di milioni di Angeli e tutti i Santi di Dio.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO. B HOLZHAUSER (VII)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IX)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IX)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN. DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica, 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

SECONDO PRINCIPIO FONDAMENTALE: VINCERE SE STESSO (IV)

CAPITOLO XIV.

La superbia

4. L’albero genealogico della superbia è il seguente: il tronco è l’amor proprio, il quale si protende in due rami, la superbia e la sensualità. Dalla superbia germogliano: prima la vanità, creatura mansueta ma un po’ impertinente; seconda l’ambizione, personaggio irrequieto che vuol essere stimato da tutti; terzo, la brama di comando, che ha in uggia qualunque soggezione, e vuol dominare, vero diavoletto in casa, di cui nessuno, nemmeno Dio può fidarsi. Tutte possiedono una caratteristica particolare di famiglia che le distingue, ed è che si sforzano di essere o di apparire disordinatamente e senza limiti più di quel che sono, e desiderano d’assumersi e sostenere incarichi oltre quanto il loro potere e la loro forza consentano. – Venendo al particolare, suol essere indizio di superbia la propria soddisfazione, che loda tutto ciò che le appartiene, attribuendolo a sé stessa. Quindi la troppa sensibilità alterandosi per ogni piccolo disprezzo, per un sospetto e per una supposta umiliazione. Non esiste una sensitiva così delicata come il superbo: crede di avere e possedere unicamente quello che in lui vedono ed ammirano gli altri. Ha la mania altresì di tutto criticare e giudicare: il superbo non la risparmia né ai vivi né ai morti, arriva a mettersi sopra un piedistallo come un semidio; ei sa tutto, nessuno può insegnargli, basta a sé medesimo, tutti gli altri devono essergli inferiori. Semidei di questo genere non sono rari nel mondo; essi sono precisamente coloro che non vogliono udir parlare nè di Chiesa nè di Dio. Se ne incontra dappertutto: tra principi e sudditi, tra nobili e plebei, tra scienziati ed ignoranti. Risulta, infine, esser un’epidemia generale del mondo, dal giorno che il serpente scrisse nel libro de’ nostri progenitori: « Voi sarete come dei », parole che noi loro figli non dimenticheremo mai.

2. L’umiltà è tutto l’opposto. Fondata sulla moderazione e figlia dell’interiore modestia, governa ed invigila tutti i moti disordinati di superbia, tutte le ambizioni d’onore, di stima e d’assoluta indipendenza; l’umile aspira ad un lodevole disprezzo anche davanti gli altri, nutre una bassa opinione di sé stesso e si rallegra che il pubblico la condivida e manifesti, fugge l’onore, che non si prepone, sopporta con pazienza e gioia le umiliazioni, non si scusa, si umilia riconoscendo con semplicità le proprie miserie e debolezze in tempo opportuno, specialmente nella Confessione. L’opera sua magistrale ed eroica è amore alle umiliazioni.

3. Condizione previa al tempo stesso che educatrice, maestra e consigliera dell’umiltà è la propria cognizione, la quale gli insegna che tutto ciò che ha di buono e compie è dono ed opera di Dio: che egli per sé nulla può né possiede se non peccati e miserie. Di qui si chiarisce bene tutto ciò che fa e lascia di fare l’umile, persino l’amore stesso alle umiliazioni… Questo principio retto e ragionevole dell’abnegazione propria è il germe, l’anima ed il movente dell’umiltà.

4. Quanti motivi abbiamo per combattere la superbia con una vera umiltà!

Solo se siamo umili possiamo giudicarci con verità, imperocché l’umiltà è la verità. La conoscenza di noi stessi, che è uno specchio che non inganna, c’insegna che tutto abbiamo ricevuto da Dio e nulla è nostro; per cui la superbia è menzogna, mancanza di probità, un furto che si fa all’onore di Dio, dinanzi al quale è un’abbominazione, come dinanzi agli uomini di buon senso è una ridicolaggine. Il confidare troppo nelle proprie forze è segno che i nostri pensieri sono piccoli, infinitamente piccoli. E che cos’è, finalmente, la gloria mondana? Inoltre, quanto importante è l’umiltà per la vita spirituale! Tutto dipende dalla grazia di Dio. Se siamo superbi non può Dio darci grazie speciali; non per ciò che s’attiene a Lui, poiché soltanto l’umiltà Gli rende l’onore dovuto; e nemmeno in riguardo a noi, perché le grazie senza l’umiltà non farebbero che pregiudicarci e darci motivo da insuperbire di più. – Insomma, se vogliamo vivere vita pura ed esente da colpe, siamo umili, poiché da difetto d’umiltà proviene il maggior numero delle quotidiane nostre imperfezioni. Infatti, d’onde l’abbandono della preghiera, l’invidia, il parlare de’ difetti altrui, la detrazione, l’immodestia, la disobbedienza, l’esagerata delicatezza, le affezioni disordinate, l’impazienza, i lamenti nei travagli e disgusti, la tristezza e la disperazione? Tutte queste mancanze ed innumerevoli altre spariscono coll’umiltà. Suol dirsi che i piccoli non fanno cadute gravi, ma il superbo ed orgoglioso trovasi in pericolo di cadere e, forse, vergognosamente, e questa è l’unica via che possa farlo rientrare in sé. La superbia è la sorgente di tutti i peccati: l’umiltà il fondamento di tutte le virtù, non perché sia in sé la più sublime, ma perché è la condizione, si direbbe, « sine qua non », per ogni opera buona. Come può fare un passo sicuro colui che ignora ciò che è e ciò che può? E davvero che il superbo non lo sa, ma unicamente l’umile mediante il conoscimento di sé stesso. Infine, chi vuol operare qualche cosa di grande per la gloria di Dio, deve amare l’umiliazione, che è il più elevato grado dell’umiltà. Infatti, cercare ed amare l’umiliazione è il sacrificio più gravoso, il passo più difficile della vita spirituale, la linea che separa i perfetti dai non perfetti. La superbia è l’amor proprio portato sino all’odio di Dio; l’umiltà è l’amore di Dio sino all’odio di sé medesimo. Questa conseguentemente è la vera e perfetta vittoria, la vera adorazione e glorificazione di Dio in noi. Allora soltanto Dio può contare su noi incondizionatamente; altrimenti saremo sempre suoi strumenti malsicuri. D’altronde, premio dell’umiltà suole essere una vita felice, esente da colpe e ricca in virtù. Quanto importante finalmente è questa virtù dell’umiltà per abbracciare una vocazione e perseverare in essa, ed in generale, quanto necessaria per la pace e felicità della società umana! Molti ambiscono posti più elevati per dare maggior gloria a Dio e poter lavorare di più; com’essi dicono; ma in fondo è solamente ambizione d’onore quella che li spinge. Non riesce la cosa né ha buon esito? Oh! allora si scoraggiano e non sono più capaci di nulla. Non possono soffrire che il loro talento stia nascosto sotto terra; per essi le cose del servizio di Dio non sono che gradini per salire più in alto. E se loro riesce di avere un posto elevato, allora la superbia li priva di tutto il merito dinanzi a Dio. Non c’è peggiore nemico della superbia e della brama d’onore per far perdere un carattere, spogliare l’uomo della sua dignità, indipendenza, lealtà e sincerità dinanzi a Dio ed agli uomini. Sono gli animalia gloriæ di cui parla Tertulliano. E, se no, da qual causa provengono nella vita sociale l’inquietudine, la disordinata brama di salire, la ripugnanza a tutto ciò che sa d’autorità; da qual causa tutte le rivoluzioni e moti popolari, se non dalla superbia, dall’ambizione di gloria e di comando? Lungi, dunque, da noi l’ambizione, coll’ingannevole suo frutto: l’onore mondano. L’onore e la stima degli uomini non sono che beni apparenti e di nessun valore. Che guadagnerebbe un mendico se venisse lodato da un altro mendico? Cerchiamo mediante la vera umiltà ed abnegazione l’onore che procede da Dio, e verrà il momento che l’avremo; onore che in fin de’ conti è l’unico vero.

CAPITOLO XV.

Antipatia e simpatia.

In questo capitolo si tratta dell’amore, e particolarmente dell’amore al prossimo.

1. La carità è una virtù che ci fa amare Dio per essere Egli chi è, e riposare in Lui perfettamente come nel bene supremo. L’oggetto suo è duplice: Dio e l’uomo; quest’ultimo, in quanto si riferisce a Dio come creatura e figlio adottivo che Gli è. Imperocché Dio non ama solo sé medesimo, ma ama tutte le sue creature; e così, perché l’amor nostro sia divino, deve estendersi a Dio ed al prossimo; ma il motivo di amare è uno solo, Dio: di maniera che tutto il resto deve amarsi per Lui, in Lui e con Lui. L’ordine che dobbiamo tenere è questo: primo, amare Dio sopra ogni cosa; secondo, amare sé stessi; terzo, il prossimo, però non come si vuole, ma come noi medesimi. Tanto in noi come nel nostro prossimo, dobbiamo anteporre il bene spirituale al temporale, così che va data la preferenza al bene spirituale del prossimo in confronto col bene nostro corporale. In quanto al vantaggio nostro temporale, possiamo posporlo a quello del prossimo, sebbene non sia necessario. Il disordine, pertanto, in questa materia consiste, o che non amiamo tutte le cose per amore di Dio, o che amiamo qualche creatura più che non Dio, o, finalmente, che anteponiamo il bene temporale al bene spirituale nostro o del prossimo. – Le ragioni che provano l’eccellenza dell’amore e carità sono le seguenti.

2. L’amore è il primo e principale dei Comandamenti ed il compendio e la sorgente di tutti, in quanto che gli altri non sono che applicazioni di questo. Mediante l’amore Iddio s’impossessa della volontà, la cui principal forza è amare. Per esso Dio si fa suo tutto l’uomo e gli può comandare ciò che vuole. Per esso unisce tutti gli uomini gli uni agli altri ed a Sé medesimo, loro ultimo fine, nella maniera più perfetta. Così l’amore è veramente vincolo di perfezione nel senso più elevato. Per questo il Salvatore presenta il Cristianesimo come religione d’amore, e l’amore come la tessera de’ suoi discepoli. Propriamente parlando abbiamo una sola legge ed un’unica occupazione: amare.

3. L’amore di Dio e del prossimo ha un avversario e nemico che può vivere solo a di lui spese. È questo l’amor proprio disordinato che si stima ed ama sopra tutto, che tutto-giudica: a suo modo, in tutto cerca sé medesimo, persino nell’amore del prossimo, or per simpatia, o per antipatia.

