DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2023).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli » (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La sua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con Lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Questo è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Così l’Offertorio ci mostra come Mosè dovette intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi Sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossimo delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali di cui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) . « Gesù, dice S. Beda, il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.). – La gloria del ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica. – « Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, è lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo sulla Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.
Ps 69:4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]
[Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

V. Glória Patri, et …..
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

TUTTO E NIENTE.

Alessandro Manzoni ha colto ancora una volta perfettamente nel segno quando parlando di Dio, come ce Lo ha rivelato N. S. Gesù Cristo, come noi Lo conosciamo alla sua scuola, ha detto che Egli atterra e suscita; due gesti contradditori, all’apparenza, ed entrambi radicali. Quando fa le cose sue, Dio non le fa a mezzo: se butta giù, atterra, inabissa; e se tira su, suscita, sublima: a questo radicalismo, e a questa completezza d’azione divina corrisponde anche quello che s. Paolo dice nella lettera d’oggi, messo a riscontro di ciò che afferma altrove. Ecco qua: oggi San Paolo dice ciò che è verissimo che, cioè, noi da soli siam buoni a nulla: neanche a formare un piccolo pensiero. Nel concetto di San Paolo e di tutti, è la cosa a noi più facile, assai più facile volere che fare. Il pensiero è il primo gradino della scala, il più ovvio, il più semplice. Non importa: neanche quello scalino l’uomo può fare da sé, proprio da sé, ci vuole l’aiuto di Dio. Il quale dunque, è tutto Lui e noi di fronte a Lui siamo un bel niente, uno zero. È un fiero e giusto colpo assestato al nostro orgoglio che ci fa credere di essere un gran che e di potere fare noi, proprio noi, chi sa che cosa. L’uomo ha degli istinti orgogliosamente, dinamicamente, mefistofelici. Noi vorremmo essere tutto: noi ci illudiamo di poter fare tutto. E invece ogni nostra capacità viene da Dio: « sufficientia nostra ex Deo est. » Il che non vuol dire che questa capacità (sufficientia) non ci sia. C’è ricollegata con Dio. E allora San Paolo appoggiato a Dio, immerso nell’umile fiducia in Lui, tiene un tutt’altro linguaggio, che par una negazione ed è invece un’integrazione del precedente. «Omnia possum in Eo qui me confortat » io posso tuto in Colui che mi conforta; dal niente siamo passati al tutto. Lo stesso radicalismo. Prima, nessuna possibilità e adesso nessuna impossibilità. Prima l’uomo buttato a terra, proprio umiliato (humus, vuol dire terra), adesso esaltato fino alle stelle, proclamato in qualche modo onnipotente. La contraddizione non c’è perché chi dice così non è lo stesso uomo che viene considerato, non è lo stesso uomo di cui si parla. L’uomo che non può tutto, che è la stessa impotenza, è l’uomo solo o piuttosto l’uomo isolato da Dio, lontano effettivamente ed affettivamente da Lui: ramo reciso dal tronco, tralcio separato dalla vite, ruscello a cui è stata tolta la comunicazione colla sorgente e che perciò non ha più acqua. L’uomo isolato così è sterile, infecondo nel bene, può scendere, non può salire. Ma riattaccatelo a Dio, mettetelo in comunicazione viva, piena, conscia, voluta, e la situazione si modifica dalla notte al giorno. L’anima che sente questo contatto nuovo, sente un rifluire in se stessa di nuove, sante, inesauste energie. Non poteva nulla senza il suo Dio, adesso può tutto unita a Lui. « Omnia possum in Eo quì me confortat. » E’ il grido magnanimo e non ribelle dei Santi, appunto perché la loro onnipotenza la ripetono da Dio, tutta e solo da Lui. Solo realizzando spiritualmente quel nientee quel tutto, solo vivendo tutta quella umiltà e tutta questa fede, si raggiunge l’equilibrio tra la sfiducia e la presunzione.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

L’ELEMOSINA

Tra Gerusalemme e Gerico, narra S. Gerolamo, v’era un immenso deserto che gli Ebrei chiamavano « Adommin », cioè il luogo del sangue. Nessuno si lasciava sorprendere dalla notte in quelle vicinanze, e chi vi passava da lungi, guardando in quella parte, tremava. Il misero viandante ch’era costretto ad attraversarlo da solo, spesso non ne usciva più: aggressori di strada, assassini sfuggiti al carcere, là vi trovavano rifugio con le belve e coi serpenti, sempre vigili a mal fare. A quei tempi doveva essere appena accaduto un fattaccio di sangue, tanto che Gesù ne desunse i particolari della sua parabola. « Un uomo faceva la strada che da Gerusalemme discende in Gerico quando incappò negli assassini che, spogliatolo di tutto, lo abbandonarono in mezzo alla strada, più morto che vivo.  « Or avvenne che un sacerdote e un levita passarono proprio per quella strada, guardarono fors’anche con occhio di compassione il viandante insanguinato, ma lo lasciarono là ad aspettare che la morte gli facesse grazia. « Per fortuna che di là passò anche un Samaritano pietoso; si avvicinò al ferito, lavò le piaghe con olio e vino, e le fasciò con amore. Poi caricandolo sulla sua cavalcatura, lo portò ad un albergo e n’ebbe cura di lui.  « Al dì seguente, non potendo più rimanere, lo presentò all’oste e tirando fuori due danari, gli disse:  « Tieni. Non lasciarlo mancare di nulla, al mio ritorno ti soddisferò di ogni disturbo ». – C’è della gente che per le sventure e le miserie e i bisogni del prossimo ha sempre un mondo di belle parole, di gentili espressioni che servono a nulla: tutti complimenti. Quando si tratta poi di venire a qualche cosa di più sodo, a privarsi di qualche comodo per aiutare gli indigenti, a toccare il proprio borsellino, allora cominciano a ritirarsi, a borbottare, a inviperirsi. Vedono un povero sulla via. « Poverino! esclamano, chissà che vita, che patimenti! E forse avrà una famiglia, dei bambini… ». Ma dalle loro tasche non spremono fuori nulla, piuttosto spremerebbero fuori dagli occhi una lagrimetta sterile. Essi sanno che il Papa ha bisogno dell’obolo dei fedeli, sanno che le Missioni non possono progredire senza offerte, comprendono la necessità in Italia dell’Università Cattolica, ma quando giunge la giornata del Papa, delle Missioni, dell’Università, essi non fanno che impazientirsi, e se pur offrono un soldo l’accompagnano con parecchie maledizioni. Non è questa la carità che Gesù Cristo ci ha voluto insegnare con la parabola di questa domenica. Il Samaritano non ebbe soltanto sguardi lagrimosi, o paroline di consolazione, ma adoperò il suo olio e il suo vino, offrì la sua cavalcatura, diede una giornata di tempo, e non gli rincrebbe tirar fuori i due danari e farsi garante di ogni spesa. E quando ebbe fatto tutto questo non squillò le trombe, non ne menò vanto, ma andò via semplicemente compreso in cuor suo di non aver fatto niente di più che un suo stretto dovere. Non fatevi delle illusioni: la elemosina non è un semplice consiglio, ma un precetto positivo, come quello di santificar la festa e di onorare il padre e la madre. Ed è appunto questo il pensiero più importante che ricaveremo dal santo Vangelo;  e poi rifletteremo quanto sia utile per noi osservare questo precetto. – 1. L’’ELEMOSINA È UN PRECETTO.  È terribile la maniera con cui l’Evangelista S. Matteo descrive lo svolgersi del giudizio finale. Gesù Cristo, dall’alto nella gloria e nel terrore, griderà: « Via da me, o maledetti, nel fuoco eterno ». « Perché, o Signore, — diranno aspramente i reprobi, — perché ci scacci in dannazione così? ». « Perché, — risponderà il Signore, — ho avuto fame, e non mi deste da mangiare. Esurivi enim, et non dedistis mihi manducare. Perché sono stato ammalato ed in prigione e non mi visitaste. Infirmus et in carcere, et non visitastis me. Perché ero nudo e non mi vestiste. Nudus, et non cooperuistis me » (Mt., XXV). « Ma quando, o Dio, tu fosti affamato, ammalato, nudo, e non ti facemmo carità? ».  « Ogni volta che un povero aveva bisogno di voi e non l’aiutaste ». E Vedete, osserva S. Giovanni Crisostomo, sembra quasi che al finir dei secoli Gesù Cristo non venga per altro che a condannare la durezza e la crudeltà dei ricchi verso i poveri. Bisogna dunque concludere che la elemosina sia un grave precetto, altrimenti per la sua trasgressione Iddio non ci condannerebbe all’inferno. Su che cosa si fonda il precetto dell’elemosina? Sopra l’assoluta sovranità di Dio verso i nostri beni. È Lui il padrone vero d’ogni nostra ricchezza, noi non ne siamo che i dispensieri e gli economi. Infatti, al momento della morte chi è capace di portarsi via qualche cosa con sé? Tutto dobbiamo lasciare quasi scadesse un contratto d’affitto. Ma come l’economo deve consegnare una parte dei frutti al padrone, così noi dobbiamo offrire a Dio una parte di quei beni che Egli ci ha dati. E a Dio glielo offriamo per le mani dei poveri. Al tempo di Abele e dei patriarchi al suo Nome si bruciavano i frutti dei campi o le pecore del gregge; ma ora il Signore comanda che questa parte a Lui dovuta si distribuisca ai poveri. Un ricco adunque che nega al povero l’elemosina è un suddito che si ribella al suo sovrano, è un fattore che rifiuta di riconoscere il suo padrone. Da qui ne deriva un’altra conseguenza, che l’elemosina deve essere proporzionata ai beni che si posseggono e alla loro quantità. Avete poche sostanze? Dio da voi pretende una moderata elemosina. Siete invece nell’abbondanza? dovete dar molto. Non crediate di ingannar la coscienza col dare poco quando si è ricevuto moltissimo. Non est eleemosyna pauca largiri (S. AMBROGIO). Noi troviamo danari per il lusso esagerato delle vesti, per i divertimenti, per ogni comodità della vita, e per i poveri e per i bisognosi non troviamo nulla. E spesso le persone più generose non si trovano tra i ricchi, ma tra quegli stessi che hanno meno. Ricordiamoci però che quello che diamo ai poveri e alle opere buone è dato a Cristo, e quello che ai poveri e alle opere buone noi neghiamo, potendo dare, è negato a Cristo. S. Gregorio Magno ad un povero che bussava alla sua porta, non avendo più danaro, regalò un piatto d’argento. Dopo qualche giorno, gli apparve mentr’era seduto a tavola un giovane bellissimo. Lo guardò fisso: era Gesù e teneva nelle mani il suo piatto d’argento. Quando dopo questa vita Cristo apparirà anche a noi, che cosa avrà nelle mani? E se avrà nulla quale scusa balbetteremo? « Ti ho promesso il cielo — dirà — e tu non mi hai dato un pane né un soldo. « Ti ho illuminato col mio sole, ti ho ristorato con la mia acqua, ti ho nutrito con le mie creature e tu m’hai lasciato languire di fame e di sete. « Ti ho dato perfino il mio Corpo e il mio Sangue prezioso e non mi ricompensasti neppure con un bicchier d’acqua ». – 2. UTILITÀ DELL’ELEMOSINA. Qualsiasi precetto del Signore è sempre in nostra utilità. E quanto è più gravoso, tanto è più utile. Quelli, dunque, che non osservano i comandamenti di Dio non fanno i propri interessi, e piangeranno un giorno. Una gentile leggenda indiana dice che un povero era uscito lungo il sentiero del villaggio a mendicare. Ed ecco lo strepito di un cocchio regale sopraggiungere verso di lui. Egli credette che fosse giunto, finalmente, il giorno della sua fortuna. Invece dal cocchio usci una nobile mano che si stese a lui in atto di chiedere: « Che cosa hai da darmi? ». Quale ironia: stendere la mano per chiedere l’elemosina a un povero! Pure, confuso ed esitante, il mendico tirò fuori dalla bisaccia un chicco di grano e glielo diede. Ma quale fu la sua sorpresa quando, finito il giorno, vuotando sul pavimento la bisaccia, trovò nello scarso mucchietto un chicco d’oro! Pianse amaramente ed esclamò: « Perché non ebbi io il cuore di darti tutto il mio possesso? ». Alla sera di questa vita, quando rovesceremo davanti a Dio la bisaccia delle nostre opere per essere giudicati, ci accorgeremo come le mani del povero ci hanno cambiato in oro eterno quello che abbiamo elargito in elemosina. E piangeremo forse, per non aver dato o per aver dato troppo poco. In quattro maniere Dio ricompensa i caritatevoli: Primo: con la remunerazione temporale che è l’abbondanza delle cose. Col Signore è un bel trattare; dà sempre sette volte di più di quel che gli diamo. Da Altissimo, quoniam Dominus retribuens est: et septies reddet tibi (Eccl., XXXV, 12). Secondo: con la remunerazione corporale che è la sanità del corpo. Se facciamo offerte non solo riceveremo l’abbondanza dei frutti ma anche la sanità del corpo. Si decimas dederis non solum abundantiam fructuum recipies sed etiam sanitatem corporis consequeris (S. AGOSTINO). Terzo: con la remunerazione spirituale che è la remissione dei peccati. « Cancella i tuoi peccati con le elemosine » diceva Daniele al re scellerato di Babilonia: Peccata tua eleemosynis redime (IV, 24). Quarto: con la remunerazione eterna che è il paradiso. « Avevo fame e mi sfamaste, avevo sete e mi dissetaste… Venite, benedetti, e possedete il regno dei cieli ch’è vostro ». Venite…, possidete paratum vobis regnum (Mt., XXV, 34). – Mentre conducevano a morte il diacono S. Lorenzo, poiché si sapeva ch’egli era il tesoriere del Vescovo, i soldati cominciarono ad angariarlo per conoscere dove avesse nascosto i suoi tesori. Egli allora chiamò i poveri e disse: « Ecco i miei tesori ». Ed aveva ragione perché tutto quello che si dà ai poveri diventa tesoro nostro per l’eternità. Manus pauperis; gazophylacium Dei (SAN PIER CRISOLOGO). — OLIO E VINO SULLE FERITE. Doveva essere un momento di grande entusiasmo. Ritornavano proprio allora i discepoli mandati a predicare e ciascuno raccontava al Maestro quanto aveva fatto. Gesù stesso si sentiva commosso. Il pensiero delle anime a cui era giunta la buona novella, la vista dei suoi che eran contenti di aver predicato il Suo Regno di amore, gli inondava il cuore di santa letizia. « Beati — esclamò — beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete! ». Un uomo, istruito nella legge, che non era però del numero di quei discepoli che avevano lavorato per il bene del prossimo, vedendo il Signore far tanta festa ai suoi, dovette sentire un po’ d’invidia, poiché domandò subito a Gesù: « Ed io per salvare l’anima che debbo fare? ». « La legge cosa dice? ». « Ama Dio con tutte le forze ed il prossimo come te stesso ». « Benissimo! fa così ed avrai la vita ». Per rispondergli bene Gesù raccontò questa parabola del samaritano. Ecco chi è il prossimo e come, in pratica, lo si ama. Per aver la vita eterna bisogna proprio amarlo così. Lo dice chiaramente Gesù nel Vangelo di oggi. Ferite materiali forse ne troveremo poche, ma quanti fratelli, nel cammino della vita, hanno le ferite della sventura e del dolore, hanno le ferite del peccato e dell’errore. Tocca a noi versar sulle prime l’olio che conforta e solleva, versar sulle altre il vino che disinfetta e toglie la corruzione. – 1. CONFORTARE NEL DOLORE. A 24 anni, nel fior della giovinezza, un male strano lo incoglie e lo costringe a letto. Si tratta di qualche cosa di grave e Pier Giorgio Frassati ha la sensazione che l’ultima sua ora è vicina. Ricco di censo, figlio di senatore, alla vigilia della laurea di ingegnere, si vede d’un tratto la morte davanti ma non ha paura: per il giusto la morte non è mai improvvisa. Accorrono i medici, fanno consulto, fan venir da Parigi un siero rarissimo, ma… la sua mente è nei suoi pensieri santi. È venerdì: il giorno dedicato ai suoi poveri che andava a visitare di casa in casa e si ricorda che doveva portare ad una famiglia una scatola di iniezioni. Chiama la sorella che vada nello studio a prendere la sua giacca; trae il portafoglio, ne toglie una polizza e vuole che subito si compri la medicina. Quando gliela portano è tutto raggiante. Invano i suoi cari gli vogliono strappare la penna di mano. Raccoglie le forze e con stento indicibile riesce a scrivere l’indirizzo dei poveri a cui era destinata. Quella mano che sempre si era allargata per fare del bene voleva irrigidirsi in un atto di carità. Aveva lui bisogno di estremi rimedi, eppure pensava non a sé ma agli altri. – In Pier Giorgio però questo atto non era eroismo: era coerenza, nient’altro che coerenza a tutta la sua vita. Aveva capito che fare il Cristiano vuol dire essere degli altri. Per questo gli era sembrato la cosa più naturale far parte alle conferenze di S. Vincenzo per il soccorso ai più poveri; per questo non aveva vergogna a stender la mano; per questo gli pareva un delitto sciupare il denaro. Il Cristianesimo, se è davvero vissuto, vi vuole così. Il ricco è fratello, è ministro del povero. L’uomo deve asciugare le lagrime di colui che piange. Studiate il Vangelo, leggete S. Paolo; vi persuaderete che il Cristianesimo vero è questo. – Gesù Cristo è morto per tutti, ha voluto essere l’amico dei poveri, ha consacrato la sofferenza e il dolore. All’ombra della Croce sorgono gli Ospedali ed i ricoveri pii, si raccolgono gli orfani ed i malati. E noi le comprendiamo queste cose, o di Cristiani non abbiamo che il nome? Quando la morte getta lo schianto in una famiglia non ci assentiamo; facciamoci vedere. Una parola di conforto la dobbiamo sempre dire. Se lungo la strada ci stendono la mano a chiederci un soldo, facciamo volentieri la nostra elemosina. Se la sventura colpisce i nostri fratelli e possiamo dar loro un po’ di sollievo, diamolo subito con tanto cuore. Potremo noi darci ai divertimenti e al lusso, quando vicino alle nostre case, nelle nostre vie, nel nostro paese ci sono di quelli che piangono e non hanno il necessario? Non ama Cristo chi non ama i poveri e quelli che soffrono! – 2. CORREGGERE DELL’ERRORE. Pietro e Giovanni ascendevano al Tempio nell’ora della preghiera. Sulla porta Speciosa trovarono un Uomo che era storpio fin dalla nascita. Tutti i giorni lo mettevano là perché, stendendo la mano, raccogliesse il necessario per vivere. Sentirono, gli Apostoli, una gran compassione, e Pietro avvicinandolo disse « Senti: non ho né oro né argento. Ti do quanto posso: In Nome di Gesù di Nazaret sorgi e cammina ». E presagli la destra lo sollevò da terra tutto risanato. Contento come mai era stato, entrò con essi nel Tempio a lodare il Signore. Ci sono di quelli che non hanno bisogno d’argento e d’oro, ma di qualche cosa di assai più importante. Sono incapaci di muovere un passo nella vita del bene perché si trovano avvolti nella colpa. Hanno difetti che potrebbero correggere, ma perché non c’è nessuno che sa loro parlare, menano una vita che è senza gusto. Sono… alla porta del Tempio, cioè con poco potrebbero amare il Signore di più ed invece sono sempre allo stesso luogo: ci vuole qualcuno che dia loro una spinta e li faccia rialzare. Perché a queste anime non possiamo dire una parola di dolce rimprovero o di ammonizione fraterna? Se uno, per isbaglio, portasse il mantello rovesciato od avesse sul volto una macchia, non è forse creanza renderlo avvisato? Quando dunque un fratello sbaglia noi dovremmo correggerlo in bella maniera, fargli capire il male che ha fatto. Invece troppe volte gli si mormora dietro le spalle e si propalano i suoi difetti ai quattro venti. Che dire poi se i genitori od i superiori che hanno l’obbligo grave di correggere i figli e i dipendenti diventassero « cani muti che non sanno latrare? ». Sventure a loro perché dovranno rendere a Dio uno strettissimo conto. Che anche un’anima sola si perda per nostra colpa è tale un pensiero da farci tremare. – Un giorno, al convento di S. Benedetto, si presentò un povero a chiedere per carità un po’ di olio. Il frate portinaio si lasciò prendere dall’avarizia e con una bugia rispose che di olio in convento non ce n’era più: le anfore erano vuote. Di lì a pochi giorni lo seppe l’Abate e andato in cucina buttò giù dalla finestra tutto l’olio che ancor rimaneva. Se i nostri fratelli hanno bisogno dell’olio del conforto o del vino della correzione diamolo sempre e per amore di Cristo soltanto. Se facessimo l’avaro il Signore ci potrebbe castigare.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo.

[Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.


Communis
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessione dicéntes

(È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode:)

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELLA’ASSUNZIONE IN CIELO DELLA B. VERGINE MARIA (2023)

FESTA DELLA B. V. MARIA ASSUNTA IN CIELO

15 AGOSTO (2023)

Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

Doppio di I classe con Ottava Comune – Paramenti bianchi.

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.).

In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

Doppio di I classe con Ottava Comune. – Paramenti bianchi.

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi La festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte, l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.

S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ap XII:1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim.

[Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie].

Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.

[Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria].

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10

Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.

[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV:11-12; XLIV:14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum.

[Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja.

[V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia].

V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  

[Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

[E. Campana: Maria nel dogma cattolico, Marietti ed. VI ed. Torino, 1946]

VI. — In genere, a causa della divina maternità, Maria si trovò così intimamente congiunta a Gesù, i misteri della vita di Maria si intrecciano così armonicamente coi misteri della vita del Salvatore, che la mancata glorificazione del corpo di Maria segnerebbe una insopportabile stonatura in questo così divino armonioso concerto. « Non v’è, ci sia lecito usare le parole stesse del Nicolas, non v’è un solo mistero di Gesù Cristo, che non abbia il suo accompagnamento e come la sua eco in un mistero corrispondente della santissima Vergine: e questo parallelo dei misteri del Figlio con quelli della Madre è così costante, che è impossibile non vederci una legge. Così il primo di questi misteri, quello della destinazione di Gesù Cristo, implica necessariamente quello della predestinazione di Maria, poiché Egli è predestinato solo in quanto uomo, e per conseguenza figliuolo di Maria. Il secondo mistero di Gesù Cristo, quello della sua preannunciazione profetica, non si presenta a noi senza associare Maria alla medesima grandezza: la donna, la Vergine è sempre mostrata dai profeti al tempo stesso che il suo seme, ossia il Figliuolo, il cui nome proprio di Fiore, di Germe, di Figlio, che gli è sempre dato nelle sacre Scritture, chiama necessariamente quello di radice, di donna, di madre, che corrisponde. Maria può dire come Gesù Cristo: Nel complesso del libro di me sta scritto. — In testa del libro è stato scritto di me. Il mistero, il gran mistero della venuta di Gesù Cristo, dell’Incarnazione del Verbo, non forma che uno con quello dell’Annunciazione della maternità divina; il medesimo mistero che produce un Uomo-Dio, fa una Madre di Dio. Il mistero della visita di Gesù al suo Precursore e della santificazione che gli arrecava con quello della Visitazione di Maria ad Elisabetta, e lo Spirito Santo per la bocca di questa non benedice il frutto, senza benedire il seno di Maria. Il giorno della Natività presenta il Bambino con Maria sua madre, riflettendo sopra di Lei lo splendore della sua divinità e della gloria che gli angeli, i pastori ed i re gli conferiscono. Il mistero della Presentazione si congiunge con quello della Purificazione, e l’associazione della Madre col Figliuolo nel gran destino di essere posto per bersaglio alla contraddizione affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri, va nella profezia del vecchio Simeone, fino a passar l’anima della Madre colla medesima spada di dolore che penetrerà quella del Figlio. La fuga in Egitto ed il ritorno a Nazareth ci fanno vedere il Bambino e la Madre, strettamente uniti nel pericolo e nella salute, confidati come un solo deposito alla guardia ed alla fedeltà di Giuseppe. La manifestazione della sapienza del Fanciullo-Dio, al tempio fra i Dottori, non può separarsi dalla manifestazione della sua sommissione a Maria, prolungata per ben vent’anni, e della fedeltà con cui questa Madre faceva di tutte queste cose conserva in cuor suo. L’entrata di Gesù nella carriera dei suoi prodigi, e la manifestazione della sua gloria col miracolo di Cana, fa luogo al glorioso mistero della potente intercessione di Maria, che l’ottiene da questo divin Figliuolo, sino a fargli anticipar l’ora della sua gloria. Finalmente, quando quest’ora è venuta, questa grand’ora della sua passione e della sua morte, che dev’esser quella della nostra redenzione e del suo trionfo, allora il Salvatore del mondo vuole che la sua Madre sia al suo lato, che divida i suoi patimenti liberatori, quel calice di amarezza e di morte che deve esaurire quello della collera celeste: Egli vuole che la compassione di Lei risponda alla sua passione, e che questa e quella si raddoppino reciprocamente, per concorrere al medesimo fine, quello di generare noi alla vita di Dio, sino a costituire Maria nostra Madre, col medesimo mistero che rende Dio nostro Padre. « È chiaro: tutti i misteri di Gesù camminano così accompagnati da un mistero corrispondente di Maria. Sono come due voci, due strumenti disuguali di tono, ma che formano sempre un perfetto accordo di armonia. Maria è come quella nube su cui il sole per riflesso dei suoi raggi viene a rappresentarsi esso medesimo, in una brillante chiarezza, formando un altro sole intorno a sè, con quel fenomeno luminoso che si chiama perielio. Così intorno ad ogni mistero, ad ogni grandezza, ad ogni gloria di Gesù Cristo, v’ha un mistero luminoso, una grandezza ed una gloria corrispondente in Maria. È un fatto, ed un fatto così certo, che suppone una economia, una legge. « Come si vorrebbe ora che il mistero dell’Ascensione sia il solo mistero di Gesù Cristo che non avesse il suo parellelo in un mistero conforme in Maria? Come mai due destini così meravigliosamente uniti sin dalla loro origine ed in tutto il loro corso si vorranno separare al loro termine? Sarebbe questa un’anomalia tanto più strana, perchè egli è in vista del termine ch’Ei sono stati sì strettamente uniti nella loro predestinazione e nel loro corso. L’Assunzione della SS. Vergine vien dunque coll’Ascensione di Gesù Cristo a compiere mirabilmente il meraviglioso accordo dei loro destini ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.

[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.

[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

Præfatio  …

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

… de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Assumptione beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Assunzione della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepì il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc 1:48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est.

[Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.

[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2023)

Semidoppio – Paramenti verdi.

La Chiesa nella liturgia di questo giorno ci insegna come Dio accordi il suo aiuto divino a tutti quelli che lo domandano con confidenza. Ezechia guarì da una malattia mortale, grazie alla sua preghiera, come pure liberò il suo popolo dai nemici; mercè la sua preghiera sulla croce, Gesù cancella i nostri peccati (Ep.) e risuscita il suo popolo a nuova vita mediante il Battesimo di cui è simbolo la guarigione del sordo muto, dovuta pure alla preghiera di Cristo (Vang.). Così, dato che per la virtù dello Spirito Santo, Gesù cacciò il demonio dal sordo muto e che i Sacerdoti di Cristo cacciano il demonio dall’anima dei battezzati, si comprende come questa XI Domenica dopo Pentecoste si riferisca al mistero pasquale ove, dopo aver celebrata la risurrezione di Gesù si celebra la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, e si battezzano i catecumeni nello Spirito Santo e nell’acqua affinché, come insegna S. Paolo seppelliti con Cristo, con Lui resuscitino. – Il regno delle dieci tribù (regno d’Israele) durò 200 anni circa (938-726) e contò 19 re. Quasi tutti furono malvagi al cospetto del Signore e Dio, allora, per castigarli, dette il loro paese ai nemici. Salmanassar, re d’Assiria, assediò Samaria e trascinò Israele schiavo in Assiria nell’anno 722. I pagani, che presero il posto nel paese, non si convertirono totalmente al Dio d’Israele e furono detti samaritani dal nome di Samaria. — Il regno di Giuda durò 350 anni circa (938-586) ed ebbe 20 re. Una sola volta questa stirpe regale fu per perire, ma venne salvata dai sacerdoti che nascosero nel tempio Gioas, al tempo di Atalia. Parecchi di questi re furono malvagi, altri finirono come Salomone nel peccato, ma quattro furono, fino alla fine, grandi servi di Dio. Questi sono Giosafat, Gioathan, Ezechia, Giosia. L’ufficio divino parla in questa settimana di Ezechia, tredicesimo re di Giuda. Egli aveva venticinque anni quando diventò re e regnò in Gerusalemme per ventinove anni. Durante il sesto anno del suo regno, Israele infedele fu tratto in schiavitù. « Il re Ezechia, dice la Santa Scrittura, pose la sua confidenza in Jahvè, Dio d’Israele e non vi fu alcuno uguale a lui fra i re che lo precedettero o che lo seguirono; così Jahvè fu con lui ed ogni sua impresa riuscì bene ». Allorché Sennacherib, re d’Assiria, voleva Impadronirsi di Gerusalemme, Ezechia salì al Tempio e innalzò una preghiera a Dio, pura come quelle di David e Salomone. Allora il profeta Isaia disse a Ezechia di non temere nulla poiché Dio avrebbe protetto il suo regno. E l’Angelo di Jahvè colpì di peste centosettantacinque mila uomini nel campo degli Assirii. Sennacherib, spaventato, ritornò a marce forzate a Ninive ove morì di spada. Dio accordò più di cento anni di sopravvivenza al regno di Giuda pentito, mentre aveva annientato il regno d’Israele impenitente. — Ma Ezechia cadde gravemente malato e Isaia gli annunciò che sarebbe morto: « Ricordati, o Signore, disse allora il re a Dio, che io ho proceduto avanti a te nella verità e con cuore perfetto, e che ho fatto ciò che a te è gradito » (Antifona del Magnificat). E Isaia fu mandato da Dio ad Ezechia per dirgli: « Ho intesa la tua preghiera e viste le tue lacrime; ed ecco che ti guarisco e fra tre giorni tu salirai al Tempio del Signore ». Ezechia infatti guari e regnò ancora quindici anni. Questa guarigione del re che uscì, per così dire, dal regno della morte il terzo giorno, è una figura della risurrezione di Gesù. Così la Chiesa ha scelto oggi l‘Epistola di S. Paolo nella quale l’Apostolo ricorda che il Salvatore è « morto per i nostri peccati, è stato seppellito ed è resuscitato « nel terzo giorno » e che per la fede in questa dottrina noi saremo salvi come l’Apostolo stesso. Per questo stesso motivo è preso per l’Introito il Salmo 67, nel quale lo stesso Apostolo ha visto la profezia dell’Ascensione (Ephes., IV, 8).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtù e potenza.]

Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.

[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtù e potenza.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.

[O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

[“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, apparve anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.”].

LA SINTESI DEL CREDO IN S. PAOLO.

Una delle cose che ci stupiscono davanti a certi monumenti costrutti dalla mano dell’uomo, monumenti materiali, è la loro antichità. Quando dinanzi all’arco di Tito, ancora così ben conservato nelle sue linee maestose, e anche in certi, in molti particolari secondarî, possiamo dire: ha duemila anni circa… ci pare d’aver fatto un grande elogio. Eppure questo è monumento morto. Noi ci troviamo oggi dinanzi a un monumento vivo, una costruzione ideale, cioè di idee, di concetto, di verità: il Credo, quello che voi sentite cantare ogni domenica. Ebbene il Credo ha duemila anni di vita. E noi ci troviamo oggi davanti al primo Credo, quale lo insegnava Paolo ai suoi convertiti. Non c’è tutto, c’è però la sostanza, il midollo centrale. Alcuni articoli sono sottintesi come presupposto necessario e implicito: altri saranno da lui stesso accennati altrove come corollari, ma il nucleo centrale è il Cristo Gesù, e Gesù è crocifisso e risorto. La sostanza, il centro del Vangelo è lì: Dio, Dio Creatore fa parte del credo religioso; cioè proprio di ogni religione che voglia essere appena appena non indegnissima di tal nome. Anche i Giudei credono in Dio Creatore e Signore del cielo e della terra. San Paolo non ricorda questo articolo, qui dove sintetizza il suo Credo, il Credo dei suoi Cristiani, non perché essi possano impunemente negare Dio, ma perché è troppo poca cosa per noi l’affermarlo Creatore. Il nostro Credo incomincia dove finisce il Credo della umanità religiosa. Ed eccoci a Gesù Cristo. Uomo-Dio, Dio incarnato, uomo divinizzato, mistero di unione che non è confusione e non è separazione. Ebbene, questi due aspetti che in Gesù Cristo Signor nostro si sintetizzano, San Paolo li scolpisce, da quel maestro che è, nella Crocifissione e nella Resurrezione di Lui. « Io, – dice Paolo ai suoi fedeli suoi… da lui istruiti, da lui battezzati, da lui organizzati, — io vi ho prima di tutto trasmesso quello che ho ricevuto anch’io, vale a dire: che Cristo è morto per i nostri peccati, come dicono le Scritture, che fu sepolto ». È il poema, grandioso poema, e vero come la più vera delle prose, delle umiliazioni di N. S. Gesù Cristo: l’affermazione perentoria e suprema della sua vera e santa umanità: patire, morire, patir sulla Croce, morire sulla Croce. – San Paolo tutto questo lo ha predicato ai Corinzi, come egli stesso dice altrove, con santa insistenza. A momenti pareva che non lo sapessero: era inebriato della Croce; ossessionato dal Crocefisso. Lo predicava con entusiasmo. E veramente questo Gesù che soffre e muore è così nostro. È così vicino a noi. Non potrebbe esserlo di più. « In labore hominum est: » è anch’egli soggetto al travaglio degli uomini. Travaglio supremo, supremo flagello: la morte. Tanto più ch’Egli è morto non solo come noi, ma per noi, per i nostri peccati e per la nostra salute; per i nostri peccati, causa la nostra salute, scopo e risultato della Redenzione. Ma per le loro cause sono morti anche gli eroi: Gesù Cristo è quello che è, quello che Paolo predica, la Chiesa canta nel Credo: Figlio di Dio unigenito, e la prova, la dimostrazione: la Sua Resurrezione. Uomo muore, Dio vive di una vita che vince la morte, e va oltre di essa immortale. Perciò Paolo continua: « Vi ho trasmesso che Cristo risuscitò il terzo giorno, come dicono le Scritture ». E della Resurrezione cita i testimonî classici, primo fra tutti Cefa, ultimo Lui, Paolo, ultimo degli Apostoli, indegno di portarne il nome, ma Apostolo come gli altri. La morte univa Gesù a noi, la vita non lo separa da noi. Gesù Crocifisso è il nostro amore mesto e forte. Gesù Risorto è la nostra grande speranza, primogenito quale Egli è di molti fratelli. Da venti secoli la Chiesa canta questo inno di fede, di speranza, d’amore.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXVII:7 – :1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.

[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja

[A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Alleluja

Allelúia, allelúia
Ps LXXX:2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venit per Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

[“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”


Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

APRI L’ANIMA ALLA PREGHIERA

Condussero a Gesù un uomo sordo e muto perché, toccandolo con la sua mano, lo sanasse. Egli lo trasse fuori dalla calca: gli toccò con le dita le orecchie e gli pose un po’ di saliva tra le labbra. Poi, guardando in alto, sospirò: « Apriti! » disse. A quel comando divino il sordomuto cominciò a udire e a parlare. La folla intorno ammirava stupefatta e magnificava la potenza del Signore, dicendo: « Ogni cosa gli riesce bene. Ma che uomo è costui che ai sordi dà l’udito, ai muti la parola? ». – I gesti di Gesù in questo miracolo, ci ricordano il rito del santo Battesimo. È ancora Gesù che nella persona del suo ministro tocca l’orecchio e bagna di saliva le labbra del battezzando, e ripete il suo comando miracoloso: « Apriti! ». Apriti! E l’anima ch’era sorda e muta alla vita soprannaturale si apre alla grazia che da ogni parte scaturisce in lei e la rende una nuova creatura, innestata a Cristo come un tralcio nel tronco della vite, figlia anch’essa di Dio e perciò erede delle divine sostanze. Questi sono gli effetti del Battesimo. Ma l’immenso tesoro di grazie che Dio pone in noi deve essere accuratamente conservato, rinnovato, accresciuto con una continua preghiera. È necessario che il battezzato preghi sempre senza mai cessare. In un libro molto noto di letteratura umoristica si parla di un buffo barone (quello di Münchausen) il quale pretendeva di sollevarsi da terra aggrappandosi ai capelli. Illusi nella medesima stoltezza sono quei Cristiani che pensano di vivere il loro Battesimo e di salvarsi senza pregare continuamente, soltanto aggrappati alle proprie forze. – Nell’ordine soprannaturale noi, colle nostre forze, non possiamo tener fronte ai nostri nemici spirituali così astuti e così forti. Non possiamo nella nostra debolezza sostenere il peso della legge di Dio e osservare i comandamenti. Non possiamo compiere il minimo atto di virtù. Esplicita la parola di Gesù Cristo: « Senza di me non potete far nulla » (Giov., XV, 5); è ben esplicita la parola dell’Apostolo Paolo: « Noi non siamo capaci di pensare, da per noi stessi, qualche cosa di buono; la nostra capacità è da Dio » (II Cor, III, 5). Da ciò risulta che la preghiera è il linguaggio indispensabile della vita cristiana e che ogni mutismo in proposito è ingiustificabile. – 1. LA PREGHIERA È IL LINGUAGGIO DELLA VITA CRISTIANA. Lo Spirito Santo provoca continuamente l’anima battezzata con queste parole: « apriti alla preghiera! ». Anzi Egli stesso forma nel profondo dei cuori quei gemiti inenarrabili, quegli atti di domanda fiduciosa che attraversano i cieli e vanno a toccare il cuore di Dio. a) Quando alla vista di un cielo stellato, d’un ridente mattino, d’un campo promettente copioso raccolto, d’una cerchia di monti, di un’azzurra conca di lago, dello sconfinato orizzonte del mare, voi assurgete ad ammirare la grandezza, la bellezza, la forza di Dio autore di tutte le cose; quando considerando le vicende degli uomini e i casi stessi della vostra vita, voi intravvedete la trama della sapienza e della bontà di Dio che tutto dispone soavemente; e nel medesimo tempo di fronte alla Maestà Divina sentite la nullità del vostro essere, e v’inchinate col vostro pensiero profondamente davanti a Lui, riconoscendolo per vostro Padre, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di adorazione. È un dovere la preghiera di adorazione; è un dovere del figlio riconoscere suo padre; del suddito riconoscere il suo sovrano; del servo riconoscere il suo padrone; della creatura riconoscere il suo Creatore. È poi una delle forme più belle di preghiera, perché l’anima non chiede nulla per sé, dimentica se stessa e si immerge in Dio: lo loda, lo adora, lo benedice, lo glorifica per nessun motivo interessato, ma solo per la sua gloria. Propter magnam gloriam tuam! Quando ripensando ai molti e segnalati benefici ricevuti da Dio, voi sentite in fondo all’anima vostra sgorgare l’onda della gratitudine verso di Lui, e mentre il cuore si effonde in teneri affetti, il labbro non sa contenere calde espressioni di ringraziamento, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di ringraziamento. È un dovere la preghiera di ringraziamento, perché è un dovere del beneficato essere riconoscente dei benefici ricevuti. Un soldato indigeno durante la guerra africana faceva questa pungente osservazione: « I soldati bianchi, quando si sentono colpiti dalla disgrazia, allora implorano soccorso: aiutami, buon Dio! buon Dio, aiutami! Quando invece tutto procede bene, a loro gusto, allora se ne fregano di Dio, anzi lo bestemmiano con le parole e lo insultano con le opere ». Quel soldato nero forse esagerava, ma diceva una dolorosa verità. Infatti, quanti sospiri, quante novene, lumini, fiori per ottenere una grazia! Ed ottenutala, intenti a godersela, si dimentica il benefattore. I più grandi benefici del Signore sono tre:— la Creazione; e di questo lo dovete ringraziare con le preghiere del mattino e della sera; — la Incarnazione del suo Figlio; e di questo lo dovete ringraziare con la S. Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. E perché fuggire via prima delle tre «Ave Maria » finali? È forse segno di riconoscenza?  — la vostra divinizzazione mediante la grazia santificante; e di questo lo dovete ringraziare con la fuga dalle occasioni di peccato.  c) Quando alla considerazione dei vostri sbagli, vi sentite profondamente penetrati di umiliazione e di dolore per le offese fatte a Dio, e inorridendo alla vostra perfidia e miseria cominciate a rivolgervi a Lui implorando perdono, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di propiziazione. È un dovere la preghiera di propiziazione perché è dovere dell’offensore chiedere perdono all’offeso, dichiararsi pronto alla riparazione. – d) Quando nei dubbi, nei pericoli, nelle lotte, nelle tribolazioni, nelle amarezze, voi sentite il bisogno di Dio e a Lui ricorrete chiedendo aiuti materiali e spirituali, invocando specialmente per l’anima luce, assistenza, forza di adempire fedelmente la Sua divina volontà, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate! Questa è la preghiera di domanda. È un dovere la preghiera di domanda (o impetrazione), perché è un dovere indeclinabile per ciascuno di provvedere alla propria eterna salvezza, e così raggiungere il fine vero per cui è stato creato. Siccome nel presente ordine di Provvidenza Dio ha legato la concessione delle sue grazie alla preghiera, è ben chiara la conseguenza che ne deriva: chi prega si salva, chi non prega si danna. – 2. INGIUSTIFICABILE MUTISMO. Ho l’impressione incresciosa che in questo nostro tempo si preghi troppo poco. -a) La società moderna, in quanto tale, non prega più: le nazioni sono diventate o atee o indifferenti. Nei parlamenti e dai governi non si nomina più il Nome di Dio, né per invocarlo, né per ringraziarlo. – La famiglia moderna va perdendo il suo linguaggio cristiano. Il Rosario in troppe case non risuona più, e quella sua dolce e intima monotonia non solleva più i cuori oppressi dalla faticosa giornata. b) Degli individui, molti non aprono più bocca col Signore: moltissimi aprono ancora la bocca ma non il cuore e non è preghiera la loro. Sono Cristiani che non possono vivere, e in realtà non vivono, in grazia di Dio. In essi il Battesimo è ridotto ad un’energia soffocata, ad un germe isterilito. satana, ritornandovi con la sua tirannia, li ha rifatti sordi e muti: sordi agli inviti di Dio, muti a chiamarlo e a rispondergli. — Non prego, perché è inutile pregare: Dio vede bene che al mondo ci sono anch’io e sa già i miei bisogni. Dio sa che ci sei al mondo, ma tu non sai che al mondo c’è anche Dio, Dio sa i tuoi bisogni, ma tu non sai i suoi desideri e le sue volontà sopra di te. — Non prego perché non ho mai ottenuto nulla. Senza dubbio tu sbagli le cose da chiedere. Dio non nega mai nulla di ciò che è necessario o utile alla nostra salvezza eterna. I beni temporali che gli vai chiedendo, tu non puoi sapere se siano favorevoli o dannosi alla tua anima. Fidati di Lui. Guai se ascoltasse tutte le sciocchezze che gli chiediamo! Molte nostre preghiere assomigliano a quelle di una fanciulla che pregava perché cessasse la febbre di sua madre così: « Fate che la febbre scenda a zero, fate che  scenda a zero ». — Non prego, perché non ho ottenuto nulla anche quando chiedevo beni spirituali. T’inganni: non ti avrà esaudito in quella forma che t’aspettavi. Dio non ha promesso di esaudirci a modo nostro, ma al suo. S. Monica aveva pregato che Dio non lasciasse partire dall’Africa il suo Agostino, altrimenti non si sarebbe convertito più. Dio lo lascia partire per l’Italia. Monica dunque non fu esaudita? Anzi meglio e più presto: in Italia Agostino doveva convertirsi e porre le basi della sua santità. — Non prego perché non ho fede: mi pare di buttar via il tempo a parlare con nessuno. Appunto perché la tua fede è quasi spenta hai bisogno di pregare di più. La preghiera è l’olio della lampada della fede. S. Tommaso d’Aquino, il più sapiente dei Santi e il più santo dei sapienti, diceva: « Ho visto più luce ai piedi del Crocifisso che in tutti i libri dei sapienti ». L’uomo che non prega è un viaggiatore sperduto in una foresta e senza lume. — Non prego perché sono sempre quel medesimo peccatore. E lo sarai, finché non ti metterai a pregare veramente. Senza preghiera si è incapaci di essere puri, di essere umili, di perdonare, di amare. – Ma la più grave disgrazia di quelli che non pregano è che a poco a poco si rendono incapaci di pregare. È un incensiere spento, che non solleverà più alle sfere celesti una nube di profumo attesa e gradita. È un’arpa dalle corde consunte e infrante, che non vibrerà più nessuna nota che s’accordi ai canti angelici. — L’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA. Fermate la vostra attenzione sull’atteggiamento delle turbe: ognuno dimentica per un istante se stesso, non pensa che all’infelice che è sordo e muto e per lui implora la grazia della guarigione. E furono degni di vedere il miracolo..  Ai nostri tempi capita spesso di sentire mormorare così: « Il mondo va male è ritornato nel paganesimo. Non ha l’udito per ascoltare la voce di Dio, la voce dei suoi ministri, la voce dei comandamenti e dei precetti. Non ha più la bocca per pregare, per confortare, ma solo per le imprecazioni, per i giudizi temerari, per le liti, per discorsi osceni ». Tutto questo è vero: ma che cosa facciamo noi per migliorare il mondo? che cosa possiamo fare? Pregare. – La città di Catania, una volta era stata sorpresa da un incendio terribile. La siccità prolungata e il vento avevano secondata la fiamma nell’opera devastatrice. Gli abitanti con gli occhi pieni di lacrime guardavano la rovina delle loro case, impotenti a salvarle. Quand’ecco il Vescovo esclamare: « E non abbiamo noi un rimedio miracoloso? Contro le sventure la beata Agata non ci ha forse lasciato il velo suo? Si prenda il velo di santa Agata ». Appena la preziosa reliquia, tra i singhiozzi e le suppliche, fu levata contro le fiamme, queste perdettero ardire e si spensero come se mancasse materia da consumare. Il vizio impuro, la follìa dei piaceri, l’indifferenza religiosa devastano la vita cristiana e tentano di travolgerla in una fiamma infernale. È inutile perdere il tempo in constatazioni oziose e in piagnistei: bisogna ricorrere ai rimedi. Ed il rimedio infallibile è la preghiera. Essa, come il velo miracoloso di S. Agata, soffocherà l’incendio del male divampante e farà trionfare Gesù Cristo. Invece sono pochi i Cristiani che pregano; e sono troppo pochi quelli che nelle loro preghiere sanno oltrepassare l’orizzonte dei propri interessi personali per occuparsi degli interessi delle anime e della Chiesa. « Noi dobbiamo pregare per tutti perché Dio vuole la salvezza di tutti ». Così c’invita S. Paolo. Ma specialmente dobbiamo pregare per i Sacerdoti perché Iddio li renda santi e li preservi da ogni sordità e mutolezza spirituale. Dobbiamo pregare per i peccatori, perché Gesù ritorni vicino a loro e li tragga dalla sordità e mutolezza del peccato, come un giorno ha guarito il povero sordo-muto. – 1. LA PREGHIERA PER I SACERDOTI. Nella vita dei frati predicatori si racconta una mirabile storia. Dal convento i frati sono usciti per lontane regioni a predicare. Ma ecco che la stagione delle piogge e lo sciogliersi delle nevi hanno ingrossato le acque, ed un fiume vorticoso taglia loro la via. Veramente si scopre una barca, ma senza remi… Dall’altra parte le folle aspettano, ansiose della parola di Dio, ansiose dei sacramenti di Dio. Ad un tratto dal vertice d’un monte vicino discese correndo una bambina di forse otto anni, con un grosso ramo sulle spalle: si slanciò nella barca, con quello fece da remo, e traghettò i frati predicatori alla sponda opposta, ove poterono incominciare la loro missione. Ebbene, quante volte i Sacerdoti, come già quei frati predicatori sono impossibilitati a compiere la loro opera di bene! Talvolta è il demonio che suscita infiniti ostacoli, che indurisce i cuori; tal’altra mancano i mezzi materiali, il tempo, il danaro, la salute; e intanto le anime attendono invano l’opera del ministro di Dio. È necessario accompagnare il loro ministero con ferventi preghiere perché dal cielo la grazia del Signore, come la misteriosa bambina della leggenda, cali a fecondare l’apostolato sacerdotale. S. Vincenzo de’ Paoli, quando tornava a casa stanco per una giornata di faticoso lavoro, raccoglieva i suoi amici e li conduceva a pregare per i sacerdoti. « In questo momento forse sono afflitti, in questo momento forse stanno persuadendo un moribondo a ricevere i sacramenti, in questo momento forse il demonio tenta la loro fede, il loro fervore, la loro virtù… preghiamo, perché ne hanno bisogno. Se il sale diventa insipido, che cosa mai potrà salare la terra? ». S. Francesco Saverio scriveva a S. Ignazio che egli aveva potuto convertire l’India, solo perché in Europa si era pregato molto per lui. Pochi anni or sono un Vescovo di Cina fu interrogato sul mezzo che egli credesse migliore per convertire a Cristo tutto quell’immenso impero. « Avremmo bisogno, rispose, di qualche Carmelitana di più, di qualche Trappista di più, di molte anime che pregassero di più per i missionari ». – 2. PREGHIERA PER I PECCATORI. S. Giovanni l’Evangelista in una lettera ha scritto: « Se alcuno possiederà ricchezze di questo mondo e vedrà che c’è un altro il quale soffre nell’indigenza, e chiuderà la sua borsa e la sua mano in un egoismo crudele, costui è uno scomunicato e la grazia di Dio non è in lui ». Se l’Apostolo prediletto ha scritto parole così terribili per le necessità materiali della vita, pensate, o Cristiani, quale condanna avrà l’uomo che, vedendo il suo prossimo in sciagure spirituali, non avrà fatto nulla per la salvezza di quell’anima! E Gesù ha detto: « Io conoscerò se voi siete miei discepoli, se vi amerete gli uni e gli altri come io vi ho amati ». Or bene, l’amore che il Figlio di Dio ci ha voluto, fu soprattutto l’amore per le anime. Per le anime sotto la condanna del peccato originale Egli si fece uomo; per le anime oppresse dai peccati ha istituito il Sacramento della Penitenza; per lavare le anime da ogni macchia non ha esitato a lasciarsi tradire, flagellare, mettere in croce, e spargere tutto il suo sangue, e financo le ultime stille di acqua rimaste nel suo cuore squarciato. Dopo questo, c’è forse qualcuno che può dire in verità di essere seguace di Gesù Cristo se non sente il bisogno di pregare per i peccatori, di riparare per loro, di affrettarne la conversione? Quanto diversa invece è la condotta di molti tra noi. Si viene a sapere che un tale ha commesso uno sbaglio e subito, con acre compiacenza, si sparge in pubblico il peccato altrui e si diffonde lo scandalo. Molto meglio invece pregare per quell’anima, ascoltare qualche Messa, offrire a Dio qualche nostra mortificazione. Così hanno fatto le turbe per il povero sordo-muto: non l’hanno scacciato, non l’hanno deriso, ma presolo per mano lo condussero davanti a Gesù e scongiurarono il Signore di guarirlo. Quanto meglio se invece di portar rancore e di cercare la vendetta contro quelli che ci hanno fatto del male, noi imparassimo a pregare per loro! Penserebbe il Signore a illuminarli, e a sospingerli alla dovuta riparazione. E quanto di guadagnato sarebbe se invece delle mormorazioni, noi avessimo sulle labbra delle preghiere! In breve si cambierebbe la faccia al mondo. Le sorelle di Lazzaro con la preghiera hanno saputo strappare a Gesù il miracolo grande della resurrezione. Ogni uomo che è caduto in peccato è pure un nostro fratello che è morto nell’anima: la sua sventura è così grave che ci deve fare compassione, poiché a questo mondo l’unico vero male è l’offesa di Dio. Tocca a noi imitare le sorelle di Lazzaro, e tanto supplicare da ottenere la resurrezione spirituale. O genitori, se nella vostra casa c’è qualche figliuolo lontano da Gesù, è solo con la preghiera che voi potrete convertirlo. È con la preghiera, o buone sorelle, che dovete ottenere dal Signore che vostro fratello ritorni sulla via della bontà e della salvezza, è con la preghiera che le spose otterranno la grazia per il loro marito, e i figli per il loro padre. Dio ascolta queste suppliche ardenti, e certamente le esaudisce, anche se talora ci fa alquanto aspettare. Del resto, se nessun vincolo umano ci lega al peccatore, c’è sempre — e più forte — il vincolo divino: egli è il figlio di Dio come noi, egli è redento dal sangue di Cristo come noi. Felici quelli che avranno la fortuna di salvare almeno un’anima, perché saranno sicuri di essere salvi. Animam salvasti animam prædestinasti. – È scritto nella Leggenda aurea che Bartolomeo apostolo, arrivando nell’estrema regione dell’India, entrò in un tempio ov’era l’idolo d’Ascaroth e molti altri nelle loro nicchie con davanti bracieri e profumi ardenti. L’Apostolo angustiato di quella demoniaca idolatria, si portò nel mezzo e levando le mani in alto e sospirando cominciò a pregare e a piangere. Subito i fuochi si spensero e Ascaroth e tutti gli altri idoli furono rovesciati dalle loro nicchie e travolti, da una forza invisibile, in una rovina miseranda. Nei cuori di molti uomini, come in altrettanti templi viventi, il demonio col peccato ancora oggi si è acceso molti fuochi e si è innalzato molti idoli. Leviamo le mani in preghiera verso il Cielo: supplichiamo e piangiamo affinché venga finalmente il regno di Cristo. Dio a noi pure, come in quel giorno al suo Apostolo, farà grazia di vedere nelle anime spegnersi i fuochi delle passioni e frantumarsi gli idoli dei peccati.

 IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIX:2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.

[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.

[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio  

  Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’anima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1

)ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2023).

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

La liturgia di questa Domenica ci insegna il vero concetto dell’umiltà cristiana che consiste nell’attribuire alla grazia dello Spirito Santo la nostra santità; poiché le nostre azioni non possono essere soprannaturali, cioè sante, se non procedono dallo Spirito Santo, che Gesù mandò agli Apostoli nel giorno della Pentecoste e che dona a tutti quelli che glielo chiedono. Dunque la nostra santificazione è impossibile se vogliamo raggiungerla da soli, perché, abbandonati a noi stessi noi non siamo che impotenti e peccatori. Dobbiamo a Dio se evitiamo il peccato, se ne otteniamo il perdono, se riusciamo a fare il bene, poiché nessuno può pronunciare neppure il santo Nome di Gesù con un atto di fede soprannaturale, che affermi la sua regalità e divinità, se non mediante lo Spirito Santo. L’orgoglio è, dunque, il nemico di Dio, perché si appropria dei beni che solo lo Spirito Santo distribuisce a ciascuno nella misura che crede conveniente e impedisce alla potenza divina di manifestarsi nelle nostre anime in modo da farci credere che noi bastiamo a noi stessi. Come Dio potrebbe perdonarci (Oraz.), se noi non vogliamo riconoscerci colpevoli? Come potrebbe aver compassione di noi ed esercitare su noi la sua misericordia (Oraz.), se nel nostro cuore non vi è nessuna miseria riconosciuta cui il suo Cuore divino possa compatire? L’umile, invece, riconosce il proprio nulla perché sa che solo a questa condizione discenderà su lui la virtù di Cristo. Mentre la Chiesa sviluppa in questa Domenica tali pensieri, le letture, che fa durante questa settimana nel Breviario, danno due esempi di orgoglio e di grande umiltà. Dopo la figura del profeta Elia che si oppone così fortemente a quella di Achab e di Jezabele, dei quali nell’ufficio è ricordato il terribile castigo, vi è quella del giovane Gioas che contrasta fortemente con quella di Atalia. Figlia di Achab e di Jezabele, empia come sua madre, Atalia sposa il re di Giuda Joram, che morì poco dopo. Allora la regina si trovò padrona del regno di Giuda e per esserlo per sempre fece massacrare tutta la famiglia di David. Ma losabeth, sposa del gran sacerdote Joiada tolse dalla culla l’ultimo nato della famiglia reale e lo nascose nel Tempio. Questi si chiamava Gioas. Per sei anni Atalia regnò ed innalzò templi in onore del dio Baal perfino nell’atrio del Tempio. Nel settimo anno il gran sacerdote attorniato da uomini risoluti e armati, mostrò Gioàs che allora aveva sette anni e disse: « Voi circonderete il fanciullo regale e se qualcuno cercherà di passare fra le vostre file, lo ucciderete! ». E quando il popolo si riversò nell’atrio, all’ora della preghiera, Joiada fece venire avanti Gioas, l’unse e lo coronò al cospetto di tutta l’assemblea che applaudì e gridò: «Viva il Re!». Quando Atalia intese queste grida, uscì dal palazzo ed entrò nell’atrio e quando vide il giovane re assiso sul palco, circondato dai capi e acclamato dal popolo col suono delle trombe, stracciò le sue vesti e gridò: «Congiura! Tradimento!». Il gran sacerdote ordinò di farla uscire dal sacro recinto e quando essa giunse nel suo palazzo venne uccisa. La folla allora saccheggiò il tempio di Baal e non lasciò pietra su pietra. E il re Gioas si assise sul trono di David, suo avo; regnò quarant’anni a Gerusalemme e si dedicò a riparare e abbellire il Tempio (All., Com.). La Scrittura fa di lui questo bell’elogio: « Gioas fece quello che è giusto agli occhi di Dio» È questa l’Antifona del Magnificat dei Vespri alla quale fa eco quella dei II Vespri che è tratta dal Vangelo di questo giorno: « Questi (il pubblicano) ritornò a casa sua giustificato e non quello (il fariseo), poiché chi si esalta sarà umiliato e chi s’umilia sarà esaltato ». – « Quelli che si innalzano sono visti da Dio da lontano, dice S. Agostino. Egli vede da lontano i superbi, ma non perdona loro. « L’umile invece, come il pubblicano, si riconosce colpevole! ». Egli si batteva il petto, si castigava da sé, e Dio perdonava a quest’uomo perché confessava la sua miseria. Perché meravigliarsi che Dio non veda più in lui un peccatore dal momento che si riconosce da sé peccatore? Il pubblicano si teneva lontano ma Dio l’osservava da vicino » (Mattutino). Così l’umile fanciullo Gioas fu gradito a Dio perché la sua condotta avanti a Lui era quale doveva essere. Egli fece ciò che era giusto agli occhi del Signore. Atalia, invece, orgogliosa ed empia, non fece ciò che era giusto avanti al Signore, e sdegnò e insultò quelli che facevano il loro dovere, poiché l’orgoglio verso Dio si manifesta ogni giorno nel disprezzo verso il prossimo. Dice Pascal che vi sono due categorie di uomini: quelli che si stimano colpevoli di tutte le mancanze: i Santi; e quelli che si credono colpevoli di nulla: i peccatori. I primi sono umili e Dio li innalzerà glorificandoli, i secondi sono orgogliosi e Dio li abbasserà castigandoli. « Il diluvio, dice S. Giovanni Crisostomo, ha sommerso la terra, il fuoco ha bruciato Sodoma, il mare ha inghiottito l’esercito degli Egiziani, poiché non è altri che Dio, il quale abbia inflitto ai colpevoli questi castighi. Ma, dirai tu, Dio è indulgente. Tutto ciò allora non è che parola vana? E il ricco che disprezzava Lazzaro non fu punito? … e le vergini stolte non furono discacciate dallo Sposo? E quegli che si trova nel banchetto con le vesti sordide non verrà legato mani e piedi e non morrà? E colui che richiederà al compagno i cento denari non sarà dato al carnefice? Ma Dio si fermerà solo alle minacce? Sarebbe molto facile provare il contrario e dopo quello che Dio ha detto e fatto nel passato possiamo giudicare quello che farà nell’avvenire. Abbiamo piuttosto sempre in mente il pensiero del terribile tribunale, del fiume di fuoco, delle catene eterne nell’inferno, delle tenebre profonde, dello stridore dei denti e del verme che avvelena e rode » (2° Nott.). Questo sarà il mezzo migliore per rimanere nell’umiltà, che ci fa dire con la Chiesa: « Ogni volta che io ho invocato il Signore, questi ha esaudita la mia voce. Mettendomi al sicuro da quelli che mi perseguitavano, li ha umiliati, Egli che è prima di tutti i tempi » (lntr.). « Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dei tuoi occhi, perché i tuoi occhi vedono la giustizia » (Grad.). « Signore, io ho innalzata l’anima mia verso te, i miei nemici non mi derideranno perché quelli che hanno confidenza in te non saranno confusi » (Off.).

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nos omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.

S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LIV: 17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudì la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]
Ps LIV: 2

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.

[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII: 2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.

[“Fratelli: Voi sapete che quando eravate gentili correvate ai simulacri muti, secondo che vi si conduceva. Perciò vi dichiaro che nessuno, il quale parli nello Spirito di Dio dice: «Anatema a Gesù»; e nessuno può dire: «Gesù Signore», se non nello Spirito Santo. C’è, sì, diversità di doni; ma lo Spirito è il medesimo. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore; ci sono operazioni differenti, ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia d’utilità. Mediante lo Spirito a uno è data la parola di sapienza, a un altro è data la parola di scienza, secondo il medesimo Spirito. A un altro è data nel medesimo Spirito la fede; nel medesimo Spirito a un altro è dato il dono delle guarigioni: a un altro il potere di far miracoli; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro la varietà delle lingue, a un altro il dono d’interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, il quale distribuisce a ciascuno come gli piace”].

UNITÀ NELLA VARIETÀ E VICEVERSA.

Gli uomini piccoli si rivelano colle loro unilateralità. C’è chi al mondo non vede, non vuole, non ama che la unità, una unità esagerata che diviene, né essi se ne dolgono, uniformità; c’è chi non vede, non vuole, non ama che la varietà, la diversità, una diversità che diviene, così esagerata, del che ad essi non cale, confusione babelica, caos. Per i primi tutti dovrebbero pensare allo stesso identico modo in tutto e per tutto, fare tutti la stessa cosa, farla tutti allo stesso modo. Per gli altri il rovescio, tutti pensare e agire diversamente. Estremismi opposti, figli della stessa micromania. Il Vangelo, il Cristianesimo ci si rivela grande e divino anche per quella formula « unitas in varietate » che è la sua divisa. N. S. Gesù ha detto una parola nella quale è lo spunto di quello che oggi dice San Paolo nel brano domenicale della Epistola prima ai Corinzi: « nella casa di mio Padre vi sono molte dimore. » La Casa è una, una la Chiesa, Casa di Dio, edificio classico e prediletto di Gesù Cristo; una per unità di culto. Se non fosse così, non sarebbe divina. Una nelle cose essenziali, sostanziali. Ma in questa bellissima e forte e compatta e vigorosa unità non si esaurisce la vita della Chiesa; se no saremmo nell’uniformità plumbea. La casa è una e le stanze, anzi i piani sono molti e diversi. San Paolo riprende il pensiero evangelico e dice testualmente così: « Or vi sono (nella Chiesa) distinzioni (ossia varietà) di doni, ma non c’è che un medesimo Spirito; e c’è distinzione nei ministeri, ma non c’è che un medesimo Signore; e c’è distinzione nei modi di operare, ma non c’è che un medesimo Dio, il quale opera ogni cosa in tutti ». Varietà, continua l’Apostolo, utile al corpo sociale, come, dico io, la varietà dei cibi è utile al corpo umano. Di questa varietà non bisogna né scandalizzarsi, né abusare. Alcuni estremisti se ne sono scandalizzati. Per esempio: i Greci, che poi si separarono dalla Chiesa, si scandalizzarono quando fu aggiunta una paroletta « Filioque » al Credo di Nicea, senza domandarsi se essa stonava o sintetizzava, armonizzava col Credo nel suo insieme, nel suo spirito. Altri ne abusano e vorrebbero portare la diversità dappertutto, dappertutto le novità, dimenticando l’aureo principio: « in necessariis unitas ». Varietà che nel campo pratico, l’operare e il modo dell’operare sono ben altrimenti ricche e accentuate che non siano nel campo teorico. Quante diversità, salva la unità essenziale, nei riti! Quante nell’azione dei Santi! Ecco qua dei Santi e delle spirituali famiglie dei Santi che son tutto calcolo e prudenza; altri ed altre che sono tutta spontaneità ed ingenuità. Santi che edificano monasteri grandiosi come spirituali reggie, quasi ad affermare la maestà dello spirito, e santi che fabbricano modestissimi conventini; Santi che sono tutto zelo e severità, altri il cui zelo realissimo è fatto di mansuetudine. Paolo che va a destra, Barnaba che va a sinistra e camminano per le vie di un unico apostolato. Ma lo Spirito è uno; lo Spirito di Dio, Spirito di verità d’amore. Rallegriamoci di questa varietà che è ricchezza e rispettiamola; rallegriamoci di questa unità e cerchiamola, lieti per conto nostro ciascuno del posto che gli è toccato nella casa del Padre, nella vigna del Signore, non smaniosi di cambiarlo, avidi solo di occuparlo degnamente.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. (Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XVI: 8; LXVIII: 2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.

[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]

V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem.

[Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

 Ps LXIV: 2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem. Allelúja.

[A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc XVIII: 9-14.
In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisæus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri. Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.” 

 [“In quel tempo disse Gesù questa parabola per taluni, i quali confidavano in se stessi come giusti, e deprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio: uno Fariseo, e l’altro Pubblicano. Il Fariseo si stava, e dentro di sé orava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; ed anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago la decima di tutto quello che io posseggo Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva nemmeno alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questo se ne tornò giustificato a casa sua a differenza dell’altro: imperocché chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato”].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano 1956)

CUOR CONTRITO ED UMILIATO

Nella parabola che Gesù oggi ripete per noi, due uomini salgono al tempio, e fanno innanzi a Dio la propria confessione; uno è Fariseo, l’altro è Pubblicano. Il Fariseo stava davanti a tutti, dritto e immobile, come una colonna che non sorregge nulla. Avvolto nell’ampia veste portava, — com’era il costume della sua setta, — in fronte e sulle mani certe membrane, sopra cui era scritto il Decalogo, a significare che egli teneva sempre nella mente la legge di Dio per meditarla, e nelle mani i comandamenti di Dio per eseguirli. – Il Pubblicano invece s’era fermato lontano dall’altare, non osando appressarsi al luogo dove abitava la maestà di Dio invisibile, e s’era prostrato in un angolo, perché nessuno lo vedesse. Era uno dei piccoli funzionari incaricati di riscuotere le tasse. I soprusi, le vessazioni, le ingiustizie che aveva commesso nel suo odioso ufficio in quel momento gli erano presenti ed il rimorso lo faceva singhiozzare. Cominciò il Fariseo: « Signore! — disse e ammiccava con la coda dell’occhio il povero Pubblicano — Signore, io non sono un ladro, né un adultero: invece di rubare io pago le decime, e invece dell’adulterio io macero la mia carne coi digiuni ». Ed il superbo non s’accorgeva che il ladro e l’adultero era proprio lui: era lui il ladro che usurpava per sé la gloria che è di Dio; era lui l’adultero, perché la sua anima, aveva abbandonato Iddio per darsi in braccio al demonio della superbia. Intanto il Pubblicano non alzava nemmeno le palpebre e gemeva: « O Dio, sii buono con me, che son peccatore! ». « Io vi dico — conchiude Gesù in fondo della sua parabola — soltanto il Pubblicano tornò a casa giustificato ». Dico vobis descendit hic iustificatus in domum suam. Quante volte anche noi siamo andati al tempio per confessare i nostri peccati davanti a Dio e al suo ministro: siamo sempre ritornati a casa nostra giustificati? Se le nostre confessioni furono simili a quella del superbo Fariseo che accusava i peccati degli altri e le proprie virtù, non solo non siamo stati perdonati ma abbiamo fatto sacrilegio. Iddio perdona soltanto a quelli che hanno un cuore umile e contrito. Cor contritum et humiliatum Deus non spernit. (Ps., L. 19). Ed umile era il cuore del Pubblicano che si riconosceva con gemiti peccatore: Deus propitius esto mihi peccatori. L’umiltà, infatti, non è che sincerità, e consiste nel riconoscerci quali noi siamo: senza nascondere nulla di ciò che abbiamo commesso, senza aggiungere nulla di ciò che abbiamo tralasciato. Contrito era il cuore del Pubblicano. La contrizione non è un dolore sensibile come il male di testa o di denti; non consiste in piangere o sospirare: la contrizione è un dispiacere del cuore che sente d’aver offeso Dio e promette di non offenderlo più. Per ciò sul cuore si batteva il Pubblicano: percutiebat pectus suum. Dal cuore, ha detto Gesù, escono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie (Mc., VII, 21); e dal cuore esce anche la contrizione dei peccati. La confessione del Pubblicano c’insegna le due condizioni necessarie ad un vero peccatore: sincerità e dolore. Le voglio spiegare con due esempi. – 1. SINCERITÀ. Cromazio prefetto di Roma era malato di un male strano che nessun medico sapeva guarire. Gli dissero allora che in Roma v’erano due Cristiani che compivano guarigioni miracolose, e, chi sa, avrebbero forse guarito ancor lui. Cromazio li fece chiamare: erano Sebastiano e Policarpo. « Cromazio — dissero i due Santi al prefetto pagano — se tu vuoi guarire, dacci in mano tutti gli idoli della tua casa, ché noi vogliamo distruggerli ». « Se è necessario — rispose a malincuore, — io v’insegnerò dove sono, e voi prendeteli ch’io non oso ». Sebastiano e Policarpo presero tutte le immagini dei falsi dei e le frantumarono, poi tornarono da Cromazio. Ma Cromazio non era guarito; anzi stava peggio. « Cromazio! » dissero i Santi, guardandolo fisso nella nube ch’era nel bianco dei suoi occhi, « Cromazio, tu hai mentito: nella tua casa ci sono idoli ancora ». Ed il prefetto dovette confessarlo: egli ne aveva nascosti alcuni nella sua camera vicino a lui, perché gli erano più cari. Solo quando si decise a consegnare anche quelli, poté guarire. Così è pure nella Confessione; quelli che tengono nascosti nel più fondo della loro anima anche un solo peccato mortale, non saranno perdonati neppur degli altri, anzi si incolpano di un pessimo sacrilegio. S. Giovanni Crisostomo esclamava: « O uomo, che cosa è peggiore: fare il male o dirlo? Se dunque al cospetto di Dio non hai avuto rossore a far male, perchè hai vergogna a dirlo davanti agli uomini? Se non hai avuto vergogna a macchiarti, perché  avrai vergogna a lavarti? ». In tre modi la superbia ci fa mancare di sincerità in confessione: non accusando, accusando per metà, scusando. Non accusando: anche il Fariseo ha fatto così, egli ha taciuto le sue colpe, per dir soltanto le proprie virtù, per dir soltanto i peccati degli altri. Ma uscì dal tempio senza giustificazione. Infelici noi se tacciamo, di proposito, anche un peccato solo: profaneremmo il sangue di Cristo, e cominceremmo il primo anello d’una catena maledetta: la catena che ci strapperà giù nell’inferno. Accusando per metà: alcuni dicono d’aver un po’ d’ambizione, e non dicono che per questa ambizione hanno seguito una moda pagana, ed hanno suscitato discorsi e passioni cattive. Altri dicono d’aver detta qualche bugia, e non dicono che questa bugia l’hanno detta in confessione, oppure non dicono che dalla loro bugia è derivato un grave danno al prossimo. Scusando: ci sono di quelli, infine, che mentre si confessano involgono i lori peccati in una miriade di scuse, quasi quasi, in faccia a Dio son loro che ne avanzano. Non c’è umiltà in queste confessioni, e per ciò non c’è perdono. – 2. DOLORE. Santa Caterina da Genova, nata da una delle più ricche e nobili famiglie della città, contro sua voglia, costretta dai genitori, sposò Giuliano Adorno. Ma la bontà di Dio permise che le fosse dato un marito contrario e difforme alla sua vita, il quale consumò il patrimonio nei giochi e la fece soffrire moltissimo. Ella, stanca del lungo martirio, aveva cessato d’essere buona, cercando qualche consolazione nelle delizie e nelle vanità del mondo. Ma il giorno arriva che queste dilettazioni stancano, che sotto le belle apparenze si trovan frutti di cenere e vuoti; allora l’anima scontenta anela di sciogliersi dai legami del peccato ed implora. Era appunto in questo stato di tristezza quando la sorprese una mirabile e dolorosa visione. La porta di casa si aperse d’un tratto da sola, e in un’aureola luminosa Gesù con la croce in spalla entrò ospite silenzioso nelle sue stanze. Camminava faticosamente senza parlare: dalla testa coronata, dalle spalle flagellate, dagli occhi piangenti grondava sangue per modo che tutta la casa ne pareva bagnata. Caterina si gettò in ginocchio esclamando: « O Amore, mai più, mai più peccati! Se bisogna, sono disposta a confessare le mie colpe in pubblico ». Voleva dir altro e la parola non le usciva, voleva piangere e non poteva: uno scroscio come di fiume cadente le rimbombava negli occhi, sotto le palpebre chiuse. Era il giorno dopo la festa di S. Benedetto del 1473. Quando vi accostate al Sacramento della confessione pensate voi che i vostri peccati siano stati la vera causa della passione di Cristo? Pensate voi che quel perdono che implorate vi sia concesso solo per il sangue versato da Cristo? Che fu l’agonia del Getsemani, che fu l’umiliazione dei tribunali di Caifa e di Pilato, che fu la morte in croce a liberarci dal fuoco della maledizione eterna; lo pensate voi quando vi confessate? Non si può pensare a questo attentamente senza gridare dal profondo dell’anima il grido di Santa Caterina da Genova: « O Amore, mai più, mai più peccati! ». Dite: che dolore può avere certa gente che va a confessarsi come si va all’osteria, senza pregare, senza esame di coscienza, senza riflettere che s’accosta al sangue del Figlio di Dio? Che dolore possono avere taluni che prevedendo di doversi confessare presto, accrescono il numero dei peccati dicendo: — confessarne dieci e confessarne venti è la stessa fatica? E quelli che trascinano la loro vita in un’altalena di confessioni e di peccati, e non si decidono mai, e non si sforzano mai di cambiar vita, come possono illudersi di avere il dolore dei peccati? E senza dolore non c’è perdono. – Si presentò a S. Antonio di Padova un gran peccatore per confessarsi: ma era tanto confuso che non gli riusciva d’articolar parola e dava in singhiozzi. Il Santo gli disse: « Va, scrivi i tuoi peccati e poi ritorna ». Il penitente ubbidì. Poi tornò: e leggeva i suoi peccati come li aveva scritti. Appena ebbe terminato di leggere vide che dalla carta era scomparsa ogni traccia di scrittura e restava solo il foglio candido. Così sarà dell’anima nostra quando ci confesseremo con l’umiltà e con il dolore del pubblicano descritto da Gesù nella sua parabola bella. Ogni macchia di peccato svanirà dal nostro cuore e apparirà soltanto il candore dell’innocenza riacquistata. E dal Cielo Gesù che ci segue, si rivolgerà a’ suoi Apostoli ancora e agli Angeli e dirà: « Io vi dico che costui torna a casa giustificato ». Dico autem vobis descendit hic iustificatus in domum suam. –- UMILTÀ. « Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato ». Con questo proverbio Gesù conchiuse la sua parabola: il proverbio è diventato ormai popolare, ma non però in pratica. Notate, o Cristiani, che senso di profondo disgusto racchiudono le parole divine contro i superbi. Già un filosofo pagano, a cui avevano chiesto che facesse Giove in cielo, diede questa risposta: « Fulmina i giganti ». Sì! Dio fulmina coloro che dimenticando d’essere cenere e polvere si sollevano sopra gli altri, mentre invece colma di grazie gli umili. Non avete visto mai un paesaggio di montagna? Di qua e di là s’ergono le cime rocciose, nude, aridissime, ma umile nel mezzo si allunga la valle verdissima e ferace di erbe e di frutti. Quando piove, tutta l’acqua abbandona le superbe vette e ricolma, fecondando, la valle; invece quando fulmina, i colpi di folgore vanno a battere fragorosamente le sommità. Omnis vallis implebitur omnis mons humiliabitur (Lc. III, 5): Simile a valle fecondata dall’acqua e risparmiata dalla folgore è l’anima del superbo. Oh beati i poveri di spirito, i quali possiedono umiltà. S. Bonaventura (Serm., XLVI) distingue questa preziosa virtù in umiltà di mente ed umiltà di cuore. La prima è quella che strappando gli inganni delle apparenze ci mostra in verità che cosa siamo e che cosa possiamo; la seconda è quelle che risveglia nel nostro cuore la fiamma della carità verso il prossimo, rendendoci utili e piacevoli agli altri. – 1. UMILTÀ DI MENTE. Un uomo, indebitato fino al collo, si vantava continuamente perché non c’era nessuno che fosse come lui pieno di debiti. «Io — diceva — devo al macellaio mille lire; non solo, ma la splendida villa in cui abito è ancora tutta da pagarsi; il giardino vasto come quello di un principe lo devo a un grosso prestito; anche quest’abito tagliato all’ultima moda mi ricorda un debito col sarto ». Se voi incontraste un capo ameno come costui, non è vero che dapprima vi farebbe ridere e poi lo credereste pazzo? Ma anche noi con ragione dobbiamo ritenerci pazzi e ridicoli quando pecchiamo di superbia. Tutto ciò che possediamo, beni in natura come l’ingegno, la sanità, la bellezza, beni di fortuna come le ricchezze, gli onori, le amicizie, non è tutto un prestito che Dio ci ha fatto, e quindi un debito di cui dovremo rendere conto? Quid habeat quod non accepisti? (I Cor., IV, 7). E se tutto è dato in prestanza, perché farci belli di quel che è di Dio come se fosse nostro? Perché vantarcene come se il Signore non potesse più, da un momento all’altro, togliercelo o diminuirlo a suo piacimento? ,Non troverete mai un santo che sia superbo di mente. Ecco la Vergine che proprio nell’istante in cui diviene la Madre di Dio, la Regina del Cielo, la Signora delle grazie, si curva e mormora: « Io sono l’ancella soltanto ». Ecco Giovanni Battista proclamato da Gesù in faccia alle turbe il più grande dei profeti e il più santo degli uomini, che del Messia dice: « Io non sono degno nemmeno di sciogliergli i legacci delle calzature ». Ecco Pietro, il capo degli Apostoli, il vicario di Dio sulla terra, che dice a Gesù: « Signore, allontanati che sono molto peccatore ». Ecco S. Paolo che si ritiene l’ultimo degli Apostoli, egli che aveva fatto lunghissimi viaggi ed aveva scritto lettere meravigliose. Non appena i Santi ma anche gli uomini veramente intelligenti rifuggono dal vantare i propri doni: ed ecco Virgilio che sul punto di morire vuol bruciare la sua Eneide immortale perché la sentiva troppo lontana da Omero; ecco Michelangelo che col martello colpisce il ginocchio del suo Mosè perché non era che un marmo senza parola; ecco S. Bonaventura che straccia nel suo mantello gl’inni scritti per l’Ufficio del SS. Sacramento dopo che S. Tommaso gli aveva letto i propri. La superbia delle mente dunque è la figlia dell’ignoranza e del peccato. – 2. UMILTÀ DI CUORE. Giuseppe ebreo, il figlio di Giacobbe, ci offre un esempio sublime di umiltà di cuore. I suoi fratelli gelosi lo maltrattavano ed egli simulava di non accorgersi, anzi li colmava di gentilezze. I suoi fratelli lo disprezzavano chiamandolo sognatore, ed egli taceva pensando che le sue visioni altro non erano che un dono gratuito di Dio. I suoi fratelli lo calarono in un pozzo per farlo morir vivo, ed egli si lasciò sprofondare nelle viscere della terra senza maledirli, ma piangendo per il loro pessimo peccato. Sapeva bene che se Iddio non gli avesse fatto grazie speciali, anch’egli sarebbe diventato cattivo come loro e peggio di loro. Ma quando fu nella cisterna umiliato così che di più non era possibile, la Provvidenza lo esaltò fino al trono del Faraone d’Egitto. E allora vide i suoi fratelli affamati e cenciosi, prostrarsi a’ suoi piedi e implorare vita e frumento. L’umile di cuore neppure allora, che ne aveva la facilità e quasi il diritto, abusò della sua potenza: ma avendo dimenticato ogni offesa diede a’ suoi fratelli case e terre. L’umile di cuore quando è accusato sa tacere come Gesù; quando è offeso sa perdonare come Gesù; quando gli altri sbagliano li sa scusare e compatire come Gesù. Se in tutte le famiglie ci fosse quest’umiltà di cuore, come sarebbe gioconda la vita! La nuora non si adonterebbe delle osservazioni della suocera, ma le ascolterebbe piamente per farne tesoro; la suocera non urlerebbe ad ogni sbaglio della nuora, ma in silenzio saprebbe compatire e riparare. I giovani rispetterebbero la saggezza dei vecchi, i vecchi riconoscerebbero la forza dei giovani. Tutti vedrebbero le virtù degli altri e chiuderebbero un occhio sui piccoli difetti del prossimo. Invece come è diversa la realtà. « Io perdono — dicono alcuni — ma non dimenticherò mai quello che mi è stato fatto ». Chi sei tu? Dimentica lo stesso Dio le offese degli uomini, e non dimenticherai tu quelle del tuo prossimo? « Questo piacere — dicono altri — non glielo farò mai, perché non sono il suo servitore ». Chi sei tu? Non ha sdegnato il Padrone dell’universo di lavare i piedi a dodici uomini rozzi, e a te par troppo umiliante un atto di gentilezza? Ed ecco si dice: « Quella persona l’ho conosciuta bene: ha il difetto di mentire ». E tu nessun difetto hai? E perché, se davvero l’hai conosciuta bene, non ti sei accorto che con quel difetto ha molte virtù, come l’onestà, la giustizia, la pietà? – Il profeta Geremia, mosso dallo Spirito Santo, andò un giorno in mezzo alla città dove la folla era assai densa. Sopravanzava su la gente accorsa intorno così che tutti lo potevano vedere senza fatica: teneva nelle mani un vaso d’argilla. Improvvisamente lo scagliò a terra ed esclamò: « Popolo d’Israele, così è l’uomo. Così è l’uomo come questo vaso d’argilla che in un attimo è frantumato né si può raggiustare. » Tutte le volte che il demonio vi gonfia la mente o il cuore di superbia, tutte le volte che state per illudervi d’essere qualcosa o per voi o per gli altri, ricordatevi del profeta Geremia. Ricordatevi che basta un soffio di vento, una goccia d’acqua a troncare il filo della nostra vita: ricordatevi che d’ogni cosa dovremo rendere conto a Dio come di un debito esattissimo.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te, o Signore, ho innalzata l’anima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta

Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres.

[A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps L: 21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine.

[Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La liturgia di questo giorno insiste sui castighi terribili che la giustizia di Dio infliggerà a quelli che avranno rinnegato Cristo. Morranno tutti e nessuno entrerà nel regno dei cieli. Coloro invece che in mezzo a tutte le avversità di questa vita saranno rimasti fedeli a Gesù, saranno un giorno strappati alle mani dei loro nemici ed entreranno al suo seguito nel cielo, ove Egli entrò nel giorno della sua Ascensione, che la Chiesa ha celebrato nel Tempo Pasquale. Questi pensieri sulla giustizia divina sono conformi, in questa IX Domenica dopo Pentecoste, colla lettura che la liturgia fa della storia del profeta Elia nel Breviario. – Dopo la morte di Salomone, le dodici tribù di Israele si divisero in due grandi regni: quello di Giuda e quello d’Israele. Il primo formatosi con le due tribù di Giuda e di Beniamino, ebbe per capitale Gerusalemme: il secondo si compose di dieci tribù con capitale Sichem, poi Samaria. A questo secondo regno appartenne il profeta Elia, che abitava il deserto di Galaad in Samaria. Uomo virtuoso e austero, vestiva una tunica di peli di cammello con ai fianchi una cintura di cuoio: « pieno di zelo per il Dio degli eserciti », uscì tre volte dal deserto per minacciare Achab, VII re di Israele, e la regina Iezabele, che avevano trascinato il popolo all’idolatria; per mandare a morte i 450 profeti di Baal che confuse sul Monte Carmelo; e per annunciare al re, impossessatosi della vigna di Naboth, che sarebbe stato ucciso, e alla regina, che era stata il cattivo genio di Achab, che il suo sangue sarebbe scorso ove era scorso il sangue di Naboth e i cani avrebbero divorate le sue carni. Per tutti questi motivi, Elia fu perseguitato dagli Israeliti, da Achab e da lezabele e dovette fuggire sul monte Horeb per scampare alla morte. Quando più tardi Ochozia, figlio di Achab, divenne re, Elia gli fece dire di non consultare Belzebù, il dio di Accaron, come aveva intenzione, ma il Dio d’Israele. Ochozia allora gli mandò un capitano con cinquanta soldati per indurlo a scendere dalla montagna e rendergli conto delle sue parole. Elia rispose al capitano: « Se io sono un uomo di Dio, scenda dal cielo un fuoco che divori te e i tuoi cinquanta », E scese il fuoco e divorò lui e i suoi cinquanta uomini » (Breviario). Più tardi, Elia andò verso il Giordano con Eliseo e allorché ebbero attraversato il fiume, un carro di fuoco con cavalli di fuoco separò l’uno dall’altro ed Elia sali al cielo in un turbine. Eliseo allora si rivestì del mantello che Elia aveva lasciato cadere e ricevette doppiamente il suo spirito. E tutti i discepoli di Elia dissero: « lo spirito di Elia si è posato su Eliseo ». E mentre Eliseo andava verso Bethel, alcuni ragazzi lo schernirono dicendo: « Sali, sali, calvo! ». Ed Eliseo li maledisse nel nome di Dio che essi offendevano: due orsi uscirono dalla foresta e sbranarono 42 di quei fanciulli. — Per tutta la sua vita Elia, con la sua parola di  fuoco, difese i diritti di Dio. Più tardi Giovanni Battista, « pieno dello Spirito e della virtù di Elia », si presentò vestito come lui ed abitante come lui nel deserto, e difese allo stesso modo gli stessi diritti di Dio, annunziando la separazione che farà Cristo venturo della paglia dal buon grano »: raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia in un fuoco che non si estinguerà. –   « Elia, dice S. Agostino, rappresenta il Salvatore e Signore nostro. Come infatti Elia soffrì persecuzioni da parte dei Giudei; nostro Signore, il vero Elia, fu rigettato e disprezzato dal medesimo popolo. Elia lasciò il paese suo; Cristo abbandonò la sinagoga e accolse i Gentili (2° Nott.). « Dio liberò Elia dai suoi nemici elevandolo al cielo, Dio innalzò Cristo in mezzo ai suoi nemici e lo fece salire il giorno dell’Ascensione in cielo ». « Liberami, o Signore dai miei nemici, dice l’Alleluia, e allontanami da quelli che insorgono contro di me ». Elia, trasportato in un carro di fuoco è, secondo i Padri, la figura di Cristo, che sale al Cielo. Il Graduale è il versetto del Salmo VIII, che la liturgia usa nel giorno dell’Ascensione: « Signore, Dio nostro, come è ammirevole il tuo nome su tutta la terra: poiché la tua magnificenza si solleva al di sopra dei cieli. » E l’Introito aggiunge:« Ecco che Dio viene in mio aiuto e che il Signore accoglie la mia anima. Oh, Dio! salvami nel tuo nome e liberami nella tua potenza ». Questo trionfo di Gesù su quelli che lo odiano, figurato da quello di Elia su coloro che lo disprezzano, sarà anche il nostro se «non tenteremo Cristo », cioè se eviteremo l’idolatria, l’impurità, la mormorazione» (Ep.) rimanendo fedeli alla grazia Poiché « se Gesù continua a immolarsi sui nostri altari per applicarci i frutti della sua redenzione » (Secr.), e se « mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue,  noi dimoriamo in Lui e Lui in noi » (Com.), si è perché, « uniti a Lui », (Postcom.), osserviamo fedelmente i suoi comandamenti, che sono più dolci del miele » (Off.). S. Paolo ci dice infatti che « Dio, il quale è fedele, non permetterà che noi siamo tentati al di sopra delle nostre forze, ma con la tentazione ci darà anche il mezzo di uscirne affinché possiamo perseverare » (Ep.). Supplichiamo dunque il Signore d’accogliere benignamente le preghiere che noi gli indirizziamo e di fare in modo che gli chiediamo solo quanto gli sia gradito, affinché ci possa sempre esaudire (Oraz.). – Ma la Giustizia divina non si accontenta di proteggere il giusto contro i suoi nemici e di ricompensarlo per la sua fedeltà; essa punisce anche quelli che fanno il male. Elia minacciò il regno di Israele infedele e fece cadere il fuoco dal cielo sui suoi nemici (Brev.); « Gli Israeliti, che tentarono Iddio con le loro mormorazioni, perirono per mezzo dei serpenti di fuoco » (Ep.), e Gerusalemme sulla quale Gesù pianse, minacciandole castighi perché lo respingeva, fu distrutta dalla guerra e dall’incendio (Vang.). « Ventitremila Ebrei perirono in un sol giorno per la loro idolatria, e molti furono colpiti a morte dall’Angelo sterminatore per le loro mormorazioni ». Ma tutti questi avvenimenti, spiega S. Paolo, furono permessi da Dio, e narrati per servire di nostro ammaestramento » (Ep.). Più di un milione di Giudei perirono nella distruzione di Gerusalemme, perché avevano rifiutato il Messia e il Vangelo (Vedi I Domenica dell’Avvento e XXIV dopo Pentecoste). Gesù ha sempre paragonata questa fine tragica alle catastrofi che segneranno la fine del mondo, quando Dio verrà a giudicare il mondo col fuoco. Allora il Giudice divino opererà la separazione dei buoni dai cattivi e mentre ricompenserà i primi, allontanerà dal regno di Dio tutti quelli che lo avranno rinnegato per la loro incredulità e i loro peccati, come cacciò dal Tempio, che è la figura della Chiesa terrestre e celeste, tutti i venditori che avevano trasformato la casa di Dio in una spelonca di ladri (Vang.). « Il male ricada sui miei avversari, chiede il Salmista e, fedele alle tue promesse, distruggili, o Dio, mio protettore! » (Intr.). Allora, infatti il tempo della misericordia sarà passato e non vi sarà più che quello della giustizia ». « Frattanto colui che crede di essere in alto guardi di non cadere! », dice l’Apostolo (Ep.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.

