SALMI BIBLICI: “DILEXI, QUONIAM EXAUDIET DOMINUS” (CXIV)

SALMO 114: “DILEXI, QUONIAM EXAUDIET DOMINUS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 114

Alleluja. 

[1] Dilexi, quoniam exaudiet Dominus

vocem orationis meæ.

[2] Quia inclinavit aurem suam mihi, et in diebus meis invocabo.

[3] Circumdederunt me dolores mortis; et pericula inferni invenerunt me. Tribulationem et dolorem inveni,

[4] et nomen Domini invocavi: o Domine, libera animam meam.

[5] Misericors Dominus et justus, et Deus noster miseretur.

[6] Custodiens parvulos Dominus; humiliatus sum, et liberavit me.

[7] Convertere, anima mea, in requiem tuam, quia Dominus benefecit tibi;

[8] quia eripuit animam meam de morte, oculos meos a lacrimis, pedes meos a lapsu.

[9] Placebo Domino in regione vivorum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXIV.

Preghiera dell’uomo, che geme sotto le tentazioni ed i pericoli, e sospira la vita eterna.

Alleluja: Lodate Dio.

1. Ho amato, perché esaudirà il Signore la voce della mia orazione.

2. Perocché egli le sue orecchie inchinò a udirmi; ed io nei miei giorni lo invocherò.

3. Mi circondarono dolori di morte: pericoli di inferno m’investirono.

4. Trovai tribolazione e affanno; e il nome del Signore invocai.

5. Libera, o Signore, l’anima mia; il Signore è misericordioso e giusto, e il nostro è benigno.

6. Il Signore custodisce i piccolini; fui umiliato, ed egli mi liberò.

7. Torna, o anima mia, nella tua requie perocché il Signore ti ha fatto del bene.

8. Imperocché egli ha sottratta l’anima alla morte, gli occhi miei alle lacrime, i piedi alle cadute.

9. Sarò accetto al Signore nella regione dei viventi.

Sommario analitico

Questo salmo è un cantico di azioni di grazie che sembra appartenere agli ultimi tempi della cattività, quando cominciava a delinearsi l’aurora della liberazione. Questa cantico è più ancora il cantico dell’anima fedele dell’umanità intera che esce interamente sia dai legami del peccato per il primo avvento del Salvatore, sia soprattutto dall’esilio di questa vita per il secondo avvento. [Questo salmo è in ebraico il CXVI; ma siccome nella Vulgata è diviso in due, i numeri non differiscono che per metà, a partire dal versetto che forma la divisione (10, “credidi…”)].

Il Salmista esprime:

I. – La costanza del suo amore per Dio:

1° perché spera che Dio esaudisca la sua preghiera (1),

2° Perché è certo che dio lo ha esaudito sovente per il passato (2);

3° Perché ha il desiderio e l’intenzione di pregare frequentemente per l’avvenire (2).

II. –La grandezza della sua afflizione:

  Intorno a sé vede i suoi nemici che gli fanno vedere la morte in faccia (3);

2° Dentro di sé a) vede degli abissi minacciosi (3); b) prova un profondo sentimento di tristezza e di dolore (4);

3° Sopra di sé mette la sua fiducia in Dio che egli invoca e che è a) misericordioso (3), b) giusto (5), c) guardiano e protettore dei piccoli (6), d) salvatore di coloro che sono umiliati.

III.- La sicurezza del riposo a venire:

1° L’anima si riposerà a) ricca di doni di Dio (7), b) affrancata dalla morte, dalle lacrime e da ogni caduta (8);

2° L’uomo tutto intero sarà gradito a Dio nella eterna regione dei viventi (9). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-2.

ff. 1, 2. – Nel salmo precedente, Davide ha trattato dell’esperienza dei figli di Israele e di tutti coloro che temono Dio (v. 17), speranza eccitata dai numerosi benefici di Dio. Nel salmo seguente ci sarà la questione della fede « … io ho creduto, etc. » Questo salmo ha come oggetto la carità, che egli pone al centro come una regina che tutta in una volta è nutrita e sostenuta dalla speranza della fede, e nello stesso tempo proietta su queste due virtù un nuovo splendore. Tuttavia S. Agostino ed altri interpreti trovano le tre virtù teologali in questo salmo. La carità, di cui è fatta espressa menzione: « io, ho amato »; la speranza, di cui i parla chiaramente: « Dio esaudirà la mia preghiera; » infine, la fede, alla quale vien fatta allusione in maniera più oscura; « perché Egli ha abbassato il suo orecchio verso di me. » Come potete voi sapere, o anima umana, chiede S. Agostino, che Dio ha abbassato l’orecchio verso di voi, se non dite dapprima « io ho creduto? » Queste tre virtù restano dunque: la fede, la speranza e la carità. « Perché voi avete creduto, avete sperato; poiché avete sperato, avete amato. » Il salmista non dice: io amerò, ma « io ho amato. » Egli non promette di obbedire a questo precetto dell’amore di Dio, ma dichiara, attesta che egli lo ha già compiuto (S. Gerolamo). Un’anima infervorata di un amore ardente per Dio, dice semplicemente che essa ha amato, senza esprimere che essa ama. – Io ho amato, dice il salmista; io non credo si possa fraintendere l’oggetto del suo amore: è Dio solo, , senza che sia necessario nominarlo. Quanta verità, forza e dolcezza in questo sentimento! (Berthier). – « L’amore di Dio non si insegna. » Non si apprende a godere della luce, a desiderare la vita, ad amare i genitori; a maggior ragione l’amore di Dio è radicato nell’anima nostra; non si tratta che di svilupparlo con lo studio dei divini comandamenti (S. Basil. Reg. fus. tract.). – Ma chi è colui, mi direte, il cui cuore non si apra all’affezione quando è esaudito? La maggior parte degli uomini del mondo. Essi non vogliono intendere parlare di ciò che è loro utile e vantaggioso, essi chiedono delle cose che non possono che essere loro nocive, e se i loro voti non sono subito esauditi, essi sono nella tristezza e nello sconforto. Non è da tutti quindi indifferentemente rallegrarsi quando Dio li esaudisce accordando ciò che debba essere utile. C’è un gran numero di uomini che desiderano dei beni inutili di cui si compiacciono. La condotta del Profeta, è invece opposta: egli ama, perché Dio lo aveva esaudito accordandogli dei beni di una utilità incontestabile. (S. Chrys.). –  La carità considera Dio in se stesso, essa ama per se stessa; tuttavia essa è aiutata, sostenuta dai suoi benefici come dalle tante vie che la conducono fino a Dio. Essa risale fino alla fonte dai ruscelli; è con i suoi raggi che il sole ci fa vedere che ci riscalda. – È per la ragione del nostro amore per il Signore che Egli ascolterà la voce della nostra preghiera? Non l’amiamo piuttosto perché Egli ci ha già ascoltato? Che significano dunque queste parole: « Io ho amato il Signore, perché mi ascolterà? Non sarebbe perché per la speranza che infiamma d’ordinario l’amore, che il Profeta avrebbe detto che egli ha amato il Signore, perché era pieno della speranza che il Signore ascoltasse la voce della sua preghiera? (S. Agost.). – Questi giorni, sono i giorni di quaggiù, brevi e malvagi (Gen. XLVII, 9), giorni pieni di dolori e di angosce, in cui l’uomo è lordato da parecchi peccati, impegnato da numerose passioni, agitato da mille timori, afflitto da mille cure, condotto qua e là dalla curiosità, sedotto da una folla di chimere, circondato da errori, oberato di lavori, travolto dalle tentazioni, indebolito dalle delizie, tormenta dalla povertà (Imit. De J.-C., 1, IV, c. XLVIII). – « Invocherò il Signore durante i miei giorni. » E non differisce nel tempo della morte, nei tempi della vecchiaia; egli non dice: quando avrò regolato questo o quell’affare, quando avrò provveduto a stabilizzare la mia famiglia, quando mi sarò liberato da tutti i nemici che mi perseguitano, allora io consacrerò ciò che resta dei miei giorni al servizio del Signore; egli dice: « Io lo invocherò durante i miei giorni » C’è un tempo nella vita che non sia del numero dei nostri giorni, o piuttosto che non componga i nostri giorni? (Berthier). – Invocare Dio in certi giorni e non tutti i giorni della vita, è il segno di un’anima dominata dalla tiepidezza e non dalla speranza. Ricevete ogni giorno, invocate tutti i giorni (S. Ambr.).

II. — 3-6.

ff. 3, 4. – Il salmista spiega ora quel che costituisce la materia della sua preghiera: le tentazioni ed i pericoli della salvezza eterna, sole tribolazioni sensibili per un’anima che ama veramente il Signore. – Maledetti che siamo, sorte deplorevole la nostra, il peccato non cessa di cercarci! Ora, se il peccato ci insegue sempre, cerchiamo di fuggirlo e di evitarlo. Ecco in cosa i dolori della morte differiscono dai pericoli dell’inferno: i dolori della morte circondano l’anima quando pensa al male e desidera commetterlo, questi sono i dolori del parto; quando essa partorisce il peccato, è vicina ai dolori della morte. (S. Girol.). – In questa vita, i dolori della morte ci circondano, ma i pericoli dell’inferno ci trovano solamente, senza circondarci, perché non abbiamo mezzi di sfuggirvi. Quando essi circondano realmente un peccatore, non è più possibile evitarli; è un labirinto inesplicabile, perché non c’è redenzione negli inferi. – « Io ho trovato la tribolazione ed il dolore. » Questo è qualcosa di nuovo. Il Profeta non dice: Io ho trovato il riposo, ho trovato la soddisfazione, l’appagamento dei miei desideri; egli non dice qui: « la tribolazione, il dolore mi hanno trovato, » ma « Io ho trovato la tribolazione ed il dolore. » Egli l’ha trovato come oggetto delle sue ricerche, perché si trova ordinariamente ciò che si cerca. I santi non cercano quaggiù il riposo, ma la tribolazione; perché essi sanno che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la prova, la prova la speranza. E la speranza non confonde (S. Girol.) – « Io ho trovato la tribolazione ed il dolore. » Dopo aver fatto prova di coraggio e di fermezza perseverante contro gli attacchi del tentatore, volendo mostrare la grandezza del suo amore per Dio, io ho aggiunto afflizione all’afflizione, dolore a dolore, ma io ho potuto superare queste prove non con le mie forze, ma perché ho riposto la mia fiducia nel nome del Signore che ho invocato. È ciò che diceva l’Apostolo: « Tra tutti questi mali, trionfiamo per virtù di Colui che ci ha amati. » (Rom. VIII, 37). Colui che non è abbattuto dalle prove ordinarie della vita, resta vincitore di queste prove; ma egli è ben più vincitore se affronta volontariamente i dolori per mostrare fin dove si spinge la sua pazienza ed il suo coraggio: egli si leva al di sopra di essi, come glorioso trionfatore (S. Basil. In Psalm. CXIV). – « Io ho trovato il dolore e l’afflizione, ed ho invocato il nome di dio. » Badate a questo modo di parlare: « Io ho trovato l’afflizione ed il dolore, » infine io l’ho trovato questa afflizione fruttuosa, questo dolore medicinale della penitenza. Lo stesso salmista ha detto in un altro salmo che « le pene e le angosce, hanno saputo trovarlo. » In effetti, mille dolori, mille afflizioni ci perseguitano senza sosta e, come dice il salmista, le angosce ci trovano facilmente. Ma ora, dice questo santo profeta, ho trovato infine il dolore che ben meritava che io lo cercassi. È il dolore di un cuore contrito e di un’anima afflitta dai suoi peccati; io l’ho trovato questo dolore, ed ho invocato il nome di Dio. Io mi sono afflitto per i miei crimini, e mi sono convertito a Colui che li cancella; i miei segreti hanno fatto la mia felicità, ed i rimorsi della mia coscienza mi hanno dato la pace. (Bossuet, Sur l’amour des plais.). – Noi dobbiamo cercare  la tribolazione: 1° perché ci libera dai dolori della morte; 2° perché allontana da noi i pericoli dell’inferno; 3° perché dà alla nostra anima una forza della quale la prosperità la spoglia sovente; 4° perché essa è come uno scudo che ricaccia da tutti i colpi del nemico. Gesù-Cristo non ci dà la sua croce da portare se non per proteggerci; (S. BERN., Serm. I de S. Andr.) 5° perché essa spegne in noi i vizi, o almeno li comprime e li riduce all’impotenza; 6° perché essa dà alle virtù tutto il loro splendore: « La virtù è perfezionata nella infermità » (II Cor. XII, 9); 7° perché essa ci conduce ad andare verso Dio: « Io li attirerò con i lacci che catturano gli uomini » (Osea, XI, 4); cioè con i dolori e le afflizioni che sono i doni del mio amore per gli uomini (S. Chrys.., in Ps. IX); 8° perché la tribolazione ci merita e ci ottiene la corona di gloria: Egli ti circonderà di tribolazioni » (Isai. XXII, 18); cosa che faceva dire a San Paolo: « io mi glorificherò volentieri delle mie infermità » (II. Cor. XII, 9), « perché le tribolazioni sono il dono più prezioso che Dio possa fare ai suoi amici, sono pietre preziose che Egli dà a coloro che hanno lasciato tutto per amor suo: « potete voi bere il calice che Io berrò? » dice ai suoi discepoli diletti (Marc. X, 29). – « Signore, liberate la mia anima. » Vedete la saggezza del Re-Profeta come sacrifica tutti gli interessi di questa vita per non chiedere che una sola cosa, che la sua anima non commetta alcun peccato, alcun danno che possa divenire mortale. In effetti, se la nostra anima va bene, saremo necessariamente felici in tutte le nostra azioni; ma se essa soffre, non speriamo nulla dalla prosperità che può circondarci (S. Chrys.). – Preghiera poco familiare agli uomini di poca fede: essi chiedono di essere liberati dalle loro malattie, dalle loro disgrazie domestiche, dalla persecuzione dei loro nemici, ma le miserie della propria anima li interessano poco. « Essi vogliono, dice S. Agostino, che tutto ciò che appartiene loro, sia buono, e si inquietano poco che la loro anima sia cattiva. Cosa ha fatto dunque quest’anima per essere esentata dal desiderio generale che le porte a non legarsi che a ciò che è buono? Come non arrossire di essere la sola cattiva in mezzo a tante buone cose che essi possiedono? » (Berthier). 

ff. 5. – « Il Signore è misericordioso e giusto, » vedete come il Profeta ci insegna a tenerci ugualmente lontani dal disperare e dal rilassamento. Non disperate, ci dice, perché Dio è misericordioso; guardatevi da ogni negligenza, perché Egli è giusto (S. Chrys.). –  Aprite le orecchie, peccatori: « Il Signore è misericordioso, ma guardatevi da ogni negligenza, perché il salmista aggiunge: « ma Egli è giusto … » Ma direte voi, se vengo a soppesare i miei peccati, posso sperare tanti bene come quelli che fo  ha da tenere di male? I miei peccati sono per me un fardello pesante, ma la misericordia di Dio ne trionfa. Così il salmista non dice che una volta: il Signore è giusto, mentre dice per due volte: ed il Signore è portato a far grazia (S. Gerol.). – La compassione è un sentimento che proviamo per coloro che sono caduti in un infortunio estremo. Così noi abbiamo pietà per colui che, dopo aver posseduto grandi ricchezze, è ridotto ad una indigenza assoluta; tutti compassioniamo colui che, ad una salute florida e perfetta, si vede succedere uno stato costante di malattia e di infermità; noi abbiamo compassione per che era di una bellezza e di una eleganza rimarchevole, e che malattie devastanti hanno completamente sfigurato. Così, Dio ha pietà di noi, quando compara ciò che eravamo e ciò che siamo divenuti: noi eravamo nel paradiso, di una bellezza eclatante, e dopo la nostra caduta nel peccato, noi offriamo lo spettacolo di una triste e vergognosa deformazione. È questo sentimento di compassione che Dio esprimeva quando chiamava Adamo con queste parole: « Adamo, dove sei? » Egli non cercava di sapere ciò che gli era perfettamente noto, ma gli voleva far comprendere in quale stato fosse caduto. « Dove sei? » da quale altezza sublime sei caduto, in quel profondo abisso sei precipitato (S. Basil.). – Dio è stato dall’inizio misericordioso, perché ha inclinato il suo orecchio fino a me; poi è giusto, perché Egli castiga, e di nuovo concede misericordia perché accoglie; perché Egli castiga tutti i figli che accoglie, e deve essere per me l’amar meno essere castigato che non essere dolce nell’essere accolto.(S. Agost.). – I piccoli che Dio riguarda, sono coloro che lo sono ai suoi occhi; è l’ordine di Dio umiliare coloro che Egli destina a qualche cosa di grande e di straordinario, affinché la loro umiltà sia come un fondamento solido che esce senza scalfire il peso della dignità o della santità alla quale Egli ha come disegno di elevarli. (Duguet). – Il salmista non dice: Egli mi ha preservato dal pericolo, ma me ne ha liberato perché vi ero caduto … non cercate dunque una vita al riparo da ogni pericolo, non sarebbe un bene per voi. Una tale vita non era vantaggiosa per il Profeta, e lo sarebbe molto meno per voi. « È bene che mi abbiate umiliato, dice il salmista (Ps. CXVIII, 71), affinché io apprezzi i vostri ordini pieni di giustizia. » (S. Chrys.).  

III. — 7-9

ff. 7- 8. – « Rientra, o anima mia, nel tuo riposo. » La sua anima godeva quindi in precedenza di un riposo che ha perduto, perché nessuno rientra se non tornando nel luogo ove era in precedenza. Dio ci ha creati buoni, e ci ha lasciato tra le mani del nostro libero arbitrio, ci ha posto tutti con Adamo nel Paradiso. Ma noi caduti volontariamente da questa felicità, siamo stati esiliati in questa valle di lacrime, ecco perché il giusto esorta la sua anima a rientrare nel riposo che ha perduto. Questa terra è un luogo di tribolazione, terra di combattimento; è un soggiorno di lacrime ove non possiamo camminare con sicurezza. Ovunque andiamo, siamo in presenza di qualche pericolo. – E dove rientrerai, anima mia? … nel Paradiso, non perché tu ne sia degna, ma per effetto della bontà di Dio; « Perché il Signore ti ha fatto misericordia. » Tu sei uscito dal Paradiso per colpa tua, vi puoi rientrare solo per misericordia del Signore (S. Gerol.). – Il Profeta descrive la dolcezza del riposo del quale gode, comparandola con le amarezze della vita presente. Qui i dolori della morte mi hanno circondato, là Dio ha liberato la mia anima dalla morte; qui i miei occhi, versano lacrime che fanno fluire abbondantemente le afflizioni di questa vita, là le lacrime non oscurano i nostri occhi rapiti dalla contemplazione dell’ineffabile bellezza di Dio: « Il Signore asciugherà le lacrime di tutti coloro che piangono. » (Isai. XXV, 8). – Quaggiù noi siamo sempre nel gran pericolo di  cadere, cosa che faceva dire a San Paolo « Colui che crede di essere fermo, badi di non cadere. » (I Cor, X, 12). Là i nostri piedi saranno fermi, la nostra vita non sarà soggetta alla mutabilità; non ci sarà più il pericolo di cadere in peccato. (S. Basil.). Finché siamo trattenuti in questa dimora mortale, viviamo assoggettati ai cambiamenti, perché questa è la legge del paese che abitiamo, e non possediamo alcun bene, anche nell’ordine della grazia che non possiamo perdere nel momento successivo, per la mutevolezza naturale dei nostri desideri; ma non appena cessiamo di contare le ore e misurare la nostra vita con i giorni e con gli anni, usciti da figure che passano e da ombre che spariscono, arriviamo al regno della verità, ove siamo affrancati dalla legge dei cambiamenti. Così la nostra anima non è più in pericolo, le nostre risoluzioni non vacillano più; la morte, o piuttosto la grazia della perseveranza finale, ha la forza di fissarle (BOSSUET, Or. fun. de la Duch. d’Or.). – Tutti gli uomini cercano il riposo, non si ingannano che nei mezzi per giungervi. I corpi tendono al riposo con la diminuzione dei loro movimenti, e gli uomini vi tendono con l’agitazione. “Quando vi riposerete ?” si può dire al commerciante, al cortigiano, all’uomo di studio, e infine a tutti coloro che non cessano di tormentarsi in questo mondo con i diversi oggetti che condividono le condizioni della vita. A questa domanda, nessuno risponderà che non riposerà mai, e al contrario, tutti si riprometteranno il riposo, perché quando saranno giunti alla meta che si erano proposti, si imbarcheranno in nuovi imbarazzi, e dopo questi, altri si succederanno ancora, di modo che ci sarà un’agitazione senza fine ed un movimento che non cesserà che alla morte. Ma domandate al vero servo di Dio, a colui che non sospira se non il riposo dell’eternità, perché si dà a tutto il movimento che riempie i suoi giorni. Egli non dirà che tenderà al riposo in questa vita: egli sa che il riposo non è un frutto che si raccoglie in questa terra d’esilio, in questa regione di lacrime; egli dirà che tutti i suoi lavori tendono al godimento della vera pace, che è solo nel cielo. Tuttavia, siccome la sua speranza è indistruttibile e sa, come l’Apostolo, che Colui che gli ha promesso questo felice riposo è fedele alle sue promesse, egli già pregusta questo stato infinitamente desiderabile. La sua anima è nel riposo, per quanto possibile a chi non possiede ancora il sovrano Bene, cioè l’essere esente da turbamenti ed inquietudini. Dio lo ha ritirato dalla morte del peccato; gli lascia ancora le lacrime della compunzione, ma esse sono piene di dolcezza; egli veglia su se stesso per preservarsi dalle cadute, ma si appoggia sulle braccia dell’Onnipotente, che lo sostiene e lo solleva. Quest’uomo lavora molto, ma tutte le sue pene danno frutto per l’eternità.  (Berthier). – Una doppia ragione deve portarci a fare tutti i nostri sforzi per entrare nel nostro riposo. L’una è tratta dal punto di partenza di questa conversione, vale a dire dal mondo e dalle sue attrattive seduttrici, dalle quali dobbiamo separarci; l’altra, dal termine verso cui tende questa conversione, cioè il cielo. 

ff. 9. – Egli non dice: io sono gradito, ma: « io sarò gradito al Signore; perché nella vita presente, nessun uomo può arrivare alla perfezione della giustizia. Egli fa vedere da questo che non ancora sia gradito agli occhi del Signore, per questa parte di se stesso che è nella regione dei morti, cioè nella carne mortale. – Queste parole del Profeta: « Egli ha preservato i miei occhi dalle lacrime, ed i miei piedi da ogni caduta, » benché sembrino celebrare un fatto compiuto, non sono tuttavia ancora che parole di speranza … Noi attendiamo ancora la redenzione dei nostri corpi (Rom. VIII, 2-3), ma quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria, quando ciò che è corruttibile in noi sarà rivestiti da incorruttibilità, e ciò che è mortale da immortalità (I Cor. XV, 53, 54) non ci saranno più lacrime, perché non ci saranno più cadute; non ci saranno più cadute perché non c’è più corruzione (S. Agost.). – In questa vita, che è la dimora, la terra dei morenti, quantunque possiamo essere santi, abbiamo sempre qualche imperfezione da combattere, la crudele guerra della concupiscenza da sostenere, è difficile che non riceviamo qualche ferita, perché non poche delle nostre opere sono miste a qualche difetto. Noi non saremo dunque veramente graditi al Signore che nel cielo, che è la vera terra dei viventi (Duguet). Si, questa regione è veramente la regione dei viventi, ove non ci sono notti, non più sonno, immagine della morte, non più bere e mangiare, non più alimenti, deboli sostentamenti della nostra infermità, non più malattie, dolore, non più arte del guarire, non più commercio e negozio, fonte di traffici ingiusti, non più cause di guerra, non più radici di inimicizia. È veramente la  regione dei viventi, di coloro che vivono della vera vita in Gesù-Cristo (S. Basil).

SALMI BIBLICI: “IN EXITU ISRAEL DE ÆGYPTO” (CXIII)

SALMO 113: “IN EXITU ISRAEL DE ÆGYPTO”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 113

Alleluja.

[1] In exitu Israel de Ægypto,

domus Jacob de populo barbaro,

[2] facta est Judœa sanctificatio ejus, Israel potestas ejus.

[3] Mare vidit, et fugit; Jordanis conversus est retrorsum.

[4] Montes exsultaverunt ut arietes, et colles sicut agni ovium.

[5] Quid est tibi, mare, quod fugisti? et tu, Jordanis, quia conversus es retrorsum?

[6] montes, exsultastis sicut arietes? et colles sicut agni ovium?

[7] A facie Domini mota est terra, a facie Dei Jacob;

[8] qui convertit petram in stagna aquarum, et rupem in fontes aquarum.

[9]  Non nobis, Domine, non nobis; sed nomini tuo da gloriam,

[10] super misericordia tua et veritate tua; nequando dicant gentes: Ubi est Deus eorum?

[11] Deus autem noster in cœlo; omnia quaecumque voluit fecit.

[12] Simulacra gentium argentum et aurum, opera manuum hominum.

[13] Os habent, et non loquentur; oculos habent, et non videbunt.

[14] Aures habent, et non audient; nares habent, et non odorabunt.

[15] Manus habent, et non palpabunt; pedes habent, et non ambulabunt; non clamabunt in gutture suo.

[16] Similes illis fiant qui faciunt ea, et omnes qui confidunt in eis.

[17] Domus Israel speravit in Domino; adjutor eorum et protector eorum est.

[18] Domus Aaron speravit in Domino; adjutor eorum et protector eorum est.

[19] Qui timent Dominum speraverunt in Domino; adjutor eorum et protector eorum est.

[20] Dominus memor fuit nostri, et benedixit nobis. Benedixit domui Israel; benedixit domui Aaron.

[21] Benedixit omnibus qui timent Dominum, pusillis cum majoribus.

[22] Adjiciat Dominus super vos, super vos et super filios vestros.

[23] Benedicti vos a Domino, qui fecit caelum et terram.

[24] Cælum cæli Domino; terram autem dedit filiis hominum.

[25] Non mortui laudabunt te, Domine; neque omnes qui descendunt in infernum.

[26] Sed nos qui vivimus, benedicimus Domino, ex hoc nunc et usque in sæculum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXIII.

Il profeta celebra le opere mirabili di Dio, quando trasse i figli di Israele dall’Egitto in Palestina; e questo col fine di muovere il popolo a rimanersi nel culto del vero Dio, ed a sperar sempre la sua protezione.

Alleluja: Lodate il Signore.

1. Allorché dall’Egitto usci Israele, e la casa di Giacobbe (si partì) da un popolo barbaro; (1)

2. La nazione Giudea venne consacrata a Dio; e dominio di lui venne ad essere Israele.

3. Il mare vide, e fuggi; il Giordano si rivolse indietro.

4. I monti saltellarono come aridi, e i colli come gli agnelli delle pecore.

5. Che hai tu, o mare, che se’ fuggito, e tu, o Giordano, che indietro ti se’ rivolto?

6. E voi, monti, che saltaste come gli arieti, e voi, colli, come gli agnelli delle pecore?

7. All’apparir del Signore si scosse la terra, all’apparir del Dio di Giacobbe,

8. Il quale in istagni di acque cangia la pietra, e la rupe in sorgenti di acque.

9. Non a noi, o Signore, non a noi; ma al nome tuo dà gloria. (2)

[Gli Ebrei cominciano qui un altro Salmo; ma i LXX e S. Gerolamo ne fanno uno solo.]

10. Per la tua misericordia e per la tua verità; affinché non dican giammai le nazioni: Il Dio loro dov’è?

11. Or il nostro Dio è nel cielo: egli ha fatto tutto quello che ha voluto.

12. I simulacri delle nazioni argento e oro, lavoro delle mani degli uomini.

13. Hanno bocca, né mai parleranno; hanno occhi e mai non vedranno.

14. Hanno orecchie, ma non udiranno; hanno narici, e son senza odorato.

15. Hanno mani, e non palperanno; hanno piedi e non si muoveranno, e non darà uno strido la loro gola.

16. Sien simili ad essi quei che li fanno, e chiunque in essi confida.

17. Nel Signore ha sperato la casa d’Israele egli è loro aiuto e lor protettore.

18. Nel Signore ha sperato la casa di Aronne: egli e loro aiuto e lor proiettore.

19. Nel Signore hanno sperato quelli che il temono: egli è loro aiuto e lor protettore.

20. Il Signore si e ricordato di noi, e ci ha benedetti. Ha benedetta la casa d’Israele, ha benedetta la casa di Aronne.

21. Ha benedetti tutti quelli che temono il Signore, i piccoli coi più grandi.

22. Aggiunga benedizione il Signore sopra di voi; sopra di voi e sopra de’ vostri figliuoli.

23. Siate benedetti voi dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra.

24. L’altissimo cielo è pel Signore; la terra poi egli l’ha data a’ figliuoli degli uomini.

25. Non i morti daran lode a te, o Signore, né tutti quei che scendono nel sepolcro. (3)

26. Ma noi che viviamo, benediciamo il Signore da questo punto per fino a tutti i secoli.

(1) I Giudei davano il nome di barbaro a tutti coloro che parlavano una lingua a loro sconosciuta.

(2) Se non è questa, dice La Harpe, poesia lirica, e di primo ordine, vuol dire che di essa non ce ne fa mai; e se volessi dare un modello della maniera in cui l’ode debba procedere nei grandi soggetti, non ne sceglierei un altro: non ce n’è di più compiuti. – Qui comincia un atro salmo in ebraico così come è oggi diviso. È ciò che fa Rabbi Kimchi, sulla fede degli antichi e buoni esemplari. San Gerolamo non lo ammette.

(3) “Nell’inferno”, nello scheol, dimorano le anime dopo la morte; queste anime sono la escluse dal culto esteriore e pubblico; è soprattutto ciò che vuol dire il salmista; la cattiva fede vi vede la negazione dell’immortalità dell’anima. La traduzione letterale sarebbe: Omnes descendentes silentii coloro che vanno nello scheol, nel luogo del silenzio (La Hir.). 

Sommario analitico

Il salmista considera l’uscita trionfante degli Ebrei dall’Egitto e, in questo fatto miracoloso, i trionfi altrettanto straordinari operati in favore della Chiesa. (1)

(1) Questo salmo sembrerebbe essere della stessa epoca dei precedenti, e l’oggetto è quasi il medesimo, cioè il ricordare le meraviglie della potenza di Dio in favore del suo popolo, potenza che fa uscire dal contrasto della vanità degli idoli. –  È facile rimarcarlo, leggendo questo salmo, in forma di dialogo, ma non è facile assegnare il numero di interlocutori e la parte di ognuno di loro. Questo salmo sarebbe ben tradotto nella Vulgata, se molti verbi non fossero al passato, invece del futuro e dell’ottativo, cosa che svia notevolmente il senso di molti tratti (Le Hir.). – Il salmista considera uscita trionfante degli Ebrei dall’Egitto: 

I. – Egli proclama la potenza di Dio.

1° Nell’uscita vittoriosa di una sì grande moltitudine dal mezzo di un popolo barbaro. (1)

2° Nella riunione di questo popolo, del quale Dio si fa un popolo che gli è consacrato in modo speciale (2).

3° Nel passaggio miracoloso del mar Rosso e del Giordano (3);

4° Nel fremito delle montagne e delle colline (4-7);

5° Nell’acqua che scaturisce miracolosamente dalla roccia (8).

II. – Esalta la gloria di Dio:

1° essa non appartiene a Lui solo, – a) che ha liberato il popolo di Israele, come aveva promesso, imposto con il silenzio alle blasfemie dei gentili (10); – b) che fa brillare la sua maestà nei cieli e la sua potenza sulla terra (11);

2° L’esclusione dei falsi dèi della gentilità: a) mostra il loro niente e la loro impotenza (12-15); b) i loro adoratori diventeranno simili a loro (16).

III. – Ammira la bontà di Dio:

1° Che soccorre e protegge – a) tutti i Giudei che sperano in Lui (17); – b) la casa di Aronne in particolare (18); tutti coloro che lo temono (19);

2° Che si sovviene di loro e benedice: – a) tutti i Giudei (20); – b) la casa di Aronne in particolare (20); – c) tutti coloro che lo temono, piccoli e grandi (21); – d) tutta la loro posterità, perché è il Dio di tutti, e da loro in uso la terra, riservandosi il cielo (22-24)

IV. – Promette la riconoscenza del popolo:

1° Non sono coloro che sono morti, o che scendono negli inferi, come gli Egiziani inghiottiti nel mar Rosso, che rendono lodi a Dio (25);

2° Ma il popolo fedele, a cui Dio ha conservato la vita, benedirà Dio per tutta l’eternità (26).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-8.

ff. 1, 2. – Non crediate che lo Spirito Santo non abbia in vista di rammentarci il ricordo dei fatti passati, senza eccitarci a ricercarvi fatti simili ancora da venire … Questi fatti sono per noi delle figure, e queste parole ci costringono a riconoscerci in queste figure. Se in effetti noi guardiamo dentro di noi, con cuore fermo, la grazia di Dio che ci è stata data, noi siamo Israele secondo lo spirito; … i figli della promessa, … la posterità di Abramo; è a noi che l’Apostolo dice: « Voi siete dunque razza di Abramo. » (Gal. III, 29). – Ciò che è successo ai Giudei non era dunque che la figura e l’ombra di ciò che Dio ha fatto per noi. Davide raccontava non meno il passato come l’avvenire, e la storia era pure una profezia (S. Agost.) – Il Re-Profeta offre qui una prova della grande bontà e della dolcezza infinita di Dio. E qual è? Egli comincia con il manifestare la sua potenza; chiede in seguito agli uomini di adorarlo; tale è il senso di queste parole: « Quando Israele uscì dall’Egitto, il popolo giudeo fu consacrato al suo servizio …» Gli uomini non sognano di fare del bene se non dopo aver stabilito il loro dominio; ma Dio invece, comincia Egli ad espandere i suoi benefici. (S. Chrys.). – Il mondo figurato dall’Egitto e da questo popolo barbaro di cui parla il Profeta: 1° il suolo dell’Egitto, quasi per intero, composto da limo; il mondo con i suoi molteplici vizi, composto da fango e melma. – 2° Le acque del Nilo sempre torbide (Gerem. II, 18), simbolo delle acque fangose ove vanno ad abbeverarsi i partigiani del mondo. – 3° L’Egitto non è quasi mai irrorato dalle piogge del cielo: così ne è del mondo, esso è come le montagne maledette del Gelboë, e non è mai bagnato né dalla rugiada, né dalle piogge del cielo. – 4° Il popolo dell’Egitto si è dichiarato il persecutore del popolo di Dio: il mondo nemico di Dio è il persecutore irriducibile dei Cristiani. – 5° Il popolo dell’Egitto fu barbaro e crudele: il mondo non è da meno per la crudeltà, dominato com’è dalle tre furie di cui nulla ne sorpassa la crudeltà: l’orgoglio, l’avarizia, la voluttà. – È a partire da questa liberazione che il popolo giudeo diventa soprattutto il popolo di Dio. È il suo unico santuario, è là che viene glorificato, è là che benedice e rende i suoi oracoli. La Giudea era una volta una contrada impura ed abominevole, ma quando il popolo giudeo né prese possesso, divenne il santuario di Dio; esso fu santificato e consacrato al suo servizio dalle osservanze legali, dai sacrifici, dall’insieme del culto e delle cerimonie che prescriveva la legge. Questo fu anche il trono della sua potenza e come il suo carro di trionfo attraverso i popoli (S. Chrys.) – « Il popolo giudeo gli fu consacrato, ed Israele divenne il suo impero. » Due dono i caratteri della Chiesa: Essa è l’eredità di Dio, la sua porzione scelta; fuori di Essa, né perfezione, né salvezza … La Chiesa è anche come l’incarnazione della potenza di Dio, … e le porte dell’inferno non prevarranno mai contro di Essa; sempre attaccata, sarà sempre vittoriosa (Mgr. Pichenot. Ps du D.). – « Israele diventa il suo impero. » Coloro che sono liberati dalla tirannia del mondo, devono sottomettersi interamente alla potenza di Dio. La gloria perfetta di Dio, è che noi siamo sottomessi alla sua potenza, che vogliamo ciò che Egli vuole, e che tutte le facoltà, i nostri sensi, le nostre opere, siano sotto la sua dipendenza assoluta.

ff. 3-8. – « Il mare lo vide e fuggì, il Giordano risalì alla sua sorgente. » Questi due grandi prodigi, benché separati nella storia da un intervallo di oltre quaranta anni, sono riuniti nello stesso versetto. Senza dubbio perché sono operati sullo stesso elemento, e sono come l’alfa e l’omega del più grande dramma di sempre. Il primo ha introdotto i figli di Giacobbe nel deserto e completato la loro liberazione; il secondo terminò il loro esilio e li mise in possesso della terra promessa (Mgr. Pich.). – Il passaggio del mar Rosso, in cui gli Israeliti furono tutti battezzati sotto la guida di Mosè nella nube e nel mare, (I Cor. X, 1), è la figura del Battesimo dei Cristiani battezzati nella morte di Gesù-Cristo, che ha annegato i loro peccati nel suo sangue. Il passaggio del Giordano, attraverso il quale Giosuè mise il popolo di Dio in possesso della terra promessa: è un’altra figura di ciò che Gesù-Cristo ha fatto lavando il suo popolo dai suoi peccati, per metterli in possesso del cielo, che è la vera terra promessa. – Ciascuno di voi si sovvenga ora di ciò che ha provato quando ha voluto dare il suo cuore a Dio e sottomettere pietosamente il suo spirito a questo giogo pieno di dolcezza, affrancandosi dalle antiche cupidigie della sua ignoranza, quando ha voluto portare il fardello leggero del Cristo, abbandonando e rigettando lontano da sé le azioni carnali di questo mondo in mezzo alle quali soffriva senza frutto, fabbricando mattoni, per così dire, come in Egitto, sotto la rude dominazione del demonio,. Ognuno di voi si ricordi come tutti gli ostacoli di questo mondo si sono dissipati; come tutti coloro che avrebbero voluto dissuaderlo da questo cambiamento non abbiano osato alzare la voce e si sono tutti dileguati vedendo il nome del Cristo esaltato e glorificato su tutta la terra. « Il mare lo ha dunque visto ed è fuggito, » affinché la via che conduce alla libertà spirituale si aprisse davanti a voi senza ostacoli (S. Agost.). – Quando il Creatore comanda alle creature anche insensibili, esse ascoltano la sua voce per l’assoggettamento in cui sono sotto la potenza di Colui che le ha create dal nulla. – Il Profeta in una sublime ampollosità, indirizza la parola alla natura stessa: da dove viene che intorno a me tutto si cancella e si distrugge? Rispondete, fiumi e mare, e anche voi, terra, parlate. « La terra è stata scossa alla presenza del Signore, alla presenza del Dio di Giacobbe. » È Dio che ha fatto tutto, è la sua presenza spaventosa che ha gettato così agitazione e costernazione sulla terra e sulle acque; la verga di Mosè, l’arca santa, non sono che strumenti della potenza adorata. – E quando tutti questi prodigi si rinnovano nell’ordine della redenzione, quale ne è la causa? La grazia risponde: « La terra è stata scossa alla presenza del Signore, alla presenza del Dio di Giacobbe. » – Gettate gli occhi sulla terra, voi che sapete ammirare le sue meraviglie, gioirete nell’indirizzare dei cantici al Signore vostro Dio; vedete compiersi tra tutte le nazioni questi prodigi che sono stati operati in figura e predetti tanto tempo prima dell’avverarsi. Interrogate il mare ed il Giordano e dite loro: « O mare, perché siete fuggito, e voi, Giordano, perché siete tornato indietro? Monti, perché siete saltati come arieti? » O mondo come dunque sono spariti gli ostacoli che vi si opponevano? O milioni innumerevoli di fedeli, come dunque avete rinunciato a questo mondo per convertirvi al vostro Dio? Donde viene la vostra gioia a voi che, infine, intenderete questa parola: « Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno che vi è stato preparato fin dalle origini del mondo? » (Matth. XXV, 34). Tutte le cose vi risponderanno, e voi risponderete a voi stessi: « La terra è stata scossa davanti al volto del Signore, davanti al volto del Dio di Giacobbe. » In effetti la terra è stata scossa, ma perché era rimasta nell’inerzia, ed essa è stata scossa per essere più solidamente affermata davanti alla faccia del Signore. (S. Agost.). – Cambiare una pietra dura in un torrente, una roccia in una sorgente d’acqua viva per dar da bere al suo popolo che mancava dell’acqua nel deserto, è un miracolo della potenza di Dio che ci ha resi più credibili nel corso dei secoli, per più di un fatto analogo. – Ma fare uscire le acque della grazia, le lacrime di compunzione da cuori fin là più duri come la pietra della roccia, dissetare e consolare coloro che sospirano i beni celesti nel deserto di questa vita, è un miracolo non meno grande per la potenza, ma ancor più per la bontà di Dio (Duguet). – I sei prodigi che qui ricorda il Profeta si sono rinnovati in senso più elevato, durante la conversione del mondo alla fede di Gesù-Cristo, e si riproducono nel ritorno particolare di ogni peccatore a Dio.

II. – 9-16.

ff. 9-11. – Tutti questi prodigi non avevano avuto come causa i meriti di coloro che ne erano l’oggetto, ma la bontà di Dio e la gloria del suo Nome, come Egli dichiara espressamente: « …  perché il mio Nome non sia disonorato » (Ezech. XX, 9); anche il salmista lo dichiara espressamente: « Non a noi, Signore, non a noi, ma al vostro Nome bisogna dare gloria. » No, il nostro interesse non è quello di avere per noi più considerazione e celebrità, ma far brillare dappertutto gli effetti della vostra potenza (S. Chrys.). – L’Eterno ha fatto tutto per sé medesimo, dice il Saggio; così in tutto ciò che intraprende, è sempre la santificazione del suo Nome e lo stabilirsi del suo regno che Egli ha in vista. Il primo Principio vuole e deve essere anche l’ultimo fine del mondo intero; tutto viene da Lui, tutto deve ritornare a Lui; Egli acconsente a dividere con noi tutti gli altri beni; Egli ci comunica volentieri il suo Essere, la sua potenza, i suoi lumi, la sua libertà, il suo amore, ma non dà la sua gloria; è l’unica cosa che si riserva nelle nostre buone opere, e ce ne lascia tutto il profitto: « Io non darò ad altri la mia gloria. » (Isai. XLVIII, 11). Senza dubbio la vostra luce deve brillare davanti agli uomini, affinché essi vedano le nostre opere buone (Matth. VI, 16); ma ascoltiamo il seguito: « … che essi glorifichino il Padre vostro che è nei cieli. » (S, Chrys.). – « Al Re dei secoli, al Re immortale ed invisibile, a Dio solo, onore e gloria nei secoli dei secoli (I Tim. I, 17), « Non a noi, Signore, non a noi, ma al vostro Nome bisogna dar gloria. » Dateci il perdono, dateci la grazia, cose che abbisognano a dei miserabili; ma per Voi, fonte del perdono, della grazia e dei meriti, riservate la gloria (S. Bern. Serm. in Synod. N° 2 e 3). Tre sono le ragioni che obbligano Dio a procurare la gloria del suo Nome nel conservare il suo popolo: 1° la sua misericordia; è la ragione che Davide mette prima delle altre; Egli non fa appello alla giustizia, non parla di potenza, non invoca le grandezze, non si indirizza alla santità, si rifugia tra le braccia della misericordia. – 2° La sua verità, la fedeltà alla sua parola, alle sue promesse. Il Signore non deve niente a nessuno; ma Egli si è impegnato con noi liberamente, ci ha fatto delle promesse che deve necessariamente realizzare. – 3° Per non dare occasione agli empi di blasfemare il suo Nome, dicendo che Dio o non è potente per compiere le promesse che ha fatto, o che non ha tanta equità né tanta benevolenza per volerlo fare (Dug.). – Questa è la preghiera che noi dobbiamo indirizzare a Dio per la Francia nelle circostanze difficili che ci attraversano. La perpetuità non è assicurata che alla Chiesa in generale ed alla Santa Sede in particolare; ma noi possiamo ottenere che Dio salvi e conservi liberamente ciò che minaccia di perire, che Egli ripari almeno le nostre perdite, ed agitando il candeliere non lo spenga. Quante volte gli empi hanno gridato: « Dov’è il loro Dio? – Che il Dio in cui essi hanno creduto, venga a liberarli dalle loro prigioni, li sottragga alla spada ed ai denti delle bestie. » Questi erano i loro discorsi, ma essi non potevano distruggere coloro che erano appoggiati sulla pietra. Essi scatenavano contro di essi tutto il loro furore, ma i santi Martiri erano senza timore; essi sapevano dove lasciavano i loro carnefici e dove essi andavano. I martiri erano coronati per aver confessato Gesù-Cristo, ed i giudici restavano ciò che essi erano per averlo rinnegato (S. Agost. Serm. III, XXVI, n.° 2). – « Il nostro Dio è nel cielo. » I Santi dicono agli infedeli che adorano gli idoli: voi toccate i vostri dei con le vostre mani, li considerate con gli occhi del corpo, ma il nostro Dio è nel cielo ben al di sopra di noi. Egli ha fatto ciò che ha voluto nel cielo e sulla terra, e continua a compiere le sue volontà in coloro che, benché imprigionati in una carne terrestre, conducono tuttavia una vita celeste. (S. Gerol.). – Risposta alla domanda che precede: « Dov’è il vostro Dio? » Dio è dappertutto, riempie l’universo con la sua immensità, ma risiede e fa principalmente splendere nel cielo, la sua gloria, il suo splendore, le sue magnificenze. E da dove viene che Egli lascia talvolta per lungo tempo i suoi nell’oppressione? È per il fatto che Egli fa tutto ciò che vuole, e che la sua volontà è non solo misura della sua potenza, ma ancora santa come la regola della sua condotta (Dug.). – Gli uomini creati liberi, possono disobbedire momentaneamente alle sue leggi ed ergersi contro di Lui, ma ciò che resiste al suo amore, cadrà sotto il peso del suo braccio terribile; la sua Provvidenza non è meno infallibile, essa giunge sempre alla fine (Mgr, Pich.).

ff. 12-16. – Dopo aver risposto, il Profeta interroga a sua volta; dopo essersi difeso, attacca. Egli ci ha detto in due parole qual sia il suo Dio: Egli è in cielo ed onnipotente; ora, nazioni, ascoltate, ecco i vostri dei: è la bassezza e l’infermità; sono gli dei materiali, gli dei d’oro e d’argento, opere delle mani dell’uomo (Id.). – Perché lo Spirito-Santo prende tanta cura, in mille passaggi delle sante Scritture, nell’insinuarci queste verità, come se le ignorassimo, ed incolparci come se esse non fossero le più chiare del mondo e le più conosciute da tutti, se non perché queste forme corporee, delle quali abbiamo nozione, secondo le leggi della natura, di veder vivere negli animali e sentir vivere in noi stessi, benché plasmate come semplici emblemi, producono tuttavia in ciascuno, non appena la moltitudine comincia ad adorarle, questo grosso errore di credere che se il movimento vitale non è in questi simulacri, non si trova non di meno in una divinità nascosta (S. Agost.). – È facile far condannare l’errore degli idolatri, ma non è facile difendersene. Nessun Cristiano c’è che non condanni questa empietà, ma ben pochi sono i Cristiani che non la imitino, « gli idoli delle nazioni non erano che oro ed argento; » non sono ora le divinità dei Cristiani? (Dug.). –  Non è che le nazioni non abbiano egualmente scolpito degli idoli con il legno e la pietra; ma, nominando una materia preziosa e che è più cara agli uomini, ha voluto far più sicuramente arrossire del culto che essi vi rendono. (S. Agost.). – Ahinoi se, con questo metallo che è l’opera e la proprietà di Dio, noi ci forgiamo da soli una falsa divinità. L’oro è la più comune divinità degli uomini, esercita su di essi un formidabile impero, e l’autore dell’Ecclesiaste ci esorta a non metterci al suo seguito: « Felice, dice, l’uomo che non corre dietro all’oro (Eccl. XXXI, 8). – Camminare alla ricerca dell’oro, è divenirne schiavi. Non siate schiavi del vostro oro, riprende S. Agostino, ma i padroni; possedete l’oro, ma non vi possegga esso. È Dio che ha fatto l’oro per servire voi, e voi per servire Dio. – In vano la croce ha abbattuto gli idoli per tutta la terra, se noi facciamo tutti i giorni degli idoli nuovi con le nostre passioni sregolate; sacrificando non a Bacco, ma all’ubriachezza; non a Venere, ma all’impudicizia; non a Plutone, ma all’avarizia; non a Marte, ma alla vendetta; immolando loro non degli animali sgozzati, ma i nostri spiriti pieni dello Spirito di Dio, e « i nostri corpi che sono i templi del Dio vivente, e le nostre membra che sono divenute membra di Gesù-Cristo, (I Cor. VI, 19) – (BOSSUET, Vertu de la Croix) – « Coloro che li fanno, mettendo in loro la loro fiducia, divengano simili. » È una gloria il somigliare a Dio, ma qui è una maledizione. Pensate a cosa sono questi dei, poiché la più grande disgrazia che si possa subire, è assomigliare a loro. (S. Chrys.). – Questa terribile parola  si compie  di sovente. In generale, ci si assimila, per l’amore, all’oggetto amato, e S. Agostino ha potuto dire in tutta verità: « Amate la terra, allora siete terra. » Tali sono al presente molti Cristiani, dice Sacy, idolatri delle ricchezze, dei piaceri del mondo e di essi stessi, che illuminati ed attivi per tutto ciò che possa soddisfare le loro differenti passioni, sembrano essere senza luce e senza movimento per tutte le cose della Religione e della salvezza. La grazia di un Dio incarnato è stata da sola capace di ristabilire negli uomini l’uso della loro bocca, per render pubblica lode e confessare la loro miseria; dei loro occhi, per vedere la verità e la loro follia; delle loro orecchie, per ascoltare la voce di Dio; delle loro mani e dei loro piedi, per agire e camminare conformemente alla sua volontà; della loro gola, per innalzare grida salutari verso Colui che è sempre pronto ad esaudirli. »

III.— 17-26.

ff. 17-19. – « La casa di Israele ha riposto la sua speranza nel Signore. » La speranza che si vede, non è speranza; perché ciò che uno vede, come lo spera? E se speriamo ciò che non vediamo ancora, lo attendiamo con l’aiuto della pazienza (Rom. VIII, 24, 25); ma perché la pazienza perseveri fino alla fine, « … il Signore è il suo appoggio ed il suo protettore. » Quanto agli uomini spirituali che istruiscono gli uomini carnali in uno spirito di mansuetudine, perché essendo essi superiori, pregano per coloro che sono inferiori ad essi, e ciò che essi vedono già, possiedono già ciò che fa ancora l’oggetto della speranza dell’uomo carnale? Non è così, perché la casa di Aronne ha messo la sua speranza nel Signore. » Dunque, è affinché tendano anche con perseveranza verso ciò che è davanti a loro, perché corrano con perseveranza fino a conquistare Colui dal quale essi stessi sono conquistati (Filip. III, 12, 14), e conoscano Colui come essi stessi sono conosciuti (I Cor. XIII, 12),  « Dio è loro appoggio e loro protettore. » (S. Agost.). – I veri Cristiani, che sono la vera casa di Israele, l’Israele di Dio, mettono la loro speranza nel Signore che li sostiene e li circonda con la sua protezione. – I ministri degli altari, i Sacerdoti del Signore, che sono la vera casa di Aronne, sono ancor più obbligati dei comuni fedeli, a mettere la loro speranza in Dio. Essi cercano dappertutto degli appoggi, moltiplicano le forze del potere umano per non mancare mai di soccorso, di protezioni di difesa. Cosa succede prima o poi? Tutta questa macchina della potenza mondana si inceppa, si sgretola, e non resta a coloro che l’hanno impiegata, se non confusione, invidia, disperazione. Ma perché dunque la fiducia in Dio è così rara? È perché la fede, la vera fede è di estrema rarità sulla terra. Non si conosce né Dio, né Gesù-Cristo, né il Vangelo, né gli esempi dei Santi; ci si comporta da pagani, e senza rapporto alle verità in cui ci si lusinga di credere. Questa credenza è come una teoria pura o una reminiscenza vaga che non influisce sulla condotta come le speculazioni geometriche. Si cammina così fino all’ultimo giorno, ed allora tutto manca, la fede non dice nulla, o essa non dice nulla se non per allarmare, turbare, disperare, e si muore senza poter dire con il Profeta: « … Io spero nel Signore, Egli sarà mio appoggio e mio protettore. » (Berthier).    

ff. 20-24. – Dio si è ricordato di noi anche nel tempi in cui lo abbiamo obliato. Cosa vuo dire: « Egli li ha benedetti? » Egli li ha colmati di innumerevoli beni. L’uomo può anche benedire Dio, quando dice con il salmista: « La mia anima benedice il Signore (Ps. CII, 1). Ma le sue benedizioni non hanno utilità che per lui; egli aumenta la propria gloria, senza aggiungere nulla a quella di Dio; al contrario, quando Dio ci benedice, è la nostra gloria che se ne accresce, senza che Egli guadagni nulla per se stesso. Dio, in effetti, non ha bisogno di nulla, e in queste due ipotesi, tutto il vantaggio è per noi soli. (S. Chrys.). – Le benedizioni di Dio si sono diffuse dapprima sulla casa di Israele e di Aronne, che per primi ricevettero la grazia del Vangelo, ma non c’è stata nazione esclusa da queste benedizioni; esse si sono diffuse poi su tutti senza eccezione. (S. Chrys.). – Nessuna differenza davanti a Dio tra coloro che sono grandi e considerati nel mondo, e coloro che sono di nascita oscura o di modesta condizione, tra coloro che sono avanzati in età e coloro che sono ancora nell’infanzia; nessun’altra distinzione che quella che la sua grazia mette tra essi. Colui che lo serve con più amore e fedeltà, è il più grande davanti a Lui. (Duguet). –  « Che il Signore dia crescita a voi ed ai vostri figli. » E così fu, perché il numero dei figli di Abramo si è accresciuto, essendo le pietre stesse servite a suscitarne dei figli. (Matth. II, 9). L’ovile si è accresciuto di pecore che all’inizio erano estranee, affinché non ci sia che un solo Pastore. La fede si è sviluppata tra le nazioni, si è visto crescere il numero e di saggi Pontefici, e di popoli sottomessi, il Signore aveva moltiplicato i suoi doni, non solo sui Padri che si sono avanzati verso di Lui alla testa degli imitatori del Cristo, ma ancora sui loro figli che hanno piamente seguito le tracce paterne (S. Agost.). – Le benedizioni dell’antica legge erano temporali, ma le benedizioni della nuova legge sono tutte spirituali e molto più sante: le prime consistevano principalmente nella moltiplicazione dei figli e delle greggi, queste consistono soprattutto nell’accrescimento delle grazie e delle virtù (Dug.). – Benedizione efficace ed onnipotente è l’essere benedetto da Colui la cui parola ha creato i cieli. – Un errore grossolano è immaginare che il Profeta, dicendo : « il Cielo è al Signore, e la terra agli uomini, » divida in qualche modo l’impero dell’universo tra Dio, che ha per sé il cielo, e gli uomini che hanno per essi la terra, di modo tale che questi siano dispensati da tutti i doveri verso Dio. Poiché Dio ha fatto il cielo e la terra, queste due parti dell’universo sono entrambe sue, e tutto ciò che vi si trova, deve obbedirgli. Se ha dato la terra agli uomini, è per usarne, e non per gioirne come di un bene indipendente da Lui. (Berthier). 

ff. 25, 26. – « I morti non vi loderanno, né coloro che scendono nella tomba. » Si apra questa tomba, sostenuta da sì magnifiche colonne, si sgretoli questa pietra di marmo; si troverà un cadavere che fa orrore, delle ossa esalanti un odore fetido, delle ceneri, dei vermi! La tomba ha dell’apparenza, ma ricopre un morto il cui aspetto ispira orrore e spavento. Ora, voi pensate che questo morto possa dire: io benedirò il Signore? No, perché sulla testimonianza della Scrittura: « i morti non vi loderanno, Signore né tutti coloro che discendono nella tomba. Aprite il Vangelo, vedrete il Signore che indirizza queste severe parole al demonio: « Taci. » (Marc. I, 25). Perché? « Perché i morti non vi loderanno, né tutti coloro che scendono nella tomba » Nessuno può lodare colui che non ama, e se la lode esce dalla bocca di un nemico, essa ha per oggetto la virtù che ama fin nel suo nemico. Colui che pecca diviene il nemico di Dio, e non può dunque né lodare Dio, né lodare la virtù di Dio, perché la lode è un bene del quale il peccatore non può essere l’oggetto. La lode che è negata dai sentimenti del cuore, è un insulto, una derisione piuttosto che una lode; vorreste che la menzogna diventi l’apologista della verità, e che la lode di Dio esca dalla stessa fonte che la bestemmi e l’oltraggi? (S. Agost. Serm. III, LXV, n° 1). – I morti di cui parla qui il salmista non sono coloro che hanno lasciato questa vita, ma coloro che erano morti nelle loro empietà o che avevano guazzato nel crimine. Per colui che non ha in prospettiva che una morte immortale, già da questa vita cessa di essere vivente, egli è già morto. Anche il Profeta non dice in generale coloro che vivono, ma : « noi che viviamo. » Egli si esprime qui allo stesso modo di San Paolo in queste parole: « noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono nel sonno della morte (I Tess. IV, 16). L’Apostolo dicendo « noi che viviamo, » non permette di applicare queste parole a tutti i fedeli, ma li restringe a coloro la cui vita è simile alla sua; ed anche con queste parole: « … noi che viviamo », devono intendersi di coloro che, come Davide, passano la loro vita nella pratica della virtù. « Ora e nei secoli dei secoli. » Nuova prova che il Salmista vuole apportare di coloro la cui vita è stata una sequela di buone opere; perché nessuno quaggiù vive nei secoli dei secoli, ma è un privilegio esclusivo di coloro che meritano la vita gloriosa ed eterna. (S. Chrys.).

SALMI BIBLICI: “LAUDATE, PUERI, DOMINUM” (CXII)

SALMO 112: “LAUDATE, PUERI, DOMINUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 112

Alleluja.

 [1]  Laudate, pueri, Dominum,

laudate nomen Domini.

[2] Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in sæculum.

[3] A solis ortu usque ad occasum laudabile nomen Domini.

[4] Excelsus super omnes gentes Dominus, et super cælos gloria ejus.

[5] Quis sicut Dominus Deus noster, qui in altis habitat,

[6] et humilia respicit in cœlo et in terra?

[7] Suscitans a terra inopem, et de stercore erigens pauperem:

[8] ut collocet eum cum principibus, cum principibus populi sui.

[9] Qui habitare facit sterilem in domo, matrem filiorum lœtantem.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXII.

Si lodi Dio, principalmente perché, essendo egli altissimo, non isdegna abbassare gli occhi fino a noi, ed arricchirci di beneficii.

Alleluja: Lodate Dio.

1. Fanciulli, lodale il Signore, lodate il nome del Signore.

2. Sia benedetto il nome del Signore, da questo punto fino nei secoli.

3. Dall’oriente fino all’occaso ha da lodarsi il nome del Signore.

4. Il Signore è eccelso presso tutte le genti; e la gloria di lui fin sopra de’ cieli.

5. Chi è come il Signore Dio nostro, che abita nell’alto,

6. e delle basse cose tien cura in cielo e in terra? (1)

7. Ei dalla terra solleva il mendico, e il povero alza dal fango,

8. Per metterlo a sedere tra’ principi, tra i principi del suo popolo.

9. Egli la donna sterile fa che abili nella casa, lieta madre di figli.

(1) « Nel cielo e sulla terra. » Queste due parole si riferiscono a parti della frase che precede e devono essere così intese: Chi è come il nostro Dio che si eleva per abitare nei cieli, e che abbassa gli occhi fino a riguardare la terra? (Le Hir.).

Sommario analitico

Questo salmo è un invito indirizzato a tutti i fedeli di lodare la grandezza, la potenza, la bontà di Dio Creatore e salvatore. (1).

I. – Questa lode deve essere resa pubblica:

1° Da tutti i fedeli (1); 2° in tutti i tempi (2); 3° In tutti i luoghi (3). 

II. – Motivo di questa lode – Essa è dovuta a Dio:

1° A causa della sua maestà, che infinitamente al di sopra dei cieli, degli Angeli e degli uomini (4);

2° A causa della sua bontà, che abbassa i suoi sguardi sui piccoli e li toglie dalla loro abiezione per farli sedere con i principi del suo popolo (5-8);

3° A causa della sua potenza, che dà la fecondità della fede e delle buone opere alla Chiesa delle nazioni, fino ad allora sterile (9).  

(1) Questo salmo si applica in un primo senso molto imperfetto, al ritorno da Babilonia, dopo il quale esso è stato composto, come lo prova lo stile, ed in un senso molto più perfetto, alla redenzione del genere umano, figurato da questo ritorno, e alla Chiesa divenuta madre di numerosi figli (Le Hir.).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3

ff. 1-3. – Le Sacre Scritture, ed il Salmista in particolare, tornano sovente sul sacrificio di lode che si deve offrire a Dio … Questo non è la sola lezione che ci offre questo salmo, ma esso serve a condurci a formare un solo coro per non fare che un unico concerto. Così, esso non si indirizza ad una o due persone, ma al popolo intero … Così il Salvatore, che preghiamo da soli o con altri, ci ordina costantemente di entrare con i nostri fratelli in una vera comunione di preghiera (S. Chrys.) – Quando sentite cantare « Pueri, lodate il Signore, » non crediate che questa esortazione non vi riguardi, con il pretesto che avendo già oltrepassato fisicamente l’età dell’infanzia, siete nel verde vigore della giovinezza, o che la corona della vecchiaia imbianchi la vostra fronte; perché l’Apostolo dice a tutti: « non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi.» (I Cor. XIV, 20). Da quale malizia dobbiamo essere soprattutto esenti, se non dall’orgoglio? Perché l’orgoglio, per la presunzione che dà come vanagloria, impedisce all’uomo di camminare per la via stretta e di entrare. Ora, un bambino passa facilmente in una via stretta; ecco perché nessuno, se non è come un bambino piccolo, entrerà nel regno dei cieli. (S. Agost.). – Tutti gli uomini hanno dei motivi particolari per lodare Dio, ma nessuno deve, a più giusto titolo, celebrare le sue lodi e rendere pubbliche le sue grandezze, che la gioventù e la prima età: l’orizzonte della vita si svolge magnifico ai loro sguardi, il cuore deborda di sentimenti di speranza. – La lode dei bambini è gradita a Dio a causa della loro purezza, della loro semplicità. – Cerchiamo di essere noi stessi bambini per la semplicità, la docilità, l’umiltà e l’innocenza (I Cor. XIV, 20), e potremo, anche nel vigore dell’età matura, ed anche giunti al tempo della canizie, prendere per noi queste parole e metterle in pratica. (Mgr. Pichenot, Ps. du D.). – La semplicità cristiana ha la sua infanzia, molto superiore all’infanzia naturale. L’infanzia è l’emblema dell’umiltà, che contrasta con la vana e falsa grandezza dell’orgoglio; in questo senso la vostra vecchiaia sia un’infanzia e la vostra infanzia una vecchiaia, vale a dire: la vostra saggezza sia umile e la vostra umiltà saggia, affinché lodiate Dio nel presente e fino all’eternità.- Non bisogna stupirsi che il Profeta ci inviti così spesso a lodare il nome del Signore, la cui essenza adorabile sfugge ai nostri sensi ed al nostro spirito, mentre il suo Nome ci è manifestato dai suoi oracoli e dalle sue opere, ed è per questo che i libri santi gli danno tanti nomi. È dunque con il Nome, o se si vuole, con i nomi di Dio, che noi giungiamo fino a Lui, ed è questo il motivo per cui Gesù-Cristo ci indirizza al suo santo Nome ordinandoci di dire: « Sia santificato il tuo Nome. » (Berthier). – Per noi c’è l’obbligo tanto più grave di benedire, di lodare il Nome di Dio, che è bestemmiato e maledetto da un gran numero di persone che, nell’impero di Dio, tra le sue opere, tra i suoi benefici, proferiscono verso questo santo Nome delle esecrazioni che fanno fremere la natura. – « Dal sorgere del sole fino al suo tramonto, il Nome del Signore, sia degno di lode. » Ogni giorno, Dio ci accorda nuovi favori; in ogni ora del giorno ci colma di nuovi benefici. – Non c’è alcun giorno dell’anno che non fornisca all’uomo il soggetto di nuovi cantici. – Non c’è contrada nell’universo che non riceva i favori di Dio e le influenze del suo amore. – « Dal sorgere del sole fino al tramonto, il mio Nome è grande tra le nazioni, e si sacrifica e si offre in ogni luogo una oblazione pura al mio Nome, perché il mio Nome è grande tra le nazioni. » (Malach I, 11). – « Dal sorgere del sole fino al suo tramonto, » vale a dire dalla nostra nascita fino alla morte. (S. Girol.). La vita dei Santi è comparata giustamente al sole nel suo sorgere e nel suo tramonto, perché essi sono i bambini della luce e la luce del mondo. – « Che il nome del Signore sia benedetto da ora ed in tutti i secoli dei secoli. » Il Nome del Signore sia benedetto da voi « dal momento presente », cioè dal momento in cui lo fate. La vostra lode cominci in effetti, ma non finisca; lodate dunque il Signore dal presente fino all’eternità; « lodatelo senza mai fermarvi! » Guardatevi dal dire: oggi cominciamo a lodare Dio, perché noi siamo ancora piccoli bambini; ma quando avremo creduto e saremo diventati grandi, allora saremo noi a lodarci. Non fate nulla, bambini, non fate nulla; perché il Signore ha detto per bocca di Isaia: « Io sono, e quando voi vegliate, io sono, e mentre voi vegliate, Io sono. » (Isai. XLVI, 4) Colui che bisogna lodare ogni giorno, è Colui che è. Bambini, lodatelo fin dal presente; vegliardi, lodatelo per l’eternità. Perché allora la vostra vecchiaia si coronerà di bianchi capelli e di saggezza, ma non appassirà  con la caducità della carne (S. Agost.). – Io mi dedicherò a questo Oriente ed Occidente; dal mattino renderò a Dio i miei omaggi; terminando la giornata, lo adorerò e lo benedirò, si avrà nella mia vita un Oriente ed un Occidente, delle luci e delle tenebre, degli avvenimenti felici e delle avversità; io riceverò tutto dalla sua mano, e Gli renderò delle azioni di grazie. Dall’oriente dei miei giorni, dalla mia infanzia dovrò dedicarmi interamente al suo servizio; io sono stato infedele nell’adempiere a questo dovere; sono al termine della mia carriera, il termine si avvicina, almeno devo consacrargli questi pochi giorni che mi accorda affinché, quando la luce si spegnerà per noi, possiamo gioire in pieno giorno della gloria nell’eternità (Berthier). 

II. — 4 – 9

ff. 4. – « Il Signore è eccelso su tutte le genti. » La nazioni sono composte da uomini, cosa c’è di strano che Dio sia elevato sopra gli uomini? Questi adorano il sole, la luna e le stelle, che i loro occhi vedono brillare nel cielo sopra di essi, ed abbandonano il Creatore, al Quale obbediscono tutte le creature; ma il Signore non è eccelso solo sopra tutte le nazioni: la sua gloria è eccelsa anche sopra i cieli. « I cieli lo vedono al di sopra di essi, e gli umili, che la carne relega al di sotto del cielo, ma che non adorano il cielo al suo posto, lo possiedono in se stessi. » (S. Agost.). – Nell’ordine morale, come nell’ordine fisico, Dio è grande, Dio solo è grande, ed è questo nuovo motive per rendere pubbliche le sue lodi. Nell’ordine morale, il Re-Profeta dice tutto con una sola parola: « Il Signore è eccelso sopra le nazioni. » Egli tiene nelle sue mani le redini di tutti gli imperi, governa i popoli ed i re; Egli dirige, muta le volontà senza vincoli e dispiaceri al compimento delle sue volontà. Coloro che Gli resistono lo servono; coloro che hanno la pretesa di portare le armi contro di Lui, difendono la sua causa … nell’ordine fisico, qual gloria, qual magnificenza! … Nel cielo dei cieli, Egli vede ai suoi piedi milioni di spiriti puri, i nove cori degli Angeli formano la sua augusta milizia. (Mgr, Pichenot, Ibid.). 

ff. 5-8. – Quando I desideri dei beni o dei piaceri della terra ci pressano, il mezzo più sicuro per resistere e liberarcene, sarebbe chiedere a noi stessi: Quale oggetto può essere comparabile al Signore, mio Dio? Non possiede Egli tutte le perfezioni, tutti i beni, tutte le beltà? (Berthier). – Cosa di più sublime e nello stesso tempo, di più toccante del contrasto stabilito qui dal salmista tra la grandezza incomparabile di Dio, questo sovrano delle nazioni, il Dio che i cieli non possono contenere negli spazi incommensurabili, e questa bontà incomprensibile con la quale Egli si compiace di sollevare il povero dalla terra e l’indigente dal letame, per farlo sedere tra i principi, con la quale Egli si degna ancora di accondiscendere fino all’umile donna priva delle dolcezze della maternità, e di consolarne l’afflizione. – I re del mondo, i grandi della terra, crederebbero di disprezzare ed avvilirsi se si curvassero verso chi è al di sotto di loro … Così non è per il nostro Dio: Egli solo è grande e dalle profondità della sua eternità, contempla e benedice, perso nel tempo e nello spazio, ciò che ha di più umile e più povero. È sui piccoli ed i disgraziati che Egli di preferenza abbassa gli sguardi della sua misericordia. « Su chi getterò gli occhi se non sul povero che ha il cuore infranto, e che ascolta le mie parole con tremore? » (Isai., LXVI, 2). – « Chi è simile al Signore nostro Dio, che abita nei luoghi più elevati, » cioè nei Santi, Egli abita negli umili? Si, Egli li abita, perché abbassa i suoi sguardi verso gli umili, come è scritto: « Su chi abbasserò i miei sguardi, se non su colui che è umile, e che trema ascoltando le mie parole? » – Quando i Santi sono elevati? Quando contemplano le cose celesti. Essi sono umili sulla terra, quando si umiliano nelle opere della vita attiva, e si elevano nelle meditazioni della vita contemplativa. Essi sono umili sulla terra, ma sono elevati davanti a Dio. Perché il salmista non ha detto: Dio abita negli umili? Ma « Egli abbassa i suoi sguardi sugli umili. » Perché Dio getta i suoi sguardi là ove abita, ed Egli abita là dove getta i suoi sguardi (S. Gerolamo). – Nelle anime elevate ove abita, Egli guarda ciò che è umile. In effetti Egli eleva gli umili in modo da non renderli orgogliosi. Ecco perché Egli abita nelle altezze dei cieli che Egli stesso ha elevato; Egli fa di essi il suo cielo, cioè il suo trono; e tuttavia vedendoli sempre, non orgogliosi ma sottomessi, considera chi è umile come il cielo stesso, di cui abita la altezze. È ciò che ci insegna lo Spirito Santo per bocca di Isaia. «Ecco ciò che dice l’Altissimo, che abita il luoghi elevati ed il cui Nome è eterno, il Signore Altissimo che prende il suo riposo nei Santi. » (LVII, 15). Ma quali sono i Santi, se non gli umili che, facendosi bambini, glorificano il Signore? (S. Agost.). È il carattere di una potenza veramente grande ed ineffabile elevare ciò che è piccolo (S. Chrys.). – È una legge provvidenziale che Davide ha constatato da se medesimo, e che si può applicare agli uomini che Dio ha tratto dall’oscurità per elevarli al primo posto: Giuseppe, Mosè, Davide stesso e tanti altri. – Ma questa parola ha avuto il suo compimento in modo più sublime nella trasformazione della natura umana con l’Incarnazione del Verbo. Quale povertà più grande di quella della nostra natura? E tuttavia il Figlio di Dio è disceso dal cielo in terra per venire a cercare questa natura fin nella polvere ed il fango del vizio; Egli ti ha estratto da questo abisso di abiezione per elevarti fino a Lui; Egli ha trasportati nei cieli le primizie di questa natura e l’ha fatta sedere sul trono del Padre. Il letame figura qui l’abiezione della condizione, ed il cambiamento subìto, di cui è l’oggettiva prova che per Dio, tutte le cose sono semplici e facili (S. Chrys.). –  Il Profeta volendo insegnarci perché si trovano umili cose in cielo, quando il nome di cielo si applica a grandi Santi spirituali e degni di sedere come giudici sui dodici troni, il Profeta, aggiunge subito: « Egli eleva da terra ciò che è nell’indigenza, trae dal letame colui che è nella povertà, al fin di porlo con i principi del suo popolo. » Che le teste più elevate non disdegnino di essere umili sotto la mano del Signore, perché benché il fedele dispensatore delle ricchezze del Signore sia posto tra i principi del popolo di Dio, non di meno lo è l’indigente elevato da terra, e il povero estratto dal letame (S. Agost.). – Il Signore rinnova questo miracolo di potenza e di bontà per ogni peccatore in particolare nel Battesimo e nella Penitenza; egli tira via dal letame e dalla corruzione del suo peccato per porlo nel cielo e offrirgli un posto tra i principi del suo popolo, tra gli Angeli e gli altri abitanti della Gerusalemme celeste.

ff. 9. – Così come la più grande sventura degli uomini è lo stato di oscurità e di disprezzo, la sterilità è una delle pene più sensibili per le donne. (Bellarm.). – Ma non soltanto Dio può operare anche strabilianti cambiamenti, da far succedere la grandezza alla bassezza, ma Egli può dislocare i limiti della natura e dare la fecondità a colei che era sterile: cosa che è accaduta a Sara, Rebecca, Rachele e tante altre. In un senso più elevato, il salmo vuole qui parlare della Chiesa, formata da tutte le nazioni e che, dopo essere rimasta per lungo tempo sterile, ha prodotto nella sua vecchiaia una numerosa posterità, secondo queste parole di Isaia: « Rallegrati sterile, che non hai partorito; emettete grida di gioia, voi che non diventate madri, perché colei che era abbandonata ha più figli della maritata. » (Isai. LIV, Gal., V), – Chi ama la Chiesa come sua madre, non può vedere questa fecondità senza entrare nella gioia. – Questa donna sterile è pure la nostra anima che da se stessa non può concepire né il pensiero del bene, né germogliare la virtù; ma che diviene feconda o per una conversione totale, o per un rinnovo del fervore. Tutto fruttifica in quest’anima resa feconda dal divino Sposo, e la gioia spirituale è la prima ricompensa che Egli versa su questa sposa divenuta degna di Lui (Berthier).

SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI TIMET DOMINUM” (CXI)

SALMO 111: “BEATUS VIR QUI TIMET DOMINUM”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 111

Alleluja, reversionis Aggæi et Zachariæ.

 [1]  Beatus vir qui timet Dominum,

in mandatis ejus volet nimis.

[2] Potens in terra erit semen ejus; generatio rectorum benedicetur.

[3] Gloria et divitiæ in domo ejus, et justitia ejus manet in sæculum sæculi.

[4] Exortum est in tenebris lumen rectis, misericors, et miserator, et justus.

[5] Jucundus homo qui miseretur et commodat, disponet sermones suos in judicio;

[6] quia in æternum non commovebitur.

[7] In memoria æterna erit justus; ab auditione mala non timebit. Paratum cor ejus sperare in Domino,

[8] confirmatum est cor ejus; non commovebitur donec despiciat inimicos suos.

[9] Dispersit, dedit pauperibus; justitia ejus manet in sæculum sæculi; cornu ejus exaltabitur in gloria.

[10] Peccator videbit, et irascetur, dentibus suis fremet et tabescet; desiderium peccatorum peribit.

 [Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXI.

Lode dell’uomo giusto. I latini aggiunsero del ritornodi Aggeo e Zaccaria, che esortarono, dopo la cattività, il popolo alla probità, forse per esortare gli altri alla probità, onde non ricadere nella schiavitù.

Alleluja: Del ritorno dì Aggeo e di Zaccaria (1)

1. Beato l’uomo che teme il Signore: egli avrà cari oltremodo i suoi comandamenti.

2. La sua posterità sarà potente sopra la terra; il secolo dei giusti sarà benedetto.

3. Gloria e ricchezze nella casa di lui; e la sua giustizia dura perpetuamente.

4. È nata tra le tenebre la luce per gli uomini di retto cuore: il misericordioso, il benigno, il giusto.

5. Fortunato l’uomo che è compassionevole, e dà in prestito, e con sapienza dispensa le sue parole; perocché egli non sarà mai vacillante.

6. Il giusto sarà in memoria eternamente: non temerà di udire sinistre parole.

7. Il suo cuore è disposto a sperare nel Signore, il suo cuore è costante;

8. ei non vacillerà, e neppur farà caso de’ suoi nemici.

9. A mani piene ha dato ai poveri; la giustizia di lui dura in perpetuo; la sua robusta virtù sarà esaltata nella gloria.

10. Vedrallo il peccatore, e avranne sdegno, digrignerà i denti e si consumerà: il desiderio dei peccatori andrà in fumo.

(1) Il titolo di Aggeo e di Zaccaria non si trova che nella versione in latino e deve verosimilmente la sua origine alla pia tradizione dei Profeti Aggeo e Zaccaria, che tornando presso i Giudei dalla cattività di Babilonia, si servirono di questo salmo. Questo salmo è alfabetico come il precedente.

Sommario analitico

Questo salmo contiene l’elogio dell’uomo virtuoso, o che teme Dio. I vantaggi che enumera il salmista non si verificano pienamente che nel senso spirituale (1):

(1) N.B. Nulla impedisce si attribuire a Davide questi due salmi CX e CXI, dei quali del resto nulla ce ne indica l’autore. Essi sono alfabetici e perfettamente simili metricamente; hanno ugualmente ventidue versi di sei sillabe ciascuno, riunite in dieci versetti, otto distici e tre trittici (Le Hir.).

I. Vantaggio. – Per il bene dell’anima, la conformità più perfetta della sua volontà ai Comandamenti di Dio (1).

II Vantaggio. – Per i beni esteriori, la moltiplicazione, la potenza e la gloria della sua posterità (2).

III Vantaggio – L’abbondanza degli onori, delle ricchezze (3).

IV Vantaggio – La luce celeste che Dio spande nei cuori retti (4).

V Vantaggio – La stabilità dell’uomo del bene, di cui descrive tre caratteri: egli ha pietà dei derelitti, presta volentieri, regola i suoi discorsi secondo la prudenza (5, 6).

VI Vantaggio – Una memoria eterna, al riparo di tutti i colpi della calunnia (7).

VII Vantaggio – La sicurezza della protezione divina contro i nemici non gli farà difetto (8)

VIII Vantaggio – L’accrescersi delle sue ricchezze e della sua potenza, proporzionato all’estensione ed alla grandezza delle sue liberalità e delle sue elemosine (9).

IX Vantaggio – La sua felicità sarà ancora aumentata dal contrasto del furore impotente dell’empio contro di lui, che il salmista oppone alla tranquillità ed alla gloria del giusto (10).

Spiegazioni e Considerazioni

 I.

ff. 1. – L’inizio di questo salmo si ricollega strettamente alla fine del precedente, e non forma di questi due salmi che un unico corpo, le cui parti sono perfettamente unite tra loro. Il Re-Profeta ha detto nel salmo che precede: il timor di Dio è l’inizio della Sapienza. Per far seguito a questo pensiero sì profondo e sì bello, aggiunge ora che è ancora un principio di felicità, una sorgente di vita. L’uno è la conseguenza dell’altra. (S. Crys.). – « Felice l’uomo che teme il Signore. » Ora, colui che teme il Signore, che fa? Ascolta attentamente la parola di Dio, cerca di rendersi sapiente nella legge? No, non è ciò che dice il salmista: egli desidera compiere ardentemente i suoi Comandamenti. (S. Girol.). – Il timore del Signore è dunque la vera felicità; ma anche i demoni stessi hanno timore del Signore e tremano davanti a Lui; il Re-Profeta ci avverte che vuol parlare di questo timore odioso che, non portando a nulla con questo tremore freddo e sterile, si ritrova fin negli inferi, e che non è sufficiente a salvarci; ma questo timore attivo e fecondo che porta al compimento della legge, dopo aver detto, nel salmo precedente, che « il timor di Dio è l’inizio della Sapienza, » aveva aggiunto: « Tutti coloro che la praticano sono pieni di intelligenza salvifica. »

Inoltre qui, dopo aver proclamato la felicità di questo timore, egli lo distingue da quello che ha per principio la conoscenza e che esiste negli stessi demoni, aggiungendo. « … chi ha una volontà ardente di compiere i suoi precetti »; egli non dice: « egli osserverà i suoi comandamenti, » ma « … egli avrà una volontà ardente di compierli, » ciò che è una disposizione molto più perfetta. Ora, in cosa consiste questa disposizione? Nell’osservare i comandamenti di Dio con una santa alacrità, ad amarli passionalmente, e perseguirne l’esatta osservazione; nell’amarli, non per la ricompensa promessa, ma per Colui che li ha stabiliti, a farne le proprie delizie per la pratica della virtù, senza essere portato al timore dell’inferno, con la minaccia dei supplizi eterni, ma per amore di Colui che ci ha dato queste leggi (S. Gerol.. – S. Crys.).

II.

ff. 2. – La felicità del giusto, sotto l’antica legge, era una numerosa posterità sulla terra; questa è la benedizione per l’antico popolo, e non vuole forse Dio che non sia essa, il più sovente, quella del popolo nuovo? « Il giusto che cammina nella sua semplicità, lascia dopo di lui dei figli felici. » (Prov. XX, 7). Questi sono uomini di misericordia, e la loro pietà non è mai venuta meno. I loro beni restano alla loro razza; i loro nipoti sono una santa eredità, e la loro razza si conserva nell’alleanza eterna, ed i loro figli, a causa loro, restano eternamente, e la loro razza si perpetua come la loro gloria. (Eccli. XLIV, 10-13). – Se l’uomo giusto, talvolta, non ha parte di questa benedizione, essa si compirà almeno nel senso morale e spirituale, perché con il nome di “razza”, la Scrittura designa spesso, non i figli che nascono per via di generazione, ma la filiazione che viene in conformità della virtù (S. Chrys.). – La vera posterità dei Santi sono i figli ed i discepoli della loro pietà. – Le loro buone opere sono ancora, al loro sguardo, tanti figli che attirano su di loro la benedizione di Dio. (Dug.). –  « La sua semenza, la sua razza, sarà forte sulla terra. » La semenza della messe da venire, sono le opere di misericordia. L’Apostolo lo dichiara quando dice: « Facciamo il bene senza sosta, perché noi raccoglieremo nel tempo convenevole. » (Gal. VI, 9). – Ora, cosa c’è di più forte che l’acquisto del regno dei cieli, non solo per Zaccheo, al prezzo della metà dei suoi beni, ma ancora per una povera vedova, al prezzo di due oboli? E tuttavia entrambi lo possiedono. Cosa di più forte del bicchiere di acqua fredda del povero, che gli dà il regno dei cieli, come i tesori al ricco? Ma ci sono di coloro che in queste opere di misericordia, cercano dei beni terrestri, sia perché sperano che Dio li ricompenserà quaggiù, sia perché essi desiderano piacere agli uomini; ma « … la razza degli uomini dal cuore retto, sarà benedetta, » (Ps. CXI, 2); vale a dire le opere di coloro per i quali il Dio di Israele è buono perché hanno il cuore retto (S. Agost.). – Questi uomini dal cuore retto gettano in questo mondo con la grazia una semenza preziosa di opere sante che prepara loro, per l’avvenire, tutta una messe di meriti e di gloria. Aspettando, il loro secolo profitta delle virtù che essi hanno praticato. In questo senso, la verginità stessa è feconda, ed il celibato cristiano è una fonte di prosperità e di grandezza. I Santi fanno maggior bene che sapienti e re (Mgr. Pichenot, Ps. du D.).

III.

ff. 3. – « La gloria e la ricchezza sono nella sua casa. » Pensiamo forse che il profeta voglia qui parlare della gloria e della ricchezza del secolo? Ma che! Che il giusto faccia la volontà di Dio i compia i suoi comandamenti per ottenere le ricchezze di questo mondo? Ma questi comandamenti egli non può attuarli proprio se non perché disprezza le ricchezze della terra. Queste ricchezze sono quelle delle quali l’Apostolo diceva: « io rendo per voi al mio Dio le azioni di grazie … per tutte le ricchezze di cui siete state ricolmi in Lui dalla sua parola e dalla sua scienza (S. Girol.). – Nei secoli più perversi, l’uomo di fede è spesso onorato, la sua reputazione è intatta, gli si rende giustizia, è rispettato dagli altri, perché si è rispettato da se stesso; egli riesce nelle imprese che Dio benedice e la prudenza illumina; egli non manca né di stima né di ricchezze, e sa condurre degnamente l’una e le altre … Pur tuttavia, qui ancora ci sono, come ognuno sa, delle nobili e frequenti eccezioni, soprattutto dopo il Vangelo, e la Provvidenza, che cerca di staccarci dalla terra e trasportare più in alto le nostre affezioni ed i nostri voti, lascia talvolta dei giusti cadere nell’indigenza e nelle umiliazioni … Le vere ricchezze sono i meriti ed i tesori che essi ammassano per l’eternità, tesori che i ladri non possono rubare, che la ruggine e la corruzione non alterano mai, e che sussistono in eterno (Mgr. Pichenot, Ibid.). – Dopo tutto è per l’anima, per il cuore soprattutto che si tratta di accumulare ed arricchirsi. Che significa questa espressione: « Nella casa? » Cioè con lui. Le ricchezze materiali non sono in vero con colui che le possiede; che dico? I loro possessi, lungi dall’essere assicurati, sono tra le mani dei delatori, degli adulatori, nelle mani dei magistrati, nelle mani dei servitori. Il padrone di queste ricchezze le dissemina da ogni parte, perché non osa conservarle tutte presso di sé; ed ancora le circonda di guardie, di precauzioni inutili, che non possono impedire alle ricchezze di sfuggirgli. (S. Chrys.). –  L’uomo che teme il Signore e che, per la rettitudine del suo cuore, frutto del suo ritorno a Dio, si dispone a diventare una delle pietre del santo Tempio di Dio, non cerca la gloria umana e non ambisce alle ricchezze terrestri; e tuttavia: « … la gloria e le ricchezze abbondano nella sua casa; » perché la sua casa è il suo cuore, ove abita più ricco per la lode che Dio gli dona, con la speranza della vita eterna, ed egli non abiterà in palazzi di marmo, in mezzo alle adulazioni degli uomini, con il timore della morte eterna. In effetti « la sua giustizia resta nei secoli dei secoli; » esso fa la sua gloria e fa la sua ricchezza. Al contrario la porpora del ricco cattivo, i suoi abiti di lino fino ed i suo splendidi festini, passano già nel momento in cui ne gioisce e, quando tutto sarà finito, la sua lingua infuocata getterà delle crida di disperazione, reclamando invano una goccia di acqua caduta dalla punta del dito (S. Luc. XVI, 19, 24) – (S. Agost.). 

IV.

ff. 4. – Anche in mezzo alla più profonda oscurità, Dio farà brillare la sua luce agli occhi di coloro che hanno il cuore retto. Alla posterità, alla prosperità, il Profeta aggiunge il bene supremo dello spirito, la verità. « Felici coloro che hanno il cuore puro, perché essi vedranno Dio. » Quelli, al contrario che non sono puri, che non hanno il cuore retto, restano tristemente seduti nelle tenebre e nell’ombra della morte e grideranno un giorno – ma troppo tardi – davanti all’universo: « Noi abbiamo errato lontano dalla verità, ed il sole dell’intelligenza non si è levato sulle nostre teste. » (Sap. V, 6). – Questo sole dell’intelligenza, questa luce benefica e pura che si è levata per i cuori retti, è lo splendore del Padre, è il brillare ed lo splendore della sua faccia adorabile, è il Verbo fatto carne che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, di cui il Verbo ha detto: « Io sono la luce del mondo, » (Giov. VIII, 12); e che per bontà, per misericordia, per giustizia, è apparso nel mezzo della notte che avvolgeva il mondo e versato su di esso fasci di luce (S. Chrys.). – Queste tenebre, in mezzo alle quali il giusto deve camminare e raggiungere il suo fine, sono molteplici e di ogni genere: « Tenebre fuori di lui e nel suo interno; tenebre di paura e tenebre di eccessiva confidenza; tenebre di ignoranza e tenebre del desiderio di sapere, tenebre nell’orazione e tenebre nell’azione; tenebre del dubbio e tenebre di afflizione; tenebre sui pensieri dei nostri simili, e tenebre sui nostri consigli; tenebre riguardo ai peccati della nostra giovinezza e tenebre riguardo alla nostra penitenza; tenebre nelle tentazioni, e tenebre nella calma pretesa dell’anima » (Berthier). – Queste tenebre così spaventose non sono tuttavia così spesse da non essere trapassate da alcuna luce; ma è richiesta una condizione per gioire di questo beneficio: la rettitudine del cuore. Altrimenti questa luce, benché pura e viva, brillerà nelle tenebre, e le tenebre non la comprenderanno. Invano essa produrrà miracoli di giustizia e di bontà; se questo cuore non è retto, resterà nella sua cecità. È degno di nota che tra tutte le qualità che caratterizzano l’uomo giusto, il santo Profeta distingua e nomini questa semplice virtù: la rettitudine del cuore. (Rendu).

V.

ff. 5. – « Felice l’uomo che ha compassione e che dà in prestito. » Si crede forse che si tratti qui solo di questione di oro e di denaro? Spesso i giusti sono stati così lontani dall’aver di che donare, che erano obbligati a ricevere essi stessi dagli altri il nutrimento loro necessario. Dunque, se io non ho cosa dare, non sarò nel numero dei giusti? Quanti santi hanno fatto abbondanti elemosine e sono in seguito caduti dalla loro santità? Al contrario, uomini di perfezione eminente non hanno fatte elemosine, perché non avevano di che farne. Non fare l’elemosina è un crimine per chi possiede, per chi è ricco. Colui che nulla possiede è libero: egli dà pertanto ciò che desidera dare, la sua volontà è agli occhi di Dio una elemosina perfetta. Tuttavia i Santi non tralasciano di avere di che dare in elemosina. Ascoltiamo San Pietro: « Io non ho né oro né argento, ma ciò che io ho te lo do. Nel nome di Gesù, alzati e cammina. » (Act. III, 6). Cosa è meglio, cosa è più perfetto, dare un pezzo d’argento o rendere la salute e la forza ad un infermo? (S. Gerol.). – « E regolerà tutte le sue parole con prudenza e giudizio. » Il Profeta non dice: egli regalerà il suo oro, il suo argento secondo questo giudizio, ma regalerà le sue parole. Ecco la vera misericordia, quando un Santo insegna agli altri che non lo sono, ad addivenirlo. Noi comprendiamo dunque quali sono le ricchezze che egli presta agli altri. Regolare le sue parole secondo prudenza e giudizio, è praticare ciò che raccomanda Nostro Signore, per non gettare le perle davanti ai porci, cioè che ciascuno sappia bene a chi dona ciò che può ricevere, ciò che è incapace di comprendere … A che mi serve parlare se le mie parole non sono comprese, né recepite? A che pro versare del buon vino negli otri che lo lasciano subito sfuggire e spargersi? (S Gerol.). – Dopo aver parlato del bene dello spirito, il santo Profeta parla di quello del cuore, la carità. È la gioia spirituale, di cui le buone opere che la carità di Dio partorisce sono il principio, e la felicità di fare intorno a sé dei felici … L’uomo giusto è necessariamente buono, misericordioso e compassionevole, la sua compassione non si prosciuga mai, e regola tutti i suoi discorsi con una saggezza squisita, e non gli sfugge niente che abbia a rimpiangerne, che non possa ferire nessuno. –  Si può essere compassionevole, si può essere liberale e tuttavia non saper trattare con gli uomini, secondo ciò che la prudenza esige. Ugualmente, si può essere saggi nei discorsi, ed aver il cuore chiuso agli infelici. Infine si può avere un’anima compassionevole, saper parlare con saggezza, senza volersi spogliare di parte di ciò che si possiede per aiutare il prossimo prestando nel bisogno. Si è talvolta molto timorosi sugli avvenimenti futuri; si suppone con troppa diffidenza dei bisogni personali; ed invece di interessarsi allo stato degli altri, si preferisce il proprio benessere alla carità che reclama in loro favore. L’uomo dabbene che voglia stabilirsi nella pace e nelle gioia che dà la buona coscienza, unisce le tre condizioni che il Profeta segnala: egli è colpito dalla miseria degli altri, li aiuta nelle difficoltà in cui si trovano, e parla loro come conviene, sia per consolarli, sia per incoraggiarli, sia per dare loro dei consigli salutari. Se si intende il testo del regolamento degli affari, anche questa sarà una delle qualità dell’uomo dabbene: l’essere attento a tutto ciò che concerne la sua condotta, sia nei riguardi del temporale, che dello spirituale. Egli è sistemato in tutto ciò che fa, prudente in tutto ciò che intraprende, economo in tutto ciò che governa; ma, ciò che qui deve essere considerato come il punto essenziale, è che tutte queste eccellenti qualità hanno la loro fonte nel timore del Signore (Berthier). 

VI.

ff. 6. – Ma, forse tu non hai visto degli uomini misericordiosi che ondeggiavano sotto il peso dell’avversità? No, mai. Li si è visti diventare poveri, ridotti all’estrema indigenza, precipitati in ogni sorta di infortuni, ma queste prove non li hanno abbattuti, perché essi attirano su di loro la bontà e la protezione di Dio, e la testimonianza di una buona coscienza era per essi un’ancora ferma e sicura. Il Re-Profeta non dice dell’uomo misericordioso che egli non sarà attaccato, come Gesù-Cristo non dice di colui che ha costruito sulla pietra che sarà esente da inondazioni e da tempeste, ma che egli sarà in condizione di resistervi. Non è certo una cosa mirabile essere esente da tentazioni, rispetto al restare immobile in mezzo alle tentazioni. Il Profeta non dice anche che il giusto non sarà abbattuto, ma che non sarà abbattuto per sempre; e quest’ultimo senso è abbastanza in rapporto con la condizione dell’uomo su questa terra di prove. I più giusti vi sono fiaccati, come confessava Davide (Ps. LXXII, 2). Ma Davide abbattuto, Davide pur caduto, non è restato in questo stato di abbattimento o di caduta: la misericordia divina lo ha risollevato e raffermato. È lo stesso per tutti i Santi: Dio li prova, li purifica e li fortifica con le stesse prove: Non commovebitur in æternum (S. Chrys.). – « La memoria del giusto sarà eterna. » È l’ambizione dei mondani a fare un po’ di rumore intorno a sé e passare alla posterità; ma la gloria, non essendo che l’ombra della virtù, fugge, come l’ombra, colui che corre dietro ad essa, mentre segue colui che cerca di evitarla, e segue malgrado lui, i suoi passi; è ciò che succede ai Santi. C’è pure per essi quaggiù una gloria postuma, una vita oltre la tomba che fa loro elogio e che incoraggia. Essi possono essere anche talvolta coinvolti nei discorsi calunniosi degli empi; si troverà forse qualche anima vile che, vedendosi condannato dalla loro vita pura, cercherà di stigmatizzarli; ma essi non avranno nulla da temere, e come si è ben detto: che importa dopo tutto, che questi rettili impuri vengano a mescolare un po’ di bava e di veleno ai torrenti di gloria che conducono i loro nomi all’immortalità? (Mgr. Pichenot, Ps, du D.). – « La memoria dei giusti è eterna, soprattutto perché i loro nomi saranno scritti nel libro della vita, da dove non saranno mai cancellati, e saranno letti con onore dagli Angeli e dai Santi e, nell’ultimo giorno, non temeranno di ascoltare la parola cattiva, la terribile sentenza che sarà pronunciata contro i peccatori ed i riprovati. (S. Agost.).   

VII.

ff. 7, 8. – Ci sono di coloro che sono sempre pronti ad inquietarsi senza motivo, lo scoraggiamento per essi è come naturale, disperano ad ogni proposito; il primo movimento del giusto, è confidare il Dio, egli è sempre pronto a sperare nel Signore, per il suo cuore è un bisogno, come un dovere. (Mgr, Pichenot). – Ecco perché, in mezzo alle prove più terribili, non si abbandona mai alla paura. Egli ha deposto in anticipo le sue ricchezze in un forziere inviolabile e, lungi dal temere l’avvicinarsi della morte, si appresta a partire per queste regioni dove deve ritrovare tutta la sua fortuna. Che potrà temere in effetti colui che, spogliatosi di tutto, non è circondato da nulla, e non offre la presa a nessuno su di lui? Che potrebbe temere colui che è assicurato dalla bontà e dalla protezione di Dio? La sicurezza di cui gode ha dunque una doppia causa: la protezione del cielo e la felice disposizione dell’anima. Così niente è capace di abbatterlo, né i capovolgimento della fortuna, né gli oltraggi, né la calunnie; egli è invulnerabile a tutti questi colpi, perché abita in una regione inaccessibile al crimine ed ai complotti dei malvagi; egli resterà buono fino alla fine, il suo coraggio non si smentirà mai finché non vedrà il suo nemico stramazzato dinanzi a lui. (S. Chrys.).   

VIII.

ff. 9. – Il Re-Profeta ha fin qui ricordato il dovere dell’elemosina e parlato di un prestito caritatevole e di misericordia. Ora ci sono diversi gradi nell’elemosina: l’uno dà meno, l’altro con più liberalità. Qual è dunque questo uomo misericordioso di cui egli parla? È colui che dà del suo superfluo, o colui che distribuisce i suoi beni senza riserva? È evidente che è colui che dissipa tutte le sue risorse, che spande i suoi beni con una pia profusione, e del quale S. Paolo parla in questi termini: « Colui che semina nelle benedizioni, raccoglierà anche le benedizioni. » (II Cor. IX, 6). C’è la profusione ridicola del lusso e della vanità, perché non quella della misericordia? (S. Chrys.). – Il ricco liberale deve spandere le sue ricchezze come il sole spande i suoi raggi. « Il giorno rischiara egualmente tutti gli uomini, il sole dissemina dappertutto i suoi raggi, la pioggia versa su tutte le parti della terra le sue acque fecondanti, il vento soffia su tutti i punti del pianeta, la luce delle stelle e della luna è comune a tutti gli uomini. L’uomo liberale, spandendo con profusione su tutti le larghezze della carità, è imitatore di Dio, suo Padre. » (S. Cypriano, De opere et clem.). – Egli è ancora come il lavoratore che spande la sua semenza su tutta la superficie del suo campo: « Seminate per voi nella giustizia, e raccogliete nella misericordia. » (Osea, X, 12). Siate un lavoratore spirituale, seminate ciò che deve essere produttivo. È una buona semenza quella che si getta nel cuore delle vedove. Se la terra vi rende al centuplo la semenza che ha ricevuto, quali frutti ben più abbondanti renderà la misericordia a colui che ne pratica le opere?  (S. Ambr. De Nab. 7). – Il ricco liberale che spande le sue ricchezze con liberalità, come il Signore raccomanda per bocca del Profeta, le conserva; colui che invece le ritiene, senza darle, le vede passare nelle mani di altri. Se voi le conservate, cesserete di possederle, se le spandete con liberalità, le conserverete, (S. Bas. Homil. in div.). – Considerate la giustezza delle espressioni del Profeta. Egli non dice: … egli ha dato, ha distribuito, ma: « Egli ha largheggiato, » per esprimere la liberalità di colui che dona, liberalità che compare nell’azione del seminare. Che fanno coloro che seminano? Essi spandono la loro semenza che tengono in riserva, sacrificano un bene certo nella speranza di un bene futuro. In questo essi fanno meglio che non ammassare, accumulare: meglio è spandere in tal modo, che accumulare incessantemente. Voi seminate il vostro denaro, ma raccoglierete la giustizia, voi spandete delle ricchezze passeggere per acquisire dei beni immortali. (S. Chrys.). – Questa espressione sembra racchiudere ancora un esempio ed un consiglio. Come regola generale, è meglio dare poco a molti che dare molto a pochi; perché è questo il mezzo di provvedere alle varie necessità di un gran numero ed impedirne l’abuso; è meglio variare le proprie opere, estendere la propria commiserazione, far progredire i propri benefici, piuttosto che concentrarli sempre. Questa saggia liberalità ci è profittevole perché, se la fortuna diminuisce per le elemosine, la giustizia, che ne è il frutto, aumenta e non è una giustizia passeggera, ma una giustizia che resta in tutti i secoli. (Mgr. Pichenot Ps. di D.). – Di qual valore sono questi beni invisibili, che ognuno può acquistare a prezzo di ciò che possiede? « È perché il giusto ha diffuso i suoi doni ai poveri. » Egli non vedeva ciò che comprava e non lasciava ricomprare; ma Colui che aveva fame e sete sulla terra, nella persona dei poveri, gli conservava un tesoro nel cielo. Non è dunque da meravigliarsi che « che la sua giustizia resta nei secoli dei secoli, » poiché essa è sotto la custodia del Creatore dei secoli. « La sua forza sarà elevata in gloria, (Ps. CXI, 9), dopo che la sua umiltà sarà disprezzata dai superbi » (S. Agost.).

IX.

ff. 10. – La virtù è uno spettacolo triste ed importuno per gli uomini viziosi, perché essa è un rimprovero ed una condanna della loro malvagità. Ma vedete come il peccatore, tutto roso dall’invidia, non osa formulare accusa contro l’uomo giusto, né sostenere lo sguardo puro e limpido della virtù. Il dolore che lo rode interiormente si manifesta con il digrignar dei denti, ma non osa pronunciare una parola, e richiude dentro di sé il dolore che lo affligge (S. Chrys.). – « Il peccatore lo vedrà e si irriterà, » ma con un pentimento tardivo ed infruttuoso, perché contro chi si irriterà più di sé quando, vedendo elevato in gloria la forza di colui che avrà elargito doni ai poveri, dirà: « A cosa ci è servito il nostro orgoglio?  A cosa ci sono valse le nostre ricchezze da cui traevamo tanta vanità? (Sap. V, 8). « Egli digrignerà i denti e si consumerà per il furore, » perché nell’inferno dove sarà piombato, ci sarà pianto e stridor di denti; perché non cresceranno né foglie, né rami per come ha fatto, se si fosse pentito in tempo opportuno; ma egli non si pentirà che « … quando il desiderio dei peccatori perirà, » senza che alcuna consolazione possa seguire a questo pentimento. Il desiderio dei peccatori perirà quando tutte le cose passeranno come un’ombra, quando il fieno sarà disseccato, il fiore del fieno cadrà (Isai. XI, 8); ma la parola del Signore, che resta per sempre, dopo aver subito le orgogliose provocazioni dei falsi felici, sarà una provocazione contro di loro, vera maledizione, quando saranno perduti per sempre (S. Agost.). 

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE…IN CONSILIO” (CX)

SALMO 110: CINFITEBOR TIBI DOMINE, … in consilio”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878 IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 110

Alleluja.

 [1] Confitebor tibi, Domine

in toto corde meo, …

in consilio justorum,

et congregatione.

[2] Magna opera Domini, exquisita in omnes voluntates ejus.

[3] Confessio et magnificentia opus ejus; et justitia ejus manet in sæculum sæculi.

[4] Memoriam fecit mirabilium suorum, misericors et miserator Dominus.

[5] Escam dedit timentibus se; memor erit in saeculum testamenti sui.

[6] Virtutem operum suorum annuntiabit populo suo,

[7] ut det illis hæreditatem gentium. Opera manuum ejus veritas et judicium;

[8] fidelia omnia mandata ejus, confirmata in saeculum sæculi, facta in veritate et æquitate.

[9] Redemptionem misit populo suo; mandavit in æternum testamentum suum. Sanctum et terribile nomen ejus.

[10] Initium sapientiæ timor Domini; intellectus bonus omnibus facientibus eum, laudatio ejus manet in sæculum sæculi.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CX.

Lode di Dio per le sue opere. Questo Salmo ha versetti quante sono le lettere alfabetiche ebraiche. Ma i LXX lo ridussero a soli dieci versetti, mirando più alla somiglianza degli altri Salmi che alle lettere.

Alleluja: Lodate Dio.

1. A te darò laude, o Signore, con tutto il cuor mio, nel consesso de’ giusti e nell’adunanza.

2. Grandi sono le opere del Signore; appropriate a tutte le sue volontà.

3. Gloria e magnificenza sono le opere di lui; e la sua giustizia è stabile per tutti i secoli.

4. Ha lasciata memoria di sue meraviglie il Signore, che è benigno e misericordioso; ha dato un cibo a quei che lo temono.

5. Ei sarà memore eternamente di sua alleanza, le opere di sua possanza rivelerà al suo popolo;

6. A’ quali darà l’eredità delle genti: le opere delle sue mani son verità e giustizia.

7. Fedeli tutti i comandamenti di lui; confermati per tutti i secoli, fondali nella verità e nell’equità.

8. Ha mandata la redenzione al suo popolo; ha stabilito per l’eternità il suo testamento.

9. Santo e terribile il nome di lui; principio della sapienza il timor del Signore.

10. Buono intelletto hanno tutti quelli che agiscono con questo timore: sarà egli laudato pe’ secoli de’ secoli.

Sommario analitico

Questo Salmo, è un cantico di lode a Dio a causa delle sue opere e dei suoi benefici generali che effonde sulla sua Chiesa, benefici figurati da quelli che ha effuso sui Giudei (1).

(1) Questo salmo è nel numero dei dodici che iniziano con Alleluja (Ps. CIV, CV, CVI, CX, CXI, CXII, CXIII, CXIV, CXV, CXVI, CXVII, CXVIII), come i cinque che finivano con questo canto di lode. Di questi salmi, ce ne sono cinque che gli ebrei chiamavano i “grandi alleluja“. Venivano cantati in tutte le feste, ma soprattutto nelle grandi solennità di Pasqua e dei Tabernacoli: i salmi CXIII e CXIV si cantavano prima della cena pasquale, ed i seguenti CXV, CXVIII, dopo i pasti. Talvolta si cantavano prima i salmi CX e CXII (Rosen-Muller). 

I. – Il profeta esprime la risoluzione di lodare e ringraziare Dio:

1° Segretamente nel suo cuore;

2° Nella riunione privata dei giusti;

3° Nelle assemblee pubbliche (1)

II. – Egli ne dà per motivo le opere di Dio:

1° Le opere di Dio in generale: – a) esse sono grandi e conformi alle volontà divine (2); – b) esse rendono pubbliche la sua magnificenza e la sua gloria (3).

2° Le sue opere particolari: – a) la manna e l’Eucarestia della quale essa era la figura, il ricordo della sua alleanza con il suo popolo (4, 5). – b) la potenza che ha fatto brillare per mettere i Giudei ed i Cristiani in possesso dell’eredità che ha loro promesso (6, 7); – c) le leggi della natura e della grazia, che Egli ha fatto immutabili e fondate sulla giustizia e sull’equità (8); – d) l’alleanza eterna che ha concluso con il suo popolo, e dei quali il Profeta sottolinea gli effetti. Egli ha inviato la redenzione, etc. (9).

III. Egli indica le disposizioni necessarie per entrare nell’alleanza di Dio:

Il timore di Dio, inizio della sapienza, che bisogna utilizzare e perfezionare con le opere (10).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1.

ff. 1. – « Io vi loderò, vi renderò grazie. » Tutta la vita del Re-Profeta è passata nel compimento di questi pii doveri; è là che comincia, ed è là che finisce. Tutto il suo soggetto, tutta la sua opera, è stata rendere grazie a Dio, tanto per i benefici che avevano ricevuto, che per le grazie accordate agli altri uomini. (S. Chrys.). –  Quanto questo dovere è oggi dimenticato: l’egoismo si è impadronito del sentimento religioso stesso! Il Cristiano dei nostri giorni chiede ancora solo ciò che gli possa essere utile, cerca i propri interessi; ma il fare tutto per la gloria di Dio – come San Paolo ci raccomanda – celebrare il suo Nome, rendere pubbliche le sue grandezze, le sue perfezioni infinite, tutta questa parte essenziale del culto e della virtù di Religione, è miseramente negletta tra noi o non la comprende più (Mgr. Pichenot, Ps. Du D. p. 116). –  « Con tutto il mio cuore », con tutto l’ardore di cui sono capace, con uno spirito avulso da tutte le preoccupazioni della vita, con un’anima elevata nelle alte regioni che toccano a Dio e staccata dai legami del corpo. Questo non solo con la bocca ed a parole, ma in spirito e cuore (S. Chrys.). – Dio è spirito, ed è in spirito e verità che bisogna adorarlo, lodarlo e pregarlo. A che servirebbe il brusio delle labbra, l’elevazione delle mani, se il cuore resta muto? (S. Agost.). – Nell’anima vi sono più facoltà: lo spirito, la memoria, l’immaginazione, devono essere impiegati al servizio di Colui che ci ha dato tutto; ma è il cuore soprattutto con cui dobbiamo contribuire. L’essenza del culto di Dio, è l’amore e l’assenza della preghiera è soprattutto un atto di volontà, un grido del cuore. – Chi dice “con tutto il cuore”, esclude l’indifferenza, la distrazione, la tiepidezza, e soprattutto le passioni che lo tiranneggiano. (Berthier). – Lodare Dio con tutto il suo cuore, lodarlo in compagnia dei giusti, sia nelle riunioni particolari, ove un piccolo numero di anime pie e ferventi si radunano, si intendono, aprono il loro cuore l’uno all’altro, sia nelle riunioni più numerose e più solenni, come gli esercii pubblici del culto, le feste della parrocchia, le grandi assemblee del popolo cristiano.

II. – 2-9

ff. 2, 3. – Ci sono coloro che rendono grazie a Dio quando sono felici, ma se viene a toccarli il malore, essi lo sopportano appena. Taluni giungono anche a colpevolizzare la Provvidenza negli avvenimento che essa permette. Il Re-Profeta rivela qui il doppio carattere delle opere di Dio in generale: la grandezza dello splendore, l’appropriazione e l’armonia che li distinguono. Egli ci fa qui – ci dice – come un giudice integro, un’assemblea incorruttibile, e si riconoscerà allorché le opere di Dio sono grandi e piene delle più strabilianti meraviglie. La loro grandezza attiene alla loro natura, ma questa grandezza, non appare che agli occhi di un giudice equo. (S. Chrys.). – Grandezza vi è nelle opere della natura, ma grandezza una ancora più ammirevole nelle opere della grazia, della redenzione. – Quanto le opere degli uomini sono piccole e meschine in paragone delle opere di Dio, piccole nell’oggetto che si propongono, piccole nella mobilità che le fa loro intraprendere, piccole nei mezzi che si impiegano, piccole nel fine che vogliono raggiungere, fine questo che ancora sfugge loro il più spesso, malgrado gli sforzi della loro volontà. Le opere di Dio, al contrario, sono grandi e conformi a tutte le sue volontà. Esse sono preparate, disposte con una perfezione che non lascia nulla a desiderare. Esse sono anche conformi alla volontà di Dio, proclamano altamente la sua potenza, e concorrono con un accordo mirabile al compimento degli ordini divini, come il Re-Profeta fa pertanto notare. Esse hanno una missione da compiere possedendo i mezzi e le risorse in sintonia con i disegni del Creatore. Non soltanto tutte le creature eseguono gli ordini di Dio conformemente al fine che si è proposto, creandole, ma obbediscono con una docilità perfetta agli ordini particolari che sono conformi a questo fine. Esse sono disposte in una perfetta sintonia con tutte le sue volontà, con tutti i suoi precetti, con tutti i suoi comandamenti. Ma questo non è il solo fine che si è proposto: Egli vuole essere soprattutto conosciuto dagli uomini; è là la sua volontà primaria e la causa principale della creazione (S. Chrys.). – Fine ultimo di tutte le opere del Creatore è la gloria di Dio e la salvezza delle anime, o meglio ancora – come dice Tertulliano – che così riconduce tutto all’unità: la gloria di Dio per la salvezza delle anime. « Honor Dei salus animarum. » – Che l’uomo faccia tale scelta come gli piacerà tra la giustizia e l’empietà: le opere del Signore sono stabilite in modo tale che la creatura, benché in possesso nel suo libero arbitrio, non possa trionfare della volontà del Creatore, anche quando si tratta di agire contro questa volontà. Dio non vuole che voi pecchiate, perché ve lo proibisce; tuttavia se avete peccato non crediate che l’uomo abbia fatto ciò che ha voluto, e che Dio  abbia sofferto ciò che non ha voluto soffrire; perché anche se Dio vuole che l’uomo non pecchi, Dio ugualmente vuole risparmiarlo quando pecca, affinché ritorni e viva; ugualmente infine Dio vuol punire colui che ha perseverato nel peccato, affinché il colpevole non possa sottrarsi alla potenza della sua giustizia. Così, qualunque cosa facciate, l’Onnipotente non mancherà di mezzi per compiere in voi la sua volontà, perché « le opere di Dio sono grandi e proporzionate a tutte le sue volontà. » – « Le sue opere manifestano le sue lodi e la sua gloria. » In effetti, ciascuna delle opere che vediamo sono sufficienti per eccitare nella nostra anima dei sentimenti di riconoscenza, ed il desiderio di lodare, benedire, glorificare Dio. Noi non abbiamo da dire: Perché questo? Per qual bene questo? Le tenebre come la luce, la fame come l’abbondanza, il deserto, i paesi disabitati come le terre fertili e coperte da ricche messi, la vita come la morte, in una parola, tutto ciò che vediamo, tutto ci porta a rendere a Dio delle azioni di grazie (S. Chrys.). – « La confessione e la magnificenza sono l’opera di Dio. » Cosa di più magnifico che giustificare l’empio? Ma forse l’opera dell’uomo oltrepassa la magnificenza dell’opera di Dio, di modo che merita con la confessione dei suoi peccati, di essere giustificato. In effetti, il pubblicano è disceso dal tempio giustificato e non il fariseo, e non osando levare gli occhi al cielo, si batteva il petto dicendo: « O Dio, siate clemente con me che sono un peccatore. »  Ora la magnificenza del Signore è la giustificazione del peccatore; perché colui che si abbassa sarà elevato, e chi si eleva sarà abbassato. (S. Luc. XVIII, 13, 14). La magnificenza del Signore è quella che a chi è stato perdonato di più, di più ama; (ibid. VII, 42-48); la magnificenza del Signore è che se il peccato è stato abbondante, la grazia è stata sovrabbondante (Rom. VI, 20). Ma è là il frutto delle nostre opere? No, dice l’Apostolo, « perché la grazia non viene dalle opere, affinché nessuno si glorifichi; perché noi siamo l’opera di Dio, essendo stati creati nel Cristo per le buone opere. » (Efes. II, 9-10). – In effetti, « … a chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia » (Rom. IV, 5), e si comincia dalla fede, affinché le sue buone opere non abbiano preceduto la sua giustificazione, ma avendole seguita, mostrino non ciò che egli ha meritato, ma ciò che ha ricevuto. Perché dunque questa confessione? In verità essa non è ancora un’opera di giustizia; tuttavia essa è una disapprovazione del peccato; ma qualunque cosa sia, o uomo, non vi glorificate, « affinché chiunque sii glorificherà, si glorifichi nel Signore. » (1 Cor., I, 33).  Non è dunque solamente la magnificenza con la quale è giustificato l’empio, ma la confessione e la magnificenza che sono l’opera di Dio (S. Agost.) [Sant’Agostino dà evidentemente alla parola “confessione” un senso diverso da quello che gli danno la maggior parte degli interpreti, ma la dottrina che egli appoggia sul senso che ha scelto non è meno piena di solidità e verità]. – La Provvidenza di Dio è sì attenta, sì paterna e sì dolce, che per noi è almeno un motivo di riconoscenza, un soggetto di benedizione come la stessa lode, ed un inno sostanziale e pieno di gratitudine ed amore. –  Non soltanto Dio manifesta la sua bontà e provoca le nostre lodi alla condotta della sua Provvidenza quaggiù, ma vi fa splendere la sua gloria e brillare la sua grandezza e maestà. Noi vediamo d’altra parte, tanto nell’ordine naturale che nell’ordine soprannaturale, nella condotta di Dio verso tutte le creature, nella sua condotta sulla sua Chiesa attraverso i secoli, nel mistero incessantemente rinnovato della grazia e della giustificazione, un’abbondanza, una ricchezza, una pienezza, una magnificenza mirabile. – Un terzo ed ultimo carattere quaggiù, è la giustizia e l’equità dalla quale non si disgiunge mai, malgrado il disordine apparente delle cose umane. La giustizia di Dio avrà il suo corso. Dio è paziente, perché è eterno; prima o tardi Egli renderà a ciascuno secondo le sue pere.

ff. 4, 5. –  « Il Signore ha perpetuato il ricordo delle sue meraviglie », vale a dire Egli non ha mai cessato di fare dei miracoli, non ha mai interrotto di generazione in generazione il corso dei suoi prodigi per risvegliare con questo spettacolo straordinario gli spiriti più grossolani. Uno spirito elevato ed applicato allo studio della saggezza, non ha bisogno di miracoli; ma Dio, la cui Provvidenza si estende non solo su questi ultimi, ma anche su coloro il cui spirito è meno aperto, non ha cessato di operare dei prodigi in ogni generazione (S. Chrys.). – Orbene, in un altro senso che non esclude il primo, Dio ha voluto immortalare, eternizzare il ricordo delle sue antiche meraviglie, con un toccante memoriale nel quale ha come riprodotto e oltrepassato tutti gli effetti della sua saggezza, della sua potenza e del suo amore. Per i Giudei questo fu la manna che per quaranta anni cadde dal cielo, e che lungo tempo dopo, eccitava ancora il trasporto e la riconoscenza del Re-Profeta … Per i Cristiani, è la Santa Eucarestia, della quale la manna era una figura, vero e toccante memoriale dell’amore infinito del Salvatore nel mistero della Redenzione: « fate questo in memoria di me » … Tutti coloro che come i protestanti, perdono il memoriale, perdono la memoria: essi mettono in oblio le verità sante, essi cessano di pensarvi, cessano ben presto di credervi; dalla fede cadono nel razionalismo, dal razionalismo nello scetticismo. – La Santa Eucarestia, è ancora memoriale, perché essa richiama e sorpassa da sola tutte le più grandi meraviglie che Dio abbia mai operato … essa è il memoriale e la continuazione della vita stessa e di tutti i misteri del Salvatore. – «Il Signore è misericordioso e pieno di clemenza. Non c’è in effetti che l’immensa carità di Dio che abbia potuto impegnarsi a fare per noi sì grandi meraviglie, ed a rendere così la sua immolazione eterna (Mgr. Pichenot, Ps. du D.). – Cosa si è proposto soprattutto in questo? « Dare il nutrimento a coloro che lo temono. » Perché parlare qui di coloro che lo temono? Essi sono dunque i soli che Egli nutre? Non è detto nel Vangelo: « Egli fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi? » (S. Matth. V, 45). Perché dunque dire qui: « a coloro che lo temono? » Il Re-Profeta parla qui, non del nutrimento del corpo, ma di quello dell’anima. Ecco perché Egli lo ha ristretto a coloro che temono Dio, perché è ad essi che è destinato (S. Chrys.). – Questi solo che temono Dio e lo servono con fedeltà, meritano di ricevere questo nutrimento. La condizione essenziale per partecipare a questa alimento celeste, è temere il Signore, perché il timore del Signore fa che si porti alla tavola di Gesù-Cristo una coscienza pura; perché questo timore stabilisce nell’anima il desiderio della povertà, delle sofferenze e delle umiliazioni; di conseguenza, essa ci mette nello stato in cui Gesù fu sulla terra (Berthier). – « Il Signore è misericordioso e pieno di clemenza; Egli ha eternizzato la memoria delle sue meraviglie, ha dato il nutrimento a coloro che lo temono. » È nell’Eucarestia soprattutto che il Signore si mostra così pieno di misericordia e di tenerezza al nostro sguardo: – 1° come un uomo compatisce le miserie che ha provato per primo: « Il Pontefice che noi abbiamo, può compatire le nostre debolezze, perché Egli è stato provato come noi da ogni sorta di mali », (Ebr. IV, 15); – 2° Come un Dio verso la sua creatura: « Io sono come un olivo che si copre di frutti nella casa del Signore; io ho sperato nella misericordia di Dio per l’eternità » (Ps. LI, 8); – 3° Come un liberatore verso prigionieri dei quali rompe le catene; – 4° come un ricco verso un povero, al quale Egli dà in questo Sacramento, la rugiada del cielo e l’adipe della terra, grano e vino in abbondanza, (Gen. XXVII, 28); – 5° Come un pastore verso le sue pecore: « Il Buon Pastore ha fatto ciò che ha raccomandato, ha per primo eseguito ciò di cui ha fatto un precetto: Egli ha dato la sua vita per le sue pecore alfine di cambiare nel sacramento dell’Eucarestia il pane nel suo corpo ed il vino nel suo sangue, e nutrire così con l’alimento sostanziale della sua carne, le pecore che aveva riscattato. » (S. Greg. Homl. XIV in Ev.); – 6° come un padre nei riguardi di suo figlio: Colui che era il pane vero ed il latte perfetto del Padre si è dato lui stesso a noi, affinché fossimo nutriti dalla mammella della sua carne, ed essendo abituati da questo allattamento divino a mangiare e bere il Verbo di Dio, noi possiamo riceverlo e conservarlo dentro di noi (S. Iren., 1, IV, c. 74); 7° come l’anima rispetto al corpo: Gesù-Cristo è in questo sacramento l’anima della nostra anima, lo spirito della nostra bocca, (Lament., IV, 20); come il corpo è morto se non è vivificato dallo spirito, così la nostra anima è morta se Gesù-Cristo non conserva in essa la vita per mezzo di questo nutrimento celeste che Egli dà a coloro che lo temono, l’Eucarestia è veramente l’opera delle mani di Gesù-Cristo, che è ugualmente il Sacerdote e la vittima del Sacrificio dell’altare. – « Il Signore si ricorderà eternamente della sua alleanza. » Il salmista vuol combattere le orgogliose pretese dei Giudei e di tutte le anime superbe, e togliere tutti gli oggetti di vanagloria; o piuttosto Egli vuole loro mostrare che i benefici di cui Dio li ha colmati non sono dovuti ai loro propri meriti, ma all’affezione che Dio aveva per i loro padri, ed all’alleanza che aveva stabilito con essi. (S. Chrys.). – Il nostro Dio è un Dio che si ricorda, che sa tutto, al quale nulla sfugge, che ha sempre davanti agli occhi, in un solo e medesimo punto, il passato, il presente e l’avvenire … Egli si ricorda soprattutto della sua alleanza con noi, rispetta per sempre le condizioni del trattato; ciò che ha promesso, lo esegue; quando giudicherà la terra e si degnerà, per così dire, di regolare i suoi conti, l’avrà vinta sui suoi contraddittori, sarà giustificato da essi (Ps. L, 6).

ff. 6, 7. – « Egli annuncerà al suo popolo la potenza delle sue opere. » Il compimento dei disegni di Dio incontra sempre mille ostacoli, la contraddizione è il prezzo delle sue opere. Ciò che era stato promesso al popolo antico, gli era stato disputato da numerosi nemici: è stato necessario che Dio impiegasse incessantemente in suo favore la forza del suo braccio, e non è questa una figura imperfetta dei prodigi operati fin dall’Incarnazione per stabilire il regno di Dio, sostenere l’istituzione nascente della Chiesa, e decidere il mondo a credere dei misteri incomprensibili e abbracciare una morale scoraggiante per la natura … – Tutti i secoli cristiani hanno così fatto risuonare più o meno nel brusio delle meraviglie di Dio e pubblicato la sua gloria e le sue grandezze (Mgr. Pichenot, abrég.). – Perché questo dispiegamento continuo di forza e di potenza? « Per dare l’eredità delle nazioni al suo popolo, e qui, come dappertutto, la giustizia e la verità brillano nell’opera delle sue mani. Per il popolo giudeo, questa era il possesso della terra promessa che i figli di Cam consideravano loro proprietà e loro eredità; per i Cristiani, nel senso profetico, è la conversione di tutti i popoli al Cristianesimo, e l’intenzione nella quale era il Signore, di dare a Gesù-Cristo ed alla sua Chiesa, l’eredità delle nazioni. « Domandate, dice Dio a suo Figlio che ha generato, ed Io vi darò le nazioni per eredità e la terra per impero. » (Ps. II, 8). – Come gli ebrei trionfarono dei cananei e piantarono la loro tenda su questa terra conquistata, così i ministri della nuova alleanza estenderanno dappertutto l’impero della verità e della giustizia, perché tutte le nazioni sono state promesse in eredità. – Ora, perché Dio cacciò le Nazioni dalla terra che esse abitavano, alfine di darle ai Giudei? Egli lo fece per delle giuste ragioni. « Le opere delle sue mani sono verità e giustizia. » Queste parole non devono restringersi al popolo giudeo ed agli avvenimenti che gli sono propri, ma esse hanno un significato generale. – (S. Chrys.). – « La verità ed il giudizio sono le opere delle sue mani. » Conservino energicamente la verità coloro che sono giudicati quaggiù. I martiri sono giudicati quaggiù, essi sono condotti da Dio al tribunale, ove giudicheranno non solo coloro che li avranno giudicati, ma anche gli Angeli (1 Cor., VI, 3). Non si lascino separare dal Cristo né dalla tribolazione, né dalle angosce, né dalla fame, né dalla nudità, né dalla spada, (Rom. VIII, 35); « … perché tutti i suoi precetti sono fedeli. » Egli non inganna mai; Egli dà sempre ciò che ha promesso. Tuttavia non è quaggiù che dobbiamo attendere o sperare ciò che ha promesso; perché « … i suoi precetti sono stati confermati per i secoli dei secoli, stabiliti come sono sulla verità e la giustizia. » Ora è per la verità e la giustizia che noi soffriamo quaggiù, e ci riposeremo nel cielo. In effetti, « Egli ha inviato la redenzione al suo popolo, e da cosa il suo popolo è riscattato se non dalla cattività del suo viaggio quaggiù? Non c’è dunque riposo da cercare se non nella patria celeste (S. Agost.). – Perché, ad esempio, sotto la nuova legge, nel mondo della redenzione, una contrada è chiamata prima di un’altra? Perché questo popolo passa avanti a quest’altro? Quale cammino segue la fiaccola della fede, e come Dio trasporta il candelabro della rivelazione? È il segreto di Dio; a noi è sufficiente sapere che in Dio non c’è ingiustizia, né preferenza di persone; Egli fa bene tutte le cose, Egli ha le sue ragioni per agire così; esse sono sempre degne della sua saggezza e della sua misericordia. « Tutte le sue opere, qualsiasi esse siano, sono verità e giudizio, cioè giustizia. » (S. Chrys.; Mgr. Pichenot).

ff. 8, 9. – Il Re-Profeta, secondo il suo costume, passa dalla saggezza e dall’ordine che brilla nel dettaglio sì variato della creazione, alle leggi stesse della Provvidenza che comincia ad esporre. Ciò non è solo per lo spettacolo delle opere di questa creazione sì ricca e varia, ma è dando delle leggi agli uomini, che ha loro tracciato una sicura regola di condotta; è così che nel salmo XVIII, egli riunisce queste due cose, che sembrano pertanto non aver tra loro alcun rapporto. (S. Chrys.). – Tre sono i grandi caratteri delle leggi di Dio: esse sono fedeli, cioè non ingannano nessuno; sono stabili e permanenti, perché devono durare per sempre; sono fondate sulla verità e la giustizia, perché hanno per autore Dio stesso, che è la verità e l’equità essenziale. (Berthier). – Il Re-Profeta, comprende qui tutte le leggi di Dio, le leggi della creazione, che reggono gli esseri inanimati ed ai quali questi esseri inferiori si sforzano di obbedire; ma soprattutto, ed è di queste leggi che parla il profeta, le leggi fatte per l’uomo, la legge naturale, la legge scritta sulle due tavole, e la legge del Vangelo. – Ora: 1° Queste leggi sono fedeli, non ingannano mai; tutto ciò che esse promettono viene eseguito, la loro sanzione è inevitabile; le ricompense offerte a coloro che le osservano sono assicurate, così come i castighi di cui minacciano i colpevoli. – 2° Queste leggi sono stabili e affermate per sempre. La legge naturale non cambia, i suoi principi sono fissi ed invariabili, fondati sulla costituzione dell’uomo e sulla natura stessa delle cose. I precetti del decalogo non sono mai più abrogati. Cosa bisogna fare per ereditare la vita eterna … si domanda a nostro Signore? « Se volete giungere alla vita, osservate i Comandamenti. » E quali? Quelli che il decalogo enumera. Il Vangelo è vero oggi come lo era ai tempi degli Apostoli. Invano si tenta, dopo milleottocento anni di alterarli, di sminuirli, di mandarli in frantumi; gli eretici, i filosofi ed i cattivi Cristiani vi hanno perso il loro tempo; essi non hanno potuto cancellare il più piccolo iota, questi sussistono nella loro interezza, immutabili e fondati per tutti i secoli; i tempi ed i luoghi non vi mutano nulla, e mentre vediamo i trattati pretesi immutabili, le costituzioni più sapientemente elaborate cadere e sparire al soffio delle rivoluzioni e dei tempi, il Vangelo resta; il suo regno non avrà mai fine, perché Gesù-Cristo: “era ieri, oggi e sarà nei secoli”. – 3° Queste leggi sono fondate “sulla verità”, su ciò che è, sulla conoscenza esatta e precisa di Dio e dell’uomo, sui rapporti necessari che esistono tra di essi; « sulla giustizia », cioè su ciò che deve essere; perché gli obblighi che Dio ci impone scaturiscono dall’essenza e dalla natura stessa delle cose; non c’è nulla di arbitrario, nulla di inutile … Così qui possiamo notare, con gli interpreti, tutto ciò che entra nella definizione di una legge verace: la volontà formale di colui che stabilisce  le leggi, ed ha diritto di stabilirle, « omnia mandata ejus »; la sanzione che è conferma, “fidelia”; la stabilità che le distingue, « confirmata in sæculum sæculi »; la verità e la giustizia che servono loro come base, « facta in veritate ed æquitate. » (Mgr. Pichenot). –Tre sono le grandi opere di Dio per rapportarci a noi: l’opera della creazione, l’opera della redenzione e l’opera della santificazione. Il Profeta già celebra nel salmo il Dio Creatore, le cui opere sono così grandi e sì ben proporzionate alle sue vedute, di cui la Provvidenza è sì paterna e giusta, di cui le leggi infine riposano tutte sulla ragione e sull’equità; qui, egli canta il Dio Redentore. –  Il Signore ha inviato la redenzione al suo popolo. » Nel senso storico, il Re-Profeta vuol parlare della libertà resa ai Giudei; nel senso figurato e profetico, si tratta della liberazione del mondo intero, come vediamo nelle parole seguenti: « Egli ha concluso con lui una alleanza eterna. » Ed è qui questione della Nuova Alleanza: il Profeta ha parlato dell’antica legge e dei suoi precetti, ma siccome essa non è stata osservata e non ha fatto che provocare la collera di Dio, egli aggiunge: « … il Signore ha inviato la redenzione al suo popolo. » (S. Chrys.). Bontà infinita di Dio è l’aver inviato agli uomini un Salvatore, un Redentore, per metterli in condizioni di compiere i suoi precetti con l’infusione del suo Spirito e della sua grazia. « Il Figlio dell’uomo è venuto a dare la sua vita per la redenzione di un gran numero. » (Matth. XX, 28). « Ciò che era impossibile che la legge facesse, indebolendosi la carne, Dio lo ha fatto, quado ha inviato il suo Figlio, rivestito da una carne simile a quella del peccato, ed a motivo del peccato, Egli ha condannato il peccato nella carne, affinché la giustizia e la legge fosse compiuta in noi, che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo spirito. » (Rom. VIII, 3, 4). – E non è solo la redenzione che Egli ci invia, Egli impone una legge a coloro che ha riscattato, affinché la nostra vita sia degna di una sì grande grazia. « Egli ha fatto con lui una alleanza eterna. » (S. Chrys.). – « Il suo Nome è santo e terribile. » Il suo Nome è santo per i santi e per i giusti, è terribile per i peccatori e per i malvagi. (S. Girol.). – Fuggite innanzitutto dai castighi, evitate l’inferno; prima di desiderare le promesse di Dio, sfuggite alle sue minacce; « perché il suo Nome è santo e terribile. » (S. Agost.). Il santo Nome di Dio, è Dio stesso. – Siccome Egli è per sua natura spirituale ed invisibile, non può cadere sotto i nostri sensi, noi siamo ridotti a pronunziare il suo Nome quando vogliamo parlare di Lui, ed il Nome diventa così per la forza stessa delle cose, come è nel genio della lingua ebraica, il simbolo e la personificazione dell’Onnipotente … Dio è santo, Egli detesta il peccato, ha in abominio l’iniquità; il male gli dispiace sovranamente, lo condanna, lo respinge con perseverante energia … questa santità ci obbliga – noi suoi figli, suoi servi – : « siate santi, perché Io sono santo; siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste. » … Ma se siamo così ingrati, temerari nell’infrangere la sua legge, subito qualcosa di nuovo avviene in Lui. La sua potenza affrontata, la sua grandezza oltraggiata, la sua bontà disprezzata, la sua giustizia provocata, tutti i suoi attributi violati fremono, e da Santo che era, diventa minaccioso e terribile. (Mgr. Pichenot). 

III — 10.

ff. 10. – « Il timore del Signore è l’inizio della sapienza. » L’inizio della sapienza considerata nel suo effetto, è l’inizio delle operazioni della sapienza in noi, ed in questo senso il Profeta dice: il timor di Dio è l’inizio della Sapienza. Bisogna tuttavia distinguere qui il timore servile dal timore filiale: il timore servile è come un principio estrinseco, che predispone alla saggezza nel senso che allontana dal peccato per la paura del castigo, secondo queste parole dello Spirito-Santo: « Il timore del Signore caccia il peccato; » (Eccli. I); ma il timore casto o filiale è l’inizio della sSpienza come il primo effetto diretto della Sapienza. In effetti, poiché appartiene alla Sapienza dirigere, regolare la vita umana secondo le ragioni divine, è necessario che l’uomo cominci col temere e riverire Dio, e sottomettersi a Lui. È così che come per conseguenza naturale, tutte le sue azioni saranno dirette secondo le regole che Dio stesso ha stabilito. (S. Thom. II; IIæ. q. XIX, art. 7). – Il Profeta-Re, che ha celebrato nel versetto precedente le due alleanze e le due redenzioni, sembra rimarcare in questo, i loro meravigliosi effetti sul cuore, e le disposizioni necessarie per mantenervisi e ben profittarne: il timore che è l’inizio della Sapienza; la Sapienza che è l’effetto ed il coronamento del timore; il timore, che è il carattere proprio della legge antica; la Sapienza che è, con la carità, la gloria della Nuova Alleanza e del santo Vangelo; il timore, che è il primo, il meno perfetto dei doni dello Spirito-Santo e che ci allontana dal male; la Sapienza, che ne è il più eccellente, l’ultimo e che ci porta al bene; il timore e la Sapienza, con i due grandi attributi che li fanno nascere. (Mgr. Pichenot, Ps. de la D.). – Questo timore è buono per il peccatore poiché lo ritrae dal male, dall’abisso dei vizi e delle passioni; quel timore è buono anche per i giusti stessi che, in certi momenti di stanchezza, non hanno più risorse se non nelle terribili minacce, nei pensieri travolgenti degli ultimi fini, nel ricordo della morte che giunge, nelle apprensioni del tribunale che sta per ergersi, negli orrori dell’inferno. In certe occasioni delicate, non c’è che il terrore che possa raffreddare il cuore e fermare la mano; è talvolta l’ultimo freno dello stesso giusto ed è ancora come una schiuma bianca (Ibid.). – Senza dubbio la carità val più del timore; ma il timore precede ordinariamente l’amore e gli serve da furiere, come dice ingegnosamente San Francesco de Sales; è un Giovanni Battista che precede il Salvatore, è l’ago appuntito che buca il tessuto per entrarvi e lasciar passare dopo di esso il filo d’oro o di seta che deve abbellirlo. – « L’intelligenza è buona in coloro che la praticano. L’intelligenza è buone, chi può negarlo? Ma comprendere e non fare, è cosa pericolosa. Di conseguenza, l’intelligenza è vantaggiosa per coloro che agiscono. (S. Agost.). – In effetti la fede non è sufficiente se la nostra vita non è conforme ai suoi divini insegnamenti. Ma come il timor del Signore è l’inizio della Sapienza? Perché esso ci libera da tutti i vizi per insegnarci la pratica di tutte le virtù. Ora la Sapienza di cui parla qui il Profeta, non è quella che consiste nelle parole, ma la Sapienza che si manifesta con le azioni. – Il Re-Profeta non vuole che ci si contenti di ascoltare, bisogna andare fino alla pratica: « Una intelligenza salutare rischiara coloro che la praticano; » cioè coloro che praticano la Sapienza e che la manifestano nella loro condotta, fanno mostra di una vera intelligenza. « Essi possiedono una buona intelligenza; » perché in oggetto c’è una intelligenza cattiva, quella di cui ci parla il Profeta: « essi sono abili e saggi nel fare il male e non sanno fare il bene. » (Ger. IV, 22). – Ciò che il Re-Profeta chiede, è una intelligenza che si metta al servizio della virtù (S. Chrys.). – Sapere tanto per sapere, è mera curiosità; sapere per essere risaputo, è vanità; sapere per vendere la propria scienza, è un vile traffico; ma sapere per edificare gli altri, è prudenza, è chiarezza (S. Bern.). – Aggiungiamo ancora che colui che è intelligente per la buona sorte, cioè – come dice il Re-Profeta – è intelligente e cerca Dio, non solo fa prova di riflessione e di saggezza, ma nel compimento dei propri doveri trova in più una sorgente feconda di attività e di luce. « Una salutare intelligenza rischiara coloro che la praticano. » – E questa pratica non deve gonfiare d’orgoglio, perché è la lode del Signore, « di cui il timore è l’inizio e la Sapienza sussiste per i secoli dei secoli », e questa lode che noi riceveremo da Dio, sarà la nostra ricompensa; colà è il fine ultimo, là è la dimora, là il trono eterno, là si verifica la fedeltà ai precetti del Signore, confermati per i secoli dei secoli, colà si trova l’eredità della nuova alleanza, di cui Dio fa un precetto per l’eternità. (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “DIXIT DOMINUS, DOMINO MEO” (CIX)

SALMO 109: “DIXIT DOMINUS DOMINO MEO ominus”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 109

[1] Psalmus David.

    Dixit Dominus Domino meo:

Sede a dextris meis, donec ponam inimicos tuos scabellum pedum tuorum.

[2] Virgam virtutis tuae emittet Dominus ex Sion: dominare in medio inimicorum tuorum.

[3] Tecum principium in die virtutis tuae in splendoribus sanctorum; ex utero, ante luciferum, genui te.

[4] Juravit Dominus, et non poenitebit eum: Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech.

[5] Dominus a dextris tuis; confregit in die irae suae reges.

[6] Judicabit in nationibus; implebit ruinas, conquassabit capita in terra multorum,

[7] de torrente in via bibet; propterea exaltabit caput.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CIX.

Salute del regno di Cristo e del suo Sacerdozio. Cosiè inteso e spiegato in molti luoghi della Sacra Scrittura. — S. Matt., c. XXII; Att. II; Cor. XV; Ebr. I, 5, I., 10.

Salmo di David.

1. Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra; Fino a tanto che io ponga i tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi. (1)

2. Da Sionne stenderà il Signore lo scettro di tua possanza; esercita il tuo dominio in mezzo dei tuoi nemici.

3. Teco è il principato nel giorno di tua possanza tra gli splendori della santità; avanti la stella del mattino io dal mio seno ti generai. (2)

4. Il Signore ha giurato, ed ei non si muterà: Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech.

5. Il Signore sta al tuo fianco; egli nel giorno dell’ira sua i regi atterrò.

6. Farà giudizio delle nazioni; moltiplica le rovine; spezzerà sulla terra le teste di molti.

7. (E dirà): Egli nel suo viaggio berrà al torrente; per questo alzerà la sua testa. (3)

***

( 1) Il titolo di Signore, di Sovrano, dato da Davide al Messia, prova la sua divinità.

(2) La parola ἀρκὴ significa nello stesso tempo principium e principatus. – Non c’è versetto che sia stato mai tanto diversamente interpretato, e comparando tutte queste versioni, risulta che siamo al cospetto di un testo che ha sofferto. La causa non è forse perché esprime molto chiaramente la generazione eterna, e di conseguenza la divinità del Salvatore? Noi pensiamo che il testo vero è quello che segue il traduttore greco. Noi diciamo greco, perché scriveva in questa lingua. Si sa che era giudeo. L’espressione ex utero non deve essere preso alla lettera; è una antropologia (S. Gerol.). – Nello splendore dei santi, nel giorno in cui i santi saranno circondati di splendore.

 (3) Agier e de Nolhac fanno qui notare, a ragione, che nei paesi caldi dell’Oriente, e specialmente in Palestina, l’acqua è rara. I viaggiatori ricchi prendono cura di far provviste con otri che vengo portati dai cammelli o dagli schiavi, mentre i poveri sono ridotti a contentarsi di quella che trovano lungo la strada, spesso fornita dai torrenti.  La scrittura fa menzione di un torrente celebre, il torrente del Cedron, in due circostanze notevoli. Davide oltrepassa questo torrente quando esce da Gerusalemme fuggendo davanti a suo figlio Assalonne, ed ebbe ben presto a sopportare le ingiurie e le maledizioni di Séméi (II Re, XXV, 23). Gesù-Cristo passò questo stesso torrente quando uscì da Gerusalemme per andare con i suoi discepoli ove il traditore Giuda doveva poi venire a consegnarlo ai Giudei (Giov. XVIII, 1).

Sommario analitico

È di fede che questo salmo abbia come autore Davide, non solo perché Nostro Signore Gesù-Cristo glielo attribuisce alla presenza dei farisei, alla credenza dei quali Egli lo avrebbe accomodato, ma perché l’argomentazione che fonda sulla citazione che ne fa, non avrebbe valore se questo salmo non fosse composto da Davide. – È ancora di fede che questo salmo abbia per oggetto il Messia e che si riferisca interamente a Nostro-Signore Gesù-Cristo: Egli infatti lo attribuisce a se stesso (Matth. XXII, 44); San Pietro lo ha commentato in questo stesso senso (Act. II, 34), e San Paolo in modo non meno esplicito (I Cor. XV, 25; Ebr. II, 13). – Il Re-Profeta vi annuncia e ne celebra la potenza, la generazione eterna nonché il Sacerdozio del Figlio di Dio:

I. – La sua potenza reale:

1° Nel cielo, il suo trono è comune con quello di suo Padre (1);

2° Sulla terra, aspettando la sottomissione completa dei suoi nemici, punto di partenza di questa potenza (2);

3° Nell’ultimo giorno, secondo il sentimento di diversi Padri, S. Crisostomo, Teodoreto, Sant’Agostino, San Atanasio, etc.

II. – La ragione e la fonte di questa potenza:

1° La ragione di queste vittorie: Tecum principium;

2° il giorno in cui trionferà nella maniera più eclatante;

3° il segreto di tanta potenza e gloria, è la sua generazione eterna (3).

III. – Gli attributi che derivano da questa generazione:

1° Il sacerdozio la cui eccellenza deriva, a) da quanto ha promesso con giuramento; b) dal fatto di essere di un ordine superiore a quello della legge; c) per essere Egli eterno (4);

2° La potenza vittoriosa del Cristo per il rovesciamento degli idoli, il giudizio ed il castigo dei re e dei popoli, e dei demoni, dei quali colmerà le rovine con delle ineffabili sostituzioni (5, 6).

IV. – Il Mezzo con il quale è arrivato a questo alto grado di potenza e di gloria, cioè il merito e la ricompensa.

1° Egli ha bevuto l’acqua del torrente, espressioni che nella Scrittura significano ordinariamente l’umiliazione, le afflizioni ed il dolore (7). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1. – Quanto questo salmo è breve per numero di parole, tanto più è grande e considerevole per i pesi dei pensieri. (S. Agost.). – Dio ha un Figlio, e questo Figlio è Dio come Lui, e questo Figlio è generato dal Padre suo eternamente, sostanzialmente; « Egli è lo splendore della sua gloria, l’immagine della sua sostanza. » (Hebr. I, 3). Tali sono la magnificenze che canta Davide in questo salmo: « il Signore ha detto al mio Signore. » È Dio Padre che parla a Dio Figlio, e gli ricorda l’ineffabile segreto della sua eterna generazione. – È bello che Davide, al quale il trono era stato promesso nella figura di Gesù-Cristo, fosse il primo a riconoscere il suo impero chiamandolo “mio Signore”, come se avesse detto: in apparenza è a me che Dio promette un impero che non avrà mai fine; ma in verità, è a Voi, o Figlio mio, che siete anche mio Signore, che esso è dato; ed io vengo in spirito per primo tra tutti i vostri assoggettati, a rendervi omaggio nel vostro trono, alla destra del Padre, come al mio sovrano Signore. Ecco perché non è detto in generale: il Signore ha detto al Signore; ma: « al mio Signore » (Bossuet, Med.). – Noi lo vediamo essenzialmente come Dio, e diciamo: « è qui il nostro Dio e non ce n’è altri. » Perché se è generato, Egli è Figlio, della stessa natura del Padre; se è della stessa natura, Egli è Dio, ed un solo Dio con suo Padre; perché nulla è più della natura di Dio che la sua unità. – Egli è Re; io lo vedo in spirito seduto in un trono. Dove è questo trono? Alla destra di Dio; lo poteva mettere in luogo più elevato? Tutto accoglie da questo trono: tutto ciò che è accolto da Dio e dall’impero del cielo, vi è sottomesso. Ecco il suo impero. (Bossuet, Med. LII, j). – «Sedetevi alla mia destra. » Questa espressione metaforica, “sedetevi”, significa due cose, dicono San Crisostomo e san Tommaso: la maestà ed il riposo; la maestà, qui c’è eguaglianza di onore; il trono è simbolo di regalità, e poiché non c’è che un solo trono, entrambi dividono l’onore della medesima Regalità. È ciò che faceva dire a San Paolo (Hebr. I, 7, 8): « Dio ha fatto degli spiriti i suoi inviati, e fiamme i suoi ministri. Ma al Figlio, Egli dice: « Il vostro trono, o Dio, sarà un trono eterno. » (S. Chrys.). – « Sedete alla mia destra, la divinità ci viene sottolineata molto chiaramente nella prima parte di questo versetto; e non lo è meno nella seconda: il Figlio seduto alla destra del Padre, è il segno della sua potenza, della sua perfetta eguaglianza con il Padre, Egli è Dio come il Padre. Ma se c’è uguaglianza perfetta tra il Padre ed il Figlio, c’è pure distinzione di Persone: il Figlio è generato dal Padre; « Egli siede alla sua destra. » – Si può anche dire che queste parole richiamino e suppongano l’umanità di Gesù-Cristo: Egli fa il suo ingresso nel cielo, vi è ricevuto come un ospite, e Gli è assegnato da Dio, suo Padre, un posto distinto. Il Figlio di Dio, è dunque anche il Figlio dell’uomo, perché gli si da il riposo, la potenza e la gloria; il riposo dopo i travagli ed i dolori della sua vita mortale. Egli divide ora il trono di suo Padre associato al suo impero come lo è alla sua divinità. È il Signore: Egli siede nel soggiorno della gloria, e nulla accade nel mondo senza il suo ordine o il suo permesso. « Sedetevi. » La sua potenza è indistruttibile, Egli è seduto! Ben diversamente dai re ed i principi di questo mondo, che sono per così dire in piedi sui loro troni, pronti a partire al primo colpo di vento e che non fanno che prendere e deporre la porpora ed il diadema; Egli è seduto: il suo trono è eterno; il suo regno non avrà fine, (Mgr PICHENOT, PS. du Dim. 29.). – Tutto ciò che è passato nel capo, deve, fino ad un certo punto, rinnovarsi nei membri: « Se siete resuscitati con Gesù-Cristo, cercate le cose del cielo ove il Cristo è seduto alla destra di suo Padre » (Coloss. III, 2). Al termine della nostra carriera, riconoscendo in noi la somiglianza che dobbiamo avere con suo Figlio, Dio Padre ci dirà: Buoni servitori, riposatevi, fermatevi, passate alla destra; gregge fedele, voi avete completato la vostra corsa, avete conservato la fede, avete trionfato del mondo, non vi resta che gustare il riposo, cingere la corona di giustizia e prendere posto sul trono stesso di mio Figlio. – Perché, ecco ciò che dice Colui che è la verità stessa, il testimone fedele e verace, che è il principio della creatura di Dio … « Colui che sarà vittorioso Io gli darò di sedere sul mio trono, come Io stesso ho vinto, e mi sono seduto con Voi, Padre, sul vostro trono. » (Apoc. III, 14-21). – « Finché avrò ridotto i vostri nemici a servire da marciapiede. » Questa espressione “fino a che”, non designa sempre nella scrittura un tempo limitato, è semplicemente un’affermazione che si applica, invero, ad una determinata epoca, e che nondimeno non ne esclude nessuna; perché se il regno di Gesù-Cristo si dovesse intendere al di là, ove sarebbe la verità di queste parole del profeta: « La sua potenza è una potenza eterna, il suo regno, un regno che non deve esaurirsi, e questo regno non avrà fine? » (Dan. VII, 14; Luc. I, 34) Non è sufficiente intendere queste parole, bisogna comprenderle ed entrarne nell’intelligenza anche delle cose che il Profeta ha in vista (S. Chrys.). – Tuttavia, questa maniera di esprimere è logica e fondata sulla ragione; questo “fino a quando” porta in effetti sul lasso di tempo in cui le cose che si affermano sembrano meno verosimili; e dà luogo, di conseguenza, ad un fortiori invincibile per giorni migliori e più felici. Se il Cristo è tranquillamente e gloriosamente seduto sul suo trono alla destra del Padre, anche nell’ora del combattimento, e quando i suoi nemici non sono ancora vinti, Egli deve regnare meglio che mai quando Dio li avrà circondati ed annientati. (Mgr PICHENOT, p. 35.). – Il Figlio di Dio, avrà dunque dei nemici, la Santa Scrittura e l’esperienza ce lo attestano. Essi devono essere come un segno di contraddizione universale: la storia di tutti i secoli non è che il triste e lamentevole commento di queste parole. I Giudei, i Gentili, i popoli civilizzati e quelli barbari, la spada dei Cesari, la penna dei sofisti, l’ascia dei carnefici, tutto è stato diretto contro di Lui, soprattutto ciò che lo richiama, soprattutto quelli che gli appartengono. – Come saranno trattati i nemici? « Essi saranno talmente vinti, umiliati, che Io li ridurrò a servirvi da marciapiedi. » Ciò che si mette sotto i piedi di qualcuno, lo eleva e lo ingrandisce. I nemici del Signore, circondati e confusi, con le loro fronti superbe, formeranno come il primo grado del suo trono e della sua potenza. – Applichiamole – queste parole – ai Giudei, portatori dei nostri titoli, testimoni non sospetti dell’autenticità delle nostre profezie, ai persecutori, ai carnefici, agli scismatici, agli eretici, ai nemici interni ed a noi stessi. – Voi siete il nemico del Signore, sarete un giorno sotto i suoi piedi, infallibilmente adottati o vinti. Vedete quale posto volete occupare sotto i piedi del Signore vostro Dio, perché voi me avrete necessariamente uno, o di grazia, o di castigo; o verrete da voi stessi, condotti dalla grazia, a fare la vostra sottomissione al Redentore, o sarete circondato e schiacciato sotto i piedi delle sue vendette (S. Agost.).

ff. 2. – Il regno del Messia doveva cominciare da Gerusalemme, i Profeti lo avevano annunziato; il Salvatore diceva Egli stesso, non era stato inviato che alle pecore smarrite della casa di Israele, e raccomanda ai suoi Apostoli di predicare innanzitutto nella Giudea. – Questo scettro della potenza divina, questo mezzo particolare di vittoria che Dio ha scelto, è la sua croce, lo strumento stesso del supplizio, alfine di far meglio brillare la sua gloria ed apparire sola nella conversione dell’universo. Essa è stata per gli Apostoli, ciò che altra volta era stata per Mosè la verga miracolosa alla quale Dio aveva comunicato una potenza divina: San Paolo non predicava se non Gesù-Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i gentili, ciò che era in realtà la saggezza e la potenza di Dio (S. Chrys.). –  « Dominate in mezzo ai vostri nemici, », vale a dire in mezzo alle nazioni frementi. È solamente più tardi, quando i santi avranno ricevuto la gloriosa ricompensa, e gli empi la loro dannazione, che il Cristo dominerà in mezzo ai nemici? Quale stupore che allora vi domini? Ma è ora che Voi dovete dominare in mezzo ai vostri nemici, ora, in questo passaggio dei secoli, in questa propagazione e successione della mortalità umana, in questo torrente di tempi che fuggono, che bisogna assicurare la vostra dominazione in mezzo ai vostri nemici (S. Agost.). Il regno del Messia è un regno legittimo, vero, un regno volontario, ma è un regno contestato, ecco ciò che lo distingue; ci sono sempre dei nemici, Egli ne è circondato da ogni parte: « Io vi invio, diceva Gesù ai suoi Apostoli, come pecore in mezzo ai lupi. » Qual prova più grande di questa vittoria eclatante degli Apostoli, l’aver elevato degli altari in mezzo ai loro nemici, essi che erano come pecore in mezzo ai lupi, … Egli non dice: uccidete, sterminate i vostri nemici, che siano forzati a riconoscere la vostra sovrana potenza (S. Gerolamo). – Egli non dice: Siate vincitori in mezzo ai vostri nemici, ma stabilite il vostro impero, “dominate”, per insegnarci che non è un trofeo che eleva dopo aver trionfato dei suoi nemici, ma un impero che stabilisce con autorità (S. Chrys.). – Tutti i vostri nemici, o mio Re, « devono essere lo sgabello dei vostri piedi. » Essi saranno ridotti, essi saranno vinti, saranno forzati a baciare i vostri passi e la polvere ove avrete camminato; cosa aspettiamo? Mettiamoci volontariamente sotto i piedi di questo Re vincitore, per timore che non ci si metta per forza, per paura che non dica dall’alto del suo trono: « per coloro che non hanno voluto che Io regnassi su di loro, che li si faccia morire davanti agli occhi miei, » davanti alla mia verità, davanti alla mia giustizia eterna; perché questo sarà il loro eterno supplizio, che la verità e la giustizia li condanneranno per sempre, e questa sarà la morte eterna. « Sedetevi, aspettando « nel vostro trono », o Re di gloria, « finché non verrà il tempo di mettere tutti i vostri nemici sotto i piedi, » cioè: dimorate in cielo finché non veniate ancora una volta a giudicare i vivi ed i morti …

II. — 3.

ff. 3. – È sempre il Signore che parla al Signore, è Jéhovah che si trattiene con Adonai fatto uomo. Perché il Figlio di Dio dominerà in mezzo ai suoi nemici? « La sovranità è in Voi dal giorno della vostra potenza, » cioè: essa non è sopravvenuta accidentalmente, essa essenzialmente vi appartiene da sempre. È questa stessa verità che Isaia esprime in questi termini: « Egli porta sulla sua spalla il segno del suo dominio, » (Isai. IX, 6); vale a dire: Egli la porta in se stesso, nella sua natura, nella sua sostanza; è una prerogativa che non hanno i re, la cui sovranità è interamente nelle loro numerose armate (S. Chrys.). – La sovranità è con Lui, essa gli appartiene, è un suo diritto, è il suo eterno patrimonio sulla terra come nei cieli, essa non lo lascia mai. Siete Re? Gli domanda Pilato. « Si, Io lo sono, Egli rispondeva; è per questo che Io sono nato e sono venuto in questo mondo. » (Giov. XVIII, 37). San Giovanni, con uno sguardo di aquila, l’ha posto nell’isola di Patmos: « Egli portava scritto sui suoi vestiti: Re dei re e Dominatore dei dominatori. » Ma ogni sua virtù è interiore, risiede nella sua stessa volontà, scaturisce spontaneamente dalle profondità della sua natura divina. – Non è così di coloro che si chiamano i padroni del mondo: la loro forza non è che un prestito, non è sempre in essi, e soprattutto non è in essi: essa è nel numero e nel coraggio delle loro truppe, nella devozione ed abilità dei loro generali, nell’affezione e le buona volontà dei loro soggetti; essa è nei loro tesori, nelle loro muraglie o nel loro nome … se tutto ciò viene loro a mancare, essi restano soli … (Mgr. Pichenot, Ps. du Dim.). – Il Figlio di Dio conserva questa Maestà suprema in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, ma ci sono dei giorni in cui si compiace di far risplendere con più splendore e che per Lui sono i giorni della sua forza per eccellenza. Tre grandi giorni ci sono, in cui la potenza del Figlio di Dio si manifesta: il giorno della Creazione, il giorno della Redenzione ed il giorno del Giudizio e della Resurrezione (S. Agost.- S Chrys.). – Il Re-Profeta dice: « nello splendore dei santi, » e non: nello splendore, perché le ricompense eterne sono numerose e varie. Ci sono più dimore nella casa del Padre (Giov. XIV, 2), diceva Gesù-Cristo, e san Paolo (I Cor., XV, 41): « … il sole ha il suo bagliore, la luna il suo, e le stelle la loro chiarezza, e tra le stelle l’una è più brillante delle altre. » Ne è lo stesso alla resurrezione dei morti. » (S. Chrys.). Chi è colui che sembrerà così grande? Da dove viene la sua forza? Da dove viene la sua maestà? Colui che è consustanziale al Padre e al quale suo Padre ha detto: « Io vi ho generato dal mio seno ». – Un essere non può trarre la esistenza da Dio che in due maniere: o per via di creazione, secondo le parole di san Paolo: « Per noi non c’è che un solo Dio, il Padre dal quale procedono tutte le cose, » (I Cor. VIII, 6); o per via di generazione, secondo le parole di Nostro Signore Gesù-Cristo; « Io sono uscito da mio Padre, » (Giov. XVI, 28); e queste altre del salmista: « Io vi ho generato dal mio seno prima dell’astro del mattino, » non senza dubbio che Dio abbia un seno come le sue creature, ma perché i figli veri e legittimi sono generati dal seno delle loro madri. Dio dunque impiega questa espressione: « Io vi ho generato dal mio seno, » per confondere gli empi, affinché considerandone loro pasto, essi apprendano che il Figlio è il frutto vero e legittimo del Padre poiché esce dal suo dal proprio seno (S. Basilio, Adv. Eunom., lib. V). –  « Io vi ho generato dal mio seno prima dell’aurora. » Ecco ciò che spiega tutto, ed il principio delle sue grandezze. Egli viene dal seno di Dio, è una emanazione della sua sostanza, un altro se-stesso … Egli non è stato creato, non è stato fatto, ma generato; Egli non è l’opera di Dio, è il Figlio suo consustanziale; è là la sua gloria incomunicabile. Il Padre non ha detto a nessuno: Voi siete mio figlio, Io vi ho generato. (Mgr PICHENOT, PS. du D.). – Dio Padre non ha bisogno di associarsi ad altra cosa per essere padre e fecondo; Egli non produce fuori di sé questo altro se stesso, perché nulla di ciò che è fuori di Dio, è Dio. Dio dunque concepisce solo in se stesso: Egli porta in se stesso suo Figlio che gli è coeterno. Ancorché non sia che Padre, e che il nome di madre legato ad un sesso imperfetto per sé, e degenerante non gli convenga, Egli tuttavia ha come un seno materno nel quale porta suo Figlio: « Io ti ho – Egli dice – generato oggi da un seno materno. » Ed il Figlio unico si chiama Egli stesso: « Figlio unico che è nel seno del Padre, è un carattere unico proprio del Figlio di Dio; » perché dove è il Figlio, Egli solamente, che è sempre nel Padre suo, e non esce mai dal Padre suo? La sua concezione non è distinta dalla sua nascita; il frutto che è perfetto, dal momento che è concepito e non esce mai dal seno che lo porta. Chi è portato in un seno immenso è innanzitutto così grande e così immenso, come il seno in cui è concepito, e non ne può mai uscire (Bossuet, Elev. 11, S. I, El.). – Queste parole: « Prima della stella del mattino, » non significano … prima che si levi la stella del mattino, ma … prima della creazione e la nascita di questa stella. La Scrittura distingue perfettamente queste due circostanze. Prima della natura, la creazione, e prima del levarsi (Sap. XVI, 28; Ps. LXXI, 17-5), (S. Chrys.). – La stella del mattino, il precursore è messo qui per tutti gli astri, designando la Scrittura il tutto con la parte, e tutti gli astri con l’astro più brillante (S. Agost.). – Cosa dunque? La sua generazione non ha preceduto se non la stella del mattino? No, senza dubbio, poiché infatti leggiamo: « il suo trono esiste da prima della luna. » E non solo prima della luna, poiché lo stesso Re-Profeta dice del Padre: « Prima della formazione delle montagne, prima della formazione della terra e del mondo, Tu sei Dio di tutti i tempi e per l’eternità. » (Ps. LXXXIX, 2). Dio non esiste solo dopo l’inizio dei secoli, ma prima di tutti i secoli (S. Crys.). – Tanto fu senza dubbio per ricordare questa generazione eterna, che il Figlio di Dio ha voluto nascere nel tempo, a metà della notte, prima dell’aurora.   

III. — 4-6.

ff. 4. – Davide dà ora alla sua profezia la forma di un giudizio solenne, e si rivolge al Figlio di Dio stesso, segno evidente di un amore ardente, di una gioia straordinaria, di un’anima piena dello Spirito di Dio … Egli discende dalle altezze ove si era posto e tratta così di volta in volta della divinità o dell’umanità del Salvatore (S. Chrys.). –  Mistero d’amore e di condiscendenza, Dio fa, per così dire, il sacrificio della sua dignità e scende fino a prestare giuramento tra le nostre mani, se posso esprimermi così, fino a giurare per se stesso che ha detto la verità e che si possa credere alla sua parola. – Gli uomini giurano per Colui che è più grande di essi, ma l’Altissimo per chi dovrebbe giurare? Non trovando – dice S. Paolo – superiori o eguali, Egli giura per se stesso, così come ci afferma, ed il suo giuramento resta in eterno! – Cosa ha giurato? « Voi sarete sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek. » Gesù-Cristo è Sacerdote, è il Pontefice della Nuova Alleanza, il Vescovo delle nostre anime, è Lui e Lui solo che riconosce ed adora come esse meritano le grandezze di Dio, le ringrazia degnamente per i loro benefici, disarma la sua giustizia ed effonde su tutti i doni del Signore. – Egli è Sacerdote eterno; si può dire, a rigore, che il suo Sacerdozio non è cominciato e non finirà e che, fin nelle profondità di Dio, Egli celebra le sue ineffabili grandezze, riflettendole nella sua adorabile Persona. Ma il suo Sacerdozio propriamente detto non è cominciato che con il mondo. Dopo la caduta, in particolare, il Figlio di Dio preludeva al ministero ed alle funzioni sante del suo Sacerdozio. Egli è l’Agnello immolato fin dall’inizio del mondo … La Giudea, la terra intera, non è che un immenso altare ove tutto richiamava, figurava, questa grande Vittima. – Egli è Sacerdote soprattutto dopo la sua incarnazione ed in tutto il corso della sua vita mortale. È perciò che il Figlio di Dio, entrando nel mondo dice: Voi non avete voluto sacrificio né oblazione, ma mi avete formato un corpo: gli olocausti ed i sacrifici per il peccato non vi sono graditi, allora io ho detto: Eccomi (Ebr. X, 5-7). –  Egli è Sacerdote sulla croce, ove lo vediamo, con la mani stese al cielo, offrire il grande Sacrificio della preghiera … Egli resuscita e risale verso i cieli per continuarvi le auguste funzioni del suo Sacerdozio. Egli ancora è Sacerdote sulla terra e nei nostri santi tabernacoli, ove si immola ogni giorno, ove rinnova e perpetua il Sacrificio della croce. I Sacerdoti non sono che gli strumenti della sua potenza e come i veli con i quali ricopre le sue ineffabili operazioni (V. S. Paolo, Ep. ad Hebr.). –  Voi siete Sacerdote eternamente, secondo l’ordine di Melchisedek; come lui, non avete né precursori né successori; il vostro Sacerdozio è eterno; Egli non dipende dalla promessa fatta a Levi né ad Aronne ed ai suoi figli: « Venite Gesù, Figlio eterno di Dio, senza madre nel cielo, e senza padre sulla terra; nel quale noi vediamo e riconosciamo una discendenza reale; ma per quanto concerne il Sacerdozio, non lo avete se non da Colui che ha detto: « Voi siete mio figlio, oggi vi ho generato. » (Ps. II, 7). Per questo divin Sacerdozio, non bisogna essere che Dio, e Voi avete la vostra vocazione per la vostra nascita eterna. Voi venite anche da una tribù alla quale Dio non ha ordinato nulla circa il sacrificare: « la vostra ha questo privilegio di essere stabilita per giuramento », immobile, senza ripetizioni e senza cambiamenti; il Signore, Egli dice, « ha giurato, e non se ne pentirà mai. La legge di questo sacerdozio è eterna ed inviolabile. » Voi siete solo: Voi lasciate tuttavia dopo di voi dei Sacerdoti, che non sono che vicari, e non successori, senza poter offrire altre vittime se non quella che avete offerto sulla croce e che offrite eternamente alla destra di vostro Padre (Bossuet, Elev. XI+  II, S. VII, E.). Voi celebrate per Voi un ufficio ed una festa eternamente alla destra di vostro Padre, gli mostrate incessantemente le cicatrici delle piaghe che l’appagano e ci salvano; Voi gli offrite le nostre preghiere, intercedete per le nostre colpe, ci benedite, ci consacrate; dall’alto dei cieli, battezzate i vostri figli, cambiate dei doni terrestri nel vostro corpo e nel vostro sangue, rimettete i peccati, inviate il vostro Spirito-Santo, consacrate i vostri ministri, fatte tutto ciò che essi fanno nel vostro Nome; quando noi nasciamo, voi ci lavate con acqua celeste; quando moriamo ci sostenete con una unzione di conforto; i nostri mali diventano dei rimedi e la nostra morte una passaggio alla vita eterna. O Dio! O Re! O Pontefice! Io mi unisco a Voi in tutte queste auguste qualità; io mi sottometto alla vostra divinità, al vostro impero, al vostro Sacerdozio, che onorerò umilmente e con fede nella persona di coloro attraverso i quali vi piace esercitarli sulla terra (Bossuet, Médit. LII, J.). – Questa promessa che Dio Padre indirizzava a suo Figlio avanti i secoli, non si compie con meno splendore in seno alla Chiesa cattolica. Là pure, Gesù-Cristo è sempre vivente nel corpo augusto dell’episcopato e del sacerdozio; Egli non è solo il Principe dei pastori, ne è anche l’anima; la loro dignità sublime è il prolungamento del suo sacerdozio supremo attraverso il tempo e lo spazio. Sacerdote, « secondo l’ordine di Melchisedech, » cioè senza genealogia mortale. La volontà dell’uomo non vi ha parte; esso non è né nella carne né nel sangue che va ad affondare le sue radici e succhiare la linfa che l’alimenta; ma Egli è nato da Dio; la fede, la grazia e la celeste verginità lo propagano e lo perpetuano. Misterioso ed immacolato alla sua origine, è imperituro nella sua durata. L’impegno è preso: Colui che ha fatto questa importante opera non la distruggerà rimpiangendo di averla creata. Un Vescovo, un Sacerdote si estinguono; un altro Vescovo, un altro Sacerdote gli succedono, spariscono a loro volta, ma l’istituzione rimane. (Mgr PLANTIER, Mission remplie par l’Episcop.). – « Secondo l’ordine di Melchisedech. Come Melchisedech ha offerto a Dio una vittima non sanguinante, il pane ed i vino in sacrificio, e lo ha offerto al vincitore, così il Figlio di Dio istituisce il Sacrificio della Nuova Alleanza sotto le specie e le apparenze del pane e del vino. Questi semplici elementi scoprono ai nostri occhi i più profondi misteri ed i più ricchi doni. – « Avendo dunque per Sommo Pontefice Gesù, Figlio di Dio, salito nel più alto dei cieli, restiamo fermo nella fede; avviciniamoci a Lui con un cuore puro e devoto; andiamo dunque con confidenza davanti al trono della grazia, per ricevervi misericordia e trovarvi grazia in un soccorso opportuno (Hebr, IV, 14, 15).

ff. 5. – Il Re-Profeta si rivolge qui al Signore stesso che ha fatto questo giuramento: O Signore, voi che avete giurato ed avete deS per l’eternità è il Signore che sta alla vostra destra perché Voi stesso gli avete detto: «Sedete alla mia destra. »  Ma questo Cristo, il Signore seduto alla vostra destra, a chi avete fatto giuramento del quale non vi pentirete, che fa nella sua qualità di Sacerdote in eterno? Che fa, Egli che è alla destra di Dio, che intercede per noi (Rom. VIII, 34), e che entra come Sacerdote all’interno del Santo dei santi, nelle profondità segrete dei cieli, essendo il solo senza peccato e per questo anche purificante con facilità gli uomini dai loro peccati (Hebr. IX, 12, 14, 24)? « Stando alla vostra destra, ha distrutto i re nel giorno della sua collera. » Quali re? Avete dunque dimenticato queste parole: « … I re della terra si sono levati, ed i principi si sono riuniti contro il Signore e contro il suo Cristo? » (Ps. II, 2). Ecco i re che la sua gloria ha distrutti, Egli li ha gettati sotto i suoi piedi del suo nome, in maniera che non potessero fare ciò che volevano. In effetti essi hanno fatto mille sforzi per cancellare dalla terra il nome Cristiano, e non lo hanno potuto perché « chiunque urterà contro questa pietra, sarà distrutto. » (S. Matth. XXI, 44). Questi re si sono scontrati contro la pietra di inciampo, e sono stati distrutti, per essersi detti: Cos’è il Cristo? Io non so qual giudeo, qual galileo, morte in tal modo, ucciso in tale maniera. La pietra è davanti ai vostri piedi, essa è là come qualche cosa di oscuro e vile; voi vi scontrate contro di essa disprezzandola, cadete urtandola, e vi siete distrutti cadendo. Se dunque la collera del Signore è così terribile quando si nasconde, qual sarà il suo giudizio quando si manifesterà? …« Chiunque si scontrerà contro questa pietra sarà distrutto, e colui sul quale cadrà questa pietra, sarà schiacciato. » (S. Luc. XX, 18). Quando si urta contro di essa, che è come umilmente stesa a terra, ci si sgretola; ma se essa cade dall’alto, allora schiaccia. Con queste doppie espressioni: « essa distruggerà, ed essa schiaccerà, egli urterà contro di essa, essa piomberà su di lui … sono designate due epoche diverse, quella dell’abbassamento e della glorificazione del Cristo, quella del castigo nascosto e del giudizio a venire. » (S. Agost.). – « Nel giorno della sua collera; » espressione di cui la Scrittura si serve per mettersi alla nostra portata, a causa della similitudine degli effetti. Quando un uomo è spinto allo stremo, si riempie di collera, e nella sua giusta indignazione, getta e distrugge ciò che gli resiste. Così Dio, contrariato nei suoi disegni, disprezzato nel suo amore, colpisce rudemente tutti coloro che si ostinano a lottare contro di Lui e non voglio arrendersi; ma ciò che facciamo nella collera, Egli lo fa con un sangue freddo divino che è molto più terribile; Egli lo fa nella sua eterna calma, nella sua profonda ed inalterabile immutabilità; Egli è pieno di collera, non conosce altro. Che dire ancora: « Nel giorno della sua collera? » Dio non colpisce che al momento, ha dei rimpianti. La bontà è la sua natura, la giustizia è un’opera che gli è come estranea. Per se stesso, Egli non è che buono; siamo noi che armiamo le sue mani di fulmini, che lo forziamo ad essere giusto, severo, impietoso (S. Agost.) (Mgr PICHENOT, PS. du D..).

ff. 6. – « Egli eserciterà il suo giudizio in mezzo alle nazioni. » Dio governa tutto quaggiù, e nulla gli sfugge: Egli conduce i popoli e gli imperi come le famiglie ed i semplici individui, con la stessa cura e con la stessa facilità … c’è l’occhio della provvidenza, come c’è il braccio della giustizia, ed è per ciò che da Lui si rialzano tutti gli imperi, ed Egli li giudica con una sì perfetta equità. Gli uomini non vedono nel governo dei popoli che gli sforzi della politica, le combinazioni del genio o i semplici giochi del caso; il Cristiano sa che gli uomini per quanto facciano e si agitino, è Dio che li guida; invano i saggi propongano, Dio solo dispone e regola tutto con maestria. – « Egli moltiplicherà o li colmerà di rovine. »  Giudizio di Dio di due tipi: gli uni di rigore, gli altri di bontà e di misericordia. – La maggior parte degli interpreti traducono: Egli moltiplicherà le rovine, seminerà dappertutto la desolazione e la rovina, giungerà alla disfatta dei suoi nemici. Qualche altro, San Agostino, in particolare, spiega così: « Egli riempirà, colmerà le rovine fatte dalla sua giustizia, riedificherà ben presto su di un altro piano ciò che sarà obbligato a rivoltare dapprima. Quali rovine? Chiunque – egli dice – avrà temuto il suo nome, cadrà; quando sarà caduto, ciò che era sarà rivoltato, affinché ciò che non era, sia costruito.  Sappiatelo, voi ribelli al Cristo, voi elevate all’aria una torre che cadrà! Vi è più utile rivoltarvi da voi stessi, farvi umili, gettarvi ai piedi di Colui che è assiso alla destra del Padre, affinché si faccia di voi una rovina che possa essere rialzata. (S. Agost.). – Queste due interpretazioni possono essere adottate entrambe; si ha così il pensiero del profeta, e si legano facilmente queste parole alle due specie di giudizio indicato qui sopra. I salmi ci mostrano Dio di volta in volta in questi due grandi atti della sua sovrana dominazione, e la storia è là per attestare la successione e la perpetuità di questi giudizi sulla nazioni e sui popoli. – Nell’attesa che i suoi nemici siano lo sgabello dei suoi piedi, Egli non lascerà di esercitare il suo impero sulla terra; Egli schiaccerà la testa dei re; un Nerone, un Domiziano, attaccheranno la sua Chiesa, ma Egli schiaccerà la loro testa superba; un Diocleziano, un Massimiano, un Galero, un Massimino tormenteranno i fedeli, ma Egli li degraderà, li perderà, li batterà con una piaga irrimediabile, come fece con Antioco; un Giuliano l’Apostata gli dichiarerà guerra, ma perirà per mezzo di una mano sconosciuta, forse quella di un Angelo, certamente con un colpo ordinato da Dio. Tremate dunque o re, nemici della sua Chiesa! Ma voi, piccolo gregge non temete nulla: « il vostro Re metterà ai vostri piedi tutti i vostri nemici, fossero i più potenti tra i re » (BOSSUET, Médit, LII, j.).

ff. 7. – Qual è questo cammino, è il mondo per il quale il Cristo ha camminato durante la sua vita mortale. Egli è disceso dal cielo per camminare nella via di questo secolo, ha bevuto dell’acqua dal torrente che scorre nel secolo. Un torrente non ha acque naturali il cui corso sia regolare e continuo, esso è formato dalle acque dei temporali e delle tempeste; un torrente non scorre mai sulle montagne, ma sempre nelle vallate, nei burroni e nei precipizi; esso si gonfia di acque straniere, e scorre portando con sé dappertutto la devastazione e la distruzione. Le acque dei torrenti non sono mai chiare e limpide, ma sempre torbide e fangose. Ora, volete sapere come il Signore ha bevuto da questo torrente fangoso? Sentitelo dire: « … la mia anima è triste fino alla morte. » (Matth. XXVI) « Ed Egli cominciò, dice l’Evangelista, a rattristarsi ed a turbarsi. »Nostro Signore ha dunque bevuto le acque torbide del torrente di questo secolo, acque tristi e che non portano gioia con loro. Egli ha preso il calice, lo ha riempito con l’acqua di questo torrente e vedendola così torbida, ha detto: « Padre mio, se è possibile si allontani da me questo calice. » Egli ha dunque bevuto l’acqua del torrente, ma l’ha bevuta non come nella casa, ma nella via, quando si accingeva a camminare verso il termine del suo viaggio. Egli ha dunque bevuto l’acqua del torrente, perché Egli era per la via. Ora, se nostro Signore ha bevuto l’acqua del torrente di questo secolo, quanto a maggior ragione, i Santi devono berlo dopo di Lui? Volete una prova che i Santi bevono l’acqua del torrente? « … la nostra anima, dice il Profeta, ha traversato le acque del torrente. » (Ps. CXXIII). Ma sentendo parlare dei torrenti di questo secolo, non perdete coraggio. Questi torrenti restano ben presto a secco: essi sembrano gonfiarsi, le loro acque sono abbondanti, ma si ritirano prontamente se avete la pazienza di attendere (S. Gerem.). –  « Egli berrà nel suo cammino l’acqua del torrente. » Tuttavia, qual è questo torrente? Il corso fuggitivo della mortalità umana. similmente, in effetti, ad un torrente – formato dal concorso di acque pluviali – si gonfia, muggisce, corre e scorre correndo, cioè finisce la sua corsa fino a seccarsi, così è del corso della nostra mortalità. Gli uomini nascono, vivono e muoiono; mentre alcuni muoiono, altri nascono; questi a loro volta muoiono ed altri nascono ancora; tutto in successione, arrivo, partenza, cambiamento. Cosa c’è di stabile quaggiù? Cosa c’è che non scorra come l’acqua? Cosa c’è che non sia precipitato nell’abisso, come un torrente d’acqua pluvia? In effetti, similmente ad un torrente che si forma improvvisamente dalla riunione di acque pluviali, ed innumerevoli gocce di pioggia, così la massa del genere umano si forma con mille elementi segreti, e prende il suo corso fino a che la morte la rigetti nel segreto da dove è uscita; tra questi due abissi, essa fa un po’ di schiamazzo e passa. È a questo torrente che il Signore ha bevuto. Egli non ha disdegnato di bere da questo torrente; perché, per Lui, bere da questo torrente, era nascere e morire. Questo torrente ha due termini: la nascita e la morte. » (S. Agost.). – Non ci sono che due cose, quaggiù: la culla e la tomba, la nascita ed il trapasso; Gesù-Cristo li ha presi. Colui che vive e regna nei secoli si è assoggettato ai tempi; il fiume del tempo li ha trasportati nel suo corso, come i maledetti figli di Eva. – Questa acqua del torrente ha ancora un altro significato e figura la vita umile, semplice, povera del Signore, che non aveva altro per spegnere la sua sete che le acque del torrente (S. Chrys.). – Nelle sante Scritture, le acque del torrente sono ancora il simbolo delle pene e delle tribolazioni di questo esilio. Ora, tutta la vita di Gesù, è stata una croce ed un martirio continuo; ma è soprattutto alla fine della sua triste carriera che Egli ha bevuto il calice fino alla feccia. È una circostanza che gli evangelisti non ci hanno consegnato, ma che la tradizione ci ha trasmesso: Gesù-Cristo, trasportato fuori dal giardino degli Ulivi a Gerusalemme, in piena notte, fu obbligato ad attraversare il torrente di Cedron. Le guardie impietosamente lo spinsero con brutalità e lo fecero cadere nel letto quasi secco del torrente. Il Figlio di Dio, tramortito dalla caduta, avvicinò le sue labbra alle acque fangose che bagnarono i suoi vestiti sanguinanti; Egli volle gustarne l’amarezza (Mgr PICHENOT). nello stesso senso aveva detto ai suoi Apostoli, che gli chiedevano i primi posti nel suo regno: « … potete bere il calice che Io berrò? » (Matth. XX, 22), che Egli intendeva manifestamente essere la sua passione, e quando fece per tre volte questa preghiera nel Getsemani: « Padre mio, Padre mio, se è possibile questo calice passi via da me. » (Ibid. XXVI, 39). Ecco perché Egli alzerà gloriosamente la testa. » Dunque, è perché ha bevuto nel cammino l’acqua del torrente, che Egli ha alzato gloriosamente la testa; vale a dire, « poiché si è umiliato, e si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Ecco perché Dio lo ha esaltato tra i morti e gli ha dato un Nome che è sopra ogni altro nome, affinché al Nome di Gesù si pieghino i ginocchi in cielo, sulla terra e negli inferi, e che ogni lingua confessi che il Signore Gesù è nella gloria di Dio Padre. » (Filipp., II, 8-11). – Il Figlio dell’uomo si è fatto uomo, si è umiliato, annientato, fino a prendere forma di schiavo; Egli è stato povero e nel lavoro ha passato la sua giovinezza; Egli ha sofferto alla sua nascita, durante la sua vita, alla sua morte; Dio ha posto in questo triplice grado di umiliazione il principio delle sue grandezze e della sua elevazione. – Gesù-Cristo è il nostro modello: occorrerà essergli trovati conformi – dice San Paolo – per prendere posto al suo fianco nei cieli. Non ci sono che coloro che soffrano con Lui che potranno sperare di essere glorificati con Lui. – La Chiesa anche, come il suo divino sposo, camminando sul Calvario, è stata spesso rovesciata nel cammino, ed ha bevuto l’acqua del torrente; ma all’indomani della sua caduta, e precisamente a causa della sua umiliazione della vigilia, ha sollevato la testa sempre più in alto. Essa è nata nel sangue di Cristo; essa ha posto il suo trono reale a Roma, sul corpo sanguinante di Simon Pietro, il primo Vicario di Cristo; la sua storia non è che una lunga scia di sangue versata per essa  (Mgr PIE, Elog. des vol. Cath., t. v, p. 55.).– È una legge stabilita, ci dice Bossuet, che la Chiesa non può gioire di alcun successo che non gli costi la morte dei suoi figli, e che per affermare i propri diritti, occorra che sparga del sangue. Il suo Sposo l’ha riscattata con il sangue che ha versato per essa, e vuole che essa compri con un prezzo simile le grazie che Egli le accorda. »  (BOSSUET, Panég. de S. Th. de Cant.). – « Egli berrà dal torrente nella via; » Egli berrà il calice della passione, « ma in seguito alzerà la testa. » Beviamo con Lui le afflizioni, le mortificazioni, le umiliazioni, la penitenza, la povertà, le malattie; beviamo da questo torrente con coraggio; che questo torrente non ci trascini, non ci abbatta, non ci inabissi come il resto degli uomini. Allora noi eleveremo la testa; le teste orgogliose saranno distrutte, noi lo vediamo; ma le teste umiliate con un abbassamento volontario, saranno esaltate con Gesù-Cristo. (BOSSUET, Médit, LII° Jour.)

SALMI BIBLICI: “DEUS, LAUDEM MEAM, NE TACUERIS” (CVIII)

SALMO 108: “DEUS, LAUDEM MEAM, NE TACUERIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 108

In finem. Psalmus David.

[1] Deus, laudem meam ne tacueris,

quia os peccatoris et os dolosi super me apertum est.

[2] Locuti sunt adversum me lingua dolosa, et sermonibus odii circumdederunt me, et expugnaverunt me gratis.

[3] Pro eo ut me diligerent, detrahebant mihi; ego autem orabam.

[4] Et posuerunt adversum me mala pro bonis, et odium pro dilectione mea.

[5] Constitue super eum peccatorem; et diabolus stet a dextris ejus.

[6] Cum judicatur, exeat condemnatus; et oratio ejus fiat in peccatum.

[7] Fiant dies ejus pauci, et episcopatum ejus accipiat alter.

[8] Fiant filii ejus orphani, et uxor ejus vidua.

[9] Nutantes transferantur filii ejus et mendicent, et ejiciantur de habitationnibus suis.

[10] Scrutetur foenerator omnem substantiam ejus, et diripiant alieni labores ejus.

[11] Non sit illi adjutor; nec sit qui misereatur pupillis ejus.

[12] Fiant nati ejus in interitum; in generatione una deleatur nomen ejus.

[13] In memoriam redeat iniquitas patrum ejus in conspectu Domini, et peccatum matris ejus non deleatur.

[14] Fiant contra Dominum semper, et dispereat de terra memoria eorum:

[15] pro eo quod non est recordatus facere misericordiam,

[16] et persecutus est hominem inopem et mendicum, et compunctum corde mortificare.

[17] Et dilexit maledictionem, et veniet ei; et noluit benedictionem, et elongabitur ab eo. Et induit maledictionem sicut vestimentum; et intravit sicut aqua in interiora ejus, et sicut oleum in ossibus ejus.

[18] Fiat ei sicut vestimentum quo operitur, et sicut zona qua semper praecingitur.

[19] Hoc opus eorum qui detrahunt mihi apud Dominum, et qui loquuntur mala adversus animam meam.

[20] Et tu, Domine, Domine, fac mecum propter nomen tuum, quia suavis est misericordia tua.

[21] Libera me, quia egenus et pauper ego sum, et cor meum conturbatum est intra me.

[22] Sicut umbra cum declinat ablatus sum, et excussus sum sicut locustae.

[23] Genua mea infirmata sunt a jejunio; et caro mea immutata est propter oleum.

[24] Et ego factus sum opprobrium illis; viderunt me, et moverunt capita sua.

[25] Adjuva me, Domine Deus meus; salvum me fac secundum misericordiam tuam.

[26] Et sciant quia manus tua hæc, et tu, Domine, fecisti eam.

[27] Maledicent illi, et tu benedices; qui insurgunt in me confundantur, servus autem tuus lætabitur.

[28] Induantur qui detrahunt mihi pudore, et operiantur sicut diploide confusione sua.

[29] Confitebor Domino nimis in ore meo, et in medio multorum laudabo eum;

[30] quia astitit a dextris pauperis, ut salvam faceret a persequentibus animam meam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI].

SALMO CVIII.

Profezia, a morto di imprecazione, contro Giuda traditore e contro i Giudei persecutori del Cristo.

Per la fine: salmo di David.

1. Non tener celata, o Dio, la mia lode; perocché la bocca dell’iniquo e del traditore si èspalancata contro di me.

2. Han parlato contro di me con lingua bugiarda, e con discorsi spiranti il mal animo mi hanno circonvenuto e impugnato senza cagione.

3. Invece di amarmi, mi nimicavano; ma io orava.

4. E rendettero a me male per bene, e odio per l’amor mio.

5. Soggetta colui al peccatore, e il diavolo gli stia alla destra.

6. Quand’egli è chiamato in giudizio, ne esca condannato; e l’orazione di lui diventi un peccato.

7. I giorni di lui siano pochi, e il suo ministero sia dato ad un altro. (1)

8. Divengano orfani i suoi figliuoli, e vedova la sua moglie.

9. I suoi figliuoli errino vagabondi, e mendichino, e sieno discacciati dalle loro abitazioni.

10. Le sue facoltà rintracci tutte l’usuraio e sien depredate dagli stranieri le sue fatiche.

11. Non sia per lui chi l’aiuti, nè sia chi dei suoi pupilli abbia pietà.

12. I figliuoli di lui sieno sterminati; in una generazione sola resti cancellato il suo nome.

13. Torni in memoria dinanzi a Dio l’iniquità dei suoi padri, e il peccato di sua madre non sia cancellato l.

14. Sieno (i loro peccati) sempre davanti al Signore, e sparisca dalla terra la memoria loro; perché egli non si èricordato di usare misericordia. (2)

15. E ha perseguitato un povero e un mendico, e uno che aveva il cuore addolorato, per metterlo a morte.

16. E ha amato la maledizione, e gli verrà; non ha voluto la benedizione, e sarà lontana da lui.

17. E si è rivestito della maledizione quasi di un vestimento ed ella ha penetrato come acqua nelle sue interiora, e come olio nelle sue ossa. (3)

18. Siagli come la veste che lo ricuopre, e come la cintola con cui sempre si cinge.

19. Questo è presso Dio il guadagno di coloro che mi nimicano e macchinano sciagure contro l’anima mia.

20. E tu, Signore, Signore, sta dalla parte mia per amor del tuo nome; imperocché soave ell’è la tua misericordia.

21. Liberami, perché io son bisognoso e povero; e il mio cuore è turbato dentro di me.

22. Svanisco com’ombra, che va declinando; e mi agitano come si fa delle locuste. (4)

23. Le mie ginocchia sono snervate per lo digiuno, ed è stenuata la mia carne, priva di umore.

24. Ed io divenni il loro ludibrio: mi miravano, e scuotevano le loro teste.

25 Aiutami, Signore Dio mio; salvami secondo la tua misericordia.

26. E sappiano che in questo vi è la tua mano, e che questa cosa da te è fatta, o Signore.

27. Eglino malediranno, e tu benedirai; quelli che si levano contro di me siano svergognati; ma il tuo servo sarà nell’allegrezza.

28. Sieno coperti di rossore quelli che mi nimicano; e sieno rinvolti nella lor confusione come in un doppio mantello.

29. Celebrerò altamente colla mia bocca il Signore, e nella numerosa adunanza a lui darò lode.

30. Perché egli si è messo alla destra del povero, per salvar da’ persecutori l’anima mia.

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(1) Episcopatum ejus, secondo l’ebraico, il suo incarico, la sua carica, la sua intendenza.

(2) Siccome i padri sono stati santi, si può utilmente fare il ricordo dei loro meriti in favore dei loro figli colpevoli; ma, se al contrario, anche i padri sono stati colpevoli, quale difesa resta ai loro figli, che non possono ricorrere né alla loro giustizia, né a quella dei loro avi? (Bourd.)

(3) Tre gradi progressivi: il vestito, l’acqua, l’olio.

(4) « Io sono stato di qua e di là come la cavalletta ». La cavalletta non resta mai in un solo posto.  

Sommario analitico

L’Apostolo san Pietro, citando un versetto di questo salmo come essendo di Davide (Act. I, 16-20), non ci lascia alcun dubbio sul suo autore e, applicando questo testo al tradimento di Giuda, ci dà, per così dire, la chiave che deve servirci per entrare nell’intelligenza dell’intero salmo. In questo salmo, composto da Davide durante la persecuzione di Saul, o di Assalonne, o secondo delle tradizioni di Doeg l’idumeo, o di Architofel, il Profeta, parlando a nome del Messia nella sua passione, ricorda il crimine odioso di Giuda e dei Giudei deicidi dei quali Giuda fu il capo, ed i castighi che ne sono stati la sequela per questo discepolo traditore e per tutta questa perfida nazione.

I. – Egli chiede a Dio suo Padre che la sua innocenza non sia confusa dagli sforzi dei suoi nemici, vale a dire:

1° dalle loro empietà e menzogne (1); – 2° dai loro inganni e violenze (2);

3° dal loro odio immotivato (3); – 4° dalla loro piùnera ingratitudine, che fa loro rendere il male per il bene (4).

II. – Ne predice il castigo:

1° ne fa vedere la severità; – a) nella loro anima, 1) il demonio costituito sopra di essi (5); 2) Dio divenuto per essi un giudice inesorabile (6);  – b) nel loro corpo, la loro vita distrutta, i loro giorni ridotti ad un piccolo numero (7); – c) nel loro onore, l’apostolato di Giuda trasferito ad un altro; – d) nei loro figli, divenuti orfani, erranti e mendicanti, cacciati dalle loro dimore, spogliati dei loro beni (8-10); – e) nei loro amici, nessuno che venga in loro soccorso (11); – f) nei loro discendenti, la distruzione della loro posterità e l’oblio completo del loro nome in una sola generazione, ed i figli che portano la pena dovuta ai crimini dei loro padri (12-14);

.2° Egli ne indica la causa: – a) il difetto di misericordia (15); – b) il loro eccesso di crudeltà (16); – c) la preferenza che essi hanno dato alla maledizione sulla benedizione (17, 18); – d) le loro calunnie e le loro menzogne (19).

III. – Implora il soccorso da Dio e ne dà come motivo:

1° La potenza di Dio e la sua bontà sovranamente misericordiosa;

2° la sua povertà, la sua indigenza, l’esaurimento delle sue forze, lo stato di debolezza al quale è ridotto, la perdita del suo onore e della sua reputazione (20-24);

3° Dio attesterà così la sua misericordia e la sua potenza (25, 26);

4° Egli coprirà di confusione i suoi nemici, e diffonderà la gioia nel cuore del suo servitore (27, 28).

IV. – Promette a Dio solenni azioni di grazie, in riconoscenza di un sì grande beneficio (29, 30).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1—4

ff. 1, 2. – « Dio, non tacete la mia lode; » cioè: Giuda mi ha tradito, i Giudei mi hanno perseguitato ed inchiodato alla croce, ed hanno creduto di avermi perso senza speranza di ritorno; ma Voi, « … non tacete la mia lode. » La Chiesa intera, su ogni punto del pianeta, canta le lodi del Signore, e così si trova compiuta questa preghiera che Egli faceva a suo Padre: « O Dio, non tacete la mia lode. » Vedete quanto sia grande la dignità di un prete; i preti aprono la bocca, ed è per il loro ministero che Dio non tace sulle lodi di suo Figlio (S. Gerol.). – La gloria dell’anima giusta è inseparabile dalla gloria di Dio, essa non può cercarla che in Dio. « È in Dio che la anima sarà glorificata. » dice allora il Salmista. » (Ps. XXXIII, 3) « Chi si glorifica si glorifichi nel Signore. » (I Cor. I, 31) – È dunque permesso cercare in Dio la sua gloria, la sua giustificazione e la sua lode, e rimettere nelle sue mani la difesa della propria innocenza oppressa. Egli sarà ben parlare quando sarà tempo. –  Il peccatore qui è distinto dall’uomo ingannatore, perché quest’ultimo costituisce una specie particolare in materia di calunnia, quando tenta di essere amico di colui che distrugge crudelmente in sua assenza (Dug.) – « Essi mi hanno come assediato con i loro discorsi pieni di odio, etc. » Qual eccesso di perversità, quale colpevole complotto, quale premeditazione nel crimine! Ecco ciò che provoca soprattutto l’indignazione di Dio: è questa combinazione sapiente e riflessiva del crimine nei malvagi che lo commettono. –  Grande differenza c’è tra colui che la seduzione ed l’occasione fanno cadere nel crimine, e colui che ne fa professione, che lo commette a sangue freddo, e soprattutto chi va fino all’ultimo limite esercitando la sua malvagità sulla stessa innocenza (S. Chrys.). – Come i giusti amano Gesù-Cristo gratuitamente, così gli empi lo odiano gratuitamente; perché come i buoni ricercano la verità per se stessa e senza interesse personale, così i malvagi ricercano l’iniquità; ciò che fa dire ad un autore profano di un celebre cospiratore (Sallustio, Catilina), che egli era malvagio eternamente senza motivo (S. Agost.). – È la prova più grave della pazienza: si cede più facilmente tra gli altri mali in cui non si cela la malizia degli uomini; ma quando la malignità dei nostri nemici è la causa della nostre disgrazie, si ha difficoltà a trovar pazienza. E la ragione è, ad esempio, che nelle malattie, un certo corso naturale delle cose ci apre più chiaramente l’ordine di Dio, al quale la nostra volontà, benché indocile, vede bene non di meno di doversi adattare; ma quest’ordine, che ci viene mostrato nelle necessità naturali, ci è nascosto al contrario, dalla malizia dell’uomo. Quando noi siamo circuiti dalle frodi, dalle ingiustizie, dagli inganni; quando vediamo che i nostri nemici ci hanno come assediato e circondati con parole di odio; così come parla il divin salmista, che le uscite per fuggire, le venute in nostro soccorso, sono chiuse da una circonvallazione di iniquità, e che da qualunque lato ci volgiamo, la loro malizia ha preso di fronte, e ci ha chiuso da ogni parte, allora è disagevole riconoscere l’ordine di un Dio giusto tra tante ingiustizie che ci opprimono; e ci sembra che per la malizia degli uomini che ci ingannano e che ci opprimono, il nostro cuore creda di avere il diritto di rivoltarsi; ed è qui che si può essere spinti agli ultimi eccessi. O Gesù, Gesù crocifisso tra gli empi! O Giusto perseguitato nella maniera più oltraggiosa! Venite in nostro soccorso e fateci vedere l’ordine di Dio nei mali che noi sopportiamo per la malizia degli uomini. (Bossuet, IV Serm. sur la Passion).

ff. 3, 4. – « Invece di amarmi, mi hanno calunniato. Vi sono sei tipi di procedimenti nei riguardi del prossimo: rendere il bene per il male, non rendere il male per il male; rendere il bene per il bene, rendere il male per il male; non rendere il bene per il bene, rendere il male per il bene. I due primi sono propri dei giusti, e la prima delle due è la migliore; le due ultime sono proprie dei malvagi, e l’ultima è la peggiore delle due; i due intermedi sono propri dei malvagi che vivono tra il bene ed il male, ma il primo appartiene piuttosto ai buoni ed il secondo ai malvagi (S. Agost.). – Così i due estremi sono: rendere il bene per il male, e questo fu il processo di Gesù-Cristo; e rendere il male per il bene, questo fu il crimine dei Giudei. Il Salmista riunisce questi due estremi e fa intendere con questo che non parla che di Gesù-Cristo, che ha reso il bene più grande per il male più grande, e che dei Giudei, che hanno reso il male più grande per il bene più grande. – « Ed io, tuttavia pregavo. » Vedete che saggezza! Qual moderazione, qual dolcezza, qual pietà! Io non prendevo le armi, non marciavo per combatterli, per vendicarmi; è presso di Voi che mi rifugiai, in questa fortezza inespugnabile, in questo porto inaccessibile alla tempesta, nell’asilo assicurato dalla preghiera, per la quale tutte le cose più difficili diventano facili e leggere. Io imploravo la vostra alleanza, la vostra protezione, queste armi invincibili, questo soccorso al quale niente può resistere. (S. CRHYS., in hunc Ps. et hom. xxix, in Gen.). – « Ed io, tuttavia, pregavo. » Ecco le armi del Signore: la preghiera; tali devono essere anche le nostre armi. Se siamo perseguitati, se siamo oggetto di invidia, di odio, diciamo: « … invece di amarmi, essi mi disprezzano con le loro maldicenze; ed io, che facevo? Io pregavo. » questo per trionfare dei miei nemici? A Dio non piace. Il Signore non pregava per ottenere la vittoria sui suoi nemici. « Da parte mia, io pregavo. Qual era l’oggetto della mia preghiera? « Padre mio, perdonate loro, perché non sanno cosa fanno. » – Qual bene hanno ricevuto? Qual male hanno reso?  Egli risponde: « odio per l’amore mio. » Ecco il loro crimine tutto intero, ed è grande. In effetti, qual male potevano fargli i suoi persecutori, a Lui che moriva per sua volontà, e non per necessità? Ma il crimine più grande del persecutore era l’odio stesso, benché il supplizio fosse volontario (S. Agost.). – Il salmista ha spiegato per bene la sua prima parola: « Invece che amarmi, » e dimostrato che si trattava per essi, non di dare un amore qualsiasi, ma di rendere l’amore che Egli portava loro (S. Agost.) – Considerate, Cristiani, prete o religioso, l’esempio del Signore vostro: è con il bacio che Egli ha accolto il discepolo traditore che veniva a consegnarlo ai suoi aguzzini; se Egli apre la bocca, è solo per pregare suo Padre per coloro che lo crocifiggono, e noi cosa dobbiamo fare riguardo ai nostri fratelli? (S. Gerol.).

II. — 5-19.

ff. 5-14. – Il Profeta predice il castigo che riceveranno a causa della loro empietà, e sembra, per la forma che utilizza, desiderare, come per desiderio di vendetta, che questi castighi si compiano, mentre che non fa che annunciare pene certissime, giustamente meritate da tali uomini, e che saranno loro inflitte dalla giustizia di Dio. C’è chi non comprendendo questa maniera di profetizzare l’avvenire sotto l’apparenza di una imprecazione, crede che il Profeta rende ai malvagi odio per odio. In effetti ci sono pochi uomini capaci di distinguere il piacere che causa il castigo dei malvagi ad un accusatore che brucia nel soddisfare il suo odio, dalla soddisfazione tutta diversa di un giudice che nella rettitudine della sua volontà, punisce un crimine. Il primo rende il male per il male; ma questo giudice, anche quando colpisce, non rende il male per il male, poiché rende ad uno ingiusto, ciò che è giusto. Ora, ciò che è giusto è certamente buono; egli non punisce per il piacere della sofferenza altrui, ciò che è il rendere male per il male, ma per amore della giustizia, ciò che è rendere il bene per il male. (S. Agost.). –  Giusta punizione del peccatore è quella che nello stesso tempo che crede di essersi assoggettato i giusti che ha oppresso, è egli stesso sottomesso al potere del principe dei peccatori; perché noi diventiamo schiavi di colui che ci ha vinto (II. Piet. II, 19). – Egli non ha voluto vivere sotto le leggi di Cristo e sottomettersi al suo impero, è condotto dal demonio che si tiene sempre alla sua destra, perché ordinariamente si mette alla destra ciò che si preferisce: « Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. » (Ps. XV, 8) – (S. Agost.). – Davide non dice: che venga in giudizio; ma, quando lo si giudicherà, che esce condannato, perché dove c’è il giudizio si dubita della colpevolezza; ma quando c’è condanna, il crimine è manifesto (S. Gerol.). – Cosa importano a noi i giudizi degli uomini, a noi che dobbiamo poter dire con san Paolo: «Io non mi prendo pena dell’esser da voi giudicato, o da un tribunale umano, ma il Signore è il mio giudice. » Ciò che noi dobbiamo temere è questo tribunale del Giudice sovrano, la cui sentenza è senza appello, perché essa è conforme alle leggi della eterna Verità. – « E che pure la sua preghiera gli sia imputata a peccato. » Il pentimento di Giuda è stato un nuovo e più grande crimine. E come questo? Egli se ne andò e si pentì; » dopo aver tradito il suo Maestro diede la morte a se stesso. Io lo dico ad onore della clemenza e della misericordia del Signore, Giuda offese Dio più gravemente dandosi la morte che traendo il suo divino Maestro. La sua preghiera sarebbe servita come sua penitenza, essa però si è rivoltata in un nuovo peccato, così è per coloro che si sono separati volontariamente dalla Chiesa, o che perseverano volontariamente nel crimine: essi pregano e la loro preghiera si cambia in peccato. Il sovrano dolore dell’uomo è che la sua preghiera non sia esaudita; ma il malore peggiore che possa arrivargli, è che la sua preghiera gli sia imputata come peccato, che divenga un peccato. Ora la preghiera diventa un peccato o in ragione della sua forma, o in ragione della sua materia, o in ragione delle circostanze che l’accompagnano. – 1° a motivo della forma, è un peccato quando non è diretta a Dio; 2° a motivo della materia, essa diventa peccato quando si chiede a Dio ciò che non gli si deve domandare, come la morte di un nemico o delle cose nocive per la salvezza; 3° a motivo delle circostanze che l’accompagnano, essa è un peccato: a) quando il peccatore prega con l’intenzione formale di perseverare nel suo peccato: « se ho considerato l’iniquità nel mio cuore, Dio non mi esaudirà (Ps. LXXV, 18); « c’è una preghiera esecrabile, quella dell’uomo che chiude l’orecchio per non ascoltare la legge, »;  b) quando la preghiera è fatta con negligenza affettata: « maledetto è colui che ha fatto l’opera di Dio con negligenza. » (Ger. XLVIII, 10); c) quando è fatta in mezzo ai tumulti delle passioni e delle affezioni che tengono il cuore attaccato alla terra: « Allora prostrata parlerai da terra e dalla polvere saliranno fioche le tue parole; sembrerà di un fantasma la tua voce dalla terra, e dalla polvere la tua parola risuonerà come bisbiglio, » (Isai. XXIX, 4); d) Quando la preghiera è congiunta ad un sentimento di arroganza o di ambizione, tale era la preghiera del fariseo (Luc. XXIII); e) quando è frammista all’ipocrisia: « quando pregate, non siate come gli ipocriti che amano pregare in piedi nelle sinagoghe e sulle pubbliche piazze, per essere visti dagli uomini; in verità, Io vi dico, essi hanno già ricevuto la loro ricompensa. » (S. Matt. VI,5); f) infine quando parte da un cuore chiuso alla misericordia ed alla carità fraterna; « lasciate il vostro dono davanti all’altare, ed andatevi prima a riconciliare con il vostro fratello, ed allora verrete ad offrirmi la vostra offerta. » (S. Matt. XXIII, 14). La preghiera diventa un peccato nella bocca di colui che maledice il suo nemico. Ecco un Cristiano che domanda la morte del suo nemico, e persegue nella sua preghiera colui che non ha potuto raggiungere con la sua spada. Colui che egli maledice vive ancora, ma colui che lo ha maledetto è già colpevole della sa morte. Pregare in tal modo, è combattere nelle proprie preghiere contro il Creatore di tutti gli uomini, ciò che fa dire al Re-Profeta parlando di Giuda: « che la sua preghiera gli sia imputata a peccato. » – La vita degli empi e dei peccatori è breve. « Alcun bene c’è per l’empio; Dio abbrevierà i suoi giorni; coloro che non temono il volto del Signore passeranno come l’ombra; » (Eccli. VIII, 13); e visse un gran numero di anni, ma la sua vita è sempre breve, perché la maggior parte dei giorni sono inutili per la salvezza, e non solo inutili, ma opposti alla salvezza, e materia stessa di eterna riprovazione. (Berthier). – Qual soggetto di tristezza e di lacrime eterne, quando un altro viene a prendere il posto e la corona che ci erano destinate! – Dio punisce spesso i figli per i peccati dei loro genitori, e non, in verità, di una punizione interiore che riguarda l’anima, perché qui ciascuno porta il suo fardello, ma con una punizione esteriore che riguarda i mali di questa vita, che si estendono talvolta fino alla terza e quarta generazione ed oltre. Lungi dall’accusare qui Dio di ingiustizia, bisogna piuttosto lodare la sua misericordia e la sua saggezza del fatto che punendo con pene temporali, fin nei bambini di coloro che lo hanno offeso con i loro crimini, spaventano salutarmente tutti gli altri ai quali questi castighi servono da lezione. (Duguet). –  « Che l’usuraio ricerchi ogni suo bene. » Voi gli avete dato una somma di denaro come agli altri, Signore, … che ne ha fatto? Non lo ha conservato in un panno, non lo ha sotterrato nella terra, senza preoccuparsi di farlo fruttare, ma dato che fu in possesso del talento del suo padrone, ricevette dai suoi nemici trenta denari e se ne servì per vendere il suo Maestro. Ecco perché io vi supplico Signore, esigete da lui l’usura del vostro denaro (S. Gerol.). – Il peccatore, al momento della morte, prova tutto ciò che dice qui il profeta, con la differenza che, in rapporto a lui, le conseguenze di questo stato di abbandono e di riprovazione, sono eterne. Tutto ciò che possedeva di virtù puramente umane, non può supplire alla sua indigenza spirituale: questi sono come lavori perduti per lui. Egli non trova alcuna risorsa né nella stima pubblica, né nel talento che ha avuto nel trattare i grandi affari, né nell’amore dei suoi prossimi, né nei rimpianti dei suoi amici. I suoi veri figli dovevano essere le opere di pietà cristiana, l’esercizio dell’amore di Dio, la carità del prossimo, lo zelo della Religione, l’imitazione di Gesù-Cristo e dei Santi. Tutto questo gli manca. È forse un saggio del mondo, un filosofo forse riverito nel paganesimo; ma nel tribunale di Dio questi nomi non sono ammessi. Egli non conosce il Vangelo, ed è questo Vangelo che lo accuserà. Gesù-Cristo non è venuto per acquistare filosofi per il regno di suo Padre, ma per popolare il cielo di uomini che abbiano disprezzato il fasto della filosofia e l’orgoglio del mondo, che abbiano combattuto l’amor proprio, fatto la guerra ai loro sensi, praticato l’umiltà e la rinunzia, che abbiano sopportato in spirito di fede, le tribolazioni di questa vita, e che non abbiano sospirato se non il soggiorno dei Santi. (Berthier).

ff. 15-19. –  Giuda non si è ricordato di far misericordia a Colui che l’aveva accolto con tanta bontà, nel momento stesso in cui stava per tradirlo con un bacio. (S. Girol.). – « Egli ha perseguitato l’uomo povero ed indigente, e cerca di far morire colui il cui cuore è affranto dal dolore. » L’ultimo grado della crudeltà, il colmo della disumanità, è attaccarsi a colui per il quale dovrebbe piuttosto nutrire sentimenti di pietà e di commiserazione. Colui che è giunto a questo grado, scende fino agli istinti delle bestie feroci, e le sorpassa anche in crudeltà. Gli animali per natura possiedono questo istinto di ferocia; l’uomo al contrario, che ha la ragione, prostituisce al crimine questa nobile facoltà (S. Chrys.). – Nessuno presenta la maledizione come l’oggetto dei suoi desideri e del suo amore; ma tutti i peccatori commettono, per scelta e piena convinzione, delle azioni che essi sanno dover essere seguite dalla maledizione. – « Ecco che io oggi metto davanti a voi la benedizione e la maledizione: la benedizione se obbedite ai Comandamenti del Signore vostro Dio; e la maledizione se non obbedite ai precetti del Signore vostro Dio, e se volgete via lo sguardo dalla via che Io vi mostro ora per camminare in luoghi stranieri che non conoscete. » (Deuteron. XI, 26-28). – Diversi sono i gradi di maledizione: 1° essere coperto come da un vestito: sono le maledizioni esteriori, che non colpiscono che al di fuori; – 2° la maledizione « che entra come l’acqua nelle viscere »: queste sono le maledizioni esteriori che entrano fin dentro l’anima; – 3° « Come l’olio nelle ossa: »  sono le maledizioni che penetrano fino in fondo, nel più intimo dell’anima, fino al cuore; – 4°  « essere cinto per sempre come da una cintura: » è questa la terribile ed eterna maledizione che Dio lancerà contro i riprovati, nel grande giorno del giudizio finale (Duguet) – Il peccato ha questo di proprio, che imprime una macchia nell’anima, che ne sfigura tutta la beltà, e passa la spugna sui tratti dell’immagine del Creatore che è rappresentato in essa. Ma un peccato reiterato, oltre a questa macchia, produce ancora nell’anima una tendenza ed una forte inclinazione al male, per il motivo che entrando nel fondo dell’anima, mina tutte le sue buone inclinazioni, e la spinge, con il suo peso, verso gli oggetti della terra. La scrittura si serve di tre paragoni potenti per esprimere il danno di questa malattia: « Egli si è rivestito di maledizione come di un vestito; essa vi è penetrata come l’acqua dentro di lui e, come l’olio, fin nelle sue ossa. » La maledizione è, nel peccatore d’abitudine, come un vestito perché essa riempie tutto il suo esterno, tutte le sue azioni, tutte le sue parole; la sua lingua non fa che proferire menzogna; essa entra come l’acqua al suo interno e ne corrompe i pensieri in modo tale che non ne abbia più se non di ambizione, etc.; ed infine essa penetra come l’olio nelle sue ossa, vale a dire ciò che sostiene la sua anima e gli dà solidità. Egli spegne tutti i sentimenti della fede, perché infine tutto svanisce in questi grandi attaccamenti che ha al peccato; egli affossa la speranza, perché tutto il suo sperare è nella terra; egli spegne la carità, perché l’amore di Dio non può accordarsi con l’amore delle creature; orbene il vestito rappresenta la tirannia, l’acqua l’impetuosità, l’olio una macchia che si spande dappertutto e non si cancella quasi mai (BOSSUET, Sur le péché d’habitude. « Ecco l’opera di coloro che mi calunniano davanti al Signore. » Il Profeta non ha detto: « Ecco la ricompensa, » ma: « … ecco l’opera ». In effetti è evidente che questo vestito di cui l’empio si riveste e di cui si copre, questa acqua, quest’olio, questa cintura, significano le opere con le quali l’empio acquista l’eterna maledizione (S. Agost.).

III. — 20-28.

ff. 20-27. – Tutte le condizioni di una santa preghiera sono in questi versetti: una grande idea di Dio e del suo santo Nome; la piena fiducia nella sua bontà e nella sua misericordia; un sentimento profondo della propria miseria, della propria indigenza, delle piaghe della propria anima. C’è molta forza e tante istruzioni in queste parole: Signore, fate insieme a me; se io sono solo, io non posso niente; con Voi io posso tutto. Gesù-Cristo solo poteva servirsi di questa espressione in tutta la sua estensione; perché Egli stesso dice che è sempre con suo Padre, che suo Padre fa tutto con Lui, che le sue operazioni sono quelle di suo Padre. Ma S. Paolo dice anche: « Io sono, per grazia di Dio, ciò che sono; … io ho lavorato più degli altri, non solo da me stesso, ma la grazia di Dio con me. » Il grande segreto della pace e del benessere, è che Dio faccia tutto con noi. Se Egli è l’agente principale in tutto e dappertutto, non si dovrà temere che noi facciamo male ciò che facciamo o ciò che noi vogliamo fare. (Berthier). – Vediamo nello stesso tempo la religione e l’umiltà del Profeta; i mali che egli subiva, erano un titolo legittimo per ottenere il soccorso di Dio … Tuttavia, egli non fa uso di questo titolo, e non mette la fiducia se non nella bontà di Dio: « Agite per me a causa del vostro Nome. » Non è perché io ne sono degno, ma perché Voi siete buono e misericordioso. Egli aggiunge: « Perché la vostra misericordia è piena di dolcezza. » Non è lo stesso della misericordia degli uomini, che diventano, sovente, con le loro mani, strumento di distruzione e di morte, mentre Dio non è mai misericordioso se non per i nostri interessi. « Liberatemi perché io sono povero, etc. » Egli prega Dio di nuovo di liberarlo, non perché ne sia degno, né perché sia giusto, ma perché egli è tutto spossato in preda ad innumerevoli dolori. (S. Chrys.). – « Io sono sparito come l’ombra al suo declinare. »  È la figura della morte. Così come, in effetti, la notte viene al declinare delle ombre, così la morte giunge al declinare della carne mortale. (S. Agost.). –  « Io sono stato gettato qua e là come le cavallette: » io ero venuto per proteggere il mio popolo, e gli ho detto: « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che vengono a te inviati, quante volte ho dovuto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali. » (Matth. XXIII). Io ero venuto come una chioccia per proteggerli, ed essi mi hanno accolto con le disposizioni più ostili; io ero venuto come una madre, ed essi mi hanno messo a morte come un omicida. « Io sono stato gettato qua e là come cavallette. » Cosa vuol dire? Essi mi hanno perseguitato, mi hanno rigettato, io abitavo a Nazareth e mi hanno perseguitato. Io sono venuto a Cafarnao ed il loro odio mi ha seguito. Da Cafarnao sono venuto a Bethsaida, e vi ho trovato nuovi persecutori. Io sono venuto a Gerusalemme, non potevo permettermi di separarmi dal mio popolo, e vi ho trovato persecutori ancora più accaniti:  « Io sono stato gettato qua e là come le cavallette. » (S. Gerol.). –  Stato di un uomo oppresso da mali è questo: la sua vita si estingue, erra da una parte all’altra come le cavallette, le sue ginocchia non possono più sostenerlo, la sua carne è disseccata. Gesù-Cristo, durante la sua passione, fu ridotto in questo stato deplorevole. Egli era l’Eterno, e la sua vita sulla terra gli sfuggiva come l’ombra; Egli era il centro di tutti gli esseri, di tutti i beni, di tutte le perfezioni, immutabile nella sua felicità, invariabile nei suoi decreti, e sulla terra fu esposto a tutte le tempeste, l’oggetto di tutte le contraddizioni, il trastullo di tutte le passioni degli uomini. La fine di tanti contrasti fa la gloria ed il trionfo di Gesù-Cristo. Questa roccia – dice S. Agostino – è battuta dalle tempeste, ma tutte queste onde si sono infrante contro di Lui; i suoi nemici sono periti, e Lui solo sussiste. Ecco il nostro modello: « Siamo in questo secolo, che è un mare pieno di burrasche, siamo pronti ad affrontare con coraggio tutte le tempeste; non cederemo ad alcun uragano, sosteniamo tutti gli assalti, sussistiamo con Gesù-Cristo. » (Berthier). – Gesù-Cristo non è stato solamente oppresso, ma riempito di obbrobri; I Giudei lo hanno trattato da samaritano, e dicevano: « è nel nome di belzebuth, principe dei demoni, che Egli caccia i demoni; non è il figlio di Giuseppe? I suoi fratelli e sorelle non sono forse in mezzo a noi? » E ancora « Tu che distruggi il tempio di Dio e lo ricostruisci in tre giorni, scendi ora dalla croce. » (S. Gerol.). –  Siamo ben lieti di essere trattati come Gesù-Cristo, che il mondo non approvi niente di ciò che noi facciamo, scuota la testa nel vederci, come lo ha scosso vedendo Gesù-Cristo sulla croce (Dug.). – « Tutti sappiano che la vostra mano è là, e che siete Voi, Signore, che fate queste cose. » Comprendano i Giudei che il loro odio omicida non ha prevalso contro di me, ma che è per effetto della vostra volontà e della mia che Io ho sofferto, e per questo ho detto, in quanto uomo: mio Dio, Io sono venuto per fare la vostra volontà; è la vostra volontà e la mia, e non la loro volontà, che sono state causa delle mie sofferenze. Ciò che Voi avete voluto, l’ho voluto anch’Io. Era necessario che arrivasse lo scandalo, ma maledizione a colui mediante il quale esso è arrivato (Matth. XVIII), (S. Gerol.). – Tre cose hanno concorso alla redenzione del genere umano: la volontà di Dio, l’accettazione di Gesù-Cristo, la malvagità dei Giudei; ci sono dei prodigi in questo avvenimento: un prodigio di giustizia e di misericordia da parte di Dio, un prodigio di sottomissione e di amore da parte di Gesù-Cristo, un prodigio  di accecamento e di furore da parte dei Giudei. Un quarto prodigio è che gli uomini si perdono, dopo essere stati riscattati a così gran prezzo. (Berthier).

ff. 28. « Essi malediranno e voi benedite. » È dunque questa una vana e fallace maledizione, come quella dei figli degli uomini, che amano la vanità e cercano la menzogna (Ps. IV, 3). Dio al contrario quando benedice, agisce così come parla (S. Agost.). –  Il Re-Profeta ci insegna che tutte le maledizioni dei suoi nemici non possono prevalere contro la benedizione di Dio; non solo esse non faranno alcun male, ma questi oltraggi ed obbrobri, ricadranno con tutto il loro peso sugli autori. « Ma  il vostro servo gioirà in Voi. »  La sorgente della gioia è la stessa dalla quale si riversano su di lui tanti beni. (S. Chrys.). – Non è solo il castigo, ma l’umiliazione, l’onta che richiama su di essi, affinché sia per essi una correzione ed una occasione per divenire migliori. (S. Chrys.).

IV. — 29-30

ff. 29-30. – Per tutti questi beni che ha ricevuto da Dio, egli offre un inno, un cantico di lode, di azioni di grazie; egli annuncia a tutti gli uomini le opera della sua Potenza, e rende pubblico, come in un teatro, i benefici di cui Dio lo ha ricolmato. Ecco il sacrificio, ecco l’offerta che Dio gradisce: conservare sempre il ricordo dei suoi benefici, inciderli profondamente nella propria anima, renderli continuamente pubblici, e portarli a conoscenza di tutti gli uomini. (S. Crys.). – È facile fare violenza al povero, perché egli è povero; ma più sembra disprezzabile ed abbandonato, più si deve temere di fargli violenza, perché credendo di attaccare un uomo, si attacca Dio, « … che si pone a destra del povero, » e si dichiara il sostegno dei poveri ed il difensore degli oppressi (Berthier). 

SALMI BIBLICI: “PARATUM COR MEUM, DEUS” (CVII)

SALMO 107: “PARATUM COR MEUM, DEUS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 107

Canticum Psalmi, ipsi David.

[1] Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum; cantabo, et psallam in gloria mea.

[2] Exsurge, gloria mea; exsurge, psalterium et cithara; exsurgam diluculo.

[3] Confitebor tibi in populis, Domine, et psallam tibi in nationibus;

[4] quia magna est super caelos misericordia tua, et usque ad nubes veritas tua.

[5] Exaltare super cælos, Deus, et super omnem terram gloria tua;

[6] ut liberentur dilecti tui, salvum fac dextera tua, et exaudi me.

[7] Deus locutus est in sancto suo: exsultabo, et dividam Sichimam; et convallem tabernaculorum dimetiar.

[8] Meus est Galaad, et meus est Manasses; et Ephraim susceptio capitis mei. Juda rex meus,

[9] Moab lebes spei meæ; in Idumaeam extendam calceamentum meum; mihi alienigenæ amici facti sunt.

[10] Quis deducet me in civitatem munitam? quis deducet me usque in Idumæam?

[11] Nonne tu, Deus, qui repulisti nos? et non exibis, Deus, in virtutibus nostris?

[12] Da nobis auxilium de tribulatione, quia vana salus hominis.

[13] In Deo faciemus virtutem; et ipse ad nihilum deducet inimicos nostros.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CVII.

Preghiera a Dio in occasione delia guerra contro i Moabiti, Filistei ed Idumei. Il Salmo é composto delle ultime parti dei due Salmi 56 e 59. Nulla vi è di nuovo. Se ne fece un Salmo, forse per compire il numero dei 150, o per ragione che non si conosce.

Cantico, ovver salmo dello stesso David.

1. Il mio cuore, o Dio, egli è preparato: egli è preparato il cuor mio: canterò e salmeggerò nella mia gloria.

2. Sorgi, mia gloria, sorgi salterio e tu cetra: io sorgerò coll’aurora.

3. A te io darò laude tra’ popoli, o Signore, inni a te canterò tra le genti.

4. Perché più grande dei cieli è la tua misericordia, e la tua verità fino alle nubi.

5. Sii tu esaltato fin sopra de’ cieli, e la tua gloria per tutta quanta la terra, affinché liberati sieno i tuoi eletti.

6. Salvami con la tua destra, ed esaudiscimi: Dio ha parlato nel suo santuario;

7. Che io sarò nell’allegrezza, e sarò padrone di Sichem, e dividerò la valle de’ tabernacoli.

8. Mio è Galaad e mio è Manasse, ed Ephraim fortezza della mia testa.

9. Giuda mio re: Moab vaso di mia speranza. Col mio piede calcherò l’Idumea; gl’istranieri saranno soggetti a me.

10. Chi mi condurrà nella città munita? Chi mi condurrà fino nell’Idumea?

11. Chi se non tu, o Dio, che ci hai rigettati? E non verrai tu, o Dio, co’ nostri eserciti?

12. Dà aiuto a noi nella tribolazione, perché invano si aspetta salute dall’uomo.

13. Con Dio farem cose grandi; ed egli annichilerà coloro che ci affliggono.

Sommario analitico

Questo salmo che, secondo il titolo, sarebbe di Davide, si compone di due parti, di cui una (2-6) si trova alla fine del salmo LVI, e fu composta durante la persecuzione di Saul; l’altra (7-14) termina il salmo LIX, composto anch’esso da Davide in occasione della guerra contro gli Idumei. Per spiegare l’unione di questi frammenti, si congettura che il salmo CVII non sia che il salmo LIX che Davide voleva si cantasse in qualche occasione solenne. Egli allora tagliò i versetti 3-6 che ricordavano dei giorni infausti, e li rimpiazzò con i versetti del salmo 8-12 del salmo LIX, che formavano un inizio magnifico e trionfale. (Le Hir.). Perché, si domanda Bellarmino, questo salmo è stato aggiunto agli altri quando non conteneva nulla di nuovo? Senza dubbio – egli risponde – si sarà voluto completare il numero di centocinquanta salmi, a meno che non esista qualche altra ragione occulta che egli dichiara di ignorare completamente. Noi osiamo dire che la ragione che il redattore dei salmi, abbia voluto completare il numero di centocinquanta salmi, prendendo le due parti dei salmi LVII e LIX, manca assolutamente di verosimiglianza: perché scegliere infatti i salmi LVI e LIX, piuttosto che altri? Nella prima parte, Davide, personificando il Salvatore, eccita la propria anima a risvegliare la propria lira per benedire il Signore (1-4). Nella seconda, egli indica il triplice oggetto delle sue lodi:

1° La perfezione di Dio, la sua misericordia, la sua verità, la sua gloria (5-6);

2° la sua gloria; egli estende le sue conquiste su tutto l’universo per la predicazione del Vangelo (7-11);

3° La speranza che egli ha del soccorso di Dio, nelle vittorie, nelle tribolazioni (12-14).

Spiegazioni e Considerazioni (1)

(1) Vedi i salmi LVI e LIX

I. — 1-3.

ff. 1, 2. – La ripetizione dei due salmi LVI e LIX, riuniti in gran parte di questo salmo CVII, contiene una lezione molto utile ai progressi della nostra perfezione spirituale. Non crediamo che Davide si sia ripetuto per mancanza di nuovi sentimenti verso Dio, e come se il suo cuore, caduto nella aridità, non gli fornisse alcuna nuova affezione nella preghiera, di modo che, per rianimare il suo fervore, fosse stato obbligato a ricorrere a ciò che già aveva espresso in due altri salmi. Questa spiegazione non può convenire alle parole di un Profeta così pieno di Spirito di Dio; diciamo dunque piuttosto che egli ci dà qui l’esempio di ciò che noi dobbiamo fare quando ci troviamo in una specie di languore che sembra smorzare tutti i sentimenti della nostra anima. È il momento di ricordarci le verità che ci hanno toccato in altre occasioni, ciò che è più efficace, ed estraiamo allora dai libri santi o dei libri di pietà ciò che ci colpisce nei tempi di fervore, ripetiamo le nostre antiche preghiere o quelle dei santi che ci hanno preceduto. È l’esempio che ci si dà nella preghiera del giardino degli uliveti, il nostro divin Salvatore, quando si dice: « Egli tornò e pregò per la terza volta, dicendo le stesse parole. » (Matt. XXIV, 43). È così l’esempio che la Chiesa ci dà nella sua liturgia e nei suoi divini offici dove si lasciano presentare all’Altissimo gli stessi atti di adorazione, di riconoscenza, di amore, di compunzione, ripetendo così spesso: « Signore vieni presto in mio aiuto; Signore abbiate pietà di noi; gloria al Padre, al Figlio, e allo Spirito Santo, etc. » (Berthier). – « Il mio cuore è pronto, Signore, il mio cuore è pronto. » Questa ripetizione è l’indice: – 1° di una volontà determinata; – 2° di una forza interiore che nulla teme ed è disposta a superare ogni ostacolo; – 3° di un santo fervore; di un amore ardente che sembra andare oltre i sacrifici che Dio può esigere. È così che il nostro cuore deve essere pronto: – 1° per acquisire e praticare tutti i comandamenti di Dio e tutte le virtù cristiane: « Io sono pronto e senza essere per nulla turbato, ad osservare i vostri comandamenti, » (Ps. CXVIII, 60); « il suo cuore è pronto a sperare nel Signore, » (Ps. CXI, 7); – 2° per attenere l’arrivo del sovrano Giudice: « Siate dunque anche sempre pronti, perché non sapete in quale ora il Figlio dell’uomo verrà » (Matt., XXIV, 44); – 3° per supportare e soffrire attendendo tutte le prove, tutte le tribolazioni che entrano nei disegni di Dio in vista della nostra santificazione. – Tale è la disposizione del cuore in cui deve essere il vero Cristiano, e soprattutto un prete che, chiamato dalla sua vocazione ad essere l’uomo di Dio ed il servitore dei suoi fratelli, deve mostrarsi sempre pronto a fare la volontà, ad eseguire gli ordini del suo Maestro, a qualunque costo. « Il mio cuore è pronto, Signore, il mio cuore è pronto. » Io non so cosa vogliate fare di me, ma, comunque, il mio cuore è pronto! Volete che io sia un olocausto consumato ed annientato davanti a vostro Padre con il martirio del santo amore? Volete che io sia o una vittima per il peccato, con le sante austerità della penitenza, o una vittima pacifica ed eucaristica il cui cuore toccato dai vostri benefici, si esali in azioni di grazie e di distilli in amore ai vostri occhi? « Il mio cuore è pronto! » Volete che immolato alla carità, io distribuisca tutti i miei beni per il nutrimento dei poveri o che « fratello sincero e benefico, » io doni la mia vita per i Cristiani, consumandomi in un pio travaglio nell’istruzione degli ignoranti e nell’assistenza dei malati? « Il mio cuore è pronto, Signore, il mio cuore è pronto! » (Bossuet, Elev. XVIII, s 2, El.) – Cosa volete ancora da me, Signore, per cui c’è bisogno che vi immoli le affezioni più intime del mio cuore? Volete accettare il sacrificio dei miei progetti in avvenire, die miei progetti di studi, di predicazione, di conversione delle anime, in cui si mescola forse a mia insaputa più orgoglio, ambizione, piuttosto che zelo per la verità? Il mio cuore è pronto, Signore, il mio cuore è pronto! » Orbene, volete che dopo aver formato delle generazioni di fedeli, l’atto cruento del martirio assicuri e confermi la fede nell’anima dei discepoli: « il mio cuore è pronto, Signore, il mio cuore è pronto! »; io sono pronto a camminare, ad offrirmi, a dedicarmi, a sacrificarmi, a seguirvi fino alla morte, gioioso anche di soffrire con Voi, poiché con Voi io posso tutto. « Il mio cuore è pronto, il mio cuore è pronto! » – L’Apostolo era nel tormento, nelle catene, in prigione; era coperto di piaghe; soffriva la fame, la sete, il freddo e la nudità; era divorato da ogni genere di dolori e di sofferenze, e diceva: « … Noi ci glorifichiamo nelle tribolazioni. » (II Cor. XI, 27). – Perché parlava così, se non perché il suo cuore era preparato? Egli cantava dunque questo salmo: « Il mio cuore è pronto, Signore, il mio cuore è pronto! » – « Levatevi, mia gloria, risvegliatevi mia lira ed arpa, io mi alzerà all’aurora. » – È sovranamente importante risvegliare la nostra anima dal sopore in cui si trova piombata, esercitare la sua debolezza e il suo languore per rendere i propri doveri a Dio, e non meno importante di levarci a questi effetti a mattino, allorquando il nostro spirito è più calmo e più tranquillo, e non è ancora né invaso, né turbato dalle preoccupazioni e dalle sollecitudini degli interessi terreni. – « Il giusto si applicherà a volgere fin dall’aurora il suo cuore verso il Signore che lo ha creato, e pregherà in presenza dell’Altissimo. » (Eccli., XXXIX, 6). – È allora che bisogna cantare e glorificare Dio sull’arpa. Se avete abbondanza di qualche bene terrestre, rendete grazie a Colui che vi ha dato questo bene; se vi manca qualcosa o vi è tolto a vostro danno, glorificatelo in tutta sicurezza sull’arpa; perché Colui che vi ha dato questi beni non vi è tolto, benché i beni che vi ha dato, vi siano stati tolti. Così dunque, in questa situazione, lo ripeto, glorificatelo in tutta sicurezza sull’arpa; sicuri del vostro Dio, toccate le corde del vostro cuore e dite, come se estraeste suoni dalla parte armonica dell’arpa: « Il Signore me l’aveva dato, il Signore me l’ha tolto; è stato come è piaciuto al Signore; sia benedetto il Nome del Signore. » (Giob. I, 21; S. Agost., sur le Ps XXXII). 

ff. 3, 4. – Noi vediamo qui, i felici effetti della conformità della nostra volontà con la volontà di Dio: – 1° il perfetto accordo della nostra anima e della nostra bocca per lodare Dio; – 2° una santa prontezza, un ardore tutto particolare, una pia attività per eseguire le buone ispirazioni che Dio ci dà: « Mi leverò dall’aurora »;  – 3° la disposizione in cui siamo di rendere grazie a Dio in ogni luogo ed in faccia a tutti: « io vi loderò in mezzo ai popoli, etc. »; – 4° Il desiderio della gloria di Dio: « Elevatevi Signore, al di sopra dei cieli. » – È un dovere per ogni Cristiano rendere in particolare continue azioni di grazie al Signore per i benefici generali e pubblici che Dio accorda alle nazioni ed ai popoli. Questa mancanza di riconoscenza, sia privata che pubblica, è una delle omissioni più comune tra i Cristiani, ed una di quelle con gli effetti più funesti, sia per gli individui, sia per le società.  

II — 5 – 14.

ff. 5, 6. – « La legge è stata data per Mosè, la grazia e la verità ci è stata data per mezzo di Gesù-Cristo. » (Giov. I, 17).  La grazia è sicuramente la stessa cosa che la misericordia: così, secondo queste parole dell’evangelista, è Gesù- Cristo che ha dato agli uomini la misericordia, e che ha mostrato loro la verità. Tuttavia i profeti e Davide più di tutti gli altri, hanno sovente parlato della misericordia e della verità di Dio; essi hanno conosciuto questi due attributi; essi ne hanno fatto la base della loro fiducia. Occorre dunque, per conciliarli con il Vangelo, che essi abbiano contato su Gesù-Cristo, che essi lo abbiano visto in spirito, che abbiano penetrato il mistero della sua missione, il cui oggetto era far donare la misericordia e far conoscere la verità. Così tutte le volte che questi profeti esaltano la misericordia e la verità di Dio, essi devono avere avuto di vista Gesù-Cristo, e questa dottrina diffonde una grande luce su una quantità di testi dell’Antico Testamento e dei salmi in particolare. Sarà dunque vero, secondo il senso di questi ultimi due versetti, che « la misericordia di Dio è al di sopra dei cieli, e la sua verità sopra le nubi », cioè nel più alto grado di eccellenza, perché Gesù-Cristo è il capolavoro della sapienza di Dio; senza di Lui, non avremmo avuto parte né alla misericordia, né alla verità di Dio, e attraverso di Lui, questi due grandi attributi non solo ci sono conosciuti, ma pure comunicati per gli effetti che operano su di noi. (Berthier). – Gesù-Cristo è la misericordia e la verità: la misericordia, perché secondo San Giovanni « … Egli è propiziazione per i nostri peccati » la verità, poiché è incapace di ingannarsi e di ingannare alcuno; è anche il nome che dà a se stesso. Ma la misericordia e la verità, è Dio: Gesù-Cristo è dunque Dio, ed è Lui appunto che il profeta invita in questo versetto, a manifestare la sua gloria nel cielo e sulla terra. Questo grande mistero è compiuto: Egli è stato manifestato nella carne, autorizzato dallo Spirito, visto dagli Angeli, predicato ai gentili, creduto nel mondo, ed elevato nella sua gloria. » (I Tim., III, 16) … Parole sublimi dell’Apostolo, esse comprendono tutta l’economia della salvezza, tutte le vie di misericordia e di verità che Dio ha aperto al genere umano nell’incarnazione del Verbo eterno (Idem). – Noi possiamo e dobbiamo desiderare che Dio ci faccia di tempo in tempo conoscere, con qualche tratto splendente della sua potenza, che Egli è Dio, e che, benché elevato sopra i cieli, non trascura ciò che accade sulla terra, e farvi risplendere la sua gloria. Questi tratti sono talvolta necessari, alfine di mettere al coperto coloro che Egli ama affinché siano liberati dalle oppressioni alle quali sono troppo spesso esposti. (Dug.). – « Affinché i vostri diletti siano liberati. » La santa teologia ci insegna che Dio ha compreso dalle origini, in uno stesso decreto, il suo Figlio incarnato e tutti gli eletti, ed ha così ben legato costoro alla persona di Lui, che qui in basso hanno in comune la stessa vita, e lassù la medesima gloria, e che per Dio divengono un solo oggetto dei suoi pensieri e delle sue affezioni, secondo queste parole del Salvatore: « Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità ed il mondo sappia che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.» (Giov. XVII, 23).; (Mgr PIE, Discours, etc, T., VIII, 223.). – « Tutto per gli eletti. » (II Tim., II, 10). È una cosa prodigiosa, vedere l’esecuzione dei disegni di Dio, attuare in men che nulla le imprese più elevate; tutti gli elementi cambiano di natura per servirlo; infine, fa apparire in tutte le sue azioni che Egli è il solo Dio ed il Creatore del cielo e della terra. Ora si tratta qui del compiersi del più grande disegno di Dio, che è la consumazione di tutte le sue opere, cioè della sovrana beatitudine che Egli riserva ai suoi eletti (BOSSUET, Serm. pour la Toussaint.). – « Affinché i vostri diletti siano liberati. » Chi può dubitare che questo disegno non sia straordinario, poiché Dio vi agisce con passione? Egli si è contentato di dire una parola per creare il cielo e la terra. Noi non vediamo colà una veemente emozione. Ma, per ciò che riguarda la gloria dei suoi eletti, voi direste che vi si applichi con tutta le sue forze; quanto meno vi ha applicato il più grande di tutti i miracoli: l’incarnazione di suo Figlio … mai Dio ha voluto nulla con tanta passione; ora, volere per Dio, significa fare. Dunque ciò che farà per i suoi eletti sarà sì grande, che tutto l’universo apparirà un nulla nei confronti di quest’opera. La sua passione è così grande che passa a tutti i suoi amici, e fa rimescolare ai suoi nemici tutti i loro artifici per opporsi all’esecuzione di questo grande disegno. (Idem).- Se le leggi di uno Stato si oppongono alla salvezza eterna dei suoi eletti, Dio distruggerà tutto quello Stato per liberarli dalle sue leggi; Egli prende le anime a questo prezzo, agita il cielo e la terra per generare i suoi eletti, e così nulla gli è caro tanto quanto questi figli della sua eterna delizia, questi membri inseparabili del suo Figlio diletto, e nulla risparmia purché li salvi (BOSSUET, Or. fun. de la duch. d’Orl.). – « Salvatemi con la vostra destra ed esauditemi. » Siccome vi domando ciò che Voi volete darmi, che io non gridi durante il giorno con la voce dei miei peccati, in modo da non essere esaudito (Ps. XXI, 2), né durante la notte perché non mi ascoltereste, ma è la vita eterna che io vi domando, o mio Dio: esauditemi dunque, perché chiedo di essere ammesso alla vostra destra. Ogni fedele, conservando nel suo cuore la parola di Dio, avrebbe un vivo timore del giudizio avvenire, vivrebbe una santa vita, in modo tale che la sua condotta non porti alcuno a bestemmiare il Nome del suo Dio, chiederebbe frequentemente nelle sue preghiere i beni di questo mondo, ed anche senza essere esaudito; ma se egli prega per ottenere la vita eterna, è sempre esaudito. Chi in effetti, quando è malato, non chiede la salute? E tuttavia gli è più utile essere malato. Può accadere che non siate esaudito in questa vostra preghiera; ma allora non sarete esaudito secondo la vostra volontà, per esserlo però per la vostra utilità. Se al contrario voi chiedete a Dio che vi doni la vita eterna, che vi doni il regno dei cieli, che vi ammetta alla destra di suo Figlio, quando verrà a giudicare la terra, siatene certi, un giorno lo otterrete, anche se non lo avrete immediatamente; perché non è ancora giunto il tempo di ottenerlo. Voi siete esaudito e non lo sapete; ciò che chiedete sarà fatto, benché non sappiate come sarà fatto. La pianta sta radicando, non ancora ha prodotto i suoi frutti. « … Che la vostra destra mi salvi ed esauditemi. » (S. Agost.). 

ff. 7-9. – « Dio ha parlato con la voce del suo santo. » Perché temete che la parola di Dio non si compia? Se avete un amico saggio e serio, come parlereste di lui? Egli ha detto tale cosa, necessariamente questa cosa si farà; è un uomo serio, non agisce con leggerezza, non si lascia facilmente distogliere dalle sue decisioni; ciò che ha promesso è certo. Ma pur tuttavia questo amico non è che un uomo, e l’uomo vuol talvolta compiere ciò che ha promesso, ma non può farlo. Da parte di Dio non avrete nulla da temere; Egli è veridico, è cosa certa; Egli è onnipotente, cosa ugualmente certa; Egli allora non può ingannarci ed ha il potere di compiere ciò che ha promesso. Perché dunque temere di essere deluso? Ma non siete voi l’artefice della vostra delusione, bisogna che perseveriate fino alla fine; perché da parte sua, Dio vi donerà certamente ciò che ha promesso. « Dio ha parlato con la voce del suo santo. » Qual è il suo santo? « Dio, dice l’Apostolo, era nel Cristo, riconciliando il mondo con Lui. » (II Cor. V, 19). Egli era dunque in questo Santo, di cui il salmista ha detto in un altro passo: « Mio Dio. La vostra voce è nel vostro Santo. » (Ps. LXXII, 14), « Dio ha parlato con la voce del suo Santo. » Il Profeta non dice quali parole Dio abbia pronunciato; ma come Dio ha parlato con la voce del suo Santo, e che niente si può fare che non lo abbia detto Dio, ciò che segue si compirà in conseguenza della parola di Dio … (S. Agost.). Io mi rallegrerò e dividerò Sichem, e non misurerò la valle delle tende. » Non ci arrestiamo a queste vittorie di Davide, che egli predice come se fossero già arrivate, il cui frutto era l’ingrandirsi del regno di Giuda; ma consideriamo in queste vittorie e nelle loro conseguenze i simboli di ciò che doveva compiersi nella Chiesa di Dio, di cui il regno di Giuda era la figura, vale a dire le vittorie che gli eletti avrebbero riportato sui nemici della loro salvezza. – Essi divideranno tra loro queste vaste campagne del cielo, queste ricche vallate, o piuttosto ciascuno le possiederà tutte intere, senza alcuna divisione, senza nulla togliere alla parte degli altri. In questo regno dove, secondo l’espressione di Sant’Agostino, non c’è timore di avere pari, ove non ci sono gelosie tra concorrenti, (S. Agost., de Civit. Dei, lib. V. c. XXIV), tutto apparirà congiuntamente agli eletti, senza alcuna gelosia, e Dio sarà la loro principale, o piuttosto la loro unica forza. Aspettando essi si nutrono, come di una carne deliziosa, con la speranza di questi beni futuri; essi camminano a grandi passi nelle vie del cielo, essi si estendono da virtù in virtù. « Gli stranieri sono loro sottomessi, o piuttosto nessuno è loro estraneo; e purché si voglia amare Dio, si diventa subito loro amici. » (Dug.). 

ff. 10, 11. – « Chi mi condurrà fino alla città fortificata? » Per Davide, questa città fortificata, era la capitale dell’Idumea, figura del mondo che dobbiamo combattere e di cui bisogna impadronirsi; è là un compito al di sopra delle nostre forze. Noi non siamo capaci di fare il seppur minimo bene, di prendere la città più debole, ancor meno se fortificata. «Non siete voi, Signore, che ci avete rigettato, e non camminate alla testa delle nostre armate? Chi mi introdurrà nella citta fortificata? » Chi se non Dio? « Chi mi farà penetrare fin nell’Idumea? » vale a dire chi mi farà regnare sugli uomini della terra, perché questi pur rispettandomi, non sono miei e non vogliono progredire appartenendomi? « Chi mi introdurrà nell’Idumea? » vale a dire chi mi farà regnare fin sugli uomini della terra. Non siete Voi, mio Dio, che ci avete respinto? Tuttavia non uscirete alla testa delle nostre armate. Ma perché ci avete respinto? Perché ci avete distrutto? Perché « … Voi siete irritato contro di noi,  e non avete pietà di noi », voi ci condurrete dopo averci respinto; e benché non uscirete alla testa delle nostre armate, Voi ci condurrete. Che significa: « Voi non uscirete alla testa delle nostre armate? » Il mondo verrà contro di noi, il mondo sta per calpestarci sotto i piedi; sta per avvenire, con l’effusione del sangue dei martiri, un mucchio di testimonianze, ed i pagani, i carnefici, diranno: dov’è « il loro Dio? » (Ps. LXXVIII, 1). Allora « … Voi non uscirete o mio Dio, alla testa delle nostre armate; » perché non apparirete come loro nemico; non mostrerete la vostra potenza ma agirete dal di dentro. Che vuol dire: « Voi non uscirete? » Voi non apparirete. Sicuramente, quando i martiri erano incatenati e condotti al supplizio, quando erano condotti in prigione, quando venivano mostrati pubblicamente alla popolazione per servire loro da trastullo, quando venivano esposti alle bestie, quando venivano colpiti con il ferro, consumati con il fuoco, li si disprezzava come gente da Voi abbandonata, come gente proba di ogni soccorso! E come Dio agiva in loro? Come li consolava interiormente? Come rendeva loro la speranza della vita eterna? Come non abbandonava i loro cuori in cui l’uomo abitava in silenzio, felice, se era buono; miserabile, se era malvagio? Colui che non usciva alla testa delle loro armate li abbandonava dunque per questo? Non ha, al contrario introdotto la Chiesa fin nell’Idumea e nella città fortificata, in maggior sicurezza che se fosse stato alla testa delle loro armate? In effetti, se la Chiesa avesse voluto far guerra e combattere con la spada, poteva sembrare che combattesse per la vita presente; ma poiché essa ha disprezzato la vita presente, si è fatta un grande cumulo di testimonianze per la vita futura (S. Agost.). 

ff. 12,13. – « Dateci il vostro soccorso nell’angoscia, perché il soccorso che viene dall’uomo è vano. » Coloro che non hanno in sé il sale della saggezza, vadano ora, abbiano a desiderare per essi la salvezza temporale … che non è che la vanità del vecchio uomo. « Dateci il vostro soccorso; » datecelo anche se sembrate abbandonarci, e soccorreteci per questa via, « con Dio, noi non trionferemo né con la nostra spada, né con i nostri cavalli, né con le nostre corazze, né con i nostri scudi, né con la forza delle nostre armate, né all’esterno. In quale posto dunque? Dentro di noi, là dove siamo nascosti! Ma come trionferemo all’interno? « Con Dio noi trionferemo. » noi saremo come sviliti e come calpestati, saremo considerati come uomini senza nessun valore; ma Dio ridurrà i nemici a nulla. Ecco cosa è capitato ai nostri nemici: i martiri sono stati calpestati, con la loro pazienza, con il loro coraggio a sopportare i tormenti, con la loro perseveranza fino alla fine, essi hanno trionfato con l’aiuto di Dio (S. Agost.). – Cosa ne è di tutti i Santi nel corso di tutti i secoli. Il mondo li guarda nella tribolazione, negli esercizi di penitenza, nella solitudine, come la feccia della terra, come maledetti senza appoggio e senza risorsa, come degli imbecilli che non hanno talenti per fare fortuna, né di rendersi utili alla società, questi uomini nascosti ed oppressi sono nondimeno eroi agli occhi degli Angeli e di Dio stesso; essi escono da questo mondo, carichi delle spoglie di tutti i nemici della salvezza. La storia del mondo non parlerà di queste imprese, ma i fasti dell’eternità ne conserveranno la memoria. Tutta la grandezza umana perirà e quella dei santi sarà come quella di Dio, immutabile ed immortale. (Berthier).

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, QUONIAM BONUS … DICANT QUI REDEMPTI” (CVI)

SALMO 106 “Confitemini Domino, quoniam bonus … Dicant qui redempti”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 106

Alleluja.

 [1] Confitemini Domino, quoniam bonus,

quoniam in sœculum misericordia ejus.

[2] Dicant qui redempti

sunt a Domino, quos redemit de manu inimici, et de regionibus congregavit eos,

[3] a solis ortu, et occasu, ab aquilone, et mari.

[4] Erraverunt in solitudine, in inaquoso; viam civitatis habitaculi non invenerunt.

[5] Esurientes et sitientes, anima eorum in ipsis defecit.

[6] Et clamaverunt ad Dominum cum tribularentur, et de necessitatibus eorum eripuit eos;

[7] et deduxit eos in viam rectam, ut irent in civitatem habitationis.

[8] Confiteantur Domino misericordiæ ejus, et mirabilia ejus filiis hominum.

[9] Quia satiavit animam inanem, et animam esurientem satiavit bonis.

[10] Sedentes in tenebris et umbra mortis; vinctos, in mendicitate et ferro.

[11] Quia exacerbaverunt eloquia Dei, et consilium Altissimi irritaverunt.

[12] Et humiliatum est in laboribus cor eorum; infirmati sunt, nec fuit qui adjuvaret.

[13] Et clamaverunt ad Dominum cum tribularentur; et de necessitatibus eorum liberavit eos.

[14] Et eduxit eos de tenebris et umbra mortis, et vincula eorum dirupit.

[15] Confiteantur Domino misericordiæ ejus, et mirabilia ejus filiis hominum.

[16] Quia contrivit portas aereas, et vectes ferreos confregit.

[17] Suscepit eos de via iniquitatis eorum, propter injustitias enim suas humiliati sunt.

[18] Omnem escam abominata est anima eorum, et appropinquaverunt usque ad portas mortis.

[19] Et clamaverunt ad Dominum cum tribularentur; et de necessitatibus eorum liberavit eos.

[20] Misit verbum suum, et sanavit eos, et eripuit eos de interitionibus eorum.

[21] Confiteantur Domino misericordiæ ejus; et mirabilia ejus filiis hominum.

[22] Et sacrificent sacrificium laudis, et annuntient opera ejus in exsultatione.

[23] Qui descendunt mare in navibus, facientes operationem in aquis multis,

[24] ipsi viderunt opera Domini, et mirabilia ejus in profundo.

[25] Dixit, et stetit spiritus procellæ, et exaltati sunt fluctus ejus.

[26] Ascendunt usque ad caelos, et descendunt usque ad abyssos; anima eorum in malis tabescebat.

[27] Turbati sunt et moti sunt sicut ebrius; et omnis sapientia eorum devorata est. [28] Et clamaverunt ad Dominum cum tribularentur; et de necessitatibus eorum eduxit eos.

[29] Et statuit procellam ejus in auram, et siluerunt fluctus ejus.

[30] Et laetati sunt quia siluerunt; et deduxit eos in portum voluntatis eorum.

[31] Confiteantur Domino misericordiæ ejus; et mirabilia ejus filiis hominum.

[32] Et exaltent eum in ecclesia plebis, et in cathedra seniorum laudent eum.

[33] Posuit flumina in desertum, et exitus aquarum in sitim;

[34] terram fructiferam in salsuginem, a malitia inhabitantium in ea.

[35] Posuit desertum in stagna aquarum, et terram sine aqua in exitus aquarum.

[36] Et collocavit illic esurientes, et constituerunt civitatem habitationis;

[37] et seminaverunt agros et plantaverunt vineas, et fecerunt fructum nativitatis.

[38] Et benedixit eis, et multiplicati sunt nimis; et jumenta eorum non minoravit.

[39] Et pauci facti sunt et vexati sunt, a tribulatione malorum et dolore.

[40] Effusa est contemptio super principes; et errare fecit eos in invio, et non in via.

[41] Et adjuvit pauperem de inopia, et posuit sicut oves familias.

[42] Videbunt recti, et lætabuntur; et omnis iniquitas oppilabit os suum.

[43] Quis sapiens et custodiet hæc? et intelliget misericordias Domini?

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CVI

Celebra il Signore, il quale da1 traviamenti, dalle carceri, dalle malattie, e dai pericoli del mare, e da tutti i mali libera coloro, che lo invocano, e gli ricolmadi favori. Sotto tali immagini è adombrata la vocazione delle genti liberate dalla loro cecità, e dalla funesta loro schiavitù per Gesù Cristo:

Alleluja: Lodate Dio.

1.Date lode al Signore, perché egli è buono perché la misericordia di lui è eterna. (1)

2. Lo dicano quelli che dal Signore furon redenti, i quali egli riscattò dal dominio dell’inimico, e gli ha raccolti di tra le nazioni.

3. Dall’oriente e dall’occidente, da settentrione e dal mare.

4. Andaron errando per la solitudine, per aridi luoghi, non trovando strada per giungere ad una città da abitare.

5. Tormentati dalla fame e dalla sete, era venuto meno in essi il loro spirito.

6. E alzaron le grida al Signore, mentr’erano tribolati; e gli liberò dalle loro angosce.

7. E li menò per la via diritta, affinché giungessero alla città da abitare.

8. Diano lode al Signore le sue miserie e le meraviglie di lui in prò dei ligliuoli degli uomini.

9. Perché egli ha saziata l’anima sitibonda e l’anima famelica ha ricolma di beni.

10. Sedevan nelle tenebre, e all’ombra di morte imprigionati o mendichi, e nelle catene.

11. Perchè furon ribelli alle parole di Dio e dispregiarono i disegni dell’Altissimo.

12. E fu umiliato negli affanni il loro cuore, restarono senza forze, e non fu chi prestasse soccorso.

13. E alzaron le grida al Signore, mentre erano tribolati: e liberolli dalle loro necessità.

14. E li cavò dalle tenebre e dall’ombra di morte, e spezzò le loro catene.

15. Lodino il Signore le sue misericordie e le sue meraviglie a prò’ de’ figliuoli degli uomini.

16. Perché egli ha spezzate le porte di bronzo e rotti i catenacci di ferro.

17. L i sollevò dalla via della loro iniquità, dappoiché per le loro ingiustizie furono umiliati.

18.  L’anima loro ebbe in avversione qualunque cibo; e si accostarono fino alle porte di morte.

19. E alzaron le grida al Signore mentre erano tribolati, e gli liberò dalle loro necessità.

20. Mandò la sua Parola, e li risanò; e dalla lor perdizione li trasse.

21. Lodino il Signore le sue misericordie, e le sue meraviglie a prò de figliuoli degli uomini;

22. E sacrifichino sacrifizi dilaude, e celebrino con giubilo le opere di lui,

23. Coloro che solcano il mare sopra le navi, e nelle grandi acque lavorano. (2)

24. Eglino han veduto le opere del Signore, e le maraviglie di lui nell’abisso.

25. Alla parola di lui venne il vento portator di tempesta, e i flutti del mare si alzarono. (3)

26. Salgono fino al cielo, e scendono fino all’abisso: l’anima loro si consumava di affanni.

27. Erano sbigottiti, e si aggiravano come un ubbriaco; e tutta veniva meno la loro prudenza.

28. E alzaron le grida al Signore mentre erano nella tribolazione, e gli liberò dalle loro necessità.

29. E la procella cambiò in aura leggera, e i flutti del mare si tacquero.

30. Ed eglino si rallegrarono perché si tacquero i flutti; ed ei li condusse a quel porto, ch’e’ pur bramavano.

31. Lodino il Signore e le sue misericordie, e le sue meraviglie a prò’ de’ figliuoli degli uomini.

32. E lui celebrino nell’adunanza del popolo; e nel consesso de’ seniori a lui diano laude.

33. Ei cangiò i fiumi in secchi deserti, e le sorgenti dell’acque in terreni assetati.

34. La terra fruttifera cangiò in salsedine per la malizia dei suoi abitatori. (4)

35. I deserti mutò in istagni di acque, e alla terra arida diede sorgenti di acque.

36. E in essa collocò gli affamati, e vi fondarono città da abitarvi.

37. E seminarono campi, e piantaron viti, ed ebher frutti in copia nascenti.

38. E li benedisse, e moltiplicarono grandemente, e accrebbe i loro bestiami.

39. Quantunque e’ fosser ridotti a pochi, efosser vessati da molti affanni e dolori;

40. Il dispregio piovve sopra i potenti, ed ei li fe’ andare fuori di strada, e dove strada non è.

41. Ed egli sollevò il povero nella miseria, e fe’ le famiglie come greggi di pecore.

42. Queste cose le comprenderanno i giusti, e ne avranno allegrezza, e tutta l’iniquità si turerà la sua bocca.

43. Chi è il saggio, che farà conserva di queste cose, e intenderà le misericordie del Signore?

(1) La forma di questo salmo è unica. I primi tre versetti formano una sorta di preludio; poi vengono quattro strofe in cui il pensiero segue regolarmente lo stesso andamento; il quadro seguente farà meglio comprendere questo piccolo capolavoro poetico:

Stato del popolo di Dio in cattività o prova:

I strofa vv. 4, 5. II strofa: vv. 10-12; III strofa: vv. 17, 18; IV strofa: vv. 23-27;

Preghiera a Dio – Liberazione immediata:

I strofa vv. 6, 7. II strofa: vv. 13-14; III strofa: vv. 19, 20; IV strofa: vv. 28-30;

Azioni di grazie:

I strofa vv. 8, 9. II strofa: vv. 15-16; III strofa: vv. 21, 22; IV strofa: vv. 31-32.

Nell’ultima parte, che comincia al versetto 33, la forma non è più la stessa; vi vediamo la rovina di Babilonia, o dei nemici del popolo di Dio, in contrasto con la riedificazione di Gerusalemme. Così i vv. 33, 34 formano un contrasto dirompente con il versetto 35, come il versetto 36-38 con i versetti 39, 40 (P. Emm. Nuovel Essai sur les Psalmes.). Questo salmo era cantato alternativamente da due cori, la maggior parte dal coro dei leviti e dei cantori, ed i versetti intercalari 6, 8, 13, 15, 19, 21, 28, 31, dal popolo

(2) Siccome il mar Mediterraneo circonda la Palestina ad Occidente, ed il livello delle sue rive è meno elevato della terra ferma che le lambisce, il salmista esprime, con la parola “discendere”, ciò che fecero tanti Giudei dopo la presa di Gerusalemme da parte Caldei. Essi fuggirono verso il mare per cercare un rifugio in Egitto, in Africa, in Grecia, in Italia; ma Dio li seguiva dappertutto, essi ebbero a subire le tempeste più spaventose.

(3) La parola “stetit” non significa affatto “si è arrestata” senso che sarebbe in opposizione con il seguito del salmo.

(4) Hengstenberg intende che questi versetti riguardino Babilonia; ma ci sembra più giusto, con Maurer ed altri esegeti, riferirli alla terra di Canaan che, dopo la prigionia dei suoi abitanti, restò incolta ed isolata, e dopo il loro ritorno recuperò la sua bellezza e la sua fertilità.

Sommario analitico

Questo salmo, che si può riportare – in accordo con diversi interpreti – al ritorno dalla cattività, ha tuttavia un intento più esteso. Esso è composto da diverse parti e termina con una strofa intercalare in forma di ritornello cantato dal coro. Esso comprende e dipinge in cinque quadri di un’audacia e di una bellezza ammirevole, cinque classi di persone che devono particolarmente ringraziare Dio. Il Profeta si serve di numerose comparazioni o allegorie per far comprendere la grandezza di questi benefici che, secondo i santi Padri, sono la figura della redenzione del genere umano. Nella numerazione di queste cinque classi, il Profeta, come sottolinea Rosen-Muller, e secondo Schmurrer, segue sempre lo stesso ordine. Egli mette in scena una determinata classe di uomini, espone la grandezza dei loro mali, la loro preghiera, il soccorso dall’alto e l’azione di grazie.

I CLASSE: La prima classe è quella degli uomini erranti ed affamati che hanno trovato un asilo e del pane, ciò che conviene ai gentili o ai peccatori che, in rapporto alla religione ed alla salvezza, sono veramente come degli sbandati e degli affamati, senza fissi principi, senza strada né uscita, senza termine possibile alla loro marcia dolorosa e nello stesso tempo sterile (1-9).

II CLASSE: La seconda classe comprende coloro che, schiavi o caricati da catene, riscoprono la loro libertà e rappresentano lo stato di cecità, di indigenza spirituale  e di dura schiavitù del genere umano alla venuta del Messia (10-17).

III CLASSE: La terza classe, sotto l’immagine delle infermità corporali, comprende tutte le malattie spirituali degli uomini ed il disgusto mortale che essi avevano delle verità eterne (17-22).

IV CLASSE: La quarta classe comprende coloro che sono sfuggiti al naufragio e rappresenta le tempeste eccitate dalle passioni nel tumulto del mondo, o le persecuzioni portate contro la Chiesa nascente (23-32).

V CLASSE: La quinta classe comprende coloro che vogliono tornare all’abbondanza dopo la sterilità, sotto l’immagine di una terra devastata e di un’altra terra feconda e popolata. Taluni vedono qui i Giudei riprovati, lo spirito di vertigine che ingannò i principali tra loro, in opposizione alla vocazione dei gentili e la protezione che Dio accorda alle anime umili e docili (38-41).

VI. – CONCLUSIONE. – Il  Profeta fa osservare:

1° Questa condotta della divina Provvidenza sarà per i buoni fonte di gioia, per i malvagi soggetto di confusione (42);

2° I saggi devono sempre aver presente questa condotta di Dio per comprendere e lodare le sue misericordia (43).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-9

ff. 1-3. – Questi tre versetti sono come la prefazione di questo salmo, nel quale Davide esorta tutti coloro che hanno provato la misericordia del Signore, a proclamare le sue lodi, e proclamarle soprattutto perché Egli è sovranamente buono e misericordioso, e la sua misericordia non fa mai difetto. Egli fa appello innanzitutto ai fedeli che Dio ha riscattato con il sangue del suo unico Figlio, poi  coloro che il Signore ha raccolto in un solo popolo, in una sola Chiesa, in un solo regno, il regno del suo Figlio diletto, che Egli ha radunato non dall’Egitto o da Babilonia, come altre volte gli Ebrei, ma dal levante al ponente, dal Nord e dal Mezzogiorno. (Bellarm.).- Quattro sono i caratteri della misericordia di Dio al nostro riguardo: noi siamo stati riscattati letteralmente; noi siamo stati riscattati dal Signore, al quale apparteniamo oramai a titolo particolare, nel compimento di questa profezia: « Questi dirà: Io appartengo al Signore, quegli si chiamerà Giacobbe; altri scriverà sulla mano: Io appartengo all’Eterno. », (Isai. XLIV, 5). Questi quattro benefici segnalati dalla bontà e dalla misericordia di Dio ci sono richiamati nei primi due versetti: 1° noi siamo stati riscattati; 2° siamo stati riscattati dal Signore; 3° Siamo stati radunati da diversi paesi per formare un’unica Chiesa. – 1° Noi siamo stati riscattati, nel senso rigoroso del termine, secondo l’ammirabile teologia di san Paolo. Agli occhi del grande Apostolo, lo stato del genere umano, effetto del peccato, si presenta come un debito immenso contratto verso Dio, e che l’uomo non poteva ripagare. Il Cristo, conoscendo questo contratto funesto che ci incatenava alla morte, lo cancella con il suo sangue e lo inchioda alla croce come un monumento della sua vittoria e della nostra libertà (Coloss. III, 14). Egli mette fine al vecchio impero del peccato e lo rimpiazza con il decreto di salvezza; (Efes. II, 15); Egli ci riscatta dalla maledizione di questa legge funesta (Gal. III, 13), noi abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue e con essa la piena remissione dei peccati. Ecco il fatto positivo, effettivo, della redenzione del genere umano: liberazione, guarigione, riscatto e remissione del peccato con il suo sangue. – 2° Noi siamo stati riscattati dal Signore, che è il sovrano padrone di tutte le cose, noi che siamo i più miserabili ed indegni tra gli schiavi, noi Gli apparteniamo ora a titolo tutto particolare. « Il Signore riscatterà l’anima dei suoi servi » (Ps. XXIII, 23). « I mortali sapranno che sono Io il Signore che salva, e che il tuo Redentore è il Forte di Israele. » (Isai. XLIX, 26). « Il nostro Redentore è il Dio degli eserciti, il suo nome è il Santo di Israele. » (Isai. XLVII, 4). Compimento di questa profezia: « L’uno dirà: io sono col Signore, l’altro porterà il nome di Giacobbe, un altro scriverà di sua mano: io appartengo all’Eterno. » (Isai. XLIV, 5). – 3° Egli ci ha riscattato dalla potenza del nostro nemico più crudele, cioè la potenza del demonio, – a) Ci ha riscattato con saggezza: « Voi ci avete riscattato, Signore Dio di verità, » (Ps. XXX, 6); – b) Egli ci ha riscattati con forza, incatenando il forte armato, e ci ha liberato dalla tirannia, (Matt. XII); – c) Egli ci ha riscattato con giustizia. « Egli ha inviato la redenzione al suo popolo, » un Redentore ed il prezzo della redenzione. (I Cor. VI, 20). « Voi siete stati riscattati a caro prezzo. » – d) Noi siamo stati riscattati con amore, Egli è stato sacrificato, perché Egli lo ha voluto. » (Isai. LIII, 1). « È così che Dio ha tanto amato il mondo, da dargli il suo unico Figlio. » (Giov III, 16). – 4° Infine Egli ci ha radunato da diverse nazioni, per formare un unico gregge sotto la guida e la direzione di un unico Pastore. – Io mi glorificherò non perché sono giusto, ma perché i miei peccati mi sono stati rimessi; non perché io mi sia reso utile agli altri, o perché mi sia attirato i loro benefici, ma perché il sangue di Cristo è stato sparso per me. Senza le mia prevaricazioni, io non sarei stato riscattato a così caro prezzo. Queste prevaricazioni mi sono state più utili dello stato di innocenza. Nell’innocenza, io ero divenuto orgoglioso, e dopo essere divenuto prevaricatore, io sono rientrato nella sottomissione. (S. Ambr.) – Dio non limita gli effetti della sua misericordia ad un’unica nazione; essa si spande su tutti i popoli. « In verità, io vedo che Dio non fa eccezione di persone; ma che in ogni nazione, colui che lo teme e pratica la giustizia gli è gradito.. » (Act. X, 34, 35).  

ff. 4-9. – Quattro sono le grandi miserie corporali, ed un numero uguale di miserie morali. Le miserie corporali sono innanzitutto la fame e la sete: risultato della sterilità, della siccità, cioè di una causa esteriore qualsiasi e naturale; poi la cattività, che ha la sorgente in una violenza straniera, cioè in una causa esterna e volontaria; viene in terzo luogo la malattia, risultato di una cattiva costituzione, cioè un principio esterno naturale; infine il pericolo di un naufragio, che nasce da un principio esterno naturale, vale a dire dalla direzione dei venti, e da un principio interno volontario, cioè la curiosità dell’uomo che non contento di calpestare la terra solida sotto i suoi piedi, ha voluto tentare il viaggio sulle superfici liquide. Le quattro grandi miserie morali sono quelle che i teologi chiamano le ferite della natura, triste retaggio del peccato originale: l’ignoranza dell’anima, la concupiscenza delle cose, la collera e la malizia dello spirito; le virtù opposte sono la prudenza dell’anima, la temperanza delle passioni, la forza su se stesso e la rettitudine della volontà, che sono dette le quattro virtù cardinali. In questa prima parte, il Profeta canta la misericordia di Dio, che libera dalla prima miseria sia corporale che morale (Bellarm.). – L’ignoranza della salvezza, è la piaga di un gran numero di uomini erranti nel deserto, come fuori della loro vita, che hanno fame di sete e di verità, della fontana della saggezza e della prudenza. Tutti gli uomini aspirano naturalmente al bene; ma il maggior numero – preoccupato da vani pensieri – perseguono sempre il possesso dei beni temporali, cercando la beatitudine ove essa non è; altri scambiano per beatitudine ciò che non ne è che l’ombra, e nella loro ignoranza del fine, ignorano necessariamente la strada che vi conduce. Errando così all’avventura, essi non possono trovare la città della loro vera abitazione (Bellarm.). – Studiamo tutti i tratti di questo quadro oscuro che ci fa il Profeta: 1° « essi hanno errato. » Tutti i peccatori si condannano a questa vita di inganni: – a) nella loro intelligenza, « essi hanno errato come i ciechi nelle strade e sulle pubbliche piazze; » (Thren. IV, 14); « in pieno giorno, essi brancolano come nelle tenebre, e li fa vacillare come se fossero ubriachi, » (Giob. XII, 25); – b) nella loro volontà depravata ed abbassata interamente verso terra, « essi si sono allontanati da me, e si sono ingannati dietro ai loro idoli, » (Ezech. XLIV, 10); – c) nelle loro azioni, « essi errano e si smarriscono, tutti coloro che fanno il male. » (Prov. XIV, 22). Ecco l’immagine della società attuale, che si allontana sempre più da Dio e dalla vera strada che è Gesù-Cristo, perdendosi in una vita senza religione, attraverso contrade lontane, in mezzo a pericoli di ogni tipo, con la triste prospettiva di una morte certa. – 2° ogni peccatore erra nella solitudine: « Essi hanno errato nella solitudine, in un deserto senza acqua, » come un gregge senza pastore, come un orfano senza padre, come un orfano senza tutore, come una vedova priva del suo sposo, come un viaggiatore senza guida. Il Signore è la via; al di fuori di questa via e delle sue cure paterne della sua provvidenza, noi non riscontriamo più che una solitudine arida e sterile che non è mai irrorata dalla rugiada celeste. (S. Greg. di Nyssa, Tract. I in Ps.). – Qual triste sorte quella di questi infelici erranti, incamminati nelle vie deviate in cui li vediamo ogni giorno perdersi, abbandonati ai loro sensi, sballottati ed incerti in seno a tutte le contraddizioni e a tutti gli errori, così lontani dalla celeste patria e dalla vera gioia, che è Gesù-Cristo! Qual solitudine desolante è quella in cui non c’è Dio! In cui l’anima non vede, non sente, non spera più nulla! Qual via di incertezza, di dubbi, di errori, su tutte queste grandi questioni che interessa tanto conoscere all’uomo! – 3° Errando così nella solitudine dei loro pensieri e dei loro desideri, « essi non hanno trovato il cammino della città che dovevano abitare. » L’uomo è errante in questo mondo per tanto tempo, finché non abbia trovato la città di Dio, la città della fede, della speranza e della carità: la Chiesa, che sola può appagare la fame e la sete del suo spirito. I peccatori, gli empi, non trovano la via che conduce a questa città, perché essi non vogliono né riconoscere, né ascoltare Colui che dice loro: « Io sono la via, la verità e a vita, » e si condannano così ad errare quaggiù nelle orribili solitudini del dubbio e dell’errore e più tardi, nelle solitudini ben più desolanti di una espiazione che non avrà altro termine che l’eternità. – 4° Errando nella solitudine, l’anima smarrita muore di fame, e di sete, fame e sete crudele di cui la fame e la sete che torturano il corpo non possono dare che una debole idea. « … Io invierò, dice il Signore, la fame sulla terra, non la fame del pane, né la sete dell’acqua, ma la fame della parola di Dio. »  Ed essi si agiteranno da un mare all’altro, e dopo il settentrione andranno fino al mezzogiorno per cercare la parola di Dio; essi non la troveranno. « In quel giorno, le vergini ed i giovani moriranno di sete » (Amos VIII, 11, 12). Qual tormento quello di un’anima che dopo essere stata, sull’esempio del prodigo del Vangelo, il più lontano possibile dalla casa paterna, in un paese straniero, ove ha dissipato tutte i ricchi tesori, e dato al mondo tutto ciò che Dio voleva avere, è condannato a lanciare il suo grido di angoscia: « Io muoio di fame! » Morir di fame, è quella in effetti la sorte che attende queste anime create per nutrirsi di verità, ma che, avendo rigettato volontariamente questo nutrimento divino delle intelligenze fatte ad immagine di Dio, non hanno più che da aspettare che gli snervamenti prodotti dai loro lunghi errori e gli sfinimenti della morte: « Essi hanno errato nella solitudine, in una terra senza acqua, e non hanno trovato alcuna via verso una città abitabile; affamati, assetati, la loro anima è piombata nella rovina. » – Per garantirsi dalla sventura che dipinge il profeta, i Santi procurano in se stessi una solitudine tutta differente da quella di coloro in cui camminano i peccatori. « Questa solitudine – diceva San Gregorio – consiste nell’escludere dal cuore il tumulto dei desideri della terra, ed a porvi, con la meditazione dell’eternità, l’amore della patria celeste. » I peccatori, errando nei loro deserti, non sanno cosa vogliono, mentre il giusto vede sempre il termine al quale aspira. – Qual mezzo per uscire da queste difficoltà, da queste angosce, dall’errore, dalla solitudine, da questa fame e da questa sete disastrosa? Un solo grido esce dal fondo del cuore verso il Signore, e tutto è cambiato. (S. Greg. di Nyssa, Te. I, in Ps.). – È dal fondo di questo abisso che la misericordia divina viene a riprenderli: « Essi hanno gridato verso il Signore in mezzo alle loro afflizioni, ed Egli li ha tratti dalle loro necessità. » Questo stesso grido che l’anima volge a Dio, è un effetto della grazia divina, perché l’uomo non saprebbe gridare con questo grido possente che ottiene la grazia della sua liberazione, se lo Spirito Santo non formasse in lui questi gemiti ineffabili che sono sempre esauditi da Dio. Dopo questo grande grido lanciato verso Dio, cosa ancora resta da fare! Qual soccorso ha dato loro in ragione del loro smarrimento? Il Profeta ci lo indica in queste parole: « Egli li ha condotti nella retta via. » La loro intelligenza, il loro cuore, la loro volontà, le loro opere, la loro maniera di essere, le loro abitudini, tutto era deragliato, Dio ha ricondotto tutto sulla retta via. Dio li ha condotti nella via retta per farli arrivare ad una città abitabile. Gesù-Cristo solo è il retto cammino che conduce a questa città veramente abitabile, a questa città permanente che ha un fondamento stabile, di cui Dio stesso è il fondatore e l’architetto (Hebr. XI, 10). – Fuori da Gesù-Cristo, l’uomo non cammina che su terre mobili, incapaci di consistenza, che franano da ogni parte e non fanno vedere che spaventosi precipizi. – La fede solo, ponendoci sulla pietra stabile, può condurci verso questa città delle solennità, della Gerusalemme celeste, il soggiorno della pace, questo padiglione che non sarà trasportato in altri luoghi, i cui appoggi non saranno divelti, le cui corde non saranno spezzate; è solo là che il Signore fa apparire tutta la sua magnificenza (Isai. XXXIII). – Dolce e legittimo soggetto di lode che dobbiamo rendere a Dio, sono le sue misericordie. È il cantico che canteremo in eterno, e che bisogna iniziare già fin da questa vita. – Il Profeta non ha ancora detto come Dio li abbia tratti da tutte le loro necessità; ma aspettate, egli lo dirà. « Che sia confessato il Nome del Signore per le sue misericordie, e per le meraviglie che ha fatto in favore dei figli degli uomini. » Ditelo a coloro che non lo hanno ancora provato, voi che siete entrati nella retta via, voi che siete condotti verso la città in cui abiterete, voi infine, che siete già liberati dalla fame e dalla sete; dite che il Signore ha saziato l’anima che era vuota, e colmato di beni l’anima affamata. (S. Agost.). – L’animo del Cristiano ha sempre fame e sete, ma è saziato e sempre ed in modo costante. C’è nella via del bene, nel sentimento del dovere pieno per Dio, una soddisfazione che solo le anime abiette possono negare. Perché nella vita dei Santi si nota una felicità, una gioia, una pace che brillano in tutta la loro fisionomia? … Non siate stupefatti: questi uomini sono sazi, essi hanno le facoltà piene di cose vere, nobili e grandi! Dio stesso sazia la loro fame, estingue la loro sete; e tuttavia man mano che avanzano ne desiderano sempre di più, ma ad ogni desiderio, il Signore accorda nuove grazie e dispensa nuovi benefici. La loro vita trascorre così tra i bisogni soddisfatti dalla liberalità di Dio, e tra i desideri che crescono per ricevere nuovi appagamenti (Mgr LANDRIOT, Beatit. n, p. 222).

II. —10-17

ff. 10-17. – La seconda schiavitù, è la schiavitù della concupiscenza e del peccato.Percorriamo i principali tratti di questa umiliante servaggio. – 1° Il peccatore disteso nelle tenebre in seno alle ombre della morte, come un cadavere è affetto già dalla corruzione della tomba. 2° Il peccatore incatenato nei ferri delle sue passioni e dei suoi disordini – ridotto alla più umiliante servitù ed alla mendicità più completa, nh ed umiliato nei lavori più ignominiosi: « Sono un uomo maledetto, chi mi libererà da questa vergognosa schiavitù? » – « Dio che ha comandato alla luce di brillare dal mezzo delle tenebre (I Cor. IV, 6), fa uscire il peccatore dalle tenebre e dalle ombre della morte, e distrugge tutti i legami del peccato con la forza della sua grazia. – 3° La debolezza, la malattia, la totale astenia del peccatore fuori dalla grazia di Dio, non trovano nessuno che giunga in soccorso. – Il peccato, le abitudini inveterate, la schiavitù delle passioni, sono molto più difficili da infrangere delle porte di bronzo e delle barriere di ferro (Dug.). – Essi sono sotto la schiavitù del mondo e delle loro passioni, e quali legami! Esse sembrano leggeri, ed il loro peso è intollerabile; esse sembrano accompagnate da piaceri, e portano nell’anima un dolore mortale; sotto queste catene, nessun vero riposo, nessun solido benessere, nessuna speranza in grado di consolare. (S. Agost.). – Vediamo come Dio li  liberi da tutte le sue miserie: 1° Dio li estrae dalle loro tenebre con la luce della fede e delle grazie dello Spirito-Santo. « Egli li fece uscire dalle tenebre e dall’ombra di morte. » La prima luce dell’intelligenza, è la fede (S. Pier Dam., L. H. Ep. 5); ogni grazia è una luce. – 2° Dal momento che questa luce ha brillato nei nostri occhi, Dio spezza le catene che tenevano schiavo il nostro cuore: « … ed Egli spezza i loro legami. » Egli rinnova, per il peccatore al quale ha reso la libertà, quello che ha fatto per San Pietro: « Ed ecco che apparve un Angelo del Signore, e la luce brillò nella prigione, e l’Angelo, colpendo san Pietro sul fianco, lo svegliò dicendogli: alzati prontamente, e le catene caddero dalle sue mani » (Act. XII, 7). – 3° Rotti i legami e spezzate le catene, apre loro le porte della prigione, e rende loro la libertà: « Egli ha distrutto le porte di bronzo, e rotto le barre di ferro. » È con le porte che difendiamo il passaggio, è con le barre che fortifichiamo la chiusura delle nostre dimore. Cosa figurano queste porte? La contraddizione. Che significano queste sbarre? La ribellione. Il ferro che rompe tutti i metalli, è il simbolo dell’audacia, ed il bronzo il simbolo della pertinacia. Le porte di bronzo dunque, rappresentano la contraddizione ostinata; le barre di ferro, la ribellione audace. Dio distrugge dunque le porte di bronzo e le sbarre di ferro, quando rompe e spezza – con la compunzione interiore – la ribellione audace ed ostinata di un cuore indurito dal crimine. (Rich. De S. Vict.). 

III. — 17-22

ff. 17 – 22. – La terza classe di uomini dipinta dal Profeta comprende, sotto la figura delle infermità corporali, tutte le malattie spirituali, ma soprattutto l’abbattimento, lo scoraggiamento, la dissolvenza dell’anima, il disgusto di ogni nutrimento. Il corpo che ha disgusto ed orrore per ogni tipo di nutrimento, è senza dubbio molto vicino alla morte; l’anima che prova disgusto, avversione, orrore per le verità celesti, che sono il suo vero nutrimento, è molto vicino alle porte della morte eterna. (Dug.). –  Vi sono tre specie di nutrimento spirituale, per le quali i peccatori hanno disgusto ed orrore: la parola di Dio: « L’uomo non vive solo di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio; » (Matt. III); « non sono i frutti della terra che nutrono gli uomini, ma la vostra parola che conserva coloro che credono in Voi, » (Sap.,. XVI, 26); il corpo di Gesù-Cristo: « La mia carne è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda. »  (Giov. VI, 55); le virtù e le buone opere: « portate al giusto delle parole di pace, ditegli che gusterà il frutto delle sue virtù, » (Isai. III, 10); « I mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha inviato e compiere la sua opera. » (Giov. IV, 34). È questo il triplice nutrimento per il quale il peccatore prova disgusto ed avversione. « Egli ha in orrore il pane, che era l’alimento della sua vita, respinge le vivande che per lui erano in precedenza le più delicate. La sua carne si consuma e si assottiglia, le sue ossa si disseccano e deperiscono. » (Giob. XXXIII, 20, 21). – È questo uno dei caratteri più evidenti dello stato di tiepidezza: la preghiera non ha attrattiva, la Comunione è senza gusto, la parola di Dio una guida inopportuna. Questa terza tentazione è quella della noia, come la chiama Sant’Agostino, che la caratterizza in due parole: il disgusto dei due principali alimenti della vita cristiana, la lettura e la preghiera. Ancor meno, l’uomo colpito da questa malattia potrebbe, in questo triste stato, ricorrere alla meditazione. Egli diviene sempre più incapace di accogliere l’idea del dovere, il pensiero di Dio lo stanca, le verità religiose si oscurano, le pratiche di pietà non gli sembrano che una vana formalità; egli non concepisce come altre volte abbia potuto inginocchiarsi in una chiesa alla vista di un prete, ricevere la cenere sulla fronte al fianco di un uomo del popolo; egli ama di più non attenersi che a ciò che chiama lo spirito della religione: la religione naturale; oramai è il solo culto che voglia seguire. La noia lo ha allontanato dalle sue abitudini; l’orgoglio lo precipita in tutti i pericoli di una libertà senza regole e senza freno (Rendu). – Come la grazia divina libera le anime da questi languori, da questa tiepidezza mortale? 1° il rimedio, da parte nostra, è nella preghiera indirizzata a Dio con fede: « Essi gridano al Signore nel mezzo delle loro afflizioni, ed Egli li libererà dalle loro necessità. Quando la tiepidezza o la noia opprime la vostra anima, non perdete comunque la fiducia, non abbandonate i vostri esercizi spirituali, ma implorate la mani di Colui che può venire in vostro soccorso; ad esempio la Sposa dei Cantici chiede a Dio che la si attiri a Lui, fino a che la sua grazia vi abbia restituito la vostra vivacità ed il vostro primitivo fervore, voi possiate dirgli: « … io ho corso nella via dei vostri comandamenti, quando avete dilatato il mio cuore. » (S. Bern. Serm. XXII, in Cant.). – 2° Il rimedio da parte di Dio è inviare la sua parola: « Egli ha inviato la sua parola e li ha guariti, li ha tratti dalla morte. » Questa parola è il Verbo di Dio, Gesù-Cristo, la Parola eterna con la quale tutte le cose sono state fatte. Questa parola – sono ancora i discorsi dei ministri del Verbo – sono le divine Scritture e le sante ispirazioni che Dio invia nelle anime. Gesù-Cristo, Figlio di Dio, Parola eterna con la quale tutte le cose sono state fatte, è inviato – dice Isaia – per guarire coloro che hanno il cuore oppresso dalla tristezza, per essere la medicina sovrana delle nostre anime, che Egli ha guarito con le sue piaghe. « Era – dice S. Agostin -, il gran medico che doveva avvicinarsi personalmente al grande malato ». – Sotto la mano potente e nello stesso tempo dolce e prudente di questo divino Medico, l’anima oppressa si rialza, sente rinascere le proprie forze e, con le sue forze, la sua salute, il suo fervore, il suo gusto per le cose di Dio. – Guarendo tutto il genere umano dalle sue infermità e dai suoi languori, ha lasciato ancora un fondo di tristezza, ma di tutt’altra natura rispetto a ciò che lo divorava prima della sua guarigione: « … Noi gemiamo – dice l’Apostolo – nell’attesa della nostra dimora che è nel cielo. » (II Cor. V, 4). Ma questa tristezza è l’effetto del prezioso dono della salvezza che Gesù-Cristo ci ha reso. (Berthier). – Vedete allora il male che causa questo disgusto spirituale, vedete a quale pericolo il malato sia destinato da Colui verso il quale ha gridato: « Egli ha mandato la sua parola, li ha guariti, e li ha liberati. » Da cosa? Non dai loro smarrimenti, non dalla fame, non dalle difficoltà di vincere i loro peccati, ma « dalla loro corruzione. » È in effetti una corruzione dello spirito il provare disgusto per ciò che è pieno di dolcezza. Per questo beneficio dunque, come per quelli che lo hanno preceduto, « … che il nome del Signore sia confessato per le sue misericordie e per le sue meraviglie che ha fatto in favore dei figli degli uomini. Gli offrano essi un sacrificio di lode. » Se essi lodano il Signore, gustano così la sua dolcezza; « e rendano pubbliche le sue opere con trasporto di gioia, » senza noia, senza tristezza, senza ansia, senza disgusto ma, al contrario, con trasporto di gioia (S. Agost.).

IV. — 24-32.

ff. 24-32. – La quarta angoscia dell’umanità abbandonata a se stessa ci è dipinta dal salmista sotto l’immagine di un mare in tempesta. Il mondo è questo mare burrascoso al quale gli uomini sono costantemente esposti, battuti dalle onde delle persecuzioni degli uomini, o dalle tentazioni del demonio. Tutti i tratti di questo quadro, possono essere applicati ai peccatori: là essi discendono sul mare su navigli, come Giona fuggente davanti al volto di Dio, abbandonando la terra ferma, cioè il soggiorno nell’umiltà, nella pace, nella grazia; 2° essi lavorano in mezzo a grandi acque, dandosi molta pena per soddisfare nella loro vita delizie e voluttà; 3° essi vedono le opere di Dio con le sante ispirazioni che dà loro; 4° essi vedono le sue meraviglie con lo sguardo della fede che penetra fino alla profondità dell’inferno; 5° il soffio della tempesta si leva con la tentazione del demonio; 6° le onde del mare si sollevano per le diverse calamità da cui sono oppressi; 7° si eleveranno fino al cielo per l’orgoglio dei loro pensieri e delle loro afflizioni; 8° discendono fino negli abissi per la disperazione che avvolge il loro cuore; 9° la loro anima cade nell’astenia per la perdita delle grazie e dei doni dello Spirito-Santo; 10° essi si turbano, ed è questo l’affetto naturale e primario del peccato nell’anima priva di pace, che è – per Sant’Agostino – la tranquillità dell’ordine; 11° essi sono agitati come un uomo che è ubriaco dai desideri insensati che lo dominano e lo trasportano; 12° ogni loro saggezza è abbattuta, divorata. Il pilota del naviglio, cioè l’intelligenza che veglia sul corpo e sull’anima, è piombato a causa del peccato in un sonno profondo: « … voi sarete come un uomo che dorme in mezzo al mare, come un pilota assopito che ha perso il controllo. » (Prov. XXIII, 34). Due cose – dice san Tommaso – impediscono all’anima di vedere la verità: la violenza delle passioni, che allontana l’anima dalle cose spirituali per portarla interamente verso le cose sensibili, e la sollecitudine prodotta dalla preoccupazione delle cose terrene. – La grande ed assoluta dipendenza dell’uomo da Dio, non sembra in alcun luogo più evidente che sul mare, quando si vede su qualche tavola unita, esposto ad ogni furore di questo elemento indomabile, quando vede da vicino che non conosce se non dal racconto dei viaggiatori, la potenza di una tempesta, l’elevazione delle onde, l’immensità e la profondità dei mari, e la morte che gli si presenta da ogni lato. – È questa la demoralizzazione degli uomini in presenza del naufragio, allorché ogni energia, ogni risoluzione li abbandona, ed essi si allarmano fino a perdere lo spirito. – La potenza di Dio è che comanda con autorità ai venti ed alle tempeste: « Egli domina l’orgoglio del mare, ed abbatte i suoi flutti elevati. » (Ps. LXXXVIII, 10). – Quando il vento dell’orgoglio agita il mare del cuore umano, le onde dei desideri si elevano fino al cielo. – « Le sue onde si elevano, salgono fino ai cieli e discendono fino al fondo degli abissi. » Ecco un’agitazione violenta; è un’immagine viva degli spiriti curiosi: i loro pensieri, vaghi ed agitati, si spingono, come flutti, gli uni contro gli altri; si gonfiano, si alzano smisuratamente; non c’è nulla di così elevato nel cielo, né nulla di così nascosto nelle profondità dell’inferno, ove essi non immaginano di poter sprofondare; ed i consigli della sua Provvidenza, le cause dei suoi miracoli, la sequela impenetrabile dei suoi misteri, tutto vogliono essi sottomettere al loro giudizio. Infelici sono coloro che, agitandosi per la loro sorte, non vedono che il loro arrivo come in coloro che sono tormentati dalla tempesta: « Essi sono ondeggianti come degli ubriachi, » la testa gli gira in questi movimenti; tutta la loro saggezza si dissipa e, avendo malauguratamente smarrita la strada, urtano contro gli scogli, si gettano negli abissi (Bossuet, sur l’Eglise, IIe p.), immagine meno viva delle continue vicissitudini alle quali gli uomini sono esposti durante questa vita, subito elevati fino al cielo per la fiducia che ispira la fede, presto abbassati fino al fondo degli abissi dallo scoraggiamento in cui li fa sprofondare la timidezza, la debolezza, la sfiducia. – Il  turbamento, le emozioni causate dalla vista di tanto male, sono come un uomo ebbro, che non sa ciò che fa, né cosa dice. – Dio cambia, quando gli piace, le tempeste più violente, i venti più furiosi, in una brezza dolce e piacevole. Così tutto ad un colpo cadde il furore dei venti e dei flutti, alla voce di Gesù-Cristo che li minacciava; Egli non fa un miracolo minore quando, tra i fragori di una coscienza allarmata ed i dolori dell’inferno, fa sentire ad un’anima pentita, con una viva fiducia, con la remissione dei suoi peccati, questa pace che oltrepassa ogni intelligenza. (Bossuet, Or. fun. D’Anne de G. ). – Sant’Agostino applica tutta questa descrizione alla Chiesa. Questa quarta tentazione ci mette tutti in pericolo. Tutti noi, in effetti siamo sulla stessa barca: gli uni come operai, gli altri come passeggeri: tutti, tuttavia, condividono il pericolo nella tempesta e la salvezza nel porto. « Coloro che scendono sul mare nei navigli e che lavorano in mezzo alle grandi acque, » cioè in mezzo ai popoli numerosi (Apoc. XVII, 15), hanno visto le opere del Signore ed i suoi miracoli nelle profondità delle anime. Che cos’è in effetti più profondo del cuore umano? È da qui che più frequentemente partono gli uragani, che vengono le tempeste delle sedizioni ed i conflitti che agitano il naviglio. E cosa succede allora? Dio, volendo che i piloto ed i passeggeri gridino egualmente verso di Lui, « … Dio ha detto, ed il soffio della tempesta è tenuto buono. » Che vuol dire « Ha tenuto buono? » Egli ha continuato, ha perseverato, agita ancora l’imbarcazione e lo sballotta in ogni senso, ed il suo furore non passa. E cosa succede? « Ed i flutti sono stati sollevati. Essi salgono fino ai cieli, » con il loro coraggio, « e discendono fino al fondo degli abissi » nel loro terrore. Battaglia all’esterno, fragori all’interno. « La loro anima era consumata per i tanti mali. Essi erano turbati e traballavano come un uomo ubriaco. » Coloro che sono seduti al governo e sono fedelmente attaccati alla loro imbarcazione, sentano queste parole: « Essi erano turbati, e traballavano come un uomo ubriaco. » Sicuramente, quando parlano, leggono, spiegano i libri santi, sembrano saggi; ma guai a loro se la tempesta si eleva, « tutta la loro saggezza svanisce. » Talvolta, tutti i consigli degli uomini sono ridotti a nulla; da qualunque lato si girino, le onde muggiscono, la tempesta è furiosa, cadono loro le braccia; da qualsiasi lato volgano la prua, a quale onda presentare il fianco della nave, in quale direzione favorire la corsa, da quale roccia allontanarsi per paura di non perire? Nessuno di quelli che governano la nave riesce a vedere. Quale risorsa resta loro se non questa: « … essi hanno gridato verso il Signore in mezzo alle loro afflizioni, ed Egli li ha liberati dalle necessità in cui si trovavano. » – « Egli ha comandato alla tempesta, ed essa ha tenuto bene; è stata trasformata in un vento piacevole. » Essa ha tenuto bene, non sotto forma di tempesta, ma sotto forma di un vento dolce e favorevole « … ed i flutti del mare hanno fatto silenzio. » Ascoltate su questo soggetto la voce di un pilota esposto a questi pericoli, umiliato e liberato: « Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci abbia colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. »  E che, forse Dio abbandona coloro che le loro forze abbandonano? O ai quali le loro forze mancano se non per aumentare la sua gloria? Così l’Apostolo aggiunge: « Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. » – « Egli ha comandato alla tempesta, ed essa ha mantenuto bene, trasformata il un vento piacevole. » Già questi uomini, tutta la saggezza dei quali era assorbita, avevano ricevuto in se stessi la sentenza di morte, « ed i flutti del mare hanno fatto silenzio; » e sono stati pieni di gioia per il silenzio dei flutti, ed il Signore li ha condotti nel porto che essi desideravano. Che il Nome del Signore sia dunque confessato, non per i nostri meriti, non per le nostre forze, non per la nostra saggezza, ma « per la sua misericordia. » Amiamo, in tutte le nostre liberazioni, Colui che invochiamo in tutte le nostre sofferenze (S. Agost.).

V. — 33 – 43.

ff. 33 – 38. – In questa ultima parte, il Profeta, dopo aver cantato le misericordie del Signore, che porta rimedio alle Quattro grandi miserie dell’umanità, loda Dio per l’onnipotenza provvidenziale con la quale cambia talvolta la natura delle cose, amandosi rivelare con i suoi cambiamenti, come il solo e vero Creatore e padrone di tutte le cose. – Il salmista qui ha in vista non un fatto particolare al popolo di Dio nel deserto o nella terra promessa, ma i tempi primitivi dell’inizio della propagazione del genere umano dopo il diluvio. Così come Dio cambiò la fertile terra di Sodoma in un deserto arido, così, in altri luoghi, diede nascita a fiumi, a città; Egli fece fiorire la coltura dei campi, piantare delle vigne e moltiplicare gli uomini e gli animali. (Bellarm.). Il deserto è sterile, l’acqua che feconda vi manca; ma è Dio che fa scorrere l’acqua nel deserto, così come è Lui che ritirandola, cambia in deserto il suolo più fertile (Isai. XXV). – Le acque scorrono per il popolo giudaico con l’insegnamento dei Profeti. Oggi cercate i Profeti tra i figli di Israele, non li troverete più; la fede del Cristo, non la troverete più; il sacerdozio non lo troverete più; il sacrificio, il tempio, non lo troverete più. Perché? Perché Dio ha cambiato i fiumi in deserto. Ecco come resiste ai superbi. Ma vedete nello stesso tempo come Egli dia la sua grazia agli umili: Egli cambia il deserto in stagno, e queste terre aride in acque correnti. Dio ha detto a suo Figlio: «Tu sei Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech. » Voi cercate tra i Giudei il sacrificio di Aronne, e non lo troverete da nessuna parte; ma il sacrificio di Melchisedech lo si celebra dappertutto nella Chiesa, dall’oriente all’occaso, si offre una vittima pura al Nome del Signore, al posto delle vittime immonde che sacrificavano le nazioni quando non erano che un deserto; vedete dappertutto in seno alla Chiesa, delle sorgenti, dei fiumi, degli stagni e delle acque correnti: Dio dà la sua grazia agli umili (S. Agost.). – Immagine terribile di un’anima che Dio abbandona dopo che essa per prima lo ha abbandonato. Noi abitiamo ora nel seno di questa Chiesa bagnata dalle acque divine, ma guardiamoci dal ricadere per colpa nostra nell’aridità e nella sterilità dei giudei; e se la corruzione del nostro cuore arresta l’effusione salutare per le acque vivificanti dello Spirito-Santo, volgiamo i nostri occhi verso la bontà e la potenza di Colui che cambia il deserto in mare, e la terra arida in sorgenti di acqua viva. (D’Allioli).

ff. 39-41. – Sulla terra non c’è nulla di perpetuo e di stabile. Gli uomini che Dio ha colmato delle sue benedizioni, dei quali ha moltiplicato la razza, si vedono ben presto colpiti dai loro peccati, diminuiti e ridotti ad un piccolo numero, in preda ad insidie e persecuzioni. – Questi castighi non colpiscono solo i singoli particolari, ma pure i prìncipi. – Castigo terribile è sia per i popoli che per i re, e severa è la condanna quando Dio getta il disprezzo sui principi, cioè quando ha fatto, con la sua Provvidenza, che i principi ed i superiori, sia ecclesiastici che secolari, diventino disprezzabili, perché allora c’è insubordinazione, e la disciplina si rilassa, e tutto questo procede a loro rovina; i capi privi di luci di saggezza e di grazia, camminano all’avventura in percorsi perduti, e non più sulla retta strada, cioè vivono nel vizio, scandalizzano i popoli con i loro cattivi esempi, favoriscono i malvagi e perseguitano le persone dabbene. (Bellarm.). – Nello stesso tempo che Dio abbassa l’orgoglio di questi principi insensati, si compiace di rivelarsi ai poveri ben persuasi della propria povertà e che aspettano tutto da Dio.

ff. 42, 43. – Un cuoreretto gioisce nel vedere la rettitudine della condotta di Dio sugli uomini. – Ora i giusti tacciono in presenza dei malvagi; ma verrà il tempo in cui l’iniquità non oserà più aprire bocca. Attendiamo questi tempi con pazienza. (Dug.). – La Chiesa della terra è e sarà fino alla fine dei tempi, la Chiesa militante. Non è che in seno al regno eterno che la bocca di coloro che vomitano l’iniquità sarà imbavagliata, e sarà dato ai buoni rallegrarsi vedendo che ogni iniquità ha le labbra chiuse. Questa è la triste consolazione lasciata ai figli delle tenebre, di poter contraddire con più o meno libertà ed audacia, secondo che la Religione sia più o meno esposta alla mercé dei loro attacchi, tutto ciò che contribuisce all’avanzamento del regno di Dio. (Mons. Pie, T. II, p. 30, 31). – Vedete come il Profeta termina questo salmo: « Chi è l’uomo saggio? Se è povero conserva le sue cose; se non è ricco, cioè se non è superbo, né gonfio d’orgoglio, conserva le sue cose. Perché? « perché egli comprenderà la misericordia del Signore; » egli comprenderà che non i suoi meriti, non le sue forze, non la sua potenza, ma che le misericordie del Signore, lo hanno ricondotto nella via e nutrito, egli errante e mancante di tutto; poiché Egli lo ha slegato e liberato quando combatteva contro gli ostacoli innalzati dai suoi peccati, ed era lanciato nei legami dell’abitudine; Egli gli ha inviato il rimedio della sua parola e lo ha creato di nuovo quando era disgustato dalla parola divina e moriva di noia; che, strappandolo ai pericoli del naufragio e della tempesta, ha calmato il mare e lo ha condotto fin nel porto; che lo ha posto in seno al popolo ove dà la sua grazia agli umili, e  non al popolo per cui resiste ai superbi; infine che gli si è legato in tal modo che resta del gran numero in seno alla Chiesa, invece di essere del piccolo numero fuor dalla Chiesa. « Ogni uomo saggio terrà presente queste cose. » Come le terrà presenti? Con la sua umiltà e l’intelligenza che avrà delle misericordie del Signore (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI, DOMINO … QUIS LOQUETUR” (CV)

SALMO 105: CONFITEMINI DOMINO, quis loquetur”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 105

Alleluja.

[1 ] Confitemini Domino,

quoniam bonus, quoniam in sæculum misericordia ejus.

[2] Quis loquetur

potentias Domini, auditas faciet omnes laudes ejus?

[3] Beati qui custodiunt judicium, et faciunt justitiam in omni tempore.

[4] Memento nostri, Domine, in beneplacito populi tui; visita nos in salutari tuo:

[5] ad videndum in bonitate electorum tuorum, ad lætandum in lætitia gentis tuæ, ut lauderis cum hæreditate tua.

[6] Peccavimus cum patribus nostris; injuste egimus, iniquitatem fecimus.

[7] Patres nostri in Aegypto non intellexerunt mirabilia tua; non fuerunt memores multitudinis misericordiæ tuæ. Et irritaverunt ascendentes in mare, mare Rubrum;

[8] et salvavit eos propter nomen suum, ut notam faceret potentiam suam.

[9] Et increpuit mare Rubrum, et exsiccatum est; et deduxit eos in abyssis sicut in deserto.

[10] Et salvavit eos de manu odientium, et redemit eos de manu inimici.

[11] Et operuit aqua tribulantes eos; unus ex eis non remansit.

[12] Et crediderunt verbis ejus, et laudaverunt laudem ejus.

[13] Cito fecerunt, obliti sunt operum ejus; et non sustinuerunt consilium ejus.

[14] Et concupierunt concupiscentiam in deserto, et tentaverunt Deum in inaquoso.

[15] Et dedit eis petitionem ipsorum, et misit saturitatem in animas eorum.

[16] Et irritaverunt Moysen in castris, Aaron, sanctum Domini.

[17] Aperta est terra, et deglutivit Dathan, et operuit super congregationem Abiron.

[18] Et exarsit ignis in synagoga eorum, flamma combussit peccatores.

[19] Et fecerunt vitulum in Horeb, et adoraverunt sculptile.

[20] Et mutaverunt gloriam suam in similitudinem vituli comedentis foenum.

[21] Obliti sunt Deum qui salvavit eos, qui fecit magnalia in Ægypto,

[22] mirabilia in terra Cham, terribilia in mari Rubro.

[23] Et dixit ut disperderet eos, si non Moyses, electus ejus, stetisset in confractione in conspectu ejus, ut averteret iram ejus, ne disperderet eos.

[24] Et pro nihilo habuerunt terram desiderabilem; non crediderunt verbo ejus.

[25] Et murmuraverunt in tabernaculis suis; non exaudierunt vocem Domini.

[26] Et elevavit manum suam super eos ut prosterneret eos in deserto.

[27] Et ut dejiceret semen eorum in nationibus, et dispergeret eos in regionibus.

[28] Et initiati sunt Beelphegor, et comederunt sacrificia mortuorum.

[29] Et irritaverunt eum in adinventionibus suis, et multiplicata est in eis ruina.

[30] Et stetit Phinees, et placavit, et cessavit quassatio.

[31] Et reputatum est ei in justitiam, in generationem et generationem usque in sempiternum.

[32] Et irritaverunt eum ad Aquas contradictionis; et vexatus est Moyses propter eos;

[33] quia exacerbaverunt spiritum ejus, et distinxit in labiis suis.

[34] Non disperdiderunt gentes quas dixit Dominus illis;

[35] et commisti sunt inter gentes, et didicerunt opera eorum;

[36] et servierunt sculptilibus eorum, et factum est illis in scandalum.

[37] Et immolaverunt filios suos et filias suas daemoniis.

[38] Et effuderunt sanguinem innocentem, sanguinem filiorum suorum et filiarum suarum, quas sacrificaverunt sculptilibus Chanaan. Et infecta est terra in sanguinibus;

[39] et contaminata est in operibus eorum, et fornicati sunt in adinventionibus suis.

[40] Et iratus est furore Dominus in populum suum, et abominatus est hæreditatem suam.

[41] Et tradidit eos in manus gentium; et dominati sunt eorum qui oderunt eos.

[42] Et tribulaverunt eos inimici eorum; et humiliati sunt sub manibus eorum;

[43] sæpe liberavit eos. Ipsi autem exacerbaverunt eum in consilio suo; et humiliati sunt in iniquitatibus suis.

[44] Et vidit cum tribularentur, et audivit orationem eorum.

[45] Et memor fuit testamenti sui, et pœnituit eum secundum multitudinem misericordiæ suæ;

[46] et dedit eos in misericordias, in conspectu omnium qui ceperant eos.

[47] Salvos nos fac, Domine Deus noster, et congrega nos de nationibus; ut confiteamur nomini sancto tuo, et gloriemur in laude tua.

[48] Benedictus Dominus Deus Israel, a sæculo et usque in sæculum; et dicet omnis populus: Fiat! fiat!

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CV.

Dio è da lodarsi per la sua misericordia verso i disobbedienti ; che egli ricevè ancora in quando fecero penitenza.

Alleluja: Lodate Dio.

1. Date lode al Signore, perché egli è buono, perché eterna ell’è la sua misericordia

2. Chi potrà ridire le possenti opere del Signore? chi rappresenterà con parole lodi di lui?

3. Beati quelli che osservano la rettitudine, e in ogni tempo praticano la giustizia.

4. Sovvengati di noi, o Signore, secondo la buona tua volontà verso il tuo popolo: vieni visitarci colla tua salute; (1)

5. Affinché noi veggiamo i beni de’ tuoi eletti e ci rallegriamo dell’allegrezza del popol tuo, affinché tu sii glorificato nella tua eredità.

6. Abbiano peccato co’ padri nostri: abbiamo operato ingiustamente, abbiam commesso iniquità. (2)

7. I padri nostri nell’Egitto non considerarono le tue meraviglie, non si ricordarono della molta tua misericordia. (3)

8. E te irritarono quando stavano per entrare nel mare, nel mare Rosso,

9. Ed ei li salvò per amor del suo nome, per far conoscere la sua potenza.

10. E fé’ minaccia al mar Rosso, ed ei si asciugò; e li menò per gli abissi come per un arido terreno.

11. E li salvò dalle mani di quei che gli odiavano, e li riscattò dal poter del nimico.

12. E sommerse nelle acque i loro persecutori: un solo di essi non si salvò. (4)

13. Ed essi ebber fede alle sue parole, e cantarono le sue lodi.

14. Ma fecer presto a scordarsi delle opere di lui e non aspettarono l’esito dei suoi consigli.

15. E desiderarono cose voluttuose nel deserto, e tentarono Dio in quel luogo senza acqua.

16. E diede loro quel che chiedevano, e saziò i loro appetiti.

17. E irritarono negli alloggiamenti Mosè, e Aronne il santo del Signore.

18. Si aperse la terra, e ingoiò Dathan, e assorbì la sequela di Abiron.

19. E il fuoco divampò nelle loro tende; la fiamma abbruciò i peccatori.

20. E fecero un vitello in Horeb; e adorarono una statua di getto.

21. E la gloria loro cambiarono per l’immagine di un vitello che pasce l’erba.

22. Si dimenticaron di Dio, che li salvò e fece cose grandi in Egitto, cose mirabili nella terra di Cham, cose terribili nel mare Rosso.

23. E avea parlato di sterminarli, se Mosè suo eletto non si fosse piantato alla breccia di contro di lui,

24. Affine di distornare l’ira di lui perché non gli sterminasse. Quelli però non si curarono di quella terra desiderabile;

25. Non credettero alla parola di lui e mormorarono ne’ loro alloggiamenti; non ascoltaron la voce del Signore.

26. E alzata la mano contro di essi, giurò di sperdergli nel deserto,

27. E di avvilire la loro stirpe tra le nazioni, e di disperderli in questa e in quella regione.

28. E si consacrarono a Beelphegor, e mangiarono dei sacrifizi dei morti.

29. E lui irritarono coi loro ritrovamenti; si fe’ più grande la loro rovina.

30. E si levò su Phinees, e lo placò; e la piaga cessò.

31. E ciò fugli imputato a giustizia, di generazione in generazione fino in sempiterno.

32. E lui irritarono alle acque di contraddizione; e patì Mosè della loro colpa, (5)

33. perché avevano perturbato il suo spirito. E fu dubbioso nel suo parlare.

34. Essi non dispersero le nazioni, com’egli avea loro intimato.

35. E si mischiarono colle genti, e impararono i loro costumi, e rendetter culto ai loro idoli; e ciò divenne per essi pietra di inciampo.

36. E immolarono i loro figliuoli e le loro figliuole ai demoni.

37. E sparsero il sangue innocente, il sangue de’ propri figliuoli e delle figliuole sacrificate da loro agl’idoli di Chanaan.

38. E fu infettata la terra per lo spargimento del sangue, e fu contaminata dalle opere loro e si prostituirono a’ loro ritrovamenti.

39. E il Signore si accese d’ira e di furore contro il suo popolo, e prese in abominio la sua eredità. (6)

40. Eli diede in potere delle nazioni ed ebber dominio di essi quei che gii odiavano.

41. Ei loro nemici li trattarono duramente, e sotto il potere di questi e’ furon umiliati: sovente Dio ne li liberò. (7)

42. Ma eglino lo esacerbarono co’ loro consigli, e furon umiliati per le loro iniquità.

43. E li rimirò quando erano nella tribolazione, e udì la loro orazione.

44. E si ricordò di sua alleanza, e per la molta sua misericordia si ripentì.

45. E fe’ che trovasser misericordia presso tutti quei che gli avevano fatti schiavi.

46. Salvaci, o Signore Dio nostro, e raccoglici di tra le nazioni,

47. Affinché confessiamo il tuo santo nome, e ci gloriamo in te, degno di ogni laude.

48. Benedetto il Signore Dio d’Israele ab eterno e in eterno; e dirà tutto il popolo: Cosi sia, così sia. (10)

(1) In beneplacito, a causa della benevolenza che portate al vostro popolo.

(2) Nelle grandi calamità, c’era  l’uso di fare la confessione pubblica dei peccati. (I Esdr. ix, 6, 7; Tob. III, 3, 4; Judith, VII, 19; Baruch. I, 15-20; II, 5-8; Dan. ix. 6).

(3) Allusione al mormorio che precedette il passaggio del mar Rosso.

(4) Allusione al cantico di Mosè.

(5) Se Mosè non fosse stato sulla breccia per arrestarlo, se Mosè non si fosse presentato davanti a Dio per intercedere in loro favore. L’immagine è presa da un muro preso d’assalto, nel quale si è fatto breccia, e dove un soldato valoroso si presenta per respingere coloro che si precipitano sul posto. Qui è Dio il nemico venuto a penetrare, Mosè il difensore che si tiene sulla breccia e chiede grazia.

(6) Et elevavit può significare che Egli giurò di farli cadere morti nel deserto come gli uomini giurano alzando la mano; si attribuisce qui questo atto a Dio. (Ex. VI, 8).

(7) Mosè dubitò se fosse possibile a Dio far uscire acqua dalla roccia; egli fu punito per questo dubbio morendo senza entrare nella terra promessa.

(8) La fornicazione è qui il culto di un falso dio.

(9) V. 41 e segg. Questi versetti sono relativi ai tempi dei Giudici.

(10) questo versetto indica che il popolo doveva qui rispondere: Amen, Alleluja.

Sommario analitico

Questo salmo è come la controparte del precedente. Il salmista vi ripercorre la storia del popolo ebraico dopo l’uscita dall’Egitto fino ai tempi dei Giudici, e considera i benefici di cui Dio li ha ricolmati, malgrado la loro ingratitudine, le sue lamentele ed infedeltà. – Niente impedisce di attribuire a Davide la composizione di questo salmo o, secondo gli esegeti più autorizzati, lo stile non risente di alcuna traccia di epoca più recente (Le Hir.). Alcuni altri hanno pensato che questo salmo potesse essere ricondotto ai tempi della cattività e, in questa ipotesi, l’autore avrebbe copiato a Davide i versetti 1, 46, 47 di questo salmo che si leggevano nel I libro dei Paralipomeni. L’autore del versetto 48 sembrava loro evidentemente posteriore alla cattività.

I. – Il Re-Profeta esorta tutti gli israeliti a lodare Dio:

1° proclamando la sua bontà e la sua misericordia (1);

2° Rendendo pubblica la sua bontà e la sua misericordia (2);

3° Imitandone la giustizia e la santità (3);

4° Chiedendo è per tutto il popolo la grazia e la salvezza che devono tornare a gloria di Dio (4, 5);

5° Riconoscendo e confessando le loro offese a Dio (6).

II.  Egli espone alternativamente le infedeltà degli israeliti ed i castighi che sono stati la giusta punizione e la bontà di Dio nei loro riguardi:

1° All’uscita dall’Egitto: – a) il loro peccato di ignoranza, di oblio e di mormorio (7); – b) la bontà di Dio nel passaggio miracoloso del mar Rosso (8-10); – c) la vendetta messa a punto contro gli Egiziani in favore degli Ebrei (11-12).

2° Alla loro entrata nel deserto: – a) il loro peccato di ingratitudine e di piacere sensuale (13, 14); – b) la bontà di Dio che accordava loro ciò che desideravano, ed il castigo che seguì al compimento dei loro desideri (15);

3° Nel viaggio attraverso il deserto: – a) il loro peccato di invidia e di ambizione contro Mosè ed Aronne (10); – b) la vendetta che Dio fece del crimine di Dathan ed Abiron, permettendo che la terra inghiottisse loro ed i loro compagni (17, 18); 

4° Nel loro soggiorno nel deserto: – a) l’adorazione del vitello d’oro e l’oblio di Dio, il castigo con il quale Dio voleva colpirli e sospeso da Mosè (19-23); – b) i loro nuovi mormorii e la punizione che ne scaturì (24- 27); – c) i loro disordini ed il culto reso a Belphagor punito dalla morte di un gran numero, e la vendetta di Dio arrestata dall’intervento di Phineèes (28-31); – d) la loro impazienza e le loro contraddizioni che provocarono la giustizia di Dio anche contro Mosè (32-33);

5° Dopo la loro entrata nella terra promessa: – a) la loro tolleranza colpevole verso i Cananei, la partecipazione al loro culto sacrilego ed ai loro abomini (34-39); – b) la giusta punizione dei loro crimini da parte dei nemici che li ridussero in schiavitù e devastarono le loro contrade (40-43); – c) la misericordia di Dio che si ricorda della sua alleanza e modera la durezza dei loro vincitori (43-46). 

III. Egli termina: 1° Chiedendo a Dio la liberazione del suo popolo, per celebrare le sue lodi e la sua gloria (47);

2° Cominciando questo cantico di lode ed esortando il popolo di Dio a riunirsi a lui. (48).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1-6. – Questo salmo ed il precedente sono strettamente legati tra loro, poiché il primo ci segnala il popolo di Dio nei suoi eletti, dalla cui parte non si è levato alcun pianto, e che sono del numero di coloro nei quali Dio si è compiuto (I Cor. X, 5), ed il secondo ci segnala gli uomini del popolo le cui rimostranze hanno provocato in Dio amarezza senza che però la sua misericordia li abbia abbandonati. Il salmista parla a nome di coloro tra i quali che, essendo convertiti, hanno implorato il loro perdono, e riporta degli esempi di peccatori verso i quali ha manifestato la divina misericordia, ricca pure verso coloro che l’offendono (S. Agost.). – Ci sono taluni che lodano il Signore che è potente; ci sono altri che lo lodano perché è buono al loro sguardo, ci sono altri che lo lodano assolutamente, perché è buono. – I primi sono degli schiavi che lo temono; i secondi sono mercenari che non pensano che ai loro interessi; i terzi sono dei figli che rendono onore al loro Padre. (S. Bern., Ep. XI). – Dopo aver invitato tutto il suo popolo ad esaltare il Signore, e rendere pubblici i prodigi della sua misericordia, il Profeta, ripiegandosi in qualche modo su se stesso, considera che nessuno sia capace di esaltare, come si conviene, la  potenza della misericordia divina. (Berthier). – « Chi è in grado di raccontare le sue opere? Chi sonderà le sue meraviglie? Chi potrà ritrarre la grandezza della sua potenza, o chi intraprenderà a raccontare la sua misericordia. Non si può né diminuire, né accrescere, né conoscere la grandezza di Dio. » (Eccl. XVIII, 2-5). Dio è invisibile, ineffabile, infinito; ogni discorso è ridotto al silenzio per esprimere le sue grandezze, ogni intelligenza condannata all’impotenza per sondare le sue divine perfezioni e concepirle. (S. Hil.). – Ma se qualcuno è degno di celebrare le meraviglie della potenza del Signore in modo che a Lui piaccia, sono coloro che osservano le regole della giustizia, e che fanno, in ogni tempo ed in tutte le occasioni, ciò che è giusto, perché è buono lodarlo con i nostri discorsi, ma è meglio lodarlo con le nostre opere e con la pratica della giustizia. –  Ora, non è sufficiente essere giusti ad intervalli: l’osservanza della giustizia è un dovere di ogni età, di tutti i tempi, di tutte le condizioni, di tutte le situazioni. « Amate il Signore vostro Dio, osservate i suoi precetti, le sue leggi, i suoi ordini in tutti i tempi. (Deut.). – In ragione del significato vicino delle due parole, giudizio e giustizia, sembra che si possa impiegarle indifferentemente; tuttavia se si vogliono prendere nel loro senso proprio, io non dubito che non ci sia tra esse una differenza, e non si debba dire di colui che giudica bene che egli osserva il giudizio, e di colui che agisce bene, che pratichi la giustizia. – « Visitateci con la salvezza che voi ci date. » Si tratta qui del Salvatore stesso, in Nome del quale i peccati sono rimessi e le loro anime guarite, affinché i giusti possano osservare il giudizio, e praticare la giustizia. (S. Agost.). – « Affinché vediamo la bontà di cui colmate i vostri eletti. » I beni della terra, i piaceri, gli onori, le ricchezze, sono per l’ordinario, l’eredità del malvagi e dei riprovati; i soli veri beni sono i beni degli eletti, quelli che Dio riserva ai loro amici. Sono questi che bisogna desiderare di vedere. « Affinché vediamo i beni promessi ai vostri eletti. » La beatitudine piena e perfetta consiste nella visione di Dio: « io sarò saziato, quando apparirà la vostra gloria. » (Ps. XVI, 15). Dio stesso sarà per noi l’unione di tutti i beni. Avaro, cosa desideri ricevere? Cosa può domandare a Dio colui al quale non è sufficiente Dio? (S. Agost., Serm. 7° sur div.). – Noi gioiremo nel cielo con Dio e tutti i santi, « per gioire della gioia che è propria al vostro popolo. » La ragione per la quale noi dobbiamo gioire in Dio scaturisce dalla sua infinita perfezione, alla quale partecipa, divenendogli simile, colui che lo vede faccia a faccia e lo gusta nella pienezza della sua anima. Molti vogliono rallegrarsi, ma pochi cercano la gioia propria del popolo di Dio. – Questa è la falsa gioia del mondo alla quale non bisogna prendere alcuna parte. – Basta solo bearsi della sola gioia propria del popolo di Dio. 

II. — 7-33.

ff. 7-12. – Cosa significano queste parole. « I nostri padri non hanno compreso le vostre meraviglie, » se non che essi non hanno compreso ciò che volete dare loro compendo queste meraviglie? Che cosa è se non la vita eterna e non un bene temporale, bensì un bene immutabile che bisogna attendere con pazienza? Ora, nella loro impazienza, essi hanno mormorato, si sono dati all’amarezza del loro cuore, hanno cercato la felicità nei beni della vita presente, beni fuggitivi ed ingannatori. « Essi non si sono ricordati dell’abbondanza della vostra misericordia. » Il profeta indirizza i suoi rimproveri alla loro intelligenza per rendersi conto dei beni eterni ai quali Dio li chiamava in mezzo a questi beni temporali e memori per non obliare almeno i miracoli che Dio aveva operato nel tempo, e credere con piena confidenza che Dio li liberasse dalla persecuzione dei loro nemici, con la potenza di cui avevano già avuto prova (S. Agost.). – Notiamo soprattutto che la Scrittura ha voluto accusare i Giudei di non aver compreso ciò che essi dovevano comprendere, e di non essersi ricordati di ciò che dovevano conservare nella loro memoria: due cose che gli uomini non vogliono che si imputino loro come colpe. E questo per essere meno supplichevoli, meno umili davanti a Dio, perché avrebbero dovuto confessare ciò che essi sono, anziché ciò che, per il suo soccorso, essi potevano diventare e che non lo sono. (S. Agost.). – « Egli ha minacciato il mar Rosso ed esso si è disseccato. » Il Profeta chiama con il nome di “minaccia” la potenza divina che ha fatto questo miracolo. C’è una forza molto segreta, nascosta, con la quale i Signore agisce in tal modo che anche gli esseri privi di sentimento obbediscano immediatamente alla sua volontà. (Idem). –  Ci si meraviglia dell’insensibilità, o piuttosto della stupidità degli antichi Israeliti, che non avevano intelligenza delle meraviglie operate sotto i loro occhi, e di cui non si ricordavano, che irritavano Dio nel tempo in cui li ricolmava di benefici. – Ma quale ragione ben più forte di meravigliarsi e nello stesso tempo condannare un gran numero di Cristiani ai quali Gesù-Cristo, i suoi misteri, i suoi insegnamenti, sono quasi sconosciuti, dopo tanti secoli di predicazione, di istruzioni e di miracoli! – Dio non salva i peccatori che per manifestare la gloria del suo Nome e per far meglio conoscere la grandezza della sua potenza, che sembra effettivamente più grande proprio per questa opposizione della miseria, della malizia e della corruzione di coloro che Egli salva. (Duguet).

ff. 13-15. – Ingratitudine e incostanza del cuore umano, è quella per cui talvolta serve e loda Dio per umore e capriccio, e che lascia ben presto di ricorre a Lui se Dio non gli accorda subito ciò che chiede. – Niente di più odioso di questa precipitazione, che sembra imporre delle leggi a Dio nel stesso momento che si implora il suo soccorso, e che cambia in una specie di servitù questa bontà tutta gratuita con la quale promette di soccorrerci. – Esempio terribile di ciò è il dolore di coloro che si disgustano delle cose spirituali e sospirano dopo i piaceri del secolo che uccidono e non saziano le anime. – Sovrano dolore ed ultimo effetto della collera di Dio, quando sembra esaudire queste domande sregolate che non servono che a soddisfare le passioni. (Duguet). Essi erano in un luogo arido, secco e senza acqua, perché non riconoscevano la rugiada divina che era stata preparata dallo Spirito-Santo nella colonna di nubi che li precedeva. (S. Gerol.). – L’intemperanza è la causa di tutti i vizi. 1° essa è la causa dell’incostanza della virtù: « Essi si stancarono ben presto. » 2° essa porta ad un oblio completo di Dio: « essi dimenticarono le opere di Dio. » Essa sostituisce al culto di Dio, il culto di un’altra divinità, di cui San Paolo ha detto nel suo linguaggio energico: « Il loro Dio è il loro ventre » (Filip. III, 19). Essa è impaziente e senza freno, e si lascia andare a lamentele contro Dio: « Essi non attesero il tempo dei suoi consigli. » 4° L’intemperanza è insaziabile: « Essi desiderarono ardentemente di mangiare carne nel deserto. »

ff. 16-18. – Fu un castigo terribile dell’indipendenza ambiziosa che questi maledetti ribelli affettarono nei riguardi di Dio, il rifiuto di sottomettersi a coloro che avevano messo al di sopra di essi. – Immagine viva, benché imperfetta del fuoco dell’inferno, che non si spegnerà mai e brucerà una infinità di maledetti riprovati senza mai consumarli (Dug.). – « La loro sorte infelice – dice l’Apostolo San Pietro – non dorme mai. » Quanto terribile è questa parola! La pazienza di Dio è formidabile. Noi non vediamo più uomini puniti come gli Israeliti mormoratori nel deserto; ma il nostro Dio ha segnato un giorno in cui i peccatori berranno il calice del suo furore; è questo giorno che bisogna meditare incessantemente! (Berthier).

ff. 19-33. – Piacque a Dio che questo crimine dell’adorazione del vitello d’oro ebbe fine con i loro autori, e che non fu rinnovato tutti i giorni dai Cristiani che si adorano da se stessi, che non si levano ogni giorno se non per giocare e divertirsi, e dei quali l’ozio, il buon cibo, il piacere, i divertimenti riempiono tutta la vita. – « Dio dichiara che li avrebbe fatti perire se Mosè, suo eletto, non si fosse levato davanti a Lui offrendosi ai suoi colpi. » Questa è una prova di quanto vale presso Dio l’intercessione dei Santi. Mosè, certo che la giustizia di Dio non potesse colpirlo, ha ottenuto misericordia per dei colpevoli che Dio poteva colpire secondo giustizia. (S. Agost.). –  Fin dove giunge l’accecamento del cuore dell’uomo, quando ha rinunciato volontariamente alla luce di Dio per abbandonarsi alle sue tenebre! (Dug.). – « Essi ritennero un nulla la terra che dovevano desiderare. » Ma l’avevano essi vista? Come dunque hanno potuto ritenere un nulla una terra che essi non avevano visto, se non come spiega il seguito? « Essi non credettero alle sua parole. » Sicuramente, se questa terra, dove si diceva colasse il latte ed il miele, non fosse stata la figura di una grande cosa, e se da questo segno visibile essa non avesse condotto alla grazia invisibile ed al regno dei cieli, coloro che comprendevano le meraviglie di Dio, gli Israeliti non sarebbero accusati di aver ritenuto un nulla questa terra … Ma ciò che rende soprattutto la oro incredulità colpevole, è che essi abbiano ritenuto un nulla questa terra così desiderabile, perché non hanno creduto alle parole di Dio, che dalle piccole cose li conduceva alle grandi; e perché, affrettandosi nel gioire dei beni temporali che gustavano secondo la carne, non hanno atteso pazientemente come detto più in alto, l’esecuzione dei disegni di Dio. (S. Agost.). – Che un uomo abbia l’insolenza di disdegnare ciò che Dio stima, di disprezzare ciò che Dio promette, è già uno stravolgimento strano di tutte le idee sane e veritiere, e non dobbiamo meravigliarci se il disprezzo che fecero gli Israeliti di una contrada che Dio aveva loro dipinto come deliziosa sia stato punito severamente; a maggior ragione Dio punirà il disprezzo che gli uomini avranno fatto, fino alla fine della loro vita, dell’eterno e glorioso soggiorno promesso ai suoi fedeli servitori. (Bellarm.). – Quanti, tra i Cristiani, professano infedeltà simili a quelle degli Israeliti? Quanti rifiuti di ascoltare la voce interiore e la parola esteriore di Dio? Quanti mormorii segreti nelle nostre tende, cioè nel nostro cuore, e forse anche all’esterno, sulle difficoltà pretese di conquistare questa terra che ci viene promessa, e sul rigore delle condizioni alle quali queste promesse sono legate? (Duguet). – Ventiquattromila uomini del popolo uccisi per ordine di Dio per l’espiazione del crimine di idolatria. Ma chi potrebbe dire il numero di coloro che Dio immola ogni giorno alla sua giustizia per questo stesso peccato? « L’inferno si è allargato, ha aperto le sue immense voragini, e tutto ciò che c’è di potente, di illustre e di glorioso in Israele vi scenderà in folla, confuso con il popolo. » (Isai. V, 14). – Peccato leggero di diffidenza di Mosè, e che appena si sarebbe percepito, se Dio non l’avesse severamente punito. –  Dio chiede molto a coloro ai quali ha dato molto. – (Idem) « Essi immolarono i loro figli e le loro figlie ai demoni. » In senso morale, essi immolarono i loro sensi e le facoltà della loro anima (S. Gerol.). 

III. — 34-48.

ff. 34-46. – Gran danno per un Cristiano è lasciar vivere le sue passioni, le sue cattive inclinazioni, e non sterminare ciò che Dio comanda di distruggere. – Pericolo ancora più grande è il mischiarsi con un certo mondo che è pieno di idoli. – Si impara ben presto ad agire come esso: si adorano i suoi idoli, le ricchezze, gli onori, i piaceri: si entra facilmente nelle sue massime: con tante occasioni di scandalo e di caduta. – Immolare i propri figli e le proprie figlie al demonio, è la idolatria più comune. – Tutte le creature gemono del fatto che i malvagi abusano di loro, e li inducono agli usi contrari al fine per il quale Dio li ha creati. « La terra si trova infetta e sporca delle opere criminali delle quali ogni giorno è teatro. » Nulla di più giusto che coloro che scuotono il giogo di Dio che li ama, cadano sotto il giogo degli uomini che li odiano. – Essi lo hanno amareggiato nuovamente con i loro disegni. » Il Profeta dice giustamente: « essi lo irritarono, lo amareggiarono con i loro disegni, » perché in effetti il male che noi facciamo viene dalla debolezza naturale del libero arbitrio e non da Dio. (S. Girol.). – Essi lo hanno amareggiato con i loro disegni. L’uomo compie i propri disegni a suo detrimento, quando cerca i propri interessi e non gli interessi di Dio … Chiunque, in questo esilio sulla terra, desidera fedelmente ed ardentemente la società dei Santi, si abitua a preferire il bene comune al proprio bene ed a cercare non i propri interessi, ma quelli di Gesù-Cristo; perché egli temerebbe, amandosi e cercando se stesso, di irritare Dio con questa condotta. Mettendo al contrario, la sua speranza nei beni invisibili, disdegna di cercare la felicità nei beni visibili; egli attende con pazienza l’eterna ed invisibile beatitudine, e non forma disegni che secondo le promesse di Colui del quale implora il soccorso nelle prove. (S. Agost.). – « Egli è pentito, secondo la grandezza della sua misericordia. » In verità tutto è ordinato, tutto è immutabile in Dio: Egli non farebbe mai, con immediata risoluzione, una cosa che non avrebbe già previsto fin dall’eternità … Egli ha dunque fatto ciò  che aveva previsto in precedenza, ma ciò che sapeva anche nell’accordare al pentimento ed alla preghiera, perché questa preghiera, quando ancora non esisteva, quando era ancora da pervenire, non sfuggiva in alcun modo alla presenza di Dio (S. Agost.). – « Egli ha fatto trovar loro misericordia davanti a coloro che li tenevano prigionieri. » Coraggio, chiunque voi siate che leggete questo salmo, che conoscete la grazia di Dio, con l’aiuto del quale siamo riscattati per la vita eterna dal Signore Nostro Gesù-Cristo, e che la conosce dalla lettura delle lettere apostoliche e dallo studio approfondito delle profezie; voi che vedete l’Antico Testamento svelato nel Nuovo, ed il Nuovo velato nell’Antico, ricordate ciò che dice l’Apostolo San Paolo del principe dell’aria, « che opera nei figli dell’incredulità. » (Efes. II, 2)… Ricordate ancora quelle stesse parole dello stesso Apostolo: « Rendiamo grazie al Padre che ci ha strappato alla potenza delle tenebre e trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. » (Coloss. I, 13). Perché Dio ha fatto trovare misericordia ai suoi predestinati di fronte a coloro che li tenevano prigionieri. Questi nemici, il diavolo ed i suoi angeli, tenevano dunque prigionieri coloro che erano predestinati al regno ed alla gloria di Dio; ma il nostro Redentore ha scacciato questi vincitori che, altrimenti, dominavano interiormente degli infedeli e che, oggi attaccano esteriormente dei fedeli. Ma essi attaccano e non vincono coloro che si rifugiano in Dio, come in una torre inespugnabile eretta di fronte al nemico. (S. Agost.).

ff. 47, 48. – « Salvateci Signore, e radunateci, etc. » Dopo aver scacciato i demoni che ci tenevano prigionieri, il Cristo finisce con il guarirci; anche il Profeta termina questo salmo pregando Dio perché completi la guarigione di coloro che ha liberato. « … Salvateci, Signore, etc. » – In tutto il corso dei secoli, Dio raduna così i suoi eletti. L’Angelo della morte batte incessantemente il richiamo, ed essi si slanciano verso la patria celeste, per lodarvi per sempre il suo Nome santo, e per glorificarsi nella sua gloria. Ma queste parole del santo Profeta avranno soprattutto il loro intero compimento quando la tromba dell’ultimo giorno avrà risuonato, e tutte le nazioni saranno comparse davanti all’augusto tribunale. (Rendu).

FINE DEL LIBRO IV