4. Si dice, e giustamente, che l’uguaglianza e la concordia sono condizione e fondamento dell’amore. Per cui le cause dell’avversione o manchevolezza d’amore che proviamo contro il prossimo possono fondarsi sulla diversa condizione naturale o sul vario modo di sentire, di pensare e d’operare, cose tutte che lo rendono, come suol dirsi, antipatico o ripugnante. Un’altra causa da cui nasce l’avversione sono le offese, vere od immaginarie, da parte del prossimo. Dal che, come terza causa d’antipatia, derivano pensieri di disprezzo, di critica, d’avversione e di sospetti, che ben presto si trasformano in parole amare, in osservazioni intempestive o pungenti, ed in recriminazioni che nuocciono molto alla carità e mettono la disunione nei cuori. Corrono gran pericolo di venir meno allo spirito di carità coloro che, essendo d’ingegno acuto, non ne fanno buon uso. Un’arguzia porta sovente più danno che una manifesta offesa. È un pericoloso talento quello del burlone, e serve di frequente a nascondere una mordacità e disamore satanico. Di rado lo spiritoso è inoffensivo; mira quasi sempre a sé stesso, ed in tutto vuol far spiccare le proprie acutezze, nulla badando all’umiltà ed alla carità. Sono cose queste che l’amor vero, bene così alto ed elevato, esige che evitiamo. Non diamo mai adito scientemente nel nostro cuore ad antipatie od avversioni e non mettiamoci di proposito a rivangare torti ricevuti dal prossimo, né a pensare ai difetti del suo carattere o qualità sue antipatiche; ché ciò, a nulla giova, né fa che le cose cambino modo d’esistere: l’unico risultato è d’aumentare la nostra mala disposizione. Il germe dell’antipatia è l’indifferenza. Procuriamo perciò di evitarla, nutrendo in noi idee di carità affettuosa. Un uomo che fomenti questi pensieri, dice il P. Faber, è certamente un santo. Ci sono alcuni che sembrano nati solo per molestarci: sono intempestivi sempre e tutto quel che fanno è disordinato e disgusta. E vi sono altri che realmente ci amareggiano ed offendono colle cattive loro abitudini e colpe. Che si deve fare allora, se non aver pazienza? Dovremmo allontanarci dalla società se nulla volessimo patire e sopportare. Siffatte cose spiacevoli è d’uopo prenderle in cambio dei vantaggi del vivere in società. Nojosissima sarebbe la vita, se tutti fossimo d’ugual tratto. Alla fine il maggior vantaggio della vita socievole è l’esercizio continuo di pazienza e di carità, che è la cosa più sublime. È quasi sempre l’amor proprio, il dolore immaginario, l’ostinazione e attaccamento al nostro parere, oppure la mancanza di abitudine o senso pratico per comprendere gli altri e conformarvici, ciò che ci rende così difficile la loro convivenza. Un buon consiglio è di comportarci coi falli altrui come coi proprî, che da principio non li crediamo, in seguito li attenuiamo col bene che abbiamo o pensiamo d’avere, e finalmente, perché non può farsi altrimenti, li sopportiamo. Né mai parliamo senza un giusto motivo dei falli altrui, poiché ciò non serve che ad inasprirci di più e dare cattivo esempio. Evitare l’incontro di coloro che ci sono contrarî per non adirarci, non è un buon mezzo; è molto più facile e giovevole allo scopo cui si mira, avvicinarli e vincerne la scortesia a forza di buone maniere. Definitivamente in questo caso è di somma importanza essere compresi di tutte queste difficoltà della vita comune, affrontarle a piè fermo, sopportarle con pazienza e uscirne vincitori. Una massima sapientissima è questa, giudicare tutto possibile in questo mondo e non meravigliarsi di nulla.

5. La simpatia in sé e per sé è buona; è l’ago magnetico che mediante l’amore unisce gli uomini in società temporale, come le anime in società spirituale. Essenzialmente è un sentimento involontario ed una tendenza istintiva; perché meriti il nome di carità è necessario che abbia la coscienza di ciò che fa e che sia fondata su motivi ragionevoli. – In questa materia può darsi disordine, prima, quando il motivo non sia Dio, poiché in tal caso l’amore non sarebbe divino, ma puramente naturale. In secondo luogo, l’affezione è disordinata se non osserva il retto ordine determinatole da Dio e dalla ragione. – Dopo Dio e noi stessi, dobbiamo amare coloro che per consanguineità o precetto divino ci sono più prossimi; come per es., i genitori e parenti, i superiori, i benefattori, quelli in cui rifulge più specialmente l’autorità, la santità o i doni di Dio, o che hanno maggior bisogno dell’aiuto nostro. In terzo luogo, è disordinato l’amore che non ha per oggetto i doni spirituali del prossimo, ma le sue qualità corporali e chi sa ancora con danno dell’anima. Questo, che non va più su dell’amor proprio volgare, non solo non è amare il prossimo, ma piuttosto, considerandolo da un punto di vista più elevato, è odiarlo. Finalmente è disordinato l’amore che si lascia trascinare da pura simpatia verso un individuo, pregiudicando così il bene generale; poiché più che ad uno solo siamo obbligati a tutta la società. – In questa specie di amore disordinato s’inchiudono tutte quelle benevolenze sensuali che diconsi amicizie particolari. Soglionsi conoscere queste in quanto che distolgono dall’amor nostro coloro ai quali siamo più obbligati, e ci mettono in pericolo di peccare contro i Comandamenti di Dio. Sono senz’altro un furto fatto all’umanità ed al ristretto numero di persone in mezzo alle quali viviamo. Quanto il vero amor di Dio e del prossimo nobilita l’uomo rendendolo grande e felice, altrettanto l’amore falso e spurio, che è la morte della vera carità, lo umilia e degrada.

6. Dobbiamo abbandonare questo amore teatrale, ed elevarci al vero amore di Dio e degli uomini, unico che ci renda indipendenti e ricchi mettendoci in condizione di operare un bene immenso in questo mondo. Nessuno per discolparsi metterà innanzi la ragione che potrà fare poco o nulla. Amiamo davvero e potremo fare molto a favore del prossimo. Avremo allora pensieri pieni di carità, i quali muovono il cuore e questo la mano. E che ci vuole di più per operare il bene? Non ci mancheranno le parole affettuose, e con una parola d’affetto possiamo dissipare malintesi e fugare ogni diffidenza. Avremo un occhio amorevole, ed uno sguardo di compassione può mettere un argine alla mestizia ed alle tentazioni, e infondere gioia e coraggio; e chi non sa che l’allegrezza cambia la terra in un paradiso? Un uomo amabile e gioviale è una vera provvidenza di Dio nel mondo; è un esorcista che scaccia demonî, un apostolo ed evangelista, un oratore che sa presentare il divin Salvatore con tutta la munificenza ed amor suo. Abbiamo un vero amore e carità verso il prossimo, e non ci mancheranno i mezzi per fare il bene. – La carità non viene meno (1 Cor. XIII, 18), non è povera e senza consiglio. Non potremo far mai bene bastante nel mondo; ma per farlo è necessario essere dotati d’energia ed ilarità. Ogni opera di carità porta con sé consolanti benedizioni, nuova soddisfazione pel bene che si opera e finalmente la nobile passione d’intraprendere sempre qualche cosa di nuovo: questa è la perfetta vittoria del bene, o, per dir meglio, del divino nel cuore dell’uomo.

CAPITOLO XVI.

La passione dominante.

1. Per carattere intendiamo il distintivo, la qualità e nota predominante della condizione naturale di un individuo. Passione dominante nel carattere d’una persona sarà, secondo questo, un disordine, eccesso o difetto nelle qualità dell’anima e nelle reciproche loro relazioni, proprio e caratteristico di tale persona.

2. Più o meno, tutti gli uomini hanno qualche particolare difetto. Dio solo pel suo Essere semplicissimo e infinitamente perfetto esclude da Sé necessariamente e naturalmente ogni disuguaglianza. Non vi è in Lui nessuna proprietà che sia più o meno perfetta d’un’altra. Ben diversamente è nelle creature e quindi nell’uomo, il quale è finito, limitato e disuguale. Esiste inogni uomo una disposizione e qualità anemica che predomina su tutte le altre, che perturba l’armonia e il retto andamento dell’essere generale e rende possibili i traviamenti: è la passione dominante.

3. Può provenire questo squilibrio dalla disposizione d’animo, secondo che predomini l’intelletto o la volontà, la fantasia o il sentimento, e non a vantaggio ma a danno di altre facoltà, lasciando l’impronta sua su tutto l’uomo. Così distinguiamo gli uomini intellettuali, indipendenti, inflessibili, energici, esaltati, sentimentali o appassionati. Questa diversità può provenire anche dal corpo, cioè, dal temperamento, che influisce sull’animo comunicandogli le sue qualità, a motivo dell’intima unione dell’anima col corpo. Perciò diciamo che vi sono dei temperamenti sanguigni, collerici, flemmatici e melanconici. I quali tutti presentano i loro vantaggi ed i loro inconvenienti.

4. Per correggere il difetto particolare di ciascuno, bisogna anzitutto conoscerlo; poiché sebbene, più o meno, tutti ne abbiamo alcuno, non è sempre facile scoprirlo, opponendosi molte volte, sia la mancanza del proprio conoscimento, sia il difetto di riflessione od anche la superbia ed accecamento interiore. Il riconoscersi colpevole sempre umilia; per questo si cercano delle attenuanti. Possono trovarsi anche degli uomini d’un carattere così eguale e temperato, che torni difficile constatare in essi un’azione spiacevole. In questi naturali il difetto suol essere la timidezza, la pusillanimità e indecisione per manifestarsi ed intraprendere qualche cosa. – Diamo qui alcune regole che possono giovare per conoscere la nostra passione dominante. Conviene osservare anzitutto che cosa sia in noi che predomini, se l’intelletto, la volontà o il sentimento, e vedere che sorta di temperamento sia il nostro. Si noterà in secondo luogo quali siano i peccati e le mancanze in cui più di frequente cadiamo, che ci porteranno con certezza a scoprire la comune radice, che è la passione dominante. – In terzo luogo, fermiamo l’attenzione nostra sulle virtù che abbiamo: con esse sotto gli occhi potremo rintracciare la passione dominante, imperocchè ogni pianta ha il suo parassita, così ogni virtù ha del pari l’ombra sua. – In quarto luogo, osserviamo quale sia l’inclinazione che più si distingue nell’anima nostra. Essa c’indicherà sicuramente la tendenza dell’essere e carattere nostro, come l’osservare ciò che ci rallegra ed eccita, in qual modo ci compensiamo in seguito ad un’opera buona mal riuscita, e quali siano i pensieri che più tengono occupata la mente nostra. Tra i mezzi esterni si presentano le divine ispirazioni nella preghiera, il giudizio del direttore nostro spirituale e dei nostri compagni. Ascoltiamone il consiglio, poiché non è facile che cadano in errore.

5. Conosciuta la passione dominante, dobbiamo combatterla con impegno e costanza. Tre sono le ragioni principali che c’inducono. Prima di tutto tale passione è un difetto ed una deformità non esteriore certamente, ma, ciò che più importa considerare, dell’anima, ed offusca in noi la magnifica immagine di Dio. Con quanta attenzione evitiamo le minime macchie sul volto! Ora, perché non faremo altrettanto rispetto a quelle dell’anima? Inoltre, il resistere alla passione dominante è della massima importanza nella vita spirituale, in quanto che è il maggior ostacolo che si oppone al progresso nostro, poichè non è un difetto unico, ma la sorgente e principio di molti altri che gli tengono dietro. Lottare, quindi, contro la passione dominante, è lottare contro tutti i difetti; vincerla è vincerli tutti. Quante volte non sì sente dire dagli uomini: « Solo che mi togliessero questo disgraziato difetto, mi tornerebbe facile superare gli altri! » Secondo questo, dunque, esso è un vero tirannello; e, ciò nonostante, pretende di passare come virtù. Nella vita spirituale; tutto dipende dalla grazia, dalla nostra cooperazione e dal merito. La maggior parte delle grazie Dio le concede là dove sono più necessarie. Orbene: ciò di che più noi abbisogniamo è di guerreggiare e vincere la passione dominante; dunque possiamo star sicuri che in questa lotta Dio è con noi. La passione dominante è il nemico più terribile di Dio e nostro. Essa tenta di privarci della grazia e del merito delle nostre fatiche. Non c’è parassita che danneggi tanto una pianta, quanto tenta di pregiudicar noi questa passione. È un principio generale dei maestri di spirito, che tra i mezzi naturali di cui si serve Iddio per condurre le anime al loro ultimo fine, nessuno è così importante come quello d’un carattere buono e docile. Dobbiamo corrispondere a questa indicazione della divina provvidenza, lottando strenuamente contro la nostra passione dominante. La vittoria suole premiarsi altresì quaggiù colla purità, chiarezza e pace dell’anima. – Chi non vede, in terzo luogo, quanto sia importante questo combattimento contro la passione dominante, per corrispondere alla nostra vocazione? Chi non si sente di guerreggiarla, si ritiri al deserto e rinunzi al po’? di bene che potrebbe fare tra gli uomini. Così almeno non sarà pietra d’inciampo e non recherà danno agli altri. Ma chi desidera convivere cogli uomini ed occuparsi del loro bene, deve procurarsi un perfetto dominio di sé medesimo. La passione dominante o restringe l’attività nostra o la distrugge completamente, Per fare qualche cosa a favore degli uomini è necessaria molta virtù: una sola colpa può tutto rovinare e renderci totalmente inutili. Quante belle speranze furono distrutte dall’ira mal repressa, dalla imprudenza e dalla sensualità. I migliori talenti restano in questo modo inutilizzati. Ne viene per conseguenza, che qui anzitutto deve applicarsi seriamente la mortificazione. Dovremmo combattere anche se non ci si presentasse speranza alcuna di vincere. Ma qui tutto ci fa sperare la vittoria. Dobbiamo in questa lotta pensare a un solo nemico e quindi tutte le nostre forze devono essere dirette a un solo punto. Questo è il giusto modo di combattere. Inoltre, Iddio ci aiuterà perché si tratta d’una sua impresa. Come i Santi seppero domar bene lo spirito cattivo della loro passione dominante! E perché non lo faremo noi? Non si richiede altro che buona volontà e costanza. Nulla resiste ad una volontà retta e risoluta. Facciamo quanto ci è possibile: non potremo cambiare radicalmente il nostro carattere; possiamo però reprimerne gli eccessi e correggere i suoi difetti. Il tempo non ci manca, vogliamo, lottiamo e preghiamo, ché questo basta.

CAPITOLO XVII.

Ricapitolazione e fine

1. Da tutto ciò che abbiamo detto ne consegue, che dobbiamo fare un fermo proposito di dominarci, e questo proposito, unito alla massima di consacrarci sempre alla preghiera, dev’essere una delle basi sopra cui posi la nostra vita spirituale ed uno dei principî fondamentali di essa. Questo, dunque, è quanto dobbiamo tenere sempre presente agli occhi della mente, né mai perdere di vista, malgrado tutte le ricadute in cui avessimo da trovarci. Senza dubbio che molte volte verremo meno, ma non ne riceveremo gran danno finché ci terremo fermi al proposito; le cadute al contrario diverranno più rare, ed esso finalmente arriverà a signoreggiare e dominare gloriosamente su di noi.

2. Ma il giorno in cui dovessimo trascurare questo proposito noi saremmo perduti per la vita solida dello spirito e per la perfezione. Col solo pregare non si raggiunge il fine; contentarsi della preghiera senza l’esercizio dell’abnegazione, è uno dei punti di codesta nauseante ascetica moderna, che pretende di trovare Dio ed arrivare a Lui senz’altro cammino che quello della preghiera. Povere fatiche! Dopo molti anni e andirivieni, trovasi uno dove cominciò. No, la preghiera e l’abnegazione devono trovarsi in pieno accordo, al modo stesso che per volare sono necessarie due ali  per lavarsi le mani devono concorrere entrambe. L’una e l’altra, preghiera e mortificazione, devono aiutarsi, sostenersi e completarsi; ambedue devono andare sempre unite. Senza abnegazione è impossibile pregare, e per la preghiera è indispensabile l’abnegazione; diversamente, anche pregando, non si trova Dio. L’uomo immortificato cerca Dio nella preghiera, ma non lo trova; in cambio, a chi è mortificato, Dio medesimo va incontro, perché il suo cuore è puro e disposto ad unirsi a Lui. Iddio desidera venire a comunicarsi a noi molto più di quanto desideriamo noi; l’unica cosa ch’Ei desidera è un cuore mondo e mortificato. – Similmente, noi non ci mortificheremo se non preghiamo; è cosa dura la mortificazione, e solamente la grazia di Dio può rendercela possibile ed anche soave, e la grazia si ottiene solo con la preghiera per la preghiera. Chi, dunque, è prudente e desidera edificare la sua casa sopra solide fondamenta, l’innalzi sulla pietra della preghiera e dell’abnegazione.

3. Certamente che la parola mortificazione è dura ed è più duro ancora percorrerne il cammino; ma siamo noi stessi che col peccato vi ci si siam messi e dobbiamo percorrerlo, a qualunque costo. Però non dimentichiamo che non è più soave, anzi è molto più aspro il sentiero del vizio ed il giogo delle passioni sfrenate. Noi non eviteremo mai i peccati se non mortificandoci ci resta solo: da scegliere tra mortificarci o peccare. Ci si presenta difficile la via della mortificazione, semplicemente perché non ci risolviamo con serietà a percorrerla. Facciamo un proposito generoso, e confidiamo che il sentiero del rinnegamento di noi stessi col tempo ci diverrà non solo facile ma altresì gradito. Dalla morte viene la vita, e dalla forza la dolcezza (Giudici XLIV, 14). Ed è così, che la pianta della mortificazione non produce solo spine, ma rose altresì di gioia e di consolazione spirituale: soltanto che questa consolazione bisogna meritarla lottando, come avviene per tutto ciò che v’ha di grande e di bello quaggiù. Le difficoltà e la stanchezza spariscono di fronte alla gioia prodotta dall’eroismo. Questo è il lato bello di codesta mortificazione che tanto impaurisce.

4. Obiezioni contro la mortificazione non ne mancano. « Ai nostri tempi, dicono, è impossibile; non vi resistono né la salute né le occupazioni». Facciamo una distinzione: la mortificazione interna non potrà mai omettersi, e d’altra parte non nuoce alla salute, né impedisce il lavoro; e della mortificazione esterna può dirsi, che ai nostri tempi si godrebbe assai più salute se si praticasse un no’ di più. Il lavoro, senza dubbio, è una buona mortificazione; però anche per lavorare seriamente con coscienza è necessaria la mortificazione, poiché altrimenti l’uomo perderà il suo tempo in futilità lasciandosi dominare dal capriccio, il che non è lavoro. « Ma questa ascetica ha già fatto il suo tempo ». E se non erriamo; il mondo di oggi è quello medesimo di ieri, senza nulla cambiare. Nemmeno nostro Signore Gesù Cristo si è cambiato; ed il fine e la via che a Lui ci conducono sono sempre lì come prima. Di modo che bisogna rassegnarci alla mortificazione dei secoli passati. « Riguardo  alla mortificazione interna transéat, ma l’esterna.:. »  C’è qui della verità, ed è che la mortificazione interna è migliore in ogni caso e più necessaria: che non l’esterna; ma da ciò non segue che si debba trascurare del tutto l’esterna, tolta ogni mortificazione esterna, l’interna non può esistere. Disprezzare e non curarsi della mortificazione esterna, oltreché si oppone allo spirito di Gesù Cristo, dimostra completa ignoranza circa lo stato e condizione a cui ci ridusse il peccato originale. Le nostre difficoltà e i peccati provengono per una buona metà dal corpo. Più: secondo la dottrina cattolica, la mortificazione non è solamente per tenere in freno il nostro corpo, istrumento del peccato, ma per soddisfare altresì alle nostre colpe ed a quelle di tutto il mondo, e quale valore e prezzo per conseguire maggiori grazie e maggiori lumi e meriti per la vita eterna! Per questo le anime innocenti sono quelle che più si distinsero nella mortificazione esterna. « Al cominciare una vita di perfezione potrà ben giovare la mortificazione esterna, ma poi non più ». Come non potremo mai staccarci dall’ombra nostra, nemmeno ci tornerà possibile sottrarre l’anima nostra all’influenza del corpo. Il rinnegamento di sé stessi è l’a b c della vita spirituale: non lo si deve mai dimenticare. Il rinnegare sé stessi è senza dubbio cosa penosa per l’uomo decaduto, e si richiede un continuo sacrificio a mantenervici. Ma è precisamente quanto ci vuole per vincere il male ed acquistare forza per il bene. Aspra è la via, ma grande e glorioso è il fine, e per un fine grande l’uomo generoso volentieri si sacrifica. Perciò il Kempis chiude le sue istruzioni sul cammino reale della croce, colle parole: « Lette dunque e ben esaminate tutte le cose, sia questa la final conclusione: che per mezzo di molte tribolazioni ci bisogna entrare nel regno di Dio » (L. II, Cap. 12). Per sopportare come conviene la tribolazione è necessario dominarci, però non come si vuole, ma radicalmente, totalmente e costantemente.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “LICET MULTA”

Questa breve lettera Enciclica di S. S. Leone XIII è rivolta all’Arcivescovo di Malines in particolare, e a tutti i prelati del Belgio in generale, onde siano esortati all’opera educativa dei giovani Cattolici di ogni età, opera peraltro, già intrapresa con lode. Il consiglio più importante che viene dato, tra gli altri, è quello di rifarsi ampiamente alla dottrina di S. Tommaso d’Aquino, per formare le menti dei fedeli, in particolare dei giovani ed ancor più dei chierici. Oggi pure, tempo in cui trionfa l’empietà delle scuole moderniste, di stampo eretico-protestante, è indispensabile a tutti, grandi e piccoli, istruiti o meno, conoscere ed approfondire il pensiero lucido ed illuminato dell’aquinate, per ritornare al retto pensiero filosofico-teologico cattolico a tutti i livelli, affinché si recuperi la vera fede e l’applicazione morale e sociale di essa per raggiungere l’eterna vita ea pace sociale. Una delle chiavi usate dalle sette di perdizione per entrare ed usurpare i palazzi apostolici e negli edifici cattolici, in particolare i seminari, è stata proprio quelle di ridimensionare drasticamente lo studio delle opere di s. Tommaso, sostituito da vacue filosofie agnostiche e pseudo-teologie moderniste, cioè lutero-calviniste e gnostiche, opportunamente camuffate, fatte passare per cattoliche agli ignari studenti e fedeli così ingannati da volponi corrotti e servi del “nemico”.


Leone XIII
Licet multa

Lettera Enciclica

Sebbene in questi ultimi tempi siano accaduti in Belgio molti fatti funesti per il Cattolicesimo, che hanno procurato un profondo dolore all’animo Nostro, tuttavia abbiamo trovato sollievo e consolazione nelle molte testimonianze di fede e di tenace amore a Noi offerte dai Cattolici belgi tutte le volte che se ne presentava l’occasione. Particolarmente Ci hanno rianimato e Ci rianimano la Vostra buona disposizione verso di Noi e il Vostro impegno assiduo per far sì che il popolo a Voi affidato perseveri nella purezza e nell’unità della fede cattolica, e cresca ogni giorno di più nell’amore verso la Chiesa e il Vicario di Cristo. È giusto soprattutto attribuire a Vostra lode l’attività che con ogni zelo dedicate all’ottima educazione della gioventù, provvedendo che fin dalle scuole elementari sia trasmessa agli adolescenti la dottrina religiosa. Né con minore impegno Vi adoperate in modo che tutto concorra alla educazione cristiana nei Ginnasi, nei Licei e nella stessa Università degli studi di Lovanio.

Nondimeno, in questa situazione, gli eventi che presso i Belgi sembrano costituire un pericolo per la concordia dei Cattolici e che tentano di orientarli in direzioni opposte non Ci consentono di essere tranquilli e sicuri. Pertanto è superfluo a questo punto ricordare quali siano state le antiche e recenti cause dei dissidi, le occasioni, gli incitamenti che provenivano anche da dove non sembrava di doverli attendere: Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, prima di altri comprendete questi fatti e con Noi deplorate (ben sapendo quanto sia necessario, come in nessun altro momento, conciliare e preservare la concordia tra tutti i Cattolici) l’impeto unanime con cui i nemici del nostro nome di Cristiani assalgono la Chiesa da ogni lato. – Pertanto, solleciti nel proteggerla, esortiamo a trascinarla il meno possibile in controversie di diritto pubblico che di solito, presso di voi, agitano profondamente gli animi; esse riguardano infatti la necessità o la opportunità di conformare alla norma della dottrina cattolica le recenti forme di governo, fondate (come dicono) sui principi di un nuovo diritto. Senza dubbio Noi stessi, primi fra tutti, vivamente desideriamo che la società umana sia ordinata secondo l’etica cristiana e che tutte le istituzioni civili siano penetrate e pervase dalla divina virtù di Cristo. Che tale fosse il Nostro proposito rendemmo subito manifesto, fin dagli esordi del Nostro Pontificato, con pubblici documenti a stampa, soprattutto poi con Lettere Encicliche che divulgammo contro gli errori del socialismo e, di recente, sul potere politico. Tuttavia, tutti i Cattolici, se vorranno adoperarsi utilmente per il bene comune, tengano presente e seguano fedelmente nell’agire un meditato criterio, quale la Chiesa suole adottare in tali circostanze. Essa infatti, sebbene con inalterabile fermezza tuteli l’integrità delle celesti dottrine e i principi di giustizia, e usi ogni energia affinché gli stessi principi regolino gli atti privati, le pubbliche istituzioni e i costumi, tuttavia ha una giusta cognizione degli eventi, dei luoghi e dei tempi; e spesso, come di solito accade nelle vicende umane, è costretta a tollerare certi mali che non possono essere rimossi a fatica, e neppure a fatica, senza che si dia luogo a mali e a sconvolgimenti più gravi. – Occorre inoltre evitare, quando si affrontano controversie, di oltrepassare i limiti prescritti dalle leggi di giustizia e di carità, o di accusare avventatamente o di rendere sospette persone peraltro dedite alle dottrine della Chiesa, e soprattutto quelle che nella Chiesa eccellono per dignità e potere. Ci rammarichiamo appunto che ciò sia toccato a te, diletto Figlio Nostro che governi la Chiesa di Malines con l’autorità di Arcivescovo, e che per i tuoi egregi meriti verso la Chiesa, e per lo zelo nel difendere la dottrina cattolica, sei stato ritenuto degno dal Predecessore Nostro Pio IX di felice memoria, di essere accolto nel Collegio dei Padri Cardinali. È evidente che questa leggerezza di ridurre il prestigio altrui attribuendo false accuse, allenta i vincoli del mutuo amore, reca ingiuria a coloro che “lo Spirito Santo pose, come Vescovi, a reggere la Chiesa di Dio”: pertanto desideriamo e severamente esortiamo tutti i Cattolici ad astenersi da un simile comportamento. Ad essi basti sapere che alla Sede Apostolica e al Romano Pontefice, al quale tutti possono sempre rivolgersi, è stato affidato l’incarico di difendere ovunque le verità cattoliche e di vigilare perché nella Chiesa non serpeggi o si diffonda ciò che si oppone alla dottrina sulla fede e sulla morale o appare in contrasto con essa. – Per quanto riguarda Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, con sommo zelo impegnatevi in modo che tutti i dotti, e tra essi soprattutto coloro che hanno ricevuto da Voi l’incarico di educare la gioventù, abbiano piena unità di pensiero e di convinzioni circa quei principi sui quali l’autorità della Sede Apostolica non lascia libertà di dissentire. Ma sulle questioni che consentono un libero dibattito tra persone colte, si esercitino pure gli intelletti, persuasi e consigliati da Voi in modo che la diversità delle opinioni non infranga l’unità degli animi e la concordia delle volontà. Su questo argomento, precetti ricolmi di sapienza e di severità trasmise ai dotti il Predecessore Nostro Papa Benedetto XIV, di immortale memoria, nella Costituzione Sollicita ac provvida; anzi, come esempio da imitare propose San Tommaso d’Aquino che usa sempre uno stile pacato e un linguaggio pieno di decoro, non solo quando insegna e correda la verità di validi argomenti, ma anche quando insegue e incalza gli avversari. Siamo lieti di raccomandare nuovamente ai dotti i precetti del Nostro Predecessore e di offrire lo stesso esempio, da cui non solo imparino come ci si deve comportare con gli avversari, ma anche sappiamo quale dottrina, tra le discipline filosofiche e teologiche, occorre tramandare e coltivare. Non una sola volta, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, Vi abbiamo manifestato tutto il Nostro desiderio che la sapienza di San Tommaso sia reintrodotta nelle scuole cattoliche e sia tenuta ovunque nel massimo onore. Fummo anche promotori con Voi della istituzione di un magistero, conforme al pensiero di San Tommaso, nell’Accademia di filosofia superiore in Lovanio; e in questo progetto, come anche in tutte le altre iniziative, constatammo che eravate prontissimi ad esaudire i Nostri desideri e a fare la Nostra volontà. Pertanto, insistete nelle imprese iniziate e vigilate assiduamente affinché nella stessa Accademia le copiose fonti della filosofia cristiana, che sgorgano dalle opere di San Tommaso d’Aquino, si riversino con larga e ricca vena sugli uditori e siano condotte a fecondare tutte le altre discipline. In questa opera non permetteremo mai che Vi vengano a mancare né il consiglio né l’intervento Nostro, qualora occorressero. – Frattanto imploriamo da Dio, fonte di sapienza, promotore di pace e amante della carità, un aiuto adeguato alle necessità e invochiamo su tutti abbondanza di doni celesti. Come auspicio di essi e come testimonianza della Nostra particolare benevolenza, impartiamo a Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, unitamente a tutto il Clero e al popolo affidato alle Vostre cure, con molto affetto, l’Apostolica Benedizione nel nome del Signore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 agosto 1881, anno quarto del Nostro Pontificato.

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ». – Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapi’ la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente» (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Crad., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare a santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli,  quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.]

NOVITÀ MONDANA E NOVITA’ CRISTIANA.

La novità è una delle sollecitudini, potremmo anche dire delle manie del giorno. Dalla donna vana, che cerca la novità della moda, al letterato ambizioso che cerca la novità dell’arte, all’uomo grave che vuole la novità in politica, novità si vuole su tutta la linea. Povere cose vecchie! e come siete: screditate oggi! e come diventate vecchie e spregevoli rapidamente! Il Cristianesimo ha l’aria di non assecondare troppo questi fremiti di novità, queste ansie per la novità, il Cristianesimo colla santa immutabilità dei suoi dogmi, il Cristianesimo con la forza delle sue vetuste tradizioni. Qualcuno lo dipinge volentieri per metterlo alla berlina, tutto volto al passato, imbalsamatore di cadaveri. E certo il Cristianesimo non folleggia, come il mondo irrequieto, dietro la novità e le novità. Il mondo ha la mania di correre, muoversi, agitarsi, come un epilettoide: il mondo… il Cristianesimo, pacato senza essere ozioso, ha la preoccupazione ben più sacra di arrivare. Il suo ideale non è il nuovo, è il vero, è il bene. Diversità di temperamenti e di orientazioni. Ma nella epistola di quest’oggi ai Romani troviamo una frase che mostra la unilateralità di quella rappresentazione arcaica, la cui mercè altri vorrebbe far onta al Cristianesimo. « Camminiamo (dice San Paolo ai primi Cristiani) nella novità della vita… morti a ciò che c’è in noi di vecchio e di stantio…» La parola di San Paolo ci riporta per incanto ai giorni in cui il Vangelo apparve e fu una grande novità nel mondo… Novità assoluta, profonda di fronte al mondo pagano, novità, non allo stesso modo e nello stesso senso, ma novità anche di fronte al mondo giudaico. Aria nuova che irrompe in un ambiente chiuso parve il Vangelo ai Giudei, aria nuova in un ambiente chiuso, mefitico, così parve ai pagani il Vangelo. Novità la stessa unità di Dio, nonché è molto più il mistero della Trinità, mistero l’amore della Incarnazione, Redenzione, cose non mai più udite, cose contrarie a quelle che si erano udite fino allora. – E nuovi sentieri tracciava questa novità ideale alla vita della umanità. L’umanità operosa da secoli, colla sua operosità, aveva scavato false strade simili a quelle carreggiate che nel fango della strada mal fatta scavano i veicoli. Erano ormai antichi quei sentieri, infossati. Si chiamavano i sentieri dell’orgoglio, della voluttà, dell’egoismo: roba consolidata dal tempo, staremmo per dire dal tempo consacrata. C’era un tipo d’uomo fatto così, orgoglioso, sensuale, egoista, violento. Il Cristianesimo è venuto a scancellare, a disfare, a seppellire questo tipo in nome e a vantaggio d’un altro tipo, altro in tutto e per tutto altro, diverso e perciò nuovo. E nuovo perché fresco, perché vivo davvero. Questa vita d’orgoglio, di sensualità, d’egoismo, era una parvenza di vita, una illusione: febbre più che vita vera e propria. Il febbricitante non s’accorge sempre della sua febbre, non se ne accorge subito: ma a poco a poco sì: l’organismo si strugge; si fiacca. Nostro Signore Gesù è venuto ad uccidere e vivificare; uccidere quella vecchia infelicissima incrostazione di cattive consuetudini ch’era la umanità, e far vivere su quelle rovine, di quelle rovine una umanità nuova… nuova di zecca, e nuova per sempre. Noi siamo, noi dobbiamo essere questa umanità, perennemente viva e fresca, perché perennemente buona, vittoriosa del male e sul male. Il battesimo fa questa morte e questa vita nuova, ma dal battesimo in poi noi non dobbiamo invecchiare, tornando indietro, ringiovanire dobbiamo, andando avanti, andando in su « in novitate vite ambulemus ». E la nostra novità è la nostra giovinezza perenne.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Ar.Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933] – Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg. – Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Panis quem ego dabo, caro mea est prò mundi vita.