S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.

[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.


Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.

[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.

[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília. Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.

[“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”.]

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

IL TIMOR DI DIO

Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni dei Giudei ed i castighi che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:

1 Ci fa evitare il peccato,

2 Ci rende diffidenti di noi,

3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.

Graduale 

Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!

[Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]


V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja

[Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja

Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.

 [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e liberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.

[“In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincea, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio”].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

« DELLA CASA DI DIO NON FATE SPELONCA »

C’è un punto sul monte degli Olivi, da dove tutta si svela agli occhi la sottostante città. Fu là che Gesù, arrivando per l’ultima Pasqua, indugiò a contemplarla. Come vide, in una nebbia d’oro, le mura, le torri, il tempio biancheggiante di contro il sole, gli venne su dal cuore un amaro lamento: « Gerusalemme! ah se conoscessi anche tu, in quest’ora, quello che giova per la tua pace… » singhiozzò. Quando poi fu in città, si recò al tempio. Che scandalo! Nei cortili sacri; sotto ai portici austeri, sulle gradinate, i cambiamonete avevano posto i loro tavolini ed i venditori di colombe le loro gabbie: tutt’intorno la folla vagolava schiamazzante come sulla piazza del mercato. Gesù s’accese d’ira, ed impugnando un flagello, scacciava i profanatori che fuggivano davanti a lui come foglie secche davanti al vento autunnale, e senza neppure volgersi indietro l’udivano gridare: « La mia casa è per la preghiera, e voi l’avete ridotta una spelonca di ladri ». Vos autem fecisti illam speluncam latronum. Se Gesù, ancora umidi gli occhi per le lagrime versate sui peccati di Gerusalemme e del mondo, entrasse anche in questa chiesa, in questa sua casa fatta per l’orazione, dite: non impugnerebbe più il suo flagello? non ripeterebbe più quelle terribili parole: « La mia casa è per la preghiera e voi l’avete ridotta una spelonca di ladri? ». Ogni chiesa è la casa di Dio. I cieli, e i cieli dei cieli sono troppo piccoli per Lui eppure si degna di abitare in queste mura costrutte dalle piccole mani e dalla piccola arte degli uomini (III Re, VIII, 27). Ogni chiesa è il rifugio dei bisognosi. Oh quanto sono amabili e cari i vostri padiglioni, o Signore delle virtù! Il passero ha un nido, la tortora ha una gronda ove rifugiarsi: per me, 0 Dio, o Sovrano, sono gronda e nido i vostri altari (Salmo LXXXIII, 1-4). Quando Giacobbe vide in sogno la prodigiosa scala piena d’Angeli ascendenti e discendenti, svegliatosi esclamò: « Veramente il Signore è in questo luogo, ed io non lo sapevo. Veramente terribile è questo luogo: altro non è che la casa di Dio e la porta del Cielo » (Gen., XXVIII, 16). Queste parole con più verità le possiamo dire della nostra chiesa: da essa non si eleva forse una prodigiosa scala che attinge il cielo donde calano gli Angeli a prendere le nostre suppliche, e dove salgono a riportarle? Ecco perché le preghiere più efficaci sono quelle fatte in chiesa. « Se la peste, l’epidemia, la ruggine, le locuste desoleranno la terra; se il nemico affliggerà il popolo assediando le città, tu, o Signore, esaudirai coloro che ti pregheranno in questo luogo santo (III Re, VIII, 37). Se la Chiesa è tutto questo, meditiamo allora il sacrilegio che è l’avvicinarsi ad essa senza rispetto esterno od interno. – 1. MANCANZA DI RISPETTO ESTERIORE. Una compagnia di allegroni amava radunarsi sul piazzale della basilica milanese ad inscenare giochi clamorosi e talvolta indecenti. Ebbene, è tradizione che S. Ambrogio, sdegnato, una volta sia uscito, coi sacri paramenti, lanciando parole di fuoco contro i profanatori. Poi si curvò, prese un pugno di terra e lo strinse in alto: tutti videro che grondava sangue. « È il sangue dei martiri — esclamò S. Ambrogio — che su questo luogo offrirono a Dio la loro giovinezza; è il sangue dei martiri a cui la chiesa e la piazza intorno è consacrata ». Da allora non osarono più quei giovani mancar di rispetto a quel luogo santo. – Io quando vedo della gente che passa davanti alla chiesa col berretto in testa, senza un cenno di religioso saluto; quando vedo nei giorni festivi molte persone indugiare sulla soglia del tempio in chiacchiere e sorrisi, mentre pretendono di ascoltare la Messa del precetto; quando vedo delle donne avanzarsi fin sotto l’altare vestite senza cristiana delicatezza, io invoco S. Ambrogio perché ritorni anche tra noi e ripeta il suo miracolo. – Nella Sacra Storia si legge che Eliodoro entrò nel tempio di Gerusalemme con propositi sacrileghi; ma subito apparvero due giovani di vigoroso aspetto, splendidi di bellezza essi e le loro vesti, i quali, preso in mezzo il profanatore, lo flagellarono senza posa con ripetuti colpi. Cadde tramortito Eliodoro, e tutto il popolo lo spinse fuori del tempio maledicendolo (II Macc., III). Quanti anche tra noi meriterebbero d’essere fustigati a sangue dagli Angeli che custodiscono la casa di Dio!… Tra gli altri quelli che chiacchierano inutilmente; che tengono un contegno annoiato o senza raccoglimento; quelli che alla domenica mattina vengono in chiesa vestiti ancora con gli abiti sporchi di una settimana di lavoro, mentre al pomeriggio si adornano squisitamente per recarsi a passeggio, ai ritrovi, con gli amici. – 2. MANCANZA DI RISPETTO INTERIORE. Lunghe carovane di devoti passavano da Alessandria per recarsi in pellegrinaggio al Sepolcro di Cristo. Una donna corrotta e corrompitrice li guardava passare e le balenò in mente un proposito diabolico: « Anch’io — disse — mi farò pellegrina, e seminerò una bella strage di anime nella stessa terra del Salvatore; negli stessi templi ove entreranno a pregare, anch’io entrerò e li adescherò nelle mie reti sensuali ». E partì. Ma quando fu nel paese di Gesù, quando fu in quelle contrade che lo videro camminare e l’udirono parlare, qualcosa già si era cambiato nel suo spirito. Ancora immonda com’era tentò di entrare nel tempio di Santa Croce: appena si trovò nell’atrio uno sgomento la prese. Si sforzò di avanzare e non poteva: una forza misteriosa la respingeva indietro, e non valeva a superarla. Maria Egiziaca comprese, tremò tutta come una foglia di pioppo e pianse. Nel levare al cielo gli occhi gonfi di lacrime, vide appesa nell’atrio un’immagine della Madonna. Si ricordò che bambina l’aveva udita chiamare Madre di misericordia. S’inginocchiò e fece una preghiera a Lei. Quando si alzò, era pentita in cuore: poté entrare nel tempio ove confessò i suoi peccati e poi divenne santa. Più importante del rispetto esterno è il rispetto interno che noi dobbiamo portare alla casa di Dio. Pavete ad santuarium Meum: ego Dominus (Lev. XXVI,) « Nell’avvicinarvi al mio santuario tremate: io sono il Signore! » — Eppure quante volte si entra in Chiesa con l’anima lorda di colpe e senza nessun dolore di esse, senza nemmeno il proposito di una buona confessione! Iddio non sempre vi respingerà sensibilmente come ha fatto con Maria Egiziaca, ma i suoi occhi, che scoprono le macchie negli Angeli, si chiuderanno con ribrezzo davanti a voi. Non vi siete accorti come ogni cosa nella Chiesa v’invita a santità interiore? Voi entrate, ed ecco prendete l’acqua benedetta. Che cosa vi dice? « Monda la tua anima come aspergi il tuo corpo ». Avanzate un passo: ecco il battistero. Che vi dice? « Dov’è la veste candida della tua innocenza che un giorno ti fu imposta? Che ne hai fatto dei giuramento che i tuoi padrini per te pronunciarono? ». Avanzate ancora: ecco le panche e le sedie delle preghiere. Qui si sono inginocchiati i tuoi genitori, i tuoi nonni, che vissero e morirono nell’onestà e nella fede; qui hanno pregato e pianto generazioni e generazioni, che dalla Religione attinsero la forza di una santa vita. « Perché tu non preghi? — dicono. — Perché così raramente sopra di esse ti raccogli? ». Ed ecco il pulpito. Quante parole furono dette per te, ed invano! « La parola di Dio — dice il pulpito — è preziosa più che oro: guai a quelli che non la trafficano ». Ed ecco la croce grande dell’altar maggiore. Dio vi è confitto e Vi sanguina ogni ora. « Crocifiggi la tua carne e i tuoi vizi! ». Ma tu hai sfrenato ogni tuo desiderio, ti sei abbandonato a tutti i piaceri. E così, senza un rimpianto, senza un proposito, vieni in Chiesa. Ma guarda la sacra mensa, coperta d’una bianca tovaglia. Da quanti mesi più non ti assidi? Da quanti anni, forse? Se proprio è così, cerca il confessionale, prendi nelle tue mani la tua anime morta e piagata e presentala al ministro di Dio. Egli ha potestà di risuscitarla e guarirla. A che vale tenere in Chiesa lampade d’oro, vasi preziosi, stoffe finissime, quando le anime sono lampade spente che non vogliono essere riaccese, quando il cuore è un vaso contaminato che non vuole la purificazione, quando la veste interiore della grazia è perduta né si brama di riacquistarla? A che vale che ogni cosa nella Chiesa v’inviti a santità, se voi non udite il richiamo e, quel che è peggio, si viene nella casa di Dio a pascere gli occhi di vanità e il cuore di desideri illeciti? Voglia il Signore che non accada ora proprio l’opposto di quel che avvenne allora, quando Gesù compiva i miracoli nel tempio. Entravano ciechi, storpi e infermi e ne uscivano sani. Nelle nostre chiese entrano sani e n’escono infermi; entrano per pregare e ne escono acciecati da qualche peccato. – Narrano antiche cronache (SIGONIO, Annali d’Italia) che nella primavera del 589 l’Adige gonfiato dalle piogge e dallo scioglimento delle nevi, si rovesciò fuori degli argini ed invase Verona. Ogni via era un canale, ed ogni casa veniva colmata d’acqua. Eppure, quantunque tutto in giro l’inondazione oltrepassasse l’altezza delle finestre, nella chiesa di S. Zenone nemmeno una goccia penetrò. Pare proprio che ai nostri tempi il fiume della corruzione sia cresciuto fuor dì misura quasi a sommergere ogni città. Che almeno le chiese siano salve! I Vescovi e i parroci fanno affiggere alle porte avvisi e minacce; ma Dio vi ponga i suoi Angeli perché più nessuno osi, né esternamente né internamente, profanare la sua casa che è casa d’orazione e non una spelonca di ladri.LE LACRIME DI GESÙ. Piansero i Profeti della Legge Antica. Dio usò i loro occhi per versare lacrime sul suo popolo. Amos, fuggendo la luce del sole splendente sulle colpe umane, scende nel luogo delle tenebre, grida al vento d’oriente e d’occidente il castigo di Dio: e quando attorno a lui vede molti figli d’Israele, con un tremito nella voce e col dolore che sale acuto dal cuore, così a loro parla: « Figli miei, sapete che faccio il dì? sapete che faccio la notte? Sono fissi nella mia mente i vostri peccati e sono piene le mie pupille di pianto. E quando m’assopisco subito mi sveglio ed ho gli occhi bagnati da lacrime ed ho il cuore spezzato dal dolore ». Poi parla al Signore e gli dice: « Jahvé, che debbo fare per la tua gente? ». « Profeta, risponde Iddio, va sulle piazze, corri nelle vie, entra nelle case: e piangi; entra nelle botteghe degli artigiani, penetra nel palazzo di giustizia e dì a tutti costoro: piangete con me i vostri peccati, piangete fino alla tomba ». Anche Geremia pianse sopra le iniquità degli uomini, e diceva: « Ah! mio Dio, ah! mio Dio: m’avete dato la cura di un popolo ribelle, che dirò a lui? ». E Dio gli rispose così: « Mostra quello che io soffro e fa così: afferra a ciocche i tuoi capelli, strappali di colpo, gettali nell’abisso; perché il peccato di questo popolo ha acceso il mio furore » – « Ma, Signore, e la tua ira quando cesserà? ». « Vestiti di sacco, mettiti la cenere sulla testa e piangi: piangi così che dì e notte il tuo volto sia bagnato, sì che i peccati del popolo siano lavati ». Anche al profeta Gioele Dio impose di piangere per i peccati, con queste parole: « Piangi la perdita delle anime, come lo sposo che ha perduto la sposa, e da quel dì è inconsolabile e cerca con i deserti di Siria e i colli di Palestina; e non hanno tregua le sue lacrime ». Piansero dunque i profeti della Legge Antica, l’uno dopo l’altro: ma il loro pianto era un preannunzio e una figura del pianto del Figlio di Dio, che sarebbe venuto a salvare l’umanità; le loro lacrime non avevano valore se non perché si univano misteriosamente a quelle che il Redentore avrebbe versato. Bisognava che il Redentore venisse e bisognava che piangesse sui nostri peccati ed ottenerci il perdono divino. Venne finalmente Gesù; ed il Vangelo odierno ci narra il suo pianto. Cavalcava tra le acclamazioni del popolo ed il suo viaggio verso Gerusalemme, pareva un trionfo e invece era un martirio. Tanto è vero che quando dall’alto dell’oliveto la capitale apparve distesa sotto il suo sguardo, Gesù si fermò a mirarla tristemente e pianse. Pianse vedendo i palazzi e il tempio che sarebbero stati rasi al suolo, ma soprattutto pianse vedendo il cuore di tanti uomini colmo come un sepolcro di corruzione e di miseria. « Gerusalemme, ah, se in questo giorno avessi conosciuto anche tu quello che occorreva per la tua pace, ma ormai ciò è nascosto ai tuoi occhi. Eppure verranno giorni sopra di te, quando i tuoi nemici scaveranno trincee, ti premeranno d’ogni parte, spezzeranno i tuoi figliuoli contro il suolo, non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo della tua visita ». Noi siamo commossi assai delle lacrime divine e spontaneamente ci vengono dal cuore queste due riflessioni: perché piange Gesù e che cosa ottengono le sue lagrime. – 1. PERCHÉ GESÙ PIANGE. Se qualcuno avesse osato interrogare Gesù perché piangesse, indubbiamente si sarebbe sentito rispondere: « Piango perché gli uomini hanno peccato; piango perché  gli uomini non vogliono accogliere il mio amore ». Ma davanti agli sguardi divini di Gesù non era distesa appena Gerusalemme, ma tutta la storia del mondo. Il suo pianto non si fermò appena sui Giudei dalla dura cervice, ma discese anche su di noi che abbiamo peccato e che non vogliamo accogliere il suo amore. Pianse dunque anche su noi: vide le nostre povere anime ingrate e le sue pupille si riempirono di lacrime. Pianse sulla nostra gioventù che cresce lontana da Lui; che non sa più pregare ma sa bestemmiare, non conosce più il sorriso innocente degli occhi divini, ma ha gli occhi pieni di cupi desideri e il cuore pieno di fango. E pianse sugli uomini che hanno perso la via della Chiesa e conoscono solo quella delle sale di divertimento, ed hanno sul labbro il motto equivoco ed hanno nell’anima l’odio feroce e la discordia. E pianse sulle donne che l’hanno dimenticato, che si ribellano alla loro missione materna e non sanno più portare la croce senza l’imprecazione contro la Provvidenza. Pianse sul nostro orgoglio, sulla nostra smania di piaceri e di onori. Ed Egli s’è umiliato tanto ed ha sofferto acerbamente! Pianse sulle nostre vendette, ed Egli morì con la parola del perdono. Pianse sui nostri sguardi cattivi, sui nostri discorsi osceni, sui nostri atti bassi e vergognosi: ed Egli era così santo, innocente, sopra ogni peccato!… Almeno avessimo udito il suo lamento e l’avessimo meditato; invece il nostro cuore è rimasto, rimane duro da non conoscere mai il tempo della visita dei Salvatore. Ci visita spesso Gesù, ci passa vicino; e noi siamo così distratti dal rumore delle terra che non ce ne accorgiamo. Ci visita con le carezze, quando benedice il lavoro della terra e la fatica dell’officina; e noi non siamo neanche un po’ riconoscenti. Ci visita col rimorso di coscienza, con una buona parola d’un amico, con la frase acerba del predicatore: e noi abusiamo. Non ancora oggi ci siamo convertiti a Lui, oggi in cui grida di più all’anima nostra con angoscia rotta e con amore desolato: « Gerusalemme, mia città, getta lontano il tuo manto d’ignominia, abbandona le orge che ti hanno sedotta: e ritorna al tuo Signore ». Convertere ad Dominum Deum tuum. – 2. L’EFFICACIA DEL PIANTO DI GESÙ. S. Vincenzo de’ Paoli amava con tutta l’anima un giovane che era cresciuto bene, come un giglio in una serra; ma che poi s’era abbandonato al vizio. Il Santo; ogni volta che lo vedeva, non riusciva a trattenere il pianto. « Ebbene, gli disse un giorno S. Vincenzo, non posso più esortarti a lasciare la strada cattiva, perché vedo che delle mie parole e delle mie lagrime non tieni conto. Ti chiedo però una cosa ancora ». « Quale? », domandò il giovane. « Prendi questa immagine e guardala, ogni sera, prima di addormentarti ». Il giovane accontentò la stranezza del Santo e promise. La sera vide quell’immagine per la prima volta: e fu scosso e prese il sonno solo dopo un’ora: lo sguardo dolorante del Maestro Divino lo fissava, incatenava i suoi occhi, l’anima sua. E la sera dopo, ebbe paura a guardare, a stento riuscì a mantenere la parola. Ma Gesù sofferente lo guardava, sempre, tutta la notte, così che non poté dormire. Ed al mattino si recò da S. Vincenzo. « Padre, non ne posso più: le lacrime di Gesù hanno vinto ». Questo non è che un piccolo episodio in cui il pianto di Gesù ha ottenuto una la conversione: ma voi capite subito quanto valgono le lacrime divine, il pianto che ha fatto la seconda Persona della Santissima Trinità, il Figlio di Dio. Lacrime di valore infinito ci hanno meritato una cosa divina, la grazia, la partecipazione della vita divina, l’essere figli adottivi di Dio. – O Angeli santi, grida Nieremberg, ditemi dunque: che cosa è la grazia? Cherubini, voi così pieni di scienza, ditemi: che cosa è la grazia che è costata tanto al nostro Dio? ». Che ha fatto il digiuno di Gesù? il suo lavoro, i suoi sudori? Che hanno fatto i suoi flagelli, le sue spine, il suo pianto? Hanno meritato la grazia santificante all’anima nostra. E voi sapete che cosa è un’anima in grazia? Quando Giovanni la vide in cielo, era così bella che pareva Dio e si prostrò ad adorarla; ma ella gridò: « che fai? son tua sorella ». Quando a S. Caterina la mostrò il Signore, la Santa fu così meravigliata da dire: se io non sapessi che v’ha un Dio solo, crederei questa esserne uno ». Quando Bossuet meditò sulla sua bellezza, scrisse così: « Chi vedesse un’anima dove Dio regna con la sua grazia, crederebbe vedere Dio stesso, come si vede un secondo sole in un terso cristallo dov’esso si rifletta con tutti i suoi raggi ». Quando il S. Curato d’Ars ne parlava faceva dire così al Signore: « Io l’ho fatta sì grande che io solo posso bastarle: io l’ho fatta sì pura che solo il mio corpo le può servire di alimento ». Lacrime di valore infinito, hanno meritato tante e tante conversioni; così che per i lamenti del Buon Pastore quante pecorelle sono ritornate all’ovile; così che per le lacrime del Buon Pastore quanti figli prodighi sono venuti ancora alla casa paterna; così che per le premure amorose, come quelle della donna di casa, quante dramme si trovano ancora con l’impronta dell’immagine di Dio! Lacrime di valore infinito, ci hanno ottenuto di conservare la grazia. Volete sapere quanto costa l’anima nostra? Domandatelo al demonio che ogni dì vi tenta, anche quando meno pensate all’anima, anche quando pregate. Così potrete anche misurare quanto valgono le lacrime di Gesù. Invece noi stimiamo tanto poco la grazia e l’anima nostra e stiamo in peccato; un orgoglioso la vende per un pensiero di orgoglio, un avaro per un po’ di terra, un lussurioso per un attimo di piacere, un ubriaco per un bicchiere di vino, un vendicativo per un pensiero di vendetta… Invece noi lasciamo di nutrirla col SS. Sacramento, con la S. Comunione, lasciamo aperta la porta e lasciamo entrare il ladro di giorno, di notte, la lasciamo assalire, ferire, morire… Quanto poco stimiamo l’anima in grazia, quanto poco stimiamo le lacrime di Gesù!. – « Gettate uno sguardo, esclama commosso Bossuet, contemplate Gesù lacrimoso, doloroso: voi siete nati da quelle lacrime, voi siete stati generati da quei dolori: e la grazia che vi santifica si riversa su voi assieme alle sue lacrime. Figli di dolore, figli di pianto… ». « Ecco l’Uomo »: fu detto ai Giudei nel dì del dolore. Era l’Uomo nuovo che sostituiva l’uomo vecchio, era l’Uomo nuovo che veniva a piangere sui peccati dell’uomo, a darci la grazia, a farci figli di Dio. Da allora cessò il pianto dei profeti: e come ci fu poi un solo Sacrificio a cui partecipano i figli della grazia, così ci fu un sol pianto a cui parteciparono i figli redenti nel dolore. Tanto valsero le lacrime di Gesù.

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.

[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]

Secreta

Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur.

[Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]

Præfatio


V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et
sanabitur anima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.

[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.

[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE 2023

DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi

Durante la festa di Pentecoste la Chiesa ha ricevuto la manifestazione dello Spirito Santo e la liturgia di questo giorno ce ne mostra le felici conseguenze. Questo Spirito ci rende figli di Dio, tanto che possiamo dire in tutta verità: “Padre nostro; siamo quindi assicurati dell’eredità del cielo (Ep.): ma per questo bisogna che, vivendo per opera di Dio, noi viviamo secondo Dio (Oraz.) lasciandoci indurre in tutto dallo Spirito di Dio (Ep.), cosi Egli ci accoglierà un giorno nei tabernacoli eterni (Vang.). Sta qui la vera sapienza di cui ci parla la storia di Salomone, della quale in questa settimana si continua la lettura nel Breviario; qui sta la grande opera alla quale il re dedicò tutta la sua vita. – Salomone costruì il Tempio del Signore nella città di Gerusalemme, secondo la volontà di David suo padre, che non aveva potuto edificarlo egli stesso per le continue guerre che i nemici gli avevano mosso contro. Salomone impiegò tre anni a preparare il materiale, cioè le pietre che ottantamila uomini estraevano dalle cave di Gerusalemme e il legno di cedri e cipressi che trentamila uomini abbattevano sul Libano nel regno dell’Iram (V. Domenica prec.). – Quando tutto fu pronto si cominciò, nel 480° anno dopo l’uscita dall’Egitto, la costruzione che durò sette anni. Pietre da taglio, legno e fregi ornamentali erano stati così esattamente misurati prima, che i lavori si compivano nel più grande silenzio. Nella casa di Dio non si sentiva colpo di martello, né ascia, né altro strumento di ferro durante il tempo che si edificava. Salomone prese come piano quello del tabernacolo di Mosè; ma gli diede proporzioni più vaste e vi accumulò tutte le ricchezze che poté. I soffitti e i pavimenti di legni preziosi erano rivestiti da placche di oro, gli altari e le tavole erano ricoperti di oro, i candelabri e i vasi erano di oro massiccio. Tutte le mura del tempio erano ornate da cherubini e da palmizi coperti di oro. A lavori terminati, Salomone consacrò con grande solennità questo Tempio al Signore. In presenza di tutti gli Anziani di Israele e di un popolo immenso appartenente alle dodici tribù, i sacerdoti trasportavano l’Arca dell’alleanza nella quale si trovavano le tavole della legge di Mosè, sotto le ali spiegate di due cherubini, ricoperte di oro e alte dieci cubiti, che si innalzavano nel santuario. Si immolarono anche migliaia di pecore e di buoi e, quando i sacerdoti uscirono dal Sancta Sanctorum, una nube riempì la casa del Signore. Allora Salomone levando gli occhi verso il cielo, domandò a Dio di ascoltare le suppliche di tutti quelli, Israeliti o estranei, che sarebbero venuti in differenti circostanze, felici o infelici, nella loro vita, a pregarlo in questo luogo che era stato a Lui consacrato. Gli domandò anche di esaudire tutti quelli che, con la faccia rivolta verso Gerusalemme e verso il Tempio, gli avrebbero indirizzato le loro suppliche, per mostrare che Egli aveva scelta questa casa per sua residenza e che non vi era in nessun luogo altro Dio, che quello d’Israele. – Le feste della Consacrazione del Tempio durarono quattordici giorni in mezzo a sacrifici e banchetti sacri. E il popolo se ne tornò benedicendo il re e sentendo riconoscenza per tutto il bene che il Signore aveva fatto a Israele dal giorno dell’alleanza sul Sinai. Il Signore apparve allora una seconda volta a Salomone e gli disse: « Ho esaudita la tua preghiera, ho scelto e benedetto il tempio che mi hai innalzato; là saranno sempre i miei occhi ed il mio cuore per vegliare sul mio popolo fedele ». Nella Messa di questo giorno la Chiesa canta alcuni versetti di sei Salmi differenti che riassumono tutti i pensieri espressi da Salomone nella sua preghiera: « Il Signore è grande e degno di lode nella città del nostro Dio, sulla sua montagna santa » (l’Intr., Alt.). « Chi è dunque Dio se non il Signore?» (Off.). È nel suo tempio che si riceve la manifestazione della sua misericordia » (Intr.) e che « si prova e si sente quanto il Signore sia dolce » (Com.), poiché Egli è « per tutti quelli che sperano in Lui, un Dio protettore e un luogo di rifugio » (Grad.), — Come il regno di Salomone fu una specie di abbozzo e di figura del regno di Cristo (2° Nott.), cosi il tempio che egli innalzò a Gerusalemme non fu che una figura del cielo nel quale Dio risiede ed esaudisce le preghiere degli uomini. È sulla montagna santa e nella città di Dio (All.) che noi andremo un giorno a lodarlo per sempre. L’Epistola ci dice che se noi vivremo di Spirito Santo, facendo morire in noi le opere della carne saremo figli di Dio, e che da quel momento, eredi di Dio e coeredi di Cristo, entreremo nel cielo che è il luogo della nostra eredità. Ed il Vangelo completa questo pensiero dicendoci, sotto forma di una parabola, quale sia l’uso che dobbiamo fare delle ricchezze d’iniquità per assicurarci l’entrata nei tabernacoli eterni. Un fattore infedele, accusato di aver dissipato i beni del padrone, si procura degli amici con i beni che questi gli aveva affidato, per avere, dopo essere stato cacciato, « persone pronte ad accoglierlo nelle proprie case ». I figli della luce, dice Gesù, contendano per zelo coi figli del secolo, e, imitando la previdenza di questo fattore, utilizzino i beni, che Dio ha messi a disposizione loro per venire in aiuto dei bisognosi e si faccianoamici nel cielo, perché quelli che avranno sopportato cristianamente le privazioni sulla terra, entreranno lassù e renderanno testimonianza ai loro benefattori nel momento in cui tutti dovrann orendere conto al divino Giudice della loro amministrazione (Vang.)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Introitus

Ps XLVII: 10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Ps XLVII: 2. Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitate Dei nostri, in monte sancto ejus.

[Grande è il Signore, e degnissimo di lode nella sua città e nel suo santo monte.]

Ps XLVII: 10-11 Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Largíre nobis, quǽsumus, Dómine, semper spíritum cogitándi quæ recta sunt, propítius et agéndi: ut, qui sine te esse non póssumus, secúndum te vívere valeámus.

[Concedici propizio, Te ne preghiamo, o Signore, di pensare ed agire sempre rettamente; così che noi, che senza di Te non possiamo esistere, secondo Te possiamo vivere.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 12-17

Fratres: Debitóres sumus non carni, ut secúndum carnem vivámus. Si enim secúndum carnem vixéritis, moriémini: si autem spíritu facta carnis mortificavéritis, vivétis. Quicúmque enim spíritu Dei aguntur, ii sunt fílii Dei. Non enim accepístis spíritum servitútis íterum in timóre, sed accepístis spíritum adoptiónis filiórum, in quo clamámus: Abba – Pater. – Ipse enim Spíritus testimónium reddit spirítui nostro, quod sumus fíli Dei. Si autem fílii, et herédes: herédes quidem Dei, coherédes autem Christi.

(“Fratelli: Non abbiam alcun debito versa la carne per vivere secondo la carne. Se, pertanto, vivrete secondo la carne, morrete; se, al contrario, con lo spirito farete morire le opere della carne, vivrete. Poiché, quanti sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Invero, non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricadere nel timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, per il quale gridiamo «Abba! (o Padre)». E lo Spirito Santo stesso attesta al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. Ora, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo”).

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.]

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Che grande parola ha detto il Cristianesimo agli uomini quando ha detto loro: voi siete figli di Dio! Fuori del Cristianesimo, osservate, l’uomo o è avvilito o è adulato. Gli spregiatori dicono all’uomo: sei una scimmia, appena un poco più perfezionato. Gli adulatori dicono: sei un Dio, sei Dio… E gli uni e gli altri dicono parole che hanno sapore di falsità e riescono moralmente funeste; perché è funesta l’abbiezione del bruto, come è funesto l’orgoglio di un falso iddio, di un idolo. Il Cristianesimo appaga e non solletica i nostri istinti, le nostre aspirazioni di grandezza, quando ci dice: voi siete figli di Dio. Purtroppo noi abbiamo fatto l’abitudine a questa parola, ed essa, che dovrebbe riempirci di gioia e di legittimo orgoglio, per poco non ci lascia indifferenti. – Ma non fu così per le prime generazioni cristiane. San Paolo si esalta, si entusiasma analizzando e quasi assaporando la frase. Per meglio gustarla e illuminarla, Paolo contrappone la sorte nostra, di noi Cristiani, a quella dei Giudei, che furono pure per tutto il mondo antico, e prima che venisse Gesù, i depositari della religione vera. Ma quella loro religione era pervasa da un suo spirito, perché dominata da una sua idea. Lo spirito onde l’anima giudaica era pervasa nel suo momento religioso, ben s’intende, era spirito di timore, anzi di timore servile, perché per il fedele giudeo cresciuto alla scuola di Mosè e della sua Legge, Dio era il Padrone, il grande, il vero padrone, il Re, il Sovrano, alla guisa orientale. L’anima, davanti a quel padrone, temeva e tremava. Era la forza specifica della sua adorazione. San Paolo ne aveva fatta l’esperienza: aveva tremato anche lui e sofferto insieme e goduto di quel timore. Più sofferto che goduto, perché la sua anima avrebbe voluto aprirsi a sensi più nobili, come sono i sensi dell’affetto. Ma la vecchia legge non glielo consentiva. Ed ecco sopraggiungere Gesù, non più semplice profeta, e servo, ma Figlio di Dio veracemente, propriamente. Ed ecco annunziare agli uomini, coll’autorità sua di Figlio, che Dio è per noi e vuole essere Padre « Pater noster; » Padre già per diritto e fatto di creazione, ma assai più e meglio per diritto e fatto di redenzione; Padre dacchè ci ha dato per fratello vero il vero e unico suo Figlio. – Chiamarsi così per noi non è più una usurpazione — come non fu usurpazione per Gesù il dirsi eguale al Padre — o una metafora: è un diritto. Guardate — dirà un altro Apostolo agli stessi primi Cristiani, — quale carità ci ha usato il Signore, dandoci nome e realtà di suoi figlioli: « ut filì Dei nominemur et simus ». Il Cristianesimo ha fatto e fa lievitare in noi, in noi esalta tutti quegli elementi che già costituiscono un fondo di sbiadita rassomiglianza con Dio. Esalta col lume della fede il lume dell’intelletto, orma di Dio nella nostra anima; ci soleva a quelle verità che sono il segreto di Dio, che nessuno dei principi di questo mondo sarebbe arrivato a scoprire. Esalta la nostra coscienza e la spinge a desiderare e volere forme nuove e più atte al bene. È qui anzi, nella fornace dell’amore al bene, della carità, che si compie questa meravigliosa trasformazione del Cristiano, in figlio di Dio, simile — non uguale, privilegio questo di Gesù Cristo — simile al Padre. Trasformazione dovuta alla grazia, ma alla cui completa realizzazione noi dobbiamo collaborare, operando da figli di Dio. I filosofi dicono che l’opera segue l’essere e lo dimostrano. « Operari seguitur esse ». Siamo figli di Dio! E operiamo allora da figli di Dio, non da estranei, non da nemici. Siano divine le nostre opere, sia divina la nostra condotta. Per fortuna, quale sia la divina condotta di un uomo noi lo sappiamo, guardando a N. S. Gesù Cristo, l’Uomo-Dio. Verrebbe voglia di riepilogare con parola evangelica questa condotta divina, superiore sovrannaturale in un binomio: spirito e verità. Seguiamo le ispirazioni dello Spirito e non le suggestioni della carne; queste fanno l’uomo animale, bruto, inferiore, degenere; lo spirito, al contrario, ci dà l’uomo superiore, spirituale. E della verità siamo solleciti ed entusiasti: Dio in ciascuno di noi… Se procederemo così secondo spirito e verità, avremo la soddisfazione arcana e profonda di sentirci davvero figli di Dio: quello che pareva sogno superbo, sarà diventato per noi realtà consolante.

Graduale

Ps LXX: 1V. Deus, in te sperávi: Dómine, non confúndar in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[V. O Dio, in Te ho sperato: ch’io non sia confuso in eterno, o Signore. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XLVII:2

Alleluja, Alleluja.

Magnus Dóminus, et laudábilis valde, in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus. Allelúja.

[Grande è il Signore, degnissimo di lode nella sua città e sul suo santo monte. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. (Luc XVI: 1-9)

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Homo quidam erat dives, qui habébat víllicum: et hic diffamátus est apud illum, quasi dissipásset bona ipsíus. Et vocávit illum et ait illi: Quid hoc audio de te? redde ratiónem villicatiónis tuæ: jam enim non póteris villicáre. Ait autem víllicus intra se: Quid fáciam, quia dóminus meus aufert a me villicatiónem? fódere non váleo, mendicáre erubésco. Scio, quid fáciam, ut, cum amótus fúero a villicatióne, recípiant me in domos suas. Convocátis itaque síngulis debitóribus dómini sui, dicébat primo: Quantum debes dómino meo? At ille dixit: Centum cados ólei. Dixítque illi: Accipe cautiónem tuam: et sede cito, scribe quinquagínta. Deínde álii dixit: Tu vero quantum debes? Qui ait: Centum coros trítici. Ait illi: Accipe lítteras tuas, et scribe octogínta. Et laudávit dóminus víllicum iniquitátis, quia prudénter fecísset: quia fílii hujus saeculi prudentióres fíliis lucis in generatióne sua sunt. Et ego vobis dico: fácite vobis amicos de mammóna iniquitátis: ut, cum defecéritis, recípiant vos in ætérna tabernácula

 (“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Eravì un ricco, che aveva un fattore, il quale fu accusato dinanzi a lui, come so dissipato avesse i suoi beni. E chiamatolo a sé, gli disse: Che è quello che io sento dire di te? Rendi conto del tuo maneggio; imperocché non potrai più esser fattore. E disse il fattore dentro di sé: Che farò, mentre il padrone mi leva la fattoria? non sono buono a zappare; mi vergogno a chiedere la limosina. So ben io quel che farò, affinché, quando mi sarà levata la fattoria, vi sia chi mi ricetti in casa sua. Chiamati pertanto ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Di quanto vai tu debitore al mio padrone? E quegli disse: Di cento barili d’olio. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo; mettiti a sedere, e scrivi tosto cinquanta. Di poi disse a un altro: E tu di quanto sei debitore? E quegli rispose: Di cento staia di grano. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo, e scrivi ottanta. E il padrone lodò il fattore infedele, perché prudentemente aveva operato: imperocché i figliuoli di questo secolo sono nel loro genere più prudenti dei figliuoli della luce. E io dico a voi: Fatevi degli amici per mezzo delle inique ricchezze; affinché, quando veniate a mancare, vi dian ricetto ne’ tabernacoli eterni”).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

L’ASTUZIA DEI FIGLI DEL SECOLO

C’era un uomo ricco che aveva un fattore. Ma alcuni invidiosi vedevano di mal occhio quel fattore e lo calunniarono presso il padrone. Il padrone lo fece chiamare e gli disse: « Belle cose che so di te! Ed io dormivo tranquillo, e avevo un ladro in casa. È tempo di finirla: tu sei licenziato ». Il fattore rimase fulminato; non tentò nemmeno di scusarsi. Che cosa dovere fare adesso che il padrone lo metteva alla porta? Mestieri non ne sapeva, d’elemosinare non ne aveva il coraggio. « Bene, farò così », decise in fine. E chiamò privatamente i debitori del suo padrone. E disse al primo: « Tu quanto devi pagare? — Cento misure d’olio. « Siedi in fretta; ecco la tua fattura. Facciamo le cose come fossimo in famiglia. Al posto di cento scrivi cinquanta ». Poi disse ad un altro: « E tu quanto devi pagare? ». — Cento pesi di frumento. « Prendi la fattura e scrivi ottanta ». « Ecco della gente, pensava poi contento in cuore, che tra poco mi aprirà volentieri le porte di casa sua ». Chi sa come, il padrone venne a sapere, e quantunque indispettito per la frode non poté non lodare l’astuzia con cui il fattore aveva agito. Filii huius sæculi prudentiores filii lucis. — E questo lamento che sta nella parabola di Gesù, è vero anche per noi. Quanto interesse per le cose mondane e quanto disinteresse per le cose del cielo! Quanta astuzia nel fare il male e quanta trascuratezza nel fare il bene! Impariamo dai figli del secolo. – 1. FIGLI DEL SECOLO E I MISTERI DELLA NATURA. Quando Michele Montgolfier, con un pallone di carta gonfiato d’aria calda dimostrò a Parigi che l’uomo poteva volare nei cieli, un poeta esclamava: « O uomo! che più ti resta? tu hai saputo scoprire le origini del tuono; hai saputo imprigionare il lampo e disperderlo nelle voragini della terra; hai saputo descrivere l’orbita alle stelle e misurare la loro distanza; tutto hai saputo scoprire e domare: la terra, il fuoco, il mare, il cielo, le fiere ». E veramente l’uomo, « con brando e con fiaccola » ascende arditamente alla conquista del mondo anche sacrificando la propria vita. Plinio, soffocato dalle ceneri e dai lapilli ardenti, muore a Stabia per scrutare l’eruzione del Vesuvio. Colombo con tre caravelle si slancia nel mistero tenebroso dell’oceano. Galileo consuma la vista e la vita a scrutare le macchie del sole. Clemente Adler, uno dei primi aviatori, cade in un mattino umido, con le gambe sfracellate sotto l’apparecchio, ma con lo sguardo nei cieli che aveva tentato di violare. È una sete d’ignoto e di conquista che sospinge i figli del secolo. Si può dir così anche dei figli della luce? Anche per essi c’è un mondo da conoscere e da conquistare: il mondo dello spirito. S’incontrano talvolta dei Cristiani che confondono le tre Persone della Sacra Famiglia con le tre Persone della SS. Trinità; che confondono l’Immacolata Concezione con il virginale concepimento di Maria; che non sanno bene che cosa ricevono nella santa Comunione. Eppure, ogni festa, queste sublimi verità si spiegano nella Chiesa. Ma i figli della luce non vengono ad istruirsi, e non hanno vergogna della loro supina ignoranza, mentre arrossirebbero di non sapere certe nozioni d’elettricità. Quanta ammirazione nel mondo per l’uomo che slancia il suo veicolo ad una folle velocità, che in poche ore attraversa l’oceano, che con una forza bestiale di pugno atterra un suo simile. È per l’uomo che sa vincere l’astutissimo demonio, conservarsi nell’equilibrio del bene anche in mezzo a tanto male, volare nei cieli della santità, per l’uomo che in pochi anni, come S. Luigi, S. Stanislao, S. Teresa del Bambin Gesù, sa raggiungere la cima della perfezione cristiana, nulla o fors’anche un sorriso di compatimento. – 2. I FIGLI DEL SECOLO E GLI INTERESSI MATERIALI. È triste la partenza degli emigranti. Con gli occhi lacrimosi, col cuore martoriato da mille sentimenti, ascendono la nave e dalla tolda si rivoltano a salutare. Povera gente che varca i mari verso un destino ignoto! Lasciati i loro cari, la loro casa, il loro campicello, il paese dei loro giuochi e dei loro sogni, la patria, tutto; ma perché? Perché sperano di tornare un giorno ricchi, riabbracciare i loro vecchi e i loro figli cresciuti e passare con loro beatamente gli ultimi giorni. Anche i figli della luce devono pensare al loro avvenire: quando questo mondo finirà, ed entreranno nei regni eterni. Eppure, sono pochi quelli che sanno distaccarsi dai luoghi, dalle persone, dalle cose terrene per accumulare meriti per il cielo. Filii huius sæculi prudentiores filii lucis. — Napoleone per conquistare un regno patì freddo e fame, stanchezza e sonno, e si espose più volte alla guerra. Eppure, il suo regno non fu che una meteora ed egli moriva, lacrimando, sulla scogliera brulla in mezzo al mare. Cesare, sospirando l’impero di Roma, combatté le difficili guerre coi Galli, e le più difficili con i suoi rivali; eppure egli raggiunse appena le soglie del sognato impero, che cadde, pugnalato, ai piedi della statua di Pompeo. Alessandro combatté con una forza di volontà non mai vista sopra la terra e quando ottenne la signoria del mondo lo raggiunse la morte, e con lui si sfasciò il suo impero. Ma se i figli del secolo sanno patire ineffabili tormenti, superare terribili difficoltà per raggiungere il regno d’un giorno, perché i figli della luce non sapranno sopportare piccoli patimenti, combattere le passioni, respingere la lusinga del mondo per conquistarsi un regno eterno di felicità inimmaginabile? Filii huius sæculi prudentiores filii lucis. – Due principi Romani andarono a far visita al beato Egidio che viveva in una grotta, pregando e macerando il suo corpo. Rimasti alcun poco in colloquio, i due mondani lo salutarono, dicendo: « O Padre! pregate per noi ». – « Che dite mai? — rispose frate Egidio. — Io pregare per voi?! Voi piuttosto pregate per me; voi che non tremate al cospetto di Dio, voi che non sudate per salvare l’anima, voi che fate tanto a fidanza con Dio!… Io?! non vedete come tremo di perdermi, e vado meditando lunghe giornate per sapere il modo di piacere a Dio, mentre voi non trovate difficoltà se non per le cose del corpo? ». I due principi abbassarono la testa, e se ne andarono senza più voltarsi indietro. Se le parole del beato Egidio bruciano anche sulla nostra coscienza, abbassiamo noi pure la testa davanti a Dio, e ritorniamo alle nostre case, oggi, con un fermo proposito. –LE RICCHEZZE E IL LORO USO. Il Signore è paziente e grande nella sua fortezza. Quegli che fa tremare i monti e disseccare gli oceani, un giorno disse a Nahum, suo profeta: « Va a Ninive ed annuncia i castighi di Javé ». Il messo di Dio accorse e predicò sulla piazza ad un popolo numeroso come l’arena del mare. « Voi avete fatto più gran numero d’affari che non sono le stelle del cielo. Ma ecco che il nemico famelico vi tiene d’occhio: e quando vi avrà visto ben pasciuti si getterà sopra di voi come una nube di cavallette sui campi biondi di spighe. Prenderanno l’argento, prenderanno l’oro e non vedranno la fine delle ricchezze nascoste nei vostri vasi. Le case saranno rovinate e le sostanze disperse: dissipata, et scissa et dilacerata » (Nah., II, 10). Quello che disse il Signore al suo profeta, lo dice Gesù a noi: oggi nel Vangelo ch’io vi presento. Che debbono fare i figli della luce? I beni acquistati in eredità, accumulati col guadagno, ottenuti con mezzi forse non del tutto onesti, sono chiamati « mammona di iniquità »: occasione, frutto, mezzo di ingiustizia. Quelli che li hanno a disposizione sono semplici amministratori, come l’economo della parabola: bisogna ch’essi stiano attenti a non defraudare il Padrone che sta nei cieli, ma ad amministrarli bene, a prelevare qualche cosa per i poveri, per essere ricevuti in cielo assieme a loro, che sono gli amici di Dio. Altrimenti la loro furberia sarà quella dei figli del secolo, e se la scamperanno in vita, non la scamperanno in morte: e le sostanze loro saranno et dissipata et scissa et dilacerata. « Ed io vi dico: fatevi degli amici per mezzo delle ricchezze materiali e dei beni di fortuna, affinché, quando veniate a morire, vi diano ricetto nelle tende eterne ».1. L’USO CATTIVO. Seneca, che fu un filosofo pagano, andava torturandosi un dì il cervello per sapere dov’è la vera sapienza. Gli accadde d’incontrarsi con un uomo che mangiava in un piatto d’argilla, ma s’accorse che aveva in cuore tanta brama d’aver vasellame d’oro: concluse che quello non era un uomo saggio. Gli venne poi d’incontrarsi con un uomo che mangiava in un piatto d’argento, beveva in una coppa d’oro; lo interrogò e seppe che mangiava e viveva con tanta semplicità come se il vasellame fosse d’argilla; e concluse: questi è l’uomo saggio. Anche il Signore Gesù aveva detto chi erano i ricchi saggi ed i ricchi stolti, quando distinse due specie di poveri, quelli di spirito e quelli di mezzi. I poveri di spirito sono anche i ricchi, quando non sono attaccati ai beni della terra e non dimenticano quelli del cielo, e vivono in semplicità, con l’animo medesimo con cui vive anche il povero. Quando è così, buone sono le ricchezze, dice S. Agostino, perché sono usate come vuole Dio, per operare il bene. E la Scrittura chiama beato quel ricco « che si è elevato sino alla comprensione del povero e dell’indigente ». Ma quanto è difficile essere savi fra le ricchezze! Sentite ancora Gesù: «In verità vi dico: un ricco entrerà difficilmente nel regno dei cieli. E aggiunge: è più facile per un cammello passar per la cruna d’un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli »: e nel Vangelo di quest’oggi le ricchezze sono da lui chiamate mammona iniquitatis, perché spesso sono frutto, occasione, mezzo di iniquità. La S. Scrittura chiama la cupidigia simulacrorum servitus; ah! quanto è vera l’espressione, quando l’idolo di cui s’è schiavi è la ricchezza! Per l’avidità di possedere, quanti mali acquisti fa l’uomo! speculatore, gioca sul danaro altrui con false notizie; capitalista, sfrutta il bisogno con un interesse da usuraio; industriale, non ripaga equamente l’operaio; commerciante, altera il peso, la misura, la merce; operaio, inganna il padrone. Così le ricchezze sono frutto di iniquità. Quando le ricchezze si hanno, divengono spesso mezzo di peccato: e si pongono nello scrigno avaramente o si spendono all’osteria, nelle sale, nei teatri, per i piaceri, per il fango; così come il ricco Epulone e come il Figliuol Prodigo. Ah, è troppo inumano che il denaro grondi sudore altrui o sprema sangue, ah! è troppo vergognoso che divenga mezzo di peccato. Domandate alle famiglie in dissidio la causa perché son divise, e vi risponderanno: il denaro; domandate alla società la causa dell’odio, delle inimicizie, delle lotte fra il ricco ed il povero, e vi risponderà: il denaro; domandate a quell’uomo perché ha perso la fede, l’onore e vi risponderà: per il denaro; domandate a quell’altro perchè ha dimenticato il suo dovere e vi risponderà: per il denaro. Denaro, sempre denaro; ah! è una ben triste occasione di peccato, il denaro! E se poteste domandare a tanti e a tanti perché sono nell’inferno, ancora con un gesto disperato e con un singulto orribile vi risponderebbero: per il denaro. Morì il ricco e fu sepolto nell’inferno ». La furberia dei figli del secolo non chiude quelle porte di fuoco. – 2. L’USO BUONO. Nell’Antico Testamento vi erano due specie di sacrificio: un sacrificio che uccide la vita e un sacrificio che dona la vita. Noi conosciamo bene il primo: la giustizia divina, che fulmina e scuote e strappa i cedri del Libano, esigeva sacrifici di sangue che spruzzava di rosso l’altare, sacrifici di fuoco che consumava la vittima. Ma vi era l’altro sacrificio di cui parla l’Ecclesiastico: Qui facit misericordiam offert sacrificium. (Eccl., XXXV, 4). Se con sacrificio di sangue si onora la giustizia divina offesa, col sacrificio dell’elemosina si onora la bontà divina, dolce e amabile che vuole la vita del peccatore, che non ha pensieri di afflizione, ma pensieri di pace. « Beati questi misericordiosi, perché otterranno misericordia » disse Gesù nel Nuovo Testamento, e la otterranno più splendida nel dì finale. Nel dì finale il Re dirà a coloro che sono a destra: « Venite benedetti, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; sete e mi avete dato da bere; ero Pellegrino e mi avete ricoverato; nudo e mi avete vestito; malato e mi avete curato, prigioniero e mi avete visitato ». « Quando, o Signore, abbiamo fatto questo? ». – « Ve lo dico in verità, tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me medesimo ». Ora le capite le parole del Vangelo: « Colle ricchezze fatevi amici che vi riceveranno in cielo »; quanti, dopo averle udite e dopo averle meditate, hanno distribuito ai poveri i loro averi, hanno riparato alla ingiustizia, hanno reso la merce defraudata: e si sono fatti amici in cielo. Ora le capite le parole della Sacra Scrittura: « La elemosina copre non solamente i peccati, ma la moltitudine dei peccati »; « come l’acqua estingue il fuoco, così l’elemosina estingue la colpa ». Ora capite che il buon uso delle ricchezze è di colui che non si considera un padrone assoluto, ma nel tempo e secondo i limiti che il Padrone Assoluto Eterno ha stabilito: ora capite che il buon uso delle ricchezze è di colui che, quando ha soddisfatto alla propria necessità, alla convenienza della sua posizione, alla esigenza della sua famiglia, il resto lo dà ai poveri. Ora capite che l’elemosina diviene frutto, mezzo, occasione di giustizia. Chi ha rubato e non trova l’antico padrone, chi ha danneggiato e non può riparare il danno, chi ha ereditato male e non può far più nulla; tutti costoro con l’elemosina convertono mammona iniquitatis in frutti di giustizia che raccoglieranno in cielo. Colui che penetra nel cuore e nell’anima del tapino per diffondere un po’ di luce fra tanto odio, per portare la pace e la grazia del Signore fra tanta miseria e fra tanta colpa, costui conquista anime e fa veramente amici in cielo: l’elemosina è occasione di tanto bene. « Chiudi la limosina nel seno del povero, e questa pregherà per te contro ogni male: essa è come sigillo dinanzi a Dio che segnerà il libro di vita, essa è come pupilla dell’occhio di Dio e irraggerà di luce in cielo » (Eccli., XXIX, 15). –  V’è nella vita del B. de la Colombière questo piccolo episodio autentico. Un ricco gentiluomo di Francia era morto dopo aver vissuto la vita galante di società. Il primo marzo del 1680 un’umile e santa suora della Visitazione lo vede mentre prega in coro e ascolta le sue parole: « Ah! quanto è grande Iddio, e giusto e santo! Nulla è piccolo ai suoi occhi, tutto è pesato, punito, ricompensato ». « Avete ottenuto misericordia? » domanda la suora. « Sì, per le elemosine ai poveri ». E sparve. Costui ha trovato in cielo i poveri suoi amici: e fu salvo. Li troveremo anche noi, che ci spaventiamo, guardando ai nostri peccati e al giudizio di Dio?

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XVII: 28; XVII: 32

Pópulum húmilem salvum fácies, Dómine, et óculos superbórum humiliábis: quóniam quis Deus præter te, Dómine? [Tu, o Signore, salverai l’umile popolo e umilierai gli occhi dei superbi, poiché chi è Dio all’infuori di Te, o Signore?]

Secreta

Súscipe, quǽsumus, Dómine, múnera, quæ tibi de tua largitáte deférimus: ut hæc sacrosáncta mystéria, grátiæ tuæ operánte virtúte, et præséntis vitæ nos conversatióne sanctíficent, et ad gáudia sempitérna perdúcant.

[Gradisci, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che noi, partecipi dell’abbondanza dei tuoi beni, Ti offriamo, affinché questi sacrosanti misteri, per opera della tua grazia, ci santífichino nella pratica della vita presente e ci conducano ai gaudii sempiterni.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Quaprópter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXXIII: 9 Gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus: beátus vir, qui sperat in eo.

[Gustate e vedete quanto soave è il Signore: beato l’uomo che spera in Lui.]

Postcommunio

Orémus.

Sit nobis, Dómine, reparátio mentis et córporis cæléste mystérium: ut, cujus exséquimur cultum, sentiámus efféctum.

[O Signore, che questo celeste mistero giovi al rinnovamento dello spirito e del corpo, affinché di ciò che celebriamo sentiamo l’effetto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA VII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

In questa settimana non si poteva scegliere una lettura migliore nel Breviario,  del doppio racconto degli ultimi giorni di David — poiché, dice S. Girolamo, « tutte le energie del corpo si indeboliscono nei vecchi, mentre solo la sapienza aumenta in essi » (2° nott.) — e della storia di suo figlio Salomone, che fu celebre fra tutti i re per la sapienza. – David, sentendo avvicinarsi il momento della morte, designò come suo successore, fra i suoi figli, Salomone, il diletto da Dio. E Natan profeta, condusse Salomone a Gihon, ove il sacerdote Sadoc prese dal tabernacolo l’ampolla d’olio ed unse Salomone; si suonò la tromba e tutto il popolo disse: « Viva il Re Salomone! ». David disse a suo figlio: « Sarai tu a innalzare il tempio del Signore. Mostrati forte e sii uomo! Osserva fedelmente i comandamenti del Signore, affinché si compia la parola che pronunciò su me: « Il tuo nome si è affermato e i tuoi discendenti regneranno per sempre! Tu agirai secondo la tua sapienza, poiché sei un uomo saggio ». E David s’addormentò coi suoi padri e fu sepolto nella città che porta il suo nome dopo aver regnato sette anni a Ebron e trentatré anni a Gerusalemme, la fortezza inespugnabile che egli aveva preso ai Filistei. E Salomone si assise sul trono di suo padre, ed il suo regno fu ben sicuro. Era un giovane di diciassette anni, amava il Signore e gli offriva olocausti. – Iddio apparve in sogno a Salomone e gli disse. « Chiedi tutto quello che vuoi e io te lo darò ». Salomone gli rispose: « Signore, io non sono che un fanciullo per regnare al posto di David, mio padre; accordami la sapienza affinché io possa discernere il bene dal male e conduca il tuo popolo sulle tue vie ». E Dio aggiunse: « Ecco io ti dono un cuore saggio e intelligente, tale che tu supererai tutti i sapienti che furono e quelli che verranno, e ciò che tu non mi hai chiesto (lunga vita, ricchezza, trionfi) te lo darò in più ». Secondo la promessa del Signore, Salomone non solo fu il più sapiente, ma il più splendido e possente re d’Israele. Tutti i re gli apportavano i loro doni e tutte le nazioni che fino allora avevano disprezzato Israele, ne ricercavano l’alleanza. La regina di Saba venne a consultarlo e rimase piena di ammirazione per tutto quello che vide e intese da lui. Il Faraone, re d’Egitto, gli dette la figlia in isposa; Hiram, re di Tiro, fece con lui alleanza e un trattato, pel quale, in compenso del grano, dell’orzo, del vino, dell’olio, che le campagne della Palestina producevano abbondantemente, gli forniva legni preziosi delle foreste del Libano, e operai per la costruzione del tempio. Salomone insegnò al popolo il timor di Dio e questi lo protesse in tutte le imprese e lo aiutò quando il suo fratello maggiore avrebbe voluto regnare in sua vece. Così si realizzarono le parole che Salomone medesimo pronunciò e che S. Girolamo ci ricorda nell’ufficio di oggi: « Non disprezzare la sapienza e questa ti difenderà. Mettiti in possesso delia sapienza e acquista la prudenza; impadronisciti di essa ed essa ti esalterà, tu sarai glorificato da essa e, quando l’avrai abbracciata, ti metterà sul capo splendori di grazia e ti coprirà di una gloriosa corona ». « Infatti colui che giorno e notte, commenta S. Girolamo, medita la legge del Signore, diventa più docile con gli anni, più gentile, più saggio col progresso del tempo e negli ultimi giorni raccoglie i più dolci frutti dei suoi lavori d’altri tempi » (2° Nott.). – Laddove, « Quale frutto, chiede l’Apostolo, avete tratto dal peccato, se non la vergogna e la morte eterna? », mentre « ricevendo Dio voi producete frutti di santità e guadagnate la vita eterna » (Ep.). E nostro Signore dice nel Vangelo: « Si riconosce l’albero dai suoi frutti. Ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo porta frutti cattivi ». E aggiunge: « Non sono già quelli che mi dicono: Signore, Signore, che entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fan la volontà del Padre mio che è nei cieli • Cosi, commentando l’Introito di questo giorno, S. Agostino dice « È necessario che le mani e la lingua siano d’accordo: che l’una glorifichi Dio e che le altre agiscano ». La vera sapienza non consiste solamente nell’intendere le parole di Dio, ma nel realizzarle; né pregare Dio, ma anche nel mostrargli con le opere che lo amiamo ». « Il Vangelo – dice S. Ilario – ci avverte che le parole dolci e gli atteggiamenti mansueti debbono essere valutati dai frutti delle opere e che bisogna apprezzare qualcuno non secondo quello che egli si mostra a parole, ma secondo quello che si mostra ai fatti, perché spesso la veste dell’agnello serve a nascondere la ferocità dei lupi. Dunque, attraverso la nostra maniera di vivere noi dobbiamo meritare la beatitudine eterna, di modo che noi dobbiamo volere il bene, evitare il male e obbedire di tutto cuore ai precetti divini per essere gli amici di Dio mediante il compimento di questi propositi » (3° Nott.). – Salomone, il re pacifico, non è che una figura del Cristo: il suo segno che tutti acclamano (Intr., Alt.) annuncia quello del Messia che è il vero Re della pace; Salomone, il più saggio dei re, presagisce il Figlio di Dio del quale il Padre disse sul Tabor: « Ascoltatelo » (Grad.). Egli presagisce la Sapienza incarnata che ci insegnerà il timor di Dio (id.) e il modo per distinguere il bene dal male (Vang.). Gli olocausti, fatti al tempo della consacrazione del Tempio di Salomone (Off.) sono, come quello di Abele (Secr.), ombra dell’unico Sacrificio cruento, che Cristo offrì sul Calvario; che coronò in cielo, ove entrò dopo aver ottenuta la vittoria su tutti i suoi nemici. Questo dichiara il Salmo XLVI (Intr.), nel quale i Padri hanno visto, sotto il simbolo dell’Arca dell’alleanza che il popolo di Dio fa passare, in mezzo alle acclamazioni, dai campi di battaglia sulla montagna di Sion, una figura dell’Ascensione di Gesù nel regno celeste.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI: 3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram.

[Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.]

Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas.

[O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI: 19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

“Fratelli: Parlo in modo umano, a motivo della debolezza della vostra carne. Come deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per commettere l’iniquità; così ora date le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite? Giacché il loro termine è la morte. Ma adesso, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché la paga del peccato è la morte, ma il dono grazioso di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore…” (Rom. VI, 19-23).

DUE LIBERTA’.

C’è un giudice nel vocabolario. Il vocabolario nostro dispone di una sola parola, per la realtà vera e per il suo surrogato: così ad esempio, ci si chiama caffè tanto il moca o il portorico, caffè vero e proprio, come il caffè maltus miserabile surrogato. Monete si chiamano le vere e le false. E libertà si chiama la falsa e la vera, la libertà liberale e la libertà cristiana. San Paolo con una genialità stupenda definisce nel brano della lettera sua ai Romani che oggi si legge alla S. Messa, la libertà falsa, la pagana d’allora, la liberale d’adesso, che è poi la libertà pagana rediviva. Una volta dice ai Cristiani, alludendo ai giorni ormai passati e superati del loro paganesimo, una volta (quando non eravate ancora Cristiani, ma pagani), voi eravate « liberi dalla giustizia e servi del peccato ». Parole testuali d’un sapore evidentemente ironico nella prima parte ai Romani: « Eravate liberi dalla giustizia ». Bella libertà! La libertà di uno spiantato che dicesse: eccomi qua, mi sono liberato dai danari: la libertà di un malato che dicesse anche lui con una falsa soddisfazione: mi sono liberato dalla salute. Liberazione equivoca, o, piuttosto, uso equivoco della parola « liberazione », la quale suona uno svincolarsi da un peso, da una disgrazia, non da una fortuna o di una grazia. – Ebbene, è proprio sullo stesso equivoco che giuocano i liberali vecchi e nuovi, quando parlano di libertà, e intendono con tal parola il liberarsi, l’affrancarsi dalla legge, l’esserne emancipati. Si gloriano i liberali della loro libertà, come di una cosa bella, buona, onorifica, gloriosa; ma la loro libertà non è altro che emancipazione dalla legge. I pagani antichi, quelli di cui San Paolo parla direttamente, erano fuori dalla legge, liberi da essa, perché non la conoscevano o la conoscevano poco; i moderni liberali, perché l’hanno calpestata e dimenticata. Paolo però nota subito molto bene l’equivoco di quella libertà, osservando che i fautori, i glorificatori di essa, erano perciò stesso schiavi del peccato: del male! Ed è proprio così. Automaticamente chi si sottrae alla luce, entra nel regno delle tenebre. Automaticamente chi si sottrae alla legge del bene, cade sotto il giogo della legge del male. E qui è proprio il caso di parlare di giogo. Giogo pesante, obbrobrioso quello del male, del peccato. Catena del peccatore il peccato, vischio in cui rimane impigliato chi una volta ci casca dentro. « Qui facit peccatum servus est peccati: » servo del vino l’ubriacone, servo della donna, schiavo di essa l’uomo corrotto. – A questa pseudo libertà di quando erano ancora pagani, S. Paolo contrappone il quadro della libertà di cui veramente godono ora che sono Cristiani. – I termini sono letteralmente invertiti. Allora liberi (per modo di dire; anzi per antifrasi liberi) dall’onestà, dal bene e schiavi del male, oggi liberi dal peccato, dal male e schiavi della giustizia. Ah, questa è libertà vera! La libertà del male, da malvagi istinti, dalle ree consuetudini, e questa è servitù nobile e degna; la servitù del bene, della giustizia, della legge. Sì, perché — e lo dice equivalentemente S. Paolo — servire alla giustizia; alla verità, alla bontà, significa ed importa servire a Dio. S. Paolo, l’Apostolo, sente la grandezza, la poesia di tale servizio divino. Un servizio, nel quale c’è un segreto di vita e di gioia e di gloria, mentre nel servizio del male c’è un segreto opposto d’ignominia e di morte. Il male uccide. « Stipendium peccati mors: » uccide in tutti i sensi, perché  uccide in senso pieno. E potremmo dire che: « Stipendium legis vita, » vita del tempo, vita nell’eternità.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 12; XXXIII: 6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur.

[Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI: 2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII: 15-21

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

[“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; né un albero cattivo far dei frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, si taglia, e si getta nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli”]

Omelia

G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

I FALSI PROFETI.

Iddio, che fin dal principio del mondo ha separato la luce dalle tenebre, il giorno dalla notte, l’acqua dalla terra, solo alla fine del mondo separerà i buoni dai cattivi, i veri profeti dai falsi. Intanto noi siamo costretti a vivere in una promiscuità insidiosa e a trovarci, talvolta, con compagni, maestri, superiori, che ci attirano a perdizione. All’erta! « Guardatevi dai falsi profeti, — raccomandò Gesù — che vengono vicino con lane d’agnelli, con belati di pecore: ma invece sono lupi rapaci ». Quando il Maestro disse queste parole la prima volta era sulla montagna, e i discepoli tutti come se il lupo travestito dovesse sopraggiungere allora, si strinsero alla sua persona persuasi che solo da Lui potesse l’insidia venire sventata. « Come faremo noi, poveri ingenui, a riconoscerli? » — sembravano dire. « Come fate — li rincuorò Gesù — a distinguere le piante buone e le cattive? Dai frutti: pianta buona dà frutto buono, pianta cattiva dà frutto cattivo. Certo voi non coglierete mai un grappolo d’uva dallo spineto, né un fico dal roveto. Così è degli uomini: non guardate alle loro parole, perché non quelli che diranno « Signore! Signore! » entreranno in paradiso; ma guardate alle loro azioni. « Uomo buono fa buone azioni, uomo cattivo fa cattive azioni ». L’immagine di Gesù che si strinse d’attorno i suoi Apostoli per salvaguardarli dai falsi profeti deve aver molto impressionato i Cristiani dei primi tempi, se dall’inizio del secolo III essa è ricordata nelle pitture delle catacombe. Su di una volta del cimitero di Pretestato è dipinto il Pastore buono che stende la mano destra a proteggere sette agnelli. Ma questi alzano il muso e gli occhi pieni di spavento come se un pericolo grave li minacciasse. Difatti dalla parte sinistra s’avanzano due animali per far nocumento: l’asino e il porco. Ma già il Pastore buono ha levato contro di essi il suo lungo vincastro e li tiene lontani (WILPERT, Le pitture delle catacombe, vol. I, tav. 51). Questa ingenua rappresentazione che ha rallegrato gli occhi di molti martiri non simboleggia forse la storia perenne della Chiesa lungo tutti i secoli? Sempre il gregge del Signore è minacciato da due sorta di falsi profeti: gli uni, rappresentati dall’asino, sono quelli che tentano con errori di corrompere il sacro deposito della fede: gli altri, rappresentati bene dal porco, sono quelli che tentano di corrompere i buoni costumi e la purezza della vita cristiana. Intanto la interessante pittura delle catacombe, senza ch’io me ne fossi accorto, mi ha diviso la predica in due punti: I falsi profeti della fede; I falsi profeti dei costumi. – 1. I FALSI PROFETI DELLA FEDE. Ritornava da Betel, dove Dio l’aveva mandato per un’importante ambasciata un uomo giusto. Quand’ecco, sulla strada, incontra un falso profeta che gli dice « Vieni con me, a casa mia, e prenderemo insieme un po’ di cibo ». L’uomo giusto gli rispose: « Non posso venire con te, né mangiare, né bere, con chiunque sia: me l’ha proibito il Signore ». E l’altro con lusinghevole voce cominciò a scalzare il suo proposito: « Anch’io sono profeta simile a te; e se a te il Signore ha fatto questa proibizione, a me è comparso un Angelo e mi ha ingiunto: — conducilo a casa tua e confortalo con una cenetta ». L’ingenuo credette alle parole dell’astuto e gli andò dietro e mangiò il pane e bevve l’acqua del falso profeta. Ma alla sera, alcuni uomini che transitavano per un sentiero solitario, videro disteso un cadavere e accanto un leone: era il cadavere dell’infelice ingannato. Esterrefatti ritornarono in città e divulgarono la cosa (III Re, XIII). Questo fatto della Storia Sacra c’insegna assai chiaramente la fine che faranno le anime che, dimentiche degli avvisi di Gesù e de’ suoi ordini, si avvicineranno ai falsi profeti della fede: finiranno preda del leone infernale. E mi è piaciuto ricordare lo spaventoso episodio perché specialmente in questi tempi i Protestanti in ogni città e in ogni paese d’Italia hanno organizzato una lotta accanita per strappare molti dalla vera fede cattolica. Per essi s’addice bene la figura del falso profeta, descritto dal Vangelo, che s’avvicina in veste di pecora, ma che nell’intrinseco è belva rapace. Infatti, essi hanno sulle labbra parole pie, si dicono evangelici e anche Cattolici, predicano del Signore e della salvezza dell’anima, danno elemosine, diffondono libri e bibbie a pochissimo prezzo. Ma strappate a loro queste lane d’agnelli e sentirete che essi non vogliono né la Madonna Madre di Dio, né il Papa capo infallibile della Chiesa. A nome di Cristo, dal suo altare, io alzo il grido d’allarme. Attendite a falsis prophetis. Ma non è solo dai Protestanti e dagli altri eretici definiti che vi dovete guardare. Guardatevi specialmente da tutti quelli che non amano il Papa. « Sono cristiano anch’io — vi diranno forse — sono Cattolico anch’io al pari di te, ma non sento bisogno di ubbidire ad ogni comando del Papa, di rispettare ogni sua parola, di pregare per il suo trionfo… ». Chi non è col Pontefice, non è con la Chiesa di Cristo e quindi è un profeta dell’errore. E se anche un Angelo vi annunciasse una dottrina diversa da quella che la Chiesa e il Papa insegnano, non credetegli perché  quell’Angelo è un demonio trasfigurato. Se poi desiderate una norma pratica che vi salvi da ogni astuzia dei falsi profeti della fede, seguite questi due consigli: 1) Istruitevi nella Dottrina Cristiana. Gesù è venuto dal Cielo sulla terra per insegnarci queste sublimi verità, e voi le trascurate? Come oserete sperare salvezza? Dottrina cristiana! Dottrina cristiana! 2) Fuggite la compagnia di chi non ama il Papa o la Madonna e disprezza la santa Eucaristia: tutte le eresie si riducono a questi tre punti. Ricordate quello che di S. Giovanni Apostolo narra S. Ireneo. Era, una volta, entrato in un casa, ma come s’accorse che v’era dentro l’eretico Cerinto, non un minuto volle indugiarvi e fuggì gridando: « Indietro, indietro! Temo che il tetto di questa casa mi rovini addosso per la presenza di un simile uomo ». E di S. Policarpo si racconta che in Roma, dov’era appena venuto, s’incontrò con Marcione che era un eresiarca. « Policarpo! — gli disse; — non mi conosci? io sono Marcione ». « Oh se ti conosco! — gli rispose il santo. — Tu sei il primogenito del demonio ». Agnosco diaboli primogenitum. – 2. I FALSI PROFETI DEI COSTUMI. Fra tutti i vizi che contaminano il mondo moderno, non ve n’ha uno più diffuso del vizio impuro. Sembra quasi che in questo secolo il porco sferri l’assalto più furioso al gregge di Cristo. Ha invaso tutte le età, tutte le condizioni, tutti i luoghi. Nolite proiicere margaritas vestras ante porcos. (Mt., VII, 6). E i profeti falsi che sorgono a difenderlo non sono pochi. « Non è un peccato, dicono, — è un bisogno della natura. L’uomo può fare quello che vuole, purché ne’ uccida, né rubi. Quelli che dicono di essere puri, sono impostori più corrotti degli altri ». Le letture, le amicizie, i divertimenti sono le armi più terribili e più infiorate che i falsi profeti dei costumi maneggiano a distruzione delle anime. Le letture. — Ancor oggi, come all’inizio dei tempi, l’uomo è collocato alla presenza di due alberi che producono frutti diversi: l’albero della stampa del bene, l’albero della stampa del male. Il primo dà illustrazioni pudiche e belle, giornali utili e seri, libri buoni e di sincero godimento; l’altro dà frutti di peste e di morte. Ed ancora si ripete la scena del paradiso terrestre. Dall’albero delle stampe cattive ci parla il falso profeta, con la voce carezzevole del serpente antico: « Perché i preti vi proibiscono queste illustrazioni, questi romanzi? Hanno paura che diventiate più bravi di loro e non restiate più sottomessi alla loro parola. Non dovete forse sapere quello di cui parla tutto il mondo? Voi solo non guarderete né leggerete quello che si vede e si legge ora da per tutto? Ah! che nel giorno in cui li leggerete, diverrete altrettanti dei ». Ed ecco tanti giovani e tante fanciulle anche, ecco tanti uomini di ogni età e condizione, cedere al falso profeta, accoglierlo in casa magari segretamente e poi… e poi… lasciare la propria innocenza a brano a brano nella bocca della bestia feroce « Galeotto fu il libro e chi lo scrisse! », ci grida Dante dalla sua « Commedia ». Le amicizie. — Talvolta il falso profeta sì presenta sotto i sembianti d’un amico, specialmente di sesso diverso. Non vi getterà, no, tutto d’un colpo al fondo dell’abisso: ma vi spingerà lentamente ed un po’ alla volta. Comincerà ad adescarvi con la sua bella figura, coi modi gentili, con il carattere gioviale, con qualche biglietto: in principio si ascolta volentieri, poi si sorride, poi si risponde, poi si cede. Certo è che una volta che vi siete dati in mano a un tal falso profeta, non siete più liberi, divenite cosa sua, la sua preda. « Coraggio, che facciamo di male? », vi dirà. Intanto divorerà la vostra anima e vi trasformerà in un essere abbietto come lui. Questa trasformazione mi pare che bene la raffiguri Dante nell’« Inferno ». Nell’ottavo girone, egli vide arrivare di furia un serpente di sei piedi, e avventarsi addosso a un’anima dannata e stringersela membro a membro come un’edera s’abbarbica ad un tronco, fino a formare con esso un sol corpo mostruoso che si allontanò lentamente. Alcuni che pure assistevano alla paurosa scena, esclamavano: « Ohimè Agnel, come ti muti! » (Inf., XXV, 67). Quante volte si potrebbe ripetere accanto ad anime rovinate dalle cattive amicizie il grido straziante « O Agnel, tu che ti dai in braccio a quell’amico perverso, come cambi! Già incomincia la metamorfosi e presto striscerai con lui nella melma. Ohimè, Agnel! ». I divertimenti. — Di certe sale, di certi divertimenti, non voglio dire che una parola, una sola: ed è quella che S. Agostino dice del suo amico Alipio che s’era recato a teatro con tutti i più feroci propositi di non peccare. « Levatesi per certa avventura d’un gladiatore alte grida, aprì gli occhi e guardò. Guardò: da quel momento non fu più Alipio » (Conf. libr. VI, cap. 8). – Se S. Paolo fosse vivo ancora, udite, Cristiani, che così vi scriverebbe in questa mattina: « Io vi prego, o fratelli, che abbiate gli occhi addosso a quelli che pongono inciampi e errori contro la dottrina che voi avete imparato, e ritiratevi da loro. Perché questi tali non servono il Cristo Signore nostro, ma il loro ventre… » (Rom. XVI, 17 s.). « Vi sono ancora molti chiacchieroni e seduttori, che mettono a soqquadro tutte le famiglie, insegnando cose che non convengono. Ma la mente e la coscienza dì essi è immonda… » (Tit., I, 10 S.). Se alle mie parole non volete ubbidire, ubbidite almeno a queste, che sono di S. Paolo. — LE OPERE BUONE. Dante descrivendo nel suo poema immortale il paradiso, dice d’avere sentito parole come queste: senza la fede in Cristo crocifisso, nessuno può salvarsi. Ma la fede non basta, occorrono le opere. Perciò nel giorno del giudizio, molti pur avendo avuto la fede e sentito molte prediche e Messe, si vedranno dalla parte dei dannati perché non fecero le opere della loro fede; mentre certi poveri e ignoranti Etiopi saranno dalla parte degli eletti e tenderanno le mani a condannare quelli che vissero mel centro della cristianità. … molti gridan: « Cristo Cristo!» / che saranno in giudizio assai men prope a Lui, che tal che non conosce Cristo. (XIX, 106-108). Questa persuasione Dante se l’è fatta meditando sul Vangelo di questa domenica. Dice infatti il Maestro divino: « Non tutti coloro che dicono: Signore, Signore, entreranno nel Regno dei Cieli, ma quelli che avranno fatto la volontà del Padre mio, ubbidendo ai suoi comandamenti ». Non tutti coloro che dicono Signore, Signore, entreranno nel Regno de’ Cieli! non tutti coloro che pronunciano qualche preghiera e rendono qualche omaggio a Dio, otterranno la vita eterna. Non omnis qui dicit mihi: Domine, Domine intrabit in regnum cœlorum; sed qui facit voluntatem Patris mei qui in coelis est, ipse intrabit in regnum cœlorum Mt., VII, 21). Tutta la vita nostra quaggiù dev’essere spesa a meritarci il Regno de’ Cieli. Per giungere ad esso non c’è altro mezzo che fare la volontà del Padre, compiere opere buone. Vediamo la necessità delle opere e quali opere noi dobbiamo fare. – 1. NECESSITÀ DELLE OPERE BUONE. Un uomo aveva nella sua vigna un albero di fico che coltivava con ogni cura. D’inverno lo rivestiva di paglia e ne copriva le radici perché fossero difese dai rigori del freddo. Quando il tiepido aprile svegliava le prime gemme, lo bagnava mattino e sera, ed a suo tempo lo tagliava opportunamente per dargli maggior vigoria. A tempo opportuno venne per cercarvi dei frutti, ma non trovò che foglie verdi, abbondanti. Allora disse al vignaiuolo: « Ecco sono tre anni che vengo a cercare frutto da questo fico e non ne trovo. Troncalo dunque e fanne legna da ardere. Perché deve occupare inutilmente il terreno? » Ma quegli rispose: « Signore, lascialo stare ancora per quest’anno, finché io gli abbia scavato tutto intorno una fossa e vi metta del letame: e se darà frutto, bene; se no, lo taglierai » (Lc. XIII, 6-9). Noi siamo gli alberi che Dio ha piantato nella sua vigna, circondandoci di mille premure. È Lui che ci ha chiamato alla vita, a preferenza di tanti esseri rimasti nel numero delle cose soltanto possibili. Se i nostri occhi possono contemplare le bellezze del creato, lo dobbiamo soltanto a Dio. Se le nostre labbra pronunciano il dolce nome del padre e della mamma, se possono esprimere i pensieri ed i sentimenti più cari, è tutto per la bontà del Signore. Ma Egli ci ha dato un dono ancora più grande, che supera i doni materiali quanto il Cielo è superiore alla terra, quanto Dio sta sopra l’uomo: il dono della grazia che ci divinizza. L’albero dell’umanità, in principio, era puro e bello; ma, per la disobbedienza dei progenitori, da albero di vita divenne albero di morte. Allora Dio in un eccesso d’amore per l’uomo mandò il suo Figlio Unigenito perché bagnasse col sangue divino l’albero inselvatichito dell’umanità, e quel sangue prezioso rinnovasse le sue linfe e le rendesse feconde di frutti preziosi e degni del Cielo. Ha forse l’agricoltore trascurato qualche cosa perché possa la pianta scusare di essere sterile? Nulla; non ha proprio trascurato nulla. Dopo ciò, se appressandosi ad essa troverà foglie e nient’altro che foglie, il Padrone sarà costretto a dire: « Perché mai ingombra il terreno? Sia sradicata e gettata nel fuoco ». Cristiani, se la nostra vita non è ripiena di opere buone, se l’amore che diciamo di avere per Iddio non è fattivo, noi ingombriamo il terreno. Nella chiesa di Dio siamo degli esseri inutili che sciupano il tempo e sprecano una linfa fertilissima che per nostra colpa diventa sterile. Ed allora nessuna meraviglia se ci incombe una sentenza terribile. Excidatur et in ignem mittatur. Ma io — dirà qualcuno — non faccio nulla di male! Non importa; non sei un dannoso ma sei inutile, perché non fai nulla di bene. Excidatur. Venga tagliato come un albero secco, non ostante che sia ancor verde gli sia tolta qualunque comunicazione col sangue di Cristo, sia cioè staccato per sempre da Cristo che per lui si è incarnato ed è morto inutilmente. Rendere Cristo inutile! È la massima sventura che possa toccare ad un Cristiano. In ignem mittatur. Sia gettato nell’inferno colui che era fatto per il paradiso. Arda per sempre nelle fiamme divoratrici colui che avrebbe dovuto essere abbeverato dal torrente delle grazie di Dio. Il Signore però ci vuol bene, e quantunque forse da più di tre anni siam piante sterili, vuol lasciarci ancora un anno — altro tempo di prova. Continuerà le sue cure amorose, anzi… farà di più, ci darà maggiori grazie, ma poi non ci sarà misericordia. Per le piante ostinatamente sterili non c’è altra sorte che il taglio ed il fuoco. – 2. QUALI OPERE NOI DOBBIAMO FARE. A 43 anni S. Filippo svolgeva in Roma il suo ministero sacerdotale. I giovani, i ragazzi lo conoscevano tutti e dovunque lo trovassero gli facevano festa, gli si stringevano attorno affascinati dal suo celestiale sorriso. Quante anime rubava al demonio e conduceva nelle vie del Signore! Gli afflitti avevano da lui parole dolci che scendevano fino al cuore; i dubbiosi trovavano in S. Filippo la guida esperta e sicura, i tentati la forza ed il coraggio per le lotte più aspre. Le personalità più distinte per virtù e sapere, perfino principi e prelati ricorrevano a lui per lumi e consigli. Ma un giorno la visione di un apostolato più vasto, in terre lontane, cominciò a rapirlo ed acceso di giovanile entusiasmo sognava le Indie. Venti dei suoi Sacerdoti eran già pronti a seguirlo per salpare dal porto, quand’ecco incontra un santo religioso dell’ordine Cistercense. Ispirato da Dio: « No! — esclama— No! Padre Filippo, ritorni indietro, le sue Indie sono là, a Roma ». E Padre Filippo ubbidiente, allegro ritorna a Roma a far amare il Signore nella letizia del cuore. – Molte volte noi… sogniamo ad occhi aperti ed andiamo dicendo: se mi trovassi in altre condizioni, tra persone migliori, con meno faccende, se fossi in luogo più adatto, quanto bene farei, come lo amerei il Signore, che bella vita sarebbe la mia. Questa è un’illusione. A ciascuno di noi il Signore ha segnato una strada da battere e tutti, nessuno escluso, dobbiamo guadagnarci il Cielo nello stato e nella condizione in cui ci ha posti. – Due sposi Cristiani servono Iddio nel vicendevole affetto che han giurato dinanzi all’altare. Se poi il Signore dà ad essi dei figli, non li devono, no, rifiutare quasi fossero insopportabili pesi, ma li accolgano come pegni preziosi da educare alla vita cristiana. Una mamma che pensasse, pentita, al convento, cui non era chiamata, perché strillano i bimbi di giorno e di notte bisogna continuamente curarli, sbaglierebbe certamente. « Le tue Indie sono là vicino alla cuna della tua creatura! » Un padre che rimpiangesse una vocazione … che non ha mai avuto, solo perché i figliuoli devono mangiare ed è il suo sudore che li dovrà mantenere, perderebbe ogni merito. « Le tue Indie sono lì, in quel campo che devi dissodare, vicino  all’incudine su cui devi battere, in quell’officina che ogni giorno ti accoglie ». « Sia che mangiate, sia che beviate o facciate qualunque altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio »? Non è dunque necessario stare tutto il giorno in ginocchio! Anche nelle officine, nei campi, nelle banche, per le vie, noi possiam fare tante opere sante. L’osservanza della legge di Dio, i doveri del nostro stato: ecco le opere che il Signore vuole da noi. In paradiso, accanto ai Pontefici, ai Dottori, ai Sacerdoti, ai Martiri, ci saranno, risplendenti di gloria, anche gli umili figli del popolo che forse conoscevano appena le preghiere essenziali, ma sapevano molto bene fare ogni giorno fare la volontà di Dio. – Una leggenda narra così. Uscì dal suo corpo un’anima umile umile, tanto che tutti l’avevano trascurata: l’Angelo suo custode la guidò nel cammino dell’altra vita. Quando fu sopra le stelle e il sole fulgente e la luna argentea, ella cominciò a tremare sbigottita di tanta altezza e luce. « Non temere, — disse l’Angelo a lei, — tu stai per entrare nel Regno dei Cieli ». Ma i Santi, quando la videro, bisbigliarono: « Com’è piccina! Non ha la stola bianca delle Vergini, non ha la tunica rossa dei Martiri, non la divisa degli Ordini religiosi… Chi sarà? Giunta davanti al trono di Dio, l’Angelo aprì il libro della sua vita. Disse poi: « Qui son notate due cose: nell’anima sua sorrise sempre la grazia, nel suo cuore ci fu sempre una giaculatoria: sia fatta la volontà di Dio. Nient’altro. Qual è il suo posto in cielo? ». « Basta, rispose il buon Dio, basta così, per avere il primo posto in cielo ». Non vuole di più da noi il Signore, non opere straordinarie, non grandi digiuni o lunghe penitenze, non miracoli: no; ma la vita semplice, con le sue croci quotidiane, con l’adempimento esatto del proprio dovere; e in tutto vuole si faccia la sua volontà. Così si può arrivare fino ai primi posti del paradiso!

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

Dan III: 40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”.

[Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem.

[O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Quaprópter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXX: 3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me.

[Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat.

[O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2023)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ». – Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così, sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapì la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, Io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta, la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente» (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con Lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la Risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Oraz., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare a santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e governali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il Battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della Resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.]

NOVITÀ MONDANA E NOVITA’ CRISTIANA.

La novità è una delle sollecitudini, potremmo anche dire delle manie del giorno. Dalla donna vana, che cerca la novità della moda, al letterato ambizioso che cerca la novità dell’arte, all’uomo grave che vuole la novità in politica, novità si vuole su tutta la linea. Povere cose vecchie! e come siete screditate oggi! e come diventate vecchie e spregevoli rapidamente! Il Cristianesimo ha l’aria di non assecondare troppo questi fremiti di novità, queste ansie per la novità, il Cristianesimo colla santa immutabilità dei suoi dogmi, il Cristianesimo con la forza delle sue vetuste tradizioni. Qualcuno lo dipinge volentieri per metterlo alla berlina, tutto volto al passato, imbalsamatore di cadaveri. E certo il Cristianesimo non folleggia, come il mondo irrequieto, dietro la novità e le novità. Il mondo ha la mania di correre, muoversi, agitarsi, come un epilettoide: il mondo… il Cristianesimo, pacato senza essere ozioso, ha la preoccupazione ben più sacra di arrivare. Il suo ideale non è il nuovo, è il vero, è il bene. Diversità di temperamenti e di orientazioni. Ma nella epistola di quest’oggi ai Romani troviamo una frase che mostra la unilateralità di quella rappresentazione arcaica, la cui mercè altri vorrebbe far onta al Cristianesimo. « Camminiamo (dice San Paolo ai primi Cristiani) nella novità della vita… morti a ciò che c’è in noi di vecchio e di stantio…» La parola di San Paolo ci riporta per incanto ai giorni in cui il Vangelo apparve e fu una grande novità nel mondo… Novità assoluta, profonda di fronte al mondo pagano, novità, non allo stesso modo e nello stesso senso, ma novità anche di fronte al mondo giudaico. Aria nuova che irrompe in un ambiente chiuso parve il Vangelo ai Giudei, aria nuova in un ambiente chiuso, mefitico, così parve ai pagani il Vangelo. Novità la stessa unità di Dio, nonché è molto più il mistero della Trinità, mistero l’amore della Incarnazione, Redenzione, cose non mai più udite, cose contrarie a quelle che si erano udite fino allora. – E nuovi sentieri tracciava questa novità ideale alla vita della umanità. L’umanità operosa da secoli, colla sua operosità, aveva scavato false strade simili a quelle carreggiate che nel fango della strada mal fatta scavano i veicoli. Erano ormai antichi quei sentieri, infossati. Si chiamavano i sentieri dell’orgoglio, della voluttà, dell’egoismo: roba consolidata dal tempo, staremmo per dire dal tempo consacrata. C’era un tipo d’uomo fatto così, orgoglioso, sensuale, egoista, violento. Il Cristianesimo è venuto a scancellare, a disfare, a seppellire questo tipo in nome ed a vantaggio d’un altro tipo, altro in tutto e per tutto altro, diverso e perciò nuovo. E nuovo perché fresco, perché vivo davvero. Questa vita d’orgoglio, di sensualità, d’egoismo, era una parvenza di vita, una illusione: febbre più che vita vera e propria. Il febbricitante non s’accorge sempre della sua febbre, non se ne accorge subito: ma a poco a poco sì: l’organismo si strugge; si fiacca. Nostro Signore Gesù è venuto ad uccidere e vivificare; uccidere quella vecchia infelicissima incrostazione di cattive consuetudini ch’era la umanità, e far vivere su quelle rovine, di quelle rovine una umanità nuova… nuova di zecca, e nuova per sempre. Noi siamo, noi dobbiamo essere questa umanità, perennemente viva e fresca, perché perennemente buona, vittoriosa del male e sul male. Il Battesimo fa questa morte e questa vita nuova, ma dal battesimo in poi noi non dobbiamo invecchiare, tornando indietro, ringiovanire dobbiamo, andando avanti, andando in su « in novitate vite ambulemus ». E la nostra novità è la nostra giovinezza perenne.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Ar.Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia

G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

LA PROVVIDENZA.

Si studiassero i miracoli di Cristo! Ognuno vi sentirebbe la voce di Dio — dice S. Agostino, — ognuno vi troverebbe un profondo insegnamento per la sua anima. Interrogamus ipsa miracula Christi; habent enim, si intelligantur, linguam suam. Quand’è così, rivolgiamo la nostra attenzione al miracolo che oggi il Vangelo ci ricorda, e raccogliamo la voce e l’insegnamento del Signore, in esso racchiuso. Gesù si trovò circondato da moltitudine grande, che per tre giorni lo seguì bramosa d’udire ogni parola che dicesse, di vedere ogni gesto che facesse. Allora il Signore disse ai discepoli raccolti vicino a Lui: « Sentite: io ho compassione di questo popolo che da tre giorni si trattiene con me, ed ora non ha più da mangiare. Con che cuore posso io rimandarli a casa digiuni, se molti venuti da lontano cadranno sfiniti lungo la strada del ritorno?… ».— « Maestro! — obiettarono i discepoli tristemente. — Siamo nel deserto e son quattro mila bocche… ».Ma Dio non udiva nemmeno questi dubbi umani e piccini. « Ditemi: avete con voi qualcosa? ».« Sette pani e scarsi pesciolini di companatico ». Oh Cristiani, com’è buono il Signore; non ha sopportato nemmeno che stessero in piedi; e come li vide comodamente seduti all’ombra e sulla fresca erbetta, diede a ciascuno pane e pesce a sazietà. A colazione finita, si raccolsero nientemeno chesette ceste di roba avanzata. Ed ora, secondo il consiglio di S. Agostino, interroghiamo il miracolo di Cristo per sentire che insegnamento ci dà. Migliaia d’uomini che per seguire Gesù abbandonano le loro case, senza pensare al vitto e alle altre mondane faccende; un Dio che, mosso a compassione di loro, provvede miracolosamente, sovrabbondantemente alla loro fame: tutto ciò non ci predica ad alta voce che la Provvidenza c’è e che nostro indispensabile obbligo è di confidare in Lei?

1. LA PROVVIDENZA C’È.

Troverete moltissimi Cristiani che, fino a quando tutto va bene, se la spassano allegramente: e non riflettono che ogni loro fortuna è dono della Provvidenza. Perciò non un pensiero mai di gratitudine per il Signore, non uno sforzo di corrispondenza a tante grazie, non un’offerta… Ma lasciate che la miseria bussi alla porte della loro casa; che la disoccupazione inaridisca le fonti d’entrata; che la malattia li costringa in un letto di sofferenze per settimane lunghe, che la morte strappi a loro dintorno qualche persona cara, allora si ricorderanno tosto della Provvidenza, ma per mormorare contro di essa, ma per calunniarla, ma per bestemmiarla, ma per negarla. « La Provvidenza perché non m’aiuta? che cosa ho fatto di male da meritarmi queste tribolazioni? son io solo peccatore su questa terra? O la Provvidenza è ingiusta o non c’è… ». La Provvidenza non c’è!? credono che uno Stato non si possa ben governare senza la saviezza e il consiglio di uno che lo diriga; credono che una casa non possa mantenersi senza la vigilanza ed economia d’un padre di famiglia; credono che una nave non possa navigare l’oceano senza l’attenzione e la perizia del pilota; eppure affermano che il mondo — questo grande stato, questa grande famiglia, questa nave immensa che solca gli spazi — possa andare avanti così, senza Provvidenza alcuna. Ma non è a codesta gente illogica e senza coerenza, che noi andiamo a chiedere se la Provvidenza esista. Ben altri ce ne fanno testimonianza sicura e autorevole. È Giobbe, privato di terra e di casa, senza più danaro né figli, senza nemmeno la salute e l’onore, che a Sofar, uno dei tre amici venuti a trovarlo, così afferma la Provvidenza: interroga le bestie e ti ammaestreranno, gli uccelli dei cieli e te lo mostreranno; parlane alla terra, ed essa ti risponderà e te lo spiegheranno i pesci del mare. Chi non sa che tutte queste cose le ha fatte la mano del Signore? Egli nel cui potere è l’anima d’ogni vivente e lo spirito d’ogni uomo formato di carne. (Giobbe, XII, 7-10). E il santo re Davide che, raccogliendo il suo popolo, diceva: «Son vecchio ormai, e dalla mia giovinezza ne sono passati degli anni!… eppure vi garantisco che un uomo giusto non lo vidi mai abbandonato, né vidi mai un suo figliuolo mendicare un tozzo di pane » (Salmi, XXXVI, 25). L’amabilissimo Gesù riprese l’invito di Giobbe e interrogò le bestie della terra e gli uccelli dell’aria. « Non v’angustiate per il vostro vivere: di quel che mangerete. Né per il vostro corpo: di quel che vestirete. Guardate gli uccelli dell’aria che non seminano, né mietono, né colmano granai, eppure il Padre celeste li nutre. Pensate i gigli come crescono, eppure né lavorano, né filano: or vi dico che nemmeno Salomone, in tutta la sua splendidezza, fu vestito mai come uno di essi… « Considerate i corvi che non hanno campi né granai, e di fame non muoiono, poiché Dio li mantiene… « Del resto cinque passerette non si possono comprare sul mercato con un solo quattrino? eppure neanche una di essa è dimenticata da Dio. Non temete dunque! voi costate assai più d’infiniti passeri… « Ma io vi dico che tanta e tale è la cura della Provvidenza per voi, che i vostri capelli sono contati fino all’ultimo, e non uno vi sarà tolto dal capo senza che Dio lo sappia… ». Dio!… Nessuno ha potuto mai dubitare della sua potenza e della sua sapienza. Ma Gesù ci ha svelato che Egli è misericordiosissimo, Gesù ha voluto che noi levassimo gli occhi e le mani a Lui e lo chiamassimo: — Padre! Padre nostro che sei in cielo…. Si può ancora essere increduli della Provvidenza, se Dio è nostro Padre? C’è un padre che a suo figlio dà uno scorpione, se gli domanda un pesce? a sua figlia dà un sasso, se gli domanda un pezzo di pane? Dunque la Provvidenza c’è. – 2. AFFIDIAMOCI A LEI. Una volta che Santa Caterina era assai tribolata, Gesù le apparì e disse: « Tu pensa a me! Io, sollecito d’ogni tuo cruccio, penserò a te ». Ecco il segreto per metterci nelle mani della Provvidenza. Quando le croci, le disgrazie, le persecuzioni ci fanno pressura d’ogni parte, dimentichiamole per un momento e mettiamoci a pensare seriamente al Signore; a pregarlo, ad onorarlo con opere buone, ad ubbidirlo nelle sue leggi, ed Egli, che tutto può, comincerà a pensare alle nostre croci, alle disgrazie nostre, alle persecuzioni che ci tormentano. Guardate i quattromila Giudei che seguirono il Maestro nel deserto: quando si accorsero d’aver fame e di non aver pane e di essere lontani d’ogni panettiere, forse che incominciarono a temere di morir affamati, e fuggirsene indietro, a bestemmiare contro il Figlio di Dio che li aveva ingannati? No: essi pensarono solo ad ascoltare la parola di Gesù, a imparare i suoi esempi; così furono provveduti di tutto e ne sopravanzò. Se Dio è con noi, chi potrà essere contro di noi? non la fame, non la miseria, non la malattia, non la calunnia, non la morte. Ricordate del resto che alla Provvidenza sapientissima è bastato un filo di ragno per difendere un santo da frotte di omini con lancia e spada. Uditelo l’esempio di S. Felice di Nola, di cui vi gioverà, nei momenti di sfiducia, il ricordarvi! Già da tempo era cercato a morte, ed egli costretto a fuggire da un luogo all’altro, era giunto a ripararsi in un nascondiglio tra le muraglie sfasciate. Era appena entrato che sopraggiunsero i nemici; ma intanto un ragno s’era calato da una crepa e distendeva i primi fili attraverso l’ingresso del rifugio di S. Felice. « Qui è impossibile sia entrato! — esclamarono. — Non vedete come sono intatti i fili del ragno? », E passarono via. E Felice fu salvo una volta ancora. Senza una illimitata fiducia nella Provvidenza, come vi spieghereste le imprese dei Santi, la loro forza, la loro serenità? S. Giovanni Crisostomo viveva abbandonato nelle braccia di Dio, come un bimbo sul seno materno. Si era fatto un motto di questo suo stato d’animo: « sia glorificato Iddio in ogni evento » e lo ripeteva con la stessa pace nei giorni più oscuri e nei più luminosi della vita. « Glorificate Iddio! » disse quando nell’entusiasmo del popolo lo consacrarono Vescovo. « Glorificate Iddio!» disse ancora quando le folle traevano al suo pulpito bramose d’ascoltarlo e gli stilografi raccoglievano velocemente ogni parola che cadesse dalla sua bocca d’oro. « Glorificate Iddio! » ripeté anche quando cacciato in esilio dalla perfida imperatrice Eudossia, volgendosi indietro vide la sua chiesa di S. Sofia, il suo palazzo ruinare in fiamme tra le urla del popolo e dei soldati. E quando, il 14 settembre 407, legato e malmenato mentre lo spingevano verso Pitio sul Mar Nero, fu sorpreso dai dolori di morte, raccolse le ultime forze e disse ancora: « Glorificate Iddio in ogni evento ». – Senza la fiducia nella Provvidenza, come S. Camillo de Lellis, S. Gerolamo Miani, S. Giovanni Bosco, il Cottolengo avrebbero potuto ricoverare e mantenerne migliaia di persone, migliaia di infelici? Leggete le loro storie: giungevano certe sere in cui il danaro mancava, il vestito mancava, la farina mancava: soltanto non mancava la fiducia nella Provvidenza. E la Provvidenza provvedeva farina, vestito, danaro. Considerate infine chi sono quelli che negano la Provvidenza: o sono i disperati incapaci di sopportare il peso della loro vita, incapaci di avere un po’ di coraggio per qualsiasi cosa buona, o sono gente che pone la propria fiducia in altri uomini. Scuotono il giogo di Dio, grande e paterno, per imporsi il giogo di omuncoli, gretti e invidiosi. Maledictus homo qui confidit in homine (Gerem., XVII, 5). –  Ho serbato, in ultimo, la difficoltà più grave: quella che ciascuno di voi aveva sulla punta della lingua e m’avrebbe già rivolto fin dal principio, se l’avesse potuto. « Se la Provvidenza c’è, perché allora mi ha messo in queste angosciose circostanze? Se Dio è padre, perché non m’aiuta? ». Dici bene: Dio è padre. Anzi è madre. Ma qualche volta anche le madri, per addestrare i loro bambini, fingono di abbandonarli, correndo a rimpiattarsi in qualche luogo vicino. E il loro cuore materno freme di gioia udendosi chiamare con tanta forza d’amore dalla loro creatura spaurita, e non tardano a volare ad essa, stringendosela fortemente, levarle dagli occhi con le dita le lagrime grosse. Così, mi pare, Dio fa talvolta con noi. Si nasconde, finge di abbandonarci nella solitudine: ma i nostri gemiti spauriti fanno fremere il suo Cuore misericordiosissimo. Coraggio; noi non lo vediamo: ma ci è vicino, e non tarderà a riabbracciarci più fortemente, a rasciugarci colle sue mani onnipotenti e materne le nostre lagrime grosse. « Oh se io avessi un segno — dirà forse qualcuno di voi, — se io avessi almeno un segno che mi rassicurasse che è proprio così, sentirei la forza necessaria a portare la mia croce, aspettando in tranquillità… ». E il segno l’avete: il Crocifisso. Guardate il Crocifisso. Se il Padre che è nei cieli ha lasciato il suo Unigenito morire inchiodato per nostro amore, forse che non avrà provvidenza di noi? — LA MISERICORDIA DI DIO. La Storia Sacra ci presenta spesso gli uomini stanchi in cammino. Ora sono gli Israeliti per quarant’anni vaganti verso una terra di beatitudine promessa: e Dio li sostentò di manna. Ora è il vecchio Profeta perseguitato che, spossato dalla fuga, si abbandona sulla terra, sotto un albero, aspettando la morte; e Dio lo confortò con pane e con vino. E nel Vangelo, due volte le turbe sono sorprese dalla fame nel deserto: e due volte Gesù le nutre di pane e di pesce. Questa gente in viaggio verso un arduo destino è un simbolo dell’umanità che ascende verso la salute eterna. Ma nessuno vi potrebbe giungere, se Dio non avesse misericordia di noi. Consideriamo le tre espressioni più grandi di questa divina misericordia: la pazienza col peccatore; la Confessione; la Comunione. – 1. LA PAZIENZA DI DIO COL PECCATORE. La vita del Venerabile Queriolet, contemporaneo di S. Vincenzo de’ Paoli, ne è la più bella prova: si direbbe inventata per questo se non fosse veramente testimoniata dai suoi biografi. Fino a 30 anni, quest’anima impetuosa aveva vissuto in una continua alternativa di Confessioni e di peccati. Poi fu preso da un tale odio satanico contro Cristo, che partì verso Costantinopoli per farsi maomettano. Dio l’aspettava sul cammino: in una foresta di Germania fu assalito dagli assassini, che uccisi i due compagni suoi, lui pure volevano finire. Davanti alla morte Queriolet tremò e fece voto alla Vergine di convertirsi se avesse potuto scampare. E scampò. Ma non si convertì: e non avendo potuto farsi maomettano, tornò in Francia e si fece ugonotto. Ma Dio lo rincorreva come il pastore dietro all’agnello che disvia. Una notte oscura di temporale è svegliato da un fragore scrosciante; il fulmine era caduto sulla sua casa ed abbruciava il tetto e il soffitto; pioveva dentro. Queriolet balza come una belva, stringe i pugni e bestemmia. Ma Dio non è sfiduciato, non è stanco di lui, lo persegue anche quando il più umile degli uomini già si sarebbe vendicato almeno col disinteressamento. A Loudun una povera donna sconosciuta lo ferma e gli dice: « Tu hai un voto senza compimento: ti ricordi la foresta di Germania quando ti volevano finire? ». Queriolet trema come in quel giorno tra le mani dei briganti. Come mai quella donna sapeva quello che egli a nessuno aveva svelato? Forse Dio suscitava quella donna per lui? Ma Dio, dunque, aveva ancora misericordia da chiamarlo così? Questo pensiero lo vinse: finalmente. E dopo alcuni anni Queriolet, risorto per non più cadere, meraviglia tutti con le sue virtù. Quel Dio che, agli angeli caduti una sola volta, non diede perdono, ha compassione dell’uomo ogni volta che lo vede traviare. Questo pensiero vinca pure ogni nostra diffidenza: in qualsiasi foresta di peccati ci fossimo smarriti, avessimo incappato anche nel demonio assassino d’anime, torniamo a Dio, Egli ci aspetta. – 2. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA CONFESSIONE. I poeti antichi cantavano di una fontana misteriosa che gli dei avevano largito agli uomini: la fontana della giovinezza. I vecchi, quando v’entravano, lasciavano le rughe e gli acciacchi e riuscivano brillanti di giovinezza, cinti del diadema del loro ventesimo anno. Gli ammalati pallidi e stremati riuscivano col colore e col vigore della sanità. Oh, con quanto ardore i vegliardi tremuli si volgevano indietro, dal freddo orlo della tomba, sospirando a questa fontana misteriosa. Quante volte gli inquieti infermi dal loro letto vi sospiravano! Ma invano. Questa fontana zampillava solo nella mente dei poeti e distendeva le sue acque solo nei loro carmi. Quello però che gli dei falsi non avevano saputo dare ai loro amici, il nostro Dio vero l’ha preparato per i suoi nemici. Sì, l’uomo che col peccato, diventando nemico di Dio, diventa pure vecchio, rugoso, brutto e malato, ha nella Confessione una fontana di giovinezza che facendolo amico di Dio, lo rifà giovane e brillante. I Giudei avevano molta superbia per una vasca con cinque portici, a Betsaida. Talvolta lo Spirito scendeva a commuovere lo specchio dell’acqua: chiunque si fosse allora gettato dentro nel bagno, sarebbe stato guarito da qualsiasi male. Ma Dio è stato più misericordioso con noi: ci ha dato una vasca, dove, non appena in certe rare ore, ma sempre, facilmente ci guarisce dal male del peccato: la Confessione. S. Giovanni nella sua prima lettera afferma: « Il sangue di Gesù Cristo ci lava da ogni peccato » e nell’Apocalisse dice: « Ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue ». Il romanziere francese, Paolo Bourget, prima della sua conversione scriveva « Mio Dio! se ci fosse qualche acqua salutare in cui annegare il ricordo di tutte le febbri malsane!… Ma quest’acqua non esiste ». Sì, sì! esiste. La Confessione – 3. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA COMUNIONE. Ci fu una volta un figliuolo, che nonostante fosse idolatrato da suo padre, pure fuggì di casa, e con i suoi amici se ne andò in terra lontana. Fuori dallo sguardo paterno, senza freno e senza ritegno, commise ogni turpitudine, e accontentò il capriccio di ogni passione. Ma in quella terra lontana passò la carestia, e quel figliuolo fu sorpreso senza un soldo e senza un pane. E dovette girare di paese in paese, stracciato, lurido, famelico, cercando un mestiere. E trovò soltanto un uomo che gli fece fare il porcaio. E quel figliuolo fuggito da una ricca casa faceva il porcaio e aveva fame: di soppiatto allungava le mani nel trogolo e rubava le ghiande. Avrebbe desiderato, riempirsi il ventre anche con le ghiande che mangiavano i porci, e nessuno glie ne dava, neppure una manata. – Un giorno che la fame lo martoriava si ricordò che nella casa del suo ricco padre c’era pane bianco: tanto pane bianco. Si ricordò che tutti, perfino i servi ne potevano mangiare a sazietà… Non ne poté più. Buttò il suo bastone in mezzo ai porci che grugnivano e fuggì attraverso i prati lanciando un grido sublime. « Basta, tornerò da mio Padre ». Cristiani! quand’anche noi fossimo fuggiti dalla paterna casa di Dio verso la città dei peccati, quand’anche avessimo riempito la nostra anima col cibo dei porci e avessimo tuffato le nostre mani nel loro trogolo, gridiamo: « Basta! ». Il pensiero del Pane che la misericordia di Dio con tanta abbondanza distribuisce nella sua casa, il pensiero di questo Pane, che solo ci può sfamare, ci spinga a ritornare sopra un via di santità e di purezza. Dio ci aspetta nella Comunione: nella Comunione che è il segno supremo del suo amore. Nella Comunione ha voluto rimanere con noi: « le mie delizie sono tra i figli dell’uomo », Nella Comunione ha voluto sacrificare tutto per noi: la sua gloria divina, la sua maestà umana. E da infinito si fece piccolo come un boccone di pane. Nella Comunione ha voluto darci da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue. – Meditando la misericordia di Dio, S. Caterina esclamava: « Oh, s’io potessì salire la vetta più eccelsa e di là gridare a tutto il mondo addormentato nei peccati: — O uomini! l’Amore non è amato! — ». Davvero. L’amore di Dio è troppo spesso un pretesto per abusare. E si abusa della sua pazienza, della Confessione e della Comunione.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa risplendere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Quaprópter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino.

[Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concedici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia di questa Domenica è consacrata al perdono delle offese. La lettura evangelica mette in risalto questa lezione non meno che quella d’un passo delle Epistole di S. Pietro, la cui festa è celebra in questo tempo: infatti la settimana della V Domenica di Pentecoste era in altri tempi detta settimana dopo la festa degli Apostoli. – Quando David riportò la sua vittoria su Golia, il popolo d’Israele ritornò trionfante nelle sue città e al suono dei tamburi cantò: « Saul ha ucciso mille e David diecimila! ». Il re Saul allora si adirò e la gelosia lo colpì. Egli pensava: « Io mille e David diecimila: David è dunque superiore a me? Che cosa gli manca ormai se non d’essere re al mio posto? » Da quel giorno lo guardò con occhio malevolo come se avesse indovinato che David era stato scelto da Dio. Così la gelosia rese Saul cattivo. Per due volte mentre David suonava la cetra per calmare i suoi furori, Saul gli lanciò contro il giavellotto e per due volte David evitò il colpo con agilità, mentre il giavellotto andava a conficcarsi nel muro. Allora Saul lo mandò a combattere, sperando che sarebbe rimasto ucciso. Ma David vittorioso tornò sano e salvo alla testa dell’esercito. Saul allora ancor più perseguitò David. Una sera entrò in una caverna profonda e scura, ove già si trovava David. Uno dei compagni disse a quest’ultimo: « È il re. Il Signore te lo consegna, ecco il momento di ucciderlo con la tua lancia ». Ma David rispose: « Io non colpirò giammai colui che ha ricevuto la santa unzione e tagliò solamente con la sua spada un lembo del mantello di Saul e uscì. All’alba mostrò da lontano a Saul il lembo del suo mantello. Saul pianse e disse: « Figlio mio, David, tu sei migliore di me ». Un’altra volta ancora David lo sorprese di notte addormentato profondamente, con la lancia fissata in terra, al suo capezzale e non gli prese altro che la lancia e la sua ciotola. E Saul lo benedisse di nuovo; ma non smise per questo di perseguitarlo. Più tardi i Filistei ricominciarono la guerra e gli Israeliti furono sconfitti; Saul allora si uccise gettandosi sulla spada. Quando apprese la morte di Saul non si rallegrò ma, anzi, si stracciò le vesti, fece uccidere l’Amalecita che, attribuendosi falsamente il merito di avere ucciso il nemico di David, gli annunciò la morte apportandogli la corona di Saul, e cantò questo canto funebre: « O montagne di Gelboe, non scenda più su di voi né rugiada, né pioggia, o montagne perfide! Poiché su voi sono caduti gli eroi di Israele, Saul e Gionata, amabili e graziosi, né in vita, né in morte non furono separati l’uno dall’altro » (Bisogna riaccostare questo testo a quello nel quale la Chiesa dice, in questo tempo, che S Pietro e S. Paolo sono morti nello stesso giorno). – Da tutta questa considerazione nasce una grande lezione di carità, poiché come David ha risparmiato il suo nemico Saul e gli ha reso bene per male, così Dio perdona anche ai Giudei; non ostante la loro infedeltà, è sempre pronto ad accoglierli nel regno ove Cristo, loro vittima, è il Re. Si comprende allora la ragione della scelta dell’Epistola e del Vangelo di questo giorno: predicano il grande dovere del perdono delle ingiurie « Siate dunque uniti di cuore nella preghiera, non rendendo male per bene, né offesa per offesa » dice l’Epistola. « Se tu presenti la tua offerta all’altare, dice il Vangelo, e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello ». — David, unto re di Israele dagli anziani a Ebron, prende la cittadella di Sion che divenne la sua città, e vi pose l’arca di Dio nel santuario (Com.). Fu questa la ricompensa della sua grande carità, virtù indispensabile perché il culto degli uomini nel santuario sia gradito a Dio (id.). Ed è per questo che l’Epistola ed il Vangelo ribadiscono che è soprattutto quando noi ci riuniamo per la preghiera che dobbiamo essere uniti di cuore. Senza dubbio la giustizia di Dio ha i suoi diritti, come lo mostrano la storia di Saul e la Messa di oggi, ma se esprime una sentenza, che è un giudizio finale, è soltanto dopo che Dio ha adoperato tutti i mezzi ispirati dal suo amore. Il miglior mezzo per arrivare a possedere questa carità è d’amare Dio e di desiderare i beni eterni (Or.) e il possesso della felicità (Epist.) nella dimora celeste (Com.), ove non si entra se non mediante la pratica continua di questa bella virtù.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXVI: 7; 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timébo?

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò?]

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus, qui diligéntibus te bona invisibília præparásti: infúnde córdibus nostris tui amóris afféctum; ut te in ómnibus et super ómnia diligéntes, promissiónes tuas, quæ omne desidérium súperant, consequámur.

[O Dio, che a quanti Ti amano preparasti beni invisibili, infondi nel nostro cuore la tenerezza del tuo amore, affinché, amandoti in tutto e sopra tutto, conseguiamo quei beni da Te promessi, che sorpassano ogni desiderio.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet III: 8-15.

“Caríssimi: Omnes unánimes in oratióne estóte, compatiéntes, fraternitátis amatóres, misericórdes, modésti, húmiles: non reddéntes malum pro malo, nec maledíctum pro maledícto, sed e contrário benedicéntes: quia in hoc vocáti estis, ut benedictiónem hereditáte possideátis. Qui enim vult vitam dilígere et dies vidére bonos, coérceat linguam suam a malo, et lábia ejus ne loquántur dolum. Declínet a malo, et fáciat bonum: inquírat pacem, et sequátur eam. Quia óculi Dómini super justos, et aures ejus in preces eórum: vultus autem Dómini super faciéntes mala. Et quis est, qui vobis nóceat, si boni æmulatóres fuéritis? Sed et si quid patímini propter justítiam, beáti. Timórem autem eórum ne timuéritis: et non conturbémini. Dóminum autem Christum sanctificáte in córdibus vestris.”

[Carissimi: Siate tutti uniti nella preghiera, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma al contrario benedite, poiché siete stati chiamati a questo: a ereditare la benedizione. In vero, chi vuole amare la vita e vedere giorni felici raffreni la sua lingua dal male e le sue labbra dal tesser frodi. Schivi il male e faccia il bene, cerchi la pace e si sforzi di raggiungerla. Perché gli occhi del Signore sono rivolti al giusto e le orecchie di lui alle loro preghiere. Ma la faccia del Signore è contro coloro che fanno il male. E chi potrebbe farvi del male se sarete zelanti del bene! E arche aveste a patire per la giustizia, beati voi! Non temete la loro minaccia, e non vi turbate: santificate nei vostri cuori Gesù Cristo”].

LA PACE

Anche l’Epistola di quest’oggi è tolta dalla I. lettera di S. Pietro. È naturale che, scrivendo ai Cristiani dispersi dell’Asia minore, tenga sempre presente la condizione in cui si trovano: sono pochi fedeli tra numerosi pagani, e sono sotto la persecuzione di Nerone. Come devono diportarsi? Devono vivere in stretta unione fra di loro, mediante la misericordia, la compassione, la condiscendenza; essendo stati chiamati al Cristianesimo a render bene per male, affinché abbiano per eredità la benedizione celeste. Non trattino con la stessa misura quelli che fanno loro del male. La vita felice è per chi raffrena la lingua, evita il male e procura di aver pace con il prossimo. Del resto i giusti non sono abbandonati dal Signore, e nessuno può loro nuocere, se sono zelanti del bene. Quanto alla persecuzione, beati loro se hanno a soffrire qualche cosa per la Religione cristiana. Siano, quindi, calmi, senza ombra di timore: onorino, invece, e temano Gesù Cristo. Anche noi, dobbiamo procurare di vivere una vita felice, per quanto è possibile tra le miserie e le persecuzioni di questo mondo. Sforziamoci di vivere in pace, ciò che ci è possibile con l’aiuto di Dio, anche tra le tempeste di quaggiù.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

Graduale

Ps LXXXIII: 10; 9

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice super servos tuos,

[O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo a noi, tuoi servi]

V. Dómine, Deus virtútum, exáudi preces servórum tuórum. Allelúja, allelúja.

[O Signore, Dio degli eserciti, esaudisci le preghiere dei tuoi servi. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XX: 1

Alleluja, alleluja Dómine, in virtúte tua lætábitur rex: et super salutáre tuum exsultábit veheménter. Allelúja.

[O Signore, nella tua potenza si allieta il re; e quanto esulta per il tuo soccorso! Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt. V: 20-24

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nisi abundáverit justítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dic tum est antíquis: Non occídes: qui autem occídent, reus erit judício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit judício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fatue: reus erit gehénnæ ignis. Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.”

(In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Avete sentito che è stato detto agli antichi: Non uccidere; chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. Chi avrà detto a suo fratello: raca, imbecille, sarà condannato nel Sinedrio. E chi gli avrà detto: pazzo; sarà condannato al fuoco della geenna. Se dunque porti la tua offerta all’altare e allora ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, e poi, ritornato, fa la tua offerta).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

IL PERDONO

Qual è il comandamento più difficile della nostra santa Religione? Non la verginità. Gesù l’ha insegnata ma non l’ha imposta a tutti. Le anime generose sono libere di consacrarsi a Dio attraverso questo occulto martirio. Non la povertà. Se Gesù dalla montagna disse che i poveri son beati, non comandò però che tutti vendessero la loro roba per distribuire il danaro ai poveri e ritirarsi poi negli eremi o nei conventi. Il comandamento più difficile del Cristianesimo è l’amore dei nemici. Questo è per tutti: non solo i frati, non solo le monache, ma tutti devono amare e perdonare ai loro nemici. Gesù diceva alle turbe: « Avete sentito che bisognava amare il prossimo e si poteva odiare il nemico; ma Io vi dico: amate i vostri nemici, beneficate quelli che vi odiano, pregate per i vostri persecutori e calunniatori. Se la vostra giustizia sarà solo come quella dei farisei che amano gli amici e odiano i nemici, non entrerete mai nel paradiso. E quand’anche venite all’altare, con nelle mani un dono e con nel cuore un astio, tornate pure indietro che la vostra supplica non sarà ascoltata fin tanto che non avrete pace col vostro fratello ». Vade reconciliari fratri tuo. E non dice Cristo: … reconciliari inimico tuo perché tra i Cristiani, figli del medesimo Dio di carità, non dovrebbe esistere nemmeno la parola nemico, ma solo quella di fratello. Se alcuno nel suo cuore nutre un rancore, consideri come l’esempio di Dio, l’esempio dei Santi, il nostro guadagno stesso ci spingono a perdonare. – 1. L’ESEMPIO DI DIO. Un re volle un giorno tirare i conti con i ministri. E cominciò da uno che gli doveva mille talenti; ma il poveretto non aveva nemmeno il becco di un quattrino. Il re, come era legge, comandò che fosse venduto lui, la sua donna, i suoi figli, la sua roba. Lo sventurato si buttò a terra, s’aggrappò ai ginocchi del sovrano, e tra i singhiozzi giurava che gli avrebbe reso fino l’ultimo soldo, purché avesse avuto pazienza d’aspettare. Il re, che aveva un cuor d’oro, non solo pazientò un poco, ma sempre: e gli condonò tutto il debito. Quel ministro fece un salto di gioia e uscì. Combinazione volle che incontrasse un suo collega che gli doveva una somma di denari. Vederlo, saltargli addosso, fu la medesima cosa. E tenendolo per la strozza gli urlava negli orecchi: « Pagami, che è ora ». Quel servo, soffocato e nero in quella morsa, gemeva: « Porta pazienza e vedrai che ti pagherò proprio tutto ». Ma il ministro lo fece imprigionare (Mt., XVIII).  Questa limpida parabola del Signore ci presenta come in uno specchio l’esempio della generosità di Dio e della grettezza umana. Estote misericordes sicut et Pater vester misericors est (S. Lc., VI, 36). Siate misericordiosi come Dio. Come Dio che pendente dalla croce, schernito e scarnificato, stende le sue braccia per stringere in un palpito d’amore i suoi crocifissori e grida: « Padre, perdona! ». Solo Dio poteva dare quest’esempio. E ce lo diede affinché gli uomini imparassero. Ma se gli uomini non l’impareranno, neppure a loro verrà perdonato. – 2. L’ESEMPIO DEI SANTI. Perché l’esempio di un Dio non sembrasse a taluni troppo lontano dalla natura nostra piccina, il Signore suscitò i Santi a praticare il comandamento dell’amore più sublime. E Santo Stefano, lapidato fuori le mura della città, congiunse le mani e pregò per quelli che l’uccidevano. E Sant’Ambrogio, per molti anni, diede il vitto ad uno che l’aveva aggredito. E san Carlo perdonò all’uomo brutale che aveva sparato contro di lui mentre pregava la Vergine nella cappella. E sublime è pure il perdono di S. Giovanna d’Arco, la fanciulla venuta di Lorena a salvare la Francia dagli Inglesi. La povera Giovanna, dopo aver levato l’assedio d’Orléans, dopo aver condotto Carlo VII di trionfo in trionfo fino all’incoronazione di Reims, fu disprezzata, abbandonata e tradita. Dio ormai le significava che la sua missione era compiuta: solo, mancava il supremo sacrificio della vita. A Compiégne fu fatta prigioniera, venduta agli Inglesi, che la condannarono al rogo. Ed apparve sulla piazza a Rouen a solo diciott’anni condannata a morire e non tremava: e non venne nessun francese a salvarla, e non venne il re a salvarla; il re banchettava lontano senza un palpito di compassione per la fanciulla venuta di Lorena a salvare la Francia e la corona. Quando le fiamme avvolsero in una tormentosa aureola quelle membra innocenti, ella alzò gli occhi pieni di speranza, e gridò a voce alta che perdonava al re, ai Francesi, ed anche agli Inglesi che la bruciavano. Si isti et istæ cur non ego? Ma io non posso vincere la ripugnanza che sento a perdonare a quella persona …  » — Esagerazione, risponde S. Gerolamo, Dio non comanda cose impossibili. Ma quella persona mi ha fatto del male! ». — Non c’è bisogno di perdonare a quelli che ci fanno del bene. « Ma cosa dirà il mondo? ». — Dirà che siete un Cristiano. « Ma il mio onore? ». — Il vostro onore è nell’obbedienza a Dio.  « Ma quella persona non merita il mio perdono! ». — L’ha meritato Gesù Cristo. Non dobbiamo perdonare perché meritano il nostro, perdono, ma perché Gesù Cristo l’ha detto: Ego autem dico vobis: diligite inimicos vestros. « Ma approfitterà del mio perdono per diventar peggiore ».— Sia pure: ma voi diventate migliore. – 3. IL NOSTRO GUADAGNO. Plinio racconta che Druso, tribuno della plebe, odiava Quinto Cepione; andava lungo il Tevere meditando la vendetta; voleva ucciderlo, voleva coprirlo di calunnie. E l’odio l’accecò: volle bere il veleno, pensando che tutto il popolo avrebbe imputato la sua morte a Quinto, e ne avrebbero fatto giustizia sommaria. Chi non perdona è stolto come Druso, e ingoia la sua condanna: una triplice condanna. La condanna da parte di Dio, perché viola il suo comando principale. Mihi vindicta (Ebr., X, 30). La condanna da parte di Cristo, perché rifiuta il distintivo dei suoi discepoli: hoc conognoscent omnes quia discipuli mei estis. (Giov., XIII, 35). La condanna da parte di noi stessi, ed ogni volta che preghiamo ripetiamo la condanna: Dimitte nobis sicut et nos dimittimus (Mt., VI, 12). E Dio dirà: De ore tuo, te iudico. – Dopo che Giuseppe ebbe sepolto le ossa del vecchio padre sulla terra di Chanaan, ritornò in Egitto con i fratelli. Ma questi cominciarono a temere: « Chi sa dicevano, che morto il padre, non si abbia a ricordare dell’antica ingiuria e non voglia renderci tutto il male che abbiamo fatto? » (Genesi, L, 14-17). E, tremando, gli mandarono a dire: « Tuo padre, morendo, ti chiamava per nome per scongiurarti di perdonare ai tuoi fratelli… È tuo padre morente che ti prega… » Giuseppe, al ricordo del padre morto, scoppiò in lacrime, e disse: « Non temete, io nutrirò voi e i vostri figli ». Cristiani, che nel cuore, forse da anni, nutrite un astio, o un odio, o una vendetta contro il vostro prossimo, perdonate! È Gesù Cristo morente che ve lo manda a dire. — SCRIBI E FARISEI « In verità in verità vi dico che se la vostra giustizia sarà appena come quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli ». Queste parole, in una forma così solenne e chiara, furono pronunciate da Gesù alle turbe ed ai discepoli che lo circondavano per sentirlo. Ma perché questa condanna d’insufficienza alla giustizia degli Scribi e dei Farisei? Per due motivi che raccomando alla vostra attenzione: 1) perché curavano soltanto le apparenze; 2) perché dicevano e non facevano. – 1. CURAVANO SOLTANTO LE APPARENZE. In una delle sue prediche, S. Antonio di Padova raccontava questo episodio. Una giovane figliuola commise un giorno un peccato molto grave che la gettò in uno stato indicibile d’amarezza, di confusione, di inquietudine. « Come avrò io il coraggio di raccontare questa nefandezza al mio confessore? Che penserà di me? Che dirà egli? ». Intanto si confessa senza dire tale colpa: si accosta sacrilegamente alla santa Comunione, lacerata da terribili rimorsi. Si trova come in un inferno. Agitata giorno e notte dai rimproveri della coscienza e dal timore di dannarsi, per esserne liberata si dà alle lagrime, ai digiuni, alla preghiera… ma invano! La memoria dei suoi sacrilegi le sta sempre nel cuore come una lama che tremi nella piaga. Le viene il pensiero di entrare in convento, farsi monaca ed ivi fare una confessione generale; e infatti vi entra e comincia la Confessione. Ma tosto assalita dalla vergogna, accenna alla sua colpa in una maniera così indeterminata che il confessore non poté capir nulla. La sua agitazione divenne insopportabile, ed implacabile, per quanto facesse di penitenze e di preghiere. E tutte le sue consorelle la stimavano per una santa; a lei ricorrevano per consigli e direzione e finalmente la elessero loro superiora. Continuando in questa vita ipocrita, fu sorpresa da grave malattia e ridotta in fin di vita. Poteva confessarsi, almeno allora, ma non lo fece per la maledetta vergogna di farsi conoscere così come era. Qualche giorno dopo la sua morte, stando le religiose in orazione per lei, apparve loro in sembianze orribili e disse: « Mie sorelle, non pregate per me; io sono dannata all’inferno per aver sempre taciuto un peccato commesso nell’età di diciotto anni e per essermi tante volte accostata sacrilegamente alla santa Comunione ». Che cosa le era giovata tutta l’ammirazione e la stima delle sue consorelle? Cosa le era fruttato l’essere stata eletta superiora con quei sacrilegi sull’anima? E che importa a noi apparire esternamente buoni, zelanti della legge di Dio, quando nel cuore avessimo il peccato, l’inclinazione sempre assecondata al vizio? Anche le tombe all’esterno sono sontuose, forse artistiche e di grande valore: ma a che serve questa arte per colui che vi è sepolto? Vi accontentereste voi di un piatto all’esterno molto bello, pulito, elegante, ma poi nell’interno sporco e ributtante? E allora stiamo attenti a quello che passa nell’intimo del nostro cuore, altrimenti siamo Scribi e Farisei. – 2. DICEVANO E NON FACEVANO. «Fate pure tutto quello che vi diranno gli Scribi e i Farisei: essi sono i successori di Mosè nell’insegnare la Legge. Ma non fate come essi sogliono fare, perché dicono e poi non fanno » (Mt., XXIII, 1.3). Altro difetto che Gesù rimprovera a questa gente e che non vuole sia commesso dai suoi è la incoerenza, la disuguaglianza tra quello che dicevano e quello che poi di fatto mettevano nella pratica. Ci raccontano S. Epifanio e S. Girolamo, che vissero fra i Giudei, che ancora ai loro tempi c’erano di questi Farisei che continuando le consuetudini dei loro antenati, scrivevano sopra piccole strisce di pergamena le parole della Legge e poi le applicavano alle vesti perché spesso il loro sguardo leggesse i voleri di Dio e perché li avessero a disposizione per dirli agli altri. Ma a che servivano questi accorgimenti esteriori, quando non sapevano praticare i precetti appresi e fatti apprendere agli altri? Anche i demoni dell’inferno conoscono molto bene tutti i Comandamenti di Dio! Si presentò, una volta, ad un vecchio anacoreta un giovane tutto pieno di desiderio di perfezione, per chiedergli che dovesse fare per divenire perfetto: « Devi imitare — rispose seriamente il vecchio — i cani da caccia! Quando scorgono una lepre non si accontentano di abbaiare, di far capire che hanno visto la selvaggina, ma la rincorrono con tutta forza, non badano a difficoltà della strada, né si danno pace finché l’abbiano raggiunta. Allo stesso modo devi fare tu riguardo alla santità: tendere ad essa… finché non l’abbia conseguita; così e solo così potrai essere perfetto ». E S. Marciano solitario, sorpreso un giorno nella sua spelonca da un cacciatore, ed interrogato da lui, cosa mai facesse là dentro solo ed ozioso: « E tu — rispose — cosa fai? ». « Io, come vedi, prendo le lepri e i cervi: mia occupazione è la caccia ». « Ed io, in questo luogo, vado a caccia del mio Dio, né mai cesserò dall’inseguirlo finché non l’abbia raggiunto in possesso eterno ». Conoscere, dire e poi non fare è il mestiere dei Farisei condannati da Gesù; è il mestiere, per usare, in senso inverso, il paragone forse troppo rude, ma tanto chiaro di quel padre del deserto, di quei cani da caccia che abbaiano quando vedono la lepre o il cervo, ma non fanno un passo per raggiungerli. Paragonateli pure così a quei genitori che dicono ai figliuoli di andare alla Chiesa per la S. Messa e per la Dottrina cristiana e loro per i primi non vanno. Fin quando i figli sono piccoli ubbidiranno, perché temono la forza ed il castigo; ma lasciateli crescere ancora qualche anno e capiranno subito che se i genitori per i primi non fanno quello che dicono, è segno che forse si può anche non ubbidire ed accontentare i propri comodi. Anche le nostre campane chiamano il popolo alla Chiesa, mentre esse non vanno: ma le campane non hanno l’anima da salvare. Sulle strade quante volte voi trovate le pietre che dicono al passeggero dove si può andare, da una parte o dall’altra, ma sono forse dei secoli che dicono la stessa cosa e non hanno mai fatto un passo. Ma dalle pietre non si pretende di più. Dagli uomini invece il Signore ha il diritto di richiedere le azioni. « Non colui che dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre ». –  Per lo stanco pellegrino che attraversa il deserto il vedere da lungi le palme che si innalzano magnifiche verso il cielo è una festa di gioia. In mezzo alle sabbie infuocate, sotto un cielo bronzeo, esse parlano di frescura e di ristoro. E sono e dànno davvero ombra confortatrice le foglie ampie e folte, e sono davvero ristoro i frutti gustosi e nutrienti. Proprio come la palma ha da essere il Cristiano. Deve avere belle le foglie delle apparenze e delle parole, ma soprattutto deve essere « ricco dei frutti delle opere buone. » Iustus ut palma florebit (Ps. XCI,.13).

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XV: 7 et 8. Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: providébam Deum in conspéctu meo semper: quóniam a dextris est mihi, ne commóvear.

[Benedirò il Signore che mi dato senno: tengo Dio sempre a me presente, con lui alla mia destra non sarò smosso.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris: et has oblatiónes famulórum famularúmque tuárum benígnus assúme; ut, quod sínguli obtulérunt ad honórem nóminis tui, cunctis profíciat ad salútem.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni dei tuoi servi e delle tue serve, affinché ciò che i singoli offersero a gloria del tuo nome, giovi a tutti per la loro salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Qua própter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ. 

[Una cosa sola chiedo e chiederò al Signore: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita].

Postcommunio

Orémus.

Quos cœlésti, Dómine, dono satiásti: præsta, quæsumus; ut a nostris mundémur occúltis et ab hóstium liberémur insídiis.

(O Signore, che ci hai saziato col Dono celeste; fa che siamo mondati dalle nostre occulte mancanze, e liberati dalle insidie dei nemici.)

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

1 LUGLIO: FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI CRISTO. (2023)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI CRISTO (2023)

1° LUGLIO.

Festa del Preziosissimo Sangue di N. S. Gesù Cristo.

Doppio di I’ classe. – Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, la Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi il Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il Sacerdote offre a Dio sull’altare.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Misereátur vestri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis vestris, perdúcat vos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Apoc 5:9-10
Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.
[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Ps LXXXVIII:2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.
Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.
Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr 9:11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.
R. Deo grátias.

[Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli. ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.
R. Grazie a Dio.]

Graduale

1 Joann V:6; V:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.
1 Joann V:9
V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.
V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]
V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann XIX:30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.
R. Laus tibi, Christe.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

IL SANGUE DI GESÙ CRISTO LIBERA DA TUTTI I DIVINI FLAGELLI.

(D. Massimiliano MESINI miss. del Prez. Sangue: Sermoni sul Sangue Preziosissimo di Gesù Cristo. Tip. Malvolti, Rimini, 1884)

Videbo Sanguinem, et transibo vos, neo erit in vobis plaga disperdens.

EXOD. 12.

Fuggiva Giona per recarsi là, dove il Signor non volea. Montato egli sopra una nave, che veleggiava per tutt’altro paese, mentre un vento favorevole spirava in poppa, erasi poi dopo alcun tempo abbandonato in braccio ad un dolce sonno. Ma il Signore per la sua disubbidienza era giustamente irato con lui; e conturbò quindi cielo e mare, suscitando una fiera tempesta. Già venti impetuosi e contrari tra loro venendo quasi a zuffa tutto sconvolgono il mare, ora levando l’onde biancheggianti di spuma ben alte, ora aprendo voragini spaventose sino all’imo fondo. La nave frattanto viene qua e là trabalzata senza posa, e Giona segue a dormire tranquillo. Gridano i marinai armeggiando ora a prora ed ora a poppa, calando le vele, regolando attentamente il timone, alleggerendo la nave, e Giona non si scuote. Tutti pallidi in viso già si aspettano ad ogni momento, che, sfasciatasi la nave, o travolta, vadan naufraghi tra l’onde; e Giona, come se il caso non fosse suo, non si scompone. Pure non per altri, che per lui è quel ruggire di sì terribil fortuna, quell’infuriare de’ venti, quel nabisso del mare. Peccatori, per simil guisa voi avete irritato il cielo, avete il cielo nemico. Essendo Dio giustissimo, certamente le vostre colpe Egli non può lasciare impunite, e bene spesso non aspetta di castigarle solo dopo morte nell’inferno; ma anche in questa vita fa ai peccati tener dietro le più gravi sciagure. Già si può dire che fischiano per l’aria i molti e vari flagelli, con cui Dio percuote chi l’offende: Multa flagella peccatoris. E voi ve ne state indifferenti, dormite anche voi di grave sonno, come Giona, né vi scuotete, né timor vi prende dell’ira di Dio? È tempo ormai di scuotervi da un sì profondo letargo, tanto a voi dannoso. Se volete poi schivare non solo le pene eterne, ma anche ogni altro flagello di Dio irritato, e qualunque sciagura, sappiate, che il Sangue di G. C. è a ciò valevolissirno, come brevemente considereremo. Tutto ciò, che doveva essere effetto meraviglioso della redenzione operata da Gesù, tutto ciò, che doveva produrre la virtù del suo Sangue, fu già adombrato, lo notammo più volte, nelle figure dell’antico Testamento. Scegliamone alcune di maggior risalto, che facciano al nostro proposito, e servano a prova del nostro assunto. Erano venuti gli Ebrei alle mani cogli Amaleciti; grande battaglia si era appiccata. Mosè salì sopra di un monte, donde potesse vedere i due eserciti e la forte mischia, e pregò per la vittoria del popolo di cui era condottiero. Allorché nel pregare apriva ed alzava, e teneva distese le braccia, vincevan gli Ebrei; indietreggiavano, erano sgominati, s’ei vinto da stanchezza le calava. Ecco perché le braccia aperte e distese ei si fece reggere, finché completa e splendida venne riportata la vittoria sopra gli Amaleciti. Chi non ravvisa qui in Mosè il Redentore, che con le braccia distese in croce doveva offrire il sanguinoso Sacrificio? Onde S. Agostino esclamava: Vedete fin da ora superate le avversarie genti per la figura della croce: Videte jam tunc per sacramentum crucis superatas esse adversarias gentes. (De temp. Serm. 93) Lo stesso condottiero della gente Ebrea là nel deserto, allorché questa a castigo era infestata da infuocati serpenti, attaccata dai loro morsi ed uccisa, per comando divino elevò presso la terra di Edom sopra un legno un serpente di bronzo, nel quale guardando era di presente guarita. Che in quel serpente di bronzo sul legno si abbia da ravvisar Gesù Cristo confitto alla croce ve ne assicura Egli stesso con quelle parole registrate in S. Giovanni: Sicut Moyses exaltavit serpentem in deserto, ita exaltari oportet Filium hominis. (Joan. III). Ma volete voi, uditori carissimi, di ciò anche una più espressa figura? Eccovela. Avea il Signore per mezzo di Mosè ordinato a Faraone di lasciar libero partire il popolo Ebreo, che teneva in dura schiavitù. Ma Faraone ostinossi a non obbedire. Fu allora l’Egitto con terribili piaghe punito, di cui l’ultima e più severa fu la morte di tutti i primogeniti delle case Egiziane. Perché in così orrenda strage non avessero ad andare involti anche i primogeniti degli Ebrei, comandò Iddio che del sangue dell’agnello pasquale fossero tinti gli stipiti, e I’architrave della porta. Vedrò quel sangue Egli disse, e passerò oltre con l’ira mia, e farò passar oltre l’Angelo percussore, ministro delle mie vendette, e non toccherà voi la piaga sterminatrice: Videbo sanguinem, et transibo vos nec erit in vobis plaga disperdens. E perché questo se non perché in quel sangue è mostrata la figura del Sangue del Redentore? Quia Dominici Sanguinis per eum demonstratur exemplum. (Chrysost.). Per simil guisa Raab in premio d’avere salvati gli esploratori mandati da Giosuè fu liberata dall’esterminio di Gerico insieme a tutti i suoi, tenendo il patto d’indicare la propria abitazione collegar solo alle finestre una corda rossa a lei consegnata dai due israeliti. Ma questo segnale rubicondo che cosa mai significò, se non il Sangue di Gesù Cristo? Ce ne assicura S. Ambrogio: Qui color figurum Christi Sanguinis indicabat.(Serm. 46 de Salom.) E tu, o gran Veggente Ezechiello, dinne tu, che mirasti in quella celebre visione, che qui cade così in acconcio per noi. Comparve innanzi al Profeta un uomo coperto di vesti di lino, e che teneva ai fianchi un calamaio ad uso di scrivere. Ed il Signore comandargli di segnare con l’inchiostro di quel vaso tutti i buoni e i prescelti del popolo di Gerusalemme, i quali dovevano andar salvi dall’universale strage, che la giustizia divina stava per fare di quella città. Ma qual fu il segno col quale erano da indicarsi i salvandi? Fu il Tau, o dilettissimi, il quale per opinione concorde dei Padri ed interpreti alludeva alla croce, ed al Sangue della redenzione. Basti Origene: Tantum illi sospites servantur, Quos crucis pictura signavit. (Hom. In Ezec.) Ora, se il Sangue di Gesù Cristo solamente in simbolo e figura ebbe tanta virtù di esimere da così gravi sciagure, e di liberare da divini flagelli così pesanti, è assai facile il dedurre che potrà molto di più nella realtà. E chi non sa, che la cosa simboleggiata vale più del simbolo, vale più della figura il figurato? E dopo, che questo Sangue fu uscito dall’aperte vene di Cristo, forseché mancano esempi nelle storie ecclesiastiche, i quali ci mostrano di quanta virtù esso sia per liberare ancora da gravi infortuni di questa vita? Aprite le di grazia e vi troverete la città di Roma in grandi angustie, premuta, schiacciata, oppressa dal tirannico giogo di Massenzio, che superbamente la dominava. Chi fè respirar Roma finalmente libera da tanta tirannia, e da mostro così crudele? Costantino, o dilettissimi, il quale benché più debole di forze, pur attaccò con lui battaglia presso a ponte Milvio animato dalla visione di croce luminosa in aria colla scritta: Hoc signo vinces. Con questo segno vincerai. Costantino, che, fatta porre in cima a suoi labari quella croce, la quale ha tanta virtù, perché ornata della porpora del Sangue di Cristo re possente, ornata Regis purpura, dié tale una rotta all’esercito di Massenzio, e riportò una così splendida vittoria, che rimastovi morto lo stesso tiranno, ebbe fine il suo atroce governo, e fu principio ad un era di pace per Roma e per la Chiesa cristiana. E quando quel grande nostro genio italiano, Cristoforo Colombo concepiva l’ardimentosa idea di scoprir un nuovo mondo, chi lo incoraggio’, chi lo resse in mezzo a tante contraddizioni, chi lo scampò da tanti pericoli? La croce, o dilettissimi, la croce, ch’egli aveva in cima di sua mente religiosa, nella parte più eletta del suo cuore. Sì, fu la croce, che il fece trionfare delle basse invidie de’ suoi nemici, e gli procurò dal governo di Spagna alcune navi per il gran viaggio. Così poté egli spiegare nel venerdì 3 Agosto 1492 la bandiera con l’immagine del Crocifisso, e salpò dal porto mettendosi per mari sconosciuti. Fu pur la croce, che non gli fece venir meno la virtù dell’animo, e lo fece uscir incolume da tante e così fiere burrasche; fu la croce, che lo liberò dal feroce consiglio de’ suoi di gettarlo a mare tardandosi a scoprir terra. Era il venerdì 12 Ottobre, quando finalmente scopre la prima isola, che chiama del Salvatore, e vi discende con lo stendardo del Crocifisso in mano, e fra dolci lagrime là lo pianta sul suolo, con ciò significando, che per Gesù Cristo quelle nuove terre conquista. Ed in appresso sempre appoggiato alla virtù della croce, esausto di viveri non vien meno di confidenza, ed il mare contro ogni aspettazione glieli reca. In cerca di altri paesi è colto da furiosissima tempesta. Spera ancora nella croce, e ne campa; ed in un venerdì scopre le Azzorre, sicché egli è poi tutto in far conoscere ed onorare la croce ed il Crocifisso. Il Crocifisso pone sott’occhio ad un capo di selvaggi, che vinto da curiosità gli viene incontro; il Crocifisso mostra al primo Sovrano indigeno, con cui stringe amichevoli attenenze; il Crocifisso predica a quei barbari in cui si abbatte, ed in ogni borgata alza una croce, ed avvezza la gente a genuflettervisi innanzi e pregare. E sia pure, o carissimi, che le avversità di questa vita siano da voi ben meritate con i vostri peccati, giacché, propter peccata veniunt adversa. Il Sangue di Gesù Cristo non è forse valevole ad impetrare misericordia, purché non manchino in voi le buone e debite disposizioni? Ah! il Sacrificio del Golgota fu pur propiziatorio, ed ottenendo il perdono dei peccati, ebbe la virtù d’ottenere ancora la remissione d’ogni pena, d’ogni castigo anche temporale in questa vita. E quel Sacrifizio propiziatorio sul Golgota non fu già offerto una sola volta, ma ad ogni Messa si rinnova dai Sacerdoti, sebbene in un modo diverso ed incruento. Quindi anche il real Sangue di Cristo è l’oblazione che si fa a Dio. Oh! Qual voce potente ha questo Sangue per implorare pietà dall’Eterno Padre. Non già, come quello d’Abele, grida vendetta, ma misericordia, misericordia; ed ogni ira del Padre non può non ammollirsi alla vista ed alla voce del Sangue del Figliuol suo diletto. È osservazione fatta da molti scrittori ecclesiastici, che ora, benché la corruzione sia così grande e sia portata in trionfo l’empietà, ad ogni modo non avvengono più quelle grandi calamità nel mondo, appunto perché il Sangue di Gesù Cristo sale dai nostri altari quotidianamente profumo gradito a Dio più assai che tutte le vittime sacrificate nell’antico patto. E che farà poi il Sangue di Gesù Cristo conservatoci nel Ss.mo Sacramento per coloro che l’han carissimo al cuore, e l’onorano con una vita immacolata? Oh! da quali angustie, da qual tremendi pericoli esso fu scampo! Bastivi per tutti il seguente fatto. Era la citta d’Assisi assediata dai Saraceni, barbari, che univano alla ferocia grande valore. Già sempre più strettamente cingevano la misera città, minacciando di metter tutto a ferro ed a fuoco. Fatto disegno d’impadronirsi del convento, ov’era abbadessa S. Chiara, trovando chiuse le porte, accingevansi ad acquistarlo a viva forza; e già parte ponevan le scale, parte percuotevan fortemente la maggior porta per dentro penetrarvi. Immaginate voi lo spavento di quelle vergini spose di Gesù Cristo. Quali trepide colombe al sopravenire dello sparviero, eransi esse tutte tremando rifugiate nella stanza della loro madre, che giaceva di que’ giorni inferma. Che fa Chiara? Ella non si smarrisce in mezzo allo smarrimento generale. Così inferma si fa recare dalle sue figlie alla porta, ma vuole insieme con sé il vaso, dov’è custodito il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, e con in mano il Sangue di Gesù Cristo leva del cuore questa preghiera: Signore, non consegnare in potere di queste bestie feroci le vite di quelle che te confessano con le lor lodi, con le lor salmodie, e coi loro inni. Custodisci queste tue serve, che col tuo Prezioso Sangue hai redente. E ben tosto fa udita una voce: Io sempre vi custodirò. (Brev. Rom.) I Saraceni ben tosto, parte in rapida fuga all’improvviso si volsero, parte avendo già salito il muro, all’istante perdettero la vista, e ruinando precipitarono giù. Oh virtù, oh potenza del Sangue del Redentore! Io non avrei bisogno di aggiungere qui altro esempio, altro fatto, avendone già parecchi portati a provare quanto mi ero proposto, poiché il mio argomento quasi tutto sui fatti fu appoggiato. Nondimeno per seguitare il costume, e per eccitare sempre più voi a ricorrere al Sangue di Gesù Cristo, abbiatevi anche questo ch’è di data abbastanza recente, ed a parecchi di voi contemporaneo. È pur viva, e fresca, ed onorata, anzi in venerazione la memoria del grande Pontefice Pio IX. Egli dopo aver riscossi grandi applausi al principio del suo Pontificato, vide pur troppo gli osanna mutati ben presto in crucifige, quando egli oppose il forte petto ad una setta, che il voleva trascinare nell’amministrazione del governo là dov’egli mai non volle, e non poteva andare. Si fecero sedizioni di piazza, si commisero delitti atroci, la stessa vita del Pontefice venne minacciata e insidiata. Stava in forse Pio IX di fuggire a salvamento fuori de’ suoi stati già in mano dell’anarchia, quando gli giunse di Francia la sacra pisside, che con entrovi la S. Eucarestia, fu di così grande conforto a Pio VI nel suo arresto e viaggio forzato sino a Valenza. Allora ogni titubare cessa, e la risoluzione è già presa. Pio fugge, ma ha con sé quella sacra pisside, ha nelle mani il Sangue di Gesù Cristo: la sua fuga non può non riuscire a bene. Benché abbia guardie nemiche fin nell’anticamera, può loro sottrarsi senza che se n’avvedano, e varca i confini del suo Stato, e va sicuro, com’aquila, che, alzato il volo, dall’alto mira sicura coloro, che stavano a guardia del suo nido. Arriva incolume a Gaeta, dove da Re Ferdinando II di Napoli viene ospitato a grand’onore. Ma attendete ancora, che vi è ben altro. Il servo di Dio Giovanni Merlini, Superiore Generale dei Missionari del Prezioso Sangue, di cui si sono iniziati i processi per giudicare della sua virtù e santità, recossi in quei giorni a Gaeta, presentossi al Papa, da cui era amato, e gli comunicò il desiderio che si avea, che la Festa del Preziosissimo Sangue fosse estesa al mondo universo. Si stringesse con voto a ciò fare, e ricupererebbe lo Stato, tornando trionfante nella sua Roma. Pio IX volle su pensarvi seriamente, ed il 30 Giugno del 1849 fece scrivere che, senza far voto, subito e di proprio arbitrio avrebbe fatta piena la dimanda del Merlini. Intanto quel dì stesso venne dai Francesi venuti in aiuto del Papa occupata una porta di Roma, ed il dì appresso, festa del Prezioso Sangue, le truppe repubblicane del Mazzini capitolarono, e si arresero. Memore di tanto favore Pio IX stese il sospirato decreto elevando tal festa a rito doppio di seconda classe in tutta la Chiesa, e poté poi non molto dopo rientrare trionfante e più glorioso di prima nella sua Roma. Volete, dunque anche voi, uditori, andar liberi da tanti pericoli, che ne circondano, da tante insidie, che tendono il demonio, ed il mondo? Abbiate, vel raccomando caldamente, divozione soda, e tenera insieme verso il gran prezzo del nostro riscatto. Con in mano questo pegno di salvezza voi non patirete danno tra pericoli, ed insidie di qualunque specie. Uditori, siamo in un mondo, che specialmente a’ nostri giorni è tutto posto in sul maligno. La più grande immoralità passeggia sfacciata sotto la luce del sole, l’empietà più grande alza il capo, e giganteggia. Se la Giustizia divina, tarda a vendicarsi, non può però lasciar impunite tante scelleraggini. Già ha preso in mano la coppa, dove bolle il suo furore, e già l’ha inchinata da questa a quella parte per versarlo in sulla terra: Et inclinavit ex hoc in hoc. Già inondazioni, terremoti, ed altre gravi sciagure vanno qua e là desolando il mondo. Ma non è vuotata del tutto quella coppa tremenda vi è la feccia, ove si concentrano le più acerbe vendette divine: Verumtamen fæx ejus non est exinanita. Beveranno di questa, sì beveranno tutti i peccatori: Bibent omnes peccatores terræ. (Ps. LXXIV). In quei terribili frangenti abbiate in pronto il Sangue di Gesù Cristo da presentare all’Eterno Padre, e non dubitate, che vedendo Egli questo Sangue, passerà oltre, senza esercitare contro di voi il suo rigore, né affliggerà voi alcuna piaga distruggitrice. Lo disse, e ne assicurò gli Ebrei, e trattavasi allora del sangue dell’agnello pasquale, che era figura solamente del Sangue di quell’Agnello, che doveva togliere i peccati del mondo. Quanto più lo dirà adesso, e manterrà la promessa, trattandosi della realtà: Videbo Sanguinem, et transibo vos, nec erit in vobis plaga disperdens.

IL CREDO

Offertorium

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.


[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]
Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Sancta Cruce
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui salútem humáni géneris in ligno Crucis constituísti: ut, unde mors oriebátur, inde vita resúrgeret: et, qui in ligno vincébat, in ligno quoque vincerétur: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti júbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È Veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai procurato la salvezza del genere umano col legno della Croce: così che da dove venne la morte, di là risorgesse la vita, e chi col legno vinse, dal legno fosse vinto: per Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Hebr IX:28
Christus semel oblátus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna:]
Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA