IL SEGNO DELLA CROCE (21)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (21)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMA.

16 dicembre.

Il segno della croce è nostra guida. — Bisogno di una guida. — Stato dell’uomo sulla terra. — Il segno della croce conduce l’uomo al suo fine, per quello che ci ricorda, e per quello che ci propone ad imitare. — Ricordo generale. — Ricordo particolare. — Imitazione particolare.

Nobilitato l’uomo, arricchito e protetto dal segno della croce, qual cosa mai gli manca per raggiungere felicemente lo scopo del suo pellegrinaggio? È mestieri che egli trovi una guida, che lo meni. Come l’Arcangelo Raffaele, inviato per accompagnare il giovane Tobia nel lungo suo viaggio, cosi il segno della croce presenta ed offre a tutti noi, come ad amico, lo stesso ministero. Tal’è l’ultimo punto di vista, sotto il quale noi considereremo il segno della croce. – Viaggiatori pel Cielo, il segno della croce è una guida che ci accompagna. La notte è al mezzo del suo corso, il tuono rimbomba da per tutto, la pioggia vien giù a torrenti, le bestie feroci spaventate sortono dal fondo delle loro tane, e corrono incerte in tutte le direzioni, e non le si vedono che nel lume del baleno. Solo, tu sei nel mezzo della tua Foresta Nera, tale com’essa era a’ tempi di Cesare, immensa, orribile, senza vie e sentieri, deserta di abitazioni, vasto ricetto de’ grandi orsi della Germania, che impauravano i Romani fin sopra gl’inaccessibili gradini del Colosseo. Senti tu il bisogno di una guida caritatevole, che, postasi a te dallato, ti rassicuri con la sua presenza, e, datati la mano, ti conduca sano e salvo nel mezzo della tua cara famiglia? Debole immagine è questa della realtà! La Foresta Nera è il mondo; la tempesta con le sue tenebre, con i suoi fulmini, i pericoli, e gli spaventi che produce, è la vita. Ove sono? dove vado io? qual cammino è da prendere? Questa è la prima questione, che l’uomo a sè stesso muove nel mezzo di questa notte piena di agonie. La risposta non si fa attendere; dessa è tutta intiera nel segno della croce. Ecco ragione perchè la Chiesa, piena di sollecitudine per l’uomo, glielo insegna fin dalla culla, e questo segno, interpetrato dalla parola materna, dissipa tutte le tenebre, illumina il cammino, orienta la vita. – « Venuto da Dio, dice questo segno all’uomo, tu tornerai a Dio: immagine come sei di Dio, ch’è amore, tu devi tornare a Lui per l’amore. L’amore contiene il ricordo, e l’imitazione. Ricordarti di Dio, ed imitarlo: ecco la tua via, la verità, e la vita. Comprendimi, e tu eseguirai le due grandi leggi fondamentali della tua esistenza ». Nulla v’ha di più vero di questo discorrere della divina guida, e poche parole basteranno a mettere in chiaro sì sublime insegnamento. La memoria.— In Francia ed in Alemagna, ed ognidove, come oggi, cosi quattro mila anni fa, dicevasi: la memoria è il polso dell’amicizia. Come fino a che il polso batte, la vita esiste, e si estingue quando questo cessa dal battere; così è, non altrimenti e per l’amicizia. Finché la memoria dell’oggetto amato sussiste, l’affezione continua; ma languisce quando la memoria si dissipa, e muore del tutto se quella finisce. Questo, tu il sai, è cosa elementare. L’uomo è si convinto che la memoria è segno, causa e condizione delle affezioni umane, che gli amici non mancano di dirsi, lasciandosi: Non mi dimenticate; non vi dimenticherò giammai; e si scambiano degli oggetti, perchè, malgrado la lontananza, la memoria si conservi sempre viva. Fra l’amor di Dio e le amicizie umane v’ha ciò di simile, che la memoria n’é segno, anima e vita. Il ricordarci di Dio essendo la prima legge del nostro essere, era proprio della divina saggezza darci un mezzo ad osservarla, e perchè la legge era universale, il mezzo dovea esserlo parimente. Questa legge era per tutti, ricchi e poveri, dotti ed ignoranti, per gli uomini di piaceri e di pene; questo mezzo però doveva essere accessibile a tutti. Questa legge essendo fondamentale, questo segno dovea essere di grande efficacia. – Ho detto, mio caro Federico, che la legge del ricordarsi dell’amico è una legge fondamentale. La sposizione di questa parola ti mostrerà sotto nuova luce la importanza del segno della croce. Quello ch’è il sole nel mondo fisico, l’è Dio, per ogni riguardo, ed ancora più nel mondo morale. Se il sole, a vece di spargere sul pianeta i suoi torrenti di lume e di calore, ad un tratto si estinguesse, pensa tu stesso, quello che avrebbe luogo nella natura. All’istante medesimo la vegetazione si arresterebbe, i fiumi ed i mari si muterebbero in pianure di gelo, la terra diverrebbe dura come le roccie. Le bestie feroci, che la luce caccia nel fondo delle foreste, con spaventevoli urli si chiamerebbero a far strage dell’uomo, e la confusione e lo spavento padroneggerebbero quest’ultimo. Da per tutto regnerebbe la confusione e la disperazione, pochi giorni condurrebbero di nuovo il mondo al caos. Così, se il sole delle intelligenze dispare, tosto la vita morale si estingue; poiché tutte le nozioni del bene e del male si cancellerebbero, la verità e l’errore andrebbero confuse nel diritto del più forte; avverrebbe un caos morale. Nel mezzo di queste fitte tenebre, tutte le orride cupidigie, ed i sanguinari istinti, assopiti nel cuore umano, si risvegliano, si comunicano, si sbrigliano, e, senza paura e senza rimorso, si disputano i mutilati lembi delle fortune, delle città e degli imperi. La guerra è in ogni dove: la guerra di tutti contro tutti, rende il mondo un vasto ricinto di ladri ed assassini. Questo spettacolo non si è mai presentato allo sguardo umano, come mai gli si è mostrato l’universo senza l’astro che lo vivifica; ma quello che ha veduto è un mondo, in cui, simile al sole coperto di spesse nubi, l’idea di Dio non dà che un barlume incerto. Allora un brancolare continuo degli uomini fra la verità e l’errore; una moltitudine di sistemi fantastici ed immorali; le superstizioni crudeli e le passioni prendere il luogo delle leggi, i delitti quello delle virtù; il materialismo essere alla base, il dispotismo al sommo, l’egoismo da per tutto, ed ai combattimenti de’ gladiatori unirsi i festini di umana carne.  – Tuttavolta la dimenticanza di Dio fosse minore presso i Giudei di quello, che l’era presso i gentili, pure, presso di loro gli effetti erano analoghi. Per lo mezzo de’ Profeti ben venti volte il Signore attribuisce a questo delitto le iniquità ed i castighi di Gerusalemme, che era, come sai, il tipo de’ popoli. Ecco quel che dice il Signore: « Chi mai ha udito orrori simili a quelli, che ha commessi la vergine d’Israele…. poiché dessa m’ha dimentico. Tu ormi la tua sorella Samaria, ed io porrò nelle tue mani la sua coppa. Tu beverai la coppa di tua sorella, coppa grande e profonda: i popoli si befferanno di te. Tu sarai ebra di dolori, e del calice dell’amarezza, e della tristezza, del calice di tua sorella Samaria. Tu lo berrai, e lo sorbirai sino alla feccia, e ne divorerai i frammenti, e lacererai le tue viscere. Poiché tu mi hai dimenticato, e fatto da meno del tuo corpo, tu sentirai il tuo delitto e la pena di esso » (Gerem., XVIII, 13,15. — Ezech., XXIII. 31,35. –  Is. VII, etc.). Si può con maggiore energia caratterizzare i funesti effetti dell’abbandono di Dio! Ora l’enormità del delitto si misura dalla santità della legge, di che è violazione; il ricordarsi di Dio è dunque legge vitale della umanità. Dal che, argomenta tu stesso, l’importanza del segno della croce, destinato specialmente a tener vivo nella mente umana sì salutare ricordo.  – Dissi specialmente, a disegno; poiché, questo segno è un vaso tutto pieno di divine rimembranze, che, eseguendolo, come vivificante liquore, penetrano sino al fondo dell’essere umano. Ricordandomi necessariamente del Padre, sollevando il mio pensiero al Figlio, ed allo Spirito Santo, desse mi ricordano il Padre creatore, il Figlio redentore, lo Spirito Santo santificatore.  – Il Padre, ricorda a te, a me, a quanti hanno uno spìrito per comprendere, ed un cuore per amare, tutti i benefizi divini nell’ordine della creazione. Io esisto, ma a Voi devo, o Padre, la vita base di tutti i beni naturali; vita, che Voi mi avete data, preferendomi a tanti milioni di esseri possibili! A voi devo la conservazione di essa, e ciascun battito del mio cuore è un vostro benefizio; voi la rinnovellate ad ogni istante del dì, e della notte. Voi la continuate da poi molti anni, non ostante le mie ingratitudini, ed il mal uso da me fatto di essa. Voi siete meco largo di un tal benefizio, preferendomi a tanti altri, che, nati con me, o dopo di me, sono già morti. Vostro benefizio è altresì quanto conserva, consola ed abbellisce la vita. Il sole che m’illumina, l’aria che respiro, la terra che mi sostiene, gli alimenti che mi nutriscono, gli animali che mi servono, le vestimenti da coprirmi, i farmachi per guarirmi, i mie i parenti, gli amici, il mio corpo con i suoi sensi, l’anima con le sue facoltà, tutte le creature visibili ed invisibili, poste con tanta magnificenza a mio servizio, Padre creatore, queste, son tutte dono vostro!  – Il Figlio ricorda tutti i benefizii nell’ordine della Redenzione. Quando profferisco il vostro Nome, o Figlio adorabile, desso mi rapisce negli splendori dell’eternità, dove Voi, eguale al Padre, assiso sullo stesso trono, siete felice d’una infinita beatitudine. Ma ad un tratto, mi trovo in una misera stalla, dove vi vedo povero fanciullo, mancante di tutto, tremante di freddo, disteso su dura paglia, riscaldato a pena dalle carezze materne, e dal fiato di due animali! Dalla stalla passo al Calvario. Quale spettacolo! Voi, o mio Dio, il Re de’ mondi, il Re degli Angeli e degli uomini, sospeso al patibolo fra il cielo e la terra, nel mezzo di due ladri, dilacerato nelle membra, coronato di spine, bruttato nel volto da sputi, e da grumi di sangue: e questo per amor mio. La croce mi conduce al tabernacolo. Innanzi al mio Dio annientato, al mio Dio divenuto mio pane, al cospetto del mio Dio divenuto mio prigioniero, e mio servo, che ubbidisce alla voce d’un fanciullo; avanti questo compendio di tutti i miracoli dell’amore la mia bocca divien muta! Le lingue tutte degli Angeli e degli uomini tornano impotenti a profferire parola su di un mistero, che il solo amore infinito ha potuto concepire! – Lo Spirito Santo ricorda tutti i benefizii in ordine alla Santificazione. Il mondo tutto vi deve, o Amore consustanziale al Padre ed al Figlio! Desso vi deve il suo Redentore; qui conceptus est de Spiritu Sancto: desso vi deve Maria sua madre; Spirìtus Sanctus superveniet inte: desso vi deve la santa madre Chiesa Cattolica, ch’è per me quello che Maria era per Gesù; credo in Spiritum Sanctum, Sanctam Ecclesiam. Le sue viscere mi hanno portato, il suo latte m’ha nutrito, e con i suoi Sacramenti mifortifica, e guarisce. Ad essa io devo la comunione dei Santi, gloriosa società, che mette me povera creatura in istretto ed intimo rapporto con le gerarchie angeliche, e con tutti i Santi, da Abele sino all’ultimo degli eletti: ad essa devo la conservazione dell’Evangelio, luminosa fiaccola, e benefizio inestimabile, che ha tratto il genere umano dalla barbarie, e che gì’impedisce il ricadervi! – Conosci tu un ricordo cosi fecondo e cosi eloquente rome il segno della croce? Il filosofo, il politico, il Cristiano dimandano, qualche volta, un libro per meditare; ecco quello, che può tutti rimpiazzare. Questo libro, intelligibile per tutti, da potersi leggere da tutti, gratuitamente dato, è fra le mani di tutti. Iddio così l’ha fatto: quel ch’è fatto da Lui è ben fatto.

L’imitazione. — Ricordarci di Dio è la prima legge del nostro essere. Tu vedi, mio caro Federico, l’iniporlanza di questa legge, e come il segno della croce ci sia aiuto per osservarla. Imitar Dio è un’altra legge non meno fondamentale, che nessuno spirito assennato ha messo in dubbio. Ogni essere non è in dovere di sé stesso perfezionare? non è per questo, e solo per questo che la vita gli è data? La perfezione di un essere non è lo assomigliarsi al tipo su cui è stato modellato? La perfeziono del quadro non è in ragione della espressione con che rende i tratti del modello? L’uomo è fatto alla immagine di Dio. Esporre in sè stesso tutti i tratti di questa divina immagine, senza assegnare altri limiti alla propria perfezione, che la perfezione del suo sublime modello, tal’è la legge del suo essere, ed il lavoro di tulla lu sua vita. « Io v’ho dato l’esempio, diceva Cristo, perchè voi facciate come me ». Ed il suo grande Apostolo: « Siate mici imitatori come Io lo sono del Verbo incarnato: guai a chi non sarà trovato simile al tipo divino ». Ora nulla v’ha che possa meglio guidarci in questa via d’imitazione come la croce. Che cosa fa l’uomo formandola? Egli pronunzia il nome di Dio; perchè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, tre Persone distinte in una sola e medesima divinità, sono Dio. Dicendo il Nome di Dio, all’uomo il segno della croce gli presenta il suo eterno modello, l’essere per eccellenza, in cui sono le perfezioni tutte in grado eccellente. E del pari, ripetendo i nomi di ciascuna Persona dell’augusta Trinità, propone alla nostra imitazione le perfezioni proprie di esse.  Nel Padre la potenza divina; e mi dice: Tu devi imitare la potenza del Padre creatore, e moderatore di ogni cosa, nel governo di te stesso, e del mondo, con l’impero sulle tue passioni, su le massime, gli usi, gl’interessi, i modi, le minacce, le promesse contrarie alla libertà ed alla dignità di un figlio di Dio, re come suo Padre.  – Nel Figlio la saggezza infinita; e mi dice: Tu devi imitare la saggezza del Figlio con la giustezza de’ tuoi giudizii e delle tue appreziazioni, col preferire invariabilmente l’anima al corpo, l’eternità al tempo, il dovere ai piaceri, la ricchezza che non vien meno, alla passaggera e transitoria. – Nello Spirito Santo l’amore infinito; e mi dice: Tu devi imitare la carità dello Spirito Santo col disciplinare, nobilitare le tue affezioni; strappando dal tuo cuore fin dalle fibre le più profonde l’egoismo, la gelosia, l’odio, e tutti i vizii, che producono internamente la degradazione, ed il disturbo all’esterno. Che ne pensi tu? Non è il segno una guida eccellente? Qual professore di filosofia può gloriarsi di mostrare con modo più chiaro, a ciascuna facoltà dell’anima, la maniera di sé stessa perfezionare? Nondimeno, noi non conosciamo che una parte de’ suoi insegnamenti: dimani tu vedrai gli altri.

IL SEGNO DELLA CROCE (20)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (20)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMANONA.

15 dicembre.

Ragione della benedizione della mensa — È un atto di libertà. — Tre tiranni; il mondo, la carne, il demonio. — Triplice vittoria del segna della croce, e della preghiera sugli alimenti. — Vittoria sul mondo: prove — Sulla carne: prove — Sul demonio: prove. — Testimonianza di Porfirio. — Fatto citato da San Gregorio. — Conclusione.

« I soli coccodrilli mangiano senza pregare. » Tale assioma, tu mi dici, caro amico, riassume le nostre due ultime lettere. Questa tua parola non sarà dimenticata: « I miei compagni, tu continuando dici, sono stati come francesamente dicesi, aplatis, dai fatti da voi rapportati, per essi tutto cosa nuova. Ma eglino sono come per il passato, non fanno il segno della croce avanti il pranzo. — La sola novità che vi ha, è il poter io eseguirlo liberamente, avendo eglino paura del mio assioma ». Non mi maravigliano punto siffatte cose! — Come tanti altri, i tuoi compagni, e quelli, che loro si assomigliano, tuttavolta parlino di libertà a gran gola, sono schiavi del tiranno il più vile, del rispetto umano. Poveri giovani! per meglio nascondere la loro schiavitù, terminano la loro obbiezione dicendo: il segno della croce sugli alimenti è una pratica inutile, e fuori moda. Nel fondo del loro intimo pensiero, questo parlare vuol dire: Tutti quelli che non mangiano come noi, cioè da bestie, appartengono alla specie de’gonzi, più o meno rispettabile. Ipreti, ed i religiosi de’ gonzi; i veri Cattolici della patria tua, gonzi; gli Ebrei, gli Egiziani, i Greci, i Romani, gonzi; il fiore della umanità, gonza; l’umanità tutta è gonza, e con essa, mio padre, mia madre, le mie sorelle: io, ed i miei simili, noi soli siamo saggi sulla terra, i soli illuminati fra tutti i mortali!  È mestieri che io strappi la maschera di che cercano coprirsi: a che fare, basterà il mostrare come la benedizione della tavola col segno della croce, sia un’atto di libertà, azione utilissima, e, ch’è fuori moda solo nelle basse regioni del cretinismo moderno. Questa ultima considerazione unita a quella dell’onore e della ragione, giustifica pienamente la nostra condotta, e nel medesimo tempo, rende ragione della pratica universale del genere umano. La libertà. — Tre tiranni si disputano la libertà dell’uomo; la mia, la tua, quella de’ tuoi compagni. Questi tiranni sono il mondo, la carne, il demonio. Per non essere schiavi di questi tiranni, noi, e con noi tutta la famiglia umana benediciamo la mensa. Lo abbiamo veduto, ed il ripeto: il non fare il segno della croce avanti il desinare, è un separarsi dal fiore della umanità; il non pregare, è un assomigliarsi alle bestie. Nell’un caso, e nell’altro è schiavitù; poiché questo è sottomettersi ad un potere dispotico, ed è tale, quel potere, che comanda senza averne il dritto, o, che comanda contro la ragione, contro il dritto, contro l’autorità. Chi è il potere, che m’inibisce fare il segno della croce, e che, se ho il coraggio di disubbedirlo, mi minaccia di farmi oggetto di beffe? Qual è il suo dritto? da chi ha ricevuto egli il mandato? dove sono i titoli che lo raccomandono alla mia docilità? le ragioni della sua difesa? Questo potere usurpatore, è il mondo attuale, mondo ignoto agli annali dei secoli cristiani, mondo da sale, da teatro, da caffè, da bettole, da traffico, da borsa; è l’uso di questo mondo, l’empietà di questo mondo, il suo marcio materialismo: la beozia dell’intelligenza. Ora, questa minorità, nata ieri e già decrepita, questa minorità in permanente insurrezione contro la ragione, contro l’onore, contro il genere umano, ha la pretensione d’impormi i suoi capricci! E sarò io sì dappoco da sottomettermi? E dopo aver fatto divorzio con la ragione, con l’onore, col fiore della umanità,avrò io il coraggio di parlare di dignità,di libertà, d’indipendenza ? Vana parola sarà questa ! Le catene della schiavitù si mostrerebbero di sotto l’orpello dell’orgoglio; la maschera bucata non nasconderebbe la figura della bestia, ed il buon senso ci seguirebbe dicendo : Mida, il re Mida ha gli orecchi di asino. Vadano pure gì’ indipendenti d’oggidì superbi di un tale complimento; noi altri gonzi, noi vogliamo a nessun prezzo. Vergognosa è la schiavitù professata al mondo, ma l ‘è più ancora quella del vizio. L’ingratitudine è.vizio; la ghiottoneria è vizio, come l’è altresì l’impurità. Contro questi tre tiranni ci difendono il segno della croce, e la preghiera della mensa. L’ingratitudine. — V’hanno al presente due religioni, quella del rispetto, e quella del disprezzo. — La prima rispetta Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, le creature.   — Per essa tutto è sacro; perchè tutto è da Dio, tutto gli appartiene, ed a lui ritorna. Dessa m’insegna usare di tutto con spirito di dipendenza, perchè nulla mi appartiene; con spirito di timore, perchè sarà mestieri rendere di tutto conto; con spirito di riconoscenza, perchè tutto è benefizio, l’aria istessa che respiro. — La seconda disprezza tutto — Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, e le creature: i suoi settatori usano ed abusano della vita e de’ beni di Dio, quasi ne fossero proprietari ed i responsabili. La prima ha scritto sulla sua bandiera, riconoscenza; la seconda ingratitudine. L’una e l’altra mostrano la loro presenza dal momento in cui l’uomo si assimila i doni di Dio col prendere il cibo necessario alla vita. Il fiore della umana famiglia prega e ringrazia; avendo tale coscienza della sua dignità da non soffrire che vada confusa con le bestie; ed è tale il sentimento del dovere, da non poter restare muto alla vista de’ benefizi di che è colmato. Desso trova, con ragione, mille volte più odiosa l’ingratitudine verso Dio che non lo sia quella esercitata contro gli uomini, e non può patire essere schiavo di tal vizio.— Vergogna per colui, cui la riconoscenza è peso insopportabile; il cuore ingrato non fu mai un buon cuore!  L’adepto alla religione del disprezzo si vergogna di essere riconoscente, e mangia come la bestia, o come il figlio snaturato, che non trova né nel suo cuore, né nelle sue labbra, una parola di gratitudine da indirizzare al padre, che, con bontà senza limiti, sopperisce ai bisogni e provvede ai piaceri di lui. E perchè si sottrae al dovere, si crede libero! si proclama indipendente! Indipendente da chi, e da che? Indipendente da quanto è da amare, e da rispettare: dipendente da quanto è degno di disprezzo, e bisogna odiare. L’è veramente gloriosa questa maniera d’indipendenza! — La ghiottoneria. — Altro tiranno che siede con noi al nostro desco, e che incatenando gli occhi, il gusto, l’odorato alle vivande, rende l’uomo adoratore del dio ventre. — Allora l’uomo non parla per l’abbondanza del cuore, ma dello stomaco; egli non cerca la qualità de’ cibi atti a riparare le forze, ma quella che solletica il gusto; non mangia per vivere, ma fine e scopo del suo vivere è il mangiare. Di siffatto modo l’organismo sviluppa il suo impero, e l’intelligenza si affievolisce, diventa schiava. La delizia della carne non è compatibile con la saggezza; i grandi «uomini non furono ghiottoni, tutti i santi sono stati modelli di sobrietà! (Sapientia non invenitur in terra suaviter viventium: Iob. XXVIII, 13).  Osserva bene, mio caro amico, che io parlo della ghiottoneria come ricercatezza negli alimenti, dilicatezza nella scelta, avidità e sensualità nel mangiare, il che troppo sovente è seguito dalla intemperanza. Ora l’intemperanza mena seco un tal corteggio d’infermità e malattie, che la ghiottoneria uccide più uomini che la stessa spada: Plures occidit crapula, quam gladius (Vigilia, cholera, et tortura viro infrunito. – Eccli. XXXI, 23, et XXXVI, 31). Così Nabucodònosor, Faraone, Alessandro, Cesare, Tamerlano e tutti i carnefici coronati, che hanno coperto il mondo di cadaveri, hanno fatto morire minor numero di uomini che la ghiottoneria. Dispiacevole mistero è questo, che mostra tutta la saggezza, che v’ha nell’uso del segno della croce e della preghiera innanzi e dopo il pranzo. Con essa noi chiamiamo Dio a nostro soccorso, e ci armiamo contro un nemico che attacca tutte le età, tutti i sessi e le condizioni, e che agogna incatenarci al più grossolano de’ nostri istinti. Per essa, noi apprendiamo che mangiare è una guerra, e che per non essere vinti è mestieri, secondo il detto di un gran genio, prendere gli alimenti come le medicine per bisogno, e non per piacere (Hoc docuisti me, Domine, ut quemadmodum medicamenta, sic alimenta sumpturus accedam. – S. August. Confess, lib. X, c. 311). L’impurità. — La schiavitù dell’animo cominciata per la ghiottoneria, si compisce con l’impurità. — Chi nutre dilicatamente la sua carne, tosto ne subirà la rivolta vergognosa. — Cosa lussuriosa è il vino, in esso risiede la lussuria. Il vino puro nuoce alla sanità dell’anima, ed a quella del corpo. — Nello stomaco del giovane il vino è come l’olio nel fuoco. — La ghiottoneria è la madre della lussuria, ed il carnefice della castità. — Essere ghiottone e pretendere d’essere casto, è un voler estinguere il fuoco con l’olio. — La ghiottoneria estingue l’intelligenza.— Il ghiottone è un’idolatra, adora il dio ventre. — Il tempio del dio ventre è la cucina; l’altare, la tavola; i suoi sacerdoti, i cuochi; le vittime, le vivande; l’incenso, l’odore di esse. — Questo tempio è la scuola dell’impurità. — Bacco e Venere si danno la mano. — La ghiottoneria ci fa guerra continuamente; se trionfa chiama tosto la sua sorella, la lussuria. — La ghiottoneria e la lussuria sono due demoni inseparabili. — La moltitudine delle vivande, e delle bottiglie attira quella degli spiriti immondi, di cui il peggiore è il demonio del ventre. — La sanità fisica e morale de’ popoli, è da dedurre dal numero dei cuochi ». Intendi gli oracoli della saggezza divina, ed umana? È la voce de’ secoli confermata dalla esperienza. Qual è il mezzo che ha l’uomo per conservare la sua libertà contro di un nemico, altrettanto più pericoloso, che seducendo incatena ed uccide? Il passato, ed il presente non ne conoscono che un solo; il soccorso di Dio: l’avvenire non potrà conoscerne altri da questo. Il soccorso divino si ottiene da Dio con la preghiera, ed una prece particolare è stata stabilita presso tutti i popoli per fortificarsi contro le tentazioni della mensa. Ora se quelli che la fanno, non restano sempre vittoriosi (S. August. Confess. lib. X, c. 31), come sarà possibile, che quelli che non l’hanno in uso, che la disprezzano e la beffano, possano persuadersi che eglino restino vittoriosi sul campo di battaglia. Per crederlo, è mestieri avere ben altre prove dalle loro asserzioni, bisognano de’ fatti, e questi sono i loro costumi. Ch’eglino mostrino i misteri de’ loro pensieri, de’ loro desiderii, degli sguardi, de’ secreti discorsi, della loro condotta. Ma una tal mostra non è necessaria; noi l’abbiamo di continuo nella sposizione, che di sè fa lo scandalo della pubblica immoralità. – Il demonio. — Qui si mostra pienamente la stupida ignoranza del mondo attuale. — Per fermo che il sacro dovere della riconoscenza, come la imperiosa necessità di difendersi contro la gola e la voluttà, giustificano pienamente l’uso della benedizione della tavola; ma, io oso affermare ch’esso poggia su di una ragione più forte, e profonda. — Noi lo abbiamo detto: v’ha un dogma, mai dimenticato dal genere umano, che insegna esser tutte le creature sotto l’azione del principe del male, da poi che questo trionfò del padre della specie umana: tutti i popoli hanno creduto, come alla esistenza di Dio, che le creature, penetrate dalle maligne influenze del demonio, sono gli strumenti del suo odio contro l’uomo. Da siffatta credenza traggono origine le infinite purificazioni in uso presso tutte le religioni, in tutti i climi, lungo tutto il corso de’ secoli; ma v’ha una circostanza, in cui l’uso delle purificazioni si mostra invariabile, ed è quella del desinare.  L’universalità, l’inflessibilità di questo uso nel prendere il cibo, è fondato su due fatti. — Il primo, che il demone della tavola è il più pericoloso (Clem. Alex, Pedag. lib. II, c. 1); il secondo, che l’unione operata per l’azione del mangiare tra l’uomo ed il cibo è di tutte le unioni la più intima, questa arriva fino all’assimilazione. — L’uomo può dire del cibo digerito: È l’osso delle mie ossa, la carne della mia carne, il sangue del mio sangue. — Ecco perchè, essendo le creature sì viziate, Iddio non ha fatto mai perdere di vista all’uomo il pericolo di tale azione. Che siffatto timore, sia la profonda ragione del segno della croce e delle preghiere su degli alimenti, è reso manifesto dalle formole istesse delle benedizioni e dell’azione di grazie. Cristiani e pagani, tutti, senza alcuna eccezione, dimandano, che, le tristi influenze a che le creature sono sottomesse, siano allontanate. Ecco qualche argomento, che calza meglio a’ tuoi compagni, e per essi più convincente di tutte le autorità della Chiesa. —Porfirio — il primo fra tutti i teologi del paganesimo, e l’interpetre il più dotto dei misteri, e dei riti pagani, scriveva in siffatti termini: « È da sapere che tutte le abitazioni son piene di demoni; il perchè si purificano scacciandone questi ospiti malefici col pregare gli dei. Ancor più: di essi tutte le creature sono piene, ed alcune specie di cibi particolarmente; di modo, che quando noi sediamo a mensa, non solo essi prendono posto d’allato a noi, ma si attaccano al nostro corpo. Ecco la ragione dell’uso delle purificazioni, il cui scopo principale, non è solo invocare gli dei, ma altresì scacciare i demoni. Questi si dilettano di sangue e d’impurità, ed a soddisfare tale piacere s’introducono ne’ corpi di coloro che ad essi sono soggetti. Non v’ha movimento di voluttà violento, e desiderio veementemente disordinato, che non sia eccitato della presenza di questi ospiti » (Porphyr., apud Euseb. Præp. Erang. lib. IV. c. 22). Non ti parrebbe ciò scritto da san Paolo? tanto è precisa questa rivelazione del mondo soprannaturale. – Oltre queste influenze occulte e permanenti di satana su gli alimenti, Iddio di tanto in tanto, permette de’ fatti straordinari, che rivelano la presenza del nemico, e la necessità di allontanarlo dagli alimenti, innanzi di essi si taccia uso. Leggesi in S. Gregorio il Grande: « Nel monastero dell’abate Equizio accadde che una religiosa entrando nel giardino, vide una pianta di lattuga che le solleticava l’appetito. La prese, e dimenticando di fare il segno della croce, la mangiò avidamente. All’istante medesimo fu posseduta dal demonio, cadde rovescione per terra dimenandosi per fortissime convulsioni. Tosto accorre il santo abate e prega Dio che si degnasse confortare la povera religiosa. Il demonio tormentato ancora esso per le preghiere, gridò: Che mai ho fatto? Che ho fatto io? Io era su quella lattuga; la’ religiosa non me ne ha scacciato! In nome di Gesù Cristo l’abate gli ordinò di uscire dal corpo della serva del Signore, e di non più tormentarla. Il demonio ubbidì, e la religiosa immantinente fu guarita » (S. Gregor. Dialog, lib. I, dial. IV). – I fatti parlano come le autorità, la teologia pagana come la cristiana, l’oriente come l’occidente, l’antichità come i tempi moderni, Porfirio come san Gregorio. Quali autorità possono a queste opporre i tuoi compagni? Dire che il genere umano è un gonzo, e che l’uso universale di benedire gli alimenti sia una superstizione fuori moda, è fucile cosa: ma io non so appagarmi di sole parole; però di a’ tuoi compagni, che se per legittimare l’uso di non benedire la mensa, possono apportare una ragione, che valga un soldo di Monoco, prometto loro, a seconda del gusto di ciascuno, o un merlo bianco, o un busto al Panteon. – Aspettando, resta stabilito, che pregare avanti il pranzo è una legge della umanità; e che era riserbato all’epoca nostra produrre degli spiritisì forti che vanno superbi di assomigliarsi due volte al giorno a’ cani, a’ gatti, al coccodrillo. Io ti lascio, annunziandoti per domani un nuovo punto di vista.

IL SEGNO DELLA CROCE (19)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (19)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMAOTTAVA.

15 dicembre.

L’onore comanda si preghi prima e dopo il pranzo. — La preghiera sugli alimenti è antica quanto il mondo, estesa come il genere umano. — Prove BENEDICITE e GRATIAS di tutti i popoli. — Trasandarle è un assomigliarsi agli esseri che non appartengono alla specie umano. — Benedire la mensa è una legge della umanità.

Mio caro Amico, L’onore è la seconda ragione, che ci obbliga a restar fedeli all’antico uso del segno della croce aranti e dopo il pranzo. I tuoi compagni al contrario ostentano credere essere onorevole cosa lo astenersene, ed eglino dicono: Non voglio che altri mi rimarchi, e che si burli di me. Facciamo l’autopsia di questo nuovo pretesto. – Innanzitutto la ragione, ed il vedemmo, condanna quelli che disprezzano la croce, epperò l’onore non saprebbe essere per loro, poiché non lo si trova con lo sragionare. Aggiungono, non voler essere notati. Impossibile! che che eglino facciano, saranno sempre notati, e rimarcati. Io non li credo sì infelici da non trovarsi mai con veri Cattolici allo stesso desco, ed allora, per fermo, saranno necessariamente e ben tristamente osservati. È vero che ciò per essi, come dicono, è indifferente; ma questo disprezzo è poi fondato? Qui ritorna la quistione degli uni e degli altri che abbiamo già risoluta. Lo scherno, di che tanto s’impaurano, segue sempre l’osservazione, solo presso il vero Cattolico, questa si rimuta in un sentimento di compassione verso di loro. – Contentandomi d’esporre i tuoi compagni, e quelli che ad essi si assomigliano alle osservazioni de’ Cattolici, uso indulgenza con esso loro; avvegnaché eglino, come vedrai, astenendosi dal pregare innanzi e dopo il pranzo, pel pretesto di non farsi notare, si disonorano al cospetto di tutta la umanità: sieguimi nel mio ragionare. – Quegli si disonora agli occhi di tutta l’umanità che volontariamente si pone nel rango delle bestie. Ora sino a’ dì nostri non si conosceva in natura che una sola specie di esseri che mangiasse senza pregare, ma di presente due: le bestie e quelli che loro si assomigliano. Dico che loro si assomigliano, perchè tra un uomo che mangia senza pregare ed un cane, quale differenza vi trovi tu? Per me io non ve ne trovo alcuna, e l’Accademia è con me. Bipede o quadrupede, seduto o coricato, gracidando, ciarlando o grugnando, essi sono gli uni come gli altri; poiché con le mani, o con le branche, gli occhi, il cuore, i denti immersi nella materia, divorano stupidamente il loro pasto senza elevare la testa verso la mano che lo dona. L’uomo che agisce di siffatto modo si degrada; egli da bestia mettesi a tavola, bestialmente vi dimora, e come bestia ne sorte. – La mia proposizione ti sembra troppo assoluta, e tu esclami: È poi vero, mi dici, che per lo innanzi non si conoscesse che le sole bestie, i buoi, gli asini, i muli, i porci, le ostriche, mangiassero senza pregare? Nulla v’ha di più vero. La preghiera sugli alimenti è antica quanto il mondo, estesa quanto il genere umano. Dai primordi dell’antichità la si trova presso gli Ebrei. « Quando tu avrai mangiato e sarai satollo, dice la legge di Mosè, benedici il Signore » (Cum comederis et satiatus fueris, dicas Domino. – Deuter. VIII. 10). Ecco la preghiera sugli alimenti. Fedeli a tale comando gli Ebrei usavano tali cerimonie nel benedire la mensa, che il padre circondato dai figli, diceva: Benedetto sia il Signore Dio nostro, la cui bontà concede il cibo ad ogni creatura. Quindi presa una coppa di vino nella destra la benediceva, dicendo: Benedetto il Signore nostro Dio, che ha creato il frutto della vite. Egli lo gustava il primo, e poi passavala a’ convitati. In seguito, preso il pane con ambe le mani, continuava dicendo: Lodato e benedetto sia il Signore Dio nostro, che ha creato il pane dalla terra. Lo spezzava, ed imboccatone un pezzo, lo passava agli altri. Dopo tutto questo cominciava la mensa. E se accadesse cangiar di vino, o, che nuova vivanda si apprestasse, si facevano nuove benedizioni, perchè ogni alimento venisse purificato e consacrato. Il pranzo era seguito da un cantico di ringraziamento (Ex his homnibus apparet, veteres illos Iudaeos, null os cibos absque benedictione et gratiarum actions sumere fuisse solitos. (Stukius, Antiq. convivial, lib. II, c. 36). Tutti questi riti diventano a dismisura più venerandi da che sono stati consacrati dallo stesso Figlio di Dio, e nulla potrebbe meglio mostrare la importanza di essi. In effetti, che fa l’adorabile Maestro del genere umano nell’ultima sua cena, quando unito a’ cari discepoli mangia l’agnello pasquale (Et aceepto calice, gratias egit et dixit: accipite et dividite inter vos. (Luc. XXII, 17)? Qual cosa fa egli quando dopo la cena canta con i suoi discepoli il cantico di ringraziamento? Et hymno dicta exierunt in montem Oliveti (Marc XIV). Egli si conforma religiosamente agli usi della santa nazione. V’hanno altresì ben altre circostanze, in cui vediamo il modello eterno dell’uomo pregare innanzi prendesse il cibo, o che ad altri il desse! Egli rompe i pani, e fatti in pezzi i pesci li distribuisce al popolo; ma, prima eleva al cielo gli occhi e benedice quel cibo (Marc. VIII. — Math. XIV). Tutte queste espressioni, secondo i padri, mostrano la benedizione degli alimenti, e che il Verbo incarnato l’ha fatto per insegnarci di non prendere cibo alcuno senza benedirlo, e rendere a Dio le grazie (Consecrat sive benedicit panes … , ut me doceret, ut mensam attingentes gratias prius agamus, et deinceps cibum capiamus etc. (Theophylact. in Math. XIV). – Non v’ha da meravigliare se troviamo in uso presso i primi Cristiani la benedizione della mensa; poiché le azioni dell’Uomo-Dio erano la regola della loro condotta, e gli Apostoli le ricordavano loro di continuo. « Presso di noi, dice Polidoro Virgilio, v’ha il costume di benedire la mensa innanzi il pranzo; e ciò per imitare il Signor Nostro. L’Evangelio ci ricorda ch’Egli di essa usò si nel deserto, benedicendo i pani, che in Emmaus, alla mensa de’ discepoli » (Apud Stukium, p. 428).). E Tertulliano aggiunge: « Con la preghiera comincia e finisce il pranzo » (Oratio auspicatur et claudit cibum. – Tertull. Apologet). – Potrei a queste autorità aggiunger quelle del Grisostomo, di S. Girolamo, di Origene, de’ Padri latini e greci, ma non è mestieri citarli, avvegnaché il fatto non è messo in dubbio. Dirò solo, che abbiamo il Benedicite ed il Gratias in magnifici versi di Prudenzio: Christi prius Genitore pofens. Siffatti cantici provano a filo ed a segno, quanta coscienza si facessero i nostri avi di conformarsi agli esempi di Nostro Signore, come questi erasi conformato all’uso degli antichi Israeliti, che ubbidivano in ciò al comando di Dio. Noi abbiamo altresì in prosa queste formole di benedizioni, e noi riporteremo questi monumenti della veneranda nostra antichità. Innanzi il pranzo: « O voi che apprestate il nutrimento a quanti respirano, benedite gli alimenti che prendiamo. Voi avete detto, cha se accadesse bere qualche cosa avvelenata, questo non ci apporterebbe nocumento alcuno, se invocassimo il vostro nome, avvegnaché voi siete onnipotente. Togliete da questi alimenti quanto può esservi di nocevole, e male per noi » (Mamachi: Costumi de’primitivi Cristiani, t. 2, p. 47. Origen, in Joan., p. 36). E dopo il pranzo: « Benedetto mille volte siate, o Signore, che ci avete nudrito sin dalla infanzia nostra, e con noi tutto, che respira. Colmate i nostri cuori di gioia, perchè facile ci torni compiere ogni maniera di buone opere per Gesù Cristo Signor nostro, cui, con voi, e con lo Spirito Santo sia gloria, onore e potenza. Cosi sia » (Stukius, ubi supra, p. 129). – Queste formole profondamente filosofiche, come tosto vedremo, hanno attraversato i secoli, e, o nella loro primitiva integrità, o con qualche modificazione, sono in uso fra Cattolici fino ad oggidì. I protestanti, malgrado la loro avversione agli usi cattolici, l’hanno conservate , e buon numero di famiglie in Alemagna ed Inghilterra, non tralasciano la preghiera innanzi il pranzo. Ma quello che potrà sembrare più strano, è la benedizione della mensa in uso presso i pagani. Si, mio caro Federico, questi modelli di obbligo per la gioventù da collegio, usavano religiosamente di quanto i tuoi compagni, discepoli ed ammiratori di essi, si vergognano. « Mai, dice Ateneo, gli antichi prendevano il cibo, senza prima invocare gli dei » (Veteres nunquam cibum cepisse, nisi prius Deos placassent – Athaen. Dipnosophis. lib. IV).E parlando degli Egiziani, aggiunge: « Dopo aver preso posto sul letto da mensa, si alzavano, e postisi in ginocchio, il capo della festa, od il prete, recitava le consuete preghiere, che gli altri dicevano con lui: dopo ciò cominciava il pranzo » (Ibid. lib. IV). Nè altrimenti era in uso presso i Romani. Tito Livio a proposito della morte di un uomo ordinata da Quinto Flaminio, per piacere ad una cortigiana, si esprime con siffatti termini. « Questo atto mostruoso fu commesso nel mezzo delle coppe, lungo il pranzo, quando è costume, pregare gli dei, ed offrir loro delle libazioni » (Liv. Decad. IV, lib. IX). – Tu sai che le libazioni erano una specie di preghiera quanto usitatissima, altrettanto nota. I Romani, a mo’ di esempio, ne facevano quasi in tutte le ore: il mattino alzandosi, la sera andando a letto, quando facevano qualche viaggio, ne’ sacrifici, in occasione de’ matrimoni, al cominciamenio e fine del pranzo. Questi antichi maestri del mondo non assaporavano il cibo, senza averne prima consacrata una parte alla divinità. La parte prelevata era posta su di un altare, o su di una tavoletta, Patella, che ne faceva le veci. Era questo il loro Benedicite ed il loro Gratias. Perpetuità della tradizione degna di osservazione! Abbiamo veduto presso gli Giudei delle nuove benedizioni al mutarsi del vino, ed alle nuove portate, e lo stesso uso era presso i Romani. Al secondo servito, aveano luogo delle libazioni particolari in onore degli dei, che si credeva assistessero alla mensa, e ciascun convitato spargeva un po’ di vino sulla tavola, o sulla terra, accompagnando tale spargimento di alcune preghiere in onore degli dei. – I Greci avevano servito da modello a’ Romani. Presso di loro, istessa era la frequenza, ed istesso l’uso delle libazioni sul cominciar del pranzo ed in fine di esso, nè diverse le preghiere al mutar del vino. « Quando, dice Diodoro di Sicilia, si mesceva a’ convitati del vino puro, era antico costume dire: Dono del buon genio; e quando lo si apprestava con l’acqua, dicevasi: Dono di Giove Salvatore; perchè il vino puro è contrario sì alla salute del corpo, che a quello dello spirito » – Diod. Sicul. lib. III -). Ma non era questa la sola forma di rendimento di grazie, ve n’era un’altra generale usata alla fine del pranzo, che s’indirizzava al padre degli dei (Ibid. lib. II).L’uso di benedire il cibo presso i pagani era sì comune da dar luogo a questo proverbio: non prendere dalla caldaia il cibo innanzi sia santificato. Ne a chytropode cibum nondum santificatimi rapias. Questo proverbio, secondo Erasmo, volea dire: Non vi gettate da bestia sugli alimenti; mangiateli dopo averne offerte le primizie agli dei. Ed in effetti, presso gli antichi, secondo che Plutarco dice, il giornaliero pranzo istesso era classato fra le cose sacre; il perchè i convitati consacrandone le primizie agli dei, testimoniavano con ciò, che, secondo loro, prendere il cibo, era reputata cosa santa (Apud Stukium, p. 131).Quindi, Giuliano l’apostata, nel celebre banchetto del sobborgo di Antiochia, per riconoscere pubblicamente, e tener salda la tradizione pagana, fece benedire la mensa dai sacerdoti di Apollo (Sozomen: Hist., ülib. III, c. IX). I barbari stessi imitavano in ciò i popoli inciviliti. I Vandali ne’ loro pranzi facevano circolare una coppa consacrata a’ loro dei con stabilite formole (Crantz, lib. III. Vandal, c. 37).). Presso gli Indiani il re non gustava alcuna vivanda se non fosse stata consacrata a’ demoni. – Malgrado la differenza de’ costumi, de’ gradi d’incivilimento e di clima, gli abitanti della Zona glaciale aveano le medesime pratiche di quelli della Zona torrida. Gli antichi Lituani, quelli della Samogizia, e gli altri barbari del nord invocavano i demoni per santificare le loro mense. Nel fondo delle loro capanne aveano de’ serpenti addomesticati, che, in dati giorni, per lo mezzo di lini bianchi, lasciavano salire sulla tavola, perchè gustassero le vivande allestite, e queste allora venivano considerate come sacre, ed i barbari allora solo le mangiavano senza alcuna paura. – La benedizione della tavola trovasi egualmente presso i Turchi, e presso gli Ebrei moderni. Questi ultimi, fedeli alle paterne tradizioni conservano ancora l’uso di ripetutamente pregare lungo il pranzo. Così alle frutta dicono: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato le frutta degli alberi. All’ultimo servito: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato vari alimenti (Stukius, ubi supra et c. XXXVIII, De libationibus ante et post epulas.).  Per quanto materialisti sieno, i popoli contemporanei dell’Indo-China, della Cina, e del Thibet non fanno eccezione a questa legge, la quale, porto opinione, che si trovi presso i popoli i più degradati dell’Affrica. – Come ho detto, tu il vedi, caro amico, la preghiera, innanzi e dopo il pranzo, è antica quanto il mondo, estesa come il genere umano. Ora, se l’esistenza di una legge si conosce dalla permanenza degli effetti; se a cagion d’esempio, vedendo che il sole levasi ad un determinato punto dell’orizzonte, ogni uomo ha ragione di affermare che una legge dirige i suoi movimenti, io non ho minor ragione di affermare che benedire la mensa è una legge della umanità. Osservarla adunque, è un agire come tutto il genere umano; il non osservarla, è operare come gli esseri che non appartengono alla umana famiglia; è, alla lettera, assomigliarsi alle bestie (Homo cum in honore esset non intellexit, comparatus est iumentis insipientibus et similis factus est illis. Psal. XLVIII, 13).Tu puoi dimandare a’ tuoi compagni se l’onore vi trova il suo conto. Fra breve esplicherò la legge, che comanda la benedizione della mensa.