(JOAN. VI, 52).

Chi di noi, Fratelli miei, avrebbe mai potuto supporre che Gesù Cristo potesse spingere il suo amore verso le creature fino a dar loro il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, perché fosse nutrimento delle anime nostre, se non l’avesse detto Lui stesso? Ecché, F. M., un’anima nutrirsi del suo Salvatore?… e tante volte quanto desidera? O abisso di bontà e d’amore di un Dio per le sue creature!… S. Paolo ci dice che il Salvatore, vestendo la nostra carne, ha nascosto la sua divinità e portata l’umiliazione fino all’annientamento. Ma, istituendo l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, ha velato anche la sua stessa umanità, non lasciando apparire che le viscere della sua misericordia. Oh! vedete, M. F., di che cosa è capace l’amore di un Dio per le sue creature!… No, F. M., di tutti i Sacramenti non ce n’è uno che possa esser paragonato a quello dell’Eucaristia. In quello del Battesimo riceviamo, è vero, il carattere di figli di Dio, e, per conseguenza, prendiamo parte al suo regno eterno; in quello della Penitenza, le piaghe dell’anima nostra sono guarite e ci è restituita l’amicizia del nostro Dio; ma nell’adorabile sacramento dell’Eucaristia riceviamo non solo l’applicazione del suo Sangue prezioso, ma anche l’Autore stesso di ogni grazia. S. Giovanni ci dice che Gesù Cristo, « avendo amato gli uomini fino alla fine » (S. Giov. XIII, 1) trovò il mezzo di salire al cielo senza abbandonare la terra: Prese del pane tra le sue sante e adorabili mani, lo benedisse e lo cangiò nel suo Corpo; prese del vino e lo cangiò nel suo Sangue prezioso e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di compiere lo stesso miracolo tutte le volte che avrebbero pronunciato le stesse parole: affine di poter con questo miracolo d’amore, restare con noi, esserci di nutrimento, consolarci e tenerci compagnia. « Chi mangia la mia Carne – ci dice Egli – e beve il mio Sangue vivrà in eterno; chi non mangia la mia Carne né beve il mio Sangue non avrà la vita in sé » (Ibid. VI, 54, 55). Oh, M. F.! quale felicità per un Cristiano aspirare al grande onore di nutrirsi del pane degli angeli!… Ma, ahimè! quanto pochi la comprendono!… Ah! M. F., se conoscessimo bene tutta la felicità che abbiamo nel ricevere Gesù Cristo, non ci studieremmo continuamente di meritarla? Per darvi un’idea della grandezza di questa felicità, vi mostrerò:

1° quanto è grande la fortuna di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione;

2° i frutti che dobbiamo ritrarne.

I. — Voi tutti sapete, F. M., che la prima disposizione per ricevere degnamente questo grande Sacramento è l’esame accurato della propria coscienza, dopo aver implorato i lumi dello Spirito Santo; la confessione sincera dei propri peccati, con tutte le circostanze che possono renderli più gravi o mutarne la specie, accusandoli tali e quali ce li farà conoscere Dio al momento del giudizio; — un dolore profondo d’averli commessi e la disposizione a sacrificare tutto ciò che abbiamo di più caro piuttosto che commetterli di nuovo; — e in fine un gran desiderio di unirci a Gesù Cristo. Vedete la premura dei Magi di cercar Gesù Cristo nel presepio; vedete la santa Vergine, vedete la Maddalena come s’interessa di cercare il Salvatore risorto! Non intendo, F. M., assumermi di mostrarvi tutta la grandezza di questo Sacramento: ciò non è dato all’uomo; bisognerebbe esser Dio stesso per poter esporvi la grandezza di queste meraviglie: perché ciò che ci riempirà di stupore per tutta l’eternità, sarà l’aver ricevuto, noi, miseri quali siamo, un Dio sì grande. – Tuttavia, per darvene un’idea, vi mostrerò che Gesù non è mai passato in alcun luogo, durante la sua vita mortale, senza spandervi le sue benedizioni più abbondanti e, per conseguenza, quanto devono esser grandi e preziosi i beni che ricevono coloro che hanno la bella sorte di accoglierlo in sé per mezzo della santa Comunione; anzi, per dir meglio, vi mostrerò che tutta la nostra felicità in questo mondo consiste nel ricevere Gesù Cristo in questo augusto Sacramento; ciò ch’è molto facile a comprendersi; poiché la santa Comunione giova non solo all’anima nostra col nutrirla, ma anche al nostro corpo, come vedremo. Leggiamo nel santo Evangelo, che Gesù Cristo entrando nella casa di S. Elisabetta, benché ancora chiuso nel seno materno, madre e figlio furono ripieni di Spirito Santo. San Giovanni fu anche purificato dalla macchia d’origine, e la madre esclamò: « Ah! donde mai mi viene tanta felicità che la madre del mio Dio si degni di venire a me? » (S. Luc. I, 43). Pensate, M. F., quanto più grande debba essere la felicità di colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione, poiché lo riceve non già in casa sua, come S. Elisabetta, ma nel suo proprio cuore; padrone di custodirvelo, non tre mesi, come Elisabetta, ma per tutta la vita. — Quando il vecchio Simeone, che da tanti anni sospirava ardentemente la felicità di vedere Gesù Cristo, poté riceverlo almeno tra le sue mani, fu così trasportato e rapito di gioia, che, non sapendosi trattenere, esclamò in un impeto d’amore: « O Signore, e che posso io desiderare ancora sulla terra, dacché i miei occhi hanno visto il Salvatore del mondo? Io ora posso morire in pace! » (S. Luc. II, 29). Ma, ancora una volta, qual differenza, F. M., tra il riceverlo sulle proprie braccia, contemplarlo qualche istante, e riceverlo nel proprio cuore!… Quando Zaccheo, sentito parlare di Gesù Cristo, desiderò ardentemente di vederlo, essendo impedito dalla gran folla che accorreva da ogni parte, s’arrampicò su di un albero; ma il Signore, vedendolo, gli disse: « Zaccheo, vien giù subito, perché oggi voglio alloggiare in casa tua. ». Ed egli s’affretta a discendere e corre a preparare tutto ciò che può per ricevere il Salvatore. Gesù, entrando nella sua casa dice: « Oggi questa casa riceve la salvezza. » E Zaccheo, vedendo la grande carità di Gesù Cristo nel venire ad albergare in casa sua, « Signore, esclama, io darò la metà dei miei beni ai poveri, e renderò il doppio a tutti quelli che ho in qualunque modo danneggiati » (S. Luc. XIX) Di maniera chè, M. F., la sola visita di Gesù Cristo, fece d’un gran peccatore un gran santo, poiché egli ebbe la felicità di perseverare fino alla morte. — Leggiamo nell’Evangelo che, quando Gesù Cristo entrò nella casa di S. Pietro, questi lo pregò di guarirgli la suocera, travagliata da febbre violenta. Gesù Cristo comandò alla febbre di lasciarla e all’istante ella fu guarita; tanto che poté servirli a tavola (S. Luc. IV, 38-39). Vedete anche l’emorroissa. Diceva tra sé: « S’io potessi, se avessi la fortuna di toccargli anche solo l’orlo della veste, sarei guarita; » e infatti, quando il Salvatore passò, ella si gettò a’ suoi piedi, toccò e fu guarita perfettamente (S. Matth. IX, 20). E perché il Signore andò a risuscitare Lazzaro, morto da quattro giorni?… Non è forse perché l’aveva ricevuto spesso in casa sua, che Gesù gli mostrò così vivo attaccamento da versar lagrime presso la sua tomba? (S. Giov. XI). Gli uni gli chiedevano la vita, gli altri la guarigione del corpo; e nessuno mai si ritirò senza aver ottenuto ciò che domandava. Pensate voi s’Egli vorrà negare ora ciò che gli si domanda. Quali torrenti di grazie non deve accordare, quando è Lui stesso che viene nei nostri cuori, desideroso di fissarvi la sua dimora per tutto il resto dei nostri giorni! Oh! M. F., quale felicità per chi riceve, con le dovute disposizioni, Gesù Cristo nella santa Comunione!… Ah! chi potrà mai comprendere la fortuna del Cristiano che riceve Gesù Cristo nel suo cuore, il quale per ciò stesso diventa un piccolo cielo; da solo, Egli è tanto ricco quanto tutto il cielo insieme. Ma, mi direte, perché dunque la maggior parte dei Cristiani è così insensibile a questa felicità, tantoché molti anzi la disprezzano e si beffano di quelli che sono sì lieti di ricevere Gesù Cristo? — Ahimè, mio Dio! Quale sventura è mai paragonabile a questa? È perché questi poveri infelici non hanno mai conosciuto né gustato la grandezza di questa felicità. Infatti, F. M., un uomo, una creatura, nutrirsi, saziarsi del suo Dio, farne il suo cibo Quotidiano! … O miracolo dei miracoli ! o amor degli amori!… o felicità delle felicità, ignota agli Angeli stessi!… 0 mio Dio! qual gioia per un Cristiano che ha fede sapere che, levandosi dalla sacra Mensa, se ne va col cielo nel cuore!… Oh! felice la casa in cui abitano questi Cristiani!… qual rispetto non si deve aver per loro in quel giorno! Avere nella propria casa un secondo tabernacolo, in cui ha risieduto realmente il buon Dio in Corpo ed in Anima!… Ma, forse mi direte ancora, se questa felicità è sì grande, perché la Chiesa ci comanda di comunicarci una volta all’anno? — Questo comando, M. F., non è per i Cristiani buoni, ma per i tiepidi e indifferenti per la povera anima loro. Nei primi tempi della Chiesa, il più gran castigo che si poteva infliggere ai Cristiani era di privarli di questa felicità. Ogni volta che essi assistevano alla santa Messa, avevano anche la bella sorte di comunicarsi. Mio Dio! come è mai possibile che i Cristiani possano stare tre, quattro, cinque e anche sei mesi senza dare questo nutrimento celeste alla povera anima loro? Essi la lasciano morir di miseria!… Mio Dio! Quale sventura! quale accecamento!… mentre hanno tanti rimedi per guarirla, e un nutrimento sì efficace per conservarle la salute! Ah! F. M., diciamolo con le lagrime agli occhi, non si risparmia nulla per il corpo che dopo tutto dovrà, tosto o tardi, essere distrutto e corroso dai vermi; e l’anima, creata ad immagine di Dio, l’anima immortale, la si disprezza, la si tratta con la peggiore delle crudeltà!… La Chiesa vedendo come i Cristiani perdevano di vista la salute delle loro povere anime, sperando che il timor del peccato avrebbe fatto loro aprire gli occhi, li obbligò a comunicarsi tre volte all’anno: a Natale, a Pasqua e a Pentecoste. Ma più tardi vedendoli diventare sempre più insensibili alla loro sventura, finì per non obbligarli che una volta sola all’anno. Mio Dio! quale sciagura e quale accecamento per un Cristiano, esser costretto da leggi a cercare la sua felicità! Di maniera che, quand’anche, M. F., non aveste altri peccati sulla coscienza che quello di non far la vostra Pasqua, voi sareste perduti. Ma ditemi, qual vantaggio potete mai trovare nel lasciare la povera anima vostra in uno stato sì lacrimevole?… Voi siete tranquilli e contenti, se pur si deve credere a ciò che dite; ma ditemi: dove potete trovare la vostra tranquillità e il vostro contento? È forse perché l’anima vostra non attende che il momento in cui la morte la colpirà per piombarla nell’inferno? Forse perché il demonio è vostro padrone? Mio Dio! quale accecamento e quale sventura per chi ha perduto la fede! Perché ancora, F. M., la Chiesa ha stabilito l’uso del pane benedetto che si distribuisce durante la S. Messa, e che, per la benedizione della Chiesa, vien distinto dalle cose ordinarie? Se non lo sapete, ve lo dirò io. È per consolare i peccatori, e, allo stesso tempo, coprirli di confusione. Per consolarli, perché, almeno, il prendere questo pane benedetto li mette in qualche modo a parte della felicità di quelli che ricevono Gesù Cristo, ai quali si uniscono con gran desiderio di riceverlo e con una fede viva. Ma anche per coprirli di confusione: infatti, quale confusione, se la loro fede non è ancora spenta, veder un padre, una madre, un fratello, una sorella, un vicino, una vicina, accostarsi alla sacra Mensa, nutrirsi del Corpo adorabile di Gesù Cristo; mentre essi sono esclusi. Quale sventura, mio Dio! e tanto più grande quanto meno compresa!… Sì, M. F., tutti i santi Padri ci dicono che, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, noi riceviamo ogni sorta di benedizioni per il tempo e per l’eternità. Infatti, s’io domando a un fanciullo: « Dobbiamo desiderare di comunicarci? — Sì, mi risponde. — E perché? — Per gli effetti eccellenti che la santa Comunione produce in noi. — Quali sono questi effetti? La santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo, indebolisce la nostra inclinazione al male, aumenta in noi la vita della grazia, è per noi il principio e « il pegno della vita eterna. »

1° In primo luogo, la santa Comunione ci unisce intimamente a Gesù Cristo. Unione sì intima, questa, F. M., che Gesù Cristo stesso ci dice: « Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me e Io in lui: la mia Carne è veramente cibo, il mio Sangue è veramente bevanda » (S. Giov. VI, 56-57) di maniera che, per la S. Comunione il Sangue adorabile di Gesù Cristo scorre veramente nelle nostre vene; la sua Carne è veramente commista alla nostra; ciò che faceva dire a S, Paolo: « Non sono io che opero, che penso, ma è Cristo che opera e pensa in me. Non io vivo, ma vive Cristo in me » (Gal. II, 20) S. Leone ci dice che quando abbiamo la grande ventura di comunicarci, noi chiudiamo davvero in noi stessi il Corpo adorabile e il prezioso Sangue di Cristo. F. M., comprendete voi bene tutta la grandezza di questa felicità? Ah! no, no; comprenderla bene non lo potremo che in cielo. Mio Dio! una creatura arricchita di tanto dono!…

2° In secondo luogo, ricevendo Gesù Cristo nella santa Comunione, vi riceviamo un aumento di grazie, ciò che è facile a comprendersi. Poiché, ricevendo Gesù Cristo, riceviamo la fonte di ogni sorta di benedizioni spirituali, che si spandono nelle anime nostre. Infatti, M. F., chi riceve Gesù Cristo, sente rianimarsi in sé la fede; tutti noi ci sentiamo più penetrati delle verità della nostra santa Religione; sentiamo meglio la gravità del peccato e i suoi pericoli; il pensiero del giudizio ci colpisce di più, siamo più sensibili alla perdita di Dio. Ricevendo Gesù Cristo il nostro spirito si fortifica; ci sentiamo più fermi nel combattere; le nostre intenzioni in tutto ciò che facciamo sono sempre più pure; il nostro amore s’infiamma sempre più. Il pensiero che possediamo Gesù nei nostri cuori, il piacere che proviamo in quel momento felice sembra unirci e legarci talmente a Dio che il nostro cuore non può pensare, non può desiderare che Dio solo. Ci riempie tanto il pensiero del possesso perfetto di Dio che la vita ci par troppo lunga, e invidiamo non quelli che vivono molti anni, ma quelli che partono presto per andare a riunirsi a Dio per sempre. Tutto ciò che ci annuncia la distruzione del nostro corpo ci allieta. Ecco, M. F., il primo effetto che la santa Comunione produce in noi, quando siamo tanto avventurati da ricevere Gesù Cristo degnamente.

3° In terzo luogo, la santa Comunione indebolisce la nostra tendenza al male, ciò che pure è facilissimo a comprendersi. Il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo che scorre nelle nostre vene, e il suo Corpo adorabile, che si compenetra col nostro, non può fare a meno di distruggervi o almeno diminuirvi la tendenza al male, che il peccato di Adamo vi ha fatto nascere. Tanto vero ciò, che, appena ricevuto Cristo, si prova un gusto nuovo per le cose del cielo e un nuovo disprezzo per le cose create. Ditemi, F. M., come volete che l’orgoglio possa entrare in un cuore, dove è appena disceso un Dio che, scendendo in quell’anima, s’è umiliato fino all’annientamento? Potrebbe egli acconsentire di credersi qualche cosa? Al contrario potrà egli trovar abbastanza di che umiliarsi e disprezzarsi? Un cuore che ha appena ricevuto in sé un Dio sì puro, che è la santità stessa, non sentirà nascere in sé l’orrore più profondo per il minimo peccato di impurità? Non sarebbe anzi egli disposto a lasciarsi tagliare a pezzi piuttosto che acconsentire, non dico a una cattiva azione, ma anche solo a un cattivo pensiero? Un cuore che ha appena ricevuto nella santa Comunione Colui che, padrone di tutto, ha passato la sua vita nella più stretta povertà, tanto che aveva solo una manata di paglia su cui posare il capo, e morì ignudo su di una croce; dite, come potrà questo cuore attaccarsi ai beni del mondo, vedendo la condotta di Gesù? Una lingua che ha appena appena goduto la felicità di toccare il suo Creatore e il suo Salvatore, come mai oserebbe darsi a parole sconce, a baci impuri? No, senza dubbio, non l’oserà mai. Quegli occhi che, poco fa desideravano sì vivamente contemplare il loro Creatore, più puro dei raggi del sole, come potrebbero, dopo tale felicità, fissarsi sopra oggetti impuri? Pare impossibile. Un cuore che ha appena servito di trono a Gesù Cristo, come potrebbe cacciarnelo, per mettere al suo posto il peccato, o piuttosto il demonio stesso? Ancora: un cuore che ha gustato una volta i casti abbracci del suo Salvatore, come potrebbe trovare altra felicità che in Lui? Un Cristiano che ha appena ricevuto Gesù Cristo, morto per i suoi nemici, come potrebbe voler male a chi gli avesse fatto qualche torto? No, senza dubbio; il suo piacere sarà di fargli del bene, quanto potrà. Così S. Bernardo diceva ai suoi religiosi: « Figli miei, se vi sentite meno portati al male e più al bene, ringraziatene Gesù Cristo che vi accorda questa grazia nella santa Comunione. »

4° In quarto luogo, la santa Comunione è per noi « il pegno della vita eterna » (Futuræ gloriæ nobis pignus datur. Off. Ss. Sacramenti) di guisa che la santa Comunione ci assicura il cielo. È un’arra che il cielo ci offre per dirci che un giorno esso sarà la nostra dimora; e, di più, Gesù Cristo risusciterà i nostri corpi tanto più gloriosi quanto più spesso l’avremo degnamente ricevuto. Oh, M. F.! se potessimo comprender bene quanto brama Gesù di venire nelle anime nostre!… Una volta entratovi, non vorrebbe uscirne più, non più separarsi da noi né in vita né dopo morte. Leggiamo nella vita di S. Teresa che essendo apparsa dopo morte ad una religiosa, in compagnia di nostro Signore, questa, meravigliata di vederla assieme a Gesù Cristo, domandò al Salvatore perché le apparisse così. E Gesù stesso le rispose che Teresa gli era stata sì unita in vita per mezzo della santa Comunione, ch’Egli non poteva più staccarsene. No, M. F., non c’è cosa che possa tanto abbellire i nostri corpi per il cielo, quanto la santa Comunione. Oh, F. M.! qual gioia dovranno godere quelli che si saranno comunicati spesso e degnamente durante la vita!… Il Corpo adorabile di Gesù Cristo e il suo Sangue prezioso, sparsi in tutto il nostro essere, saranno simili ad uno splendido diamante, che pure nascosto da un velo, risalta assai bene. Se avete qualche dubbio, ascoltate S. Cirillo d’Alessandria dirci che colui che riceve Gesù Cristo nella santa Comunione gli rimane così unito ch’essi diventano come due pezzi di cera fusa, i quali finiscono per non formarne che uno solo e si mescolano e si confondono talmente che non si possono più separare. Oh! F. M., quale felicità per un Cristiano che arriva a comprendere questo grande mistero !… S. Caterina da Siena esclamava nei suoi trasporti d’amore: « Oh, mio Dio! oh, mio Salvatore! quale eccesso di carità e di bontà! darvi con tanta premura alle vostre creature!… E , dando voi stesso, date tutto ciò che avete, tutto ciò che siete. Tenero Salvator mio, gli diceva ella, irrorate, ve ne scongiuro, la mia povera anima col vostro Sangue prezioso, nutrite il mio col vostro Corpo adorabile, affinché il mio corpo e l’anima mia non aspirino che a piacere unicamente a voi e a possedervi. „ S. Maddalena de’ Pazzi ci dice che basterebbe una sola Comunione fatta con tenerezza d’amore e con cuor puro, per sublimarci alla più alta perfezione. La beata Vittoria diceva a quelli che vedeva languire nel cammino del cielo: « Perché, figliuoli miei, vi trascinate così sulle vie della salvezza? Perché avete sì poco coraggio per lavorare, affine di meritare la gran felicità di andare ad assidervi alla sacra Mensa e mangiarvi il pane degli Angeli che tanta forza apporta ai deboli ? Oh! se sapeste quanto questo pane celeste addolcisce le miserie della vita! Oh! se aveste gustato anche solo una volta quanto Gesù è buono e benefico con chi lo riceve nella santa Comunione!… Andate, figli miei, mangiate questo pane dei forti, e ne ritornerete pieni di gioia e di coraggio, né più desidererete che il dolore, i tormenti e la lotta per piacere a Gesù Cristo. „ S. Caterina da Genova era così affamata di questo pane celeste, che non poteva vederlo nelle mani di un Sacerdote, senza sentirsi morir d’amore, tanto era il suo desiderio di possederlo. « Ah, Signore! esclamava, venite a me! mio Dio, venite a me! io non posso più resistere! O mio Dio, venite, di grazia, in fondo al mio cuore: mio Dio, non ne posso più! Voi siete tutta la mia gioia, tutta la mia felicità, tutte il nutrimento dell’anima mia! » Oh, M. F.! se noi potessimo comprendere una minima parte di questa felicità, non potremmo più desiderar la vita se non per assicurarci questa felicità; fare cioè di Gesù il nostro pane d’ogni giorno. F. M., tutte le cose create non sarebbero più nulla, noi le disprezzeremmo assolutamente per attaccarci a Dio solo, e tutti i nostri passi, tutte le nostre azioni non tenderebbero ad altro che a renderci sempre più degni di riceverlo.

II. — Tuttavia, M. F., se noi possiamo ricevere tanti beni nella santa Comunione, occorre anche che, da parte nostra ci adoperiamo di rendercene degni. E lo vedremo ben chiaro. — Se domando a un fanciullo quali sono le disposizioni necessarie per comunicarsi bene, vale a dire per ricevere degnamente il Corpo adorabile e il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, affine di ricevere tutte le grazie accordate a tutti i ben disposti, egli mi risponde: « Ci sono due sorta di disposizioni, le une che riguardano il corpo, le altre che riguardano l’anima. „ Siccome Gesù Cristo viene e nel nostro corpo e nella nostra anima, così dobbiamo rendere l’uno e l’altra degni di tale felicità.

1° La prima disposizione che riguarda il corpo, consiste nell’esser digiuni dalla mezzanotte; non aver cioè mangiato né bevuto assolutamente nulla, nulla aver messo in bocca, neppure… Se dubitaste che fosse già passata la mezzanotte, dovreste rimettere la Comunione a un altro giorno. Ci sono di quelli che si comunicano anche nel dubbio che fosse già passata la mezzanotte. Facendo così si espongono a un gran peccato, o almeno a non ritrarre alcun frutto dalla loro Comunione, ciò che è un gran male, massime se quel giorno fosse ultimo del tempo pasquale, o di un giubileo, o di qualche gran festa; insomma non bisogna farlo mai, sotto qualunque pretesto. – Certe donne gustano il cibo dei loro bambini, se lo mettono alla bocca e credono di non inghiottir niente. Non fidatevi: perché è troppo difficile poterlo fare senza che nulla abbia a discendere per la gola.

2° Occorre un abito pulito, non dico ricco, ma che almeno non sia sucido, né  stracciato: vale a dire, pulito e rassettato; a meno che non se n’avessero proprio altri. Vi sono di quelli che non hanno di che cambiarsi, o che non lo fanno per pigrizia. Per quelli che non ne hanno, niente di male; ma gli altri fanno male, perché è un mancar di rispetto a Gesù Cristo che brama tanto venire nel loro cuore. Bisogna essersi pettinati, aver lavato il viso e le mani; non mai venire alla sacra Mensa senza scarpe, buone o rotte che siano. Non già però che si debbano approvare certe signorine che non fanno differenza tra l’andare alla sacra Mensa e il portarsi al ballo o ad un festino; davvero io non so come possano andare con tanta pompa di vanità a ricevere un Dio umiliato e annientato. Quale contraddizione, mio Dio, quale contraddizione!…

3° La terza disposizione è la purità del corpo. Questo Sacramento è chiamato « il pane degli Angeli » per mostrarci che, per riceverlo degnamente, bisogna accostarsi alla purità degli Angeli quanto più è possibile. S. Giovanni Crisostomo ci dice che quelli che hanno avuto la sventura di lasciar correre il loro cuore dietro un oggetto impuro, devono guardarsi bene dall’accostarsi a ricevere il pane degli Angeli, perché il Signore li castigherebbe. Ai primordi della Chiesa, uno che avesse peccato contro la bella virtù della purezza era condannato a non comunicarsi per tre anni continui; e, se vi ricadeva, per sette anni; ciò che è facile a comprendersi perché questo peccato macchia l’anima e il corpo. S. Giovanni Crisostomo ci dice ancora che la bocca che riceve Gesù Cristo e il corpo che lo accoglie devono esser più puri che i raggi del sole. Occorre che tutto il nostro esterno dica a quelli che ci vedono che noi ci prepariamo a qualcosa di grande. Che se, per comunicarci, sono già tanto necessarie le disposizioni del corpo, lascio pensare a voi, o F. M., quante più dovranno esserlo quelle dell’anima per meritare le grazie che Gesù ci porta venendo in noi per mezzo della santa Comunione. Sì, F. M., quando ci portiamo alla sacra Mensa, se vogliamo ricevere Gesù con disposizioni buone, bisogna che la coscienza non ci rimorda di nulla; dobbiamo poter esser convinti d’aver fatto tutto il necessario per esaminarci bene, affine di conoscere i nostri peccati; occorre che la coscienza non ci rimproveri di nulla sull’accusa fatta dei nostri peccati; è necessario essere nella risoluzione di fare, colla grazia di Dio, tutto ciò che dipenderà da noi per non ricadervi, e avere un desiderio sincero di compiere il meglio possibile la penitenza assegnataci. Per penetrarci bene della grandezza dell’azione che stiamo per compiere, dobbiamo da principio guardare la sacra Mensa come il tribunale di Gesù Cristo, al quale saremo giudicati. Se abbiamo avuto la sventura di non accusarci bene dei nostri peccati, d’averne taciuto o svisato qualcuno, persuadiamoci bene che non è Gesù Cristo che andiamo a ricevere, ma il demonio. Oh! F. M., quale orrore mettere Gesù Cristo sotto i piedi del demonio!… Leggiamo nel Vangelo che Gesù istituì l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, in una stanza ben pulita e arredata per mostrarci con quanta cura dobbiamo abbellire l’anima nostra con ogni sorta di virtù per ricevere Gesù Cristo nella santa Comunione. E, di più, prima di porgere il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, Gesù si levò da mensa e andò a lavare i piedi de’ suoi apostoli (S. Giov. XIII, 4), per farci comprendere quanto dobbiamo essere esenti da qualunque peccato, anche più leggiero, vale a dire, non avere alcun affetto neppure al peccato veniale. Rinunciare perfettamente a noi stessi in tutto ciò che è contro coscienza; non avere alcuna difficoltà di parlare a quelli che ci hanno offesi, o di incontrarli; portarli anzi in cuore… Diciamo anche meglio, F. M., quando andiamo a ricevere il Corpo di Gesù Cristo nella santa Comunione, dobbiamo sentirci in istato di poter morire e comparire con confidenza dinanzi al tribunale di Cristo. S. Agostino ci dice: « Se volete comunicarvi in modo da piacere a Gesù Cristo, dovete essere assolutamente staccati da tutto ciò che possa tanto o poco dispiacere a Dio. » E S. Giovanni Crisostomo: « Quando cadete in qualche peccato mortale, dovete confessarvene subito; ma poi dovete stare qualche tempo prima di accostarvi alla santa Mensa, per aver tempo di far penitenza. Deplorate, continua egli, la sventura di quelli che, dopo essersi confessati di gravi peccati mortali, domandano subito la santa Comunione, credendo che la sola confessione basti. No; bisogna anche piangere i nostri peccati e farne penitenza, prima di ricevere Gesù Cristo nei nostri cuori. » S. Paolo dice a tutti « di purificar bene l’anima nostra da qualunque macchia prima di ricevere il pane degli Angeli, il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo » (I Cor. XI, 28), perché se l’anima non fosse tutta pura, attireremmo sopra di noi ogni sorta di sventure per questo mondo e per l’altro. » –  E S. Bernardo: « Per comunicarci degnamente dobbiamo fare come il serpente, quando vuol bere a suo agio. Perché l’acqua gli giovi, sprizza fuori il veleno. Noi dobbiamo fare lo stesso: quando vogliamo ricevere Gesù Cristo, dobbiamo gettar via il nostro veleno, che è il peccato, veleno dell’anima nostra e di Gesù Cristo; ma, ci dice questo gran santo, dobbiam gettarlo via per davvero. Figli miei – continua egli – deh! non avvelenate Gesù Cristo nel vostro cuore. » Sì, F. M., quelli che vanno alla sacra Mensa senza aver prima purificato il loro cuore, devono temere assai d’incontrare lo stesso castigo di quel servo che osò mettersi a tavola senza la veste nuziale. Il padrone comandò a’ suoi ministri di prenderlo, di legarlo mani e piedi e gettarlo fuori nelle tenebre. Allo stesso modo, M. F., all’ora della morte Gesù Cristo dirà a quelli che avranno avuto la disgrazia di riceverlo senza essersi convertiti: « Perché avete avuto l’audacia di ricevermi nei vostri cuori, macchiati di tanti peccati? » No, F. M., non dimentichiamo mai che per comunicarci bene, dobbiamo essere convertiti davvero e veramente risoluti di perseverare. Abbiamo visto che quando Gesù volle dare il suo Corpo adorabile e il Sangue suo prezioso agli Apostoli per mostrar loro quanto occorresse esser puri per riceverlo, arrivò persino a lavar loro i piedi. Con ciò volle mostrarci che non potremmo mai esser troppo mondi dai nostri peccati, anche veniali. È vero che il peccato veniale non rende le nostre Comunioni indegne, ma è causa per cui tanta felicità non ci giovi quasi a nulla. La prova è evidente. Vedete quante Comunioni nella nostra vita! Ebbene: siamo noi per questo divenuti migliori? — No, senza dubbio; e la vera causa di ciò è il conservar quasi sempre le nostre cattive abitudini e il non correggerci mai, una volta meglio dell’altra. Noi abbiamo orrore per quei grandi peccati che danno la morte all’anima; ma per tutto quelle piccole impazienze, per quelle mormorazioni quando ci tocca qualche disgrazia o qualche dispiacere, per quei sotterfugi nel parlare,… via, ciò non costa molto. Vedete però che, malgrado tante confessioni e tante Comunioni, voi siete sempre quelli di prima; e che le vostre confessioni, già da molt’anni, non sono che la solita ripetizione degli stessi peccati, i quali, sebbene veniali, non per questo v’impediscono meno di perder quasi tutto il merito delle vostre Comunioni. Vi si sente dire, ed è vero, che voi non valete oggi più di ieri; ma chi v’impedisce di correggervi dei vostri difetti?… Se siete sempre gli stessi è appunto perché non volete mai fare il minimo sforzo per correggervi: non volete soffrire nulla, in nulla essere contraddetti; vorreste che tutti vi amassero e avessero di voi buona opinione, cosa troppo difficile. Procuriamo, M. F., di lavorare per distruggere tutto ciò che può in qualunque modo dispiacere a Gesù Cristo; e vedremo come le nostre Comunioni ci faranno camminare a gran passi verso il cielo; e più ci comunicheremo, più ci sentiremo staccati dal peccato e portati a Dio. – Dice S. Tommaso, che la purità di Gesù Cristo è sì grande che il minimo peccato veniale gli impedisce di unirsi con quella intimità che vorrebbe. Per ben ricevere Gesù Cristo bisogna avere nello spirito e nel cuore una gran purità d’intenzione. Ci sono di quelli che pensano al mondo, alla stima o al disprezzo ch’esso avrà di loro: ciò non importa niente. Altri vanno in quei dati giorni per abitudine. Ecco, F. M., delle povere Comunioni, poiché mancano di purità d’intenzione. M. F., ciò che deve spingerci alla sacra Mensa è:

1° perché Gesù Cristo ce lo comanda sotto pena di non conseguire la vita eterna;

2° perché ne abbiamo un gran bisogno per fortificarci contro il demonio;

3° per staccarci dalla terra e attaccarci a Dio. Miei cari, pei aver la grande felicità di ricevere Gesù Cristo, felicità sì grande che tutti gli angeli c’invidiano… (essi possono solo amarlo e adorarlo come noi, ma non come noi riceverlo, ciò che sembra elevarci al disopra degli angeli stessi)… lascio ora pensare a voi con quale purità, con quale amore dobbiamo presentarci a Gesù Cristo per riceverlo. Dobbiamo inoltre comunicarci per ricevere le grazie di cui abbiamo bisogno. Se abbiamo bisogno di umiltà, di pazienza di purezza, ebbene, F. M., tutto ciò troveremo nella santa Comunione, e con ciò tutte le grazie necessarie ad un Cristiano.

4° Dobbiamo andare alla sacra Mensa per unirci a Gesù Cristo, affinché Egli ci trasformi in se stesso, ciò che succede a tutti quelli che Lo ricevono santamente. Se ci comunichiamo spesso e degnamente, i nostri pensieri, i nostri affetti, tutte le nostre azioni, tutti i nostri passi hanno lo stesso fine di quelli di Gesù Cristo quand’era sulla terra. Allora amiamo Dio, ci commoviamo a tutte le miserie spirituali e temporali del prossimo e non pensiamo affatto ad attaccarci alla terra; il nostro cuore, il nostro spirito non pensano, non aspirano che al cielo. – Si, F. M., per fare una buona Comunione, bisogna avere una fede viva in questo grande mistero. Siccome questo Sacramento è un “mistero di fede, „ bisogna credere davvero che Gesù Cristo è realmente presente nella Ss. Eucaristia, ch’Egli vi è vivo e glorioso come in cielo. Altre volte, prima di porgere la santa Comunione, il Sacerdote, tenendo tra le dita la Ss. Eucaristia, diceva ad alta voce: « Credete, che il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo è veramente in questo Sacramento? » Allora tutti i fedeli rispondevano: « Sì, lo crediamo » . (S. Ambrogio, De Sacramenti, lib. IV, cap. 5). Oh! quale felicità per un Cristiano venir a prostrarsi alla Mensa dei vergini, a ricevere il Pane dei forti!… No, F. M., non c’è nulla che possa renderci sì terribili al demonio quanto la santa Comunione. – Più ancora: essa ci conserva non solo la purità dello spirito, ma altresì quella del corpo. Vedete S. Teresa. Era divenuta sì cara a Dio per la Comunione che faceva sì spesso e sì degnamente, che un giorno Gesù Cristo le apparve e le disse che ella gli piaceva tanto che quand’anche non ci fosse stato il cielo, ne avrebbe creato uno apposta per lei. Vediamo nella sua vita che una domenica di Pasqua, dopo la santa Comunione, ella fu sì rapita in Dio che, ritornata in sé, si sentì la bocca tutta ripiena del Sangue adorabile di Gesù Cristo, che pareva uscir dalle sue vene; ciò che le comunicò tanta dolcezza, che ella credette morirne di amore. « Io vidi – ella racconta – il mio divin Salvatore, il quale mi disse: Figlia mia, voglio che questo Sangue che ti è causa di tanto amore serva a salvarti: non temere giammai che la mia misericordia ti venga meno. Quando ho versato questo Sangue prezioso, non ho provato che dolori e amarezze; ma tu ricevendolo non ne avrai che dolcezza e amore. » Spesso quand’ella si comunicava, gli Angeli scendevano in folla dal cielo e parevano porre le loro delizie nell’unirsi a lei per lodare il Salvatore, ch’ella aveva la felicità, di portare in cuore. Spesse volte la santa fu vista presa dagli Angeli alla sacra Mensa e portata su di un’alta tribuna. Oh, F. M.! se noi avessimo anche una volta sola compreso la grandezza di questa felicità, davvero non ci sarebbe bisogno d’esser sollecitati per venirla a godere. S. Gertrude domandava un giorno a Gesù Cristo che cosa bisognasse fare per riceverlo il più degnamente possibile. Gesù le rispose che bisognava desiderare l’amor di tutti i santi insieme, e che quest’unico suo desiderio sarebbe stato appagato. Volete sapere, F. M., come dovete comportarvi quando volete gustare la felicità di ricevere Gesù Cristo? Fate come quel buon Cristiano che si comunicava ogni otto giorni; egli ne impiegava tre in ringraziamento e tre in preparazione. Ebbene, che cosa vi impedisce di fare anche voi tutte le vostre azioni per questo scopo? Trattenetevi con Gesù Cristo che regna nel vostro cuore; pensate che verrà sull’altare e di là scenderà nel vostro cuore per visitare l’anima vostra e arricchirla d’ogni sorta di beni e di felicità. Invochiamo la santa Vergine, gli Angeli, i Santi affinché preghino il buon Dio che possiamo riceverlo più degnamente che ci sarà possibile. Quel giorno veniamo più per tempo alla S. Messa e ascoltiamola anche meglio delle altre volte. Il nostro spirito e il nostro cuore devono essere continuamente ai piedi del tabernacolo, continuamente sospirare il felice momento; i nostri pensieri non devono più essere di questo mondo, ma tutti celesti; e dobbiamo esser così inabissati nel pensiero di Dio, da sembrar morti al mondo. Dobbiamo avere con noi il nostro libro di pietà, il nostro rosario e dire le nostre orazioni col maggior fervore possibile per rianimare in noi la fede, la speranza e un grande amore per Gesù che, del nostro cuore, farà, fra qualche istante, il suo tabernacolo, o, per dir più esatto, un piccolo cielo. Quale felicità, mio Dio, quale onore per misere creature come siamo noi! Gli dobbiamo inoltre un gran rispetto, noi esseri così miserabili!… Ma tuttavia speriamo ch’Egli avrà egualmente pietà di noi. Dopo i vostri atti di preparazione, dovete offrire la vostra Comunione per voi o per altri; poi alzatevi e andate alla sacra Mensa con grande modestia, la quale mostri che andate a compiere qualcosa di grande; prostratevi in ginocchio e sforzatevi di rianimare in voi la fede che vi faccia sentire tutta la grandezza della vostra felicità. Il vostro spirito e il vostro cuore siano tutti di Dio. Non girate attorno la testa, tenete gli occhi bassi, le mani giunte e recitate il Confiteor. Se dovete aspettare, eccitatevi a un grande amore a Gesù e pregatelo umilmente che si degni venire nel vostro povero e miserabile cuore. Dopo che avrete avuto la grande felicità di comunicarvi, levatevi con modestia, tornate al vostro posto, mettetevi in ginocchio e non prendete subito un libro o il rosario; ma intrattenetevi un momento con Gesù Cristo, che avete la felicità di possedere nel vostro cuore, nei quale, per un quarto d’ora, vive in Corpo ed Anima, come durante la vita mortale. Oh, felicità infinita!… chi mai potrà comprenderla bene? Ahimè! quasi nessuno la comprende.’… Dopo che avrete domandato al buon Dio tutte le grazie che desiderate per voi e per gli altri, riprendete il vostro libro e continuate. Finiti i vostri atti dopo la Comunione, invitate la santa Vergine, tutti gli Angeli, tutti i Santi a ringraziare il buon Dio per voi. Guardatevi bene dallo sputare, almeno per una buona mezz’ora; né uscite subito dopo la S. Messa, ma fermatevi un poco per domandare a Dio la grazia di confermarvi bene nei vostri propositi. Usciti di chiesa, non fermatevi a chiacchierare, ma, pensando alla felicità che avete di possedere in voi Gesù Cristo, tornatevene a casa. Se vi avanza qualche momento libero nelle vostre occupazioni, adoperatelo in qualche buona lettura o fate una visita al Ss. Sacramento per ringraziare il buon Dio della grazia che vi ha fatto il mattino, e occupatevi delle cose del mondo il meno possibile. Vegliate in modo su tutti i vostri pensieri, parole e azioni, da conservare la grazia di Dio per tutta la vostra vita. – Che cosa concludere da tutto questo?… Nient’altro, M. F., se non che tutta la nostra felicità deve consistere nel vivere in modo da esser degni di ricevere spesso Gesù Cristo, poiché è appunto per questo mezzo che noi possiamo sperare quel cielo, ch’io auguro a tutti di cuore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa rispleyndere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino.

[Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA0