FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

Doppio di 1^ classe. • Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, la Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da  Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle sue membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il sacerdote offre a Dio sull’altare. – Il gran Sacerdote, attraversando il Tempio, entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi col sangue delle incoscienti e forzate vittime, immolate sull’altare degli olocausti. Questo sangue dava soltanto una purezza legale ed esteriore. Il Cristo è salito fino al vero Santo dei Santi, che è il cielo ed ha presentato al Padre il suo sangue, spontaneamente e liberamente versato sulla croce. Gesù è dunque il mediatore del Nuovo Testamento, e il suo sangue espia i peccati dapprima degli Israeliti, e poi di tutti gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Apoc V:9-10
Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Ps LXXXVIII :2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

[L’amore del Signore per sempre io canterò con la mia bocca: la tua fedeltà io voglio mostrare di generazione in generazione.]


Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr IX: 11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

(Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli. ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.]

Graduale

1 Joann 5:6; 5:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.]

1 Joann 5: 9
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.

[V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]

1 Joann V: 9
V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja

[V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

[A. Rey: Il preziosissimo Sangue – Pia Unione del Prez. Sangue, Roma, 1949]

Discorso II

L’uomo deve tutto a Dio: principio, essere, doni, corpo, anima, vita naturale, elevazione allo stato soprannaturale. Questa gratuita erogazione di generosi doni non ha che uno scopo per Dio: far vivere l’uomo del suo amore, sempre. Fatalmente interviene la colpa e chi era stato creato ad immagine e somiglianza del Signore, n’è allontanato per sempre, condannato in eterno alla maledizione. Ma il Verbo, spinto da quello stesso amore che mosse da prima queste cose belle, scende ad incarnarsi, ad effondere il suo sangue per la redenzione umana, e l’uomo è riportato in grembo al suo Dio: eratis longe; facti estis prope în Sanguine Agni (Eph. II, 13). Quel sangue fu detto prezioso da S. Pietro: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis…, sed pretioso Sanguine tamquam Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!Non è pileggio da picciola barca (parad, 23; 67) addentrarci in questa verità confortante che rappresenta l’abisso insondabile della misericordia divina. La mente s’arresta di fronte a tanto sole; il cuore trasalisce per la gioia, ma non è capace da solo ad intender l’arcano: incomprehensibilia judicia… eius, et investigabiles viæ eius (Rom XI, 33)! Pure, l’incomprensibile. ci è reso chiaro dalla divina Scrittura, e le vie di Dio ci appaiono piane: per correre alla scoperta del vero. Poiché due luci la investono, contenute in queste semplici parole: Sangue prezioso.

I. – Breve preludio sul sangue.

 Cos’è il sangue? Fisiologicamente è un umore, costituito da un tessuto di sostanza liquida intercellulare o di cellule bianche, rosse e di piastrine; partendo dal cuore, con una doppia circolazione, attraverso arterie e vene, al cuore ritorna e tien salda la vita. Se il sangue si arresta il cuor più non pulsa. È la morte. Il Sangue è vita, forza, vigore, nerbo, salute, e tien legato al corpo lo spirito immortale. Donare il sangue è dare la vita. – Preziosa diciamo quella cosa che è di molto prezzo, di grande valore: una pietra Fara, una gemma, l’oro, l’argento, il platino; che ci è cara per la sua bellezza e rarità: un’opera d’arte, un poema, un palazzo. Preziosa la diciamo ancora pel vantaggio che ne deriva, per l’utile che ci dà: una eredità, un donativo regale. Or, qual cosa di maggior prezzo è il valore del sangue che è vita? Qual cosa più rara di un sangue che aderisce profondamente all’anima, creatura bella di Dio, sì da farlo commuovere? Qual cosa  più bella del sangue che rivela quella mirabile opera d’arte che è il carattere dell’uomo? E quali stupendi vantaggi non derivano da un sangue offerto, donato, sborsato dall’uomo spinto dall’amore? Quale utile per quelli pei quali il sangue si effonde? Ed ecco al di sopra del misero sangue umano il Sangue di un Uomo-Dio, che ha prezzo e valore incalcolabile, perché Sangue divino; che è caro per la sua rarità e bellezza, essendo Sangue di grazia; che reca all’uomo il supremo dei vantaggi, quello di farlo consanguineo, partecipe della sua vitalità supernaturale, della sua gloria: Sangue da adorarsi, quindi: da apprezzarsi, da amarsi.

II.

Il Sangue dei martiri

1. – Per apprezzare in tutta l’ampiezza, il valore del Sangue di Gesù è necessario porlo a fianco del sangue dei martiri. Qualche anno fa un cattolico fervente, sul piazzale di S. Marta, prima di accompagnare i giovani delle Associazioni Cattoliche in visita al Papa, avvicinava giustamente il sangue dei martiri del Circo di Nerone al Sangue prezioso, giacché era questo che rendeva l’altro potente e glorioso. Il martire è un testimonio che per la verità giunge fino a farsi sgozzare. Il suo sangue sigilla tutta una vita di bene e fa splendere con più evidenza la causa per cui è versato. La scienza ha i suoi martiri: medici che per lenire gli strazi dell’umanità studiano l’applicazione dei raggi ultravioletti e ne restano uccisi; aeronauti che per togliere i veli misteriosi dei Poli, soccombono… L’amor patrio ha un martirologio che è patrimonio sacro per tutti i popoli: Colletta, Pellico, Filzi e Battisti… son nomi cari ad ogni cuore italiano! Ma è la Fede soprattutto che fa del martirio la più fulgida, significativa, gloriosa testimonianza, perché all’infinito si distanzia, per dignità, da ogni altra idea, da ogni altra potente passione. Essa è al disopra della scienza e della patria!

2.) Il valore del sangue si desume dalla persona che lo versa.

Percorrete i cuniculi, gli ambulacri delle Catacombe. Sui loculi contrassegnati da simboli cristiani, c’è dei nomi, semplici nomi: Agape, Acilio Giabrione, Agnese, Cecilia. Accanto al loculo che racchiude i resti mortali di un senatore, di una donna aristocratica c’è quello di un oscuro bottaio, di un fabbricante di balocchi. La morte tutti ha uguagliato: in ciò il sangue di Couvier non si distingue da quello di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Ma quei nomi contrassegnano una vita, quei corpi rappresentano tesori non tanto perché di Cristiani, ma perché di martiri. Già quei corpi son santi, unti un giorno del crisma del Cristo nel battesimo, incorporati a Cristo nella comunione del suo corpo, del suo sangue, templi dello Spirito Santo. Non per altro Paolo chiamò Santi i fratelli nel Cristo; vedeva in essi la grazia santificante. E Damaso nella epigrafe della celeberrima martire romana Agnese, dice santi i suoi genitori: sanctos… retulisse parentes. E S. Pietro giustifica l’orgoglio gens sancta, regale sacerdotium (1 Piet. II, 9)! Ma un alone di gloria circonda quelle ossa che pullulant de loco suo (Eccl. XLVI, 14), per la morte che la Scrittura chiama appunto preziosa: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum éjus (Ps. CXV, 15), per la morte non nobilitata solo dal Cristo con l’elargizione della suprema grazia, la perseveranza finale, ma resa gloriosa per l’effusione del sangue, degna risposta al Cristo che per tutti ha effuso il suo, in supremo amore! Egli dinanzi ai presidi li rese gagliardi e diede alla loro lingua le parole per confondere i sofismi, le minacce, le blandizie. Egli rese potente la loro volontà sino a farli esclamare; frangar, non flectar! Egli col suo sangue, col valore del suo sacrificio, ha impreziosito il sangue dei martiri. « Che bisogno ha Egli di carne, rifatta ora senza macchia. Che bisogno ha Egli di un cuore che deve sanguinare e soffrire, scegliendo la parte migliore? » domandava a se stessa l’esule poetessa italiana. La risposta è data dai martiri: prese umana carne, umano cuore perché dal suo sangue, dal suo cuore e dalle sue sofferenze gli uomini potessero avere la forza divina di patire e dare per lui il glorioso sangue! Eccoli salgono al cielo agitando corone e palme, seguendo «i fiori dei martiri e le prime gemme della Chiesa nascente in mezzo al verno dell’incredulità e consumate dal gelo della persecuzione »: i Santi Innocenti, dei quali sì bellamente canta Prudenzio:  Il Redentor sue vittime/ prima i scelse: voi/della sua nuova legge/e de’ martiri suoi/ siete tenera gregge; – e in olacausto offerti/sull’are insanguinate/colle palme scherzate/e con i serti! (Prudenzio: 32 e 88 strofa dell’inno famoso: Salvete fiores martyrum (Cfr. Fest. SS. Innoc.) Trad. di L. Venturi — Cfr. Apoc. VI; 9). – Gli angeli si chiedono: Qui sunt hi et unde venerunt? Ed il Padre afferma deciso: Hi venerunt de magna tribulatione et laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Apoc. VII; 14). In quel loro martirio c’è il martirio stesso del Cristo; in quel Sangue lo stesso Sangue del Cristo ch’è il Rex gloriosus martyrum (Br. Rom. Comm. pl. Mart. Hymn. ad Laud.). E l’uomo è sublimato sino al soglio di Dio, dopo la vittoria conseguita sul dragone pel Sangue dell’Agnello: hi vicerunt draconem propter sanguinem Agni! Laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Ap. XII, 11)! Ideo, coronati, triumphant (Cfr. Sap. 4; 2.)! Ma il valore del Sangue si desume ancora dalla causa per cui il martire lo sparge. Il sangue del martire cristiano acquista un valore più alto d’ogni martire, in quanto è sparso per una idealità suprema: la Fede: confessi sunt Christum! È l’apoteosi della virilità cristiana quel sangue. Quel sangue è sparso per un amore supremo, quello per Dio. L’olacausto del martire è il riconoscimento pieno dei diritti di Dio sulle creature, la distruzione di tutto l’essere per l’atto sublime del sacrificio; sicchè Ireneo poteva dir con ragione che il martire diventa altare e sacrificio insieme. Ecco perché sotto la pietra sacra dell’altare ci sono le ossa dei martiri, ed i Greci nei Dittici ne esaltano la memoria che in benectione est (Cfr. Eccl. IV; 7)! I malvagi che li percuotono non sanno immaginare in essi che insania, vano furore, fanatismo; ma debbon poi confessare che s’allontanarono dalla via della verità: locuti sunt falsa (Ps. LVII, 4)! La Scrittura raccoglie il loro straziante lamento: Nos insensati! vitam illorum æstimabamus insaniam et exitum illorum sine honore! Ecce quomodo computati sunt inter filios Dei, et inter sanctos: sors illorum est (Sap. V., 4)!Si spiega così il culto dei martiri nelle Catacombe. Pie mani ne raccolgono i resti, li ravvolgono in preziose stoffe, li adagiano nei loculi; accanto ad essi pongono l’ampolla del sangue; li chiudono con una lapide che, dopo il loro nome porta l’invocazione, la preghiera: Vivas in Deo… Ora pro nobis (Man. Arch. Marucchi, Armellini ete., passim.)! Negli arcosoli, dominati dalla ieratica figura di una orante con le braccia stese e gli occhi grandi ripieni di Dio, son deposti sotto l’altare dell’Agnello i martiri che, come nella visione apocalittica, gridano al sommo Martire: Usquequo, Domine, non iudicas et… non vindicas sanguinem nostrum (Ap. VI, 10)! L’ultimo atto della loro vita non è segnato colla macabra parola che rattrista; fine, morte. La Chiesa lo definisce dies nataliîs, natalicium martyris (Cfr. Martyrol. Roman.). Presso quelle membra anche Damaso Papa vorrebbe sua condere membra, ma teme di vexare con la sua indegnità le loro ossa gloriose (Cfr. Lessico Ecclesiastico, vol. II, pag. 952 seg. Milano, Vallardi, 1902 Iscrizioni Damasiane). Ecco perché i Cristiani, come il gran Papa, cantore delle gesta dei martiri, amano, desiderano ardentemente seguirli nella morte cruenta, per amor di Cristo, come la piccola Agnese che si slaccia dal grembo della nutrice per presentarsi al tiranno, sfidandone la rabbia e dichiarandosi pronta alla morte pel suo Sposo; esser sepolti ov’essi son sepolti; e – pegno di protezione altissima – conservano gelosamente sul petto, vicino al Vangelo, i lini inzuppati nel sangue spicciato dalle loro membra percosse, colato sulla terra santificata! – Pieghiamoci, in riverenza, di fronte a quei nomi, a quelle vite, a queste ossa, a questo sangue! Baciamo quelle tombe che sono are, quelle lapidi tepide ancora del sangue versato per Cristo! Veneriamo quei santi dalla purpurea aureola; preghiamo di esser degni del loro sacrificio, della loro testimonianza!

III.

Il Sangue di Gesù

Ma cos’è questo venerando sangue di fronte a quello versato da Gesù? Chi è Gesù? La poesia ne ha esaltato sembiante e nome. « Un agnello è innocente e mite sulla morbida erbosa zolla; e Gesù Cristo, l’Immacolato, è l’Agnello di Dio. Egli solo è immacolato sulle ginocchia di sua Madre, bianco e rosso, ahimè !.. presto sarà sacrificato per voi e per me! Eppure agnello non è parola abbastanza soave, né  è giglio nome abbastanza puro, e un altro nome ha scosso i nostri cuori, avvivandone la fiamma: Gesù! Questo nome è musica e melodia; il cuore col cuore in armonia, cantiamo ed adoriamo »! Qual è il tuo nome? – gli chiede il Thompson – Oh! Mostramelo ». E Gesù risponde: « Il mio nome non potete saperlo: È un avanzarsi di bandiere, uno sfolgorare di spade; ma i miei titoli che son grandi non sono essi nel mio costato? – Re dei Re – son le parole – Signore dei Signori (Francis Thompson, in Poems: The veteran of heaven, I. pag. 149) »! Storicamente è il più saggio dei sapienti; L’aquila di Stagira non ha ali sufficienti per raggiungerlo nel volo: la Sua sapienza è infinita, in Lui sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ (Lit. del S. Cuore. – Coloss. II; 8) – Il più eccelso dei filosofi, Socrate impallidisce dinanzi a Colui che investe della sua luce tutti i problemi dello spirito, scoprendone le meraviglie: Dante te illis, omnia implebuntur bonitate (Ps, CIII, 28) – I più grandi dei legislatori, Numa Pompilio, Licurgo, Solone paion pigmei nelle loro leggi che sovente giustificano anche il delitto, come la servitù, l’uccisione dei vecchi e dei bimbi malati, il divorzio! Egli stesso è la legge immacolata che india le anime: Lex tua immaculata, convertens animas (Ps, XVIII, 8)! Poeti, oratori, guerrieri non gli stanno a petto. Il Vangelo offusca Omero e l’accieca con la sua grandiosa semplicità. Demostene e Cicerone diventan pedestri dinanzi al Sermone della montagna. Cesare ed Alessandro si arrestano nelle loro inutili stragi di fronte ad una forza che pretende solo il suo sangue per salvare l’umanità: l’amore che ogni cosa vince, Omnia vincit amor (Virgilio, Eglog. 10; 69)! Ma Gesù, vivo e vero nella sua incompresa grandezza, balza dal Vangelo. – Io ed il Padre siamo una cosa sola (Jo. X, 30)! Io sono nel Padre, Egli è in me! Chi vede me, vede mio Padre (ibi XIV, 9)! dice a Filippo. Io son la via, la verità, la vita (ibi, XIV, 6). Son l’alfa e l’omega (Apoc. 1; 8.). Io son la luce del mondo (Joan VIII, 12). Io la fonte che disseta perché contiene le acque che risalgono alla sorgente della eterna vita (ibi, IV, 14).- Io sono il pane di vita disceso dal cielo (ivi VI. 35). Ecco le sue affermazioni apodittiche. Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho poste le mie compiacenze!dice Dio Padre sul Giordano e sul Tabor ( Marc.1; 11 — Lc. III. 22). Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. XVI, 16)! testimonia San Pietro. – Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Joan. I, 29)! – proclama Giovanni dinanzi alle turbe. – Avete crocifisso il Re della gloria; voi avete ucciso Dio! dichiarano Pietro e Paolo a Giudei indurati. Gli angeli stessi, vedendolo salire, possente, col segno della gloria incoronato si chiedono: Quis est iste qui venit de Edom, tinctis vestibus de Bosra iste formosus în stola sua (Is. LXIII, 1)? E si senton rispondere: – Egli è il Re della gloria che sale con le vesti bagnate di sangue (Is.)! – E Cristo entra nella gloria del Padre! In Lui – sappiamo dalla Fede – la divina natura è uguale a quella del Padre e dello Spirito Santo, ma la sua Persona, quella del Verbo, è distinta da quelle del Padre e del Paraclito. QuestoVerbum, genitum non factum (Credo), consustanziale al Padre, Dio vero da Dio vero, eterno, ante omnia sæcula genitus (Symb. Atan.), prende, nel tempo, la umana natura nel seno immacolato di Maria; l’assume nella sua Persona e diviene uomo senza lasciare di essere Dio; verus homo ex substantia matris in sæcula natus (c. s.). Questa incarnazione non è una conversione della divinità nella carne, ma assunzione della umanità in Dio: non conversione divinitatis in carnem, sed assumptionehumanitatis in Deùm (Can. Miss. Praef, Nativ. – Symb. Athan ). È il Verbum caro factum (Joan, I, 14).In Cristo. due nature dunque: la divina e l’umana, ma unica la Persona. Or le azioni, non son della natura ma del supposito,della Persona: actiones sunt suppositorum (S. Th. III, q 19, ad 1). E poiché in Cristo la Persona è divina, divine sono le sue azioni. Sicchè quel Sangue purissimo natus ex Maria virgine (Sym. Ap.), è divino, perciò preziosissimo. Quando si effonde sul Calvario ha un valore divino, perciò preziosissimo.Quando si riversa sull’umanità per riscattarla e purificarla, la sua azione, la sua efficacia son divine, perciò Sangue preziosissimo!Sono adunque preziosissime anche le ragioni per cui Egli lo versa.

a) Ripara infatti l’onore del Padre offeso dall’uomo, con l’onore a Lui reso con l’effusione del sangue: obtulit semetipsum Deo (Heb. IX, 14), e pacifica l’uomo con Dio: pacificans per sanguinem crucis ejus sive quæ in cœlis sive quæ in terris sunt (Coloss. 1, 20). Ma una tale riparazione, una tal pacificazione sono di valore infinito.

b) Redime l’uomo peccatore..- Il Sangue ha una sua peculiare virtù redentrice. Quello di Virginia libera Roma dai Tarquini, quello di Lucrezia l’affranca dai Decemviri, quello delle rivoluzioni dà un nuovo orientamento alla storia. Ma il Sangue di Cristo ha dato l’assetto definitivo all’uomo, sciogliendolo dai vincoli del servaggio, liberandolo dalla pena eterna: redemit de domo servitutis (Deut. 13,5- Galat. 3, 13 – Tit. 2, 14)! Quel Sangue è sborsato per testimoniare la verità: ad hoc veni in mundum ut perhibeam testimonium veritati (Joan XVIII, 37). E la verità è questa: il mondo deve riconoscere Iddio per suo Padre, ed amare il Figlio che l’ha redento: hæc est vita æterna ut cognoscat mundus Patrem et quem misit, Jesum Christum (1 Joan, 5, 6.). L’Agnello di Dio s’immola per affermar questa verità che ha bandito solennemente dinanzi al popolo, al sinedrio, ai tribunali; ed il sangue e l’acqua che escono dal suo cuore, sulla croce, ne sigillano l’infinito amore: hic est qui venit per aquam et sanguinem; non in aqua solum sed în aqua et sanguine (ibi, 18, 3).

Ecco il Sangue preziossimo!

Or, se a Dio si deve l’adorazione ed a tutto ciò che a Dio appartiene come sua essenza e natura, il Sangue preziosissimo, che al Verbo fatto carne appartiene come sua essenza e natura, è degno della nostra adorazione: Dignus est Agnus accipere honorem, gloriam et benedictionem, quia occisus est et redemit nos in Sanguine suo ( Apoc. V, 12)!E noi dobbiamo, tremanti, piegare i ginocchi dinanzi al prezzo di tanto valore, e cantar con la Chiesa al Re dei Martiri: Christum Dei Filium, qui suo nos redemit sanguine, venite, adoremus (Brev. Rom.)!

Esempio:

L’illustre storico Cesare Baronio dell’Oratorio, discepolo insigne di San Filippo Neri, nei suoi Annali, all’anno 446 riporta questo mirabile fatto. In Costantinopoli, un giudeo, di notte, preso un Crocifisso ch’era avanti la casa di un Cristiano l’immagine sfregiò sul volto, e da questa spiccò tepido sangue. Atterrito il sacrilego corse a gittarla entro un pozzo vicino, tornandosene poi in fretta, a casa, ove raccontò tutto alla moglie. Il giorno dopo, la gente che andava ad attingere l’acqua vide con grande sorpresa che essa era tutta rosseggiante di sangue. Giunta la inusitata novella all’orecchio del Prefetto della città, e sospettando questi giustamente che entro il pozzo vi fossero uomini trucidati, ordinò che fosse vuotato. E vuotato che fu, ecco ritrovato il Crocifisso, che ancor versava sangue dalla ferita infertagli. L’imperatore, pur di conoscere la verità dell’accaduto; promise il condono d’ogni pena al reo, purché da se stesso si costituisse. Prima la moglie, poi il giudeo si presentarono lagrimanti, e confessarono schiettamente il delitto. Ma quel sangue gridò misericordia, non vendetta. Compunti a tanto miracolo, chiesero il battesimo ed abbracciarono la fede di Gesù Cristo, divenendo così, da nemici, suoi consanguinei! Il pozzo, essendo poco distante da Santa Sofia, vi fu raccolto con l’erezione di una nuova Cappella che si chiamò del Pozzo santo. Su questo fu posto un coperchio d’oro, sormontato dal prodigioso Crocifisso. Ancora una volta Gesù aveva mostrato di qual valore infinito fosse il suo Sangue! E come Egli è disposto, anche dopo il Calvario, a versarne, per nostro amore, dell’altro ancora! Anima mia, vedi quanto tu vali? Pretium sanguinis es (Mat. XXVII, 6)! Fedeli, non con oro od argento corruttibili voi siete stati redenti, ma col Sangue del Figlio di Dio, col suo Sangue preziosissimo: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis, sed pretioso sanguine quasi Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!

Preghiera

O sangue che i martiri esaltano nel Cielo perché il loro prezioso divenne per la tua preziosità, pel tuo valore; o Sangue che fosti per essi forza e resistenza, gaudio gloria, Sangue di un Dio, perché unito alla Persona santissima del Verbo, Sangue che fosti versato per amore supremo onde placare il Padre, redimere il peccatore, render testimonianza alla verità, sii tu benedetto ed adorato! Ai tuoi piedi non Giuda, che lo sprezza, ma Giovanni che se ne abbevera, nei figli che riconoscono la preziosità che ogni anima ha reso preziosa, per gridarti: – Misericordia, perdono, amore! – Con tutti i santi del Cielo, coi martiri, con gli Angeli ti lodiamo ed adoriamo; e se indegna è ancora pel peccato la nostra anima, mondala, o prezioso Sangue. È tua! Mondala col tuo bagno salutare che ci renda cherubini innanzi al tuo trono. Ognuno di noi ti prega, o Agnello santo, con la strofe mirabile di Tommaso: Pie pellicane, Jesu Domine, / me immundum munda tuo Sanguine (Adoro Te …)! e tutti, con la voce della Chiesa, nell’inno del ringraziamento: Te ergo quæsumus, tutis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti (Te Deum.) – Amen!

Risoluzione

In riparazione della crudele indifferenza di tante anime verso il Redentore, cercate di parlare ogni giorno di questa devozione ed inculcarne la pratica.

(B. Gaspare del Bufalo)

Fiorellino spirituale

O Sangue, medicina delle nostre anime, guariteci!

(S. Caterina da Siena)

Giaculatoria

Factus est Sangue, ineffabile prezzo di vita, a l’alma debole tu porgi aîta!

IL CREDO

Offertorium

Orémus
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.

[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Hebr IX: 28
Christus semel oblítus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio
Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

29 GIUGNO 2021, FESTA DI SAN PIETRO

FESTA DI SAN PIETRO (2021)

I Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Doppio di 1a classe con Ottava comune – Paramenti rossi

Tutta la Chiesa è in festa, perché « Dio ha consacrato questo giorno col martirio degli Apostoli Pietro e Paolo » (Or.) Nelle due grandiose basiliche erette a Roma sulle tombe « di questi Principi che hanno conquistato con la croce e la spada il loro posto nel senato eterno (Inno ai Vespri), come in Catacumbas sulla via Appia, il Papa celebrava oggi solennemente la Messa stazionale. Più tardi, a causa della gran distanza che separa queste due chiese, si divise questa festa, onorando più particolarmente San Pietro il 29 giugno, e San Paolo il 30 giugno. – 1° San Pietro, Vescovo di Roma, è il Vicario, luogotenente, sostituto visibile del Cristo. Come mostrano il Prefazio, l’Alleluia, il Vangelo, l’Offertorio e l’Antifona della Comunione, gli Ebrei avevano respinto Gesù, e fecero lo stesso verso il suo successore (Ep.). Spostando allora il centro religioso del mondo, Pietro lasciò Gerusalemme per Roma, che divenne la città eterna e la sede di tutti i Papi. — 2° San Pietro, primo Papa, « parla a nome del Cristo » che gli ha comunicato la sua infallibilità dottrinale. Quindi non la carne e il sangue lo guidano, ma il Padre celeste, che non permette che le porte dell’Inferno prevalgano contro la Chiesa, di cui egli è il fondamento ( Vang.). — 3° San Pietro ricevendo le chiavi è preposto al « regno dei cieli » sulla terra, cioè alla Chiesa, « e regna in nome del Cristo», che lo ha investito della sua potenza e della sua autorità suprema (Vang.). I nomi di San Pietro e di S. Paolo aprono la lista degli Apostoli nel Canone della Messa. — Con la Chiesa, che non cessava di rivolgere preghiere a Dio per Pietro (Ep.), preghiamo per il suo successore, « il servo di Dio, il nostro Santo Padre, il Papa [Gregorio XVIII – ndr.] » (Canone della Messa)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Acts 12:11
Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]


Ps CXXXVIII: 1-2
Dómine; probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam.

[Signore, tu mi scruti e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio cammino.]


Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérnam diem Apostolórum tuórum Petri et Pauli martýrio consecrásti: da Ecclésiæ tuæ, eórum in ómnibus sequi præcéptum; per quos religiónis sumpsit exórdium.

[O Dio, che consacrasti questo giorno col martirio dei tuoi Apostoli Pietro e Paolo: concedi alla tua Chiesa di seguire in ogni cosa i precetti di coloro, per mezzo dei quali ebbe principio la religione.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.
Act 12: 1-11

In diébus illis: Misit Heródes rex manus, ut afflígeret quosdam de ecclésia. Occidit autem Jacóbum fratrem Joánnis gládio. Videns autem, quia placeret Judæis, appósuit, ut apprehénderet et Petrum. Erant autem dies azymórum. Quem cum apprehendísset, misit in cárcerem, tradens quátuor quaterniónibus mílitum custodiéndum, volens post Pascha prodúcere eum pópulo. Et Petrus quidem servabátur in cárcere. Orátio autem fiébat sine intermissióne ab ecclésia ad Deum pro eo. Cum autem productúrus eum esset Heródes, in ipsa nocte erat Petrus dórmiens inter duos mílites, vinctus caténis duábus: et custódes ante óstium custodiébant cárcerem. Et ecce, Angelus Dómini ástitit: et lumen refúlsit in habitáculo: percussóque látere Petri, excitávit eum, dicens: Surge velóciter. Et cecidérunt caténæ de mánibus ejus. Dixit autem Angelus ad eum: Præcíngere, et cálcea te cáligas tuas. Et fecit sic. Et dixit illi: Circúmda tibi vestiméntum tuum, et séquere me. Et éxiens sequebátur eum, et nesciébat quia verum est, quod fiébat per Angelum: existimábat autem se visum vidére. Transeúntes autem primam et secundam custódiam, venérunt ad portam férream, quæ ducit ad civitátem: quæ ultro apérta est eis. Et exeúntes processérunt vicum unum: et contínuo discéssit Angelus ab eo. Et Petrus ad se revérsus, dixit: Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum, et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[In quei giorni: Il re Erode mise le mani su alcuni membri della Chiesa per maltrattarli. Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni. E, vedendo che ciò piaceva ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano allora i giorni degli azzimi. Arrestatolo, lo mise in prigione, dandolo in custodia a quattro squadre di quattro soldati ciascuna, volendo farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro, dunque, era custodito nella prigione; ma la Chiesa faceva continua orazione a Dio per lui. Ora, la notte precedente al giorno che Erode aveva stabilito per farlo comparire innanzi al popolo, Pietro, legato da due catene, dormiva fra due soldati, e le sentinelle alla porta custodivano la prigione. Ed ecco apparire un Angelo del Signore e una gran luce splendere nella cella. Toccando Pietro al fianco, lo riscosse, dicendo: Alzati in fretta. E gli caddero le catene dalle mani. L’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e infílati i sandali. Pietro obbedí. E l’Angelo: Buttati addosso il mantello e séguimi. Ed egli uscí e lo seguí, senza rendersi conto di quel che l’Angelo gli faceva fare, parendogli un sogno. Oltrepassata la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che mette in città, ed essa si aprí da sé davanti a loro. E usciti, si avviarono per una strada, e improvvisamente l’Angelo partí da lui. Pietro, allora, tornato in sé, disse: Adesso riconosco davvero che il Signore ha mandato il suo Angelo e mi ha liberato dalle mani di Erode, e da ogni attesa dei Giudei.]

Graduale

Ps XLIV:17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine.
V. Pro pátribus tuis nati sunt tibi fílii: proptérea pópuli confitebúntur tibi. Allelúja, allelúja.

[Li costituirai príncipi sopra tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore.
V. Ai padri succederanno i figli; perciò i popoli Ti loderanno. Alleluia, alleluia.]


Matt XVI:18
Tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam. Allelúja.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XVI:13-19
In illo témpore: Venit Jesus in partes Cæsaréæ Philippi, et interrogábat discípulos suos, dicens: Quem dicunt hómines esse Fílium hóminis?
At illi dixérunt: Alii Joánnem Baptístam, alii autem Elíam, álii vero Jeremíam aut unum ex Prophétis. Dicit illis Jesus: Vos autem quem me esse dícitis? Respóndens Simon Petrus, dixit: Tu es Christus, Fílius Dei vivi. Respóndens autem Jesus, dixit ei: Beátus es, Simon Bar Jona: quia caro et sanguis non revelávit tibi, sed Pater meus, qui in cœlis est. Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam, et portæ ínferi non prævalébunt advérsus eam. Et tibi dabo claves regni cœlórum. Et quodcúmque ligáveris super terram, erit ligátum et in cœlis: et quodcúmque sólveris super terram, erit solútum et in cœlis.

[In quel tempo: Gesú, venuto nei dintorni di Cesarea di Filippo, cosí interrogò i suoi discepoli: Gli uomini chi dicono che sia il Figlio dell’uomo? Essi risposero: Alcuni dicono che è Giovanni Battista, altri Elia, altri ancora Geremia o qualche altro profeta. Disse loro Gesú: E voi, chi dite che io sia? Simone Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente. E Gesú: Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne o il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io darò a te le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli.]

OMELIA

IL PAPA

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi – S. Ed. Vita e Pensiero: VI ed., Milano, 1956]

Pietro! quest’uomo dalle larghe spalle di pescatore, dalle mani rosse per l’acqua e per il sole, dalla barba rotonda rischiarata da un sorriso bonario, dagli occhi teneri e azzurri come il lago in cui escava, oggi ci viene davanti all’animo così come noi lo conosciamo dai due episodi più salienti della sua vita: l’uomo della fede e dell’amore. Una volta Gesù si rivolge ai dodici e domanda loro improvvisamente : « Che dice di me la gente ?» – « Dicono che sei Elia », risposero alcuni. « Dicono che sei Geremia, risposero altri.

« Che sei il Battista! che sei un profeta! » risposero altri e altri ancora. – Gesù interruppe quelle discordanti testimonianze, dicendo: « Ma voi, voi che pensate di me? chi sono Io per voi? ». Ci fu un momento di silenzio. Allora Simone, quel Simone che aveva lasciato il suo lago, le reti, la barca, la casa, il padre, non aveva dubitato di balzar dalla barca e camminar sui flutti in mezzo al lago, quel medesimo Simone s’elevò al di sopra dei dodici, al di sopra di tutti gli uomini ed esclamò: « Tu sei il Cristo, Figlio di Dio».

In questa risposta voi vedete Pietro: l’uomo della fede. Ma un’altra volta Gesù lo prende in disparte. Si era sulle rive del lago, uno degli ultimi quaranta giorni che il Redentore, passò sulla terra dopo la sua Risurrezione. Lo fissa negli occhi e gli domanda tre volte: « Pietro mi ami tu? mi vuoi bene più di tutti gli altri? ». Pietro a quella triplice domanda, si ricorda della sua triplice negazione. E cominciò a tremare di dolore e soprattutto d’amore: « Signore! — rispose quasi singhiozzando, – Tu che sai tutto, vedi bene, quanto ti amo! E voleva dire, ma non osava: « Con tutta la vita, fino alla morte ». In quest’altra risposta voi vedete ancora Pietro: l’uomo dell’amore. Fede e amore: luce che illumina, fuoco che riscalda. Questa è l’anima di S. Pietro.

Ma questa è pure l’anima del Papa! Poiché il Papa non è che S. Pietro che si rinnova con perpetua vicenda nei secoli.

1° – Il Papa è la verità che guida tutto il mondo.

2° – Il Papa è l’amore che guida tutto il mondo.

1. IL PAPA È LA VERITÀ CHE GUIDA TUTTO IL MONDO

Torbidi tempi per la giovane Chiesa di Cristo. In Alessandria, un uomo smanioso di dominio, Dioscoro, andava spargendo nel Popolo dottrine false. A Costantinopoli un archimandrita di nome Eutiche con ardente parola sviluppava gli errori di Dioscoro. « Cristo — dicevano — non fu un uomo vero come noi, ma ebbe soltanto una unica natura, la divina ». Ma i Vescovi s’accorsero dell’abisso in cui si stava per cadere: negato Cristo uomo, troppo facilmente si sarebbe negato anche Cristo Dio; e tutta la nostra fede, per cui già milioni di martiri avevano dato il proprio sangue, sarebbe stata rovesciata nell’errore. Per ciò si proclamò un Concilio. E dall’Africa, e dall’Italia e dalla Siria convennero a Calcedonia 630 Vescovi. Già da più giorni si discuteva, quando arrivò una lettera stupenda di papa Leone. Tutti l’ascoltarono in silenzio, poi uno si alzò, in mezzo a tutti, gridando: « Pietro ha parlato per bocca di papa Leone ». Allora da tutti i petti eruppe un grido di vittoria: « Questa è la fede degli Apostoli; così, tutti crediamo ». – Quello che avvenne a Calcedonia ci esprime chiaramente che il Papa è l’infallibile guida di verità. Chi lo segue non cammina nelle tenebre del falso. Quando il Papa parla, ogni questione è finita, disse S. Agostino; perché il Papa ha la parola della verità. Ed è un dogma di fede che il Papa non sbaglia mai quando con tutta la forza della sua autorità definisce qualche dottrina di fede e di morale. – La storia del pensiero umano è qualche cosa di commovente: è l’uomo spinto dal desiderio di sapere che ascende alla cognizione del mondo e alla scoperta dei misteri della natura. Ma quanti spropositi. Quelle dottrine che prima si ritenevano come verità, ora si rigettano come errori. Ai tempi di S. Tommaso tutti i fisici credevano che la terra fosse circondata da una zona d’aria, e la zona d’aria fosse circondata da una zona di fuoco. Oggi queste ingenuità ci fanno sorridere. – Ci furono di quelli che insegnarono che il mondo si è fatto da solo, per un caso; altri non ebbero vergogna di proclamarsi discendenti dalle bestie, altri infine giunsero a negare la propria esistenza per dire che tutto il mondo è un sogno. In quali confusioni non è mai trascinata la superba scienza degli uomini. Ma sulla terra, dove tutto muta, e soprattutto mutano le parole e le teorie degli uomini, vi ha un miracolo d’una Cattedra che da venti secoli non ha mai cambiato una parola: è la cattedra di Roma. Il Credo che imparammo sulle ginocchia materne e che insegnammo ai nostri figliuoli è il Credo che hanno recitato i nostri nonni, i nostri bisnonni, che hanno recitato i primi Cristiani: è il Credo degli Apostoli. E quello che ogni Papa insegna in solenne ammaestramento dei fedeli, non si cancellerà più, ma starà in eterno. So bene che il demonio, più volte, ha cercato di addensare nella Chiesa di Dio le tenebre dell’errore: «Simone! Simone! — aveva detto Gesù si primo Papa — ecco satana che ti agiterà come nel cribio si agita il grano… E satana suscitò Simon Mago che voleva comprare col danaro lo Spirito Santo. Suscitò Cerinto, Valentino, Marcione e tutti gli eretici dei primi secoli. Suscitò Eutiche e i Doceti a negarne la umanità. Suscitò Fozio a dividere in mezzo la Chiesa. Suscitò Lutero a dilaniarla in brani. Ed anche ai nostri giorni suscita i moderni increduli coi loro libri osceni ed atei. [Nei tempi recenti ha suscitato gli antipapi Roncalli e Montini, l’eretico polacco, un eretico tedesco, ed un eretico sudamericano – ndr. -], « .. ma io ho pregato per te, o Pietro! » — La preghiera di Gesù ha reso infallibile il Papa. Passarono e passeranno tutti i nemici della verità come le onde del Tevere passano sotto i ponti di Roma; ma il Papa sta e non cambia. Chi non è col Papa è nell’errore, perché solo il Papa è la verità. E di lui si potrebbero ripetere le parole di S. Paolo: « Se anche un Angelo vi annunciasse qualcosa di diverso di quello che il Papa insegna, non credeteci perché sbaglia ».

2. IL Papa È L’AMORE CHE AMA TUTTO IL MONDO

Un poeta latino scrisse questo verso tremendo: Te regere imperio Populos, Romane, memento! Ricordati, o romano, che tu sei nato a comandare sui Popoli con la forza. Noi, venuti dopo, sappiamo come ha fallito il verso di Virgilio. La Roma conquistatrice e usurpatrice, la Roma della forza brutale, che aggiogava al suo carro i popoli, si è sfasciata sotto le sue rovine. Ma un’altra Roma è sorta che trionfa e trionferà senza fine e senza rovine: la Roma cristiana. Non è più però con la forza che Roma cristian è più con la spada, ma è con i1 cuore, Te regere amore populos, Romane, memento! – O Roma, tu sei nata a vincere i Popoli Quando con l’amore. – Quando l’Italia. fu invasa dai barbari, quando Attila incendiario flagellava le nostre contrade, quando gli Eruli di Odoacre e i Goti di Teodorico Agilulfo uccidevano e devastavano senza pietà, fu l’amore del Papa che ci ha salvato; che ha respinto il barbaro con la maestà del suo volto, che ha raccolto gli orfani, gli ammalati, che ha sostenuto le vedove e i poveri. –  E quando nell’Africa e nell’America persone infami rapivano e mercanteggiavano i poveri negri strappati dalle loro tribù e dai loro villaggi di paglia, chi si è levato a difenderli, a salvarli, se non l’amore del Papa? E quando la Polonia fu perseguitata dai Russi e le volevano imporre una lingua ed una fede che non era la sua, ed i preti erano calunniati di tradimento ed i fedeli feriti e carcerati, fu il Papa che chiamò a Roma lo Czar. L’imperatore delle Russie sale al Vaticano; sulla porta, solo inerme stanco dagli anni  e dai travagli, lo attende un vecchio bianco, il papa Gregorio XVI. Con le lacrime agli occhi dice: « Sire, verrà un giorno in cui entrambi compariremo dinanzi al tribunale di Dio, Io vecchio, prima; ma anche voi, dopo. Sire, pensateci bene: Dio ha istituito i re perché siano padri e non i carnefici dei loro popoli! » – Pallido, muto, smarrito, lo Czar discese e partì. – Un’altra volta è Filippo Augusto re di Francia che, dopo aver sposato Ingelburga, figlia del re di Danimarca, la vuol ripudiare. Raduna a Compiègne un conciliabolo e respinge Ingelburga e sposa Agnese di Merania. L’infelice regina, lontana dai suoi, quando sentì l’amara sorte d’essere scacciata, scoppiò in un grido: « Roma! Roma! ». – Oh, com’è bello questo grido di un’anima oppressa che invoca da Roma la sua giustizia! È una pecora del gregge che, assalita da lupo, col suo belato chiama al pastore. E il Papa ascolta questo lamento di agnello, e lancia la maledizione sul lupo ed il suo regno. E Filippo Augusto dovette rendere giustizia alla sua sposa. O Roma, tu sei nata a vincere con l’amore! Quando però gli uomini non ascoltano la sua voce d’amor ecco il Papa che soffre, non sa resistere e muore, Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis. – Si era nella primavera del 1914: l’ultimatum dell’Austria alla Serbia, non lasciava alcun dubbio sopra le intenzioni bellicose degli imperi centrali. Pio X aveva troppa intuizione per non comprendere ciò che sovrastava al mondo. L’Ambasciatore di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, venne a Roma ed osò domandargli la benedizione sopra le armate austriache. Il Papa lo guardò come indignato e disse: « Io benedico la pace e non la guerra ». – Ma vedendo che ormai ogni suo sforzo era disperato e che per i suoi figli non poteva far niente, fuor che piangere e benedire, sentì la sua salute già scossa peggiorare nell’angoscia e nel dolore. Quando gli portarono le notizie del primo sangue sparso, il suo cuore paterno scoppiò e morì martire d’amore per il suo gregge dilaniato. Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis. Ed anche oggi chi leva la sua voce contro il sangue inutile, gli odi, le ingiustizie, e oppressioni? il Papa! [quello vero -ndr. -]. Solo la sua voce risuona sempre pura e disinteressata fra tanti egoismi e prepotenze. La sua voce viene da un cuore pieno d’infinito amore: il Cuore di Gesù. –   È bello ricordare anche qui l’ardente parola che S. Paolo scrisse a quei di Corinto: «Se qualcuno non ama Nostro Signor Gesù Cristo, sia anatema! ». Scomunicato, fuor della Chiesa, chi non ama Gesù Cristo? Ma il Papa non è il dolce Cristo in terra? Allora, con verità, possiamo applicare a lui il detto paolino: « Se qualcuno non ama il Papa, sia anatema! ». – Non basta amarlo a parole, ma bisogna amarlo in opere e in verità. E il Papa lo si ama quando si prega per lui: egli è nostro padre e ogni figlio deve pregare per suo padre. Il Papa lo si ama, quando lo si ascolta: la sua parola deve essere studiata con amore, creduta con fermezza, praticata con volontà.  Il Papa lo si ama quando il nostro obolo è generoso per Lui. Le Missioni, le chiese povere, i seminari, gli orfanotrofi, tutte le miserie del mondo volgono al Papa la loro voce. E il Papa come le potrebbe soccorrere? Amiamo il Papa.

IL CREDO


Offertorium


Orémus
Ps 44:17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine, in omni progénie et generatióne.

[Li costituirai príncipi su tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore, di generazione in generazione.]

Secreta

Hóstias, Dómine, quas nómini tuo sacrándas offérimus, apostólica prosequátur orátio: per quam nos expiári tríbuas et deféndi

[Le offerte, o Signore, che Ti presentiamo, affinché siano consacrate al tuo nome, vengano accompagnate dalla preghiera degli Apostoli, mediante la quale Tu ci conceda perdono e protezione.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt XVI: 18
Tu es Petrus, ei super hanc petram ædificabo Ecclésiam meam.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœlésti, Dómine, aliménto satiásti: apostólicis intercessiónibus ab omni adversitáte custódi.

[Quelli, o Signore, che Tu saziasti di un alimento celeste, per intercessione degli Apostoli, proteggili contro ogni avversità.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

P.S. La redazione tutta in festa, augura all’Augusto Pontefice regnante, S. S. Gregorio XVIII, successore di S. S. Gregorio XVII – G. Siri – ovunque si trovi, una buona Festa di San Pietro, assicurandogli la preghiera di tutti noi, pusillus grex cattolico, per la sua salute e la sua liberazione. Auguri Santità! W il Papa!

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti venti.

La liturgia di questa Domenica è consacrata al perdono delle offese. La lettura evangelica mette in risalto questa lezione non meno che quella d’un passo delle Epistole di S. Pietro, la cui festa è celebra in questo tempo: infatti la settimana della V Domenica di Pentecoste era in altri tempi detta settimana dopo la festa degli Apostoli.

Quando David riportò la sua vittoria su Golia, il popolo d’Israele ritornò trionfante nelle sue città e al suono dei tamburi cantò: «Saul ha ucciso mille e David diecimila! ». Il re Saul allora si adirò e la gelosia lo colpì. Egli pensava: « Io mille e David diecimila: David è dunque superiore a me? Che cosa gli manca ormai se non d’essere re al mio posto? » Da quel giorno lo guardò con occhio malevolo come se avesse indovinato che David era stato scelto da Dio. Così la gelosia rese Saul cattivo. Per due volte mentre David suonava la cetra per calmare i suoi furori, Saul gli lanciò contro il giavellotto e per due volte David evitò il colpo con agilità, mentre il giavellotto andava a conficcarsi nel muro. Allora Saul lo mandò a combattere, sperando che sarebbe rimasto ucciso. Ma David vittorioso tornò sano e salvo alla testa dell’esercito. Saul allora ancor più perseguitò David. Una sera entrò in una  caverna profonda e scura, ove già si trovava David. Uno dei compagni disse a quest’ultimo: « È il re. Il Signore te lo consegna, ecco il momento di ucciderlo con la tua lancia ». Ma David rispose: « Io non colpirò giammai colui che ha ricevuto la santa unzione e tagliò solamente con la sua spada un lembo del mantello di Saul e uscì. All’alba mostrò da lontano a Saul il lembo del suo mantello. Saul pianse e disse: « Figlio mio, David, tu sei migliore di me ». Un’altra volta ancora David lo sorprese di notte addormentato profondamente, con la lancia fissata in terra, al suo capezzale e non gli prese altro che la lancia e la sua ciotola. E Saul lo benedisse di nuovo; ma non smise per questo di perseguitarlo. Più tardi i Filistei ricominciarono la guerra e gli Israeliti furono sconfitti; Saul allora si uccise gettandosi sulla spada. Quando apprese la morte di Saul non si rallegrò ma, anzi, si stracciò le vesti, fece uccidere l’Amalecita che, attribuendosi falsamente il merito di avere ucciso il nemico di David, gli annunciò la morte apportandogli la corona di Saul, e cantò questo canto funebre: « O montagne di Gelboe, non scenda più su di voi né rugiada, né pioggia, o montagne perfide! Poiché su voi sono caduti gli eroi di Israele, Saul e Gionata, amabili e graziosi, né in vita, né in morte non furono separati l’uno dall’altro » (Bisogna riaccostare questo testo a quello nel quale la Chiesa dice, in questo tempo, che S Pietro e S. Paolo sono morti nello stesso giorno). – Da tutta questa considerazione nasce una grande lezione di carità, poiché come David ha risparmiato il suo nemico Saul e gli ha reso bene per male, così Dio perdona anche ai Giudei; non ostante la loro infedeltà, è sempre pronto ad accoglierli nel regno ove Cristo, loro vittima, è il Re. Si comprende allora la ragione della scelta dell’Epistola e del Vangelo di questo giorno: predicano il grande dovere del perdono delle ingiurie « Siate dunque uniti di cuore nella preghiera, non rendendo male per bene, né offesa per offesa » dice l’Epistola. « Se tu presenti la tua offerta all’altare, dice il Vangelo, e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello ». — David, unto re di Israele, dagli anziani a Ebron, prende la cittadella di Sion che divenne la sua città, e vi pose l’arca di Dio nel santuario (Com.). Fu questa la ricompensa della sua grande carità, virtù indispensabile perché il culto degli uomini nel santuario sia gradito a Dio (id.). Ed è per questo che l’Epistola e il Vangelo ribadiscono che è soprattutto quando noi ci riuniamo per la preghiera che dobbiamo essere uniti di cuore. Senza dubbio la giustizia di Dio ha i suoi diritti, come lo mostrano la storia di Saul e la Messa di oggi, ma se esprime una sentenza, che è un giudizio finale, è soltanto dopo che Dio ha adoperato tutti i mezzi ispirati dal suo amore. Il miglior mezzo per arrivare a possedere questa carità è d’amare Dio e di desiderare 1 beni eterni (Or.) e il possesso della felicità (Epist.) nella dimora celeste (Com.), ove non si entra se non mediante la pratica continua di questa bella virtù.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7; 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timébo?

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò?]

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Oratio

Orémus.

Deus, qui diligéntibus te bona invisibília præparásti: infúnde córdibus nostris tui amóris afféctum; ut te in ómnibus et super ómnia diligéntes, promissiónes tuas, quæ omne desidérium súperant, consequámur.

[O Dio, che a quanti Ti amano preparasti beni invisibili, infondi nel nostro cuore la tenerezza del tuo amore, affinché, amandoti in tutto e sopra tutto, conseguiamo quei beni da Te promessi, che sorpassano ogni desiderio.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet III: 8-15

“Caríssimi: Omnes unánimes in oratióne estóte, compatiéntes, fraternitátis amatóres, misericórdes, modésti, húmiles: non reddéntes malum pro malo, nec maledíctum pro maledícto, sed e contrário benedicéntes: quia in hoc vocáti estis, ut benedictiónem hereditáte possideátis. Qui enim vult vitam dilígere et dies vidére bonos, coérceat linguam suam a malo, et lábia ejus ne loquántur dolum. Declínet a malo, et fáciat bonum: inquírat pacem, et sequátur eam. Quia óculi Dómini super justos, et aures ejus in preces eórum: vultus autem Dómini super faciéntes mala. Et quis est, qui vobis nóceat, si boni æmulatóres fuéritis? Sed et si quid patímini propter justítiam, beáti. Timórem autem eórum ne timuéritis: et non conturbémini. Dóminum autem Christum sanctificáte in córdibus vestris.”

“Carissimi: Siate tutti uniti nella preghiera, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma al contrario benedite, poiché siete stati chiamati a questo: a ereditare la benedizione. In vero, chi vuole amare la vita e vedere giorni felici raffreni la sua lingua dal male e le sue labbra dal tesser frodi. Schivi il male e faccia il bene, cerchi la pace e si sforzi di raggiungerla. Perché gli occhi del Signore sono rivolti al giusto e le orecchie di lui alle loro preghiere. Ma la faccia del Signore è contro coloro che fanno il male. E chi potrebbe farvi del male se sarete zelanti del bene! E arche aveste a patire per la giustizia, beati voi! Non temete la loro minaccia, e non vi turbate: santificate nei vostri cuori Gesù Cristo”.

Anche l’Epistola di quest’oggi è tolta dalla I. lettera di S. Pietro. È naturale che, scrivendo ai Cristiani dispersi dell’Asia minore, tenga sempre presente la condizione in cui si trovano: sono pochi fedeli tra numerosi pagani, e sono sotto la persecuzione di Nerone. Come devono diportarsi? devono vivere in stretta unione fra di loro, mediante la misericordia, la compassione, la condiscendenza; essendo stati chiamati al Cristianesimo a render bene per male, affinché abbiano per eredità la benedizione celeste. Non trattino con la stessa misura quelli che fanno loro del male. La vita felice è per chi raffrena la lingua, evita il male e procura di aver pace con il prossimo. Del resto i giusti non sono abbandonati dal Signore, e nessuno può loro nuocere, se sono zelanti del bene. Quanto alla persecuzione, beati loro se hanno a soffrire qualche cosa per la religione cristiana. Siano, quindi, calmi, senza ombra di timore: onorino, invece, e temano Gesù Cristo. Anche noi, dobbiamo procurare di vivere una vita felice, per quanto è possibile tra le miserie e le persecuzioni di questo mondo. Sforziamoci di vivere in pace, ciò che ci è possibile con l’aiuto di Dio, anche tra le tempeste di quaggiù.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

Graduale

Ps LXXXIII: 10; 9

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice super servos tuos.

[O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo a noi, tuoi servi]

V. Dómine, Deus virtútum, exáudi preces servórum tuórum. Allelúja, allelúja

[O Signore, Dio degli eserciti, esaudisci le preghiere dei tuoi servi. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XX: 1

Alleluja, alleluja Dómine, in virtúte tua lætábitur rex: et super salutáre tuum exsultábit veheménter. Allelúja.

[O Signore, nella tua potenza si allieta il re; e quanto esulta per il tuo soccorso! Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt. V: 20-24

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nisi abundáverit justítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dictum est antíquis: Non occídes: qui autem occídent, reus erit judício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit judício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fatue: reus erit gehénnæ ignis Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.”

(In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Avete sentito che è stato detto agli antichi: Non uccidere; chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. Chi avrà detto a suo fratello: raca, imbecille, sarà condannato nel Sinedrio. E chi gli avrà detto: pazzo; sarà condannato al fuoco della geenna. Se dunque porti la tua offerta all’altare e allora ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, e poi, ritornato, fa la tua offerta).

Omelia

[da: DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933.

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sul secondo Comandamento di Dio. Non nominare il nome di Dio invano.

Fa gran meraviglia, F. M., che Dio sia obbligato a farci un comando per proibirci di profanare il suo santo Nome. È possibile concepire che vi possano essere Cristiani i quali si abbandonino talmente al demonio, da diventare nelle sue mani strumento per maledire un Dio sì buono e sì benefico? E possibile che una lingua, consacrata a Dio nel santo Battesimo, bagnata tante volte dal suo Sangue adorabile, sia adoperata per maledire il suo Creatore? Potrebbe fare una cosa simile chi crede davvero che Dio non gliel’ha data che per benedirlo e cantare le sue lodi? Voi converrete meco che questo è un delitto spaventoso che sembra costringere Dio a schiacciarci con ogni sorta di sventure, e ad abbandonarci al demonio, al quale obbediamo con tanto zelo. Questo delitto fa rizzare i capelli a chiunque non abbia ancor perduto interamente la fede. Tuttavia, malgrado la gravità di questo peccato, malgrado il suo orrore e la sua atrocità, vi è forse un peccato più comune del giuramento, della bestemmia, dell’imprecazione, della maledizione? Non abbiamo forse il dolore di sentire spesso uscire dalla bocca di fanciulli, che non sanno ancora bene il Pater noster, bestemmie così enormi da attirare ogni sorta di maledizioni su una parrocchia? Io vi mostrerò adunque, F. M., che cosa s’intenda per giuramento, per bestemmia, rinnegazione, imprecazione e maledizione. E voi intanto dormite, dormite profondamente mentre io parlo, affinché nel giorno del giudizio abbiate la scusa di aver fatto il male senza sapere cosa facevate, e la vostra ignoranza sia il solo motivo della vostra condanna.

I. — Per farvi comprendere la gravità di questo peccato, bisognerebbe, ch’io potessi farvi comprendere la gravità dell’oltraggio ch’esso arreca a Dio; ciò che non sarà mai dato a un essere mortale. No. M. F., non c’è che l’inferno, non c’è che la collera, la potenza e il furore di un Dio, tutti adunati sopra quei mostri infernali, che possano far comprendere la grandezza della sua atrocità. No, no, F. M., più innanzi: per questo peccato ci vuole davvero un inferno eterno. D’altra parte, non è il mio assunto: io voglio soltanto farvi conoscere la differenza che passa tra il giuramento, la bestemmia, la rinnegazione, l’imprecazione, la maledizione e le parole grossolane. Molti le confondono e prendono una cosa per l’altra; ragione per cui non si confessano quasi mai, come si deve, e si espongono perciò a far cattive confessioni e, per conseguenza, a dannarsi.

Il secondo comandamento, suona così: “Non usare invano il Nome del Signore tuo Dio, „ come se il Signore ci dicesse: “Io vi ordino e vi comando di riverire questo Nome, perché santo e adorabile; Io vi proibisco di profanarlo, adoperandolo per autorizzare l’ingiustizia, la menzogna, o anche la verità, ma quando non c’è una ragione sufficiente, „ e Gesù Cristo ci dice di non giurare assolutamente. Io dico in primo luogo, che le persone poco istruite, confondono spesso la bestemmia col giuramento. Uno sciagurato, in un momento di collera, o, meglio, di furore, dirà: “Dio non è giusto facendomi soffrire o perdere questa cosa.„ Con ciò egli ha rinnegato il buon Dio; eppure s’accuserà dicendo: “Padre, mi accuso d’aver giurato, „ invece si tratta di una bestemmia, non di un giuramento. Uno sarà falsamente accusato di un fallo, che non ha commesso: per giustificarsi dirà: “Se io ho fatto ciò, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno,,. Non è un giuramento, ma un’orribile imprecazione. Ecco due peccati non meno gravi del giuramento. Un altro che avrà dato al suo vicino del ladro o del furfante, s’accuserà « d’aver giurato dietro al suo vicino. » Ora, ciò non è un giurare, ma un ingiuriarlo. Un altro, dirà parole sconce e disoneste, e si accuserà “d’aver detto cattive espressioni.„ V’ingannate; bisogna confessare che avete detto delle oscenità. Ecco, F. M., che cosa è il giuramento: è un prendere il buon Dio per testimonio di ciò che si dice o promette; e lo spergiuro è un giuramento falso, cioè quando si giura per garantire una menzogna. Il Nome del buon Dio è sì santo, sì grande, sì adorabile che gli Angeli e i santi, ci dice S. Giovanni, non fanno altro in cielo che cantare: « Santo, santo, santo il Dio degli eserciti: sia benedetto il suo Nome per tutti i secoli dei secoli ! » Quando la santa Vergine andò a visitare la cugina Elisabetta e questa santa le disse: “Quanto sei tu fortunata di essere stata eletta Madre di Dio, „ la santa Vergine le rispose: « Colui che è onnipotente e il Nome del quale è santo, ha operato in me grandi cose. „ Noi dovremmo adunque, F. M., aver gran rispetto per il Nome del buon Dio e non pronunciarlo mai se non colla massima venerazione, e molto meno pronunciarlo invano. S. Tommaso ci dice che pronunciare il Nome di Dio invano, è un peccato grave; e che non è un peccato come gli altri. Negli altri peccati la leggerezza della materia può diminuire l’atrocità e la malizia, e, bene spesso ciò che per sua natura sarebbe peccato mortale non è che veniale; come il furto, che è un peccato mortale; ma se si tratta di poca cosa, come due o tre soldi, non sarà che veniale. La collera e la gola sono peccati mortali, ma una piccola collera o una piccola golosità sono semplicemente veniali. Non è così per il giuramento: qui più la materia è leggiera più la profanazione è grande! (Ogni bestemmia ha in sé la materia d’un peccato mortale, perché essa è un’ingiuria alla Maestà divina, e questa ingiuria non ammette parvità di materia per ragione della sovrana dignità di Dio. Il peccato adunque non può diventar veniale se non per difetto d’attenzione o di consenso). Perché? Perché più leggiera è la materia, e più grande è la profanazione. Se uno pregasse il re di fargli da testimonio in una sciocchezza, non sarebbe un burlarsi dì lui e un disprezzarlo? Il buon Dio ci dice che chi giurerà nel suo Nome sarà rigorosamente punito. Leggiamo nella santa Scrittura che, ai tempi di Mosè, c’erano due uomini, di cui uno giurò nel Nome santo del Signore. Subito fu preso e condotto a Mosè, il quale domandò al Signore che cosa dovesse farne. E il Signore gli disse di condurlo in un campo e comandare a tutti quelli ch’erano stati testimoni di questa bestemmia di mettergli la mano sul capo e ucciderlo, per togliere questo bestemmiatore di mezzo al suo popolo (Lev. XXIV, 14).  Lo Spirito Santo ci dice ancora che la casa di chi è avvezzo a giurare sarà piena di iniquità e non ne uscirà la maledizione fin che non sia distrutta (Eccli. XXIII, 12). Il Nostro Signore Gesù Cristo ci dice nel Vangelo di non giurare ne per il cielo né per la terra, poiché né l’uno né l’altra ci appartengono. Quando vorrete assicurare gli altri di una cosa, dite: “È così, o non è così; sì o no; l’ho fatto o non l’ho fatto; il di più vien tutto dal demonio (Matth. V, 34-37).„ D’altra parte chi ha l’abitudine di giurare è di solito impetuoso, attaccato al proprio giudizio, e giura sempre, per la verità come per la menzogna. — Ma. si dirà, se non giuro, non mi si crede. — V’ingannate; non si crede mai così poco come a uno che giura, perché ciò fa supporre in lui nessuna Religione, e chi non ha religione non è degno di esser creduto. Ci sono alcuni che non sanno vendere la minima cosa senza giurare, quasi che il loro giuramento facesse diventar buona la loro merce. Quando si vede un mercante che, per vendere, giura, bisogna pensar subito ch’egli non ha fede, e quindi mettersi in guardia per non lasciarsi ingannare. I suoi giuramenti fanno orrore e non gli si crede. Invece se uno non giura, noi crederemo a ciò che dice. – Leggiamo nella storia un esempio riportato dal cardinale Bellarmino, il quale ci mostra come il giuramento non giova a niente. C’erano in Colonia, dice egli, due mercanti che pareva non potessero vendere senza giurare. Il loro pastore li esortò fortemente a lasciare quest’abitudine assicurandoli che, ben lungi dal perderci, ci avrebbero guadagnato molto. Essi seguirono il suo consiglio. Ma, per qualche tempo, non vendettero molto. Allora andarono a trovare il loro pastore e gli dissero che non vendevano tanto quanto egli aveva fatto loro sperare. Il pastore disse loro: « Abbiate pazienza, miei figliuoli: siate sicuri che Dio vi benedirà. „ Infatti, dopo qualche tempo il concorso fu sì grande che pareva dessero la merce per niente. Essi stessi riconoscevano che il buon Dio li benediceva in un modo particolare. — Lo stesso cardinale ci dice che c’era una buona madre di famiglia che aveva una gran abitudine di giurare: a forza di farle capire quanto questi giuramenti erano indegni d’una madre e che ella non faceva altro che attirare la maledizione di Dio sulla sua casa, riuscì a correggersi completamente; e allora confessò ella stessa che, da quando aveva perduta questa cattiva abitudine, vedeva che tutto le riusciva bene e che Dio la benediceva in modo affatto particolare. Volete voi, F. M., esser felici nella vostra vita e che Dio benedica le vostre case? Guardatevi dal giurare e vedrete che tutto vi riuscirà bene. Iddio ci dice che, sulla casa in cui regnerà il giuramento, piomberà la maledizione del Signore e la distruggerà. E perché, M. F., v’abbandonerete al giuramento, se il buon Dio lo proibisce sotto pena di renderci infelici in questa vita e riprovarci nell’altra? Ahimè! come conosciamo poco ciò che facciamo! Ebbene: lo conosceremo un giorno; ma troppo tardi! In secondo luogo, dico che vi è un giuramento anche più cattivo, ed è quando al giuramento si aggiungono parole di esecrazione, cosa che fa tremare; come gli sciagurati che dicono: “Se ciò che dico non è vero, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno! „ Ah! disgraziati! voi rischiate purtroppo di non vederla mai. Altri dicono: “Se ciò non è vero, ch’io perda il mio posto in paradiso! Dio mi danni! o che il demonio mi porti via ! … „ Ah! vecchio indurito! il demonio ti porterà con sé purtroppo, senza che tu ti dia anticipatamente a lui. Quanti altri hanno sempre il demonio in bocca, alla minima cosa che non vada loro a genio. – Diavolo d’un ragazzo!… diavolo d’una bestia!… diavolo d’un lavoro!… „ Ahimè! chi ha sì spesso il demonio in bocca, c’è ben da temere l’abbia anche nel cuore. Quanti altri non sanno che dire : “Si, per fede mia!… no, in fede mia! … cane d’un ragazzo!… „ oppure anche: “In verità!… sulla mia coscienza!… sulla mia fede di Cristiano!… „ C’è un’altra specie di giuramenti, di maledizioni, che nessuno pensa di confessare, e sono quelli che si fanno in cuore. C’è di quelli che credono che, perché non lo dicono con la bocca, non ci sia niente di male. Ma v’ingannate assai, amici miei. Avviene che qualcuno faccia qualche danno alle nostre terre o altrove qualche guasto? Voi imprecate loro nel vostro cuore, e li maledite dicendo:  « Almeno il diavolo se li portasse via!… che il fulmine li schiacci!… che queste rape o quelle patate li avvelenino mentre le mangiano!… „ E questi pensieri li conservate a lungo nei vostri cuori! E credete forse che, perché non li manifestate con la bocca, non siano nulla! Sono peccati gravi, miei amici, e bisogna pur che ve ne confessiate, altrimenti andrete perduti! Ahimè! quanto pochi conoscono lo stato della loro povera anima, quale apparisce agli occhi di Dio! In terzo luogo, ci sono altri, ancor più colpevoli, i quali giurano non solo per cose vere, ma anche per cose false. Ah! se voi poteste comprendere quanto la vostra empietà disprezza allora Iddio, non avreste, certo, mai il coraggio di commetterla. Voi vi comportate allora con Dio, come un vile schiavo che dica al suo re: « Sire, è necessario che mi facciate da falso testimonio. » Ciò non vi fa orrore, M. F.? Il Signore ci dice nella santa Scrittura: « Siate santi, poiché Io sono santo. Non mentite, non ingannate il prossimo, non spergiurate prendendo il nome del Signore vostro Dio a testimoniare una menzogna; non profanate il nome del Signore. » S. Giovanni Crisostomo ci dice: « Se è già un gran peccato giurare per una cosa vera, quale sarà la gravità del delitto di colui che giura il falso, per garantire la menzogna? » Lo Spirito Santo ci dice che il bugiardo perirà. Il profeta Zaccaria ci assicura che la maledizione verrà sulla casa di colui che giurerà il falso, e vi resterà finche quella casa sia abbattuta e distrutta. – S. Agostino ci dice che lo spergiuro è un grave delitto, una bestia feroce che fa uno strazio spaventoso. E ciò che rende ancor più grave questo peccato è che ci son di quelli che, al falso giuramento, aggiungono una bestemmia d’imprecazione. « Se ciò non è vero ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno!… che Dio mi danni!… che il demonio mi porti via! … » Ah! sciagurati! se il buon Dio v’avesse preso in parola, dove sareste voi ora? Da quanti anni non brucereste nell’inferno! Dite, F. M., è possibile concepire che un Cristiano possa rendersi colpevole d’un tal delitto, di una così grande mostruosità? O mio Dio! Un verme della terra spingere la sua barbarie a un tal eccesso? No, no, F. M., ciò è assolutamente inconcepibile in un Cristiano. Dovete altresì esaminarvi se abbiate avuto l’intenzione di giurare semplicemente, ovvero di giurare il falso, e quanti giorni abbiate mantenuto questo pensiero; vale a dire quanto tempo siete stati nella disposizione di farlo. Buona parte dei Cristiani a questo non bada neppure, sebbene sia un peccato grave. — Ma, mi direte voi, è vero che ci avevo pensato, ma non l’ho fatto. — Voi non l’avete fatto, ma il vostro cuore sì; e, poiché siete ancora nella disposizione di farlo, voi siete colpevole dinanzi a Dio. Ahimè! Povera religione! quanto poco sei conosciuta! Abbiamo nella storia un esempio terribile del castigo che spetta a coloro che giurano il falso. Ai tempi di S. Narciso, vescovo di Gerusalemme, tre giovani libertini, che s’abbandonavano alla disonestà, calunniarono orribilmente il loro santo Vescovo, accusandolo dei loro propri delitti, nella speranza che egli non avrebbe osato riprenderli delle colpe loro. Si presentarono davanti ai giudici dicendo che il Vescovo aveva commesso tale peccato. Il primo disse: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser soffocato! „ Il secondo: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser bruciato vivo! » Il terzo: « Se ciò non è vero, ch’io perda la vista! » — Ahimè! la giustizia di Dio non tardò a punirli: il primo fu davvero soffocato e morì miseramente; il secondo bruciò vivo nella sua casa, incendiata da un razzo di fuochi d’artifizio durante una festa che si faceva in città; il terzo, benché punito, fu meno infelice degli altri: egli riconobbe il proprio fallo, ne fece penitenza e ne pianse tanto che perdette la vista. — Un altro esempio, non meno terribile. Leggiamo nella storia: essendo re d’Inghilterra S. Edoardo, il conte Gondevino, suo suocero, era sì geloso e orgoglioso che non voleva soffrire alcuno vicino al re. Il re un giorno gli rinfacciò ch’egli aveva partecipato alla morte di suo fratello. « Se ciò è vero, rispose il conte, che questo boccon di pane mi soffochi. „ Il re prese il pane e lo benedisse senza dubitare di nulla. L’altro mangiò; ma il boccone gli si fermò in gola, lo soffocò, sicché lo spergiuro morì sull’istante. — Dopo questi terribili esempi, convenite meco, F. M., che questo peccato dev’essere ben mostruoso agli occhi di Dio, se Egli lo punisce così terribilmente. Ci sono anche padri e madri, padroni e padrone che hanno sempre in bocca di queste frasi: “Carogna d’un ragazzo!… bestia!… imbecille!… crepa una buona volta, finirai di tormentarmi!… Vorrei esser lontano da te le mille miglia!… Dio ti castighi una buona volta!… „ e aggiungono alle imprecazioni i titoli più sconciamente offensivi, applicandoli alle persone contro cui sono dirette, anche le più care. Sì, F . M., ci sono genitori sì poco Cristiani, che hanno sempre in bocca queste parole. Ahimè! quanti poveri figliuoli sono deboli e infermi, intrattabili, viziosi per le maledizioni dei loro padri e delle loro madri! Leggiamo nella storia che una madre disse a un suo figliuolo: « Non creperai mai dunque, o tormento?… » E il povero fanciullo cadde morto a’ suoi piedi. — Un’altra disse a suo figlio: “Che il diavolo ti porti via! „ e il fanciullo disparve senza che alcuno abbia potuto sapere dove fosse andato. Mio Dio! quale sventura per il figlio, quale sventura per la madre! — Nella provincia di Valesia c’era un uomo rispettabilissimo per la sua condotta. Un dì, tornato da un viaggio, chiamò il suo domestico con modo assai sgarbato. « Vieni adunque, gli disse, diavolo d’un servo, levami le calze! „ All’istante le sue calze cominciarono a togliersi senza che alcuno le tirasse. Allora tutto spaventato, cominciò a gridare: ” Via, via di qua, satana; non è te ch’io chiamo, ma il mio servo, „ di modo che il demonio se ne fuggì tosto lasciandolo mezzo scalzo. Questo esempio ci prova, o F . M., come il demonio s’aggiri sempre attorno a noi per ingannarci e perderci, appena se ne presenti l’occasione. È appunto per questo che i primi Cristiani avevano tanto orrore del demonio che non osavano nemmeno pronunciarne il nome. Guardatevi dunque bene anche voi dal pronunciarlo, e dal lasciarlo pronunciare ai vostri figliuoli e ai vostri domestici; quando li sentite, riprendeteli, finché vediate che si sono corretti. Non solo, F. M., è male giurare, ma anche il far giurare gli altri. S. Agostino ci dice che chi è causa per cui uno giuri il falso in testimonio, è più colpevole di chi commetta un omicidio, « perché – egli dice – chi uccide un uomo non uccide che il corpo; chi invece fa giurare a un altro il falso in testimonio, ne uccide l’anima. » Per darvi un’idea della gravità di questo peccato, vi mostrerò tutta la colpa di chi chiami uno in testimonio, mentre prevede che giurerà il falso. Leggiamo nella storia che a Ippona c’era un possidente, buon uomo, ma un po’ troppo attaccato alle cose terrene. Costui volle citare in giudizio uno che gli doveva qualche cosa. Il miserabile giurò il falso, vale a dire che gli doveva niente. La notte seguente, colui che aveva fatto citare l’altro in giudizio per essere pagato, si trovò egli stesso davanti a un tribunale, in cui vide un giudice che gli parlava con voce terribile e minacciosa, domandandogli perché avesse fatto spergiurare quell’uomo; se non sarebbe stato meglio perdere il suo avere che dannare quell’anima; che per quella volta gli faceva la grazia in vista delle sue buone opere; ma che però lo condannava ad essere fustigato con verghe. Infatti, il giorno dopo vide il suo corpo tutto insanguinato. Ma, mi direte voi, se non lo faccio giurare perdo ciò che mi deve. Preferite dunque rovinare la sua anima e la vostra; anziché perdere il vostro danaro? D’altra parte, F. M., potete stare ben certi che se fate un sacrificio per impedire un’offesa a Dio, vedrete che Dio non mancherà di ricompensarvi in altro modo. Tuttavia questo fatto avviene di raro. Piuttosto bisogna guardarsi bene dal far regali o dal sollecitare quelli che devono deporre in giudizio contro di noi a non dire la verità. Rovinereste loro e voi stessi assieme. Se mai l’aveste fatto e foste riuscito con la vostra menzogna a far condannare un innocente, voi sareste obbligati a riparare tutto il male che ne fosse provenuto e a risarcire quelle persone sia nella roba, sia nella riputazione, fin dove potete, senza di che andrete dannati. Bisogna anche vedere se abbiate mai avuto il pensiero di giurare il falso, e quanto tempo avete nutrito questo pensiero. Ci sono alcuni che appunto perché non l’hanno espresso a parole, non lo credono male. Mio caro, benché non l’abbiate espresso, il vostro peccato è commesso, perché siete nella disposizione di farlo. Vedete ancora se non avete mai dato dei mezzi consigli. Uno vi dirà: “Credo d’essere chiamato in giudizio per un tale; tu che ne dici? Avrei intenzione di non dir tutto quello che ho visto por non farlo condannare: l’altro ne ha di più e può pagare. Vedo però che faccio male.„ Voi gli dite: « Oh, questo non è poi gran male! … All’altro sì faresti troppo danno!… „ Se dopo ciò egli giura il falso, e non ha di che risarcire il danno, siete obbligato a risarcirlo voi. Volete sapere, F. M., che cosa dovete fare in giudizio e altrove? Sentite che cosa dice Gesù: « Piuttosto che litigare, se ti domandano il soprabito, dà anche il vestito (S. Matteo, V, 40); meglio così, che questionare. » Ahimè! quanti peccati fa commettere un processo! quante anime i processi fanno dannare per questi giuramenti falsi, per questi odi, per questi inganni, per queste vendette! Ma ecco. F. M., i giuramenti che si fanno più spesso, o piuttosto a ogni muover di ciglio. Quando diciamo qualche cosa a qualcuno e questi non vuol credere, eccoci a giurare e, se occorre, anche con una bestemmia. Da ciò devono guardarsi bene specialmente i padri, le madri, i padroni e le padrone. Spesso i loro figliuoli o i loro domestici commettono qualche sbaglio ed essi vogliono costringerli a confessarlo. I figliuoli e i domestici, per timore di esser battuti o sgridati, giurano quanto volete che non è vero, che non vorrebbero poter più fare un passo se ciò è vero. Non sarebbe meglio non dir niente e soffrire lo sbaglio, anziché farli dannare? D’altra parte, che cosa ci guadagnate? Offendete Dio tutti, e non altro. Quale rimpianto, F. M., se al giorno del giudizio doveste vedere questi poveri fanciulli dannati per una sciocchezza, per una cosa da nulla! – Ci sono altri che promettono e giurano di fare o di dare questa cosa a un altro, senza aver l’intenzione di farlo davvero. Prima di fare una promessa bisogna veder bene se si potrà mantenerla. Prima di promettere non bisogna mai dire: « Se non lo faccio, possa non veder Dio in eterno, possa non muovermi dal mio posto! » Guardatevene bene, F. M., questi sono peccati ancor più orribili di quanto possiate comprendere. Se, p. es., in un accesso di collera, avete promesso di vendicarvi, senza dubbio non siete obbligati a farlo; anzi dovete domandarne perdono a Dio. Lo Spirito Santo ci dice che chi giurerà sarà punito.

II — 1° Se voi mi domandate che cosa s’intende per questa parola ” bestemmia „ F. M., questo peccato è sì orribile, che non parrebbe vero che un Cristiano possa aver la forza di commetterlo. “Bestemmia„ è una parola che significa “maledire e detestare una bontà infinita, „ ciò che indica che questo peccato colpisce direttamente Dio. S. Agostino ci dice: – Noi bestemmiamo quando attribuiamo a Dio qualche cosa che non ha o non gli conviene, o gli togliamo ciò che gli conviene o, finalmente, quando si attribuisce a se stessi ciò che conviene a Dio, e non è dovuto che a Lui solo. Dunque noi bestemmiamo: 1° quando diciamo che Dio non è giusto, perché fa sì che ci siano alcuni tanto ricchi che hanno tutto in abbondanza, mentre tanti altri sono sì poveri che hanno a mala pena un tozzo di pane: — 2° ch’Egli non è buono, come si dice, poiché lascia tanti nel disprezzo e nelle infermità, mentre altri sono amati e rispettati da tutti; — 3° ovvero dicendo che Dio non vede tutto, non bada a ciò che avviene sulla terra; — 4° o anche dicendo: « Se Dio usa misericordia al tale, non è giusto: ne ha fatte troppe; „ — 5° ovvero quando subiamo qualche danno e ce la prendiamo con Dio, dicendo: « Ah! me infelice! Dio non può farmene di più! Credo ch’Egli non sa ch’io sono al mondo, o, se lo sa, non è che per farmi soffrire. » Parimente è bestemmia ridersi della Vergine e dei Santi, dicendo: « Oh! non hanno gran potere! io ho fatte molte preghiere e non ne ho ottenuto mai nulla!! » S. Tommaso ci dice ancora che la bestemmia è una parola ingiuriosa, oltraggiosa contro Dio o contro i Santi; ciò che si può fare in quattro modi: 1° Per affermazione, dicendo: « Dio è ingiusto e crudele permettendo ch’io soffra tanti mali, che mi si calunni in questo modo, che mi si faccia perdere questo danaro o questo processo. Ah, me infelice! tutto va male in casa mia e non ho nulla, mentre agli altri riesce tutto bene e abbondano » 2° Si bestemmia dicendo che Dio non è Onnipotente, e che potranno fare qualunque cosa senza di Lui. Fu appunto questa bestemmia che pronunciò Sennacherib, re dell’Assiria, quando assediò Gerusalemme, dicendo che, malgrado Dio, avrebbe preso la città. Egli si burlava di Dio dicendo che non era tanto potente da impedirgli d’entrare e di metter tutto a fuoco e a sangue. Ma Dio, per punire questo miserabile della sua bestemmia e mostrargli ch’Egli era davvero onnipotente, gli mandò un Angelo che in una sola notte gli uccise 185 mila uomini. Il giorno dopo il re, vedendo sgozzato tutto il suo esercito senza sapere da chi, se ne fuggì tutto atterrito a Ninive, dove egli stesso fu ucciso da due suoi figli. 3° Si bestemmia quando si attribuisce a una creatura ciò che è dovuto a Dio solo, come quei miserabili che dicono a una creatura infame oggetto della loro passione: « Io vi amo con tutta la tenerezza del mio cuore!… È tanto il mio affetto, che vi adoro!… „ Delitto che fa orrore, e tuttavia tanto comune, almeno in pratica.

4° Si bestemmia dicendo : Ah! S… N. .. di D… „ Ciò fa orrore. Questo peccato è sì grave e sì spaventoso agli occhi di Dio, che attira ogni sorta di sventure sopra la terra. I Giudei avevano tanto orrore della bestemmia che, quando sentivano qualcuno bestemmiare, si squarciavano le vesti. Non osavano neppur pronunciare questa parola; la dicevano invece: « Benedizione. » Il santo Giobbe temeva tanto che i suoi figliuoli potessero aver bestemmiato, che offriva sacrifici a Dio per placarlo se mai l’avessero fatto (Giob. I, 5). S. Agostino dice che quelli che bestemmiano Gesù Cristo che è in cielo, sono più crudeli di quelli che l’hanno crocifisso sulla terra. Il cattivo ladrone bestemmiava Gesù Cristo in croce, dicendo: « S’Egli è onnipotente, liberi se stesso e noi assieme. » Il profeta Nathan disse al re Davide: « Poiché tu sei stato causa per cui si è bestemmiato il Nome di Dio, il tuo figlio morrà, e il castigo non si allontanerà dalla tua casa per tutta la tua vita. » — Dio ci dice: « Chi bestemmierà il Nome del Signore, voglio sia messo a morte. » — Leggiamo nella S. Scrittura che venne condotto a Mosè un uomo che aveva bestemmiato. Mosè consultò il Signore, il quale gli manifestò che bisognava condurlo in un campo e farlo morire; vale a dire, ucciderlo a colpi di pietra (Lev. XXIV, 14) Possiamo dire che la bestemmia è davvero il linguaggio dell’inferno. San Luigi, re di Francia, aveva tanto in orrore questo delitto che aveva comandato che tutti i bestemmiatori fossero segnati con un ferro arroventato sulla fronte. Un giorno essendogli stato condotto un possidente di Parigi, molti vollero sollecitare la grazia per lui; ma il re disse loro che avrebbe voluto morire egli stesso per distruggere questo maledetto peccato; e comandò che fosse punito. L’imperatore Giustino faceva strappare la lingua a quelli che avevano avuto la disgrazia di commettere un sì grande delitto. Durante il regno di re Roberto, la Francia era oppressa da ogni sorta di sventure: e il buon Dio rivelò a una santa che tanto sarebbero durati i castighi quanto le bestemmie. Allora si sancì una legge che condannava tutti i bestemmiatori ad aver forata la lingua da un ferro infuocato, la prima volta; la seconda, comandava che fossero fatti morire. Badate bene, M. F., che, se la bestemmia regnerà nella vostra casa, tutto andrà a male. S. Agostino ci dice che la bestemmia è un peccato ancor più grave dello spergiuro, perché, dice egli, con lo spergiuro prendiamo il Nome di Dio in testimonio d’una cosa falsa, mentre con la bestemmia diciamo una cosa falsa di Dio stesso. Quale delitto! Chi di noi ha mai potuto comprenderlo? S. Tommaso ci dice ancora che v’ha un’altra specie di bestemmia, quella contro lo Spirito Santo, la quale si commette in tre modi: 1° Attribuendo al demonio le opere di Dio, come facevano i Giudei, i quali dicevano che Gesù Cristo cacciava i demoni in virtù del principe dei demoni; come facevano i tiranni e i carnefici, i quali attribuivano alla magia o al demonio i miracoli dei martiri; — 2° si bestemmia contro lo Spirito Santo, ci dice sant’Agostino, “quando si muore nell’impenitenza finale.„ L’impenitenza è uno stato di bestemmia; poiché la remissione dei nostri peccati si fa con la carità, che è lo Spirito Santo;

— 3° quando facciamo azioni che sono direttamente opposte alla bontà di Dio, come quando disperiamo della nostra salute, o non vogliamo usare tutti i mezzi per ottenerla; come quando ci rodiamo perché altri ricevono più grazie di noi. Guardatevi bene dall’abbandonarvi a questa sorta di peccati, perché sono oltremodo orribili. Noi trattiamo Dio da ingiusto, dicendo che dà più agli altri che a noi. Non avete voi forse bestemmiato, F. M., dicendo che non c’è Provvidenza se non per i ricchi e i birbanti? Non avete forse bestemmiato, quando subiste qualche danno, dicendo: “Ma che cosa ho fatto dunque io al Signore più degli altri, per aver tante disgrazie? „ — Che cosa avete fatto? Mio caro, alzate gli occhi e vedrete che l’avete crocifisso. — Non avete forse bestemmiato dicendo che siete troppo tentato, che non potete far diversamente, che tale è il vostro destino?… Ecché? F. M., voi non pensate a ciò che dite!… Dunque Dio vi ha fatti viziosi, collerici, violenti, fornicatori, adulteri, bestemmiatori! Ma dunque voi non credete nel peccato originale che ha degradato l’uomo dallo stato di rettitudine e di giustizia, in cui eravamo da principio stati creati!… La tentazione è superiore alle vostre forze!… Ma, mio caro, la Religione non vi aiuta dunque per nulla a farvi comprendere tutta la corruzione originale?… E voi osate, infelice, bestemmiare ancora contro Colui che ve l’ha data come il più gran dono che potesse farvi?… Non avete voi altresì bestemmiato mai contro la S. Vergine e i Santi? Non avete mai sorriso delle loro virtù, delle loro penitenze, dei loro miracoli?… Ahimè! in questo secolo sciagurato, quanti empi troviamo che spingono la loro cattiveria fino a disprezzare i santi del cielo e i giusti della terra; quanti che si fanno beffe delle austerità dei santi, e che non vogliono servire Dio per sé, né permettere che lo servano gli altri! Vedete ancora, M. F., se non avete mai lasciato ripetere i vostri giuramenti e le vostre bestemmie ai fanciulli. Ah! infelici! quali castighi vi attendono nell’altra vita!. ..

2° Ma, mi domanderete, che differenza passa tra il bestemmiare e rinnegare Dio? — Una differenza grande, M. F. Osservo che parlando di rinnegazione, non intendo parlare di quelli che rinnegano il buon Dio abbandonando la vera Religione; costoro noi li chiamiamo apostati. Intendo dirvi di quelli che, parlando, hanno la maledetta abitudine di rinnegare, per collera o per impeto, il santo Nome di Dio: come uno che ci rimettesse al mercato o perdesse al gioco, e se la prendesse con Dio, quasi volesse far credere che ne sia stato Lui la causa. Quando vi capita questo, bisogna che il buon Dio sopporti tutti i furori della vostra collera, quasi fosse Lui la causa della vostra perdita o dell’accidente che v’è toccato. Ah, sciagurati! Quegli che vi ha tratti dal nulla, che vi conserva evi ricolma continuamente di benefizi, voi osate ancora disprezzarlo, profanare il suo santo Nome e rinnegarlo; mentre, se non avesse voluto ascoltare che la sua giustizia, da quanto tempo sareste inabissati nell’inferno! Ordinariamente vediamo che chi ha la sventura di commettere questi enormi delitti perisce miseramente. Si legge nella storia che un povero ammalato era ridotto in miseria. Essendo entrato da lui un missionario per vederlo e confessarlo: “Ah, padre! gli disse l’ammalato, Dio mi punisce per le mie collere, per le mie violenze, le mie bestemmie, e rinnegazioni. Io sono ammalato da molto tempo e ridotto estremamente povero. Tutte le mie cose hanno fatto una misera fine. I miei figli mi disprezzano e abbandonano, e non son buoni a nulla per i mali esempi ch’io ho dato loro. È già da tempo che soffro su questo pagliericcio; la mia lingua è tutto corrosa, e non posso inghiottir cosa alcuna senza soffrire dolori incredibili. Ahimè, padre! io ho gran timore che, dopo aver sofferto tanto in questa vita, debba soffrire anche nell’altra.„ Anche ai nostri giorni vediamo che questi uomini soliti a giurare e a rinnegare il santo Nome di Dio finiscono quasi sempre miseramente. Badate bene, M. F., se avete questa malvagia abitudine, dovete correggervene subito, per timore, che se non fate penitenza in questo mondo, non andiate a farla nell’inferno. Non dimenticatevi mai che la vostra lingua non deve servire che a pregare il buon Dio e a cantare le sue lodi, Se avete avuto il mal abito di giurare, dovete pronunciare spesso il santo Nome di Gesù con gran rispetto per purificare le vostre labbra.

3° Se, finalmente, mi domandate che cosa s’intende per maledizione e per imprecazione, vi dirò che s’intende, M. F., maledire, in un momento di collera o di disperazione, una persona, una cosa, o una bestia; s’intende voler annientarla o renderla infelice. Lo Spirito Santo ci dice che chi ha spesso la maledizione in bocca, deve ben temere che Dio non mandi a lui ciò ch’egli augura agli altri. Ci sono alcuni che hanno sempre in bocca il demonio, e a lui mandano tutto ciò che li urta. Se una bestia lavorando non va come deve, la maledicono o la mandano al diavolo. Altri, quando fa cattivo tempo, dicono: “Maledetto tempo! maledetta pioggia! ah, maledetto freddo!., maledetti ragazzi!… „ Non dimenticate mai che lo Spirito Santo ci dice che una maledizione, pronunciata invano e con leggerezza, su qualcuno dovrà cadere. S. Tommaso ci dice che, se pronunciamo una maledizione contro qualcuno, è peccato mortale, se auguriamo davvero ciò che diciamo. E S. Agostino ci narra di una madre che aveva maledetto i suoi figliuoli in numero di sette; ebbene, tutti quanti furono invasi dal demonio. Si sa che molti fanciulli, per essere stati maledetti dai loro genitori, furono infermi e infelici per tutta la vita. Leggiamo di una madre che, essendo andata in collera per colpa di sua figlia, le disse: “Ti s’inaridisse il braccio!„ E quasi all’istante alla povera figlia il braccio s’inaridì. I coniugati devono guardarsi dal maledirsi tra loro. Ci sono alcuni che, se non vanno bene in famiglia, maledicono la moglie, i figli, i genitori e tutti quelli che s’intromisero nel matrimonio. Ahimè, F. M.! tutte le vostre disgrazie provengono dall’esservi entrato con una coscienza tutta nera di peccati. — Gli operai, non devono mai maledire il loro lavoro, né quelli che loro lo danno: d’altra parte tutte le vostre maledizioni non faranno mai andar meglio i vostri affari; se invece aveste un po’ di pazienza, se sapeste offrire tutte le vostre pene a Dio, guadagnereste molto per il cielo. E gli strumenti del lavoro non li avete mai maledetti, dicendo: “Maledetta vanga! maledetta roncola! Maledetto aratro!„ eccetera? Ecco, M. F., ciò che attira ogni sorta di maledizioni sulle vostre bestie, sui vostri lavori, sulle vostre terre, spesso devastate dalla tempesta, dalla pioggia o dal gelo! — Non avete mai maledetto voi stessi, dicendo: « Oh, non avessi mai visto la luce!… fossi morto mentre veniva al mondo!… fossi ancor nel nulla!… „ Ahimè! quanti peccati, di cui molti non si accusano affatto, e non vi pensano neppure! — Dirò ancora che non dovete mai maledire né i vostri figliuoli, né le vostre bestie, né il vostro lavoro, né il tempo, perché in tutto ciò maledite la manifestazione della santa volontà del Signore. — I figliuoli si guardino bene dal dar occasione ai loro genitori di maledirli, ciò che è la più grande di tutte le sventure; poiché troppo spesso un fanciullo maledetto da’ suoi genitori è anche maledetto da Dio. Quando qualcuno vi offende in qualche cosa, invece di mandarlo al diavolo, non sarebbe meglio dirgli: “Che il buon Dio vi benedica? „ Allora sareste davvero i buoni servi di Dio, che rendono bene per male. Riguardo a questo comandamento, ci sarebbe ancor da parlare dei voti. Bisogna guardarsi bene dal far voti a capriccio. Certuni, quando sono ammalati, si votano a tutti i Santi, e una volta guariti, non si danno affatto pensiero di soddisfare i loro voti. Bisogna anche vedere se si son fatti davvero come si doveva, cioè in istato di grazia; se li avete osservati. Ahimè! quanti peccati in questi voti! ciò, che invece di piacere a Dio, non può che offenderlo. Che se mi domandate come mai dunque ci sono tanti che giurano, giurano anche il falso, che pronunciano maledizioni e imprecazioni orribili, che rinnegano Dio, vi dirò, M. F., che quelli che si abbandonano a questi orrori non hanno né fede, né religione, né coscienza, né virtù; sono in gran parte abbandonati da Dio. Quanto noi saremmo più felici se avessimo la grazia di non adoperar mai la nostra lingua, consacrata a Dio col santo Battesimo, se non per pregare un Dio sì buono, sì benefico, e cantare le sue sante lodi! Poiché è appunto per questo che Dio ci ha dato una lingua; consacriamola a Lui, affinché, dopo questa vita, possiamo avere la felicità di andarlo a benedire in cielo per tutta l’eternità. Ciò che vi auguro di cuore

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XV: 7 et 8. Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: providébam Deum in conspéctu meo semper: quóniam a dextris est mihi, ne commóvear. [Benedirò il Signore che mi dato senno: tengo Dio sempre a me presente, con lui alla mia destra non sarò smosso.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris: et has oblatiónes famulórum famularúmque tuárum benígnus assúme; ut, quod sínguli obtulérunt ad honórem nóminis tui, cunctis profíciat ad salútem.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni dei tuoi servi e delle tue serve, affinché ciò che i singoli offersero a gloria del tuo nome, giovi a tutti per la loro salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ. 

[Una cosa sola chiedo e chiederò al Signore: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita].

Postcommunio

Orémus.

Quos cœlésti, Dómine, dono satiásti: præsta, quæsumus; ut a nostris mundémur occúltis et ab hóstium liberémur insídiis.

(O Signore, che ci hai saziato col dono celeste; fa che siamo mondati dalle nostre occulte mancanze, e liberati dalle insidie dei nemici.)

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL SECONDO COMANDAMENTO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.)

Sul secondo Comandamento di Dio.

Non nominare il nome di Dio invano.

Fa gran meraviglia, F. M., che Dio sia obbligato a farci un comando per proibirci di profanare il suo santo Nome. È possibile concepire che vi possano essere Cristiani i quali si abbandonino talmente al demonio, da diventare nelle sue mani strumento per maledire un Dio sì buono e sì benefico? E possibile che una lingua, consacrata a Dio nel santo Battesimo, bagnata tante volte dal suo Sangue adorabile, sia adoperata per maledire il suo Creatore? Potrebbe fare una cosa simile chi crede davvero che Dio non gliel’ha data che per benedirlo e cantare le sue lodi? Voi converrete meco che questo è un delitto spaventoso che sembra costringere Dio a schiacciarci con ogni sorta di sventure, e ad abbandonarci al demonio, al quale obbediamo con tanto zelo. Questo delitto fa rizzare i capelli a chiunque non abbia ancor perduto interamente la fede. Tuttavia, malgrado la gravità di questo peccato, malgrado il suo orrore e la sua atrocità, vi è forse un peccato più comune del giuramento, della bestemmia, dell’imprecazione, della maledizione? Non abbiamo forse il dolore di sentire spesso uscire dalla bocca di fanciulli, che non sanno ancora bene il Pater noster, bestemmie così enormi da attirare ogni sorta di maledizioni su una parrocchia? Io vi mostrerò adunque, F. M., che cosa s’intenda per giuramento, per bestemmia, rinnegazione, imprecazione e maledizione. E voi intanto dormite, dormite profondamente mentre io parlo, affinché nel giorno del giudizio abbiate la scusa di aver fatto il male senza sapere cosa facevate, e la vostra ignoranza sia il solo motivo della vostra condanna.

I. — Per farvi comprendere la gravità di questo peccato, bisognerebbe, ch’io potessi farvi comprendere la gravità dell’oltraggio ch’esso arreca a Dio; ciò che non sarà mai dato a un essere mortale. No. M. F., non c’è che l’inferno, non c’è che la collera, la potenza e il furore di un Dio, tutti adunati sopra quei mostri infernali, che possano far comprendere la grandezza della sua atrocità. No, no, F. M., non andiamo più innanzi: per questo peccato ci vuole davvero un inferno eterno. D’altra parte, non è il mio assunto: io voglio soltanto farvi conoscere la differenza che passa tra il giuramento, la bestemmia, la rinnegazione, l’imprecazione, la maledizione e le parole grossolane. Molti le confondono e prendono una cosa per l’altra; ragione per cui non si confessano quasi mai, come si deve, e si espongono perciò a far cattive confessioni e, per conseguenza, a dannarsi.

Il secondo comandamento, suona così: “Non usare invano il Nome del Signore tuo Dio, „ come se il Signore ci dicesse: ” Io vi ordino e vi comando di riverire questo Nome, perché santo e adorabile; Io vi proibisco di profanarlo, adoperandolo per autorizzare l’ingiustizia, la menzogna, o anche la verità, ma quando non c’è una ragione sufficiente, „ e Gesù Cristo ci dice di non giurare assolutamente. Io dico in primo luogo, che le persone poco istruite, confondono spesso la bestemmia col giuramento. Uno sciagurato, in un momento di collera, o, meglio, di furore, dirà: “Dio non è giusto facendomi soffrire o perdere questa cosa.„ Con ciò egli ha rinnegato il buon Dio; eppure s’accuserà dicendo: “Padre, mi accuso d’aver giurato, „ invece si tratta di una bestemmia, non di un giuramento. Uno sarà falsamente accusato di un fallo, che non ha commesso: per giustificarsi dirà: “Se io ho fatto ciò, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno,,. Non è un giuramento, ma un’orribile imprecazione. Ecco due peccati non meno gravi del giuramento. Un altro che avrà dato al suo vicino del ladro o del furfante, s’accuserà « d’aver giurato dietro al suo vicino. » Ora, ciò non è un giurare, ma un ingiuriarlo. Un altro, dirà parole sconce e disoneste, e si accuserà “d’aver detto cattive espressioni.„ V’ingannate; bisogna confessare che avete detto delle oscenità. Ecco, F. M., che cosa è il giuramento: è un prendere il buon Dio per testimonio di ciò che si dice o promette; e lo spergiuro è un giuramento falso, cioè quando si giura per garantire una menzogna. Il Nome del buon Dio è sì santo, sì grande, sì adorabile che gli Angeli e i santi, ci dice S. Giovanni, non fanno altro in cielo che cantare: « Santo, santo, santo il Dio degli eserciti: sia benedetto il suo Nome per tutti i secoli dei secoli! » Quando la santa Vergine andò a visitare la cugina Elisabetta e questa santa le disse: “Quanto sei tu fortunata di essere stata eletta Madre di Dio, „ la santa Vergine Je rispose: « Colui che è onnipotente e il Nome del quale è santo, ha operato in me grandi cose. „ Noi dovremmo adunque, F. M., aver gran rispetto per il Nome del buon Dio e non pronunciarlo mai se non colla massima venerazione, e molto meno pronunciarlo invano. S. Tommaso ci dice che pronunciare il Nome di Dio invano, è un peccato grave; e che non è un peccato come gli altri. Negli altri peccati la leggerezza della materia può diminuire l’atrocità e la malizia, e, bene spesso ciò che per sua natura sarebbe peccato mortale non è che veniale; come il furto, che è un peccato mortale; ma se si tratta di poca cosa, come due o tre soldi, non sarà che veniale. La collera e la gola sono peccati mortali, ma una piccola collera o una piccola golosità sono semplicemente veniali. Non è così per il giuramento: qui più la materia è leggiera più la profanazione è grande! (Ogni bestemmia ha in sé la materia d’un peccato mortale, perché essa è un’ingiuria alla Maestà divina, e questa ingiuria non ammette parvità di materia per ragione della sovrana dignità di Dio. Il peccato adunque non può diventar veniale se non per difetto d’attenzione o di consenso). Perché? Perché più leggiera è la materia, e più grande è la profanazione. Se uno pregasse il re di fargli da testimonio in una sciocchezza, non sarebbe un burlarsi dì lui e un disprezzarlo? Il buon Dio ci dice che chi giurerà nel suo Nome sarà rigorosamente punito. Leggiamo nella santa Scrittura che, ai tempi di Mosè, c’erano due uomini, di cui uno giurò nel Nome santo del Signore. Subito fu preso e condotto a Mosè, il quale domandò al Signore che cosa dovesse farne. E il Signore gli disse di condurlo in un campo e comandare a tutti quelli ch’erano stati testimoni di questa bestemmia di mettergli la mano sul capo e ucciderlo, per togliere questo bestemmiatore di mezzo al suo popolo (Lev. XXIV, 14).  Lo Spirito Santo ci dice ancora che la casa di chi è avvezzo a giurare sarà piena di iniquità e non ne uscirà la maledizione fin che non sia distrutta (Eccli. XXIII, 12). Il Nostro Signore Gesù Cristo ci dice nel Vangelo di non giurare né per il cielo né per la terra, poiché né l’uno né l’altra ci appartengono. Quando vorrete assicurare gli altri di una cosa, dite: “È così, o non è così; sì o no; l’ho fatto o non l’ho fatto; il di più vien tutto dal demonio (Matth. V, 34-37).„ D’altra parte chi ha l’abitudine di giurare è di solito impetuoso, attaccato al proprio giudizio, e giura sempre, per la verità come per la menzogna. — Ma si dirà, se non giuro, non mi si crede. — V’ingannate; non si crede mai così poco come a uno che giura, perché ciò fa supporre in lui nessuna Religione, e chi non ha religione non è degno di esser creduto. Ci sono alcuni che non sanno vendere la minima cosa senza giurare, quasi che il loro giuramento facesse diventar buona la loro merce. Quando si vede un mercante che, per vendere, giura, bisogna pensar subito ch’egli non ha fede, e quindi mettersi in guardia per non lasciarsi ingannare. I suoi giuramenti fanno orrore e non gli si crede. Invece se uno non giura, noi crederemo a ciò che dice. – Leggiamo nella storia un esempio riportato dal cardinale Bellarmino, il quale ci mostra come il giuramento non giova a niente. C’erano in Colonia, dice egli, due mercanti che pareva non potessero vendere senza giurare. Il loro pastore li esortò fortemente a lasciare quest’abitudine assicurandoli che, ben lungi dal perderci, ci avrebbero guadagnato molto. Essi seguirono il suo consiglio. Ma, per qualche tempo, non vendettero molto. Allora andarono a trovare il loro pastore e gli dissero che non vendevano tanto quanto egli aveva fatto loro sperare. Il pastore disse loro: « Abbiate pazienza, miei figliuoli: siate sicuri che Dio vi benedirà. „ Infatti, dopo qualche tempo il concorso fu sì grande che pareva dessero la merce per niente. Essi stessi riconoscevano che il buon Dio li benediceva in un modo particolare. — Lo stesso cardinale ci dice che c’era una buona madre di famiglia che aveva una gran abitudine di giurare: a forza di farle capire quanto questi giuramenti erano indegni d’una madre e che ella non faceva altro che attirare la maledizione di Dio sulla sua casa, riuscì a correggersi completamente; e allora confessò ella stessa che, da quando aveva perduta questa cattiva abitudine, vedeva che tutto le riusciva bene e che Dio la benediceva in modo affatto particolare. Volete voi, F. M., esser felici nella vostra vita e che Dio benedica le vostre case? Guardatevi dal giurare e vedrete che tutto vi riuscirà bene. Iddio ci dice che, sulla casa in cui regnerà il giuramento, piomberà la maledizione del Signore e la distruggerà. E perché, M. F., v’abbandonerete al giuramento, se il buon Dio lo proibisce sotto pena di renderci infelici in questa vita e riprovarci nell’altra? Ahimè! come conosciamo poco ciò che facciamo! Ebbene: lo conosceremo un giorno; ma troppo tardi! – In secondo luogo, dico che vi è un giuramento anche più cattivo, ed è quando al giuramento si aggiungono parole di esecrazione, cosa che fa tremare; come gli sciagurati che dicono: “Se ciò che dico non è vero, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno! „ Ah! disgraziati! voi rischiate purtroppo di non vederla mai. Altri dicono: “Se ciò non è vero, ch’io perda il mio posto in paradiso! Dio mi danni! o che il demonio mi porti via ! … „ Ah! vecchio indurito! il demonio ti porterà con sé purtroppo, senza che tu ti dia anticipatamente a lui. Quanti altri hanno sempre il demonio in bocca, alla minima cosa che non vada loro a genio. – Diavolo d’un ragazzo!… diavolo d’una bestia!… diavolo d’un lavoro!… „ Ahimè! chi ha sì spesso il demonio in bocca, c’è ben da temere l’abbia anche nel cuore. Quanti altri non sanno che dire : “Si, per fede mia!… no, in fede mia!… cane d’un ragazzo!… „ oppure anche: “In verità!… sulla mia coscienza!… sulla mia fede di Cristiano!… „ C’è un’altra specie di giuramenti, di maledizioni, che nessuno pensa di confessare, e sono quelli che si fanno in cuore. C’è di quelli che credono che, perché non lo dicono con la bocca, non ci sia niente di male. Ma v’ingannate assai, amici miei. Avviene che qualcuno faccia qualche danno alle nostre terre o altrove qualche guasto? Voi imprecate loro nel vostro cuore, e li maledite dicendo:  « Almeno il diavolo se li portasse via!… che il fulmine li schiacci!… che queste rape o quelle patate li avvelenino mentre le mangiano!… „ E questi pensieri li conservate a lungo nei vostri cuori! E credete forse che, perché non li manifestate con la bocca, non siano nulla! Sono peccati gravi, miei amici, e bisogna pur che ve ne confessiate, altrimenti andrete perduti! Ahimè! quanto pochi conoscono lo stato della loro povera anima, quale apparisce agli occhi di Dio! – In terzo luogo, ci sono altri, ancor più colpevoli, i quali giurano non solo per cose vere, ma anche per cose false. Ah! se voi poteste comprendere quanto la vostra empietà disprezza allora Iddio, non avreste, certo, mai il coraggio di commetterla. Voi vi comportate allora con Dio, come un vile schiavo che dica al suo re: « Sire, è necessario che mi facciate da falso testimonio. » Ciò non vi fa orrore, M. F.? Il Signore ci dice nella santa Scrittura: « Siate santi, poiché io sono santo. Non mentite, non ingannate il prossimo, non spergiurate prendendo il Nome del Signore vostro Dio a testimoniare una menzogna; non profanate il Nome del Signore. » S. Giovanni Crisostomo ci dice: « Se è già un gran peccato giurare per una cosa vera, quale sarà la gravità del delitto di colui che giura il falso, per garantire la menzogna? » Lo Spirito Santo ci dice che il bugiardo perirà. Il profeta Zaccaria ci assicura che la maledizione verrà sulla casa di colui che giurerà il falso, e vi resterà finche quella casa sia abbattuta e distrutta. – S. Agostino ci dice che lo spergiuro è un grave delitto, una bestia feroce che fa uno strazio spaventoso. E ciò che rende ancor più grave questo peccato è che ci son di quelli che, al falso giuramento, aggiungono una bestemmia d’imprecazione. « Se ciò non è vero ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno!… che Dio mi danni!… che il demonio mi porti via! … » Ah! sciagurati! se il buon Dio v’avesse preso in parola, dove sareste voi ora? Da quanti anni non brucereste nell’inferno! Dite, F. M., è possibile concepire che un Cristiano possa rendersi colpevole d’un tal delitto, di una così grande mostruosità? O mio Dio! Un verme della terra spingere la sua barbarie a un tal eccesso? No, no, F. M., ciò è assolutamente inconcepibile in un Cristiano. Dovete altresì esaminarvi se abbiate avuto l’intenzione di giurare semplicemente, ovvero di giurare il falso, e quanti giorni abbiate mantenuto questo pensiero; vale a dire quanto tempo siete stati nella disposizione di farlo. Buona parte dei Cristiani a questo non bada neppure, sebbene sia un peccato grave. — Ma, mi direte voi, è vero che ci avevo pensato, ma non l’ho fatto. — Voi non l’avete fatto, ma il vostro cuore sì; e, poiché siete ancora nella disposizione di farlo, voi siete colpevole dinanzi a Dio. Ahimè! Povera religione! quanto poco sei conosciuta! Abbiamo nella storia un esempio terribile del castigo che spetta a coloro che giurano il falso. Ai tempi di S. Narciso, vescovo di Gerusalemme, tre giovani libertini, che s’abbandonavano alla disonestà, calunniarono orribilmente il loro santo Vescovo, accusandolo dei loro propri delitti, nella speranza che egli non avrebbe osato riprenderli delle colpe loro. Si presentarono davanti ai giudici dicendo che il Vescovo aveva commesso tale peccato. Il primo disse: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser soffocato! „ Il secondo: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser bruciato vivo! » Il terzo: « Se ciò non è vero, ch’io perda la vista! » — Ahimè! la giustizia di Dio non tardò a punirli: il primo fu davvero soffocato e morì miseramente; il secondo bruciò vivo nella sua casa, incendiata da un razzo di fuochi d’artifizio durante una festa che si faceva in città; il terzo, benché punito, fu meno infelice degli altri: egli riconobbe il proprio fallo, ne fece penitenza e ne pianse tanto che perdette la vista. — Un altro esempio, non meno terribile. Leggiamo nella storia; essendo re d’Inghilterra S. Edoardo, il conte Gondevino, suo suocero, era sì geloso e orgoglioso che non voleva soffrire alcuno vicino al re. Il re un giorno gli rinfacciò ch’egli aveva partecipato alla morte di suo fratello. « Se ciò è vero, rispose il conte, che questo boccon di pane mi soffochi. „ Il re prese il pane e lo benedisse senza dubitare di nulla. L’altro mangiò; ma il boccone gli si fermò in gola, lo soffocò, sicché lo spergiuro morì sull’istante. — Dopo questi terribili esempi, convenite meco, F. M., che questo peccato dev’essere ben mostruoso agli occhi di Dio, se Egli lo punisce così terribilmente. Ci sono anche padri e madri, padroni e padrone che hanno sempre in bocca di queste frasi: “Carogna d’un ragazzo!… bestia!… imbecille!… crepa una buona volta, finirai di tormentarmi!… Vorrei esser lontano da te le mille miglia!… Dio ti castighi una buona volta!… „ e aggiungono alle imprecazioni i titoli più sconciamente offensivi, applicandoli alle persone contro cui sono dirette, anche le più care. Sì, F . M., ci sono genitori sì poco Cristiani, che hanno sempre in bocca queste parole. Ahimè! quanti poveri figliuoli sono deboli e infermi, intrattabili, viziosi per le maledizioni dei loro padri e delle loro madri! Leggiamo nella storia che una madre disse a un suo figliuolo: « Non creperai mai dunque, o tormento?… » E il povero fanciullo cadde morto a’ suoi piedi. — Un’altra disse a suo figlio: “Che il diavolo ti porti via! „ e il fanciullo disparve senza che alcuno abbia potuto sapere dove fosse andato. Mio Dio! quale sventura per il figlio, quale sventura per la madre! — Nella provincia di Valesia c’era un uomo rispettabilissimo per la sua condotta. Un dì, tornato da un viaggio, chiamò il suo domestico con modo assai sgarbato. « Vieni adunque, gli disse, diavolo d’un servo, levami le calze! „ All’istante le sue calze cominciarono a togliersi senza che alcuno le tirasse. Allora tutto spaventato, cominciò a gridare: ” Via, via di qua, satana; non è te ch’io chiamo, ma il mio servo, „ di modo che il demonio se ne fuggì tosto lasciandolo mezzo scalzo. Questo esempio ci prova, o F . M., come il demonio s’aggiri sempre attorno a noi per ingannarci e perderci, appena se ne presenti l’occasione. È appunto per questo che i primi Cristiani avevano tanto orrore del demonio che non osavano nemmeno pronunciarne il nome. Guardatevi dunque bene anche voi dal pronunciarlo, e dal lasciarlo pronunciare ai vostri figliuoli e ai vostri domestici ; quando li sentite, riprendeteli, finché vediate che si sono corretti. – Non solo, F. M., è male giurare, ma anche il far giurare gli altri. S. Agostino ci dice che chi è causa per cui uno giuri il falso in testimonio, è più colpevole di chi commetta un omicidio, « perché – egli dice – chi uccide un uomo non uccide che il corpo; chi invece fa giurare a un altro il falso in testimonio, ne uccide l’anima. » Per darvi un’idea della gravità di questo peccato, vi mostrerò tutta la colpa di chi chiami uno in testimonio, mentre prevede che giurerà il falso. Leggiamo nella storia che a Ippona c’era un possidente, buon uomo, ma un po’ troppo attaccato alle cose terrene. Costui volle citare in giudizio uno che gli doveva qualche cosa. Il miserabile giurò il falso, vale a dire che gli doveva niente. La notte seguente, colui che aveva fatto citare l’altro in giudizio per essere pagato, si trovò egli stesso davanti a un tribunale, in cui vide un giudice che gli parlava con voce terribile e minacciosa, domandandogli perché avesse fatto spergiurare quell’uomo; se non sarebbe stato meglio perdere il suo avere che dannare quell’anima; che per quella volta gli faceva la grazia in vista delle sue buone opere; ma che però lo condannava ad essere fustigato con verghe. Infatti, il giorno dopo vide il suo corpo tutto insanguinato. Ma, mi direte voi, se non lo faccio giurare perdo ciò che mi deve. Preferite dunque rovinare la sua anima e la vostra; anziché perdere il vostro danaro? D’altra parte, F. M., potete stare ben certi che se fate un sacrificio per impedire un’offesa a Dio, vedrete che Dio non mancherà di ricompensarvi in altro modo. Tuttavia questo fatto avviene di raro. Piuttosto bisogna guardarsi bene dal far regali o dal sollecitare quelli che devono deporre in giudizio contro di noi a non dire la verità. Rovinereste loro e voi stessi assieme. Se mai l’aveste fatto e foste riuscito con la vostra menzogna a far condannare un innocente, voi sareste obbligati a riparare tutto il male che ne fosse provenuto e a risarcire quelle persone sia nella roba, sia nella riputazione, fin dove potete, senza di che andrete dannati. Bisogna anche vedere se abbiate mai avuto il pensiero di giurare il falso, e quanto tempo avete nutrito questo pensiero. Ci sono alcuni che appunto perché non l’hanno espresso a parole, non lo credono male. Mio caro, benché non l’abbiate espresso, il vostro peccato è commesso, perché siete nella disposizione di farlo. Vedete ancora se non avete mai dato dei mezzi consigli. Uno vi dirà: “Credo d’essere chiamato in giudizio per un tale; tu che ne dici? Avrei intenzione di non dir tutto quello che ho visto por non farlo condannare: l’altro ne ha di più e può pagare. Vedo però che faccio male.„ Voi gli dite: « Oh, questo non è poi gran male! … All’altro sì faresti troppo danno!… „ Se dopo ciò egli giura il falso, e non ha di che risarcire il danno, siete obbligato a risarcirlo voi. Volete sapere, F. M., che cosa dovete fare in giudizio e altrove? Sentite che cosa dice Gesù: « Piuttosto che litigare, se ti domandano il soprabito, dà anche il vestito (S. Matteo, V, 40); meglio così, che questionare. » Ahimè! quanti peccati fa commettere un processo! quante anime i processi fanno dannare per questi giuramenti falsi, per questi odi, per questi inganni, per queste vendette! – Ma ecco. F. M., i giuramenti che si fanno più spesso, o piuttosto a ogni muover di ciglio. Quando diciamo qualche cosa a qualcuno e questi non vuol credere, eccoci a giurare e, se occorre, anche con una bestemmia. Da ciò devono guardarsi bene specialmente i padri, le madri, i padroni e le padrone. Spesso i loro figliuoli o i loro domestici commettono qualche sbaglio ed essi vogliono costringerli a confessarlo. I figliuoli e i domestici, per timore di esser battuti o sgridati, giurano quanto volete che non è vero, che non vorrebbero poter più fare un passo se ciò è vero. Non sarebbe meglio non dir niente e soffrire lo sbaglio, anziché farli dannare? D’altra parte, che cosa ci guadagnate? Offendete Dio tutti, e non altro. Quale rimpianto, F. M., se al giorno del giudizio doveste vedere questi poveri fanciulli dannati per una sciocchezza, per una cosa da nulla! – Ci sono altri che promettono e giurano di fare o di dare questa cosa a un altro, senza aver l’intenzione di farlo davvero. Prima di fare una promessa bisogna veder bene se si potrà mantenerla. Prima di promettere non bisogna mai dire: « Se non lo faccio, possa non veder Dio in eterno, possa non muovermi dal mio posto! » Guardatevene bene, F. M., questi sono peccati ancor più orribili di quanto possiate comprendere. Se, p. es., in un accesso di collera, avete promesso di vendicarvi, senza dubbio non siete obbligati a farlo; anzi dovete domandarne perdono a Dio. Lo Spirito Santo ci dice che chi giurerà sarà punito.

II — 1° Se voi mi domandate che cosa s’intende per questa parola ” bestemmia „ F . M., questo peccato è sì orribile, che non parrebbe vero che un Cristiano possa aver la forza di commetterlo. “Bestemmia„ è una parola che significa “maledire e detestare una bontà infinita, „ ciò che indica che questo peccato colpisce direttamente Dio. S. Agostino ci dice: – Noi bestemmiamo quando attribuiamo a Dio qualche cosa che non ha o non gli conviene, o gli togliamo ciò che gli conviene o, finalmente, quando si attribuisce a se stessi ciò che conviene a Dio, e non è dovuto che a Lui solo. Dunque noi bestemmiamo: 1° quando diciamo che Dio non è giusto, perché fa sì che ci siano alcuni tanto ricchi che hanno tutto in abbondanza, mentre tanti altri sono sì poveri che hanno a mala pena un tozzo di pane: — 2° ch’Egli non è buono, come si dice, poiché lascia tanti nel disprezzo e nelle infermità, mentre altri sono amati e rispettati da tutti; — 3° ovvero dicendo che Dio non vede tutto, non bada a ciò che avviene sulla terra; — 4° o anche dicendo: « Se Dio usa misericordia al tale, non è giusto: ne ha fatte troppe; „ — 5° ovvero quando subiamo qualche danno e ce la prendiamo con Dio, dicendo: « Ah! me infelice! Dio non può farmene di più! Credo ch’Egli non sa ch’io sono al mondo, o, se lo sa, non è che per farmi soffrire. » Parimente è bestemmia ridersi della Vergine e dei Santi, dicendo: « Oh! non hanno gran potere! io ho fatte molte preghiere e non ne ho ottenuto mai nulla!! » S. Tommaso ci dice ancora che la bestemmia è una parola ingiuriosa, oltraggiosa contro Dio o contro i Santi; ciò che si può fare in quattro modi: 1° Per affermazione, dicendo: « Dio è ingiusto e crudele permettendo ch’io soffra tanti mali, che mi si calunni in questo modo, che mi si faccia perdere questo danaro o questo processo. Ah, me infelice! tutto va male in casa mia e non ho nulla, mentre agli altri riesce tutto bene e abbondano » 2° Si bestemmia dicendo che Dio non è onnipotente, e che potranno fare qualunque cosa senza di Lui. Fu appunto questa bestemmia che pronunciò Sennacherib, re dell’Assiria, quando assediò Gerusalemme, dicendo che, malgrado Dio, avrebbe preso la città. Egli si burlava di Dio dicendo che non era tanto potente da impedirgli d’entrare e di metter tutto a fuoco e a sangue. Ma Dio, per punire questo miserabile della sua bestemmia e mostrargli ch’Egli era davvero onnipotente, gli mandò un Angelo che in una sola notte gli uccise 185 mila uomini. Il giorno dopo il re, vedendo sgozzato tutto il suo esercito senza sapere da chi, se ne fuggì tutto atterrito a Ninive, dove egli stesso fu ucciso da due suoi figli. 3° Si bestemmia quando si attribuisce a una creatura ciò che è dovuto a Dio solo, come quei miserabili che dicono a una creatura infame oggetto della loro passione: « Io vi amo con tutta la tenerezza del mio cuore!… È tanto il mio affetto, che vi adoro!… „ Delitto che fa orrore, e tuttavia tanto comune, almeno in pratica.

4° Si bestemmia dicendo: Ah! S… N. .. di D… „ Ciò fa orrore. Questo peccato è sì grave e sì spaventoso agli occhi di Dio, che attira ogni sorta di sventure sopra la terra. I Giudei avevano tanto orrore della bestemmia che, quando sentivano qualcuno bestemmiare, si squarciavano le vesti. Non osavano neppur pronunciare questa parola; la dicevano invece: « Benedizione. » Il santo Giobbe temeva tanto che i suoi figliuoli potessero aver bestemmiato, che offriva sacrifici a Dio per placarlo se mai l’avessero fatto (Giob. I, 5). S. Agostino dice che quelli che bestemmiano Gesù Cristo che è in cielo, sono più crudeli di quelli che l’hanno crocifisso sulla terra. Il cattivo ladrone bestemmiava Gesù Cristo in croce, dicendo: « S’Egli è onnipotente, liberi se stesso e noi assieme. » Il profeta Nathan disse al re Davide: « Poiché tu sei stato causa per cui si è bestemmiato il nome di Dio, il tuo figlio morrà, e il castigo non si allontanerà dalla tua casa per tutta la tua vita. » — Dio ci dice: « Chi bestemmierà il nome del Signore, voglio sia messo a morte. » — Leggiamo nella S. Scrittura che venne condotto a Mosè un uomo che aveva bestemmiato. Mose consultò il Signore, il quale gli manifestò che bisognava condurlo in un campo e farlo morire; vale a dire, ucciderlo a colpi di pietra (Lev. XXIV, 14) Possiamo dire che la bestemmia è davvero il linguaggio dell’inferno. San Luigi, re di Francia, aveva tanto in orrore questo delitto che aveva comandato che tutti i bestemmiatori fossero segnati con un ferro arroventato sulla fronte. Un giorno essendogli stato condotto un possidente di Parigi, molti vollero sollecitare la grazia per lui; ma il re disse loro che avrebbe voluto morire egli stesso per distruggere questo maledetto peccato; e comandò che fosse punito. L’imperatore Giustino faceva strappare la lingua a quelli che avevano avuto la disgrazia di commettere un sì grande delitto. Durante il regno di re Roberto, la Francia era oppressa da ogni sorta di sventure: e il buon Dio rivelò a una santa che tanto sarebbero durati i castighi quanto le bestemmie. Allora si sancì una legge che condannava tutti i bestemmiatori ad aver forata la lingua da un ferro infuocato, la prima volta; la seconda, comandava che fossero fatti morire. Badate bene, M. F., che, se la bestemmia regnerà nella vostra casa, tutto andrà a male. S. Agostino ci dice che la bestemmia è un peccato ancor più grave dello spergiuro, perché, dice egli, con lo spergiuro prendiamo il nome di Dio in testimonio d’una cosa falsa, mentre con la bestemmia diciamo una cosa falsa di Dio stesso. Quale delitto! Chi di noi ha mai potuto comprenderlo? S. Tommaso ci dice ancora che v’ha un’altra specie di bestemmia, quella contro lo Spirito Santo, la quale si commette in tre modi: 1° Attribuendo al demonio le opere di Dio, come facevano i Giudei, i quali dicevano che Gesù Cristo cacciava i demoni in virtù del principe dei demoni; come facevano i tiranni e i carnefici, i quali attribuivano alla magia o al demonio i miracoli dei martiri; — 2° si bestemmia contro lo Spirito Santo, ci dice sant’Agostino, “quando si muore nell’impenitenza finale.„ L’impenitenza è uno stato di bestemmia; poiché la remissione dei nostri peccati si fa con la carità, che è lo Spirito Santo;

— 3° quando facciamo azioni che sono direttamente opposte alla bontà di Dio, come quando disperiamo della nostra salute, o non vogliamo usare tutti i mezzi per ottenerla; come quando ci rodiamo perché altri ricevono più grazie di noi. Guardatevi bene dall’abbandonarvi a queste sorta di peccati, perché sono oltremodo orribili. Noi trattiamo Dio da ingiusto, dicendo che dà più agli altri che a noi. Non avete voi forse bestemmiato, F. M., dicendo che non c’è Provvidenza se non per i ricchi e i birbanti? Non avete forse bestemmiato, quando subiste qualche danno, dicendo: “Ma che cosa ho fatto dunque io al Signore più degli altri, per aver tante disgrazie? „ — Che cosa avete fatto? Mio caro, alzate gli occhi e vedrete che l’avete crocifisso. — Non avete forse bestemmiato dicendo che siete troppo tentato, che non potete far diversamente, che tale è il vostro destino?… Ecché? F. M., voi non pensate a ciò che dite!… Dunque Dio vi ha fatti viziosi, collerici, violenti, fornicatori, adulteri, bestemmiatori! Ma dunque voi non credete nel peccato originale che ha degradato l’uomo dallo stato di rettitudine e di giustizia, in cui eravamo da principio stati creati!… La tentazione è superiore alle vostre forze!… Ma, mio caro, la Religione non vi aiuta dunque per nulla a farvi comprendere tutta la corruzione originale?… E voi osate, infelice, bestemmiare ancora contro Colui che ve l’ha data come il più gran dono che potesse farvi?… Non avete voi altresì bestemmiato mai contro la S. Vergine e i Santi? Non avete mai sorriso delle loro virtù, delle loro penitenze, dei loro miracoli?… Ahimè! in questo secolo sciagurato, quanti empi troviamo che spingono la loro cattiveria fino a disprezzare i santi del cielo ei giusti della terra; quanti che si fanno beffe delle austerità dei santi, e che non vogliono servire Dio per sé, né permettere che lo servano gli altri! Vedete ancora, M. F., se non avete mai lasciato ripetere i vostri giuramenti ele vostre bestemmie ai fanciulli. Ah! infelici! quali castighi vi attendono nell’altra vita!. ..

2° Ma, mi domanderete, che differenza passa tra il bestemmiare e rinnegare Dio? — Una differenza grande, M. F . Osservo che parlando di rinnegazione, non intendo parlare di quelli che rinnegano il buon Dio abbandonando la vera Religione; costoro noi li chiamiamo apostati. Intendo dirvi di quelli che, parlando, hanno la maledetta abitudine di rinnegare, per collera o per impeto, il santo nome di Dio: come uno che ci rimettesse al mercato o perdesse al gioco, ese la prendesse con Dio, quasi volesse far credere che ne sia stato Lui la causa. Quando vi capita questo, bisogna che il buon Dio sopporti tutti i furori della vostra collera, quasi fosse Lui la causa della vostra perdita o dell’accidente che v’è toccato. Ah, sciagurati! Quegli che vi ha tratti dal nulla, che vi conserva evi ricolma continuamente di benefìzi, voi osate ancora disprezzarlo, profanare il suo santo Nome e rinnegarlo; mentre, se non avesse voluto ascoltare che la sua giustizia, da quanto tempo sareste inabissati nell’inferno! Ordinariamente vediamo che chi ha la sventura di commettere questi enormi delitti perisce miseramente. Si legge nella storia che un povero ammalato era ridotto in miseria. Essendo entrato da lui un missionario per vederlo e confessarlo: “Ah, padre! gli disse l’ammalato, Dio mi punisce per le mie collere, per le mie violenze, le mie bestemmie, e rinnegazioni. Io sono ammalato da molto tempo e ridotto estremamente povero. Tutte le mie cose hanno fatto una misera fine. I miei figli mi disprezzano e abbandonano, e non son buoni a nulla per i mali esempi ch’io ho dato loro. È già da tempo che soffro su questo pagliericcio; la mia lingua è tutto corrosa, e non posso inghiottir cosa alcuna senza soffrire dolori incredibili. Ahimè, padre! io ho gran timore che, dopo aver sofferto tanto in questa vita, debba soffrire anche nell’altra.„ Anche ai nostri giorni vediamo che questi uomini soliti a giurare e a rinnegare il santo Nome di Dio finiscono quasi sempre miseramente. Badate bene, M. F., se avete questa malvagia abitudine, dovete correggervene subito, per timore, che se non fate penitenza in questo mondo, non andiate a farla nell’inferno. Non dimenticatevi mai che la vostra lingua non deve servirò che a pregare il buon Dio e a cantare le sue lodi, Se avete avuto il mal abito di giurare, dovete pronunciare spesso il santo Nome di Gesù con gran rispetto per purificare le vostre labbra.

3° Se, finalmente, mi domandate che cosa s’intende per maledizione e per imprecazione, vi dirò che s’intende, M. F., maledire, in un momento di collera o di disperazione, una persona, una cosa, o una bestia; s’intende voler annientarla o renderla infelice Lo Spirito Santo ci dice che chi ha spesso la maledizione in bocca, deve ben temere che Dio non mandi a lui ciò ch’egli augura agli altri. Ci sono alcuni che hanno sempre in bocca il demonio, e a lui mandano tutto ciò che li urta. Se una bestia lavorando non va come deve, la maledicono o la mandano al diavolo. Altri, quando fa cattivo tempo, dicono: “Maledetto tempo! maledetta pioggia! ah, maledetto freddo!., maledetti ragazzi!… „ Non dimenticate mai che lo Spirito Santo ci dice che una maledizione, pronunciata invano e con leggerezza, su qualcuno dovrà cadere. S. Tommaso ci dice che, se pronunciamo una maledizione contro qualcuno, è peccato mortale, se auguriamo davvero ciò che diciamo. E S. Agostino ci narra di una madre che aveva maledetto i suoi figliuoli in numero di sette; ebbene, tutti quanti furono invasi dal demonio. Si sa che molti fanciulli, per essere stati maledetti dai loro genitori, furono infermi e infelici per tutta la vita. Leggiamo di una madre che, essendo andata in collera per colpa di sua figlia, le disse: “Ti s’inaridisse il braccio!„ E quasi all’istante alla povera figlia il braccio s’inaridì. I coniugati devono guardarsi dal maledirsi tra loro. Ci sono alcuni che, se non vanno bene in famiglia, maledicono la moglie, i figli, i genitori e tutti quelli che s’intromisero nel matrimonio. Ahimè, F. M.! tutte le vostre disgrazie provengono dall’esservi entrato con una coscienza tutta nera di peccati. — Gli operai, non devono mai maledire il loro lavoro, né quelli che loro lo danno: d’altra parte tutte le vostre maledizioni non faranno mai andar meglio i vostri affari; se invece aveste un po’ di pazienza, se sapeste offrire tutte le vostre pene a Dio, guadagnereste molto per il cielo. E gli strumenti del lavoro non li avete mai maledetti, dicendo: “Maledetta vanga! maledetta roncola! Maledetto aratro!„ eccetera? Ecco, M. F., ciò che attira ogni sorta di maledizioni sulle vostre bestie, sui vostri lavori, sulle vostre terre, spesso devastate dalla tempesta, dalla pioggia o dal gelo! — Non avete mai maledetto voi stessi, dicendo: « Oh, non avessi mai visto la luce!… fossi morto mentre veniva al mondo!… fossi ancor nel nulla!… „ Ahimè! quanti peccati, di cui molti non si accusano affatto, e non vi pensano neppure! — Dirò ancora che non dovete mai maledire né i vostri figliuoli, né le vostre bestie, né il vostro lavoro, né il tempo, perché in tutto ciò maledite la manifestazione della santa volontà del Signore. — I figliuoli si guardino bene dal dar occasione ai loro genitori di maledirli, ciò che è la più grande di tutte le sventure; poiché troppo spesso un fanciullo maledetto da’ suoi genitori è anche maledetto da Dio. Quando qualcuno vi offende in qualche cosa, invece di mandarlo al diavolo, non sarebbe meglio dirgli: “Che il buon Dio vi benedica? „ Allora sareste davvero i buoni servi di Dio, che rendono bene per male. Riguardo a questo comandamento, ci sarebbe ancor da parlare dei voti. Bisogna guardarsi bene dal far voti a capriccio. Certuni, quando sono ammalati, si votano a tutti i Santi, e una volta guariti, non si danno affatto pensiero di soddisfare i loro voti. Bisogna anche vedere se si son fatti davvero come si doveva, cioè in istato di grazia; se li avete osservati. Ahimè! quanti peccati in questi voti! ciò, che invece di piacere a Dio, non può che offenderlo. Che se mi domandate come mai dunque ci sono tanti che giurano, giurano anche il falso, che pronunciano maledizioni e imprecazioni orribili, che rinnegano Dio, vi dirò, M. F., che quelli che si abbandonano a questi orrori non hanno né fede, né religione, né coscienza, né virtù; sono in gran parte abbandonati da Dio. Quanto noi saremmo più felici se avessimo la grazia di non adoperar mai la nostra lingua, consacrata a Dio col santo Battesimo, se non per pregare un Dio sì buono, sì benefico, e cantare le sue sante lodi! Poiché è appunto per questo che Dio ci ha dato una lingua; consacriamola a Lui, affinché, dopo questa vita, possiamo avere la felicità di andarlo a benedire in cielo per tutta 1’eternità. Ciò che vi auguro di cuore …

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA SPERANZA

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sulla Speranza.

Diliges Dominum Deum tuum.

(MATTH. XXII, 37).

È vero, F. M., che S. Agostino ci dice che, quand’anche non ci fosse né il cielo da sperare, né l’inferno da temere, non per questo bisognerebbe lasciare d’amare il buon Dio; perché Egli è infinitamente amabile e merita d’essere amato; tuttavia Dio, per incoraggiarci ad attaccarci a Lui ed amarlo sopra tutte le cose, ci promette una ricompensa eterna. Se noi compiamo degnamente sì bella opera, che costituisce tutta la felicità dell’uomo sulla terra, ci prepariamo la nostra felicità e la nostra gloria nel cielo. Se la fede c’insegna che Dio vede tutto, ch’Egli è testimonio di tutto ciò che facciamo e soffriamo, la virtù della speranza ci fa sopportare le nostro pene con un’intera sommissione alla sua santa volontà, col pensiero che ne saremo ricompensati per tutta l’eternità. Noi vediamo che fu appunto questa bella virtù che sostenne i martiri in mezzo ai loro tormenti, i solitari nei rigori delle loro penitenze, i santi, infermi o ammalati, nelle loro malattie. Sì, F. M., se la fede ci scopre dovunque Dio presente, la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, col felice pensiero d’una ricompensa eterna. Ora, poiché questa virtù addolcisce tanto i nostri mali, vediamo insieme in che cosa consiste questa bella e preziosa virtù della speranza.

1° Se noi abbiamo, F. M., la felicità di conoscere per mezzo della fede che c’è un Dio, il quale è nostro Creatore, nostro Salvatore e nostro sommo Bene, e non ci ha creati che per conoscerlo, amarlo, servirlo e possederlo; la speranza c’insegna che, sebbene indegni di questa felicità, noi possiamo aspirarvi per i meriti di Gesù Cristo. Per rendere, F. M., le nostre azioni degne d’essere ricompensate occorrono tre cose: la fede, che ci fa in esse veder Dio presente; la speranza, che ce le fa compiere con l’unico scopo di piacere a Lui; e l’amore, che ci attacca a Lui come al nostro sommo Bene. Sì, M. F., noi non conosceremo mai il grado di gloria che ogni azione ci procura nel cielo, se la facciamo puramente per amor di Dio; i santi stessi che sono in cielo non riescono a comprenderlo. Eccone un esempio meraviglioso. Leggiamo nella vita di S. Agostino che, scrivendo egli a S. Girolamo per domandargli di quale espressione bisognasse servirsi per far meglio sentire la grandezza della felicità che godono i santi in cielo; nel momento in cui scriveva, secondo il solito al principio di tutte le sue lettere, “Salute in Gesù Cristo Signor nostro, „ la sua camera fu illuminata da una luce affatto straordinaria, più bella che il sole in pieno meriggio e pregna di mille profumi; egli ne fu si rapito che per poco non ne morì di piacere. Nello stesso istante, sentì uscir da questa luce una voce e dirgli: “Ah! mio caro amico Agostino, tu mi credi ancor sulla terra: grazie a Dio, io sono in cielo. Tu vuoi domandarmi di qual termine si potrebbe servirsi per far meglio sentire la felicità che godono i santi: sappi, amico mio, che questa felicità è sì grande e tanto al di sopra di tutto ciò che una creatura possa pensare, che ti sarebbe più facile contare tutte le stelle del firmamento, metter l’acqua di tutti i mari in un’ampolla, stringer tutta la terra nella tua mano, che comprendere la felicità di chi è minimo fra i beati nel cielo. E avvenuto a me ciò che avvenne alla regina di Saba: ella aveva concepito una grande idea del re Salomone per la voce corsa della sua riputazione: ma dopo aver visto ella stessa il bell’ordine che regnava nel suo palazzo, la magnificenza senza pari, la scienza e la sapienza di questo re. ne fu sì meravigliata, si rapita che se ne ritornò a casa dicendo che tutto ciò che le si era detto non era nulla in confronto di quello che aveva visto ella medesima. Io ho fatto altrettanto per la bellezza del cielo e la felicità di cui godono i beati; credeva d’aver compreso qualche cosa di queste bellezze che sono rinchiuse nel cielo e della felicità di cui godono i santi; ma, malgrado tutti i pensieri più sublimi ch’io ho potuto concepire, tutto ciò non è nulla in confronto di quella felicità che forma il retaggio dei beati. „ – Leggiamo nella vita di S. Caterina da Siena che Dio le fece vedere qualcosa della bellezza del cielo e della sua felicità. Ella ne fu sì rapita che cadde in estasi. Ritornata in sé, il confessore le domandò che cosa il buon Dio le avesse fatto vedere. Rispose che Dio le aveva tatto vedere qualcosa della bellezza del cielo e della felicità dei santi, ma che era impossibile dirne la minima parte tanto sorpassava tutto ciò che noi possiamo pensare. Ebbene, P. M, ecco dove conducono le nostre buone azioni se noi le facciamo con lo scopo di piacere a Dio: ecco i beni che la virtù della speranza ci fa attendere e desiderare.

2° La virtù della speranza ci consola e ci sostiene nelle prove che il buon Dio ci manda. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona del santo Giobbe, là sul letamaio, coperto d’ulceri da capo a piedi. Aveva perduti tutti i suoi figli, rimasti schiacciati sotto le rovine della sua casa. Egli stesso si vide trascinato giù dal suo letto e buttato su di un letamaio all’angolo della via, e abbandonato da tutti: il suo povero corpo era tutto coperto di putredine; i vermi lo rodevano vivo, tanto ch’era costretto di toglierli con cocci di vasi infranti; era insultato persino da sua moglie, che, invece di consolarlo, lo copriva d’ingiurie, dicendogli: “Lo vedi, il tuo Dio, che tu servi con tanta fedeltà? Vedi come ti ricompensa? Domandagli la morte, che almeno ti libererà da’ tuoi mali!„ I suoi migliori amici pareva venissero a trovarlo unicamente per accrescere i suoi dolori. Tuttavia malgrado questo miserrimo stato in cui era ridotto, egli non cessava di sperar sempre in Dio. “No, mio Dio, diceva egli, io non cesserò mai di sperare in voi; mi toglieste anche la vita, io non lascerei di sperare in voi e d’avere una gran confidenza nella vostra bontà. — Perché, mio Dio. dovrei io scoraggiarmi o abbandonarmi alla disperazione? Io farò a Voi l’accusa dei miei peccati che sono la causa de’ miei mali; ma spero che voi, Voi stesso sarete il mio Salvatore. La mia speranza è che Voi mi ricompenserete un giorno dei mali ch’io soffro per vostro amore. Ecco, F. M., ciò che noi possiamo chiamare una speranza vera; poiché, non ostante gli sembrasse che tutta la collera di Dio fosse piombata su di lui, egli non cessava perciò di sperare in Dio. Senza esaminare il perché di tanti mali, si contenta di dire che sono effetto de’ suoi peccati. – Vedete voi, F. M., i grandi beni che la speranza gli procura? Tutti lo trovano infelice; e lui solo, sul suo letamaio, abbandonato da’ suoi e disprezzato dagli altri; lui solo si trova felice, perché mette la sua confidenza in Dio. Ah! se nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie, avessimo questa grande confidenza in Dio, quanti beni non accumuleremmoper il cielo! Ahimè! quanto siamo ciechi, F. M.!Se invece di disperarci nelle nostre miserie, avessimo la ferma speranza che il buon Dio tutto questo c’invia come altrettanti mezzi per farci meritare il cielo, con quanta gioia non le soffriremmo! Ma, mi direte voi, che vuol dire questa parola: sperare? — Eccolo, F . M. Vuol dire sospirare a qualche cosa che deve renderci felici nell’altra vita; vuol dire desiderare ardentemente la liberazione dei mali di questa vita e desiderare il possesso d’ogni sorta di beni capaci di soddisfarci pienamente. Quando Adamo ebbe peccato e si vide oppresso da tante miserie, tutta la sua consolazione era nel pensiero che, non solo questi dolori gli meritavano il perdono del suo peccato, ma anche gli procuravano beni per il cielo. Quanto è grande la bontà di Dio, F. M., nel ricompensare con tanti beni la minima delle nostre azioni, e per tutta l’eternità! — Ma, per farci meritare questa felicità, il buon Dio vuole che noi abbiamo una grande confidenza in Lui, quasi fanciulli verso un buon padre. E per questo che noi lo vediamo in molti passi della sacra Scrittura, prendere il nome di Padre, affine d’inspirarci una maggior confidenza. Egli vuole che noi ricorriamo a Lui in tutte le nostre pene sia dell’anima, sia del corpo. Ci promette di soccorrerci tutte le volte che faremo ricorso a Lui. S’Egli prende il nome di Padre, è per inspirarci una maggior confidenza nella sua bontà. Vedete come ci ama! Per bocca del suo profeta Isaia, Egli ci ammaestra che ci porta nel proprio seno. “Una madre, dice, che porta il proprio figlio in seno non può dimenticarlo; e, quand’anche fosse tanto barbara da giungere anche a questo, Io non dimenticherò mai colui che mette la sua confidenza in me„ Egli si lamenta persino che non abbiamo abbastanza fiducia in Lui, e ci avverte di “non metter più la nostra confidenza nei re e nei principi, perché la nostra speranza sarà ingannata (Ps CXLV, 2). „ E va più innanzi ancora, poiché giunge fino a minacciar la sua maledizione se non avremo grande confidenza in Lui, e per bocca del suo profeta Isaia ci dice: “Maledetto colui che non mette la sua fiducia nel suo Dio!„ e più innanzi ” Benedetto colui che ha fiducia nel Signore ! „ (Ger. XVII, 5, 7). Vedete la parabola del Figliuol prodigo, ch’Egli propone con tanto piacere, affine d’inspirarci una grande confidenza in Lui. ” Un padre, ci dice, aveva un figlio che domandò ciò che poteva spettargli della eredità. Questo buon padre gli diede la sua parte di beni. E il figlio lo abbandona, parte per un paese straniero, e si lascia andare ad ogni sorta di disordini. Ma poco dopo, le sue dissolutezze l’avevano ridotto alla più grande miseria. Senza danaro e senza alcuna risorsa. Egli avrebbe voluto nutrirsi degli avanzi del cibo dei porci, da lui custoditi. Vedendosi oppresso da tanti mali, si ricordò d’aver abbandonato un buon padre, che lo aveva sempre colmato d’ogni sorta di benefizi in tutto il tempo ch’era rimasto presso di lui, e disse tra sé: “Mi alzerò e, colle lagrime agli occhi, andrò a gettarmi ai piedi di mio padre: egli è tanto buono che spero avrà ancor pietà di me. Gli dirò: “Mio tenero padre, io ho peccato contro di voi e contro il cielo: non merito più d’esser posto nel numero dei vostri figli; mettetemi tra i vostri servi e sarò ancor troppo felice. „ Ma che fa questo buon Padre? Gesù Cristo — e questo tenero padre è Lui stesso — ci dice che ben lungi dall’attendere che il figlio venga a gettarsi ai suoi piedi, appena lo scorge da lontano, egli stesso accorre per abbracciarlo. Il figlio vuol confessare i suoi peccati, ma il padre non permette più che gliene parli. “No, no, figlio mio, non è più questione di peccati; non pensiamo che a gioire.„ Questo buon padre invita tutti a ringraziare il buon Dio perché suo figlio morto è risuscitato, perché, dopo averlo perduto l’ha ritrovato. E per testimoniargli quanto lo ami, gli rende tutti i suoi diritti e la sua amicizia. (Luc. XV.). – Ebbene! ecco, F . M., come Gesù Cristo accoglie il peccatore ogni volta che ritorna a Lui: gli perdona non solo, ma gli rende tutti i beni che il peccato gli aveva rapiti. Dopo ciò, M. F., chi non avrà una grande fiducia nella carità del buon Dio? Egli va più innanzi e ci dice che quando noi abbiamo la fortuna d’abbandonare il peccato per amar Lui, tutto il cielo s’allieta. E se leggete più innanzi ancora, non vedete con qual premura Egli corre in cerca della pecorella smarrita? Una volta trovatala, ne prova tanta gioia che se la mette persino sulle spalle per evitarle la fatica del ritorno (Luc. XV). Vedete con qual bontà accoglie la Maddalena a’ suoi piedi, (Luc. VII),  con qual tenerezza la consola; e non solo la consola, ma la difende altresì contro gl’insulti dei farisei. Vedete con quanta carità e con quanto piacere perdona all’adultera; essa l’offende ed è proprio Lui che vuol farsi suo protettore e suo salvatore (Giov. VIII). Vedete la sua premura nel seguire la Samaritana; per salvare l’anima sua va Lui stesso ad aspettarla presso al pozzo di Giacobbe: le indirizza Lui per primo la parola per mostrarle anticipatamente la sua bontà; e mostra di chiederle acqua, per darle la sua grazia e il cielo (Ibid. IV). – Ditemi F. M., quali pretesti avremo noi per scusarci quando Egli ci mostrerà quanto era buono a nostro riguardo e come ci avrebbe ricevuti se avessimo voluto far ritorno? Con quanta gioia ci avrebbe perdonato e reso la sua grazia? Non potrà Egli dirci: Ah! infelice, se tu sei vissuto e morto nel peccato è perché non hai voluto uscirne; mentre Io desideravo tanto perdonarti! Vedete, M. F., quanto il buon Dio vuole che andiamo a Lui con confidenza nei nostri mali spirituali! Egli ci dice, per bocca del suo profeta Michea, che quand’anche i nostri peccati fossero così numerosi come le stelle del firmamento, come le gocce d’acqua del mare, come le foglie delle foreste e come i granelli d’arena chiusi nell’oceano, se noi ci convertiamo sinceramente, Egli ci promette che li dimenticherà tutti; e ci dice ancora che quand’anche i nostri peccati avessero reso l’anima nostra nera come il carbone o rossa come lo scarlatto, Egli ce la renderà candida come la neve. „ (Isai. I, 18). E soggiunge che Egli getta i nostri peccati nel caos del mare perché non appariscano mai più. Quanta carità, F. M., da parte di Dio! Con quanta confidenza non dobbiamo rivolgerci a Lui! Ma qual disperazione per un Cristiano dannato sapere quanto il buon Dio avrebbe desiderato perdonargli s’egli avesse voluto chiedergli perdono. F. M., se noi andremo dannati, bisognerà pur confessare che l’avremo voluto noi, poiché il buon Dio ci ha detto tante volte che voleva perdonarci. Ahimè, quanti rimorsi di coscienza, quanti buoni pensieri, quanti desiderii la voce di Dio ha suscitato in noi! O mio Dio! quanto è stolto l’uomo che si danna, mentre può così facilmente salvarsi! Ah! F. M., per convincerci di tutto questo, non abbiamo che da esaminare ciò ch’Egli ha fatto per noi durante i trentatré anni che visse sopra la terra. – Inoltre dobbiamo avere grande confidenza in Dio anche per i nostri bisogni temporali. Per eccitarci a rivolgerci a Lui con gran confidenza per ciò che riguarda il corpo, Egli ci assicura che avrà cura di noi; e noi stessi vediamo quanti miracoli ha fatto piuttosto che lasciarci mancare il necessario. Nella santa Scrittura vediamo ch’Egli ha nutrito il suo popolo per quarant’anni nel deserto, con la manna che cadeva ogni giorno dal cielo prima del levar del sole. Durante i quarant’anni che rimasero nel deserto i loro abiti non si logorarono punto. Nel Vangelo ci dice di non metterci in pena per ciò che riguarda il nutrimento e il vestito: “Guardate, ci dice, gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono nulla nei granai; eppure con quanta cura il Padre vostro celeste li nutre: non siete voi da più di loro? voi siete figliuoli di Dio. Uomini di poca fede, non mettetevi adunque in pena per ciò che mangerete o per ciò di cui vi vestirete. Guardate i gigli dei campi, come crescono: eppure non lavorano, non filano; vedete come sono vestiti: vi garantisco io che Salomone, in tutta la sua magnificenza, non fu mai vestito come uno di loro. So adunque, conclude questo divin Salvatore, se il Signore si prende tanta cura per vestire un’erba, che oggi è, e domani vien gettata a bruciare, con quanta maggior ragione non si prenderà cura di voi, che siete i suoi figli? Cercate adunque anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza.„ (Matt. VI). Vedete ancora quanto Egli vuole che abbiamo fiducia: “Quando mi pregherete, ci ammaestra, non dite: Mio Dio, ma Padre nostro, perché sappiamo che il figlio ha una fiducia illimitata in suo padre.„ Quando fu risorto, apparve a Maddalena e le disse: “Va da’ miei fratelli, e di’ loro ch’io ascendo al Padre mio, che è anche Padre vostro.„ (Giov. XX, 17). M. F., dunque non converrete voi meco che, se siamo tanto infelici sulla terra, ciò non può essere se non perché non abbiamo abbastanza fiducia in Dio?

