SALMI BIBLICI: “IN CONVERTENDO DOMINUS CAPTIVITATEM SION” (CXXV)

SALMO 125: “IN CONVERTENDO Dominus captivitatem Sion”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 125:

Canticum graduum.

[1]  In convertendo Dominus captivitatem Sion,

facti sumus sicut consolati.

[2] Tunc repletum est gaudio os nostrum, et lingua nostra exsultatione. Tunc dicent inter gentes: Magnificavit Dominus facere cum eis.

[3] Magnificavit Dominus facere nobiscum; facti sumus laetantes.

[4] Converte, Domine, captivitatem nostram, sicut torrens in austro.

[5] Qui seminant in lacrimis, in exsultatione metent.

[6] Euntes ibant et flebant, mittentes semina sua. Venientes autem venient cum exsultatione, portantes manipulos suos.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXV.

Il profeta parla chiaramente del ritorno d’Israele dalla cattività in patria.

Cantico dei gradi.

1. Quando il Signore fe’ tornare quelli di Sion dalla cattività, noi fummo come uomini ricolmi di consolazione.

2. Allora fu ripiena di gaudio la nostra bocca, e la nostra lingua di giubilo.

3. Allora dirassi tra le nazioni: Il Signore ha fatte, cose grandi per essi.  Il Signore ha fatto grandi cose per noi, siamo inondati di letizia.

4. Riconduci, o Signore, i nostri dalla cattività, quasi torrente al soffio dell’austro.

5. Quei che seminano tra le lacrime mieteranno con giubilo.

6. Camminavano, e andavan piangendo a spargere la loro semenza.  Ma al ritorno verranno con festa grande, portando i loro manipoli.

Sommario  analitico

Nel salmo precedente gli esiliati di ritorno dalla cattività erano nella gioia alla vista di Sion, della sua magnifica situazione e della sua forte ed inespugnabile posizione. In questo salmo, essi ammirano i benefici di cui Dio li ha colmati per riportarli alla loro fortuna, alla loro primitiva felicità. Essi sono in questo la figura dell’anima che, ricordando i mali dai quali il Signore l’ha liberata, esplode con trasporto di riconoscenza e prega Dio di completare la liberazione del suo popolo. Ora, essi considerano tre tempi:

I. Il tempo passato in cui uscirono da Babilonia:

1° La loro gioia non era ancora perfetta, perché non erano certi di raggiungere la loro patria, per la lunga distanza e per tutti i pericoli (1);

2° Essi esprimono a Dio la loro riconoscenza con canti di gioia (2);

3° I popoli dei quali attraverseranno le regioni testimoniano essi stessi la loro ammirazione (2).

II. – Il tempo presente in cui gioiscono con sicurezza dei doni di Dio.

1° Essi proclamano che il Signore ha agito magnificamente con essi (2);

2° Essi non sono che all’inizio come consolati, ma già in una gioia perfetta (3).

III. – Il tempo a venire in cui i resti della cattività dovevano ritornare:

1° Essi la domandano a Dio (4);

2° Essi danno la ragione di questa preghiera: è giusto che la gioia sopravvenga alle lacrime; ora, gli esiliati hanno seminato nelle lacrime, bisogna dunque che essi mietano nella gioia (5, 6). 

Spiegazioni e considerazioni

I. – 1-2

ff. 1, 2. – Appena i Giudei prigionieri ed esiliati ebbero appreso il decreto che rendeva loro la libertà e il ritorno in patria, stentarono a credere alla loro gioia, non credevano ai propri occhi ed alle proprie orecchie, era per essi un sogno: essi provarono ciò che provano coloro che vedono realizzarsi per loro una grande consolazione dopo una immensa tribolazione, e che passano dalla tristezza e dalle lacrime alla gioia ed all’allegria. Questa consolazione è la porzione di coloro che rivolgono tutti i loro pensieri a Dio, e che disprezzano le vane speranze del secolo, calpestando tutte le soddisfazioni terrestre, dirigendo i loro passi nella via della pace, perché comprendono qual bene ineffabile è l’essere staccato dalle catene del demonio e dalle profondità dell’inferno, per prepararsi alla voce di Dio e, sotto la sua guida, a possedere la patria celeste, la vera libertà e l’eterna pace (Bellarm.). – La cattività del corpo è una cosa penosa e dura, perché ci impedisce la libertà e ci sottomette alla dominazione dei vincitori; ma se solo il corpo è ridotto in schiavitù, la libertà dell’anima fedele resta tutta intera … Ma deplorabile com’è la cattività dell’anima se la domina l’avarizia, essa si serve del corpo per soddisfare le sue ruberie e le sue rapine; se essa si lascia vincere dalla voluttà, trascina il corpo con sé nella schiavitù; se la lussuria, la collera, l’odio, la temerarietà, l’invidia, trionfano in essa, sotto tali padroni il corpo con l’anima sono schiavi dei più duri tiranni, e la cattività dell’anima è sempre seguita dalla schiavitù del corpo … È da questa duplice cattività che il Signore ci libera con la remissione dei peccati (S. Hilar.). – La consolazione non è fatta che per gli infelici; la consolazione non è fatta che per coloro che gemono e che piangono. Perché siamo dunque consolati, se non perché gemiamo ancora? Quando questa realtà sarà passata, il nostro gemere si muterà in una gioia eterna nella quale non avremo più bisogno di consolazione, perché alcuna miseria ci colpirà più. (S. Agost.) – « Noi fummo come consolati; » cioè l’ammirazione della grandezza del bene che ci arrivò era sì eccessiva che ci impediva di sentire la consolazione che ricevemmo, e ci sembrava che noi non fossimo veramente consolati, che non avessimo una consolazione di verità, ma solo in figura ed in sogno (S. Francesco de Sales, Tract. de l’am. De Dieu, L. IX, c. XII) – Dalla consolazione interiore nasce la gioia esteriore, che si riconosce dall’espressione di felicità dipinta sul volto e dagli accenti di gioia ed allegria: le nostre parole sono impotenti a rendere a Dio delle degne azioni di grazie. I crimini hanno fatto posto all’innocenza, i vizi alle virtù, l’ignoranza alla conoscenza delle verità divine, la morte all’immortalità, e questo grazie a Dio, che ci rimette le colpe delle quali ci siamo pentiti e ci rende la speranza dei beni immortali. (S. Hilar.) – È l’ammirazione di cui il mondo stesso non può dispensarsi per coloro che, dopo avere seguito le sue leggi, sembrano giragli il dorso e marciare verso la patria celeste, attraverso la via rude della virtù e dell’imitazione di Gesù Cristo; perché il mondo che non ama più, è vero, coloro che non sono del mondo, non può tuttavia dispensarsi dall’ammirarli e dal riconoscere che Dio è in essi e con essi. (Bellar.)

II. — 3-6

ff. 3-6. –  « Il Signore ha fatto per noi grandi cose. » Essi stessi si sono fatti questo grande bene? Essi si sono fatti un grande male, perché si sono venduti al peccato. Il Redentore è venuto ed il loro bene è venuto con Lui, ed il Signore ha fatto loro del gran bene. » (S.Agost.) – Non succede tutti i giorni che un peccatore sia ristabilito nella giustizia, e gusti in questi primi momenti i frutti della sua riconciliazione con Dio; la sua anima ammira il cambiamento che è avvenuto in se stessa, e le delizie della pace interiore e ricolmata di una gioia tutta divina preferibile a tutte le gioie del mondo. (Berthier) – I primi arrivati dalla cattività pregano il Signore per il ritorno completo di tutti i prigionieri, ed il salmista disegna l’immagine di un torrente che, spinto dal vento del mezzogiorno, avanza d’ordinario le sue acque con abbondanza e rapidità, e chiede a Dio che tutti i prigionieri che restano ancora in terra straniera ritornino prontamente ed in gran numero, trasportati come gli oggetti che scorre e trasporta con sé il torrente ingrossato, sotto il vento impetuoso del mezzogiorno, per le piogge del cielo e le nevi sciolte che scendono dalle montagne. – Quanto più questa preghiera è necessaria ai pellegrini spirituali; perché, benché un certo numero siano già pervenuti alla patria, sono molti che sono ancora in viaggio, che si sono dati ad amare le loro catene, e dediti interamente alle cose della terra, non sognano più la patria. (Bellarm.) – Gli stessi giusti, anche perfetti, per quanto staccati dal mondo, gemono sempre nell’attesa della loro perfetta liberazione. Essi sentono vivamente i legami che li stringono loro malgrado, e chiedono incessantemente a Dio che finisca di rompere le catene che li tengono ancora prigionieri. (Dug.) – Il vento bruciante del mezzogiorno, è lo Spirito di Dio che soffia sui ghiacciai della nostra anima, li fa sciogliere e li trasforma in un torrente rapido che poi scorrono fino alla vita eterna (S. Agost.) – Quando il Giudei furono condotti in cattività, erano simili a coloro che spandono la semenza. I loro giorni erano giorni di pene, di tormenti, di tribolazioni; essi erano esposti ai rigori dell’inverno, alle tempeste, alla guerra, alle piogge, alle frane, ed essi versavano lacrime abbondanti, perché la lacrime sono, per le anime afflitte, ciò che le piogge sono per la semenza (S. Chrys.) – Colui che semina, spesso semina nelle lacrime; egli getta grano nella terra, senza sapere se questo grano fruttificherà, e trema dall’aver dispensato senza profitto le sue pene, le sue fatiche e il suo bene; e tuttavia non lascia di seminare senza curarsi della pioggia che cade, né del vento freddo che soffia, né dei rigori della stagione, perché egli aspetta le messe, ed anche quando, malgrado l’inverno di questa vita mortale, dobbiamo seminare piangendo la semenza che Dio ama, quella della nostra buona volontà e delle nostre buone opere, pensando alle gioie della messe. (S. Agost.). – Non si può raccogliere che a condizione di seminare. Ora ogni semenza ha un costo, la radice delle opere sante è necessariamente irrorata dalle lacrime del sacrificio: felici sono le lacrime che cadendo sul solco, fanno fruttificare la semenza ed accrescere, per l’avvenire, le speranze della raccolta. (S. Ambr.) – Seminiamo dunque in questa vita, che è piena di lacrime. Ma cosa seminiamo? Le buone opere. Le opere di misericordia sono la nostra semenza; l’Apostolo ha detto di queste semenze: « Non tralasciamo di fare il bene; perché se siamo instancabili, raccoglieremo la messe a suo tempo. Ecco perché, quando ci è dato tempo, facciamo del bene a tutti, principalmente a coloro che fanno parte della famiglia della fede. » (Galat. VI, 9, 10) Cosa ha detto egli a proposito delle elemosine? « Io vi dico, chi semina poco, raccoglierà scarsamente. » (II Cor. IX, 6). Di conseguenza, colui che semina molto raccoglierà con abbondanza, e chi semina poco, poco raccoglierà, e colui che non semina del tutto la semenza? Voi non avreste, per seminare, un campo più vasto che il Cristo, che ha voluto che si seminasse attraverso di Lui. La vostra terra è la Chiesa; pensateci più che potete. Ma direte voi, che i vostri mezzi di azione sono ristretti. Ne avete la buona volontà? Voi non avrete nulla se non avrete la buona volontà, così non vi rattristerete di nulla se avete la buona volontà. In effetti, cosa seminate? La misericordia; e cosa raccogliete? La pace. Gli Angeli hanno forse detto: Pace ai ricchi sulla terra? No, essi hanno detto: « Pace sulla terra agli uomini di buona volontà. » (Luc. II, 14), (S. Agost.) –  Gettiamo la nostra semenza in mezzo alla miseria presente; un giorno raccoglieremo nella gioia. Alla fine della nostra vita, nel giorno della resurrezione dei morti, ciascuno raccoglierà i suoi covoni, cioè i frutti delle proprie semenze, la corona di gioia e di felicità. Questa sarà l’ora del trionfo dei santi che, nel loro trasporto di gioia, insorgeranno verso questa morte, in seno alla quale gemono e diranno: O morte! Dov’è la tua forza? O morte! Dov’è il tuo pungiglione! » (I Cor. XV, 55). Ma perché essi gioiranno? Perché porteranno i loro covoni, per aver altra volta camminato tra le lacrime, spargendo in terra le loro semenze (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “QUI CONFIDUNT IN DOMINO, SICUT MONS SION” (CXXIV)

SALMO 124: Qui confidunt in Domino, sicut mons Sion

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.  

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 124:

Canticum graduum.

[1] Qui confidunt in Domino, sicut mons Sion:

non commovebitur in æternum, qui habitat

[2] in Jerusalem. Montes in circuitu ejus; et Dominus in circuitu populi sui, ex hoc nunc et usque in sæculum.

[3] Quia non relinquet Dominus virgam peccatorum super sortem justorum; ut non extendant justi ad iniquitatem manus suas,

[4] benefac, Domine, bonis, et rectis corde.

[5] Declinantes autem in obligationes, adducet Dominus cum operantibus iniquitatem. Pax super Israel! [1]

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXIV.

Anima il profeta i viatori alla patria, a gran fiducia in Dio, che è potentissimo e fedelissimo.

Cantico dei gradi.

1. Coloro che confidano nel Signore sono come il monte di Sion; non sarà vacillante in eterno chi abita in Gerusalemme.

2. Ella è cinta dai monti; e il Signore cinge il suo popolo, e adesso e per sempre.

3 Perocché il Signore non lascerà che io salirò dei peccatori (domini) sopra l’eredità

dei giusti; affinché non istendano i giusti le loro mani all’iniquità.

4. Sii tu benefico, o Signore, coi buoni e con quelli di cuore retto.

5. Quelli poi che a storti sentieri si volgono, li porrà insieme il Signore con quelli che operan l’iniquità: pace sopra Israele. [1]

(1) La parola “obligationes” ha dato luogo a differenti interpretazioni. Noi ci contentiamo di fare osservare, per giustificare il senso che abbiamo adottato nella traduzione del testo e nelle spiegazioni che seguono, senso che è il più generalmente adottato, che questo versetto non fa che uno con il precedente, del quale è come il complemento, e se si vuol conciliare il testo latino, greco ed ebraico, non si può dubitare che questo termini non significhi l’obliquità e la tortuosità che prende la corda contrariata nella sua direzione, nell’avvolgersi in numerosi anelli. Questi nodi, queste tortuosità sono messi là per opposizione alla rettitudine di cui sta per parlare il salmista, e così c’è legame per sequela di idee. Se al contrario, si vuole intendere con questa parola, l’obbligo di fare qualche cosa, come sono i voti, i giuramenti, le promesse, i patti, ed altri impegni simili, non si potrà che indovinare appena ciò che ha voluto dire il Profeta. 

Sommario analitico.

In questo salmo il Profeta, giunto dopo l’esilio al termine del suo viaggio nella città santa, proclama la felicità di coloro che confidano nel Signore.

I. – Egli afferma la stabilità e la sicurezza di coloro che confidano in Dio, e che egli compara alla montagna di Sion:

1° essi saranno indistruttibili (1) ;

2° saranno in una sicurezza perfetta e durevole (2).

II. – Descrive la loro felicità che sarà il seguito:

1° della fine prossima delle persecuzioni dei loro nemici, di cui dà la ragione (3);

2° dei benefici che Dio spande sui giusti e su coloro che hanno il cuore retto (4);

3° del severo castigo che esercita sugli ipocriti e su coloro che seguono le vie tortuose;

4° della pace che farà regnare su Israele (5).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1.- 2.

ff. 1, 2. – « Coloro che confidano veramente in Dio sono come la montagna di Sion. Questa è il simbolo di una ferma speranza, invincibile, indistruttibile: avrete bene da moltiplicare le macchine, ma non riuscirete mai a rovesciare o distruggere una montagna. Così colui che attacca l’uomo, la cui speranza è in Dio, vedrà inutile tutti i suoi sforzi, perché la speranza in Dio, è un appoggio più sicuro di quanto possa essere una montagna (S. Chrys.) – « … come la montagna di Sion, » a causa della sua immobilità, della sua elevazione, della sua stabilità e soprattutto perché è una montagna cara e consacrata a Dio. La santa montagna di Sion, indistruttibile per la Potenza che Dio vi afferma, comunica la sua immobilità e la sua tranquillità ai suoi abitanti. – « Colà, non saranno mai abbattuti coloro che abitano in Gerusalemme. » Se noi qui intendiamo la Gerusalemme terrestre, tutti coloro che l’abitavano sono stati cacciati dalle guerre e dalla distruzione di questa città. Perché dunque coloro che abitano in essa non saranno mai distrutti, se non perché c’è un’altra Gerusalemme che è la madre nostra e verso la quale noi sospiriamo e gemiamo nel viaggio di questa vita, per avere la felicità di entravi? Noi erriamo lontano da essa e non abbiamo alcun cammino che ci conduca ad essa: il suo Re è venuto e si è fatto nostra via, affinché potessimo ritornare ad essa (S. Agost.) – Rappresentatevi la felicità della città dei cieli: coloro che vi sono entrati sono al riparo da ogni prova, e nulla oramai potrà distruggerli, né le passioni, né i piaceri, né le occasioni di peccato, né il dolore, né le sofferenze, né i pericoli, tutto ciò non esiste che nel passato (S. Chrys.). – La necessità di un senso superiore in senso letterale, appare qui in tutta la sua evidenza. Il nome della montagna di Sion, l’abitazione in Gerusalemme, le montagne che la circondano, tutto ciò richiede un senso spirituale, interiore se si vuole, ebbene questo salmo sia senza oggetto, ed il Profeta, attraverso il quale noi crediamo che lo Spirito Santo abbia parlato, potrebbe essere accusato di menzogna. Qual frutto, in effetti, riporterà colui che mette la sua fiducia nel Signore, di essere come la montagna di Sion, cioè che un uomo ragionevole diventi una pietra, una roccia, un albero, o altro, e di discendere dalla natura animata alla natura inanimata? Come sarebbe vero, allora che colui che abita in Gerusalemme non sarà mai abbattuto? E Gerusalemme ha potuto santificare e difendere i suoi abitanti e dare loro eterno rifugio, essa che ha visto compiersi in mezzo ad essa il massacro dei Profeti, il giudizio che condannò il Signore a morte, la fuga degli Apostoli e lo scandalo della croce? Quante volte i suoi abitanti sono stati condotti in cattività? Quante volte messi a morte? Infine questa città è stata distrutta da cima a fondo, e coloro che sono sopravvissuti alla sua distruzione, sono stati dispersi ai quattro venti del cielo … Questa montagna di Sion, è dunque la Chiesa, che ha per fondamento Gesù Cristo, dunque il Signore ha detto con il suo Profeta: « Io stabilirò per fondamento in Sion, una pietra solida, scelta, preziosa, angolare ed immutabile, e colui che crederà in questa pietra non sarà confuso » (Isai. XXVIII, 16). Nessun dubbio che l’Apostolo non abbia inteso questo fondamento se non in Gesù Cristo, sul quale si appoggia la Chiesa figurata con questa montagna. Questa Chiesa è la Gerusalemme, di cui l’Apostolo dice: « La Gerusalemme dell’alto è libera, ed essa è la madre nostra. » (Gal. IV, 25, 26). Noi dunque abbiamo qui, tutte insieme, Sion, la montagna del Signore, e Gerusalemme, la vera città di Dio (S. Hilar.) – Ed aspettando, coloro che abitano con il desiderio e la speranza questa Gerusalemme celeste, che non aspirano che al possesso di Dio, partecipano a questa felice immutabilità e non perdono mai, loro malgrado, l’oggetto della loro speranza e del loro amore. – « Delle montagne la circondano. » Per noi è gran cosa essere in una città circondata da montagne? È nostra suprema felicità possedere una città circondata da montagne da ogni parte? Non abbiamo dunque mai visto montagne? E cosa sono le montagne se non porzioni di terra elevate? Ma ci sono altre montagne, montagne amabili, montagne sublimi: i predicatori della verità, gli Angeli, gli Apostoli, i Profeti. Essi circondano Gerusalemme da ogni lato, e la circondano come una cinta di mura … Queste montagne sono illuminate da Dio; esse sono le prime a ricevere la luce, che da esse discende nelle valli e sulle colline; con queste montagne, noi riceviamo il dono della santa Scrittura, sia nei Profeti, sia nelle lettere apostoliche, sia nel Vangelo … Ma siccome le montagne stesse non sono difese dalle proprie forze, nè esse ci proteggono con la loro possanza, e non dobbiamo porre la nostra speranza in esse, … il Profeta aggiunge immediatamente: « ed il Signore è intorno al suo popolo, » affinché la vostra speranza non riposi sulle montagne, ma in Colui che rischiara le montagne. In effetti, poiché Dio abita nelle montagne, cioè nei Santi, è Egli stesso intorno al suo popolo come una muraglia di fortezza spirituale, perché non sia mai abbattuta. (S. Agost.) – È ciò che cantava il Profeta Isaia: « Sion è una città forte, il Salvatore ne è Egli stesso muraglia e la ripara. Aprite le sue porte, riceva nel suo seno un popolo che ama la verità. » (Isai. XXVI, 1). È ciò che Nostro Signore Gesù Cristo promette alla sua Chiesa, che è la vera Sion: « … ecco che io sono con voi fino alla consumazione dei secoli. » (Matth. XXVIII, 20).

II. — 3-5

ff. 3 – 5. –  « Dio non lascerà riposare la verga dell’empio sull’eredità dei giusti. » La “verga” nella Scrittura è l’insieme della potenza. Mosè ricevette da Dio una verga per operare i suoi prodigi; Aronne ricevette ugualmente una verga, simbolo della sua preminenza sugli altri sacerdoti. Noi vediamo nella Scrittura la verga del Faraone, la verga di Nabucodonosor, appesantirsi sul popolo di Dio. Il Signore è dunque intorno al suo popolo, perché la verga dei peccatori non riposi sull’eredità dei giusti. Le tribolazioni vengono, ma non durano; le persecuzioni ci assalgono, ma sono di breve durata. Vi sono molti che vogliono ridurre in cattività la libertà della nostra fede, ma nessuno giunge a dominare su questa fede che abbiamo in Cristo; perché il Signore resta eternamente intorno al suo popolo, per paura che stanco e soccombente sotto il peso di questa verga, non stendiamo le nostre mani verso l’iniquità. Tutto ciò che soffriamo dai nostri nemici è breve e, benché la battaglia sia di breve durata, il prezzo della vittoria è eterno. (S. Hilar.) Benché Dio permetta che i peccatori dominino sui giusti con l’autorità, che non servano, nella maggior parte del tempo, che ad opprimere coloro che sono loro soggetti, non permette che i loro dominatori si affermino e sussistano per sempre, né che la loro autorità si estenda ai beni spirituali ed interiori, che sono la sorte, la porzione e le vere ricchezze dei veri Cristiani. Dio pure lo vuole perché, benché giusti che siano, sarebbe da temere che, per debolezza o per partecipare alla prosperità temporale degli empi, le loro mani non servano a commettere delle azioni inique (Duguet.) – Ora, in effetti, i giusti sono talvolta nella sofferenza, e gli ingiusti hanno talvolta autorità sui giusti. Come mai? Accade, ad esempio, che i malvagi pervengano alle dignità del mondo; e quando sono giunti a diventare giudici o re, Dio permettendo, per formare il suo popolo al bene, non si possono loro rifiutare gli onori dovuti al loro rango. In effetti, Dio ha organizzato la sua Chiesa in modo tale che ogni potenza stabilita in questo mondo debba essere onorata, anche in uomini che meritano tutt’altro. Ma sarà sempre così, e gli ingiusti avranno sempre autorità sugli ingiusti? No, certo, la verga dei peccatori fa sentire il suo peso per un tempo, sulla sorte dei giusti, ma non per l’eternità, non per sempre. Verrà un tempo in cui il Cristo, apparendo nella sua gloria, radunerà intorno a sé tutte le nazioni, le separerà, come un pastore separa i capri dalle pecore, e metterà le pecore a destra ed i capri alla sinistra (Matth. XXV, 33). Allora voi constaterete un buon numero di servi tra le pecore, ed un buon numero di padroni tra i capri; e di contro un buon numero di padroni tra le pecore, e un certo numero di servi tra i caproni; poiché se noi consoliamo i servi, non tutti i servi sono buoni, o per il fatto che reprimiamo l’orgoglio dei padroni, tutti i padroni sono cattivi: ci sono dei padroni buoni e fedeli e ce ne sono altri di cattivi: vi sono dei buoni e fedeli servitori, e ve ne sono di cattivi. Ma, intanto che buoni servi si sono ridotti a servire cattivi padroni, che essi sopportino, per un tempo questa necessità: « … perché Dio non lascerà sempre la verga dei peccatori pesare sulla sorte dei giusti. » Perché? « per timore che i giusti non tendano le mani verso l’iniquità. » I giusti, dunque sopportino per qualche tempo, la dominazione degli ingiusti, comprendano che essa non durerà per sempre, e si preparino a possedere l’eterna eredità. Quale eredità? Quella in cui essendo abolita ogni dominazione, ogni potenza, Dio sarà in tutti. (II Cor. XV, 28). Conservandosi per questa eredità, e contemplandola con gli occhi del cuore, possedendola già con la fede, preservandola in modo da raggiungerla, essi non stendono la mano verso l’iniquità; perché se essi vedessero che la verga dei peccatori pesasse per sempre sulla sorte dei giusti, essi non direbbero a se stessi nei loro pensieri: « a cosa mi serve essere giusto? Il malvagio dominerà sempre su di me ed io resterò sempre schiavo? Io anche commetterò l’ingiustizia, perché non mi serve a nulla conservare la giustizia. » È per prevenire un tale linguaggio che è data l’assicurazione che la verga dei peccatori non si poserà che per un tempo sulla sorte dei giusti (S. Agost.). – In ogni circostanza dipende da noi, di principio, ottenere i favori di Dio o incorrere nei suoi castighi. Tuttavia, malgrado la parte che Dio ci lascia prendere, la sua bontà non brilla con meno splendore, e la sua liberalità nei nostri riguardi è ben superiore a tutto ciò che possiamo fare … i cuori retti di cui parla il salmista, sono i cuori nemici della dissimulazione e dell’artificio, le anime senza trucco e senza inganno. Tale è anche la virtù, semplice e retta, mentre il vizio ama servirsi di vie deviate, sempre diverse e senza uscita. (S. Chrys.) – I cuori retti sono soprattutto quelli che conformano il loro giudizio e la loro volontà alla regola rettissima del giudizio e della volontà di Dio, benché non sappiano perché Dio permetta questo e non quello. Essi acconsentono a Dio in ogni cosa: Dio piace a loro e loro piacciono a Dio. –  Ci sono due tipi di persone che non sono affatto di Dio: – 1) coloro la cui via è manifestamente sregolata e ammantata di crimini; – 2) coloro che, pur facendo professione di osservare la sua legge, abbandonano la via retta per le vie tortuose, per seguire le devianze e le false massime del secolo, che approvano spesso ciò che è cattivo e degno di biasimo. Dio li tratterà come i primi, e li aggiungerà a coloro che commettono l’iniquità. (Dug.) –  Il salmista termina con una preghiera; tale è la condotta ordinaria dei Santi: all’esortazione, ai consigli, essi aggiungono la preghiera, per far discendere su coloro che essi hanno istruito i potenti soccorsi del cielo. Ora, la pace che si augura loro, non è la pace esteriore, ma una pace di ordine più elevato. Egli ne indica l’origine, e domanda a Dio che l’anima non si divida contro se stessa, favorendo la guerra interiore che gli fanno le passioni. (S. Chrys.) – Questa pace è la prerogativa dei soli figli della Chiesa, che sono l’Israele di Dio. Israele significa “chi vede Dio”, e Gerusalemme significa “visione della pace”. Chi sono coloro che non saranno mai abbattuti? Coloro che abitano in Gerusalemme. coloro, di conseguenza, che abitano la visione della pace non saranno mai abbattuti, e « … che la pace sia su Israele. » Israele è colui che vede Dio, è dunque anche colui che vede la pace; Israele è dunque anche Gerusalemme, perché è il popolo di Dio, come Gerusalemme è la città di Dio (S. Agost.)

SALMI BIBLICI: “NISI QUIA DOMINUS ERAT IN NOBIS” (CXXIII)

SALMO 123: “NISI QUIA DOMINUS erat in nobis”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 123

Canticum graduum.

[1]   Nisi quia Dominus erat in nobis,

dicat nunc Israel,

[2] nisi quia Dominus erat in nobis: cum exsurgerent homines in nos,

[3] forte vivos deglutissent nos; cum irasceretur furor eorum in nos,

[4] forsitan aqua absorbuisset nos;

[5] torrentem pertransivit anima nostra; forsitan pertransisset anima nostra aquam intolerabilem.

[6] Benedictus Dominus, qui non dedit nos in captionem dentibus eorum.

[7] Anima nostra sicut passer erepta est de laqueo venantium; laqueus contritus est, et nos liberati sumus.

[8] Adjutorium nostrum in nomine Domini, qui fecit cœlum et terram.

 [Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXIII.

Esultanza di quei che vennero liberati da gravi tribolazioni: degli Ebrei liberati dalla cattività di Babilonia alla volta di Gerusalemme; dei Cristi liberati dalle persecuzioni degli empii, di viaggio al cielo.

Cantico dei gradi.

1. Se il Signore non fosse stato con noi,  dica adesso Israele: Se il Signore non fosse stato con noi,

2. allorché gli uomini si levaron su contro di noi, ci avrebber forse ingoiati vivi;

3. Allorché il loro furore infuriava contro di noi, forse l’acqua ci avrebbe assorti;

4. L’anima nostra ha valicato il torrente; forse l’anima nostra avrebbe dovuto valicare un’acqua insuperabile.

5. Benedetto Dio, che non ci ha fatti preda loro denti.

6. L’anima nostra è stata sciolta qual passera dal lacciuolo dei cacciatori;

7. Il laccio è stato spezzato, e noi siamo stati liberati.

8. Il nostro aiuto è nel nome del Signore che fece il cielo e la terra.

Sommario analitico

Solo a Dio si deve la liberazione dalla cattività di Babilonia; è a Dio solo che l’anima, affrancata dai legami del peccato e dell’esilio di questa vita, riconosce dovere la sua liberazione.

I. Il Profeta ricorda la grandezza del pericolo che ha corso.

1° Senza il soccorso di Dio, la sua perdita sarebbe stata certa (1);

2° essa era tanto più inevitabile quanto più numerosi erano i suoi nemici, che si avventavano su di lui – a) come delle bestie feroci pronte a divorarlo, – b) come un torrente che minacciava di inghiottirlo (2-4).

II. Egli benedice Dio per la sua liberazione, che descrive in tre figure diverse:

1° Sotto la comparazione di un torrente che ha attraversato contro ogni speranza (5);

2° sotto la comparazione di bestie feroci, dai denti delle quali Dio lo ha strappato (6);

3° sotto la comparazione di una rete che Dio ha rotto per liberare il suo popolo (7);

4° egli termina con il riconoscere, in termini espressi, che solo Dio è l’autore della sua liberazione (8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1-4. – Questo discorso, imperfetto ed interrotto dall’inizio di questo salmo, indica una sovrabbondanza di gioia sì viva e debordante che non permette al salmista di completare il suo pensiero.- « Che lo dica ora, Israele, » perché Israele può dirlo con certezza: « Se il Signore non fosse stato con noi ». E quando? « Quando uomini si sono levati contro di noi. » Non siamo stati sorpresi, essi sono stati vinti; perché essi erano degli uomini, mentre il Signore era con noi. Gli uomini si erano levati contro di noi, ma non era un uomo che era in noi, perché degli uomini avrebbero potuto opprimere degli uomini se, in coloro che essi non hanno potuto opprimere, non si fosse trovato non un uomo, ma il Signore. (S. Agost.) – Vedete sotto quali tratti egli dipinge la crudeltà dei suoi nemici? Che uomini, in effetti, tanto crudeli, più crudeli delle stesse bestie feroci nei riguardi dei loro simili! Quando la bestia selvaggia è caduta sulla sua preda, la sua furia si calma ed essa si ritira o, se è spossata, non torna più alla carica. Gli uomini al contrario, quando hanno realizzato i loro disegni, raddoppiano i loro attacchi, e giungono fino a desiderare di nutrirsi della carne dei propri simili (S. Chrys.). – Dio è con noi in un modo ben più eccellente che non lo fosse con i giusti stessi della Nazione santa L’Emmanuele o il Dio con noi, è venuto, ed è per Lui che noi siamo fortificati contro tutti gli attacchi dei demoni, del mondo e dei nostri nemici. Non è senza ragione che il Profeta dice: « Se il Signore non fosse stato con noi, o tra noi ». Egli vedeva in spirito questo momento prezioso in cui il Verbo di Dio si sarebbe rivestito della nostra natura ed avrebbe trionfato di tutti i nostri nemici. Noi siamo forti ed invincibili con Lui, come osserva S. Agostino, spiegandoci i caratteri del Cristiano. I tiranni – aggiunge il santo dottore – hanno divorato i martiri, ma erano degli uomini morti, e la persecuzione non ha loro procurato il possesso della eterna felicità, che è la vera vita. Coloro che hanno rinunciato alla fede, hanno divorato ogni vivente; essi non avevano in loro la morte spirituale, la morte alle passioni, che costituisce l’essenza del Cristiano (Berthier). –  « Quando il loro furore si è avventato contro di noi, » noi corriamo il pericolo di essere condotti alla nostra perdita, come con il furore dei flutti del mare o di un fiume che inghiottisce vive le infelici vittime che cadono nelle loro onde in un vortice rapido e profondo. – Le agitazioni e gli attacchi dei malvagi che cercano di inghiottire i Santi di Dio, sono comparate alle acque torrenziali; ma, grazie al Signore che abita nei suoi Santi, queste acque scorrono e passano con rapidità (S. Gerol.). – Sull’esempio del Profeta, diciamo a noi stessi: « Se il Signore non fosse stato con noi quando uomini si levarono contro di noi, essi avrebbero potuto divorarci vivi. » In effetti, quando soffriamo le persecuzioni degli uomini, le empie costituzioni delle potenze del secolo, le seducenti esortazioni dei perfidi consiglieri, e tuttavia restiamo fermi nella fede, noi perseveriamo nel timore di Dio, restiamo attaccati alla speranza dei beni eterni, riconosciamo che dobbiamo questa grazia alla misericordia di Dio, alla fedeltà con la quale ha compiuto questa promessa. « … ecco che io sono con voi fino alla fine dei secoli. » (Matth. XXVIII, 20). Riportiamo a questo Ospite divino che abita in mezzo a noi, tutta la gioia, tutta la gloria del successo; perché è a Lui che noi dobbiamo tutto ciò che è in noi: « … cos’è che non abbiate ricevuto? » dice l’Apostolo San Paolo (I Cor. IV, 7) (S. Hilar.).

II. – 5-8

ff. 5-8. – Il torrente, nelle Sacre Scritture, è il simbolo della persecuzione e delle afflizioni. L’acqua, in effetti, si precipita senza misura, con una forza ed un’impetuosità che trascina tutto ciò che incontra sul suo cammino. – Si salva dal torrente colui che, fermo nella sua fede, non cede alla violenza dei persecutori o della tribolazione; è invece ingoiato dal torrente, chi soccombe davanti alla loro collera ed alla loro violenza. Ma, se noi non confidiamo che in noi stessi, non possiamo sperare di lottare contro l’acqua del torrente. – Queste espressioni metaforiche non raffigurano solamente la violenta irruzione, ma la breve durata di queste prove. Badiamo dunque di non scoraggiarci quando si abatte su di noi la malasorte. Quale che sia, essa è un torrente che passa, una nube chi si dissipa. Sì, qualunque sia il vostro infortunio, non durerà per sempre; benché amaro sia il vostro calice, non durerà per sempre; se dovesse durare per sempre, la natura non potrebbe resistere. Ma gran numero sono trascinati in questo torrente e la causa non è nella violenza del male, ma dalla debolezza di coloro che si lasciano tanto facilmente abbattere. Vogliamo non essere coinvolti? Discendiamo nelle profondità di questo torrente, consideriamone tutte i luoghi, afferriamoci all’ancora divina per avere ad essere trascinati in alcun naufragio. (S. Chrys.). –  « Benedetto sia il Signore che ci ha liberato dai loro denti come una preda da caccia ». In effetti i cacciatori inseguono la preda, ed hanno posto un’esca nella loro trappola. Quale esca? La dolcezza della vita, affinché attirati dalla dolcezza di questa vita, ciascuno si getti, a testa in giù, nell’iniquità, e la trappola scatti su di lui. Ma coloro in cui era il Signore non sono stati presi in trappola, essi hanno detto: « Benedetto il Signore, etc. » – Quali sono i denti? Sono i denti forti e potenti per afferrare e sbranare la preda; è la collera, la cupidigia, l’impurità, l’odio, l’intemperanza, l’avarizia; è con questi denti, che non mollano facilmente ciò che hanno afferrato, che esercitano la loro dannazione su di noi, volendoci rendere ministri o complici dei loro crimini. (S. Hilar.). – Sì, è perché il Signore era in quest’anima, che essa è stata liberata, come un passero dalla trappola dei cacciatori. Perché questa è comparata ad un passero? Perché essa era caduta nella trappola sconsideratamente come un passero, e poteva dire in seguito: Dio non perdonerà. O passero vagabondo, faresti meglio a piantare i tuoi piedi sulla pietra; bada a non farti prendere in trappola! Tu sarai preso, sarai catturato, sarai ucciso! Che il Signore sia in voi, ed Egli vi libererà dai pericoli più grandi, e dalla trappola dei cacciatori (S. Agost.). – Il mondo intero è pieno di insidie e di reti che tende alle anime per perderle. Ciò che costituisce il pericolo di queste trappole, è l’esca che ricopre: sono i piaceri, gli onori, le ricchezze, che ci incantano fino al momento in cui dobbiamo lasciarle; allora il fascino sparisce, ma non è più tempo di rompere i legami, e noi cadiamo nell’abisso carichi delle catene dell’inferno. È una maledizione, il non riconoscere la nostra schiavitù se non per caderne in un’altra che non avrà mai fine. (Berthier). – Ma affinché non attribuiate la vostra liberazione alla vostre forze, considerate di chi sia l’opera (perché se vi convincete di orgoglio, cadete nella trappola), e dite: « il nostro soccorso è nel Nome del Signore » (S. Agost.). – Considerate non solo la debolezza del Vostro nemico ma la grandezza del soccorso che vi viene dato, e chi sia Colui che presta il suo aiuto. È Colui che ha tratto dal nulla tutto l’universo. Per mezzo di Lui, le ribellioni della carne, sono state contenute, siete stati scaricati dai pesi del peccato, avete ricevuto la grazia dello Spirito-Santo come un’unzione fortificante. Dio vi ha reso padroni della vostra cerne, vi ha dato come armi la corazza della giustizia, la cintura della verità, l’elmo della salvezza, lo scudo della fede, la spade dello Spirito; Egli vi ha dato le armi della vittoria, vi ha nutrito con la sua carne, dissetato con il suo sangue, vi ha messo tra le mani la sua croce come una lancia che non si spezza mai; infine ha incatenato il vostro nemico, lo ha atterrato. Voi non avrete scusanti se sarete vinto, se lasciate al demonio la gloria del trionfo. (S. Chrys.).

SALMI BIBLICI: “AD TE LEVAVI OCULOS MEOS” (CXXII)

SALMO 122: “AD TE LEVAVI OCULOS MEOS

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 122:

[1] Canticum graduum.

 [1] Ad te levavi oculos meos,

qui habitas in cœlis.

[2] Ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum; sicut oculi ancillae in manibus dominæ suæ: ita oculi nostri ad Dominum Deum nostrum, donec misereatur nostri.

[3] Miserere nostri, Domine, miserere nostri, quia multum repleti sumus despectione;

[4] quia multum repleta est anima nostra opprobrium abundantibus, et despectio superbis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXII.

Preghiera dell’uomo viatore, che nell’esilio soffre travaglio, principalmente per dispregio.

Cantico dei gradi.

1. Alzai gli occhi miei a te, che fai tuo soggiorno nei cieli. Ecco che, come gli occhi dei servi son fissamente rivolti alle mani dei padroni;

2. Come gli occhi dell’ancella son fissamente rivolti alle mani della padrona; così gli occhi nostri al Signore Dio nostro, in aspettando ch’egli abbia di noi pietà.

3. Abbi pietà di noi, o Signore, abbi di noi pietà; perocché siam satolli di disprezzo oltremodo;

4. Perché molto ne è satolla l’anima nostra: ella oggetto di obbrobrio ai facoltosi e di scherno ai superbi.

Sommario analitico

Il salmista, personificando in sé il popolo esiliato e prigioniero, gemente sotto il giogo dei loro nemici,

I. Indirizza a Dio la sua preghiera:

1° pia e sublime (1)

2° umile e perseverante (2).

II – Egli espone i motivi che devono portarlo ad aver pietà di loro:

1° essi sono nella estrema confusione (3);

2° non solo numerosi sono gli oltraggi dei quali sono oggetto, ma eccessivi e penetrano fino al fondo della loro anima;

3° sono un soggetto di obbrobrio per i ricchi e di disprezzo per i superbi (4).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. – C’è una gradazione in ciascuno di questi salmi, chiamati appunto graduali. Nel primo il salmista grida verso il Signore dal mezzo della tribolazione; nel secondo, alza gli occhi verso le alte montagne; nel terzo, di rallegra alla promessa che gli viene fatta di entrare ben presto nella casa del Signore. Qui, egli va più oltre, ed è verso Dio che eleva gli occhi (S. Girol.). – Non è più verso un oggetto creato, verso una delle creature intelligenti, chiunque sia, ma è verso Dio stesso che eleva, non solo gli occhi del corpo, ma soprattutto gli occhi interiori dell’anima, l’affezione e l’intenzione. (Hug. Card.). –  È durante il loro soggiorno presso i popoli barbari che i Giudei ricevettero le lezioni più sublimi e che furono, in questa privazione assoluta di tutte le risorse vitali. Essi imparano che Dio, in qualsiasi luogo invocato, esaudisce prontamente alle nostre preghiere. Le prime ragioni di una vita tutta nuova andranno ben presto ad illuminare i loro sguardi, e così il profeta prelude a questo grande cambiamento, e sotto il velo della comparazione, annunzia che l’osservanza dei luoghi prescritti per la legge, cesseranno di essere obbligatori (S. Cris.).- Tutta la scienza della salvezza è il saper alzare gli occhi verso Colui che abita nel cielo. Si esercita così una grandissima virtù della religione: la fede, la speranza e la carità … il Profeta non nomina Dio, lo caratterizza per la sua dimora che è il cielo; non più il cielo che noi vediamo – dice Sant’Agostino – non solo il cielo dove sono gli Angeli ed i Santi, ma il cielo che è in Dio stesso, il cielo che è l’essenza propria di Dio (Berthier). – « Come gli occhi dei servi sono attenti alle mani dei loro padroni. » Se fosse questione di servi e padroni terreni, il Profeta avrebbe dovuto dire che gli occhi dei servi erano fissi sugli occhi, sulle labbra dei loro padroni, perché è con la parola o con un segno degli occhi che i loro padroni intimano i loro ordini; ma nella Scrittura, le mani significano sovente le opere … il Profeta si esprime dunque in tal modo per farci conoscere che i desideri dei servi dei quali parla, sono interamente portati sulle opere. (S. Hilar.). –  Quanti Cristiani tengono sempre, per partito preso, gli occhi rivolti verso terra, (Ps. XVI, 11), e non hanno nulla da sperare da Dio! Colui che al contrario li alza verso il cielo, ha diritto di sperare tutto; nulla lo sorprende, nulla lo stupisce, perché egli ha sempre i suoi occhi fissati a Colui che sempre ha gli occhi aperti su di lui. Che significa questo paragone: « come i servi, etc. » Essi non sperano e non attendono altro soccorso e protezione; perché da chi, il servo e la serva attendono il nutrimento, il vestito e le altre cose necessarie alla vita? Dai loro padroni soltanto; essi anche non si ritirano, ma restano in loro presenza fino a quando non abbiano ricevuto ciò che sia loro necessario (S. Cris.). Orbene, il Profeta alza gli occhi verso il Signore, affinché fermando il suo sguardo su Dio, nel momento in cui esercita la sua giustizia, Dio, mosso a pietà sotto questo aspetto, ascolti la voce della sua misericordia e cessi di colpire. Supponete che un padrone abbia ordinato che si colpisca un servo; lo si batte, egli sente dolore del corpo, fissa uno sguardo doloroso sulla mano del suo padrone, fino a quando questi non faccia segno che si cessi. (S. Agost.). – « … Affinché abbia pietà di noi. » Egli non si stanca, non cessa di fissare i suoi occhi sul Signore, benché Dio, per provare la sua fede, differisca l’esercizio della sua misericordia, perché la fede fa attendere con piena fiducia ed una santa sicurezza l’effetto della sua preghiera. Egli non dubita della misericordia di Dio, perché i suoi occhi restano fissati su di Lui fino a che Dio abbia pietà di lui. A questa attesa perseverante, egli aggiunge la preghiera: «Abbiate pietà di noi, Signore, abbiate pietà di noi. » Egli parla fissando gli occhi su Dio, prega in questa attitudine con quella perseveranza che gli schiavi dei vizi mettono in opera nelle inclinazioni perverse che li dominano. Ma lui, pieno di una ferma speranza nei beni eterni, persevera nella fiducia che la misericordia di Dio avrà per lui il suo pieno effetto (S. Hil.). 

II. — 3, 4.

3, 4. – « Noi siamo saturi di disprezzo e di obbrobrio. » Ecco ciò che deve attendersi quaggiù quella ferma speranza dei fedeli: gli oltraggi degli empi e la persecuzione da parte dei malvagi. In effetti, se predichiamo la giustizia, incorriamo nell’odio dell’uomo iniquo; se lodiamo la castità, l’impudico si irrita; l’intemperante ha in orrore le nostre mortificazioni e i nostri digiuni; se esortiamo i fedeli alla liberalità, l’avaro ci accusa di follia; se predichiamo Gesù-Cristo, Dio crocifisso, il Giudei si aggiungono ai pagani per perseguitare la nostra Religione e la nostra fede. Quando facciamo professione di attendere il giudizio di Dio, i re della terra si offendono, perché essi vogliono ad ogni costo togliere a Dio il potere di esaminare e giudicare la nostra vita. Se insegniamo la resurrezione dai morti, subiremo le contraddizioni degli infedeli, i cui corpi sono come già sepolti sotto tutti i vizi. Infine, la nostra fede, appoggiata sulla Legge, sui Profeti, sui Vangeli e sugli Apostoli, è attaccata e sfigurata da tutte le menzogne degli eretici. Noi siamo battuti, maledetti, esiliati, proscritti, messi a morte con il ferro, con le fiamme, o precipitati in mare; si sevizia la nostra timidezza, nel nostro corpo risentiamo un vivo dolore di tutte queste ingiustizie (S. Hilar.). – Perché, in effetti, in questa valle di lacrime, l’uomo giusto e santo, non è oggetto di disprezzo? Ma il disprezzo di cui parla qui il Profeta è soprattutto quello che soffrono i buoni da parte dei malvagi, i giusti da parte degli empi. Tutti coloro che vogliono vivere piamente secondo il Cristo, soffriranno inevitabilmente degli obbrobri, e saranno inevitabilmente disprezzati da coloro che non vogliono vivere piamente e il cui benessere è solo terreno. (I Tim. III). Si scherniscono coloro che chiamano felicità ciò che gli occhi non possono vedere, e si dice loro: cosa credi tu, cose insensate? Vedi forse ciò che credi? Qualcuno è mai ritornato dagli inferi per riferire cosa gli accade? Io ciò che amo, lo vedo e ne gioisco! Vi si disdegna, vi si disprezza, perché voi sperate delle cose che non vedete; e colui che vi disdegna si vanta di possedere ciò che vede (S. Agost.). – « La nostra anima è stata tutta ripiena di confusione. » Qui, per maggior chiarezza, il Profeta nomina l’anima; perché l’idea del disprezzo affligge soprattutto l’anima intelligente, gli esseri che sono privi di questo dono prezioso, possono conoscere il dolore, ma non il disprezzo … L’obbrobrio ed il disprezzo dicono la stessa cosa, tanto da poter confondere qui gli orgogliosi e gli uomini nell’abbondanza. L’abbondanza è, d’ordinario, seguita dall’orgoglio, ed infatti tutti gli uomini orgogliosi sono come rigonfi e di conseguenza, nell’abbondanza; ma questa è una cattiva abbondanza, una pienezza fittizia e non un bene reale; essi sono saturi di amor proprio e di autostima, si considerano come legittimi proprietari delle ricchezze terrestri che possiedono, e non sognano affatto che essi dovranno rendere severo conto a Dio dell’impiego che ne hanno fatto. (Bellarm.).

SALMI BIBLICI: “LÆTATUS SUM IN HIS QUÆ DICTA SUNT MIHI” (CXXI)

SALMO 121: “Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 121

Canticum graduum.

[1]  Lætatus sum in his quae dicta sunt mihi:

In domum Domini ibimus.

[2] Stantes erant pedes nostri in atriis tuis, Jerusalem.

[3] Jerusalem, quae ædificatur ut civitas, cujus participatio ejus in idipsum.

[4] Illuc enim ascenderunt tribus, tribus Domini, testimonium Israel, ad confitendum nomini Domini.

[5] Quia illic sederunt sedes in judicio, sedes super domum David.

[6] Rogate quæ ad pacem sunt Jerusalem, et abundantia diligentibus te.

[7] Fiat pax in virtute tua, et abundantia in turribus tuis.

[8] Propter fratres meos et proximos meos, loquebar pacem de te.

[9] Propter domum Domini Dei nostri, quæsivi bona tibi.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXI.

Il Salmo è della Gerusalemme terrena, figura della celeste; e degli Ebrei che bramano il ritorno da Babilonia in Gerusalemme, figura dei viatori che aspirano alla celeste.

Cantico dei gradi.

1. Mi son rallegrato di quel che è stato a me detto: Noi anderemo alla casa del Signore. [1]

2. I nostri piedi si so posati negli atrii tuoi, o Gerusalemme: [2]

3. Gerusalemme, che si edifica come una città. a cui per la concordia si ha parte. [3]

4. Perocché là salirono le tribù, le tribù del Signore, al testimonio d’Israele, a lodare il nome del Signore. [4]

5. Perocché ivi furon collocati i troni per giudicare, i troni sopra la casa di David. [5]

6. Domandate voi quelle cose che sono utili alla pace di Gerusalemme ; e (dite): Sieno nell’abbondanza coloro che ti amano.

7. Sia la pace nella tua moltitudine; e nelle tue torri sia l’abbondanza.

8. Per amore dei miei fratelli e dei miei propinqui, ho io domandata la pace per te.

9. Per amor della casa del Signore Dio nostro, ho desiderato il tuo bene.

(1) In ebraico, cantico dei gradi di Davide, cioè per coloro che a ragione retrodatano molto più dietro la composizione di questo salmo, cantico ad imitazione dei salmi di Davide.

(2)  Aspettando questa felice nuova, i nostri piedi si trovano già sul pavimento con i nostri pensieri con l’ardente desiderio di rientrare nella nostra patria.

(3) La traduzione letterale di questo versetto, secondo l’ebraico, sarebbe: Gerusalemme che fu costruita come una città, per cui tutte le case sono riunite e formano un mirabile insieme. Sant’Agostino qui e soprattutto ove si incontra l’espressione “in idipsum”, lo traduce sempre come se si avesse Dio, cioè Colui che è sempre lo stesso, che non cambia mai, e che tutti i Santi del cielo possiedono egualmente.

(4) Secondo il precetto fatto ad Israele di radunarsi tre volte all’anno presso il Santo tabernacolo; la testimonianza designa la legge.

(5) Là vi sono le sedi supreme della giustizia e del governo: « … i troni della casa di Davide, » vi

Sommario analitico

Il salmista qui esprime la gioia del popolo di Dio alla felice notizia del suo ritorno nella sua patria. Egli parla anche a nome della Chiesa, per la prosperità dei voti che augura, come pure a nome di ogni anima fedele che si sente vicina al termine del suo pellegrinaggio su questa terra.

I. – Egli gioisce:

1° a causa della certezza che gli viene data di giungere alla casa di Dio (1);

2° a causa della prossimità in cui si trova della città santa (2),

II. – Egli descrive e celebra l’eccellenza di questa città, eccellenza che proviene:

1° dalla bellezza dei suoi edifici,

2° dalla concordia e dall’unione dei suoi abitanti (3);

3° dal concorso del popolo di Dio che vi si reca da ogni parte (4);

4° dal potere giudiziario che vi esercita Gesù-Cristo e gli Apostoli (6);

5° dalla pace e dall’abbondanza che regnano nelle sue mura (6);

6° dalla solidità e dalla struttura dei suoi muri, e delle sue torri che nessun nemico può abbattere né distruggere.

III. Egli dichiara che questi desideri che forma per essa, hanno come principio:

1° L’amore che porta ai suoi fratelli (8);

2° lo zelo che ha per la Chiesa (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. – Noi sospiriamo nell’esilio; noi gioiremo nella città. Ma noi incontriamo nel nostro esilio dei compagni che hanno già visto questa città e che ci invitano a correre verso di essa. È in essa che gioisce il Profeta quando dice: « Ho gioito quando mi hanno detto: andremo nella casa del Signore. » Fratelli miei, la vostra carità porti il vostro pensiero su ciò che accade quando si parla di una festa di martirio, e di qualche luogo santo in cui la folla, in certi giorni, affluisce per la celebrazione di una solennità, e di come queste masse popolari si eccitino mutualmente! Come si esortano al desiderio con queste parole: Andremo, vi andremo, ma… dove? In quale posto? Dicono gli uni; e gli altri rispondono: in tal luogo, in tale luogo santo. Se ne parla, ci si scalda e l’ardore dell’uno particolare forma una medesima fiamma; e questa fiamma unica, prodotta dai discorsi di uomini che si sono mutualmente abbracciati, li conduce verso questo luogo santo, se ne parla, ci si riscalda, e dall’ardore particolare di ciascuno forma una medesima fiamma, e questa fiamma unica, prodotta dai discorsi di uomini che sono tra di loro accomunati, li introduce verso questi luoghi santi, e questo pensiero li santifica. Se dunque un santo amore fa così correre gli uomini verso qualche luogo di questo mondo, cosa deve essere l’amore che introduce verso il cielo delle anime riempite di uno stesso desiderio, e che dicono: « Noi andremo nella casa del Signore! » Corriamo dunque, corriamo poiché arriveremo alla casa del Signore; corriamo senza affaticarci, perché perverremo in un luogo che non conosce la fatica. Corriamo alla casa del Signore! La nostra anima gioisca in coloro che ci dicono tali parole. In effetti, coloro che ci parlano così hanno visto prima di noi questa patria, e gioiscano da lontano coloro che vengono dopo di essi: « Noi andremo alla casa del Signore. » E cosa risponde ciascuno di noi? « Ho gioito in coloro che mi hanno detto: noi andremo alla casa del Signore. » Io ho gioito nel profeta, ho gioito negli Apostoli; perché tutti loro ci hanno detto: « Noi andremo nella casa del Signore. » (S. Agost.). – Quali sono i divini messaggeri a cui Dio ha incaricato di annunciare questa buona novella? È Gesù-Cristo, che ci ha dichiarato che vi sono più dimore nella casa di suo Padre; che Egli andava a prepararci un posto, e che voleva che noi fossimo con Lui; (Joan. XIV); è l’Apostolo san Paolo che ci ha detto che per qualche momento di tribolazione sulla terra, un carico immenso di gloria ci è riservato in cielo; (II Cor. IV, 47); è il Principe degli Apostoli, san Pietro, che ci parla dell’eredità incorruttibile, immutabile ed imprescrittibile che dobbiamo attenderci dopo i giorni del nostro esilio; (I Pietr. I, 4); è l’Apostolo diletto, davanti al quale tutte le porte del cielo sembrano essere aperte perché possa contemplarne gli splendori, e che ce ne descrive le magnificenze con un linguaggio incomparabile; (Apoc.); è questo nugolo di testimoni che la Chiesa onora, queste schiere innumerevoli di Santi che ha visto intorno al trono dell’Agnello, e che dispongono tutto in favore di questa santa patria, in cui tutte le nostre lacrime devono essere asciugate. – Quanto diversi sono i sentimenti nel peccatore e nel giusto, quando bisogna dire che è arrivata per loro la fine della vita. La morte è per l’uno la notizia più triste che si possa annunciare, perché non avendo durante la propria vita regolate le aspirazioni celesti nel suo cuore, egli non può sperare di salire verso la casa del Signore, e non gli si osa portare questa notizia se non con la precauzione più grande. Per l’altro è invece la notizia più gradita che egli possa ricevere, e lo si colma di gioia quando gli si viene a dire che è sul punto di andare nella casa del Signore. –  « I nostri piedi si sono fermati nei tuoi atri, o Gerusalemme. » Coloro che ci hanno annunciato che noi andremo nella casa del Signore non sono nell’ignoranza di ciò che sia questa città verso la quale camminiamo; essi non hanno annunciato delle cose incerte, essi non ci hanno promesso ciò che non conoscono … Questa casa, oggetto di tutti i nostri desideri, abbiamo appreso con gioia che essa ha come fondamento, dodici pietre preziose, che essa è costruita con pietre viventi, tagliate dapprima per l’edificio elevato da Mosè sotto la legge, poi continuata con la sofferenza dei Profeti, dal Signore, nel suo corpo, con il martirio degli Apostoli, con la forza e la virtù dello Spirito Santo. Ecco gli architetti ed i costruttori, ecco l’edificio e la città. Essi si son fermati nei suoi atri, essi che ne sono i guardiani, ai quali sono state rimesse le chiavi di questa città: «Io vi darò le chiavi del regno dei cieli. » (S. Hilar.) – I nostri piedi si sono altre volte fissati nei tuoi atrii. » Sì, noi abbiamo affollato gli atri della celeste Gerusalemme, quando noi abitavamo il Paradiso celeste nella persona di Adamo, nostro progenitore, « ma il paradiso terrestre era come il vestibolo del Paradiso celeste, e questo stato di innocenza era come la soglia e la porta dello stato di gloria. Forse è anche a causa di questo che lo Spirito-Santo non ha voluto scrivere: « i nostri piedi si sono stabiliti nelle tue piazze, ma nei tuoi atri, o sotto le tue porte, » affin di farci comprendere che si tratti, in questo salmo, della Gerusalemme celeste (Bellarm.) – È vero anche il dire, in un altro senso, che dopo la nuova della nostra redenzione, cioè dopo l’Annunciazione del Vangelo, i veri Cristiani si considerano come già negli atri della celeste Gerusalemme. I loro piedi, cioè i loro pensieri e le loro affezioni, sono già fissate nel cielo. « La nostra conversazione è nel cielo, dice l’Apostolo; noi siamo i concittadini dei Santi, e noi apparteniamo alla casa di Dio. Noi non dobbiamo più gustare le cose della terra, ma unicamente quelle che sono sopra di noi. (Filip. III, 20; Colos. III, 2). –  Quale deve essere la disposizione di coloro che camminano verso questa casa? Voi sapete ora quale sia la casa del Signore. Nella casa del Signore, si glorifica con le lodi Colui che ha fondato questa casa; si costituisce Egli stesso come delizie di tutti coloro che abitano la sua casa; Egli è la loro unica speranza quaggiù, il loro unico Bene lassù. Quale deve essere la disposizione di coloro che corrono verso questa casa? Credere di esservi di già. Pensare alla felicità di cui un giorno dovrete gioire; e benché siate ancora lungo il cammino, figuratevi già di esservi insediato, che già possediate, nella società degli Angeli, una gioia imperitura, e che si compia in voi questa parola: « Felici coloro che abitano nella vostra casa, essi vi glorificheranno nei secoli dei secoli. (Ps. LXXXIII, 5). » – « I nostri piedi si sono fissati negli atri di Gerusalemme. » Di quale Gerusalemme? In effetti c’è sulla terra una città con questo nome, ma essa non è che l’ombra dell’altra Gerusalemme. E qual grande felicità sarebbe il restare in questa Gerusalemme dei Giudei, che essi non hanno potuto conservare, e che è caduta in rovina? … A Dio non piace che siano tali, per questa Gerusalemme terrestre, i sentimenti di colui che ha tanto amore, tanto ardore, tanto desiderio di giungere a questa Gerusalemme, nostra madre (Galat. IV, 26), che l’Apostolo dice essere «terna nei cieli. » (S. Agost.). 

II. — 3-7.

ff. 3. – « Gerusalemme che è costruita come una città. » Queste parole possono intendersi del tempo successivo alla cattività. Gerusalemme non era allora che un vasto deserto ed un ammasso di rovine; le sue torri erano abbattute, le sue mura rovinate; triste retaggio di un’antica patria. Alla vista di questa solitudine, i Giudei reduci dalla cattività richiamano il ricordo della sua antica prosperità e del suo antico splendore … il testo stesso del salmista, viene in appoggio a questa spiegazione: « Gerusalemme che è costruita come una città; » perché allora non era ancora una città (S. Giov. Chrys.). – Questa città di Gerusalemme non è ancora completamente costruita; essa si costruisce tutti i giorni con pietre viventi, sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, di cui Gesù-Cristo è Egli stesso la principale pietra d’angolo (S. Girol.). – Il salmista sembra rispondere a questa domanda: Di quale Gerusalemme parlate? Di Gerusalemme che si costruisce come una città. Quando parlava così, la città di Gerusalemme era interamente costruita, non la si costruiva. Egli parla di non so quale città si costruisce al presente, e verso la quale corrono le pietre viventi, di cui l’Apostolo S. Pietro ha detto: « E voi siate assemblati come pietre viventi in un tempio spirituale. » (I Piet. II, 5), che è il tempio santo di Dio. Che significano queste parole: « Siate uniti come pietre viventi? » Voi siete viventi, se credete; e se credete, diventate il tempio di Dio; perché l’Apostolo S. Paolo ha detto: « il tempio di Dio è santo, e siete voi questo tempio. » (I Cor. III, 47). La città è dunque presentemente in costruzione; le pietre sono tagliate nelle montagne dalle mani dei predicatori della verità, esse sono squadrate per entrare nell’edificio eterno. Ecco dunque questa « Gerusalemme che si costruisce come una città; » il suo fondamento è Gesù-Cristo, perché l’Apostolo San Paolo ha detto: « Nessuno può porre un altro fondamento che quello che è stato posto, il quale è il Cristo Gesù. » (Ibid. 11). Dopo aver gettato le fondamenta, si elevano le mura al di sopra, ed il peso delle muraglie tende verso il basso, per cui il fondamento è posto in basso; ma se il nostro fondamento è in cielo, è in cielo che bisogna costruire l’edificio del quale facciamo parte … Noi siamo un edificio spirituale, il nostro fondamento è in alto. Corriamo dunque verso questo fondamento, per far parte della costruzione; perché della Gerusalemme celeste è stato detto: « I nostri piedi sono fissi negli atri di Gerusalemme. » Ma di quale Gerusalemme? « Della Gerusalemme che si costruisce come una città. » Perché non dice: Gerusalemme, città che si costruisce, ma: « che si costruisce come una città, » se non è perché questo assemblaggio di mura che formava, Gerusalemme era una città visibile, o secondo la proprietà volgare del termine, una città; ma la Gerusalemme del Profeta non è costruita come una città, perché coloro che entrano nella sua costruzione non sono che « come pietre viventi, » perché essi non sono realmente delle pietre. E così come essi sono come delle pietre e non delle pietre, così Gerusalemme è “come” una città, perché essa si costruisce, e non è una città (S. Agost.). – Gerusalemme celeste, in cui regna questa pace felice, in cui tutti i cuori sono legati ed uniti insieme; come nella Gerusalemme terrestre, i suoi numerosi edifici sono strettamente collegati tra di loro, senza la minima interruzione, e si prestavano una mutua protezione. La Chiesa della terra è ora privata di questa felicità di cui gioiva altre volte quando « la moltitudine di coloro che credevano non aveva che un cuore ed un’anima, e nessuno considerava ciò che possedeva come proprietà personale, ma in cui tutte le cose erano in comune. » (Act. IV, 32). – Questa partecipazione dello stesso bene, come traduceva Sant’Agostino, trasportava di ammirazione il santo dottore. Egli considerava questo bene nella sua immutabilità e nella sua eternità: ciò non può essere che l’essenza stessa di Colui che è sempre ciò che è; partecipazione che sorpassa tutti gli sforzi del nostro spirito, ma che eleva nello stesso tempo le nostre idee ed infiamma i nostri desideri.

ff. 4. –  « È là che sono salite le tribù, le tribù del Signore. » Nel popolo di Israele c’erano dodici tribù; ma esso conteneva buoni e malvagi … Così il Profeta dicendo: « là sono salite le tribù, » ha aggiunto: «le tribù del Signore. » Quali sono le tribù del Signore? Quelle che hanno conosciuto il Signore. In effetti, tra le dodici tribù perverse, vi erano dei giusti che facevano parte delle buone tribù che hanno conosciuto l’Architetto della città, ed esse erano, in mezzo a queste tribù, come il buon grano mescolato alla paglia. Tra esse sono salite, non mescolate alla paglia, ma purificate, poste nel rango degli eletti, e come appartenenti al Signore (S. Agost.). – « Ecco – diceva Gesù-Cristo – che noi saliamo a Gerusalemme, ed il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai principi dei sacerdoti ed agli scribi, che lo condanneranno a morte. » (Matth. XX, 18). Questa Gerusalemme era riprovata, ed Egli aveva pianto su di essa; questa Gerusalemme non era più la figura della Gerusalemme celeste, ma la figura del mondo corrotto, che perseguiterà sempre Gesù-Cristo e coloro che vogliono essere suoi discepoli. Le tribù del Signore che aspirano alla vera Gerusalemme non salgono verso questa Gerusalemme omicida: esse se ne allontanano per osservare la legge e cantare le lodi del Signore in quella Gerusalemme che gli Apostoli chiamano la nuova, la santa Gerusalemme, la Gerusalemme che è sopra di noi (Berthier). – Queste tribù del Signore, non sono le tribù di Israele o di Giuda. Siamo noi stessi queste tribù del Signore, ed è a noi che il Profeta fa questo invito: « Venite e salite alla montagna del Signore, ed Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri, perché è da Sion che uscirà la legge, e la parola del Signore da Gerusalemme. » (Isai. XI, 3) – È da Gerusalemme che è uscita la parola del Signore per arrivare fino ai Gentili. Essi entrano nella città santa come testimonianza per Israele (S. Hilar.).

ff. 5. – « Là sono stabilite le sedi della giustizia. » È notevole che ciò su cui batte il Re-Profeta nel ritorno del popolo alla città santa ed al tempio del Signore, sia il vantaggio di possedervi dei tribunali, dei tribunali ove siedono degli uomini considerevoli che fanno parte della casa di Davide, e che esercitano in nome del principe, questa nobile parte della potenza reale: la distribuzione della giustizia. Nelle nostre chiese cattoliche, due cose soprattutto incutono, fin dall’entrata nel tempio, un profondo rispetto: il Tabernacolo, in cui il Dio che ha fatto il cielo e la terra si degna di riposare solitario e nascosto, ed il confessionale, ove il Cristiano viene spontaneamente ad autoaccusarsi, ed è giudicato sulle proprie confessioni e, con un sincero pentimento, merita un giudizio favorevole. A questo duplice aspetto, è impossibile dispensarsi da una emozione profonda: sì, si dice a se stesso, è certo qui la casa di Dio e la porta del cielo (Rendu). – Potere di rendere la giustizia appartenente a Colui che è il Messia, uscito dalla casa di Davide. – Egli ha comunicato ai Vescovi ed ai Sacerdoti, suoi ministri, il suo potere per conoscere e giudicare delle cose che riguardano le coscienze. È letteralmente nella celeste Gerusalemme che sono stati stabiliti i troni di giustizia, sia perché il trono di Gesù-Cristo e quello degli eletti che regnano con Lui sono stati posti nel cielo in maniera immutabile, sia perché i Santi stessi, regnando e giudicando con Gesù-Cristo, sono i troni di Dio. E questi troni sono fondati sulla casa di Davide, perché tutta la potenza reale e giudiziaria dei Santi proviene da Gesù-Cristo che, secondo il Vangelo, è Figlio di Davide, ha ricevuto il trono di Davide suo padre, e regnerà eternamente sulla casa di Giacobbe (Bellarm.).

ff. 6. – « Chiedete tutto ciò che può contribuire alla pace di Gerusalemme. » Il Profeta esorta gli esiliati che tornano a Gerusalemme a salutare da lontano la città santa, chiedendo per essa la pace e l’abbondanza, questi due beni, i più grandi di tutti, e che fanno il benessere delle città, perché la pace senza l’abbondanza non è che il possesso tranquillo della miseria, e l’abbondanza senza la pace è una felicità dubbia ed incerta. (Bellarm.). – Così, non è solo la liberazione da tutti i mali che egli ha predetto, ma il felice sommarsi di tutti i beni: la pace, l’abbondanza, la fertilità. In effetti a cosa servirebbe la pace a coloro che soffrono la povertà, l’indigenza e la fame, e di quale utilità sarebbe l’abbondanza in mezzo agli orrori della guerra? (S. Crys.). – Domandate la pace, come la intendono e la desiderano i figli di Dio: e la pace ancora, ma certo meglio, di come la desiderano i figli di questo secolo. Pregate per ciò che si riferisce alla pace di Gerusalemme, cioè alla città che si chiama con il nome stesso della pace, perché ne contiene tutti gli elementi e tutte le garanzie; e, come il Profeta Geremia raccomandava ai Giudei che dimoravano in Babilonia: « Cercate la pace della città temporale nella quale siete destinati a vivere, benché il suo nome esprima agitazione e confusione, non omettete di pregare il Signore per essa, perché la sua pace, sarà la nostra pace. » (Jerem XXIV, 7). – In mezzo a questa pace esteriore, il bene spirituale si opera in larghe proporzioni, il regno di Dio vi trova il suo progresso, e dal canto loro, le cose umane hanno tanto da guadagnare; di modo che se la pace esteriore profitta alla casa di Dio, la prosperità di essa serve egualmente gli interessi dei nostri fratelli e dei nostri prossimi. (Mgr. Pie, T. V, 321).

ff. 7. – « Che la pace sia nella forza. » O Gerusalemme! O città costruita come una città! « che la pace sia nella tua forza, » che la pace sia nella tua carità; perché la tua forza, è la carità. Ascoltate il Cantico dei cantici: « l’amore è forte come la morte. » (Cant. VIII, 6). Grande parola, fratelli miei: « l’amore è forte come la morte. » La forza della carità non poteva essere descritta in termini più magnifici: « L’amore è forte come la morte. » In effetti, fratelli miei, chi può resistere alla morte? Mi si presti attenzione con la vostra carità: si resiste al fuoco, all’acqua, al ferro; si resiste alle potenze, ai re; la morte si presenta sola, chi le resiste? Nulla di più forte c’è di essa. Ecco perché le è stata comparata la carità, ed è stato detto: « L’amore è forte come la morte … » Se dunque esso è forte, è potente, di gran forza, anzi è la forza stessa; ed è con l’aiuto di questa forza che i deboli sono retti dai robusti, la terra dal cielo, il popolo dalle autorità; che la pace sia dunque nella tua forza, o Gerusalemme, che la pace sia nella tua carità; e che con questa forza, con questa carità, con questa pace, « l’abbondanza sia nelle tue torri, », cioè in ciò che hai di più elevato. Saranno pochi in effetti coloro che saranno seduti come giudici; ma molti saranno posti alla destra e formeranno il popolo di questa città. Molti si saranno legati a ciascuna di queste sedi sì elevate, e saranno ricevuti da essi nei tabernacoli eterni, e l’abbondanza regnerà nelle torri della città. Ora, Dio stesso, Colui che è, al quale partecipano tutti gli abitanti della città, è Egli stesso la pienezza delle delizie e l’abbondanza delle ricchezze di Gerusalemme e, con Lui, l’abbondanza regnerà nelle sue torri. Ma come? Per mezzo della carità che è essa stessa la forza della città. (S. Agost.). – Il Profeta desidera e domanda l’abbondanza dei beni celesti su coloro sui quali è sicuramente il merito e che, come torri forti, difendono la città con la loro solidità e servono da ornamento con la loro altezza. (S. Gerol.).

ff. 8, 9. – « Io ho parlato di pace, a causa dei miei fratelli e dei miei vicini. » Si vedono in questi due versetti i due caratteri dell’amore. Il Profeta desidera la pace di Gerusalemme, non per se stesso, ma per i suoi fratelli ed i suoi vicini, o per i suoi amici; egli desidera per Gerusalemme tutti i beni, non ancora per se stessa, ma per l’onore della casa di Dio. (Berthier.) – « A causa dei miei fratelli e dei miei prossimi, io ti auguro la pace. » O Gerusalemme, città in cui gli abitanti sono partecipi di Colui che è, che sono ancora in questa vita e su questa terra; io, povero, esiliato, gemente, che non godo ancora della tua pace e che predico tuttavia la pace, io non la predico in vista di me, come fanno gli eretici, che cercano la loro gloria quando dicono: la pace sia con voi, e che non possiedono la pace che predicano ai popoli. Se, in effetti, essi avevano la pace, non avrebbero distrutto l’unità, « Io d’altra parte – egli dice – ho parlato di pace a tuo vantaggio; » ma perché? « A causa dei miei fratelli e dei miei vicini, » e non per il mio onore, non per la mia fortuna, non per la mia vita; « perché, per me, vivere è il Cristo, e morire è un guadagno. » – « A causa della casa del Signore, mio Dio, io ho cercato i beni per te. » Non è a causa mia che ho cercato i beni, perché allora li avrei cercati, non per te, ma per me; ma io li ho cercati «a causa della casa del Signore mio Dio, » a causa della Chiesa, a causa dei Santi, a causa degli esiliati, a causa degli indigenti, affinché possano salire verso questa casa, mentre noi diciamo loro: « Noi andremo alla casa del Signore. » È a causa di questa casa del Signore mio Dio che ho cercato i beni per te! » (S. Agost.). 

SALMI BIBLICI: “LEVAVI OCULOS MEOS IN MONTES” (CXX)

SALMO 120: “LEVAVI OCULOS MEOS in montes”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 120

Canticum graduum.

[1] Levavi oculos meos in montes,

unde veniet auxilium mihi.

[2] Auxilium meum a Domino, qui fecit cœlum et terram.

[3] Non det in commotionem pedem tuum, neque dormitet qui custodit te.

[4] Ecce non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel.

[5] Dominus custodit te, Dominus protectio tua super manum dexteram tuam.

[6] Per diem sol non uret te, neque luna per noctem.

[7] Dominus custodit te ab omni malo; custodiat animam tuam Dominus.

[8] Dominus custodiat introitum tuum et exitum tuum, ex hoc nunc et usque in sæculum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXX.

Consola il Salmo i pellegrini che ascendono verso la Gerusalemme celeste, promettendo loro la perpetua custodia di Dio. Parla il profeta dapprima in persona del pellegrino, poi in persona propria, a consolar il pellegrino

Cantico dei gradi.

1. Alzai gli occhi miei verso dei monti, donde verrà a me soccorso?

2. Il mio aiuto vien dal Signore, che fece il cielo e la terra.

3. Non permetta egli che vacilli il tuo piede e non assonni colui che è tuo custode.

4. Ecco che non assonnerà, né dormirà colui che custodisce Israele.

5. Il Signore ti custodisce; il Signore è tua difesa al tuo destro fianco.

6. Non ti brucerà il sole di giorno, né la luna di notte.

7. Il Signore ti custodisce da ogni male; custodisca il Signore l’anima tua.

8. Il Signore ti custodisca all’entrare e all’uscire, da questo punto e per sempre.

Sommario analitico

Il salmista personifica qui i pellegrini di Gerusalemme affrancati dai legami dell’esilio, il popolo cristiano entrato nella via della salvezza, e la Chiesa trionfante nella Gerusalemme celeste.

I. – Egli dichiara che mette tutta la sua speranza in Dio:

1° Con l’elevazione dei suoi occhi verso il cielo (1),

2° con la fede del suo cuore nella potenza di Dio 82).

II. – Mostra che ha ottenuto da Dio tutto ciò che è necessario al viaggiatore:

1° È necessario al viaggiatore che il suo piede non traballi; è il vantaggio che gli procura la vigilante sollecitudine di Dio, fedele guardiano suo e di tutto il popolo di Israele (3, 4);

2° la mano del viaggiatore deve raffermarsi appoggiandosi su di un sostegno; è ancora ciò che fa Dio coprendola con la sua ombra protettrice (5);

3° occorre difendere il proprio corpo dagli ardori del sole e dal freddo della notte: « Il sole non vi brucerà, etc. » (6);

4° bisogna che la propria vita sia protetta da ogni danni: « Dio lo preserva da ogni pericolo. »  

5° bisogna arrivare al termine del viaggio, alla patria, al riposo eterno: « Che il Signore custodisca la vostra via. » (8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-2.

ff. 1, 2. – Se le sofferenze della cattività hanno reso migliori i Giudei, e fatto loro alzare gli sguardi al cielo, malgrado le loro grossolane inclinazioni ed il loro attaccamento alla terra. Ma è giusto che imitiamo la loro condotta, ricorrendo a Dio in mezzo ai nostri guai, noi che siamo tenuti ad una più grande perfezione? Essi erano allora in mezzo ai loro nemici, senza città, senza fortezze, senza alcun soccorso umano, senza denaro, senza alcuna risorsa; essi vivevano come prigionieri, come schiavi in mezzo ai loro padroni e loro nemici. È allora, che schiacciati sotto i piedi dei loro infortuni, riconoscevano la mano invincibile di Dio e che, privi di ogni soccorso umano, trovavano in questo universale abbandono un motivo per elevarsi alla più alta saggezza. Ecco ciò che loro dettava questa preghiera. Tutto ciò che possiamo attendere dagli uomini svanisce, tutto ci manca, tutto ci sfugge, non abbiamo che un’unica speranza: quella che viene da Dio (S. Chrys.). – Tale è la natura dello spirito umano, se assorbito nel pensiero, nella contemplazione di un oggetto qualunque: questo oggetto ci appare sotto la forma che il nostro pensiero gli ha dato. Così, in un giorno d’inverno, se pensiamo alla primavera ed il nostro pensiero si rappresenta tutti i suoi ricchi ornamenti, dimentichiamo la stagione rigorosa che fa tremare dal freddo, per non pensare che alla primavera con tutte le magnificenze che con sé comporta. È  in questo che gli occhi dello spirito hanno un vantaggio sugli occhi del corpo, perché ci fanno dimenticare le cose presenti, per assorbirci interamente nel pensiero delle cose passate o future. Il Profeta leva dunque gli occhi verso le montagne. Quali occhi? Gli occhi dei quali egli dice: « Togliete il velo che copre i miei occhi, perché io consideri le meraviglie della vostra legge » (Ps. CXVIII, 9), ed ancora: « Il precetto del Signore è luminoso, rischiara gli occhi. » (Ps. XVIII, 9). Gli occhi del nostro corpo non sono stati disposti come illuminati da una luce corporea per vedere gli oggetti esteriori? Qual bisogno di togliere il velo che li copre? … Sono dunque gli occhi dello spirito che il Profeta eleva verso i monti (S. Hil.). – Un viaggiatore leva continuamente gli occhi verso il luogo verso il quale è diretto, per vedere se potrà scorgerlo, o verso le montagne che sono vicine. Questo sguarda allevia la sua fatica e gli dà nuova forza per completare il suo viaggio. Il cielo deve essere l’oggetto continuo dello sguardo del Cristiano durante il pellegrinaggio di questa vita, ed è da li che deve attendere tutto il suo soccorso. (Duguet). – Nel linguaggio della Scrittura, la montagna, presa al singolare, figura abitualmente Gesù-Cristo o la Chiesa, mentre le montagne, quando nominate al plurale, sono piuttosto l’emblema delle creature più elevate nell’ordine della religione, come gli Angeli, gli Apostoli, i Profeti, i predicatori, etc. (S. Greg., S Agost.). – Queste montagne sono quelle delle quali è descritto che sono illuminate da Dio; Dio le illumina perché dall’alto delle loro cime, la luce scenda fino al fondo della valle. È attraverso di loro che effettivamente ci arriva la divina parola, quando ci viene dal ministero dei Profeti o degli Apostoli. – Ma non è in esse che termina la nostra speranza, esse ci soccorrono quando Dio viene dapprima in loro aiuto, ed esse non si illuminano se non quando Dio invia loro per primo la sua luce, ed è per questo che il salmista, dopo aver detto: « Io ho alzato gli occhi verso i monti, da dove mi verrà il soccorso, » subito si appresta a dire: « Il mio soccorso viene da Dio che ha creato cielo e terra. » (S. Agos.). – Ecco il ragionamento che racchiudono queste parole: se Dio ha fatto il cielo e la terra, può venir dunque in nostro aiuto in terra straniera, e fin in questi paesi barbari, può tenderci una mano in soccorso e salvare dei poveri esiliati. Una sola parola gli è sufficiente per creare gli elementi, Egli potrà dunque a maggior ragione, liberarci da questo popolo che ci tiene prigionieri. (S. Chrys.). – Si è dappertutto nel territorio che appartiene a Dio, si è dappertutto sotto I suoi occhi e sotto la sua protezione, ed è una malattia del nostro spirito legare il nostro benessere ad un clima piuttosto che ad un altro (Berthier).

II. — 3-8.

 ff. 3, 4. – Il Profeta sviluppa nel prosieguo del salmo qual sia questo soccorso che attende da Dio, e qual sia l’oggetto della sua speranza: 1° Dio non permetterà che la sua volontà, che è come il piede dell’anima, sia lacerata, che essa cada per una caduta mortale. – Il piede è una parte, un membro del corpo che porta il corpo ovunque debba agire. E come la Chiesa si serve di cose corporali e visibili per insegnare cose spirituali ed invisibili, sotto il nome di piede essa intende i movimenti della nostra anima, che sono come i piedi dell’anima … che hanno in se stessi sia la vista dell’intelligenza, sia la determinazione della volontà … Ora, non cerchiamo di intendere queste parole in questo senso: che Dio ci consegni ai vizi nei quali introdurremo i piedi di un’anima corrotta. Non è Lui che ci introduce e ci abbandona, siamo noi che ci separiamo da Lui con il peccato, e che cadiamo allora nei precipizi e negli abissi di tutti i crimini. (S. Hil.). – Si vorrebbero avere nel mondo dei protettori che non fossero soggetti né a dimenticare, né a perderci, che fossero sempre attenti ai nostri interessi e che la morte non possa prenderli. Questo è impossibile; così siamo tutti ingannati in ogni istante nelle nostre speranze. Il Profeta dà al suo popolo un protettore sempre attento e sempre sussistente: è Dio, il Padre di tutti gli uomini, e l’Essere immortale; è Lui che custodisce il vero Israele, cioè l’uomo rivestito dalla forza di Dio (Berthier). – Dal momento che dimoriamo con Dio e che Dio dimora in noi, abbiamo un guardiano dei più vigilanti ed un appoggio che non si stanca mai. Ma se noi veniamo ad addormentarci con l’intiepidire della fede, si addormenta anche Egli stesso in noi. Non è che il sonno né il riposo possano esistere in questa Potenza eterna, di cui gli Angeli mantengono questa vigilanza conforme al loro nome ed alla loro natura … ma, a seconda che la nostra fede vegli o dorma, il soccorso di Dio veglia in nostro favore o cade nel sonno (S. Hil.). – Dio veglia continuamente su di noi, e la conoscenza che ha di noi e dei nostri bisogni non è una conoscenza semplicemente abituale che si possa comparare alla disposizione di un uomo a metà addormentato, ma una conoscenza sempre attuale. (S. Tommaso, – lib. I cont. Gent. 56). – Non temiamo quindi da Lui né abbandono, né isolamento, Egli non vi lascerà alla mercé dei vostri nemici. È questo punto che vuole insegnarci quando aggiunge: « Colui che custodisce Israele? » Che significano queste parole? Se dopo tanti secoli e dai tempi dei vostri ancestri, tutto il suo oggetto è stato il vegliare alla vostra sicurezza, non temete di vederlo mai mancare a questo dovere. (S. Chrys.).  

ff. 5, 6. – 2° Non soltanto Dio non vi abbandonerà, ma vi assicura una protezione che vi metterà al riparo da ogni pericolo: Egli sarà vostro difensore, vostro alleato, vostro soccorso. Notate che Dio esige ancora i vostri sforzi. Prendendo a prestito questa figura dai combattenti, il Salmista vi rappresenta Dio che si tiene alla vostra destra per rendervi invincibile, raddoppiare la vostra azione, la vostra forza, la vostra potenza, assicurarvi la vittoria e farvi riportare uno splendido trionfo, perché la mano destra è lo strumento di tutte le azioni incisive che noi facciamo. Non contenti di difendervi e portarvi soccorso, vi coprirà ancora con la sua protezione (S. Chrys.). – « Il sole non vi brucerà durante il giorno, né la luna durante la notte. » 3° Giorno della prosperità e notte dell’avversità di cui si è ugualmente bruciati, ci si acceca nella prosperità, come ci si abbatte nell’estremo dell’infortunio; ma come sottolineano i santi, è più facile soffrire l’avversità senza lasciarsi abbattere che avere prosperità senza lasciarsi corrompere (Dug.). – Coloro che si consacrano al servizio di Dio devono combattere due tipi di nemici: la fuga dalle loro passioni e l’inerzia della loro tiepidezza. È difficile dire quale di essi sia più pericoloso. Le passioni possono generare grandi traversie, e la tiepidezza può arrestare il progresso delle virtù più grandi (Berthier).

ff. 7, 8. – 4° Il potere dei principi e dei re, anche i più potenti, è estremamente limitato. Se hanno talvolta qualche potere di liberare altri uomini, questo potere non si intende che per qualche male particolare, come la fame, la calunnia, la vessazione, l’infamia, la violenza. Gli uomini vi liberano da una prova, ma non possono salvarvi da un’altra, oppure se possono, non lo vogliono. Non c’è che l’Onnipotente che abbia il potere di preservare i sensi da ogni male, e quando permette che siano afflitti da qualche male, Egli li preserva, se sono veramente fedeli, dal turbamento e dall’amarezza che ne sarebbero il seguito. Egli fa ancora di più: custodisce letteralmente la nostra anima, contro la quale soprattutto si scatena il demonio, e gli dà la forza di sopportare questi mali, ed anche di amarli e preferirli alle delizie della terra; Egli la protegge da ogni male, principalmente dai più grandi, che è poi il solo male propriamente detto, cioè il peccato. « Voi siete custoditi, diceva l’Apostolo San Pietro (I Piet. V. 1, 5), dalla virtù di Dio, e a causa della vostra fede, dalla salvezza che vi sarà manifestata negli ultimi tempi. » (S. Chrys., Dug., Berthier). – .5° Le espressioni di cui si serve il Salmista si estendono a tutta la vita, per cui i due termini abbracciano l’entrata e l’uscita; e per esprimere più chiaramente questa verità, egli aggiunge. « Ora e per sempre. » Egli non vi custodirà solo uno, due, tre, venti o cento giorni, ma per sempre. Questa perseveranza non si riscontra negli uomini, soggetti a tanti ritorni, a tante vicissitudini, Colui che è sempre vostro amico, diviene domani vostro nemico, e colui che vi presta soccorso in questo momento, vi abbandona l’istante successivo, e si dichiara contro di voi; ma al contrario, i doni di Dio sono immutabili, senza interruzione, immortali, stabili, e non hanno limite che nell’eternità. (S. Chrys.). –  Dio ci protegge all’inizio ed alla fine delle nostre azioni, quando entriamo nell’occupazione alla quale la sua Provvidenza ci chiama, e quando ne usciamo, alla fine della nostra vita. (Dug.). – Questa guardia fedele non è limitata ai tempi presenti e non è durante questa vita che possiamo sperare di essere interamente al riparo dal calore del giorno e dal freddo della notte, come pure di essere preservati da ogni male; ma è una grazia riservata al secolo futuro … il Signore proteggerà dunque la nostra uscita, quando lasciando il nostro corpo, andremo a riposarci nel seno di Abramo, separati dagli empi da un caos insormontabile. Il Signore proteggerà la nostra entrata, introducendoci nell’eterno e felice reame, Egli che ha detto: « Io sono la porta. » (Giov. X, 7) e: « Nessuno va al Padre, se non per me. » (Giov. XIV, 6). – Non c’è una gradazione evidente nei versetti di questo salmo. Il Profeta dice che Dio custodisce il suo popolo, perché non abbia più cadute; che lo custodisce perché stia al riparo dalle insidie dei suoi nemici; che lo custodisce perché non sia esposto né al calore del giorno, né al freddo della notte; che lo  custodisce perché sia preservato da ogni male ed anche da ogni peccato, perché custodisce la sua anima; è l’oggetto del 7° versetto; Egli lo custodisce nel corso della sua vita; infine che lo custodisce sempre, sia nel tempo, che per l’eternità (Berthier).

SALMI BIBLICI: “AD DOMINUM CUM TRIBULARER” (CXIX)

SALMO 119: Ad Dominum cum tribularer

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 119

Canticum graduum.

[1] Ad Dominum cum tribularer clamavi, et exaudivit me.

[2] Domine, libera animam meam a labiis iniquis et a lingua dolosa.

[3] Quid detur tibi, aut quid apponatur tibi ad linguam dolosam?

[4] Sagittæ potentis acutæ, cum carbonibus desolatoriis.

[5] Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est! habitavi cum habitantibus Cedar;

[6] multum incola fuit anima mea.

[7] Cum his qui oderunt pacem eram pacificus; cum loquebar illis, impugnabant me gratis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXIX

I quindici Salmi che seguono si dicono graduali, perché da intendersi delle ascensioni dei Giudei da Babilonia in Gerusalemme, o di quelle dei 15 gradi per il Tempio di Salomone; o più veramente, delle ascensioni dei giusti, per i diversi gradi di virtù, alla celeste Gerusalemme che le suddette adombravano.

Cantico dei gradi.

1. Alzai le mie grida al Signore, mentre io era nella tribolazione ed egli mi esaudì.

2. Signore, libera l’anima mia dalle labbra inique e dalla lingua ingannatrice.

3. Che ti sarà egli dato, ovver che riceverai tu per giunta per la tua lingua ingannatrice?

4. Stette acute, vibrate da mano possente, e i carboni divoratori.

5. Misero me, il mio pellegrinaggio è prolungato! son vissuto tra gli abitatori di Cedar; lungamente è stata pellegrina l’anima mia.

6. Fui pacifico con quei che odiavan la pace; quando io parlava con essi, eglino mi si voltavan contro senza ragione.

Sommario analitico (1)

(1): I quindici salmi che seguono, dal CXIX al CXXXIII, sono intitolati Cantici dei gradi. Secondo l’opinione dei Giudei, che sembra il più fondato, questo nome sarebbe stato loro dato perché dopo la cattività era uso il cantarli solennemente salendo i quindici gradini che conducevano al sagrato degli israeliti. – Considerando il contenuto di una parte di questi salmi (CXIX, CXXII, CXXIII, CXXV, CXXVIII), lo stile recente di molti tra essi (CXIX, CXX, CXXI, CXXII, CXXVIII, CXXXIII), si è portati a fissarne l’epoca di composizione, al ritorno dalla cattività; forse sono anche tutti di quest’epoca, eccetto i salmi CXXIX e CXXX, che sembrano essere di Davide, ed i salmi CXXVI e CXXXI, che sembrano avere Salomone come autore. Questi quattro salmi, come la maggior parte di quelli di Davide, che fanno parte delle ultime raccolte o libri dei salmi, sono stati riportati qui per uso liturgico. I salmi CXXI, CXXIII, CXXXII, non sono di Davide, ma gli sono attribuiti per il loro titolo, come il libro della Sapienza è attribuito a Salomone, e questo perché sono composti ad imitazione di quelli del Re-Profeta (Le Hir.).

Il salmista parla qui in nome del popolo ebraico, ed esprime il desiderio di rientrare nella sua patria, ed in senso più elevato, di arrivare alla celeste Gerusalemme;

I. – Egli espone a Dio la sua afflizione, e ne fa conoscere:

1° l’effetto, il gridare verso Dio che lo ha esaudito (1);

2° la causa, le lingue inique e le labbra ingannevoli (2).

II. – Egli dichiara:

1° che non c’è rimedio umano a così grande male (3);

2° che spera solo nel soccorso di Dio (4).

III. – Egli deplora le afflizioni di questa vita,

1° a causa della sua lunga durata (5),

2° a causa della necessità di abitare con uomini pericolosi (5),

3° a causa della miseria della sua anima piombata in sì grandi mali (6),

4° a causa del combattimento continuo ed inevitabile contro i suoi nemici (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1, 2

ff. 1, 2. – Dal punto di vista storico, questi salmi sono chiamati salmi graduali, perché c’è la questione del ritorno da Babilonia e la cattività del popolo di Dio, ma in senso più elevato, essi sono chiamati così, perché conducono al cammino della virtù. In effetti il cammino che porta alla virtù è simile a gradini che elevano poco a poco l’uomo saggio e virtuoso fino a ciò che lo conduce fino al cielo. È così che i luoghi troppo elevati e che sono inabbordabili diventano accessibili, cioè per mezzo di gradi o scale. (S. Chrys.). – Tre cose importanti sono racchiuse in questo solo versetto. Il Salmista è nella tribolazione, non è esaudito, perché nessuno è nella tribolazione se non colui che vuol vivere con pietà in Gesù-Cristo. (S. Gerol.). – Il Profeta, nella sua persona, volendo formare l’uomo che, per gradi, vuol salire verso le cose eterne, gli insegna i pericoli dai quali deve soprattutto guardarsi; vale a dire, in primo luogo, di questi uomini che, per il loro credito e l’autorità dei loro consigli, per i loro incitamenti, spesso rinnovati, con la seduzione dei loro discordi, ci precipitano nell’inferno; gli uni ci spingono a perseguire gli onori, gli altri cercano di incatenare la nostra vita con i legami vergognosi della pigrizia, dell’intemperanza e della voluttà; questi, affascinandoci nei sentieri che conducono alle false religioni; questi altri sollecitandoci ad abbracciare delle dottrine scismatiche o eretiche. Contro tutti questi discorsi di cui l’Apostolo ha detto: « i cattivi discorsi corrompono i buoni costumi, la nostra anima è debole ed impotente, » ci resta un’unica speranza: gridare verso il Signore, (S. Hil.). – Utilità della preghiera nella tribolazione: – 1° essa è più pronta, a causa della necessità che abbiamo del soccorso divino: « Nella loro afflizione si affretteranno fin dal mattino verso di me; » (Osea, VI, 1); la tribolazione apre l’orecchio del cuore che spesso chiude la prosperità del secolo. (S. Greg. Moral.); – 2° essa è più costante: Giacobbe, temendo la collera di suo fratello Esaù, prega Dio, e non vuol lasciar partire l’Angelo finché non lo abbia benedetto; – 3° essa è più umile: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? » (Rom. VII, 24); – 4° essa è più fervente; « Signore, io rivolgerò le mia grida verso di Voi; il fuoco ha divorato le dimore nel deserto, e la fiamma ha bruciato tutti gli alberi delle campagne; gli animali dei campi saranno senza fiato verso di Voi, perché i ruscelli sono disseccati, perché il fuoco ha divorato le dimore del deserto; » (Gioel. I, 20); – 5° essa è più pura e gradita a Dio, e la benevolenza di Dio per voi, più grande; fate dunque in modo che tutta la vostra vita sia laboriosa e penosa, e ricordate che tutti coloro che vogliono vivere con pietà in Gesù-Cristo saranno perseguitati, e che è con le molte tribolazioni che bisogna entrare nel regno dei cieli (S. Chrys.);  –  6° essa è più soave, perché è allora che l’anima si getta interamente in Dio, che succhia a questo latte celeste delle mammelle divine chiudendo gli occhi a tutte le cose della terra; – 7° « essa è animata da una più grande fiducia, al pensiero che Dio è con noi nella tribolazione; – 8° essa è più efficace: « io ho gridato verso il Signore quando ero nella tribolazione, ed Egli mi ha esaudito. »  Signore, essi vi cercheranno nell’angoscia in mezzo ai dolori ed ai mormorii, Voi li istruirete ed essi riconosceranno la vostra mano, (Isai. XXVI, 16). – Che cos’è dunque la lingua ingannevole? È la lingua perfida che sembra mettervi innanzi il vostro bene e non prepara invece che la vostra perdita. Esse dicono: farete dunque ciò che nessuno fa? Sareste dunque solo voi Cristiano? E se voi mostraste loro che altri agiscono come voi; se leggete loro il Vangelo nel quale Dio ordina di fare così, o pure gli Atti degli Apostoli, cosa vi dicono questi uomini dalla lingua ingannevole e dalle labbra ingiuste? Forse non avrete la forza di andare fino al vostro fine; voi intraprendete una faccenda molto difficile. Gli uni vi allontaneranno dal bene con la loro opposizione formale, gli altri vi fermano ancor più pericolosamente con l’elogio che fanno della virtù (S. Agost.). – Il Profeta distingue le labbra inique dalle lingue ingannevoli. L’iniquità è arrogante e senza pudore, manifesta apertamente la sua impudenza, è in pieno giorno che prepara le sue insidie, e persegue l’adempimento dei suoi cattivi disegni: tali sono coloro che, negando l’esistenza di Dio, dicono che la Religione non ha alcune utilità nelle cose umane, che non c’è che un solo bene sulla terra, e cioè il darsi al lusso, ai piaceri del corpo, negando a Dio ogni cura, ogni provvidenza, ogni volontà, ogni potenza sulla condotta degli uomini. La lingua ingannatrice segue una condotta diversa: essa è cauta, ricorre all’astuzia, a pericolose dissimulazioni; essa cerca di distruggere la Religione nel nome stesso della Religione, ed a condurci alla morte sotto l’apparenza della vita (S. Hil.). – Nessuna tentazione è più pericolosa dell’essere soggetto agli attacchi di un uomo ingannevole. Un animale feroce è da temere di meno, perché esso si mostra qual è, mentre l’ingannevole nasconde accuratamente il suo veleno sotto il velo della dolcezza ed è impossibile scoprire queste insidie … Ora, se bisogna evitare gli uomini furbi e dissimulati, quanto più gli ingannatori e coloro che insegnano le false dottrine. Ma guardate soprattutto come libri ingannevoli quelli che cercano di attaccare la virtù e ad immergersi nel vizio. (S Chrys.).- Come Dio libera dalle lingue ingannevoli: – 1° facendo che colui che ne è l’oggetto non ascolti più (Ps. XXXVIII, 15); – 2° ispirandogli una profonda indifferenza verso tutti questi discorsi artificiosi (I. Cor., IV, 15); – 3° facendo in modo che non si dia fede a ciò che pissono dire; – 4° che le loro parole siano disapprovate; – 5° che l’uomo in preda ai loro attacchi metta tutta la sua fiducia nel testimonio divino che, dall’alto dei cieli, vede il fondo della sua coscienza; – 6° che ricordi tutto ciò che è stato detto contro Gesù-Cristo; – 7° che pensi che sia un mezzo per volgersi verso Dio (Ps. LXXXII, 15); – 8° che si ricordi che egli stesso sovente ha parlato male degli altri (Eccl. VII, 22). 

II – 3, 4.

ff. 3, 4. – Questi due versetti sono suscettibili di tre sensi che contengono tutti delle importanti istruzioni: – 1° senso – Cosa si può aggiungere ad un lingua piena di furberia, qual più grande male? In effetti delle labbra ingiuste possono esistere senza una lingua ingannevole, come quando si aprono alla calunnia ed agli oltraggi pubblici; ma quando una lingua ingannevole viene ad aggiungersi a delle labbra ingiuste, non si può aggiungere nulla a questo male. Frecce scoccate da una mano potente e abile che colpisce da lontano, imprevedibile, accompagnate da carboni bruciati, non possono entrare in comparazione con una lingua furba o artificiosa che fa in un istante piaghe che non si possono prevedere, né guarire, che, spinte dal demonio, stendono le loro devastazioni al di là di ciò che si possa immaginare, e accende dei fuochi di dissezioni, di divisioni, di odi ardenti che è impossibile spegnere. « La lingua non è che una piccola parte del corpo, ma quante grandi cose fa! Una scintilla brucia una grande foresta: la lingua pure è un fuoco; è un mondo di iniquità, è uno dei nostri membri che infetta tutto il corpo; essa brucia tutto il corpo della nostra vita, infiammata essa stessa del fuoco dell’inferno (Giac. III, 5, 6). – 2° senso. – Cosa riceverete, o qual frutto vi tornerà dalla vostra lingua ingannevole, cioè qual supplizio sarà degno di un tal crimine? È il linguaggio che Isaia usava con i Giudei: « Come colpirvi di più, voi che non cessate di aggiungere prevaricazioni? » (Isai. I, 5); o meglio, il Profeta vuol dire che l’uomo furbo trova il suo supplizio nel suo crimine, e che previene il castigo che gli è riservato anche quando genera il vizio del proprio fondo. Non c’è in effetti, supplizio più grande per l’anima del vizio, prima che sia punito. Qual castigo dunque sarebbe degno di tale crimine? Non ce n’è uno quaggiù. Dio solo può qui eguagliare il castigo alla colpa. L’uomo resterebbe necessariamente al di sotto perché questo genere di malvagità è al di sopra di ogni castigo. Dio solo può punirlo come merita, ed è ciò che il Profeta vuol fare intendere aggiungendo: « frecce acute, lanciate da mano potente con carboni divoranti. » una di queste espressioni metaforiche fa fuoriuscire la moltitudine di castighi, e l’altra la sua intensità. (S. Chrys.). – Non ci stupiamo allora che il Signore debba lanciare queste frecce acute e questi carboni ardenti contro i furbi. Dio è la verità essenziale; e colui che veste la maschera della verità per accreditare la menzogna, ferisce in qualche modo l’essere di Dio; egli dunque deve aspettarsi tutte le sue vendette. – 3° Senso – Sant’Agostino vede qui un dialogo nel quale l’uomo, in preda alla tribolazione, prega dapprima il Signore; poi il Signore gli risponde: quale rimedio ci sarà dato contro le lingue ingannevoli? Tu ne hai qualcuno a tua disposizione, eccolo: « Le frecce acute di un arciere vigoroso con carboni divoranti; cioè le parole di Dio che trapassano i cuori con gli esempi della carità ardente; perché se a questa parola di Dio, si aggiunge l’esempio della vera carità simile ad un carbone infiammato, nulla potrà resistergli (S. Agost.). – Quest’ultimo senso, benché molto edificante, è il meno letterale. Forse il santo Dottore ha in vista queste parole di San Paolo, invitanti i cristiani a non lasciarsi vincere dal male ed a trionfare del male con il bene, facendo questo, egli dice, voi ammasserete carboni ardenti sulla testa del vostro nemico (Rom. XII, 20).

III. — 5-7.

ff. 5, 6. –  « Me maledetto, perché si è prolungato il mio esilio. » È il grido di dolore dei prigionieri di Babilonia viventi in mezzo a popoli barbari; è anche il grido di dolore di Cristiani sulla terra, e San Paolo, parlando dell’esilio che si prolunga su questa terra, si esprime così: « Mentre siamo in questo corpo come sotto una tenda, gemiamo sotto il suo peso. » (II Cor. V, 4). Ed in altro luogo: « Non solo gemono la creazione, ma pure noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemmiamo internamente. » (Rom. VIII, 23). Che cos’è in effetti la vita presente? Un vero esilio. Cosa dico, un esilio? Essa è mille volte più triste di un esilio. La prima cosa, come la più importante per noi da sapere, è che noi siamo in questa vita come dei viaggiatori. Gli antichi Patriarchi lo riconoscevano altamente, ed è ciò che li rende degni della nostra ammirazione. « Ed è per questa ragione – aggiunge l’Apostolo – che Dio non arrossisce di essere chiamato loro Dio. » (Hebr. XI, 15, 16). Qual è questa ragione? Perché essi hanno confessato che erano stranieri e pellegrini su questa terra (S. Chrys.). – Ma c’è di più: Talvolta un uomo in viaggio vive in mezzo ad uomini migliori di coloro con i quali viveva nella sua patria; ma non è così nel nostro esilio fuori della Gerusalemme celeste. In effetti, un uomo lascia la sua patria, e talvolta si trova felice nel suo esilio; egli incontra degli amici fedeli che non aveva potuto trovare in patria. È necessario che egli abbia avuto dei nemici per essere cacciato dalla sua patria, ed ha trovato nell’esilio ciò che non aveva nella patria. Tale non è la celeste Gerusalemme, ove tutti gli abitanti sono buoni; chiunque si trovi fuori da queste sue mura è in mezzo ai malvagi, e non può ritrarsi da essi se non tornando nella società degli Angeli e dei Santi, ove tutti sono buoni e giusti … perché infine, se abita con dei giusti, non direbbe mai: « Me misero! » Me misero … , è il grido della miseria, il grido della sofferenza e dell’infortunio … « La mia anima è stata per lungo tempo errante in terra straniera. » Per timore che non si pensasse ad un viaggio corporale, il Profeta dice che l’anima è stato per lungo tempo errante. Il corpo viaggia cambiando i luoghi; l’anima viaggia cambiando i sentimenti. Se amate la terra, viaggiate lontano da Dio, se amate Dio, salite verso Dio (S. Agost.). – Quando si è considerata con gli occhi della fede la grandezza dei beni del cielo, la terra, con tutti i beni che racchiude, non sembra più degna di coinvolgere il nostro cuore più di questa tenda mobile che il pellegrino monta nel deserto, o di questi mobili preziosi che il viaggiatore incontra nell’albergo dove si ferma qualche istante per il pasto del mattino o il riposo della notte. – Il Profeta annunzia loro la pace, ma questi nemici della pace, non solo non la ricevono, ma attaccano senza motivo, con la loro malvagità, il predicatore della pace (S. Gerol. e S. Hil.). – Finché viviamo in mezzo al mondo, dimoriamo con gli abitanti del Cedar, con i nemici di Dio e della sua Chiesa, perché le tende del Cedar, tende nere e grossolane, sono quelle dello spirito delle tenebre, queste tende che ci offrono un riparo non racchiudono che il vizio, la menzogna, la furbizia, ed il mio cuore è troppo spesso simile, perché esso stesso non dà asilo che a pensieri vani e a colpevoli voluttuosità. Desideriamo dunque, come il profeta e come l’Apostolo, viaggiare lontano dal nostro corpo piuttosto che lontano da Dio, e non siamo come la maggior parte dei Cristiani, che amano talmente i giorni del loro viaggio e le tende del Cedar, che non hanno discorso più triste di quello che  intrattengono circa la partenza prossima da questa vita.

ff. 7. – Il Profeta dice che ha dimorato con gli abitanti del Cedar, ma non nelle abitazioni del Cedar, perché benché i santi vivano nella carne, tuttavia, se le armi con le quali combattono non sono carnali, ma potenti in Dio, essi abiteranno presso le tende, ma non sotto le tende del Cedar; perché separati dal loro corpo con le loro inclinazioni, e già cittadini del cielo con il cuore, essi intendono l’Apostolo dire loro: « Per voi, voi non siete nella carne ma nello spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rom. VIII, 9), (S. Hil.). – « Io ero pacifico con coloro che odiavano la pace .» Chi di noi oggi potrebbe avere questo linguaggio? È già molto per noi essere pacifici con gli amici della pace; ma lui lo era con coloro che odiavano la pace. Come potremo noi arrivare a questo grado di virtù? Se noi viviamo quaggiù come degli estranei, come viaggiatori che non si lasciano fermare da alcuna cosa che si presenti ai loro sguardi. In effetti, la causa principale delle controversie e delle guerre, è l’amore per i beni della terra, la passione per la gloria, per il danaro, i piaceri …  è per questo che Nostro Signore vi invia come pecore in mezzo ai lupi. Egli non vuole che possiamo dire: io ho tanto sofferto che il mio carattere ne sia stato amareggiato. Le vostre sofferenze fossero mille volte più numerose, come voi dite, conservate la dolcezza della pecora, e trionferete facilmente dei lupi. Voi siete in lotta con un uomo perverso e corrotto, ma le forze di cui disponete vi rendono superiore a tutti gli sforzi dei malvagi. Cosa c’è di più dolce di una pecora, cosa più feroce di un lupo? E tuttavia la pecora trionfa del lupo come vediamo nella persona degli Apostoli; perché nulla eguaglia la potenza della dolcezza, né la forza della pazienza … « Quando io parlavo loro, essi si levavano contro di me senza ragione. » È nel momento stesso in cui mi intrattenevo con loro, e che davo loro la mia amicizia, indirizzando loro le parole più benevoli, che essi si scagliavano ed ordivano le loro trame, senza che nulla fosse capace di fermarli; ciò nonostante, nei confronti di queste disposizioni odiose, la mia dolcezza non si smentiva. Tali devono essere i nostri sentimenti: non rispondano essi al nostro amore che con i loro oltraggi e con cattivi trattamenti, tendano insidie, non lasciamo opporre loro la stessa virtù. (S. Chrys.). – Vivere in pace con anime pacifiche, con spiriti moderati, con moti socievoli, sarebbe appena una virtù da filosofo e da pagano; molto meno deve essere per una virtù soprannaturale e cristiana. Il merito della carità, diciamo meglio, il dovere della carità, è conservare la pace con uomini difficili, scontrosi, importuni. Perché? Perché può accadere, ed in effetti tutti i giorni accade, che i più importuni ed i più scontrosi, i più difficili ed i più tristi, siano giustamente coloro con cui dobbiamo vivere in più stretta società, coloro dai quali ci è meno possibile separarci, coloro ai quali, nell’ordine di Dio, noi ci troviamo uniti con i legami più indissolubili. (BOURDALOUE, Sur la Nat. de Notre-Seig.).

SALMI BIBLICI: “PRINCIPES PERSECUTI SUNT ME GRATIS” (CXVIII – 10)

SALMO 118 (10): PRINCIPES PERSECUTI SUNT ME GRATISr

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (10)

SIN

[161]. Principes persecuti sunt me gratis,

et a verbis tuis formidavit cor meum.

[162] Lætabor ego super eloquia tua, sicut qui invenit spolia multa.

[163] Iniquitatem odio habui, et abominatus sum, legem autem tuam dilexi.

[164] Septies in die laudem dixi tibi, super judicia justitiæ tuæ.

[165] Pax multa diligentibus legem tuam, et non est illis scandalum.

[166] Exspectabam salutare tuum, Domine, et mandata tua dilexi.

[167] Custodivit anima mea testimonia tua, et dilexit ea vehementer.

[168] Servavi mandata tua et testimonia tua, quia omnes viæ meæ in conspectu tuo.

TAU.

[169] Appropinquet deprecatio mea in conspectu tuo, Domine; juxta eloquium tuum da mihi intellectum.

[170] Intret postulatio mea in conspectu tuo; secundum eloquium tuum eripe me.

[171] Eructabunt labia mea hymnum, cum docueris me justificationes tuas.

[172] Pronuntiabit lingua mea eloquium tuum, quia omnia mandata tua æquitas.

[173] Fiat manus tua ut salvet me, quoniam mandata tua elegi.

[174] Concupivi salutare tuum, Domine, et lex tua meditatio mea est.

[175] Vivet anima mea, et laudabit te, et judicia tua adjuvabunt me.

[176] Erravi sicut ovis quæ periit; quaere servum tuum, quia mandata tua non sum oblitus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (10).

SIN.

161. I principi mi han perseguitato senza ragione; ma il mio cuore temette le tue parole.

162. Mi goderò io sopra le tue parole, come chi abbia fatto acquisto di molta preda.

163. Ho avuta in odio e in abbominazione l’iniquità, ed ho amata la tua legge.

164. Sette volte al giorno ho a te dato laudi sopra i giudizi di tua giustizia.

165. Pace molta per quelli che amano la tua legge; e inciampo per essi non è.

166. Io aspettava, o Signore, la salute, che vien da te; e amai i tuoi comandamenti.

167. L’anima mia ha osservati i tuoi precetti, e gli ha amati ardentemente.

168. Ho osservato i tuoi comandamenti e le tue testimonianze; perché tutti i miei andamenti sono sotto degli occhi tuoi.

TAU.

109. Abbia accesso al tuo cospetto la mia preghiera, o Signore, secondo la tua parola dammi intelligenza.

170. Penetrino le mie suppliche al tuo cospetto: liberami, secondo la tua parola.

171. Canteranno le labbra mie inno di laude, quando mi avrai tu insegnate le tue giustificazioni.

172. La mia lingua annunzierà la tua parola; perocché tutti i tuoi precetti sono equii.

173. Stendasi la tua mano a salvarmi; perocché io preelessi i tuoi comandamenti.

174. L’anima mia, o Signore, ha desiderata la salute, che vien da te; e mia meditazione ell’è la tua legge.

175. Viverà l’anima mia e te loderà; e i tuoi giudizi saranno mio aiuto.

176. Andai errando qual pecora traviata cerca il tuo servo, perché io non mi sono scordato dei tuoi comandamenti.

Sommario analitico

Xa SEZIONE

161-176

In questa ultima parte, Davide considera Dio come il supremo remuneratore del combattimento che ricompensa e corona il vincitore.

I. Il Profeta si felicita nel vedere i suoi nemici vinti [161] e fa conoscere di quali armi si sia servito contro di essi:

1° il timore di Dio (161,

2° la gioia nella speranza della ricompensa (162),

3° l’odio dell’iniquità e l’amore della legge di Dio (163),

4° la lode continua di Dio, perché i suoi giudizi sono giusti, e le sue leggi richiudono la giustizia sovrana (164).

II. Dopo la guerra, egli spera:

1° una pace profonda e piena di dolcezza (165);

2° la salvezza eterna, che egli ha meritato:

a) per la sua viva speranza,

b) con il suo amore per la legge di Dio (166),

c) con l’osservanza fedele di questa legge (167),

d) per la considerazione della presenza di Dio in tutte le sue azioni (168).

III. – Benché egli giunga al porto, e sia sul punto di ottenere la corona, nel timore di far naufragio nel porto stesso, si rivolge a Dio e:

1° gli domanda:

a) che la sua preghiera penetri nella presenza di Dio,

b) che gli dia l’intelligenza (169),

c) che gli accordi la salvezza (170);

2° gli promette di essere riconoscente per tutta l’eternità per una sì grande grazia, lodando Dio,

a) a causa della sua giustizia, per cui ha le ricompense promesse (171),

b) a causa della sovrana equità della sua legge (172);

3° Egli domanda a Dio di tendergli una mano misericordiosa, per attirarlo e salvarlo con la grazia della perseveranza finale, e prova come non sia indegno di questa grazia:

a) perché ha preferito i comandamenti di Dio a tutte le cose della terra (173),

b) perché ha desiderato vivamente la grazia della salvezza,

c) perché ha meditato tutto il giorno la legge di Dio (174);

4° Grazie a questo soccorso potente che egli spera contro i nemici della salvezza:

a) la sua anima vivrà eternamente;

b) la sua bocca non cesserà di lodarlo (175),

c) e non temerà più di smarrirsi, come per il passato, perché conserva perpetuamente il ricordo della legge di Dio (176).

Spiegazioni e Considerazioni

X SEZIONE — 161-176

I. – 161-164

« I principi mi hanno perseguitato senza motivo, ed il mio cuore non ha temuto che le vostre parole. » In effetti in cosa i Cristiani nuocevano ai regni della terra, quando il loro Re aveva loro promesso il regno dei cieli? Il loro Re certo non proibiva ai suoi soldati di rendere ai re della terra il servizio che era loro dovuto! Non ha forse Egli detto ai Giudei che cercavano di calunniarlo su questo punto: « Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio? » (Matth. XXII, 27). Non aveva pagato Egli stesso il tributo estratto dalla bocca di un pesce? E ai suoi persecutori, rispondendo ai soldati di un regno terrestre che gli domandavano cosa dovessero fare per ottenere la salvezza eterna, invece di dire: “separatevi dai vostri centurioni, gettate via le vostre armi ed abbandonate il vostro re, per poter combattere per il Signore”, non ha loro detto: « Non usate violenza né frode verso nessuno, e contentatevi della vostra paga? » (Luc. III, 14). E ad uno dei suoi soldati ed uno dei più cari compagni non ha detto a coloro che combattevano con lui: « Ciascuno sia sottoposto alle autorità costituite; » (Rom. XIII, 1) ed un po’ più oltre: « … rendete ad ognuno ciò che è loro dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi l’onore, l’onore) » (Ibid. 17, 18).  Lo stesso Apostolo non ha ordinato che la Chiesa pregasse per gli stessi re? (1 Tim. II, 1, 2). In cosa dunque i Cristiani li hanno offesi? Cosa, non è stato reso di ciò che era dovuto,? In cosa i Cristiani hanno mancato nell’obbedire ai re? I re della terra hanno dunque perseguitato senza motivo i Cristiani. Ma vediamo cosa aggiunge il Profeta: « Il mio cuore non ha temuto che le vostre parole. » Senza dubbio i re hanno preferito delle parole minacciose: io vi esilierò, vi proscriverò, vi metterò a morte, vi lacererò con unghie di ferro, vi farò perire nelle fiamme, vi esporrò alle fiere, vi farò strappare le membra; ma più che tutte queste minacce, io sono stato colpito dalle vostre parole: « Non temete coloro che uccidono il corpo e non possono farvi più alcun male; temete piuttosto colui che può perdere sia il corpo che l’anima all’inferno. » (Matth. X, 28), (S. Agost.). – Ma ci sono altri persecutori: questi sono i princîpi di questo mondo, come li chiama S. Paolo, le potenze delle tenebre, che cercano di opprimere la vostra anima, che rinnovano dal di dentro tutto ciò che le persecuzioni hanno avuto di più crudele, promettendovi anche la potenza, gli onori, le ricchezze, se la vostra anima è debole nel cedere, per obbedire ai loro ordini. Questi principi vi perseguitano senza motivo, senza ragione. Essi perseguitano senza motivo colui che trovano non appartenere loro, e cercano di asservirlo al loro impero; ma essi non perseguitano senza motivo colui che si è votato interamente al loro potere, che è interamente sotto la potenza del secolo; perché essi esercitano un legittimo impero su coloro che dichiarano di appartener loro, e chiedono la ricompensa della loro iniquità … Quando mi perseguitano in questo modo, io ho un solo timore, che un giorno Gesù-Cristo non venga a rinnegarmi, che non mi escluda, che non mi respinga dall’assemblea dei sacerdoti, non mi giudichi indegno di questo augusto collegio. Che mi veda tremante davanti alle persecuzioni esteriori, purché io tema molto di più i giudizi della sua giustizia. (S. Ambr.). –  « Io gioirò delle vostre parole, come colui che ha trovato un ricco bottino. » Il timore che ha delle parole di Dio è buono, poiché produce in lui il trasporto della gioia. Colui dunque che conserva nella sua dimora, cioè nel suo cuore, le parole di Dio, ne escluda le parole dei principi, e trova la sua gioia nelle parole di vita uscite dalla bocca del Signore … « Io sono trasportato dalla gioia come colui che ha trovato un ricco bottino. » Io ho trovato, senza lavoro, ciò che non possedevo: io ho trovato i primi sette libri dell’Antico Testamento, ho trovato i libri dei Re, ho trovato i Salmi, ho trovato i Proverbi, ho trovato il Cantico dei cantici, ho trovato questo mirabile consigliere, Gesù-Cristo … Qual ricco bottino possiede colui che ha in se stesso il Verbo di Dio! Egli ha la certezza della resurrezione, ha la giustizia, la forza, la saggezza. Ha tutte le cose, perché tutte le cose sussistono in lui. Gli Ebrei hanno spogliato gli Egiziani ed hanno preso le loro ricchezze. I Cristiani possiedono oggi le spoglie dei Giudei, e noi abbiamo tutte queste ricchezze di cui essi non sapevano di esserne in possesso. Essi hanno asportato per noi come un bottino, l’oro e l’argento; e noi abbiamo ricevuto l’oro spirituale dell’anima, abbiamo acquistato l’argento della parola celeste. (S. Ambr.). –  « Io ho odiato l’ingiustizia e l’ho avuta in abominio. »  È a giusto titolo che colui che è rivestito delle armi della giustizia odi l’iniquità .. ma nessuno può odiare e fuggire l’iniquità se non colui che ama l’equità; così il Profeta aggiunge: « Io ho amato la vostra legge. » (Idem). –Il timore che gli avevano ispirato le parole di Dio non ne aveva generato l’odio, ma al contrario, aveva mantenuto il lui la carità nella sua integrità. In effetti, la Legge di Dio non è altro che le parole di Dio. Lungi dunque dal pensare che il timore distrugga l’amore, quando il timore è casto. (S. Agost.). – L’odio dell’iniquità è la misura dell’amore di Dio, poiché non si può amare nulla quando non si odia il suo contrario. – « Io vi ho lodato sette volte al giorno, a causa dei giudizi della vostra giustizia. » Questo numero di solito indica la totalità, perché Dio, dopo aver lavorato sei giorni, si è riposato nel settimo, e tutto il corso dei tempi si svolge lungo periodi di sette giorni che scorrono continuamente. (S. Agost.). – I giudizi della giustizia di Dio forniscono un’ampia ed eccellente materia di lode di Dio. – Non è mirabile, dice San Crisostomo, vedere le condizioni del mondo più esposte a questo preteso decadimento delle cure (di cui si fa obiezione nel mondo), essere quelle a cui Dio ha preso piacere di far apparire uomini più occupati della loro salvezza e più legati al suo culto? Davide era Re, ed un re guerriero: qual esempio non abbiamo nella sua persona? Trascurando di occuparsi di Dio per pensare al suo stato, e trascurando il suo stato per non occuparsi che di Dio? Egli conciliava l’uno e l’altro perfettamente. Nell’impegno degli affari pubblici, egli trovava dei momenti per ritirarsi e pregare sette volte al giorno; e nel mezzo della notte, egli usciva dal suo giaciglio reale per meditare la legge del Signore, tuttavia egli adempiva degnamente ai suoi doveri di re: sosteneva le guerre, metteva armate in piedi, rendeva giustizia al suo popolo, prendeva conoscenza di tutti, e mai la Giudea fu, come sotto di lui, un regno più felice e perfetto. (BOURD. Eloign. et fuite du monde.)