IL SEGNO DELLA CROCE (18)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (18)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMASETTIMA.

11 dicembre.

Riassunto. — Natura del segno della croce. — Stima in che è tenuto di presente. — A qual cosa accenni la dimenticanza ed il disprezzo del segno della croce. — Spettacolo che presenta il mondo contemporaneo. — satana torna. — È mestieri esser fedele al segno della croce. Precipuamente avanti e dopo il pranzo. — La ragione, l’onore, la libertà lo comandano. — La ragione è favorevole o contraria a quelli, che hanno siffatto segno sugli alimenti? Esempi e ragioni.

Arma universale ed invincibile per l’uomo, parafulmine per le creature, simbolo di libertà pel mondo e monumento di vittoria pel Verbo Redentore: tale fu, mio caro Federico, il segno della croce agli occhi dei primi Cristiani. Da questa convinzione procedeva l’uso ch’eglino ne facevano, i sentimenti, che loro inspirava, il magnifico e piacevole spettacolo, a cui testé assistemmo.  Conservammo noi la fede de’ padri nostri? Per i Cristiani del secolo decimonono qual cosa mai è il segno della croce? come usano di esso a pro di sé stessi e delle creature? I sentimenti di fede, di confidenza, di rispetto, di fiducia e di amore, che loro inspira, sono vivi e reali? Il maggior numero di quelli, che fanno un tale segno non lo eseguono forse ignorando quel che operano, e senza attribuirgli valore alcuno, ed importanza? Quanti non lo eseguono affatto? Quanti credono ricevere onta dall’eseguirlo? Quanti ancora non son presi da sdegno al vederlo? E per fermo, eglino l’hanno tolto dalle loro case e dai loro appartamenti, cassato dalla loro mobilia, ed inutilmente lo si cercherebbe nelle pubbliche piazze, nelle passeggiate delle città, lungo le vie e ne’ parchi; poiché l’han fatto disparire da tutti i luoghi, dove i padri nostri l’aveano innalzato. Eglino, nuovi iconoclasti del secolo XIX, hanno spezzate le croci!  Qual cosa mai èquesta, ed a quale avvenire accennano siffatti sintomi? Vuoi saperlo? Rimonta al principio illuminatore della storia. Due principi oppositi si disputano il dominio del mondo, lo spirito del bene e lo spirito del male.Tutto che si opera è, o per inspirazione divina, o per inspirazione satanica. L’instituzione del segno della croce, l’uso continuo di esso, la fiducia che inspira, la potente virtù attribuitagli, è una inspirazione divina o satanica? È o l’una, o l’altra.  Se è una inspirazione satanica, il fiore della umanità, che sola fa questo segno, è da poi oltre diciotto secoli incurabilmente cieca, mentre che il rifiuto della umana compagnia, che sprezza la croce, avrebbe ogni lume: è un dire, che i miopi, i loschi e i ciechi del tutto vedano più di colui, che ha due buoni occhi. Credi possibile che l’orgoglio possa tanto impazzire da affermare simile paradosso, e che vi sia tale una incredulità, e di sì robusti polsi da sostenerlo? Ma se il segno della croce praticato, ripetuto, caro, considerato come arma invincibile, universale, permanente, necessaria alla umanità contro satana, le sue tentazioni e i suoi angeli, è una inspirazione divina, che vuoi che io pensi di un mondo, che non comprende più un tal segno, che più non lo esegue, che si vergogna di esso, che più non lo saluta, che lo vuole scomparso dalla vista degli occhi suoi, e dal cospetto del sole? A meno che la natura umana non si sia del tutto immutata, e che il dualismo non sia che una chimera; a meno che satana non abbia abbandonata la pugna; a meno che le creature non abbiano cessato di essere i veicoli delle sue funeste influenze: il Cristiano d’oggidì sprezzatore del segno della croce non è che un rampollo degenere di una nobile razza. Desso è un razionalista insensato che non comprende più la lotta, nè le condizioni di essa; il secolo decimonono è un soldato presuntuoso, che, spezzate le armi, e deposta ogni armatura, si getta alla cieca nel mezzo delle spade e delle lance nemiche, con braccia legate, e a petto nudo; la società moderna, una città, sommersa nel sensualismo de’ baccanali, smantellata, circondata d’innumerevoli inimici, che agognano a farne ruina, e passare a fil di spada la guarnigione. Farne una ruina! Ma non è questa già fatta? Ruina di credenze, ruina di costumi, ruina dell’autorità, ruina della tradizione, ruina del timor di Dio e della coscienza, ruina della virtù, della probità, della mortificazione, dell’ubbidienza, dello spirito di sacrifizio, di rassegnazione e di speranza: dappertutto, ruine cominciate, o ruine compite. Nella vita pubblica e nella privata, nelle città e nelle borgate, nei governanti e nei governati, nell’ordine delle idee e nel dominio de’ fatti, quanto di perfettamente cattolico resta incolume, ed intero? Ma in tutto ciò nulla v’ha, caro Federico, che ci debba meravigliare. Togli il segno della croce e tutto si spiega. Meno v’ha di croci nel mondo, più v’ha di satana. La croce è il parafulmine del mondo; toglilo, e la folgore cade a schiacciare e bruciare. Il segno della croce accenna al dominio del vincitore, n’è trofeo : spezzarlo è un far rivivere l’antico tiranno, e preparargli il ritorno.  Ascolta quanto scriveva, or sono diciassette secoli, uno degli uomini, che abbiano intesa tutta la misteriosa potenza di questo segno, dico il martire, il più illustre fra i martiri, Ignazio di Antiochia. Contempla questo Vescovo dai bianchi capelli, carico di catene, che attraversa seicento leghe per condursi a farsi dilaniare da’ leoni al cospetto della gran Roma. Vedilo; è calmo quasi fosse sull’altare, ilare, come se andasse ad una festa, e dà, lungo il cammino, istruzioni ed incoraggiamenti alle chiese dell’Asia accorse a salutarlo. Questi nella sua ammirabile lettera a’ Cristiani di Filippi, scrive: e il principe di questo mondo mena gran festa, quando qualcuno rinnega la croce. Esso conosce esser la croce, che gli apporta la morte, perchè dessa è l’arme distruggitrice di sua potenza. La vista di essa gli mette orrore, il suo nome lo spaventa. Innanzi questa venisse fatta, nulla trasandò perchè la si formasse, ed a siffatta opera egli spinse i figli della incredulità, Giuda, i Farisei, i Sadducei, i vecchi, i giovani, i sacerdoti: ma tosto che la vide sul punto d’essere compita si turba. Immette rimorsi nell’animo del traditore, gli presenta la corda, lo spinge a strangolarsi; spaventa con segni la moglie di Pilato, ed usa ogni sforzo ad impedire che venisse compiuta la croce, non perchè avesse rimorso, che se ne avesse non sarebbe del tutto cattivo; ma perchè presentiva la sua disfatta. Nè s’ingannava: la croce è il principio della sua condanna, di sua morte, e della sua perdita ». – Ecco due insegnamenti: orrore e timore di satana alla vista della croce e del segno di essa; gioia di lui nell’assenza dell’una e dell’altro. Vede egli un’anima, un paese senza la croce vi entra senza paura, e vi dimora tranquillo. Come inevitabilmente al cader del sole le tenebre succedono alla luce, così del pari desso ristabilisce il suo impero al disparir della croce. Il mondo attuale n’è sensibile prova. Non parlo del diluvio di negazioni, empietà, bestemmie inaudite che inondano il mondo, ma, che cosa mai sono, per chi non si soddisfa di sole parole, i milioni di tavole giranti e parlanti, gli spiriti battenti o familiari, le apparizioni, le evocazioni, questi oracoli e consultazioni medicali, le comunicazioni con i pretesi morti, che, ad un tratto, hanno invaso il vecchio ed il nuovo mondo (Dopo diciannove secoli di Cristianesimo vediamo ripetute le pratiche occulte di Delfo, di Dodone e di Sinope. La demonolatria assume nuove forme; mesmerismo, magnetismo, sonnambulismo, spiritismo, ipnotismo ed altre diavolerie, non sono altro che satanismo, sicrivea Ventura a M. des Mouseaux, la magia al secolo IIX. Lo spiritismo si è costituito in società sotto il nome Società Parisienne des spirites; ha le sue sedute, le sue contribuzioni, più migliaia di aderenti, che cerca moltiplicare per l’organo de’ giornali, due in Francia, ed un altro in Napoli. Insegna per mezzo de’ suoi mediums, o spiriti dei trapassati, che la religione cristiana è un mezzo per passare alla vera religione degli spiriti: che non esiste eternità di pene, ed ultimamente lo spirito di Orsini ha insegnato in Napoli che può uccidersi ogni tiranno! (Unità Cattolica, 21 gennaio 64. Il patriarca della nuova religione è Alan-Kardek, che a spese de’ gonzi e de’ superstiziosi, introita ogni anso 250,000 franchi. Tutto ciò in pieno secolo XIX! – Nota del Trad.). – Son forse queste cose nuove? No: l’umanità le ha già viste. Ma quando? Quando il segno della croce non proteggeva il mondo, quando satana era dio e re delle società! Di presente siffatte cose col ricomparire con proporzioni ignote di poi il vecchio paganesimo, quale avvertenza ne danno? se non che il segno liberatore cessando di proteggere il mondo, satana lo invade di nuovo. – Tu il vedi, caro amico, sono ben poco intelligenti quelli che abbandonano il segno della croce. Sieno eglino oggetto di nostra compassione e non d’imitazione! Fra tutte le circostanze in cui è da separarsi da loro, ve n’ha una in che lo si deve inevitabilmente. Per noi, come per i nostri padri, il segno della croce avanti e dopo il pranzo dev’esser cosa sacra; poiché come tale lo comandano la ragione, l’onore, la libertà.  La ragione. Se interroghi i tuoi compagni dimandando loro perchè non facciano il segno della croce innanzi prendano il cibo, ciascuno ti dirà: Non voglio singolarizzarmi operando altrimenti degli altri. Non voglio ch’io sia segnato a dito, e che altri si burli di me, per la osservanza di una pratica inutile, ed ormai fuori moda.  Non vogliono singolarizzarsi! Per loro onore, stimo credere, che non intendano la forza di siffatta espressione. Singolarizzarsi, è un dire, isolarsi, non operare come tutti gli altri. In siffatto senso si può ben essere singolare senza taccia di ridicolo; anzi, v’hanno delle circostanze ch’è mestieri esserlo ad isfuggire la colpa. Nel mezzo di un manicomio, l’uomo ragionevole che opera assennatamente; in un paese di ladri, l’uomo onesto, che rispetta l’altrui, sono de’ singolari: son dessi ridicoli? Nel senso in che è presa da’ tuoi compagni, singolarizzarsi vuol dire isolarsi, operando con maniere, che, movendo al riso, si oppongono agli usi ammessi e ci rendono ridicoli. Resta però vedere se, fare siffatto segno innanzi e dopo il pranzo sia un singolarizzarsi in maniera ridicola. Per fermo, ti diranno, perchè è un operare altrimenti dagli altri. Ma v’hanno altri ed altri. V’hanno alcuni, che fanno il segno della croce, e ve n’hanno altri ancora che non lo eseguono. Di siffatto modo facendolo o non facendolo noi non ci singolarizziamo, noi siamo sempre con altri. Siam noi ridicoli? Per rispondere a tale dimanda è da osservare chi sieno quelli, che fanno un tal segno, e chi quelli, che lo trasandano. Quelli che lo praticano sono tu, io, la tua onorevole famiglia, la mia, nè siam soli; prima di noi e con noi ve n’hanno ben altri ancora. V’hanno tutti i veri e coraggiosi Cattolici dell’Oriente e dell’Occidente da poi diciotto secoli, i quali, come vedemmo, sono il fiore della umanità, e con siffatta compagnia si diviene sì poco ridicolo, ch’è un esserlo al sommo, non appartenendo ad essa. Se ne eccettui quelli che vivono di parole, e che con esse vorrebbero tutto pagare, la proposizione è indegna di esser discussa. Nulla v’ha di più certo dell’aver con tutto studio il fiore della umanità eseguito il segno della croce, avanti e dopo il pranzo. I Padri de’ quali, ho testé apportate le sublimi testimonianze, Tertulliano, S. Cirillo, S. Efrem, S. Crisostomo, non lasciano alcun dubbio sulla universalità di questa religiosa usanza, presso tutti i Cristiani della primitiva Chiesa. Ma lascia che io ne aggiunga qualche altro. Quando si siede a mensa, dice il grande Atanasio, e si spezza il pane, lo si benedice per tre volte col segno della croce, e si rendono le grazie » (Cum in mensa sederis, coeperisque frangere panem, ipso ter consígnato signocrucis, gratias age. – De Viginet., n. 13). La benedizione della mensa col segno della croce non era solamente in uso presso le famiglie nella vita civile, ma l’era altresì negli eserciti, nella vita del campo. S. Gregorio di Nazianzo racconta, a questo proposito, un fatto venuto in gran fama. Giuliano, l’Apostata, gratificava l’esercito con istraordinaria distribuzione di viveri e di danaro. Dal lato al principe v’era un braciere acceso, e tutti i soldati vi gettavano un granello d’incenso. I soldati Cristiani imitarono i commilitoni pagani, nulla sapendo che in ciò vi fosse idolatria. Compiuta la distribuzione, tutti in uno raccolti desinavano in onore del principe. Sul cominciar della mensa, fu presentata la coppa ad un soldato cristiano, e questi, secondo l’usato, la benedisse. Tosto una voce si levò a dirgli: Quello che fai ripugna a quanto testé operasti. Che feci? Hai tu dimenticato l’incenso ed il braciere? Ignori che idolatrasti, che rinnegasti la tua fede?  Com’ebbe ciò inteso, levossi il guerriero e con lui i compagni d’arme, e tutti gemendo e strappandosi i capelli, a grandi grida, si dichiararono Cristiani, e protestarono contro l’inganno loro fatto dall’imperatore, e domandarono nuove prove per confessare la propria credenza.  L’apostata fattili arrestare e legare li condannò a morire, e dispose venissero condotti al luogo del supplizio;ma, a non far de’ martiri, accordò loro la vita rilegandoli nelle più lontane frontiere dell’impero (Orat. 1, contra Julian., Theodoret. – Hist., lib. Ill, c. 16). – Quando un prete trovavasi in un convito, a lui apparteneva l’onore di fare il segno della croce sugli alimenti (Ruinart. – Actes du martyrs de saint Theodoret). – La benedizione della mensa era in tanta stima di cosa santa, che al nono secolo i Bulgari convertiti alla fede dimandavano al Papa Nicolò I, se il semplice laico potesse supplire al prete in tale funzione. Per fermo, rispose il Pontefice; avvegnaché, a tutti è commesso preservare, col segno della croce, quanto gli appartiene, dalle insidie del demonio, e trionfare di tutti i suoi attacchi per lo nome di nostro Signore (Nam omnibus datum est, ut et omnia nostra hoc signo debeamus ab insidiis munire diaboli, et ab ejus omnibus impugnationibus in Christi nomine triumphare. – Resp. ad consult. Bulgar.). I tempi successivi han visto perpetuarsi presso tutti i veri Cattolici dell’Oriente e dell’Occidente l’uso del segno della croce prima e dopo il pranzo, e tu sai come sussista ancora di presente. – Noi conosciamo quelli che fanno il segno della croce, e gli altri che non lo fanno; è da vedere a chi i tuoi compagni diano la preferenza. I pagani non lo fanno, ed i giudei nemmeno, i maomettani neppure, gli atei e i cattivi Cattolici neanche, i Cattolici ignoranti o schiavi del rispetto umano parimente lo trasandano. Ecco quelli che non fanno il segno della croce, e che beffano quanti sono teneri di si pia usanza. Da qual lato è la singolarità ridicola?  Nella prossima lettera il resto della obbiezione.

IL SEGNO DELLA CROCE (17)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (17)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMASESTA.

11 dicembre.

Il segno della croce mette in pezzi gli idoli e ne scaccia i demoni: prove. — Libera da essi gli energumeni: esempi. Recente aneddoto. – Nuove prove. — Rende inutili gli attacchi diretti del demonio: prove. Gli attacchi indiretti: prove: — Tutte le creature soggette al demonio sono strumenti da lui usati a nostra rovina.  — Il segno della croce le sottrae a tale dominio, ed impedisce che siano nocevoli all’anima ed al corpo nostro. — Profonda filosofa dei primitivi Cristiani. — Loro uso del segno della croce. — Quadro di San Giovanni Crisostomo.

La potenza del segno della croce deve estendersi al pari di quella di satana, mio caro Federico. L’usurpatore infernale si è impossessato di tutte le parti della creazione, ed il proprietario legittimo ha dovuto cacciarnelo, e dare a chi avea il diritto di possederle un mezzo onde mettere in fuga un tale usurpatore. Epperò il segno della croce ha, non solamente il potere d’impedire a satana il parlare, ma l’obbliga ad abbandonare le cose ed i corpi che padroneggia. — In conferma di tale verità apportiamo qualche fatto scelto fra mille. Regnava l’imperatore Antonino, e questo Cesare filosofo rompeva a crudelissima persecuzione contro i fedeli. Roma era gremita d’idoli, ed ai piedi di essi erano trascinati i nostri avi per forzarli ad offrire l’incenso. Una delle eroiche nostre sorelle Gligeria, è condotta alla presenza del governatore della imperiale città. « Vediamo, questi le dice, prendi questa fiaccola e sacrifica a Giove. No, risponde la vergine cristiana, io sacrifico all’eterno Dio, e non m’è però mestieri avere il fumo delle fiaccole: fa che sieno estinte, perchè il mio sacrifizio torni a Lui più gradito. Il governatore il comanda, e le fiaccole sono spente. Allora la nobile e casta vergine eleva gli occhi al cielo, stende la mano verso il popolo, e cosi ella gli parla: Vedete la fiaccola, che orna, e splende sulla mia fronte. Così detto fa il segno della croce ed esclama: Dio onnipossente, che siete onorato da’ vostri servi colla croce di G. – C. mandate deh! in pezzi questo demonio fatto dalla mano dell’uomo. Tosto ch’ella ebbe cosi pregato Dio, un fulmine cade, e la statua di Giove è abbattuta » (Baron. T. II.). Simile cosa leggiamo nella persona di san Procopio. Condotto innanzi agli idoli, il glorioso atleta vi resta in piedi, e rivolgesi verso l’Oriente, e forma il segno venerando su tutto il suo corpo; quindi alzando gli occhi e le mani verso il cielo dice « Signor Gesù Cristo! » Nello stesso tempo fa contro la statua un segno di croce, che accompagna con queste parole « Simulacri immondi, io vi dico, temete il nome del mio Dio, fondetevi in acqua e spargetevi sul suolo di questo tempio ». Detto, fatto (Surius, in die 8 oct.). Costretto satana, a vista del segno della croce, ad abbandonare i luoghi da lui abitati, per la virtù dello slesso segno è obbligato di lasciare i corpi degl’infelici di che erasi impossessato. Qui ancora i fatti abbondano, confermati da testimoni degnissimi di fede. – Ed eccoti innanzi ogni altro S. Gregorio, uno de’ più gloriosi Pontefici che abbiano governata la Chiesa Cattolica, che ci racconta un fatto ch’ebbe luogo nella patria sua. A tempo de’ Goti, scriv’egli, il re Totila venne in Narni, piccola città a poche miglia da Roma, essendone vescovo Cassio. Il santo Vescovo credette condursi all’incontro del principe. Il continuo piangere avea arrossito gli occhi ed il volto del santo di modo, che Totila, nulla sapendone, lo attribui ad intemperante uso di vino, epperò mostrò profondo disprezzo per l’uomo di Dio. Ma l’Onnipossente volle mostrare quanto grande fosse colui, che veniva fatto segno al disprezzo del sovrano; epperò nella pianura di Marni alla presenza di tutta l’armata un demonio s’impossessa dello scudiere del re, e ne fa acerbissimo strazio. Lo conducono a Cassio alla presenza del re, ed il santo fatto il segno della croce, il demonio è scacciato. Da quel momento il disprezzo di Totila si rimutò in stima, conoscendo a fondo colui che uvea vilipeso giudicando dalle sole apparenze » (Vir Domini, oratione facta, signo Crucis expulit. Dialog. lib. III, cap. 6). Ascolta questo altro fatto ammirato dalla patria tua. Nella Prussia in un certo luogo chiamato Velsenberg, viveva un uomo ricco e potente a nome Ethelbert, che era posseduto da un demonio; il perchè era uopo assicurarsene con ferri e catene. Molti lo visitavano nei suoi dolori, ed un giorno in presenza di alquanti pagani, e de’ sacerdoti degl’idoli, il demonio gridò: Se il servo di Dio vivo, Swirbert, Vescovo de’ Cristiani non viene, io non partirò da questo corpo. E perchè il demonio non cessava dal ripetere la stessa cosa, gl’idolatri confusi si ritirarono, non sapendo che fare: ma dopo molte esitazioni, si decisero di andar pel santo, e trovatolo lo pregarono con ogni instanza perchè si rendesse presso l’ossesso. Swirbert apostolo della Frisia, e di una parte dell’Alemagna, come devi sapere, consentì, e tosto che il santo mosse verso l’ossesso, questi digrignava i denti, e metteva grida orribili; ma come il santo si avvicinava all’abitazione lo sventurato ammansiva, e restò in fine tranquillo nel suo letto, quasi fosse dolcemente addormentato. Il santo guardatolo, dice a’ suoi compagni di mettersi a pregare, ed egli medesimo prega il Signore perchè si degni scacciare il demonio dal corpo di quello infelice per la gloria del suo Nome, e per la conversione degl’increduli. Finita la preghiera, si alza e fa il segno della croce sull’ossesso, dicendo: « In nome di nostro Signore Gesù Cristo, ti comando, spirito immondo, di uscire da questa creatura di Dio, affinchè essa conosca Colui ch’è vero suo Creatore. Lo spirito maligno al momento istesso sorte lasciando un fetore terribile » (Signavit dæmoniacum signo salutiferae crucis, dicens: In nomine Domini nostri Jesu Christi praecipio Ubi, immunde spiritus, ut exeas ab hao Dei creatura, ut agnoscat suum verum Creatorem. Statimque cum fœtore spiritus malignus exiit.- Marcellin. in vit. S. Sirirbert., c. XX). L’infermo gongolando di gioia, cadeai piedi del santo e dimanda il battesimo, che gli fu accordato. – Ecco, caro Federico, quanto accadeva nella Prussia quando usciva dalla barbarie. Là come dappertutto, a colpi di miracoli il Vangelo s’è fatto accettare, ed il segno della croce n’è stato lo strumento ordinario. Qual è oggi la religione de’ Prussiani? È quella de’ loro primi apostoli? Quella che insegna a fare il segno della croce? – I protestanti dicono che un uomo onesto non deve mutare religione, ed eglino affermano di amare quanti, che conservano la religione de’ padri loro; ma, per me, amo più ancora quelli che conservano la Religione degli avi. – A questo proposito, tu conosci quanto raccontasi del celebre conte di Stolberg, di questo amabile e dotto uomo, una delle glorie della vostra Alemagna, che avea abiurato il protestantesimo: Il re di Prussia ne rimase sì dolente da ritirargli la sua grazia, ma dopo alcuni anni, avendo bisogno di consiglio, mandò per lui. Come il conte fu alla presenza del re, questi gli disse: « Non posso dissimularvi, signor conte, che ho poca stima per un uomo, che muta religione. Ed il conte di rimando: Ecco perchè, Sire, disprezzo profondamente Lutero ». – Che il segno della croce sia arma universale e potente a cacciar dal corpo degli ossessi satana, è chiaro per gli esorcismi della Chiesa. Se tu dai uno sguardo al Rituale romano, tu avrai la prova di quanto dico. Ora gli esorcismi con le loro insufflazioni ed il segno della croce rimontano alla culla del Cristianesimo. Tutti i Padri dell’Oriente e dell’Occidente, che hanno parlato del Battesimo ne fanno menzione. In luogo di tutti ascolta S. Gregorio il Grande. « Quando il catecumeno si presenta per essere esorcizzato, il prete gli soffia in volto affinchè, il demonio scacciato, sia libera l’entrata a Gesù Cristo nostro Dio. Dopo gli fa il segno della croce sulla fronte dicendo: Ti segno colla croce di Nostro Signore Gesù Cristo. E sul petto dicendo: Pongo nel tuo petto il segno della croce di Nostro Signore Gesù Cristo » (Cum ad exoreizandum ducitur, prinio a Sacerdote exsuffletur in faciem ejus, ut, fugato diabolo, Christo Deo nostro pateat introitus. Et tunc in fronte crux Christi agatur, dicendo, etc. – S. Greg. Sacramentar.). – Come qui li vedi descritti, gli esorcismi hanno traversato i secoli, e di presente, essi sono ancora in uso su tutti i punti del pianeta, ove trovasi un prete cattolico, ed una creatura umana da sottrarre all’impero di satana. – Ma i demoni dimorano non solo ne’ tempi e nelle statue dove riscuotono onori divini, nè solamente ne’ corpi degl’infelici, ch’eglino tormentano, ma sono dapertutto, e l’aria n’è piena. Nemici infaticabili ci attaccano di continuo direttamente, o indirettamente per lo mezzo delle creature. Diretti o indiretti, aperti o nascosti, i loro attacchi diventano inutili innanzi al segno della croce. Il Signore, dice Arnobio, ha formato le nostre dita alla pugna, affinchè quando siamo attaccati da’ nostri nemici visibili ed invisibili, noi ne usassimo a formare sulla nostra fronte il segno trionfale della croce (Arnob. in Psalm. CXVIII). – Fra le mille eroine del Cristianesimo, che, fior di beltà e di purezza, maneggiavano quest’arma, quando l’iniquità de’ persecutori le condannava a perdere il candore del giglio di che erano tenerissime, è da annoverare Giustina da Nicomedia. Questa, nata di nobilissima schiatta, quanto bellissima altrettanto ricca, sprezzatrice era del mondo e tipo di cristiana modestia. Queste virtù non la salvarono dall’inspirare ad un giovane pagano cocentissimo amore. L’idolatro giovane a nome Aglaida, per ottenere il cuore di Giustina usò offerte, promesse, preghiere, ma queste inutili tornavano; poiché lo sposo della vergine cristiana era il crocifisso Signore, e da esso non valevano argomenti umani a separarla. Aglaida disperato fa ricorso a Cipriano, venuto in gran fama di mago nella città; ma, questi acceso di eguale amore per Giustina, usò a proprio conto delle sue malie. Tutto l’inferno mosse al soccorso di lui. I demoni i più violenti furono sbrigliati contro la casta e pura vergine di Nicomedia; ma Giustina moltiplicava le preghiere, le mortificazioni, e tutta in Dio raccolta, vigilante, nel forte della battaglia si segnava col segno salutare, ed i demoni vinti e scornati prendevano la fuga. Con tale arma Giustina, non solo salvò la sua virtù, ma ebbe ancora la gloria di guadagnare Cipriano, che fu martire, e divenne una delle più gloriose conquiste del segno trionfatore (Vita 26 sett.). – Antonio, il grande atleta del deserto, maneggiò parimenti quest’arma vittoriosa in tutta la sua vita, che fu continua pugna contro satana, e con essa vinceva il nemico, che, nel forte della pugna, prendeva tutte le forme. Lasciamo parlare il degno storico di un tal uomo. – « Alcune volte, dice santo Atanasio, tale un fracasso orrendo faceasi sentire, che la caverna di Antonio tutta ne tremava, e dalle squarciate pareti si precipitavano in folla i demoni, che prendendo le forme di bestie la riempivano di serpenti, di leoni, di tori, di lupi, d’aspidi, di dragoni, scorpioni, orsi e leopardi, e ciascuno dava grida alla maniera della bestia di che avea presa la figura. Il leone ruggiva, e mostravasi di volerlo addentare, il toro muggendo lo minacciava con le corna, il serpe facea sentire il suo sibilo, il lupo mostrava le zanne, il leopardo colla variopinta pelle mostrava tutta l’astuzia dello spirito infernale; tutti presentavano figure spaventose a vedere, e mettevano voci orribili a sentire. « Antonio, or battuto or ferito, sentiva vivissimi dolori nel corpo, ma l’animo contemplativo restava imperturbabile. Tuttavolta le ferite gli strappassero delle grida di dolore, pure sempre ad un modo parlava a’ suoi nemici burlandosi di loro : « Se voi aveste della forza, diceva Antonio, un solo di voi basterebbe ad uccidermi; ma, poiché la potenza del mio Dio vi snerva, voi venite in folla per farmi paura ». Ed aggiungeva: « Se voi avete qualche potere, se Dio m’ha abbandonato a voi, eccomi, divoratemi; ma se nulla potete, perchè tanti sforzi inutili? Il segno della croce e la confidenza in Dio sono per noi fortezza inespugnabile » (Signum enim crucis et fides ad Dominum inexpugnabilis nobis murus est. – De vit. S. Ant.). Allora i demoni digrignavano i denti, facevano mille minacce ad Antonio, ma vedendo che i loro attacchi a null’altro riuscivano che a farsi beffare, lo lasciavano per tornare a nuovi assalti. Il coraggioso parlare che Antonio, per la fede, faceva a’ demoni, lo ripeteva a’ filosofi pagani: « Quale utilità dal disputare? diceva il patriarca del deserto a questi eterni indagatori di verità. Noi pronunziamo il Nome del Crocifisso, e tutti i demoni che voi adorate come dei arrossiscono. Al primo segno della croce, eglino abbandonano gli ossessi. Vedete: dove sono gli oracoli bugiardi? ove gl’incanti degli Egiziani? Tutto è stato distrutto da che il Nome di Gesù Crocifisso ha rimbombato nel mondo ». Quindi avendo fatto venire degli ossessi, continuando cosi diceva a’ suoi interlocutori: « Coi vostri sillogismi, o con qualsiasi incanto liberate queste povere vittime da quelli, che voi chiamate dei; ma se non lo potete, confessatevi vinti. Ricorrete al segno della croce, e l’umiltà di vostra fede sarà seguita da un miracolo di potenza ». A queste parole, egli invoca il nome di Gesù, fa il segno della croce sulla fronte degli ossessi, ed i demoni fuggono alla presenza de’ filosofi confusi ( Ibid.). ». – I fatti dello stesso genere sono numerosi quasi come le pagine dell’istoria. Tu li conosci, io passo oltre. Agli attacchi diretti e palesi, i demoni aggiungono gl’indiretti e nascosti, non meno pericolosi de’ primi, e più frequenti. Ve n’hanno di due sorta: gli uni interiori, e gli altri esteriori. I primi sono le tentazioni propriamente dette. Ti ho già detto che la croce è l’arma vittoriosa, che le dissipa, e dicendolo mi rendo eco della tradizione universale, e della esperienza giornaliera. « Quando voi fate il segno della croce, ricordate quello che esso significate voi ammansirete la collera, e tutti i movimenti disordinati dell’animo », diceva il Grisostomo (Cum signaris, tibi in mentem veniat totum crucis argumentum, ac tum iram omnesque a ratione adversos animi impetus extinseris. – S. Joan Chrys. Ve adorat. pret. Crucis, n. 3), ed Origene aggiunge: «È tale la potenza del segno della croce, che se la si tiene innanzi agli occhi, e nel cuore, non v’ha concupiscenza, nè voluttà, nè furore che le possa resistere: alla sua presenza tutto l’esercito della carne e del peccato è sconfitto » (Origen. Comment, in Epint. ad Roman., lib. VI, n. 1). I secondi attacchi vengono dal di fuori. Nessuna creatura sfugge alle maligne influenze di satana, e di tutte egli fa strumento della sua collera implacabile contro l’uomo. Te l’ho già mostrato, è un articolo della credenza del genere umano. Quale arma Dio ci ha dato, poiché egli dovea darcene una, per liberarci da tali influenze, e liberandocene preservare la nostra anima ed il nostro corpo dalle funeste insidie di colui, ch’è chiamato, con ragione, il grande omicida, Homicida ab initio? Tutte le generazioni si levano dal fondo de’ sepolcri, per dirmi: È il segno della croce! Tutti i Cattolici viventi nelle cinque parti del mondo, uniscono la loro voce a quella de’ loro antenati e ripetono: È il segno della croce! Scudo impenetrabile, torre fortissima, arma speciale contro il demonio, arma universale del pari potente contro i nemici visibili ed invisibili, arma facile per i deboli, gratuita per i poveri: è questa la definizione, che i morti ed i vivi ci danno del segno adorabile. Quindi due grandi verità: la soggezione di tutte le creature al demonio, e la potenza del segno liberatore a liberarle da essa, ed impedir loro di non nuocerci. Da queste due verità profondamente sentite, sempre antiche e sempre nuove, sortono due fatti logici. Il primo, l’uso degli esorcismi nella Chiesa cattolica; il secondo, l’uso incessante del segno della croce presso i primitivi Cristiani. Che cosa infatti significa l’esorcismo? La credenza, che ha la Chiesa intorno al dominio, che satana esercita sulla creatura. Qual è l’effetto degli esorcismi? Il liberare le creature da questa servitù. Ora, siccome non v’ha creatura che non sia esorcizzata dalla Chiesa, ne segue, che a’ suoi occhi l’universo in tutte le sue parti è un gran schiavo, un grande ossesso, (Questa espressione dell’autore potrà sembrare esagerata; però crediamo aggiungere qualche parola di S. Agostino, che le dà tutta la verosimiglianza. Il santo dottore per ispiegare come i maghi possano, per lo mezzo di satana, operare delle cose straordinarie, afferma che a ciascuna cosa visibile presiede uno spirito, il quale agisce in esse come in parte disgiunta dall’universo; cioè con azione particolare che non può alterare le leggi generali: e come in parte che entra nell’ordine cosmico, e sottosta all’azione universale, e forma parte delle leggi, che reggono l’universo fisico. Per quest’azione che ha satana negli esseri particolari produce delle cose straordinarie,sottostando sempre all’azione della provvidenza divina, che regge tutto il cosmo.  – De diversis quæst. 83, quæst. LXXIX, n. 1.). – – Una grande macchina da guerra continuamente contro noi elevata. Ed a sua volta che cosa era il continuo uso del segno della croce presso i Cristiani? Un esorcismo continuato. Se, con la Chiesa cattolica e col genere umano, si ammette che il demonio agogna asservare tutte le creature, ed usare di tutte esse a veicolo delle sue maligne influenze; che a ciascun’ora, in ogni momento, e per ogni azione l’uomo può entrare in contatto con esse, qual cosa mai è più ragionevole dell’uso costante di un’arma cotanto necessaria? Per le quali cose, il frequente uso di questa segno presso i nostri avi, mostrala loro profonda filosofia. Eglino conoscevano a fondo, ed in tutta la sua distesa la legge del mondo morale, il dualismo; comprendevano che, l’attacco essendo universale e continuo, era mestieri, per conservare l’equilibrio, che la difesa fosse universale e del pari continuata (Per intendere come satana usi di tutti gli elementi della natura per apportar del male alla umana famiglia, e sfogare contro essa l’invidia di che è pieno, è da leggere l’eccellente opera, approvata dall’accademia di Francia, e scritta da una delle sue principali glorie, Monsieur de Mirville. In essa si troverà svolta con scienza ed erudizione questa parte dell’arte satanica: l’opera ha per titolo: Des Esprits ctc. Esortiamo, ancora per lo stesso fine, alla lettura dell’altra eccellente opera di M.r de Mouseaux: La Magie au XIX siecle). Di nuovo, che di più logico? Eglino facevano il segno della croce sopra ciascuno de’ loro sensi. Vuoi intenderne il perchè? I sensi sono le porte dell’anima, e servono da intermedi tra essa e le creature. Quando essi sono segnati della croce, le creature non possono entrare in comunicazione con l’animo, che per lo mezzo de’ mediatori santificati, dove perdono le loro funeste influenze. Ma questo non bastava per i nostri padri. Eglino facevano l’adorabile segno su tutti gli oggetti di loro uso, e per quanto loro fosse possibile, su tutte le parti della creazione. Le case, i mobili, le porte, le fontane, i limiti de’campi, le colonne degli edifizi, le navi, i ponti, le medaglie, le bandiere, i cimieri, gli scudi, gli anelli: in tutto era impresso 1’adorando segno. Impediti dalle occupazioni e dalle distanze de’ luoghi di ripeterlo continuamente ed in ogni dove, lo immobilizzavano scolpendolo e dipingendolo sul prospetto di tutte le creature, fra le quali passavano la loro vita. Parafulmine e monumento di vittoria, tale era allora il segno augusto. Parafulmine divino, atto ad allontanare i principi dell’aria con la loro incalcolabile malizia, ben altrimenti dalle barre di ferro, che sormontano i nostri edifizi per scaricare le nubi pregne di elettricismo. Monumento di vittoria che accenna alla vittoria del Verbo incarnato riportata sul re di questo mondo, come le colonne dal vincitore elevate sul campo di battaglia servono da monumento commemorativo della sconfitta dal nemico sofferta.- Dalle alture di Costantinopoli contempliamo con san Giovanni Grisostomo il mondo smaltato di questi parafulmini, e da questi monumenti di vittorie, « Più preziosa dell’universo, dice l’eloquente patriarca, la croce brilla sul diadema degl’imperatori. Dappertutto dessa si presenta al mio sguardo, e la trovo presso i re, e presso i sudditi, presso le donne e gli uomini; con essa si ornano le vergini e quelle che menarono marito, gli schiavi ed i liberi. Tutti la segnano sulla miglior parte del loro corpo, la fronte, dov’essa risplende come una colonna di gloria. Dessa è alla sacra mensa; nelle ordinazioni de’ preti non manca, ed alla cena mistica del Salvatore io la rimiro: dessa è scolpita in tutti i punti dell’orizzonte, sormonta le case, si eleva nelle pubbliche piazze, ne’ luoghi abitati e nei diserti, lungo le strade, sulle montagne, ne’ boschi, sulle colline, sul mare al sommo delle navi, nelle isole; dessa è sulle finestre e su le porte, al collo de’ Cristiani, sui letti e gli abiti, sui libri e sulle armi ; ne’ festini, sui vasi di oro e di argento , sulle pietre preziose, nelle pitture degli appartamenti. « La si forma sugli animali infermi, su gli ossessi, nella guerra e nella pace, il giorno e la notte, nelle riunioni da sollazzo e di penitenza. Appartiene a chiunque cerca essere protetto da questo segno adorabile. Che v’ha da recar meraviglia? Il segno della croce è il simbolo della nostra emancipazione dalla schiavitù, il monumento della libertà del mondo, ricordo della mansuetudine del Signore. Quando tu lo esegui ricorda il prezzo sborsato pel tuo riscatto, e tu non sarai schiavo di nessuno. Eseguilo, non solo col tuo dito, ma più ancora con la tua fede. Se tu in tal modo lo farai sulla tua fronte, nessuno spirito potrà resistere alla tua presenza; egli vede il coltello da che è stato piagato, e la spada che l’ha ferito a morte. Se alla vista de’ luoghi del patibolo noi siamo presi da orrore; immagina quel che debba soffrire satana ed i suoi angeli, a vista dell’arme con che il Verbo eterno ha abattuta la potenza, ed ha troncato il capo al dragone » (Quod Christy sit Deus opp. t. 1, p. 698, edit. Paris; et in Math., homil. 54, t. VII, p. 610, et in c. Ill ad Philip.).

IL SEGNO DELLA CROCE (16)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (16)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMAQUINTA.

10 dicembre.

Risposta ad una questione. — Il segno della croce è un’arma, che dissipa l’inimico. — La vita è una lotta. — Contro chi. — Necessità di un’arma alla portata di tutti. – Quale sia. — Prove che il segno della croce è un’arma speciale, l’arma di precisione contro i cattivi spiriti.

Se tu mostrerai l’ultima mia lettera ai tuoi compagni, è ben facile, mio caro, ch’eglino ti dicano: Se il segno della croce è si potente, come vi si scrive, perchè non opera più quello, che ha fatto? A siffatta quistione v’hanno varie risposte. La è di S. Agostino la prima. Parlando de’ miracoli il santo fa una giustissima osservazione. I miracoli raccontati da libri santi hanno una grande pubblicità; tutti, che leggono le scritture, o le sentono, ne hanno contezza, e dovea essere a questo modo, perchè sono le prove della fede. Al presente ancora v’hanno de’ miracoli fatti in nome del Signore per lo mezzo de’ Sacramenti, e delle preghiere indirizzate a’ Santi, ma non hanno la istessa notorietà, si conoscono là solamente dove accadono, e se la città è grande, restano ancora ignoti ad un buon numero di abitanti, ed alle fiate, un piccolissimo numero di cittadini ne ha contezza. E quando questi miracoli sono raccontati ad altri, scemano nella certezza, non essendo tale l’autorità che li racconta, che li si ammettano senza difficoltà, tuttavolta sieno de’ cristiani, che ad altri Cristiani li raccontino (De Civ. Dei, lib. XVII, c. 8). In prova di che il santo racconta varii miracoli, di che egli era stato testimone, de’ quali, qualcuno operato dal segno della croce. Il perchè, dalla ignoranza che i tuoi compagni, o altri, possano avere de’ miracoli, che hanno luogo presentemente, non è da negare la esistenza di essi. A questa prima risposta è da aggiungere un’altra. Dessa è di un gran dottore, il Papa S. Gregorio (Hom. XXIX in Evang. post init.). Distinguendo egli gli antichi da’ moderni tempi, dice: « I miracoli al cominciar della Chiesa furono necessari; per essi la fede dovea stabilirsi. Quando affidiamo alla terra una pianta dobbiamo innaffiarla, perchè prenda radici, e quando ne siam certi noi desistiamo dal farlo, ed ecco ragione perchè l’Apostolo dica: Il dono della lingua è vero segno non per i fedeli, ma per gl’infedeli » (Homil. XXIX in Evang.). La coltura morale si assomiglia alla fisica. Di presente che il cristianesimo ha preso radici nelle viscere del mondo, nella coscienza umana, i miracoli non sono più necessari a quella maniera che lo erano al principio della divina piantagione. Da poi che il mondo crede, diceva S. Agostino, sono scorsi quindici secoli; colui, che per credere dimandasse ancora miracoli, sarebbe egli stesso un prodigio, chenel mezzo di un mondo che crede, è solo a miscredere (S. Aug. ubi supra). Ma dato ancora, ciò, che non ammettiamo, che il segno della croce non operi più miracoli, non mostra forse il suo potere sovraumano a ciascuna ora del giorno e della notte, ed in tutti i luoghi della terra? Se tu supponi cento milioni di tentazioni in un giorno, abbi per fermo, che tre quarti di esse sono dissipate dal segno della croce: chi non ne hafatto l’esperimento? Sii di ciò sicuro; e, ricordando che quanto da te vien fatto, è ripetuto dagli altri, tu potrai valutare la potenza permanente, ed universale del segno liberatore. Concedo ancora di più, ed ammetto che il segno della croce non riesca sempre ascacciare gl’immondi pensieri, a dissipare gl’incanti seduttori, a ritener l’anima sul pendio della colpa; ma di chi n’è la colpa? Non n’è forse la poca fede dei Cristiani? Non è forse da dire della inefficacia di questo segno, quanto a ragione dicesi della inutilità della Comunione per un gran numero? Il difetto non è da porre in quel che si riceve, ma nelle disposizioni di chi lo mangia: defectus non in cibo est, sed in edentis disposinone? Per guarire una tale mancanza di fede, che impoverisce e ruina i Cristiani, ho intrapreso questa nostra corrispondenza, e continuando svolgerò un nuovo titolo, che il segno della croce ha alla fiducia de’ Cristiani del secolo decimonono. – Soldati, il segno della croce è un’arma, che dissipa l’inimico! Sono già tremila anni che Giobbe definì la vita una lotta continua: Militia est vita hominis super terram. I secoli sono scorsi, le generazioni hanno succeduto ad altre generazioni, gl’imperi han dato luogo ad altri imperi; venti volte l’umanità s’è rinnovata, e la definizione di Giobbe è sempre vera. La vita è una lotta! Lotta continua per te, come per me, per i tuoi compagni, per tutti gli uomini. Lotta, il cui cominciamento è alla culla per finire alla tomba; lotta, che dura in lutti gl’istanti della notte e del giorno, sia che l’infermità ci appeni, o che la sanità ci conforti. Lotta decisiva, che dalla vittoria, o dalla disfatta dipende non la fortuna, o la sanità, non i temporali vantaggi si grandemente da noi stimali, ma ben altro, che a dismisura tutte queste passaggiere cose avanza; poiché, è da essa che una eternità felice, o una eternità di pene trae la origine sua! Ecco, mio caro amico, la condizione dell’uomo sulla terra: noi non possiamo mutarla. Chi sono i nemici dell’uomo? Ahimè! e chi può ignorarli di nome e per attacchi sofferti? Il demonio, la carne, il mondo; sono tre formidabili potenze, che agognano la nostra perdita. Non ho in pensiero farti un corso completo d’ascetismo, epperò parlerotti della sola prima. – Come è certo che v’ha un Dio, è certo che v’hanno de’demoni. « Se non v’è satana , non c’è Dio », diceva Voltaire; ed a ragione. Se non v’è satana, non v’è colpa; se non v’è colpa, non v’ha redenzione; se non redenzione, non esiste Cristianesimo; se non v’ha Cristianesimo, tutto è falso: il genere umano è pazzo, e Dio non esiste! Ora i demonii sono degli angeli prevaricatori, i quali per intelligenza, forza, ed agilità sorpassano l’uomo, e sono per numero incalcolabili. Pino all’estremo giudizio soggiornano nell’inferno, e nell’atmosfera, che ci circonda, dove invidiosi de* figli di Adamo chiamati alla felicità da essi perduta, si studiano con ogni mezzo di arreti-carci. Fomentano in noi le passioni ; ci creano d’intorno de’ pericoli, oscurano in noi l’occhio della fede, travolgono il senso morale, soffocano i rimorsi, ci rendono complici di loro rivolta per averci compagni de’ loro supplizi. Tutte queste verità, lo ripeto, sono certe al pari della esistenza di Dio. Tiranni dell’uomo per lo peccato, i demonii lo sono di tutte le creature sottoposte all’uomo; vinto il re, il suo regno appartiene al vincitore. Sparsi in tutte le parti del creato, ed in ciascuna creatura, le penetrano con le loro maligne influenze. Tra i limiti del potere, che loro da Dio viene accordato, essi ne formano strumento a disfogare il loro odio contro l’uomo, contro la sua anima ed il corpo. È questo ancora un dogma di fede universale. Che cosa mai conosce chi ciò ignora? Niente. Chi ne dubita? meno che niente. Quegli che lo miscrede non merita d’essere fra gli uomini ragionevoli. Esistendo la lotta, ed essendo l’uomo tale qual’egli è, potrai tu concepire che la sagezza divina abbia lasciato il genere umano senza difesa? Come non comprendere il contrario con la istessa evidenza, che due e due fanno quattro, che, per equilibrare la lotta, Dio ha dovuto dare all’uomo un’arma potente, universale, alla portata di tutti? Qual è quest’arma? Interroghiamo tutti i secoli, ed in principal modo i Cristiani, questi con grido unanime risponderanno: È il segno della croce! L’uso costante da essi fattone ribadisce la loro risposta. Questo punto di vista illumina la storia di questo segno adorabile, ne mostra la ragione, giustifica altamente la condotta de’ primi Cristiani, e condanna parimenti la nostra. – Nulla è a pezza più certo dell’essere il segno della croce arma di precisione contro satana, e suoi angeli. Dimmi: quando è da provare la forza di un cannone, di una carabina, o di qualsiasi arma nuovamente formata, in qual maniera si procede? Non si aggiusta mica alla cieca fede all’inventore, ma l’autorità forma una commissione, che alla presenza di giudici competenti fa saggio di essa, e dietro ripetute esperienze porta giudizio sul merito dello strumento guerresco al suo esame commesso. Non sia altrimenti per lo segno della croce. Ma ricorda solo, che questo segno divino non è testé formato; desso è di vecchia data, e vecchissima, ma non ruginosa, nè indebolita, nè fuori servizio. Il giuri poi dell’esame è formato da lungo tempo, e non lascia nulla a desiderare. Desso è composto di uomini competenti dell’Oriente e dell’Occidente; uomini della specialità, che da lungo tempo conoscono 1’arma in questione, ed il mestiere delle armi non solo in teoria, ma altresì praticamente. Ecco il tribunale, ascoltane il giudizio. – Crede egli alla potenza del segno della croce, ed alla forza di quest’arma divina contro i demoni, un giudice che siffattamente parla? « Non ti colga uscir da casa tua senza fare il segno della croce ; desso sarà per te bastone ed armatura inespugnabile: nè uomo, nè demonio oserà attaccarti, al vederti ricoperto di siffatta armatura, ed essa insegnerà a te stesso dover essere un soldato sollecito alla pugna contro satana, e guerreggiare per la corona di giustizia. Ignori forse l’operato dalla croce? La morte è stata vinta, il peccato distrutto, satana detronizzato, l’universo tornato a nuova vita; e dubiterai tu della potenza sua? » ((S. Chrysost., homil XXII ad popuL Antioch.). Vi crede questo secondo giudice, che in questi termini si esprime: « Il segno della croce è l’armatura invincibile de’ Cristiani. Soldato di Cristo, una tale armatura non ti abbandoni giammai né di giorno, nè di notte, in nessun tempo, ed in nessun luogo. Sia che tu dorma o vegli, che viaggi o riposi, che tu mangi o beva, che attraversi i mari od i fiumi, sii tu sempre coperto di questa corazza. Orna pure e proteggi le tue membra con questo segno vincitore, nulla ti potrà nuocere; non v’ha difesa simile ad esso per potere. A vista di questo segno le infernali potenze spaventate, tremano, e prendono la fuga » (S. Ephrem, De Panoplia et de pœnitentia, apud Gretzer. p. 580, 581, et 612).Vi crede, questo terzo giudice, che indirizza a’ Cristiani, e a sé stesso il seguente discorso: «Facciamo arditamente il segno della croce. Quando i demonii lo vedono, si ricordano del Crocifisso, prendono la fuga e ne lasciano tranquilli » (S Cyril. Hierosol. Cathec XIII).). E questo quarto? « Innalziamo sulle nostre fronti l’immortale stendardo; la sua vista fa tremare i demonii, che non temono i campidogli dorati, ed hanno paura della croce » (Origen., homil. VII in divers. Evangel. locis). Così giudica l’Oriente per l’organo de’ suoi illustri uomini S. Grisostomo, S. Efrem, S. Cirillo di Gerusalemme, ed Origine, cui sarebbe facile aggiungere altri nomi meritevoli di eguale rispetto. – Ascoltiamo l’Occidente. S. Agostino diceva a’ catecumeni: « Col simbolo, e con la croce è da muovere alla battaglia contro l’inimico. Il Cristiano rivestito di queste armi trionferà senza pena alcuna del suo antico e superbo tiranno. La croce basta a fare svanire tutte le macchinazioni degli spiriti delle tenebre » ( S. Aug ust. Lib. de symbol.,c. 1). Ed il suo illustre contemporaneo S. Girolamo: « Il segno della croce è scudo, che ci difende contro le infiammate freccie di satana » (S. Hieron. Ep. XVIII ad Eustoch.). Ed altrove: « Fate frequentemente il segno della croce sulla vostra fronte, onde non lasciar alcuna presa allo sterminatore dell’Egitto » (Idem, Ep.XCVII ad Demetriad.). E Lattanzio: « Perchè si conosca tutta la potenza del segno della croce, è da considerare quanto di esso s’impauri satana. Scongiurato nel nome di Cristo, questo segno lo scaccia dai posseduti da lui. Non v’ha da meravigliarne; quando il figlio di Dio era sulla terra, con una parola sola metteva in fuga satana, tornando il riposo e la sanità alle vittime di lui: ora i suoi discepoli scacciano gli stessi spiriti immondi in nome del loro Maestro, e col segno della sua passione » ({Lactant. lib. IV, c. 27).  – L’Oriente e l’Occidente hanno parlato. I giudici i più competenti, che immaginar si possa, hanno dichiarato il segno della croce arma, ed arma di precisione contro satana. Innumerevoli esperienze servono di base al loro giudizio, che ne’ primi secoli della Chiesa avevano luogo tutto giorno al cospetto de’ Cristiani e pagani su tutta la terra. Ed erano sì convincenti, da dire, il grande Atanasio, testimone oculare, senza temere di essere smentito: « per lo segno della croce tutti gli artifizii della magia sono impotenti, gl’idoli abbandonati. Per esso la voluttà per quanto sbrigliata sia e brutale, è moderata, le anime invilite ed infangate in essa sono rilevate dalla terra ed indirizzate al cielo. In altri tempi il demonio ad ingannare l’uomo prendeva diverse forme, e tenendosi sul margine de’ fiumi, ne’ boschi e sui monti sorprendeva con i suoi prestigi gli uomini insensati: ma, di poi la venuta del Verbo questi artifizii sono impotenti; avvignacene il segno della croce discopre tutte le sataniche furberie. Se alcuno volesse farne sperimento, basterebbe solo condursi nel mezzo de’ prestigi satanici, degli oracoli ingannatori, de’ miracoli della magia, e fatto quivi il segno della croce, invocando il nome del Signore, vedrebbe che per paura di questo sacro segno i demoni fuggono, gli oracoli si ammutoliscono, e le malefiche arti tornano impotenti » (S. Athan. Lib. de Incarnat. Verbi 1.). – Io voglio citarti qualcuna di queste esperienze. Il precettore del figlio di Costantino, Lattanzio, che sapeva delle cose della corte imperiale più che ogni altro il potesse, raccontò: « Lungo il soggiorno di Oriente, l’imperatore Massimino, curiosissimo di sapere i segreti dell’avvenire, immolava un giorno delle vittime per sapere, per lo mezzo delle loro viscere, le cose future. Qualcuna delle sue guardie cristiane fece il segno immortale, immortale signum, e tosto i demoni si solvono, il sacrifizio nulla predice » (Lactant. De mortib. persecut., c. 10). Se, a vista di questo segno, satana è costretto abbandonare i proprii tempi, come potrà restare negli altri luoghi? Ascoltiamo uno de’ più gravi dottori dell’Oriente, ed illustre storico, S. Gregorio Nisseno, che scrivendo di S. Gregorio il Taumaturgo, chiamato il Mosè dell’Armenia, cosi racconta: « Troade, diacono di Gregorio, arriva sul far della sera a Neocesarea stanco da un lungo viaggio, e per ristorare le sue forze crede utile bagnarsi, epperò egli si conduce ai bagni pubblici. Questo luogo era infestato da un demonio omicida, che ammazzava quanti ardissero entrarvi dopo il tramonto del sole, ed era questa la ragione, perchè le porte si tenevavo chiuse la notte. Il diacono dimanda che gli si disserrassero le porte; ma il custode a dissuaderlo dicea: In fede mia, chiunque ardisce entrare in quest’ora, non ne sorte sano, ma si mal concio per battiture da non reggersi sui piedi. La notte il demonio scorazza in questo luogo, e ben molti hanno pagato la loro curiosità temeraria con grida di dolore, e con la morte. Il diacono sprezzava tutti questi racconti, ed insisteva per aver libera l’entrata. Più non reggendo a tante inchieste il custode, per salvare la propria vita, e soddisfare al volere del diacono, trovò questo mezzo: concede la chiave, e prende la fuga. Il diacono entra, e tosto che fu tutto solo, nella prima sala depone le vestimenta. Ad un tratto, d’ogni dove sorgono oggetti di spavento, ed orrore. Spettri d’ogni maniera, a metà fuoco e fumo, sotto forma or di bestie or di uomo, fischiano al suo orecchio, gli sbuffano in faccia il loro alito, e lo circondano come in un cerchio da non poter oltrepassare. Il diacono non si smarrisce; fa il segno della croce, invoca il nome di Dio, ed incolume traversa la prima sala. Entra quella del bagno: quivi spettacolo più orrendo gli si para dinanzi, a sorprenderlo, e mettergli paura. Trema la terra, le mura scricchiolano, il suolo si apre, e lascia vedere nel fondo una fornace, le cui faville ascendono sino al volto del diacono. Egli ricorre all’arma del segno della croce e del nome del Signore, e tutto dispare. Preso il bagno si affretta a sortire; ma un demonio gli sbarra il passaggio, e tiene la porta serrata. Le porte si disserrano da per sè, e la resistenza satanica è vinta dal segno della croce. Tosto che il diacono ebbe guadagnata l’uscita, un demonio con voce umana, umana voce, gli disse: Non voler punto attribuire a tuo potere lo aver scampata la morte, ma al potere di Colui, che invocasti. Il diacono Troade divenne oggetto di ammirazione non solo pel custode de’ bagni, ma ancora per tutti, che seppero non avervi perduta la vita(Vita di S. Greg. Inter opera Nysseni). – Quanto leggi non è un fatto isolato, mio caro, ma è parte di un vasto insieme di fatti simili, confermayi da mille testimoni, e che si riproducono oggidì presso i popoli idolatri. Lasciamo che parli Lattanzio. « Quando i pagani, egli scrive, sacrificano a’ loro dei, se qualcuno degli astanti fa il segno della croce, il sacrifizio non riesce, ed il consultato oracolo non da responsi. Questa l ‘ è una delle cause, che mossero gì’ imperatori a perseguitare i cristiani. Alcuni de’ nostri avi li accompagnavano a1 sacrifizi, facevano il segno della croce ed i demoni messi in fuga non potevano produrre nelle viscere delle vittime i segni indicatori. Quando gli auruspici si addavano di una tal cosa, aizzati da satana, cui erano venduti, non trasandavano di menar lamento, per la presenza di profani. I principi sdegnati perseguitarono a morte il Cristianesimo, perchè impediva loro d’insozzarsi con sacrilegi, di che si ebbero la meritata pena (Lact. lib. X, c. 81) ».

La mia prima lettera ti conterà qualche altro fatto.

IL SEGNO DELLA CROCE (15)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (15)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMAQUARTA.

9 dicembre.

Il segno della croce preservativo contro quanto può ledere la sanità e la vita. — Abbonaccia le tempeste. — Estingue il fuoco. — Protegge contro gli accidenti. — Arresta i flutti. — Fa rientrare le acque nel loro letto. — Allontana le bestie feroci. — La folgore. — Fa delle creature strumento di prodigi.

Il segno della croce potente a rendere la sanità e la vita, mostra ugual potere, mio caro Federico, contro quanto può comprometterla. Qui ancora i fatti abbondano, ma i limiti di una lettera non mi consentono che citarne alcuni. Di poi la rivolta originale, tutti gli elementi sono sottoposti all’influenza di satana, congiurano contro l’uomo, l’aria, il fuoco, l’acqua, e che so io! gli fanno una guerra continua, e soventi volte mortale. A nostra difesa l’arma universale stabilita è il segno della croce! – Il Signore, la cui voce comanda ai venti ed alle tempeste, loro parla per lo mezzo di questo segno. Leggiamo di Niceta Vescovo di Treveri, che viaggiando alla volta della sua diocesi si addormentò sulla nave, che aveva noleggiata. A mezzo del corso levasi furiosa tempesta, che squarciate le vele, messi in pezzi gli alberi, minacciava la nave di certo naufragio. I viaggiatori spaventati lo destano. Ed egli, tranquillo fa il segno della croce sulle onde in furore, e queste placatesi lasciano succedere la calma alla furiosa tempesta (Excitatus quoque a suis fecit Signum crucis super aquas, et cessavit procella. – S. Greg. Turon. De glor. confes. c. XVII.). – È fede cattolica espressa nel Pontificale Romano che satana sia l’autore di molte tempeste, e, nell’aria, dimora di lui e degli angeli suoi, esercita particolare e trista influenza. Soventi volte egli reca di tali uragani per disertare le campagne, e soprattutto per far guai agli uomini da bene, che si studiano distruggere il suo impero. Di questi fenomeni, di fatti, usava per rendere inutile la predicazione di Vincenzo Ferreri. Il Santo, atteso il numero delia gente, che d’ogni dove si traeva ai suoi sermoni, non poteva predicare in chiese, che anguste tornavano a contenere tanto popolo, ma su per le piazze, e queste erano sempre gremite di fedeli, ebrei, e maomettani, che per i sermoni di Vincenzo si rendevano cattolici, o se lo erano, divenivano migliori. Satana a distorre tanto bene usava quest’arte. Raccoglieva venti e nubi, suscitava tempeste tali, che il popolo impaurito si cacciava nelle case, e solo restava Vincenzo. La più terribile di tutte le tempeste fu quella suscitata in una borgata di Cotogna. Il Santo, secondo il suo solito dopo la Messa, innanzi deponesse i sacri paramenti, col segno della croce e con l’acqua benedetta, fattosi alla porta della chiesa, costrinse satana a restar tranquillo tutto quel giorno (Sparsit aquam sacratam, ed deinde crucis expressit Signum; illico tempestas dissipatur…. sæpissime…. ortas tem-pestates crucis signo compescuit. – Vit. lib. III).  Come l’aria, così il fuoco ubbidisce al segno della croce. S. Tiburzio, figlio del Prefetto di Roma, è condannato a bruciar l’incenso a’ falsi numi e camminare sul letto di fuoco. Il giovane martire fa il segno della croce, e senza esitare si avanza nel mezzo delle braci, ed in piedi e nudo, « Rinunzia, dice egli al giudice, adesso ai tuoi errori, e riconosci che non v’ha altro vero Dio che il nostro. Metti, se te ne basta l’animo, la tua mano nell’acqua bollente in nome di Giove, e questo che chiami Dio le impedisca di recarti nocumento alcuno. Per me, mi sembra un letto di rose questo che calpesto » (Atti di S. Sebast.). – Sulpizio Severo racconta, come saputolo da S. Martino istesso, che una notte il fuoco si appiccò alla stanza del santo taumaturgo delle Gallie. Egli si risveglia, e confuso si studia estinguere il fuoco; ma inutili tornarono gli sforzi! Rasserenatosi, non più pensa né a salvarsi, né ad estinguere il fuoco, ma, fiduciando in Dio, fa il segno della croce. Le fiamme si dividono, e piegandosi in arco sul capo di lui, gli lasciano continuare la preghiera (Ep. 1 ad Euseb. Præsbyt.: e Vita di S. Martino, lib. X). Lascia che io ti parli di un fatto personale del gran Vescovo. Inimico instancabile dell’idolatria, Martino, avea abbattuto un tempio d’idoli quanto antico, altrettanto in gran fama, e restava solo un gran pino, che sorgeva d’allato al tempio. Egli volevalo distrutto, comeché oggetto di superstizione; ma i sacerdoti degli idoli ed i pagani vi si opponevano a tutt’uomo. In fine, questi dissero al coraggioso vescovo: Poiché tu hai tanta fiducia nel tuo Dio, noi abbatteremo l’albero a patto, che tu resti sotto di esso quando cadrà. La condizione fu accettata. Un popolo immenso si assembra e gremisce lo spazio dove l’albero doveva essere abbattuto; alla presenza di esso S. Martino lasciasi legare e mettere su quel punto verso cui l’albero inclinava. Ai compagni del Santo un fremito correva per le vene, chel’albero a metà asciato pendeva su Martino, e fra pochi istanti ne sarebbe schiacciato: ma l’uomo di Dio era tutto tranquillo, ed elevata la mano, fa contro il cadente albero il segno della croce. A questo segno l’albero si erge, e come spinto da violentissimo vento cade dalla parte opposta. Un grido d’ammirazione si eleva, e non v’ ha quasi alcuno che non dimandi il Battesimo! (Ubi supra). – Questo avvenimento accaduto nelle Gallie è ripetuto in Italia. Onorato, santo abate, e fondatore di un monastero di Fondi, che raccoglieva 200 monaci, vide minacciata l’opera sua di totale ruina. Un gran monte era a cavaliere del monastero, e dal sommo di esso staccasi tale un macigno, che rotolando giù per la china avrebbe schiacciato e monastero, e frati. Onorato accorre; invoca il santo nome di Dio, distende la mano destra ed oppone al macigno il segno salvatore. L’enorme massa si arresta, ed immobile si tiene sul pendio del monte sino a’ giorni nostri (S. Greg. (Dial., lib. I. c. 1).  – Dall’occidente passiamo all’oriente, e noi troveremo che la potenza sovrana di questo segno non è limitata per differenza di latitudine, né di longitudine. Ascolta S. Girolamo. Il tremuoto che seguì la morte di Giuliano l’apostata portò il mare fuori i suoi limiti, e quasi Dio avesse minacciato il mondo di un nuovo diluvio, o che l’universo dovesse rientrare nel caos, le navi si trovarono sui monti spintevi dal furore de’ flutti. Gli abitanti d’Epidauro spaventati per le grandi masse di acqua, che cadevano sui monti, e temendo che la patria fosse trasportata da esse, si condussero presso il santo vecchio Ilarione, e presolo, lo condussero alla loro testa quasi ad una battaglia, contro le acque. Giunti alla riva, il santo fece per tre volte il segno della croce sull’arena. A questo segno le acque si gonfiano, ascendono ad una altezza incredibile come irritate dell’ostacolo, che loro opponeva Ilarione; ma, dopo poco tempo, abbonacciate, rientrano nel loro letto senza più sorpassare il sacrato limite. Epidauro e tutta la contrada pubblicano questo miracolo, e le madri lo raccontano a’ figli perché la posterità ne risapesse ((Vit. S. Hilarión, vers. fin.).  – Eccoti un altro fatto analogo, ma più recente. Mezey istoriografo francese narra che le piogge del 1106 avevano fatto straripare i fiumi ed i laghi di modo, che le inondazioni producevano un nuovo diluvio. Le sole preghiere e le processioni furono potente rimedio contro questo flagello, e, come fu fatto il segno della croce sulle acque, incontanente entrarono nel loro letto (Ist. di Francia, tom. II, p. 135). – Se la verga mosaica, figura della croce, ha potuto dividere le acque del Mar Rosso, e tenerle sospese come monti, perché il segno istesso della croce non potrà rientrare le acque nel loro letto?  Torniamo all’immortale Tebaide, e lascia che io dica una qualche meraviglia, di che i suoi angelici abitanti furono gli attori, ed il segno della croce strumento. Uno di essi, Giuliano, chiamato Sabas, o il vecchio da’ capelli bianchi, traversando l’arida solitudine, s’imbatte in un enorme dragone. Lo spaventoso animale getta sovra di lui uno sguardo sanguigno, apre l’affamata gola, e si slancia per divorarlo. Il venerabile senza scomporsi rallenta il passo, invoca il nome di Dio, fa il segno della croce: il mostro stramazza morto (Theodoret. Relig. hist., c. 2). Più lontano, osserva Marciano, solitario della Siria, che rinnova lo stesso prodigio. Egli pregava alla porta della sua stanzuccia quando Eusebio, suo discepolo, gli grida di lontano per avvertirlo che un rettile mostruoso, poggiato sul muro dalla parte d’oriente, è per slanciarsi sopra lui e divorarlo, e però si desse alla fuga. Marciano riprende il discepolo di siffattamente impaurarsi; fa il segno della croce, e soffia contro la spaventevole bestia. Si vide allora l’effetto della parola primitiva: Metterò una guerra a morte fra la tua razza e la sua. Il fiato uscito dalla bocca del santo fu come un fuoco, che invase di modo il dragone, che cadde in pezzi come bruciata canna (Ibid. c. 3).  Sarebbe facile narrare i molteplici fatti che hanno avuto luogo in queste celebri contrade; ma per riunire le meraviglie dello stesso genere percorriamo l’Italia, serbandoci tornare in Oriente. S. Gregorio il grande racconta che S. Amanzio, prete di Tiferno, oggi città di Castello nell’Umbria, aveva tale impero sui serpenti i più temuti e terribili, che queste bestie non potevano restare in sua presenza. Un segno solo di croce faceva morire quanti ne incontrasse, e se per salvarsi si cacciavano in qualche buco, lo chiudeva con lo stesso segno, e la serpe n’era estratta morta da una potenza invisibile. Era un vero compimento delle parole del Signore : Decideranno i serpenti, serpentes tollent (S. Greg. Dialog., lib. III, c. 35). 1). – Tu sai che N. S. aggiunge immediatamente: « E se » eglino beveranno alcun che di avvelenato , non ne avranno nocumento alcuno, Et si mortiferum quid biberint, non eis noeebit ». Qualche pruova tra mille. La città di Bosra nell’Idumea avea a Vescovo S. Giuliano. Alcuni notabili, in odio della religione, stabilirono avvelenarlo; all’uopo corruppero il servo del Vescovo perché apprestasse il veleno al padrone in una coppa. Lo sciagurato ubbidisce. Il santo divinamente sapendo quanto sul conto suo si facesse, depone la tazza, e dice al servo: Va da mia parte presso i principali abitanti, ed invitali a pranzar meco. Egli sapeva essere fra questi i rei. Tutti accettarono l’invito. Allora il santo, che non voleva diffamare nessuno, disse con estrema dolcezza: Poiché volete avvelenare il povero Giuliano, ecco il veleno, io lo beverò. Ciò detto, segnò per tre fiate la coppa, dicendo: In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io bevo questa tazza. Egli la beve sino all’ultima gocciola, senza averne nocumento alcuno. A si strano spettacolo gl’inimici gli caddero a’ piedi implorando perdono (Sophron, in Prat. Spirit.). – È mestieri essere bacelliere del secolo decimonono per ignorare il fatto seguente. Se v’ha una vita da esser nota a tutti, è per fermo, quella del patriarca de’ monaci di occidente, Benedetto. Nuovo Mosè, a lui ed ai suoi figli l’Europa deve l’esser stata sottratta alla barbarie. Mostrate una landa materiale o morale che dal Benedettino non sia stata dissodata? Un principio civilizzatore che non sia stato coltivato, insegnato e praticato? Dio sa a prezzo di quali sacrifìzi! Quel che sappiamo si è, che satana, vecchio Faraone, non rincula d’innanzi ad alcun mezzo per impedire l’opera liberatrice; epperò come Benedetto si raccoglie nella solitudine, gli si assembrano d’intorno alcuni monaci, indegni di tal nome, supplicando il santo di rendersene direttore. Questi loro impone una regola, e con la parola e l’esempio cerca accostumarli al giogo della disciplina. Vani sforzi! Gli esempi feriscono l’orgoglio de’ frati, le parole ne provocano la collera e ne accendono l’odio. La risoluzione è presa; il superiore deve morir di veleno: pensato, fatto. Un bicchier di vino avvelenato gli è presentato, perché, secondo il costume, lo benedicesse. Benedetto lo benedice, ma il bicchiere va in mille schegge. Il santo comprese che una coppa di morte gli era presentata, che non poteva reggere al segno della vita (S. Greg. Dialog., lib. II, c. 3). Per questi esempi e per mille altri di simil fatta è facil cosa comprendere qual potente preghiera sia il segno della croce, quante grazie ne apporti, e come preservi questa nostra fragile esistenza da’ pericoli che la minacciano e circondano. In Francia, nella Spagna e nell’Italia, e credo nelle altre regioni, i Cattolici costumano segnarsi al tuono della folgore, e quando lampeggia. Gl’indifferenti se ne burlano, come se i veri Cattolici de’ secoli scorsi, che ci precedettero, fossero tutti spiriti da nulla e superstiziose femminucce. Ora ne’ casi indicati ed in tutti i pericoli noi vediamo il segno della croce in uso presso i Cristiani dell’oriente e dell’occidente, sino da’ primi tempi della Chiesa. S. Efrem, S. Agostino, S. Gregorio di Tours, mille altri testimoni, l’han visto per noi e l’attestano. « Se il lampo squarcia le nubi, dice il santo Diacono di Edessa, se la folgore scoppia, l’uomo s’impaura, e tutti intimoriti c’inchiniamo verso la terra » ( S. Ephrem. Serm. de Cruc.). S. Angostino parlando di quelli, che usano mondane riunioni, aggiunge: « Se un qualche accidente loro mette paura, tosto formano il segno della croce » (Aug., lib. 50 homel. XXI.).  S. Gregorio racconta, come cosa nota a tutti, che sotto l’impressione di un timore ed a vista di qualsiasi pericolo, i Cristiani facevano ricorso al segno protettore. Fra mille fatti il seguente ne sia prova (S. Greg. Turon., lib. Il miracul., S. Martini, c. 45). Due uomini si conducevano da Ginevra a Losanna. Un uragano violento li sorprende, accompagnato da spessi lampi e tuoni. Uno de’ viaggiatori, secondo l’uso cristiano, fa il segno della croce, e l’altro beffandosene gli dice: Che?scacci le mosche? Lascia le superstizioni da femminette. Simili anticaglie disonorano la religione, e sono indegne di un uomo illuminato! Non ebbe detto ciò, che un fulmine lo stende morto a’ piedi del compagno. Questi continuò a difendersi col segno salutare; compì il suo viaggio prosperamente, e propalò da per tutto l’accaduto (Tilman.. Collez, de’ Santi, lib. VII, c 58). Avviso agli spiriti forti!  – Il segno della croce non protegge solamente la umana vita, ma quanto gli appartiene: desso è pegno di sicurezza. Quindi l’uso universale di apporre siffatto segno sulle case, nei campi, sui i frutti e gli animali. « I cattolici , dice il grave Stuckius, hanno delle preghiere accompagnate dal segno della croce per ciascuna creatura, per le acque, le foglie, i fiori, l’agnello pasquale, il latte, il miele, il formaggio, il pane, i legumi, le uova, il vino, l’olio ed i vasi a contenerlo. In ciascuna formula di benedizione eglino domandano espressamente che la malefica potenza di satana ne sia allontanata, e pregano Dio per ottenere la sanità dell’anima e del corpo ».II giorno della Risurrezione benedicono il latte, il miele, le vivande, le uova, il pane, quanto si conserva ed èconsiderato come salutare all’anima. Il giorno dell’Ascensione, le erbe, le piante, le radici per loro comunicare una virtù divina. Il giorno di S. Giovanni il vino, considerato, senza tale benedizione, come impuro e male. Il giorno di S. Giovanni i pascoli; ed in quello di S. Marco le messi. E con ciò eseguono il comando di S. Paolo, che impone a’ fedeli di benedire quanto serve alla vita, e renderne grazie a Dio; uso misterioso, di che i Teologi apportano eccellenti ragioni (Stukius Àntiq convivial, lib. II,  C. 36, p. 430)- Queste creature liberate, mercè il segno della croce, dalla influenza di satana, diventano strumento della inesausta bontà del Creatore ». Leggesi in S. Gregorio di Tours, che una malattia distruggeva siffattamente il bestiame da temerne fin la perdita (s. Greg. Turon., lib. III Miracul. S. Martin, c. XVIII). Nella loro costernazione, alcuni abitanti si condussero alla basilica di S. Martino, presero l’olio che bruciavasi nella lampada, e dell’acqua benedetta; portatisi nelle loro dimore, con essi segnarono le teste delle bestie non ancora affette, e ne diedero a bere a quelle, che non erano ancora perite: tutte furono salve. –  Citiamo un ultimo esempio della potenza protettrice del segno della croce. S. Germano, vescovo di Parigi, si portava ad incontrare le reliquie di S. Simforiano martire, quando gli abitanti di un villaggio, ch’egli traversava, lo pregarono di aver compassione di una povera vedova, il cui piccolo campo era divorato dagli orsi. « Vieni, gli dicevano, a vedere il povero campo, e le bestie distruggitrici fuggiranno per la tua presenza. Tuttavolta i compagni del santo si opponessero, egli si recò sul campo e lo benedisse col segno della croce. Tosto arrivarono due orsi, ma presi da furore cominciano a combattere fra loro; uno resta ucciso, l’altro gravemente ferito, che in seguito fu morto a colpi di piuoli, e la vedova nulla ebbe più a temere per la sua raccolta (Fortunati, In vita S. Germani). L’istoria e piena di simili fatti; ma basti per quest’oggi.

IL SEGNO DELLA CROCE (14)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (14 )

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMATERZA.

8 dicembre.

Effetti del segno della croce nell’ordine temporale. — Guarisce tutte le malattie ed allontana quanto può nuocerci. — Rende la vista a ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti. L’uso delle membra agli zoppi, ed ai paralitici, guarisce le altre malattie e torna in vita i morti.

Povero nell’ordine spirituale l’uomo non l’è meno nell’ordine temporale: il suo corpo e l’anima non vivono che di accatto. Fra i beni necessarii al corpo ve n’hanno due, mio caro, che voglio ricordarti: la sanità, e la sicurezza. Il segno della croce ci procura con efficacia l’una e l’altra. – La sanità. Il Verbo eterno è la vita vivente e vivificante. L’evangelo parlandoci di lui quando viveva nel mezzo degli uomini ci dice una parola quanto semplice, altrettanto sublime: Una virtù emanava da Lui che guariva tutte le infermità; virtus de illo exibat et sanabat omnes. L’istoria c’insegna che questa parola può intendersi a cappello del segno della croce.  – Che i primi Cristiani si servissero del segno della croce a guarire le malattie, nulla v’ha di meglio dimostrato. San Cirillo e san Giovanni Crisostomo, uno patriarca di Gerusalemme e l’altro di Costantinopoli, affermano con ogni asseveranza, che il segno della croce continuava a guarire le infermità e i morsi delle bestie feroci al loro tempo, come all’epoca de’ loro maggiori (Hoc Signum ad hodiernum diem curat morbos. – Catech. XIII; S. Gris., hom. 54, in Math.).  Veniamo alle prove: Tutti i sensi dell’uomo sono soggetti a delle infermità. Cominciamo dal più nobile, la vista. Se invece d’impallidire di continuo su gli autori pagani i giovani leggessero gli atti de’ martiri, troverebbero in quelli di san Lorenzo il gran miracolo, che ancora celebra la Chiesa, qui per signum crucis cæcos illuminavit. L’illustre arcidiacono di Roma era entrato in una casa di un Cristiano, dove trovavasi il cieco Crescenzio. Questi distruggendosi in lagrime si gittò a’ suoi piedi dicendo: Mettete la vostra mano sugli occhi miei, perché io veda. Il beato Lorenzo profondamente commosso gli risponde: II nostro signore Gesù, che ha aperti gli occhi al cieco, ti doni la vista. E sì dicendo, fa il segno della croce su gli occhi di Crescenzio, che tosto vide la luce ed il beato Lorenzo (Vita del santo scritta da S. Oven vesc. di Raven, c. XXIX). – Il dotto Teodoreto ci racconta quanto segue della propria madre: « Mia madre aveva tale una infermità negli occhi, che inutilmente la medicina aveva posto in uso tutti i suoi mezzi contro di essa. Tutti i vecchi volumi ed autori interrogati, nessuno dava mezzo a guarirne. In tale stato noi eravamo, quando un’amica venne a vedere mia madre, e le parlò d’un certo santo uomo per nome Pietro, e contolle d’un miracolo da esso operato. Ella diceva: La moglie del Governatore d’Oriente era affetta dallo stesso male: si diresse a Pietro dimorante a Pergamo, « questi la guarì pregando per lei, e facendo sopra di essa il segno della croce. Mia madre non perde un istante; corre per l’uomo di Dio, si getta a’ suoi piedi e lo prega della guarigione. E questi a lei: Io non sono che un povero peccatore, io non ho punto presso Dio il potere che voi credete. Mia madre raddoppia le preghiere, e lagrimando protesta che non partirebbe se non guarita. Dio, riprese Pietro, è il medico di questi mali; Egli esaudisce quelli che credono. Desso vi esaudirà non per i miei meriti, ma per la vostra fede. Se questa è in voi vera, sincera, pura e senza esitazione, trasandate medici e medicine, ed accettate il rimedio che Dio vi offre. Sì dicendo, distese la mano su l’occhio, e fattovi il segno della croce il male disparve » ( Hæc cum dixisset, manum imposuit oculo, et salutane crucis signo facto, morbum expulit. – Hist. ss. Patr. in Petr.). De’ fatti men lontani da noi ti mostreranno che questo segno attraversando i secoli non ha mai cessato di essere il migliore degli oculisti. S. Eloi vescovo di Noyon, passando uno de’ ponti di Parigi, guarì un cieco, che a vece di chiedergli un soccorso, lo pregò che lo segnasse su gli occhi col segno della croce (Mabillon, Vita del santo, tom. 11). – Un simile miracolo leggesi nella vita di S. Frobert abate di un monastero presso Trojes nella Champagne. Era ancora fanciulletto, quando la madre cieca da più anni lo prese sulle sue ginocchia, e carezzatolo lo pregò di fare il segno della croce sopra i suoi occhi. Sulle prime il giovane santo si ricusò; ma, dietro le instanze materne, invocò il santo nome del Signore, fece il segno della croce richiesta, ed al momento la madre riebbe la vista.  – Il Mabillon nella vita di S. Bernardo cita oltre trenta ciechi di ogni età e condizione, che in Francia, Italia ed Alemagna furono guariti, alla presenza de’ re e de’ principi, col mezzo del segno della croce (Mabillon, ubi supra).- Dalla vista passiamo all’udito. Come N. S. il segno della croce rende l’udito ai sordi, e la loquela ai muti. Eccoci in Roma e nel palazzo del Prefetto: un giovane e brillante uffiziale è inanzi a noi, per nome Sebastiano. Questo nome illustre è ignoto ne’ collegi. Tu apprenderai ai tuoi compagni che S. Sebastiano comandava la prima coorte pretoriana al tempo di Diocleziano, che, alla moderna vuol dire, colonnello di un reggimento della guardia imperiale. Dotato di eloquenza pari al suo coraggio, egli usava i doni di Dio ad animare i martiri, che ogni giorno venivano tradotti al pretorio. In uno fra questi, Zoe femmina del prefetto ebbe la ventura di ascoltare uno di questi discorsi. Tuttavolta pagana, fu si commossa, che gittossi in ginocchio, e, comeché muta da poi sei anni, col gesto faceva intendere di voler essere cristiana. Fu intesa. Un segno di croce sulle labbra le diede la parola, di che, il primo uso che fece, fu in dimandare il battesimo (Atti di s. Seb.). – Tu dirai loro altresì, che con lo stesso mezzo l’immortale abate di Chiaravalle, san Bernardo, ha guarito un numero immenso di sordi e muti. A Cologna una giovinetta sorda e muta; a Bourlemont un fanciullo sordo e muto dalla natività; a Bile un sordo; a Metz un sordo al cospetto di una folla immensa; a Costanza, a Spira, a Maestricht de’ sordi e de’ muti; a Troyes una giovinetta zoppa e muta alla presenza de’ vescovi Geoffrai di Langres, e di Enrico di Troyes. In fine, a Chiaravalle un fanciullo sordo-muto, che attendeva da quindici giorni il suo ritorno. Mentre il Santo soggiornava a Spira, dove operava molte miracolose guarigioni, arrivò Anselmo vescovo di Havelsperg, cui una infermità di gola rendeva pressoché impossibile l’inghiottire ed il parlare. Voi dovreste guarirmi, disse questi a S. Bernardo. E S. Bernardo piacevolmente a lui: Se voi aveste la fede di queste buone femmine, io potrei, può essere, operar su di voi in pari modo. Se la mia fede non basta, riprese il Vescovo, mi guarisca la vostra. Allora il Santo lo toccò facendo su di lui il segno della croce, ed all’instante istesso l’enfiagione, ed il dolore sparirono (Ut signum sancte crucis expressit, confestim omnis vigor per membra diffunditur. – Vita cap. X).  – Il tatto è il senso sparso in tutto il corpo, epperò presenta agli attacchi delle infermità maggior presa. Come allontanare tutti i mali, gli uni più dolorosi degli altri, a cui è esposto? Per quanto numerosi siano, consola il pensiero che nessuno di essi sfugge alla potenza salutare del segno della croce, che, con la sua virtù, ricorda quella di colui, che guariva ogni maniera d’infermità ira gli uomini, omnem longuorem in populo. Uno de’ vescovi venuto in gran fama di santità, che abbia governato la diocesi di Parigi, è S. Germano. Questi conducevasi un giorno a render visita ad Ilario vescovo di Poitiers, suo degno collega. Sul suo passaggio due uomini gli presentarono, con pena, una donna muta e priva dell’uso delle gambe. Tosto che il Santo ebbe fatto il segno della croce sopra di essa, dessa ricuperò la favella e le gambe di modo, che dopo tre giorni si condusse a render grazie al suo benefattore (Mox multa eius membra cruce consignât, otille se sentit incolumis. Vit., lib. IV.). Un miracolo simile fu operato da S. Eutimio, il grande arcivescovo di Palestina. Terabone, figlio del governatore de’ Seraceni nell’Arabia, fin dalla fanciullezza avea perduto per paralisia la metà del corpo; com’ebbe inteso parlare della virtù del santo Abate, si fece condurre presso di lui in compagnia del padre e della madre, con numeroso seguito di barbari. Il Santo lo segnò con la croce, e tosto guari. Siffatta guarigione produsse la conversione de’ suoi genitori non solo, ma ancora de’ Saraceni compagni di viaggio, e spettatori del miracolo (Vit., lib. IV., c. 41, Vita, lib. II). – Gran tempo dopo questo miracolo, che aveva rallegrato l’Oriente, un simile fu operato da San Vincenzo Ferreri a Nantes in Francia, nella persona di un uomo paralitico da 18anni, che gli fu presentato perché lo benedicesse. Non ho oro, né argento, disse il Santo all’infermo, ma pregherò il Signore perché ti conceda la sanità dell’anima, e del corpo. Come ebbe detto tali parole fece il segno della croce sulle membra dell’infermo, il paralitico guarisce, si alza, e rende grazie a Dio ed al suo benefattore, torna a casa sua, senza più nulla risentire del passato malore! (Mabillon ubi supra, Lib. IV, c. 6, n. 33). – È tale alcuna volta la forza del dolore da far perdere il bene dell’intelletto e la sanità dell’anima a’ poveri figli di Adamo; ma il segno della croce spinge la sua forza in queste nuove trincee del male. Edmer, istoriografo di S. Anselmo Arcivescovo di Cantorberi racconta, che questo Santo andando a Cluni, guarì col segno della croce una femmina affetta di follia, e furiosa. S. Bernardo operò lo stesso a Sechigen, e a Cologna. In quest’ultima città gli fu presentata una femmina frenetica per la morte del marito, che usava delle sue esaltate forze contro sé stessa di modo, da doverle assicurare le braccia con catene. Il Santo ebbe pietà di lei; fece il segno della croce sopra di essa, e tosto tranquilla rivenne all’uso della ragione. – Il Verbo Redentore, che il Vangelo mostra, come il medico di febbri ostinate, ha comunicato al segno della croce la virtù di operare simile prodigio. S. Prix Vescovo di Clermont nell’Alvernia, essendo venuto nel Monastero di Dorange, vi trovò l’abate Amarin infermo di pessima febbre, di maniera, ch’eragli impossibile camminare e prendere cibo. Il santo Vescovo ricorse all’arma sua ordinaria e pagò il suo scotto con un miracolo, risanando col segno della croce siffattamente l’infermo, che andò perfettamente guarito della infermità sua (Cura vexillum crucis super ægrum fecisset, protinus, fugata febre, sanatus æger surrexit – Vite de’ SS. 25 Jan.). Dello stesso potere è dotato contro una malattia più difficile a guarire; l’epilessia. Nella vita di S. Malachia, Arcivescovo di Armagli, morto a Chiaravalle, S. Bernardo dice: « Innanzi partisse per Roma, dove si conduceva per ricevere il pallio da Eugenio III, il santo Arcivescovo guarì un epilettico col segno della croce». E S. Bernardo istesso operò simile prodigio nella persona di una giovinetta della Champagna a Troyes (Signavit eam statimque locuta est: Mabillon, ubi supra, c. XIV, n . 47).  – Secondo l’esempio da me datovi, guarite i lebbrosi, avea detto N. S. I Discepoli raccolsero questa parola, la cui virtù divina è passata nel segno della croce. La fama  di Francesco Saverio era sparsa in tutte le Indie, e dessa faceva accorrere presso il Santo i lebbrosi da tutti i luoghi, per ottenere la guarigione tante volte inutilmente sperata. Uno fra questi, non osando di comparire in pubblico, pregò il Santo di condursi presso di lui. Il Saverio non potè soddisfarlo, ed in sua vece commise ad un compagno una tal visita, dicendogli di domandare per tre volte all’infermo se crederebbe al Vangelo, ove venisse guarito, e che dopo tale promessa lo segnasse per tre volte col segno della croce. Tutto fu eseguito come il Santo avea detto, ed il lebbroso guarì (Vita, lib. V).- Innanzi procedere più oltre, credo esser mestieri, mio caro, il ricordarti una osservazione di S. Giovanni Crisostomo, da aver presente ragionando dell’azione del segno della croce, sia nella guarigione delle malattie, che per l’allontanamento de’ tristi accidenti. Se alcuna volta i mali non sono guariti e le calamità allontanate, tutta volta il segno della croce convenevolmente sia eseguito, non è difetto di potere del segno, ma perché questi mali ci sono utili pruove (Morbis iuiperans terribile est hoc nomen, et si non abigerit morbum, non hinc est quod infirmum sit hoc nomen, sed quod utilis est morbus. Ad Coloss. II, homil IX.). – V’ha una infermità non meno crudele della lebbra, ma più comune: il canchero. Ma questa come tutte le altre infermità umane non resiste alla potente azione della croce. Ascolta quanto narra S. Agostino testimone oculare. « A Cartagine una nobilissima donna per nome Innocenza aveva nel petto un canchero stimato da’ medici incurabile. Il medico nulla le avea nascosto del suo stato, ed Innocenza, posta in Dio ogni sua fiducia, da lui solo attendeva la guarigione. Una notte, verso la Pasqua, è avvertita in sogno di condursi al battistero nel luogo delle donne, e di far fare dalla prima catecumena che trovasse, il segno della croce sul membro infermo, ubbidisce, ed è guarita. Il medico meravigliato trovandola risanata, volle saperne il come. La donna tutto gli narrò. Il medico con grande indifferenza, il che facea temere alla donna dicesse qualche parola contro N. S., disse: Io mi attendeva qualche cosa straordinaria. E vedendola inquieta, soggiunse: Che v’ha di meraviglioso che Gesù Cristo abbia guarito un canchero; Egli che ha dato la vita ad un morto dopo quattro intieri giorni! (Quid grande fuit Christus sanare cancrum, qui quatriduanum mortuum suscitavit. Ang.de Civ. Dei, lib. XXII, c. 8.). A tutte queste infermità naturali spesso si congiungono gli attacchi delle bestie feroci e velenose, per togliere all’uomo la sanità e la vita. Contro esse gran rimedio è il segno della croce. Il santo anacoreta Tolasce, scrive Teodoreto, viaggiando fra le tenebre della notte, calpestò una vipera. Il rettile furioso lo morde nella pianta del piede. Il Santo s’inclina, porta la destra sulla ferita, e la vipera gliela morde, come altresì la sinistra accorsa al soccorso della destra. La bestia di tutto ciò non contenta, lo addentò per circa dieci volte, e poi si cacciò nella sua tana, lasciando la vittima in preda ad intollerabili dolori. In siffatto stato il servo di Dio crede non dover far ricorso a medicine. Per guarire le ferite si contentò impiegare i mezzi della fede: il segno della croce, la preghiera, e l’invocazione del santo nome di Dio (Theodoret. in Thalass.).  – Padrone della vita, N. S. , lo è ancora della morte. Questo impero sovrano si trova nel segno della croce. Ecco quanto leggesi nella vita di S. Domenico. Predicava il Santo in Roma: una dama, per nome Guttadona, devotissima di lui, per assistere al suo sermone, avea lasciato a casa un figlio infermo, al suo ritorno lo trovò morto. Senza dar sfogo al materno dolore, assembra le sue donne e porta il fanciullo a S. Domenico. Lo incontra alla porta del convento di S. Sisto, depone il morto a’ suoi piedi, e disfacendosi in lagrime, gliene dimanda la vita. Il Santo commosso s’inginocchia, e dopo breve preghiera fa il segno della croce, prende il fanciullo per la mano e lo rende in vita alla madre pregandola di profondo segreto.. Ma che! la buona donna nell’eccesso della gioia pubblicò l’avvenuto miracolo in tutta Roma (Vita di S. Dom., lib. II, c. 3).   Tu il vedi chiaro, mio caro Federico, io mi son contentato di citare uno o due fatti per ciascuna malattia, che se tutti rapportar si volessero, molti volumi non potrebbero neppure contenerli. S. Agostino, S. Griso-stomo, S. Cirillo, S. Efrem, S. Gregorio Nisseno, S. Paolino e cento altri testimoni dell’Oriente e dell’Occidente di tutti i secoli mostrano, con migliaio di fatti, che il segno adorabile di Colui, ch’è venuto per guarire ogni infermità, non ha mai cessato dal rendere la vista a’ ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la sanità agl’infermi e la vita a’ morti.  Ecco l’istoria. È mestieri accettarla come è, o farne in pezzi le pagine e cader nello scetticismo: o farne un’altra più sapiente, più coscienziosa e veridica. Dimanda a’ tuoi compagni se hanno polsi da ciò, e quando dessa sarà compilata, noi vedremo. A domani.

IL SEGNO DELLA CROCE (13)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (13)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMASECONDA.

7 dicembre.

Necessità continua del segno della croce per ottenere la forza . — Esortazione e pratica  dei capi della lotta spirituale. — Il segno della croce nelle tentazioni. — Il segna della croce nella morte. — Esempio de’ martiri. — Esempio di veri Cristiani morenti di morte naturale. — Moribondi che li fanno segnare da’ loro fratelli.

Mio caro Federico

Il segno della croce nulla ha perduto della sua forza, e della sua necessità. È vero: i tiranni sono morti, e gli anfiteatri cadono in ruina, il segno della croce ha trionfato degli uni e degli altri; ma se i secondi non più si levano dalle loro ruine, i primi, di tanto in tanto, sortono dalle loro tombe. La razza de’ Neroni non sarà giammai estinta, e la più terribile deve ancora venire! Con un furore antico, quelli, che sono apparsi dipoi i Cesari, hanno decimato i Cristiani; quest’altra razza parimente immortale, è razza consacrata alla morte, come dice Tertulliano, expeditum morti genus. Quanto hanno fatto ieri in Occidente, e quello che fanno oggi in Oriente, potranno farlo dimani dapertutto dove comandano. Avviso a’ combattenti: niuno dimentichi ove trovasi la sorgente della forza! Attendendo, ricorda, caro amico, che la pace ancora ha i suoi martiri, habet et pax martyres suos. Qual è l’uomo che non ha uno, o più Neroni? V’ha un giorno della sua vita ragionevole, e ancora un’ora, in cui egli non debba vegliare, o combattere? Che dico? venti volte al giorno degli oggetti seducenti si presentano ai suoi sguardi, de’ pensieri non buoni importunano il suo spirito, i sensi in rivolta solleticano il suo cuore a vili tradimenti. Oh! che egli ha bisogno di forza! Dove la troverà? Nel segno della croce. – La testimonianza de’ secoli, l’esperienza de’ veterani e de’ coscritti della virtù, attestano oggi, come ieri, il sovrano potere del segno divino, per dissipare gl’incanti seduttori, scacciare i pravi pensieri e reprimere i movimenti della concupiscenza. Ascolta il poeta de’ martiri, Prudenzio, che conobbe ad un tempo i dettagli de’ loro trionfi ed il segreto delle loro vittorie. « Quando all’invito del sonno tu cerchi il casto letto, segna della croce la tua fronte ed il tuo cuore. La croce ti preserverà d’ogni peccato: le potenze infernali fuggono al suo cospetto; l’anima santificata per essa, non sa vacillare » (Fac cum vocante somno Castum petis cubile, Frontera locumque cordis Crucis figura signet; Crux pellet omne crimen, Fugiunt crucem tenebra;. Tali dicata signo Mens fluctuare nescit.  – Àpud S. Greg. Turón, lib. I Miracul c. 106).Ascolta ancora il capo della eterna battaglia. I grandi geni e gran santi peritissimi dell’arte della guerra spirituale, che si chiama ascetismo, tutti non hanno che una sola voce per esortare i soldati cristiani all’uso del segno della croce. « Senti il tuo cuore infiammarsi ? dice san Giovanni Grisostomo: fa il segno della croce sul petto, e all’istante istesso la collera si dissiperà al pari del fumo» (Si succendi cor tuum senseris, pectus continuo signaculo crucis signato, et ira illieo tamquam pulvis dissipabitur. – S. Joan. Chris. Homil. 88 in Matth.). E sant’Agostino: « Amalec vostro nemico, cerca di sbarrarvi la strada e d’impedirvi l’Avanzare?Fate il segno della croce, sarà vinto » (Si adversarius Amalecita iter intercludere atque impedire conabitur, pro reverentissima extensione brachiorum ejusdem crucis indicio superetur. – S. August. Homil, 20, lib. 50, Homil.). Ed il gran servo di Dio, Marco, che predice all’imperatore Leone l’ora della morte. « Per propria esperienza conosco come siffatto segno dissipi le interne guerre, e produca la sanità dell’anima. Immediatamente dopo il segno della croce la grazia opera: tutto si calma » (Statim post Signum crucis gratia sic operatur: sedat omnia membra pariter et cor. – Biblioth. PP. tom. V.). San Massimo di Torino: «Dal segno della croce noi dobbiamo attendere la guarigione delle nostre ferite. Se il veleno dell’avarizia si sparge nelle nostre vene, facciamo il segno della croce, ed il veleno sarà cacciato. Se lo scorpione della voluttà ci punge, facciamo ricorso allo stesso mezzo, e noi guariremo. Se gl’immondi pensieri della terra cercano insozzarci, facciamo il segno della croce, e noi vivremo vita divina » (Apud S. Ambros. Semi. 55.). San Bernardo: « chi è l’uomo si padrone de’ suoi pensieri da non averne d’impuri? Ma son da reprimere i loro attacchi, e tosto, per vincere l’inimico là dov’egli sperava trionfare; l’infallibile mezzo per riuscirvi è fare il segno della croce » (De passione Dom. c. XIX, ti. 65). San Pier Damiano: « Se per caso sperimentate che un pensiero non buono sorga nel vostro spirito, operate col pollice il segno della croce, e siate certi che tosto svanirà » (Institut. Monast.). Il pio Teberth:  Niente v’ha di più efficace, che il segno della croce, per dissipare le tentazioni per quanto siano disonorevoli » (lib. viar. Domin, c. XXIJ.).  Riassumiamo tutte queste testimonianze: « Qualsiasi la tentazione, che ci appena, conchiude san Gregorio di Tours, noi dobbiamo respingerla. Epperò fate, non vigliaccamente ma con coraggio il segno della croce o sulla vostra fronte, o sul vostro petto » (Viriliter et non tepide Signum vel fronti, vel pectori salutare superponas. (S. Greg. Tur. ubi supr).  – Se fosse mestieri confermare con la storia quanto tu leggi, mille fatti lo confermerebbero. Un solo basti. È la rivelazione di che fu favorito un santo monaco a nome Patroclo, con la quale Iddio gli manifestò la potenza sovrana di questo segno contro le tentazioni.  Un dì il demonio trasformandosi in angelo di luce si mostrò al venerabile abate, e con parole d’ogni maniera di astuzia gli consigliava lasciare la solitudine e tornare al mondo. L’uomo di Dio sentendosi correre per le vene come un fuoco, si prostese sul suolo e pregò il Signore, perché eseguita fosse la sua volontà. La preghiera è accolta. Un Angelo gli appare, e siffattamente gli parla: Se tu vuoi conoscere il mondo, ascendi questa colonna e tu saprai quel che si sia. Rapito in estasi il pio solitario crede avere dinanzi a sé una colonna di prodigiosa altezza, e l’ascende. Dal sommo di essa vede omicidi, furti, massacri, fornicazioni e tutti i delitti del mondo. Ah! esclama, Signore non permettete che io torni in un luogo di tante abominazioni. E l’Angelo a lui: Cessa adunque dal desiderare il mondo, per non perire con lui; invece corri nel tuo oratorio, prega il Signore che ti dia con che sostenerti nel mezzo delle prove del tuo pellegrinaggio. Detto, fatto: trovò un segno di croce scolpito in un mattone, e tosto comprese il dono di Dio, e che questo segno è inespugnabile fortezza contro le tentazioni (Greg. Turon, Vita Patr., c. 9). – Un martire della guerra, o un martire della pace: ecco l’uomo lungo il corso della vita. Ed alla morte che cosa è egli? Vedi questo infermo in preda al dolore ed abbandonato dal mondo, circondato da’ soli parenti ed amici impotenti a soccorrerlo? Per lo passato il tempo che fugge; per l’avvenire, l’eternità che si avanza, in cui sentasi trascinato, senza che alcuna potenza umana possa ritardare il momento della partenza, e addolcire le agonie del viaggio.  Questo malato, sei tu, mio caro, sono io, è ogni uomo ricco o povero che sia, suddito o monarca. Se lungo le guerre della vita noi abbiamo bisogno di lume, di forza, di consolazione e di speranza, dimmi, se un tal bisogno non cresce di mille tanti nelle lotte decisive della morte? E bene, il segno della croce opera tutto ciò. Per questa nuova considerazione desso fu caro a’ nostri avi, e dev’esserlo ancora a noi. Come i martiri andando all’ultima battaglia non mancavano di fortificarsi col segno della croce, cosi i veri Cristiani de’ secoli passati facevano ricorso a questo medesimo segno, per addolcire i dolori e santificare la loro morte: citiamo qualche esempio.  – Parlando della sua diletta sorella, santa Macrina, ch’egli stesso assistè negli estremi momenti della vita, san Gregorio Nisseno così si esprime: « Ella dicea: Signore, per mettere in fuga l’inimico, e proteggere la loro vita, voi avete dato a quelli, che vi temono, il segno della croce. E pronunziando tali parole ella formava il segno adorabile sopra i suoi occhi, le labbra ed il cuore » (Vita di S. Macrina). I primi Cristiani alcune volte invece di fare il segno della croce con la mano sul punto di morire, lo facevano distendendo le braccia, e ciò appellavano il sacrifizio della sera, sacrifìcium vespertinum. A questo modo di fare il segno della croce Arnobio applica le parole del Salmista: L’elevazione delle mani è il mio sacrifizio della sera. Egli dice, che tale sia il nostro sacrifizio della sera, voglio dire della sera della vita, quando tutta la nostra attenzione è da porre ad elevare le nostre mani in croce, per consolarci nel Signore, nel momento, che corriamo a lui (Tunc enim in sacrificio vespertino sumus. Ibi est tota nostra cogitationis ponenda intentio, ut levantes manus nostras, in signo crucis, dum ad Dominum pergimus, gratulemur in Christo Jesu. – In Ps. CXL).  – In pari attitudine mori Paolo il patriarca del deserto, come lo trovò Antonio (Introgressus speluncam, vidit gcnibus complicatis, erecta cervice, extensisque in altum manibus, corpus exanime – S. Hieron. De Vita S. Pauli). Né altrimenti san Pacomio: « Essendo sul punto di morire, scrive lo scrittore della sua vita, egli si armò del segno della croce, vide con grande gioia un angelo di luce venire a lui, e rese la sua santa anima a Dio »(4(4) Vita di S. Pacomio. c. 53). Della stessa maniera morì santo Ambrogio. « L’ultimo giorno di sua vita, scrive il prete Paolino, da poi circa l’undecima ora, fino a che egli rese l’anima, pregò con le mani distese in croce » (Eodem tempore quo migravit ad Dominum, ab hora circiter undecima diei, usque ad illam horam qua emisit spirituni). – Da Milano passiamo a Costantinopoli. Ecco un altro Vescovo che muore. Santo Eutichio, dice il suo istoriografo, fu preso da violenta febbre verso la metà della notte, e restò per ben sette giorni in tale stato, non cessando di pregare e di fortificarsi col segno della croce (Apud Sur. 2. Iul.).  Compiamo il nostro viaggio in Francia ed assistiamo alla morte di qualche nostro re. Arrestiamoci ad Aix-la-Chapelle per vedervi morire il grande imperatore: L’indomani giunto, dice un Vescovo testimone oculare, Carlo Magno sapendo quel che dovesse fare distese la destra e come poté, si segnò la fronte, il petto e tutto il corpo (Thegan. De Gestis. Ludov. Imper.). Tale dovea essere la morte di questo grande uomo. E suo figlio Luigi il Pio, disposti gli affari, ordinò che si recitasse presso di lui l’uffizio della notte, e che sul suo petto si mettesse una reliquia della croce, e lungo questo tempo, come le forze glielo permettevano, egli faceva il segno della croce sulla fronte e sul petto, e quando era stanco pregava il fratello di continuare (Apud Gretzer, lib. IV, c. 26, p. 618).  – Veniamo ad uno de’ suoi più degni successori, il buon re Roberto. Negli ultimi giorni di sua vita, egli non rifiniva dall’implorare il soccorso de’ santi del cielo col gesto e con la voce; si fortificava col segno della croce sulla fronte, su gli occhi, sulle narici e le labbra, sulla gola e gli orecchi, in memoria della Incarnazione, della Natività, della Passione, Risurrezione, dell’Ascensione del Signore, e della venuta dello Spirito Santo. Una tale consuetudine era stata conservata da questo principe in tutta la sua vita, e giammai trasandò d’aver con lui dell’acqua benedetta (Helgald. in Epitom. vit. Robert.). Citiamo ancora Luigi il Grosso. Vedendosi presso a morte, fece stendere un tappeto sulla terra, e sopra di esso spargere della cenere in forma di croce, e fattosi deporre da’ suoi uffiziali su di questo letto di morte, che gli ricordava quello del re del Calvario, il virtuoso monarca non cessò di fare il segno della croce fino all’ultimo respiro (Elevata aliquantulum manu omnes benedixit, rogavitque adstantes episcopo!, u t sanctissimis suis manibus cum crucis signo communirent. Apud Sur. 25 Maii).  Per un re morire come un Dio v’ha forse qualche cosa che disonori? Quel che disonora è morire senza comprendere la morte, morire con la insensibilità delle bestie.  Tu hai visto i martiri pregare i loro fratelli di segnarli del segno della croce innanzi morissero, se da per sé non lo potessero eseguire; ora i nostri avi facevano del pari morendo di morte naturale. Oltre l’esempio di Luigi Debonnaire che tu hai letto; voglio ricordartene qualche  altro de’ primi secoli, dessi mostrano la continuazione della tradizione. – San Zenobio, amicissimo di santo Ambrogio, sul punto di terminar la sua vita con una morte preziosa, elevò le mani e fece il segno della croce su quanti lo circondavano; quindi pregò i Vescovi di fare sopra di lui con le mani consacrate il segno della forza, della speranza e della salute (S. Elig. De rectitud. catech. etc. inter opp. S. August. tom. VI). – Dal letto di un prete passiamo al talamo di un semplice fedele. Una giovane con rispettoso affetto assiste la tenera ed illustre madre. Oggi quasi tutti usano prestare a’ loro più cari infermi delle cure materiali, si farebbero coscienza di trasandare la minima prescrizione del medico, ma l’assistenza cristiana? le prescrizioni del divin medico, e della Chiesa nostra madre? qual è la loro sollecitudine a compierle? I nostri avi più intelligenti e migliori di noi a queste cure univano quelle dell’anima. A Betlemme l’illustre figlia de’ Fabii muore. Presso del letto è Eustachio degna figlia di tal madre. Che cosa fa quest’angelo di tenerezza? « Dessa non cessa, dice san Girolamo, dal fare il segno della croce sulle labbra e sul petto di sua madre, studiando di addolcire le sue sofferenze con l’impressione del segno consolatore » (Eustochium Paulæ matris os stomachumque signabat, et matris dolorem crucis impressione nitebatur lenire. – S. Hier. in Epitaph. Paulae). – Tu il vedi: nella vita ed alla morte il segno della croce era presso i nostri avi il mezzo costantemente usato per ottenere a sé ed agli altri lume, forza, rassegnazione, coraggio e speranza. Il segno della croce è dunque gran cosa! esclamava un testimone di questi ammirabili effetti: Magna res signum crucis (Apud Sur. 10 Aug.)! Dimani noi vedremo la sua efficacia in un nuovo ordine di cose.

IL SEGNO DELLA CROCE (11)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (11)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMA

5 dicembre.

Secondo modo di fare il legno della croce presso i pagani. — Testimonianze. — La PIETAS PUBLICA. — I pagani riconoscevano nella croce un potere misterioso.  — D’onde questo venisse. — Gran mistero del mondo morale. — Importanza della croce agli occhi di Dio. — Il segno della croce nel mondo tisico. — Parole dei Padri e di Platone. — Inconseguenza de’ pagani antichi e moderni. — Ragioni dell’odio del demonio contro questo segno.

Uscendo di collegio dopo dieci anni di studio di latino e di greco, non conosciamo neppure la prima parola dell’antichità pagana; l’educazione ci mostra la superficie delle corti, e mai il fondo. Quello che ha luogo in Francia si osserva presso tutti i nostri vicini, e n’ho ben ragione di dirlo. Di che segue, che il fatto di che devo parlarti sarà per molti una strana novella: eccolo. – Quando un’armata romana assediava una qualche città, la prima operazione, che eseguiva il generale, fosse questi un Camillo, un Fabio, un Metello, un Cesare o Scipione, non era di scavar fossati, o di elevar linee di circonvallazione, ma d’invocare gli dei difensori della città, perché passassero nel proprio campo. La formula dell’invocazione è troppo lunga per una lettera, tu potrai leggerla in Macrobio. Ora profferendola il generale faceva per ben due volte il segno della croce. La prima come Mosè, come i primi Cristiani, come al presente il prete all’altare, con le mani distese verso il cielo invocava Giove. Quindi fiducioso per l’efficacia della sua preghiera, crociava devotamente le mani sui petto (Cum Jovem dicit, manus ad cœlum tollit: cum votum recipere dicit, manibus pectus tangit. (Macrob. Saturnal, lib. III, cap. 2).Ecco due forme della croce incontestabili, universali e perfettamente regolari. Se questo fatto degno di considerazione è generalmente ignorato, ecco un’altro che l’è un poco meno. L’uso di pregare con le braccia in croce era comune fra i pagani dell’Occidente e dell’Oriente. Su questo punto non v’ha alcuna differenza fra noi ed i Giudei. Rileggi i tuoi classici. Tito Livio ti dirà: In ginocchio elevavano le loro mani supplicanti verso il cielo, e verso gli dei (Nixæ genibus supinas manus ad cœlum ac Déos tendentes, – lib. XXXVI). Dionigi d’AIicarnasso: Bruto conoscendo la sventura e la morte di Lucrezia, elevò le mani al cielo, invocò Giove con tutti gli dei (Brutus, ut cognovit casum et necem Lucretiæ, protensis ad cœlum manibus: Jupiter, inquit, diique omnes etc. – Antiquit.,lib. IV). E Virgilio: Il padre Anchise sulla riva invoca i grandi dei, con le mani distese (At pater Anchises, passis de littore palmis, Numina magna vocat – Æneid. lib. III). Ed Ateneo: Dario avendo inteso come Alessandro trattasse le sue figlie prigioniere, prostese le mani verso il sole, e pregò, che se egli regnare più non dovesse, il regno fosse dato ad Alessandro. Ed in fine, Apuleo dichiara formalmente che tale maniera di pregare non era eccezionale, o come qualche giovane potrebbe qualificarla, una eccentricità, ma un permanente costume « L’attitudine di quelli che pregano, egli scrive, è di elevare le mani verso il cielo » (Cum hoc Darius cognovisset, manus ad Solem extendens precatus est, ut vel ipse imperaret, vel Alexander, – lib. XIII, c. 87). Un istinto che appellerei tradizionale, altrimenti non avrebbe nome, loro insegnava il valore di questo segno misterioso. Poterlo fare negli estremi momenti del viver loro, era per essi sicuro argomento di salute. Se la morte mi sorprende nel mezzo delle mie occupazioni, mi sarà sufficiente poter levare le mani al cielo, (Habitus orantium sic est, ut manibus extensis ad cælum precemur. – Lib. de Mundo vers. for.) diceva Arieno. E qui è da osservare, ed attendi bene ch’egli non dice: Se posso piegare il mio ginocchio, o battere il petto, o prostrare nella polvere la fronte; ma: Se posso stendere le mie braccia, ed elevarle verso il cielo. Perché ciò? Domandalo a’ tuoi compagni. E domanda ancora perché gli Egiziani aveano la croce nei templi, e pregavano dinanzi questo segno reputandolo nunzio di futura prosperità? Ai tempi di Teodosio, dicono gl’istorici greci Socrate e Sozomeno, quando erano distrutti i tempi degli dei, quello di Serapide in Egitto si trovò pieno di pietre su cui era scolpita la croce. Il che faceva dire a’ neofiti che fra Cristo e Serapide v’era qualche cosa di simile. Questi storici aggiungono che presso di loro la croce simboleggiava il secolo futuro (Theodosio magno regnante, cum fana gentilium diruerentur; inventæ sunt in Serapidis templo hieroglyphicæ litteræ habentes crucis formam, quas videntes illi, qui ex Gentiiibus Christo crediderant, aiebant significare crucem, apud peritos hieroglyphicarum notarum, vitam venturam. – Socrat. lib. V, c. 11. — Sozom. lib VII, c. 15;.). – Presso i Romani, questo istinto si era tradotto in fatto, di che dubiterei, se non avessi sott’occhio una medaglia, che me ne dà una prova materiale. Conoscendo eglino la forza del segno della croce, di che parlo, né volendo restare come Mosè, ed i primi Cristiani con le braccia distese lungo tutto il tempo di loro preghiere, che cosa fecero? Immaginarono una dea cui era commesso d’intercedere continuamente per la repubblica; e la rappresentarono nella postura di Mosè sul Monte, Per la qual cosa in Roma, nel mezzo del Forum olitorium, dove sono al presente i ruderi del teatro Mercello, si elevò la statua della dea detta : Pietas Publica. Dessa era rappresentata in piedi con le braccia distese da far croce col corpo, come Mosè, o come i primi Cristiani delle catacombe, avendo a sinistra un altare su cui bruciava l’incenso simbolo della preghiera (GRETZER, De Cruce, p. 33. — Porcellini, art. Pietas etc.).  – Sul conio del valore impetratorio e latreutico del segno della croce, l’Oriente del Nord era d’accordo con l’Occidente, i Cinesi coi Romani. Il crederesti tu? L’imperatore Hien-Suen sì antico da essere pressoché favoloso, avea come Platone presentito il mistero della croce. Per onorare l’Altissimo, questo antico imperatore congiungeva due pezzi di legno uno dritto e l’altro trasverso (Discours prelim. du CHOU-KING del P. PRIMARE. cap. IX, p. XCII). Dalle quali cose seguita, che de’ sette modi onde la croce può esser fatta, i pagani ne conoscevano tre, da essi eseguiti religiosamente e nelle importanti contingenze. – Benissimo, mi dici, ma sapevano eglino quel che facessero? Non era un segno puramente arbitrario, di nessun significato, e da che nulla è da dedurre? Che i pagani avessero inteso come noi il segno della croce, non è mia pretensione affermarlo; poiché presso di loro questo segno era come le figure presso i Giudei. Presso questi le figure aveano un significato reale, un grande valore più o meno misterioso a seconda de’ tempi, de’ luoghi e delle persone. Tu devi conoscere le lettere scritte con inchiostro simpatico. Queste tuttoché sieno reali, pure sono pressoché inapparenti, ma l’azione del fuoco le rende in un subito visibili. Così e non altrimenti è del segno della croce de’ pagani. Quando fu irradiato dalla luce evangelica questo segno chiaro oscuro, divenne intelligibile a tutti, si scoperse, parlò, come le figure dell’Antico Testamento.  Credere che il segno della croce presso i pagani fosse un segno arbitrario è tale una supposizione che di per se svanisce, poiché tutto ciò ch’è universale non è arbitrario, ed il segno della croce è universale più che ogni altra cosa. Noi tocchiamo, mio caro Federico, uno de’ più profondi misteri dell’ordine morale.  Non dimenticare lo scopo che mi son proposto, devo dimostrare, che la croce è un tesoro che ci arricchisce. Per essere arricchito è mestieri che l’uomo domandi; che Dio lo esaudisca, e che all’uopo l’uomo sia caro a Dio. Non v’ha di più caro a Dio che il suo Figlio e quelli, che a questo si assomigliano.  Ora il Figlio di Dio è un segno di croce vivente, e vivendo eternamente segno di croce, di poi l’origine del mondo, Agnus occisus ab origine mundi, è il gran Crocifisso, e questo gran Crocifisso è il nuovo Adamo, il tipo del genere umano. Per tornar caro a Dio è forza che l’uomo si assomigli al suo divino modello, è mestieri ch’egli sia un crocifisso, un segno di croce vivente. È questo il suo destino sulla terra come quello del Verbo. Povero, in tale attitudine deve presentarsi a Dio dimandandogli soccorso. La Provvidenza non ha voluto lasciargli ignorare questa condizione necessaria pel successo della sua preghiera. Come l’uomo non ha perduto la memoria della sua caduta, e la speranza della redenzione, cosi egli non ha perduto la conoscenza dello strumento redentore. Quindi la esistenza della conoscenza e della pratica, sotto una od altra forma, del segno della croce nelle preghiere, di poi l’origine de’ secoli sino a noi. Dio non solo ha commesso nel cuore dell’ uomo l’istinto del segno della croce, ma ha voluto che nel mondo materiale tutto fosse fatto secondo questo segno, per ricordare all’uomo ancora per Io mezzo degli occhi corporali la necessità di questo segno salutare, ed il ministero sovrano che esercita nel mondo morale. Diffatti, tutto quaggiù ne riproduce l’immagine. Ascolta quelli che hanno occhi per vedere! « È degno di grandissima considerazione, dice Gretzer, che di poi la origine del mondo Dio ha voluto la croce fosse presente agli occhi umani, ed all’uopo ha di maniera disposte le cose, che l’uomo nulla potesse fare senza l’intervento del segno della croce » (Illud consideratione dignissimum est, quod Deus flguram crucis ab initio semper in hominum oculis versari voluit, namque ita instituit, ut homo propemodum nihil agere posset; sine interveniente crucis specie. –De Cruce, lib. 1, c. 58). – Gretzer è il centesimo eco della filosofia tradizionale; ascoltane altri. « Quanto v’ha nel mondo è messo in opera secondo questo segno. L’uccello che attraversa gli spazi del cielo, e l’uomo sia che egli nuoti, o preghi non può agire che secondo questo segno. Per tentare la fortuna, e cercare le ricchezze fino negli estremi confini del mondo, l’uomo ha bisogno di una nave. Questa non può solcare le onde senza alberi, e questi di braccia a croce, senza che, impossibile tornerebbe darle una direzione. L’agricoltore dimanda alla terra il suo cibo, e quello de’ ricchi, e de’ re? ad ottenerlo adopera l’aratro, che col vomero rappresenta una croce » (Aves quando volant ad æthera formam crucis assumunt; homo natans per aquas, vel orans, forma crucis visitur. (S. Hieron. in c. XI, Marc.) — Antennae navium, velorum cornua, sub figura nostræ crucis volitant. – Origen. homil. Vili in divers.) – Sicut autem Ecclesia sine cruce stare non potest, ita et sine arbore navis infirma est. Statim enim diabolus inquiétat, et illam ventis allidit. At ubi signum crucis erigitur, statim et diaboli iniquitas repellitur, et ventorum procella sopitur. (S. Maxim. Taurin, ap. S. Ambr. t. III, ser. 56, etc.).Se il segno della croce è mezzo all’uomo per agire sulla natura fisica, l’è altresi per communicare con i suoi simili. Nelle battaglie non è la vista degli stendardi, che anima i combattenti? Che ci mostrino le cantabra e i sipario, de Romani, che non eran che degli stendardi a forma di croce. Gli uni e gli altri erano delle lance dorate sormontate da un legno orizzontale, di dove pendeva un velo d’oro, o di porpora. Le aquile colle ali distese al sommo delle lance e delle altre insegne militari ricordano invariabilmente il segno della croce; i monumenti delle vittorie, ed i trofei formano la croce. La religione de’Romani tutta guerriera, adora gli stendardi, giura per essi, e li preferisce a’ suoi dei, e questi stendardi sono delle croci : omnes illi imaginum suggestas insignes monilia crucium sunt (Tertull. Apolog. XVI). Di modo che, quando Costantino volle perpetuare nel vessillo imperiale, la memoria della vittoria avuta per la croce, vi aggiunse solo il monogramma di Cristo (EUSEB. lib. IX. Histor. 9). L’uomo si distingue dalla bestia perché cammina ritto su i piedi, e può distendere trasversalmente le braccia; e l’uomo in piedi con le braccia distese è la croce. Per lo che c’è imposto pregare in tale attitudine, affinché le nostre membra proclamino la passione del Signore, e quando ciascuno a sua maniera con lo spirito e col corpo confessa Gesù in croce, è sicuro che la nostra preghiera è esaudita. Il cielo istesso è disposto a questa forma. Qual cosa mai rappresentano i quattro punti cardinali, se non le quattro braccia della croce e la universalità di sua virtù salutare? La creazione tutta intiera ha l’impronta della croce. Platone istesso non ha forse scritto che la potenza più vicina al primo Dio, s’è estesa sul mondo in forma di croce? (Ideo elevatis manibus orare præcipimur, ut ipso quoque membrorum gettu passionem Domini fateamur. Tum enim citius nostra exauditur oratio, cum Christum, quem mens loquitur, etiam corpus imitatur. – S. Maxim. Taurin. Apud S. Ambros. tom. Ill, Serm. 36. — S. Hier, in Marc. XI. — Tertull. Apol. XVI.—Origan. Hom. VIII in divers). – Dalle cose dette segue la risposta da Minuzio Felice indirizzata ai pagani, che rimproveravano a’ Cristiani di fare il segno della croce. « E che, forse la croce non è da per tutto, diceva loro? Le vostre insegne, i vostri stendardi, le bandiere e i trofei, che cosa sono, se non la croce? Non pregate voi come noi a braccia distese? ed in tale attitudine non pronunziate voi delle formole che proclamano un solo Dio? Non vi assomigliate voi allora a’ Cristiani adoratori di un Dio unico, e che hanno il coraggio di confessare la loro fede nel mezzo delle torture dispiegando le braccia in forma di croce? Tra noi ed il vostro popolo qual differenza vi corre, quando con le braccia distese esclama: Gran Dio, Dio vero, se Dio lo vuole? È questo il linguaggio naturale del pagano, o la preghiera del Cristiano. Quindi, o il segno della croce è il fondamento della ragione naturale, o desso serve di base alla vostra religione istessa! » (Ita signo crucis aut. ratio naturalis innititur, aut vestra  religio formatur. Minut. Felix in Octavio.).Perchè adunque, soggiungono altri apologisti, lo perseguitate voi? Ed io altresì, mio caro Federico, potrei domandare a’ moderni pagani: Perché lo perseguitate questo segno? Perché ne avete onta? Perché siete larghi in lanciar sarcasmi contro i coraggiosi che lo fanno? La risposta è a capello quella che veniva data in altri tempi. « satana che scimmia Dio in tutto, si era impossessato di questo segno, e lo faceva eseguire a’ pagani per proprio conto. Il perfido! Egli era contento di vedere che gli uomini usano, per adorarlo e perdersi, il segno destinato alla adorazione del vero Dio, e salvare il genere umano. » Riguardo ai Cristiani era tutt’altra cosa. Per essi questo segno esercitava il suo vero ministero, comeché mezzo da onorare il vero Dio, e precipuamente il Verbo incarnato, oggetto dell’odio di satana cui il Cristo strappava l’uomo per salvarlo. E se pel Cristiano siffatto segno diveniva oggetto di scherno, era per lui un delitto degno della morte.  – D’onde procede che gl’iniqui di tutti i secoli mostrano de’ sentimenti contraddittori, d’amore e di odio, di rispetto e di scherno per questo segno adorabile? Da satana istesso, risponde Tertulliano. « Spirito di menzogna, agogna ad alterare la verità e le cose sante a profitto della idolatria. Così egli battezza i suoi adepti assicurandoli che quest’acqua li purificherà da ogni colpa, e di questa maniera inizia al culto di Mitra. Segna la fronte de’ suoi soldati, celebra l’oblazione del pane, promette la risurrezione, e la corona guadagnata con la spada. Che altro dirò? Egli ha un Sommo Pontefice cui interdice le seconde nozze, ha le sue vergini, e i suoi continenti. Se noi esaminassimo per minuto le superstizioni stabilite da Numa, gl’impieghi sacerdotali, le insegne, i privilegi, l’ordine e le parti de’ sacrifizi, gli utensili, i vasi da sacrifizio, gli oggetti per le espiazioni e le preghiere, non troveremmo noi che il demonio, scimmiando Mosè, ha tutto ciò stabilito? Dopo l’Evangelio lacontraffazione si è continuata » (A diabolo scilicet, cujus sunt partes intervertendi veritatem, qui ipsas quoque res sacramentorum divinorum ad idolorum mysteria æmulatur etc. (TERTULL. de præscript.). satana s’è spinto più oltre! Conoscendo tutta la potenza della croce ha voluto appropriarsela interamente, e sostituirsi alDio crocifisso per averne gli onori. « Questo implacabile nemico del genere umano risaputo, per lo mezzo degli oracoli profetici, dice Firmico Materno, ha reso strumento d’iniquità il segno che arrecar dovea la salvezza al mondo. Che cosa sono le corna di che si gloria? Strazio di quelle che l’inspirato profeta ha nominato, e che, o satana, credi adattare alla tua orribile figura. Come puoi tu trovarvi la tua gloria, ed il tuo ornamento? Queste corna non sono altro che il segno venerabile della croce » (Agitans et contorquens comua biformis… nequissimum hostem generis humani, de Sanctis venerandisque propheta-rum oraculis ad contaminata furoris suae transtulisse. Quæ sunt ista cornua quæ habere se jactat? Alia sunt comua, quæ propheta Sancto Spiritu annuente commemorat, quæ tu, diabolo, ad maculatam faciem tuam putas posse transferee, linde tibi ornamenta quæris et gloriam? Cornua nihil aliud, nisi venerandum crucis Signum monstrant. De error, prof. Relig. t. XXII). Così la fronte armata di questo sacro segno lo fa fremere di bile, e non trova supplizio, per crudele che sia, per punirlo d’aver portato l’immagine del Verbo incarnato; epperò, mio caro, egli ha fatto pessimo strazio de’ nostri padri e delle madri nostre, de’ fratelli e sorelle martiri di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ora ha fatto loro scuoiare la fronte, e sulle denudate ossa imprimere ignominiosi caratteri; ora pendere in forma di croce, e stirarli con corde e batterli con nervi di bue da far sconoscere in essi la figura umana (GRETZER: De Cruce lib. IV, c. 32, pag. 688). Grande insegnamento! L’odio di satana per la croce sia per noi norma della fiducia e dell’amore che dobbiamo a questo segno: Dimani vedrai che desso ha altri titoli ancora per questo duplice sentimento.

IL SEGNO DELLA CROCE (12)