3° In terzo luogo, F. M., dobbiamo avere grande fiducia in Dio nelle nostre pene, nei nostri affanni, nelle nostre malattie. Bisogna, che questa grande speranza del cielo ci sostenga e ci consoli; ecco ciò che hanno fatto tutti i santi. Leggiamo nella vita di S. Sinforiano che, mentre veniva condotto al martirio, sua madre, che l’amava davvero in Dio, salì sopra un muro per vederlo passare, e, levando la voce quanto poté, “Figlio mio, figlio mio, gli gridava, guarda il cielo; coraggio, figlio mio! ti sostenga la speranza del cielo! figlio, coraggio! se il cammino del cielo è difficile, è per altro molto breve.„ E questo fanciullo, animato dalle parole di sua madre, sostenne con grande intrepidezza i tormenti e la morte. S. Francesco di Sales aveva una sì grande fiducia in Dio, che pareva insensibile alle persecuzioni che gli si movevano. Egli diceva a se stesso: Poiché nulla avviene senza che Dio lo permetta, le persecuzioni non sono che pel nostro bene. „ Leggiamo nella sua vita che una volta fu orribilmente calunniato; eppure egli non perdé nulla della sua tranquillità ordinaria. Scrisse ad un amico che qualcuno l’aveva avvertito che si straziava la sua fama in un bel modo; ma ch’egli sperava che il buon Dio aveva ordinato tutto questo per la sua gloria e per la salute dell’anima sua. E si accontentò di pregare per quelli che lo calunniavano. Ecco, F. M., la fiducia che dobbiamo avere in Dio. Quando siamo perseguitati e disprezzati è segno che noi siamo davvero Cristiani, figli, cioè, di un Dio disprezzato e perseguitato.

4° In quarto luogo, M. F., se dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché  siamo sicuri che non mancherà mai di venire in nostro soccorso in tutte le nostre pene, purché andiamo a Lui come figli al padre; dobbiamo avere altresì una grande fiducia nella sua santa Madre, che è tanto buona, e desidera tanto di aiutarci in tutti i nostri bisogni temporali, ma specialmente quando vogliamo tornare a Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci fa vergogna a confessarlo, gettiamoci a’ suoi piedi e siamo sicuri ch’ella ci otterrà la grazia di confessarci bene, e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il nostro perdono. Per darvene una prova, eccone un esempio mirabile. Si racconta nella storia che un uomo, per lungo tempo, condusse una vita molto cristiana, tanto da sperarne il cielo. Ma il demonio, che tutto fa a nostra rovina, lo tentò sì spesso e sì a lungo, che lo fece cadere in peccato grave. In seguito, rientrato in sé, comprese tutta l’enormità del suo peccato, e il primo pensiero fu di ricorrere al rimedio salutare della confessione. Ma ne concepì tanta vergogna che non poté mai determinarsi a confessarlo. Straziato dai rimorsi che non gli lasciavano un istante di riposo, prese l’insensata risoluzione d’annegarsi, sperando con ciò di metter fine a’ suoi tormenti. Ma giunto alla riva del fiume, fremette al pensiero dell’infelicità eterna in cui stava per precipitarsi, e se ne tornò piangendo a calde lacrime, e pregò il Signore di perdonargli senza ch’egli fosse obbligato a confessarsi. Credette ritrovare la pace dell’anima visitando molte chiese, facendo preghiere e penitenze; ma, non ostante le preghiere e le penitenze, i rimorsi lo perseguitavano sempre. Il buon Dio non voleva concedergli il perdono che per la protezione della sua santa Madre. Una notte ch’egli era immerso in una grande tristezza, si sentì fortemente inspirato d’andar a confessarsi. S’alzò di buon mattino e si portò alla chiesa; ma, quando fu là per confessarsi, si senti più che mai tormentato dalla vergogna del suo delitto, e non ebbe la forza di fare ciò che la grazia del buon Dio gli aveva inspirato. Qualche tempo dopo si ripeté la stessa cosa: si portò di nuovo alla chiesa, ma fu di nuovo trattenuto dalla vergogna e, in quel momento di disperazione, risolvé di morire piuttosto che dichiarare il suo peccato al confessore. Però gli venne in mente di: raccomandarsi alla santa Vergine. Prima di andare a prostrarsi ai piedi dell’altare della Madre di Dio, le mostrò il bisogno che aveva del suo soccorso, e la scongiurò con le lacrime agli occhi di non abbandonarlo. Quale bontà da parte della Madre di Dio, quanta premura a soccorrerlo! Non s’era ancora inginocchiato che tutte le sue pene scomparvero e si cambiò il suo cuore. Egli s’alzò pieno di coraggio e di fiducia, andò a trovare il suo confessore e gli confessò tutti i suoi peccati versando torrenti di lacrime. A mano a mano che confessava i suoi peccati gli pareva di togliersi un peso enorme dalla coscienza. In seguito confessò che, quando ricevette l’assoluzione, provò maggior contento che se gli avessero donato tutto l’oro del mondo. Ahimè, F. M., quale sventura per quest’uomo, se non fosse ricorso alla santa Vergine. Ora brucerebbe nell’inferno. Sì, M. F., in tutte le nostre pene sia dell’anima sia del corpo, dopo che in Dio, ci occorre una grande fiducia nella santa Vergine. Ecco un altro esempio che varrà a inspirarci una tenera fiducia in Lei, specialmente quando vogliamo concepire un grande orrore del peccato. S. Alfonso de’ Liguori racconta che una gran peccatrice di nome Elena, essendo entrata in chiesa, il caso, o piuttosto la Provvidenza, che dispone di tutto per il bene dei suoi eletti, volle ch’ella sentisse un discorso sulla divozione al santo Rosario. Ebbe sì forte impressione da ciò che disse il predicatore sull’eccellenza e sui mirabili effetti di questa santa pratica che le venne il desiderio d’avere una corona. E subito dopo la predica l’acquistò; ma, per qualche tempo, aveva cura di nasconderla per timore che fosse vista e messa in ridicolo. In seguito cominciò a recitarla, ma con poco gusto e divozione. Ma qualche tempo dopo la santa Vergine le fece sentire tanta divozione e tanto piacere, ch’ella non sapeva più stancarsi di recitarla; e per mezzo di questa pratica di pietà, tanto accetta alla santa Vergine, meritò da Lei uno sguardo di compassione, che le fece concepire orrore della sua vita passata. La sua coscienza le divenne un inferno e non le lasciava più riposo né giorno né notte. Straziata continuamente da rimorsi implacabili, non poteva più resistere alla voce interiore, che le diceva che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per aver la pace ch’ella bramava tanto, e cercava ovunque senza trovarla mai: che il sacramento della Penitenza era il solo rimedio per tutti i mali dell’anima sua. Invitata da questa voce, condotta e incalzata dalla grazia, andò a gettarsi ai piedi del ministro del Signore e a lui confessa tutte le miserie dell’anima sua, tutti i suoi peccati; e lo fa con tanta contrizione, con tanta abbondanza di lacrime che il confessore, sommamente meravigliato, non sa a che attribuire questo miracolo della grazia. Finita la confessione, Elena va a presentarsi ai piedi dell’altare della santa Vergine, e là, penetrata dei sentimenti della più viva riconoscenza, “Ah! santissima Vergine, esclama, è vero, fin qui sono stata un mostro; ma voi, che siete tanto potente presso Dio, aiutatemi, di grazia, a correggermi: io voglio occupare il resto dei miei giorni a far penitenza.„ Da quel momento rientrò in sé, spezzò per sempre i vincoli delle funeste compagnie che l’avevano tenuta nei disordini, donò tutti i suoi beni ai poveri e si abbandonò a tutti i rigori della penitenza che il suo amore per Dio e il ribrezzo de’ suoi peccati poterono inspirarle. Iddio, per mostrare quanto le era grato per la fiducia che ella aveva avuto nella Madre sua, nell’ultima sua malattia le apparve insieme alla Ss. Vergine per confortarla. Ella rese così nelle loro mani la sua bell’anima che aveva sì bene purificata con le lacrime e la penitenza, di modo che, dopo il buon Dio, è alla protezione della santissima Vergine che questa gran penitente dovette la sua salvezza. – Ecco ancora un altro esempio, non meno ammirabile, di fiducia nella santa Vergine, il quale mostra quanto sia utile la divozione alla Madre di Dio per aiutarci a uscir dal peccato. Narra la storia che un giovine, ben educato da’ suoi genitori, ebbe la sventura di contrarre un’abitudine sciagurata che gli fu causa di un’infinità di peccati. Siccome aveva ancora il timor di Dio e desiderava rinunciare a’ suoi disordini, di quando in quando faceva qualche sforzo per uscirne; ma il peso delle sue malvagie abitudini lo trascinava sempre. Detestava il suo peccato, ma pure vi ricadeva ed ogni istante. Vedendo che non riusciva a correggersi, s’abbandonò allo scoraggiamento e prese la risoluzione di non confessarsi più. Il suo confessore, che non lo vedeva più venire al tempo fisso, volle fare un nuovo sforzo per ricondurre questa povera anima a Dio. Va a trovarlo in un momento in cui era solo a lavorare. Questo povero giovine, vedendo venire il sacerdote, cominciò a sospirare e ad emettere grida di lamento. “Che avete, amico mio, gli domanda il sacerdote? — Ah! io non mi correggerò mai e ho risoluto di tralasciar tutto. Che dite mai, mio caro? Io so invece che se voi farete ciò ch’io vi dirò, riuscirete a correggervi e otterrete il perdono. Andate subito a gettarvi ai piedi della santa Vergine e poi venite a trovarmi.„ Il giovine andò all’istante a gettarsi ai piedi di un altare della Madonna e, bagnando di lacrime il pavimento, la supplicò d’aver pietà di un’anima che aveva costato il Sangue di Gesù Cristo, suo divin Figlio, e che il demonio voleva trascinare nell’inferno. In quel momento senti nascere in sé una sì gran fiducia che si alzò e andò a confessarsi. La sua conversione fu sincera: tutte le sue malvage abitudini furono assolutamente distrutte, ed egli servì il buon Dio per tutta la sua vita. — Riconosciamolo tutti, F. M.. che, se noi restiamo nel peccato, è proprio perché non vogliamo usare dei mezzi che la religione ci offre, né far ricorso con fiducia a questa buona Madre, che avrebbe tanta pietà anche di noi, come l’ebbe di tutti quelli che l’hanno pregata prima di noi.

5° In quinto luogo, o F. M., osservo che la speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio e non al mondo. Noi dobbiamo cominciare a praticare questa virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, con fervore, pensando quanto grande sarà la ricompensa della nostra giornata se faremo bene tutto ciò che dovremo fare, col solo scopo di piacere a Dio. Dite, M. F., se in tutto ciò che facciamo avessimo la fortuna di pensare alla grande ricompensa che il buon Dio lega a ciascuna delle nostre azioni, di quali sentimenti di rispetto e d’amore non saremmo noi penetrati! Vedete come sarebbero pure le nostre intenzioni facendo l’elemosina. — Ma, mi direte voi, quando io faccio qualche elemosina, è appunto per il buon Dio che la faccio, non per il mondo. — Però, M. F., noi siamo ben contenti quando ci si vede, quando ci si loda, e ci piace anche dirlo noi altri di nostra bocca. Nel nostro cuore amiamo pensarvi e ci compiacciamo nel nostro interno; — ma, se avessimo questa bella virtù nell’anima, non cercheremmo che Dio: il mondo non ci sarebbe per nulla, né cureremmo noi stessi. Non meravigliamoci adunque, F. M., se facciamo sì male le nostre azioni. È perché non pensiamo davvero alla ricompensa che il buon Dio vi annette, se le facciamo unicamente per piacere a Lui. Quando facciamo un favore a qualcuno che, ben lontano d’esserci riconoscente, ci paga d’ingratitudine, se avessimo questa bella virtù della speranza, noi ne saremmo ben contenti, pensando che la nostra ricompensa sarà ben più grande presso Dio. Francesco di Sales ci dice che, se si presentassero a lui due persone per ricevere qualche beneficio, egli sceglierebbe quella che crederebbe meno riconoscente, perché il merito sarebbe e più grande presso Dio. E il santo re Davide diceva che, quando faceva qualche cosa,la faceva sempre alla presenza di Dio, come se dovesse essere giudicato subito dopo per riceverne la ricompensa; ciò che lo portava a far bene tutto ciò che faceva per piacere a Dio solo. Infatti, quelli che non hanno questa virtù della speranza fanno tutto per il mondo o per farsi amare o stimare, e perdono ogni ricompensa. – Dicevo che dobbiamo avere grande fiducia inDio nelle nostre malattie e nei nostri affanni: è precisamente qui dove il buon Dio ci attende per vedere se gli mostreremo una grande fiducia. Leggiamo nella vita di S. Elzeario che la gente del mondo lo scherzava pubblicamente per la sua divozione ; e i libertini se ne facevano giuoco. Santa Delfina gli disse un giorno che il disprezzo che si faceva della sua persona ricadeva sulla sua virtù. – Ahimè! rispose egli piangendo, quando penso a tutto ciò che Gesù Cristo ha sofferto per tue. io ne sono sì commosso che, quand’anche mi cavassero gli occhi, non avrei parole per lamentarmi pensando alla gran ricompensa di quelli che soffrono per amor di Dio: qui è tutta la mia speranza, e ciò che mi sostiene in tutte le mie pene. „ E si capisce. Che cosa mai può consolare un povero ammalato nelle sue pene se non la grandezza della ricompensa che il buon Dio gli promette nell’altra vita? – Leggiamo nella storia che un predicatore, essendo andato a predicare in un ospedale, tenne un discorso sulle sofferenze. Egli dimostrò come le sofferenze ci acquistino grandi meriti per il cielo, e quanto un’anima che soffre con pazienza è accetta al buon Dio. Nello stesso ospedale v’era un povero ammalato che da molti anni soffriva assai, ma, sventuratamente sempre lamentandosi. Il discorso gli fece comprendere quanti beni egli aveva perduto pel cielo, sicché dopo la predica, cominciò a piangere e a singhiozzare in modo fuori del solito. Un sacerdote che lo vide gli domandò perché si abbandonasse a così grande affanno e se qualcuno l’avesse offeso, aggiungendo che, nella sua qualità d’amministratore egli poteva fargli render giustizia. “Oh! no, signore, rispose il povero uomo, nessuno mi ha offeso, ma io stesso mi son fatto troppo gran torto. — Come? gli domandò il sacerdote. — Ah! reverendo, quanti beni ho perduto in tanti anni ch’io soffro, e nei quali avrei tanto meritato per il cielo se avessi avuto la fortuna di sopportare i miei mali con pazienza! Ahimè! quanto grande è la mia sventura! Io che mi credevo così degno di compassione, se avessi ben compreso il mio stato, sarei il più felice nomo del mondo.„ Ah! F. M., quanti dovranno tener lo stesso linguaggio  n punto di morte, mentre se avessero avuto la fortuna di sopportarle in pace per il buon Dio, le loro pene, le quali non hanno servito che a perderli per il cattivo uso che ne hanno fatto, li avrebbero condotti al cielo. Si domandò un giorno a una povera donna che da lungo tempo soffriva in letto mali terribili, e che tuttavia si mostrava sempre contenta, le si domandò, dico, che cosa potesse sostenerla in uno stato sì lacrimevole.” Quando penso, rispose ella, che il buon Dio vede tutte le mie sofferenze e me ne compenserà per tutta l’eternità, io ne provo tanta gioia, soffro con tanto piacere, che non cambierei il mio stato con tutti gl’imperi del mondo. ,, Convenite meco, F . M., che quelli che hanno questa bella virtù nel cuore, cambiano ben presto il dolore in dolcezza. – Ah! F. M. se noi vediamo tanti infelici nel mondo maledire la loro esistenza e passar la loro povera vita in una specie d’inferno per gli affanni e la disperazione che li perseguitano ovunque, sappiate che tutte queste sventure non provengono che dal non voler essi metter la loro confidenza in Dio, né pensare alla grande ricompensa che li attende in cielo. – Leggiamo nella vita di S. Felicita che, temendo ella che il più piccolo de’ suoi figliuoli non avesse il coraggio di sostenere il martirio, “Figlio mio, gli gridava, guarda il cielo che sarà la tua ricompensa: ancora un istante e tutti i tuoi dolori saranno finiti. „ Tali parole, uscite dalla bocca d’una madre, diedero tanta forza a quel piccolo fanciullo, che abbandonò con una gioia incredibile il suo povero corpicino a tutti i tormenti che i carnefici vollero infliggergli. E S. Francesco Saverio ci dice che, essendo tra i barbari, ebbe a soffrire senz’alcun conforto, tutto ciò che gli idolatri potevano inventare; ma ch’egli aveva posto la sua fiducia in Dio per modo da dover riconoscere che il buon Dio l’aveva sempre soccorso in maniera visibile. Gesù Cristo, per mostrarci quanto dobbiamo aver confidenza in Lui e non temer mai di domandargli ciò che ci è necessario per l’anima o por il corpo, ci dice nell’Evangelo che un uomo essendo andato di notte a domandar tre pani a un suo amico per offrirli a uno ch’era venuto a trovarlo, l’amico gli rispose ch’era già in letto co’ suoi figliuoli e che non bisognava incomodarlo. Ma il primo continuò a pregarlo, dicendo che non aveva neppur un pane da offrire al suo ospite. E l’altro fini per dargli ciò che domandava, non perché  fosse suo amico, ma per liberarsi da un importuno. Di qui, conclude Gesù Cristo: “Domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto; e siate sicuri che ogni volta che domanderete qualcosa al mio Padre in Nome mio, voi l’otterrete. „ – Da ultimo soggiungo che la nostra speranza dev’essere universale, che dobbiamo cioè ricorrere a Dio in tutto ciò che ci possa accadere. Se siamo ammalati abbiamo grande fiducia in Lui, giacché è Lui stesso quegli che ha guarito tanti infermi durante la sua vita mortale: e se la mostra salute può contribuire alla sua gloria ed alla salvezza dell’anima nostra, siamo sicuri di ottenerla, se invece ne sarà più utile la malattia, Egli ci darà la forza di sopportarla con pazienza per ricompensarcene poi nell’eternità. — Se ci troviamo in qualche pericolo, imitiamo i tre fanciulli che il re aveva fatto gettare nella fornace di Babilonia. Essi posero talmente la loro fiducia in Dio. che il fuoco non fece che abbruciare le corde che li legavano; così che essi passarono tranquilli nella fornace ardente come in un giardino di delizie. — Siamo noi tentati? Mettiamo la nostra fiducia in Gesù Cristo e saremo sicuri di non soccombere. Questo tenero Salvatore ci ha meritato la vittoria nelle tentazioni lasciandosi tentare Egli stesso. — Siamo noi impigliati in una cattiva abitudine? temiamo di non poterne uscire? abbiamo fiducia in Dio, poiché Egli ci ha meritato ogni sorta di grazie per vincere il demonio. — Ecco, F. M., di che consolarci nelle miserie che sono inseparabili dalla vita. Ma udite ciò che dice S. Giovanni Crisostomo: « Per meritare tanta fortuna, non bisogna essere presuntuosi, esponendoci al pericolo di peccare. Il buon Dio ci ha promesso la sua grazia solo a patto che, da parte nostra, facciamo tutto il possibile per evitare le occasioni del peccato. Bisogna altresì guardarci dall’abusare della pazienza del buon Dio restando nel peccato, col pretesto che Dio ci perdonerà anche se tardiamo a confessarci. Guardiamocene bene, finché duriamo nel peccato, noi siamo in gran pericolo di cader nell’inferno; e tutto il pentirci che faremo alla morte, se saremo restati volontariamente nel peccato, non ci assicurerà affatto della nostra salvezza; perché avendo potuto uscirne, non l’avremo fatto. » Ah, noi insensati! Come mai osiamo restare nel peccato mentre non siamo certi neppur d’un minuto di vita? Nostro Signore ci ha detto che la morte verrà proprio quando meno ci penseremo. Aggiungo, che se non dobbiamo sperar troppo, non bisogna neppur disperare della misericordia di Dio, che è infinita. La disperazione è un peccato più grande di tutti quelli che possiamo aver commessi, perché siamo sicuri che Dio non ci rifiuterà mai il suo perdono se ritorneremo a Lui sinceramente. La grandezza dei nostri peccati non deve farci temere di non poter più ottenerne il perdono, perché tutti i nostri peccati in confronto della misericordia di Dio sono ancor meno d’un granello di sabbia in confronto di una montagna. Se Caino, dopo aver ucciso il fratello, avesse voluto chieder perdono a Dio, egli ne sarebbe stato sicuro. Se Giuda si fosse gettato ai piedi di Gesù Cristo per pregarlo di perdonargli, Gesù Cristo avrebbe rimesso anche a lui, come già a S. Pietro, il suo peccato. – Concludiamo. Volete voi ch’io vi dica perché si sta così a lungo nel peccato e perché ci angustiamo tanto per il momento in cui bisogna accusarsene? E perché noi siamo orgogliosi, e non per altro. Se avessimo l’umiltà non resteremmo mai nel peccato, né temeremmo affatto d’accusarlo. Domandiamo a Dio, F. M., il disprezzo di noi stessi e noi temeremo il peccato e lo confesseremo, subito appena commesso. Concludo dicendovi che dobbiamo domandar sovente a Dio questa bella virtù della speranza, che ci farà compiere tutte le nostre azioni con l’intenzione di piacere a Dio solo. Guardiamoci bene dal disperare giammai nelle malattie e nei nostri affanni. Pensiamo che tutte queste cose non sono che altrettanti beni che Dio ci manda perché formino il pegno di quella ricompensa eterna ch’io vi auguro di cuore…

DOMENICA III DOPO PENTECOSTE

DOMENICA NELL’OTTAVA DELLA FESTA DEL SACRO CUORE e III DOPO LA PENTECOSTE. (2021)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia di questo giorno esalta la misericordia di Dio verso gli uomini: come Gesù « che era venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori », cosi lo Spirito Santo continua l’azione di Cristo nei cuori e stabilisce il regno di Dio nelle anime dei peccatori. Questo ricorda la Chiesa nel Breviario e nel Messale. — Le lezioni del Breviario sono consacrate quest’oggi alla storia di Saul. Dopo la morte di Eli gli Israeliti si erano sottomessi a Samuele come a un nuovo Mosè; ma quando Samuele divenne vecchio il popolo gli chiese un re. Nella tribù di Beniamino viveva un uomo chiamato Cis, che aveva un figlio di nome Saul. Nessun figlio di Israele lo eguagliava, nella bellezza, ed egli sorpassava tutti con la testa. Le asine del padre si erano disperse ed egli andò a cercarle e arrivò al paese di Rama ove dimorava Samuele. Ed egli disse: « L’uomo di Dio mi dirà, ove io le potrò ritrovare ». Come fu alla presenza di Samuele, Dio disse a questi: « Ecco l’uomo che io ho scelto perché regni sul mio popolo ». Samuele disse a Saul: « Le asine che tu hai perdute da tre giorni sono state ritrovate ». Il giorno dopo Samuele prese il suo corno con l’olio e lo versò sulla testa di Saul, l’abbracciò e gli disse: « Il Signore ti ha unto come capo della sua eredità, e tu libererai il popolo dalle mani dei nemici, che gli sono d’attorno ». « Saul non fu unto che con un piccolo vaso d’olio, – dice S. Gregorio – perché in ultimo sarebbe stato disapprovato. Questo vaso conteneva poco olio e Saul ha ricevuto poco, perché  la grazia spirituale l’avrebbe rigettata » (Matt.). « In tutto – aggiunge altrove – Saul rappresenta i superbi e gli ostinati » (P. L. 79, c. 434). S. Gregorio dice che Saul mandato « a cercare le asine perdute è una figura di Gesù mandato da suo Padre per cercare le anime che si erano perdute » (P. L. 73, c. 249). « I nemici sono tutt’intorno in circuitu », continua egli; lo stesso dice il beato Pietro: « Il nostro avversario, il diavolo, gira (circuit) attorno a voi ». E come Saul fu unto re per liberare il popolo dai nemici che l’assalivano, cosi Cristo, l’Unto per eccellenza, viene a liberarci dai demoni che cercano di perderci. – Nella Messa di oggi il Vangelo ci mostra la pecorella smarrita e il Buon Pastore che la ricerca, la mette sulle spalle e la riporta all’ovile. Questa è una delle più antiche rappresentazioni di Nostro Signore nell’iconografia cristiana, tanto che si trova già nelle catacombe. L’Epistola ci mostra i danni ai quali sono esposti gli uomini raffigurati dalla pecorella smarrita. « Vegliate, perché il demonio come un leone ruggente cerca una preda da divorare. Resistete a lui forti nella vostra fede. Riponete in Dio tutte le vostre preoccupazioni, poiché Egli si prende cura di voi (Ep.), Egli vi metterà al sicuro dagli assalti dei vostri nemici (Grad.), poiché è il difensore di quelli che sperano in lui (Oraz.) e non abbandona chi lo ricerca (Off.). Pensando alla sorte di Saul, che dapprima umile, s’inorgoglisce poi della sua dignità reale, disobbedisce a Dio e non vuole riconoscere i suoi torti, « umiliamoci avanti a Dio » (Ep.) e diciamogli: « O mio Dio, guarda la mia miseria e abbi pietà di me: io ho confidenza in te, fa che non sia confuso (Int.); e poiché senza di te niente è saldo, niente è santo, fa che noi usiamo dei beni temporali in modo da non perdere i beni eterni (Oraz.); concedi quindi a noi, in mezzo alle tentazioni « una stabilità incrollabile » (Ep.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 16; 18 Réspice in me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus.

[Guarda a me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]

Ps XXIV: 1-2 Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam.

[A te, o Signore, elevo l’ànima mia: Dio mio, confido in te, ch’io non resti confuso.]

Réspice in me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus.

[Guarda a me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]

Oratio

Orémus.

Protéctor in te sperántium, Deus, sine quo nihil est válidum, nihil sanctum: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, te rectóre, te duce, sic transeámus per bona temporália, ut non amittámus ætérna.

[Protettore di quanti sperano in te, o Dio, senza cui nulla è stabile, nulla è santo: moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché, sotto il tuo governo e la tua guida, passiamo tra i beni temporali cosí da non perdere gli eterni.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet V: 6-11 “Caríssimi: Humiliámini sub poténti manu Dei, ut vos exáltet in témpore visitatiónis: omnem sollicitúdinem vestram projiciéntes in eum, quóniam ipsi cura est de vobis. Sóbrii estote et vigiláte: quia adversárius vester diábolus tamquam leo rúgiens circuit, quærens, quem dévoret: cui resístite fortes in fide: sciéntes eándem passiónem ei, quæ in mundo est, vestræ fraternitáti fíeri. Deus autem omnis grátiæ, qui vocávit nos in ætérnam suam glóriam in Christo Jesu, módicum passos ipse perfíciet, confirmábit solidabítque. Ipsi glória et impérium in sæcula sæculórum. Amen”.

(“Carissimi: Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti nel tempo della visita. Gettate ogni vostra sollecitudine su di lui, poiché egli ha cura di voi. Siate temperanti e vegliate; perché il demonio, vostro avversario, gira attorno, come leone che rugge, cercando chi divorare. Resistetegli, stando forti nella fede; considerando come le stesse vostre tabulazioni sono comuni ai vostri fratelli sparsi pel mondo. E il Dio di ogni grazia che ci ha chiamati all’eterna sua gloria, in Cristo Gesù, dopo che avete sofferto un poco, compirà l’opera Egli stesso, rendendoci forti e stabili. A lui la gloria e l’impero nei secoli dei secoli”).

LE PERSECUZIONI.

Non più l’Apostolo della carità Giovanni, oggi parla l’Apostolo dell’autorità, il Duce, San Pietro. Odor di battaglia intorno al capo e ai gregari, quell’odor di battaglia che è così frequente nella storia della Chiesa… « Tu, che da tanti secoli soffri, combatti e preghi…» Il Duce rincuora la sua truppa, la rincuora a modo suo, ma la rincuora in modo e forma che sarà utile sempre. Sotto la raffica resistono meglio talvolta gli alberi che invece di irrigidirsi superbi, piegano e flettono. Sotto la raffica del vento, sotto la tempesta della persecuzione il Cristiano deve umiliarsi con un gesto che non è umiliazione, è prudenza, è dignità, perché deve umiliarsi non agli uomini, ma a Dio: « sub potenti manu Dei » dice il testo, di quel Dio che se non vuole, permette le tribolazioni della sua Chiesa, dei suoi figliuoli più cari; potente anche quando agli occhi superficiali Egli sembra debole; di quel Dio che vigila anche quando pare agli increduli, ai cattivi, che Egli dorma. – Lo pensavano forse che Dio dormisse alcuni di quei neofiti, di quei poveri Cristiani della prima ora che entrati appena nella barca di San Pietro in cerca di tranquillità, di sicurezza, la vedevano così terribilmente sbattuta dalle onde. Dorme Dio, dicevano, ci ha abbandonati. Ai quali l’Apostolo della autorità, il Duce ricorda che Egli è sollecito, da buon Padre amoroso, dei suoi figli, «ipsì est cura de vobis». Veglia non visto. Il che però, se deve sgombrar la viltà dell’animo dei fedeli perseguitati, non vi deve accendere il fuoco fatuo della presunzione. – Visti, vigilati, aiutati da Dio, appunto perciò, i fedeli devono combattere con tutte le loro forze, come se Dio li avesse lasciati soli a se stessi. Sobrii e attenti; ecco il programma che il Duce traccia ai suoi militi nella aspra guerra spirituale in cui sono impegnati. Sobrii perché la carne non frenata con la sobrietà, vince essa lo spirito e vigili, per non essere sorpresi, per non cader vittime di una imboscata qualsiasi. Il gran nemico, da buon condottiero, qual è anche lui, colla sua genialità malefica, questo tenta e vorrebbe: sorprendere coloro che vuol abbattere. Veglino e tengano desta con maggior diligenza la fede. « Fortes in fide». La fede è per essi, pei Cristiani, l’«ubi consistam» della loro vittoriosa resistenza. Credenti, sono forti; scettici, dubbiosi sono vinti. Che importa se alla loro fede si fa guerra? guerra nella loro piccola comunità? guerra al loro piccolo gruppo? No, la guerra non è così ristretta: è mondiale, dappertutto dove la fede cristiana si afferma, la lotta pagana si impegna, vincolo nuovo di tutta la grande fraternità, confraternità. – Il Duce lo rammenta con una specie di santo orgoglio, perché la Chiesa non cerca la lotta, ma neanche la teme, non la teme neanche quando essa prende estensioni inaudite: il mondo intero. Tutto questo fa pensare ad una persecuzione imperiale da parte di Roma pagana. Il Duce è forte, coraggioso, audace, senza ombra di spavalderia, perché sa di poter contare sull’appoggio indefettibile di un altro Duce. Egli, Pietro, è un Vicario, un sostituto, un facente funzione di… il Capo reale, invisibile è Gesù Cristo. Ed Egli ha il suo stile. Lascia soffiar la tempesta sui suoi per un po’ di tempo: «modicum ». Le tribolazioni della vita sono tutte brevi: le persecuzioni dei malvagi passano, anche quelle che paiono ai pazienti più lunghe, anche quelle che i carnefici, i persecutori, credono eterne: passano, sono temporanee, La Chiesa ha per sé l’eternità. La “vera” Chiesa non muore… E quando il vento impetuoso che pareva eterno è passato, inesorabilmente passato, si trova che invece di scalfire il gran monumento che è la Chiesa, l’ha spolverato, invece che fracassare i cieli, li ha purificati. Lezione magnifica, buona sempre, opportuna per chi temesse le persecuzioni, opportuno per chi desiderasse scatenarle…

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. (Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)]

Graduale

Ps LIV: 23; 17; 19 Jacta cogitátum tuum in Dómino: et ipse te enútriet.

[Affida ogni tua preoccupazione al Signore: ed Egli ti nutrirà.]

V. Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam ab his, qui appropínquant mihi. Allelúja, allelúja.

[Mentre invocavo il Signore, ha esaudito la mia preghiera, liberandomi da coloro che mi circondavano. Allelúia, allelúia]

Ps VII: 12 Deus judex justus, fortis et pátiens, numquid iráscitur per síngulos dies? Allelúja.

[Iddio, giudice giusto, forte e paziente, si adira forse tutti i giorni? Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

S. Luc. XV: 1-10

“In illo témpore: Erant appropinquántes ad Jesum publicáni et peccatóres, ut audírent illum. Et murmurábant pharisæi et scribæ, dicéntes: Quia hic peccatóres recipit et mandúcat cum illis. Et ait ad illos parábolam istam, dicens: Quis ex vobis homo, qui habet centum oves: et si perdíderit unam ex illis, nonne dimíttit nonagínta novem in desérto, et vadit ad illam, quæ períerat, donec invéniat eam? Et cum invénerit eam, impónit in húmeros suos gaudens: et véniens domum, cónvocat amícos et vicínos, dicens illis: Congratulámini mihi, quia invéni ovem meam, quæ períerat? Dico vobis, quod ita gáudium erit in cœlo super uno peccatóre pœniténtiam agénte, quam super nonagínta novem justis, qui non índigent pœniténtia. Aut quæ múlier habens drachmas decem, si perdíderit drachmam unam, nonne accéndit lucérnam, et evérrit domum, et quærit diligénter, donec invéniat? Et cum invénerit, cónvocat amícas et vicínas, dicens: Congratulámini mihi, quia invéni drachmam, quam perdíderam? Ita dico vobis: gáudium erit coram Angelis Dei super uno peccatóre pœniténtiam agénte”.

(“In quel tempo andavano accostandosi a Gesù de’ pubblicani e de’ peccatori per udirlo. E i Farisei e gli Scribi ne mormoravano, dicendo: Costui si addomestica coi peccatori, e mangia con essi. Ed Egli propose loro questa parabola, e disse: Chi è tra voi che avendo cento pecore, e avendone perduta una, non lasci nel deserto le altre novantanove, e non vada a cercar di quella che si è smarrita, sino a tanto che la ritrovi? e trovatala se la pone sulle spalle allegramente; e tornato a casa, chiama gli amici e i vicini, dicendo loro: Rallegratevi meco, perché ho trovato la mia pecorella, che si era smarrita? Vi dico, che nello stesso modo si farà più festa per un peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza. Ovvero qual è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane una, non accenda la lucerna, e non iscopi la casa, e non cerchi diligentemente, fino che l’abbia trovata? E trovatala, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, perché ho ritrovata la dramma perduta. Così vi dico, faranno festa gli Angeli di Dio, per un peccatore che faccia penitenza”).

Omelia

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933]

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur: C. FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sulla misericordia di Dio.

Erant autem appropinquantes ei publicani et peocatores, ut audirent illum.

(Luc. XV, 1).

La condotta di Gesù Cristo, durante la sua vita mortale, ci mostra la grandezza della sua misericordia verso i peccatori. Vediamo infatti che tutti vengono presso di Lui: ed Egli, anziché rigettarli o allontanarsi da essi, cerca invece tutti i modi possibili di trovarsi con loro, per attirarli al Padre suo. Li va cercando coi rimorsi della coscienza, li riconduce colle attrattive della sua grazia e li guadagna coi suoi modi amorevoli. Li tratta con tanta bontà, che li difende perfino contro gli scribi ed i farisei che volevano biasimarli e non potevano soffrirli vicino a Gesù Cristo. Giunge anche più oltre; vuol giustificarsi della sua condotta a loro riguardo con una parabola, che dipinge, come meglio non si potrebbe, la grandezza del suo amore pei peccatori, in questo modo: “Un buon pastore, che aveva cento pecore, avendone perduta una, lascia tutte le altre per correr dietro a quella che s’è smarrita: ed avendola trovata, se la mette sulle spalle per evitarle la fatica della strada: riportatala all’ovile, invita i suoi amici a rallegrarsi con lui d’aver trovato la pecora che credeva perduta. „ Aggiunge anche la parabola della donna, che possedendo dieci dramme., ed avendone perduta una, accende la lampada per cercarla in tutti gli angoli di casa sua, e trovatala invita le amiche a rallegrarsene. “Così, disse loro, il cielo tutto gioisce pel ritorno d’un peccatore che si converte e fa penitenza. Non son venuto pei giusti, ma per i peccatori: i sani non hanno bisogno del medico, bensì gli ammalati. „ E Gesù Cristo applica a se stesso queste vive immagini della grandezza della sua misericordia verso i peccatori. Ah! Fratelli miei, qual felicità per noi il sapere che la misericordia di Dio è infinita! Qual forte desiderio non dobbiam sentire nascere in cuore di gettarci ai piedi d’un Dio che ci riceverà con tanta gioia! F. M., se ci danneremo non avremo scuse, quando Gesù Cristo stesso ci mostrerà che la sua misericordia fu sempre grande abbastanza per perdonarci, per quanto fossimo colpevoli. E per darvene un’idea, oggi vi mostrerò: 1° la grandezza della misericordia di Dio verso i peccatori; 2° ciò che dobbiamo fare da parte nostra, per meritarci la fortuna di ottenerla.

I. — F. M., tutto è consolante, tutto è incoraggiante nella condotta di Dio verso di noi. Quantunque colpevoli, la sua pazienza ci attende, il suo amore ci invita ad uscir dal peccato per ritornare a Lui, la sua misericordia ci riceve fra le sue braccia. Colla pazienza, dice il profeta Isaia, Dio ci attende per usarci misericordia. Appena commesso il peccato, meritiamo d’essere puniti. Niente è più dovuto al peccato quanto la punizione. Dacché l’uomo s’è ribellato al suo Dio, le creature tutte domandano vendetta, dicendo: Signore, volete facciam perire quel peccatore che v’ha oltraggiato? Volete, gli dice il mare, ch’io l’inghiottisca nei miei abissi? E la terra: Signore, debbo aprire le mie viscere per farlo discendere vivo nell’inferno? E l’aria: Signore, mi permettete di soffocarlo? Ed il fuoco: Ah! di grazia lasciatemelo abbruciare. E così tutte le altre creature domandano vendetta ad alte grida. I lampi ed i fulmini vanno avanti al trono di Gesù Cristo domandandogli licenza di annientarlo e divorarlo. — Ma no, risponde il buon Gesù, lasciatelo sulla terra sino al momento stabilito dal Padre mio; forse avrò la fortuna di convertirlo. Se il peccatore si svia ognor più, questo tenero Padre piange su di lui, e non lascia di perseguitarlo colla sua grazia, facendo in lui nascere violenti i rimorsi della coscienza. ” O Dio delle misericordie, esclama S. Agostino, quand’era peccatore m’allontanavo da voi sempre più; i miei passi e le mie azioni tutte erano altrettante nuove cadute nel male; le passioni s’infiammavano ognor più vivamente; eppure avevate pazienza, e m’aspettavate. O pazienza del mio Dio! son tanti anni che vi offendo, e non mi avete ancora punito: donde può venire questa lunga attesa? Davvero, o Signore, è perché volete ch’io mi converta, e ritorni a voi colla penitenza. „ È possibile, F. M., che nonostante il desiderio del buon Dio di salvarci, noi ci perdiamo così deliberatamente? Sì, F. M., se vogliamo percorrere le differenti età del mondo, vediamo la terra ricoperta dappertutto delle misericordie del Signore, e gli uomini avvolti nei suoi benefizi. Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono; ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore, e lo fa ritornare a sé. Ne volete un bell’esempio? Vedete come fece con Adamo dopo il suo peccato. Invece di punirlo, come si meritava, per quella ribellione contro il suo Creatore, che avevagli concesso tanti privilegi, che l’aveva ornato di tante grazie e destinato per un fine così beato: quello d’esser suo amico e di non morir mai; Adamo, dopo il peccato, fugge la presenza di Dio: ma il Signore, come un padre desolato che ha perduto il figliuol suo, corre a cercarlo, e lo chiama quasi piangendo: “Adamo, Adamo, dove sei? Perché fuggi la presenza del tuo Creatore? „ (Gen. III, 9). Desidera tanto di perdonargli, che neppure gli dà tempo di domandar perdono: subito gli annuncia che vuol perdonargli, che manderà il Figliuol suo, il quale nascerà da una Vergine e riparerà il danno che il peccato ha cagionato a lui ed ai suoi discendenti, e che questa riparazione si farà in un modo ammirabile. Infatti, F. M., senza il peccato di Adamo, mai avremmo avuto la fortuna d’aver Gesù Cristo per Salvatore, né di riceverlo nella santa Comunione, e neppure di possederlo nelle nostre chiese. Nei lunghi secoli durante i quali l’eterno Padre attese di mandare sulla terra il Figliuol suo, Egli non cessò di rinnovare queste consolanti promesse per bocca dei patriarchi e dei profeti. O carità di Dio, quanto sei grande pei peccatori! Vedete, F. M., la bontà di Dio pel peccatore? Potremo ancora disperare del nostro perdono? Giacché il Signore mostra tanto il desiderio di perdonarci, se restiamo nel peccato è tutta colpa nostra. Vedete che cosa fece con Caino, dopoché questi uccise il fratello. Va a trovarlo per farlo rientrare in se stesso, e potergli perdonare: perché bisogna necessariamente domandargli perdono, se vogliam che ce lo dia. Ah! mio Dio, è troppo! “Caino, Caino, che hai fatto? Domandami perdono, perché io possa perdonarti. „ Caino non vuole, dispera della sua salvezza, si ostina nel peccato. Eppure vediamo il buon Dio che lo lascia a lungo sulla terra per dargli tempo, se avesse voluto, di convertirsi. Vedete ancora la sua misericordia verso il mondo, quando i delitti degli uomini avevano ricoperto la terra infangandola nelle più infami passioni: il Signore era costretto a punirli: ma prima di decidersi, quante precauzioni, quanti avvertimenti, quanti indugi! Li minaccia molto tempo prima di punirli, per iscuoterli e farli rientrare in se stessi. Vedendo che i delitti andavano sempre aumentando, mandò loro Noè, al quale comandò di costruire un’arca, impiegandovi cento anni, e di dire a tutti quanti glielo domandassero, il perché di quella costruzione; che, cioè il Signore voleva far perire il mondo intero, con un diluvio universale, ma che se volevano convertirsi e fare penitenza, cambierebbe il suo decreto. Infine però, vedendo che a nulla servivano tutti questi avvertimenti e che gli uomini si ridevano delle sue minacce, fu obbligato di punirli. E tuttavia sappiamo che il Signore disse che si pentiva d’averli creati: il che ci mostra la grandezza di sua misericordia. E come se avesse detto: Preferirei non avervi creati piuttosto che vedermi costretto a punirvi (Gen. VI). Ditemi, F. M., poteva Egli, quantunque Dio, spingere più lungi la sua misericordia? F. M., cosi Egli aspetta i peccatori a penitenza e ve li invita coi movimenti interiori della sua grazia, e la voce dei suoi ministri. Vedete ancora come si diporta verso Ninive, questa grande città peccatrice. Prima di punirne gli abitanti, comanda al suo profeta Giona, d’andare da parte sua ad annunciar loro che fra quaranta giorni li avrebbe puniti. Giona, invece d’andare a Ninive, fugge in altro luogo. Vuol attraversare il mare: ma Dio, invece di lasciare i Niniviti senza avviso prima di punirli, fa un miracolo per conservare il suo profeta durante tre giorni e tre notti nel seno d’un cetaceo, che al terzo dì miracolosamente lo rigetta sul lido. Allora il Signore dice a Giona: “Va ad annunciare alla grande città di Ninive che fra quaranta giorni sarà distrutta. „ Non mette condizioni. Il profeta, andatovi, annuncia a Ninive che fra quaranta giorni sarebbe perita. A questa notizia, tutti si danno alla penitenza ed alle lagrime, dal contadino fino al re. “Chi sa, dice loro il re, che il Signore non abbia ancora pietà di noi?„ Il Signore, vedendoli ricorrere alla penitenza, sembrò gustare la gioia di perdonarli. Giona, vedendo passato il tempo del castigo, si ritirò fuori della città, per aspettare che il fuoco del cielo cadesse su di essa. Vedendo che non cadeva: “Ah! Signore, esclama, mi fate forse passare per un falso profeta? fatemi piuttosto morire. Ah! io so bene che siete troppo buono; non cercate che di perdonare!” — Ecchè, Giona! gli disse il Signore; vorresti ch’Io facessi perire tante persone, che si umiliarono davanti a me? Oh! no, no, Giona, non ne avrei il coraggio: invece li amerò e li conserverò (Jon. I-IV) .„ Ecco precisamente, F. M., quanto fa Gesù Cristo a nostro riguardo: alcune volte sembra voglia punirci senza misericordia: ma al più piccolo pentimento ci perdona e ci rende la sua amicizia. Vedete, quando volle far discendere il fuoco dal cielo sopra Sodoma, Gomorra e le città vicine. Sembrava non potervisi risolvere senza consultare il suo servo Abramo; quasi per sentire che cosa dovesse fare. “ Abramo, dissegli il Signore, i delitti di Sodoma e Gomorra giunsero sino al mio trono; non posso più soffrirli quegli uomini; li farò perire col fuoco del cielo. — Ma, Signore, risponde Abramo, punirete i giusti insieme ai peccatori? — Oh! no, no, gli dice il Signore. — Ebbene! soggiunge Abramo: se vi fossero trenta giusti in Sodoma, la punireste, o Signore ? — No, disse, se ne trovo trenta, perdono a tutta la città per amore dei giusti. „ (Gen. XVIII). Arrivò sino a dieci. Ahimè! in una città sì grande non si trovavano dieci giusti! Vedete che il Signore sembrava gioisse di consultare il suo servo su quanto voleva fare. Vedendosi costretto a punirli, mandò subito un Angelo a Lot per dirgli di uscire lui e tutta la sua famiglia, per non andar puniti coi colpevoli (idem XIX). Ah! mio Dio, quale pazienza! quanti indugi prima dell’esecuzione! Volete sapere qual peccato obbligò il Signore a far piombar sulla terra tanti castighi? Ahimè! è il maledetto peccato dell’impurità, di cui la terra era tutta coperta. Volete vedere come Dio tarda a punire? Vedete che cosa fece per castigar Gerico (Gios. VI) . Ordinò a Giosuè di far portare in processione l’arca dell’alleanza, oggetto sacro che mostrava la grandezza della misericordia di Dio. Volle che fosse portata dai sacerdoti, depositari di sua misericordia. Comandò di fare per sette giorni il giro delle mura della città, facendo suonare le medesime trombe che servivano ad annunciare l’anno del giubileo, che era un anno di riconciliazione e di perdono. Eppure vediamo che le stesse trombe destinate ad annunciare loro il perdono, fecero cadere le mura della città, per mostrarci che se non vogliamo approfittare delle grazie che Dio vuol accordarci, diventiamo perciò più colpevoli: ma che se abbiamo la fortuna di convertirci, Egli ne prova una gioia sì grande da dirci che ci dà il perdono con maggior prontezza di quella con cui una madre estrae il suo bambino dal fuoco. Vedemmo, F. M., che dal principio del mondo, sino alla venuta del Messia, tutto è misericordia, grazia, benefizi. Eppure possiamo dire che sotto la legge di amore i benefizi, di cui Dio ha colmato il mondo, sono ancor più abbondanti e preziosi. Quale misericordia nell’eterno Padre il quale non ha che un Figlio, ed acconsente che perda la vita per salvarci tutti! Ah! F. M., se percorressimo tutta la storia delle sofferenze di Gesù Cristo con cuore riconoscente, quante lagrime non verseremmo! Vedendo il tenero Gesù nella culla, ecc.. Vedete che la misericordia del Padre non può andar oltre, poiché avendo un sol Figlio, che è la cosa sua più cara, lo sacrifica per salvarci. Ma se consideriamo l’amore del Figlio, che cosa ne diremo noi? Egli acconsente volontariamente di soffrire tanti tormenti, ed anche la morte per procurarci la felicità del cielo! Ah! F. M., che cosa non ha Egli fatto durante i giorni di sua vita mortale? Non contento di chiamarci a Lui colla sua grazia, e di fornirci tutti i mezzi per santificarci, vedete come corre dietro le pecorelle smarrite: vedete come attraversa le città e le campagne per cercarle e ricondurle nel luogo della sua misericordia: vedete come lascia gli apostoli per aspettare la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe, dove sapeva sarebbe venuta: la previene Lui stesso; comincia a parlarle, perché la sua parola piena di dolcezza, unita alla sua grazia, la tocchi e la commuova: le domanda acqua da bere, perché ella stessa gli chieda qualche cosa di più prezioso, la sua grazia. Fu così contento d’aver guadagnato quell’anima che quando gli apostoli lo pregarono di cibarsi: “Oh! no, disse loro.„ Sembrava dicesse: “Ah! no, no, io non penso al cibo del corpo, tanto gioisco d’aver guadagnata un’anima al Padre mio! „ (Giov. IV) Vedetelo nella casa di Simone il lebbroso: non vi si reca per mangiare, ma perché sapeva che vi verrebbe una Maddalena peccatrice: ecco, F. M., che cosa lo conduce a quel banchetto. Osservate la gioia che mostra in volto, vedendo Maddalena a’ suoi piedi, bagnarli di lagrime ed asciugarli co’ suoi capelli. Ma il Salvatore, dal canto suo, la ricompensa: versa a piene mani la grazia nel cuore di lei. Vedete come prende le sue difese contro chi se ne scandalizza (Luc. VI) . Giunge tant’oltre che non contento di perdonarle tutti i peccati e cacciare i sette demoni che aveva in cuore, vuol anche sceglierla per una delle sue spose: vuole che l’accompagni in tutto il corso di sua passione, e che “ … dove sarà predicato il Vangelo, si racconti quanto ella fece per Lui (Matt. XXVI, 13):„ non vuole che si parli de’ suoi peccati, perché son già tutti perdonati coll’applicazione anticipata dei meriti del suo sangue adorabile, che Egli deve spargere. Vedetelo prender la via di Cafarnao per andar a trovare un altro peccatore al suo banco; era S. Matteo, di lui voleva fare uno zelante apostolo (Matt. IX). Domandategli perché prende la via di Gerico; soggiungerà che v’è un uomo chiamato Zaccheo, il quale è in voce di pubblico peccatore; vuol andarlo a trovare per salvarlo, per farne un perfetto penitente. Fa come un buon padre, che ha perduto il suo figliuolo, lo chiama: “Zaccheo, gli dice, discendi, perché oggi voglio venire in casa tua, e vengo per concederti la mia grazia. „ È come se Egli dicesse: “Zaccheo, lascia questo orgoglio e quest’attaccamento ai beni del mondo: discendi, cioè scegli l’umiltà e la povertà.„ Per ben farlo comprendere a quanti erano con Lui, aggiunge: “Questa casa oggi riceve la salute. ,,

1. — O mio Dio! quant’è grande la vostra misericordia pei peccatori! Domandategli ancora perché passò per quella piazza pubblica. “Ah! vi dirà, perché aspetto una donna adultera, che vien condotta alla lapidazione: ed io prenderò la sua difesa contro i suoi nemici, la commuoverò e convertirò.„ Vedete il tenero Salvatore vicino a quella donna, come si comporta, come prende le sue difese? Vedendola circondata dal popolaccio che aspettava solo il segnale per lapidarla, il Salvatore sembra dir loro: “Un momento, lasciatemi fare, poi toccherà a voi. „ Si piega verso terra, scrive, non la sentenza di morte, ma la sua assoluzione. Rialzatosi li guarda. Non sembra dir loro: “Ora che questa donna è perdonata, non è più peccatrice, ma una santa penitente: chi di voi è uguale ad essa? Se siete senza peccato, gettatele la prima pietra.„ Tutti quegli ipocriti, vedendo che Gesù il Cristo leggeva nella loro coscienza, si ritirarono; primi i più vecchi che certamente erano i più colpevoli, poi gli altri. Gesù Cristo, vedendola rimasta sola, le disse con bontà: “Donna, chi ti ha condannato?„ come per dirle: dopo che Io ti ho perdonato, chi avrebbe osato condannarti? ,, Ah! Signore, risposegli la peccatrice, nessuno. — Ebbene! va, e bada di non più peccare (Giov. VIII).„ Vedete ancora che bontà Egli rivela per quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue. Essa si getta umilmente a’ suoi piedi: “perché, pensava, se posso toccar soltanto il lembo del suo manto, son certa di guarire.„ Gesù Cristo, voltandosi con aria di dolcezza, dice: “Chi mi tocca? Andate, figlia mia, abbiate fiducia, siete guarita nell’anima e nel corpo. „ (Matt. IX). Vedetelo come ha compassione di quel padre, che gli presenta il figlio posseduto dal demonio sin dall’infanzia (Marc. IX)… Vedetelo piangere avvicinandosi a Gerusalemme, che era la figura dei peccatori, che non voglion lasciarsi toccare il cuore. Vedete come piange sulla sua rovina eterna. “Oh! quante volte, ingrata Gerusalemme, volli io ricondurti al seno di mia misericordia, come una chioccia raccoglie i pulcini sotto le ali: ma tu non volesti. O ingrata Gerusalemme che hai ucciso i profeti, e fatto morire i servi di Dio! oh! se almeno volessi ricever la grazia che ti porto! „ (Matt. XIII). Vedete, F. M., come il buon Dio piange la perdita delle anime nostre, quando vede che non vogliamo convertirci? Ora che vediamo quanto Gesù Cristo ha fatto per salvarci, come potremmo disperare della sua misericordia, giacché il suo più grande piacere è di perdonarci: e, per quanto numerosi siano i nostri peccati, se vogliamo lasciarli e pentircene siamo sicuri del perdono? Quand’anche le colpe nostre uguagliassero il numero delle foglie della foresta, saremo perdonati, se il nostro cuore è veramente pentito. Per convincervene, eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che un giovane, chiamato Teofilo, sacerdote, fu accusato presso il suo Vescovo, e deposto dalla sua dignità. Questa pena lo infuriò talmente, che chiamò il demonio in suo soccorso. Lo spirito maligno gli apparve, promettendogli di fargli ricuperare la sua dignità, a patto che rinnegasse Gesù e Maria. Accecato dal furore, lo fece; e diede al demonio una rinuncia scritta di sua mano. Il giorno dopo il Vescovo, riconosciuto il suo errore, lo chiamò in chiesa, gli domandò perdono d’aver troppo facilmente creduto a quanto gli era stato detto, e lo ristabilì nella sua dignità. Il sacerdote. allora si trovò in grave imbarazzo: per lungo tempo si sentì straziato dai rimorsi della coscienza. Gli venne il pensiero di ricorrere alla Vergine Ss., sentendosi troppo indegno di domandar perdono a Dio. E andò a prostrarsi dinanzi ad un’immagine della Ss. Vergine, pregandola di ottenergli perdono dal suo divin Figliuolo, e a tal fine, digiunò quaranta giorni, e pregò continuamente. Dopo i quaranta giorni, la Vergine gli apparve, dicendogli che gli aveva ottenuto il perdono. Fu consolato da questa grazia: ma gli restava ancora una spina ben profonda da togliersi: era lo scritto dato al demonio. Pensò che Dio non rifiuterebbe questa grazia alla sua Madre: continuò per tre giorni a pregarla, e, finalmente, svegliatosi trovò la carta sul suo petto. Pieno di riconoscenza va in chiesa, e, davanti a tutti, pubblica la grazia che il buon Dio gli aveva concessa per intercessione della sua santa Madre. Facciamo altrettanto: se ci troviamo troppo colpevoli per domandar perdono a Dio, indirizziamoci alla Ss. Vergine, e stiam sicuri del perdono. Ma per incoraggiarvi ad aver gran confidenza nella misericordia di Dio che è infinita, eccone un esempio che il Vangelo ci mette innanzi, il quale ci fa intendere che la misericordia di Dio è senza confini: è quello del Figliuol prodigo, che dopo aver domandato al padre suo quanto gli poteva spettare, andò in paese straniero. Ivi dissipò tutta la sua sostanza, vivendo da libertino e scostumato. La sua cattiva condotta lo ridusse in tal miseria che diventato guardiano di porci, stimavasi troppo fortunato di potersi sfamare colle loro ghiande, sebbene non ne avesse quante la sua fame esigeva. Riflettendo un giorno sulla grandezza della sua miseria, diceva al padrone presso il quale era custode degli immondi animali. “Datemi almeno quanto mangiano le vostre bestie.„ Quale miseria, F. M,, è paragonabile a questa? Eppure nessuno lo soccorreva. Vedendosi ridotto a morir di fame, e vivamente commosso del suo infelice stato, apre gli occhi, e si ricorda di avere un padre tanto buono e che tanto l’amava. Risolve di ritornare alla casa paterna, dove i più umili servi avevano pane più del bisogno. Diceva a se stesso: “Ho errato assai abbandonando il padre mio che tanto mi amava: ho dissipato tutto il mio, menando una vita cattiva: sono tutto lacero e sucido; come potrà il padre mio riconoscermi per suo figlio? Ma mi getterò ai suoi piedi, glieli bagnerò di lagrime: gli domanderò di mettermi solo nel numero dei suoi servi. „ Eccolo che si alza e parte, tutto preoccupato dello stato infelice a cui l’aveva ridotto il suo libertinaggio. Il padre, che ne piangeva da lungo tempo la perdita, vedendolo da lungi venire, dimenticò la tarda età sua, e la cattiva condotta del figlio, si gettò al suo collo per abbracciarlo. Il povero giovane, commosso dell’amore del padre suo: “Ah! padre mio, esclama, ho peccato contro di te e contro il cielo! non merito più d’essere chiamato tuo figliuolo, mettimi solo nel numero dei tuoi servi. — No, no, figlio mio, grida il padre pieno di gioia per la felicità di aver ritrovato il figliuolo che credeva perduto: no, figlio mio, tutto è dimenticato, non pensiamo che a rallegrarci. Gli si porti l’antica veste per ricoprirlo, gli si metta un anello al dito, ed i calzari ai piedi: si uccida un vitello ben pingue, e si faccia festa: perché mio figlio era morto ed è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato.„ (Luc. XV). Bella immagine, F. M., della grandezza della misericordia di Dio per i più sventurati peccatori! Infatti, allorché abbiam la sventura di peccare ci allontaniamo da Dio, e ci riduciamo, seguendo le nostre passioni, ad uno stato più miserabile dei porci, gli animali più immondi. O mio Dio! quanto il peccato è spaventoso! come si può commetterlo? Ma, per quanto siamo colpevoli, da quando risolviamo di convertirci, al primo segno di conversione le viscere di sua misericordia sono mosse a compassione. Questo tenero Salvatore colla sua grazia va innanzi ai peccatori, li previene favorendoli di consolazioni le più deliziose. Infatti, mai un peccatore prova maggior piacere di quando lascia il peccato per darsi a Dio: gli sembra che niente potrà arrestarlo: né preghiera, né penitenza: niente gli appar troppo duro. O momento delizioso! O quanto saremmo felici, se avessimo la fortuna di comprenderlo! Ma ahimè! non corrispondiamo alla grazia, e quindi questi felici momenti si dileguano. Gesù Cristo dice al peccatore per bocca dei suoi ministri: – Si indossi a questo Cristiano convertito il primo suo abito, che è la grazia perduta del battesimo: lo si rivesta di Gesù Cristo, della sua giustizia, delle sue virtù e meriti tutti.„ Ecco, F. M., il modo con cui ci tratta Gesù Cristo quando abbiam la fortuna di abbandonare il peccato per darci a Lui. Ah! F. M., qual motivo di confidenza per un peccatore, anche se assai colpevole, il sapere che la misericordia di Dio è infinita!

II. — No, F. M., non è la gravità dei nostri peccati, né il loro numero che ci devono spaventare; ma solo le disposizioni che dobbiamo avere. Eccovi, F. M., un altro esempio che ci mostra, che, per quanto colpevoli, siamo sicuri del perdono se vogliamo domandarlo a Dio. Leggiamo nella storia che un gran principe nella sua ultima malattia fu attaccato da una tentazione orribile di diffidenza nella bontà e misericordia di Dio. Il sacerdote che l’assisteva, vedendo che perdeva la confidenza, faceva il possibile per ispirargliela, dicendogli che mai il buon Dio negò il perdono a chi glielo domandò. “No, no, disse l’ammalato, non v’ha più perdono per me, ho fatto troppo male.„ Il sacerdote non trovando altra risorsa, si mise a pregare. In quel mentre Dio gli pose sulle labbra quelle parole che il santo Re profeta pronunciò prima di morire: “Principe, dissegli, ascoltate il profeta penitente; siete peccatore come lui, dite sinceramente con lui: Signore, avrete pietà di me, perché i miei peccati sono grandi, ed è appunto la gravità dei miei peccati il motivo che vi impegnerà a perdonarmi. „ A queste parole il principe svegliandosi come da un profondo sonno, stette un momento come in un trasporto di gioia, e mandando un sospiro profondo: “Ah! Signore, proprio per me furono pronunziate queste parole! Sì, mio Dio, appunto perché ho fatto molto male avrete pietà di me! „ Si confessa, e riceve tutti i Sacramenti versando torrenti di lagrime: fa con gioia il sacrificio di sua vita, e muore con in mano il crocifisso che inonda di lagrime. Infatti, F. M., che cosa sono i nostri peccati, se li paragoniamo alla misericordia di Dio? un granellino in confronto ad una montagna. O mio Dio! come si può acconsentire di andar dannati, mentre costa sì poco il salvarsi, e Gesù Cristo desidera tanto la salvezza nostra? – Però, F. M., se Dio è sì buono da attenderci e riceverci, non bisogna stancare la sua pazienza: se ci chiama, ci invita di venire a Lui, dobbiamo andargli incontro: se ci riceve, dobbiamo essergli fedeli. Invece, F. M., sono forse più di cinque o sei anni che il buon Dio ci chiama: perché restiamo nei nostri peccati? Egli è sempre pronto ad offrirci la grazia, perché non lasciamo il peccato? Infatti, M. F., S. Ambrogio ci dice: “Dio, per quanto buono e misericordioso, non ci perdona se non gli domandiamo perdono, se non uniamo la nostra volontà a quella di Gesù Cristo. „ Ma quale volontà, F. M., domanda Dio da noi? Ecco: è una volontà che corrisponda alle sante sollecitazioni della sua misericordia, che ci faccia dire con S. Paolo: “Voi avete sentito raccontare quali furono la mia condotta e le mie azioni prima che Dio mi facesse la grazia di convertirmi. Perseguitavo la Chiesa di Gesù Cristo con tanta crudeltà, che ne ho orrore io stesso ogni volta che vi penso. Chi avrebbe creduto che appunto questo momento aveva scelto Gesù Cristo per chiamarmi a Lui? In quell’istante fui circondato da una luce: udii una voce che mi disse: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? „ (Gal. I, 13-15). Ah! F. M.! quante volte il buon Dio non ci ha fatto la medesima grazia? Quante volte in peccato, o vicini a cadervi, udimmo una voce interna che ci gridava: Ah! figlio mio, perché vuoi farmi soffrire, e perdere l’anima tua? „ Eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che un figlio incollerito, uccise il padre suo. Ne concepì un rimorso tale, che sembravagli udir continuamente una voce che gli gridasse: “Ah! figlio mio, perché mi hai ucciso? „ Ne soffriva tanto che egli stesso andò a denunziarsi al giudice. Non solo, F. M., dobbiamo abbandonare il peccato, perché Dio è tanto buono di perdonarci: ma dobbiamo anche piangere di riconoscenza. Ne abbiamo un bell’esempio nel giovane Tobia, guidato e ricondotto dall’Angelo (Tob. XII): il che ci mostra quanto piaccia a Dio essere ringraziato. Leggiamo che quella donna, che da dodici anni soffriva di perdita di sangue, guarita da Gesù Cristo, per riconoscenza e per mostrare a tutti la bontà di Dio con lei, fece erigere vicino alla casa sua una bella statua rappresentante una donna davanti a Gesù Cristo che l’aveva guarita. Parecchi autori ci dicono che attorno vi nasceva un’erba sconosciuta, che quando arrivava alla frangia del vestito della statua guariva ogni sorta di malattie. Vedete S. Matteo, per ringraziar Gesù Cristo della grazia che gli aveva fatto l’invitò a casa sua. e resegli tutti gli onori possibili. Vedete il lebbroso samaritano: vedendosi guarito ritorna su’ suoi passi, si getta ai piedi di Gesù Cristo per ringraziarlo della grazia che gli aveva fatta (Luc. XVII, 16). S. Agostino ci dice che il miglior rendimento di grazie è che l’anima vostra sia sinceramente riconoscente verso la bontà di Dio, dandosi tutta a Lui con tutti i suoi affetti. Vedete il Salvatore quando ebbe guarito i dieci lebbrosi, vedendo che uno solo ritornava a ringraziarlo: “E gli altri nove, dissegli Gesù, non furono parimente guariti? „ (Luc. XVII, 17). Come se avesse detto: Perché gli altri non vengono a ringraziarmi? S. Bernardo ci dice che bisogna essere assai riconoscenti verso il buon Dio, perché ciò lo impegna ad accordarci molte altre grazie. Davvero, F. M.! quante grazie non dobbiam rendere a Dio, di averci creati, di averci redenti colla sua passione e morte, di averci fatto nascere nel seno della sua Chiesa, mentre tanti altri vivono e muoiono fuori del suo seno. Si, F. M., poiché la bontà e la misericordia di Dio sono infinite, procuriamo di ben approfittarne, e così avremo la ventura di piacergli e di conservar le anime nostre nella sua grazia: il che ci procurerà la felicità d’andar un giorno a godere la sua santa presenza con tatti i beati in cielo. Ecco quanto vi auguro.

IL CREDO

 Offertorium

Orémus: Ps IX: 11-12 IX: 13 Sperent in te omnes, qui novérunt nomen tuum, Dómine: quóniam non derelínquis quæréntes te: psállite Dómino, qui hábitat in Sion: quóniam non est oblítus oratiónem páuperum.

[Sperino in te tutti coloro che hanno conosciuto il tuo nome, o Signore: poiché non abbandoni chi ti cerca: cantate lodi al Signore, che àbita in Sion: poiché non ha trascurata la preghiera dei poveri.]

 Secreta

Réspice, Dómine, múnera supplicántis Ecclésiæ: et salúti credéntium perpétua sanctificatióne suménda concéde.

[Guarda, o Signore, ai doni della Chiesa che ti supplica, e con la tua grazia incessante, fa che siano ricevuti per la salvezza dei fedeli.]

COMUNIONE SPIRITUALE

 Communio

Luc XV: 10. Dico vobis: gáudium est Angelis Dei super uno peccatóre poeniténtiam agénte.

[Vi dico: che grande gaudio vi è tra gli Angeli per un peccatore che fa penitenza.]

 Postcommunio

Orémus.

Sancta tua nos, Dómine, sumpta vivíficent: et misericórdiæ sempitérnæ praeparent expiátos. [I tuoi santi misteri che abbiamo ricevuto, o Signore, ci vivifichino, e, purgandoci dai nostri falli, ci preparino all’eterna misericordia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA MISERICORDIA DI DIO

DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY

CURATO D’ARS

[Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur.

C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sulla misericordia di Dio.

Erant autem appropinquantes ei publicani et peocatores, ut audirent illum.

(Luc. XV, 1).

La condotta di Gesù Cristo, durante la sua vita mortale, ci mostra la grandezza della sua misericordia verso i peccatori. Vediamo infatti che tutti vengono presso di Lui: ed Egli, anziché rigettarli o allontanarsi da essi, cerca invece tutti i modi possibili di trovarsi con loro, per attirarli al Padre suo. Li va cercando coi rimorsi della coscienza, li riconduce colle attrattive della sua grazia e li guadagna coi suoi modi amorevoli. Li tratta con tanta bontà, che li difende perfino contro gli scribi ed i farisei che volevano biasimarli e non potevano soffrirli vicino a Gesù Cristo. Giunge anche più oltre; vuol giustificarsi della sua condotta a loro riguardo con una parabola, che dipinge, come meglio non si potrebbe, la grandezza del suo amore pei peccatori, in questo modo: “Un buon pastore, che aveva cento pecore, avendone perduta una, lascia tutte le altre per correr dietro a quella che s’è smarrita: ed avendola trovata, se la mette sulle spalle per evitarle la fatica della strada: riportatala all’ovile, invita i suoi amici a rallegrarsi con lui d’aver trovato la pecora che credeva perduta. „ Aggiunge anche la parabola della donna, che possedendo dieci dramme., ed avendone perduta una, accende la lampada per cercarla in tutti gli angoli di casa sua, e trovatala invita le amiche a rallegrarsene. “Così, disse loro, il cielo tutto gioisce pel ritorno d’un peccatore che si converte e fa penitenza. Non son venuto pei giusti, ma per i peccatori: i sani non hanno bisogno del medico, bensì gli ammalati. „ E Gesù Cristo applica a se stesso queste vive immagini della grandezza della sua misericordia verso i peccatori. Ah! Fratelli miei, qual felicità per noi il sapere che la misericordia di Dio è infinita! Qual forte desiderio non dobbiam sentire nascere in cuore di gettarci ai piedi d’un Dio che ci riceverà con tanta gioia! F. M., se ci danneremo non avremo scuse, quando Gesù Cristo stesso ci mostrerà che la sua misericordia fu sempre grande abbastanza per perdonarci, per quanto fossimo colpevoli. E per darvene un’idea, oggi vi mostrerò: 1° la grandezza della misericordia di Dio verso i peccatori; 2° ciò che dobbiamo fare da parte nostra, per meritarci la fortuna di ottenerla.

I. — F. M., tutto è consolante, tutto è incoraggiante nella condotta di Dio verso di noi. Quantunque colpevoli, la sua pazienza ci attende, il suo amore ci invita ad uscir dal peccato per ritornare a Lui, la sua misericordia ci riceve fra le sue braccia. Colla pazienza, dice il profeta Isaia, Dio ci attende per usarci misericordia. Appena commesso il peccato, meritiamo d’essere puniti. Niente è più dovuto al peccato quanto la punizione. Dacché l’uomo s’è ribellato al suo Dio, le creature tutte domandano vendetta, dicendo: Signore, volete facciam perire quel peccatore che v’ha oltraggiato? Volete, gli dice il mare, ch’io l’inghiottisca nei miei abissi? E la terra: Signore, debbo aprire le mie viscere per farlo discendere vivo nell’inferno? E l’aria: Signore, mi permettete di soffocarlo? Ed il fuoco: Ah! di grazia lasciatemelo abbruciare. E così tutte le altre creature domandano vendetta ad alte grida. I lampi ed i fulmini vanno avanti al trono di Gesù Cristo domandandogli licenza di annientarlo e divorarlo. — Ma no, risponde il buon Gesù, lasciatelo sulla terra sino al momento stabilito dal Padre mio; forse avrò la fortuna di convertirlo. Se il peccatore si svia ognor più, questo tenero Padre piange su di lui, e non lascia di perseguitarlo colla sua grazia, facendo in lui nascere violenti i rimorsi della coscienza. ” O Dio delle misericordie, esclama S. Agostino, quand’era peccatore m’allontanavo da voi sempre più; i miei passi e le mie azioni tutte erano altrettante nuove cadute nel male; le passioni s’infiammavano ognor più vivamente; eppure avevate pazienza, e m’aspettavate. O pazienza del mio Dio! son tanti anni che vi offendo, e non mi avete ancora punito: donde può venire questa lunga attesa? Davvero, o Signore, è perché volete ch’io mi converta, e ritorni a voi colla penitenza. „ È possibile, F. M., che nonostante il desiderio del buon Dio di salvarci, noi ci perdiamo così deliberatamente? Sì, F. M., se vogliamo percorrere le differenti età del mondo, vediamo la terra ricoperta dappertutto delle misericordie del Signore, e gli uomini avvolti nei suoi benefizi. Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono; ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore, e lo fa ritornare a sé. Ne volete un bell’esempio? Vedete come fece oon Adamo dopo il suo peccato. Invece di punirlo, come si meritava, per quella ribellione contro il suo Creatore, che avevagli concesso tanti privilegi, che l’aveva ornato di tante grazie e destinato per un fine così beato: quello d’esser suo amico e di non morir mai; Adamo, dopo il peccato, fugge la presenza di Dio: ma il Signore, come un padre desolato che ha perduto il figliuol suo, corre a cercarlo, e lo chiama quasi piangendo: “Adamo, Adamo, dove sei? Perché fuggi la presenza del tuo Creatore? „ (Gen. III, 9). Desidera tanto di perdonargli, che neppure gli dà tempo di domandar perdono: subito gli annuncia che vuol perdonargli, che manderà il Figliuol suo, il quale nascerà da una Vergine e riparerà il danno che il peccato ha cagionato a lui ed ai suoi discendenti, e che questa riparazione si farà in un modo ammirabile. Infatti, F. M. , senza il peccato di Adamo, mai avremmo avuto la fortuna d’aver Gesù Cristo per Salvatore, né di riceverlo nella santa Comunione, e neppure di possederlo nelle nostre chiese. Nei lunghi secoli durante i quali l’eterno Padre attese di mandare sulla terra il Figliuol suo, Egli non cessò di rinnovare queste consolanti promesse per bocca dei patriarchi e dei profeti. O carità di Dio, quanto sci grande pei peccatori! Vedete, F. M., la bontà di Dio pel peccatore? Potremo ancora disperare del nostro perdono? Giacché il Signore mostra tanto il desiderio di perdonarci, se restiamo nel peccato è tutta colpa nostra. Vedete che cosa fece con Caino, dopoché questi uccise il fratello. Va a trovarlo per farlo rientrare in se stesso, e potergli perdonare: perché bisogna necessariamente domandargli perdono, se vogliam che ce lo dia. Ah! mio Dio, è troppo! “Caino, Caino, che hai fatto? Domandami perdono, perché io possa perdonarti. „ Caino non vuole, dispera della sua salvezza, si ostina nel peccato. Eppure vediamo il buon Dio che lo lascia a lungo sulla terra per dargli tempo, se avesse voluto, di convertirsi. Vedete ancora la sua misericordia verso il mondo, quando i delitti degli uomini avevano ricoperto la terra infangandola nelle più infami passioni: il Signore era costretto a punirli: ma prima di decidersi, quante precauzioni, quanti avvertimenti, quanti indugi! Li minaccia molto tempo prima di punirli, per iscuoterli e farli rientrare in se stessi. Vedendo che i delitti andavano sempre aumentando, mandò loro Noè, al quale comandò di costruire un’arca, impiegandovi cento anni, e di dire a tutti quanti glielo domandassero, il perché di quella costruzione; che, cioè il Signore voleva far perire il mondo intero, con un diluvio universale, ma che se volevano convertirsi e fare penitenza, cambierebbe il suo decreto. Infine però, vedendo che a nulla servivano tutti questi avvertimenti e che gli uomini si ridevano delle sue minacce, fu obbligato di punirli. E tuttavia sappiamo che il Signore disse che si pentiva d’averli creati: il che ci mostra la grandezza di sua misericordia. E come se avesse detto: Preferirei non avervi creati piuttosto che vedermi costretto a punirvi (Gen. VI). Ditemi, F. M., poteva Egli, quantunque Dio, spingere più lungi la sua misericordia? F. M., cosi Egli aspetta i peccatori a penitenza e ve li invita coi movimenti interiori della sua grazia, e la voce dei suoi ministri. Vedete ancora come si diporta verso Ninive, questa grande città peccatrice. Prima di punirne gli abitanti, comanda al suo profeta Giona, d’andare da parte sua ad annunciar loro che fra quaranta giorni li avrebbe puniti. Giona, invece d’andare a Ninive, fugge in altro luogo. Vuol attraversare il mare: ma Dio, invece di lasciare i Niniviti senza avviso prima di punirli, fa un miracolo per conservare il suo profeta durante tre giorni e tre notti nel seno d’un cetaceo, che al terzo dì miracolosamente lo rigetta sul lido. Allora il Signore dice a Giona: “Va ad annunciare alia grande città di Ninive che fra quaranta giorni sarà distrutta. „ Non mette condizioni. Il profeta, andatovi, annuncia a Ninive che fra quaranta giorni sarebbe perita. A questa notizia, tutti si danno alla penitenza ed alle lagrime, dal contadino fino al re. “Chi sa, dice loro il re, che il Signore non abbia ancora pietà di noi?„ Il Signore, vedendoli ricorrere alla penitenza, sembrò gustare la gioia di perdonarli. Giona, vedendo passato il tempo del castigo, si ritirò fuori della città, per aspettare che il fuoco del cielo cadesse su di essa. Vedendo che non cadeva: “Ah! Signore, esclama, mi fate forse passare per un falso profeta? fatemi piuttosto morire. Ah! io so bene che siete troppo buono; non cercate che di perdonare! — Ecchè, Giona! gli disse il Signore; vorresti ch’Io facessi perire tante persone, che si umiliarono davanti a me? Oh! no, no, Giona, non ne avrei il coraggio: invece li amerò e li conserverò (Jon. I-IV) .„ Ecco precisamente, F. M., quanto fa Gesù Cristo a nostro riguardo: alcune volte sembra voglia punirci senza misericordia: ma al più piccolo pentimento ci perdona e ci rende la sua amicizia. Vedete, quando volle far discendere il fuoco dal cielo sopra Sodoma, Gomorra e le città vicine. Sembrava non potervisi risolvere senza consultare il suo servo Abramo; quasi per sentire che cosa dovesse fare. “ Abramo, dissegli il Signore, i delitti di Sodoma e Gomorra giunsero sino al mio trono; non posso più soffrirli quegli uomini; li farò perire col fuoco del cielo. — Ma, Signore, risponde Abramo, punirete i giusti insieme ai peccatori? — Oh! no, no, gli dice il Signore. — Ebbene! soggiunge Abramo: se vi fossero trenta giusti in Sodoma, la punireste, o Signore? — No, disse, se ne trovo trenta, perdono a tutta la città per amore dei giusti. „ (Gen. XVIII). Arrivò sino a dieci. Ahimè! in una città sì grande non si trovavano dieci giusti! Vedete che il Signore sembrava gioisse di consultare il suo servo su quanto voleva fare. Vedendosi costretto a punirli, mandò subito un Angelo a Lot per dirgli di uscire lui e tutta la sua famiglia, per non andar puniti coi colpevoli (idem XIX). Ah! mio Dio, quale pazienza! quanti indugi prima dell’esecuzione! Volete sapere qual peccato obbligò il Signore a far piombar sulla terra tanti castighi? Ahimè! è il maledetto peccato dell’impurità, di cui la terra era tutta coperta. Volete vedere come Dio tarda a punire? Vedete che cosa fece per castigar Gerico (Gios. VI) . Ordinò a Giosuè di far portare in processione l’arca dell’alleanza, oggetto sacro che mostrava la grandezza della misericordia di Dio. Volle che fosse portata dai sacerdoti, depositari di sua misericordia. Comandò di fare per sette giorni il giro delle mura della città, facendo suonare le medesime trombe che servivano ad annunciare l’anno del giubileo, che era un anno di riconciliazione e di perdono. Eppure vediamo che le stesse trombe destinate ad annunciare loro il perdono, fecero cadere le mura della città, per mostrarci che se non vogliamo approfittare delle grazie che Dio vuol accordarci, diventiamo perciò più colpevoli: ma che se abbiamo la fortuna di convertirci, Egli ne prova una gioia sì grande da dirci che ci dà il perdono con maggior prontezza di quella con cui una madre estrae il suo bambino dal fuoco. Vedemmo, F. M., che dal principio del mondo, sino alla venuta del Messia, tutto è misericordia, grazia, benefizi. Eppure possiamo dire che sotto la legge di amore i benefizi, di cui Dio ha colmato il mondo, sono ancor più abbondanti e preziosi. Quale misericordia nell’eterno Padre il quale non ha che un Figlio, ed acconsente che perda la vita per salvarci tutti! Ah! F. M., se percorressimo tutta la storia delle sofferenze di Gesù Cristo con cuore riconoscente, quante lagrime non verseremmo! Vedendo il tenero Gesù nella culla, ecc.. Vedete che la misericordia del Padre non può andar oltre, poiché avendo un sol Figlio, che è la cosa sua più cara, lo sacrifica per salvarci. Ma se consideriamo l’amore del Figlio, che cosa ne diremo noi? Egli acconsente volontariamente di soffrire tanti tormenti, ed anche la morte per procurarci la felicità del cielo! Ah! F. M., che cosa non ha Egli fatto durante i giorni di sua vita mortale? Non contento di chiamarci a Lui colla sua grazia, e di fornirci tutti i mezzi per santificarci, vedete come corre dietro le pecorelle smarrite: vedete come attraversa le città e le campagne per cercarle e ricondurle nel luogo della sua misericordia: vedete come lascia gli apostoli per aspettare la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe, dove sapeva sarebbe venuta: la previene Lui stesso; comincia a parlarle, perché la sua parola piena di dolcezza, unita alla sua grazia, la tocchi e la commuova: le domanda acqua da bere, perché ella stessa gli chieda qualche cosa di più prezioso, la sua grazia. Fu così contento d’aver guadagnato quell’anima che quando gli apostoli lo pregarono di cibarsi: “Oh! no, disse loro.„ Sembrava dicesse: “Ah! no, no, io non penso al cibo del corpo, tanto gioisco d’aver guadagnata un’anima al Padre mio! „ (Giov. IV) Vedetelo nella casa di Simone il lebbroso: non vi si reca per mangiare, ma perché sapeva che vi verrebbe una Maddalena peccatrice: ecco, F. M., che cosa lo conduce a quel banchetto. Osservate la gioia che mostra in volto, vedendo Maddalena a’ suoi piedi, bagnarli di lagrime ed asciugarli co’ suoi capelli. Ma il Salvatore, dal canto suo, la ricompensa: versa a piene mani la grazia nel cuore di lei. Vedete come prende le sue difese contro chi se ne scandalizza (Luc. VI) . Giunge tant’oltre che non contento di perdonarle tutti i peccati e cacciare i sette demoni che aveva in cuore, vuol anche sceglierla per una delle sue spose: vuole che l’accompagni in tutto il corso di sua passione, e che “ … dove sarà predicato il Vangelo, si racconti quanto ella fece per Lui (Matt. XXVI, 13):„ non vuole che si parli de’ suoi peccati, perché son già tutti perdonati coll’applicazione anticipata dei meriti del suo sangue adorabile, che Egli deve spargere. Vedetelo prender la via di Cafarnao per andar a trovare un altro peccatore al suo banco; era S. Matteo, di lui voleva fare uno zelante apostolo (Matt. IX). Domandategli perché prende la via di Gerico; soggiungerà che v’è un uomo chiamato Zaccheo, il quale è in voce di pubblico peccatore; vuol andarlo a trovare per salvarlo, per farne un perfetto penitente. Fa come un buon padre, che ha perduto il suo figliuolo, lo chiama: “Zaccheo, gli dice, discendi, perché oggi voglio venire in casa tua, e vengo per concederti la mia grazia. „ È come se Egli dicesse: “Zaccheo, lascia questo orgoglio e quest’attaccamento ai beni del mondo: discendi, cioè scegli l’umiltà e la povertà.„ Per ben farlo comprendere a quanti erano con Lui, aggiunge: “Questa casa oggi riceve la salute. ,,

1. — O mio Dio! quant’è grande la vostra misericordia pei peccatori! Domandategli ancora perché passò per quella piazza pubblica. “Ah! vi dirà, perché aspetto una donna adultera, che vien condotta alla lapidazione: ed io prenderò la sua difesa contro i suoi nemici, la commuoverò e convertirò.„ Vedete il tenero Salvatore vicino a quella donna, come si comporta, come prende le sue difese? Vedendola circondata dal popolaccio che aspettava solo il segnale per lapidarla, il Salvatore sembra dir loro: “Un momento, lasciatemi fare, poi toccherà a voi. „ Si piega verso terra, scrive, non la sentenza di morte, ma la sua assoluzione. Rialzatosi li guarda. Non sembra dir loro: “Ora che questa donna è perdonata, non è più peccatrice, ma una santa penitente: chi di voi è uguale ad essa? Se siete senza peccato, gettatele la prima pietra.„ Tutti quegli ipocriti, vedendo che Gesù il Cristo leggeva nella loro coscienza, si ritirarono; primi i più vecchi che certamente erano i più colpevoli, poi gli altri. Gesù Cristo, vedendola rimasta sola, le disse con bontà: “Donna, chi ti ha condannato?„ come per dirle: dopo che io ti ho perdonato, chi avrebbe osato condannarti? ,, Ah! Signore, risposegli la peccatrice, nessuno. — Ebbene! va, e bada di non più peccare (Giov. VIII).„ Vedete ancora che bontà Egli rivela per quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue. Essa si getta umilmente a’ suoi piedi: “perché, pensava, se posso toccar soltanto il lembo del suo manto, son certa di guarire.„ Gesù Cristo, voltandosi con aria di dolcezza, dice: “Chi mi tocca? Andate, figlia mia, abbiate fiducia, siete guarita nell’anima e nel corpo. „ (Matt. IX). Vedetelo come ha compassione di quel padre, che gli presenta il figlio posseduto dal demonio sin dall’infanzia (Marc. IX)… Vedetelo piangere avvicinandosi a Gerusalemme, che era la figura dei peccatori, che non voglion lasciarsi toccare il cuore. Vedete come piange sulla sua rovina eterna. “Oh! quante volte, ingrata Gerusalemme, volli io ricondurti al seno di mia misericordia, come una chioccia raccoglie i pulcini sotto le ali: ma tu non volesti. O ingrata Gerusalemme che hai ucciso i profeti, e fatto morire i servi di Dio! oh! se almeno volessi ricever la grazia che ti porto! „ (Matt. XIII). Vedete, P. M., come il buon Dio piange la perdita delle anime nostre, quando vede che non vogliamo convertirci? Ora che vediamo quanto Gesù Cristo ha fatto per salvarci, come potremmo disperare della sua misericordia, giacché il suo più grande piacere è di perdonarci: e, per quanto numerosi siano i nostri peccati, se vogliamo lasciarli e pentircene siamo sicuri del perdono? Quand’anche le colpe nostre uguagliassero il numero delle foglie della foresta, saremo perdonati, se il nostro cuore è veramente pentito. Per convincervene, eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che un giovane, chiamato Teofilo, sacerdote, fu accusato presso il suo Vescovo, e deposto dalla sua dignità. Questa pena lo infuriò talmente, che chiamò il demonio in suo soccorso. Lo spirito maligno gli apparve, promettendogli di fargli ricuperare la sua dignità, a patto che rinnegasse Gesù e Maria. Accecato dal furore, lo fece; e diede al demonio una rinuncia scritta di sua mano. Il giorno dopo il Vescovo, riconosciuto il suo errore, lo chiamò in chiesa, gli domandò perdono d’aver troppo facilmente creduto a quanto gli era stato detto, e lo ristabilì nella sua dignità. Il sacerdote. allora si trovò in grave imbarazzo: per lungo tempo si sentì straziato dai rimorsi della coscienza. Gli venne il pensiero di ricorrere alla Vergine Ss., sentendosi troppo indegno di domandar perdono a Dio. E andò a prostrarsi dinanzi ad un’immagine della Ss. Vergine, pregandola di ottenergli perdono dal suo divin Figliuolo, e a tal fine, digiunò quaranta giorni, e pregò continuamente. Dopo i quaranta giorni, la Vergine gli apparve, dicendogli che gli aveva ottenuto il perdono. Fu consolato da questa grazia: ma gli restava ancora una spina ben profonda da togliersi: era lo scritto dato al demonio. Pensò che Dio non rifiuterebbe questa grazia alla sua Madre: continuò per tre giorni a pregarla, e, finalmente, svegliatosi trovò la carta sul suo petto. Pieno di riconoscenza va in chiesa, e, davanti a tutti, pubblica la grazia che il buon Dio gli aveva concessa per intercessione della sua santa Madre. Facciamo altrettanto: se ci troviamo troppo colpevoli per domandar perdono a Dio, indirizziamoci alla Ss. Vergine, e stiam sicuri del perdono. Ma per incoraggiarvi ad aver gran confidenza nella misericordia di Dio che è infinita, eccone un esempio che il Vangelo ci mette innanzi, il quale ci fa intendere che la misericordia di Dio è senza confini: è quello del Figliuol prodigo, che dopo aver domandato al padre suo quanto gli poteva spettare, andò in paese straniero. Ivi dissipò tutta la sua sostanza, vivendo da libertino e scostumato. La sua cattiva condotta lo ridusse in tal miseria che diventato guardiano di porci, stimavasi troppo fortunato di potersi sfamare colle loro ghiande, sebbene non ne avesse quante la sua fame esigeva. Riflettendo un giorno sulla grandezza della sua miseria, diceva al padrone presso, il quale era custode degli immondi animali. “Datemi almeno quanto mangiano le vostre bestie.„ Quale miseria, F. M,, è paragonabile a questa? Eppure nessuno lo soccorreva. Vedendosi ridotto a morir di fame, e vivamente commosso del suo infelice stato, apre gli occhi, e si ricorda di avere un padre tanto buono e che tanto l’amava. Risolve di ritornare alla casa paterna, dove i più umili servi avevano pane più del bisogno. Diceva a se stesso: “Ho errato assai abbandonando il padre mio che tanto mi amava: ho dissipato tutto il mio, menando una vita cattiva: sono tutto lacero e sucido; come potrà il padre mio riconoscermi per suo figlio? Ma mi getterò ai suoi piedi, glieli bagnerò di lagrime: gli domanderò di mettermi solo nel numero dei suoi servi. „ Eccolo che si alza e parte, tutto preoccupato dello stato infelice a cui l’aveva ridotto il suo libertinaggio. Il padre, che ne piangeva da lungo tempo la perdita, vedendolo da lungi venire, dimenticò la tarda età sua, e la cattiva condotta del figlio, si gettò al suo collo per abbracciarlo. Il povero giovane, commosso dell’amore del padre suo: “Ah! padre mio, esclama, ho peccato contro di te e contro il cielo! non merito più d’essere chiamato tuo figliuolo, mettimi solo nel numero dei tuoi servi. — No, no, figlio mio, grida il padre pieno di gioia per la felicità di aver ritrovato il figliuolo che credeva perduto: no, figlio mio, tutto è dimenticato, non pensiamo che a rallegrarci. Gli si porti l’antica veste per ricoprirlo, gli si metta un anello al dito, ed i calzari ai piedi: si uccida un vitello ben pingue, e si faccia festa: perché mio figlio era morto ed è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato.„ (Luc. XV). Bella immagine, F. M., della grandezza della misericordia di Dio per i più sventurati peccatori! Infatti, allorché abbiam la sventura di peccare ci allontaniamo da Dio, e ci riduciamo, seguendo le nostre passioni, ad uno stato più miserabile dei porci, gli animali più immondi. O mio Dio! quanto il peccato è spaventoso! come si può commetterlo? Ma, per quanto siamo colpevoli, da quando risolviamo di convertirci, al primo segno di conversione lo viscere di sua misericordia sono mosse a compassione. Questo tenero Salvatore colla sua grazia va innanzi ai peccatori, li previene favorendoli di consolazioni le più deliziose. Infatti, mai un peccatore prova maggior piacere di quando lascia il peccato per darsi a Dio: gli sembra che niente potrà arrestarlo: né preghiera, né penitenza: niente gli appar troppo duro. O momento delizioso! O quanto saremmo felici, se avessimo la fortuna di comprenderlo! Ma ahimè! non corrispondiamo alla grazia, e quindi questi felici momenti si dileguano. Gesù Cristo dice al peccatore per bocca dei suoi ministri: – Si indossi a questo Cristiano convertito il primo suo abito, che è la grazia perduta del battesimo: lo si rivesta di Gesù Cristo, della sua giustizia, delle sue virtù e meriti tutti.„ Ecco, F. M., il modo con cui ci tratta Gesù Cristo quando abbiam la fortuna di abbandonare il peccato per darci a Lui. Ah! F. M., qual motivo di confidenza per un peccatore, anche se assai colpevole, il sapere che la misericordia di Dio è infinita!

II. — No, F. M., non è la gravità dei nostri peccati, né il loro numero che ci devono spaventare; ma solo le disposizioni che dobbiamo avere. Eccovi, F. M., un altro esempio che ci mostra, che, per quanto colpevoli, siamo sicuri del perdono se vogliamo domandarlo a Dio. Leggiamo nella storia che un gran principe nella sua ultima malattia fu attaccato da una tentazione orribile di diffidenza nella bontà e misericordia di Dio. Il sacerdote che l’assisteva, vedendo che perdeva la confidenza, faceva il possibile per ispirargliela, dicendogli che mai il buon Dio negò il perdono a chi glielo domandò. “No, no, disse l’ammalato, non v’ha più perdono per me, ho fatto troppo male.„ Il sacerdote non trovando altra risorsa, si mise a pregare. In quel mentre Dio gli pose sulle labbra quelle parole che il santo Re profeta pronunciò prima di morire: “Principe, dissegli, ascoltate il profeta penitente; siete peccatore come lui, dite sinceramente con lui: Signore, avrete pietà di me, perché i miei peccati sono grandi, ed è appunto la gravità dei miei peccati il motivo che vi impegnerà a perdonarmi. „ A queste parole il principe svegliandosi come da un profondo sonno, stette un momento come in un trasporto di gioia, e mandando un sospiro profondo: “Ah! Signore, proprio per me furono pronunziate queste parole! Sì, mio Dio, appunto perché ho fatto molto male avrete pietà di me! „ Si confessa, e riceve tutti i Sacramenti versando torrenti di lagrime: fa con gioia il sacrificio di sua vita, e muore con in mano il crocifisso che inonda di lagrime. Infatti, F. M., che cosa sono i nostri peccati, se li paragoniamo alla misericordia di Dio? un granellino in confronto ad una montagna. O mio Dio! come si può acconsentire di andar dannati, mentre costa sì poco il salvarsi, e Gesù Cristo desidera tanto la salvezza nostra? – Però, F. M., se Dio è sì buono da attenderci e riceverci, non bisogna stancare la sua pazienza: se ci chiama, ci invita di venire a Lui, dobbiamo andargli incontro: se ci riceve, dobbiamo essergli fedeli. Invece, F. M., sono forse più di cinque o sei anni che il buon Dio ci chiama: perché restiamo nei nostri peccati? Egli è sempre pronto ad offrirci la grazia, perché non lasciamo il peccato? Infatti, M. F., S. Ambrogio ci dice: “Dio, per quanto buono e misericordioso, non ci perdona se non gli domandiamo perdono, se non uniamo la nostra volontà a quella di Gesù Cristo. „ Ma quale volontà, F. M., domanda Dio da noi? Ecco: è una volontà che corrisponda alle sante sollecitazioni della sua misericordia, che ci faccia dire con S. Paolo: “Voi avete sentito raccontare quali furono la mia condotta e le mie azioni prima che Dio mi facesse la grazia di convertirmi. Perseguitavo la Chiesa di Gesù Cristo con tanta crudeltà, che ne ho orrore io stesso ogni volta che vi penso. Chi avrebbe creduto che appunto questo momento avevascelto Gesù Cristo per chiamarmi a Lui? In quell’istante fui circondato da una luce: udii una voce che mi disse: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? „ (Gal. I, 13-15) Ah! F. M.! quante volte il buon Dio non ci ha fatto la medesima grazia? Quante volte in peccato, o vicini a cadervi, udimmo una voce interna che ci gridava: Ah! figlio mio, perché vuoi farmi soffrire, e perdere l’anima tua? „ Eccone un bell’esempio. Leggiamo nella storia che un figlio incollerito, uccise il padre suo. Ne concepì un rimorso tale, che sembravagli udir continuamente una voce che gli gridasse: “Ah! figlio mio, perché mi hai ucciso? „ Ne soffriva tanto che egli stesso andò a denunziarsi al giudice. Non solo, F. M., dobbiamo abbandonare il peccato, perché Dio è tanto buono di perdonarci: ma dobbiamo anche piangere di riconoscenza. Ne abbiamo un bell’esempio nel giovane Tobia, guidato e ricondotto dall’Angelo (Tob. XII): il che ci mostra quanto piaccia a Dio essere ringraziato. Leggiamo che quella donna, che da dodici anni soffriva di perdita di sangue, guarita da Gesù Cristo, per riconoscenza e per mostrare a tutti la bontà di Dio con lei, fece erigere vicino alla casa sua una bella statua rappresentante una donna davanti a Gesù Cristo che l’aveva guarita. Parecchi autori ci dicono che attorno vi nasceva un’erba sconosciuta, che quando arrivava alla frangia del vestito della statua guariva ogni sorta di malattie. Vedete S. Matteo, per ringraziar Gesù Cristo della grazia che gli aveva fatto l’invitò a casa sua. e resegli tutti gli onori possibili Vedete il lebbroso samaritano: vedendosi guarito ritorna su’ suoi passi, si getta ai piedi di Gesù Cristo per ringraziarlo della grazia che gli aveva fatta (Luc. XVII, 16). S. Agostino ci dice che il miglior rendimento di grazie è che l’anima vostra sia sinceramente riconoscente verso la bontà di Dio, dandosi tutta a Lui con tutti i suoi affetti. Vedete il Salvatore quando ebbe guarito i dieci lebbrosi, vedendo che uno solo ritornava a ringraziarlo: “E gli altri nove, dissegli Gesù, non furono parimente guariti? „ (Luc. XVII, 17). Come se avesse detto: Perché gli altri non vengono a ringraziarmi? S. Bernardo ci dice che bisogna essere assai riconoscenti verso il buon Dio, perché ciò lo impegna ad accordarci molte altre grazie. Davvero, F. M.! quante grazie non dobbiam rendere a Dio, di averci creati, di averci redenti colla sua passione e morte, di averci fatto nascere nel seno della sua Chiesa, mentre tanti altri vivono e muoiono fuori del suo seno. Si, F . M., poiché la bontà e la misericordia di Dio sono infinite, procuriamo di ben approfittarne, e così avremo la ventura di piacergli e di conservar le anime nostre nella sua grazia: il che ci procurerà la felicità d’andar un giorno a godere la sua santa presenza con tatti i beati in cielo. Ecco quanto vi auguro.

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (2021)

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (2021)

VENERDÌ DOPO L’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di Ia cl. con Ottava privilegiata di 3° ordine. – Param. bianchi.

Il Protestantesimo nel secolo XVI e il Giansenismo nel XVIII avevano tentato di sfigurare uno dei dogmi essenziali al Cristianesimo: l’amore di Dio verso tutti gli uomini. Lo Spirito Santo, che è spirito d’amore, e che dirige la Chiesa per opporsi all’eresia invadente, affinché la Sposa di Cristo, lungi dal veder diminuire il suo amore verso Gesù, lo sentisse crescere maggiormente, ispirò la festa del Sacro Cuore. L’Officio di questo giorno mostra « il progresso trionfale del culto del Sacro Cuore nel corso dei secoli. Fin dai Primi tempi i Padri, i Dottori, I Santi hanno celebrato l’amore del Redentore nostro e hanno detto che la piaga, fatta nel costato di Gesù Cristo, era la sorgente nascosta di tutte le grazie. Nel Medio-evo le anime contemplative presero l’abitudine di penetrare per questa piaga fino al Cuore di Gesù, trafitto per amore verso gli uomini » (2° Notturno). — S. Bonaventura parla in questo senso: « Per questo è stato aperto il tuo costato, affinché possiamo entrarvi. Per questo è stato ferito il tuo Cuore affinché possiamo abitare in esso al riparo delle agitazioni del mondo (3° Nott.). Le due Vergini benedettine Santa Geltrude e Santa Metilde nel XIII secolo ebbero una visione assai chiara della grandezza della devozione al Sacro Cuore. S. Giovanni Evangelista apparendo alla prima le annunziò che « il linguaggio dei felici battiti del Cuore di Gesù, che egli aveva inteso, allorché riposò sul suo petto, è riservato per gli ultimi tempi allorché il mondo invecchiato raffreddato nell’amore divino si sarebbe riscaldato alla rivelazione di questi misteri (L’araldo dell’amore divino. – Libro IV c. 4). Questo Cuore, dicono le due Sante, è un altare sul quale Gesù Cristo si offre al Padre, vittima perfetta pienamente gradita. È un turibolo d’oro dal quale s’innalzano verso il Padre tante volute di fumo d’incenso quanti gli uomini per i quali Cristo ha sofferto. In questo Cuore le lodi e i ringraziamenti che rendiamo a Dio e tutte le buone opere che facciamo, sono nobilitate e diventano gradite al Padre. — Per rendere questo culto pubblico e ufficiale, la Provvidenza suscitò dapprima S. Giovanni Eudes, che compose fin dal 1670, un Ufficio e una Messa del Sacro Cuore, per la Congregazione detta degli Eudisti. Poi scelse una delle figlie spirituali di S. Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, alla quale Gesù mostrò il suo Cuore, a Paray-le-Monial il 16 giugno 1675, il giorno del Corpus Domini, e le disse di far stabilire una festa del Sacro Cuore il Venerdì, che segue l’Ottava del Corpus Domini. Infine Dio si servì per propagare questa devozione, del Beato Claudio de la Colombière religioso della Compagnia di Gesù, che mise tutto il suo zelo a propagare la devozioni al Sacro Cuore». (D. GUERANGER, La festa del Sacro Cuore di Gesù). – Nel 1765, Clemente XIII approvò la festa e l’ufficio del Sacro Cuore, e nel 1856 Pio IX l’estese a tutta la Chiesa. Nel 1929 Pio XI approvò una nuova Messa e un nuovo Officio del Sacro Cuore, e vi aggiunse una Ottava privilegiata. Venendo dopo tutte le feste di Cristo, la solennità del Sacro Cuore le completa riunendole tutte in un unico oggetto, che materialmente, è il Cuore di carne di un Uomo-Dio, e formalmente, è l’immensa carità, di cui questo Cuore è simbolo. Questa festa non si riferisce a un mistero particolare della vita del Salvatore, ma li abbraccia tutti. È la festa dell’amor di Dio verso gli uomini, amore che fece scendere Gesù sulla terra con la sua Incarnazione per tutti (Off.) che per tutti è salito sulla Croce per la nostra Redenzione (Vang. 2a Ant. dei Vespri) e che per tutti discende ogni giorno sui nostri altari colla Transustanziazione, per applicarci i frutti della sua morte  sul Golgota (Com.). — Questi tre misteri ci manifestano più specialmente la carità divina di Gesù nel corso dei secoli (Intr.). È « il suo amore che lo costrinse a rivestire un corpo mortale » (Inno del Mattutino). È il suo amore che volle che questo cuore fosse trafitto sulla croce (Invitatorio, Vang.) affinché ne scorresse un torrente di misericordia e di grazie (Pref.) che noi andiamo ad attingere con gioia (Versetto dei Vespri); un acqua, che nel Battesimo ci purifica dei nostri peccati (Ufficio dell’Ottava) e il sangue, che, nell’Eucaristia, nutrisce le nostre anime (Com.). E, come la Eucaristia è il prolungamento dell’Incarnazione e il memoriale del Calvario, Gesù domandò che questa festa fosse collocata immediatamente dopo l’Ottava del SS. Sacramento. — Le manifestazioni dell’amore di Cristo mettono maggiormente in evidenza l’ingratitudine degli uomini, che corrispondono a questo amore con una freddezza ed una indifferenza sempre più grande, perciò questa solennità presenta essenzialmente un carattere di riparazione, che esige, la detestazione e l’espiazione di tutti i peccati, causa attuale dell’agonia che Gesù sopportò or sono duemila anni. — Se Egli previde allora i nostri peccati, conobbe anche anticipatamente la nostra partecipazione alle sue sofferenze e questo lo consolò nelle sue pene (Off.). Egli vide soprattutto le sante Messe e le sante Comunioni, nelle quali noi ci facciamo tutti i giorni vittime con la grande Vittima, offrendo a Dio, nelle medesime disposizioni del Sacro Cuore in tutti gli atti della sua vita, al Calvario e ora nel Cielo, tutte le nostre pene e tutte le nostre sofferenze, accettate con generosità. Questa partecipazione alla vita eucaristica di Gesù è il grande mezzo di riparare con Lui, ed entrare pienamente nello spirito della festa del Sacro Cuore, come lo spiega molto bene Pio XI nella sua Enciclica « Miserentissimus » (2° Nott. dell’Ott.) e nell’Atto di riparazione al Sacro Cuore di Gesù, che si deve leggere in questo giorno davanti al Ss. Sacramento esposto

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXXII: 11; 19
Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]


Ps XXXII: 1
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.

[Esultate nel Signore, o giusti, la lode conviene ai retti.]

Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis in Corde Fílii tui, nostris vulneráto peccátis, infinítos dilectiónis thesáuros misericórditer largíri dignáris: concéde, quǽsumus; ut, illi devótum pietátis nostræ præstántes obséquium, dignæ quoque satisfactiónis exhibeámus offícium.  

[O Dio, che nella tua misericordia Ti sei degnato di elargire tesori infiniti di amore nel Cuore del Figlio Tuo, ferito per i nostri peccati: concedi, Te ne preghiamo, che, rendendogli il devoto omaggio della nostra pietà, possiamo compiere in modo degno anche il dovere della riparazione.]


Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios. Eph III: 8-19

Fratres: Mihi, ómnium sanctórum mínimo, data est grátia hæc, in géntibus evangelizáre investigábiles divítias Christi, et illumináre omnes, quæ sit dispensátio sacraménti abscónditi a sǽculis in Deo, qui ómnia creávit: ut innotéscat principátibus et potestátibus in cœléstibus per Ecclésiam multifórmis sapiéntia Dei, secúndum præfinitiónem sæculórum, quam fecit in Christo Jesu, Dómino nostro, in quo habémus fidúciam et accéssum in confidéntia per fidem ejus. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis ei in terra nominátur, ut det vobis, secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo, et longitúdo, et sublímitas, et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei.

[Fratelli: A me, minimissimo di tutti i santi è stata data questa grazia di annunciare tra le genti le incomprensibili ricchezze del Cristo, e svelare a tutti quale sia l’economia del mistero nascosto da secoli in Dio, che ha creato tutte cose: onde i principati e le potestà celesti, di fronte allo spettacolo della Chiesa, conoscano oggi la multiforme sapienza di Dio, secondo la determinazione eterna che Egli ne fece nel Cristo Gesù, Signore nostro: nel quale, mediante la fede, abbiamo l’ardire di accedere fiduciosamente a Dio. A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, da cui tutta la famiglia e in cielo e in terra prende nome, affinché conceda a voi, secondo l’abbondanza della sua gloria, che siate corroborati in virtù secondo l’uomo interiore per mezzo del suo Spirito. Il Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede, affinché, ben radicati e fondati nella carità, possiate con tutti i santi comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza e l’altezza e la profondità di quella carità del Cristo che sorpassa ogni concetto, affinché siate ripieni di tutta la grazia di cui Dio è pienezza inesauribile.]

Graduale

Ps XXIV:8-9
Dulcis et rectus Dóminus: propter hoc legem dabit delinquéntibus in via.
V. Díriget mansúetos in judício, docébit mites vias suas.

[Il Signore è buono e retto, per questo addita agli erranti la via.
V. Guida i mansueti nella giustizia e insegna ai miti le sue vie.]
Mt XI: 29

ALLELUJA

Allelúja, allelúja. Tóllite jugum meum super vos, et díscite a me, quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris. Allelúja.

[Allelúia, allelúia. Prendete sopra di voi il mio giogo ed imparate da me, che sono mite ed umile di Cuore, e troverete riposo alle vostre ànime. Allelúia

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joannes XIX: 31-37
In illo témpore: Judǽi – quóniam Parascéve erat, – ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati, – rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura, et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et alteríus, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium ejus. Et ille scit quia vera dicit, ut et vos credátis. Facta sunt enim hæc ut Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex eo. Et íterum alia Scriptúra dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.

[In quel tempo: I Giudei, siccome era la Parasceve, affinché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era un gran giorno quel sabato – pregarono Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero deposti. Andarono dunque i soldati e ruppero le gambe ad entrambi i crocifissi al fianco di Gesù. Giunti a Gesù, e visto che era morto, non gli ruppero le gambe: ma uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. E chi vide lo attesta: testimonianza verace di chi sa di dire il vero: affinché voi pure crediate. Tali cose sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: Non romperete alcuna delle sue ossa. E si avverasse l’altra Scrittura che dice: Volgeranno gli sguardi a colui che hanno trafitto.]

OMELIA

[Mons. Bonomelli: Misteri cristiani vol. IV, Queriniana ed. Brescia, 1896]

RAGIONAMENTO VIII

Il Sacro Cuore di Gesù

Gesù Cristo è l’autore e l’oggetto della nostra fede, il fondamento ed il fine della nostra speranza, la sorgente e il termine della nostra carità: tutto viene da Lui e tutto ritorna a Lui, principio e fine, primo ed ultimo, alfa ed omega d’ogni cosa, come insegnano i Libri Santi; e perciò è verissimo il dire: « Christus tota religio – La Religione tutta si riduce a Cristo ». Egli per la Sinagoga, pei Profeti, pei riti Sacri, pei patriarchi, per le tradizioni antiche risale ad Adamo: per la Chiesa discende giù giù per la serie dei secoli fino all’ultimo uomo, che vivrà sulla terra. – La Chiesa, l’erede delle sue ricchezze e delle sue glorie, la Sposa sua fedele, che vive solo per Lui e di Lui, colla parola, coi Sacramenti, colla preghiera, colla pompa sacra del culto, in mille modi, richiama senza tregua le menti e i cuori dei fedeli a Lui, che è il suo Capo e suo Sposo: Essa lo fa Vivere continuamente in mezzo agli uomini nelle verità, nella grazia, che sgorgano da Lui, e soprattutto nel mistero Eucaristico, pel quale è veramente e realmente presente tra loro. Considerate l’arte divina, con cui la Chiesa tien sempre viva tra suoi figli la memoria e l’azione di Gesù Cristo. Si apre l’anno ecclesiastico col sacro Avvento: e la Chiesa, se così posso dire, ponendosi nei tempi, che precedettero la venuta di Cristo e, confondendosi coi patriarchi, coi Profeti e con Mosè, lo invoca e lo saluta da lungi suo Salvatore: poi raccoglie tutti i suoi figli presso la culla di Lui e lo adora e nella letizia delle feste Natalizie canta: – Vi annunzio una grande allegrezza: è nato il Salvatore del mondo -. Poi ce lo mostra nell’atto di Versare le prime stille del suo sangue, principio del sacrificio della Croce: è il mistero della Circoncisione. Poi ci invita a vedere i Magi, primizie dei Gentili, prostrati ai piedi del divino Infante: è il mistero della Epifania. E poi nelle Domeniche che seguono, ce lo mette innanzi bambino, riconosciuto e proclamato Salvatore del mondo tra le braccia del venerando Simeone, profugo in Egitto, reduce a Nazaret, fanciullo a 12 anni nel tempio di Gerusalemme, giovane, operaio volontariamente sepolto nella officina paterna. Poi ce lo addita nel deserto, che nel digiuno e nella preghiera si prepara alla vita pubblica; è il tempo Quadragesimale. Poi ci fa assistere alla sua passione e alla sua morte crudele di croce nella settimana che a ragione dicesi Santa. – Poi ci vuole testimonii della gloriosa sua risurrezione nella Pasqua, del suo trionfale ingresso in cielo, nella Ascensione. Ecco l’Anno Liturgico, che ci spiega sotto gli occhi la vita di Gesù Cristo dal dì del suo Nascimento a quello della sua Ascensione. – Ma, chiuso il periodo della vita di Gesù Cristo, comincia quello, che nel suo Nome e nella virtù della sua parola deve continuare fino al termine dei tempi per opera della Chiesa: eccovi la Pentecoste. Ma la vita e la forza della Chiesa tutta deriva da Gesù Cristo. Ed Egli dov’è? In cielo letizia di sé i beati e sulla terra nel Sacramento dei Sacramenti, l’Eucaristia, illumina, nutre, santifica la Chiesa: eccovi la festa del Corpo di Cristo. – Quale magnifico spettacolo ci svolge essa la Chiesa sotto gli occhi nel corso dall’anno! La storia della vita e delle opere di Cristo e con essa inseparabilmente congiunto il richiamo dei dogmi capitali della nostra fede ci passano dinanzi in guisa che tutti, dotti e indotti, li debbono conoscere, direi quasi loro malgrado. La liturgia della Chiesa è la perenne e più efficace predicazione delle divine verità, della vita e delle opere di Gesù Cristo. – Ora, una domanda, o fratelli. Questa serie stupenda delle verità e delle opere di Cristo, che si svolgono dall’Avvento al Corpus Domini, donde derivano? Da qual fonte promanano? Non esito un istante a rispondere: – dalla smisurata carità di Gesù Cristo -. E questa smisurata carità di Cristo dove si adombra perfettamente? Quale ne è lo strumento e l’organo? E dove ci conduce essa? Il Cuore adorabile di Gesù è il simbolo più perfetto dell’amore di Dio: ne è l’organo e lo strumento naturale: è il termine, a cui ci conduce. E sono queste le tre verità, che mi studierò di mettere in luce in questo Ragionamento. – Forse non avrete mai posto mente ad una verità semplicissima per sé stessa e che è pure la prima ragione del culto al Sacro Cuore di Gesù Cristo, culto oggi mai universale nella Chiesa di Dio: la verità è questa: qualunque culto, qualunque devozione praticata e riconosciuta nella Chiesa ha un doppio oggetto, l’uno sensibile e materiale, l’altro invisibile e spirituale, il qual secondo è assai più nobile ed eccellente del primo, perché ne è il fine; noi, per ragione d’esempio, prestiamo culto alla croce, ai chiodi, alla lancia, alle spine, al sudario, agli strumenti tutti, che furono santificati dall’immediato contatto del sangue e del corpo adorabile del Salvatore. Questi strumenti e queste sante memorie della passione di Gesù Cristo costituiscono l’oggetto immediato, visibile e materiale del nostro culto: l’oggetto invisibile ed immateriale, a cui principalmente vuolsi tener volto lo sguardo, è l’amore divino manifestatoci per questi strumenti stessi, è Dio medesimo, che si degnò usare di codesti mezzi e impreziosirli nell’opera della umana redenzione. Ciò stesso avviene nel culto al Cuore sacratissimo di Gesù Cristo. Il Cuore di Lui è primamente oggetto visibile e materiale del nostro culto, perché questo Cuore è il simbolo e la prova della infinita carità di Gesù Cristo verso dell’uomo, come canta la Chiesa: « Hoc sub amoris symbulo -….. Christus sacerdos obtulit – Cristo, sacerdote in eterno offre il suo Cuore qual simbolo della sua carità ». Ciò che altrove la Chiesa in forma solenne dichiara e conferma: «Ut charitatem Christi patientis et pro generis humani redemptione morientis …… fideles sub Sanctissimi Cordis symbulo devotius et ferventius recolant ». Che fu un dire: – La Chiesa venera ed adora il Cuore di Gesù a fine di celebrare e glorificare più devotamente e più fervidamente quella carità che lo condusse alla croce e alla morte per noi, carità che tutta e mirabilmente ci viene simboleggiata nel suo santissimo Cuore -. Vedete, o fratelli, ciò che si fa nel mondo profano: il simbolo od emblema lo trovate dovunque e sempre. Veggo un leone alato, che stringe nelle zampe un Vangelo: saluto la Regina dell’Adria, Venezia. Veggo ondeggiare al vento una bandiera e in essa dipinto un leopardo: riconosco la Regina dei mari, l’altera Albione. Veggo uno scudo e in esso con le ali aperte, stringente nelle unghie una spada, un’aquila incoronata, dalla doppia testa, ed esclamo: Ecco l’Austria. Voi non trovate una nazione, una società qualunque, una famiglia, che si reputi nobile, la quale non si onori del suo segno o simbolo, d’una bandiera, in cui compendia il suo nome e le sue glorie. Guai a chi fa oltraggio a quel simbolo, a quella bandiera! È un nemico! Amico è chi l’onora! – Il somigliante avviene nella Chiesa. Tutto in essa è figura e simbolo: è il suo linguaggio più caro e più eloquente. Qui la colomba vi ricorda lo Spirito Santo, là l’agnello, il pellicano vi rammentano l’Uomo-Dio; altrove il giglio vi rappresenta la purezza, la nave adombra la Chiesa, l’aquila simboleggia l’Evangelista Giovanni, il leone raffigura l’Evangelista Marco e andate dicendo: nella liturgia, nella pittura e scultura, nel linguaggio della Chiesa tutto è simbolico. Essa coi segni, colle figure più svariate parla e ammaestra il popolo, che la intende a meraviglia: dirò anzi che il popolo ama e preferisce questo linguaggio dei segni e delle figure al linguaggio comune, perché meglio gli mette innanzi le cose e le verità. Egli, il popolo, all’udire preferisce il vedere e le cose e le verità, ch’egli riceve per gli occhi, si stampano nella sua mente più assai che quelle, che gli giungono per la via delle orecchie. Ora qual simbolo, qual figura più viva e più naturale dell’amore quanto il simbolo e la figura del cuore? Appena i miei occhi cadono su quella figura vermiglia; appena veggono quella ferita stillante sangue, quella corona di spine, che l’avvolge, quelle fiamme che dal suo vertice si elevano, la mia mente corre a Gesù, pensa all’amor suo per gli uomini tutti, ricorda la sua passione, la sua morte, tutta la storia della sua vita; il mio cuore a quella vista si commuove, si accende e sente che l’amore di Gesù domanda amore ed io l’amo con tutte le forze dell’anima mia. È dunque ragionevole e santa cosa onorare il cuore di Gesù come figura convenzionale e naturale la più espressiva della sua smisurata carità. Tacciano dunque e arrossiscano coloro che volevano sbandito dalla Chiesa il culto del Cuore di Gesù Cristo, questo sì caro e sì perfetto emblema del divino amore e ne faceano bersaglio de’ loro motti sarcastici e delle loro insolenti facezie. Perché non levavano essi la voce con eguale e maggior ragione contro il culto della Croce e degli istrumenti tutti della passione? Perché non condannavano i libri ispirati, che tante volte parlano della carne e del sangue di Gesù Cristo, che sono parte della sua umanità, come parte nobilissima ne è il suo cuore? Allorché parliamo del cuore di Gesù e lo adoriamo, la nostra mente si fissa nel cuore di Gesù, non separato dal corpo e dall’anima sua benedetta, ma nel cuore congiunto a Lui ipostaticamente, nel cuore vivente, formante parte della sua umanità gloriosa. – Ma sarebbe troppo grave errore considerare il cuore di Gesù Cristo come un semplice e nudo simbolo della sua carità, perché esso ne è lo strumento e l’organo materiale. Il cuore di Gesù, o fratelli miei, si ha da adorare non solamente perché ebbe ed ha immediato ed esterno contatto col Verbo divino, come l’ebbero i chiodi, e gli strumenti della passione, ma perché esso fu assunto, vivificato, posseduto, divinizzato, fatto proprio del Verbo Istesso, tantoché esso è veramente e rigorosamente cuore di Dio: cuore in cui Dio stesso vive, sente, ama e si comunica agli uomini. Seguitemi col vostro pensiero. – Nell’uomo convien distinguere due essenzialissime facoltà o potenze, cioè la facoltà o potenza di intendere e ragionare, e la facoltà o potenza di volere ed amare. Come queste due facoltà o potenze sono distinte tra loro e tanto distinte che talora sono opposte, così hanno sede distinta nel corpo: l’intelligenza si attua più propriamente nel capo, la volontà e l’amore riseggono e si svolgono più propriamente nel cuore (Io non voglio entrare in questioni fisiologiche, né seguire gli antichi nelle loro ricerche intorno alla sede dell’anima. Essa è tutta in tutto il corpo, perché semplice: ma come riceve le sensazioni per mezzo dei sensi, così gli atti intellettivi si manifestano nei nervi del cervello, e gli atti affettivi nel cuore. Questo è il fatto, non mi occupo della Spiegazione scientifica); onde chi pensa e ragiona accenna al capo, chi ama accenna al cuore; e chi pensa e medita a lungo e intensamente, prova una molesta, sensazione al capo, e chi ama fortemente sperimenta una scossa gagliarda e una viva commozione al cuore. Allorché voi volete indicare che un uomo è dotato d’alto ingegno, dite: È un uomo di gran testa: se volete indicare che è uomo caritatevole, generoso, amorevole, dite: Ha un bel cuore: è  uomo di cuore eccellente. Come noi vediamo cogli occhi, udiamo colle orecchie, parliamo colla lingua, lavoriamo colle mani, gustiamo col palato, così amiamo col cuore, che si agita, che ci martella in petto, che si dilata, si accende proporzionatamente alla intensità dell’amore. Non è dunque accidentale convenzione di linguaggio quella che indusse tutti gli uomini a scegliere il cuore per simboleggiare l’amore, ma la voce della natura, il grido stesso della verità a talché se noi fossimo vissuti fuori di società, per significare l’amor nostro ad una persona avremmo sempre usate queste o simili espressioni: – Io vi sento, io vi tengo, io vi porto nel mio cuore: io ho scritto il vostro nome nel mio cuore: il mio cuore è vostro: datemi il vostro cuore: il mio cuore arde per voi! – Sì: il cuore è il centro della vita! (Fisiologicamente il centro primo della vita è il cervello, il secondo è il cuore: di là il moto dei nervi e col moto la vita: di qui il moto del sangue, che alimenta i nervi e tutto il corpo. L’uno non vive senza dell’altro. Al mio scopo bastano queste verità e sarebbe superfluo addentrarci in altre questioni.): da esso muove, ad esso ritorna il sangue per rifarsi e vivificarsi e proseguire il misterioso e ammirabile suo giro, ed esso è lo strumento dell’amore, la sede delle affezioni tutte, come il cervello è lo strumento e la sede della intelligenza e del pensiero. – Ora, o fratelli, non vi può essere dubbio, ciò che avviene naturalmente in ogni uomo deve avvenire eziandio in Gesù Cristo, perché Egli è vero e perfettissimo uomo in ogni cosa a noi eguale, del peccato e delle conseguenze del peccato infuori, come insegna la fede; se dunque in noi il cuore è lo strumento e l’organo materiale, per cui dispiegasi la fiamma amorosa, è forza affermare, che anche il cuore di Gesù, dal Verbo personalmente assunto e da Lui inseparabile, sia lo strumento e l’organo materiale dell’amor suo infinito. Come Gesù Cristo vedeva cogli occhi e udiva con le orecchie, così Egli amava col suo cuore. Chi potrebbe dubitarne? È una conseguenza del mistero dell’incarnazione. – Ben è vero che il Verbo anche prima di farsi uomo amava tutte le opere delle sue mani, e l’uomo soprattutto dopo l’Angelo: ben è vero che allora l’amor suo era affatto indipendente da qualsivoglia strumento corporeo, perché incorporeo e sovranamente spirituale era la sua natura; ma dall’istante ch’Egli si fece uomo, ama e deve amare eziandio col cuore materiale, che assunse, per la ragione che questo cuore, congiunto inseparabilmente alla Persona divina del Verbo, nulla opera, né può sperare senza il concorso immanente del Verbo stesso, come osserva acutamente San Anselmo. Dal che segue questa stupendissima verità, che l’amore eterno del Verbo verso gli uomini si riverbera incessantemente in questo amore sacrosanto, che tutto si avviva sotto i cocenti suoi raggi, e fedelmente risponde a Lui come un’arpa armonica appena è tocca dalla mano di un esperto suonatore. Il sole splende sempre egualmente nel mezzo dei cieli e la sua luce è candida: sotto a quei raggi collocate un prisma ed i suoi raggi d’un tratto vestono tutti i colori dell’iride; il sole è il Verbo divino; il prisma meraviglioso che rifrange i suoi raggi e li colora è il cuore assunto; esso è l’organo dell’amor divino, anzi intrecciando ineffabilmente fa scintillare l’amore, e il candore dell’eterna luce si confonde col vermiglio e purpureo di questo cuore benedetto. – E chi varrà mai a spiegare le ricchezze nascoste in questo divinissimo cuore? Chi potrà spingere gli sguardi nei suoi penetrali, accessibili solo agli sguardi di Dio e agli impeti della sua infinita carità? Chi potrà mai nonché descrivere, ma anche solo da lungi immaginare gli infuocati palpiti di questo cuore, che è, badate bene, cuore veramente di Dio? Quando io mi ingegno di concepire in qualche modo i tesori di amori racchiusi nel cuore di Gesù, non trovo immagine più acconcia di questa: immagino un mare, sul quale per quantunque l’occhio si spazii non scopre le sponde e si perde su quella immensa stesa delle acque e in quella non meno immensa vòlta de’ cieli, che sembra circoscriverla; penso che questo cuore sia simile all’amore divino, che da nessuno si comprende; poi immagino che questo mare sterminato sbocchi per un ampio fiume, che solo dà sfogo perenne alle sue acque e per cui solo dilaga e feconda le sottoposte pianure. Così mi sembra possiamo fornirci qualche idea del divino amore, che immensurato ed immensurabile in se stesso, non potendo quasi capire in sé pel cocentissimo desiderio, che lo punge e muove ad effondersi e comunicarsi alle sue creature, si precipita quanto vi cape nel cuore di Gesù, lo riempie, lo inonda e nella sua piena trabocca d’ogni Parte. Per tal modo Questo cuore diviene la sorgente unica, il fiume vastissimo e sempre rigonfio, che a noi tutti  in terra ed in cielo, agli uomini ed agli Angeli deriva le acque della vita,  possiamo ripetere: il fiume della Vita, nella sua piena rallegra la città di Dio – Fluminis impetus lætificat civitatem Dei -. Sì, sì, fratelli miei! Questo cuore è Veramente la fonte, il fiume delle acque della vita, onde verdeggia, fiorisce e fruttifica il campo della Chiesa: è la porta e la via, per la quale Dio stesso discende e viene a noi, Lo volete vedere? Udite e fatemi ragione. – Dio viene a noi e a noi si comunica coll’istruirci, col soffrire e morire per noi: viene a noi col versare nello anime nostre i tesori delle sue grazie, con tutte quelle opere prodigiose, ch’Egli compì per noi sulla terra e che nei sacramenti e nella sua Chiesa durano e dureranno fino al termine dei secoli. – Scorrete col pensiero tutta la vita di Gesù Cristo, cercate ad una ad una tutte le sue opere che germinò quel fiore nel seno verginale di Maria fino all’istante che sulla croce esalò l’estremo anelito: numerate, se potete, tutte le sue fatiche, i suoi affanni, i suoi dolori: contate tutte le sue parole, tutti i suoi passi, tutti i suoi viaggi: mettete insieme tutti i suoi pensieri, tutti i suoi affetti, tutti i suoi desiderii: rammentate l’istituzione di tutti i sacramenti, rivi inesauribili di grazie e di vita: ricordate soprattutto il mistero eucaristico, che lo imprigiona sui nostri altari e lo fa spuntare, vero albero di vita, su tutti i punti del pianeta: pensate alle catene, ai fagelli, alle spine, agli insulti, agli schiaffi, alla sentenza di morte, alla croce, ai chiodi, all’aceto, al fiele, alle agonie, all’abbandonamento desolato del Calvario: considerate Gesù Cristo qual è, quale ci è presentato dal Vangelo, con tutto ciò che ha fatto, che fa, che farà fino all’ultima ora dei secoli: aggiungete tutto quel di più ch’Egli era pronto a fare per noi e non fece, cioè gli ardori di quella carità, che l’avrebbero portato a patire e morire tante volte quante sono le anime da salvare, a tollerare tormenti a mille doppi maggiori di quelli che tollerò, se tutto questo fosse stato necessario. Mio Dio! quali e quante opere d’infinito valore! Quali prove di ineffabile carità! Che poteva fare e non ha fatto per noi questo amabile Gesù? Ora vi domando: tutte queste opere compiute da Gesù per l’uomo e che riempiono lo spazio e si distendono coi secoli, da qual fonte sgorgano? Dove furono prima concepite, maturate, consumate? Tutte, tutte, senza eccezione, rampollano dall’amore divino: Propter nimiam charitatem, qua dilexit. E l’amore divino,dopo l’incarnazione dove risiede? Dove si attua? L’amore divino risiede e si attua in questo Cuore santissimo: tutte spuntano, tutte si spandono da questo cuore, come i rami dalla radice, i ruscelli dal fonte, tutte sono faville dell’incendio beato onde arde questo cuore amoroso. È desso che, raccogliendo in sé tutto il sangue, che è vita divina, coi suoi palpiti lo spinge per le arterie e per le vene e per le ferite aperte in tutto il corpo, a stille a stille lo fa piovere su tutte le anime, le purifica, le risana, le vivifica, le abbellisce, le fa sante. -Se dunque dal divino amore discendono a noi tutti i beni e se i raggi del divino amore per il mistero della Incarnazione si appuntano e si incentrano tutti nel Cuore di Gesù, in cui hanno principio e compimento le azioni tutte (Nella mente splende la verità, norma delle opere: la luce della verità scende come raggio nella volontà, che risiede nel cuore: qui la luce della Verità, quasi scintilla elettrica, accende la fiamma dell’amore e l’amore determina l’opera: perciò ogni opera comincia nella mente e si compie nella volontà, ossia nell’amore, che è quanto dire nel cuore), ne conseguita a tutta evidenza, che questo Cuore è veramente la fontana perenne e vivace d’ogni grazia: ne conseguita che in questo Cuore noi troviamo ogni cosa, che in esso sono scritte a caratteri incancellabili l’opere tutte dell’Uomo-Dio, e che in esso possiamo vedere come nel loro Principio e nel germe tutto ciò che Cristo svolse nei giorni di sua vita mortale. E qui pure non vi spiaccia, seguirmi per pochi momenti. Metto sulla palma della mia mano un granello di frumento, il seme d’un abete, il germe d’un cedro: da quel granello un giorno uscirà una spiga, da quel seme verrà un abete, da quel germe svolgerassi un altissimo cedro: dunque in quel granello è racchiusa la spiga, in quel seme si contiene l’abete, in quel germe esiste il cedro: s’io avessi l’occhio sì acuto da penetrare ogni punto, ogni atomo di quel grano, di quel seme, di quel germe, certamente vi scorgerei in embrione la spiga, l’abete, il cedro, che un giorno germoglieranno, spiegando alla luce del sole le loro foglie e i loro rami. Chi mai potrebbe dubitarne? Ebbene: nel Cuore di Gesù si racchiudono come nel loro germe tutti gli atti di quell’amore, che man mano nel corso della sua vita fioriscono nelle opere, che va compiendo: dunque in quel Cuore si precontiene tutta la serie delle sue opere, figlie tutte del suo amore: in quel Cuore pertanto io posseggo e adoro tutta quanta la meravigliosa economia della Redenzione, perché tutta scaturisce da esso come dal suo principio. Ah! dunque questo Cuore, canterò colla Chiesa, è il santuario della nuova Alleanza (Cor, Sanctuarium novi Intemeratum fœderis); è il tempio senza confronto più santo dell’antico (Templum vetusto sanctius); è il velo, che nasconde il Santo de’ santi (Velumque scisso utilius); è l’Arca, in cui l’uman genere fu salvo dalle acque inondatrici della colpa (Hoc ostium Arcæ in latere est Genti ad salutem positum) [Inni del Sacro Cuore]; è la tavola su cui Dio ha scritto la legge di grazia e di amore: è l’altare, su cui fu offerta l’Ostia di pace e di perdono e l’umanità tutta espiata e riconciliata con Dio; è il talamo in cui Cristo consumò le nozze con la sua Sposa immacolata, la Chiesa, è la porta dei cieli. – Se non che a Gesù Cristo non bastava far distillare dal suo cuore la rugiada fecondatrice dei doni celesti; Egli voleva aprire l’erario dei suoi tesori, voleva spalancarne le porte, affinchè tutti potessero entrarvi liberamente e arricchirsene a talento. E perciò, grida Agostino, ecco che il novello Adamo, punto dall’amore, che l’arde, sale il suo talamo: « Ascendat sponsus noster thalami sui lectum »; sale cioè il letto si doloroso della croce; morendo vi si addormenta: « Dormiat Morendo ». E mentre è immerso nel sonno profondo della morte, voluta per amore, gli si  apre il fianco, gli si fende il Cuore; « Aperiatur eius latus ». E che n’esce? Ne esce, qual Vergine sposa, la Chiesa a Lui inanellata nel dolore e nel sangue: « Et Ecclesia prodeat Virgo ». Così come dal fianco del primo uomo addormentato nel giardino di delizie si formò la madre dei viventi, Eva, dal fianco squarciato di Cristo addormentato sulla croce, che si innalza sul Calvario, si formò la Chiesa, la madre dei viventi secondo lo spirito: « Ut quomodo Hæva facta est ex latere facta est ex latere Christi in cruce pendentis » Graziosissima immagine ricordata da altri Padri e che la Chiesa tradusse in un linguaggio poetico che merita di essere riportato: « Dal Cuore lacerato di Cristo nasce la Chiesa che a Lui si disposa. Da questo cuore a guisa di settemplice fiume scorre perenne la grazia; affinché nel sangue dell’Agnello imbianchiamo le nostre stole »). E S. Giovanni Crisostomo, contemplando questo Cuore aperto e stillante ancora vivo sangue, rivolto al popolo, un impeto di carità, esclama: « Guarda donde emanano principalmente le acque della fede e della grazia: guarda da qual fonte derivano: esse provengono dalla croce, zampillano dal fianco, dal costato trafitto del nostro Gesù » (In Jann., Hom. 19). E veramente allorchè si aperse questo Cuore, parve atterrato l’ argine, che conteneva l’impeto del fiume d’amore, che traboccò, gittando le ultime gocce di sangue e di acqua, che doveano lavare e nutrire la Chiesa. – Ah! rispondete, o fratelli, questo amorosissimo Gesù svenato poteva più eloquentemente testimoniare la sua carità? Il suo Cuore lo trasse a patire: lo fece correre alla obbrobriosa morte della croce: ve lo conficcò, ve lo tenne, ve lo fece spirare: questo Cuore avea già cessato di palpitare e patire: non avea più filo di vita; era già freddo: ma non avea cessato di amare, anzi più che mai ardeva delle fiamme amorose, già morto vuol essere trapassato da crudel lancia per aprirvi larghissima porta e dare, sarei per dire, l’ultimo sfogo all’affocata sua carità. – Ma il Cuore di Gesù com’è per noi lo strumento e la porta, per cui esce l’amor divino e si spande incessantemente sopra tutti gli uomini, così è anche il termine, a cui noi dobbiamo tendere, la via e la porta per unirci a Dio, il punto, nel quale le anime nostre debbono stringere con Gesù Cristo il loro santo connubio: è la fonte, dice S Bonaventura, delle acque della vita e tu vi accosta le labbra e ti disseta. Ogni cosa tende necessariamente e incessantemente a ricongiungersi alla sua origine. Il pellegrino, che viaggia per terra straniera, sospira di rivedere la patria: il raggio, che batte sullo specchio, torna dritto più su al punto onde si parte: i fiumi discendono al mare donde per altre vie ritornano alle sorgenti: il fiore si volge al sole, che gli apre il seno e lo colora e il sangue, che il cuore spinge e preme per tutto il corpo, al cuore ritorna. L’amore divino a noi discende dal Cuore di Gesù, che ne è la bocca e la porta, come dicevamo: i nostri cuori adunque, attratti dal divino amore, quasi da celeste calamita, devono muoversi verso il Cuore di Gesù e in esso quietarsi come nel naturale lor centro. Io vorrei paragonare il divino amore ad un filo d’oro, col quale Gesù Cristo lega e tira dolcemente a sé i cuori degli uomini: ma questo filo d’oro donde a noi si cala? Dal Cuore di Gesù, perché esso ne è il centro e l’organo: è dunque naturale che gli uomini, legati da questo filo, siano soavemente e fortemente tirati al Cuore di Gesù e a Lui si uniscano. Né è da tacere un’altra verità, che conferma a meraviglia il mio pensiero. È cosa indubitata e manifesta per la quotidiana esperienza, che mezzo sovra ogni altro efficace per muovere altri ad amarci è il mostrar loro che noi gli amiamo: « Amor che nullo amato amar perdona », disse sapientemente il poeta filosofo e teologo: l’amore domanda amore, anzi provoca l’amore in quella stessa misura con cui si ama, Ora in qual guisa e in qual misura ci ha Egli amato Gesù Cristo? Questo Cuore ve lo dice: col suo muto, ma eloquente linguaggio ci chiama, ci invita ad accostarci a Lui, ad entrare in Lui per quella stessa via, per la quale si è dato a noi, come scrive un Santo. Quel Cuore ci narra tutta la storia dell’amore divino e col mostrarcisi ci ripete le bibliche parole: « Figliuolo, dammi il tuo cuore – fili, præbe mihi cor tuum ». E in vero per qual altra ragione Gesù Cristo ci avrebbe dischiusa la porta del suo Cuore se non per mostrarci la via della legge, l’ingresso del cielo? Gesù Cristo nel Vangelo chiama se stesso via e porta: « Ego sum via – Ego sum ostium ». So che Gesù Cristo, appropriandosi quelle parole, designava tutto se stesso e non il solo suo Cuore: so pure che tutte le piaghe della sua sacrosanta Umanità diconsi e sono porte a salvezza nostra aperte: ma so ancora, che se tutta l’Umanità di Gesù Cristo si può e si deve chiamar via e porta degli uomini, lo si dee dire eziandio del Cuore, organo precipuo della vita e membro fra tutti nobilissimo del corpo istesso. Se tutte le ferite del corpo di Gesù sono bocche e porte di misericordia e salute, come non lo è quella del suo Cuore? – Ed io credo che non senza altro mistero Gesù Cristo volesse che l’ultima delle sue ferite fosse quella del Cuore per significare, che tutte le altre erano state aperte dal suo Cuore istesso, ma che sembravano troppo anguste alla sua carità e che questa del Cuore era la via regia, che rimaneva aperta a tutti gli uomini e introduceva nel santuario stesso dell’amore. Gesù ha fatto come colui, che riserba per ultimo il dono più caro e più prezioso, qual compimento e  corona di tutti gli altri. – Qual meraviglia, pertanto, che la Chiesa riconosca adombrato il Cuore di Gesù in quella porta che Noè per ordine di Dio aperse nel fianco dell’Arca noetica, per la quale entrò il Patriarca con tutta la sua famiglia e fu salvo dalle acque del diluvio? Qual meraviglia che i Santi a gara ci esortino ad entrare in questo Cuore per unirci a Dio e santificarci? Essi lo chiamano il tempio della Divinità, il santuario della grazia, come S. Bernardo: lo chiamano l’erario e la miniera inesausta dei doni più eletti, il porto del paradiso, come S. Bonaventura. Essi lo paragonano al nido, in cui la Chiesa qual tortorella gemente ripone e assicura contro le insidie del nemico i suoi teneri nati, finché mettano l’ali e venga il tempo d’inviarli al cielo; così S. Tommaso da Villanova. Essi lo appellano la dimora dei vergini, la rocca in cui si riparano le anime fuggiasche dal mondo, l’asilo della pace, della speranza, il rifugio dei peccatori. – Ah! esclamerò con Agostino: « Longino, il soldato che trafisse il fianco di Gesù, colla sua lancia mi aperse il cuore di Lui; io vi entrerò e vi riposerò sicuro e tranquillo – Longinus mihi aperuit latus Christi et ego intravi et requiesco securus ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXVIII: 21

Impropérium exspectávi Cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni

[Obbrobrii e miserie si aspettava il mio Cuore; ed attesi chi si rattristasse con me: e non vi fu; cercai che mi consolasse e non lo trovai.]

Secreta

Réspice, quǽsumus, Dómine, ad ineffábilem Cordis dilécti Fílii tui caritátem: ut quod offérimus sit tibi munus accéptum et nostrórum expiátio delictórum.

[Guarda, Te ne preghiamo, o Signore, all’ineffabile carità del Cuore del Tuo Figlio diletto: affinché l’offerta che Ti facciamo sia gradita a Te e giovi ad espiazione dei nostri peccati].

Præfatio
de sacratissimo Cordis Jesu

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui Unigénitum tuum, in Cruce pendéntem, láncea mílitis transfígi voluísti: ut apértum Cor, divínæ largitátis sacrárium, torréntes nobis fúnderet miseratiónis et grátiæ: et, quod amóre nostri flagráre numquam déstitit, piis esset réquies et poeniténtibus pater et salútis refúgium. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus.

 [È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai voluto che il tuo Unigenito, pendente dalla croce, fosse trafitto dalla lancia del soldato, così che quel cuore aperto, sacrario della divina clemenza, effondesse su di noi torrenti di misericordia e di grazia; e che esso, che mai ha cessato di ardere d’amore per noi, fosse pace per le anime pie e aperto rifugio di salvezza per le ànime penitenti. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine: Santo …]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes XIX: 34

Unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.

[Uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua.]

Postcommunio

Orémus.
Prǽbeant nobis, Dómine Jesu, divínum tua sancta fervórem: quo dulcíssimi Cordis tui suavitáte percépta;
discámus terréna despícere, et amáre cœléstia:

[O Signore Gesù, questi santi misteri ci conferiscano il divino fervore, mediante il quale, gustate le soavità del tuo dolcissimo Cuore, impariamo a sprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare flagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitæ cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; 7 anni nel giorno della festa – Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. –

Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, 7 anni, e se confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

DOMENICA DELL’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI – II DOPO PENTECOSTE.

DOMENICA NELL’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI II DOPO PENTECOSTE

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Chiesa ha scelto, per celebrare la festa del Corpus Domiti, il giovedì che è fra la domenica, nella quale il Vangelo parla della misericordia di Dio verso gli uomini e del dovere che ne deriva per i Cristiani di un amore reciproco (l dopo Pentecoste) e quella (II dopo Pentecoste) nella quale si ripetono le stesse idee (Epist.) e si presenta il regno dei cieli sotto il simbolo della parabola del convito di nozze (Vang.)  [Questa Messa esisteva coi suoi elementi attuali molto prima che fosse istituita la festa del Corpus Domini. Niente infatti poteva essere più adatta all’Eucaristia, che è il banchetto ove tutte le anime sono unite nell’amore a Gesù, loro sposo, e a tutte le membra mistiche.) Niente poi di più dolce che il tratto nel quale si legge nell’Ufficio la storia di Samuele che fu consacrato a Dio fin dalla sua più tenera infanzia per abitare presso l’Arca del Signore e diventare il sacerdote dell’Altissimo nel suo santuario. La liturgia ci mostra come questo fanciullo offerto da sua madre a Dio, serviva con cuore purissimo il Signore nutrendosi della verità divina. In quel tempo, dice il Breviario, « la parola del Signore risuonava raramente e non avvenivano visioni manifeste », poiché Eli era orgoglioso e debole, e i suoi due figli Ofni e Finees infedeli a Dio e incuranti del loro dovere. Allora il Signore si manifestò al piccolo Samuele poiché « Egli si rivela ai piccoli, dice Gesù, e si nasconde ai superbi », e S. Gregorio osserva che « agli umili sono rivelati i misteri del pensiero divino ed è per questo che Samuele è chiamato un fanciullo ». E Dio rivelò a Samuele il castigo che avrebbe colpito Eli e la sua casa. Ben presto, infatti l’Arca fu presa dai Filistei, i due figli di Eli furono uccisi ed Eli stesso mori. Dio aveva così rifiutato le sue rivelazioni al Gran Sacerdote perché tanto questi come i suoi figli non apprezzavano abbastanza le gioie divine figurate nel « gran convito » di cui parla in questo giorno il Vangelo, e si attaccavano più alle delizie del corpo che a quelle dell’anima. Così applicando loro il testo di S. Gregorio nell’Omelia di questo giorno, possiamo dire che « essi erano arrivati a perdere ogni appetito per queste delizie interiori, perché se n’erano tenuti lontani e da parecchio tempo avevano perduta l’abitudine di gustarne. E perché non volevano gustare la dolcezza interiore che loro era offerta, amavano la fame che fuori li consumava». I figli d’Eli, Infatti prendevano le vivande che erano offerte a Dio e le mangiavano; ed Eli, loro padre, li lasciava fare. Samuele invece, che era vissuto sempre insieme con Eli aveva fatto sue delizie le consolazioni divine. Il cibo che mangiava era quello che Dio stesso gli elargiva, quando, nella contemplazione e nella preghiera gli manifestava i suoi segreti. « Il fanciullo dormiva» il che vuol dire, spiega S. Gregorio, «che la sua anima riposava senza preoccupazione delle cose terrestri ». « Le gioie corporali, che accendono in noi un ardente desiderio del loro possesso, spiega questo santo nel suo commento al Vangelo di questo giorno, conducono ben presto al disgusto colui che le assapora per la sazietà medesima; mentre le gioie spirituali provocano il disprezzo prima del loro possesso, ma eccitano il desiderio quando si posseggono; e colui che le possiede è tanto più affamato quanto più si nutre ». Ed è quello che spiega come le anime che mettono tutta la loro compiacenza nei piaceri di questo mondo, rifiutano di prender parte al banchetto della fede cristiana, ove la Chiesa le nutre della dottrina evangelica per mezzo dei suoi predicatori. « Gustate e vedete, continua S. Gregorio, come il Signore è dolce ». Con queste parole il Salmista ci dice formalmente: «Voi non conoscerete la sua dolcezza se voi non lo gusterete, ma toccate col palato del vostro cuore l’alimento di vita e sarete capaci di amarlo avendo fatto esperienza della sua dolcezza. L’uomo ha perduto queste delizie quando peccò nel paradiso: ma le ha riavute quando posò la sua bocca sull’alimento d’eterna dolcezza. Da ciò viene pure che essendo nati nelle pene di questo esilio noi arriviamo quaggiù ad un tale disgusto che non sappiamo più che cosa dobbiamo desiderare. » (Mattutino). « Ma per la grazia dello Spirito Santo siamo passati dalla morte alla vita » (Ep.) e allora è necessario come il piccolo e umile Samuele che noi, che siamo i deboli, i poveri, gli storpi del Vangelo, non ricerchiamo le nostre delizie se non presso il Tabernacolo del Signore e nelle sue intime unioni. Evitiamo l’orgoglio e l’amore delle cose terrestri affinché « stabiliti saldamente nell’amore del santo Nome di Dio » – (Or.), continuamente « diretti da lui ci eleviamo di giorno in giorno alla pratica di una vita tutta celeste » (Secr.) e « che grazie alla partecipazione al banchetto divino, i frutti di salute crescano continuamente in noi » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XVII: 19-20.

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.

[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene] Ps XVII: 2-3

Díligam te. Dómine, virtus mea: Dóminus firmaméntum meum et refúgium meum et liberátor meus.

[Amerò Te, o Signore, mia forza: o Signore, mio sostegno, mio rifugio e mio liberatore.]

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.

[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.]

Oratio

Orémus. Sancti nóminis tui, Dómine, timórem páriter et amórem fac nos habére perpétuum: quia numquam tua gubernatióne destítuis, quos in soliditáte tuæ dilectiónis instítuis.

[Del tuo santo Nome, o Signore, fa che nutriamo un perpetuo timore e un pari amore: poiché non privi giammai del tuo aiuto quelli che stabilisci nella saldezza della tua dilezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli 1 Giov. III: 13-18

“Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homícida est. Et scitis, quóniam omnis homícida non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debémus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte.”

[“Carissimi: Non vi meravigliate se il mondo vi odia. Noi sappiamo d’essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida; e sapete che nessun omicida ha la vita eterna abitante in sé. Abbiam conosciuto l’amor di Dio da questo: che egli ha dato la sua vita per noi; e anche noi dobbiam dare la vita per i fratelli. Se uno possiede dei beni di questo mondo e, vedendo il proprio fratello nel bisogno, gli chiude le sue viscere, come mai l’amor di Dio dimora in lui? Figliuoli miei, non amiamo a parole e con la lingua, ma con fatti e con sincerità”].

VERA E FALSA CARITÀ.

Noi andiamo o fratelli, coll’Apostolo della carità e con il suo veramente divino apostolato, di meraviglia in meraviglia. Domenica scorsa l’Apostolo San Giovanni ha messo la carità in cielo. Dio è Carità — ha pronunziato una parola di sublimità incomparabile. Questa domenica, dal cielo più alto discende sul terreno più umile; scrive parole di una incomparabile praticità: «Miei figliuoli, non amiamo a chiacchiere… o più letteralmente ancora, non amiamo colla bocca, colle parole, amiamo coll’opera, se vogliamo amare per davvero ». Dove è chiaro che si tratta di quell’amore che merita nome di carità e della carità che corre le vie della terra, tra uomo e uomo. L’Apostolo ha l’orrore della carità falsa, apparente — che sembra carità e non è carità, come un banchiere (i banchieri sono i devoti, gli apostoli, i mistici della moneta, della vera, s’intende) detesta, abborre, abbomina la moneta falsa — che pare e non è, che par oro ed è orpello. E qual è questa carità falsa? È proprio la carità che non fa e parla. Il non fare ne costituisce il non essere, e il parlare le dà l’apparenza. La parola buona, caritatevole, vuota di opere; non è più abito, è maschera, è commedia. Come frequente allora e adesso la commedia della carità! Come facile e frequente (appunto perché tanto facile) l’impietosirsi gemebondo sulla miseria del prossimo. Poverino qua! Poverino là! E come frequente la esaltazione verbale della carità: facile e frequente il panegirico della filantropia! E quanti, sfogato così il loro istinto retorico e sentimentale, si credono, si sentono in pace con la loro coscienza! Credono di aver fatto tutto, perché hanno parlato molto! L’Apostolo della carità è terribilmente e semplicemente realista. Che cosa serve tutta questa logorrea? A che cosa serve per chi soffre la fame, il freddo, lo sconforto della vita? Nulla. Le parole lasciano il tempo che trovano. E che sincerità in queste parole infeconde, sistematicamente, regolarmente infeconde di opere! Che razza di cuore, di carità ha colui che vede il suo prossimo in bisogno, e non fa nulla per sollevarlo? Vede aver fame e non gli dà da mangiare? aver sete e non gli amministra da bere? – Fare bisogna, se si vuole che la carità sfugga all’accusa, al sospetto di simulazione, di ipocrisia. L’opera è la figlia dell’amore, ne è la prova sicura e perentoria. Fare, notate, dice l’Apostolo, anziché semplicemente dare, perché il dare è una forma particolare del fare. Fare quello che si può con le persone che si amano fraternamente davvero. – Fare per gli altri quello che, a parità di condizione, faremmo e vorremmo che gli altri facessero per noi. Fare e molto, e bene, e sempre. Fare non per farsi vedere, ma per renderci benefici. Fare del bene, non fare del rumore. C’è più carità in una goccia di operosità, che in un mare di chiacchiere. E allora il grande quesito che noi dobbiamo proporci se vogliamo esaminarci bene sul capitolo della carità, la virtù che ci assomiglia a Dio, il grande quesito è questo: che cosa, che cosa abbiamo fatto, che cosa facciamo? cosa, cosa, non parole!

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch. : 1 -3-1938]

Graduale

Ps CXIX: 1-2 Ad Dóminum, cum tribulárer, clamávi, et exaudívit me.

[Al Signore mi rivolsi: poiché ero in tribolazione, ed Egli mi ha esaudito.]

Alleluja

Dómine, libera ánimam meam a lábiis iníquis, et a lingua dolósa. Allelúja, allelúja

[O Signore, libera l’ànima mia dalle labbra dell’iniquo, e dalla lingua menzognera. Allelúia, allelúia]

Ps VII:2 Dómine, Deus meus, in te sperávi: salvum me fac ex ómnibus persequéntibus me et líbera me. Allelúja.

[Signore, Dio mio, in Te ho sperato: salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc. XIV: 16-24

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis parábolam hanc: Homo quidam fecit coenam magnam, et vocávit multos. Et misit servum suum hora coenæ dícere invitátis, ut venírent, quia jam paráta sunt ómnia. Et coepérunt simul omnes excusáre. Primus dixit ei: Villam emi, et necésse hábeo exíre et vidére illam: rogo te, habe me excusátum. Et alter dixit: Juga boum emi quinque et eo probáre illa: rogo te, habe me excusátum. Et álius dixit: Uxórem duxi, et ídeo non possum veníre. Et revérsus servus nuntiávit hæc dómino suo. Tunc irátus paterfamílias, dixit servo suo: Exi cito in pláteas et vicos civitátis: et páuperes ac débiles et coecos et claudos íntroduc huc. Et ait servus: Dómine, factum est, ut imperásti, et adhuc locus est. Et ait dóminus servo: Exi in vias et sepes: et compélle intrare, ut impleátur domus mea. Dico autem vobis, quod nemo virórum illórum, qui vocáti sunt, gustábit cœnam meam”.

(“In quel tempo disse Gesù ad uno di quelli che sederono con lui a mensa in casa di uno dei principali Farisei: Un uomo fece una gran cena, e invitò molta gente. E all’ora della cena mandò un suo servo a dire ai convitati, che andassero, perché tutto era pronto. E principiarono tutti d’accordo a scusarsi. Il primo dissegli: Ho comprato un podere, e bisogna che vada a vederlo; di grazia compatiscimi. E un altro disse: Ho comprato cinque gioghi di buoi, o vo a provarli; di grazia compatiscimi. E l’altro disse: Ho preso moglie, e perciò non posso venire. E tornato il servo, riferì queste cose al suo padrone. Allora sdegnato il padre di famiglia, disse al servo: Va tosto per le piazze, e per le contrade della città, e mena qua dentro i mendici, gli stroppiati, i ciechi, e gli zoppi. E disse il servo: Signore, si è fatto come hai comandato, ed evvi ancora luogo. E disse il padrone al servo: Va per le strade e lungo le siepi, e sforzali a venire, affinché si riempia la mia casa. Imperocché vi dico, che nessuno di coloro che erano stati invitati assaggerà la mia cena”).

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Sulla santa Messa.

In omni loco sacrificatur et offertur nomini meo oblatio munda.

(MALACH. I, 11).

È certo, Fratelli miei, che l’uomo, come creatura, deve a Dio l’omaggio di tutto il suo essere, e come peccatore gli deve una vittima di espiazione: per ciò nella Legge antica si offriva a Dio nel tempio una moltitudine di vittime. Ma quelle vittime non potevano soddisfare a Dio interamente, pei nostri peccati: ne occorreva una più santa e più pura che dovesse durare sino alla fine del mondo e fosse capace di pagare quanto dobbiamo a Dio. Questa vittima santa è Gesù Cristo istesso, Dio come il Padre suo, e Uomo come noi. Egli si offre tutti i giorni sui nostri altari, come già sul Calvario, e con questa oblazione pura e senza macchia rende a Dio tutti gli onori che gli sono dovuti, e si sdebita a nome dell’uomo, di tutto ciò che questo deve al suo Creatore: si immola ogni giorno, per riconoscere il sovrano dominio che ha Dio sulle sue creature, e vien pienamente riparato l’oltraggio fatto a Dio dal peccato. Gesù Cristo, quale. mediatore tra Dio e gli uomini, ci ottiene col suo sacrificio tutte le grazie che ci sono necessarie: essendosi contemporaneamente reso vittima di ringraziamento, rende a Dio gli uomini tutta la riconoscenza che gli devono.Ma per aver la fortuna, F. M., di ricevere tutti questi beni, bisogna che facciamo anche noi qualche cosa da parte nostra. Per meglio farvelo sentire, vi farò comprendere, almeno quanto mi sarà possibile:

1° la grandezza della fortuna che abbiamo di assistere alla santa Messa;

2° le disposizioni con le quali dobbiamo assistervi;

3° come vi assiste la maggior parte dei Cristiani.

Non voglio, F., M., entrare nella spiegazione di quanto significano i paramenti indossati dal sacerdote: penso che lo sappiate, almeno molti. Quando il sacerdote va in sagrestia per pararsi, rappresenta Gesù Cristo che discende dal cielo per incarnarsi nel seno della Vergine santissima, prendendo un corpo come il nostro per sacrificarlo al Padre suo pei nostri peccati. Quando il sacerdote prende l’amitto, che è quel lino bianco che si mette sulle spalle, lo fa per rappresentarci il momento in cui i Giudei bendarono gli occhi a Gesù Cristo, percuotendolo e dicendogli: « Indovina chi è che ti ha percosso? » Il camice rappresenta la veste bianca della quale lo fece rivestire Erode per ischerno quando lo rimandò a Pilato. Il cingolo raffigura le corde con le quali fu legato, quando fu preso nel giardino degli Olivi, i flagelli coi quali fu tormentato. Il manipolo, che il sacerdote si mette al braccio sinistro, ci rappresenta le funi con cui Gesù Cristo fu attaccato alla colonna per essere flagellato: esso si mette al braccio sinistro perché più vicino al cuore, il che ci mostra che l’eccesso dell’amor suo gli fece soffrire questa crudele flagellazione pei nostri peccati. La stola ci raffigura la corda gettatagli al collo quando portava la croce. La pianeta ci ricorda lo straccio di porpora, ed il suo vestito senza cuciture giuocato a sorte. – L’Introito ci rammenta il desiderio ardente che avevano i Patriarchi della venuta del Messia: perciò lo si ripete due volte. Quando il sacerdote dice il Confiteor, ci rappresenta Gesù Cristo che si carica dei nostri peccati, per soddisfare alla giustizia di Dio suo Padre. Il Kyrie eleison, che vuol dire: « Signore, abbi pietà di noi, » rappresenta lo stato sventurato in cui eravamo prima della venuta di Gesù Cristo. Non voglio proseguir oltre. L‘Epistola significa la dottrina dell’Antico Testamento; il Graduale significa la penitenza che fecero i Giudei dopo la predicazione di san Giovanni Battista: l‘Alleluja, ci rappresenta la gioia d’un’anima che ha ottenuto la grazia: il Vangelo ci ricorda la dottrina di Gesù Cristo.I differenti segni di croce che si fanno sull’ostia e sul calice ci richiamano tutti i patimenti che Gesù Cristo ha sofferto nel corso di sua Passione. Ritornerò un’altra volta su questo argomento.

I. — Prima di esporvi il modo di udire la santa Messa, occorre vi dica qualche cosa sul significato della parola: santo Sacrificio della Messa. [Il Beato ha tolto queste spiegazioni dal Rodriguez Tratt. VI, cap. XV. — La maggior parte di questo discorso, come anche i tratti storici riportati più avanti, vengono dalla medesima fonte. Noi lo ricordiamo una volta per tutte.]. Sapete che il santo sacrificio della Messa è lo stesso che quello della croce, offerto una volta sul Calvario, il Venerdì Santo. Tutta la differenza è, che quando Gesù Cristo si offrì sul Calvario, il sacrificio suo era visibile, cioè lo si vedeva cogli occhi del corpo; Gesù Cristo fu offerto a Dio suo Padre per mano dei suoi carnefici, e sparse il suo sangue: per questo si chiama sacrificio cruento; cioè il sangue usciva dalle vene, e lo si vide scorrere sino a terra. Ma nella santa Messa Gesù Cristo si offre al Padre suo in modo invisibile: cioè lo vediamo solo cogli occhi dell’anima, non con quelli del corpo. Ecco, M. F., in breve, che cos’è il santo sacrificio della Messa. Ma per darvi un’idea della grandezza del valore della santa Messa, mi basta dirvi con S. Giovanni Crisostomo, che la S. Messa rallegra tutta la corte celeste, solleva tutte le povere anime del purgatorio, attira sulla terra ogni sorta di benedizioni, e rende più gloria a Dio che non tutti i tormenti dei martiri, le penitenze dei solitari, tutte le lagrime che i santi sparsero fin dal principio del mondo; e tutto ciò che faranno sino alla fine dei secoli. Se me ne domandate la ragione, è chiarissima: tutte queste azioni sono fatte da peccatori più o meno colpevoli: mentre nel santo sacrificio della Messa è un Uomo-Dio eguale al Padre suo che gli offre i meriti della sua Passione e Morte. Vedete quindi, F. M., che la santa Messa è d’un valore infinito. Perciò, vediamo nel Vangelo, che alla morte di Gesù Cristo si operarono molte conversioni: il buon ladrone vi ricevé la promessa del paradiso, molti Giudei si convertirono, ed i Gentili si percuotevano il petto, dicendo che Egli era veramente Figlio di Dio. I morti risuscitarono, le rupi si spezzarono, e la terra tremò. F. M.. se avessimo la fortuna di assistervi con buone disposizioni, quand’anche disgraziatamente fossimo ostinati come i Giudei, più ciechi dei Gentili, più duri delle rocce che si spezzarono, otterremmo certissimamente la conversione. Infatti, S. Giovanni Crisostomo, ci dice che non v’è tempo più prezioso per trattare con Dio della nostra salvezza di quello della santa Messa, in cui Gesù Cristo si offre Egli stesso in sacrificio a Dio suo Padre, per ottenerci ogni sorta di benedizioni e di grazie. « Siamo afflitti? ci dice questo gran santo; vi troviamo ogni sorta di consolazioni. Siamo tentati? andiamo ad ascoltare la S. Messa, e vi troveremo il modo di vincere il demonio. » E, a questo proposito, voglio citarvi un bell’esempio. Si racconta da Papa Pio II che un gentiluomo della provincia d’Ostia, era continuamente combattuto da una tentazione di disperazione, che lo trascinava ad appiccarsi, e già parecchie volte si era ridotto al procinto. Andato a trovare un santo religioso per scoprirgli lo stato dell’anima sua e domandargli consiglio, il servo di Dio, dopo averlo consolato e fortificato il meglio che poté, lo consigliò di tenere in casa un sacerdote che gli dicesse ogni giorno la santa Messa. Il gentiluomo diss’egli che lo farebbe volentieri. Si ritirò in un suo castello: ed ogni giorno un pio sacerdote gli celebrava la santa Messa, alla quale assisteva il più devotamente che poteva. Mentre quel gentiluomo godeva, così regolandosi, grande tranquillità di spirito, avvenne che il sacerdote lo pregò di permettergli d’andare a celebrare la santa Messa in un paese vicino, in occasione d’una particolare festività: cosa che gli accordò facilmente, intendendo di andarvi egli pure ad ascoltarla. Ma un affare sopravvenuto lo trattenne in casa fin presso mezzogiorno. Allora, tutto sbigottito per aver perduto la santa Messa, e sentendosi assalito dall’antica tentazione, esce di casa. Incontra un contadino, che gli domanda dove andasse. « Vado, risponde il gentiluomo, ad ascoltare la santa Messa. » — « Ma, è troppo tardi, gli dice il contadino, son già tutte celebrate. » Fu una notizia sì dolorosa per lui, che si mise a gridare: « Ahimè! Non ho sentito Messa, e sono perduto! » Il contadino, che amava il denaro, vedendolo in tale stato, diss’egli: « Se volete, vi cedo la Messa che ho ascoltato, e tutto il frutto ricavatone. » L’altro, senza riflettere a nulla, ed addolorato d’aver perduto la Messa: « Grazie, caro; eccovi il mio mantello. „ Quell’uomo non poteva certamente cedere il frutto della Messa a cui aveva assistito senza farsi reo di grave peccato. Separatisi, il gentiluomo non tralasciò di continuare la sua strada per fare in chiesa le sue preghiere: e, tornando dopo averle recitate, trovò quel povero contadino avaro, appeso ad un albero nel medesimo luogo dove aveva ricevuto il mantello. Il buon Dio, in punizione della sua avarizia, aveva permesso che la tentazione del gentiluomo passasse in quell’avaro. Colpito da tale spettacolo, il gentiluomo ringraziò Dio d’averlo liberato da sì grande castigo, e non tralasciò mai d’assistere alla santa Messa per renderne grazie al Signore. E all’ora di morte, confessò che dacché aveva avuto la fortuna d’assistere tutti i giorni alla santa Messa, il demonio non l’aveva più tentato di disperazione. [Questo fatto storico è anche riportato dal P. Rossignoli, Le meraviglie divine nella Ss. Eucaristia, LXIII meraviglia]. Ebbene! F. M., non aveva ragione S. Giovanni Crisostomo, di dirci che se siamo tentati dobbiamo ascoltare devotamente la santa Messa, e possiamo stare sicuri che il buon Dio ci libererà? Sì, F. M., se avessimo abbastanza fede, la santa Messa sarebbe un rimedio per tutti i mali che potremmo subire nel corso della vita: infatti, Gesù Cristo non è nostro medico e dell’anima e del corpo?…

II. Ho detto che la santa Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, sacrificio che è offerto a Dio solo, non agli angeli ed ai santi. Sapete che il sacrificio della santa Messa fu istituito il Giovedì Santo, quando Gesù Cristo prese il pane, lo mutò nel suo Corpo, prese il vino e lo cangiò nel suo Sangue. Nello stesso momento, diede ai suoi Apostoli ed a tutti i loro successori quel potere che noi chiamiamo Sacramento dell’Ordine. La santa Messa consiste nelle parole della consacrazione: e voi sapete che i ministri della santa Messa sono i sacerdoti ed il popolo che ha la fortuna di assistervi, se si unisce ad essi: d’onde concludo, che il modo migliore di ascoltare la santa Messa è d’unirsi al sacerdote in tutto quanto egli dice; seguirlo in tutte le sue azioni, quanto è possibile. [1° Nel santo Sacrificio della Messa, Gesù Cristo è il sommo Sacerdote ed il ministro principale. Egli offre il sacrificio in suo nome e per propria potestà: senza dubbio, si serve di mani estranee per offrirlo, ma Egli solo comunica tutta l’efficacia al sacrificio).

2° Il Sacerdote che celebra è veramente sacerdote e ministro del sacrificio. E stato chiamato ed ordinato per questo fine; ha ricevuto questo potere da Gesù Cristo. È ministro di Gesù Cristo, e tiene il posto del Salvatore. Egli offre adunque, immediatamente il sacrificio per l’azione ed il ministero che gli sono personali. L’offre da solo, senza bisogno di concorso degli assistenti.

3° I fedeli, in fatto, non sono veramente, strettamente i ministri del sacrificio. Se alcune volte sono detti ministri coerenti il santo sacrificio, è in senso largo; non l’offrono da se stessi, ma pel ministero del sacerdote. Ed ecco come vi concorrono: 1° In modo generale, come membri della Chiesa che deputa il sacerdote ad offrire il sacrificio in suo nome; 2° in modo speciale, quando i fedeli assistendo alla Messa, si uniscono coll’intenzione, al sacerdote, per offrire a Dio questo sacrificio; 3° in modo specialissimo, quando concorrono in modo più prossimo al sacrificio, sia servendo il sacerdote all’altare, sia dando elemosine per la celebrazione delle Messe.]; e procurar di penetrarsi dei più vivi sentimenti d’amore e di riconoscenza: bisogna tenere questo metodo.Possiamo distinguere tre parti nel santo sacrificio della santa Messa: la prima parte, dal principio sino all’Offertorio; la seconda dall’Offertorio alla Consacrazione; la terza dalla Consacrazione alla fine. È necessario farvi notare che se noi fossimo volontariamente distratti durante una di queste parti commetteremmo un peccato mortale il che ci deve indurre a guardar bene di non lasciar divagare il nostro spirito a cose estranee, cioè che non hanno rapporto al santo sacrificio della Messa.

[“Se fossimo distratti volontariamente durante una di queste parti, commetteremmo peccato mortale. „ Questa asserzione del B. Curato d’Ars è severa. I fedeli non debbono esser trattati più rigorosamente dei sacerdoti. Ora, i sacerdoti sono aggravati di peccato mortale soltanto se si rendono colpevoli d’una distrazione volontaria durante la consacrazione]. Dal principio all’Offertorio, dobbiamo comportarci come penitenti che sono penetrati del più vivo dolore dei loro peccati. Dall’Offertorio alla Consacrazione dobbiam condurci come ministri che debbono offrire Gesù Cristo a Dio suo Padre, e fargli il sacrificio di quanto siamo: cioè offrirgli i nostri corpi, le anime, i beni, la vita, ed anche la nostra eternità.Dopo la consacrazione, dobbiam considerarci come persone che debbono partecipare al Corpo adorabile ed al Sangue prezioso di Gesù Cristo: ed occorre per conseguenza fare ogni nostro sforzo per renderci degni di tal felicità. A meglio farvelo comprendere, F. M., vi proporrò tre esempi tolti dalla S. Scrittura, che vi mostreranno il modo con cui dovete ascoltare la santa Messa: cioè, di che cosa dovete occuparvi durante questo momento, fortunato per chi ha la ventura di ben comprenderlo. Il primo, è quello del pubblicano, che vi insegnerà che cosa dovete fare al principio della Messa. Il secondo è quello dei buon ladrone, che vi apprenderà come dovete diportarvi durante la Consacrazione. Il terzo, è il centurione che vi guiderà durante la santa comunione. – Anzitutto il pubblicano ci insegnerà come dobbiamo comportarci al principio della santa Messa, che è un’azione così gradita a Dio e così efficace per ottenerci ogni sorta di grazie. Non dobbiam quindi aspettare d’essere in chiesa per prepararvici. No, F. M., no; un buon Cristiano comincia a prepararsi quando si sveglia, non lasciandosi occupare lo spirito da niente che non abbia relazione col santo Sacrificio. Dobbiamo rappresentarci Gesù Cristo nel giardino degli Ulivi, che prostrato la faccia a terra si prepara al sacrificio sanguinoso che offrirà sul Calvario; a considerare la grandezza della carità che gli fa subire il castigo che dovremmo subir noi per tutta l’eternità. Bisogna venirvi digiuni, per quanto è possibile: ciò è molto gradito al buon Dio. Nei primi tempi della Chiesa, tutti intervenivano digiuni [Perché essi si comunicavano nella Messa]. Occorre, al mattino, non lasciarsi mai occupare lo spirito da affari materiali, ricordando che dopo aver lavorato tutta la settimana pel vostro corpo, è ben giusto che occupiate questo giorno nei bisogni dell’anima vostra e nel domandare al buon Dio perdono dei vostri peccati. Quando venite in chiesa, non fate conversazione: pensate che seguite Gesù Cristo il quale porta la croce al Calvario e va a morire per salvarvi. Bisogna trovar sempre un momento, prima della santa Messa, per raccogliersi alquanto, gemere sui propri peccati e domandarne perdono al buon Dio, esaminare le grazie più necessarie da domandargli durante la Messa, e guardarsi dal non mancar mai né all’Aspersione dell’acqua benedetta, né alla lettura della Passione, né alla Processione. [In gran numero di parrocchie, dall’Invenzione della S. Croce (3 Maggio) sino all’Esaltazione (14 Settembre) il parroco legge ogni giorno ai piedi dell’altare, prima di celebrare la santa Messa, la Passione per i prodotti della terra – Il Beato parlò di già nel discorso sulle Rogazioni, delle processioni domenicali che si fanno in molte parrocchie, secondo un’antica consuetudine, ogni domenica, prima della Messa solenne, dall’Invenzione sino all’Esaltazione della S. Croce, o come si dice a Cruce ad Crucem], perché sono azioni sante che vi preparano a fare ascoltare la Messa. Quando entrate in chiesa compenetratevi della grandezza della vostra felicità, con un atto di fede vivissima ed un atto di contrizione dei vostri peccati, che vi rendono indegni d’avvicinarvi ad un Dio così santo e così grande. Pensate, in questo momento, alle disposizioni del pubblicano quando entrò nel tempio ad offrire a Dio il sacrificio della sua preghiera. Ascoltate S. Luca: « Il pubblicano, egli dice, stavasi in fondo al tempio, gli occhi inclinati a terra, non osando guardar l’altare, e battevasi il petto dicendo a Dio: Abbiate pietà di me, o Signore, perché sono un peccatore » (Luc. XVIII). Vedete quindi, F. M, che egli non faceva come quei Cristiani che entrano in chiesa con aria altera ed arrogante, « che sembrano volersi accostare a Dio – ci dice il profeta Isaia – come persone che nulla hanno sulla coscienza che possa umiliarli davanti al loro Creatore. » (Is. LXVIII). Infatti, se volete ben osservare, quando entrano in chiesa questi Cristiani che hanno forse sulla coscienza più peccati che non capelli in testa, voi li vedete, dico, entrare con aria di noncuranza, o meglio con una specie di sprezzo per la presenza di Dio. Toccano l’acqua santa press’a poco come se immergessero le mani in un catino d’acqua per lavarsi dopo il lavoro; la maggior parte fanno questo senza divozione e senza pensare che l’acqua benedetta presa con grande rispetto cancella i peccati veniali e ci dispone a ben ascoltare la santa Messa. Vedete il nostro pubblicano, che credendosi indegno d’entrare nel tempio va a mettersi nel posto meno apparente che può trovare: è talmente confuso alla vista dei propri peccati, che nemmeno osa alzar gli occhi al cielo. E dunque ben lontano da quei Cristiani di nome che non sono mai abbastanza comodi, che si inginocchiano soltanto sulla sedia, che abbassano appena la testa durante l’Elevazione, che si sdraiano sulla sedia, od incrociano le gambe. Non diciamo nulla di coloro che non dovrebbero venire in chiesa se non per piangervi i loro peccati, ed invece lo fanno solo, per insultare un Dio umiliato e disprezzato, col loro sfoggio di vanità, nell’intenzione d’attirarsi gli sguardi altrui: ed altri solo per alimentare il fuoco delle loro passioni colpevoli. O mio Dio! con tali disposizioni si può aver l’ardire di venire ad assistere alla santa Messa? « Ma il nostro pubblicano – ci dice S. Agostino – , si batte il petto per mostrare a Dio il rimorso d’averlo offeso. » Ahimè! F. M., se noi Cristiani avessimo la sorte felice d’assistere alla santa Messa con le medesime disposizioni del pubblicano, quante grazie, quanti benefizi otterremo! Usciremmo ricolmi di beni celesti come le api dopo aver trovato più fiori che non volevano! Oh! se il buon Dio ci facesse la grazia di essere in principio della santa Messa ben penetrati della grandezza di Gesù Cristo, davanti al quale ci presentiamo, e della gravità dei nostri peccati, ben presto avremmo ottenuto il perdono delle nostre colpe e la grazia della perseveranza! Dobbiamo soprattutto tenerci in grandi sentimenti di umiltà durante la santa Messa: questo deve ispirarci il sacerdote quando discende dall’altare per dire il Confiteor inchinandosi profondamente, egli, che, tenendo il posto di Gesù Cristo stesso, sembra caricarsi di tutti i peccati dei suoi parrocchiani. Davvero! se il buon Dio ci facesse una volta comprendere che cos’è la santa Messa, quante grazie, quanti beni avremmo, che or non abbiamo! Da quanti pericoli saremmo preservati se avessimo una gran divozione alla santa Messa! Per provarvelo, F. M., vi citerò un bell’esempio che vi mostrerà che il buon Dio protegge in modo visibile quelli che hanno la fortuna di assistervi con divozione. Leggiamo nella storia, che S. Elisabetta, regina di Portogallo e nipote di S. Elisabetta regina d’Ungheria, era tanto caritatevole verso i poveri che, sebbene avesse ordinato al suo elemosiniere di non rifiutar loro nulla, faceva altresì continue elemosine di sua propria mano o per mezzo dei domestici. Ordinariamente si serviva di un paggio, del quale aveva riconosciuta la grande pietà: il che vedendo un altro paggio, ne fu geloso. Andò costui un giorno dal re, e dissegli che quel paggio aveva relazione peccaminosa con la regina. Il re, senza nulla esaminare, stabilì subito di disfarsi del paggio il più segretamente possibile; e passando il dì stesso in un luogo dove si faceva cuocere la calce, chiamò quelli che avevano cura di mantenere acceso il fuoco, e disse loro che il domani mattina manderebbe un paggio, del quale era malcontento, che loro domanderebbe se avessero eseguito gli ordini del re: dovevano prenderlo e gettarlo subito nel fuoco. Tornato a casa, comandò al paggio della regina d’andare il mattino seguente di buon’ora a fare questa commissione. Ma vedrete che il buon Dio non abbandona mai chi l’ama. Il buon Dio permise che, per fare la propria commissione, dovesse passare vicino ad una chiesa; ed in quel momento appunto udisse suonare l’Elevazione. Entra per adorare Gesù Cristo ed ascolta il resto della Messa. Ne incomincia un’altra; l’ascolta; una terza dopo finita la seconda; l’ascolta ancora. Frattanto il re, impaziente di sapere se erano stati eseguiti i suoi ordini, manda il paggio suo a domandare se avessero fatto quanto aveva lor comandato. Credendo fosse questi il primo, lo prendono e lo gettano nel fuoco. L’altro, che intanto aveva terminato le sue divozioni, va a far la commissione, domandando se avessero eseguito il comando del re. Gli risposero che sì. Ritornò costui a portar la risposta al re, che fu assai sorpreso di vederlo ritornare. Furibondo che fosse avvenuto il contrario di quanto sperava, gli domandò dove fosse stato per sì lungo tempo… Il paggio dissegli che, passando vicino ad una chiesa per andare dove avevagli ordinato, aveva udito il campanello dell’Elevazione, che ciò lo aveva stimolato ad entrare e restarvi sino alla fine della Messa: e che un’altra Messa avendo subito incominciato, prima che fosse finita quella, e poi una terza, le aveva ascoltate tutte: perché il padre suo prima di morire, dopo avergli dato la sua benedizione, gli aveva assai raccomandato di non lasciare una Messa cominciata senza aspettare che fosse finita, perché questo atto di pietà attirava molte grazie, e preservava da molte sventure. Allora il re, rientrato in sé, comprese che questo era avvenuto per giusto indizio di Dio: che la regina era innocente, ed il paggio un santo: che l’altro aveva operato solo per invidia. – Vedete, F. M., che senza la sua divozione, quel povero giovane sarebbe stato arso, e che Dio gli ispirò di entrare in chiesa per salvarlo da morte: mentre l’altro, che non aveva divozione per Gesù Cristo nel sacramento adorabile dell’Eucaristia, fu gettato nel fuoco. S. Tommaso ci dice che un giorno durante la santa Messa vide Gesù Cristo colle mani piene di tesori, che cercava di distribuire; e aggiunge che se avessimo la ventura di assistere devotamente e spesso alla santa Messa, avremmo ben più grazie di quelle che abbiamo per salvar le anime nostre, ed anche per i bisogni temporali.

2° In secondo luogo ho detto che il buon ladrone ci istruirà sul modo di diportarci nel tempo della Consacrazione e dell’Elevazione della santa Messa, quando dobbiamo offrirci a Dio con Gesù Cristo, siccome chiamati a partecipare a questo augusto mistero. Vedete, F. M., come questo penitente fortunato si diporta nel momento medesimo del suo supplizio? vedete come apre gli occhi dell’anima per riconoscere il suo liberatore? Ed insieme, qual progresso fa mai nelle tre ore che si trova in compagnia del suo Salvatore morente? E attaccato alla croce, non ha più liberi che il suo cuore e la lingua; vedete con qual premura offre a Gesù Cristo l’uno e l’altra: gli dà tutto quanto può donargli, gli consacra il cuore con la fede e la speranza, e gli domanda umilmente un posto in paradiso, cioè nel suo regno eterno. Gli consacra la lingua pubblicando la sua innocenza e santità. Dice al suo compagno di supplizio: « È giusto che noi soffriamo: ma Egli è innocente . „ Mentre gli altri sono intenti solo ad oltraggiare Gesù Cristo colle bestemmie più orribili, egli ne diventa il panegirista: mentre i suoi discepoli stessi l’abbandonano, prende le sue difese: e la sua carità è sì grande che fa ogni sforzo per indurre l’altro a convertirsi. No, F. M., non meravigliamoci per nulla se scopriamo tante virtù in questo Buon Ladrone, perché niente è tanto capace di commuovere quanto la vista di Gesù Cristo morente: non v’è altro momento in cui la grazia venga data con tanta abbondanza. Ahimè! F. M., se nel fortunato momento della Consacrazione avessimo la ventura d’essere animati da una viva fede, una Messa basterebbe per strapparci da qualsiasi vizio in cui fossimo, e per farci divenire veri penitenti, cioè perfetti Cristiani. Perché dunque, mi direte voi, assistiamo a tante. Messe e siamo sempre gli stessi? F. M., perché vi siamo presenti col corpo, ma lo spirito non vi è punto; e vi veniamo piuttosto a ricevere la nostra riprovazione colle cattive disposizioni con cui vi assistiamo. Ahimè! quante Messe ascoltate male, che invece d’assicurare la nostra salvezza ci peggiorano vieppiù! Apparso Gesù Cristo a S. Metilde, le disse: « Sappi, figlia mia, che i Santi assisteranno alla morte di tutti coloro che avranno ascoltato devotamente la santa Messa, per aiutarli a ben morire, per difenderli dalle tentazioni del demonio e presentare le loro anime al Padre mio. » Qual fortuna per noi, F. M., esser assistiti in questo momento terribile da tanti Santi quante Messe avremo ascoltate!… No, F. M., non temiamo mai che la santa Messa ci causi ritardo negli affari temporali: anzi al contrario: stiamo sicuri che tutto andrà bene, e che anche i nostri affari ci riusciranno assai meglio che se avessimo la mala sorte di non assistervi. Eccone un esempio mirabile. Raccontasi di due artigiani, del medesimo mestiere e dimoranti nello stesso borgo, che uno di essi, carico di numerosa prole, non tralasciava mai ogni giorno di ascoltare la santa Messa, e viveva comodamente del suo mestiere: l’altro, invece, che non aveva figli…, lavorava parte della notte e tutto il giorno, e spesso il giorno dì domenica, eppure stentava assai per vivere. Questi che vedeva prosperare tanto gli affari dell’altro, incontratolo un giorno gli domandò donde poteva ricavar tanto da mantenere sì bene una famiglia numerosa come la sua: mentre egli, solo con la moglie, lavorando senza tregua, era spesso sprovvisto di tutto. Risposegli l’altro che, se volesse, gli mostrerebbe il dì appresso donde veniva tutto il suo guadagno. Contentissimo di sì buona notizia, aspettò con impazienza il domani, che gli avrebbe insegnato a far anch’egli fortuna. Infatti l’altro non mancò d’andare a prenderlo. Eccolo che parte di buona voglia e lo segue con fedeltà. L’altro lo condusse alla chiesa, dove ascoltarono la santa Messa. Dopo che furono ritornati: “Amico mio, disse quegli che si trovava in prospere condizioni, ritornate al vostro lavoro. „ Altrettanto fece il giorno appresso: ma andato a prenderlo una terza volta pel medesimo scopo: “Come? dissegli l’altro: se voglio andare a Messa, ne so la strada, senza che vi disturbiate a venirmi a prendere: non voleva sapere questo, io; ma dove trovate tutto quel benessere che vi fa vivere comodamente; volevo vedere se facendo come voi, vi avrei trovato il mio interesse. „ — “Amico mio, rispose quegli, non conosco altro luogo che quello della chiesa, ed altro mezzo che l’ascoltare ogni giorno la santa Messa: e da parte mia vi assicuro di non aver mai usato altri mezzi per aver tutto il bene che vi stupisce. Ma, noi! avete visto che Gesù Cristo nel Vangelo ci dice “di cercare anzitutto il regno dei cieli, e tutto il resto ci verrà dato? „ A queste parole l’altro intese a che mirasse il primo conducendolo alla santa Messa: e gli soggiunse: “Avete ragione; chi non calcola che sul proprio lavoro è un cieco, ed io vedo che la santa Messa giammai impoverirà alcuno. Voi ne siete una prova ben grande. Voglio far come voi, e spero che il buon Dio mi benedirà. „ Infatti cominciò il giorno dopo e continuò per tutta la sua vita: ed in poco tempo divenne agiato. Quando gli si domandava donde proveniva che ora non lavorava più in domenica né di notte come prima, e diveniva più ricco, egli rispondeva: “Ho seguito il consiglio del mio vicino: andate a trovarlo, e vi insegnerà a star bene senza lavorar troppo; ascoltando cioè la Messa ogni giorno. „ Ciò forse vi fa meraviglia, F. M.? A me no. È quanto vediamo ogni giorno nelle case dove si coltiva la pietà: coloro che vengono spesso alla santa Messa, fanno assai meglio i loro affari di coloro ai quali la loro poca fede fa credere di non avere mai tempo per questo. Ahimè! se avessimo posto ogni nostra confidenza in Dio, e non contassimo sul nostro lavoro, quanto saremmo più felici! — Ma, mi direte, se non abbiamo nulla, nessuno ci dà niente. — Che cosa volete che il buon Dio vi aiuti quando non contate che sul vostro lavoro, e niente su di Lui? Voi non trovate neppure il tempo di recitare le vostre orazioni mattina e sera, e vi accontentate di venire alla Messa una volta alla settimana. Ahimè! non conoscete le risorse della Provvidenza di Dio per chi si confida in Lui. Ne volete una prova evidente? essa è davanti ai vostri occhi: Osservate il vostro pastore, ed esaminate la cosa davanti a Dio. — Oh! mi direte, c’è chi ve ne dà. — Ma chi me ne dà, se non la Provvidenza di Dio? ecco dove sono i miei tesori, e non altrove. Davvero! che l’uomo è cieco di tormentarsi tanto per andar dannato, ed essere anche infelice in questo mondo! Se aveste la fortuna di pensare bene alla vostra salvezza e d’assistere alla santa Messa, più spesso che potete, vedreste bentosto la prova di quanto vi dico. No, F. M., nessun momento è più prezioso, per domandar a Dio la nostra conversione, di quello della santa Messa: vedetelo. Un santo eremita, chiamato Paolo, vide un giovine assai ben vestito, che entrava in una chiesa accompagnato da gran quantità di demoni: ma dopo la santa Messa, vide uscire il giovine accompagnato d’una schiera di angeli che camminavano ai suoi fianchi. “O mio Dio, esclamò il santo, bisogna che la santa Messa Vi sia ben gradita!„ Il santo Concilio di Trento ci dice che la santa Messa placa la collera di Dio, converte il peccatore, rallegra il cielo, solleva le anime del purgatorio, rende gloria a Dio, ed attira ogni sorta di benedizioni sulla terra!. « Sess. XIII e XXII. Oh! F. M., se potessimo ben comprendere che cosa è il Sacrifizio della santa Messa, con qual rispetto vi assisteremmo?… Il santo abate Nilo ci racconta che il suo maestro S. Giovanni Crisostomo gli aveva detto un giorno, in confidenza, che durante la santa Messa vedeva una schiera d’Angeli che discendevano dal cielo per adorare Gesù Cristo sull’altare, e che molti s’aggiravano in chiesa per ispirare ai fedeli il rispetto e l’amore che debbono avere per Gesù Cristo presente sull’altare. Momento prezioso, momento felice per noi, F. M., questo nel quale Gesù Cristo è presente sui nostri altari! Davvero! se i padri e le madri lo comprendessero e sapessero approfittarne, i loro figli non sarebbero così sventurati, così lontani dalla via del cielo. Mio Dio, quanti poveri vicino a sì grande tesoro!

3° Ho detto che il Centurione ci serve d’esempio quando abbiam la bella sorte di comunicarci, o spiritualmente o corporalmente. L’esempio di questo Centurione è così ammirabile, che la Chiesa sembra compiacersi di rimettercelo davanti agli occhi ogni giorno nella S. Messa. ” Signore, dissegli quest’umile servo, non son degno che veniate nella casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà guarito„ Ah! se il buon Dio vedesse in noi la medesima umiltà, la medesima cognizione del nostro nulla, con qual piacere ed abbondanza di grazie non verrebbe nel nostro cuore? Quanta forza e coraggio avremmo per vincere il nemico della nostra salvezza! Vogliamo, F . M., ottenere di mutar vita, cioè abbandonare il peccato e tornare a Dio? Ascoltiamo alcune Messe con questa intenzione, e stiamo sicuri, se le ascoltiamo devotamente, che Dio ci aiuterà ad uscire dal peccato: eccone un esempio. – Narrasi nella storia che una giovanetta per più anni aveva condotto una vita miserabile con un giovane. Un giorno si sentì presa da paura, e riflettendo allo stato cui poteva ridursi la povera anima sua, se continuava quella vita. Subito, dopo la santa Messa, andò da un sacerdote a pregarlo d’aiutarla a uscire dal peccato. Il sacerdote, che ne conosceva la condotta, le domandò che cosa l’avesse decisa a questo cambiamento. “Padre mio, gli disse, durante la santa Messa, che la madre mia prima di morire mi fece promettere d’ascoltare ogni sabato, ho concepito un sì grande orrore del mio stato, che non posso più reggervi. „ — “O mio Dio! esclamò il santo sacerdote, ecco un’anima salvata dal valore della santa Messa!„ Ah! F. M., quante anime uscirebbero dal peccato, se avessero la fortuna di ascoltare la santa Messa con buone disposizioni! Non meravigliamoci dunque se il demonio ci mette tanti pensieri estranei. Ah! egli prevede, assai meglio di voi, la perdita che fate assistendovi con sì poco rispetto e divozione. F. M., da quanti pericoli e morti improvvise ci preserva la santa Messa! Quante persone, per una santa Messa ascoltata, salverà Iddio dalla sventura! S. Antonino ce ne racconta un bell’esempio. Ci dice che un giorno di festa due giovani andarono per una partita di caccia: l’uno aveva ascoltato la santa Messa, l’altro no. Mentre erano per via, il cielo si rannuvolò: udivansi tuoni spaventosi, e vedevansi lampi sì frequenti che il cielo sembrava in fiamme. Ma ciò che li atterriva ancor di più, era l’udire tra le folgori, di tratto in tratto, una voce che gridava: “Colpite quei disgraziati, colpiteli!„ Quietatasi un po’ la burrasca, incominciarono a rassicurarsi. Proseguendo il loro cammino, ad un tratto scoppiò un fulmine che incenerì quegli che non aveva ascoltato la. santa Messa. L’altro fu preso da sì gran spavento che non sapeva se dovesse proseguir oltre. In questa paura, udì ancora la voce gridare: “Colpite, colpite l’infelice!„ il che raddoppiava il suo spavento, avendo visto ai suoi piedi il compagno fulminato. Mentre credevasi perduto, udì un’altra voce che disse: ” No, non colpitelo; egli ha ascoltato stamattina la Messa.„ La santa Messa ascoltata la mattina prima di partire lo preservò da una morte sì spaventosa. Vedete, F. M., come Dio ci concede grazie e ci preserva dalle sventure, quando abbiam la fortuna d’ascoltare la Messa come si deve? Ahimè! quali castighi debbono aspettarsi coloro che non hanno difficoltà di perderla in domenica. Anzitutto, il castigo visibile, è che essi periscono quasi tutti malamente: i loro beni vanno in deperimento, la fede abbandona i loro cuori, e sono doppiamente disgraziati. Mio Dio! quanto l’uomo è cieco sotto tutti i rapporti, per l’anima e pel corpo!

III. — La maggior parte delle persone del mondo ascoltano la santa Messa alla maniera dei farisei, del cattivo ladrone e di Giuda. Ho detto che la santa Messa è il ricordo della morte di Gesù Cristo sul Calvario: perciò Gesù Cristo vuole che, ogni volta che celebriamo il santo sacrificio della Messa, lo facciamo in sua memoria. Tuttavia dobbiamo dire gemendo che, mentre rinnoviamo il ricordo dei patimenti di Gesù Cristo, molti che v’assistono rinnovano il delitto dei Giudei e dei carnefici che l’attaccarono alla croce. Ma per meglio farvi conoscere se avete la sventura d’esser nel numero di coloro che così insultano i nostri santi misteri, vi farò notare, F. M., che fra coloro che furon testimoni della morte di Gesù Cristo sulla croce, ve ne erano di tre sorta: gli uni non facevano che passare davanti alla croce, senza fermarsi e senza sentire un vero dolore, più insensibili delle creature inanimate. Gli altri si avvicinavano al luogo del supplizio, consideravano tutte le circostanze della morte di Gesù Cristo; ma non era che per beffarsene, farne oggetto di risa ed oltraggiarlo con le bestemmie più orribili. Infine, un piccolo numero versava lagrime amare vedendo spiegare tante crudeltà sul corpo del loro Dio e loro Salvatore. Vedete ora a qual numero appartenete. Non parlerò di coloro che corrono ad udire una Messa in furia in una parrocchia dove hanno qualche affare, né di coloro che vi vengono a metà; che, in tal tempo, vanno a trovare un amico per bere un bicchierino in compagnia: lasciamoli da parte, perché costoro vivono come se fossero sicuri di non avere un’anima da salvare: essi hanno perduto la fede, e con ciò tutto è perduto. Ma parliamo solo di quelli che vi vengono ordinariamente. Ebbene, molti non vi vengono che per vedere ed essere veduti, con un contegno dissipato, come andrebbero ad un mercato, o in piazza, e, permettete la frase, ad un ballo. Vi stanno senza modestia: a mala pena mettono le ginocchia a terra durante l’Elevazione o la Comunione. Pregate voi, F. M., in tempo di Messa?…. No?! Ma, allora vi manca la fede! Ditemi, quando vi recate dai vostri superiori per domandare una grazia, non è vero che ne siete preoccupati durante tutta la strada; entrate con modestia, fate ad essi un profondo saluto, state scoperti davanti a loro, non pensate neppure a sedervi; tenete gli occhi bassi, e riflettete soltanto al modo di esprimervi bene e colle parole più adatte? Se sbagliate in qualche cosa, vi scusate subito della vostra poca educazione. Se essi vi ricevono con bontà, sentite la gioia nascere nel vostro cuore. Ebbene! ditemi, F. M., non deve ciò confondervi, vedendo che usate tante precauzioni per un bene temporale? mentre venite alla chiesa con noncuranza, quasi con disprezzo, davanti ad un Dio morto per salvarci, e che ogni giorno versa il suo sangue per ottenervi grazia presso il Padre suo. Quale affronto, F. M., non è per Gesù Cristo vedersi insultato da vili creature? Ahimè! quanti durante la santa Messa commettono più peccati che non in tutta la settimana. Alcuni non pensano neppure al buon Dio, altri parlano, mentre il loro cuore ed il loro spirito si perdono, o nell’orgoglio, o nel desiderio di piacere, o nell’impurità. Quanti altri lasciano entrare ed uscire tutti i pensieri e desideri che il demonio loro manda. Quanti non hanno difficoltà di guardare, di volger la testa, di ridere e chiacchierare, di dormire come se fossero in letto, e forse ancor meglio. Ahimè! quanti Cristiani escono di chiesa forse con trenta o cinquanta peccati mortali di più che quando vi entrarono! Ma, mi direte, è meglio allora non assistervi. — Sapete che dovete fare ?… Assistervi, ed assistervi come si conviene, facendo tre sacrifici a Dio, cioè: quello del vostro corpo, del vostro spirito e del vostro cuore. Dico : del vostro corpo; che deve onorare Gesù Cristo con religiosa modestia; quello del vostro spirito,che ascoltando la santa Messa, deve penetrarsi del vostro nulla e della vostra indegnità, evitando ogni sorta di dissipazioni, allontanando da sé le distrazioni; quello del vostro cuore, che è l’offerta a Lui più accetta, poiché è il vostro cuore che vi domanda con tanta insistenza: “Figlio mio, vi dice, dammi il tuo cuore. Concludo, F. M., dicendo quanto siamo sfortunati quando ascoltiamo male la santa Messa, poiché troviamo la nostra riprovazione là dove gli altri trovano la loro salvezza. Voglia il cielo che assistiamo alla S. Messa ogni qualvolta potremo, poiché le grazie vi si attingono cosi abbondanti; e che vi portiamo sempre le migliori disposizioni. Così attireremo sopra di noi ogni sorta di benedizioni per questo mondo e per l’altro!… Ecco quanto vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps VI: 5 Dómine, convértere, et éripe ánimam meam: salvum me fac propter misericórdiam tuam.

[O Signore, volgiti verso di me e salva la mia vita: salvami per la tua misericordia.]

Secreta

Oblátio nos, Dómine, tuo nómini dicánda puríficet: et de die in diem ad coeléstis vitæ tránsferat actiónem.

[Ci purifichi, O Signore, l’offerta da consacrarsi al Tuo nome: e di giorno in giorno ci conduca alla pratica di una vita perfetta.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XII: 6 Cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Inneggerò al Signore, per il bene fatto a me: e salmeggerò al nome di Dio Altissimo.]

Postcommunio

Orémus. Sumptis munéribus sacris, qæesumus, Dómine: ut cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Ricevuti, o Signore, i sacri doni, Ti preghiamo: affinché, frequentando questi divini misteri, cresca l’effetto della nostra salvezza].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA SANTA MESSA

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Sulla santa Messa.

In omni loco sacrificatur et offertur nomini meo oblatio munda.

(MALACH. I, 11).

E’ certo, Fratelli miei, che l’uomo, come creatura, deve a Dio l’omaggio di tutto il suo essere, e come peccatore gli deve una vittima di espiazione: per ciò nella Legge antica si offriva a Dio nel tempio una moltitudine di vittime. Ma quelle vittime non potevano soddisfare a Dio interamente, pei nostri peccati: ne occorreva una più santa e più pura che dovesse durare sino alla fine del mondo e fosse capace di pagare quanto dobbiamo a Dio. Questa vittima santa è Gesù Cristo istesso, Dio come il Padre suo, e Uomo come noi. Egli si offre tutti i giorni sui nostri altari, come già sul Calvario, e con questa oblazione pura e senza macchia rende a Dio tutti gli onori che gli sono dovuti, e si sdebita a nome dell’uomo, di tutto ciò che questo deve al suoi Creatore: si immola ogni giorno, per riconoscere il sovrano dominio che ha Dio sulle sue creature, e vien pienamente riparato l’oltraggio fatto a Dio dal peccato. Gesù Cristo, quale mediatore tra Dio e gli uomini, ci ottiene col suo sacrificio tutte le grazie che ci sono necessarie: essendosi contemporaneamente reso vittima di ringraziamento, rende a Dio per gli uomini tutta la riconoscenza che gli devono.Ma per aver la fortuna, F. M., di ricevere tutti questi beni, bisogna che facciamo anche noi qualche cosa da parte nostra. Per meglio farvelo sentire, vi farò comprendere, almeno quanto mi sarà possibile:

1° la grandezza della fortuna che abbiamo di assistere alla santa Messa;

2° le disposizioni con le quali dobbiamo assistervi;

3° come vi assiste la maggior parte dei Cristiani.

Non voglio, F.. M., entrare nella spiegazione di quanto significano i paramenti indossati dal sacerdote: penso che lo sappiate, almeno molti. Quando il sacerdote va in sagrestia per pararsi, rappresenta Gesù Cristo che discende dal cielo per incarnarsi nel seno della Vergine santissima, prendendo un corpo come il nostro per sacrificarlo al Padre suo pei nostri peccati. Quando il sacerdote prende l’amitto, che è quel lino bianco che si mette sulle spalle, lo fa per rappresentarci il momento in cui i Giudei bendarono gli occhi a Gesù Cristo, percuotendolo e dicendogli: « Indovina chi è che ti ha percosso? » Il camice rappresenta la veste bianca della quale lo fece rivestire Erode per ischerno quando lo rimandò a Pilato. Il cingolo raffigura le corde con le quali fu legato, quando fu preso nel giardino degli Olivi, i flagelli coi quali fu tormentato. Il manipolo, che il sacerdote si mette al braccio sinistro, ci rappresenta le funi con cui Gesù Cristo fu attaccato alla colonna per essere flagellato: esso si mette al braccio sinistro perché più vicino al cuore, il che ci mostra che l’eccesso dell’amor suo gli fece soffrire questa crudele flagellazione pei nostri peccati. La stola ci raffigura la corda gettatagli al collo quando portava la croce. La pianeta ci ricorda lo straccio di porpora, ed il suo vestito senza cuciture giuocato a sorte. – L’Introito ci rammenta il desiderio ardente che avevano i patriarchi della venuta del Messia: perciò lo si ripete due volte. Quando il sacerdote dice il Confiteor, ci rappresenta Gesù Cristo che si carica dei nostri peccati, per soddisfare alla giustizia di Dio suo Padre 1. Il Kyrie eleison, che vuol dire: « Signore, abbi pietà di noi, » rappresenta lo stato sventurato in cui eravamo prima della venuta di Gesù Cristo. Non voglio proseguir oltre. L‘Epistola significa la dottrina dell’Antico Testamento; il Graduale significa la penitenza che fecero i Giudei dopo la predicazione di san Giovanni Battista: l‘Alleluja, ci rappresenta la gioia d’un’anima che ha ottenuto la grazia: il Vangelo ci ricorda la dottrina di Gesù Cristo.I differenti segni di croce che si fanno sull’ostia e sul calice ci richiamano tutti i patimenti che Gesù Cristo ha sofferto nel corso di sua Passione. Ritornerò un’altra volta su questo argomento.

I. — Prima di esporvi il modo di udire la santa Messa, occorre vi dica qualche cosa sul significato della parola: santo Sacrificio della Messa. [Il Beato ha tolto queste spiegazioni dal Rodriguez Tratt. VI, cap. XV. — La maggior parte di questo discorso, come anche i tratti storici riportati più avanti, vengono dalla medesima fonte. Noi lo ricordiamo una volta per tutte.] Sapete che il santo sacrificio della Messa è lo stesso che quello della croce, offerto una volta sul Calvario, il Venerdì Santo. Tutta la differenza è, che quando Gesù Cristo si offrì sul Calvario, il sacrificio suo era visibile, cioè lo si vedeva cogli occhi del corpo; Gesù Cristo fu offerto a Dio suo Padre per mano dei suoi carnefici, e sparse il suo sangue: per questo si chiama sacrificio cruento; cioè il sangue usciva dalle vene, e lo si vide scorrere sino a terra. Ma nella santa Messa Gesù Cristo si offre al Padre suo in modo invisibile: cioè lo vediamo solo cogli occhi dell’anima, non con quelli del corpo. Ecco, M. F., in breve, che cos’è il santo sacrificio della Messa. Ma per darvi un’idea della grandezza del valore della santa Messa, mi basta dirvi con S. Giovanni Crisostomo, che la S. Messa rallegra tutta la corte celeste, solleva tutte le povereanime del purgatorio, attira sulla terra ogni sorta di benedizioni, e rende più gloria a Dio che non tutti i tormenti dei martiri, le penitenze dei solitari, tutte le lagrime che i santi sparsero fin dal principio del mondo; e tutto ciò che faranno sino alla fine dei secoli. Se me ne domandate la ragione, è chiarissima: tutte queste azioni sono fatte da peccatori più o meno colpevoli: mentre nel santo sacrificio della Messa è un Uomo-Dio eguale al Padre suo che gli offre i meriti della sua Passione e Morte. Vedete quindi, F. M., che la santa Messa è d’un valore infinito. Perciò, vediamo nel Vangelo, che alla morte di Gesù Cristo si operarono molte conversioni: il buon ladrone vi ricevé la promessa del paradiso, molti Giudei si convertirono, ed i Gentili si percuotevano il petto, dicendo che Egli era veramente Figlio di Dio. I morti risuscitarono, le rupi si spezzarono, e la terra tremò. F. M.. se avessimo la fortuna di assistervi con buone disposizioni, quand’anche disgraziatamente fossimo ostinati come i Giudei, più ciechi dei Gentili, più duri delle rocce che si spezzarono, otterremmo certissimamente la conversione. Infatti, S. Giovanni Crisostomo, ci dice che non v’è tempo più prezioso per trattare con Dio della nostra salvezza di quello della santa Messa, in cui Gesù Cristo si offre Egli stesso in sacrificio a Dio suo Padre, per ottenerci ogni sorta di benedizioni e di grazie. « Siamo afflitti? ci dice questo gran santo; vi troviamo ogni sorta di consolazioni. Siamo tentati? andiamo ad ascoltare la S. Messa, e vi troveremo il modo di vincere il demonio. » E, a questo proposito, voglio citarvi un bell’esempio. Si racconta da Papa Pio II che un gentiluomo della provincia d’Ostia, era continuamente combattuto da una tentazione di disperazione, che lo trascinava ad appiccarsi, e già parecchie volte si era ridotto al procinto. Andato a trovare un santo religioso per scoprirgli lo stato dell’anima sua e domandargli consiglio, il servo di Dio, dopo averlo consolato e fortificato il meglio che poté, lo consigliò di tenere in casa un sacerdote che gli dicesse ogni giorno la santa Messa. Il gentiluomo diss’egli che lo farebbe volentieri. Si ritirò in un suo castello: ed ogni giorno un pio sacerdote gli celebrava la santa Messa, alla quale assisteva il più devotamente che poteva. Mentre quel gentiluomo godeva, così regolandosi, grande tranquillità di spirito, avvenne che il sacerdote lo pregò di permettergli d’andare a celebrare la santa Messa in un paese vicino, in occasione d’una particolare festività: cosa che gli accordò facilmente, intendendo di andarvi egli pure ad ascoltarla. Ma un affare sopravvenuto lo trattenne in casa fin presso mezzogiorno. Allora, tutto sbigottito per aver perduto la santa Messa, e sentendosi assalito dall’antica tentazione, esce di casa. Incontra un contadino, che gli domanda dove andasse. « Vado, risponde il gentiluomo, ad ascoltare la santa Messa. » — « Ma, è troppo tardi, gli dice il contadino, son già tutte celebrate. » Fu una notizia sì dolorosa per lui, che si mise a gridare: « Ahimè! Non ho sentito Messa, e sono perduto! » Il contadino, che amava il denaro, vedendolo in tale stato, diss’egli: « Se volete, vi cedo la Messa che ho ascoltato, e tutto il frutto ricavatone. » L’altro, senza riflettere a nulla, ed addolorato d’aver perduto la Messa: « Grazie, caro; eccovi il mio mantello. „ Quell’uomo non poteva certamente cedere il frutto della Messa a cui aveva assistito senza farsi reo di grave peccato. Separatisi, il gentiluomo non tralasciò di continuare la sua strada per fare in chiesa le sue preghiere: e, tornando dopo averle recitate, trovò quel povero contadino avaro, appeso ad un albero nel medesimo luogo dove aveva ricevuto il mantello. Il buon Dio, in punizione della sua avarizia, aveva permesso che la tentazione del gentiluomo passasse in quell’avaro. Colpito da tale spettacolo, il gentiluomo ringraziò Dio d’averlo liberato da sì grande castigo, e non tralasciò mai d’assistere alla santa Messa per renderne grazie al Signore. E all’ora di morte, confessò che dacché aveva avuto la fortuna d’assistere tutti i giorni alla santa Messa, il demonio non l’aveva più tentato di disperazione. [Questo fatto storico è anche riportato dal P. Rossignoli, Le meraviglie divine nella Ss. Eucaristia, LXIII meraviglia]. Ebbene! F. M., non aveva ragione S. Giovanni Crisostomo, di dirci che se siamo tentati dobbiamo ascoltare devotamente la santa Messa, e possiamo stare sicuri che il buon Dio ci libererà? Sì, F. M., se avessimo abbastanza fede, la santa Messa sarebbe un rimedio per tutti i mali che potremmo subire nel corso della vita: infatti, Gesù Cristo non è nostro medico e dell’anima e del corpo?…

II. Ho detto che la santa Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, sacrificio che è offerto a Dio solo, non agli angeli ed ai santi. Sapete che il sacrificio della santa Messa fu istituito il Giovedì santo, quando Gesù Cristo prese il pane, lo mutò nel suo Corpo, prese il vino e lo cangiò nel suo Sangue. Nello stesso momento, diede ai suoi Apostoli ed a tutti i loro successori quel potere che noi chiamiamo Sacramento dell’Ordine. La santa Messa consiste nelle parole della consacrazione: e voi sapete che i ministri della santa Messa sono i sacerdoti ed il popolo che ha la fortuna di assistervi, se si unisce ad essi: d’onde concludo, che il modo migliore di ascoltare la santa Messa è d’unirsi al sacerdote in tutto quanto egli dice; seguirlo in tutte le sue azioni, quanto è possibile. [1° Nel santo sacrificio della Messa, Gesù Cristo è il sommo Sacerdote ed il ministro principale. Egli offre il sacrificio in suo nome e per propria potestà: senza dubbio, si serve di mani estranee per offrirlo, ma Egli solo comunica tutta l’efficacia al sacrificio.

2° Il Sacerdote che celebra è veramente sacerdote e ministro del Sacrificio. E stato chiamato ed ordinato per questo fine; ha ricevuto questo potere da Gesù Cristo. È ministro di Gesù Cristo, e tiene il posto del Salvatore. Egli offre adunque, immediatamente il sacrificio per l’azione ed il ministero che gli sono personali. L’offre da solo, senza bisogno di concorso degli assistenti.

3° I fedeli, in fatto, non sono veramente, strettamente i ministri del Sacrificio. Se alcune volte sono detti ministri coerenti il santo Sacrificio, è in senso largo; non l’offrono da se stessi, ma pel ministero del sacerdote. Ed ecco come vi concorrono: 1° In modo generale, come membri della Chiesa che deputa il sacerdote ad offrire il sacrificio in suo nome; 2° in modo speciale, quando i fedeli assistendo alla Messa, si uniscono coll’intenzione, al sacerdote, per offrire a Dio questo sacrificio; 3° in modo specialissimo, quando concorrono in modo più prossimo al sacrificio, sia servendo il sacerdote all’altare, sia dando elemosine per la celebrazione delle Messe.]; e procurar di penetrarsi dei più vivi sentimenti d’amore e di riconoscenza: bisogna tenere questo metodo.Possiamo distinguere tre parti nel santo sacrificio della santa Messa: la prima parte, dal principio sino all’Offertorio; la seconda dall’Offertorio alla Consacrazione; la terza dalla Consacrazione alla fine. È necessario farvi notare che se noi fossimo volontariamente distratti durante una di queste parti commetteremmo un peccato mortale il che ci deve indurre a guardar bene di non lasciar divagare il nostro spirito a cose estranee, cioè che non hanno rapporto al santo Sacrificio della Messa.

[“Se fossimo distratti volontariamente durante una di queste parti, commetteremmo peccato mortale. „ Questa asserzione del B. Curato d’Ars è severa. I fedeli non debbono esser trattati più rigorosamente dei sacerdoti. Ora, i sacerdoti sono aggravati di peccato mortale soltanto se si rendono colpevoli d’una distrazione volontaria durante la consacrazione]. Dal principio all’Offertorio, dobbiamo comportarci come penitenti che sono penetrati del più vivo dolore dei loro peccati. Dall’Offertorio alla Consacrazione dobbiam condurci come ministri che debbono offrire Gesù Cristo a Dio suo Padre, e fargli il sacrificio di quanto siamo: cioè offrirgli i nostri corpi, le anime, i beni, la vita, ed anche la nostra eternità. Dopo la consacrazione, dobbiam considerarci come persone che debbono partecipare al Corpo adorabile ed al Sangue prezioso di Gesù Cristo: ed occorre per conseguenza fare ogni nostro sforzo per renderci degni di tal felicità. A meglio farvelo comprendere, F. M., vi proporrò tre esempi tolti dalla S. Scrittura, che vi mostreranno il modo con cui dovete ascoltare la santa Messa: cioè, di che cosa dovete occuparvi durante questo momento, fortunato per chi ha la ventura di ben comprenderlo. Il primo, è quello del pubblicano, che vi insegnerà che cosa dovete fare al principio della Messa. Il secondo è quello dei buon ladrone, che vi apprenderà come dovete diportarvi durante la Consacrazione. Il terzo, è il centurione che vi guiderà durante la santa Comunione. – Anzitutto il pubblicano ci insegnerà come dobbiamo comportarci al principio della santa Messa, che è un’azione così gradita a Dio e così efficace per ottenerci ogni sorta di grazie. Non dobbiam quindi aspettare d’essere in chiesa per prepararvici. No, F. M., no; un buon Cristiano comincia a prepararsi quando si sveglia, non lasciandosi occupare lo spirito da niente che non abbia relazione col santo Sacrificio. Dobbiamo rappresentarci Gesù Cristo nel giardino degli Ulivi, che prostrato la faccia a terra si prepara al Sacrificio sanguinoso che offrirà sul Calvario; a considerare la grandezza della carità che gli fa subire il castigo che dovremmo subir noi per tutta l’eternità. Bisogna venirvi digiuni, per quanto è possibile: ciò è molto gradito al buon Dio. Nei primi tempi della Chiesa, tutti intervenivano digiuni [Perché essi si comunicavano nella Messa]. Occorre, al mattino, non lasciarsi mai occupare lo spirito da affari materiali, ricordando che dopo aver lavorato tutta la settimana pel vostro corpo, è ben giusto che occupiate questo giorno nei bisogni dell’anima vostra e nel domandare al buon Dio perdono dei vostri peccati. Quando venite in chiesa, non fate conversazione: pensate che seguite Gesù Cristo il quale porta la croce al Calvario e va a morire per salvarvi. Bisogna trovar sempre un momento, prima della santa Messa, per raccogliersi alquanto, gemere sui propri peccati e domandarne perdono al buon Dio, esaminare le grazie più necessarie da domandargli durante la Messa, e guardarsi dal non mancar mai né all’Aspersione dell’acqua benedetta, né alla lettura della Passione, né alla Processione. [In gran numero di parrocchie, dall’Invenzione della S. Croce (3 Maggio) sino all’Esaltazione (14 Settembre) il parroco legge ogni giorno ai piedi dell’altare, prima di celebrare la santa Messa, la Passione per i prodotti della terra – Il Beato parlò di già nel discorso sulle Rogazioni, delle processioni domenicali che si fanno in molte parrocchie, secondo un’antica consuetudine, ogni domenica, prima della Messa solenne, dall’Invenzione sino all’Esaltazione della S. Croce, o come si dice a Cruce ad Crucem], perché sono azioni sante che vi preparano a fare ascoltare la Messa. Quando entrate in chiesa compenetratevi della grandezza della vostra felicità, con un atto di fede vivissima ed un atto di contrizione dei vostri peccati, che vi rendono indegni d’avvicinarvi ad un Dio così santo e così grande. Pensate, in questo momento, alle disposizioni del pubblicano quando entrò nel tempio ad offrire a Dio il sacrificio della sua preghiera. Ascoltate S. Luca: « Il pubblicano, egli dice, stavasi in fondo al tempio, gli occhi inclinati a terra, non osando guardar l’altare, e battevasi il petto dicendo a Dio: Abbiate pietà di me, o Signore, perché sono un peccatore » (Luc. XVIII). Vedete quindi, F. M, che egli non faceva come quei Cristiani che entrano in chiesa con aria altera ed arrogante, « che sembrano volersi accostare a Dio – ci dice il profeta Isaia – come persone che nulla hanno sulla coscienza che possa umiliarli davanti al loro Creatore. » (Is. LXVIII). Infatti, se volete ben osservare, quando entrano in chiesa questi Cristiani che hanno forse sulla coscienza più peccati che non capelli in testa, voi li vedete, dico, entrare con aria di noncuranza, o meglio con una specie di sprezzo per la presenza di Dio. Toccano l’acqua santa press’a poco come se immergessero le mani in un catino d’acqua per lavarsi dopo il lavoro; la maggior parte fanno questo senza divozione e senza pensare che l’acqua benedetta presa con grande rispetto cancella i peccati veniali e ci dispone a ben ascoltare la santa Messa. Vedete il nostro pubblicano, che credendosi indegno d’entrare nel tempio va a mettersi nel posto meno apparente che può trovare: è talmente confuso alla vista dei propri peccati, che nemmeno osa alzar gli occhi al cielo. E dunque ben lontano da quei Cristiani di nome che non sono mai abbastanza comodi, che si inginocchiano soltanto sulla sedia, che abbassano appena la testa durante l’Elevazione, che si sdraiano sulla sedia, od incrociano le gambe. Non diciamo nulla di coloro che non dovrebbero venire in chiesa se non per piangervi i loro peccati, ed invece lo fanno solo per insultare un Dio umiliato e disprezzato, col loro sfoggio di vanità, nell’intenzione d’attirarsi gli sguardi altrui: ed altri solo per alimentare il fuoco delle loro passioni colpevoli. O mio Dio! con tali disposizioni si può aver l’ardire di venire ad assistere alla santa Messa? « Ma il nostro pubblicano – ci dice S. Agostino – si batte il petto per mostrare a Dio il rimorso d’averlo offeso. » Ahimè! F. M., se noi Cristiani avessimo la sorte felice d’assistere alla santa Messa con le medesime disposizioni del pubblicano, quante grazie, quanti benefizi otterremo! Usciremmo ricolmi di beni celesti come le api dopo aver trovato più fiori che non volevano! Oh! se il buon Dio ci facesse la grazia di essere in principio della santa Messa ben penetrati della grandezza di Gesù Cristo, davanti al quale ci presentiamo, e della gravità dei nostri peccati, ben presto avremmo ottenuto il perdono delle nostre colpe e la grazia della perseveranza! Dobbiamo soprattutto tenerci in grandi sentimenti di umiltà durante la santa Messa: questo deve ispirarci il sacerdote quando discende dall’altare per dire il Confiteor inchinandosi profondamente, egli, che, tenendo il posto di Gesù Cristo stesso, sembra caricarsi di tutti i peccati dei suoi parrocchiani. Davvero! se il buon Dio ci facesse una volta comprendere che cos’è la santa Messa, quante grazie, quanti beni avremmo, che or non abbiamo! Da quanti pericoli saremmo preservati se avessimo una gran divozione alla santa Messa! Per provarvelo, F. M., vi citerò un bell’esempio che vi mostrerà che il buon Dio protegge in modo visibile quelli che hanno la fortuna di assistervi con divozione. Leggiamo nella storia, che S. Elisabetta, regina di Portogallo e nipote di S. Elisabetta regina d’Ungheria, era tanto caritatevole verso i poveri che, sebbene avesse ordinato al suo elemosiniere di non rifiutar loro nulla, faceva altresì continue elemosine di sua propria mano o per mezzo dei domestici. Ordinariamente si serviva di un paggio, del quale aveva riconosciuta la grande pietà: il che vedendo un altro paggio, ne fu geloso. Andò costui un giorno dal re, e dissegli che quel paggio aveva relazione peccaminosa con la regina. Il re, senza nulla esaminare, stabilì subito di disfarsi del paggio il più segretamente possibile; e passando il dì stesso in un luogo dove si faceva cuocere la calce, chiamò quelli che avevano cura di mantenere acceso il fuoco, e disse loro che il domani mattina manderebbe un paggio, del quale era malcontento, che loro domanderebbe se avessero eseguito gli ordini del re: dovevano prenderlo e gettarlo subito nel fuoco. Tornato a casa, comandò al paggio della regina d’andare il mattino seguente di buon’ora a fare questa commissione. Ma vedrete che il buon Dio non abbandona mai chi l’ama. Il buon Dio permise che, per fare la propria commissione, dovesse passare vicino ad una chiesa; ed in quel momento appunto udisse suonare l’Elevazione. Entra per adorare Gesù Cristo ed ascolta il resto della Messa. Ne incomincia un’altra; l’ascolta; una terza dopo finita la seconda; l’ascolta ancora. Frattanto il re, impaziente di sapere se erano stati eseguiti i suoi ordini, manda il paggio suo a domandare se avessero fatto quanto aveva lor comandato. Credendo fosse questi il primo, lo prendono e lo gettano nel fuoco. L’altro, che intanto aveva terminato le sue divozioni, va a far la commissione, domandando se avessero eseguito il comando del re. Gli risposero che sì. Ritornò costui a portar la risposta al re, che fu assai sorpreso di vederlo ritornare. Furibondo che fosse avvenuto il contrario di quanto sperava, gli domandò dove fosse stato per sì lungo tempo… Il paggio dissegli che, passando vicino ad una chiesa per andare dove avevagli ordinato, aveva udito il campanello dell’Elevazione, che ciò lo aveva stimolato ad entrare e restarvi sino alla fine della Messa: e che un’altra Messa avendo subito incominciato, prima che fosse finita quella, e poi una terza, le aveva ascoltate tutte: perché il padre suo prima di morire, dopo avergli dato la sua benedizione, gli aveva assai raccomandato di non lasciare una Messa cominciata senza aspettare che fosse finita, perché questo atto di pietà attirava molte grazie, e preservava da molte sventure. Allora il re, rientrato in sé, comprese che questo era avvenuto per giusto indizio di Dio: che la regina era innocente, ed il paggio un santo: che l’altro aveva operato solo per invidia. – Vedete, F. M., che senza la sua divozione, quel povero giovane sarebbe stato arso, e che Dio gli ispirò di entrare in chiesa per salvarlo da morte: mentre l’altro, che non aveva divozione per Gesù Cristo nel sacramento adorabile dell’Eucaristia, fu gettato nel fuoco. S. Tommaso ci dice che un giorno durante la santa Messa vide Gesù Cristo colle mani piene di tesori, che cercava distribuire; e aggiunge che se avessimo la ventura di assistere devotamente e spesso alla santa Messa, avremmo ben più grazie di quelle che abbiamo per salvar le anime nostre, ed anche per i bisogni temporali.

2° In secondo luogo ho detto che il buon ladrone ci istruirà sul modo di diportarci nel tempo della Consacrazione e dell’Elevazione della santa Messa, quando dobbiamo offrirci a Dio con Gesù Cristo, siccome chiamati a partecipare a questo augusto mistero. Vedete, F. M., come questo penitente fortunato si diporta nel momento medesimo del suo supplizio? vedete come apre gli occhi dell’anima per riconoscere il suo liberatore? Ed insieme, qual progresso fa mai nelle tre ore che si trova in compagnia del suo Salvatore morente? E attaccato alla croce, non ha più liberi che il suo cuore e la lingua; vedete con qual premura offre a Gesù Cristo l’uno e l’altra: gli dà tutto quanto può donargli, gli consacra il cuore con la fede e la speranza, e gli domanda umilmente un posto in paradiso, cioè nel suo regno eterno. Gli consacra la lingua pubblicando la sua innocenza e santità. Dice al suo compagno di supplizio: « E giusto che noi soffriamo: ma Egli è innocente . „ Mentre gli altri sono intenti solo ad oltraggiare Gesù Cristo colle bestemmie più orribili, egli ne diventa il panegirista: mentre i suoi discepoli stessi l’abbandonano, prende le sue difese: e la sua carità è sì grande che fa ogni sforzo per indurre l’altro a convertirsi. No, F. M., non meravigliamoci per nulla se scopriamo tante virtù in questo Buon Ladrone, perché niente è tanto capace di commuovere quanto la vista di Gesù Cristo morente: non v’ è altro momento in cui la grazia venga data con tanta abbondanza. Ahimè! F. M., se nel fortunato momento della Consacrazione avessimo la ventura d’essere animati da una viva fede, una Messa basterebbe per strapparci da qualsiasi vizio in cui fossimo, e per farci divenire veri penitenti, cioè perfetti Cristiani. Perché dunque, mi direte voi, assistiamo a tanteMesse e siamo sempre gli stessi? F. M., perché vi siamo presenti col corpo, ma lo spirito non vi è punto; e vi veniamo piuttosto a ricevere la nostra riprovazione colle cattive disposizioni con cui vi assistiamo. Ahimè! quante Messe ascoltate male, che invece d’assicurare la nostra salvezza ci peggiorano vieppiù! Apparso Gesù Cristo a S. Metilde, le disse: « Sappi, figlia mia, che i santi assisteranno alla morte di tutti coloro che avranno ascoltato devotamente la santa Messa, per aiutarli a ben morire, per difenderli dalle tentazioni del demonio e presentare le loro anime al Padre mio. » Qual fortuna per noi, F. M., esser assistiti in questo momento terribile da tanti Santi quante Messe avremo ascoltate!… No, F. M., non temiamo mai che la santa Messa ci causi ritardo negli affari temporali: anzi al contrario: stiamo sicuri che tutto andrà bene, e che anche i nostri affari ci riusciranno assai meglio che se avessimo la mala sorte di non assistervi. Eccone un esempio mirabile. Raccontasi di due artigiani, del medesimo mestiere e dimoranti nello stesso borgo, che uno di essi, carico di numerosa prole, non tralasciava mai ogni giorno di ascoltare la santa Messa, e viveva comodamente del suo mestiere: l’altro, invece, che non aveva figli…, lavorava parte della notte e tutto il giorno, e spesso il giorno dì domenica, eppure stentava assai per vivere. Questi che vedeva prosperare tanto gli affari dell’altro, incontratolo un giorno gli domandò donde poteva ricavar tanto da mantenere sì bene uria famiglia numerosa come la sua: mentre egli, solo con la moglie, lavorando senza tregua, era spesso sprovvisto di tutto. Risposegli l’altro che, se volesse, gli mostrerebbe il dì appresso donde veniva tutto il suo guadagno. Contentissimo di sì buona notizia, aspettò con impazienza il domani, che gli avrebbe insegnato a far anch’egli fortuna. Infatti l’altro non mancò d’andare a prenderlo. Eccolo che parte di buona voglia e lo segue con fedeltà. L’altro lo condusse alla chiesa, dove ascoltarono la santa Messa. Dopo che furono ritornati: “Amico mio, disse quegli che si trovava in prospere condizioni, ritornate al vostro lavoro. „ Altrettanto fece il giorno appresso: ma andato a prenderlo una terza volta pel medesimo scopo: “Come? dissegli l’altro: se voglio andare a Messa, ne so la strada, senza che vi disturbiate a venirmi a prendere: non voleva sapere questo, io; ma dove trovate tutto quel benessere che vi fa vivere comodamente; volevo vedere se facendo come voi vi avrei trovato il mio interesse. „ — “Amico mio, rispose quegli, non conosco altro luogo che quello della chiesa, ed altro mezzo che l’ascoltare ogni giorno la santa Messa: e da parte mia vi assicuro di non aver mai usato altri mezzi per aver tutto il bene che vi stupisce. Ma, noi! avete visto che Gesù Cristo nel Vangelo ci dice “di cercare anzi tutto il regno dei cieli, e tutto il resto ci verrà dato? „ A queste parole l’altro intese a che mirasse il primo conducendolo alla santa Messa: e gli soggiunse : “Avete ragione; chi non calcola che sul proprio lavoro è un cieco, ed io vedo che la santa Messa giammai impoverirà alcuno. Voi ne siete una prova ben grande. Voglio far come voi, e spero che il buon Dio mi benedirà. „ Infatti cominciò il giorno dopo e continuò per tutta la sua vita: ed in poco tempo divenne agiato. Quando gli si domandava donde proveniva che ora non lavorava più in domenica né di notte come prima, e diveniva più ricco, egli rispondeva: “Ho seguito il consiglio del mio vicino: andate a trovarlo, e vi insegnerà a star bene senza lavorar troppo; ascoltando cioè la Messa ogni giorno. „ Ciò forse vi fa meraviglia, F. M.? A me no. È quanto vediamo ogni giorno nelle case dove si coltiva la pietà: coloro che vengono spesso alla santa Messa, fanno assai meglio i loro affari di coloro ai quali la loro poca fede fa credere di non avere mai tempo per questo. Ahimè! se avessimo posto ogni nostra confidenza in Dio, e non contassimo sul nostro lavoro, quanto saremmo più felici! — Ma, mi direte, se non abbiamo nulla, nessuno ci dà niente. — Che cosa volete che il buon Dio vi aiuti quando non contate che sul vostro lavoro, e niente su di Lui? Voi non trovate neppure il tempo di recitare le vostre orazioni mattina e sera, e vi accontentate di venire alla Messa una volta alla settimana. Ahimè! non conoscete le risorse della Provvidenza di Dio per chi si confida in Lui. Ne volete una prova evidente? essa è davanti ai vostri occhi: Osservate il vostro pastore, ed esaminate la cosa davanti a Dio. — Oh! mi direte, c’è chi ve ne dà. — Ma chi me ne dà, se non la Provvidenza di Dio? ecco dove sono i miei tesori, e non altrove. Davvero! che l’uomo è cieco di tormentarsi tanto per andar dannato, ed essere anche infelice in questo mondo! Se aveste la fortuna di pensare bene alla vostra salvezza e d’assistere alla santa Messa, più spesso che potete, vedreste bentosto la prova di quanto vi dico. No, F. M., nessun momento è più prezioso, per domandar a Dio la nostra conversione, di quello della santa Messa: vedetelo. Un santo eremita, chiamato Paolo, vide un giovine assai ben vestito, che entrava in una chiesa accompagnato da gran quantità di demoni: ma dopo la santa Messa, vide uscire il giovine accompagnato d’una schiera di angeli che camminavano ai suoi fianchi. “O mio Dio, esclamò il santo, bisogna che la santa Messa Vi sia ben gradita!„ Il santo Concilio di Trento ci dice che la santa Messa placa la collera di Dio, converte il peccatore, rallegra il cielo, solleva le anime del purgatorio, rende gloria a Dio, ed attira ogni sorta di benedizioni sulla terra!. « Sess. XIII e XXII. Oh! F. M., se potessimo ben comprendere che cosa è il Sacrifizio della santa Messa, con qual rispetto vi assisteremmo?… Il santo abate Nilo ci racconta che il suo maestro S. Giovanni Crisostomo gli aveva detto un giorno, in confidenza, che durante la santa Messa vedeva una schiera d’angeli che discendevano dal cielo per adorare Gesù Cristo sull’altare, e che molti s’aggiravano in chiesa per ispirare ai fedeli il rispetto e l’amore che debbono avere per Gesù Cristo presente sull’altare. Momento prezioso, momento felice per noi, F. M., questo nel quale Gesù Cristo è presente sui nostri altari! Davvero! se i padri e le madri lo comprendessero e sapessero approfittarne, i loro figli non sarebbero così sventurati, così lontani dalla via del cielo. Mio Dio, quanti poveri vicino a sì grande tesoro!

3° Ho detto che il Centurione ci serve d’esempio quando abbiam la bella sorte di comunicarci, o spiritualmente o corporalmente. L’esempio di questo Centurione è così ammirabile, che la Chiesa sembra compiacersi di rimettercelo davanti agli occhi ogni giorno nella S. Messa. ” Signore, dissegli quest’umile servo, non son degno che veniate nella casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà guarito„ Ah! se il buon Dio vedesse in noi la medesima umiltà, la medesima cognizione del nostro nulla, con qual piacere ed abbondanza di grazie non verrebbe nel nostro cuore? Quanta forza e coraggio avremmo per vincere il nemico della nostra salvezza! Vogliamo, F . M., ottenere di mutar vita, cioè abbandonare il peccato e tornare a Dio? Ascoltiamo alcune Messe con questa intenzione, e stiamo sicuri, se le ascoltiamo devotamente, che Dio ci aiuterà ad uscire dal peccato: eccone un esempio. Narrasi nella storia che una giovanetta per più anni aveva condotto una vita miserabile con un giovane. Un giorno si sentì presa da paura, e riflettendo allo stato cui poteva ridursi la povera anima sua, se continuava quella vita. Subito, dopo la santa Messa, andò da un sacerdote a pregarlo d’aiutarla a uscire dal peccato. Il sacerdote, che ne conosceva la condotta, le domandò che cosa l’avesse decisa a questo cambiamento. “Padre mio, gli disse, durante la santa Messa, che la madre mia prima di morire mi fece promettere d’ascoltare ogni sabato, bo concepito un sì grande orrore del mio stato, che non posso più reggervi. „ — “O mio Dio! esclamò il santo sacerdote, ecco un’anima salvata dal valore della santa Messa!„ Ah! F. M., quante anime uscirebbero dal peccato, se avessero la fortuna di ascoltare la santa Messa con buone disposizioni! Non meravigliamoci dunque se il demonio ci mette tanti pensieri estranei. Ah! egli prevede, assai meglio di voi, la perdita che fate assistendovi con sì poco rispetto e divozione. F. M., da quanti pericoli e morti improvvise ci preserva la santa Messa! Quante persone, per una santa Messa ascoltata, salverà Iddio dalla sventura! S. Antonino ce ne racconta un bell’esempio. Ci dice che un giorno di festa due giovani andarono per una partita di caccia: l’uno aveva ascoltato la santa Messa, l’altro no. Mentre erano per via, il cielo si rannuvolò: udivansi tuoni spaventosi, e vedevansi lampi sì frequenti che il cielo sembrava in fiamme. Ma ciò che li atterriva ancor di più, era l’udire tra le folgori, di tratto in tratto, una voce che gridava: “Colpite quei disgraziati, colpiteli!„ Quietatasi un po’ la burrasca, incominciarono a rassicurarsi. Proseguendo il loro cammino, ad un tratto scoppiò un fulmine che incenerì quegli che non aveva ascoltato la. santa Messa. L’altro fu preso da sì gran spavento che non sapeva se dovesse proseguir oltre. In questa paura, udì ancora la voce gridare : “Colpite, colpite l’infelice!„ il che raddoppiava il suo spavento, avendo visto ai suoi piedi il compagno fulminato. Mentre credevasi perduto, udì un’altra voce che disse:”No, non colpitelo; egli ha ascoltato stamattina la Messa.„ La santa Messa ascoltata la mattina prima di partire lo preservò da una morte sì spaventosa. Vedete, F. M., come Dio ci concede grazie e ci preserva dalle sventure, quando abbiam la fortuna d’ascoltare la Messa come si deve? Ahimè! quali castighi debbono aspettarsi coloro che non hanno difficoltà di perderla in domenica. Anzitutto, il castigo visibile, è che essi periscono quasi tutti malamente: i loro beni vanno in deperimento, la fede abbandona i loro cuori, e sono doppiamente disgraziati. Mio Dio! quanto l’uomo è cieco sotto tutti i rapporti, per l’anima e pel corpo!

III. — La maggior parte delle persone del mondo ascoltano la santa Messa alla maniera dei farisei, del cattivo ladrone e di Giuda. Ho detto che la santa Messa è il ricordo della morte di Gesù Cristo sul Calvario: perciò Gesù Cristo vuole che, ogni volta che celebriamo il santo sacrificio della Messa, lo facciamo in sua memoria. Tuttavia dobbiamo dire gemendo che, mentre rinnoviamo il ricordo dei patimenti di Gesù Cristo, molti che v’assistono rinnovano il delitto dei Giudei e dei carnefici che l’attaccarono alla croce. Ma per meglio farvi conoscere se avete la sventura d’esser nel numero di coloro che così insultano i nostri santi misteri, vi farò notare, F. M., che fra coloro che furon testimoni della morte di Gesù Cristo sulla croce, ve ne erano di tre sorta: gli uni non facevano che passare davanti alla croce, senza fermarsi e senza sentire un vero dolore, più insensibili delle creature inanimate. Gli altri si avvicinavano al luogo del supplizio, consideravano tutte le circostanze della morte di Gesù Cristo; ma non era che per beffarsene, farne oggetto di risa ed oltraggiarlo con le bestemmie più orribili. Infine, un piccolo numero versava lagrime amare vedendo spiegare tante crudeltà sul corpo del loro Dio e loro Salvatore. Vedete ora a qual numero appartenete. Non parlerò di coloro che corrono ad udire una Messa in furia in una parrocchia dove hanno qualche affare, né di coloro che vi vengono a metà; che, in tal tempo, vanno a trovare un amico per bere un bicchierino in compagnia: lasciamoli da parte, perché costoro vivono come se fossero sicuri di non avere un’anima da salvare: essi hanno perduto la fede, e con ciò tutto è perduto. Ma parliamo solo di quelli che vi vengono ordinariamente. Ebbene, molti non vi vengono che per vedere ed essere veduti, con un contegno dissipato, come andrebbero ad un mercato, o in piazza, e, permettete la frase, ad un ballo. Vi stanno senza modestia: a mala pena mettono le ginocchia a terra durante l’Elevazione o la Comunione. Pregate voi, F. M., in tempo di Messa?…. No?! Ma, allora vi manca la fede! Ditemi, quando vi recate dai vostri superiori per domandare una grazia, non è vero che ne siete preoccupati durante tutta la strada; entrate con modestia, fate ad essi un profondo saluto, state scoperti davanti a loro, non pensate neppure a sedervi; tenete gli occhi bassi, e riflettete soltanto al modo di esprimervi bene e colle parole più adatte? Se sbagliate in qualche cosa, vi scusate subito della vostra poca educazione Se essi vi ricevono con bontà, sentite la gioia nascere nel vostro cuore. Ebbene! ditemi, F. M., non deve ciò confondervi, vedendo che usate tante precauzioni per un bene temporale? mentre venite alla chiesa con noncuranza, quasi con disprezzo, davanti ad un Dio morto per salvarci, e che ogni giorno versa il suo sangue per ottenervi grazia presso il Padre suo. Quale affronto, F. M., non è per Gesù Cristo vedersi insultato da vili creature? Ahimè! quanti durante la santa Messa commettono più peccati che non in tutta la settimana. Alcuni non pensano neppure al buon Dio, altri parlano, mentre il loro cuore ed il loro spirito si perdono, o nell’orgoglio, o nel desiderio di piacere, o nell’impurità. Quanti altri lasciano entrare ed uscire tutti i pensieri e desideri che il demonio loro manda. Quanti non hanno difficoltà di guardare, di volger la testa, di ridere e chiacchierare, di dormire come se fossero in letto, e forse ancor meglio. Ahimè! quanti Cristiani escono di chiesa forse con trenta o cinquanta peccati mortali di più che quando vi entrarono! Ma, mi direte, è meglio allora non assistervi. — Sapete che dovete fare ?… Assistervi, ed assistervi come si conviene, facendo tre sacrifici a Dio, cioè: quello del vostro corpo, del vostro spirito e del vostro cuore. Dico : del vostro corpo; che deve onorare Gesù Cristo con religiosa modestia; quello del vostro spirito, che ascoltando la santa Messa, deve penetrarsi del vostro nulla e della vostra indegnità, evitando ogni sorta di dissipazioni, allontanando da sé le distrazioni; quello del vostro cuore, che è l’offerta a Lui più accetta, poiché è il vostro cuore che vi domanda con tanta insistenza: “Figlio mio, vi dice, dammi il tuo cuore. Concludo, F. M., dicendo quanto siamo sfortunati quando ascoltiamo male la santa Messa, poiché troviamo la nostra riprovazione là dove gli altri trovano la loro salvezza. Voglia il cielo che assistiamo alla S. Messa ogni qualvolta potremo, poiché le grazie vi si attingono cosi abbondanti; e che vi portiamo sempre le migliori disposizioni. Così attireremo sopra di noi ogni sorta di benedizioni per questo mondo e per l’altro!… Ecco quanto vi auguro …