II. — 165-168

f. 165-168. – « Pace abbondante a coloro che osservano la vostra legge. » La pace è il bene sovrano e la somma di tutti i beni. Essa è il fondamento della fede e la base di tutte le virtù. (S. Piet. Crisol.). – Essa è la dimora del Dio delle virtù: « è nella pace che ha fissato la sua dimore. » (Ps. LXXV, 2). Essa è il riposo più dolce dei santi: « Che la pace di Dio, che sorpassa ogni sentimento, regni nei vostri cuori e nelle vostre intelligenze in Gesù-Cristo. » (Filip. IV, 7). – Una delle condizioni essenziali di questa pace, è la carità: « Pace abbondante a coloro che osservano la vostra legge. » Questa carità non si arresta nella contemplazione di Dio, essa abbraccia tutti i comandamenti della legge per metterli in pratica. È con l’osservanza della legge che Dio dà la pace all’anima. La pace, grazie a questo amore, a questa osservanza dei comandamenti, ci dà una tranquillità ed una sicurezza tra le più grandi; « non c’è per essi alcun punto di scandalo. » – Abbiamo detto in precedenza che la carità scaccia il timore; noi diciamo ora che essa lo esclude fino al minimo turbamento, perché colui che ama Dio ha, come sua parte, la profonda tranquillità di un’anima confermata nel bene (S. Ambr.). – Dove trovare la pace del cuore? Nell’assoggettarsi alla legge di Dio. Fuori da questo noi non la speriamo. Sì, mio Dio, è per coloro che amano la vostra Legge che c’è una pace interiore; non è giusto e neanche possibile, che sia per altri come per essi, perché essendo la vostra legge, come lo è, il principio dell’ordine, essa è essenzialmente il principio della pace. Pace incrollabile da parte di Dio, incrollabile da parte del prossimo, ed incrollabile anche da parte nostra (Bourd. Sur la paix chrét.). – Cercate dunque di gioire di questa pace; e la lussuria, la cupidigia, la collera, la voluttà, non facciano della vostra anima il teatro delle loro guerre intestine, e se proprio è necessario che siate attaccato, che l’attacco venga dal di fuori e non dall’interno. Combattete contro coloro che vi perseguitano, benché spesso convenga cedere loro in silenzio, perché è per voi che essi trionfano, la loro potenza è la vostra vittoria; essi sono vinti quando credono di essere i vincitori … Gioite dunque di questa pace abbondante che sorpassa ogni sentimento. Il fine ultimo e sovrano della saggezza, è che la nostra anima sia calma e tranquilla; il fine principale della giustizia, è che l’iniquità non possa turbare l’anima del giusto; la fine del coraggio quaggiù ed anche della forza corporale, è che alle fatiche e ai pericoli della guerra succedano le dolcezze della pace (S. Ambr.). – « … e non c’è per essi scandalo. Il Profeta vuol dire che la legge non è uno scandalo per coloro che la amano, o che non c’è alcuna parte di scandalo per coloro che amano la legge? I due sensi sono egualmente accettabili. In effetti, colui che ama la legge di Dio onora in se stesso ciò che non comprende, e quando gli sembra che essa dica una cosa strana, egli giudica di preferenza che non ci sia intelligenza di questa parola e che essa nasconda qualche mistero; ecco perché per lui la legge di Dio non è per lui oggetto di scandalo. D’altra parte, se non si vuole incontrare alcuno scandalo, non si esaminino gli uomini la cui professione è tutta santa, in modo da far dipendere la fede dai loro costumi, per timore che non vedano cadere qualcuno di cui avevano grande stima, e non sia preso e non perisca egli stesso nella trappola dello scandalo. Bisogna al contrario che egli ami la Legge di Dio in se stessa, e sarà per lui la sorgente di una pace profonda, senza mai causargli scandalo; perché egli amerà in tutta sicurezza una Legge sulla quale, è vero, molti uomini peccano, ma che è essa stessa esente da peccato. (S. Agost.). – Quaggiù vi sono tante cause ed occasioni di scandalo e di turbamento interiore: ora una donna ingannata dalle suggestioni del serpente che si sforza di tormentare lo spirito del marito; ora è un padre che si burla della fede di suo figlio; ora è uno sposo che insulta con i suoi oltraggi la pietà della sua sposa; … è lo spettacolo di un giusto nell’indigenza, di un empio nell’abbondanza; di un santo al quale Dio ha rifiutato dei figli, di un peccatore che ha tutto in abbondanza … figli, onori, dignità, reputazione. ma in tutte queste cose il vero giusto resta vincitore dicendo con l’Apostolo: « Chi ci separerà dalla carità che è in Gesù-Cristo? » (Rom. VIII, 55). Da un altro canto, la croce del Signore Gesù, altre volte scandalo per i Giudei, o follia per i gentili, lo è ancora per i pretesi saggi del mondo … non lasciatevi tentare, né turbare dai loro discorsi, non permettete ai loro pensieri di introdursi nella loro anima. Là dov’è la pace, ed una pace abbondante, la croce è un soggetto non di obbrobrio, ma di salvezza … La croce è un obbrobrio per colui che non ha la fede, ma, per il Cristiano fedele, essa è la grazia, la redenzione, la resurrezione, perché è per noi che il Signore ha sofferto, perché ci ha riscattati con il suo sangue, perché ci ha richiamati in cielo con la sua Resurrezione. Come potrebbe, colui che ha questa fede, essere turbato, allorché gli dà la speranza sì eccelsa del Regno dei cieli? (S. Ambr.). – « Io aspettavo la vostra salvezza Signore, ed ho amato i vostri comandamenti. » Colui che attende la salvezza, spera. La speranza precede dunque la carità, e la salvezza viene in seguito; la speranza precede l’azione, ecco perché colui che attende la salvezza compie i comandamenti di Dio. Così il Signore, nel Vangelo, chiama non più suoi servi, ma suoi amici, coloro che hanno osservato i suoi precetti. In effetti, colui che ama, agisce, e nell’agire merita la ricompensa del suo amore. (S. Ambr.). – Chi attende, desidera; chi desidera, soffre penosamente il ritardo; chi soffre geme, chi geme sente la sua miseria, ed è ben lungi dal ricercare i piaceri ed i divertimenti del mondo. – Aspettiamo il Signore, come un prigioniero aspetta il suo liberatore, un esule il suo richiamo, un malato il suo medico, un figlio suo padre, una sposa il suo sposo, un debitore il suo riscatto, un orfano oppresso il suo protettore e suo sostegno (Duguet). – « La mia anima ha conservato le vostre testimonianze, e le ha amate ardentemente. Amare è molto più che osservare; perché, come detto in precedenza, si osservano spesso i comandamenti per necessità o per timore, ma non appartiene che alla carità l’amarli. Così il salmista, dopo aver detto qui: « io ho osservato, » si affretta ad aggiungere: « Io ho amato, » per mostrare che questa fedeltà di osservare i comandamenti è ispirata dall’amore e non dal timore; colui che ama molto, osserva molto (S. Ambr.). – « Io ho osservato i vostri comandamenti e le vostre testimonianze, perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi. » Felice colui che po’ dire: « Tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi, » e che non cerca di sottrarvi la conoscenza di tutti i suoi pensieri, di tutte le sue azioni. È così che Adamo cercava di nascondere a Dio la sua via, che Eva voleva nascondersi dopo la sua colpa, che Caino voleva nascondere la morte di suo fratello. Noi non possiamo che desiderare il nascondere le nostre vie a Dio, ma senza mai giungervi. Tuttavia, il crimine di colui che vuol sottrarsi ai suoi sguardi non è meno grande, benché possa non riuscire … Dio vede ciò che di più segreto c’è nel nostro cuore; ma Egli è buono, tuttavia, e ciascuno di noi gli apra e gli sveli la propria anima e vada davanti alla sua luce ed al suo calore … Così anche di coloro che dicono con il Profeta, a Gesù-Cristo, che è la via e la verità, coloro che desiderano entrare nella vera via con la loro fede, i loro costumi e tutta la condotta della loro vita: «Tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi; » perché nessuna via può essere buona se non vi degnate di illuminarla con la vostra luce (S. Ambr.). – « Io ho dunque osservato i vostri comandamenti, perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi. » Il Salmista ha voluto farci intendere che Do ha riguardato le sue vie con occhio propizio ed incoraggiante, come lo domanda in un altro salmo: « Non voltate il vostro volto da me … » (Ps. XXVI, 9). Ogni via che non è sotto lo sguardo del Signore, non potrebbe essere la via della giustizia … Le vie dei giusti sono dunque sotto lo sguardo del Signore, perché Egli dirige i loro passi; perché queste vie sono quelle di cui è stato detto nel libro dei Proverbi: « Ora, il Signore conosce le vie che sono rette, ma quelle che sono a sinistra sono perverse … » (Prov. IV, 7). Ma per farci apprezzare i frutti di questa conoscenza che il Signore ha delle vie che sono rette, cioè le vie dei giusti, il libro dei Proverbi aggiunge: « Perché Egli raddrizzerà i vostri passi e vi condurrà in pace nel vostro cammino. » Ecco perché il Profeta dice anche: « Io ho osservato i vostri comandamenti e le vostre testimonianze. » E siccome noi gli domandiamo come abbia potuto osservarli, egli risponde: «Perché tutte le mie vie sono davanti ai vostri occhi, Signore. » (S. Agost.)

III. — 169-176.

ff. 169-171. — « La mia preghiera, Signore, si sta avvicinando voi. » Una vita santa fa prendere alla preghiera il suo slancio, gli dà delle ali spirituali che elevano fino a Dio le preghiere dei santi. Lo spirito stesso nel quale noi preghiamo solleva la preghiera del giusto, soprattutto se essa esce da un cuore contrito e da un’anima compassionevole. Questa fiducia è il privilegio di un uomo consumato nella virtù. Nei versetti precedenti, il Profeta domandava che la parola di Dio fosse una luce per i suoi passi, per timore che non deviasse nella via che percorreva sulla terra. Ora che è avanzato in questa via, e che è giunto quasi al termine del viaggio, si eleva interamente più in alto. Egli dirige la sua preghiera verso il cielo, la invia in presenza del suo Signore e del suo Salvatore, dandogli, per elevarlo fin là, il soffio della giustizi, la brezza della saggezza, le redini della fede e della pietà, il sostegno dell’innocenza e della purezza. Perché il peccato appesantisce la preghiera e l’allontana da Dio, ed è tanto più appesantita quanto più la vita di colui che prega è maggiormente colpevole; al contrario, la preghiera dell’anima innocente e pura, sale e si eleva a Dio senza ostacoli … Impariamo allora come la nostra preghiera possa avvicinarsi a Dio, e ciò sarà per i nostri atti: se elevate le vostre azioni, voi avete elevato la vostra preghiera. Colui che sa elevare le sue mani dirige la sua preghiera alla presenza di Dio, come dice il Profeta in un altro salmo: « Che la mia preghiera si innalzi come l’incenso in vostra presenza, l’elevazione delle mani è come il sacrificio della sera » (Ps. CXL, 2) … Egli aggiunge: « Datemi intelligenza secondo la vostra parola. » Considerate ciò che egli domanda: non è l’intelligenza in generale, ma l’intelligenza secondo la parola di Dio, perché c’è un’intelligenza che conduce alla morte, come c’è anche una prudenza che porta l’uomo alla sua perdita: « I figli di questo secolo, dice Gesù-Cristo, sono più scaltri nella condotta dei loro affari dei figli della luce. » (Luc. XVI, 8). Ma questa prudenza del secolo non ha alcuna utilità per la vita eterna; essa è tutta intera applicata nell’ottenere gli onori, ad accumulare i guadagni, le proprie ricchezze, piuttosto che attenta ad acquisire dei meriti per il cielo; essa è più versata nella scienza degli elementi di questo mondo che nella vera saggezza, come ogni filosofia che cerca ciò che è fuori dall’uomo, ignorando quel che interessa di più; essa gli fa scrutare l’immensità del cielo, percorrere la distesa della terra, cose non gli sono di utilità alcuna, e gli lascia ignorare completamente Dio, cioè Colui che dovrebbe essere l’unico oggetto delle sue ricerche. Così un vero saggio ci dice. « Se c’è qualcuno tra voi che si ritiene saggio secondo il secolo, diventi folle per divenire saggio » (I Cor. III, 18, 19) … possa io imitare questa follia che mi sembra saggia; possa io camminare sulle tracce di quest’uomo che dirige ogni sua intenzione verso Dio, che respinge anche gli onori che gli vengono offerti, che si preoccupa poco della filosofia profana, anche quando l’ha studiata, e come precedentemente, la dissimula come se la ignorasse e la dimentichi cessando di studiarla! Egli non cerca i propri interessi, ma l’utilità degli altri, e per se stesso non cerca che il possesso dei beni eterni. Costui può dire: « Datemi intelligenza secondo la vostra parola, » cioè non secondo i filosofi, secondo gli avvocati, secondo i mercanti di questo secolo, secondo gli architetti dei palazzi, ma secondo la vostra parola, che è il fondamento della vera saggezza e delle buone opere, affinché possa posare su questo fondamento l’oro del suo cuore, l’argento dei suoi discorsi, le pietre preziose delle sue azioni, ed elevi così un edificio che non possa mai crollare, né perire. (S. Ambr.). – « Che la mia supplica penetri fino alla vostra presenza. » Vedete l’ordine che segue il salmista. Egli ha cominciato con il dire: « Che la mia preghiera si avvicini, » poi ha domandato a Dio di dargli intelligenza secondo la sua parola, ed in terzo luogo: « Che la mia supplica – dice – penetri fino alla vostra presenza. » Forse il Signore non ci invita con una certa familiarità, non ci riserva un’accoglienza piena di affetto? Quando desiderate presentarvi ad un uomo potente della terra, non vi avvicinate dapprima alla sua casa, non cercate poi di informarvi, di rendervi edotto sul carattere di colui che l’abita; infine non domandate di entrare, per non essere esposto ad essere rigettato? Bussate dunque alla porta del palazzo celeste; bussate, non con la mano del corpo, ma come con la mano destra della preghiera. Non è soltanto la mano che bussa, ma anche la voce, perché è scritto: « La voce del mio diletto bussa alla porta. » (Cant. V, 2). Bussate alla porta, è Gesù-Cristo che è questa porta, Egli che ha detto: « Se qualcuno entra attraverso di me, sarà salvato. » (Giov. X, , 9).  Quando avrete così bussato alla porta, vedrete come vi entrerete, per timore che dopo essere entrati non siate ammessi alla presenza del re. Ci sono molti che entrano nei loro palazzi e non sono immediatamente introdotti presso questi re della terra; essi spiano per lungo tempo il momento in cui potranno infine vederli. Essi non si lusingano di ottenere da se stessi questo favore, ma vengono presentati solo dopo un ordine, e cominciano col rivolgere una richiesta onde essere ricevuti con benevolenza, ed hanno cura di evitare tutto ciò che possa infastidire o essere disdicevole. Quanto più noi dobbiamo pregare Dio perché con la nostra preghiera si possa attraversare la porta della sua misericordia! … Ora, qual è l’oggetto di questa preghiera? È l’essere liberato da questo combattimento che si sostiene contro le potenze del male e contro le tentazioni e le prove di questa vita (S. Ambr.). – «  Le mie labbra si apriranno per lodarvi, quando mi avrete insegnato le vostre giustizie. » Costui può aprire legittimamente le proprie labbra per lasciarne uscire le lodi di Dio, colui che può dire: « Noi siamo il buon odore di Gesù-Cristo per Dio » (II Cor. II, 45), che ha cominciato a gustare la soavità dei precetti del Signore. Si, la sua bocca si spande in inni di lode, se comincia a produrre una buona parola (Ps. XLIV, 2). Davide, precedentemente ha prodotto questa buona parola; qui le sue labbra si aprono in inni di lode. In effetti, egli ha gustato questo pane sì pieno di soavità che è disceso dai cieli, e di cui è detto: colui che mangerà di questo pane non morrà in eterno. La parola di Dio ha anche i suoi festini, gli uni più forti, più sostanziali, come la Legge, ed il Vangelo; gli altri più soavi e squisiti, come i Salmi e i Cantici dei cantici. La Chiesa o l’anima pia, faceva risentire questo inno, essa a cui Dio il Verbo diceva: « Il vostro sposo diceva: la vostra voce è giunta alle mie orecchie, perché la vostra voce è dolce, » (Cant. II, 14), ed anche quella a cui lo sposo diceva: « La vostre labbra, mia sposa, sono il raggio che distilla il miele; il miele ed il latte sono nella vostra bocca. » (Ibid. IV, 11). Ma nessuno può elevare i suoi inni di lode, se non ha prima appreso le giustizie di Dio, e se non le ha apprese alla scuola di Dio stesso. Anche Davide chiede in modo speciale che Dio si degni di insegnargli, perché egli aveva appreso per ispirazione dello Spirito che non vi era che un solo Maestro; » (Matth. XXIII, 10); e dappertutto vediamo domandare che Dio voglia ben rendersi suo maestro, ed insegnargli i suoi ordini, pieni di giustizia … Nutriteci dunque Voi stessi delle vivande squisite che racchiudono le sante Scritture, e che questo nutrimento resti per la vita eterna. Qualunque sia il nutrimento di tutti i giorni, prendete questo alimento divino per riempirvi, perché la vostra anima possa espandersi abbondantemente in parole celesti. È così pure che il Profeta voleva essere riempito quando diceva (Ps, LXXVIII, 8): « Che la mia bocca si riempia di lodi, affinché io canti la vostra gloria. » (S. Ambr.).   

ff. 172-176. – « La mia lingua loderà la vostra legge, perché tutti i vostri comandamenti sono peni di equità. » Colui che è stato istruito delle giustizie di Dio, proclama la parola di Dio, e colui la cui bocca si apre per proclamare la parola di Dio non dice parola vana. La parola vana è quella che ha per oggetto le opere degli uomini (Ps. XVI, 4). Ecco perché il santo Profeta domanda a Dio questa grazia che la sua bocca non parli il linguaggio delle opere degli uomini, perché è una parola non solo vana, ma pericolosa e di cui dobbiamo rendere conto al giudizio di Dio (Matth. XII, 36). Non è ad un pericolo ordinario che vi esponete, quando avendo tanti libri santi nell’Anrico e nel Nuovo Testamento, che racchiudono la recita delle opere di Dio, voi li lasciate con negligenza, per non parlare, per non intendere, per non gustare che il linguaggio del secolo (S. Ambr.). – « Stendete la vostra mano per salvarmi, perché io ho scelto i vostri comandamenti. » Il Profeta sembra qui chiedere l’avvento del Signore, perché la mano di Dio, è Gesù-Cristo, che in altro salmo egli chiama la destra di Dio « La destra del Signore ha fatto splendere la sua potenza, la destra del Signore mi ha elevato (Ps. CXVII, 16) … Colui che ha scelto volontariamente e di buon grado i comandamenti di Dio, gli chiede con sicurezza di accordargli il suo soccorso divino, (S. Ambr.). « Io ho desiderato, Signore, la vostra salvezza, e la vostra legge è la mia meditazione. » Gli uni gioiscono nella speranza di vivere lungo tempo e desiderano prolungare questa vita del corpo fino al limite dell’estrema vecchiaia; gli altri sono tormentati dalle infermità della malattia, senza che possano dire con San Paolo: « … è quando sono debole che sono forte. » (II Cor. XII, 10). Essi si stimano felici se godono di una salute inalterabile, essi per i quali l’infermità non sarebbe un’occasione di salvezza. Ora nessuno di essi può dire: « Io ho desiderato la vostra salvezza, Signore, » perché essi cercano piuttosto la salute del loro corpo che la salute di Dio, ed obbediscono piuttosto ai medici che alle Scritture. I precetti della medicina sono nocivi per coloro che si applicano alla conoscenza delle cose divine: essi allontanano dal digiuno, proibiscono le veglie, si oppongono ad ogni idea di meditazione. Colui dunque che si affida ai medici rinuncia ad ogni libertà; colui invece che cerca la salute di Dio, segue Gesù-Cristo, la vera salvezza di Dio; egli cerca non ciò che può lusingare il suo corpo, ma i beni eterni, mentre vive in questo corpo, e si applica interamente, notte e giorno, alla meditazione dei decreti divini (S. Ambr.). –  « La mia anima vivrà e vi loderà, ed i vostri giudizi saranno il mio sostegno. » È la ricompensa della vita futura, e non quella della vita presente, che qui spera il Profeta; perché come chiamare una vita di cui è scritto: « Voi mi ridurrete alla polvere della morte. » (Ps. XXI, 16) … Qual vita quella dell’anima coperta da questo involucro di morte! Qual è questa vita che passa come un’ombra? Noi siamo nella regione dell’ombra di morte; la nostra vita è nascosta, non è libera, non avrà tutta la sua libertà, tutta la sua espansione, che nella regione dei viventi, nella quale il giusto ha la certezza di poter piacere a Dio (Ps. CXIV, 9). È là che la nostra anima vivrà veramente, perché non avrà più questo rivestimento di morte e di infermità, e non avrà da pagare il debito del peccato; è là che essa loderà il Signore, allorché avendo spogliato il suo corpo debole ed infermo, comincerà ad essere simile al corpo glorioso di Gesù-Cristo … Ora, i giudizi di Dio sono veramente l’appoggio dei Santi, quando Dio dà alle loro buone opere la ricompensa della vita eterna. Beato colui che può dire: « E i vostri giudizi, saranno il mio appoggio. » Io sono debole, e la coscienza che ho dei miei peccati mi ispira il timore, il terrore dei giudizi di Dio. Questo pensiero mi turba e mi spaventa, mentre esso è il sostegno e la meditazione dei Santi. Tuttavia questi giudizi, possono essere la forza ed il sostegno del peccatore, benché in altro modo. Il santo vi trova il suo sostegno quando è provato, il peccatore trova pure il suo sostegno quando è umiliato, castigato, quando paga il doppio per i suoi crimini, le suo opere consumate, purché sia salvato, ma come per il fuoco.  (S. Ambr.). – « Ho errato come pecora smarrita; cercate il vostro servo, perché non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Quanto facile è per l’uomo lo sbandarsi lungo la via larga che lo conduce alla perdizione e alla morte! Quanto stretta è la via che riporta a casa e alla vita! (Matth. VII, 13). Il nostro spirito si smarrisce tutte le volte che pratichiamo il sentiero dell’errore; il nostro cuore erra tutte le volte che si abbandona a desideri colpevoli. Ma se siamo forzati nel dire con il Re- Profeta: « Io mi sono smarrito come la pecora che va a morire, » cerchiamo almeno di aggiungere con lui: « cercate il vostro servo, perché la pecora che si è smarrita deve esser cercata dal pastore, perché in pericolo di morire. Ecco perché il Profeta dice: « io ho errato ». Confessate dunque anche le vostre iniquità al fin di essere giustificati. Questa confessione delle vostre colpe è comune a tutti gli uomini, perché nessuno quaggiù è senza peccato; negare questa verità, è un sacrilegio, perché Dio solo è senza peccato. Fare a Dio la confessione delle proprie colpe, è il solo modo di sfuggire al castigo. « Io ho errato » – egli dice – ma colui che ha sbandato, può rientrare nella via, può essere ricondotto sulla retta via… « Cercate il vostro servo, perché io non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Venite dunque, Signore Gesù, cercate il vostro servo, cercate questa pecora stanca e affaticata, venite buon Pastore, cercate di nuovo le pecore di Giuseppe. La vostra pecora si è smarrita mentre voi tardavate a venire e percorrevate le montagne. Lasciate dunque le novantanove altre pecore e correte alla ricerca della sola che si è smarrita. Venite senza i cani, senza i cattivi operai, venite senza mercenari, che non possono entrare dalla porta; venite senza assistente, senza messaggero, da tempo attendo la vostra venuta. Io so che dovete venire, « perché non ho dimenticato i vostri comandamenti. » Venite, non con la verga, ma con la carità e lo spirito di dolcezza. Non esitate a lasciare sulle montagne le altre novantanove pecore; perché su queste montagne esse sono al riparo dalle escursioni dei lupi … Venite a me che sono esposto ai loro attacchi; venite a me che, dopo essere stato cacciato dal Paradiso, sono in preda alle suggestioni velenose del serpente, perché mi sono separato dal resto del gregge. Voi mi avete posto nel Paradiso, ma il lupo mi ha fatto uscire dall’ovile durante la notte. Cercatemi, perché anche io vi cerco; degnate di prendere sotto la vostra protezione colui che avete trovato e ponete sulle vostre spalle colui di cui vi dichiarate il protettore. Non disdegnate questo pio fardello, non sia per Voi questo trasporto un carico. Venite, dunque Signore, perché io ho errato, tuttavia « io non ho dimenticato i vostri comandamenti, », ho conservato la speranza della mia guarigione. Venite, Signore, perché soltanto Voi potete richiamare questa pecora sbrancata. E correndo alla mia ricerca Voi non contristerete coloro che lasciate, perché essi stessi gioiranno del ritorno del peccatore. Venite ad operare la salvezza sulla terra e dare al cielo un grande motivo di gioia. Venite dunque e cercate la vostra pecora, non con i mercenari, ma da Voi stesso. Ricevetemi in questa carne decaduta in Adamo … portatemi sulla croce che è la salvezza dei peccatori smarriti, il solo riposo delle anime affaticate, la fonte unica di vita per tutti coloro che son morti. (S. Ambr.).  

SALMI BIBLICI: “MIRABILIA TESTIMONIA TUA” (CXVIII – 8)

SALMO 118 (8): “Mirabilia testimonia tua”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (8)

PHE.

[129] Mirabilia testimonia tua,

ideo scrutata est ea anima mea.

[130] Declaratio sermonum tuorum illuminat, et intellectum dat parvulis.

[131] Os meum aperui, et attraxi spiritum, quia mandata tua desiderabam.

[132] Aspice in me, et miserere mei, secundum judicium diligentium nomen tuum. [133] Gressus meos dirige secundum eloquium tuum, et non dominetur mei omnis injustitia.

[134] Redime me a calumniis hominum ut custodiam mandata tua.

[135] Faciem tuam illumina super servum tuum, et doce me justificationes tuas.

[136] Exitus aquarum deduxerunt oculi mei, quia non custodierunt legem tuam. SADE.

[137] Justus es, Domine, et rectum judicium tuum.

[138] Mandasti justitiam testimonia tua et veritatem tuam nimis.

[139] Tabescere me fecit zelus meus, quia obliti sunt verba tua inimici mei.

[140] Ignitum eloquium tuum vehementer, et servus tuus dilexit illud.

[141] Adolescentulus sum ego et contemptus; justificationes tuas non sum oblitus.

[142] Justitia tua, justitia in æternum, et lex tua veritas.

[143] Tribulatio et angustia invenerunt me; mandata tua meditatio mea est.

[144] Æquitas testimonia tua in æternum; intellectum da mihi, et vivam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (8).

PHE.

129. Mirabil cosa ell’è la tua legge; per questo ne ha l’alto diligente studio l’anima mia

130. La sposizione di tue parole, illumina, e dà intelletto ai piccoli.

131. Apersi mia bocca, e a me trassi le spirito, perché anelava a’ tuoi comandamenti.

132. Volgi a me gli occhi ed abbi pietà di me, come tu suoli di que’ che amano il nome tuo.

133. Indirizza i miei passi secondo la tua parola, e veruna ingiustizia non regni in me.

134. Liberami dalle calunnie degli uomini, affinché io osservi i tuoi precetti.

135. Fa risplendere sopra il tuo servo la luce della tua faccia, e insegnami le tue giustificazioni.

136. Rivi di lacrime hanno sparso i mici occhi, perché non hanno osservato la tua legge.

SADE.

137. Giusto se’ tu, o Signore, e retti sono i tuoi giudizi.

138. Tu strettamente comandasti la giustizia, o la tua verità ne’ tuoi precetti.

139. Il mio zelo mi consumò, perché i miei nemici si sono scordati di tue parole.

140. La tua parola è grandemente infiammata, e il tuo servo l’amò.

111. Piccolo son io ed abbietto: di tue giustificazioni non mi scordai.

142. La tua giustizia è giustizia eterna, e la tua legge è verità.

143. Mi sorpresero le tribolazioni e gli affanni; i tuoi precetti sono la mia meditazione.

144. Equità eterna sono le tue testimonianze; dammi intelligenza aftinché io abbia vita.

Sommario analitico

VIII SEZIONE

129-144.

Nelle due sezioni precedenti, Davide ha chiesto a Dio dei soccorsi contro le imboscate e gli attacchi aperti dei suoi nemici. Ora, riconoscendosi colpito dai loro dardi, implora la misericordia e la giustizia di Dio.

I. Prima di implorare la misericordia di Dio, fa l’elogio della sua Legge e dichiara:

1° che essa è mirabile, ed è per questo che è l’oggetto della sua meditazione (129);

2° che la spiegazione di questa Legge diffonde nell’anima dei piccoli, delle meravigliose chiarezze (130);

3° Che il desiderio di questa Legge dà all’anima una forza nuova ed un vigore tutto spirituale (131).

II. Dopo questo elogio della Legge di Dio, egli espone l’oggetto della sua domanda e prega Dio:

1° di gettare su di lui uno sguardo di misericordia (132);

2° di dirigerlo nelle sue vie, affinché non sia dominato da alcuna ingiustizia (133);

3° Di liberarlo dalle calunnie degli uomini, affinché possa osservare i comandamenti di Dio (134);

4° di illuminarlo con la sua divina luce e di insegnargli Egli stesso i suoi comandamenti (136).

III. – Egli osa appressarsi al tribunale della giustizia e ricordare a Dio le ragioni che ha per essere esaudito:

1° deplora sia le proprie colpe che le prevaricazioni degli altri (136); 

2° loda Dio: – a) per la giustizia che gli è propria ed inerente, e la rettitudine dei suoi giudizi (137), – b) per l’equità dei suoi giudizi (138);

3° espone a Dio le ragioni che appoggiano la sua preghiera:

a) il suo zelo ed il suo dolore alla vista delle prevaricazioni (139)

b) la cura che ha avuto nell’apprendere e conservare i suoi comandamenti, anche in una età in cui tutto cospira a farli dimenticare (141);

4° domanda a Dio di dargli l’intelligenza per preservarlo da ogni ricaduta e conservare la vita che gli ha reso, e per questo:

a) proclama di nuovo che la legge di Dio, in questo ben diversa dalle leggi umane, è giusta e la giustizia stessa, e non una giustizia passeggera, ma una giustizia eterna (142);

b) Ricorda l’afflizione e l’angoscia che sono venute a fondersi su di lui, ed il rimedio che ha trovato contro di esse nella meditazione della legge di Dio (143);

c) Riconosce che Dio non punisce sempre in virtù della sua severa giustizia, ma per un effetto della sua equità e della sua bontà, e conclude domandando l’intelligenza che deve dargli la vita (144). 

Spiegazioni e Considerazioni

VIII SEZIONE — 129-144.

I. – 129-131.

ff. 129-131. – « Le vostre testimonianze sono ammirevoli, ecco perché la mia anima le ha scrutate. » Chi potrebbe enumerare, anche in generale, le testimonianze di Dio? Il cielo, le nuvole visibili, le nubi visibili ed invisibili, rendono, in una certa maniera, testimonianza della sua bontà e della sua grandezza; ed il corso abituale e regolare della natura, nella quale si svolge il tempo, porta con sé cose di ogni specie … , se le si considera religiosamente, non rendono testimonianza al Creatore? Quali di queste cose non sono meravigliose, se misuriamo ciascuna di esse non con l’indifferenza che ne dà l’uso, ma con la nostra ragione? E se sappiamo abbracciarle tutte insieme in un solo colpo d’occhio, non avvertiamo ciò che ha fatto il Profeta: « Io ho considerato le vostre opere, e questa vista  mi ha gettato nello spavento? » (Habac. III, 1). – Lo stupore non ha prodotto questo terrore nel Salmista; esso è stato piuttosto la causa dello studio profondo che egli faceva delle sue opere, perché esse sono ammirevoli, come se la difficoltà di questa investigazione non avesse fatto che accrescere la sua curiosità. Inoltre, in effetti, più le cause di una cosa sono misteriose, più questa cosa è ammirevole e stupefacente. (S. Agost.). – « La rivelazione delle vostre parole chiarisce e dà l’intelligenza ai piccoli. » Bisogna essere rischiarati prima in se stessi nella parola di Dio, prima di illuminare gli altri. I piccoli, cioè gli umili, sono i soli che possono ricevere e dare l’intelligenza di questa divina parola: « Io vi rendo gloria o Padre mio, Signore del cielo e della terra, perché avete nascosto queste cose ai saggi ed ai prudenti, e le avete rivelate ai piccoli. »  (Matth. XI, 25). – Che desiderava il salmista, se non praticare i comandamenti di Dio? Ma questo desiderio non era sufficiente, perché debole potesse compiere delle cose forti, e piccolo, delle cose grandi; egli ha dunque aperto la bocca domandando, cercando, bussando (Matth. VII, 7); egli ha aspirato con una sete ardente, allo spirito di ogni bene, alfine di compiere ciò che non poteva fare da se stesso, il comandamento di Dio, santo, giusto e buono. (Rom. VII, 12), (S. Agost.). – Comprendete qual sia questa bocca che bisogna aprire per attirare lo spirito: è la bocca dell’anima, che ha anche le sue membra. Aprite questa bocca, non soltanto a Gesù-Cristo che vi dice: « Aprite la vostra bocca ed io la riempirò, » (Ps. LXXX, 11), ma ancora al discepolo di Gesù-Cristo, che ha aperto la sua bocca a Gesù-Cristo perché la riempia, e che dice con fiducia ai Corinti: « La mia bocca si apre, ed il cuore si dilata verso di voi » (II Cor. VII). Egli ci insegna così ad essere imitatori, come egli lo è di Gesù-Cristo. Colui che è più perfetto apre la sua bocca a Gesù-Cristo, colui che lo è meno, al discepolo di Gesù-Cristo. (S. Ambr.). – Noi apriamo questa bocca in tre maniere per attirare in noi lo spirito: – 1° con il desiderio; questo spirito non entra da se steso nella nostra anima, Egli vuole essere desiderato, attirato e risucchiato, come il bambino succhia il latte dal seno di sua madre; – 2° con la preghiera: « egli aprirà la sua bocca per pregare, ed implorerà il perdono dei suoi peccati, perché se il Signore sovrano lo vuole, lo riempirà dello Spirito di intelligenza, e spanderà come la pioggia le parole di saggezza. » (Eccli. XXXIV, 7) ; » – 3° con la predicazione e le conversazioni spirituali: «Io ho aperto la bocca ed ho attirato lo spirito. » Egli non attirerebbe lo spirito se non aprisse la bocca; vale a dire che se non si applicasse interamente ad insegnare agli altri, non verrebbe a crescere in lui la grazia della dottrina celeste. (S. Greg.). 

II. — 132-136

ff. 132 – 135. – « Gettate gli occhi su di me, ed abbiate pietà di me. » Due sono gli sguardi di Dio, l’uno di giusta collera, l’altro di misericordia; è quest’ultimo che il salmista implora, ed è per questo che aggiunge: « ed abbiate pietà di me. » – « Dirigete i miei passi secondo la vostra parola. » Questi non sono i progressi dell’anima, come vediamo chiaramente in un gran numero di passi della Scrittura. Cosa dice qui il salmista se non: fatemi retto e libero secondo la vostra promessa? Ora, più l’amore di Dio regna in un uomo, e meno in lui domina l’iniquità. Cosa domanda di conseguenza, se non amare Dio se non mediante un dono di Dio stesso? In effetti, amando Dio, egli ama se stesso, alfine di poter amare santamente anche il prossimo come se stesso … Cosa domanda dunque, se non che Dio gli faccia compiere con il suo aiuto i precetti che gli ha imposto con i suoi ordini? (S. Agost.). – Egli domanda al Signore di dirigere i suoi passi non secondo le vie del mondo, non secondo la gloria umana, non secondo le voluttà del corpo, ma secondo la parola di Dio. Se qualche impedimento non viene a fargli da ostacolo, se non è circondato da nemici da ogni lato, egli potrebbe fermare i suoi passi nella via che percorreva; ma esistendo dappertutto delle imboscate, la guerra è dichiarata dappertutto; egli ha dunque bisogno di un soccorso superiore affinché non lo domini alcuna ingiustizia. (S. Hilar.).  « Liberatemi dalle calunnie degli uomini. » Noi non siamo tormentati da un solo genere di afflizioni; ci sono le tentazioni, ci sono le calunnie, ma la calunnia è sempre una tentazione. Ci sono tentazioni che non oltrepassano le forze umane e che possiamo sopportare, ma la calunnia è tanto più travolgente in quanto che non solo ricorre alla menzogna e parla contro la verità, ma snatura le azioni più sante. « Liberatemi, dice il Profeta, dalla calunnia degli uomini, affinché io possa osservare i vostri comandamenti; » perché colui che è oppresso dalla calunnia non può facilmente osservare i suoi comandamenti; egli soccombe necessariamente o alla tristezza, o al timore, e si rattrista o per il timore della calunnia o per il dolore (S. Ambr.). – La calunnia è una delle tentazioni più delicate per i santi: – 1° perché hanno talmente in orrore il vizio, che non possono soffrirne nemmeno l’ombra in se stessi; – 2° perché la malignità degli uomini è così grande, che essi credono facilmente al male che si dice degli altri; – 3° perché, in tante circostanze, è difficile provare la propria innocenza; – 4° perché prima che possano dimostrare la falsità della calunnia, essi sono condannati ed oppressi; – 5° perché la calunnia, anche se combattuta e rifiutata, lascia sempre cadere qualche sospetto; – 6° perché essa è sovente causa od occasione di scandalo. – « Fate brillare sul vostro servo la luce del vostro volto. » Dio illumina i suoi Santi e fa brillare la sua luce nel cuore dei giusti. Quando dunque voi vedete un vero saggio, sappiate che la gloria di Dio discende su di lui, ed ha illuminato il suo spirito con le chiarezze della scienza e della conoscenza di Dio … È al Messia, al Signore Gesù, che Davide fa questa preghiera. Egli desiderava vedere la faccia del Cristo, perché il suo spirito fosse illuminato dai suoi splendori; queste parole possono dunque intendersi per mezzo dell’Incarnazione, nel senso di queste parole del Salvatore (Luc. X, 24):  « Un gran numero di profeti e di giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete. » (S. Ambr.). – Dio fa splendere questa luce del suo volto, quando ci dà il suo Spirito; perché come colui che non ha occhi non può vedere l’oro più brillante né le pietre più splendenti, così colui che non ha lo Spirito di Dio non può vedere questa luce del suo volto, né della sua verità, che brilla da ogni parte nelle Scritture (Ciril. Aless.).

ff. 136. — « I miei occhi hanno versato torrenti di lacrime, perché non hanno custodito la vostra legge. » È ricordando il punto di inizio del suo doppio crimine di adulterio e di omicidio, che Davide pronuncia queste parole e fa questa confessione. –  I nostri peccati, sono l’unico legittimo soggetto delle nostre lacrime, e non dovremmo mai  consolarci nell’aver commesso tanti peccati, se non deplorandoli e ripararli. « Che possa io fare scorrere dai miei occhi, giorno e notte, un torrente di lacrime, che non mi dia tregua, e la pupilla dei miei occhi non riposi. » (Lam. de Ger. II, 18). – Davide aveva dei buoni motivi per le lacrime: i crimini commessi in famiglia, la morte tragica dei suoi figli, ma non è questo che egli deplora qui; ciò che fa scorrere le sue lacrime è il fatto che non abbia osservato la legge di Dio (S. Ambr.). – È la vera voce della penitenza che qui si fa intendere, il pregare spandendo delle lacrime, il mescolare i suoi gemiti con le sue lacrime, in modo da poter dire: « il mio giaciglio, tutte le notti, sarà bagnato dalle miei pianti, ed il mio letto irrorato dalle mie lacrime. » (Ps. VI, 6). Ecco quello che ottiene il perdono dei nostri peccati: l’aprire una vera sorgente di lacrime, fino ad esserne coperto ed inondato. (S. Hilar.).

III. —137-144.

ff. 137, 138. –  « Voi siete giusto, Signore, ed il Vostro giudizio è retto. » Ecco un vero giusto: egli versa torrenti di lacrime, è circondato dai dolori, espia i suoi peccati con severi castighi; tuttavia non è né vinto dal nemico, né vinto dal terrore, né stanco per le fatiche, né abbattuto dalla tristezza … Proclamando la giustizia di Dio, egli confessa la propria ingiustizia, ma spera anche il perdono dalla giustizia di Dio … tutti i saggi dicono dunque: « Voi siete giusto, Signore, ed il vostro giudizio è retto; » perché non è mai senza un giudizio particolare di Dio, che noi siamo esposti ai nostri nemici, e cadiamo nella tribolazione. È questo giudizio di Dio che fa la consolazione dei giusti. Come il salmista ha detto più in alto: « Io mi sono ricordato dei vostri giudizi e sono stato consolato. » (S. Ambr.). – Ogni uomo che pecca, deve temere questa giustizia di Dio ed il suo giudizio sempre retto e la sua verità. È questo, in effetti, ciò che fa la condanna divina di tutti coloro che sono riprovati, e nessuno di essi può portare lamentele contro la giustizia di Dio, per la sua condanna. Le lacrime del penitente sono dunque giuste; perché se fosse condannato per la sua impenitenza, egli sarebbe, senza alcun dubbio, condannato molto giustamente. Il Profeta dà dunque, con ragione, il nome di giustizia alle testimonianze di Dio; perché ordinando l’osservanza della giustizia, Dio dimostra la sua giustizia; e la sua giustizia è ancora la verità, di modo che Dio si manifesta con questa duplice testimonianza. (S. Agost.). – « Voi avete comandato che si osservassero i vostri comandi con estrema cura, », o meglio, « Voi avete comandato severamente che si osservassero i vostri comandamenti. » La parola “nimis”, si deve riportare a Dio che comanda che si osservi la sua verità, o alla sua verità che dobbiamo osservare con cura estrema? L’uno e l’altro senso sono degni di Dio; perché era degno della sua misericordia fare un comandamento espresso e severo a delle creature sì negligenti e spesso sì ribelli; ma era pur giusto che raccomandasse agli uomini, tanto disposti alla menzogna, di avere per la sua verità un amore che andasse fino all’eccesso.    

ff. 139-141. – « L’ardore del mio zelo mi consuma, perché i miei nemici hanno dimenticato le vostre parole. » È lo stesso sentimento di zelo dal quale l’anima del grande Apostolo era divorato per i suoi fratelli, quando esclamava: « Io dico la verità nel Cristo, non mento, e la mia coscienza mi rende questa testimonianza con lo Spirito Santo, che una profonda tristezza è in me ed un dolore continuo è nel mio cuore. » (Rom. IX, 1). –  Dunque è in buona parte che bisogna prendere qui lo zelo geloso del Profeta, perché ne indica la causa aggiungendo: « Perché i miei nemici hanno dimenticato le vostre parole. » Essi dunque rendono il male per il bene, poiché il salmista risentiva nei loro riguardi, per la causa di Dio, uno zelo sì violento e sì ardente che ne era disseccato. Quanto ad essi, essi avevano odio contro di lui, perché voleva guadagnare all’amore di Dio coloro che, per amore, seguiva con il suo zelo. (S. Agost.). – Quali erano i suoi nemici? Questi non erano né i Giudei sottomessi al suo impero, né i Gentili che, non conoscendo la legge di Dio, non possono ignorare le sue parole. I nemici di Davide, erano i nemici di Dio .. perché non c’è maggior nemico per l’uomo di coloro che si ribellano al Creatore di tutti gli uomini. (S. Ambr.). – Ad esempio del Re-Profeta, il nostro zelo per la gloria di Dio ci fa disseccare quando noi vediamo che si trasgrediscono le sue volontà. Qual è ad esempio il nostro dolore, quando vediamo uno dei membri del popolo di Dio divenire schiavo del secolo, operaio del demonio, vaso di morte, una vittoria dell’inferno? Noi secchiamo dunque di dolore, quando vediamo i Cristiani darsi alla dissolutezza dei festini in giorno di digiuno; il nostro zelo ci riempie di una santa collera, quando un Cristiano affetta una insolente arroganza riguardo ai suoi fratelli; noi siamo penetrati di dolore per Dio, quando vediamo un corpo che è il  membro consacrato del corpo di Gesù-Cristo piombare in ignominiose voluttà. (S. Hilar.). – « La vostra parola è tutta di fuoco, ed il vostro servo l’ha amata. » È il fuoco divino che Gesù-Cristo è venuto a portare sulla terra. Fuoco veramente salutare che non ha virtù se non di scaldare e che non brucia se non i nostri peccati … fuoco della divina parola che unisce queste tre proprietà di purificare, infiammare, illuminare: esso purifica la nostra anima, secondo le parole del Salvatore: « Voi siete puri a causa della parola che vi ho annunciato., » (Giov. XV, 3); egli ci infiamma come i discepoli di Emmaus, quando dicevano: « Non ardeva il nostro cuore quando ci parlava lungo il cammino e ci spiegava le Scritture? » (Luc. XXIV, 33); egli ci illumina, come lo stesso profeta dice più in alto: « La vostra parola è una fiamma che guida i miei passi, una luce che rischiara i miei sentieri. » (S. Ambr.). – È il fuoco che prova l’oro degli Apostoli, questi fondamenti della Chiesa; il fuoco che purifica l’argento delle nostre opere; il fuoco che estrae la brillantezza delle pietre preziose; il fuoco che consuma il fieno e la paglia. Come Davide, questo buon servitore, non potrebbe amare la parola di fuoco che ispira la carità e che allontana il timore? (Idem). – Io sono giovane e disprezzato, ma non ho dimenticato le leggi della vostra giustizia. » Io non fatto come i miei nemici più anziani che hanno dimenticato le vostre parole. Più giovane d’età, egli non ha dimenticato i giusti ordini di Dio, e sembra rattristarsi sui suoi nemici più anziani che li hanno obliati. Riconosciamo qui i due popoli che lottavano nel seno di Rebecca quando le fu detto: non in ragione delle opere dei miei figli, ma in ragione della volontà di Dio: il più anziano, servirà il più giovane. (Gen. XXV, 22, 23). Ma il più piccolo si dice qui disprezzato, perché egli è divenuto il più grande; perché Dio ha scelto di preferenza ciò che è vile e disprezzabile secondo il mondo, e le cose che non sono, per distruggere le cose che sono. (I Cor. I, 28). (S. Agost.). 

ff. 142-144. – La legge di Dio è ben differente dalle leggi umane. La legge di Dio è non solamente giusta, ma è la giustizia stessa; mentre le leggi umane sono spesso mescolate a molte ingiustizie. La legge di Dio non è solo una giustizia passeggera, ma una giustizia eterna; le leggi umane durano spesso che per un tempo breve, e la loro utilità è limitata dagli avvenimenti e dalle circostanze. La legge di Dio è la Verità stessa, e le leggi umane sono spesso frammiste a molti errori e a menzogne. – « La tribolazione, e l’angoscia mi hanno trovato. » Le tribolazioni, le afflizioni cercano il giusto; a volte esse lo trovano, a volte non lo trovano. Esse trovano colui al quale è dovuta la corona; esse non trovano colui che non è giudicato pronto per il combattimento. La tribolazione, dunque è una vera grazia di Dio (S. Ambr.). – Che gli uomini sevizino, perseguitino, importante che i comandamenti di Dio non siano abbandonati, e che, secondo questi comandamenti, i persecutori stessi siano amati. (S. Agost. e S Hilar.). – Felice tribolazione, felice angoscia che, lungi dal portare all’oblio dei comandamenti di Dio, ci danno occasione di compierli perfettamente e di farne un soggetto continuo di meditazione! (Dug.). – « Le vostre testimonianze sono la giustizia eterna; datemi l’intelligenza ed io vivrò. » Bisogna giudicare la giustizia dei comandamenti di Dio, non per ciò che sembra a coloro che non giudicano delle cose se non secondo i tempi presenti, mai in rapporto all’eternità. – L’intelligenza dà la vita come lo Spirito, perché l’Intelletto è una grazia spirituale ed un dono dello Spirito Santo; « Ma l’intelligenza non è buona e proficua che per coloro che la mattono in pratica. » (Ps. CX, 10). Il salmista ci insegna con ciò che non è sufficiente giungere all’intelligenza perfetta delle verità che ci hanno insegnato, ma ancora a tradurre nella nostra condotta tutto ciò che comprendiamo. (S. Ambr.). – Il Re-Profeta non si contenta di proclamare la giustizia e l’equità dei comandamenti di Dio per la vita presente, egli spera che l’effetto di questa giustizia sia per l’eternità, ed ottenere, con le tribolazioni e le angosce del tempo, le ricompense immortali. (S. Hil.).  

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/09/salmi-biblici-clamavi-in-toto-corde-meo-cxviii-9/

SALMI BIBLICI: “CLAMAVI IN TOTO CORDE MEO” (CXVIII – 9)

SALMO 118 (9): “Clamavi in toto corde meo”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (9)

COPH

[145]. Clamavi in toto corde meo:

exaudi me, Domine; justificationes tuas requiram.

[146] Clamavi ad te; salvum me fac, ut custodiam mandata tua.

[147] Præveni in maturitate, et clamavi: quia in verba tua supersperavi.

[148] Prævenerunt oculi mei ad te diluculo, ut meditarer eloquia tua.

[149] Vocem meam audi secundum misericordiam tuam, Domine, et secundum judicium tuum vivifica me.

[150] Appropinquaverunt persequentes me iniquitati, a lege autem tua longe facti sunt.

[151] Prope es tu, Domine, et omnes viæ tuæ veritas.

[152] Initio cognovi de testimoniis tuis, quia in æternum fundasti ea.

RES.

[153] Vide humilitatem meam, et eripe me, quia legem tuam non sum oblitus.

[154] Judica judicium meum, et redime me: propter eloquium tuum vivifica me.

[155] Longe a peccatoribus salus, quia justificationes tuas non exquisierunt.

[156] Misericordiae tuæ multæ, Domine; secundum judicium tuum vivifica me.

[157] Multi qui persequuntur me, et tribulant me; a testimoniis tuis non declinavi.

[158] Vidi prævaricantes et tabescebam, quia eloquia tua non custodierunt.

[159] Vide quoniam mandata tua dilexi, Domine; in misericordia tua vivifica me.

[160] Principium verborum tuorum veritas; in æternum omnia judicia justitiæ tuæ.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (9).

COPH.

145. Gridai con tutto il mio cuore: esaudiscimi, o Signore; fa ch’io cerchi le tue giustificazioni

147. Prevenni il mattino, e alzai le mie grida; perché nelle tue parole posi grande speranza.

148. Prima del mattino, a te si volsero gli occhi miei per meditar la tua legge.

149. Secondo la tua misericordia odi, o Signore, la mia voce; e secondo la tua promessa, dammi la vita.

150. Si sono accostati i miei persecutori all’iniquità, e si son dilungati dalla tua legge.

151. Tu stai dappresso, o Signore, e tutte le vie tue son verità.

152. Fin da principio io conobbi che i tuoi precetti gli hai tu stabiliti per tutta l’eternità.

153. Mira la mia umiliazione, e liberami; perocché non mi sono scordato della tua legge.

154. Giudica la mia causa, e riscattami; per riguardo alla tua parola, rendi a me vita.

155. La salute è lungi dai peccatori; perché  non hanno ricercate le tue giustificazioni.

156. Le tue misericordie son molte, o Signore; dammi vita, secondo la tua parola.

157. Molti son quelli che mi perseguitano e mi affliggono; dai comandamenti tuoi non ho deviato.

158. Vidi i prevaricatori, e mi consumava di pena; perché non hanno osservate le tue parole.

159. Mira, o Signore, com’io ho amati i tuoi precetti; per tua misericordia, dammi la vita.

160. Il principio di lue parole è verità; i giudizi di tua giustizia sono in eterno.

Sommario analitico

IX SEZIONE

145-160.

Davide domanda a Dio di dichiararsi suo Salvatore contro i pericoli molteplici ai quali è esposto da parte dei suoi nemici, e di metterlo in possesso della vita eterna, ove non avrà più nulla da temere.

I. Egli chiede a Dio di salvarlo a causa della sua preghiera:

I° Essa è fervente, sincera, umile, santa (145, 146).

2° Essa è vigilante, pressante, piena di speranza (147, 148).

II Chiede la salvezza e la vita a causa di Dio, vale a dire:

1° A causa della sua misericordia e della sua giustizia (149), perché appartiene alla giustizia di Dio, che resiste nel difenderlo contro i malvagi che si avvicinano all’iniquità e si allontanano dalla sua Legge, il dargli la vita (150);

2°  a causa delle vie di Dio che sono tutte verità (151);

3° a causa delle sue leggi eterne ed immutabili (152).

III. Chiede a Dio la salvezza e la vita, a causa dei suoi nemici:

1° che lo umiliano e si affollano ai suoi piedi (153),

a) benché non abbia obliato la legge di Dio (153), benché l’abbia osservata nella sua volontà e nel suo cuore, e che attende con tutta la sua anima le promesse fatte ai giusti (154);

2° Che peccano contro Dio, e sono esclusi per questo dalla salvezza, mentre egli spera nella sua per la misericordia e la giustizia di Dio (155, 156);

3° Che lo attaccano in gran numero, senza che abbiano potuto farlo deviare dalla retta via (157);

4° Che violano apertamente la legge di Dio e sono causa del vivo dolore che egli prova nel vedere Dio disonorato ed oltraggiato (158).

IV. – Finisce per dichiarare:

1° La sua carità per Dio ed i suoi comandamenti (159),

2° la sua speranza nella sua misericordia.

3° La sua fede nella verità delle promesse e dei giudizi di Dio (160).

Spiegazioni e Considerazioni

IX SEZIONE — .145-160.

I. – 145-148.

ff. 145-148. – Quando siamo sotto i colpi della sofferenza corporale, è il dolore che ci fa gridare per richiamare il nostro soccorso. Il santo Profeta era caricato egli stesso dal dolore alla vista della moltitudine dei suoi persecutori, non solo visibili, ma anche invisibili e, sul punto di essere attaccato, grida a Dio con tutte il suo cuore. Il cuore dunque ha anche la sua voce. Il nostro cuore grida, non come il corpo, con un suono esteriore e sensibile, ma con l’elevazione dei pensieri, con il concerto delle virtù. Cosa c’è di più grande, di più forte, del grido della fede! Non che è sotto l’ispirazione dello Spirito di adozione che noi gridiamo: Abba, Padre! E non è lo Spirito di Dio stesso che grida in noi? Cosa c’è di più eclatante che la voce della giustizia, la voce della castità, con la quale i morti stessi continuano a parlare! Ma l’anima dell’uomo ingiusto, anche quando è in vita, resta muta, perché essa è morta per Dio … Non è sufficiente gridare verso il Signore, bisogna cercare le sue giustizie. Ora, cercare le giustizie di Dio, non è aspirare alle alte conoscenze, né darsi a tutte le ricerche curiose della scienza, ma attribuire alla Provvidenza divina tutto ciò che si evidenzia di buono e giusto in tutte le creature ragionevoli o prive di ragione (S. Ambr.). – Il Profeta, dopo aver gridato verso Dio, per ottenere la grazia di ricercare le sue giuste ordinanze, grida ora perché Dio lo salvi, affinché possa osservare i suoi comandamenti. Egli non ha osato sperare ancora che le sue grida gli ottenessero la salvezza: bisognava prima che fosse degno di essere esaudito; occorreva prima che cercasse le giustificazioni del Signore. Non è se non dopo che egli chiede al Signore di salvarlo. Noi, al contrario, domandiamo a Dio la salvezza come un debito, come se Dio fosse costretto ad accordarcelo; e piaccia a Dio che la nostra preghiera sia un grido del cuore, e non sia soltanto un semplice movimento delle nostre labbra (S. Hilar.). – Noi non dobbiamo gridare verso Dio come nostro Salvatore e nostro medico, senza altro disegno che di essere salvati, di essere guariti, e dire a Gesù-Cristo con profonda fede: « Signore, se Voi volete, potete guarirmi. » – « Io mi sono affrettato ed ho gridato di buon ora. » Colui che prega il Signore non deve attendere i tempi stabiliti principalmente per la preghiera, ma essere, per così dire, sempre in preghiera, … sia che mangiamo, sia che beviamo, annunciamo Gesù-Cristo, preghiamo Gesù-Cristo, parliamo di Gesù-Cristo, che Gesù-Cristo sia sempre nella nostra bocca, sempre nel nostro cuore … « Ed io ho sperato nelle vostre parole. » Il giusto spera sempre, e anche nel mezzo di numerose avversità che lo opprimono, conserva la speranza, che s’accresce quanto più le prove diventano forti (S. Ambr.). – Egli non ha atteso la vecchiaia, quando non c’è più forza per il vizio, né questo tempo in cui le freddezze dell’età fanno seguito a questo calore bollente e sconsiderato dei giovani anni; ma egli ha prevenuto con la sua fede e la sua religione l’età della maturità, trionfando con la continenza delle passioni della giovinezza, comprimendo tutti i movimenti della voluttà, e pervenendo alla maturità della vecchiaia con la calma e la tranquillità di una giovinezza casta e modesta (S. Hilar.). –  « I miei occhi hanno prevenuto l’aurora per meditare le vostre parole. » Precedentemente, era di buon ora, ma prima dell’ora prima nel tempo stabilito per la preghiera, come se dicesse: « Io mi levavo nel mezzo della notte; » qui è mattino, è prima dell’aurora. « Prevenite dunque il sorgere del sole, sarebbe vergognoso che i suoi primi raggi vengano ad illuminare il vostro sonno, e che la luce colpisca gli occhi carichi ancora sotto il peso della sonnolenza. Questo lungo tempo della notte che è scorso senza che noi abbiamo compiuto alcun atto di religione, senza offrire alcun sacrificio spirituale, ci accusa e ci spinge. Non sapete che voi dovete offrire tutti i giorni le primizie del vostro cuore e della vostra voce? Avete tutti i giorni una messe, dei frutti abbondanti da raccogliere (S. Ambr.). 

II — 149 – 152.

ff. 149-152. – « Signore, ascoltate la mia voce, secondo la vostra misericordia, e datemi la vita secondo il vostro giudizio. » Sempre l’uomo, benché santo, benché giusto, deve chiedere a Dio di esaudirlo secondo la sua misericordia e non secondo i suoi meriti, o le sue virtù, perché gli atti di virtù sono rari, ed i peccati numerosi. (S. Ambr.). – Dio comincia, secondo la sua misericordia, a liberare i peccatori dal castigo, ed in seguito, quando saranno giusti, darà la vita secondo il suo giudizio; perché non è senza ragione che il Profeta ha detto a Dio nell’ordine seguente: (Ps. C, 1): « Signore, io canterò a vostra gloria la misericordia ed il giudizio. » (S. Aug.). – « Coloro che mi perseguitano sono prossimi all’iniquità e si sono allontanati dalla vostra legge. » Colui che perseguita suo fratello, si allontana dalla Legge, perché quale bene può esserci tra la giustizia e l’iniquità? Ora, colui che si separa dalla Legge si separa dalla vita eterna, perché la Legge è la vita (S. Ambr.). – Più questi persecutori si sono avvicinati ai giusti che essi perseguitano, più si sono allontanati dalla giustizia. Ma quale male essi hanno potuto fare ai giusti ai quali si sono avvicinati con la persecuzione, dal momento che il loro Dio si avvicina ad essi interiormente senza mai abbandonarli? (S. Agost.). – In qualunque persecuzione che noi soffriamo, ricordiamoci che Dio ci è vicino, e che i nostri nemici più furiosi non hanno potere su di noi, più di quanto sia loro dato. – Anche in mezzo alle tribolazioni, i Santi confessano sempre la verità di Dio, dichiarando che on soffrono nulla che non abbiano meritato … Ma in qual senso è detto: « Tutte le vostre vie, sono verità, » poiché in altro salmo è detto: « Tutte le vie del Signore, sono misericordia e verità? » (Ps. XXIV, 10)? La risposta è che nei riguardi dei Santi, tutte le vie del Signore sono misericordia, e tutte le vie del Signore sono ugualmente verità; perché anche nei giudicanti, viene in loro aiuto, di modo che la misericordia là si trovi, e in più, facendo loro misericordia, dà ciò che ha promesso, affinché la verità si trovi ugualmente là. Ma ad uno sguardo d’insieme, a tanti di coloro che libera, che a coloro che condanna, tutte le vie del Signore sono misericordia e verità; perché là ove non fa misericordia, la verità brilla nel castigo che viene inflitto; perché se tutti coloro che libera, non lo hanno meritato, Egli non condanna nessuno che non l’abbia meritato. (S. Agost.). – « Io ho riconosciuto fin dall’inizio che Voi avete stabilito le vostre testimonianze per l’eternità. » Quali sono queste testimonianze, se non quelle per le quali Dio ha attestato che esse doneranno ai suoi figli il suo regno eterno? E perché Dio ha attestato che lo donerà solo al Figlio suo unigenito al quale è stato detto: « E il suo regno non avrà fine, » (Luc. I, 33), il Profeta dichiara che queste testimonianze sono fondate per l’eternità, perché il regno che Iddio promette con queste testimonianze è eterno (S. Agost.).

III. — 153-158.

ff. 153-158. – « Vedete la mia umiliazione e liberatemi, perché io non ho dimenticato la vostra legge. » Il Profeta si glorifica da solo, mi si dirà? Se si glorifica, si glorifica nelle sue infermità, come l’Apostolo San Paolo (II. Cor., XII, 15). Gli uni si glorificano nelle loro ricchezze, gli altri nei loro titolo nobiliari e nei loro ancestri, altri nelle dignità ed onori di cui sono rivestiti; il giusto si glorifica nelle sue umiliazioni, perché la vera gloria, è l’essere sottomessi a Gesù-Cristo. Una prova che Davide non ceda qua ad alcun movimento di vanagloria, ma che desideri attirare su di sé la grazia di Dio, è che infatti ciò che egli dice: « Vedete le mie umiliazioni ed i miei travagli, e perdonate i miei peccati. » In questo salmo, egli chiede che Dio gli rimetta i suoi peccati, come qui lo prega di liberarlo … l’atleta coraggioso mostra le sue membra, quando dopo penosi combattimenti lo si forza a rientrare immediatamente nell’arena, affinché il giudice, vedendo il suo corpo spossato dalla fatica, cessi di spingerlo a sostenere nuove lotte. Voi anche, mostrate l’umiliazione e la fatica del vostro cuore: queste sono le prove del vostro coraggio; mostrate i combattimenti che ha sostenuto il vostro corpo, e dite con l’Apostolo: « io ho combattuto il buon combattimento, ho terminato la corsa (II. Tim. IV, 7), e a questa vista, il Giudice di questo combattimento spirituale vi consegnerà la corona della giustizia, perché voi avete combattuto secondo le regole. (S. Ambr.). – Davide non domanda a Dio di considerare in lui le ricchezze del suo regno, lo spirito di profezia e alcuni dei vani piaceri che pubblica sì volentieri la iattanza umana; egli prega Dio di vedere in lui solo una cosa: l’umiliazione alla quale si  è ridotto. (S. Hilar.). – « Giudicate la mia causa e riscattatemi. » Coloro che sono innocenti bramano nei loro desideri il momento in cui saranno giudicati e potranno fornire lo prove della loro innocenza: è un desiderio che è loro comune con i Santi; ma colui che è giusto davanti a Dio ha un altro motivo per non temere il giudizio: la sua causa è tra le mani di un Giudice misericordioso, e spera di essere ben presto ricompensato ed assolto dal suo Redentore … (S. Ambr.). – « La salvezza è lontana dal peccatore. » Sono essi stessi gli artefici della loro sventura, perché non hanno voluto avvicinarsi a Dio; essi sono lungi da Lui, perché si sono separati con la loro volontà dalla grazia della salvezza. Non è la salvezza che si è allontanata da loro, sono essi che si sono allontanati da essa … e come si sono allontanati dalla salvezza? « Perché non hanno cercato i giusti ordini di Dio. » (Idem). – « Le vostre misericordie sono abbondanti, Signore. » Benché la salvezza sia lontano dai peccatori, tuttavia nessuno disperi, perché le misericordie di Dio sono infinite. Coloro che periscono per i loro peccati, sono liberati dalla misericordia del Signore … ma dopo aver detto che le misericordie di Dio, sono infinite, come si può domandare che Egli faccia vivere secondo l’equità dei suoi giudizi, allorquando lo prega, in un altro salmo, di non entrare in giudizio con il suo servo (Ps. CXLII, 2). « Bisogna ricordarsi qui che ci sono due giudizi di Gesù-Cristo: l’uno in cui ci chiede conto de tutti i suoi benefici nell’ordine della natura ed in quello della grazia, al quale non possiamo non rispondere; l’altro, in cui ci giudica tenendo conto della nostra fragilità. Ora, la verità di questo giudizio si trova temperato dalla misericordia del Signore (S. Ambr.), – « Vi sono molti che mi perseguitano e mi caricano di tribolazioni. » È questo un fatto, lo sappiamo, ne abbiamo il ricordo, lo riconosciamo. La terra intera è imporporata dal sangue dei martiri, il cielo è fiorito delle corone dei martiri, le chiese sono ornate dalle memorie dei martiri, i tempi si distinguono per la nascita dei martiri, le guarigioni si moltiplicano per i meriti dei martiri. Perché, questo avviene se non per compimento di ciò che qui è predetto su quest’uomo diffuso nel mondo intero? « Molti mi perseguitano e mi caricano di tribolazioni; ma io non mi sono mai allontanato dalle vostre testimonianze. » Noi lo riconosciamo e rendiamo al Signore delle azioni di grazie; perché voi, o uomo perseguitato, avete detto in un altro salmo: « Se il Signore non fosse stato con noi, quando uomini ci assalirono, ci avrebbero inghiottiti vivi, nel furore della loro ira. » (Ps. XVVIII, 2). Ecco perché voi non vi siete allontanato dalle testimonianze di Dio, e perché, liberato dalle mani crudeli dei vostri numerosi persecutori, avete riportato la palma della celeste vocazione (S. Agost.). – Non c’è un gran merito nel non allontanarsi dalle testimonianze di Dio, quando nessuno vi affligge, non vi perseguita … ma quando le tribolazioni si moltiplicano, è allora che, come accadde al patriarca dell’Idumea, apparve il vero servo di Dio. « È con molte tribolazioni che ci ha fatto entrare nel regno dei cieli. » Se le tribolazioni sono numerose, le prove lo sono egualmente, e le corone sono in proporzione ai combattimenti. È dunque un enorme vantaggio per voi, essere soggetto a numerose persecuzioni: esse sono per voi un continuo pegno della vittoria e del trionfo. (s. Ambr.). – « Io ho visto i prevaricatori e mi sono rinsecchito per il dolore. » Beato colui che è pieno di carità di Dio, rinsecchito dal rimpianto e dal dolore, non perché lo si perseguiti, ma perché i suoi persecutori violano impunemente la legge di Dio. Gli uni nel mondo, si prosciugano per il dolore, in seguito ai loro criminali amori; altri si prosciugano fintanto che la loro cupidigia e la loro avarizia non sia saziata; altri, divorati dall’ambizione, si prosciugano nella ricerca delle dignità e degli onori … Ma il vero servo di Dio, non è sensibile che agli interessi di Dio, ed il suo dolore più grande è vedere che i suoi comandamenti non siano osservati (S. Ambr.). – È là il carattere particolare dell’amore di condoglianza: egli considera in Dio le offese che Egli riceve, gli oltraggi che lo affliggono; egli agisce come se Dio avesse bisogno di soccorso e sollecitasse l’aiuto di un alleato; egli è portato a condividere i suoi interessi ed a diventare estremamente delicato su tutto ciò che tocca il suo onore, i suoi occhi sanno vedere ciò che non vede l’uomo comune mente; egli riconosce che si tratti di Dio, là dove gli altri non comprendono che la Religione possa essere il meno del mondo interessato; egli vede Dio dappertutto, come se la sua onnipresenza fosse per lui sensibile come il bagliore della luce o l’azzurro del cielo. È un amore geloso, senza prudenza, ciò che fa sì che gli uomini siano portati ad offendersene. Egli confonde la sua causa con quella di Dio e, come Davide nei suoi salmi, non c’è che un linguaggio per esprimerli entrambi. C’è un dolore che non lo lascia, che lo prosciuga, e questo dolore viene dalla moltitudine e dalla sfrontatezza dei peccati; il peccato gli causa una pena amara, che accende non la sua indignazione, ma che fa scorrere le sue lacrime; il suo cuore soffre nel vedere la condotta degli uomini, e vorrebbe mettere Dio al riparo nella luce della sua affezione compassionevole, e ripetere incessantemente quanto questo peccato lo affligga: « Io ho visto i prevaricatori e mi sono prosciugato dal dolore. » (FABER: Le Créât, et la Créât., p, 182.)

IV. — 159, 160

ff. 159, 160. – Il Profeta si affretta a segnalare quanto egli differisca da questi prevaricatori della Legge di Dio: « Vedete – egli dice – che io ho amato i vostri comandamenti. » Egli non dice: io non ho rinnegato le vostre parole o le vostre testimonianze, come venivano costretti a fare i martiri per far loro soffrire intollerabili supplizi; ma giungendo di conseguenza subito alla virtù, che rende fruttuose tutte le sofferenze, alla carità, domanda la sua ricompensa: « Nella vostra misericordia, datemi la vita. » Le persecuzioni danno la morte; voi datemi la vita! Ma se domanda alla misericordia la ricompensa che deve rendere giustizia, a qual più forte ragione ha ottenuto la misericordia di arrivare alla vittoria che gli merita questa ricompensa (S. Agost.). – « Vedete quanto ho amato i vostri comandamenti. » Il Profeta invita il Signore a considerare la pienezza del suo amore. Nessuno dice: Vedete, considerate, se non sia Colui che giudica, ad essere gradito a coloro che lo vedranno … egli non dice soltanto: io ho osservato, ma « io ho amato i vostri comandamenti, » ciò che è molto più perfetto che osservarli, perché li si può osservare per necessità, per timore, ma questo non appartiene alla carità, che è  l’amarli. Colui che predica il Vangelo, osserva i comandamenti, ma colui che riceve la ricompensa è colui che lo predica volentieri; quanto più colui che lo predica per amore; noi, possiamo non amare ciò che vogliamo, ma non possiamo non volere ciò che amiamo. Ma chi attende da Dio la ricompensa della sua carità perfetta, non tralascia di implorare il suffragio della sua misericordia, che gli dà la vita. Egli non si presenta come un uomo che esige con fierezza ciò che gli sia dovuto, ma come un umile supplice della misericordia divina. (S. Ambr.). – La verità è il principio delle vostre parole, e tutti i giudizi della vostra giustizia sono resi per l’eternità. » Le vostre parole procedono dalla verità, ecco perché esse sono vere e non ingannano nessuno quando annunziano in anticipo la vita al giusto, il castigo all’empio. Tali sono, in effetti, i giudizi della giustizia di Dio per l’eternità (S. Agost.). – Poiché la verità è il principio delle parole di Dio, ed essa è anche il principio della fede. In effetti, noi dobbiamo dapprima credere che tutto ciò che leggiamo nelle divine Scritture dell’Essere sovrano, sia vero. Noi dobbiamo in seguito penetrare la forza di queste verità con una conoscenza più perfetta. Il timore del Signore è l’inizio della sapienza, e la pienezza della sapienza è l’amore; così, la pienezza delle parole di Dio, è la conoscenza perfetta della giustizia, e come il timore del Signore è come il gradino necessario per arrivare alla grazia della carità, così la verità è come il gradino per il quale ci eleviamo fino ai giudizi della Giustizia divina. (S. Ambr.).

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