I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA CARITÀ

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sulla Carità.

(Frammenti)

Diliges Deum tuum in toto corde tuo.

( MATTH. XXII, 37).

Por servire il buon Dio perfettamente, ah! non basta credere in Lui. È vero che la fede ci fa credere tutte le verità che la Chiesa ci insegna, e che mancando la fede, tutte le nostre azioni sono senza merito agli occhi di Dio. La fede ci è adunque assolutamente necessaria per salvarci. Tuttavia, questa fede preziosa che ci mostra anticipatamente le bellezze del cielo, un giorno verrà meno, perché nell’altra vita non vi saranno più misteri. La speranza, che è dono del cielo, è anch’essa necessaria per farci operare con intenzioni rette e pure, pel solo fine di piacere a Dio in quanto facciamo, sia per meritare il cielo, sia per evitare l’inferno. Ma la carità ci conduce ad amar Dio, perché è infinitamente buono ed amabile, e merita perciò d’essere amato. Ma, direte voi, come adunque conoscere se abbiamo questa bella virtù tanto accetta a Dio e che ci fa operare con tanta generosità: cioè che ci porta ad amare Dio non per timore delle pene dell’inferno, né per la speranza del cielo, ma unicamente per le sue perfezioni infinite? — Ciò che ci deve indurre a desiderare e a domandare a Dio questa bella virtù, si è che essa ci seguirà nell’eternità. Più ancora: è la carità che deve formare tutta la nostra felicità, poiché la felicità dei beati consiste nell’amare. Questa virtù così bella, così capace di renderci fedeli anche in questo mondo, vediamo, Fratelli miei, se l’abbiamo, e cerchiamo i mezzi di acquistarla.

I . Se domandassi ad un fanciullo: Che cos’è la carità? Egli mi risponderebbe: È una virtù che ci viene dal cielo, per la quale amiamo Dio con tutto il nostro cuore, ed il prossimo come noi stessi, per amore di Dio. — Ma, mi domanderete voi, che cos’è amare il buon Dio al disopra di tutte le cose, e più di se stesso? — È preferirlo a quanto v’è di creato: è l’essere disposti a perdere le sostanze, la reputazione, i parenti, gli amici, i figli, il marito o la moglie ed anche la stessa vita, piuttosto che commettere il minimo peccato mortale.S. Agostino ci dice che l’amare Iddio perfettamente, è amarlo senza misura, quand’anche non vi fosse il cielo da sperare, né l’inferno da temere: è amarlo con tutta la potenza del cuore. Se me ne domandate la ragione, è questa: che Dio è infinitamente amabile e degno d’essere amato. Se l’amiamo davvero, né i patimenti, né le persecuzioni, né il disprezzo, né la vita, né la morte potranno rapirci l’amore che dobbiamo a Dio. Noi stessi lo sentiamo, F. M., che se non amiamo Dio noi siamo esseri sventurati, troppo sventurati. Se l’uomo è creato per amare Dio, non può trovare la sua felicità che in Dio solo. Fossimo pure padroni del mondo, se non amiamo Dio, non possiamo essere che infelici per tutta la nostra vita. Se volete meglio convincervene, vedete, interrogate coloro che vivono come se Dio non fosse. Vedete quelli che abbandonano la frequenza ai Sacramenti e la preghiera, vedeteli quando li colpisce un dolore, o la perdita d’una persona cara: ahimè! maledicono se stessi, sono nello strazio, o muoiono d’angoscia. Un avaro quando possiede molto, non è più felice di quando possedeva poco. Un ubriacone è forse più felice, dopo aver bevuto la tazza di vino nella quale credeva trovare tutto il suo piacere? È ancora lo stesso infelice. Un orgoglioso non ha mai quiete: teme sempre d’essere disprezzato. Un vendicativo, perché cerca di vendicarsi non dorme, né giorno né notte. Osservate altresì un infame impudico che crede di trovare la sua felicità nei piaceri della carne: arriva persino, non dico a perder la riputazione, ma gli averi, la sanità e l’anima, senza perciò poter trovarsi contento. E perchè, F. M., non possiamo esser felici possedendo quanto sembrerebbe doverci accontentare? Ah! perché, non essendo creati che per Iddio, non v’ ha che Lui solo che possa soddisfarci, cioè renderci felici quanto è possibile l’esserlo su questa povera terra. Ciechi che siamo ci attacchiamo alla vita, alla terra, ai suoi beni, ahimè! ai piaceri; diciamo meglio, ci attacchiamo a tutto quanto può renderci infelici! Come, F. M., furono più saggi di noi i Santi, che hanno tutto sprezzato per non cercar che Dio solo. Chi ama davvero il buon Dio fa poco conto di quanto v’ha sulla terra! – Quanti grandi del mondo, anche principi, re, imperatori, non vediamo noi, che tutto lasciarono per servire Iddio più liberamente nei deserti o nei monasteri! Quanti altri per mostrare al buon Dio il loro amore, salirono sui patiboli, come vincitori sul trono! Ah! F. M., quanto è felice chi ha la fortuna di staccarsi dalle cose del mondo per non attaccarsi che a Dio solo! Ahimè! quanti ve ne sono fra noi che hanno venti o trent’anni, e non domandarono mai a Dio quest’amore che è un dono del cielo, come ve lo insegna il catechismo. Non dobbiam quindi meravigliarci, F. M., se siamo così terreni e così poco spirituali! Questo modo di comportarci non può che condurci ad una fine ben sventurata: la separazione da Dio nell’eternità! Ah! F. M., è possibile che non vogliamo rivolgerci verso il nostro vero bene, che è Dio solo? Ma lasciamo quest’argomento, sebbene tanto interessante.

I ..La carità forma tutta la gioia e la felicità dei Santi in cielo. Ah! “bellezza antica e sempre nuova, „ quando non ameremo che voi sola? Se domandassi ora ad un fanciullo: “Che cos’è la carità verso il prossimo? „ Egli mi risponderebbe: La carità verso Dio deve farcelo amare più dei nostri beni, la sanità, la riputazione, e della stessa vita: la carità che dobbiam avere pel prossimo deve farcelo amare come noi stessi, di modo che tutto il bene che possiam desiderare a noi, dobbiam desiderarlo al nostro prossimo, se vogliamo aver questa carità, senza della quale non si può sperare né il cielo né l’amicizia di Dio. Ahimè! Quanti Sacramenti profanati da questa mancanza di carità, e quante anime condotte all’inferno! Ma che devesi intendere con questa parola: il nostro prossimo? Niente di più facile a comprendersi. Questa virtù si estende a tutti, anche a coloro che ci hanno fatto del male, che hanno danneggiato la nostra riputazione, ci hanno calunniati e fatto qualche torto, quand’anche avessero attentato alla nostra vita. Dobbiamo amarli come noi stessi, ed augurare a loro tutto il bene che possiamo desiderare a noi. Non solo ci è proibito di voler loro alcun male, ma dobbiamo render loro servizio ogni volta che ne hanno bisogno, e lo possiamo. Dobbiam rallegrarci quando riescono nei loro affari, rattristarci quando sono vittima di qualche disgrazia, di qualche perdita; prendere le loro difese quando se ne parla male, dire il bene che ne sappiamo, non fuggire la loro compagnia, anzi trattenerci piuttosto con loro che con quelli che ci hanno reso qualche servizio: ecco, F. M., come il buon Dio vuole che amiamo il nostro prossimo. Se non facciamo così, possiam dire di non amare né il prossimo né Dio; siamo cattivi Cristiani; ed andremo dannati. Vedete, F. M., la condotta che tenne Giuseppe verso i fratelli, che avevano voluto farlo morire, che l’avevan gettato in una cisterna, e dipoi venduto a mercanti stranieri. Solo consolatore gli rimase Iddio. (Gen. XXXVII). Ma siccome il Signore non abbandona chi l’ama, quanto Giuseppe era stato umiliato, altrettanto fu esaltato. Divenuto quasi padrone del regno dei Faraoni, i suoi fratelli, ridotti alla più gran miseria, vennero da lui senza conoscerlo. Giuseppe vede arrivar coloro che avevano attentato alla sua vita, e l’avrebbero fatto morire se il primogenito non li avesse dissuasi. Egli ha in mano tutti i poteri da Faraone, potrebbe farli prendere e farli morire. Nulla poteva impedirlo: al contrario era anzi cosa giusta punire i delinquenti. Ma Giuseppe che cosa fa? … la carità che ha nel cuore gli fa dimenticare i maltrattamenti ricevuti. Non pensa che a beneficarli… piange di gioia, domanda subito notizie del padre e degli altri fratelli: per meglio far loro sentire la grandezza del suo amore, vuole che vengano per sempre presso di lui (Gen. XLII – XLVII). – Ma, mi direte, come si può conoscere se si ha questa bella e preziosa virtù, senza la quale la nostra religione non è che un fantasma? Anzitutto, F. M., chi ha la carità non è orgoglioso, non cerca di dominare sugli altri: non l’udrete mai biasimare la loro condotta, non parla di ciò ch’essi fanno. Chi ha la carità non esamina l’intenzione degli altri nelle loro azioni, non crede mai di far meglio di essi; non si mette al di sopra del suo vicino; anzi crede che gli altri facciano sempre meglio di lui. Non si inquieta se altri vengano preferiti a lui; se è disprezzato non è meno contento, perché pensa di meritare anche un disprezzo maggiore. Chi ha la carità evita, per quanto il può, di dar pena ad altri, perché la carità è un manto regale che sa nascondere le colpe dei fratelli, e non lascia mai credere che si sia migliori di loro. Inoltre quelli che hanno la carità ricevono con pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio, tutte le disgrazie che posson loro capitare, le malattie, le avversità, pensando che tutto ciò ci ricorda che siamo peccatori, e che la nostra vita quaggiù non è eterna. Nei dispiaceri, nelle pene, nelle malattie o nella perdita dei beni li vedete sempre sottomessi alla volontà di Dio, e non si disperano mai, pensando che adempiono la divina volontà. Vedete il santo Giobbe sul suo letamaio (Job. II, 8): non è contento? Mi domandate perché non si lascia andare alla disperazione? Perché ha la carità nell’anima e sottomettendosi alla volontà di Dio, acquista meriti pel cielo. Vedete ancora il santo Tobia che divien cieco dando sepoltura ai morti (Tob. II, 11): non si dispera ed è tranquillo. Perché questa tranquillità? sa di fare la volontà di Dio, e di glorificarlo in questo stato… Poi chi ha la carità non è avaro, e non cerca d’ammassare beni di questo mondo. Lavora perché Dio lo vuole, ma senza attaccarsi al lavoro, né al desiderio di accumulare per l’avvenire; si riposa con fiducia nella Provvidenza, la quale mai abbandona chi l’ama. Regnando la carità nel suo cuore, tutte le cose della terra sono nulla per lui: vede che tutti coloro che corron dietro ai beni del mondo sono i più infelici. Per suo conto, impiega, quanto può, in opere buone, per redimere i suoi peccati e meritarsi il cielo. È caritatevole verso tutti, e non ha preferenze per alcuno: tutto il bene che fa, lo fa in nome di Dio. Assiste il povero bisognoso, sia amico o nemico. Egli imita S. Francesco di Sales, che allorché non poteva fare che una sola elemosina la offriva a chi gli aveva fatto qualche affronto, piuttosto che a chi gli aveva reso servigi. La ragione di questa condotta è che tale azione era a Dio assai più accetta. Se avete la carità, non esaminate mai se quelli ai quali date, vi hanno fatto alcun torto, o vi hanno talvolta ingiuriato; se sono buoni o no. Vi domandano a nome di Dio: date. Ecco quanto bisogna fare perché le vostre elemosine sian degne di ricompensa. Leggiamo nella vita di S. Ignazio, che un giorno, preoccupato da un affare, rifiutò l’elemosina ad un povero. Ma bentosto corse dietro al povero per fargliela, e da allora promise al buon Dio di non mai rifiutare l’elemosina, quando gli fosse domandata in suo nome. Ma, penserete voi, se si dà a tutti i poveri, ben presto diventeremo poveri anche noi. Ascoltate quanto disse il santo Tobia al figliuol suo: “Non ritener mai il salario degli operai, pagali sempre la sera dopo il lavoro; e, quanto ai poveri, dà a tutti se lo puoi. Se hai molto, dà molto: se poco, dà poco: ma sempre di buon cuore; perché l’elemosina cancella i peccati e spegne le fiamme del purgatorio. „ (Tob. IV). Del resto possiam dire che una casa che dà ai poveri non cadrà mai in rovina, perché il buon Dio farà un miracolo piuttosto che permetterlo. Vedete S. Antonio che vende i suoi beni per darli ai poveri, e che va in un deserto, dove si abbandona interamente nelle mani della Provvidenza. Vedete un S. Paolo eremita, un Alessio che si spogliano completamente dei loro beni per condur vita povera e disprezzata (Ribadeneira). Vedete un S. Serapione, che non solo vende beni e vestiti, ma anche se stesso per riscattare un prigioniero (Vita dei Padri del deserto. S. Serapione il Sindonita). – Quanto siamo colpevoli, quando non facciamo l’elemosina, e disprezziamo i poveri, respingendoli, diciamo che sono fannulloni, che possono ben lavorare!… F. M., facciamo l’elemosina quanto possiamo, perché è la cosa che ci deve rassicurare al punto di morte; e se ne dubitate, leggete il Vangelo, dove Gesù Cristo ci parla del giudizio: ” Ebbi fame etc.. ,, (Matth. XXV). Volete lasciare dopo di voi figli buoni e felici? Date loro l’esempio d’essere elemosinieri e caritatevoli verso i poveri, vedrete un giorno come Dio li  benedirà. Questo aveva capito bene santa Bianca, quando diceva: “Figlio mio, saremo sempre abbastanza ricchi se amiamo il buon Dio, e procuriamo di far del bene ai fratelli. „ – Se abbiamo veramente la carità, questa virtù così cara a Dio, non ci comporteremo come i pagani, i quali fanno del bene a chi ne fa loro, o a quelli da cui ne sperano: ma faremo del bene al prossimo, solamente per piacere a Dio e soddisfare ai nostri peccati. Che ci siano riconoscenti o no, ci facciano del bene o del male, ci disprezzino o ci lodino, non ce ne deve importar affatto. Vi sono molti che operano con mire puramente umane; se hanno fatto un’elemosina, reso un servigio ad alcuno, e non sono ricambiati, si indispettiscono, e si rimproverano d’essere stati ingenui. Siete puro, avete fatto le vostre opere buone per Iddio, o pel mondo? Se le avete fatte per essere stimati e lodati dagli uomini, avete ragione di voler esser pagati con la riconoscenza: ma se le faceste solo per redimere i vostri peccati e piacere a Dio, perché lamentarvi? È da Dio solo che ne aspettate la ricompensa. Dovete piuttosto ringraziare il buon Dio di vedervi compensati con ingratitudine, perché la vostra ricompensa sarà più grande. Ah! quanto siamo fortunati! Perché avremo dato qualche piccola cosa, il buon Dio ci darà in cambio il cielo! Le nostre piccole elemosine ed i nostri piccoli servigi saranno dunque ben ricompensati. Sì, F. M., preferiamo sempre fare del bene a chi non potrà mai rendercelo, perché se ci vien reso arrischiamo di perderne il merito. – Volete sapere se avete la vera carità? Eccone il segno: Vedete a chi preferite di far l’elemosina o di render qualche servizio. Forse a coloro che vi han fatto alcun torto… od a coloro che vi sono attaccati, che vi ringraziano? Se a questi, non avete la virtù della carità, e nulla avete a sperare per l’altra vita: tutto il merito delle buone azioni è dunque perduto. (Far l’elemosina agli amici, render loro servigio, è una carità minore senza dubbio della prima, ma che non manca d’un certo merito, d’un certo diritto alla ricompensa nell’altra vita, purché sia fatta con intenzione soprannaturale). Sono persuaso che se volessi entrare nei particolari di tutti i difetti nei quali cadiamo a questo riguardo, non troverei quasi nessuno che abbia nell’anima questa virtù, così come la vuole Iddio. Per esser premiati del bene che facciamo al prossimo, cerchiamo solo Dio, e operiamo solo per Lui. – Quanto è rara questa virtù fra i Cristiani. Diciam meglio: è tanto difficile trovarla, come è difficile trovare dei santi. E perché meravigliarsi? Dove sono quelli che la domandano a Dio, che fanno qualche preghiera o qualche opera buona per ottenerla? Quanti hanno già raggiunto i venti ed anche i trent’anni, e non l’hanno domandata? La prova ne è convincente. L’hanno domandata coloro che hanno solo vedute umane? Vedete voi stessi quale ripugnanza sentite di far subito del bene a chi vi ha fatto qualche torto od ingiustizia. Non conservate un certo rancore, od almeno freddezza a suo riguardo? A mala pena lo salutate, ed acconsentite di parlargli come fate con ogni altro. Ahimè! mio Dio! quanti Cristiani conducono una vita tutta pagana, eppur si credono buoni Cristiani: aihmè! come si troveranno disillusi quando il buon Dio farà loro vedere che cos’è la carità, e le qualità che doveva avere per render meritorie le loro azioni. – Non è necessario mostrarvi che una persona che ha la carità è libera dal vizio infame dell’impurità, perché una persona che ha la fortuna d’aver questa preziosa virtù nell’anima, è talmente unita al buon Dio, ed agisce secondo la sua santa volontà, che il demonio dell’impudicizia non può entrare nell’anima sua. Il fuoco dell’amor divino infiamma talmente il cuore di lei, l’anima ed i sensi tutti, che resta sicura dagli assalti del demonio dell’impurità. Sì, F. M., possiamo dire che la carità rende una persona pura in tutti i suoi sensi. O felicità ineffabile, chi ti comprenderà mai ?… La carità non è invidiosa: non soffre tristezza pel bene che può capitare al prossimo, sia nello spirito, sia nel corpo. Non vedrete mai chi ha la carità rattristarsi perché un altro riesce meglio di lui, o perché più amato, più stimato. Lungi dall’affliggersi della fortuna del suo prossimo, ne benedice il Signore. Ma, mi direte, non sono afflitto che il mio prossimo faccia bene i suoi affari, che sia ricco, felice. — Convenite però con me che sareste più contenti, se questo capitasse piuttosto a voi che a lui. — Sì, certamente. — Ebbene! se è così, non avete la carità quale il buon Dio vuole che l’abbiate, come vi comanda, e per piacergli… Chi ha la carità non è soggetto alla collera, perché S. Paolo ci dice che la carità è paziente, buona, dolce con tutti (1 Cor. XIII, 4). Vedete come siamo ben lontani dall’aver questa carità. Quante volte per un nulla ci affliggiamo, mormoriamo, ci adiriamo, parliamo con arroganza e stiamo in collera per più giorni!… — Ma, mi direte, è il mio modo di parlare: non sono adirato per questo. — Dite allora piuttosto che non avete la carità, che è paziente, dolce; e che non agite da buon Cristiano. Ditemi, se aveste la carità nell’anima, non sopportereste forse con pazienza, ed anche con piacere, una parola che si dice contro di voi, un’ingiuria, od anche un piccolo torto che vi si fa? — Egli intacca la mia riputazione. — Ahimè! amico mio, qual buona stima volete si abbia di voi dopo che tante volte l’avete demeritata?… Non dobbiamo considerarci fin troppo fortunati che ci si sopporti tra le creature, dopo che abbiam trattato così indegnamente il Creatore?… Ah! F. M., se avessimo questa carità, saremmo sulla terra quasi come i Santi in cielo! Chi, dunque, sa donde ci vengono tutti questi affanni che proviamo gli uni e gli altri; e perché tanti nel mondo soffrono ogni sorta di miserie? Tutto questo è perché non abbiamo carità. Sì, F. M., la carità è una virtù così bella, rende tutto ciò che facciamo così accetto al buon Dio, che i santi Padri non sanno quali frasi adoperare per farcene conoscere tutta la bellezza ed il valore. La assomigliano al sole, che è il più bell’astro del firmamento, e dà agli altri tutto il loro splendore e la loro beltà. Al pari di esso, la virtù della carità comunica a tutte le altre virtù la loro bellezza e purezza, e le rende meritorie ed infinitamente più care a Dio. La assomigliano al fuoco, che è il più nobile ed attivo di tutti gli elementi. La carità è la virtù più nobile ed attiva di tutte: porta l’uomo a disprezzare tutto ciò che è vile e  spregevole e di poca durata, per non attaccarsi che a Dio solo ed ai beni che non periranno mai. La assomigliano ancora all’oro, il più prezioso dei metalli, e che forma l’ornamento e la bellezza di quanto abbiamo di prezioso sulla terra. La carità forma la bellezza e l’ornamento di tutte le altre virtù: il più piccolo atto di dolcezza o di umiltà, fatto con la carità nel cuore , è d’un pregio che sorpassa quanto possiamo pensare. Dio ci dice nella sacra Scrittura (Cant. IV, 9) che la sua sposa. gli aveva ferito il cuore con uno de’ suoi capelli; per farci comprendere che la minima opera buona fatta con amore, con la carità nell’animo, gli è tanto cara, che gli trapassa il cuore. La minima azione, per quanto piccola, gli è sempre accetta, niente infatti vi è di così piccolo come i capelli del capo. O bella virtù! quelli che ti possiedono quanto sono felici; ma, ahimè, quanto son rari! … I Santi la assomigliano ancora alla rosa, che è il più bello di tutti i fiori, ed il più odoroso. Similmente, ci dicono, la carità è la più bella delle virtù: il suo profumo arriva fino al trono di Dio. Diciam meglio: la carità ci è tanto. necessaria per piacere a Dio e render tutte le nostre azioni meritorie; quanto l’anima nostra è necessaria al nostro corpo. Una persona che non ha la carità nel cuore è un corpo senz’anima. Sì, F. M., è la carità che sostiene la fede e la ravviva: senza la carità, questa è morta. La speranza, come la fede, non è che una virtù languente, che senza la carità non durerà a lungo.

II. — Comprendiamo ora, F. M., il valore di questa virtù, e la necessità di possederla per salvarci. Abbiamo almeno premura di domandarla tutti i giorni a Dio, poiché senza di essa non facciamo nulla per la nostra salute. Possiamo dire che quando la carità entra in un cuore, vi porta con sé tutte le altre virtù; essa purifica e santifica tutte le nostre azioni; essa perfeziona l’anima; essa rende le nostre opere degne di meritare il cielo. Sant’Agostino ci dice che tutte le virtù sono nella carità, e la carità è in tutte le virtù. È la carità, ci dice, che conduce le nostre azioni a termine, e dà loro accesso presso Dio. S. Paolo, che fu ed è ancora il luminare del mondo, tanta è la confidenza e la stima che aveva di questa virtù, da dirci che essa sorpassa tutti i doni del cielo. Scrivendo ai Corinti, esclama: “Quand’anche parlassi la lingua degli Angeli, se non ho la carità, sono simile ad un cembalo risonante, il quale non dà altro che suono. Quand’anche avessi il dono della profezia e tanta fede da poter trasportare le montagne da un luogo ad un altro, se non ho la carità, sono un nulla. Quand’anche distribuissi tutto il mio ai poveri, ed abbandonassi il mio corpo alle sofferenze, tutto questo non mi servirebbe a nulla se non ho la carità nel cuore, e se non amo il prossimo come me stesso „ Comprendete ora, F. M., quale necessità abbiamo di domandare a Dio con tutto il cuore questa incomparabile virtù, poiché tutte le altre sono nulla senza di essa? – Ne volete un bell’esempio? Vedete Mosè: quando suo fratello Aronne e sua sorella Maria, mormorarono contro di lui, il Signore li punì; ma vedendo Mosè sua sorella ricoperta di lebbra in pena della sua ribellione: O Signore! disse, perché punite mia sorella? sapete bene che giammai v’ho domandato vendetta; perdonatele, di grazia. Perciò lo Spirito Santo ci dice che egli era il più dolce degli uomini che fossero allora sulla terra (Num. XII – Act. VII, 59). Ecco, F. M., un fratello che ha veramente la carità nel cuore, poiché si affligge di veder punita la sorella. Ditemi, se vedessimo punito qualcuno che ci ha fatto qualche oltraggio, faremmo noi come Mosè? ci affliggeremmo noi, domanderemmo al buon Dio di non punirlo? Ahimè! quanto sono rari quelli che hanno nell’anima questa carità di Mose! F. M. Ma, mi direte, quando ci si fanno delle azioni che non meritiamo, è ben difficile amarne gli autori. — Difficile F. M.?… Vedete S. Stefano: mentre lo si uccide a colpi di pietre, alza le mani e prega Iddio di perdonare ai carnefici, che gli tolgon la vita, il peccato che commettono (Act.).— Ma, pensate voi, S. Stefano era un Santo. — Era un Santo, F. M.? Ma se non siamo santi, è gran disgrazia per noi: bisogna che lo diventiamo; e sino a quando non avremo la carità nel cuore, non diventeremo mai santi. Quanti peccati, F. M., si commettono contro l’amor di Dio e del prossimo! Desiderate sapere quanto spesso pecchiamo contro l’amore che dobbiamo a Dio? – L’amiamo noi con tutto il nostro cuore? Non gli abbiam spesso preferito i parenti, gli amici nostri? Per andare a visitarli senza necessità non abbiam sovente tralasciato le funzioni, i vespri, il catechismo, la preghiera della sera? Quante volte avete fatto tralasciar le orazioni ai vostri figli, per timore di far loro perdere qualche minuto? Ahimè! Per guidar al pascolo le vostre gregge?… Mio Dio! qual preferenza indegna!… Quante volte abbiamo tralasciato anche noi le preghiere nostre: o le abbiam recitate stando a letto, vestendoci, camminando? Ci siamo dati cura di riferire a Dio tutte le nostre azioni. tutti i nostri pensieri, desiderii? Ci siamo consacrati a Lui dall’uso della ragione, e gli abbiamo dato quanto avevamo? S. Tommaso ci dice che i padri e le madri debbono aver gran cura di consacrare i loro figli a Dio, fin dall’età più tenera, e che, ordinariamente, i figli consacrati a Dio dai loro parenti, ricevono una grazia ed una benedizione particolarissima, che altrimenti non riceverebbero. Ci dice che se le madri avessero ben a cuore la salvezza dei loro figliuoli li offrirebbero a Dio prima che venissero al mondo. – Ho detto che quelli che hanno la carità ricevono con pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio tutto quanto può loro accadere, le malattie, le calamità, pensando che tutto questo ci ricorda che siamo peccatori, e la nostra vita quaggiù non è eterna… Noi pecchiamo ancora contro l’amor di Dio, quando stiamo troppo a lungo senza pensare a Lui. Quanti, ahimè! passano una parte ed anche la metà del giorno senza fare una elevazione del loro cuore verso Dio, per ringraziarlo di tutti i suoi benefizi, soprattutto di averli fatti Cristiani, di averli fatti nascere nel grembo della sua Chiesa, di averli preservati dall’essere morti in peccato. L’abbiamo ringraziato di tutti i Sacramenti che ha istituiti per la nostra santificazione, della nostra vocazione alla fede? L’abbiamo ringraziato di quanto ha fatto per la nostra salvezza, della sua Incarnazione, Passione e della sua Morte? Non abbiamo invece avuto indifferenza pel servizio di Dio, trascurando, sia di frequentare i Sacramenti, sia di correggerci, sia di ricorrere spesso alla preghiera? Non abbiam omesso di istruirci sul modo di comportarci per piacere al Signore? Quando abbiamo udito qualcuno bestemmiare il santo Nome di Dio, o veduto commettere altri peccati, non siamo stati indifferenti, come se ciò non ci riguardasse? Non abbiamo pregato senza gusto, senza intenzione di piacere a Dio; piuttosto per toglierci l’imbarazzo d’un dovere che ci incomba che per attirare le sue misericordie su di noi, e nutrire la povera anima nostra? Non abbiam passato il santo giorno di Domenica, accontentandoci della Messa, dei Vespri; senza fare alcun’altra preghiera, né la visita al Ss. Sacramento, né la lettura spirituale? Abbiamo provato disgusto quando dovemmo mancare alle funzioni? Abbiam procurato di supplirvi con tutte le preghiere che ci era possibile? Avete fatto perdere le funzioni ai vostri figli, ai domestici senza gravi ragioni?… Abbiam combattuto tutti quei pensieri di odio, di vendetta, di impurità? Per amare il buon Dio, F. M., non basta dire che lo si ama: bisogna, per ben assicurarci se è vero, vedere se osserviamo i suoi comandamenti, e li facciamo osservare a coloro, dei quali abbiamo la responsabilità davanti a Dio. Ascoltate nostro Signore: “In verità vi dico, non colui che dirà: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma colui che farà la volontà del Padre mio„ (Matth. VII,21). Noi amiamo Dio, quando cerchiamo di piacergli in tutto ciò che facciamo. Non si deve desiderare né la vita, né la morte; tuttavia, si può desiderare la morte per aver la felicità d’andare a Dio (Desìderium habens dissolvi, et esse cum Chriti, multo magis melius. Philipp, I, 3). S. Ignazio aveva un sì gran desiderio di veder Dio, che quando pensava alla morte, ne piangeva di gioia. Tuttavia, aspettando questa gran fortuna, diceva a Dio, che resterebbe sulla terra quanto voleva. Gli premeva tanto la salute delle anime, che un giorno, non potendo convertire un peccatore ostinato, andò ad immergersi fino al collo in uno stagno ghiacciato per ottenere da Dio la conversione di quel disgraziato. Andando a Parigi, un suo scolaro gli rubò in viaggio tutto il denaro che aveva. Ammalatosi costui a Rouen, il buon Santo fece il viaggio da Parigi a questa città, a piedi e senza scarpe, per ottenere la guarigione di chi gli aveva rubato tutto il denaro. Ditemi, M. F., non è questa carità perfetta? Certo pensate dentro di voi, che in questo caso era già molto l’aver perdonato. Eppur fareste la medesima cosa, se aveste la medesima carità di questo buon Santo. Se troviamo che sono così poche le persone che farebbero ciò, F. M., è perché assai poche hanno la carità nel cuore. Quanto è consolante poter amare Dio ed il prossimo, senza essere sapienti o ricchi! Abbiamo il cuore: esso basta per questo amore.Leggiamo nella storia che due solitari domandavano a Dio da lungo tempo, che volesse loro insegnare il modo di amarlo, e di servirlo a dovere, giacché non avevano abbandonato il mondo che per questo. Intesero una voce che disse loro d’andare ad Alessandria, dove dimoravano un uomo chiamato Eucaristo, e la sua moglie che si chiamava Maria. Costoro servivano Dio più perfettamente dei solitari, ed avrebbero loro insegnato come si doveva amarlo. Contentissimi di questa risposta, i due solitari si recano in fretta ad Alessandria. Arrivati, chiedono informazioni, durante parecchi giorni, ma senza poter trovare quelle due sante persone. Temendo che la voce li avesse ingannati, stavano per tornare al loro deserto, quando scorsero una donna sulla porta di sua casa. Le domandarono se non conoscesse per caso un uomo chiamato Eucaristo. “È mio marito, rispose ella. „ — “Voi dunque vi chiamate Maria? le dissero i solitari. „ — “Chi v’ha detto il mio nome? „ — “L’abbiam saputo, come quello di vostro marito, da una voce soprannaturale, e veniamo qui per parlarvi. „ Sulla sera arriva il marito, conducendo un piccolo gregge di montoni. I solitari corsero tosto ad abbracciarlo, e lo pregarono di dir loro qual fosse il suo metodo di vita. “Ah! padri miei, io non sono che un povero pastore. „ — “Non è questo che vi domandiamo, gli dissero i solitari; diteci come vivete, e come voi e vostra moglie servite il Signore. „ — “Padri miei, tocca a voi di dirmi che cosa occorra per servire il buon Dio: io non sono che un povero ignorante. „ — “Non importa! siam venuti da parte di Dio a domandarvi come lo servite. „ — “Poiché me lo comandate, ve lo dirò. Ebbi la fortuna d’aver una madre timorosa di Dio, che fin dalla mia infanzia mi raccomandò di tutto fare e tutto soffrire per amor di Dio. Io soffriva le piccole correzioni che mi erano fatte, per amor di Dio; riferivo tutto a Dio: al mattino, alzandomi, facevo la mia orazione e tutto il mio lavoro per amor suo. Per suo amore oggi ancora prendo il mio riposo ed il cibo, soffro la fame, la sete, il freddo e il caldo, le malattie e tutte le altre miserie. Non ho figli: vissi con mia moglie come con una sorella, e sempre in gran pace. Ecco tutta la mia vita e così quella di mia moglie. „ I solitari, ammirati di trovar anime così accette a Dio, gli domandarono se possedesse. “Io ho poco, ma questo piccolo gregge di montoni che mio padre mi lasciò è per me sufficiente, me ne avanza. Faccio tre parti della mia piccola rendita: ne do una parte alla Chiesa un’altra ai poveri, ed il resto serve a mia moglie ed a me. Mi nutro poveramente: ma non mi lamento mai; soffro tutto per amor di Dio. „ — “Avete dei nemici, gli chiesero i solitari? „ — “Ahimè, padri miei, chi non ne ha? Procuro di far loro tutto il bene che posso, cerco di far loro piacere in ogni circostanza, e mi sforzo di non far male a nessuno.„ A queste parole, i due solitari furon colmi di gioia per aver trovato un mezzo così facile di piacere a Dio e d’arrivare ad alta perfezione. Vedete, F. M., che per amare il buon Dio ed il prossimo non è necessario d’essere né sapienti né ricchi: basta cercare soltanto di piacere a Dio in tutto ciò che facciamo: di far del bene a tutti, ai cattivi come ai buoni, a quelli che lacerano la nostra riputazione, come a quelli che ci amano, e che prendiamo Gesù Cristo per nostro modello: vedremo quello che ha fatto per tutti gli uomini, e particolarmente pe’ suoi persecutori. Vedete come domanda perdono, misericordia per loro: li ama, offre per loro i meriti della sua Passione e Morte; promette loro il perdono. Se non abbiamo questa virtù della carità non abbiamo nulla: non siamo che larve di Cristiani. O ameremo tutti, anche i nostri più accaniti nemici, o saremo riprovati. Ah! F. M., poiché questa bella virtù viene dal cielo, rivolgiamoci adunque al cielo per domandarla, e siamo sicuri di ottenerla. Se possediamo la carità, tutto in noi piacerà a Dio, e con ciò ci assicureremo il paradiso. È la felicità che vi auguro.

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE – 2021 –

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La storia di Tobia che si legge nell’Officio divino a questa epoca, coincide spesso con questa Domenica. Sarà dunque cosa utile, continuare a studiare la Messa in relazione col biblico racconto. Tobia sarebbe vissuto, sembra, sotto il regno di Salmanasar, verso la fine del secolo VIII prima di Cristo, al tempo della deportazione degli Israeliti in Assiria. Come Giobbe, questo santo personaggio, diede prova di costanza e di fedeltà a Dio in mezzo a tutte le sue afflizioni. « Non abbandonò mai la via della verità, distribuendo ogni giorno quanto poteva avere ai fratelli e a quelli della sua nazione, che con lui erano in prigionia e, quantunque egli fosse il più giovane nella tribù di Nephtali, nulla di puerile riscontravasi nei suoi atti ». Il Salmo dell’Introito può essergli applicato, poiché parla di un adolescente che fin dai suoi più teneri anni ha camminato nella legge del Signore. Fino dagli anni della sua fanciullezza, dice la Sacra Scrittura, «Tobia osservava ogni cosa conformemente alla legge di Dio. Sposata una donna della sua tribù, per nome Anna, ne ebbe un figlio cui diede il proprio nome e al quale insegnò fin dall’infanzia a temere Iddio e ad astenersi da ogni peccato. Condotto prigioniero a Ninive, Tobia di tutto cuore si ricordò di Dio, visitando gli altri prigionieri e dando loro buoni consigli, consolandoli e distribuendo a tutti del proprio avere, secondo quello che poteva. Nutriva chi aveva fame, vestiva quelli che erano nudi, e seppelliva con cura quelli che erano morti o che erano stati uccisi». Dio permise che divenisse cieco, affinché la sua pazienza servisse di esempio alla posterità come quella del sant’uomo Giobbe. « Avendo sempre temuto il Signore fin dalla sua infanzia ed avendo osservato i suoi comandamenti, non si rattristò contro Dio per essere stato colpito da questa cecità, ma rimase fermo nel timore di Dio, rendendogli grazie tutti i giorni della sua vita ». « Noi siamo figli dei santi, soleva dire, e attendiamo quella vita che Dio deve dare a coloro che non hanno mai cambiato la loro fede verso di Lui ». E poiché sua moglie insultava alla sua disgrazia, Tobia proruppe in gemiti e cominciò a pregare con lagrime (Allel.), dicendo parole che sono identiche a quelle dell’Introito: «Tu sei giusto, Signore, tutti i giudizi tuoi sono equi e tutti i tuoi disegni sono misericordiosi. Ed ora, o Signore, trattami secondo la tua volontà ». E, parlando a suo figlio Tobia, disse: « Figlio mio, abbi sempre in mente Dio tutti i giorni della tua vita, e guardati bene dall’acconsentire ad alcun peccato. Fa’ elemosina dei tuoi beni e non distogliere il tuo volto dal povero. Sii caritatevole in quel grado che puoi e quello che ti dispiacerebbe fosse fatto a te, guardati bene dal farlo ad altri ». Questo precetto dell’amore di Dio e del prossimo e la sua attuazione sono inculcati dall’Epistola e dal Vangelo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, tutta l’anima tua e tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso» (Vang.). «Camminate in umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi a vicenda con carità, sforzandovi di mantenere l’unità di spirito nei vincoli della pace » (Ep.). Tobia mandò suo figlio presso Gabelo a Rages, sotto la guida dell’Arcangelo Raffaele. Per via, l’Angelo disse a Tobiolo di prendere un pesce che lo aveva voluto divorare e di serbarne il fegato per scacciare ogni specie di demoni e gli indicò inoltre il mezzo per prendere in moglie Sara, senza che il demonio, che aveva già uccisi i suoi primi sette mariti, potesse fargli del male. « Il demonio, spiegò l’Arcangelo, ha potere su coloro che nel contrar matrimonio bandiscono Dio dal loro cuore e ad altro non pensano se non a soddisfare la loro passione». L’Orazione prega Iddio di dare al suo popolo la grazia di evitare i contatti diabolici, « affinché possa con puro cuore essere unito a te solo che sei il suo Dio ». « Come figli di Dio, noi non possiamo, dissero Tobia e Sara, sposarci come pagani, che non conoscono Dio», e «pregarono insieme istantemente il Signore che ha fatto il cielo e la terra, il mare, le sorgenti ed i fiumi con tutte le creature che contengono ». E Dio « benedisse il loro matrimonio, come aveva benedetto quello dei patriarchi, affinché essi avessero dei figli della stirpe di Abramo » (Graduale). Tobia ritornò con Sara e guarì suo padre dalla cecità e questi allora intonò un cantico di ringraziamento, una specie di Benedictus o di Magnificat, nel quale scoprì le grandiose aspettative messianiche: « Gerusalemme tu castigata per le sue opere malvagie, ma essa brillerà di fulgida luce e si rallegrerà nei secoli dei secoli. Dai lontani paesi verranno verso lei le nazioni, portandole delle offerte e adoreranno in essa il Signore. Maledetti saranno coloro che la disprezzeranno e quelli che la bestemmieranno saranno condannati. Beati, continua egli, coloro che ti amano! Io sarò felice se qualcuno della mia stirpe sopravvivrà per vedere lo splendore di Gerusalemme. Le sue porte saranno di zaffiri e di smeraldi e tutta la cinta delle sue mura sarà di pietre preziose. Tutte le pubbliche piazze saranno lastricate di pietre bianche e pure e nelle strade si canterà: Alleluia. La rovina di Ninive è vicina, poiché la parola di Dio non resta senza effetto ». È questo il « cantico nuovo che troviamo nel Salmo del Graduale « Dio è fedele alla sua parola; Egli dissipa i progetti delle nazioni e rovescia i consigli dei principi. Beato il popolo che Egli ha scelto per suo retaggio. Palesa, o Signore, la tua misericordia su di noi, secondo la speranza che abbiamo posta in te ». E il Salmo del Communio aggiunge: « Dio ha infranto tutte le forze nemiche, i re superbi sono stati abbattuti e i loro eserciti distrutti. Offrite dunque sacrifizi di ringraziamento a questo Dio terribile », poiché, continua l’Offertorio, « Egli ha gettato uno sguardo favorevole sul popolo in favore del quale il suo Nome è stato invocato ». – Gerusalemme, ove il popolo di Dio regna e ove affluiscono tutte le nazioni per lodare il Signore, è il regno di Dio, è la Gerusalemme celeste. Tutti vi sono chiamati con una comune vocazione a formarvi « un solo corpo », la Santa Chiesa, che è una nuova creazione, dice S. Gregorio Magno, e che è animata da « un solo Spirito, una sola speranza, un solo battesimo e una sola fede in un solo Signore » (Epistola). È Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di David, che il « Dio unico e Padre di tutti gli uomini, ha fatto sedere alla sua destra fino al giorno in cui tutti i suoi nemici, vinti, saranno sgabello ai suoi piedi». Questo Dio « sia benedetto nei secoli dei secoli » (Epistola). – L’unità della nostra fede, del nostro battesimo e delle nostre speranze, come pure dello Spirito Santo, di Cristo e di Dio Padre, dice S. Paolo, fa a tutti noi un dovere di essere uniti dai vincoli della carità, sopportandoci a vicenda. Il comandamento di Dio di amare il prossimo è simile a quello che ci fa amare Dio, poiché è per amor suo che amiamo il prossimo. « Doppio è il comandamento, dichiara S. Agostino, ma una è la carità ». E per consolidare il suo insegnamento agli occhi dei farisei, Gesù Cristo dà loro, in un testo di David, una prova della sua divinità. Dobbiamo dunque, nella fede e nell’amore, essere uniti a Cristo Gesù. « Interrogato circa il primo comandamento, Gesù rivela il secondo, che non è inferiore al primo, facendo loro comprendere che lo interrogavano soltanto per odio, poichéla carità non è invidiosa » (I Cor. XIII, 4). Egli dimostra inoltre il suo rispetto per la Legge ed i Profeti. Dopo aver risposto, Cristo interrogò a sua volta, e dimostra che pur essendo figlio di David, ne è il Signore, essendo Egli il Figlio unico del Padre, e li spaventa dicendo che un giorno avrebbe trionfato su tutti coloro che si oppongono al suo regno, poiché Iddio farà dei suoi nemici sgabello ai suoi piedi. Con ciò dimostra la concordia e l’unione che esiste fra Lui e il Padre » (S. Giov. Crisostomo – Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXVIII: 137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]

Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secundum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Oratio

Oremus.
Da, quǽsumus, Dómine, populo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 1-6


“Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in sæcula sæculórum. Amen.”

[“Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi con carità scambievole, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un sol corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati a una sola speranza per la vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, che opera in tutti, che dimora in tutti. Egli sia benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.”]

LA VOCAZIONE.

Come sono solenni e dense di significato le poche battute con cui si apre il brano domenicale della Epistola agli Efesini! Vi scongiuro, — dice l’Apostolo, e perché lo scongiuro sia più efficace e commovente, si chiama prigioniero di Dio (in Dio), — a camminare degnamente in quella che è la vostra vocazione. E il pensiero corre subito alla «vocazione » di Cristiani, quali erano proprio e tutti i suoi primi, immediati lettori. C’è sotto alle parole dell’Apostolo, una grande, una nobilissima idea di questa vocazione cristiana. È Iddio che chiama i suoi figli dalle tenebre del paganesimo, dalla penombra della religione naturale, alla luce del Cristianesimo. Ogni Cristiano è un chiamato da Dio. Molti lo hanno dimenticato, lo dimenticano. Credono che l’essere Cristiani sia la cosa più naturale del mondo: che si nasca Cristiani come si nasce bimani o bipedi, che la vocazione sia un privilegio di pochi, e precisamente di quei pochi che si avviano al Sacerdozio, oppure entrano in un Monastero. Idee piccole e false. Dio ci ha chiamati, tutti e ciascuno, noi Cristiani alla Religione nostra, al Cristianesimo, al Vangelo che è e rimane una grazia! Ci vuole Lui Cristiani. Manda i Suoi apostoli a battezzarci, a istruirci, a convertirci. Nobilissima vocazione, perché Dio ci chiama nel Cristianesimo mercè del Battesimo, ci chiama ad essere suoi figlioli: «ut fili Dei nominemur et simus. » Basta pronunciare bene, sillabando, meditando, questa parola fili Dei, per capire l’altezza di questa dignità e la gravità degli obblighi che ne conseguono. Bisogna rendersi, in qualche modo, degni del nome e del carattere di figli, ricevuti nel Santo Battesimo, con la bontà delle opere. Bisogna vivere da figli di Dio; vivere veramente da buoni Cristiani. C’è qui tutto un programma, riassunto ancor più largamente nelle parole di un Santo Pontefice, grande anima romana e cristiana, San Leone Magno: — Riconosci, o Cristiano, la tua dignità, e, diventato partecipe della natura divina (non è forse il figlio della stessa natura del padre?) non volere con una condotta degenere tornare all’antica bassezza e viltà. — Sentiamola questa dignità di Cristiani oggi meglio d’allora, oggi dopo quasi duemila anni di esperienza, dopo che, con la loro vita, milioni di Santi e di Eroi, ci hanno mostrato che cosa può produrre di eroico il Vangelo in un’anima, in una società. Diventare Cristiani col Battesimo, oggi, vuol dire ricevere una eredità gloriosa di bene, inserirsi in una corrente luminosa, calda, satura di ciò che vi è al mondo di più sacro e più augusto. E ciò non toglie che ciascuno di noi abbia anche una vocazione, una destinazione, una destinazione provvidenziale in un altro senso. Perché ognuno è chiamato poi dal Padre a servirLo in modo speciale. Nella Casa del Padre, ci sono molte mansioni, o funzioni, come in tutte le case bene ordinate, e ciascuno ha la sua, e tutte sono materialmente diverse ma tutte sono spiritualmente belle e nobili, perché nulla è ignobile nella casa del Padre Celeste, Iddio. E noi dobbiamo stare al nostro posto, fedeli e valorosi come soldati che montano la guardia, e lavorano, e combattono, sapendo di contribuire veramente a una sola, grande vittoria: la vittoria di Dio.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXII: 12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.

[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]

Alleluja

Verbo Dómini cœli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja

[Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]


Ps CI: 2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. XXII: 34-46

“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisæi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisæis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogare”.

[“In quel tempo, accostandosi i Farisei a Gesù, avendo saputo com’Egli aveva chiusa la bocca ai Sadducei, si unirono insieme: e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il gran comandamento della legge? Gesù dissegli: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge, e i profeti. Ed essendo radunati insieme i Farisei, Gesù domandò loro, dicendo: Che vi pare del Cristo, di chi è egli figliuolo? Gli risposero: di Davide. Egli disse loro: Come adunque Davide in ispirito lo chiama Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, sino a tanto che io metta i tuoi nemici per sgabello ai tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come è Egli suo figliuolo? E nessuno poteva replicargli parola; né vi fu chi ardisse da quel dì in poi d’interrogarlo”.]

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’amore di Dio.

“Diliges Dominum Deum tuum.”

(Luc. x, 27).

Leggiamo nell’Evangelo, Fratelli miei, che un giovane presentatosi a Gesù Cristo, gli disse: “Maestro, che cosa bisogna fare per conseguire la vita eterna? „ Gesù Cristo gli rispose: ” Che cosa sta scritto nella Legge? „ — “Amerai il Signore Dio tuo, replicò il giovine, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze, ed il prossimo tuo come te stesso: tutto questo io lo faccio. „ — “Ebbene – soggiunsegli Gesù Cristo – va, vendi quanto hai, dallo ai poveri, ed avrai un tesoro in cielo. „ Questa espressione di Gesù: vendi quanto hai e dallo ai poveri, lo afflisse grandemente. Gesù Cristo voleva mostrargli che colle opere e non colle parole soltanto facciamo vedere se amiamo davvero Iddio. Se per amarlo, ci dice S. Gregorio, bastasse dire che lo si ama, l’amor divino non sarebbe tanto raro quanto lo è, perché non vi è nessuno che interrogato se ama il buon Dio, non risponda subito che lo ama con tutto il suo cuore: lo dirà il giusto ed anche il peccatore; il giusto lo dirà solo tremando, ad esempio di S. Pietro (Joann. XXI, 17); mentre il peccatore lo dirà forse con una franchezza che sembra persuaderne la sincerità; ma s’inganna assai, perché l’amor di Dio non consiste nelle parole, ma nelle opere (Joann. III, 18). Sì, F. M., amare Iddio con tutto il cuore è cosa tanto giusta, ragionevole, ed, in certo qual modo, naturale, che quelli di noi, la cui vita è più opposta all’amor del Signore, non lasciano però di pretendere e d’essere persuasi di amarlo. Perché tutti credono d’amar Dio, sebbene la loro condotta sia affatto contraria a quest’amore divino? Ah! F. M., perché tutti cercano la loro felicità, e solo questo amore può procurarla; perciò tutti vogliono persuadersi d’amare Iddio. Eppure, non v’è cosa tanto rara quanto questo amore divino. Vediamo adunque in che consista quest’amore, e come possiamo conoscere se amiamo Dio. – E per meglio intenderlo, consideriamo:

1°, da una parte, quanto Gesù Cristo ha fatto per noi;

2°, dall’altra, che cosa dobbiamo fare per Lui.

I. —  È  certissimo, F. M., che Dio ci ha creati per amarlo e servirlo. Tutte le creature della terra sono fatte per amare Iddio, perché, F. M., Dio ci ha dato un cuore, i cui desiderii sono così vasti e così estesi, che nessuna cosa è capace di saziarlo. E per sforzarci, in certo modo, a non attaccarci che a Lui, a non amare che Lui; perché, Egli solo, può farci contenti. Quand’anche possedesse l’universo intero, l’uomo non sarà mai pienamente soddisfatto: gli resterà sempre qualche cosa da desiderare, sicché nessuna cosa creata lo potrà mai saziare. Sì, noi siamo così persuasi d’esser creati per la felicità, che non cessiamo neppure per un istante della nostra vita dal cercarla, e dal fare quanto dipende da noi per procurarla. Da che deriva adunque che malgrado tutte le nostre ricerche, e fatiche, e cure, non ci troviamo ancora contenti? Ahimè! È perché non volgiamo i nostri sguardi o i movimenti del nostro cuore verso l’oggetto che solo è capace di colmare la vasta estensione dei nostri desideri, Dio solo. No, F. M., non potrete mai essere soddisfatti e pienamente felici, almeno quanto è possibile esserlo in questo mondo, se non disprezzate, almeno col cuore, le cose create per attaccarvi soltanto a Dio. Dobbiamo adunque rivolgere tutte le nostre cure ed i movimenti del cuore a non desiderare né cercare che Dio solo in quanto facciamo; altrimenti la nostra vita passerà nel cercare invano una felicità che non troveremo giammai. Ci siamo adunque ingannati sino ad ora; poiché, malgrado quanto abbiamo fatto per esser felici, non ci siamo riusciti. Credetemi, F. M., cercate l’amicizia di Dio, ed avrete trovato la vostra felicità. Mio Dio! come l’uomo è cieco di non amarvi; poiché Voi potete così bene soddisfare il suo cuore! Ma, F. M., per impegnarvi ad amare un Dio così buono, degno di essere amato, e capace di soddisfare tutti gli affetti del nostro cuore, diamo uno sguardo a quanto Egli ha fatto per noi; seguiamolo nel corso della sua vita mortale, e anche dopo la sua morte. – Vedetelo, F. M., dal momento della sua Incarnazione fino all’età di trent’anni: non sono grandi le prove del suo amore per noi? Che cosa ha fatto nell’Incarnazione? Si è fatto uomo come noi e per noi. Colla sua nascita ci ha elevati alla dignità più eminente, alla quale una creatura possa essere innalzata; è divenuto nostro fratello!… Ah, qual amore per noi! l’abbiamo mai compreso bene? Nella Circoncisione si è fatto nostro Salvatore, Mio Dio! quanto è grande la vostra carità!.. . Nella Epifania divenne nostra luce, nostra guida. Nella Presentazione al tempio, divenne nostro pontefice, nostro dottore: oh! che dico, F. M.? Si è offerto al Padre suo per redimerci tutti. Più tardi, cioè nella casa di S. Giuseppe, divenne nostro modello nell’amore e rispetto che dobbiamo ai nostri genitori e superiori. Dirò ancor più: ci ha mostrato che dobbiamo condurre una vita nascosta e sconosciuta al mondo, se vogliamo piacere a Dio suo Padre. Seguiamo Gesù Cristo nella sua vita pubblica, quanto ha fatto, tutto lo fece per noi: le sue preghiere, le sue lagrime, le sue veglie, i digiuni, le predicazioni, i viaggi, le conversazioni, i miracoli: sì, tutto questo è stato fatto per noi. Vedete, F. M., con quale zelo ci ha cercati, nella persona della Samaritana (Joann. IV, 6); vedete con quale tenerezza accoglie i peccatori, — e tutti siamo di questo numero — nella persona del figliuol prodigo; vedete con qual bontà si oppone alla giustizia del Padre suo, che vuol punirci nella persona della peccatrice.

2. Nella sua Passione, ahimè! quante ingiurie, quanti tormenti Egli ha sofferto? Fu legato, flagellato, accusato, condannato, ed infine crocifisso per noi. Non è Egli morto per noi in mezzo ad obbrobri e dolori ineffabili? – Ah! F. M., chi potrebbe comprendere quanto il suo buon cuore ha fatto per noi?… Entriamo più addentro nella piaga di questo Cuore pietoso. Sì, Gesù Cristo poteva soddisfare alla giustizia del Padre suo pei nostri peccati con una stilla del suo sangue, con una lagrima; che dico? con un solo sospiro: ma ciò che bastava a placare la giustizia del Padre suo, non bastava a soddisfare la tenerezza del suo Cuore per noi. E il suo amore per noi gli ha fatto soffrire anticipatamente nel giardino degli Ulivi i patimenti che doveva provare sulla croce. O abisso di amore d’un Dio per le sue creature!… Gesù Cristo si è accontentato di amarci sino alla fine? No, F. M., no. Dopo morto, la lancia, o meglio il suo amore, squarciò il suo Cuore divino per aprirci come un asilo, in cui andremo a ripararci e a consolarci nelle nostre pene, nei dolori, nelle miserie nostre. Ma proseguiamo ancora, F. M. Questo divin Salvatore vuole spargere per noi fino l’ultima goccia del suo sangue prezioso, per lavarci di tutte le nostre iniquità. Dopo espiati i nostri peccati di orgoglio coll’incoronazione di spine; col fiele e coll’aceto i peccati che abbiam la disgrazia di commettere colla lingua e che sono tanto numerosi; tutti i peccati d’impurità colla crudele e dolorosa flagellazione; tutti quelli commessi colle cattive azioni, colle piaghe dei piedi e delle mani; volle altresì espiare tutti i nostri peccati colla ferita al suo divin Cuore, perché dal cuore nascono tutti i peccati. O prodigio d’amore d’un Dio per le sue creature!… È stato offeso da noi e si lascia punire per noi; e sopra sé medesimo fa vendetta delle offese che gli abbiamo fatto!… Ahimè! se non fossimo ciechi come siamo, riconosceremmo che le nostre   mani veramente l’hanno immolato sulla croce! Ma, ancora una volta, F. M., io chiedo a voi, perché tanti prodigi d’amore? Ah! lo sapete: è per liberarci da ogni sorta di mali, e meritarci ogni sorta di beni nell’eternità. E se ciò non ostante torniamo ancora ad offenderlo, vediamo che è pronto a perdonarci, ad amarci, ed a ricolmarci di ogni bene se vogliamo amarlo. O quanto amore per creature così insensibili e così ingrate! Ma il suo amore va anche più lontano. Vedendo che la morte lo separava da noi, e volendo restare in mezzo a noi, fece un miracolo grande: istituì il gran Sacramento d’amore, in cui ci lascia il suo Corpo adorabile ed il suo Sangue prezioso per non abbandonarci più sino alla fine del mondo. Quale amore per noi, F. M., che un Dio voglia nutrire l’anima nostra colla propria sostanza e farci vivere della sua vita! – Per mezzo di questo grande ed adorabile Sacramento Egli si offre ogni giorno alla giustizia del Padre suo, soddisfa di nuovo pei nostri peccati, e ci attira ogni sorta di grazie. – Vedete altresì, F. M., questo tenero Salvatore, che morto per la nostra salvezza ci apre il cielo. Per condurvici tutti vuol essere Lui stesso il nostro Mediatore; Egli stesso presenta le nostre preghiere al Padre (Hebr. VII, 6), e chiederà grazia per noi ogni volta che sventuratamente cadremo in peccato. Egli, F. M., ci aspetta nel luogo della felicità, in quel soggiorno dove lo si ama sempre e non si pecca mai… – No, F.  M., voi non avete mai considerato bene quanto amore Dio ha verso di noi. Possibile viver solo per offenderlo, mentre amandolo possiamo esser felici? Se io vi domandassi: Amate voi Iddio? Senza dubbio, mi rispondereste che l’amate: ma non basta; bisogna darne la prova. Ma dove sono, F. M., queste prove che manifestano la sincerità del nostro amore per il buon Dio? Dove i sacrifici fatti per Lui? Dove le penitenze? Ahimè, il poco bene che facciamo, è in gran parte senza fervore, senza retta intenzione. Quante viste umane!… quante buone opere fatte per sola inclinazione naturale, e senza vera divozione! Ahimè, F. M., che miseria!…

II. — Ora, F. M., se volete sapere come possiamo conoscere se amiamo davvero Iddio, ascoltate bene quanto sono per dirvi, poi giudicherete voi stessi se veramente l’amate. Ecco quanto ci dice Gesù Cristo medesimo: ” Chi mi ama osserva i miei comandamenti (Joan, XIV), ma chi non mi ama non li osserva. „ Vi è quindi facile sapere se amate il Signore. I comandamenti di Dio, e la sua volontà, F. M., non sono che la medesima cosa. Vi ordina e vuole che adempiate esattamente tutti i doveri del vostro stato, con intenzioni pure e rette, senza malumore, impazienza, negligenza, frodi contro la verità o la buona fede. Dobbiamo avere un amore generoso verso il buon Dio, amore che ci faccia preferire la morte alla infedeltà. Di ciò, F. M., ne abbiamo esempi all’infinito in tutti i Santi, e specialmente nei martiri, dei quali molti si lasciarono tagliare a pezzi, piuttosto che cessare d’amar Dio. Eccone un bell’esempio nella persona della casta Susanna ~Dan. XIII ~ . Andata un giorno al bagno, due vecchioni, giudici del popolo d’Israele, avendola vista, decisero di sollecitarla al peccato: la inseguirono, e le manifestarono il loro infame desiderio, del quale essa ebbe orrore. Alzando gli occhi ai cielo, disse: “Signore, sapete che vi amo, sostenetemi. „ — “Mi veggo in angustia d’ogni parte, disse ai vecchioni; siamo qui alla presenza di Dio, che ci vede: se ho la disgrazia d’acconsentire alla vostra passione vergognosa, non sfuggirò alla mano di Dio; Egli è il mio giudice, so che dovrò rendergli conto d’una azione così infame e peccaminosa. Se invece non acconsento ai vostri desideri, non sfuggirò al vostro rancore; veggo bene che mi farete morire: ma preferisco morire anziché offendere Dio. „ Quei miserabili, vedendosi così respinti, partirono incolleriti, e pubblicarono che Susanna era stata colta in adulterio, che essi avevano visto un giovane commettere del male con lei. Sventuratamente, ahimè! furono creduti, e sulla loro testimonianza fu condannata a morte. Mentre veniva condotta al supplizio, un fanciullo di dodici anni, il piccolo Daniele, gridò in mezzo alla folla: Che fai, popolo d’Israele; perché condanni il giusto? vi dichiaro ch’io non prendo parte al delitto che state per commettere, versando il sangue di questa innocente. „ Il giovine Daniele, avvicinatosi, disse: “Fate venire i due vecchi. „ Separatili l’uno dall’altro, li interrogò. Si contraddissero nelle loro parole in tal guisa, da non potersi dubitare che essi erano i colpevoli, e non Susanna: e ambedue furono condannati a morte. Così fa, F. M., chi ama il buon Dio, mostrando alla prova di amarlo veramente, di amarlo più di se stesso. Susanna non poteva darne segno più grande, poiché preferì la morte al peccato. Non v’ha dubbio che quando bastano delle parole per dire che si ama Dio, non costa fatica. Tutti credono d’amare Dio, ed osano persuadersene: ma se Dio li mettesse alla prova, quanto pochi avrebbero la fortuna di resistervi! Vedete ancora quanto accadde sotto il regno di Antioco (II Macc. VI). Questo tiranno crudele comandò ai Giudei, sotto pena di morte, di mangiare carne proibita dal Signore. Un santo vecchio di nome Eleazaro, che era vissuto nel timore e nell’amor di Dio, rifiutò coraggiosamente d’obbedire; e fu condannato a morte. “Non dipende che da te, dissegli un amico, il salvar la vita, come facemmo noi. Ecco della carne che non fu offerta agli idoli: mangiane; questa piccola dissimulazione calmerà il tiranno. „ Il santo vecchio rispose: “Credete ch’io sia tanto attaccato alla vita da preferirla all’amore che debbo al mio Dio? E quand’anche sfuggissi al furore del tiranno, credete ch’io possa sfuggire alla giustizia di Dio? No, no, amici miei, preferisco morire che offendere il mio Dio che amo più di me stesso. No, non si dirà mai che a novant’anni io abbia abbandonato il mio Dio e la sua santa legge. „ Mentre lo si conduceva al supplizio, ed il carnefice lo tormentava crudelmente, fu inteso esclamare: “Mio Dio, sapete ch’io soffro per voi. Sostenetemi; sapete che è perché vi amo: sì, mio Dio, per vostro amore io soffro! „ Tale fu il suo coraggio nel veder maltrattare e straziare il suo povero corpo. Ebbene, F. M., eccovi ciò che si chiama amare veracemente il Signore. Questo buon vecchio, che dà la sua vita con tanta gioia per Iddio, non si accontenta di dire che l’ama; ma lo mostra colle opere. Tutti noi, è vero, diciamo d’amare il buon Dio; ma quando tutto va a seconda dei nostri desideri, quando niente contraddice al nostro modo di pensare, di parlare e di agire. Quante volte una sola parola, un’aria di disprezzo, od anche solo di freddezza, un pensiero di rispetto umano non ci fanno abbandonare Dio? Ho detto, F. M., che se vogliamo dimostrare a Dio di amarlo, dobbiam compiere la sua santa volontà, la quale esige che siamo sottomessi, rispettosi coi nostri parenti, superiori e con tutti coloro che Dio pose sopra di noi per guidarci. La volontà di Dio è che i superiori dirigano i loro inferiori senza alterigia, senza asprezza: ma con carità e bontà, come vorremmo esser trattati noi; è volontà di Dio che siamo buoni e caritatevoli verso tutti; e se veniamo lodati, invece di crederci qualche cosa, pensiamo che veniam burlati, come ci dice benissimo S. Ambrogio: “Se veniamo disprezzati, non dobbiamo affliggerci, ma pensare che se si conoscesse bene che cosa siamo, si direbbe assai più male di noi, di quanto se ne dice. „ O come ci dice S. Giovanni: “Se ci insultano, è volontà di Dio che perdoniamo di buon cuore e subito: e che siam pronti a render servigio ogni volta se ne presenti l’occasione. „ È volontà di Dio che nei pasti non ci lasciamo andare alla intemperanza; che nelle conversazioni procuriamo di nascondere e scusare i difetti del prossimo, e che preghiamo per lui. È volontà di Dio che nelle nostre pene non mormoriamo, ma le sopportiamo con pazienza e rassegnazione; cioè Dio vuole che in tutto quello che facciamo ed in tutto quello che ci manda, ricordiamo che tutto viene veramente da Lui, e tutto è pel nostro bene, se sappiamo farne buon uso. Ecco, F. M., che cosa ci ordinano i comandamenti di Dio. Se amate Dio, come dite, voi farete tutto questo, vi comporterete in questo modo; altrimenti, potete ben dire d’amarlo: ma san Giovanni vi dice che siete menzogneri, e la verità non trovasi sulle vostre labbra (I Joan. II, 4) . Esaminiamo, F. M., la nostra condotta e la vita nostra, e vediamo minutamente tutte le nostre azioni. Non bisogna fermarsi ai buoni pensieri, ai buoni desideri ed agli affetti sensibili che proviamo, come ad esempio quando ci sentiam commossi leggendo un libro buono, od ascoltando la parola di Dio e facciamo ogni sorta di belle risoluzioni: questo non è che illusione, se poi non ci impegniamo a fare quanto Dio ci ordina coi suoi comandamenti, e se non evitiamo quanto ci proibisce. Vedete, F. M., come siete in contraddizione con voi stessi. Mattina e sera giungendo le mani per pregare, voi dite: “Mio Dio, vi amo con tutto il mio cuore e sopra ogni cosa; „ credete di dir la verità? Eppure alcuni momenti dopo le mani vostre sono occupate nel rubare al prossimo, o forse in qualche azione vergognosa. Quante volte non avete adoperato queste mani a riempirvi di vino ed abbandonarvi alle gozzoviglie; questa stessa bocca che ha pronunciato un atto d’amor di Dio, eccola, appena presentasi l’occasione, imbrattarsi con bestemmie, delazioni, maldicenze, calunnie, ed ogni sorta di discorsi che offendono o disonorano quello stesso Dio, al quale avete detto che l’amate con tutto il vostro cuore. Ahimè! F. M., diciamo di amare Dio con tutto il cuore! dove sono le prove che ci assicurano esser vero quanto diciamo? Si dice comunemente che i veri amici si conoscono nell’occasione: è vero, che occorrono delle prove per sapere se gli amici sono sinceri; lo si comprende facilmente. Infatti, se vi dicessi che sono vostro amico, e non facessi niente per mostrarvelo, al contrario facessi mille cose per farvi dispetto; se in tutte le occasioni in cui potessi attestarvi il mio attaccamento, non vi dessi che segni di avversione, voi non vorreste credere che vi amo, sebbene ve l’abbia detto di frequente; altrettanto, F. M., riguardo a Dio. Potete ben dirgli cento volte al giorno: “Mio Dio, vi dono il mio cuore; „ non basta. Bisogna dargliene le prove in quanto facciamo ogni giorno, perché non ve n’ha alcuno in cui non siamo obbligati a fare qualche sacrificio pel buon Dio, se non vogliamo offenderlo, e se vogliamo amarlo. Quante volte il demonio ci manda pensieri d’orgoglio, di odio, di vendetta, d’ambizione, di gelosia; moti di collera e d’impazienza; quanti pensieri o desideri contro la santa virtù della purità! ed altre volte, quanti pensieri e desideri d’avarizia! Ahimè! il nostro miserabile corpo ci porta senza posa al male, mentre la voce della coscienza e le ispirazioni della grazia ci spingono al bene. Ebbene! F. M., ecco che cos’è piacere a Dio, amarlo: è combattere, resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni. Ecco come daremo le prove dell’amore che abbiamo per Iddio: ecco quanto ci metterà nella disposizione continua di tutto sacrificare piuttosto che offenderlo. Dite di amare Dio, od almeno che desiderate di amarlo: siete un bugiardo. Perché adunque lasciate entrare nel vostro cuore quel pensiero di orgoglio? perché vi abbandonate a quelle mormorazioni, a quelle gelosie, a quelle maldicenze, a quelle compiacenze di voi stesso? Perché siete un ipocrita. Voi ne siete spiacenti; lo credo: voi ne sarete ben afflitti… Ahimè! quanto pochi amano Dio!… Diciamolo, a disonore del Cristianesimo, quasi nessuno lo ama di questo amore di preferenza, sempre pronto a sacrificare tutto per piacergli, e sempre timoroso di offenderlo. Vedete, F. M., come si diportò S. Eustachio con tutta la sua famiglia; vedete la sua costanza ed il suo amore per Iddio. Si narra nella sua vita ~ Ribadeneira  20 sett.~ che trovandosi alla caccia inseguiva un cervo di straordinaria grandezza: slanciatosi su d’una roccia e cercando il mezzo di raggiungerlo, scorse tra le sue corna un bel crocifisso, che gli disse d’andare a ricevere il battesimo e ritornare, che gli farebbe conoscere quanto doveva soffrire per suo amore; che perderebbe i beni, la riputazione, la moglie, i figli, e finirebbe coll’essere arso vivo. S. Eustachio ascoltò tutto questo senza la minima paura o ripugnanza, e senza fare alcun lamento. Infatti, poco dopo scoppiò la peste nelle sue gregge e nei suoi schiavi, non risparmiandone neppur uno. Tutti cominciavano a fuggirlo, e nessuno voleva dargli aiuto. Vedendosi ridotto così misero e disprezzato, decise d’andare in Egitto, dove aveva ancora qualche possedimento. Egli e la sua consorte presero per mano i loro bambini e si affidarono alla provvidenza di Dio. Passato il mare, il padrone della nave in pagamento del viaggio si ritenne la moglie di Eustachio, e lasciati il padre ed i figli a terra, fece vela per altri lidi. Ecco S. Eustachio privato di una delle sue maggiori consolazioni. Sopportando tutto, senza mai lamentarsi della condotta di Dio a suo riguardo, ci dice l’autore della sua vita, prese un piccolo crocifisso tra le sue mani, e baciandolo rispettosamente continuò la sua via. Un po’ più avanti dovette attraversare un fiume abbastanza largo ecc…. Questo, M. F., possiamo chiamare amore vero, poiché nulla è capace di separare Eustachio da Dio. Aggiungo inoltre, F. M., che se amiamo davvero il buon Dio, dobbiam desiderare grandemente di vederlo amato da tutti. Ne abbiamo un bell’esempio nella storia, esso ci offre una bella scena di amore per Iddio. Fu vista nella città di Alessandria, una donna che teneva in una mano un vaso pieno d’acqua, e nell’altra una fiaccola accesa. Quelli che la osservarono, stupiti le chiesero che cosa pretendeva fare con quell’apparato. Vorrei, rispose essa, con questa fiaccola incendiare il cielo e tutti i cuori degli uomini, e coll’acqua spegnere il fuoco dell’inferno, affinché d’ora innanzi non si amasse più il buon Dio per la speranza della ricompensa, o per timore del castigo riservato ai peccatori: ma unicamente perché Egli è buono e degno d’essere amato. „ Bei sentimenti, F. M., degni della grandezza d’un’anima che conosce che cosa è Dio, e come Egli merita tutti gli affetti del nostro cuore. – Si racconta nella storia dei Giapponesi, che quando si annunciava loro il Vangelo, e venivano istruiti intorno a Dio, specialmente quando si insegnavano loro i grandi misteri della nostra santa Religione, e tutto ciò che Dio ha fatto per gli uomini; un Dio che nasce in una povera stalla, vien disteso su d’un po’ di paglia nei rigori dell’inverno, un Dio che patisce e muore sopra una croce per salvarci: erano così sorpresi da tante meraviglie che Dio aveva fatto per la nostra salvezza, che si udivano esclamare in un trasporto d’amore: “Oh! come è grande! oh, come è buono! oh, come è amabile, il Dio dei Cristiani! „ E quando poi si diceva loro che v’è un comandamento che ordinava d’amare Dio, e li minacciava di castighi se non l’amavano, ne eran talmente stupiti, che non potevan riaversi dal loro sbalordimento. “Ecchè! dicevano, fare ad uomini ragionevoli un precetto d’amare un Dio che tanto ci ha amati?… ma non è la più gran fortuna l’amarlo, e la più gran disgrazia il non amarlo? Ecchè! dicevano ai missionari, i Cristiani non sono sempre ai piedi degli altari del loro Dio, penetrati della grandezza di sua bontà, e tutti infiammati del suo amore? „ E quando sentivano che non solo v’era chi non l’amava, ma anche chi l’offendeva: “O popolo ingiusto! popolo barbaro! Esclamavano con indignazione; è possibile che vi siano Cristiani capaci di tale oltraggio verso un Dio così buono? In qual terra maledetta adunque abitano questi uomini senza cuore e senza sentimento?„ – Ahimè! dal tratto che adoperiamo verso Dio, non ci meritiamo purtroppo che questi rimproveri! Sì, F. M., verrà giorno che le nazioni lontane e straniere faranno testimonianza contro di noi, ci accuseranno e condanneranno dinanzi a Dio. Quanti Cristiani passano la vita senza amare Dio! Ahimè! forse ne troveremo al giorno del giudizio molti che non avranno dato neppure un sol giorno tutto intero al buon Dio. Ahimè! quale sventura!… S. Giustino ci dice che l’amore ha ordinariamente tre effetti. Quando amiamo alcuno, pensiamo spesso e volentieri a lui, ci diamo volentieri per lui, e soffriamo per lui: ecco, F. M., quanto dobbiamo fare pel buon Dio, se l’amiamo davvero.

1° Dobbiamo pensare spesso a Gesù Cristo. Niente è più naturale che pensare a chi si ama. Vedete un avaro: non è occupato che de’ suoi beni o del mezzo di aumentarli; solo od in compagnia, niente è capace di distrarlo da questo pensiero. Ecco un libertino: la persona che è l’oggetto del suo amore, è continuamente con lui, come il respirare: vi pensa tanto, che il suo corpo ne è spesso così affranto, che si ammala. Oh! se avessimo la fortuna di amare tanto Gesù Cristo, quanto un avaro ama il suo denaro o le sue terre, un ubriacone il vino, un libertino l’oggetto della sua passione, non saremmo noi continuamente occupati dell’amore e delle grandezze di Gesù Cristo? Ahimè, M. F., ci occupiamo di mille cose che, quasi tutte, terminano in nulla: quanto a Gesù Cristo, passiamo delle ore e dei giorni interi senza ricordarci di Lui, ovvero ci ricordiamo così languidamente da credere appena a quanto pensiamo. Mio Dio, perché non siete amato? Eppure, M. F., fra i nostri amici ve n’ha forse alcuno più generoso, più benefico di Lui? Ditemi: se avessimo pensato bene che, ascoltando il demonio, il quale ci trascinava al male, abbiamo grandemente afflitto Gesù Cristo, l’abbiam fatto morire una seconda volta, avremmo noi avuto questo coraggio?… non avremmo invece detto: Come potrei offendervi, mio Dio, Voi che ci avete tanto amati? Sì, mio Dio, giorno e notte il mio spirito ed il mio cuore non saranno occupati che di Voi.

2° Se amiamo davvero il buon Dio gli daremo quanto è in nostro potere di dargli, e con grande piacere. Se abbiamo beni, facciamone parte ai poveri; è come se si desse a Gesù Cristo in persona; è Lui che ci dice nel Vangelo: “Quanto darete al minimo dei miei, cioè ai poveri, lo considero come dato a me stesso ~Matt. XXV, ~ . „ Qual felicità, M. F., per una creatura, potere esser liberale verso il suo Creatore, il suo Dio, il suo Salvatore! Non solamente i ricchi possono dare; ma tutti i Cristiani, anche i più poveri. Non tutti abbiamo dei beni per darli a Gesù Cristo nella persona dei poveri; ma tutti abbiamo un cuore, ed è proprio di questa offerta che Egli è più geloso: è questo che Egli domanda con tanta insistenza. – Ditemi, F. M., potremmo rifiutargli ciò che Egli ci domanda con tante istanze, Egli che ci ha creati per sé? Ah! se vi pensassimo bene, non diremmo al divin Salvatore: ” Signore, sono un povero peccatore, abbiate pietà di me: eccomi tutto per voi? „ Come saremmo fortunati se facessimo questa offerta universale al buon Dio! quanto sarebbe grande la nostra ricompensa!…

3° Ma tuttavia il miglior segno d’amore che possiamo dare al buon Dio, è il soffrire per Lui; perché, se ben consideriamo quanto Egli ha sofferto per noi, non potremo esimerci dal soffrire tutte le miserie della vita, le persecuzioni, le malattie, le infermità, la povertà. Chi non si sentirà commuovere alla vista di tutto quello che Gesù Cristo ha sofferto durante la sua vita mortale? Quanti oltraggi non gli fanno patire gli uomini colla profanazione dei Sacramenti, col disprezzo della sua santa Religione, che tanto gli costò per stabilirla? Qual cecità, M. F., non amare un Dio così amabile, e che cerca, in tutte le cose, solo il nostro bene! Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di santa Maddalena, divenuta celebre in tutta la Chiesa pel suo grande amore a Gesù Cristo ~ XXVI, 18 ~ . Una volta datasi a Lui, non l’abbandonò più; non solo col cuore, ma anche realmente, seguendolo nei viaggi, soccorrendolo del suo, ed accompagnandolo sino al Calvario. Ella fu presente alla sua morte, preparò gli aromi per imbalsamarne la salma e di buon mattino accorse al sepolcro ~Joan. XX ~ . Non trovandovi più il corpo di Gesù Cristo, si lamenta col cielo e colla terra; supplica gli Angeli e gli uomini di dirle dove sia il suo Salvatore: perché vuol trovarlo a qualunque costo. Il suo amore era così ardente che può ben dirsi essere stato impossibile a Gesù Cristo il nascondersi; perché essa aveva pensato soltanto a Lui, Lui solo aveva desiderato, Lui solo voluto; per ella ogni altra cosa è nulla; non ebbe né rispetto umano, né timore d’esser disprezzata o derisa: abbandonò tutti i suoi averi, calpestò gli ornamenti ed i piaceri per stare al seguito del suo diletto: tutto il resto non fu più nulla per lei. Ascoltate ancora la lezione che ci dà S. Domenico ~Ribad.  4 Agosto ~ Questo santo patriarca, che dall’amore di Dio sentiva soddisfatti tutti i suoi desideri, dopo aver predicato tutto il giorno, passava le intere notti in contemplazione: si credeva di già in cielo, e non sapeva comprendere come si possa vivere senza amare Dio, poiché in ciò è riposta tutta la nostra felicità. Un giorno che fu preso dagli eretici, Dio fece un miracolo per salvarlo dalle loro mani. “Che avreste fatto, gli disse un amico, se avesser voluto uccidervi? „ — Ah! li avrei scongiurati di non farmi morire d’un tratto, ma di tagliarmi a pezzettini; poi di strapparmi la lingua e gli occhi; e, dopo aver immerso il resto del mio corpo nel mio sangue, di tagliarmi la testa. Li avrei pregati di non lasciare alcuna parte del mio corpo senza sofferenze. Ah! allora sì avrei avuto la fortuna di dire a Dio che veramente l’amo. Sì, vorrei esser padrone dei cuori di tutti gli uomini,  per farli tutti ardere d’amore.„ Qual linguaggio esce da un cuore ardente d’amore divino! In tutta la sua vita questo gran santo cercò il mezzo di morir martire, per mostrare a Dio che veramente l’amava. Vedete pure S. Ignazio martire, vescovo di Antiochia, ~ 1 febbraio ~ che fu condannato dall’imperatore Traiano ed esser esposto alle fiere. Provò tanta gioia udendo la sentenza che lo condannava ad essere divorato dalle fiere, che credé morirne di consolazione. Non aveva che un solo timore, questo, che i Cristiani gli ottenessero la grazia. Scrisse loro dicendo: “Amici miei, lasciate ch’io divenga la preda delle belve, e venga macinato come un grano del frumento di Dio per divenire pane di Gesù Cristo. Io so, amici miei, che m’è assai utile il soffrire; bisogna che i ferri, i patiboli, le belve feroci facciano strazio delle mie membra e stritolino il mio corpo, e che tutti i tormenti si riversino su di me. Tutto per me è buono, purché arrivi al possesso di Dio: ora ad amare Gesù Cristo; ora sono suo discepolo. Per le cose della terra ho soltanto disgusto, non sono affamato che del pane del mio Dio, che mi deve saziare durante l’eternità; non sono avido che della carne di Gesù Cristo, il quale non è che carità. „ Ditemi, M. F., si può trovare un cuore più in fiammato d’amor di Dio? Infatti fu divorato dai leoni, che lasciarono solo alcuni avanzi del suo corpo. Che devesi concludere da tutto questo, F. M., se non che ogni nostra felicità sulla terra è di attaccarci a Dio? Cioè, bisogna che in quanto facciamo, il buon Dio sia l’unico fine; poiché sappiamo tutti, per nostra esperienza personale, che nulla di creato è capace di renderci felici, che il mondo intero con tutti i suoi beni e piaceri non potrebbe soddisfare il nostro cuore. Non perdete di vista, F. M., che tutto ci abbandonerà. Verrà un momento in cui quanto abbiamo passerà in altre mani … Mentre se abbiamo la grande fortuna di possedere l’amore di Dio, ce Io porteremo in cielo, e sarà la nostra felicità in eterno. Amar Dio, non servir che Lui solo, e non desiderare che di possederlo: ecco la bella sorte che vi auguro di cuore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Dan. IX: 17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.

[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]

Secreta


Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúris.

[Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXV: 12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.

[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]

 Postcommunio

Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.

[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULL’AMORE DI DIO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’amore di Dio.

“Diliges Dominum Deum tuum.”

(Luc. x, 27).

Leggiamo nell’Evangelo, Fratelli miei, che un giovane presentatosi a Gesù Cristo, gli disse: “Maestro, che cosa bisogna fare per conseguire la vita eterna? „ Gesù Cristo gli rispose: ” Che cosa sta scritto nella Legge? „ — “Amerai il Signore Dio tuo, replicò il giovine, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze, ed il prossimo tuo come to stesso: tutto questo io lo faccio. „ — “Ebbene – soggiunsegli – Gesù Cristo va, vendi quanto hai, dallo ai poveri, ed avrai un tesoro in cielo. „ Questa espressione di Gesù: vendi quanto hai e dallo ai poveri, lo afflisse grandemente. Gesù Cristo voleva mostrargli che colle opere e non colle parole soltanto facciamo vedere se amiamo davvero Iddio. Se per amarlo, ci dice S. Gregorio, bastasse dire che lo si ama, l’amor divino non sarebbe tanto raro quanto lo è, perché non vi è nessuno che interrogato se ama il buon Dio, non risponda subito che lo ama con tutto il suo cuore: lo dirà il giusto ed anche il peccatore; il giusto lo dirà solo tremando, ad esempio di S. Pietro (Joann. XXI, 17); mentre il peccatore lo dirà forse con una franchezza che sembra persuaderne la sincerità; ma s’inganna assai, perché l’amor di Dio non consiste nelle parole, ma nelle opere (Joann. III, 18). Sì, F. M., amare Iddio con tutto il cuore è cosa tanto giusta, ragionevole, ed, in certo qual modo, naturale, che quelli di noi, la cui vita è più opposta all’amor del Signore, non lasciano però di pretendere e d’essere persuasi di amarlo. Perché tutti credono d’amar Dio, sebbene la loro condotta sia affatto contraria a quest’amore divino? Ah! F. M., perché tutti cercano la loro felicità, e solo questo amore può procurarla; perciò tutti vogliono persuadersi d’amare Iddio. Eppure non v’è cosa tanto rara quanto questo amore divino. Vediamo adunque in che consista quest’amore, e come possiamo conoscere se amiamo Dio. – E per meglio intenderlo, consideriamo:

1°, da una parte, quanto Gesù Cristo ha fatto per noi;

2°, dall’altra, che cosa dobbiamo fare per Lui.

I. —  È  certissimo, F. M., che Dio ci ha creati per amarlo e servirlo. Tutte le creature della terra sono fatte per amare Iddio, Perché, F. M., Dio ci ha dato un cuore, i cui desiderii sono così vasti e così estesi, che nessuna cosa è capace di saziarlo? E per sforzarci, in certo modo, a non attaccarci che a Lui, a non amare che Lui; perché, Egli solo, può farci contenti. Quand’anche possedesse l’universo intero, l’uomo non sarà mai pienamente soddisfatto: gli resterà sempre qualche cosa da desiderare, sicché nessuna cosa creata lo potrà mai saziare. Sì, noi siamo così persuasi d’esser creati per la felicità, che non cessiamo neppure per un istante della nostra vita dal cercarla, e dal fare quanto dipende da noi per procurarla. Da che deriva adunque che malgrado tutte le nostre ricerche, e fatiche, e cure, non ci troviamo ancora contenti? Ahimè! è Perché non volgiamo i nostri sguardi o i movimenti del nostro cuore verso l’oggetto che solo è capace di colmare la vasta estensione dei nostri desideri, Dio solo. No, F. M., non potrete mai essere soddisfatti e pienamente felici, almeno quanto è possibile esserlo in questo mondo, se non disprezzate, almanco col cuore, le cose create per attaccarvi soltanto a Dio. Dobbiamo adunque rivolgere tutte le nostre cure ed i movimenti del cuore a non desiderare né cercare che Dio solo in quanto facciamo; altrimenti la nostra vita passerà nel cercare invano una felicità che non troveremo giammai. Ci siamo adunque ingannati sino ad ora; poiché, malgrado quanto abbiamo fatto per esser felici, non ci siamo riusciti. Credetemi, F. M., cercate l’amicizia di Dio, ed avrete trovato la vostra felicità. Mio Dio! come l’uomo è cieco di non amarvi; poiché Voi potete così bene soddisfare il suo cuore! Ma, F. M., per impegnarvi ad amare un Dio così buono, degno di essere amato, e capace di soddisfare tutti gli affetti del nostro cuore, diamo uno sguardo a quanto Egli ha fatto por noi; seguiamolo nel corso della sua vita mortale, e anche dopo la sua morte. – Vedetelo, F. M., dal momento della sua Incarnazione fino all’età di trent’anni: non sono grandi le prove del suo amore per noi? Che cosa ha fatto nell’Incarnazione? Si è fatto uomo come noi e per noi. Colla sua nascita ci ha elevati alla dignità più eminente, alla quale una creatura possa essere innalzata; è divenuto nostro fratello!… Ah, qual amore per noi! l’abbiamo mai compreso bene? Nella Circoncisione si è fatto nostro Salvatore, Mio Dio! quanto è grande la vostra carità!.,. Nella Epifania divenne nostra luce, nostra guida. Nella Presentazione al tempio, divenne nostro pontefice, nostro dottore: oh! che dico, F. M,? si è offerto al Padre suo per redimerci tutti. Più tardi, cioè nella casa di S. Giuseppe, divenne nostro modello nell’amore e rispetto che dobbiamo ai nostri genitori e superiori. Dirò ancor più: ci ha mostrato che dobbiamo condurre una vita nascosta e sconosciuta al mondo, se vogliamo piacere a Dio suo Padre. Seguiamo Gesù Cristo nella sua vita pubblica, quanto ha fatto, tutto lo fece per noi: le sue preghiere, le sue lagrime, le sue veglie, i digiuni, le predicazioni, i viaggi, le conversazioni, i miracoli: sì, tutto questo è stato fatto per noi. Vedete, F. M., con quale zelo ci ha cercati, nella persona della Samaritana(Joann. IV, 6); vedete con quale tenerezza accoglie i peccatori, — e tutti siamo di questo numero — nella persona del figliuol prodigo; vedete con qual bontà si oppone alla giustizia del Padre suo, che vuol punirci nella persona della peccatrice.

2. Nella sua Passione, ahimè! quante ingiurie, quanti tormenti Egli ha sofferto? Fu legato, flagellato, accusato, condannato, ed infine crocifisso per noi. Non è Egli morto per noi in mezzo ad obbrobri e dolori ineffabili? – Ah! F. M., chi potrebbe comprendere quanto il suo buon cuore ha fatto per noi?… Entriamo più addentro nella piaga di questo Cuore pietoso. Sì, Gesù Cristo poteva soddisfare alla giustizia del Padre suo pei nostri peccati con una stilla del suo sangue, con una lagrima ; che dico? con un solo sospiro: ma ciò che bastava a placare la giustizia del Padre suo, non bastava a soddisfare la tenerezza del suo Cuore per noi. E il suo amore per noi gli ha fatto soffrire anticipatamente nel giardino degli Ulivi i patimenti che doveva provare sulla croce. O abisso di amore d’un Dio per le sue creature!… Gesù Cristo si è accontentato di amarci sino alla fine? No, F. M., no. Dopo morto, la lancia, o meglio il suo amore, squarciò il suo Cuore divino per aprirci come un asilo, in cui andremo a ripararci e a consolarci nelle nostre pene, nei dolori, nelle miserie nostre. Ma proseguiamo ancora, F. M. Questo divin Salvatore vuole spargere per noi fino l’ultima goccia del suo sangue prezioso, per lavarci di tutte le nostre iniquità. Dopo espiati i nostri peccati di orgoglio coll’incoronazione di spine; col fiele e coll’aceto i peccati che abbiam la disgrazia di commettere colla lingua e che sono tanto numerosi; tutti i peccati d’impurità colla crudele e dolorosa flagellazione; tutti quelli commessi colle cattive azioni, colle piaghe dei piedi e delle mani; volle altresì espiare tutti i nostri peccati colla ferita al suo divin Cuore, perché dal cuore nascono tutti i peccati. O prodigio d’amore d’un Dio per le sue creature!… È stato offeso da noi e si lascia punire per noi; e sopra se medesimo fa vendetta delle offese che gli abbiamo fatto!… Ahimè! se non fossimo ciechi come siamo, riconosceremmo che le nostre   mani veramente l’hanno immolato sulla croce! Ma, ancora una volta, F . M., io chiedo a voi, perché tanti prodigi d’amore? Ah! lo sapete: è per liberarci da ogni sorta di mali, e meritarci ogni sorta di beni nell’eternità. E se ciò non ostante torniamo ancora ad offenderlo, vediamo che è pronto a perdonarci, ad amarci, ed a ricolmarci di ogni bene se vogliamo amarlo. O quanto amore per creature così insensibili e così ingrate! Ma il suo amore va anche più lontano. Vedendo che la morte lo separava da noi, e volendo restare in mezzo a noi. fece un miracolo grande: istituì il gran Sacramento d’amore, in cui ci lascia il suo Corpo adorabile ed il suo Sangue prezioso per non abbandonarci più sino alla fine del mondo. Quale amore per noi, F. M,, che un Dio voglia nutrire l’anima nostra colla propria sostanza e farci vivere della sua vita! – Per mezzo di questo grande ed adorabile Sacramento Egli si offre ogni giorno alla giustizia del Padre suo, soddisfa di nuovo pei nostri peccati, e ci attira ogni sorta di grazie. – Vedete altresì, F. M., questo tenero Salvatore, che morto per la nostra salvezza ci apre il cielo. Per condurvici tutti vuol essere Lui stesso il nostro Mediatore; Egli stesso presenta le nostre preghiere al Padre (Hebr. VII, 6), e chiederà grazia per noi ogni volta che sventuratamente cadremo in peccato. Egli, F. M., ci aspetta nel luogo della felicità, in quel soggiorno dove lo si ama sempre e non si pecca mai… – No, F.  M., voi non avete mai considerato bene quanto amore Dio ha verso di noi. Possibile viver solo per offenderlo, mentre amandolo possiamo esser felici? Se io vi domandassi: Amate voi Iddio? Senza dubbio, mi rispondereste che l’amate: ma non basta; bisogna darne la prova. Ma dove sono, F. M., queste prove che manifestano la sincerità del nostro amore per il buon Dio? Dove i sacrifici fatti per Lui? Dove le penitenze? Ahimè, il poco bene che facciamo, è in gran parte senza fervore, senza retta intenzione. Quante viste umane!… quante buone opere fatte per sola inclinazione naturale, e senza vera divozione! Ahimè, F. M., che miseria!…

II. — Ora, F. M., se volete sapere come possiamo conoscere se amiamo davvero Iddio, ascoltate bene quanto sono per dirvi, poi giudicherete voi stessi se veramente l’amate. Ecco quanto ci dice Gesù Cristo medesimo: ” Chi mi ama osserva i mici comandamenti (Joan, XIV), ma chi non mi ama non li osserva. „ Vi è quindi facile sapere se amate il Signore. I comandamenti di Dio, e la sua volontà, F. M., non sono che la medesima cosa. Vi ordina e vuole che adempiate esattamente tutti i doveri del vostro stato, con intenzioni pure e rette, senza malumore, impazienza, negligenza, frodi contro la verità o la buona fede. Dobbiamo avere un amore generoso verso il buon Dio, amore che ci faccia preferire la morte alla infedeltà. Di ciò, F. M., ne abbiamo esempi all’infinito in tutti i santi, e specialmente nei martiri, dei quali molti si lasciarono tagliare a pezzi, piuttosto che cessare d’amar Dio. Eccone un bell’esempio nella persona della casta Susanna ~Dan. XIII ~ . Andata un giorno al bagno, due vecchioni, giudici del popolo d’Israele, avendola vista, decisero di sollecitarla al peccato: la inseguirono, e le manifestarono il loro infame desiderio, del quale essa ebbe orrore. Alzando gli occhi ai cielo, disse: “Signore, sapete che vi amo, sostenetemi. „ — “Mi veggo in angustia d’ogni parte, disse ai vecchioni; siamo qui alla presenza di Dio, che ci vede: se ho la disgrazia d’acconsentire alla vostra passione vergognosa, non sfuggirò alla mano di Dio; Egli è il mio Giudice, so che dovrò rendergli conto d’una azione così infame e peccaminosa. Se invece non acconsento ai vostri desideri, non sfuggirò al vostro rancore; veggo bene che mi farete morire: ma preferisco morire anziché offendere Dio. „ Quei miserabili, vedendosi così respinti, partirono incolleriti, e pubblicarono che Susanna era stata colta in adulterio, che essi avevano visto un giovane commettere del male con lei. Sventuratamente, ahimè! furono creduti, e sulla loro testimonianza fu condannata a morte. Mentre veniva condotta al supplizio, un fanciullo di dodici anni, il piccolo Daniele, gridò in mezzo alla folla:Che fai, popolo d’Israele; perché condanni il giusto? vi dichiaro ch’io non prendo parte al delitto che state per commettere, versando il sangue di questa innocente. „ Il giovine Daniele, avvicinatosi, disse: “Fate venire i due vecchi. „ Separatili l’uno dall’altro, li interrogò. Si contraddissero nelle loro parole in tal guisa, da non potersi dubitare che essi erano i colpevoli, e non Susanna: e ambedue furono condannati a morte. Così fa, F. M., chi ama il buon Dio, mostrando alla prova di amarlo veramente, di amarlo più di se stesso. Susanna non poteva darne segno più grande, poiché preferì la morte al peccato. Non v’ha dubbio che quando bastano delle parole per dire che si ama Dio, non costa fatica. Tutti credono d’amare Dio, ed osano persuadersene: ma se Dio li mettesse alla prova, quanto pochi avrebbero la fortuna di resistervi! Vedete ancora quanto accadde sotto il regno di Antioco (II Macc. VI). Questo tiranno crudele comandò ai Giudei, sotto pena di morte, di mangiare carne proibita dal Signore. Un santo vecchio di nome Eleazaro, che era vissuto nel timore e nell’amor di Dio, rifiutò coraggiosamente d’obbedire; e fu condannato a morte. “Non dipende che da te, dissegli un amico, il salvar la vita, come facemmo noi. Ecco della carne che non fu offerta agli idoli: mangiane; questa piccola dissimulazione calmerà il tiranno. „ Il santo vecchio rispose: “Credete ch’io sia tanto attaccato alla vita da preferirla all’amore che debbo al mio Dio? E quand’anche sfuggissi al furore del tiranno, credete ch’io possa sfuggire alla giustizia di Dio? No, no, amici miei, preferisco morire che offendere il mio Dio che amo più di me stesso. No, non si dirà mai che a novant’anni io abbia abbandonato il mio Dio e la sua santa legge. „ Mentre lo si conduceva al supplizio, ed il carnefice lo tormentava crudelmente, fu inteso esclamare: “Mio Dio, sapete ch’io soffro per voi. Sostenetemi; sapete che è perché vi amo: sì, mio Dio, per vostro amore io soffro! „ Tale fu il suo coraggio nel veder maltrattare e straziare il suo povero corpo. Ebbene, F. M., eccovi ciò che si chiama amare veracemente il Signore. Questo buon vecchio, che dà la sua vita con tanta gioia per Iddio, non si accontenta di dire che l’ama; ma lo mostra colle opere. Tutti noi, è vero, diciamo d’amare il buon Dio; ma quando tutto va a seconda dei nostri desideri, quando niente contraddice al nostro modo di pensare, di parlare e di agire. Quante volte una sola parola, un’aria di disprezzo, od anche solo di freddezza, un pensiero di rispetto umano non ci fanno abbandonare Dio? Ho detto, F. M., che se vogliamo dimostrare a Dio di amarlo, dobbiam compiere la sua santa volontà, la quale esige che siamo sottomessi, rispettosi coi nostri parenti, superiori e con tutti coloro che Dio pose sopra di noi per guidarci. La volontà di Dio è che i superiori dirigano i loro inferiori senza alterigia, senza asprezza: ma con carità e bontà, come vorremmo esser trattati noi; è volontà di Dio che siamo buoni e caritatevoli verso tutti; e se veniamo lodati, invece di crederci qualche cosa, pensiamo che veniam burlati, come ci dice benissimo S. Ambrogio: “Se veniamo disprezzati, non dobbiamo affliggerci, ma pensare che se si conoscesse bene che cosa siamo, si direbbe assai più male di noi, di quanto se ne dice. „ O come ci dice S. Giovanni: “Se ci insultano, è volontà di Dio che perdoniamo di buon cuore e subito: e che siam pronti a render servigio ogni volta se ne presenti l’occasione. „ E volontà di Dio che nei pasti non ci lasciamo andare alla intemperanza; che nelle conversazioni procuriamo di nascondere e scusare i difetti del prossimo, e che preghiamo per lui. E volontà di Dio che nelle nostre pene non mormoriamo, ma le sopportiamo con pazienza e rassegnazione; cioè Dio vuole che in tutto quello che facciamo ed in tutto quello che ci manda, ricordiamo che tutto viene veramente da Lui, e tutto è pel nostro bene, se sappiamo farne buon uso. Ecco, F. M., che cosa ci ordinano i comandamenti di Dio. Se amate Dio. come dite, voi farete tutto questo, vi comporterete in questo modo; altrimenti, potete ben dire d’amarlo: ma san Giovanni vi dice che siete menzogneri, e la verità non trovasi sulle vostre labbra (I Joan. II, 4) . Esaminiamo, F. M., la nostra condotta e la vita nostra, e vediamo minutamente tutte le nostre azioni. Non bisogna fermarsi ai buoni pensieri, ai buoni desideri ed agli affetti sensibili che proviamo, come ad esempio quando ci sentiam commossi leggendo un libro buono, od ascoltando la parola di Dio e facciamo ogni sorta di belle risoluzioni: questo non è che illusione, se poi non ci impegniamo a fare quanto Dio ci ordina coi suoi comandamenti, e se non evitiamo quanto ci proibisce. Vedete, F. M., come siete in contraddizione con voi stessi. Mattina e sera giungendo le mani per pregare, voi dite : “Mio Dio, vi amo con tutto il mio cuore e sopra ogni cosa; „ credete di dir la verità? Eppure alcuni momenti dopo le mani vostre sono occupate nel rubare al prossimo, o forse in qualche azione vergognosa. Quante volte non avete adoperato questo mani a riempirvi di vino ed abbandonarvi allo gozzoviglie; questa stessa bocca che ha pronunciato un atto d’amor di Dio, eccola, appena presentasi l’occasione, imbrattarsi con bestemmie, delazioni, maldicenze, calunnie, ed ogni sorta di discorsi che offendono o disonorano quello stesso Dio, al quale avete detto che l’amate con tutto il vostro cuore. Ahimè! F. M., diciamo di amare Dio con tutto il cuore! dove sono le prove che ci assicurano esser vero quanto diciamo? Si dice comunemente che i veri amici si conoscono nell’occasione: è vero, che occorrono delle prove per sapere se gli amici sono sinceri; lo si comprende facilmente. Infatti, se vi dicessi che sono vostro amico, e non facessi niente per mostrarvelo, al contrario facessi mille cose per farvi dispetto; se in tutte le occasioni in cui potessi attestarvi il mio attaccamento, non vi dessi che segni di avversione, voi non vorreste credere che vi amo, sebbene ve l’abbia detto di frequente; altrettanto, F. M., riguardo a Dio. Potete ben dirgli cento volte al giorno: “Mio Dio, vi dono il mio cuore; „ non basta. Bisogna dargliene le prove in quanto facciamo ogni giorno, perché non ve n’ha alcuno in cui non siamo obbligati a fare qualche sacrificio pel buon Dio, se non vogliamo offenderlo, e se vogliamo amarlo. Quante volte il demonio ci manda pensieri d’orgoglio, di odio, di vendetta, d’ambizione, di gelosia; moti di collera e d’impazienza; quanti pensieri o desideri contro la santa virtù della purità! ed altre volte, quanti pensieri e desideri d’avarizia! Ahimè! il nostro miserabile corpo ci porta senza posa al male, mentre la voce della coscienza e le ispirazioni della grazia ci spingono al bene. Ebbene! F. M., ecco che cos’è piacere a Dio, amarlo: è combattere, resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni. Ecco come daremo le prove dell’amore che abbiamo per Iddio: ecco quanto ci metterà nella disposizione continua di tutto sacrificare piuttosto che offenderlo. Dite di amare Dio, od almeno che desiderate di amarlo: siete un bugiardo. Perché adunque lasciate entrare nel vostro cuore quel pensiero di orgoglio? perché vi abbandonate a quelle mormorazioni, a quelle gelosie, a quelle maldicenze, a quelle compiacenze di voi stesso? Perché siete un ipocrita. Voi ne siete spiacenti; lo credo: voi ne sarete ben afflitti… Ahimè! quanto pochi amano Dio!… Diciamolo, a disonore del Cristianesimo, quasi nessuno lo ama di questo amore di preferenza, sempre pronto a sacrificare tutto per piacergli, e sempre timoroso di offenderlo. Vedete, F. M., come si diportò S. Eustachio con tutta la sua famiglia; vedete la sua costanza ed il suo amore per Iddio. Si narra nella sua vita ~ Ribadeneira  sett.~ che trovandosi alla caccia inseguiva un cervo di straordinaria grandezza: slanciatosi su d’una roccia e cercando il mezzo di raggiungerlo, scorse tra le sue corna un bel crocifisso, che gli disse d’andare a ricevere il battesimo e ritornare, che gli farebbe conoscere quanto doveva soffrire per suo amore; che perderebbe i beni, la riputazione, la moglie, i figli, e finirebbe coll’essere arso vivo. S. Eustachio ascoltò tutto questo senza la minima paura o ripugnanza, e senza fare alcun lamento. Infatti, poco dopo scoppiò la peste nelle sue gregge e nei suoi schiavi, non risparmiandone neppur uno. Tutti cominciavano a fuggirlo, e nessuno voleva dargli aiuto. Vedendosi ridotto così misero e disprezzato, decise d’andare in Egitto, dove aveva ancora qualche possedimento. Egli e la sua consorte presero per mano i loro bambini e si affidarono alia provvidenza di Dio. Passato il mare, il padrone della nave in pagamento del viaggio si ritenne la moglie di Eustachio, e lasciati il padre ed i figli a terra, fece vela per altri lidi. Ecco S. Eustachio privato di una delle sue maggiori consolazioni. Sopportando tutto, senza mai lamentarsi della condotta di Dio a suo riguardo, ci dice l’autore della sua vita, prese un piccolo crocifisso tra le sue mani, e baciandolo rispettosamente continuò la sua via. Un po’ più avanti dovette attraversare un fiume abbastanza largo ecc…. Questo, M. F., possiamo chiamare amore vero, poiché nulla è capace di separare Eustachio da Dio. Aggiungo inoltre, F. M., che se amiamo davvero il buon Dio, dobbiam desiderare grandemente di vederlo amato da tutti. Ne abbiamo un bell’esempio nella storia, esso ci offre una bella scena di amore per Iddio. Fu vista nella città di Alessandria, una donna che teneva in una mano un vaso pieno d’acqua, e nell’altra una fiaccola accesa. Quelli che la osservarono, stupiti le chiesero che cosa pretendeva fare con quell’apparato. Vorrei, rispose essa, con questa fiaccola incendiare il cielo e tutti i cuori degli uomini, e coll’acqua spegnere il fuoco dell’inferno, affinché d’ora innanzi non si amasse più il buon Dio per la speranza della ricompensa, o per timore del castigo riservato ai peccatori: ma unicamente perché Egli è buono e degno d’essere amato. „ Bei sentimenti, F. M., degni della grandezza d’un’anima che conosce che cosa è Dio, e come Egli merita tutti gli affetti del nostro cuore. Si racconta nella storia dei Giapponesi, che quando si annunciava loro il Vangelo, e venivano istruiti intorno a Dio, specialmente quando si insegnavano loro i grandi misteri della nostra santa religione, e tutto ciò che Dio ha fatto per gli uomini; un Dio che nasce in una povera stalla, vien disteso su d’un po’ di paglia nei rigori dell’inverno, un Dio che patisce e muore sopra una croce per salvarci: erano così sorpresi da tante meraviglie che Dio aveva fatto per la nostra salvezza, che si udivano esclamare in un trasporto d’amore: “Oh! come è grande! oh, come è buono! oh, come è amabile, il Dio dei Cristiani! „ E quando poi si diceva loro che v’è un comandamento che ordinava d’amare Dio, e li minacciava di castighi se non l’amavano, ne eran talmente stupiti, che non potevan riaversi dal loro sbalordimento. “Ecchè! dicevano, fare ad uomini ragionevoli un precetto d’amare un Dio che tanto ci ha amati?… ma non è la più gran fortuna l’amarlo, e la più gran disgrazia i l non amarlo? Ecchè! dicevano ai missionari, i Cristiani non sono sempre ai piedi degli altari del loro Dio, penetrati della grandezza di sua bontà, e tutti infiammati del suo amore? „ E quando sentivano che non solo v’era chi non l’amava, ma anche chi l’offendeva: “O popolo ingiusto! popolo barbaro! Esclamavano con indignazione; è possibile che vi siano Cristiani capaci di tale oltraggio verso un Dio così buono? In qual terra maledetta adunque abitano questi uomini senza cuore e senza sentimento?„ – Ahimè! dal tratto che adoperiamo verso Dio, non ci meritiamo purtroppo che questi rimproveri! Sì, F. M., verrà giorno che le nazioni lontane e straniere faranno testimonianza contro di noi, ci accuseranno e condanneranno dinanzi a Dio. Quanti Cristiani passano la vita senza amare Dio! Ahimè! forse ne troveremo al giorno del giudizio molti che non avranno dato neppure un sol giorno tutto intero al buon Dio. Ahimè! quale sventura!… S. Giustino ci dice che l’amore ha ordinariamente tre effetti. Quando amiamo alcuno, pensiamo spesso e volentieri a lui, ci diamo volentieri per lui, e soffriamo per lui: ecco, F. M., quanto dobbiamo fare pel buon Dio, se l’amiamo davvero.

1° Dobbiamo pensare spesso a Gesù Cristo. Niente è più naturale che pensare a chi si ama. Vedete un avaro: non è occupato che de’ suoi beni o del mezzo di aumentarli; solo od in compagnia, niente è capace distrarlo da questo pensiero. Ecco un libertino: la persona, che è l’oggetto del suo amore, è continuamente con lui, come il respirare: vi pensa tanto, che il suo corpo ne è spesso così affranto, che si ammala. Oh! se avessimo la fortuna di amare tanto Gesù Cristo, quanto un avaro ama il suo denaro o le sue terre, un ubbriacone il vino, un libertino l’oggetto delia sua passione, non saremmo noi continuamente occupati dell’amore e delle grandezze di Gesù Cristo? Ahimè, M. F., ci occupiamo di mille cose che, quasi tutte, terminano in nulla: quanto a Gesù Cristo, passiamo delle ore e dei giorni interi senza ricordarci di Lui, ovvero ci ricordiamo così languidamente da credere appena a quanto pensiamo. Mio Dio, perché non siete amato? Eppure, M. F., fra i nostri amici ve n’ha forse alcuno più generoso, più benefico di Lui? Ditemi: se avessimo pensato bene che, ascoltando il demonio, il quale ci trascinava al male, abbiamo grandemente afflitto Gesù Cristo, l’abbiam fatto morire una seconda volta, avremmo noi avuto questo coraggio?… non avremmo invece detto: Come potrei offendervi, mio Dio, Voi che ci avete tanto amati? Sì, mio Dio, giorno e notte il mio spirito ed il mio cuore non saranno occupati che di Voi.

2° Se amiamo davvero il buon Dio gli daremo quanto è in nostro potere di dargli, e con grande piacere. Se abbiamo beni, facciamone parte ai poveri; è come se si desse a Gesù Cristo in persona; è Lui che ci dice nel Vangelo: “Quanto darete al minimo dei miei, cioè ai poveri, lo considero come dato a me stesso ~Matt. XXV, ~ . „ Qual felicità, M. F., per una creatura, potere esser liberale verso il suo Creatore, il suo Dio, il suo Salvatore! Non solamente i ricchi possono dare; ma tutti i Cristiani, anche i più poveri. Non tutti abbiamo dei beni per darli a Gesù Cristo nella persona dei poveri; ma tutti abbiamo un cuore, ed è proprio di questa offerta che Egli è più geloso: è questo che Egli domanda con tanta insistenza. – Ditemi, F. M., potremmo rifiutargli ciò che Egli ci domanda con tante istanze, Egli che ci ha creati per sé? Ah! se vi pensassimo bene, non diremmo al divin Salvatore: ” Signore, sono un povero peccatore, abbiate pietà di me: eccomi tutto per voi? „ Come saremmo fortunati se facessimo questa offerta universale al buon Dio! quanto sarebbe grande la nostra ricompensa!…

3° Ma tuttavia il miglior segno d’amore che possiamo dare al buon Dio, è il soffrire per Lui; perché, se ben consideriamo quanto Egli ha sofferto per noi, non potremo esimerci dal soffrire tutte le miserie della vita, le persecuzioni, le malattie, le infermità, la povertà. Chi non si sentirà commuovere alla vista di tutto quello che Gesù Cristo ha sofferto durante la sua vita mortale? Quanti oltraggi non gli fanno patire gli uomini colla profanazione dei Sacramenti, col disprezzo della sua santa religione, che tanto gli costò per stabilirla? Qual cecità, M. F., non amare un Dio così amabile, e che cerca, in tutte le cose, solo il nostro bene! Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di santa Maddalena, divenuta celebre in tutta la Chiesa pel suo grande amore a Gesù Cristo ~ XXVI, 18 ~ . Una volta datasi a Lui, non l’abbandonò più; non solo col cuore, ma anche realmente, seguendolo nei viaggi, soccorrendolo del suo, ed accompagnandolo sino al Calvario. Ella fu presente alla sua morte, preparò gli aromi per imbalsamarne la salma e di buon mattino accorse al sepolcro ~Joan. XX ~ . Non trovandovi più il corpo di Gesù Cristo, si lamentò col cielo e colla terra; supplica gli Angeli e gli uomini di dirle dove sia il suo Salvatore: perché vuol trovarlo a qualunque costo. Il suo amore era così ardente che può ben dirsi essere stato impossibile a Gesù Cristo il nascondersi; perché essa aveva pensato soltanto a Lui, Lui solo aveva desiderato, Lui solo voluto; per essa ogni altra cosa è nulla; non ebbe né rispetto umano, né timore d’esser disprezzata o derisa: abbandonò tutti i suoi averi, calpestò gli ornamenti ed i piaceri per stare al seguito del suo diletto: tutto il resto non fu più nulla per lei. Ascoltate ancora la lezione che ci dà S. Domenico ~Ribad.  4 Agosto ~

l. Questo santo patriarca, che dall’amore di Dio sentiva soddisfatti tutti i suoi desideri, dopo aver predicato tutto il giorno, passava le intere notti in contemplazione: si credeva di già in cielo, e non sapeva comprendere come si possa vivere senza amare Dio, poiché in ciò è riposta tutta la nostra felicità. Un giorno che fu preso dagli eretici, Dio fece un miracolo per salvarlo dalle loro mani. “Che avreste fatto, gli disse un amico, se avesser voluto uccidervi? „ — Ah! li avrei scongiurati di non farmi morire d’un tratto, ma di tagliarmi a pezzettini; poi di strapparmi la lingua e gli occhi; e, dopo aver immerso il resto del mio corpo nel mio sangue, di tagliarmi la testa. Li avrei pregati di non lasciare alcuna parte del mio corpo senza sofferenze. Ah! allora sì avrei avuto la fortuna di dire a Dio che veramente l’amo. Sì, vorrei esser padrone dei cuori di tutti gli uomini,  per farli tutti ardere d’amore.„ Qual linguaggio esce da un cuore ardente d’amore divino! In tutta la sua vita questo gran santo cercò il mezzo di morir martire, per mostrare a Dio che veramente l’amava. Vedete pure S. Ignazio martire, vescovo di Antiochia, ~ 1 febbraio ~ che fu condannato dall’imperatore Traiano ed esser esposto alle fiere. Provò tanta gioia udendo la sentenza che lo condannava ad essere divorato dalle fiere, che credé morirne di consolazione. Non aveva che un solo timore, questo, che i Cristiani gli ottenessero la grazia. Scrisse loro dicendo: “Amici miei, lasciate eh’ io divenga la preda delle belve, e venga macinato come un grano del frumento di Dio per divenire pane di Gesù Cristo. Io so, amici miei, che m’è assai utile il soffrire; bisogna che i ferri, i patiboli, le belve feroci facciano strazio delle mie membra e stritolino il mio corpo, e che tutti i tormenti si riversino su di me. Tutto per me è buono, purché arrivi al possesso di Dio. Comincio ora ad amare Gesù Cristo; ora sono suo discepolo. Per le cose della terra ho soltanto disgusto, non sono affamato che del pane del mio Dio, che mi deve saziare durante l’eternità; non sono avido che della carne di Gesù Cristo, il quale non è che carità. „ Ditemi, M. F., si può trovare un cuore più in fiammato d’amor di Dio? Infatti fu divorato dai leoni, che lasciarono solo alcuni avanzi del suo corpo. Che devesi concludere da tutto questo, F. M., se non che ogni nostra felicità sulla terra è di attaccarci a Dio? Cioè, bisogna che in quanto facciamo, il buon Dio sia l’unico fine; poiché sappiamo tutti, per nostra esperienza personale, che nulla di creato è capace di renderci felici, che il mondo intero con tutti i suoi beni e piaceri non potrebbe soddisfare il nostro cuore. Non perdete di vista, F. M., che tutto c i abbandonerà. Verrà u n momento in cui quanto abbiamo passerà in altre mani … Mentre se abbiamo la grande fortuna di possedere l’amore di Dio, ce Io porteremo in cielo, e sarà la nostra felicità in eterno. Amar Dio, non servir che Lui solo, e non desiderare che di possederlo: ecco la bella sorte che vi auguro di cuore.

15 SETTEMBRE: I SETTE DOLORI DELLA B. V. MARIA (2021)

15 SETTEMBRE. I sette Dolori della B. V. Maria (2021)

Doppio di 2° classe. – Paramenti bianchi.

Maria stava ai piedi della Croce, dalla quale pendeva Gesù (Intr., Gra., Seq., All., Vangelo) e, come era stato predetto da Simeone (Or.) una spada di dolore trapassò la sua anima (Secr.). Impotente, ella vede il suo dolce Figlio desolato nelle angosce della morte, e ne raccoglie l’ultimo sospiro » (Seq.). L’affanno che il suo cuore  materno provò ai piedi della croce, le ha meritato, pur senza morire, la palma del martirio (Com.). – Queste festa era celebrata con grande solennità dai Serviti nel XVII secolo. Fu estesa da Pio VII, nel 1817, a tutta la Chiesa, per ricordare le sofferenze che la Chiesa stessa aveva appena finito di sopportare nella persona del suo capo esiliato e prigioniero, e liberato, grazie alla protezione della Vergine. Come la prima festa dei dolori di Maria, al tempo della Passione, ci mostra la parte che Ella presa al Sacrificio di Gesù, così la seconda, dopo la Pentecoste, ci dice tutta la compassione che prova la Madre del Salvatore verso la Chiesa, sposa di Gesù, che è crocifissa a sua volta nei tempi calamitosi che essa attraversa. Sua Santità Pio X ha elevato nel 1908 questa festa alla dignità di seconda classe.

Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis ~ Duplex II. classis
Commemoratio: Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Joann XIX:25
Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.

[Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Salome, e Maria Maddalena.]

Joann XIX:26-27
Múlier, ecce fílius tuus: dixit Jesus; ad discípulum autem: Ecce Mater tua.

[Donna, ecco tuo figlio, disse Gesù; e al discepolo: Ecco tua madre]


Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.

[Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Salome, e Maria Maddalena.]

Oratio

Orémus.
Deus, in cujus passióne, secúndum Simeónis prophetíam, dulcíssimam ánimam gloriósæ Vírginis et Matris Maríæ dolóris gladius pertransívit: concéde propítius; ut, qui transfixiónem ejus et passiónem venerándo recólimus, gloriósis méritis et précibus ómnium Sanctórum Cruci fidéliter astántium intercedéntibus, passiónis tuæ efféctum felícem consequámur:

[O Dio, nella tua passione, una spada di dolore ha trafitto, secondo la profezia di Simeone, l’anima dolcissima della gloriosa vergine e madre Maria: concedi a noi, che celebriamo con venerazione i suoi dolori, di ottenere il frutto felice della tua passione:]

Orémus.


Commemoratio Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris
Misericórdiæ tuæ remédiis, quǽsumus, Dómine, fragílitas nostra subsístat: ut, quæ sua conditióne attéritur, tua cleméntia reparétur.

[Signore, te ne preghiamo, sostieni la nostra debolezza coi rimedi della tua misericordia; affinché se per natura vien meno, dalla tua clemenza sia risollevata.]

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII:22;23-25
Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit cœlum et terram: quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri.

[Il Signore nella sua potenza ti ha benedetta: per mezzo tuo ha annientato i nostri nemici. Benedetta sei tu, o figlia, dal Signore Dio altissimo più di ogni altra donna sulla terra. Benedetto il Signore, che ha creato il cielo e la terra, perché oggi egli ha tanto esaltato il tuo nome, che la tua lode non cesserà nella bocca degli uomini: essi ricorderanno in eterno la potenza del Signore. Perché tu non hai risparmiato per loro la tua vita davanti alle angustie e alla afflizione della tua gente: ci hai salvato dalla rovina, al cospetto del nostro Dio.]

Graduale

Dolorósa et lacrimábilis es, Virgo María, stans juxta Crucem Dómini Jesu, Fílii tui, Redemptóris.
V. Virgo Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, hoc crucis fert supplícium, auctor vitæ factus homo. Allelúja, allelúja.
V. Stabat sancta María, cœli Regína et mundi Dómina, juxta Crucem Dómini nostri Jesu Christi dolorósa.


Sequentia

Stabat Mater dolorósa
Juxta Crucem lacrimósa,
Dum pendébat Fílius.

Cujus ánimam geméntem,
Contristátam et doléntem
Pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
Fuit illa benedícta
Mater Unigéniti!

Quæ mærébat et dolébat,
Pia Mater, dum vidébat
Nati pœnas íncliti.

Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si vidéret
In tanto supplício?

Quis non posset contristári,
Christi Matrem contemplári
Doléntem cum Fílio?

Pro peccátis suæ gentis
Vidit Jesum in torméntis
Et flagéllis súbditum.

Vidit suum dulcem
Natum Moriéndo desolátum,
Dum emísit spíritum.

Eja, Mater, fons amóris,
Me sentíre vim dolóris
Fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum
In amándo Christum Deum,
Ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
Cordi meo válida.

Tui Nati vulneráti,
Tam dignáti pro me pati,
Pœnas mecum dívide.

Fac me tecum pie flere,
Crucifíxo condolére,
Donec ego víxero.

Juxta Crucem tecum stare
Et me tibi sociáre
In planctu desídero.

Virgo vírginum præclára.
Mihi jam non sis amára:
Fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,
Passiónis fac consórtem
Et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,
Fac me Cruce inebriári
Et cruóre Fílii.

Flammis ne urar succénsus,
Per te, Virgo, sim defénsus
In die judícii.

Christe, cum sit hinc exíre.
Da per Matrem me veníre
Ad palmam victóriæ.

Quando corpus moriétur,
Fac, ut ánimæ donétur
Paradísi glória.
Amen.

[Addolorata e piangente, Vergine Maria, ritta stai presso la croce del Signore Gesù Redentore, Figlio tuo.
V. O Vergine Madre di Dio, Colui che il mondo intero non può contenere, l’Autore della vita, fatto uomo, subisce questo supplizio della croce! Alleluia, alleluia.
V. Stava Maria, Regina del cielo e Signora del mondo, addolorata presso la croce del Signore.]

Sequenza
Stava di dolore piena e di pianto
la Madre presso la croce,
da cui pendeva il Figlio.

L’anima di Lei gemente,
di tristezza e di dolore piena,
una spada trafiggeva.

Oh! quanto triste ed afflitta
fu la benedetta
Madre dell’Unigenito!

S’affliggeva, si doleva
la pia Madre contemplando
le pene del Figlio augusto.

E chi non piangerebbe
mirando la Madre di Cristo
in tanto supplizio?

E chi non s’attristerebbe
vedendo la Madre di Cristo
dolente insieme al Figlio?

Per i peccati del popolo suo
Ella vide Gesù nei tormenti
e ai flagelli sottoposto.

Ella vide il dolce Figlio,
morire desolato,
quando emise lo spirito.

Orsù, Madre fonte d’amore,
a me pure fa’ sentire l’impeto del dolore,
perché teco io pianga.

Fa’ che nell’amar Cristo, mio Dio,
così arda il mio cuore
che a Lui io piaccia.

Santa Madre, deh! tu fa’
che le piaghe del Signore
forte impresse siano nel mio cuore.

Del tuo Figlio straziato,
che tanto per me s’è degnato patire,
con me pure dividi le pene.

Con te fa’ che pio io pianga
e col Crocifisso soffra,
finché avrò vita.

Stare con te accanto alla Croce,
a te associarmi nel piangere
io desidero.

O Vergine, delle vergini la più nobile,
con me non esser dura,
con te fammi piangere.

Fammi della morte di Cristo partecipe,
e della sua passione consorte;
e delle sue piaghe devoto.

Fammi dalle piaghe colpire,
dalla Croce inebriare
e dal Sangue del tuo.

Perché non arda in fiamme
ma da te sia difeso, o Vergine,
nel dì del giudizio

O Cristo, quando dovrò di qui partire,
deh! fa’, per la tua Madre,
che al premio io giunga.

E quando il corpo perirà,
fa’ che all’anima
la gloria del cielo sia data.
Amen.

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann XIX:25-27.
In illo témpore: Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus Matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit Matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce Mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

[J. B. BOSSUET: LA MADONNA – DISCORSI: V. Gatti ed. Brescia, MCMXXXIV]

L’ADDOLORATA

DISCORSO I.

Dixit Jesus Matri suæ: Ecce filius tuus, mulier; deinde dicit discipulo: Ecce mater tua.

(Giov.).

Noi troviamo sempre l’amore industrioso, ma dobbiamo confessare che se ha sempre nobili gesti e generose iniziative, quando la vita è al suo termine pare diventi più ingegnoso e fecondo… le sue trovate allora, come i suoi slanci, toccano il prodigioso, il sublime. – L’amicizia fa che l’amico non possa vivere quasi, senza la compagnia dell’amico: e quando una legge fatale minaccia una separazione eterna, e strappando l’amico dal fianco, priva della sua presenza, ella fa che l’amico ancor più s’industrii di rimaner vicino all’amico nel vivo ricordo: — Flos memoriæ, lapide perennior —. Per questo gli amici legano parole ed azioni speciali ai momenti dolorosi ed alle lacrime dell’ultimo addio: e la Storia, giungendo a conoscerne qualcuna, vi fece sopra le più profonde e geniali osservazioni. Né la Storia Sacra è meno della profana; il brano d’evangelo che vi ho citato ce ne dà la prova. Giovanni l’Evangelista, che sappiamo il prediletto, tra i discepoli di Gesù, e possiamo proprio dirlo l’Evangelista dell’amore, ebbe grande premura di raccogliere le ultime parole con cui il Maestro amato volle onorare e la sua Madre e il discepolo più caro, le due creature che più aveva amato nel mondo. Quanto le dovremmo meditare queste grandi parole: di quale luce sarebbero feconde, quale e quanta materia possono prestare a pie e pratiche riflessioni! – Voglio farvi una domanda: Trovereste una cosa più commovente e cara, che il contemplare il Salvatore nostro, generoso perfino nella nudità in cui moriva sulla croce? Molte volte aveva detto che i suoi beni non eran di questo mondo, che non aveva dove posare il capo!… Eccolo confitto alla croce: ai suoi piedi l’ingordo soldato si divide le sue vesti, e getta la sorte sulla tunica inconsutile… I carnefici vogliono privarlo di tutto, perché non abbia più nulla da dare ai suoi amici… ma non dubitiamone, Cristiani, Egli non uscirà da questa vita senza lasciar un pegno prezioso della sua amicizia. – L’antichità ha segnalato il gesto di un filosofo, che in morte, non avendo nulla da lasciar con cui potesse campar la sua famiglia, lasciò in testamento i suoi figli e la loro madre agli amici. La povertà suggerì questo gesto al filosofo dell’antichità; ma al Maestro nostro divino lo suggerì l’amore ed in un modo più meraviglioso: Egli non solo dona la Madre all’amico, ma dona l’amico alla sua Madre Santa: li dona tutti e due e l’uno dona all’altra, e per l’uno e per l’altra si fa egualmente benefico: « Ecce filius tuus: ecce mater tua ». Oh, santa Madre del nostro Salvatore, noi siamo certi che queste parole, dette ultime, dal vostro Gesù, nostro Maestro, furono per consolar voi, per istruire noi! Dalla vostra assistenza e preghiera noi ci ripromettiamo di fattivamente capirle: e perché ce le facciate intendere, le parole che vi fecero Madre di Giovanni, noi vi rivolgeremo un’altra parola: quella che vi fece Madre del Salvatore: e l’una e l’altra vi furono dette in nome di Dio: l’una l’udiste dalla bocca del Figlio vostro, l’altra ve la portò il labbro d’un messaggero celeste che vi salutava, come vi salutiamo ora noi: Ave Maria! – Tra gli sprazzi di luce meravigliosi che la croce del Salvatore presenta ai nostri occhi, mi pare sia degno di speciale considerazione quello che fa osservare Giovanni Grisostomo, commentando il Vangelo di questo giorno. Egli, contemplando il Figlio di Dio presso ad esalare l’ultimo respiro, non cessa di ammirare come si domini perfino nell’agonia, e in essa, fino all’ultimo istante, ci si mostri padrone assoluto della sua parola e delle sue azioni. – Nella notte, vigilia della sua morte, dice il santo nella sua 85° omelia su S. Giovanni, suda, trema, freme tanto lo accascia la visione del suo supplizio… qui, in mezzo ai più cocenti dolori, pare quasi, non sia più Lui, ma un altro che soffre, a cui i tormenti non fanno più nulla. S’intrattiene tranquillo col buon ladrone, come senza commuoversi ascolta gl’improperi dell’altro: guarda e conosce distintamente quelli che sono ai piedi della croce, e parla a loro e li consola, e quando vede compiuto quello che da Lui aveva voluto il suo Padre celeste, gli rende l’anima con un gesto così calmo, tranquillo, libero, premeditato, che tutti possono capire che « nessuno gliela strappa la sua anima, ma Egli la dà con pieno volere ». L’assicurava già prima Egli stesso: Nemo tollet eam a me, sed ego ponam eam a meipso (C. Giov., X, 18). Che vuol dire ciò? si domanda S. Giovanni Grisostomo: come mai la visione del male lo strazia violentemente, e poi pare che la realtà lacerante non lo tocchi?Forse il piano della nostra salvezza doveva essere un insieme di forza e debolezze? Egli voleva mostrare nel timore del male che come noi era uomo sensibile al dolore, ed insieme far conoscere che colla sua volontà, ben sapeva star padrone delle sue facoltà facendole piegare davanti alla volontà del suo Padre divino. Questa la ragione che possiamo cavare dalle parole di S. Giovanni Grisostomo; ed io, ve lo confesso, non oserei aggiungere un mio pensiero se non vi fossi costretto dall’argomento che tratto.Considero il Salvatore pendente dalla croce, non solo come una vittima innocente che volontariamente si immola per la nostra salute, ma anche come un buon padre di famiglia che, sentendo prossima la sua ultima ora, dispone con testamento di tutti i suoi beni; fondo questa mia riflessione su di una verità ben nota. Un uomo è disteso ammalato sul suo letto: lo si avverte di disporre ed ordinare e presto gli affari suoi, poiché le sue condizioni sono dichiarate disperate dai medici: nello stesso tempo, benché prostrato dalla violenza del male tenta un ultimo sforzo per raccogliere le sue facoltà e dichiarare con piena coscienza la sua volontà estrema. Mi pare che qualcosa di simile abbia fatto il Salvatore nostro sul letto insanguinato della croce. Intendiamoci che non voglio dire però, che il dolore e la visione della morte abbiano potuto anche un solo istante indebolire le sue facoltà da ostacolarne l’uso più pieno e più completo… vorrei che mi si seccasse la lingua piuttosto che pronunciare tale temeraria parola! Ma siccome Egli voleva dar prova che ogni suo atto a questo riguardo veniva da matura deliberazione, proprio con volontà determinata il suo operare fu tale da palesare che in Lui non era la minima agitazione e che la sua anima era pienamente conscia a se stessa, cosicché nessuno potesse neppur tentare d’impugnare il suo testamento. – Si rivolge perciò a sua Madre ed al prediletto, discepolo con conoscenza sicura, perché sapeva che quanto loro avrebbe detto sarebbe stato una delle principali disposizioni del suo testamento: ecco svelato il segreto. Il Redentore nulla aveva, che fosse più suo di sua Madre ed i suoi discepoli; li aveva acquistati col suo sangue: ne poteva quindi disporre con pieno diritto come di una proprietà legittimamente acquistata. Purtroppo in quest’ora terribile, tutti gli altri discepoli l’hanno abbandonato, non ha più che Giovanni il prediletto, questi solo gli è rimasto vicino, ed Egli lo considera, in quest’ora suprema, come l’uomo rappresentante tutti gli uomini che sarebbero diventati suoi fedeli. È nostro dovere, fratelli, oggi dobbiamo esser pronti a far nostro ed applicare a noi, tutto quanto avverrà nella persona di Giovanni. Vedo bene, o Signore, Voi gli donaste vostra Madre, ed egli subito se la prende come cosa sua… accepit eam discipulus in suam. Comprendiamolo, Cristiani: noi abbiamo gran parte in questo pio legato: è a noi che il Figliolo di Dio dona la sua santissima Madre, mentre la dona al discepolo amato… è questo il brano del grande testamento che voglio far soggetto del mio discorso. Non pensate, che voglia qui esporre ed analizzare tutte le condizioni legali del testamento per farne un confronto esatto colle parole del Vangelo; è molto meglio che, lasciate da parte le sottigliezze di tale confronto, noi fissiamo le nostre attenzioni nella considerazione degli effetti benefici che ci derivarono da un tale testamento. Gesù guarda sua Madre, dice l’autore sacro, le sue mani sono inchiodate non può additarla col dito, la indica collo sguardo: ogni suo movimento indica ch’Egli sta per donarla a noi. La sua Madre, Egli ci dona: sarà quindi potente la sua protezione, Ella avrà grande autorità per assisterci:… Gesù stesso ce la dona perché sia nostra madre: la sua tenerezza sarà dunque pienamente materna, il suo cuore sarà pienamente inclinato a farci del bene. Ecco i due punti che svolgerò in questo discorso. – Perché possiamo esperimentare l’assistenza di una persona al trono della Maestà divina è necessario che la sua grandezza l’avvicini, gradita, al Signore ed insieme la sua bontà la abbassi a noi, Maria Madre del Salvatore è posta ben alto, presso il Divin Padre; Madre nostra, nella sua tenerezza si abbassa fino a compatire le nostre miserie: in una parola Ella può consolarci perché è Madre di Dio, e lo vuole perché Madre nostra. Conseguenza dello sviluppo di questi due punti io miro a trarne una devozione ragionata alla Vergine, che abbia una solida base di dottrina evangelica: siatemi attenti, o fratelli.

I° punto.

Tra i caratteri più belli, che la Sacra Scrittura attribuisce al Figlio di Dio è quello di essere mediatore tra Dio e l’uomo: in Lui, nella sua Persona convengono e si concilian tutte le cose: Egli forma un legame d’amore tra il cielo e la terra: il vincolo di parentela (è uomo come noi) che strinse con Noi nella incarnazione, mentre ci fa propizio il suo Padre divino ci dà facile accesso al trono della sua misericordia infinita: questa verità è la base della speranza dei figli di Dio, ed allora ecco come ragiono io. – L’unione nostra col Salvatore ci fa avvicinare confidenti alla sua Maestà divina: ora quand’Egli scelse Maria per Madre, strinse più intima e viva la sua unione con Lei; fu essa un vincolo così stretto, che né Angeli né uomini non potranno mai capirne la sublimità. E questa unione della Vergine a Dio è tale che il suo ascendente, il suo favore presso di Lui supera certamente sempre la nostra capacità di comprendere. Altro ragionamento non saprei proporvi in questa prima parte del mio discorso, ma perché possiamo penetrarla questa verità quanto ci è possibile, tenterò cavarne altre verità che ci facciano conoscere l’alleanza santa che c’è tra Gesù e Maria… ne avremo per conseguenza, che nell’ordine delle creature nessuna è più vicina alla Maestà di Dio della Vergine Maria. – Vi dico subito che mai al mondo vi fu Madre che abbia teneramente amato suo figlio più di Maria, ed insieme non vi fu figliolo amato che più di Gesù abbia amato sua Madre, più sinceramente. Osserviamo quello che accade attorno a noi, Chiedete ad una madre il perché spesso davanti ai suoi figli è presa da emozioni d’affetto tanto sensibili che ce ne accorgiamo; ella vi risponderà che il sangue non si rinnega: i figli son carne e sangue suo, per questo le sue viscere ed il suo cuore si muovono e commuovono, perché nessuno, dice S. Paolo, odiò mai la sua carne. Vero questo per tutte le madri, lo deve essere ancor più della Vergine che concependo per opera dell’Altissimo, Ella sola diede la materia al corpo di Gesù. Allora io tiro un’altra considerazione: Non vi pare, Cristiani, che la natura abbia come diviso l’amore per i figlioli tra padre e madre? Al padre, di solito, dà un amore più forte, mentre alla mamma dà un amore più tenero: e non è forse per questa ragione che quando la morte porta via l’uno o l’altro dei genitori, quello che rimane prova quasi un bisogno di raddoppiare il suo affetto e le sue cure quasi per supplire la funzione dello scomparso? Mi pare che tutto ciò si constati facilmente nella vita umana. Non dividendo Maria, Madre Vergine, con nessun uomo l’amore tenero e forte ad un tempo, che nutriva per il suo Figlio, non potremo immaginare fino a quel punto di ardore e tenerezza sia stata trasportata e quali soavità abbia provate. Però non è tutto qui quello che voglio dirvi. È vero, l’amore dei figlioli è così naturale, che bisogna rinnegare la natura per non sentirlo: ammetterete però che talvolta, certe circostanze entrano in questo amore e fanno che tocchi i più alti gradi. Abramo ad es. non credeva ormai più possibile aver figlioli da Sara, che era sterile, e poi e lui e lei ormai erano avanti negli anni e molto: Dio nella sua bontà lo visita e Sara ha un figliolo! Figliolo che Abramo avrà carissimo e che chiamerà — figlio della promessa —  il figlio che la sua fede gli aveva ottenuto dal cielo, quando ormai le leggi della natura non lasciavano più speranza: lo chiama Isacco, cioè sorriso, perché doveva essere la loro consolazione, essendo nato contro ogni speranza. E non sappiamo tutti che Giuseppe e Beniamino erano i prediletti di Giacobbe perché natigli nella sua vecchiaia e da una sposa fatta feconda sul finir della vita? Dobbiamo quindi dire che il modo col quale si hanno figlioli, specie quando è straordinario o miracoloso, li rende più cari. Ed allora chi avrà parole così forti da poter descrivere l’amore di Maria per Gesù? Rimirandolo deve certo aver esclamato ogni volta: o Dio, o mio Figlio, come mai siete mio Figlio? chi avrebbe immaginato una Vergine Madre, e madre di un Figliuolo divinamente amabile? Qual mano vi formò dentro il mio seno… come v’entraste, come ne usciste senza che rimanesse traccia del vostro passaggio? Immaginateli voi, o fratelli, questi trasporti celestiali, poiché io non mi sento capace di descriverveli… perché si deve insieme pensare che mai una Vergine fu più innamorata della sua integrità di Maria… Vedrete dove conduce questa osservazione: direi poco dicendo che il suo amore alla verginità subì tutte le prove delle lusinghe e delle promesse degli uomini, devo dire che fu sottoposta fino alla seduzione della promessa di Dio: rileggete l’Evangelo e non meraviglierete della mia frase. Gabriele si presenta a Maria e le annuncia che concepirà, nel suo seno, il Figlio dell’Altissimo, il Re, il Ristoratore del popolo eletto. Ecco la promessa di Dio. Immaginate voi ora, dimenticando per un momento la pagina di storia evangelica, che una donna si turberà a tale annunzio, e che una ragazza vergine rifiuterà tale grandezza preferendole la sua integrità? Nemmeno lo sogneremmo: ma la realtà è diversa: questa Vergine è Maria ed eccola opporre difficoltà all’Angelo: « Come sarà possibile quanto dici, mentre io non conosco uomo? » quasi avesse voluto dire È grande onore la maternità divina, ma che ne sarebbe della mia verginità? C’insegni esempio della Vergine, o fratelli, quanto dobbiamo amare la castità…. purtroppo di questo grande tesoro se ne fa poco conto, e spesso le ragazze d’oggi la danno al primo che capita e lascian che chi primo la domanda se la porti via. – A Maria si fanno le più seducenti promesse che si posson fare ad una creatura: chi le fa è un Angelo, un Angelo che parla in nome di Dio… badate bene a queste circostanze, e tuttavia Ella si turba, Ella trema, è pronta a rifiutare, a dir impossibile la cosa perché non vede salva la sua purezza, tanto la stima preziosa! Pensate col cuore, perché la mente non ne è capace, pensate alla sua gioia alle sue estasi d’amore… quando pur essendo Vergine si sentì fatta Madre da un miracolo: fu certamente quello l’istante in cui si sentì — la beata fra le donne — perché sola aveva sfuggito la maledizione che pesava sul suo sesso: la maledizione alla donna che divien madre, perché avrebbe partorito senza dolore come senza lesione della sua integrità aveva concepito. Qual estasi devono essere stati i suoi abbracci al suo Figliolo, il più amabile dei figlioli, e che Ella abbracciava e baciava suo vero Figliolo, natole senza nulla perdere del suo candore! È sentenza dei Santi Padri, e la riferisce S. Bernardo, che la materia più atta ad un abbraccio divino è il cuore verginale: e traggono tale asserzione da S. Paolo. Quale doveva essere quindi l’amore della Vergine Santa! Ella conosceva che per la sua purezza Dio l’aveva destinata a esser Madre del suo Figlio Unigenito: questo pensiero le doveva far amare ancor più la sua purezza; ma insieme questo amore doveva rendere più ardenti d’affetto gli abbracci a quel Figliolo che volendola Madre gliela aveva conservata misteriosamente. Per Lei, Gesù era il fiore sbocciato dalla sua integrità… e con quanto amore lo avrà baciato… quale ardore avranno avuto quei baci di madre e di Madre vergine! Dobbiamo aggiungere ancora qualcosa per comprendere meglio la forza di questo amore? Dagli stessi principii traggo un’ultima considerazione. L’antichità ci parla d’una delle Regine delle Amazzoni, che bramava ardentemente aver un figlio da Alessandro Magno!… ma, lasciamo da parte la storia profana, e prendiamo la pagina della storia sacra. Vi dissi che Giacobbe preferiva Giuseppe a tutti gli altri fratelli, e vi dissi una ragione: ma ve n’è un’altra: madre di Giuseppe era Rachele, la prediletta fra le spose del Patriarca… e ciò rendeva più tenero l’affetto al figliolo. S. Giovanni Grisostomo, nel suo libro del Sacerdozio, riferendo le parole affettuose con cui sua mamma lo accarezzava, segna in modo particolare queste: « Non posso staccar da te, o figlio, il mio sguardo mai, perché mi sembra che il tuo volto sia un’immagine, scolpita col fuoco, del viso di tuo padre, del mio sposo . » Questo esempio ci dice che un coefficiente d’aumento dell’amore verso i figlioli è il riscontrare in essi una somiglianza con la persona dalla quale nacquero, ed è naturalissimo. Domandiamo alla Vergine donde, da chi ebbe il suo Gesù? se vien da opera d’uomo? Oh Ella sa che la potenza dell’Altissimo la rivestì e lo Spirito Santo pose in Lei il germe celeste di vita nell’amplesso di mistiche effusioni d’amore: curvandosi sul candore del suo corpo virgineo, in una maniera misteriosa, formava Colui che sarebbe stato la consolazione d’Israele come da secoli era l’Aspettato dalle genti. – S. Gregorio così descrive la concezione del Salvatore: quando il dito di Dio compose del sangue puro e della carne immacolata di Maria, la carne ed il sangue del suo Figliolo, « la concupiscenza non osò accostarsi… da lungi stette a contemplare lo spettacolo nuovo; anche la natura s’arrestò, meravigliata nel vedere il suo Creatore e Padrone operar da solo in questa carne verginale ». Non ce lo canta la Vergine stessa, o fratelli, il grande prodigio quando ad Elisabetta risponde: Fecit mihi magna qui potens est? Ma che cosa vi fece di grande, o Vergine, l’Onnipotente? Maria non lo può dire, non lo sa dire, ma nel rapimento dell’estasi del mistero proclama che le furono fatte grandi cose! – Vedeva d’esser Madre d’un Figlio che ha per Padre Iddio… non sapeva né cosa né come fare per cantare la divina bontà, per dire l’estasi della sua maternità… d’aver Figlio suo quegli che è l’Unigenito del Padre! Vorreste allora, Cristiani, da me, povero mortale, che vi descriva la tenerezza e l’ardore dell’amore materno di Maria, quando Ella stessa non è capace di descrivere i palpiti violenti del suo cuore di Madre d’un Dio? Tutte le madri mettono, è giusto, alto sopra ogni amore il loro amore per i figlioli: hanno ragione e ce ne danno prova certi gesti materni veri eroismi: ma io però, badate bene, vi dico che più di quanto l’amore materno s’innalza sopra ogni altro amore umano, l’amore di Maria per il suo Gesù s’innalza senza confronto al di sopra di ogni amore di madre. Il perché è chiaro: madre in un modo miracoloso, in circostanze prodigiose, anche il suo amore deve avere un qualcosa del prodigioso, del miracoloso!… Noi diciamo che solo il cuore d’una madre può comprendere l’amor di madre, ed io dirò che solo il cuore della Vergine Madre saprà comprendere e misurare l’amore del suo cuore di Madre divina. Dovrei ora descrivervi l’amore di Gesù a sua Madre: ma dove posso trovar forza e parole, quando non seppi che dir qualche piccola parola per descrivervi l’amore di Maria? Io dico: quanto sotto ogni aspetto il Salvatore è più grande della Vergine sua Madre, altrettanto Egli le è buon figliolo più di quanto Ella gli sia buonissima mamma. Nulla mi stupisce di più nella narrazione evangelica, che il vedere quanto e come il Salvatore ami la povera natura umana: Egli se la prese per sé con tutti i suoi bisogni con tutte le sue debolezze, tranne il peccato: nulla stima indegno di sé: dalle piccole necessità alle grandi pene. – All’Orto degli Olivi lo vedo in preda alla tristezza più nera, al timore ad un’angoscia tale che alla visione del suo sacrificio suda sangue; fatto inaudito: perché io credo che nessuno mai ebbe né la delicatezza né la forza del sentire del Salvatore. Ah mio Maestro, voi assumeste generosamente i sentimenti di debolezza umana, che pur sembravano indegni della vostra Persona, e li assumeste tali e quali, e tutti i sentimenti nostri. Allora se è certissimo che nessun sentimento è più giusto, spontaneo, più naturale dell’amore dei figlioli ai genitori, quale sarà l’amor vostro per la Vergine quando la mirate scelta a vostra Madre dalla eternità? promessa e santificata nel tempo, preannunziata con simboli e figure al vostro popolo voi, suo Figlio e suo Dio, ve la sceglieste perché più cara e bella fra tutte le creature! A questo proposito, fratelli miei, oso affermarvi una cosa che non è meno vera di quanto vi possa sembrare straordinaria, anzi strana. Tutta la gloria di cui è circondata la Vergine le viene dall’essere Madre del Salvatore: è certissimo: ma io oso dirvi, che al Salvatore nostro Gesù viene grande gloria nell’esser figlio di una vergine. Badate, fratelli, che non mi passa neppur nella mente di voler con questa affermazione menomamente sminuire la grandezza del Cristo Salvatore: ma quando odo i Santi Padri chiamar, sicuri di onorarlo, il Salvatore figliolo della Vergine, non posso più dubitare: essi, nella loro scienza e pietà, sentivano che un tal titolo riusciva caro e d’onore a Gesù. S. Agostino dice una cosa, che a me pare abbia grande importanza, e dà grande valore al mio pensiero. Dice infatti che la concupiscenza, sempre mescolata come sapete all’atto della generazione comune, inquina così la massa di materia che riunisce per formarne il corpo umano, che la carne nostra porta in sé sempre il germe d’una corruzione necessaria. Non insisto nel dilucidare questa verità, che noi troviamo in moltissimi punti negli scritti di S. Agostino. Se dunque questo commercio generativo cui si unisce un non so che d’impuro, trasmette nei nostri corpi un miscuglio d’impurità, potrò per contrario affermare che il frutto d’una carne verginale trarrà da questa radice pura una purezza senza confronto: e questa conseguenza mi pare logica deduzione dei principii affermati da S. Agostino. « Perché il corpo del Salvatore doveva essere più puro del più puro raggio di sole, dice il Santo, si scelse una madre vergine fin dalla eternità ». Poiché era necessario che la carne del Redentore fosse, per così dire, abbellita dalla purezza di un sangue verginale, per esser degna d’esser unita al Verbo divino e presentata all’eterno Padre come vittima palpitante delle nostre colpe. La purezza di questa carne sgorgò in parte da quella purezza, di cui lo Spirito Santificatore inondò il corpo della Vergine, quando, affascinato dal profumo della sua inviolata integrità, la santificava con la sua presenza e come tempio vivo la consacrava al Figlio del Dio vivente. – Riflettete ora con me o fratelli: Il Salvatore nostro è il casto amante delle anime vergini, e si tiene onorato che lo chiamino il Figlio della Vergine, vuole esser circondato da vergini, vuole che anime vergini gli sian portate: esse sole seguiranno questo Agnello senza macchia dovunque andrà. Ma se tanto ama i vergini di cui col suo sangue purificò l’anima ed il corpo, quale tenerezza non avrà per la Vergine scelta dalla eternità per trarre da lei e la sua carne e il suo sangue? – Concludiamo: l’amore reciproco tra Gesù e la sua Vergine Madre supera la nostra capacità di comprendere… solo molto grossolanamente noi possiamo capire questo vincolo meraviglioso! noi! ma credetemelo, gli stessi serafini che ardon d’amore davanti al trono di Dio, non saprebbero neppur essi comprendere e l’ardore e la veemenza delle fiamme che legano i cuori di Gesù e di Maria. Siccome alcuno potrebbe pensare che sorgente di questo amore non sia che il vincolo materiale della carne, io, come promisi, vi mostrerò, e con facilità, usando delle asserzioni già fatte, quali vantaggi abbia ritratti la Vergine dalla sua unione con Dio per il fatto della sua maternità! Da questo, voi potrete, e da soli, io credo, concludere quale debba essere il suo ascendente sul cuore del Padre Celeste. – Considerate subito, vi prego, che l’amore di questa Vergine di cui ho parlato fin qui, non si ferma al suo Figlio in quanto uomo, cioè alla sua umanità… ma va più avanti, e sale più alto: ha un ponte di collegamento e passa alla natura divina da cui la natura umana, nel Cristo, è inseparabile. Perché comprendiate il mio pensiero, devo spiegarvi, come pregiudiziale, una dottrina… spiegazione nella quale bisogna proceder molto cauti e con piede di piombo per non cadere nell’errore: m’aiuti il Signore perché ve la possa mostrare tanto precisa e chiara quanto essa è dottrina sicura. Ecco come ragiono: una buona mamma ama col suo figliolo e per il suo figliolo tutto quanto riguarda la sua persona; va anche più avanti talvolta, ed ama gli stessi amici del figlio suo, e tutte le cose sue: però la tenerezza più tenera, diciamo così, è rivolta alla sua persona. Ora vi domando: Quale rapporto c’era tra la divinità e il Figlio di Maria? quale contatto aveva colla sua persona? Le era estranea? Non intendo far qui una discussione speciale: interrogo soltanto la vostra fede e vi chiedo che cosa vi risponda. Recitando il credo ogni giorno voi affermate di credere in Gesù Cristo Figlio di Dio che nacque da Maria Vergine; ora: sono due persone il Figlio di Dio e Colui che affermate nato da Maria Vergine? Certamente, voi mi dite di no: è lo stesso, mi rispondete, che essendo vero Dio, per la sua natura divina è anche vero uomo per l’umanità che trasse dalla Vergine: perciò voi accogliete la voce dei Padri e dite che la Vergine è Madre di Dio. È questa la fede, che trionfò dell’eresia di Nestorio e che farà tremare l’Inferno fino alla fine dei secoli. Ed allora chi vorrà opporsi alla mia affermazione quando dico che la Vergine ama il suo Gesù, tutto intiero, così come è realmente, lo ama quindi ed accarezza Uomo-Dio? È vero non vi è sulla terra nulla di simile, ed io sono quindi costretto ad innalzare la mia mente cercando un esempio in seno all’Eterno Padre. Siccome nel Cristo l’umanità fu unita alla divinità nella Persona del Verbo, divenne necessariamente oggetto dell’amore e della compiacenza del Padre. Sono verità profondissime lo so; ma esse sono la base fondamentale del Cristianesimo ed è pur necessario che tutti i Cristiani le conoscano le sappiano: però io non voglio presentarvele senza addurre le prove della Santa Scrittura. Ditemi, fratelli, quando sul Tabor s’intese la voce misteriosa: « Questi è il mio Figliol diletto nel quale ho posto le mie compiacenze » di chi parlava il Padre divino, se non del suo Verbo, Dio uguale a Lui, vestito di carne umana, che gli Apostoli contemplavano estasiati splendente come un sole? Mi pare questa una prova autentica che l’amor del Padre per il suo Verbo s’estende anche alla umanità del Cristo che strettamente unita alla divinità non può essere messa da parte dall’amore del Padre celeste! Ed è qui che s’appoggiano e fondano le nostre speranze: poiché considerando Gesù Cristo uomo come noi, lo confessiamo e crediamo, come Egli si affermò, Dio uguale al Padre, e da Dio Padre conosciuto ed amato come Figlio! Non scandalizzatevi se vi affermo qui che qualche cosa di simile avviene anche nell’amore della Vergine per il suo Figlio. Essa ama, in un solo palpito, e l’umanità e la divinità nel suo Gesù, in cui l’onnipotenza divina le unì inseparabili. Dio avendo stabilito, nei suoi misteriosi disegni, l’incarnazione, decretando che una Vergine avrebbe generato nel tempo quegli ch’Ei genera in seno all’eternità, chiamò questa Vergine a partecipare in un cerio modo alla sua generazione eterna. Associarla alla generazione eterna altro non era, o cari, che farla Madre del suo Verbo! Siamo nel mistero… ma non nell’assurdo, o Cristiani! Ora, associatala il Padre, alla generazione con cui nell’eternità genera il Figliolo, doveva lo stesso divin Padre accendere nel cuore della Vergine una scintilla di quell’amor eterno, infinito, con cui Egli Padre ama il suo Figliolo; lo esigevano e la sua sapienza e il suo amore. Siccome la sua Provvidenza dispose tutte le cose con una giustizia mirabile, doveva anche accendere nel cuore di Maria un amore che passando ben alto sulla natura toccasse i limiti estremi della grazia, perché questo amore avesse palpiti degni d’una Madre di Dio, e di un Dio-Uomo. – O Vergine cara, se anche avessi la mente d’uno spirito celeste, io non giungerei mai a comprendere quale sia l’abbraccio perfetto con cui il Padre celeste vi strinse ed unì a Sè. « Dio amò tanto il mondo, osserva l’Apostolo, che diede a lui il suo Unigenito ». E S. Paolo commenta: « Dandoci il suo Figliolo ci diede con Lui ogni altro bene » (Romani, VIII). – Se l’amore del Padre per noi ci fece dare Gesù come Maestro e Salvatore, l’amore indescrivibile che aveva per Voi, o Vergine, deve avergli fatto concepire altri piani di benevolenza in favor vostro! Volle che il suo Unigenito fosse e suo e vostro allo stesso modo: e perché la parentela tra Voi e Lui, durasse eterna, volle voi Madre del suo Unigenito e sè Padre del vostro Figliolo. – Prodigio, abisso di carità, qual mente non si sentirà smarrire contemplando le divine compiacenze di cui foste oggetto, o Maria, quando così da vicino vi stringete a Dio per questo Figlio e vostro e suo che diviene il nodo infrangibile di questa santa alleanza, il pegno del mutuo amore che amorosamente vi scambiate e Dio dà a Voi, pieno della divinità impassibile, Voi, per obbedirgli, date a Lui rivestito di carne mortale!? Ah intercedete per me, per tutti questi miei fratelli, per tutti o Vergine beata… voi tenete nelle mani la chiave delle beneficenze divine! È il vostro Gesù questa chiave benedetta che apre il seno fecondo del Padre celeste: Egli solo chiude e nessuno può aprire, apre e nessuno potrà chiudere mai…: il suo Sangue innocente fa piovere su di noi ogni tesoro di grazie celesti! E chi potrà aver diritti su questo Sangue di benedizione più di voi, che glielo donaste traendolo dal vostro? La Carne sua è vostra, il Sangue suo è vostro, o Maria, e mi pare che questo Sangue prezioso goda sgorgando a larghi fiotti per Voi là sulla croce, sapendo che siete voi la sorgente prima da cui scaturì. E poi… l’amicizia intima della vostra vita con Lui, dice che è impossibile che voi non siate esaudita! Per questo il vostro devoto S. Bernardo si sente sicuro, nella sua preghiera, quando vi dice di parlare al cuore del nostro Signore Cristo Gesù! Cosa intende, il Santo dottore, con questa frase: parlare al cuore? Egli considera la Vergine come eterno meriggio cioè nell’ardore di una perfetta carità nell’amplesso misterioso col suo Gesù «in meridie sempiterno, in secretissimis amplexibus amantissimi Filii ». La considera e vede amare e riamata… sa che, le altre passioni parlano all’orecchio, solo l’amore parla al cuore… ed allora si sente di poterla con sicurezza scongiurare di parlare al Cuor di Gesù, suo Figlio. Ah, fratelli cari, quante volte questa tenera Madre parlò al cuore del suo Diletto!… parlò al cuore là a Cana quando, commossa dalla confusione dei due poveri sposi, cui veniva a mancare il vino del banchetto di nozze, lo sollecitò a trarli d’impiccio. Veramente, dalle parole, il suo Gesù non parrebbe tanto disposto ad ascoltarla… ma il suo cuore era già piegato: « Che importa di ciò a te ed a me, o donna? Non è ancor venuta la mia ora! » È tanto cruda questa frase, che tutti, tranne Maria, l’avrebbero considerata un rifiuto: Maria non se ne dà per intesa e comanda ai servi di stare agli ordini di Gesù — fate quello che vi comanderà — tanto era certa che l’avrebbe ascoltata. Vorreste dirmi, donde possa venire tanta confidenza, dopo tale risposta? Io penso che Maria era sicura perché sapeva d’aver parlato al cuore quindi non si curò di quanto le rispondeva la bocca: né si ingannò, ed il Figlio di Dio, come dice bene S. Giovanni Grisostomo, pensò ch’era meglio anticipare la sua ora davanti alla preghiera di sua Madre. Preghiamola dunque, o fratelli, che parli per noi e molto al Cuore del suo Gesù, dove le sue parole trovano un’eco fedele di corrispondenza e l’amor filiale s’avanza per ricevere l’amor materno… anzi preverrà i desideri suoi. Non vi accorgete, che il vino manca? il vino nuovo della legge nuova la carità di cui l’anima cristiana dovrebbe essere inebriata? Ecco perché le nostre feste sono così tristi, ed abbiamo così poco gusto al cibo celeste della parola di Dio! Ecco perché vediamo divisioni e partigianerie da ogni lato… Il Signore, davanti all’ostinato nostro rifiutare d’unirci, cordialmente amando, alla sua infinita bontà, si vendica e fa che proviamo tutta la sventura di mille lotte intestine. Vergine amabile, impetrate per tutti la santa carità, che Madre di pace, consola, conforta riconcilia gli animi. La nostra confidenza in voi è grande perché siamo persuasissimi che, Madre di Dio, avete grande potere, e Madre nostra non potete sopportare che i vostri figli rimangano delusi, quando sperano le carezze feconde della vostra tenerezza. Tratteremo questo nel

II° punto.

Con diritto, pregando, noi invochiamo la Vergine santa: Ella è madre di tutti i fedeli! è una eredità sacra che ci venne dai nostri padri, passando da generazione a generazione. Ci insegnarono essi, che, essendo il genere umano caduto in rovina eterna per opera d’un uomo e d’una donna, Dio aveva predestinati un’Eva nuova ed insieme un novello Adamo perché ci togliessero dalla morte riportandoci alla vita. Da questa dottrina universale dei Padri della Chiesa, trarrò con facilità questa conclusione: come la prima Eva fu la madre dei morti, così la seconda Eva, la Vergine Maria, dovrà essere la Madre dei viventi, cioè dei fedeli. Questa affermazione, la posso ben confermate con una frase scultoria di S. Epifanio, il quale assicura che la prima Eva era stata chiamata la Madre dei viventi, nel genesi in enigma, in quanto era simbolo della seconda Eva, cioè Maria, madre dei richiamati alla vita dal Cristo. Non occorre proprio, ma lasciatemi aggiungere una frase del grande Agostino, togliendola dal suo libro — Della santa verginità — dove insegna che la Vergine è Madre secondo il corpo, del Salvatore che è nostro capo; secondo lo spirito poi è Madre dei fedeli che sono le sue membra: « Carne mater Domini nostri, spiritu mater membrorum eius ». Ma io sono costretto a riassumere in poche parole quanto avevo proposto, per non dilungarmi troppo a danno del restante della funzione sacra, lascio da parte altre citazioni, che numerose potrei togliere dai Santi Padri su questo argomento, e senza esaminare i titoli per i qui la Vergine è con diritto chiamata nella tradizione ecclesiastica la Madre dei fedeli, cercherò solo mostrarvi, e basterà a persuadervi, che ci è Madre per sentimento, cioè perché Ella ha per noi una vera tenerezza e cura materna. Per comprendere, seguite, vi prego, il mio ragionamento, basato sull’insegnamento della Chiesa e la dottrina dei Padri ed anche io ve lo provai benché brevemente, ché Maria è proprio nostra Madre, domando quando cominciò ad aver questa qualità.  Voi mi dite che molto facilmente fu là sul Calvario quando Gesù morente Le diede S. Giovanni per figliolo. Non avete torto, e veramente vi è tutta la probabilità immaginabile, poiché, ve lo dissi in principio di questo discorso e ve lo ricordo ora, S. Giovanni, condotto dalla mano di Dio ai piedi della Croce, vi tenne la rappresentanza di tutti i fedeli, anzi diedi anche una ragione, che non mi parve senza prova: cioè che mentre tutti gli altri discepoli paurosi s’eran squagliati, la Provvidenza ritenne solo il discepolo prediletto, perché egli ricevesse per sé e per gli altri le ultime volontà e parole del Maestro. E davvero bisognerebbe mancasse la ragione, per negare che il Figlio di Dio, le cui azioni e parole in quelle misteriose circostanze erano tanto importanti, in tale momento non abbia solo considerato Giovanni come individuo: quindi ci sentiamo in diritto di dire che ci rappresentava tutti, e per tutti egli raccolse le parole che a lui, come a nostro rappresentante, erano dirette; anzi sentiamo che in nome nostro ex illa hora accepit eam in suam, la Vergine divenne quindi la nostra Madre, in quell’ora.Accettato questo, io faccio un’altra domanda.Qual è la ragione per cui il Salvatore attendequest’ora suprema per darci come figliuoli allaVergine Maria?Potreste rispondermi che ebbe compassione diuna Madre desolata che perdeva il migliore tra ifiglioli degli uomini, e quindi la consolò col darleuna posterità perpetua. È una ragione bella ed anchebuona. Io ne avrei però un’altra che forse nonvi dispiacerà. Io credo che fosse idea del Figlio diDio di scegliere quest’ora per instillare in Lei unatenerezza di madre. -Forse vi pare un po’ ardita la frase: ma a me non pare molto staccata dalla supposizione. Aipiedi della Croce Maria vedeva il suo Figliolo copertodi piaghe, colle braccia aperte e distese ad un popolo incredulo e senza compassione, vedevacolare per il corpo dalle vene lacerate… oh ci potrà descrivere il sussulto del suosangue materno? Certamente, mai come in quegliistanti si sentì madre… erano le pene atroci del Figlio che glielo facevan sentire più vivamente! Che farà il Salvatore?… Vediamo s’Egli conosce il segreto di svegliare efficacemente affetti nuovi! Quando l’animo nostro è scosso da una passione circa un oggetto, per la stessa tensione convulsa rimane disposto a sentire più vivamente tutte le emozioni che possono esservi provocate da altre cause. Se, ad esempio, siete sotto l’azione della collera, molto difficilmente coloro che vi avvicinano, in quei momenti, benché non ne abbian colpa, sfuggiranno agli effetti della collera vostra! È per questo  che nelle sommosse del popolo, un uomo astuto che sappia sfruttare il momento domina e guida i furori della folla fino a spingerli là dove la folla non avrebbe pensato: fatto che rende pericolosissimi i tumulti popolari. Quel che dico della collera ditelo delle altre altre passioni: quando l’anima è emozionata, basta indirizzarla ad un oggetto, benché diverso da quello lo commosse, che subito vi aderisce perché lo stato di eccitazione e ipersensibilità in cui trovasi la rende estremamente facile ad ogni impressione. Per questo il Salvatore, avendo deciso di darci a madre la Madre sua, per esser in tutto nostro fratello (ammiriamo tanto amore, o Cristiani!) vedendo dall’alto della sua Croce come l’anima di sua Madre era intenerita dall’amore ed il suo cuore straziato le riempiva gli occhi di un torrente di lacrime amare, quasi l’avesse atteso, scelse quel momento e le disse, additandole Giovanni, il divino comando: Donna, ecco il tuo figlio! Queste le parole, o fedeli miei: ma penetriamone bene il significato profondo se ci riesce: Donna, le dice, o donna afflitta cui un amore funesto fa sentire fino dove può giungere la forza dell’amore materno, questa tenerezza che inonda l’anima vostra, satura di strazio, e che voi avete per me, abbiatela per il mio Giovanni, il discepolo di predilezione: abbiatela per tutti i miei fedeli che in lui vi presento poiché tutti sono miei discepoli, tutti miei prediletti: Ecce filius tuus! Dovrei dirvi quanto queste parole uscite dal cuore del Figlio penetrassero profonde nel cuore della Madre, e quale impressione vi segnassero… ma vi rinuncio! e chi mai se ne sentirebbe capace? Pensate appena che chi parla è Colui che tutto compie colla sua parola onnipotente, che, se dovunque efficace, doveva esserlo meravigliosamente sul cuore di sua Madre… e per renderla per così dire più forte, la imporporò del suo sangue, la gridò come lamento di un morente vicino a render l’ultimo respiro! Pensate come tutto questo cooperò a farla scendere più profondamente fattiva nel cuore della Vergine. Bastò che dicesse a Giovanni l’« Ecce mater tua », perché subito il cuore del discepolo ardesse di amore filiale e — accepit eam discipulus in sua — quanto più prontamentela parola del Salvatore scendendo nel cuore di Maria vi avrà svegliato improvviso e violento l’amore per noi come per suoi veri figlioli! Passa in questo momento alla mia mente la visione di quelle madri che si fanno aprire il seno per introdurre nel mondo i figlioli quasi per forza. Qualcosa di simile accadde a Voi, o Vergine Maria! Fu attraverso il cuor vostro che ci generaste alla vita, poiché ci generaste nell’amore: Cooperata est charitate ut filii Dei in Ecclesia nascerentur, dice S. Agostino. Ed io oso affermare che queste parole che suonavan come l’ultimo addio del vostro Gesù spirante, penetrarono nel cuor vostro come una lama tagliente che penetra fino al fondo, con uno strazio indicibile che si mutava in palpito di amor materno per tutti i fedeli. – Noi siamo, dobbiamo dirlo, i figli nati da un cuore spezzato dalla violenza di uno strazio senza misura! Vedendo i Cristiani davanti a voi, o Vergine, io credo vi risuoneranno al cuore le parole ultime del vostro Gesù e le vostre viscere contorte dal dolore e dall’amore si muoveranno ad amore e compassione per noi come per i nati dal vostro patire. Non solo: noi siamo, per il vostro cuore, immagini vive del Figliolo che tanto amaste e di cui lo Spirito Santo scolpisce la fisionomia nell’anima dei fedeli, e ci amate, ma ci amate di più, perché essendo noi Cristiani ci vedete imporporati dal Sangue del Cristo, che mentre ci rende purificati segna in noi i lineamenti viventi del Salvatore. – Questa dottrina, che tolgo dalle Scritture, oltreché capace di eccitarci a virtù, illumina di una luce più viva la verità che io tratto; perciò ve la propongo. Da S. Paolo io imparo, e quanto vi dico merita più viva la vostra attenzione, che tutti i Cristiani, la cui vita corrisponda alla professione di fede che fanno, portano impressi nell’anima i lineamenti del Salvatore al naturale. Vivere da Cristiani altro non è che conformare le proprie azioni agli insegnamenti del Figlio di Dio. Ma la dottrina del Salvatore non è altro che la riproduzione della sua vita: la dottrina è copia, Egli è l’originale. In questo si differenzia dagli altri maestri perché  essi solo si sforzano a ben vivere (sarebbero infatti ben temerari se tentassero porre le loro azioni come norma di vita buona!) e quindi essi cercano creare buone e belle idee che pongono come norma sulla quale essi, non sempre, cercano modellare il loro vivere. Il Figlio di Dio no: Egli venne mandato nel mondo per essere modello della più alta perfezione: i suoi precetti sono la ripetizione delle sue azioni, le cose che insegna prima le pratica, la sua parola non è che il ritratto della sua condotta. « Coepit facere et docere ». Qual è l’azione dello Spirito santificatore nell’anima del Cristiano? Non fa che indurla a far sì che la sua vita sia la traduzione quotidiana e pratica dei precetti e dei consigli evangelici: cosicché adagio adagio la dottrina del Maestro passi nella vita e nelle azioni, nelle parole e nei costumi del suo seguace che diventa, per così dire, il vangelo vivente! Tutto in lui rivela il Maestro da cui apprese le lezioni e lo spirito, e penetrando dentro alla sua anima voi ritrovate in essa pensieri ed affetti e modi d’operare del Salvatore nostro e Maestro, È questo che commuove la Vergine! Ve lo posso ben provare recandovi un esempio che tolgo dalla vita di famiglia. Voi vedete talvolta una madre sventurata accarezzare in un modo più appassionato un ragazzo senz’altra ragione che questa: assomiglia al suo! Gli occhi, la bocca, le mani, il suo modo di camminare di ridere di parlare… sono proprio quelli del suo figliolo! E le madri sono d’una intuizione speciale per scorgere anche la più piccola somiglianza coi loro figlioli. E che è questo se non un dilatarsi, parliamo così, dell’amore di una madre, che non sazia d’amar il suo figliolo nella sua persona, lo va a cercare dovunque ne trova una linea di somiglianza? Se un abbozzo, diciamo, tanto commuove le madri, cosa dovrò dire della Madre nostra Maria quando nell’anima nostra contempla i tratti della infinita bellezza del suo Figlio segnatevi dal dito dello Spirito santificatore? Ma v’ha di più: non solo noi siamo le immagini vive del Figliolo di Dio, noi siamo ancora sue membra: ossa delle sue ossa, carne della sua carne, come dice, con frase energica, S. Paolo: con lui noi formiamo un corpo di cui Egli è il capo noi le membra: siamo suo corpo, il suo compimento, e questo, come insegna lo stesso Apostolo, ci unisce così a Lui, che chiunque ama il Salvatore deve necessariamente e dello stesso amore amare tutti i Redenti. – È questo il fatto che attira potente gli affetti della Vergine su di noi così, che nessuna madre può eguagliarla nell’amore… Verità, o Cristiani, che potrei eloquentemente dimostrarvi se non fossi pressato dalla necessità di por fine a questo discorso. A convincervene non faccio che richiamarvi brevemente alcune delle affermazioni che vi dimostrai nella prima parte e che dovete aver dinnanzi per ben capire quanto ancora ho da dire. Vi dissi che la maternità della Vergine non ha esempi sulla terra quindi neppure ha l’eguale l’amore di Lei per il suo Figlio, e come Maria abbia l’onore d’aver un Figlio che non ha altro Padre che il Padre celeste, Dio: quindi noi lasciammo da parte ogni confronto colla natura, e la misura del suo amore la cercammo nel seno dello stesso Padre Eterno. Siccome poi nel Cristo la natura umana è così stretta al Verbo Unigenito, da non poterla separare, il Padre estende il suo amore all’umanità stessa del Salvatore, e dell’Uomo-Dio fa l’oggetto delle sua compiacenze, come riferiscono le Scritture citate. Allo stesso modo e per la stessa ragione la Vergine abbraccia stringe in un unico amplesso d’amore l’umanità e la divinità del suo Figliolo, che l’unione ipostatica rende in Lui inseparabili. Sono queste le verità sulle quali abbiamo basata l’unione di Maria con Dio. – A questa ne aggiungo un’altra e subito vi dico che il Divin Padre ama noi dello stesso amore di cui ama il suo Unigenito: sarei audace in questa affermazione, se non la trovassi sulla bocca stessa del Salvatore, riferitaci dal discepolo dell’amore, che ci dice che Gesù così pregò: « Dilectio qua me dilexisti in ipsis sit, et ego in eis », quasi dicesse: — Padre io sono in essi perché sono le mie membra, prego voi che abbiate per esse l’amore che avete per me. — Parole d’ineffabile carità! – Gesù Salvatore nostro non può sopportare che siamo separati da Lui, pare quasi tema che il suo Padre faccia qualche differenza tra Lui capo e noi membra, mentr’Egli vuole che uno stesso amplesso d’amore stringa e il Maestro ed i discepoli. – Che possiamo concludere da questo per provare l’amore della Vergine per noi? Siccome, lo abbiamo detto, la Vergine modella il suo amore per il Cristo sull’amore del divin Padre, essendo la madre migliore, che possa immaginarsi sulla terra, estenderà il suo amore a tutto ciò che ha attinenza colla Persona del suo Figliolo. E noi siamo così uniti col Salvatore che a stento può immaginarsi unione più stretta: Egli è in noi e noi in Lui… cosicché ogni Cristiano fedele alla sua professione di fede si può dire che è un altro Gesù Cristo: se siamo veri Cristiani, siamo altrettanti Gesù: è punto capitale della dottrina cristiana questo. Stretti così al Cristo, il divin Padre che distinse tutti gli esseri, in una mirabile varietà, non ci distingue più dal nostro Capo e Salvatore, ma volentieri sparge su noi tutte le tenerezze del suo amore paterno, e Maria, modellando sull’amore del Padre il suo cuore, ci ama di tutto l’amore tenero che esige la sua qualità di Madre del Cristo. Su dunque, fedeli, su accorrete confidenti alla Vergine, essa non farà più distinzione tra noi ed il suo Gesù; ci considererà — carne della sua carne, ossa delle sue ossa — come dice l’Apostolo, come persone sulle quali e nelle quali colò e si sparse il suo sangue… ci considererà come altrettanti Gesù! Misura e norma dell’amor suo per noi il suo amore per Gesù suo Figliolo… non temiamo dunque d’invocarla nostra Madre. Ella si mostrerà degna di questo gran nome. – Se non mi inganno, questo è quanto io mi ero proposto di provare in questa seconda parte del mio discorso. Lodiamo insieme il Signore che ci concede di additare le vere basi della devozione sincera alla gran Vergine, basi eminentemente cristiane perché tolte dalla Scrittura e dalla tradizione della Chiesa! Bisogna però star in guardia perché questi ragionamenti destinati a svegliare in noi una devozione confidente a Maria, non producono una certa devozione che genera una confidenza temeraria dalla quale spiriti leggeri si lasciano ciecamente e facilmente trasportare, Avete ben visto, in quanto vi esposi, che la vera devozione alla Vergine non può mai essere separata da una vera vita cristiana. Purtroppo, vi sono molti che confondono la devozione a Maria, con una certa pratica superstiziosa, e si credono devoti suoi, perché fanno certe cose in suo onore, che mescolano ai disordini ed alle licenze dei loro costumi. Se alcuno tra voi credesse di esser in tal modo devoto della Vergine, sappia che Ella rigetta nauseata le preghiere che vengono da un cuore lontano dal suo Gesù! Invano cerchereste rendervela propizia con inchini ed ossequi; inutilmente la invochereste madre con una falsa e finta pietà! Avreste mai l’audacia di credere che il suo latte virginale possa colare su labbra sozze di peccato? Ch’Ella voglia abbracciar il nemico del suo Gesù con quelle braccia stesse con cui lo cullò nella sua infanzia? … e vi voglia porre fratelli, amici a giocare col suo Gesù mentre gli siete nemici? Sappiate, sappiano tutti questi disgraziati, che il suo cuore si ribella e la sua faccia si copre di rossore e confusione sentendosi da essi chiamata madre! Non dobbiamo Pensare, o fratelli, che Maria tutti e subito ci accetti e consideri suoi figlioli: bisogna passare per una prova, e difficile, prima di aver tal nome. Sapete cosa fa la Vergine quando alcuno la chiama mamma? Lo porta alla presenza del Salvatore, e vede se gli assomigli; perché se le è figlio deve essere un altro Gesù Cristo! – Anche tra gli uomini i figlioli portano impresso nelle carni le tracce di cose che impressionarono le loro madri: Maria è completamente ricolma del Salvatore Gesù: Lui è signore del suo cuore, Lui l’oggetto dei suoi desideri, Lui solo tutto occupa e la sua mente ed il suo cuore. Come potrebbe mai pensar suo figlio chi non abbia qualche tratto di somiglianza con Gesù!? – Quindi se dopo questo confronto diligente non trova alcuna somiglianza, scaccia indignata dalla Sua presenza dicendo che non ha nulla da dare, né da chiedere per costui al suo Figliolo, che anzi… « mi sei insopportabile anche colla sola presenza » gli dice! Quale confusione, Cristiani, quale sventura esser insopportabile ad una Madre tanto buona! – Se invece, facciamo esempi pratici, Le si presenta una persona che durante pubbliche sventure e crisi, come sono quelle che attraversiamo noi, davanti a tanta povera gente, ridotta all’estremo della miseria, si sente intenerire ed allarga il cuore e la mano per sollevare e confortare le miserie del povero e del sofferente, « oh, dice subito, costui ha imparato da Gesù che non rimase mai indifferente davanti a chi soffriva ». «Io ho compassione di questa folla » disse, e nello stesso tempo si faceva dare dai suoi Apostoli per essa quel che avevano in serbo per sé, e quel poco pane miracolosamente lo moltiplicava per sfamar quella gente. Le si presenta un individuo sul cui viso è la modestia, che se ne sta raccolto davanti al Signore, e se gli si parla di quanto riguarda la gloria del Signore non va a cercar scuse e pretesti, ma subito vi si dedica con ardore… « Come è amabile!» dice. Anche il mio Gesù alla sua età era così raccolto davanti a Dio, anche Lui a dodici anni lasciò me e il mio Giuseppe, e tutti gli amici, per occuparsi delle cose che erano del suo Padre celeste! – Quando, in modo speciale, vedrà un’anima che è tutta cura nel custodire la purezza della sua carne, della sua mente, del suo cuore, e non ama che caste delizie ed innocenti amori… « Gesù è padrone del suo cuore, dice, e ne fa la sua dimora preferita. Parlate a questo Cristiano una sola parola impudica… è un colpo di pugnale al suo cuore, subito si arma del pudore e corre alle difese! Ecco un vero Cristiano, un vero figlio della Vergine… Ella gode di lui, se ne gloria, se ne vanta! Con quale gioia lo presenta al suo diletto che si delizia soprattutto delle anime pure! Eccitiamoci dunque, o fratelli, eccitiamoci tutti ad un amore sempre più vivo e pratico alla purità, in modo speciale coloro che si sono consacrati a Lei nelle sue congregazioni nella vostra congregazione. Il vostro zelo ha ornato magnificamente questa chiesa in cui celebriamo le grandezze della Maestà divina… Ricordate, però, che abbiamo un altro tempio da ornare, tempio in cui abita Gesù e si riposa lo Spirito del Signore: è il tempio del nostro corpo: santificato dal Salvatore: voi dovete rispettarlo; lo lavò del suo Sangue dovete tenerlo mondo da ogni sozzura: lo consacrò facendolo tempio dello Spirito Santo perché voi l’ornaste di purezza, di innocenza, di virtù qui in terra, ed Egli l’ornerà di gloria e d’immortalità nel regno del Padre. ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Jer XVIII:20
Recordáre, Virgo, Mater Dei, dum stéteris in conspéctu Dómini, ut loquáris pro nobis bona, et ut avértat indignatiónem suam a nobis.

[Ricordati, o Vergine Madre di Dio, quando sarai al cospetto del Signore, di intercedere per noi presso Dio, perché distolga da noi la giusta sua collera].

Secreta

Offérimus tibi preces et hóstias, Dómine Jesu Christe, humiliter supplicántes: ut, qui Transfixiónem dulcíssimi spíritus beátæ Maríæ, Matris tuæ, précibus recensémus; suo suorúmque sub Cruce Sanctórum consórtium multiplicáto piíssimo intervéntu, méritis mortis tuæ, méritum cum beátis habeámus:
[Ti offriamo le preghiere e il sacrificio, o Signore Gesù Cristo. supplicandoti umilmente: a noi che celebriamo. in preghiera i dolori che hanno trafitto lo spirito dolcissimo della santissima tua Madre Maria, per i meriti della tua morte e per l’amorosa e continua intercessione di lei e dei santi che le erano accanto ai piedi della croce, concedi a noi di partecipare al premio dei beati:]


Commemoratio Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris

Hæc hóstia, Dómine, quǽsumus, emúndet nostra delícta: et ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[Questa offerta, Signore, ci purifichi dai nostri peccati: e consacri il corpo e l’anima di noi tuoi servi, perché possiamo celebrare questo sacrificio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Felíces sensus beátæ Maríæ Vírginis, qui sine morte meruérunt martýrii palmam sub Cruce Dómini.

[O Signore Gesù Cristo, il sacrificio al quale abbiamo partecipato celebrando devotamente i dolori che hanno trafitto la vergine tua Madre, ci ottenga dalla tua clemenza il frutto di ogni bene per la salvezza:]

Postcommunio

Orémus.
Sacrifícia, quæ súmpsimus, Dómine Jesu Christe, Transfixiónem Matris tuæ et Vírginis devóte celebrántes: nobis ímpetrent apud cleméntiam tuam omnis boni salutáris efféctum:
[O Signore Gesù Cristo, il sacrificio al quale abbiamo partecipato celebrando devotamente i dolori che hanno trafitto la vergine tua Madre, ci ottenga dalla tua clemenza il frutto di ogni bene per la salvezza:]
Orémus.
Commemoratio Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris
Suméntes, Dómine, dona cœléstia, supplíciter deprecámur: ut, quæ sédula servitúte, donánte te, gérimus, dignis sénsibus tuo múnere capiámus.

[Ricevendo questi doni celesti, ti supplichiamo umilmente, o Signore: fa’ che quanto con sollecito servizio abbiamo compiuto per tua concessione, lo abbiamo pure, per tua grazia, ad accogliere con degni sentimenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Come Domenica scorsa, la lettura dell’Uffizio divino coincide spesso in questo giorno con quella del libro di Giobbe che si suol fare nella 1a e nella 2a Domenica di Settembre. – Continuiamo quindi a leggere i testi del Messale in corrispondenza con quelli del Breviario. Giobbe è la figura del giusto, che il demonio superbo cerca di umiliare profondamente, affinché si rivolti contro Dio. « Lascia che io lo provi, dichiarò satana all’Altissimo, egli ti bestemmierà ». E Jahvè glielo permise, per fare di Giobbe il modello dell’anima che proclama il supremo dominio di Dio e si sottomette interamente alla sua volontà divina. La gelosia del demonio non conobbe allora più freno e fece piombare sullo sventurato Giobbe, con gradazione sapiente, tutte le calamità che ebbero potuto abbatterlo. Pure, benché privo di tutto e coricato sul letamaio, Giobbe non maledisse la mano onnipotente di Dio, che permetteva al demonio di accanirsi contro di lui, ma la baciò umilmente. Il Salmo dell’Introito rende mirabilmente la sua preghiera. « Abbi pietà di me, o Signore, porgi, o Signore, il tuo orecchio, poiché sono misero e povero ». Il Salmo del Graduale è anch’esso « la preghiera del povero quando è nell’afflizione », e i Versetti da 3 a 6: «Sono stato colpito come l’erba, a forza di gemere le ossa mi si sono attaccate alla pelle », sembrano l’eco delle parole di Giobbe che dice: « Le mie ossa si sono attaccare alla pelle, non mi restano che le labbra intorno ai denti » (Vers. 19, 20). Il Salmo dell’Offertorio parla anch’esso «del povero e dell’indigente» che supplica Iddio: « Non allontanare da me le tue misericordie, o Signore, poiché mali senza numero mi hanno circondato. Siano svergognati coloro che insidiano la vita mia » (Versetti 12-14). Infine, l’antifona della Comunione dice: « Piega, o Signore, verso di me, il tuo orecchio! Quante numerose e crudeli tribolazioni mi facesti provare! La mia lingua proclamerà dovunque soltanto la tua giustizia, e questa giustizia mi renderai quando coloro che cercano il mio danno saranno coperti di confusione e di vergogna » (Vers. 2, 20 e 24). Iddio, dicono infatti gli amici di Giobbe, esalta coloro che si sono abbassati, rialza e guarisce gli afflitti. La gloria degli empi è breve e la gioia dell’ipocrita non dura che un momento. Quando anche il suo orgoglio si innalzasse fino al cielo e la sua testa toccasse le nuvole, alla fine egli perirà. Tale è il retaggio che Dio serba agli empi. Essi si sono innalzati per un momento e saranno umiliati. – E Giobbe aggiunge: « Iddio ritirerà il povero dall’angoscia. Dio è sublime nella sua potenza. Chi può dirgli: Hai commesso un’ingiustizia? L’uomo che discute con Dio non sarà giustificato». Infatti, commenta S. Gregorio, chiunque discute con Dio si mette alla pari con l’Autore di ogni bene; attribuisce a se stesso il merito della virtù, che ha ricevuta, e lotta contro Dio con gli stessi beni di Lui.. È quindi giusto che « l’orgoglioso sia abbattuto e l’umile innalzato » (2° Notturno, 2a Domenica di Settembre). « Chiunque si innalza sarà abbassato e chiunque si umilia sarà rialzato », dice anche il Vangelo di questo giorno. Dio, infatti, dopo aver umiliato Giobbe, lo rialzò, rendendogli il doppio di quanto prima possedeva. Giobbe è una figura di Gesù Cristo, che, dopo essersi profondamente abbassato, è stato esaltato meravigliosamente; è anche figura di tutti i Cristiani, ai quali Iddio darà un posto di onore al banchetto celeste se di tutto cuore avranno praticato la virtù dell’umiltà sulla terra. L’orgoglio, dice S. Tommaso, è un vizio per il quale l’uomo cerca, contro la retta ragione, di innalzarsi al disopra di quello che egli è in realtà; l’orgoglio è quindi fondato sull’errore e l’illusione; l’umiltà, ha, al contrario, il suo fondamento nella verità, ed è una virtù che tempera e frena l’anima, affinché questa non si innalzi al disopra, super, di quello che è realmente (donde il nome di superbia dato all’orgoglio). L’anima umile accetta in piena sottomissione il posto che ad essa si conviene; quel qualsiasi posto che da Dio, verità suprema ed infallibile, le è assegnato. Umiltà nelle parole, umiltà nelle azioni, umiltà nel sopportare le prove e le contraddizioni, è la virtù che Giobbe ci insegna durante tutta la sua vita e che Gesù Cristo ci raccomanda nel Vangelo della Messa di oggi. « Dopo aver guarito l’idropico, dice S. Ambrogio, Gesù dà una lezione di umiltà » (3° Notturno). Vedendo come i Farisei scegliessero sempre i posti migliori, Egli volle farli accorti della loro malattia spirituale e spingerli a cercarne la guarigione; a questo scopo guarì dapprima uno sventurato, che la malattia aveva fatto gonfiare, e cercò quindi, velando la lezione sotto una parabola, di guarire la spirituale enfiagione che affliggeva i convitati presenti e che purtroppo affligge anche la maggior parte degli uomini. – Il mondo è in balìa di tutte le esaltazioni e di tutte le infatuazioni dell’orgoglio, mentre l’umiltà è la condizione assoluta per entrar nel regno dei cieli, ed è questa la virtù che la Chiesa ci inculca nell’Orazione ove dice che la grazia di Dio deve sempre prevenire ed accompagnarci, e che S. Paolo insegna con energia ai Cristiani nell’Epistola di questo giorno. Senza merito alcuno da parte nostra, spiega l’Apostolo agli Efesini, ma unicamente perché serviamo di strumento di lode alla sua gloria, Dio ci ha eletti in Cristo. Allorché eravamo figli della collera, l’Onnipotente, che è ricco di misericordia, ci ha reso la vita in Gesù Cristo, per l’amore immenso che ci porta. Noi tutti, pagani ed estranei alle alleanze conchiuse da Dio col popolo di Israele, siamo stati riavvicinati e riuniti nel Sangue del Redentore, poiché Egli è la nostra pace, Egli che di due popoli ne ha fatto uno solo e per il quale abbiamo, gli uni e gli altri accesso presso il Padre, in un medesimo Spirito. Non siamo più dunque degli estranei, ma dei membri della famiglia divina. E questo non è opera nostra, ma di Dio, affinché nessuno glorifichi se stesso. Gettiamoci dunque ai piedi del Padre nostro di nostro Signore Gesù Cristo, che è anche Padre nostro, affinché, attingendo nei tesori della sua divinità, sempre di più ci mandi lo Spirito Santo che ha effuso sulla Chiesa nella festa di Pentecoste e che nella fede e nell’amore ci unisce a Gesù, in modo che noi siamo colmati della pienezza di Dio. E chi potrà mai misurare questa carità sconfinata che iddio ci ha manifestata per mezzo del Figlio Suo? Questo amore del Padre per i suoi figli sorpassa infinitamente tatto quello che noi potremmo concepire e domandare a Dio. – A Lui dunque sia gloria in Gesù Cristo e nella Chiesa per tutti i secoli. « Cantiamo al Signore un cantico nuovo, poiché Egli ha operato prodigi » (Alleluia). « Tutte le nazioni temano il nome del Signore, tutti i re della terra annunzino la gloria sua », perché  Dio ha stabilito il suo popolo nella celeste Gerusalemme (Graduale). E questo  popolo che prenderà parte al gran banchetto della visione beatifica, sarà formato di tutti quelli che, rifuggendo da un’orgogliosa ambizione, saranno sempre stati umili sulla terra: Dio li esalterà nella stessa misura in cui essi si saranno con buon volere sottomessi alla sua santa volontà.

S. Paolo ha ricevuto da Dio la missione di annunziare ai Gentili che essi, al pari degli Ebrei, sono eletti a far parte del popolo di Dio: elezione gratuita che deve riempirli di un’umile riconoscenza verso il Signore e premunirli contro lo scoraggiamento che è una forma di orgoglio.

Per non lasciare un asino o un bue annegare in fondo ad un pozzo, i Giudei non esitavano a fare tutto quello che era necessario per ritirarneli, non ostante il giorno di Sabato in cui ogni opera servile era proibita. Perché dunque il Redentore non doveva poter guarire un ammalato in quel giorno? – « Va, mettiti all’ultimo posto » non vuol dire che il superiore debba mettersi al di sotto dei suoi subordinati, né esporre la sua dignità al disprezzo; ma egli deve ricordare queste parole dei Sacri Libri: « Quanto più sei grande, tanto più devi mostrarti umile in tutte le cose e troverai grazia davanti a Dio » (Eccl. III, 20).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXV: 3; 5
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].


Ps LXXXV: 1
Inclína, Dómine, aurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego.

[Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero].

Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].

Oratio

Orémus.
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus júgiter præstet esse inténtos.

[O Signore, Te ne preghiamo, che la tua grazia sempre ci prevenga e segua, e faccia che siamo sempre intenti alle opere buone].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes III: 13-21

Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis: quæ est glória vestra. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire etiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei. Ei autem, qui potens est ómnia fácere superabundánter, quam pétimus aut intellégimus, secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia et in Christo Jesu, in omnes generatiónes sæculi sæculórum. Amen.

[“Fratelli: Vi scongiuro di non perdervi di coraggio a motivo delle tribolazioni che io soffro per voi. Esse sono la vostra gloria. Perciò io piego i ginocchi davanti al Padre del Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni famiglia, in cielo e in terra, affinché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, d’essere fortemente corroborati, mediante il suo spirito, nell’uomo interiore: che Cristo per mezzo della fede abiti nei vostri cuori, affinché, profondamente radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; e d’intendere anche quell’amore di Cristo che sorpassa ogni coscienza, di modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A Lui che, secondo la possanza che opera in noi, può tutto infinitamente di là di quanto noi domandiamo e pensiamo: a Lui sia gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni di tutti i secoli”.]

PIENI DI DIO IN GESU’ CRISTO.

Una delle cose più stupende, e, se volete anche strane, quando ci facciamo a studiare bene l’uomo, è la sua estrema elasticità. Gli animali sono quel che sono, tutti: i buoi tutti lenti, gravi; i cervi tutti veloci; i leoni tutti crudeli, e gli agnelli tutti mansueti. Ma l’uomo… l’uomo è capace di assumere gli atteggiamenti più diversi, più contrari. Può andare da un estremo all’altro. Un trasformismo fenomenale. Possiamo purtroppo abbrutirci, e quanti uomini si abbrutiscono! Potrebbero essere degli uomini e diventano animali e peggio. S. Paolo l’afferma nettamente l’esistenza di questo « animalis homo.» E’ l’uomo che discende la scala dell’abisso. Si abbrutisce nel pensiero, che non è più pensiero, ricerca faticosa, conquista umile della verità, ma schiavitù dei sensi, superficialismo di impressioni molteplici e varie. Pensa e ragiona come una bestia: cioè non pensa, non ragiona più; urla, non parla. Si abbrutisce l’animalis homo, nel cuore corrotto e violento. Nessun battito generoso più, ma bramiti come di belva. Sogni, compiacenze voluttuose: il fango. Oppure la crudeltà: la belva accanto al bruto; col fango il sangue. La guerra e il dopoguerra hanno moltiplicate queste dolorose esperienze di crudeltà feroce, di ferocia bestiale. Abbiam visti uomini capaci di far paura alla bestia. Artigli, zanne, occhi iniettati di sangue. E per queste vie trionfali di discesa, si direbbe non ci sia limite. Si può andare, e si va sempre più in giù, e ci si abbrutisce sempre più. Tutto questo bisognava ricordare, bisogna meditare per comprendere l’altro moto diametralmente contrario. L’uomo può angelicarsi, mi direte voi. Ciò, vi dico con San Paolo, è ancora poco, troppo poco per il Cristiano, il quale, invece, può e deve divinizzarsi. Dal fango a Dio. Sicuro, è il programma del Cristianesimo, di quel Cristianesimo che davvero atterra e suscita questa povera umanità. L’atterra nella polvere davanti a Dio, la umilia profondamente, ci proclama peccatori, guasti; corrotti, figli di ira, vuole che ci mettiamo in ginocchio, che ci mostriamo davanti a Lui. « Venite adoremus. » Ma ci esalta, perché ci scopre la nostra origine e razza divina, ci dà il diritto di chiamarci, e il potere di diventare figli di Dio, di divinizzarci. Meditiamo pure bene, meditiamo spesso questi contrasti. L’umanità è cattiva, peccatrice, ci insegna il Cristianesimo, ed eccoci nella polvere della abbiezione. E, a parte che dobbiamo stare in ginocchio, colla faccia a terra, perché siamo peccatori, dovremmo starci ginocchioni così, prostrati così davanti a Dio, perché siamo uomini, povere creature di Dio, scintille davanti a un incendio, gocce di fronte al mare. È questo il preludio del dramma, non è il dramma. Il dramma è l’esaltazione sino a Dio. L’eritis sicut Dei, che suonò audace bestemmia sulle labbra del demone, suona dolce invito sulle labbra di Gesù Cristo. « Estote perfectì sicut Pater vester coelestis perfectus est. » Gesù non invita all’impossibile; se mai, ci invita all’impossibile,rendendolo possibile. Dobbiamo diventare come Dio in ciò che Dio ha di più tipico, di più suo, di più caratteristico: la bontà.«Nemo bonus nisi unus Deus:» ma anche noi dobbiamo diventare buoni, anzi perfettamente buoni (estote perfecti), come Lui, come Dio. Non si può andare più in là, più in su. Ma San Paolo adopera un linguaggio ancor più espressivo, più enfatico, direi, se la parola enfasi non portasse con sé l’idea della esagerazione. Paolo vuole che ci riempiamo noi Cristiani, ci riempiamo di Dio, anzi, per usare proprio la sua frase, d’ogni pienezza divina. Quanti sono i Cristiani pieni di Dio? Ne conosco tanti pieni di ben altre cose, di vanità, d’orgoglio, di avarizia, di viltà, di invidia… ma pieni di Dio! Cerchiamo di fare noi questo miracolo in noi stessi, coll’aiuto di Dio, nel nome di Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua.

[Poiché il Signore ha edificato Sion e sarà veduto nella sua maestà.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit Dóminus. Allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché Egli fece meraviglie. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIV: 1-11
In illo témpore: Cum intráret Jesus in domum cujúsdam príncipis pharisæórum sábbato manducáre panem, et ipsi observábant eum. Et ecce, homo quidam hydrópicus erat ante illum. Et respóndens Jesus dixit ad legisperítos et pharisæos, dicens: Si licet sábbato curáre? At illi tacuérunt. Ipse vero apprehénsum sanávit eum ac dimísit. Et respóndens ad illos, dixit: Cujus vestrum ásinus aut bos in púteum cadet, et non contínuo éxtrahet illum die sábbati? Et non póterant ad hæc respóndere illi. Dicebat autem et ad invitátos parábolam, inténdens, quómodo primos accúbitus elígerent, dicens ad illos: Cum invitátus fúeris ad núptias, non discúmbas in primo loco, ne forte honorátior te sit invitátus ab illo, et véniens is, qui te et illum vocávit, dicat tibi: Da huic locum: et tunc incípias cum rubóre novíssimum locum tenére. Sed cum vocátus fúeris, vade, recúmbe in novíssimo loco: ut, cum vénerit, qui te invitávit, dicat tibi: Amíce, ascénde supérius. Tunc erit tibi glória coram simul discumbéntibus: quia omnis, qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.

[“In quel tempo Gesù entrato in giorno di sabato nella casa di uno de’ principali Farisei per ristorarsi, questi gli tenevano gli occhi addosso. Ed eccoti che un certo uomo idropico se gli pose davanti. E Gesù rispondendo prese a dire ai dottori della legge e ai Farisei: È egli lecito di risanare in giorno di sabato? Ma quelli si tacquero. Ed egli toccandolo lo risanò, e lo rimandò. E soggiunse, e disse loro: Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo trae subito fuori in giorno di sabato? Né a tali cose poterono replicargli. Disse ancora ai convitati una parabola, osservando com’ei si pigliavano i primi posti dicendo loro: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere a sedere nel primo posto, perché a sorte non sia stato invitato da lui qualcheduno più degno di te: e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedi a questo il luogo; onde allora tu cominci a star con vergogna nell’ultimo posto. Ma quando sarai invitato va a metterti nell’ultimo luogo, affinché venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su. Ciò allora ti fia d’onore presso tutti i convitati. Imperocché chiunque si innalza, sarà umiliato; e chi si umilia sarà innalzato”.]

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’umiltà.

“Omnis qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat, exaltabitur.”

(Luc.. XVIII, 14).

Poteva forse, Fratelli miei, il nostro divin Salvatore, mostrarci in modo più chiaro ed evidente la necessità di umiliarci, cioè di sentire bassamente di noi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, se vogliamo sperare di andar a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità? — Trovandosi un giorno in compagnia di persone, le quali, a quanto pare, si gloriavano del bene che avevano fatto, e disprezzavano gli altri, Gesù Cristo propose loro questa parabola, che, nulla vieta credere riproduca un fatto storico: “Due uomini, disse, ascesero al tempio per farvi orazione; l’uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo ritto in piedi, così parlava a Dio: “Ti ringrazio, o Signore, perché non sono come il resto degli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano: digiuno due volte la settimana, do le decime di quanto possiedo. „ Ecco la sua preghiera, ci dice S. Agostino: (Serm. CXV, cap. 2, in illud Lucæ) vedete bene che essa non è altro che uno sfoggio pieno di boria, di vanità e di orgoglio. Il fariseo non viene al tempio per supplicare Iddio o ringraziarlo: ma per dir le sue lodi ed insultare l’altro che sta pregando. Il pubblicano invece, stando lungi dall’altare, non osava neppure di alzar gli occhi al cielo; si percoteva il petto, dicendo: “Mio Dio, abbi pietà di me che sono peccatore. „ — “Vi dichiaro, aggiunge Gesù Cristo, che questi se ne partì giustificato, non l’altro. „ I peccati del pubblicano vengono perdonati, ed il fariseo con tutte le sue virtù, ritorna a casa più colpevole di quando ne era uscito. Se volete saperne la ragione, eccola: l’umiltà del pubblicano, quantunque peccatore, fu più accetta a Dio che tutte le pretese opere buone dei fariseo col suo orgoglio (Respexit in orationem humilium, et non sprevit precem eorum. Ps, CI, 18).E Gesù Cristo ne concluse che: “chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.„ Ecco la regola, F. M., non illudiamoci; la legge è generale; è il nostro divino Maestro che l’ha pubblicata. “Quando avrete alzata la testa sino al cielo, dice il Signore, Io ve ne strapperò. „ (Jer. XLIX, 16) Sì, F. M., l’unica strada che conduce alla gloria dell’altra vita, è l’umiltà. (Gloriam præcedit humilitas. Prov. xv, 33). Senza umiltà, senza questa bella e preziosa virtù, non entrerete in cielo, come non vi entrerete senza il battesimo (Matth. XVIII, 3). Comprendiamo adunque oggi, F. M., l’obbligo che abbiamo di umiliarci, ed i motivi che vi ci devono impegnare. Perciò, F. M., vi mostrerò:

1° che l’umiltà è una virtù assolutamente necessaria, se vogliamo che le nostre azioni siano accette a Dio e ricompensate nell’altra vita;

2° che tutti abbiamo obbligo di praticarla, sia riguardo a Dio, sia riguardo a noi stessi.

I . — Prima, F. M., di farvi comprendere il bisogno che abbiamo di questa bella virtù, tanto necessaria quanto il battesimo dopo il peccato originale; tanto necessaria, aggiungo quanto il sacramento della Penitenza dopo il peccato mortale, bisogna vi dica in che cosa consiste questa amabile virtù, che dà si gran merito a tutte le nostre buone azioni, ed orna così riccamente tutte le nostre opere buone. – S. Bernardo, questo gran santo che l’ha praticata in modo così straordinario, che ha abbandonato beni, piaceri, parenti ed amici, per passare la sua vita nelle foreste, tra le fiere, a piangervi i suoi peccati, ci dico che l’umiltà è una virtù per la quale conosciamo noi stessi: cosa che ci porta a non avere per noi che disprezzo, ed a non provar nessun gusto nel sentirci lodati . (De gradibus humilitatis et superbiæ, cap. 1).

1° Anzitutto questa virtù ci è assolutamente necessaria se vogliamo che le nostre azioni siano premiate in cielo: poiché Gesù Cristo stesso ci dice che non possiamo salvarci senza umiltà, come non possiamo salvarci senza il battesimo. S. Agostino ci dice: ” Se mi domandate qual è la prima virtù del Cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate qual è la seconda, vi dirò ancora l’umiltà; e ogni volta mi farete questa domanda, vi darò sempre la medesima risposta. „(Epist. CXIII ad Dioscorum, cap. III, 22). Se l’orgoglio genera tutti i peccati (Initium omnia peccati est superbia, Eccli. x, 15), possiamo anche dire che l’umiltà produce tutte le virtù (Vedi RODRIQUEZ, Trattato dell’umiltà, cap. III). Coll’umiltà, avrete quanto v’occorre per piacere a Dio e salvar l’anima vostra; senza umiltà, aveste pure tutte le altre virtù, avrete nulla. Leggiamo nel santo Vangelo che alcune madri presentavano i loro bambini a Gesù Cristo perché li benedicesse. Gli Apostoli li respingevano. Nostro Signore, volendo mostrare la sua disapprovazione, disse loro: “Lasciate venire a me questi pargoli, poiché il regno dei cieli è per loro e per chi ad essi rassomiglia. „ E li abbracciava, e dava loro la sua santa benedizione. Perché tanta accoglienza da parte del divin Salvatore? Perché  i bambini sono semplici, umili, e senza malizia. Parimente, F. M., se vogliamo essere bene accolti da Gesù Cristo, dobbiamo essere semplici ed umili in quanto facciamo. “Fu – ci dice S. Bernardo – fu questa bella virtù, la cagione per cui l’eterno Padre fermò sulla santissima Vergine lo sguardo della sua compiacenza: e se, la verginità, aggiunge, attrasse lo sguardo di Dio, l’umiltà fu causa che ella diventasse Madre del Figlio di Dio. Se Maria santissima è la Regina dei vergini, ella è altresì la Regina degli umili. „ (Hom. I, super Missus est, 5) S. Teresa domandava un giorno a nostro Signore, perché altre volte lo Spirito Santo si comunicava con tanta facilità ai personaggi dell’Antico Testamento, ai patriarchi, ai profeti, e manifestava loro i suoi secreti, mentre al presente non lo fa più. Nostro Signore le rispose perché erano più semplici e più umili, mentre gli uomini di oggi hanno il cuor doppio, e sono ripieni di orgoglio e vanità. Dio non si comunica ad essi, non li ama, come amava quei buoni patriarchi e quei profeti, che erano semplici ed umili. S. Agostino ci dice: “Se vi umiliate profondamente e riconoscete di esser nulla, di non meritar nulla, Dio vi darà grazie in abbondanza; ma se volete innalzarvi e credervi qualche cosa, Egli si ritirerà da voi, e vi abbandonerà nella vostra miseria. „ – Nostro Signore per farci ben comprendere che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, comincia le beatitudini coll’umiltà, dicendo: “Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli. „ S. Agostino ci dice che questi poveri di spirito sono quelli che hanno l’umiltà per patrimonio! (Serm. LIII, in illud Matth. Beati pauperes spiritu). Il profeta Isaia dice a Dio: “Signore, su chi il vostro Spirito Santo discende? Forse su quelli che hanno gran riputazione nel mondo, o sugli orgogliosi? — No, dice il Signore, ma su chi ha il cuore umile. „ (Is. XLVI, 2).Non solo questa virtù ci rende accetti a Dio,ma anche agli uomini. Tutti amano colui che è umile; si gode della sua compagnia. Perché  ordinariamente i fanciulli sono amati, se non perché sono semplici ed umili? Una persona umile cede in tutto, non contraria e non affligge mai nessuno, s’accontenta di tutto, cerca sempre di nascondersi agli occhi del mondo. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di S. Ilarione. S. Girolamo racconta che questo gran santo era richiesto dagli imperatori, dai re, dai principi, dalla folla del popolo attirato nella solitudine del deserto dal profumo di sua santità e dallo splendore e dalla fama dei suoi miracoli; ma che egli al contrario fuggiva il mondo quanto poteva. Cambiava spesso di cella, per vivere nascosto e sconosciuto; piangeva senza posa alla vista di quella moltitudine di religiosi e d’altra gente che venivano da lui per essere guariti dai loro mali. Rimpiangendo l’antica solitudine: “Sono, diceva tutto in lacrime, sono ritornato nel mondo, riceverò la mia ricompensa in questa vita, poiché mi si tiene per una persona considerevole. „ — “E ci dice S. Girolamo, niente di più ammirabile che vederlo così umile in mezzo a tanti onori che gli venivano prodigati. Essendosi sparsa la notizia che si ritirava nel fondo di un deserto selvaggio, dove nessuno avrebbe potuto più visitarlo, ventimila uomini si misero ad invigilarlo; ma il Santo disse loro che non avrebbe preso cibo sinché non lo avessero lasciato libero. Gli si fece la guardia per sette giorni: ma vedendo che non mangiava nulla… Fuggì nel deserto più remoto e selvaggio dove si diede a tutto ciò che poteva ispirargli il suo amore per Dio. Solamente là credette di cominciare a servire il buon Dio. „ (Vita dei Padri del deserto). Ditemi, F. M., non è questa umiltà, disprezzo di se stesso? Ahimè! quanto queste virtù sono rare! ma anche i Santi sono rari! Quanto si odia un orgoglioso, altrettanto si ama una persona umile, perché essa prende sempre l’ultimo posto, rispetta tutti e stima tutti, e perciò appunto piace tanto la compagnia di persone che hanno così belle qualità.

2° Inoltre l’umiltà è il fondamento di tutte le altre virtù (Cogitas magnam, fabricam construere celsitudinis? De fundamento prius cogita humilitatis. S. Aug., Serm. in Matth.). Chi desidera servire il buon Dio e salvare l’anima propria, deve cominciare dal praticar questa virtù in tutta la sua estensione, altrimenti la nostra divozione sarà simile ad uno stelo di paglia che fu piantato, ma che al primo soffio di vento sarà abbattuto. Sì, F. M., il demonio teme pochissimo quelle divozioni che non hanno l’umiltà per fondamento, perché sa benissimo che le potrà abbattere quando a lui piaccia; come accadde a quel solitario che giunse sino a camminar sui carboni ardenti senza abbruciarsi, ma, privo d’umiltà, cadde poco dopo negli eccessi più deplorevoli (Vita dei Padri del Deserto). Se non avete l’umiltà, dite che non avete nulla, e che alla prima tentazione cadrete. Si racconta nella vita di S. Antonio (ibid.), che il buon Dio gli fece vedere il mondo tutto ripieno di lacci tesi dal demonio per far cadere gli uomini nel peccato. Ne fu tanto stupito, che il suo corpo tremava come le foglie della foresta, e rivolgendosi a Dio:  “Ahimè! Signore, chi potrà evitare tante insidie? „ Intese una voce rispondergli: “Antonio, chi sarà umile; perché Dio dà la sua grazia agli umili per resistere alle tentazioni, mentre permette «he il demonio si prenda giuoco degli orgogliosi, i quali esposti all’occasione, cadranno nel peccato. Il demonio non osa neppure attaccare le persone umili. „ Quando S. Antonio era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente innanzi a Dio, dicendo: “Ahimè, Signore, sapete che non sono altro che un miserabile peccatore! „ Allora il demonio fuggiva. Quando siamo tentati, F. M., teniamoci nascosti sotto il velo dell’umiltà, e vedremo che il demonio avrà poca forza su di noi. Leggiamo  nella vita di S. Macario, che andando egli un giorno nella sua cella carico le braccia di foglie di palma, gli si fece innanzi il demonio con spaventevole furore tentando di percuoterlo, ma non riuscendo perché Dio non gliene aveva dato facoltà, esclamò: “O Macario! quanto mi fai soffrire: non ho la forza di maltrattarti, quantunque io adempia più perfettamente di te ciò che tu fai; perché tu digiuni qualche volta, ma io non mangio mai: tu vegli qualche volta ed io non dormo mai. Non v’è che una cosa, in cui confesso che mi superi. „ S. Macario gli domandò quale fosse. “È la tua umiltà. „ Il santo si gettò con la faccia contro terra, domandò a Dio di non soccombere alla tentazione, e subito il demonio fuggi. (Vita dei Padri del deserto. S. Macario d’Egitto). Ah! F. M., questa virtù quanto ci rende cari a Dio, ed è potente a scacciare il demonio. Ma quanto è rara! ed è facile comprenderlo, poiché vi sono ben pochi Cristiani che resistano al demonio quando sono tentati. Ma, affinché non vi facciate illusione e riconosciate che questa virtù non l’avete avuta mai, entriamo in un semplice particolare. No, F. M., non sono prova che noi possediamo l’umiltà le belle parole e belle manifestazioni di disprezzo di noi stessi. E prima di cominciare vi citerò un esempio il quale vi proverà che le parole contano poco. Leggiamo nella Vita dei Padri, che essendo venuto un solitario a trovare S. Serapione, (idem)  quegli non voleva pregare con lui, perché, diceva, ho commesso tanti peccati e ne sono indegno: non oso neppure respirare l’aria in cui vi trovate. Seduto in terra, non osava neppure assidersi sullo stesso sgabello su cui stava S. Serapione. Volendo il santo lavargli i piedi secondo il costume, egli resisté ancor più. Ecco l’umiltà che secondo noi ha tutta l’apparenza di essere sincera, eppure vedete dove va a finire. S. Serapione si limitò a osservargli che avrebbe fatto assai meglio a starsene nella sua solitudine, invece di andare di cella in cella al pari di un girovago, e a lavorare per vivere. Allora il solitario non seppe trattenersi dal mostrare che la sua umiltà non era che falsa virtù; si adirò contro il santo, e lo lasciò. Perciò il santo gli disse: “Eh! figlio mio, mi dicevate or ora che avevate commesso tutti i delitti immaginabili, che non osavate né pregare né mangiare con me, e per un semplice avvertimento, che in nulla può offendervi, vi lasciate vincere dalla collera! Andate, amico mio, la vostra virtù e tutte le vostre opere buone sono prive della più bella dote, che è l’umiltà. „ Vedete da questo esempio, che ve n’è ben poca di vera umiltà. Ahimè! quanti vi sono che finché vengono adulati, lodati o ricevono dimostrazioni di stima, sono tutto ardore per le pratiche di pietà, darebbero tutto e si spoglierebbero di tutto; ma basta un piccolo rimprovero, un tratto d’indifferenza per gettare l’amarezza nel loro cuore; tutto questo li tormenta, li fa piangere, li mette di cattivo umore, fa commettere loro mille giudizi temerari, pensando che vengono trattati indegnamente, mentre con altri non si usa così. Ahimè! quanto questa bella virtù è rara fra i Cristiani dei nostri giorni! quante virtù non hanno che l’apparenza, ed al primo urto se ne vanno in fumo! Ma in che cosa consiste l’umiltà? Eccolo: vi dirò anzitutto che vi sono due specie di umiltà, l’una interiore e l’altra esteriore. L’umiltà esterna consiste:

1° nel non lodarsi di esser ben riusciti in qualche opera da noi fatta, e non ripeterne il racconto a tutti; nel non narrare le nostre prodezze spiritose, i nostri viaggi, la destrezza ed abilità mostrate, né ciò che per avventura è stato detto a nostro onore:

2° nel nascondere il bene che possiamo aver fatto, come le elemosine, le preghiere, le penitenze, i servigi prestati al prossimo, le grazie interne che Dio ci ha largito;

3° nel non compiacerci quando siamo lodati; nel cercare di divergere la conversazione, attribuendo a Dio il buon successo pel quale siamo encomiati; facendo conoscere che ciò ci dà fastidio, ed andandocene se lo possiamo;

4° nel non dir mai né bene né male di sé stesso. Alcuni parlano spesso male di se medesimi allo scopo di venir lodati: questa è falsa umiltà, è un’umiltà posticcia. Di voi stesso non dite nulla, accontentatevi di riconoscere che siete un miserabile, che occorre tutta la carità di Dio per sopportarvi sulla terra;

5° nel non mai disputare cogli eguali; bisogna loro ceder in tutto ciò che non è contrario alla coscienza; non creder d’avere sempre ragione; se la si avesse, bisogna pensar subito che potremmo ingannarci, come avvenne tante volte; e soprattutto non ostinarci mai a voler dire l’ultima parola, ciò che rivela uno spirito assai orgoglioso:

6° nel non mostrarci mai tristi, quando sembriamo disprezzati, né lamentarcene con altri; ciò proverebbe che non abbiamo umiltà, poiché se ne avessimo, non crederemmo mai d’essere disprezzati, giacché mai non potremmo essere trattati come meritiamo pei nostri peccati; al contrario bisogna ringraziare il buon Dio, come il santo re Davide, che rendeva bene per male (Ps. VII, 5), pensando quanto aveva egli stesso disprezzato Dio coi suoi peccati;

7° nell’essere ben contenti che ci si disprezzi, ad esempio di Gesù Cristo, di cui fu detto “che sarebbe stato saziato d’obbrobrio (Thren. III, 30), „ e ad esempio degli Apostoli, dei quali è scritto 3 (Act. V, 41) “che gioivano grandemente d’esser trovati degni di soffrire qualche disprezzo, qualche ignominia per amore di Gesù Cristo: „ e tutto questo all’ora della morte ci sarà argomento di sperare la felicità;

8° nel non scusarci delle nostre colpe, quando abbiamo fatto qualche cosa di riprovevole, e non dar ad intendere che non è così, o con menzogne o con rigiri, o col far apparire di non essere stati noi. Quand’anche fossimo accusati a torto, purché non siavi interessata la gloria di Dio, non dobbiamo dir nulla. Vedete che cosa capitò a quella giovinetta, alla quale si era messo il nome di fratello Marino Ahimè! chi di noi sottoposto a simili prove non sarebbesi giustificato, potendolo così facilmente? (v. XI Domenica dopo Pentecoste).

9° Finalmente l’umiltà esteriore consiste nel fare ciò che è più ripugnante, ciò che gli altri non vogliono fare, e amare di andar vestiti semplicemente. Ecco. F. M.. in che cosa consiste l’umiltà esteriore. Ma in che cosa consiste quella interiore?

Eccolo. Consiste:

1° nel sentire bassamente di noi, non applaudendosi in cuore, quando abbiamo fatto qualche cosa ben riuscita, ma crederci indegni e incapaci di fare qualsiasi buona azione, appoggiati alle parole di Gesù Cristo medesimo, che ci dice che senza di Lui nulla possiam fare di bene (Joan. XV, 5): non possiamo neppur pronunziare una buona parola, neppur ripetere il Ss. Nome di Gesù, senza il soccorso dello Spirito Santo (I Cor. XII, 3);

2° nell’essere lieti che gli altri conoscano i nostri difetti, per aver occasione di tenerci nel nostro nulla;

3° nell’essere contenti che gli altri ci superino in ricchezze, in ingegno, in virtù, od in altra cosa e nel sottometterci alla volontà, al giudizio altrui, ogni volta che non sia contro alla coscienza. Sì, F. M., una persona veramente umile deve essere simile ad un morto, che ne s’inquieta per le ingiurie che gli si fanno, né gode per le lodi che gli vengono date. – Ecco, F. M., che cos’è possedere l’umiltà cristiana, che ci rende così accetti a Dio ed amabili al prossimo. Vedete ora, se l’avete o no. E se non l’avete, non vi resta per salvarvi che di domandarla a Dio fin che l’abbiate ottenuta, perché senza di essa non entreremo in cielo. Leggiamo nella vita di S. Elzeario, che, trovatosi in pericolo di perire in mare con quanti erano nella nave, passato il pericolo, santa Delfina sua sposa gli domandò se non avesse avuto paura. Le rispose: “Quando mi trovo in simile pericolo, raccomando a Dio me stesso e quanti sono con me, e gli dico che se alcuno deve morire, sia io quello, come il più miserabile ed indegno di vivere. „ (Ribadeneira, 27 Sett.,m t. IX). Quale umiltà!… S. Bernardo era così penetrato del suo nulla, che quando entrava in una città, si metteva in ginocchio a pregare Iddio di non punire quella città a cagione de’ suoi peccati; credeva che. dovunque andasse, non fosse capace che d’attirare la maledizione su quel luogo. Quale umiltà, F. M., in un santo così grande in cui vita fu una catena non mai interrotta di opere meravigliose! Bisogna, F . M., che tutto quanto facciamo sia accompagnato da questa bella virtù, se vogliamo che abbia premio in cielo. Facendo le vostre preghiere, avete voi questa umiltà che vi fa riguardare voi stessi come miserabili, indegni di stare alla santa presenza di Dio? Ah! se così fosse non vi accontentereste di farle vestendovi o lavorando. No, non l’avete. Se l’aveste quando siete alla S. Messa, con qual rispetto, modestia e timore non vi assistereste? Ah! no, no, non vi si vedrebbe sorridere, parlare, voltar la testa, girare i vostri sguardi per la chiesa, dormire, far le preghiere vostre senza divozione, senza amor di Dio. Lontani dal trovar lunghe le funzioni, non potreste più uscirne, pensando quanto dev’essere grande la misericordia di Dio per sopportarvi in mezzo ai fedeli, voi che meritate pei vostri peccati d’essere annoverato fra i reprobi. Se aveste questa virtù, quando domandate qualche grazia al buon Dio, fareste come la Cananea che si inginocchiò ai piedi del Salvatore in presenza di tutti (Matt. XV, 25); come Maddalena, che baciò i piedi del Salvatore in una numerosa assemblea (Luc. VII, 88). Se l’aveste, fareste come quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue, ed andò con tanta umiltà a chinarsi davanti al Salvatore per toccare umilmente il lembo del suo vestito (Marc. V, 25). Se aveste l’umiltà d’un S. Paolo, che era stato rapito fino al terzo cielo (II Cor. XII, 2), eppure si considerava come un aborto, come l’ultimo degli Apostoli, indegno del nome che portava (I Cor. XV, 8, 9) … Mio Dio! quanto è bella questa virtù; ma quanto è rara!… Se aveste questa virtù, F. M., quando vi confessate, ahi sareste lungi dal nascondere i vostri peccati o raccontarli come una storia divertente, e sovratutto raccontar quelli degli altri! Ah! da qual timore non sareste compresi, considerando da una parte la gravità delle vostre colpe, l’oltraggio che esse hanno recato a Dio, e osservando dall’altra la carità che Egli ha di perdonarvele? Dio mio! non sarebbe il caso di morire di dolore e di riconoscenza?,.. Se dopo aver confessato i vostri peccati, aveste quell’umiltà di cui parla san Giovanni Climaco (La scala santa, quinto grado), che essendo in un monastero, ci dice di aver visto coi propri occhi dei religiosi così umili, mortificati, i quali sentivano per modo il peso dei loro peccati che i loro lamenti, e le preghiere indirizzate a Dio erano capaci di toccare cuori duri some la pietra. Ve n’erano alcuni coperti di ulceri, da cui usciva un fetore insopportabile; essi curavano sì poco i loro corpi, che non avevano ormai più che pelle ed ossa. Si udivano risuonare pel monastero le grida più strazianti. – Ah! guai a noi peccatori miserabili! Giustamente mio Dio. potete precipitarci nell’inferno!,, Altri esclamavano: “Ah! Signore, perdonateci, se le nostre anime possono ancora ricevere perdono! Avevano tutti il pensiero della morte fisso nella lor mente e si dicevano gli uni gli altri: “Che sarà di noi dopo aver avuto la disgrazia d’offendere un Dio così buono? Potremo noi avere qualche speranza pel giorno delle vendette divine? „ Altri domandavano d’esser gettati nel fiume, per venirvi mangiati dai pesci. Il superiore vedendo S. Giovanni Climaco, gli disse : ” Ebbene! Padre mio, avete visto i nostri soldati? „ S.Giovanni Climaco ci dice che non poté né parlare né pregare, perché le grida di quei penitenti così profondamente umiliati, gli strappavano, suo malgrado, lagrime e singhiozzi. Come va, F. M., che noi non abbiamo umiltà, sebbene siamo assai più colpevoli? Ahimè! è perché non ci conosciamo abbastanza!

II. — Sì, F. M., ad un Cristiano, che si conosca bene, tutto serve per portarlo ad umiliarsi. Voglio dire tre cose: la considerazione delle grandezze di Dio, le umiliazioni di Gesù Cristo, e la nostra miseria.

1° Chi potrà considerare bene la grandezza di Dio, senza annichilarsi alla sua presenza, pensando che Egli dal nulla ha creato il cielo con una sola parola, ed un solo suo sguardo potrebbe tutto annientare? Un Dio che è così grande, e la cui potenza non ha confini, un Dio ripieno di ogni sorta di perfezioni, un Dio con la sua eternità senza fine, colla sua giustizia così severa, colla sua provvidenza che tutto governa con grande saggezza e provvede ai nostri bisogni con tanta cura! Mentre noi siamo un nulla vile e meschino! O mio Dio! non dovremmo, a più forte ragione, temere, come S. Martino, che la terra non si apra sotto i nostri piedi per inghiottirci, tanto siamo indegni di vivere? A questa considerazione, F. M., non fareste come quella grande penitente, di cui si parla nella vita di S. Pafnuzio? (Vita dei Padri del deserto. S. Pafnuzio e santa Taide) Questo buon vecchio, dice l’autore della sua vita, andato in cerca di quella peccatrice, e fu assai sorpreso di sentirla parlare di Dio. Il  santo abate le disse: “Sapete dunque che vi è un Dio? „ — “Sì, rispose ella: so di più che vi è un regno beato per quelli che vivono secondo i suoi comandamenti, ed un inferno, nel quale verranno cacciati i peccatori ad abbruciarvi. „ — “Se conoscete tutto ciò, sapete anche che avendo rovinato tante anime, vi siete messa in pericolo di andare a bruciare nell’inferno?,, La peccatrice, conoscendo a queste parole, che egli era un uomo di Dio, si gettò ai suoi piedi sciogliendosi in lacrime: “Padre mio, gli disse, datemi quella penitenza che vorrete, ed io la farò. ,, La rinchiuse in una cella dicendole: “Colpevole come siete non meritate di pronunciare il Nome di Dio; vi accontenterete di rivolgervi verso oriente, e per unica vostra preghiera direte: “O Voi che m’avete creata, abbiate pietà di me! „ Questa fu tutta la sua preghiera. S. Taide passò tre anni ripetendo tale preghiera, versando lagrime, e mandando sospiri giorno e notte. O mio Dio! l’umiltà ci fa davvero conoscere ciò che siamo!

2° Inoltre gli annientamenti di Gesù Cristo devono umiliarci ancor di più. “Quando considero, ci dice S. Agostino, un Dio che dalla sua incarnazione fino alla croce, ha trascorso una vita tutta di umiliazioni e di ignominie, un Dio disconosciuto sulla terra, temerò io di umiliarmi? Un Dio cerca le umiliazioni, ed io, verme della terra, vorrò elevarmi? „ Mio Dio! per pietà, distruggete quest’orgoglio, che tanto ci allontana da Voi.

3° Un altro motivo, F. M. , che ci deve umiliare è la nostra propria miseria. Non abbiamo che a guardarla davvicino, per trovare un’infinità di ragioni per umiliarci. Il profeta Michea ci dice: “Portiamo in noi stessi il principio ed il motivo della nostra umiliazione. Non sappiamo noi, ci dice, che il nulla è la nostra origine, che passò un’infinità di secoli prima che noi fossimo, e che da noi stessi non avremmo giammai potuto uscire da questo oscuro ed impenetrabile abisso? Possiamo ignorare che sebbene creati, abbiamo una violenta inclinazione al nulla, e che la mano potente di Colui che ce ne ha cavati, bisogna che ci impedisca di ripiombarvi, e che, se Dio cessasse di guardarci e sostenerci, saremmo cancellati dalla faccia della terra con la stessa rapidità d’una paglia trasportata da furiosa tempesta? „ Che cosa è dunque l’uomo per vantarsi della sua nascita e degli altri suoi comodi? “Ahimè! ci dice il santo Giobbe, chi siamo noi? Sozzura prima di nascere, miseria quando veniamo al mondo, infezione quando ne usciamo. Nasciamo di donna, ei dice (Giob. XIV, 1) viviamo poco tempo: durante la vita, sia essa pur breve, piangiamo molto e la morte non tarda a coglierci. „ — “Ecco la nostra porzione, ci dice S. Gregorio Papa, giudicate da questo se possiamo avere ragione di insuperbirci menomamente! Cosicché chi osa aver la temerità di credere d’esser qualcosa è un insensato, che non si è mai conosciuto, perché conoscendoci quali siamo, non possiamo avere che orrore di noi stessi. „ Ma non abbiamo minor motivo di umiliarci nell’ordine della grazia. Quali che siano i doni e le belle qualità che abbiamo, tutti li dobbiamo alla mano liberale del Signore, che li dà a chi gli piace per conseguenza non possiamo gloriarcene. Un Concilio ha dichiarato che l’uomo ben lungi d’esser l’autore della sua salvezza, non è capace che di perdersi, e non ha di proprio che il peccato e la menzogna. S. Agostino ci dice che tutta la nostra scienza consiste nel sapere che non siamo nulla, e che quanto abbiamo lo dobbiamo a Dio. Infine, che dobbiamo umiliarci per riguardo alla gloria e felicità che aspettiamo nell’altra vita, perché da noi, non possiamo meritarla. Se Dio è così buono da darcela, non possiamo fare assegnamento che sulla misericordia di Lui e sui meriti infiniti di Gesù Cristo, suo Figliuolo. Come figli di Adamo, noi meritiamo soltanto l’inferno. Oh! come Iddio è caritatevole dandoci la speranza di tanti beni, a noi che nulla abbiam fatto per meritarli! Che cosa dobbiamo concludere da ciò? F. M., eccolo: domandiamo al buon Dio, ogni giorno, l’umiltà, cioè che ci faccia la grazia di conoscere che noi siamo nulla, e che i beni, sia del corpo, sia dell’anima, ci vengono da Lui. .. Pratichiamo l’umiltà tutte le volte che potremo…; siamo ben persuasi che non c’è virtù più accetta a Dio dell’umiltà, e che con essa avremo tutte le altre. Per quanto siamo peccatori, stiamo sicuri che se possediamo l’umiltà, Dio ci perdonerà. Sì, F. M., attacchiamoci a questa bella virtù; essa ci unirà a Dio, ci farà vivere in pace col prossimo nostro, renderà le nostre croci meno pesanti, ci darà la grande speranza che un giorno vedremo Dio. Egli stesso ci ha detto: “Beati i poveri di spirito, perché vedranno Iddio! „ (Matt. V, 3). E quello che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 14; 15
Dómine, in auxílium meum réspice: confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam: Dómine, in auxílium meum réspice.

[Signore, vieni in mio aiuto: siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita per rovinarla: Signore, vieni in mio aiuto.]

Secreta

Munda nos, quǽsumus, Dómine, sacrifícii præséntis efféctu: et pérfice miserátus in nobis; ut ejus mereámur esse partícipes.

[Purificaci, Te ne preghiamo, o Signore, in virtù del presente Sacrificio, e, nella tua misericordia, fa sì che meritiamo di esserne partecipi].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXX: 16-17;18
Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus: Deus, docuísti me a juventúte mea: et usque in senéctam et sénium, Deus, ne derelínquas me.

[O Signore, celebrerò la giustizia che è propria solo a Te. O Dio, che mi hai istruito fin dalla giovinezza, non mi abbandonare nell’estrema vecchiaia.]

Postcommunio

Orémus.
Purífica, quǽsumus, Dómine, mentes nostras benígnus, et rénova coeléstibus sacraméntis: ut consequénter et córporum præsens páriter et futúrum capiámus auxílium.

[O Signore, Te ne preghiamo, purifica benigno le nostre anime con questi sacramenti, affinché, di conseguenza, anche i nostri corpi ne traggano aiuto per il presente e per il futuro].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

12 SETTEMBRE (2020): SS. NOME DI MARIA

I SERMONI DEL CORATO D’ARS: “SULL’UMILTÀ”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’umiltà.

“Omnis qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat, exaltabitur.”

(Luc.. XVIII, 14).

Poteva forse, Fratelli miei, il nostro divin Salvatore, mostrarci in modo più chiaro ed evidente la necessità di umiliarci, cioè di sentire bassamente di noi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, se vogliamo sperare di andar a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità? — Trovandosi un giorno in compagnia di persone, le quali, a quanto pare, si gloriavano del bene che avevano fatto, e disprezzavano gli altri, Gesù Cristo propose loro questa parabola, che, nulla vieta credere riproduca un fatto storico: “Due uomini, disse, ascesero al tempio per farvi orazione; l’uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo ritto in piedi, così parlava a Dio: “Ti ringrazio, o Signore, perché non sono come il resto degli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano: digiuno due volte la settimana, do le decime di quanto possiedo. „ Ecco la sua preghiera, ci dice S. Agostino: (Serm. CXV, cap. 2, in illud Lucæ) vedete bene che essa non è altro che uno sfoggio pieno di boria, di vanità e di orgoglio. Il fariseo non viene al tempio per supplicare Iddio o ringraziarlo: ma per dir le sue lodi ed insultare l’altro che sta pregando. Il pubblicano invece, stando lungi dall’altare, non osava neppure di alzar gli occhi al cielo; si percoteva il petto, dicendo: “Mio Dio, abbi pietà di me che sono peccatore. „ — “Vi dichiaro, aggiunge Gesù Cristo, che questi se ne partì giustificato, non l’altro. „ I peccati del pubblicano vengono perdonati, ed il fariseo con tutte le sue virtù, ritorna a casa più colpevole di quando ne era uscito. Se volete saperne la ragione, eccola: l’umiltà del pubblicano, quantunque peccatore, fu più accetta a Dio che tutte le pretese opere buone dei fariseo col suo orgoglio (Respexit in orationem humilium, et non sprevit precem eorum. Ps, CI, 18).E Gesù Cristo ne concluse che: “chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.„ Ecco la regola, F. M., non illudiamoci; la leggo è generale; è il nostro divino Maestro che l’ha pubblicata. “Quando avrete alzata la testa sino al cielo, dice il Signore, io ve ne strapperò. „ (Jer. XLIX, 16) Sì, F. M., l’unica strada che conduce alla gloria dell’altra vita, è l’umiltà. (Gloriam præcedit humilitas. Prov. xv, 33). Senza umiltà, senza questa bella e preziosa virtù, non entrerete in cielo, come non vi entrerete senza il battesimo (Matth. XVIII, 3). Comprendiamo adunque oggi, F. M., l’obbligo che abbiamo di umiliarci, ed i motivi che vi ci devono impegnare. Perciò, F. M., vi mostrerò:

1° che l’umiltà è una virtù assolutamente necessaria, se vogliamo che le nostre azioni siano accette a Dio e ricompensate nell’altra vita;

2° che tutti abbiamo obbligo di praticarla, sia riguardo a Dio, sia riguardo a noi stessi.

I . — Prima, F. M., di farvi comprendere il bisogno che abbiamo di questa bella virtù, tanto necessaria quanto il battesimo dopo il peccato originale; tanto necessaria, aggiungo quanto il sacramento della Penitenza dopo il peccato mortale, bisogna vi dica in che cosa consiste questa amabile virtù, che dà si gran merito a tutte le nostre buone azioni, ed orna così riccamente tutte le nostre opere buone. – S. Bernardo, questo gran santo che l’ha praticata in modo così straordinario, che ha abbandonato beni, piaceri, parenti ed amici, per passare la sua vita nelle foreste, tra le fiere, a piangervi i suoi peccati, ci dico che l’umiltà è una virtù per la quale conosciamo noi stessi: cosa che ci porta a non avere per noi che disprezzo, ed a non provar nessun gusto nel sentirci lodati 1. *(De gradibus humilitatis et superbiæ, cap. 1).

1° Anzitutto questa virtù ci è assolutamente necessaria se vogliamo che le nostre azioni siano premiate in cielo: poiché Gesù Cristo stesso ci dice che non possiamo salvarci senza umiltà, come non possiamo salvarci senza il battesimo. S. Agostino ci dice: ” Se mi domandate qual è la prima virtù del Cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate qual è la seconda, vi dirò ancora l’umiltà; e ogni volta mi farete questa domanda, vi darò sempre la medesima risposta. „(Epist. CXIII ad Dioscorum, cap. III, 22). Se l’orgoglio genera tutti i peccati (Initium omnia peccati est superbia, Eccli. x, 15), possiamo anche dire che l’umiltà produce tutte le virtù (Vedi RODRIQUEZ, Trattato dell’umiltà, cap. III). Coll’umiltà, avrete quanto v’occorre per piacere a Dio e salvar l’anima vostra; senza umiltà, aveste pure tutte le altre virtù, avrete nulla. Leggiamo nel santo Vangelo che alcune madri presentavano i loro bambini a Gesù Cristo perché li benedicesse. Gli Apostoli li respingevano. Nostro Signore, volendo mostrare la sua disapprovazione, disse loro: “Lasciate venire a me questi pargoli, poiché il regno dei cieli è per loro e per chi ad essi rassomiglia. „ E li abbracciava, e dava loro la sua santa benedizione. Perché tanta accoglienza da parte del divin Salvatore? Perché  i bambini sono semplici, umili, e senza malizia. Parimente, F. M., se vogliamo essere bene accolti da Gesù Cristo, dobbiamo essere semplici ed umili in quanto facciamo. “Fu – ci dice S. Bernardo – fu questa bella virtù, la cagione per cui l’eterno Padre fermò sulla santissima Vergine lo sguardo della sua compiacenza: e se, la verginità, aggiunge, attrasse lo sguardo di Dio, l’umiltà fu causa che ella diventasse Madre del Figlio di Dio. Se Maria santissima è la Regina dei vergini, ella è altresì la Regina degli umili. „ (Hom. I, super Missus est, 5) S. Teresa domandava un giorno a nostro Signore, perché altre volte lo Spirito Santo si comunicava con tanta facilità ai personaggi dell’Antico Testamento, ai patriarchi, ai profeti, e manifestava loro i suoi secreti, mentre al presente non lo fa più. Nostro Signore le rispose perché erano più semplici e più umili, mentre gli uomini di oggi hanno il cuor doppio, e sono ripieni di orgoglio e vanità. Dio non si comunica ad essi, non li ama, come amava quei buoni patriarchi e quei profeti, che erano semplici ed umili. S. Agostino ci dice: “Se vi umiliate profondamente e riconoscete di esser nulla, di non meritar nulla, Dio vi darà grazie in abbondanza; ma se volete innalzarvi e credervi qualche cosa, Egli si ritirerà da voi, e vi abbandonerà nella vostra miseria. „ – Nostro Signore per farci ben comprendere che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, comincia le beatitudini coll’umiltà, dicendo: “Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli. „ S. Agostino ci dice che questi poveri di spirito sono quelli che hanno l’umiltà per patrimonio! (Serm. LIII, in illud Matth. Beati pauperes spiritu). Il profeta Isaia dice a Dio: “Signore, su chi il vostro Spirito Santo discende? Forse su quelli che hanno gran riputazione nel mondo,o sugli orgogliosi? — No, dice il Signore, ma su chi ha il cuore umile. „ (Is. XLVI, 2).Non solo questa virtù ci rende accetti a Dio,ma anche agli uomini. Tutti amano colui che è umile; si gode della sua compagnia. Perché  ordinariamente i fanciulli sono amati, se non perché sono semplici ed umili? Una persona umile cede in tutto, non contraria e non affligge mai nessuno, s’accontenta di tutto,cerca sempre di nascondersi agli occhi del mondo. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di S. Ilarione. S. Girolamo racconta chequesto gran santo era richiesto dagli imperatori, dai re, dai principi, dalla folla del popolo attirato nella solitudine del deserto dal profumo di sua santità e dallo splendore e dalla fama dei suoi miracoli; ma che egli al contrario fuggiva il mondo quanto poteva. Cambiava spesso dicella, per vivere nascosto e sconosciuto; piangeva senza posa alla vista di quella moltitudine di religiosi e d’altra gente che venivano da lui per essere guariti dai loro mali. Rimpiangendo l’antica solitudine: “Sono, diceva tutto in lacrime, sono ritornato nel mondo, riceverò la mia ricompensa in questa vita, poiché mi si tiene per una persona considerevole. „ — “E ci dice S. Girolamo, niente di più ammirabile che vederlo così umile in mezzo a tanti onori che gli venivano prodigati. Essendosi sparsa la notizia che si ritirava nel fondo di un deserto selvaggio, dove nessuno avrebbe potuto più visitarlo, ventimila uomini si misero ad invigilarlo; ma il Santo disse loro che non avrebbe preso cibo sinché non lo avessero lasciato libero. Gli si fece la guardia per sette giorni: ma vedendo che non mangiava nulla… Fuggì nel deserto più remoto e selvaggio dove si diede a tutto ciò che poteva ispirargli il suo amore per Dio. Solamente là credette di cominciare a servire il buon Dio. „ (Vita dei Padri del deserto), Ditemi, F. M., non è questa umiltà, disprezzo di se stesso? Ahimè! quanto queste virtù sono rare! ma anche i santi sono rari! Quanto si odia un orgoglioso, altrettanto si ama una persona umile, perché essa prende sempre l’ultimo posto, rispetta tutti e stima tutti, e perciò appunto piace tanto la compagnia di persone che hanno così belle qualità.

2° Inoltre l’umiltà è il fondamento di tutte le altre virtù (Cogitas magnam, fabricam construere celsitudinis? De fundamento prius cogita humilitatis. S. Aug., Serm. in Matth.). Chi desidera servire il buon Dio e salvare l’anima propria, deve cominciare dal praticar questa virtù in tutta la sua estensione, altrimenti la nostra divozione sarà simile ad uno stelo di paglia che fu piantato, ma che al primo soffio di vento sarà abbattuto. Sì, F. M., il demonio teme pochissimo quelle divozioni che non hanno l’umiltà per fondamento, perché sa benissimo che le potrà abbattere quando a lui piaccia; come accadde a quel solitario che giunse sino a camminar sui carboni ardenti senza abbruciarsi, ma, privo d’umiltà, cadde poco dopo negli eccessi più deplorevoli (Vita dei Padri del Deserto). Se non avete l’umiltà, dite che non avete nulla, e che alla prima tentazione cadrete. Si racconta nella vita di S. Antonio (ibid.), che il buon Dio gli fece vedere il mondo tutto ripieno di lacci tesi dal demonio per far cadere gli uomini nel peccato. Ne fu tanto stupito, che il suo corpo tremava come le foglie della foresta, e rivolgendosi a Dio:  “Ahimè! Signore, chi potrà evitare tante insidie? „ Intese una voce rispondergli: “Antonio, chi sarà umile; perché Dio dà la sua grazia agli umili per resistere alle tentazioni, mentre permette «he il demonio si prenda giuoco degli orgogliosi, i quali esposti all’occasione, cadranno nel peccato. Il demonio non osa neppure attaccare le persone umili. „ Quando S. Antonio era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente innanzi a Dio, dicendo: “Ahimè, Signore, sapete che non sono altro che un miserabile peccatore! „ Allora il demonio fuggiva. Quando siamo tentati, F. M., teniamoci nascosti sotto il velo dell’umiltà, e vedremo che il demonio avrà poca forza su di noi. Leggiamo  nella vita di S. Macario, che andando egli un giorno nella sua cella carico le braccia di foglie di palma, gli si fece innanzi il demonio con spaventevole furore tentando di percuoterlo, ma non riuscendo perché Dio non gliene aveva dato facoltà, esclamò: “O Macario! quanto mi fai soffrire: non ho la forza di maltrattarti, quantunque io adempia più perfettamente di te ciò che tu fai; perché tu digiuni qualche volta, ma io non mangio mai: tu vegli qualche volta ed io non dormo mai. Non v’è che una cosa, in cui confesso che mi superi. „ S. Macario gli domandò quale fosse. “È la tua umiltà. „ Il santo si gettò con la faccia contro terra, domandò a Dio di non soccombere alla tentazione, e subito il demonio fuggi. (Vita dei Padri del deserto. S. Macario d’Egitto). Ah! F. M., questa virtù quanto ci rende cari a Dio, ed è potente a scacciare il demonio. Ma quanto è rara! ed è facile comprenderlo, poiché vi sono ben pochi Cristiani che resistano al demonio quando sono tentati. Ma, affinché non vi facciate illusione e riconosciate che questa virtù non l’avete avuta mai, entriamo in un semplice particolare. No, F. M., non sono prova che noi possediamo l’umiltà le belle parole e belle manifestazioni di disprezzo di noi stessi. E prima di cominciare vi citerò un esempio il quale vi proverà che le parole contano poco. Leggiamo nella Vita dei Padri, che essendo venuto un solitario a trovare S. Serapione, (idem)  quegli non voleva pregare con lui, perché, diceva, ho commesso tanti peccati e ne sono indegno: non oso neppure respirare l’aria in cui vi trovate. Seduto in terra, non osava neppure assidersi sullo stesso sgabello su cui stava S. Serapione. Volendo il santo lavargli i piedi secondo il costume, egli resisté ancor più. Ecco l’umiltà che secondo noi ha tutta l’apparenza di essere sincera, eppure vedete dove va a finire. S. Serapione si limitò a osservargli che avrebbe fatto assai meglio a starsene nella sua solitudine, invece di andare di cella in cella al pari di un girovago, e a lavorare per vivere. Allora il solitario non seppe trattenersi dal mostrare che la sua umiltà non era che falsa virtù; si adirò contro il santo, e lo lasciò. Perciò il santo gli disse: “Eh! figlio mio, mi dicevate or ora che avevate commesso tutti i delitti immaginabili, che non osavate né pregare né mangiare con me, e per un semplice avvertimento, che in nulla può offendervi, vi lasciate vincere dalla collera! Andate, amico mio, la vostra virtù e tutte le vostre opere buone sono prive della più bella dote, che è l’umiltà. „ Vedete da questo esempio, che ve n’è ben poca di vera umiltà. Ahimè! quanti vi sono che finché vengono adulati, lodati o ricevono dimostrazioni di stima, sono tutto ardore per le pratiche di pietà, darebbero tutto e si spoglierebbero di tutto; ma basta un piccolo rimprovero, un tratto d’indifferenza per gettare l’amarezza nel loro cuore; tutto questo li tormenta, li fa piangere, li mette di cattivo umore, fa commettere loro mille giudizi temerari, pensando che vengono trattati indegnamente, mentre con altri non si usa così. Ahimè! quanto questa bella virtù è rara fra i Cristiani dei nostri giorni! quante virtù non hanno che l’apparenza, ed al primo urto se ne vanno in fumo! Ma in che cosa consiste l’umiltà? Eccolo: vi dirò anzitutto che vi sono due specie di umiltà, l’una interiore e l’altra esteriore. L’umiltà esterna consiste,

1° nel non lodarsi di esser ben riusciti in qualche opera da noi fatta, e non ripeterne il racconto a tutti; nel non narrare le nostre prodezze spiritose, i nostri viaggi, la destrezza ed abilità mostrate, né ciò che per avventura è stato detto a nostro onore:

2° nel nascondere il bene che possiamo aver fatto, come le elemosine, le preghiere, le penitenze, i servigi prestati al prossimo, le grazie interne che Dio ci ha largito;

3° nel non compiacerci quando siamo lodati; nel cercare di divergere la conversazione, attribuendo a Dio il buon successo pel quale siamo encomiati; facendo conoscere che ciò ci dà fastidio, ed andandocene se lo possiamo;

4° nel non dir mai né bene né male di se stesso. Alcuni parlano spesso male di se medesimi allo scopo di venir lodati: questa è falsa umiltà, è un’umiltà posticcia. Di voi stesso non dite nulla, accontentatevi di riconoscere che siete un miserabile, che occorre tutta la carità di Dio per sopportarvi sulla terra;

5° nel non mai disputare cogli eguali; bisogna loro ceder in tutto ciò che non è contrario alla coscienza; non creder d’avere sempre ragione; se la si avesse, bisogna pensar subito che potremmo ingannarci, come avvenne tante volte; e soprattutto non ostinarci mai a voler dire l’ultima parola, ciò che rivela uno spirito assai orgoglioso:

6° nel non mostrarci mai tristi, quando sembriamo disprezzati, né lamentarcene con altri; ciò proverebbe che non abbiamo umiltà, poiché se ne avessimo, non crederemmo mai d’essere disprezzati, giacché mai non potremmo essere trattati come meritiamo pei nostri peccati; al contrario bisogna ringraziare il buon Dio, come il santo re Davide, che rendeva bene per male (Ps. VII, 5), pensando quanto aveva egli stesso disprezzato Dio coi suoi peccati;

7° nell’essere ben contenti che ci si disprezzi, ad esempio di Gesù Cristo, di cui fu detto “che sarebbe stato saziato d’obbrobrio (Thren. III, 30), „ e ad esempio degli apostoli, dei quali è scritto (Act. V, 41) “che gioivano grandemente d’esser trovati degni di soffrire qualche disprezzo, qualche ignominia per amore di Gesù Cristo: „ e tutto questo all’ora della morte ci sarà argomento di sperare la felicità;

8° nel non scusarci delle nostre colpe, quando abbiamo fatto qualche cosa di riprovevole, e non dar ad intendere che non è così, o con menzogne o con rigiri, o col far apparire di non essere stati noi. Quan d’anche fossimo accusati a torto, purché non siavi interessata la gloria di Dio, non dobbiamo dir nulla. Vedete che cosa capitò a quella giovinetta, alla quale si era messo il nome di fratello Marino Ahimè! chi di noi sottoposto a simili prove non sarebbesi giustificato, potendolo così facilmente? (v. XI Domenica dopo Pentecoste).

9° Finalmente l’umiltà esteriore consiste nel fare ciò che è più ripugnante, ciò che gli altri non vogliono fare, e amare di andar vestiti semplicemente. Ecco. F. M.. in che cosa consiste l’umiltà esteriore. Ma in che cosa consiste quella interiore?

Eccolo. Consiste:

1° nel sentire bassamente di noi, non applaudendosi in cuore, quando abbiamo fatto qualche cosa ben riuscita, ma crederci indegni e incapaci di fare qualsiasi buona azione, appoggiati alle parole di Gesù Cristo medesimo, che ci dice che senza di Lui nulla possiam fare di bene (Joan. XV, 5): non possiamo neppur pronunziare una buona parola, neppur ripetere il Ss. nome di Gesù, senza il soccorso dello Spirito Santo (I Cor. XII, 3);

2° nell’essere lieti che gli altri conoscano i nostri difetti, per aver occasione di tenerci nel nostro nulla;

3° nell’essere contenti che gli altri ci superino in ricchezze, in ingegno, in virtù, od in altra cosa e nel sottometterci alla volontà, al giudizio altrui, ogni volta che non sia contro alla coscienza. Sì, F. M., una persona veramente umile deve essere simile ad un morto, che n’è s’inquieta per le ingiurie che gli si fanno, né gode per le lodi che gli vengono date. – Ecco, F. M., che cos’è possedere l’umiltà cristiana, che ci rende così accetti a Dio ed amabili al prossimo. Vedete ora, se l’avete o no. E se non l’avete, non vi resta per salvarvi che di domandarla a Dio fin che l’abbiate ottenuta, perché senza di essa non entreremo in cielo. Leggiamo nella vita di S. Elzeario, che, trovatosi in pericolo di perire in mare con quanti erano nella nave, passato il pericolo, santa Delfina sua sposa gli domandò se non avesse avuto paura. Le rispose: “Quando mi trovo in simile pericolo, raccomando a Dio me stesso e quanti sono con me, e gli dico che se alcuno deve morire, sia io quello, come il più miserabile ed indegno di vivere. „ (Ribadeneira, 27 Sett.,m t. IX). Quale umiltà!… – S. Bernardo era così penetrato del suo nulla, che quando entrava in una città, si metteva in ginocchio a pregare Iddio di non punire quella città a cagione de’ suoi peccati; credeva che. dovunque andasse, non fosse capace che d’attirare la maledizione su quel luogo. Quale umiltà, F. M., in un santo così grande in cui vita fu una catena non mai interrotta di opere meravigliose! Bisogna, F . M., che tutto quanto facciamo sia accompagnato da questa bella virtù, se vogliamo che abbia premio in cielo. Facendo le vostre preghiere, avete voi questa umiltà che vi fa riguardare voi stessi come miserabili, indegni di stare alla santa presenza di Dio? Ah! se così fosse non vi accontentereste di farle vestendovi o lavorando. No, non l’avete. Se l’aveste quando siete alla S. Messa, con qual rispetto, modestia e timore non vi assistereste? Ah! no, no, non vi si vedrebbe sorridere, parlare, voltar la testa, girare i vostri sguardi per la chiesa, dormire, far le preghiere vostre senza divozione, senza amor di Dio. Lontani dal trovar lunghe le funzioni, non potreste più uscirne, pensando quanto dev’essere grande la misericordia di Dio per sopportarvi in mezzo ai fedeli, voi che meritate pei vostri peccati d’essere annoverato fra i reprobi. Se aveste questa virtù, quando domandate qualche grazia al buon Dio, fareste come la Cananea che si inginocchiò ai piedi del Salvatore in presenza di tutti (Matt. XV, 25); come Maddalena, che baciò i piedi del Salvatore in una numerosa assemblea (Luc. VII, 88). Se l’aveste, fareste come quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue, ed andò con tanta umiltà a chinarsi davanti al Salvatore per toccare umilmente il lembo del suo vestito (Marc. V, 25). Se aveste l’umiltà d’un S. Paolo, che era stato rapito fino al terzo cielo (II Cor. XII, 2), eppure si considerava come un aborto, come l’ultimo degli apostoli, indegno del nome che portava (I Cor. XV, 8, 9) … Mio Dio! quanto è bella questa virtù; ma quanto è rara!… Se aveste questa virtù, F. M., quando vi confessate, ahi sareste lungi dal nascondere i vostri peccati o raccontarli come una storia divertente, e sovratutto raccontar quelli degli altri! Ah! da qual timore non sareste compresi, considerando da una parte la gravità delle vostre colpe, l’oltraggio che esse hanno recato a Dio, e osservando dall’altra la carità che Egli ha di perdonarvele? Dio mio! non sarebbe il caso di morire di dolore e di riconoscenza?,.. Se dopo aver confessato i vostri peccati, aveste quell’umiltà di cui parla san Giovanni Climaco (La scala santa, quinto grado), che essendo in un monastero, ci dice di aver visto coi propri occhi dei religiosi così umili, mortificati, i quali sentivano per modo il peso dei loro peccati che i loro lamenti, e le preghiere indirizzate a Dio erano capaci di toccare cuori duri some la pietra. Ve n’erano alcuni coperti di ulceri, da cui usciva un fetore insopportabile; essi curavano sì poco i loro corpi, che non avevano ormai più che pelle ed ossa. Si udivano risuonare pel monastero le grida più strazianti. – Ah! guai a noi peccatori miserabili! Giustamente mio Dio. potete precipitarci nell’inferno!,, Altri esclamavano: “Ah! Signore, perdonateci, se le nostre anime possono ancora ricevere perdono! Avevano tutti il pensiero della morte fisso nella lor mente e si dicevano gli uni gli altri: “Che sarà di noi dopo aver avuto la disgrazia d’offendere un Dio così buono? Potremo noi avere qualche speranza pel giorno delle vendette divine? „ Altri domandavano d’esser gettati nel fiume, per venirvi mangiati dai pesci. Il superiore vedendo S. Giovanni Climaco, gli disse : ” Ebbene! Padre mio, avete visto i nostri soldati? „ S.Giovanni Climaco ci dice che non poté né parlare né pregare, perché le grida di quei penitenti così profondamente umiliati, gli strappavano, suo malgrado, lagrime e singhiozzi. Come va, F. M., che noi non abbiamo umiltà, sebbene siamo assai più colpevoli? Ahimè! è perché non ci conosciamo abbastanza!

II. — Sì, F. M., ad un Cristiano, che si conosca bene, tutto serve per portarlo ad umiliarsi. Voglio dire tre cose: la considerazione delle grandezze di Dio, le umiliazioni di Gesù Cristo, e la nostra miseria.

1° Chi potrà considerare bene la grandezza di Dio, senza annichilarsi alla sua presenza, pensando che Egli dal nulla ha creato il cielo con una sola parola, ed un solo suo sguardo potrebbe tutto annientare? Un Dio che è così grande, e la cui potenza non ha confini, un Dio ripieno di ogni sorta di perfezioni, un Dio con la sua eternità senza fine, colla sua giustizia così severa, colla sua provvidenza che tutto governa con grande saggezza e provvede ai nostri bisogni con tanta cura! Mentre noi siamo un nulla vile e meschino! O mio Dio! non dovremmo, a più forte ragione, temere, come S. Martino, che la terra non si apra sotto i nostri piedi per inghiottirci, tanto siamo indegni di vivere? A questa considerazione, F. M., non fareste come quella grande penitente, di cui si parla nella vita di S. Pafnuzio? (Vita dei Padri del deserto. S. Pafnuzio e santa Taide) Questo buon vecchio, dice l’autore della sua vita, andato in cerca di quella peccatrice, e fa assai sorpreso di sentirla parlare di Dio. Il  santo abate le disse: “Sapete dunque che vi è un Dio? „ — “Sì, rispose ella: so di più che vi è un regno beato per quelli che vivono secondo i suoi comandamenti, ed un inferno, nel quale verranno cacciati i peccatori ad abbruciarvi. „ — “Se conoscete tutto ciò. sapete anche che avendo rovinato tante anime, vi siete messa in pericolo di andare a bruciare nell’inferno?,, La peccatrice, conoscendo a queste parole, che egli era un uomo d Dio, si gettò ai suoi piedi sciogliendosi in lacrime: “Padre mio, gli disse, datemi quella penitenza che vorrete, ed io la farò. ,, La rinchiuse in una cella dicendole: “Colpevole come siete non meritate di pronunciare il nome di Dio; vi accontenterete di rivolgervi verso oriente, e per unica vostra preghiera direte: “O Voi che m’avete creata, abbiate pietà di me! „ Questa fu tutta la sua preghiera. S. Taide passò tre anni ripetendo tale preghiera, versando lagrime, e mandando sospiri giorno e notte. O mio Dio! l’umiltà ci fa davvero conoscere ciò che siamo!

2° Inoltre gli annientamenti di Gesù Cristo devono umiliarci ancor di più. “Quando considero, ci dice S. Agostino, un Dio che dalla sua incarnazione fino alla croce, ha trascorso una vita tutta di umiliazioni edi ignominie, un Dio disconosciuto sulla terra, temerò io di umiliarmi? Un Dio cerca le umiliazioni, ed io, verme della terra, vorrò elevarmi? „ Mio Dio! per pietà, distruggete quest’orgoglio, che tanto ci allontana da Voi.

3° Un altro motivo, F. M,, che ci deve umiliare è la nostra propria miseria. Non abbiamo che a guardarla davvicino, per trovare un’infinità di ragioni per umiliarci. Il profeta Michea ci dice: “Portiamo in noi stessi il principio ed il motivo della nostra umiliazione. Non sappiamo noi, ci dice, che il nulla è la nostra origine, che passò un’infinità di secoli prima che noi fossimo, e che da noi stessi non avremmo giammai potuto uscire da questo oscuro ed impenetrabile abisso? Possiamo ignorare che sebbene creati, abbiamo una violenta inclinazione al nulla, e che la mano potente di Colui che ce ne ha cavati bisogna che ci impedisca di ripiombarvi, eche, se Dio cessasse di guardarci e sostenerci, saremmo cancellati dalla faccia della terra con la stessa rapidità d’una paglia trasportata da furiosa tempesta? „ Che cosa è dunque l’uomo per vantarsi della sua nascita e degli altri suoi comodi? “Ahimè! ci dice il santo Giobbe, chi siamo noi? Sozzura prima di nascere, miseria quando veniamo al mondo, infezione quando no usciamo. Nasciamo di donna, ei dice (Giob. XIV, 1) viviamo poco tempo: durante la vita, sia essa pur breve, piangiamo molto e la morte non tarda a coglierci. „ — “Ecco la nostra porzione, ci dice S. Gregorio Papa, giudicate da questo se possiamo avere ragione di insuperbirci menomamente! Cosicché chi osa aver la temerità di credere d’esser qualcosa è un insensato, che non si è mai conosciuto, perché conoscendoci quali siamo, non possiamo avere che orrore di noi stessi. „ Ma non abbiamo minor motivo di umiliarci nell’ordine della grazia. Quali che siano i doni e le belle qualità che abbiamo, tutti li dobbiamo alla mano liberale del Signore, che li dà a chi gli piace per conseguenza non possiamo gloriarcene. Un Concilio ha dichiarato che l’uomo ben lungi d’esser l’autore della sua salvezza, non è capace che di perdersi, e non ha di proprio che il peccato e la menzogna. S. Agostino ci dice che tutta la nostra scienza consiste nel sapere che non siamo nulla, e che quanto abbiamo lo dobbiamo a Dio. Infine, che dobbiamo umiliarci per riguardo alla gloria e felicità che aspettiamo nell’altra vita, perché da noi, non possiamo meritarla. Se Dio è così buono da darcela, non possiamo fare assegnamento che sulla misericordia di Lui e sui meriti infiniti di Gesù Cristo, suo Figliuolo. Come figli di Adamo, noi meritiamo soltanto l’inferno. Oh! come Iddio è caritatevole dandoci la speranza di tanti beni, a noi che nulla abbiam fatto per meritarli! Che cosa dobbiamo concludere da ciò? F. M., eccolo: domandiamo al buon Dio, ogni giorno, l’umiltà, cioè che ci faccia la grazia di conoscere che noi siamo nulla, e che i beni, sia del corpo, sia dell’anima, ci vengono da Lui. .. Pratichiamo l’umiltà tutte le volte che potremo…; siamo ben persuasi che non c’è virtù più accetta a Dio dell’umiltà, e che con essa avremo tutte le altre. Per quanto siamo peccatori, stiamo sicuri che se possediamo l’umiltà Dio ci perdonerà. Sì, F. M., attacchiamoci a questa bella virtù; essa ci unirà a Dio, ci farà vivere in pace col prossimo nostro, renderà le nostre croci meno pesanti, ci darà la grande speranza che un giorno vedremo Dio. Egli stesso ci ha detto: “Beati i poveri di spirito, perché vedranno Iddio! „ (Matt. V, 3). E quello che vi auguro.

DOMENICA XV DOPO PENTECOSTE (2021)

XV DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La Lezione dell’Ufficio in questo giorno coincide spesso con quella del libro di Giobbe. Questo pio e ricco signore del paese di Hus, dapprima ripieno d’ogni bene, fu colpito dai mali più spaventosi che si possono quaggiù immaginare. « satana, dicono le Sacre Scritture, si presentò un giorno avanti a Dio e gli disse: Circuivi terram, ho percorsa tutta la terra e ho visto come hai protetto Giobbe, la sua casa, le sue ricchezze. Ma stendi la tua mano su di lui e tocca quello che possiede e vedrai come ti maledirà. Il Signore gli rispose: Va: tutto quello che lui possiede è in tuo potere, ma non togliergli la vita. E satana uscì dal cospetto del Signore. E ben presto Giobbe perdette il bestiame, i beni, la famiglia e fu colpito da satana con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino alla testa ». E Giobbe, disteso su un letamaio, fu costretto a togliere il putridume delle sue ulceri con un coccio » La Chiesa, pensando alla malizia di Satana, ci fa domandare di essere sempre difesi contro gli assalti del demonio, contra diabolicos incursus (Segr.). satana ha l’impero della morte e, se Dio lo lasciasse fare, dicono i Padri, egli toglierebbe a tutti gli esseri la vita che posseggono. S. Paolo definisce una sua malattia: «L’angelo di satana che lo colpisce «. Ed il demonio, dice la S. Scrittura, riduce Giobbe a un punto tale, che il santo uomo può gridare: « Il soggiorno dei morti è diventato la mia dimora, io ho preparato il mio giaciglio nelle tenebre, e ho detto al marciume: tu sei mio padre; alla putredine: madre mia, sorella mia. (XVII, 14). Le mie carni si sono consumate come un vestito roso dai tarli, e le mie ossa si sono appiccicate alla mia pelle ». Così la Chiesa applica ai defunti il disperato appello che Giobbe fece allora ai suoi amici: «Abbiate pietà di me almeno voi, o amici, poiché la mano del Signore m’ha colpito «. Ma il suo appello rimase senza risposta; Giobbe allora si rivolse verso Dio e gridò con una salda speranza: « Io so che il mio Redentore vive e ch’io risusciterò dalla terra l’ultimo giorno; che sarò di nuovo rivestito della mia pelle e nella mia carne rivedrò il mio Dio. Lo vedrò io stesso e i miei occhi lo contempleranno: questa speranza riposa nel mio cuore ». E Giobbe descrive la gioia con la quale ascolterà un giorno la voce di Dio che lo chiamerà a una vita nuova: «Tu mi chiamerai e io ti risponderò, tu stenderai la tua destra verso l’opera delle tue mani ». – « Il Signore, mettendo fine ai mali che lo travagliavano, gli rese il doppio di quello che possedeva prima e lo colmò di benedizioni più negli ultimi anni di vita che non nei primi ». — La Chiesa, raffigurata in Giobbe, domanda a Dio « di essere purificata, protetta, salvata e governata da Lui » (Oraz.). Col Salmo dell’Introito essa dice: « Rivolgi, o Signore il tuo occhio verso di me ed esaudiscimi, che io sono povera e mancante di tutto (Versetto 1°). Signore, abbi pietà di me, che ho gridato verso di te tutto il giorno. Vieni alla mia anima che io ho elevata fino a te (Versetto 4°). Io ti loderò, o Signore, poiché mi hai liberato dall’inferno più profondo (Versetto 13°)». Col Salmo dell’Offertorio essa aggiunge: « Io ho atteso il Signore con perseveranza, ed Egli infine si è volto verso di me, ha esaudita la mia preghiera e ha messo sulle mie labbra un cantico nuovo». Questo cantico è quello delle anime cristiane risuscitate alla vita di grazia. « È bello, esse dicono, lodare il Signore e annunciare la sua grande misericordia » (Grad.). « Sì, davvero il Signore è il Dio onnipotente, il Gran Re che regna su tutta la terra » (All.).L’Epistola di S. Paolo è intieramente consacrata alla vita soprannaturale che lo Spirito Santo dà o rende alle anime. « Se noi viviamo per lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito», cioè siamo umili, dolci, caritatevoli, verso quelli che cadono, ricordandoci che noi siamo deboli e che di fronte al supremo Giudice porteremo il fardello delle nostre colpe personali. Contraccambiamo generosamente con beni temporali (denaro, cibi, vesti) le persone che ci predicano la parola di Dio (divina parola che dà la vita) e non indugiamo, perché Dio non tollera che ci burliamo di Lui. Il raccolto sarà conforme alla natura della semenza gettata. Seminiamo opere piene di spirito soprannaturale e mieteremo la vita eterna. Non tralasciamo un istante di fare il bene. Evitiamo le opere della carne che sono la mancanza di carità, l’orgoglio, l’avarizia e la lussuria, poiché quelli che commettono peccati sono morti alla vita di grazia e non mieteranno che corruzione. Usciamo, dunque, dalla morte e viviamo come veri risuscitati. — Il Vangelo ci dà questo stesso insegnamento raccontandoci la risurrezione del figlio della vedova di Naim. Gesù, vedendo il dolore di questa madre, fu mosso a compassione: si accostò al feretro e toccando il morto disse: «Giovinetto, te lo comando, alzati! ». E subito il morto si levò e cominciò a parlare. E tutti glorificavano Iddio dicendo; « un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo ». Il Verbo facendosi carne si è accostato alle anime che giacevano nella morte del peccato, e, commosso dalle lacrime della Chiesa, nostra madre, le ha resuscitate alla vita della grazia. Poi, mediante l’Eucaristia ha posto nei corpi un germe di vita, affinché essi risuscitino nell’ultimo giorno (Com.). — Fa’, o Signore, che il nostro corpo e la nostra anima siano interamente sottomessi alla influenza dell’Ostia divina, affinché l’effetto di questo sacramento domini sempre in noi (Postcom.). – Vivificati dallo Spirito Santo, solleviamo con sollecitudine quelli che sono morti alla vita della grazia, aiutiamo con le nostre sostanze quelli che con la parola della verità diffondono la vita dello Spirito, e promuovono sempre più in noi la vita soprannaturale che abbiamo ricevuta nel Battesimo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXV: 1; 2-3
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Ps LXXXV: 4

Lætífica ánimam servi tui: quia ad te, Dómine, ánimam meam levávi.

[Allieta l’ànima del tuo servo: poiché a Te, o Signore, levo l’anima mia.]

Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Oratio

Orémus.
Ecclésiam tuam, Dómine, miserátio continuáta mundet et múniat: et quia sine te non potest salva consístere; tuo semper múnere gubernétur.

[O Signore, la tua continua misericordia purífichi e fortífichi la tua Chiesa: e poiché non può essere salva senza di Te, sia sempre governata dalla tua grazia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti s. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 25-26; 6: 1-10

Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inanis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirituáles estis, hujúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter alteríus ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus autem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet autem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui autem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum autem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo, dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, maxime autem ad domésticos fídei.

[Fratelli: Se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito. Non siamo avidi di vanagloria, provocandoci a vicenda, a vicenda inviandoci. Fratelli, quand’anche uno venisse sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali ammaestratelo con lo spirito di dolcezza, e bada a te stesso che tu pure non cada nella tentazione. Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se alcuno crede di essere qualche cosa, e invece non è nulla, costui inganna sé stesso. Piuttosto ciascuno esamini le proprie opere, e allora avrà motivo di gloriarsi soltanto in se stesso, e non nel confronto con gli altri. Perché ciascuno porterà il proprio fardello. Chi poi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo istruisce. Non vogliate ingannarvi: Dio non si lascia schernire. Ciascuno mieterà quello che avrà seminato. Così, chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà corruzione: chi, semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. Non stanchiamoci dunque dal fare il bene; poiché se non ci stanchiamo, a suo tempo mieteremo. Perciò mentre abbiamo tempo facciamo del bene a tutti, e in modo speciale a quelli che, per la fede, sono della nostra famiglia.]  

CONOSCI TE STESSO

L’Epistola di quest’oggi è la continuazione di quella della domenica scorsa, nella quale si inculcava di vivere secondo lo spirito. Per vivere secondo lo spirito, prosegue l’Apostolo, bisogna fuggire la vanagloria e l’invidia. Si deve correggere chi sbaglia con spirito di dolcezza; tutti hanno a sopportarsi vicendevolmente. Persuasi del proprio nulla, devono esaminar spassionatamente le proprie azioni. Siamo, inoltre, generosi con chi ci istruisce nella fede. E conclude esortando di non stancarci di fare il bene, essendo la nostra vita il tempo della semina. Se in questa vita non ci stancheremo a seminare nello spirito, a suo tempo, mieteremo la vita eterna. – Accogliamo l’invito di S. Paolo, a esaminare le nostre opere.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

Graduale

Ps XCI: 2-3.
Bonum est confitéri Dómino: et psallere nómini tuo, Altíssime.

[È cosa buona lodare il Signore: inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]


V. Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctemm.

[È bello proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà nella notte.].

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XCIV: 3 Quóniam Deus magnus Dóminus, et Rex magnus super omnem terram. Allelúja.

[Poiché il Signore è Dio potente e Re grande su tutta la terra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum S. Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc VII: 11-16
“In illo témpore: Ibat Jesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli ejus et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. – Hi autem, qui portábant, stetérunt. – Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et coepit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.

[“In quel tempo avvenne che Gesù andava a una città chiamata Naim: e andavan seco i suoi discepoli, e una gran turba di popolo. E quand’ei fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato fuori alla sepoltura un figliuolo unico di sua madre, e questa era vedova: e gran numero di persone della città l’accompagnavano. E vedutala il Signore, mosso di lei a compassione, le disse: Non piangere. E avvicinossi alla bara, e la toccò (e quelli che la portavano si fermarono). Ed egli disse: Giovinetto, dico a te, levati su; e il morto si alzò a sedere, e principiò a parlare. Ed egli lo rendette a sua madre. Ed entrò in tutti un gran timore; e glorificavano Dio, dicendo: Un profeta grande è apparso tra noi; e ha Dio visitato il suo popolo” (Luc. VII, 11-16).]

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. III, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Il pensiero della morte.

Cum appropinquaret portæ  civitatis, ecce defunctus efferebatur filius unicus “matris suæ: et hæc vidua erat”.

(Luc. VII, 12).

No, Fratelli miei, non vi è cosa più capace di staccarci dalla vita e dai piaceri del mondo, e d’indurci a pensare al momento terribile che deve decidere della nostra sorte per l’eternità, quanto la vista d’un cadavere che vien portato alla tomba. Perciò la Chiesa, sempre attenta ed occupata a fornirci i mezzi più adatti per farci lavorare alla nostra salvezza, tre volte all’anno ci presenta il ricordo dei morti che Gesù Cristo ha risuscitato (Noi leggiamo la risurrezione della figlia di Giairo nel Vangelo della Messa della domenica XXIII dopo Pentecoste: quella del figlio della vedova di Naim, il giovedì della IV settimana di Quaresima, o la XV domenica dopo Pentecoste; quella di Lazzaro il venerdì della IV settimana di Quaresima; per obbligarci in certo modo ad occuparci del pensiero della morte e prepararci a questo viaggio. In un luogo del Vangelo (Marc. V, 42), ci presenta una giovinetta di soli dodici anni, cioè nell’età in cui appena si può cominciare a godere dei piaceri. Sebbene figlia unica, ricchissima e teneramente amata da’ suoi parenti, pure la morte la coglie e la fa scomparire per sempre dagli occhi dei viventi. Altrove vediamo un giovane di circa venticinque anni (Luc. VII, 12.), che era nel fior dell’età, il solo appoggio e l’unica consolazione della vedova madre sua; eppure, né le lagrime, né la tenerezza della madre desolata possono impedire che la morte, l’inesorabile morte, lo faccia sua preda. In altra parte del Vangelo (Joan. XI) vediamo un altro giovane, Lazzaro. Faceva da padre alle sue due sorelle, Marta e Maddalena; ci sembra che la morte avrebbe dovuto almeno risparmiare quest’ultimo, ma no; la morte crudele lo falcia, e lo getta nella tomba, ad esservi pasto dei vermi. Gesù Cristo dové fare tre miracoli per restituire loro l’esistenza. Apriamo gli occhi, F. M., e contempliamo un istante questo commovente spettacolo, che ci mostra, nel modo più energico, la caducità della vita e la necessità di staccarcene, prima che la morte inesorabile ce ne strappi nostro malgrado. “Giovane o vecchio, diceva il santo re Davide, penserò spesso che un giorno morrò, e mi vi preparerò per tempo.„ Per impegnarvi a fare altrettanto, vi mostrerò come il pensiero della morte ci è necessario per staccarci dalla vita ed attaccarci a Dio solo.

I. — È cosa manifesta, F. M., che, nonostante il grado d’empietà e d’incredulità a cui gli uomini sono giunti nel secolo sventurato in cui viviamo, non hanno ancora osato negare la certezza della morte; ma solo fanno quanto possono per bandirne il pensiero, come un vicino uggioso che potrebbe inquietarli nei loro piaceri, e disturbarli nelle loro dissolutezze. Ma vediamo nel Vangelo che nostro Signor Gesù Cristo vuole che non perdiamo mai di vista il pensiero della nostra partenza da questo mondo per l’eternità (Marc. XIII, 33). Per farci ben comprendere che possiamo morire ad ogni età, vediamo che non risuscita fanciulli ancora incapaci di gustare i piaceri della vita, e neppure vegliardi decrepiti che malgrado il loro attaccamento alla terra, non posson dubitare che la lor partenza sia poco lontana. Ma risuscita persone morte nell’età in cui più spesso si dimentica questo pensiero salutare: cioè dai dodici ai quarant’anni circa. Infatti dopo i quarant’anni la morte sembra inseguirci rapidamente; perdiamo tutti i giorni qualche cosa, e questa perdita ci annuncia che presto dobbiamo partire da questo mondo; sentiamo, ogni giorno, le forze diminuire, vediamo i capelli incanutire, la testa farsi calva, i denti cadere, la vista indebolirsi: tutte queste cose ci dicono addio per sempre, e siamo costretti di confessare a noi stessi che non siamo più quelli di un tempo. No, F. M., nessuno dubita menomamente di questo. È certo che verrà un giorno in cui non saremo più del numero dei viventi, e che non si penserà più a noi, come se non fossimo mai esistiti. Ecco adunque quella giovinetta mondana, che ebbe tante cure e premure per comparire agli occhi del mondo: eccola ridotta ad un po’ di polvere, calpestata dal piede dei passanti. Ecco quell’orgoglioso, che tanto si vantava del suo spirito, delle sue ricchezze, del credito che godeva e della carica che occupava, eccolo ridotto in una tomba, corroso dai vermi, e dimenticato fino alla fine del mondo, cioè sino alla risurrezione generale, quando lo rivedremo con tutto ciò che avrà fatto nei giorni della sua vita sciagurata. Ma, forse mi domanderete, che cos’è questo momento della morte, che deve tanto preoccuparci, e che è capace di convertirci? — È, F. M., un istante che, rapido nella sua durata, ci è poco noto, eppure basta per farci fare il grande passaggio da questo mondo all’eternità. Momento formidabile per se stesso, F. M., in cui tutto quanto è nel mondo muore per l’uomo, e l’uomo al tempo stesso muore per tutto ciò che ha sulla terra. Momento terribile, F. M., in cui l’anima, malgrado l’unione così intima col corpo, ne è strappata dalla violenza della malattia; dopo di che l’uomo, spogliato di tutto, non offre agli occhi del mondo altro che una orribile figura di se stesso: gli occhi spenti, la bocca muta, le mani senza azione, i piedi senza moto, il viso sfigurato, il corpo che comincia a corrompersi e non è più che un oggetto di ribrezzo. Momento crudele, F. M., in cui i più potenti e ricchi perdono tutte le ricchezze e la gloria, ed altro non hanno per eredità che la polvere del sepolcro. Momento ben umiliante, F. M., in cui il più grande è confuso col più miserabile della terra. Tutto è confuso: non più onori, non più distinzioni: tutti sono messi al medesimo livello. Ma, momento altresì, F. M., mille volte più terribile per le conseguenze, che per la sua presenza, poiché le perdite che porta con sé sono irreparabili. “L’uomo, ci dice lo Spirito Santo, parlando di chi muore, andrà nella casa della sua eternità. „ (Eccli. XII, 5). Momento breve, è vero, F. M., ma ben decisivo; dopo il quale il peccatore non può più sperare misericordia, ed il giusto non ha più meriti da guadagnare. Momento, il cui pensiero ha riempito i monasteri di tanti grandi del mondo, che hanno tutto abbandonato per pensare solo a quel terribile passaggio da questo mondo all’altro. Momento, F. M, il cui pensiero ha popolato i deserti di tanti santi, i quali non cessarono di abbandonarsi a tutti i rigori della penitenza che l’amore a Dio poté loro inspirare. Momento terribile, F. M., ma brevissimo, e che tuttavia deciderà risolutivamente la nostra sorte per tutta l’eternità. Dopo questo, F. M., come possiamo noi non pensarvi, od almeno pensarvi così leggermente? Ahimè! F. M., quante anime ora bruciano, per aver trascurato un pensiero così salutare! Lasciamo, F. M., lasciamo un po’ il mondo, i suoi beni e piaceri, per occuparci di questo terribile momento. Imitiamo, F. M., i santi, che ne facevano la principale occupazione; lasciamo perire ciò che perisce col tempo e diamo le nostre cure a ciò che è eterno e permanente. Sì, F. M., nessun’altra cosa è al pari del pensiero della morte capace di staccarci dalla vita del peccato e di far tremare i re sui loro troni, i giudici nei tribunali ed i libertini in mezzo ai loro piaceri. Eccone un esempio, F. M., che vi mostrerà che nessuno può resistere a questo pensiero ben meditato. S. Gregorio ci riferisce che un giovane, alla salute della cui anima egli assai s’interessava, aveva concepito una tal passione per una giovinetta, che questa essendo morta, non sapeva più consolarsene. San Gregorio Papa, dopo molte preghiere e penitenze, andò a trovare il giovane: “Amico mio, dissegli, vieni con me, e vedrai ancor una volta colei che ti fa tanto sospirare e piangere. „ Presolo per mano, lo condusse alla tomba della giovane. Tolta la tavola che la ricopriva, il giovane vedendo un corpo così orribile, puzzolente, ricoperto di vermi, che era ormai una massa di putredine, indietreggiò inorridito. “No, no, amico mio, gli disse S. Gregorio, fatti innanzi e sostieni per un istante la vista dello spettacolo che ti presenta la morte. Vedi, amico mio, e considera che cos’è diventata questa bellezza caduca, alla quale eri attaccato perdutamente. Vedi quella testa spolpata, quegli occhi spenti, quelle ossa annerite, quell’ammasso orribile di cenere, di putredine e di vermi? Ecco, amico mio, l’oggetto della tua passione, pel quale hai tanto sospirato e sacrificata l’anima tua, la tua salvezza, il tuo Dio e la tua eternità. „ Parole così commoventi, spettacolo così spaventoso fecero una impressione così viva sull’animo del giovane, che riconoscendo da quel momento il nulla del mondo e la fragilità di ogni bellezza caduca, rinunciò subito a tutte le vanità della terra, non pensò più che a prepararsi a ben morire, ritirandosi dal mondo, per andare a passare la sua vita in un monastero, piangervi, pel resto dei suoi giorni, i traviamenti della gioventù, e morire da santo. Qual fortuna, F. M., per questo giovane! Facciamo altrettanto, o cari, giacché nulla è più capace di staccarci dalla vita e risolverci a lasciare il peccato, quanto questo prezioso pensiero della morte. Ah! F. M., all’ora della morte si pensa ben diversamente, che non durante il corso della vita! Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia, che una dama possedeva tutte le qualità necessarie per piacere al mondo, del quale gustava tutti i piaceri. Ahimè! F. M., ciò non le impedì d’arrivare come tutti gli altri mortali agli ultimi suoi momenti, e più presto di quanto avrebbe voluto. Al principio della sua malattia, le si dissimulò il pericolo in cui si trovava, come si fa troppo spesso coi poveri ammalati. Tuttavia ogni giorno il male progrediva e bisognò avvertirla che doveva pensare alla sua partenza per l’eternità. Doveva fare allora ciò che non aveva mai fatto, e pensare a ciò a cui mai aveva pensato e ne fu grandemente spaventata: “Non credo, disse a chi le aveva dato questo annuncio, che la mia malattia sia pericolosa, del resto, ho ancora del tempo; „ tuttavia le si fece premura, dicendole che il medico la trovava in pericolo. Pianse ella, si lamentò di dover abbandonar la vita quando ne poteva ancor godere i piaceri. Mentre piangeva, le si ricordò che nessuno era immortale, che se sfuggiva a questa malattia, un’altra poi l’avrebbe condotta al sepolcro, che doveva ormai mettere un po’ d’ordine nella sua coscienza, per poter presentarsi con fiducia al tribunale di Dio. A poco a poco rientrò in se stessa, istruita com’era, capì ben presto che doveva prepararsi alla morte, rivolse le sue lagrime a piangere i suoi peccati e domandò un sacerdote per confessargli le sue colpe, che avrebbe desiderato di non aver mai commesso. Fece ella stessa il sacrificio della vita; si confessò con gran dolore e grande abbondanza di lagrime e pregò le sue compagne ed amiche di venire a visitarla prima che uscisse da questo mondo, ciò che esse fecero con grande sollecitudine. Un dì che le vide tutte attorno al suo letto, disse loro piangendo: “Care amiche, vedete in quale stato mi trovo; debbo comparire dinanzi a Gesù Cristo, per rendergli conto di tutte le azioni della mia vita; sapete come ho servito male il buon Dio, e quanto debbo temere: tuttavia, mi affido alla sua misericordia. Il solo consiglio che posso darvi, mie buone amiche, è di non aspettare, per far bene, questo momento, quando non si può più, e malgrado le lagrime ed il pentimento, si è in sì gran pericolo d’andar perduti per l’eternità. E l’ultima volta che vi vedo; ve ne scongiuro, non perdete un momento del tempo che Dio vi concede e che io non ho più. Addio, amiche mie, parto per l’eternità, non dimenticatemi nelle vostre preghiere, perché, se avrò la bella sorte di essere perdonata, mi aiuterete ad uscire dal purgatorio. „ Tutte le sue compagne, che non s’aspettavano simile linguaggio, se ne partirono piangendo, e piene d’un gran desiderio di non aspettare quel momento, in cui si ha tanto rammarico di aver perduto un tempo così prezioso. – Oh! F. M.. quanto saremmo felici se il pensiero della morte e la presenza d’un cadavere ci facessero la stessa impressione, operassero in noi il medesimo cambiamento! Eppure abbiamo un’anima da salvare come quelle persone che si convertirono alla vista di quella giovane signora vicina a morire; ed abbiamo altresì le medesime grazie, se vogliamo approfittarne. – Ah! mio Dio, perché attaccarci tanto alla vita, che godiamo solo alcuni istanti, passati i quali lasciamo tutto per non portare con noi altro che il bene ed il male che avremo fatto?… Perché, F. M., attaccarci così poco a Dio, che, fin da questa vita è la nostra felicità, per continuare ad esserlo eternamente? Come potremmo attaccarci ai beni ed ai piaceri del mondo se avessimo ben scolpite nel cuore queste parole: “Nudi veniamo al mondo, e nudi parimente ne usciremo? „ Eppure, tocchiam con mano e vediamo ogni giorno che l’uomo più ricco non porta con sé nulla più di quello che porta all’altro mondo l’ultimo meschino mortale. Il grande Saladino lo riconobbe prima di morire, egli che aveva fatto tremare l’universo per lo splendore delle sue vittorie. Vedendosi vicino a morire e riconoscendo allora più che mai la vanità delle grandezze umane, comandò a colui che di solito lo precedeva portando lo stendardo, di prendere un pezzo del drappo nel quale doveva essere avvolto, di metterlo sulla punta d’una lancia, e di girare per la città, gridando più forte che potesse: “Ecco ciò che il grande Saladino, vincitore dell’Oriente e padrone dell’Occidente, porta con sé di tutti i suoi tesori e di tutte le sue vittorie: un lenzuolo. „ Mio Dio! quanto saremmo saggi, se questo pensiero non ci lasciasse mai! Infatti, F. M., se quell’avaro, quando non risparmia né ingiustizie né inganni per accumulare ricchezze, pensasse che tra poco deve lasciare tutto, potrebbe attaccarsi tanto ad oggetti che lo perderanno per l’eternità? Invece, F. M., vedendo il nostro modo di vivere, si crederebbe che non avessimo mai a lasciare la vita. Ahimè! dobbiamo ben temere che se viviamo da ciechi, morremo da ciechi! Eccone un esempio evidente. – Leggiamo nella storia che il cardinal Bellarmino, della Compagnia di Gesù, fu chiamato presso un infermo che era stato procuratore, e che sgraziatamente aveva preferito il denaro alla salvezza dell’anima sua. Credendosi chiamato solo per aggiustare gli affari di sua coscienza, vi accorse sollecitamente. Entrato, incomincia a parlargli dello stato dell’anima sua; ma appena detta qualche parola, l’ammalato gli risponde: “Padre mio, non vi ho domandato per questo; ma soltanto per consolar la moglie mia, che è desolata di perdermi, giacché, quanto a me, me ne vado diritto all’inferno. „ Il cardinale racconta che costui era cosi indurato e cieco, da pronunciare tali parole con la stessa tranquillità e freddezza che se avesse detto che andava a divertirsi con qualche amico. Amico mio, dissegli il cardinale desolato di veder la povera anima sua piombare nell’inferno: ma e non pensate a domandar perdono a Dio dei vostri peccati, e confessarvi? credetelo, Dio vi perdonerà. „ Quello sventurato gli rispose di non voler perdere il tempo, che egli non conosceva peccati, né voleva conoscerne: che avrebbe tempo abbastanza di conoscerli all’inferno. Poté ben il cardinale pregarlo, scongiurarlo, che per pietà non volesse perdersi per tutta l’eternità, giacché aveva ancora tutti i mezzi per guadagnarsi il cielo, gli promise che l’avrebbe aiutato a soddisfare la giustizia di Dio, ed aggiunse che era sicuro che Dio gli userebbe pietà. Ma, nulla, nulla fu capace di commuoverlo; morì senza dare alcun segno di pentimento. Ahimè! F. M., chi non pensa alla morte durante la sua vita si mette in grave pericolo di non pensarvi mai, o di non voler riparare il male che quando non vi saranno più rimedi. Mio Dio! coloro che non dimenticano il pensiero della morte, quanti peccati evitano in vita, e quanti rimorsi nell’eternità! Lo stesso cardinale riferisce che andato a visitare un amico ammalato per eccesso di dissolutezze, volle esortarlo a pentirsi e confessarsi dei peccati, od almeno a fare un atto sincero di contrizione. L’ammalato gli rispose: “Padre mio, che cosa vuol dire un atto sincero di contrizione? Non ho mai conosciuto questo linguaggio. „ Il cardinale cercò di fargli comprendere che cos’era il pentirsi dei peccati commessi perché il buon Dio ci perdoni. — “Padre mio, lasciatemi, voi mi disturbate, lasciatemi tranquillo. „ E morì senza voler fare un atto di contrizione, tanto era accecato ed indurito. Mio Dio! Quale disgrazia per chi ha perduto la fede! ahimè! non v’è più rimedio! Ah! F. M., si ha ben ragione di dire: Quale la vita, tale la morte. Davvero, F. M., se quell’ubriacone pensasse un po’ al momento della morte, che terminerà tutte le sue dissolutezze e i suoi stravizi, abbandonando il suo corpo ai vermi, mentre la sua povera anima brucerà all’inferno; ah! F. M., avrebbe egli il coraggio di continuare nei suoi eccessi? Ma, no: se di questo gli si parla, se ne ride, non pensa che a divertirsi, ad accontentare il suo corpo, come se tutto dovesse finire con lui, come ci dice il profeta Isaia. Ah! F. M., il demonio ha gran cura di farci perdere il ricordo di questo pensiero, perché sa meglio di noi quanto esso ci è salutare per toglierci dal peccato e ricondurci a Dio. I santi, F. M.. che tanto avevano a cuore la salvezza dell’anima loro, procuravano di non dimenticarsene mai. S. Guglielmo, arcivescovo di Bourges, assisteva più che poteva ai seppellimenti, per ben imprimersi in cuore il pensiero della morte. Si richiamava alla mente quanto siamo disgraziati di attaccarci alla vita che è tanto infelice e così ripiena di pericoli di perderci eternamente! (Ribadeneira, 19 Gennaio). Un altro santo andò a passare un anno in un bosco per aver agio di prepararsi bene alla morte: “… perché, diceva, quando arriva, non v’è più tempo. „ Questi santi avevano senza dubbio ragione, F. M., perché da questa ora dipende tutto per noi, e se attendiamo per pensarvi il momento in cui la morte ci coglie, spesso non serve a nulla. – Oh! come il pensiero della morte è potente a preservarci dal peccato, e farci compiere il bene! Sì, F. M., se quello sventurato che si avvoltola nel fango delle sue impurità, pensasse al momento della morte, quando il suo corpo, che tanto egli si preoccupa d’accontentare marcirà nella terra; ah! se facesse anche la più lieve riflessione su quelle ossa secche ed aride ammucchiate nel cimitero; se si prendesse la briga d’andar su quelle tombe, a contemplarvi i cadaveri puzzolenti ed imputriditi, i crani mezzo corrosi dai vermi, non sarebbe vivamente impressionato da tale spettacolo? Potrebbe avere altro pensiero che quello di piangere i suoi peccati e il suo accecamento, se riflettesse al rimorso che proverà nell’ora della morte per aver profanato un corpo che è il tempio dello Spirito Santo e le cui membra sono membra di Gesù Cristo!? „ (I Cor. III, 16; VI, 19) Volete voi conoscere, F. M., qual è la fine sventurata d’un impudico che non ha voluto aver sott’occhi la morte durante la vita? S. Pietro Damiani racconta che un inglese, per potere soddisfare la sua passione vergognosa, si diede al demonio, a condizione che l’avvertisse della sua morte tre giorni prima, nella speranza d’aver tempo di convertirsi. Ahimè! quanto è cieco l’uomo che si dà al peccato! Dopo essersi trascinato, avvoltolato, immerso nel lezzo delle impurità, arrivò il momento della sua dipartita. Il demonio, quantunque mentitore, mantenne la promessa fatta a quello sciagurato. Ma l’inglese fu deluso nella sua aspettativa, perché, con grande meraviglia di tutti gli astanti, quando gli si parlava della sua salvezza sembrava dormire, non dava alcuna risposta; mentre quando gli si parlava di affari temporali aveva interamente la conoscenza; sicché morì nelle sue impurità, come era vissuto. Per meglio mostrare che era dannato Dio permise che grossi cagnacci neri comparissero a circondarne il letto, quasi pronti a lanciarsi sulla preda; furono visti anche sulla sua tomba, come per custodire l’abbominevole deposito. Ahimè! F. M., quanti altri esempi potrei citarvi, essi pure spaventosi!… Ditemi, se quell’ambizioso pensasse al momento della morte, che gli mostrerà il nulla delle grandezze umane, potrebbe non fare queste riflessioni, che ben presto sarà ricoperto di terra, e calpestato dai piedi dei passeggeri, senz’altro segno della grandezza passata, che queste due parole: “Qui riposa il tale? ,. Mio Dio! come l’uomo è cieco! Leggiamo nella storia, che un uomo durante tutta la sua vita, non aveva affatto pensato alla sua salvezza: ma solo a divertirsi e ad accumulare ricchezze. Vicino a morire, riconobbe la sua cecità di non aver lavorato per fare una buona morte. Raccomandò che si mettesse sulla sua tomba: “Qui riposa l’insensato, che è uscito dal mondo senza sapere perché Dio ve l’aveva messo. „ Sì, F. M., tutti questi peccatori che si ridono delle grazie che Dio fa ad essi perché escano dal peccato, e le disprezzano: se riflettessero bene che quando partiranno dal mondo queste grazie saranno loro negate, e che Dio, che essi hanno fuggito, li fuggirà a sua volta, lasciandoli morire nel peccato: ditemi, avrebbero il coraggio di disprezzare tante grazie che Dio ora offre ad essi per salvare la loro povera anima? Ah! F. M., quanti peccati non si commetterebbero, se si avesse la fortuna di pensare spesso alla morte. Perciò lo Spirito Santo ci raccomanda grandemente di non dimenticare mai quello che ci aspetta al termine della vita, così non peccheremo. (Eccli. VII, 40). Fu proprio questo pensiero, F. M., che finì por convertire S. Francesco Borgia. Mentr’era ancora nel mondo, viveva alla corte di Spagna, quando l’imperatrice Elisabetta  (Isabella, e non Elisabetta. Si osservi però che Bibadeneira nella sua Vita di S. Francesco Borgia, al 30 Settembre, chiama l’imperatrice Elisabetta. Il lettore sa, come dicemmo nella Prefazione, che il Beato si serviva delle Vite dei Santi del Bibadeneira), moglie di Carlo V, mori. Dovendo essere seppellita nelle tombe reali, a Granata, fu incaricato del trasporto Francesco Borgia. Arrivato a Granata, per adempiere a tutte le formalità prescritte, fu aperto il feretro in cui era il cadavere. Francesco Borgia doveva attestare che era il medesimo statovi deposto. Quando ne fu scoperto il volto, che era stato un giorno così bello, e lo osservò tutto nero e mezzo imputridito, esalante un tanfo insopportabile, S. Francesco Borgia disse: “Sì, giuro che questo è il corpo che è stato messo nel feretro e che esso è quello dell’imperatrice: ma non lo riconosco più… Da questo momento meditò sul nulla delle grandezze umane e quanto piccola cosa erano esse, e prese la risoluzione d’abbandonare il mondo, per non pensar più ad altro che a salvare l’anima propria. Ah! diceva egli, che cosa è mai diventata la bellezza di questa principessa, che era la più formosa creatura del mondo? O mio Dio! quanto è cieco l’uomo che si attacca a vili creature e perde in tal guisa l’anima sua! „ Felice pensiero, F. M., che gli guadagnò il cielo! Ma perché, F. M., dimentichiamo la morte, il cui pensiero ci terrebbe sempre pronti a ben morire? Ah! non ci si vuol pensare, si muore senza avervi pensato, e consideriamo la morte come molto lontana da noi. – Il demonio non dice a noi, come altra volta ai nostri primi genitori: “Voi non morrete, „ (Gen. III, 4). Perché questa tentazione sarebbe troppo grossolana, ingannerebbe nessuno; “ma, ci dice, non morrete così presto; „ e con questa illusione rimandiamo il pensiero di convertirci alla nostra ultima malattia, quando non saremo più in istato di far nulla. È così, F.. M., che la morte ne sorprese molti impreparati, e ne sorprenderà altri sino alla fine del mondo. Eppure questo pensiero ha ritratto molti dal peccato: eccone un esempio splendido. Si narra nella storia che un giovane ed una giovane avevano avuto insieme relazioni vergognose. Avvenne che il giovane, passando per un bosco, fu ucciso. Un piccolo cane che lo seguiva, vedendo il padrone ucciso, corse dalla giovane, la prese per il grembiule, tirandola, come per dirle di seguirlo. Meravigliata di ciò, seguì il cagnolino, che la condusse là dove giaceva il padrone, e si fermò presso un mucchio di foglie. Avendo ella cercato che cosa nascondesse, vide il povero giovane immerso nel suo sangue: i ladri l’avevano ucciso. Rientrata  in se stessa, cominciò a piangere, dicendo in cuor suo: “Ah! disgraziata, se ti fosse capitata la medesima sventura, dove saresti? ahimè! abbruceresti nell’inferno. Forse questo giovane ora abbrucia negli abissi per causa tua!… Ah! sventurata, come hai potuto condurre una vita così peccaminosa? in quale stato è la povera anima tua!,.. Dio mio! Vi ringrazio di non avermi fatto servire di esempio agli altri! „ Abbandonò il mondo, andò a seppellirsi in un chiostro per tutta la vita, e morì da santa. Ah! F. M., quanti peccatori furono convertiti da simili esempi! Mio Dio! bisogna che i nostri cuori siano duri ed insensibili poiché nulla ci commuove, e viviamo forse nel peccato, senza pensare ad uscirne! Ah! F. M., abbiamo motivo di temere che quando vorremo tornare a Dio, non lo potremo: Dio in punizione dei nostri peccati, ci avrà abbandonati. Voglio mostrarvelo con un esempio. Leggiamo nella storia, che un uomo era vissuto lungo tempo nel disordine. Convertitosi, ricadde poco dopo negli antichi peccati. I suoi amici, assai addolorati, fecero il possibile per ricondurlo a Dio; egli prometteva sempre ma non si risolveva. Gli dissero che si teneva un corso di esercizi spirituali nella vicina parrocchia, essi vi partecipavano e ve lo avrebbero condotto, si apparecchiasse dunque. Costui, che da tanto tempo si beffava di Dio e dei loro consigli, ridendo, rispose di sì: venissero puro a prenderlo la mattina del giorno in cui incominciavano gli esercizi, sarebbero andati insieme. Gli amici non mancarono d’andare a cercarlo, sperando di ricondurlo a Dio; ma entrati nella sua stanza, lo videro disteso cadavere sul letto: era morto, la notte, di morte improvvisa senz’aver tempo né di confessarsi, né di dare il minimo segno di pentimento. Ahimè! F. M., dove andò questa povera anima che tanto aveva disprezzato le grazie di Dio?

II. — Ho detto che è assai utile pensare alla morte:

1° per farci evitare il peccato ed espiare quelle colpe che abbiamo avuto la disgrazia di commettere;

2° per distaccarci dalla vita. S. Agostino ci dice che non bisogna solamente pensare alla morte dei martiri, nei quali, per una grazia mirabile, la pena del peccato divenne come istrumento di merito, ma alla morte di tutti gli uomini. Questo pensiero della morte sarebbe per noi uno dei più potenti mezzi di salute, ed uno dei più grandi rimedi dei nostri mali, se ne sapessimo ricavare i vantaggi che la misericordia divina vuol procurarci col castigo che la sua giustizia esige da noi. Noi siamo condannati a morire solo perché abbiamo peccato (Rom. V, 12); ma ci dovrebbe bastare, per non peccar più, il pensare spesso alla morte, come dice lo Spirito Santo (Eccli. VII, 40). Tre altri effetti, produce in noi, F. M., il pensiero della morte:

1° ci distacca dal mondo;

2° trattiene le nostre passioni;

3° ci impegna a condurre vita più santa. Se il mondo, F. M., può ingannarci per un po’ di tempo, quest’inganno non durerà certamente sempre; perché è indubbio, che le cose tutte del mondo non hanno forza contro il pensiero della morte. Se pensiamo che in pochi minuti avremo dato addio alla vita per non ritornarvi più! L’uomo che ha la morte sempre presente allo spirito non può considerarsi sulla terra che come un viaggiatore, che vi è solo di passaggio, e lascia senza pena le cose in cui s’incontra, perché tende ad un altro termine, e si avanza verso un’altra patria. Tale fu, F. M., la disposizione di S. Girolamo: comprendendo che una volta morto egli non potrebbe più animare i suoi discepoli cogli esempi delle sue segrete virtù, volle, morendo, lasciar loro sante istruzioni : “Figli miei, se volete al pari di me non aver nessun rimorso alla vostra morte, abituatevi a distaccarvi da tutto durante la vita. Volete temer nulla in quel terribile istante? Non amate nulla di quanto dovrete abbandonare. Quando si è ben disingannati del mondo e di tutte le sue illusioni, quando sono da noi disprezzati i suoi beni, le sue false dolcezze e le promesse folli; quando non s’è posta la felicità nel possesso delle creature, non costa fatica il lasciarle e separarsene per sempre.„ Condizione felice, esclamava questo gran santo, quella d’un uomo che pieno di giusta confidenza in Dio, non si trova legato da alcun attacco al mondo ed ai beni della terrà! Ecco, F. M., le disposizioni alle quali ci conduce il pensiero della morte. Il secondo effetto che il pensiero della morte produce in noi è quello di frenare le nostre passioni. Sì, F. M., se siamo tentati, basta pensar alla morte, e subito sentiremo cessare la passione: era questa la pratica dei santi. –  S. Paolo ci dice che egli moriva ogni giorno (1 Cor. XV, 31). Nostro Signore, mentr’era ancora sulla terra, parlava spesso della sua passione (Matt. XVI, 21 segg.). S. Maria Egiziaca, quand’era tentata, pensava subito alla morte; e tosto la tentazione cedeva (Vita dei Padri del deserto. San Zosimo e Santa Maria Egiz.). S. Girolamo aveva questo pensiero assiduo, come il respiro. Ricordasi nella vita dei Padri del deserto, che un solitario il quale aveva vissuto qualche tempo nel gran mondo, tocco dalla grazia, andò a seppellirsi in un deserto. Il demonio non cessò di ricordargli la giovane per la quale aveva nutrito un amore peccaminoso. Poco prima ch’ella morisse, Dio glielo fece conoscere. Uscì dalla sua solitudine, andò a visitarla. Si stava per seppellirla: s’avvicinò al feretro, le scoprì il viso, la toccò con un fazzoletto, poi ritornò nel deserto, ed ogni volta che era tentato, prendeva il fazzoletto, lo osservava attentamente, poi diceva a se stesso, rappresentandosi l’orrore di quella povera creatura: ” Insensato che sei, ecco il dolce pegno dell’oggetto che tanto amasti a danno dell’anima tua; se, ora, non puoi sopportare l’orribile fetore che uscì dal corpo di quella creatura, quale follia fu dunque la tua di averla amata peccaminosamente durante la sua vita, con pregiudizio della tua salvezza; qual accecamento sarebbe il tuo di pensarvi ancora dopo che essa è morta! „ S. Agostino ci dice che quando si sentiva portato violentemente al male, la sola cosa che lo trattenesse era il pensare che un giorno morrebbe, e che dopo la morte verrebbe giudicato. “Parlavo spesso al mio caro amico Alipio, quando m’intrattenevo con lui, di ciò che doveva formare la differente porzione dei buoni e dei cattivi, e gli confessavo che malgrado quello che potevano avermi detto altre volte gli empi, io ho sempre creduto che nell’ora della nostra morte Dio ci domanderà conto di tutto il male fatto durante la nostra vita. – Si narra nella storia dei Padri del deserto, che un giovane solitario disse ad un vecchio cenobita: “Padre mio, che cosa debbo fare quando sono tentato, specialmente contro la santa virtù della purità? „ — “Figlio mio, risposegli il santo, pensate subito alla morte ed ai tormenti riservati agli impudici nell’inferno, e state sicuro che tale pensiero scaccerà il demonio. „ S. Giovanni Climaco ci dice che un solitario, il quale aveva sempre il pensiero della morte impresso nel suo spirito, quando il demonio voleva tentarlo per indurlo a rilassarsi, esclamava: “Ah! disgraziato, ecco che stai per morire, e non hai ancora fatto nulla che meriti di essere presentato a Dio. „ Si, F. M., chi vuol salvar l’anima propria, non deve mai dimenticare la morte. Il pensiero della morte ci suggerisce altresì pie riflessioni: ci mette tutta la nostra vita davanti agli occhi: pensiamo allora che quanto ci rallegra durante la vita, secondo il mondo, ci farà versar lagrime all’ora della morte; tutti i nostri peccati, che non debbono mai cancellarsi dalla nostra memoria, sono altrettanti serpenti che ci divorano; il tempo che abbiam perduto e le grazie da noi disprezzate: tutto ci sarà messo sott’occhio alla morte. Dopo questo, è impossibile non impegnarsi a vivere meglio, e abbandonare il male. Si narra nella storia, che un moribondo, prima di rendere l’ultimo sospiro, fece chiamare il suo principe, al quale era stato servo fedelissimo per molti anni. Il principe accorse con premura: “Domandatemi, dissegli, tutto ciò che vorrete, e state certo d’ottenerlo. „ — “Principe, gli disse il povero moribondo, non ho che una cosa da domandarvi: un quarto d’ora di vita. „ — Ah! amico mio, rispose il principe, non è in mio potere, domandatemi ogni altra cosa, e ve la concederò.,, — “Ah! esclamò l’ammalato, se avessi servito Dio come ho servito voi, non avrei un quarto d’ora di vita soltanto, ma un’eternità. „ Lo stesso rimorso provò un uomo di lettere, quando fu presso a lasciar la vita senza aver pensato a salvare l’anima sua: Ah! insensato che sono, ho scritto tanto pel mondo e niente per la mia anima: bisogna morire, non ho fatto nulla che possa rassicurarmi, e non v’ è più rimedio; non vedo niente nella vita mia che meriti di essere presentato al buon Dio. „ Felice lui, F. M., s’egli stesso almeno approfittò di questo, cioè de’ suoi buoni sentimenti.

III. — Ecco le riflessioni che il pensiero della morte deve produrre in noi: se trascuriamo di prepararvici, saremo separati per tutta l’eternità dalla compagnia di Gesù Cristo, della Vergine, degli Angeli e dei Santi, e saremo costretti a passare l’eternità coi demoni, a bruciar con loro. Leggiamo nella vita di san Girolamo, che una lunga esperienza avea reso così sapiente nella scienza della salvezza, che quand’era sul letto di morte, fu pregato dai suoi discepoli di lasciar loro, come per testamento, quella verità della morale cristiana, di cui si sentiva più vivamente persuaso. Che cosa pensate voi che rispondesse il grande e santo dottore? “Sto per morire, disse loro, la mia anima è appena sulla estremità delle mie labbra: ma vi dichiaro, che di tutte le verità della morale cristiana, quella della quale sono più convinto, è che difficilmente, su centomila persone che avranno vissuto male, se ne troverà una sola salva, dopo aver fatto una buona morte, perché per morir bene, bisogna pensarvi tutti i giorni della propria vita. E non crediate che questo sia effetto della mia malattia: ve ne parlo coll’esperienza di oltre sessant’anni. Sì, figli miei, a fatica fra centomila persone che avranno vissuto male, ve ne sarà una sola che faccia una buona morte! Figli miei, niente ci aiuta meglio a viver bene quanto il pensiero della morte! „ – Che cosa concludere da tutto ciò? F. M., eccolo: se pensiamo spesso alla morte avremo gran cura di conservare la grazia di Dio; se abbiam la sventura d’averla perduta, ci affretteremo di riacquistarla, ci distaccheremo dai beni e dai piaceri del mondo, sopporteremo le miserie della vita con spirito di penitenza; riconosceremo che è il buon Dio Colui che ce le manda per espiare i nostri peccati. Ahimè! dobbiam dire dentro di noi, corro a grandi passi verso l’eternità: d’un tratto non potrei più essere di questo mondo. Dopo questo mondo, dove passerò la mia eternità?…. Sarò in cielo o nell’inferno? Ciò dipende dalla vita che avrò condotta: sì, giovane o vecchio, penserò spesso alla morte, per prepararmivi di buon ora. – Felice, F. M., chi sarà sempre pronto! È la felicità che vi auguro!

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 2; 3; 4
Exspéctans exspectávi Dóminum, et respéxit me: et exaudívit deprecatiónem meam: et immísit in os meum cánticum novum, hymnum Deo nostro.

[Ebbi ferma fiducia nel Signore, il quale si volse verso di me e ascoltò il mio grido: e pose nella mia bocca un càntico nuovo, un inno al nostro Dio.]

Secreta

Tua nos, Dómine, sacramenta custodiant: et contra diabólicos semper tueántur incúrsus.

[I tuoi sacramenti, o Signore, ci custodiscano e ci difendano sempre dagli assalti del demonio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann VI: 52
Panis, quem ego dédero, caro mea est pro sæculi vita.

[Il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo.]

Postcommunio

Orémus.

Mentes nostras et córpora possídeat, quǽsumus, Dómine, doni cœléstis operátio: ut non noster sensus in nobis, sed júgiter ejus prævéniat efféctus.

[L’azione di questo dono celeste dòmini, Te ne preghiamo, o Signore, le nostre menti e nostri corpi, affinché prevalga sempre in noi il suo effetto e non il nostro sentire.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “IL PENSIERO DELLA MORTE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “IL PENSIERO DELLA MORTE”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. III, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Il pensiero della morte.

Cum appropinquaret portæ civitatis, ecce defunctus efferebatur filius unicus matris suæ: et hæc vidua erat.

(Luc. VII, 12).

No, Fratelli miei, non vi è cosa più capace di staccarci dalla vita e dai piaceri del mondo, e d’indurci a pensare al momento terribile che deve decidere della nostra sorte per l’eternità, quanto la vista d’un cadavere che vien portato alla tomba. Perciò la Chiesa, sempre attenta ed occupata a fornirci i mezzi più adatti per farci lavorare alla nostra salvezza, tre volte all’anno ci presenta il ricordo dei morti che Gesù Cristo ha risuscitato (Noi leggiamo la risurrezione della figlia di Giairo nel Vangelo della Messa della domenica XXIII dopo Pentecoste: quella del figlio della vedova di Naim, il giovedì della IV settimana di Quaresima, o la XV domenica dopo Pentecoste; quella di Lazzaro il venerdì della IV settimana di Quaresima; per obbligarci in certo modo ad occuparci del pensiero della morte e prepararci a questo viaggio. In un luogo del Vangelo (Marc. V, 42), ci presenta una giovinetta di soli dodici anni, cioè nell’età in cui appena si può cominciare a godere dei piaceri. Sebbene figlia unica, ricchissima e teneramente amata da’ suoi parenti, pure la morte la coglie e la fa scomparire per sempre dagli occhi dei viventi. Altrove vediamo un giovane di circa venticinque anni (Luc. VII, 12.), che era nel fior dell’età, il solo appoggio e l’unica consolazione della vedova madre sua; eppure, né le lagrime, né la tenerezza della madre desolata possono impedire che la morte, l’inesorabile morte, lo faccia sua preda. In altra parte del Vangelo (Joan. XI) vediamo un altro giovane, Lazzaro. Faceva da padre alle sue due sorelle, Marta e Maddalena; ci sembra che la morte avrebbe dovuto almeno risparmiare quest’ultimo, ma no; la morte crudele lo falcia, e lo getta nella tomba, ad esservi pasto dei vermi. Gesù Cristo dové fare tre miracoli per restituire loro l’esistenza. Apriamo gli occhi, F. M., e contempliamo un istante questo commovente spettacolo, che ci mostra, nel modo più energico, la caducità della vita e la necessità di staccarcene, prima che la morte inesorabile ce ne strappi nostro malgrado. “Giovane o vecchio, diceva il santo re Davide, penserò spesso che un giorno morrò, e mi vi preparerò per tempo.„ Per impegnarvi a fare altrettanto, vi mostrerò come il pensiero della morte ci è necessario per staccarci dalla vita ed attaccarci a Dio solo.

I. — È cosa manifesta, F. M., che, nonostante il grado d’empietà e d’incredulità a cui gli uomini sono giunti nel secolo sventurato in cui viviamo, non hanno ancora osato negare la certezza della morte; ma solo fanno quanto possono per bandirne il pensiero, come un vicino uggioso che potrebbe inquietarli nei loro piaceri, e disturbarli nelle loro dissolutezze. Ma vediamo nel Vangelo che nostro Signor Gesù Cristo vuole che non perdiamo mai di vista il pensiero della nostra partenza da questo mondo per l’eternità (Marc. XIII, 33). Per farci ben comprendere che possiamo morire ad ogni età, vediamo che non risuscita fanciulli ancora incapaci di gustare i piaceri della vita, e neppure vegliardi decrepiti che malgrado il loro attaccamento alla terra, non posson dubitare che la lor partenza sia poco lontana. Ma risuscita persone morte nell’età in cui più spesso si dimentica questo pensiero salutare: cioè dai dodici ai quarant’anni circa. Infatti dopo i quarant’anni la morte sembra inseguirci rapidamente; perdiamo tutti i giorni qualche cosa, e questa perdita ci annuncia che presto dobbiamo partire da questo mondo; sentiamo, ogni giorno, le forze diminuire, vediamo i capelli incanutire, la testa farsi calva, i denti cadere, la vista indebolirsi: tutte queste cose ci dicono addio per sempre, e siamo costretti di confessare a noi stessi che non siamo più quelli di un tempo. No, F. M., nessuno dubita menomamente di questo. È certo che verrà un giorno in cui non saremo più del numero dei viventi, e che non si penserà più a noi, come se non fossimo mai esistiti. Ecco adunque quella giovinetta mondana, che ebbe tante cure e premure per comparire agli occhi del mondo: eccola ridotta ad un po’ di polvere, calpestata dal piede dei passanti. Ecco quell’orgoglioso, che tanto si vantava del suo spirito, delle sue ricchezze, del credito che godeva e della carica che occupava, eccolo ridotto in una tomba, corroso dai vermi, e dimenticato fino alla fine del mondo, cioè sino alla risurrezione generale, quando lo rivedremo con tutto ciò che avrà fatto nei giorni della sua vita sciagurata. Ma, forse mi domanderete, che cos’è questo momento della morte, che deve tanto preoccuparci, e che è capace di convertirci? — È, F. M., un istante che, rapido nella sua durata, ci è poco noto, eppure basta per farci fare il grande passaggio da questo mondo all’eternità. Momento formidabile per se stesso, F. M., in cui tutto quanto è nel mondo muore per l’uomo, e l’uomo al tempo stesso muore per tutto ciò che ha sulla terra. Momento terribile, F. M., in cui l’anima, malgrado l’unione così intima col corpo, ne è strappata dalla violenza della malattia; dopo di che l’uomo, spogliato di tutto, non offre agli occhi del mondo altro che una orribile figura di se stesso: gli occhi spenti, la bocca muta, le mani senza azione, i piedi senza moto, il viso sfigurato, il corpo che comincia a corrompersi e non è più che un oggetto di ribrezzo. Momento crudele, F. M., in cui i più potenti e ricchi perdono tutte le ricchezze e la gloria, ed altro non hanno per eredità che la polvere del sepolcro. Momento ben umiliante, F. M., in cui il più grande è confuso col più miserabile della terra. Tutto è confuso: non più onori, non più distinzioni: tutti sono messi al medesimo livello. Ma. momento altresì, F. M., mille volte più terribile per le conseguenze, che per la sua presenza, poiché le perdite che porta con sé sono irreparabili. “L’uomo, ci dice lo Spirito Santo, parlando di chi muore, andrà nella casa della sua eternità. „ (Eccli. XII, 5). Momento breve, è vero, F. M., ma ben decisivo; dopo il quale il peccatore non può più sperare misericordia, ed il giusto non ha più meriti da guadagnare. Momento, il cui pensiero ha riempito i monasteri di tanti grandi del mondo, che hanno tutto abbandonato per pensare solo a quel terribile passaggio da questo mondo all’altro. Momento, F. M,, il cui pensiero ha popolato i deserti di tanti Santi, i quali non cessarono di abbandonarsi a tutti i rigori della penitenza che l’amore a Dio poté loro inspirare. Momento terribile, F. M., ma brevissimo, e che tuttavia deciderà risolutivamente la nostra sorte per tutta l’eternità. Dopo questo, F. M., come possiamo noi non pensarvi, od almeno pensarvi così leggermente? Ahimè! F. M., quante anime ora bruciano, per aver trascurato un pensiero così salutare! Lasciamo, F. M., lasciamo un po’ il mondo, i suoi beni e piaceri, per occuparci di questo terribile momento. Imitiamo, F. M., i santi, che ne facevano la principale occupazione; lasciamo perire ciò che perisce col tempo e diamo le nostre cure a ciò che è eterno e permanente. Sì, F. M., nessun’altra cosa è al pari del pensiero della morte capace di staccarci dalla vita del peccato e di far tremare i re sui loro troni, i giudici nei tribunali ed i libertini in mezzo ai loro piaceri. Eccone un esempio, F. M., che vi mostrerà che nessuno può resistere a questo pensiero ben meditato. S. Gregorio ci riferisce che un giovane, alla salute della cui anima egli assai s’interessava, aveva concepito una tal passione per una giovinetta, che questa essendo morta, non sapeva più consolarsene. San Gregorio Papa, dopo molte preghiere e penitenze, andò a trovare il giovane: “Amico mio, dissegli, vieni con me, e vedrai ancor una volta colei che ti fa tanto sospirare e piangere. „ Presolo per mano, lo condusse alla tomba della giovane. Tolta la tavola che la ricopriva, il giovane vedendo un corpo così orribile, puzzolente, ricoperto di vermi, che ora ormai una massa di putredine, indietreggiò inorridito. “No, no, amico mio, gli disse S. Gregorio, fatti innanzi e sostieni per un istante la vista dello spettacolo che ti presenta la morte. Vedi, amico mio, e considera che cos’è diventata questa bellezza caduca, alla quale eri attaccato perdutamente. Vedi quella testa spolpata, quegli occhi spenti, quelle ossa annerite, quell’ammasso orribile di cenere, di putredine e di vermi? Ecco, amico mio, l’oggetto della tua passione, pel quale hai tanto sospirato e sacrificata l’anima tua, la tua salvezza, il tuo Dio e la tua eternità. „ Parole così commoventi, spettacolo così spaventoso fecero una impressione così viva sull’animo del giovane, che riconoscendo da quel momento il nulla del mondo e la fragilità di ogni bellezza caduca, rinunciò subito a tutte le vanità della terra, non pensò più che a prepararsi a ben morire, ritirandosi dal mondo, per andare a passare la sua vita in un monastero, piangervi, pel resto dei suoi giorni, i traviamenti della gioventù, e morire da santo. Qual fortuna, F. M., per questo giovane! Facciamo altrettanto, o cari, giacché nulla è più capace di staccarci dalla vita e risolverci a lasciare il peccato, quanto questo prezioso pensiero della morte. Ah! F. M., all’ora della morte si pensa ben diversamente, che non durante il corso della vita! Eccone un bell’esempio. Si racconta nella storia, che una dama possedeva tutte le qualità necessarie per piacere al mondo, del quale gustava tutti i piaceri. Ahimè! F. M., ciò non le impedì d’arrivare come tutti gli altri mortali agli ultimi suoi momenti, e più presto di quanto avrebbe voluto. Al principio della sua malattia, le si dissimulò il pericolo in cui si trovava, come si fa troppo spesso coi poveri ammalati. Tuttavia ogni giorno il male progrediva e bisognò avvertirla che doveva pensare alla sua partenza per l’eternità. Doveva fare allora ciò che non aveva mai fatto, e pensare a ciò a cui mai aveva pensato e ne fu grandemente spaventata: “Non credo, disse a chi le aveva dato questo annuncio, che la mia malattia sia pericolosa, del resto, ho ancora del tempo; „ tuttavia le si fece premura, dicendole che il medico la trovava in pericolo. Pianse ella, si lamentò di dover abbandonar la vita quando ne poteva ancor godere i piaceri. Mentre piangeva, le si ricordò che nessuno era immortale, che se sfuggiva a questa malattia, un’altra poi l’avrebbe condotta al sepolcro, che doveva ormai mettere un po’ d’ordine nella sua coscienza, per poter presentarsi con fiducia al tribunale di Dio. A poco a poco rientrò in se stessa, istruita com’era, capì ben presto che doveva prepararsi alla morte, rivolse le sue lagrime a piangere i suoi peccati e domandò un sacerdote per confessargli le sue colpe, che avrebbe desiderato di non aver mai commesso. Fece ella stessa il sacrificio della vita; si confessò con gran dolore e grande abbondanza di lagrime e pregò le sue compagne ed amiche di venire a visitarla prima che uscisse da questo mondo, ciò che esse fecero con grande sollecitudine. Un dì che le vide tutte attorno al suo letto, disse loro piangendo: “Care amiche, vedete in quale stato mi trovo; debbo comparire dinanzi a Gesù Cristo, per rendergli conto di tutte le azioni della mia vita; sapete come ho servito male il buon Dio, e quanto debbo temere: tuttavia, mi affido alla sua misericordia. Il solo consiglio che posso darvi, mie buone amiche, è di non aspettare, per far bene, questo momento, quando non si può più, e malgrado le lagrime ed il pentimento, si è in sì gran pericolo d’andar perduti per l’eternità. E l’ultima volta che vi vedo; ve ne scongiuro, non perdete un momento del tempo che Dio vi concede e che io non ho più. Addio, amiche mie, parto per l’eternità, non dimenticatemi nelle vostre preghiere, perché, se avrò la bella sorte di essere perdonata, mi aiuterete ad uscire dal purgatorio. „ Tutte le sue compagne, che non s’aspettavano simile linguaggio, se ne partirono piangendo, e piene d’un gran desiderio di non aspettare quel momento, in cui si ha tanto rammarico di aver perduto un tempo così prezioso. – Oh! F. M.. quanto saremmo felici se il pensiero della morte e la presenza d’un cadavere ci facessero la stessa impressione, operassero in noi il medesimo cambiamento! Eppure abbiamo un’anima da salvare come quelle persone che si convertirono alla vista di quella giovane signora vicina a morire; ed abbiamo altresì le medesime grazie, se vogliamo approfittarne. – Ah! mio Dio, perché attaccarci tanto alla vita, che godiamo solo alcuni istanti, passati i quali lasciamo tutto per non portare con noi altro che il bene ed il male che avremo fatto?… Perché, F. M., attaccarci così poco a Dio, che, fin da questa vita è la nostra felicità, per continuare ad esserlo eternamente? Come potremmo attaccarci ai boni ed ai piaceri del mondo se avessimo ben scolpite nel cuore queste parole: “Nudi veniamo al mondo, e nudi parimente ne usciremo? „ Eppure, tocchiam con mano e vediamo ogni giorno che l’uomo più ricco non porta con sé nulla più di quello che porta all’altro mondo l’ultimo meschino mortale. Il grande Saladino lo riconobbe prima di morire, egli che aveva fatto tremare l’universo per lo splendore delle sue vittorie. Vedendosi vicino a morire e riconoscendo allora più che mai la vanità delle grandezze umane, comandò a colui che di solito lo precedeva portando lo stendardo, di prendere un pezzo del drappo nel quale doveva essere avvolto, di metterlo sulla punta d’una lancia, e di girare per la città, gridando più forte che potesse: “Ecco ciò che il grande Saladino, vincitore dell’Oriente e padrone dell’Occidente, porta con sé di tutti i suoi tesori e di tutte le sue vittorie: un lenzuolo. „ Mio Dio! quanto saremmo saggi, se questo pensiero non ci lasciasse mai! Infatti, P. M., se quell’avaro, quando non risparmia né ingiustizie né inganni per accumulare ricchezze, pensasse che tra poco deve lasciare tutto, potrebbe attaccarsi tanto ad oggetti che lo perderanno per l’eternità? Invece, F. M., vedendo il nostro modo di vivere, si crederebbe che non avessimo mai a lasciare la vita. Ahimè! dobbiamo ben temere che se viviamo da ciechi, morremo da ciechi! Eccone un esempio evidente. – Leggiamo nella storia che il cardinal Bellarmino, della Compagnia di Gesù, fu chiamato presso un infermo che era stato procuratore, e che sgraziatamente aveva preferito il denaro alla salvezza dell’anima sua. Credendosi chiamato solo per aggiustare gli affari di sua coscienza, vi accorse sollecitamente. Entrato, incomincia a parlargli dello stato dell’anima sua; ma appena detta qualche parola, l’ammalato gli risponde: “Padre mio, non vi ho domandato per questo; ma soltanto per consolar la moglie mia, che è desolata di perdermi, giacché, quanto a me, me ne vado diritto all’inferno. „ Il cardinale racconta che costui era cosi indurato e cieco, da pronunciare tali parole con la stessa tranquillità e freddezza che se avesse detto che andava a divertirsi con qualche amico. Amico mio, dissegli il cardinale desolato di veder la povera anima sua piombare nell’inferno: ma e non pensate a domandar perdono a Dio dei vostri peccati, e confessarvi? credetelo, Dio vi perdonerà. „ Quello sventurato gli rispose di non voler perdere il tempo, che egli non conosceva peccati, né voleva conoscerne: che avrebbe tempo abbastanza di conoscerli all’inferno. Poté ben il cardinale pregarlo, scongiurarlo, che per pietà non volesse perdersi per tutta l’eternità, giacché aveva ancora tutti i mezzi per guadagnarsi il cielo, gli promise che l’avrebbe aiutato a soddisfare la giustizia di Dio, ed aggiunse che era sicuro che Dio gli userebbe pietà. Ma, nulla, nulla fu capace di commuoverlo; morì senza dare alcun segno di pentimento. Ahimè! F. M., chi non pensa alla morte durante la sua vita si mette in grave pericolo di non pensarvi mai, o di non voler riparare il male che quando non vi saranno più rimedi. Mio Dio! coloro che non dimenticano il pensiero della morte, quanti peccati evitano in vita, e quanti rimorsi nell’eternità! Lo stesso cardinale riferisce che andato a visitare un amico ammalato per eccesso di dissolutezze, volle esortarlo a pentirsi e confessarsi dei peccati, od almeno a fare un atto sincero di contrizione. L’ammalato gli rispose: “Padre mio, che cosa vuol dire un atto sincero di contrizione? Non ho mai conosciuto questo linguaggio. „ Il cardinale cercò di fargli comprendere che cos’era il pentirsi dei peccati commessi perché il buon Dio ci perdoni. — “Padre mio, lasciatemi, voi mi disturbate, lasciatemi tranquillo. „ E morì senza voler fare un atto di contrizione, tanto era accecato ed indurito. Mio Dio! Quale disgrazia per chi ha perduto la fede! ahimè! non v’è più rimedio! Ah! F. M., si ha ben ragione di dire: Quale la vita, tale la morte. Davvero, F. M., se quell’ubbriacone pensasse un po’ al momento della morte, che terminerà tutte le sue dissolutezze e i suoi stravizi, abbandonando il suo corpo ai vermi, mentre la sua povera anima brucerà all’inferno; ah! F. M., avrebbe egli il coraggio di continuare nei suoi eccessi? Ma, no: se di questo gli si parla, se ne ride, non pensa che a divertirsi, ad accontentare il suo corpo, come se tutto dovesse finire con lui, come ci dice il profeta Isaia. Ah! F. M., il demonio ha gran cura di farci perdere il ricordo di questo pensiero, perché sa meglio di noi quanto esso ci è salutare per toglierci dal peccato e ricondurci a Dio. I santi, F. M.. che tanto avevano a cuore la salvezza dell’anima loro, procuravano di non dimenticarsene mai. S. Guglielmo, arcivescovo di Bourges, assisteva più che poteva ai seppellimenti, per ben imprimersi in cuore il pensiero della morte. Si richiamava alla mente quanto siamo disgraziati di attaccarci alla vita che è tanto infelice e così ripiena di pericoli di perderci eternamente! (Ribadeneira, 19 Gennaio). Un altro santo andò a passare un anno in un bosco per aver agio di prepararsi bene alla morte: “… perché, diceva, quando arriva, non v’è più tempo. „ Questi santi avevano senza dubbio ragione, F. M., perché da questa ora dipende tutto per noi, e se attendiamo per pensarvi il momento in cui la morte ci coglie, spesso non serve a nulla. – Oh! come il pensiero della morte è potente a preservarci dal peccato, e farci compiere il bene! Sì, F. M., se quello sventurato che si avvoltola nel fango delle sue impurità, pensasse al momento della morte, quando il suo corpo, che tanto egli si preoccupa d’accontentare marcirà nella terra; ah! se facesse anche la più lieve riflessione su quelle ossa secche ed aride ammucchiate nel cimitero; se si prendesse la briga d’andar su quelle tombe, a contemplarvi i cadaveri puzzolenti ed imputriditi, i crani mezzo corrosi dai vermi, non sarebbe vivamente impressionato da tale spettacolo? Potrebbe avere altro pensiero che quello di piangere i suoi peccati e il suo accecamento, se riflettesse al rimorso che proverà nell’ora della morte per aver profanato un corpo che è il tempio dello Spirito Santo e le cui membra sono membra di Gesù Cristo!? „ (I Cor. III, 16; VI, 19) Volete voi conoscere, F. M., qual è la fine sventurata d’un impudico che non ha voluto aver sott’occhi la morte durante la vita? S. Pietro Damiani racconta che un inglese, per potere soddisfare la sua passione vergognosa, si diede al demonio, a condizione che l’avvertisse della sua morte tre giorni prima, nella speranza d’aver tempo di convertirsi. Ahimè! quanto è cieco l’uomo che si dà al peccato! Dopo essersi trascinato, avvoltolato, immerso nel lezzo delle impurità, arrivò il momento della sua dipartita. Il demonio, quantunque mentitore, mantenne la promessa fatta a quello sciagurato. Ma l’inglese fu deluso nella sua aspettativa, perché, con grande meraviglia di tutti gli astanti, quando gli si parlava della sua salvezza sembrava dormire, non dava alcuna risposta; mentre quando gli si parlava di affari temporali aveva interamente la conoscenza; sicché morì nelle sue impurità, come era vissuto. Per meglio mostrare che era dannato Dio permise che grossi cagnacci neri comparissero a circondarne il letto, quasi pronti a lanciarsi sulla preda; furono visti anche sulla sua tomba, come per custodire l’abbominevole deposito. Ahimè! F. M., quanti altri esempi potrei citarvi, essi pure spaventosi!… Ditemi, se quell’ambizioso pensasse al momento della morte, che gli mostrerà il nulla delle grandezze umane, potrebbe non fare queste riflessioni, che ben presto sarà ricoperto di terra, e calpestato dai piedi dei passeggeri, senz’altro segno della grandezza passata, che queste due parole: “Qui riposa il tale? ,. Mio Dio! come l’uomo è cieco! Leggiamo nella storia, che un uomo durante tutta la sua vita, non aveva affatto pensato alla sua salvezza: ma solo a divertirsi e ad accumulare ricchezze. Vicino a morire, riconobbe la sua cecità di non aver lavorato per fare una buona morte. Raccomandò che si mettesse sulla sua tomba: “Qui riposa l’insensato, che è uscito dal mondo senza sapere perché Dio ve l’aveva messo. „ Sì, F. M., tutti questi peccatori che si ridono delle grazie che Dio fa ad essi perché escano dal peccato, e le disprezzano: se riflettessero bene che quando partiranno dal mondo queste grazie saranno loro negate, e che Dio, che essi hanno fuggito, li fuggirà a sua volta, lasciandoli morire nel peccato: ditemi, avrebbero il coraggio di disprezzare tante grazie che Dio ora offre ad essi per salvare la loro povera anima? Ah! F. M., quanti peccati non si commetterebbero, se si avesse l a fortuna di pensare spesso alla morte. Perciò lo Spirito Santo ci raccomanda grandemente di non dimenticare mai quello che ci aspetta al termine della vita, così non peccheremo. (Eccli. VII, 40). Fu proprio questo pensiero, F. M., che finì per convertire S. Francesco Borgia. Mentr’era ancora nel mondo, viveva alla corte di Spagna, quando l’imperatrice Elisabetta  (Isabella, e non Elisabetta. Si osservi però che Bibadeneira nella sua Vita di S. Francesco Borgia, al 30 Settembre, chiama l’imperatrice Elisabetta. Il lettore sa, come dicemmo nella Prefazione, che il Beato si serviva delle Vite dei Santi del Bibadeneira), moglie di Carlo V, morì . Dovendo essere seppellita nelle tombe reali, a Granata, fu incaricato del trasporto Francesco Borgia. Arrivato a Granata, per adempiere a tutte le formalità prescritte, fu aperto il feretro in cui era il cadavere. Francesco Borgia doveva attestare che era il medesimo statovi deposto. Quando ne fu scoperto il volto, che era stato un giorno così bello, e lo osservò tutto nero e mezzo imputridito, esalante un tanfo insopportabile, S. Francesco Borgia disse: “Sì, giuro che questo è il corpo che è stato messo nel feretro e che esso è quello dell’imperatrice: ma non lo riconosco più… Da questo momento meditò sul nulla delle grandezze umane e quanto piccola cosa erano esse, e prese la risoluzione d’abbandonare il mondo, per non pensar più ad altro che a salvare l’anima propria. Ah! diceva egli, che cosa è mai diventata la bellezza di questa principessa, che era la più formosa creatura del mondo? O mio Dio! quanto è cieco l’uomo che si attacca a vili creature e perde in tal guisa l’anima sua! „ Felice pensiero, F. M., che gli guadagnò il cielo! Ma perché, F. M., dimentichiamo la morte, il cui pensiero ci terrebbe sempre pronti a ben morire? Ah! non ci si vuol pensare, si muore senza avervi pensato, e consideriamo la morte come molto lontana da noi. – Il demonio non dice a noi, come altra volta ai nostri primi genitori: “Voi non morrete, „ (Gen. III, 4). Perché questa tentazione sarebbe troppo grossolana, ingannerebbe nessuno; “ma, ci dice, non morrete così presto; „ e con questa illusione rimandiamo il pensiero di convertirci alla nostra ultima malattia, quando non saremo più in istato di far nulla. È così, F.. M., che la morte ne sorprese molti impreparati, e ne sorprenderà altri sino alla fine del mondo. Eppure questo pensiero ha ritratto molti dal peccato: eccone un esempio splendido. Si narra nella storia che un giovane ed una giovane avevano avuto insieme relazioni vergognose. Avvenne che il giovane, passando per un bosco, fu ucciso. Un piccolo cane che lo seguiva, vedendo il padrone ucciso, corse dalla giovane, la prese per il grembiale, tirandola, come per dirle di seguirlo. Meravigliata di ciò, seguì il cagnolino, che la condusse là dove giaceva il padrone, e si fermò presso un mucchio di foglie. Avendo ella cercato che cosa nascondesse, vide il povero giovane immerso nel suo sangue: i ladri l’avevano ucciso. Rientrata  in se stessa, cominciò a piangere, dicendo in cuor suo: “Ah! disgraziata, se ti fosse capitata la medesima sventura, dove saresti? ahimè! abbruceresti nell’inferno. Forse questo giovane ora abbrucia negli abissi per causa tua!… Ah! sventurata, come hai potuto condurre una vita così peccaminosa? in quale stato è la povera anima tua!,.. Dio mio! Vi ringrazio di non avermi fatto servire di esempio agli altri! „ Abbandonò il mondo, andò a seppellirsi in un chiostro per tutta la vita, e morì da santa. Ah! F. M., quanti peccatori furono convertiti da simili esempi! Mio Dio! bisogna che i nostri cuori siano duri ed insensibili poiché nulla ci commuove, e viviamo forse nel peccato, senza pensare ad uscirne! Ah! F. M., abbiamo motivo di temere che quando vorremo tornare a Dio, non lo potremo: Dio in punizione dei nostri peccati, ci avrà abbandonati. Voglio mostrarvelo con un esempio. Leggiamo nella storia, che un uomo era vissuto lungo tempo nel disordine. Convertitosi, ricadde poco dopo negli antichi peccati. I suoi amici, assai addolorati, fecero il possibile per ricondurlo a Dio; egli prometteva sempre ma non si risolveva. Gli dissero che si teneva un corso di esercizi spirituali nella vicina parrocchia, essi vi partecipavano e ve lo avrebbero condotto, si apparecchiasse dunque. Costui, che da tanto tempo si beffava di Dio e dei loro consigli, ridendo, rispose di sì: venissero puro a prenderlo la mattina del giorno in cui incominciavano gli esercizi, sarebbero andati insieme. Gli amici non mancarono d’andare a cercarlo, sperando di ricondurlo a Dio; ma entrati nella sua stanza, lo videro disteso cadavere sul letto: era morto, la notte, di morte improvvisa senz’aver tempo né di confessarsi, né di dare il minimo segno di pentimento. Ahimè! F. M., dove andò questa povera anima che tanto aveva disprezzato le grazie di Dio?

II. — Ho detto che è assai utile pensare alla morte:

1° per farci evitare il peccato ed espiare quelle colpe che abbiamo avuto la disgrazia di commettere;

2° per distaccarci dalla vita. S. Agostino ci dice che non bisogna solamente pensare alla morte dei martiri, nei quali, per una grazia mirabile, la pena del peccato divenne come istrumento di merito, ma alla morte di tutti gli uomini. Questo pensiero della morte sarebbe per noi uno dei più potenti mezzi di salute, ed uno dei più grandi rimedi dei nostri mali, se ne sapessimo ricavare i vantaggi che la misericordia divina vuol procurarci col castigo che la sua giustizia esige da noi. Noi siamo condannati a morire solo perché abbiamo peccato (Rom. V, 12); ma ci dovrebbe bastare, per non peccar più, il pensare spesso alla morte, come dice lo Spirito Santo (Eccli. VII, 40). Tre altri effetti, produce in noi, F. M., il pensiero della morte:

1° ci distacca dal mondo;

2° trattiene le nostre passioni;

3° ci impegna a condurre vita più santa. Se il mondo, F. M., può ingannarci per un po’ di tempo, quest’inganno non durerà certamente sempre; perché è indubbio, che le cose tutte del mondo non hanno forza contro il pensiero della morte. Se pensiamo che in pochi minuti avremo dato addio alla vita per non ritornarvi più! L’uomo che ha la morte sempre presente allo spirito non può considerarsi sulla terra che come un viaggiatore, che vi è solo di passaggio, e lascia senza pena le cose in cui s’incontra, perché tende ad un altro termine, e si avanza verso un’altra patria. Tale fu, F. M., la disposizione di S. Girolamo: comprendendo che una volta morto egli non potrebbe più animare i suoi discepoli cogli esempi delle sue segrete virtù, volle, morendo, lasciar loro sante istruzioni : “Figli miei, se volete al pari di me non aver nessun rimorso alla vostra morte, abituatevi a distaccarvi da tutto durante la vita. Volete temer nulla in quel terribile istante? Non amate nulla di quanto dovrete abbandonare. Quando si è ben disingannati del mondo e di tutte le sue illusioni, quando sono da noi disprezzati i suoi beni, le sue false dolcezze e le promesse folli; quando non s’è posta la felicità nel possesso delle creature, non costa fatica il lasciarle e separarsene per sempre.„ Condizione felice, esclamava questo gran santo, quella d’un uomo che pieno di giusta confidenza in Dio, non si trova legato da alcun attacco al mondo ed ai beni della terra! Ecco, F. M., le disposizioni alle quali ci conduce il pensiero della morte. Il secondo effetto che il pensiero della morte produce in noi è quello di frenare le nostre passioni. Sì, F. M., se siamo tentati, basta pensar alla morte, e subito sentiremo cessare la passione: era questa la pratica dei santi. –  S. Paolo ci dice che egli moriva ogni giorno (1 Cor. XV, 31). Nostro Signore, mentr’era ancora sulla terra, parlava spesso della sua passione (Matt. XVI, 21 segg.). S. Maria Egiziaca, quand’era tentata, pensava subito alla morte; e tosto la tentazione cedeva (Vita dei Padri del deserto. San Zosimo e santa Maria Egiz.). S. Girolamo aveva questo pensiero assiduo, come il respiro. Ricordasi nella vita dei Padri del deserto, che un solitario il quale aveva vissuto qualche tempo nel gran mondo, tocco dalla grazia, andò a seppellirsi in un deserto. Il demonio non cessò di ricordargli la giovane per la quale aveva nutrito un amore peccaminoso. Poco prima ch’ella morisse, Dio glielo fece conoscere. Uscì dalla sua solitudine, andò a visitarla. Si stava per seppellirla: s’avvicinò al feretro, le scoprì il viso, la toccò con un fazzoletto, poi ritornò nel deserto, ed ogni volta che era tentato, prendeva il fazzoletto, lo osservava attentamente, poi diceva a se stesso, rappresentandosi l’orrore di quella povera creatura: ” Insensato che sei, ecco il dolce pegno dell’oggetto che tanto amasti a danno dell’anima tua; se, ora, non puoi sopportare l’orribile fetore che uscì dal corpo di quella creatura, quale follia fu dunque la tua di averla amata peccaminosamente durante la sua vita, con pregiudizio della tua salvezza; qual accecamento sarebbe il tuo di pensarvi ancora dopo che essa è morta! „ S. Agostino ci dice che quando si sentiva portato violentemente al male, la sola cosa che lo trattenesse ora il pensare che un giorno morrebbe, e che dopo la morte verrebbe giudicato. “Parlavo spesso al mio caro amico Alipio, quando m’intrattenevo con lui, di ciò che doveva formare la differente porzione dei buoni e dei cattivi, e gli confessavo che malgrado quello che potevano avermi detto altre volte gli empi, io ho sempre creduto che nell’ora della nostra morte Dio ci domanderà conto di tutto il male fatto durante la nostra vita. – Si narra nella storia dei Padri del deserto, che un giovane solitario disse ad un vecchio cenobita: “Padre mio, che cosa debbo fare quando sono tentato, specialmente contro la santa virtù della purità? „ — “Figlio mio, risposegli il santo, pensate subito alla morte ed ai tormenti riservati agli impudici nell’inferno, e state sicuro che tale pensiero scaccerà il demonio. „ S. Giovanni Climaco ci dice che un solitario, il quale aveva sempre il pensiero della morte impresso nel suo spirito, quando il demonio voleva tentarlo per indurlo a rilassarsi, esclamava: “Ah! disgraziato, ecco che stai per morire, e non hai ancora fatto nulla che meriti di essere presentato a Dio. „ Si, F. M., chi vuol salvar l’anima propria, non deve mai dimenticare la morte. Il pensiero della morte ci suggerisce altresì pie riflessioni: ci mette tutta la nostra vita davanti agli occhi: pensiamo allora che quanto ci rallegra durante la vita, secondo il mondo, ci farà versar lagrime all’ora della morte; tutti i nostri peccati, che non debbono mai cancellarsi dalla nostra memoria, sono altrettanti serpenti che ci divorano; il tempo che abbiam perduto e le grazie da noi disprezzate: tutto ci sarà messo sott’occhio alla morte. Dopo questo, è impossibile non impegnarsi a vivere meglio, e abbandonare il male. Si narra nella storia, che un moribondo, prima di rendere l’ultimo sospiro, fece chiamare il suo principe, al quale era stato servo fedelissimo per molti anni. Il principe accorse con premura: “Domandatemi, dissegli, tutto ciò che vorrete, e state certo d’ottenerlo. „ — “Principe, gli disse il povero moribondo, non ho che una cosa da domandarvi: un quarto d’ora di vita. „ — Ah! amico mio, rispose il principe, non è in mio potere, domandatemi ogni altra cosa, e ve la concederò.,, — “Ah! esclamò l’ammalato, se avessi servito Dio come ho servito voi, non avrei un quarto d’ora di vita soltanto, ma un’eternità. „ Lo stesso rimorso provò un uomo di lettere, quando fu presso a lasciar la vita senza aver pensato a salvare l’anima sua: Ah! insensato che sono, ho scritto tanto pel mondo e niente per la mia anima: bisogna morire, non ho fatto nulla che possa rassicurarmi, e non v’ è più rimedio; non vedo niente nella vita mia che meriti di essere presentato al buon Dio. „ Felice lui, F. M., s’egli stesso almeno approfittò di questo, cioè de’ suoi buoni sentimenti.

III. — Ecco le riflessioni che il pensiero della morte deve produrre in noi: se trascuriamo di prepararvici, saremo separati per tutta l’eternità dalla compagnia di Gesù Cristo, della Vergine, degli Angeli e dei santi, e saremo costretti a passare l’eternità coi demoni, a bruciar con loro. Leggiamo nella vita di san Girolamo, che una lunga esperienza avea reso così sapiente nella scienza della salvezza, che quand’era sul letto di morte, fu pregato dai suoi discepoli di lasciar loro, come per testamento, quella verità della morale cristiana, di cui si sentiva più vivamente persuaso. Che cosa pensate voi che rispondesse il grande e santo dottore? “Sto per morire, disse loro, la mia anima è appena sulla estremità delle mie labbra: ma vi dichiaro, che di tutte le verità della morale cristiana, quella della quale sono più convinto, è che difficilmente, su centomila persone che avranno vissuto male, se ne troverà una sola salva, dopo aver fatto una buona morte, perché per morir bene, bisogna pensarvi tutti i giorni della propria vita. E non crediate che questo sia effetto della mia malattia: ve ne parlo coll’esperienza di oltre sessant’anni. Sì, figli miei, a fatica fra centomila persone che avranno vissuto male, ve ne sarà una sola che faccia una buona morte! Figli miei, niente ci aiuta meglio a viver bene quanto il pensiero della morte! „ – Che cosa concludere da tutto ciò? F. M., eccolo: se pensiamo spesso alla morte avremo gran cura di conservare la grazia di Dio; se abbiam la sventura d’averla perduta, ci affretteremo di riacquistarla, ci distaccheremo dai beni e dai piaceri del mondo, sopporteremo le miserie della vita con spirito di penitenza; riconosceremo che è il buon Dio Colui che ce le manda per espiare i nostri peccati. Ahimè! dobbiam dire dentro di noi, corro a grandi passi verso l’eternità: d’un tratto non potrei più essere di questo mondo Dopo questo mondo, dove passerò la mia eternità?…. Sarò in cielo o nell’inferno? Ciò dipende dalla vita che avrò condotta: sì, giovane o vecchio, penserò spesso alla morte, per prepararmivi di buon ora. – Felice, F. M., chi sarà sempre pronto! È la felicità che vi auguro!

DOMENICA XIV DOPO PENTECOSTE (2021)

XIV DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Le Lezioni dell’Officio di questa Domenica sono spesso prese dal Libro dell’Ecclesiastico (Agosto) o da quello di Giobbe (Settembre). Commentando il primo, S. Gregorio dice: «Vi sono uomini così appassionati per i beni caduchi, da ignorare i beni eterni, o esserne insensibili. Senza rimpiangere i beni celesti perduti, i disgraziati si credono felici di possedere i beni terreni: per la luce della verità, non innalzano mai i loro sguardi e mai provano uno slancio, un desiderio verso l’eterna patria. Abbandonandosi ai godimenti nei quali si sono gettati si attaccano e si affezionano, come se fosse la loro patria, a un triste luogo d’esilio; e in mezzo alle tenebre sono felici come se una luce sfolgorante li illuminasse. Gli eletti, invece, per cui i beni passeggeri non hanno valore, vanno in cerca di quei beni per i quali la loro anima è stata creata. Trattenuti in questo mondo dai legami della carne, si trasportano con lo spirito al di là di questo mondo e prendono la salutare decisione di disprezzare quello che passa col tempo e di desiderare le cose eterne ». — Quanto a Giobbe viene rappresentato nelle Sacre Scritture come l’uomo staccato dai beni di questa terra: «Giobbe soffriva con pazienza e diceva: Se abbiamo ricevuti i beni da Dio, perché non ne riceveremo anche i mali? Dio mi ha donato i beni, Dio me li ha tolti, che il nome del Signore sia benedetto ». — La Messa di questo giorno si ispira a questo concetto. Lo Spirito Santo che la Chiesa ha ricevuto nel giorno di Pentecoste, ha formato in noi un uomo nuovo, che si oppone alle manifestazioni del vecchio uomo, cioè alla cupidigia della carne e alla ricerca delle ricchezze, mediante le quali può soddisfare la prima. Lo Spirito di Dio è uno spirito di libertà che rendendoci figli di Dio, nostro Padre, e fratelli di Gesù, nostro Signore, ci affranca dalla servitù del peccato e dalla tirannia dell’avarizia. « Quelli che vivono in Cristo, scrive S. Paolo, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e bramosie. Camminate, dunque, secondo lo Spirito e voi non compirete mai i desideri della carne, poiché la carne ha brame contro lo Spirito e lo Spirito contro la carne: essi sono opposti l’uno all’altra » (Ep.).  Nessuno può servire a due padroni, dice pure Gesù, perchè o odierà l’uno e amerà l’altro, ovvero aderirà all’uno e disprezzerà l’altro. Voi non potete servire a Dio e alle ricchezze ». « Chiunque è schiavo delle ricchezze, spiega S. Agostino – e si sa che sono spesso fonte di orgoglio, avarizia, ingiustizia e lussuria –  è sottomesso ad un padrone duro e cattivo. (« Forse che questi festini giornalieri, questi banchetti, questi piaceri, questi teatri, queste ricchezze, si domanda S. Giovanni Crisostomo, non attestano l’insaziabile esigenza delle tue cattive passioni? » – 2° Nott., V Domenica di Agosto che coincide qualche volta con questa Domenica). Dio non condanna la ricchezza ma l’attaccamento ai beni di questa terra e il loro cattivo impiego. Tutto dedito alle sue bramosie, subisce però la tirannia del demonio: certamente non l’ama perché chi può amare il demonio? ma lo sopporta. D’altra parte non odia Dio, poiché nessuna coscienza può odiare Dio, ma lo disprezza, cioè non lo teme, come se fosse sicuro della sua bontà. Lo Spirito Santo mette in guardia contro questa negligenza e questa sicurezza dannosa, quando dice, mediante il Profeta: Figlio mio, la misericordia di Dio è grande » (Eccl., V, 5 ),— (Queste parole sono prese dal 1° Notturno della V Domenica di Agosto, che coincide qualche volta con questa Domenica: « Non dire: la misericordia di Dio è grande, egli avrà pietà della moltitudine dei miei peccati. Poiché la misericordia e la collera che vengono da Lui si avvicinano rapidamente, e la sua collera guarda attentamente i peccatori. Non tardare a convertirti al Signore e non differirlo di giorno in giorno: poiché la sua collera verrà improvvisamente e ti perderà interamente. Non essere inquieto per l’acquisto delle ricchezze, poiché non ti sopravviveranno nel giorno della vendetta ») – … ma sappi che « la pazienza di Dio t’invita alla penitenza » (Rom., II, 4). Perché chi è più misericordioso di Colui che perdona tutti i peccati a quelli che si convertono e dona la fertilità dell’ulivo al pollone selvatico? E chi è più severo di colui che non ha risparmiati i rami naturali, ma li ha tagliati per la loro infedeltà? Chi dunque vuole amare Dio e non offenderlo, pensi che non può servire due padroni; abbia egli un’intenzione retta senza alcuna doppiezza. Ed e così che tu devi pensare alla bontà del Signore e cercarlo nella semplicità del cuore. Per questo, continua egli, io vi dico di non avere sollecitudini superflue di ciò che mangerete e del come vi vestirete; per paura che forse, senza cercare il superfluo, il cuore non si preoccupi, e che cercando il necessario, la vostra intenzione non si volga alla ricerca dei vostri interessi piuttosto che al bene degli altri » (3° Nott.). Cerchiamo dunque, prima di tutto il regno di Dio, la sua giustizia, la sua gloria (Vang., Com.); mettiamo nel Signore ogni nostra speranza (Grad.), poiché è il nostro protettore (Intr.); è Lui che manda il suo Angelo per liberare quelli che lo servono (Off.) e che preserva la nostra debole natura umana, poiché senza questo aiuto divino essa non potrebbe che soccombere (Oraz.). L’Eucarestia ci rende Dio amico (Secr.) e, fortificandoci, ci dà la salvezza (Postcom.). Cerchiamo, dunque, prima di tutto di pregare nel luogo del Signore (Vers. dell’Intr.) e di cantarvi le lodi di Dio, nostro Salvatore (All.); poi occupiamoci dei nostri interessi temporali, ma senza preoccupazione.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXIII: 10-11.
Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Ps LXXXIII: 2-3

V. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.

[O Dio degli eserciti, quanto più amabili sono le tue dimore! L’ànima mia anela e spàsima verso gli atrii del Signore].

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Oratio

Orémus.
Custódi, Dómine, quǽsumus, Ecclésiam tuam propitiatióne perpétua: et quia sine te lábitur humána mortálitas; tuis semper auxíliis et abstrahátur a nóxiis et ad salutária dirigátur.

[O Signore, Te ne preghiamo, custodisci propizio costantemente la tua Chiesa, e poiché senza di Te viene meno l’umana debolezza, dal tuo continuo aiuto sia liberata da quanto le nuoce, e guidata verso quanto le giova a salvezza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.

Gal V: 16-24

“Fratres: Spíritu ambuláte, et desidéria carnis non perficiétis. Caro enim concupíscit advérsus spíritum, spíritus autem advérsus carnem: hæc enim sibi ínvicem adversántur, ut non quæcúmque vultis, illa faciátis. Quod si spíritu ducímini, non estis sub lege. Manifésta sunt autem ópera carnis, quæ sunt fornicátio, immundítia, impudicítia, luxúria, idolórum sérvitus, venefícia, inimicítiæ, contentiónes, æmulatiónes, iræ, rixæ, dissensiónes, sectæ, invídiæ, homicídia, ebrietátes, comessatiónes, et his simília: quæ prædíco vobis, sicut prædíxi: quóniam, qui talia agunt, regnum Dei non consequántur. Fructus autem Spíritus est: cáritas, gáudium, pax, patiéntia, benígnitas, bónitas, longanímitas, mansuetúdo, fides, modéstia, continéntia, cástitas. Advérsus hujúsmodi non est lex. Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixérunt cum vítiis et concupiscéntiis.”

[“Fratelli: Camminate secondo lo spirito e non soddisferete ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne: essi, infatti, contrastano tra loro, così che non potete fare ciò che vorreste. Che se voi vi lasciate guidare dallo spirito non siete sotto la legge. Sono poi manifeste le opere della carne: esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi ecc. le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili; di cui vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il seguiranno il regno di Dio. Frutto invece dello Spirito è: la carità, il gaudio, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Contro tali cose non c’è logge. Or quei che son di Cristo han crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue brame”].

C’è una lotta, una guerra formidabile, una battaglia che si combatte fieramente e dappertutto e sempre: si combatte in ciascuno di noi. Per un misterioso congegno, noi, siamo due in uno e uno in due. Siamo, lo sanno tutti, anima e corpo, ma corpo e anima pur insieme uniti come sono a formare un sol uomo, rappresentano ciascuno tendenze diverse, addirittura contrastanti. La materia ci trascina nel torbido mondo dei piaceri più bassi: mollezza, ozio, dissipazione, egoismo e poi crudeltà se occorre. La materia ci trascina verso il mondo animale, anzi un mondo animale degenere e corrotto. È un fatto che noi possiamo sperimentare, che sperimentiamo anzi, senza volerlo, in noi stessi. Lo sperimentiamo con un altro fatto, del pari innegabile. Ed è che dentro di noi, contro di noi, contro questi travolgimenti passionali, queste degenerazioni brutali, qualche cosa, qualcheduno protesta; come se si trovasse, perché si trova, a disagio, nel trionfare di queste basse voglie. Questo qualcuno è lo spirito che, dice San Paolo « concupiscit adversus carnem ». Veramente, questa concupiscenza dello spirito, è una frase ardita. La realtà si è che lo spirito ha delle sue voglie, delle sue tendenze, che non sono quelle della carne. E noi sentiamo in noi, nelle ore migliori della vita, una sete di purezza, di sobrietà, di laboriosità, di sacrificio, di dominio della bestia: sogni angelici ci traversano l’anima e ce la attirano verso il cielo. Istinti angelici da quanto sono brutali quegli altri. Istinti che si rafforzano dentro di noi, colla educazione, coll’altrui buon esempio, colla saturità cristiana dell’ambiente in cui siamo chiamati a vivere. Ma istinti ai quali contrasta e maledice il corpo, proprio come contro quelli del corpo eleva l’anima l’istintivo suo veto. In questa lotta è la tragedia della nostra vita morale. È il segreto della nostra debolezza. È per questo che facciamo spesso quello che non vorremmo, che quasi non vogliamo e non facciamo quello che vorremmo. Quanti uomini vorrebbero essere fedeli alle loro mogli, vorrebbero dare esempi luminosi di buon costume ai loro figli… vorrebbero; e intanto, pur riconoscendo che fanno male, che amareggiano il cuore di una povera donna, che dànno cattivo esempio ai figlioli, profanano il santuario domestico e cercano fuori di esso illecite gioie. Quanti giovani si vergognano, si pentono della vita materiale, animalesca che conducono, e intanto non hanno forza di troncarla: «vident meliora, probantque, deteriora sequuntur ». Ma se in questo congegno di lotta interna è il segreto della nostra debolezza, v’è anche quello della nostra gloria. Abbiamo una bella battaglia da vincere. Essere un po’ sulla terra, ancora sulla terra « sicut angeli Dei in cœlo.» Andare verso l’alto, verso il cielo malgrado questa palla di piombo, che, ahimè, portiamo al piede. Gli Angeli nascono Angeli, lo sono: noi dobbiamo diventarlo. – Il Cristianesimo è stato e rimane il grande alleato dello spirito nella lotta contro la carne, Gesù è venuto apposta tra noi per dare man forte allo spirito. E da Lui in poi, e grazie a Lui, la vittoria nonché possibile, è diventata frequente tra i suoi discepoli. L’umanità vede oggi a frotte i cavalieri autentici dello spirito, gli uomini che collo spirito hanno mortificato, compresso i fasti della carne, e si rivelano in questa trionfale spiritualità di vita, si rivelano guidati dallo Spirito di Dio. Aggreghiamoci alla falange dei vincitori, non accodiamoci, codardi, alle orde dei vinti.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

 Graduale

Ps CXVII:8-9
Bonum est confidére in Dómino, quam confidére in hómine.

[È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo].

V. Bonum est speráre in Dómino, quam speráre in princípibus. Allelúja, allelúja
 

[È meglio sperare nel Signore che sperare nei príncipi. Allelúia, allelúia].

Alleluja

XCIV: 1.
Veníte, exsultémus Dómino, jubilémus Deo, salutári nostro. Allelúja.

[Venite, esultiamo nel Signore, rallegriamoci in Dio nostra salvezza. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.
Matt VI: 24-33

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nemo potest duóbus dóminis servíre: aut enim unum ódio habébit, et álterum díliget: aut unum sustinébit, et álterum contémnet. Non potéstis Deo servíre et mammónæ. Ideo dico vobis, ne sollíciti sitis ánimæ vestræ, quid manducétis, neque 9córpori vestro, quid induámini. Nonne ánima plus est quam esca: et corpus plus quam vestiméntum? Respícite volatília coeli, quóniam non serunt neque metunt neque cóngregant in hórrea: et Pater vester coeléstis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis? Quis autem vestrum cógitans potest adjícere ad statúram suam cúbitum unum? Et de vestiménto quid sollíciti estis? Consideráte lília agri, quómodo crescunt: non labórant neque nent. Dico autem vobis, quóniam nec Sálomon in omni glória sua coopértus est sicut unum ex istis. Si autem fænum agri, quod hódie est et cras in clíbanum míttitur, Deus sic vestit: quanto magis vos módicæ fídei? Nolíte ergo sollíciti esse, dicéntes: Quid manducábimus aut quid bibémus aut quo operiémur? Hæc enim ómnia gentes inquírunt. Scit enim Pater vester, quia his ómnibus indigétis. Quaerite ergo primum regnum Dei et justítiam ejus: et hæc ómnia adjiciéntur vobis”.

[“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo, e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e alle ricchezze. Per questo vi dico: non vi prendete affanno né di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. La vita non vale ella più dell’alimento, e il corpo più del vestito! Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai da più di essi? Ma chi è di voi che con tutto il suo pensare possa aggiuntare alla sua statura un cubito? E perché vi prendete cura pel vestito? Pensate come crescono i gigli del campo; essi non lavorano e non filano. Or io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo riveste Dio un’erba del campo, che oggi è e domani vien gittata nel forno; quanto più voi gente di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi, dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? Imperocché tali sono le cure dei Gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose”].

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul servizio di Dio.

Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus.

(MATTH. VI, 83).

S. Matteo narra che Gesù Cristo essendosi trovato un giorno con alcuni i quali s’occupavano troppo di cose temporali, disse loro: “Non v’inquietate tanto per queste cose; cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato con abbondanza;„ e voleva dire con ciò che se avevano la bella sorte di metter tutte le loro cure nel piacere a Dio e salvare l’anima propria, il Padre suo procurerebbe ad essi quanto sarebbe stato necessario pei bisogni del corpo. — Ma, direte, come possiamo cercare il regno dei cieli e la sua giustizia? — Come, Fratelli miei? Niente di più facile e consolante: dandovi al servizio di Dio, che è il solo mezzo per conseguire quel fine nobile e beato pel quale siamo stati creati. Sì, F. M., lo sappiamo tutti, ed anche i più grandi peccatori ne sono convinti, noi siamo al mondo solo per servire Iddio, e fare quanto ci comanda. — Ma, domanderete, perché sono così pochi quelli che lavorano a questo fine? — F. M., eccolo: gli uni riguardano il servizio di Dio come cosa troppo difficile: credono di non avere abbastanza forza per intraprenderlo, o immaginano che dopo averlo intrapreso, non potranno perseverare. Ecco precisamente, F. M., ciò che scoraggia e trattiene gran parte di Cristiani. – Invece di ascoltare queste consolanti parole del Salvatore, che non può ingannarci, e ci ripete che il suo servizio è dolce e gradevole, che attendendovi vi troveremo la pace delle anime nostre e la gioia dei nostri cuori (Matt. XI, 29, 30). Ma a farvelo meglio comprendere, vi mostrerò quale dei due conduce una vita più dura, più triste e più penosa: se chi adempie i suoi doveri di religione con fedeltà, o chi li abbandona per seguire il piacere e le passioni, per vivere a suo capriccio.

I . — Sì, F. M., da qualsiasi lato consideriamo il servizio di Dio, che consiste nella preghiera, nella penitenza, nel frequentare i Sacramenti, nell’amore di Dio e del prossimo ed in una intera rinuncia a noi stessi; sì, F. M., non troviamo in tutto ciò che gioie, consolazioni, felicità pel presente e per l’avvenire, come vedrete. Chi conosce la sua religione e la pratica, sa che le croci e le persecuzioni, il disprezzo, i patimenti, ed infine la povertà e la morte si cambiano in dolcezze, in consolazioni, e nella ricompensa eterna. Ditemi, non ve ne siete mai fatta un’idea sensibile? No, senza dubbio. Eppure, F. M., la cosa sta come vi dico; e per dimostrarvelo in modo che non possiate dubitarne, ascoltate Gesù Cristo medesimo: “Beati i poveri, poiché di loro è il regno de’ cieli: guai ai ricchi, perché è assai difficile che i ricchi si salvino „ (Luc. VI, 25) Vedete adunque, secondo Gesù Cristo, che la povertà non deve renderci infelici, poiché il Salvatore ci dice: “Beati i poveri„. In secondo luogo non sono le sofferenze, né i dolori, che ci rendono infelici; poiché Gesù Cristo ci dice : “Beati quelli che piangono e che sono perseguitati, perché un giorno saranno consolati (Matt. V, 3); ma guai al mondo e ad ai gaudenti, perché la loro gioia si cambierà in lagrime e tristezza eterna. „ (Luc. VI, 25). – In terzo luogo, non è l’essere disprezzati che può farci infelici; poiché Gesù Cristo ci dice: “Hanno disprezzato me, e disprezzeranno anche voi; hanno perseguitato me, e perseguiteranno anche voi; ma lungi dal rattristarvi, rallegratevi, perché una grande ricompensa vi attende in cielo „ Ditemi, F. M., che cosa potrà ora rispondere quel poverello che mi dice d’essere disgraziato, e mi domanda come potrà salvarsi in mezzo a tante persecuzioni, calunnie e ingiustizie che gli si fanno? No, no, F. M., diciamolo pure: niente può rendere l’uomo infelice quaggiù, quanto la mancanza di religione; e nonostante tutti i dolori che può provare quaggiù, se vuol consacrarsi al servizio di Dio, non mancherà di essere felice. – Ho detto, F. M., che chi si dona a Dio è più felice che le persone del mondo quando tutto riesce a seconda dei loro desiderii; anzi vediamo che molti santi non desideravano che la felicità di soffrire: ne abbiamo un bell’esempio in S. Andrea. Si racconta nella sua vita (Vedi Ribadeneira, al 30 Novembre. Da questo autore il Beato ha preso il racconto del martirio del santo Apostolo e molti altri tratti della vita dei Santi che ricorda) che Egeo, governatore della città, vedendo che S. Andrea colle sue prediche rendeva deserti i templi dei falsi dèi, lo fece arrestare. Condotto davanti al tribunale, gli disse con aria minacciosa: “Sei tu, che fai professione di distruggere i templi dei nostri dèi, annunciando una religione affatto nuova?„ S. Andrea gli rispose: “Non è nuova, essa ha cominciato col mondo. „ — ” O rinunci al tuo crocifisso, o ti farò morire in croce come Lui. „ — « Noi Cristiani, gli rispose S. Andrea, non temiamo i patimenti, essi formano la nostra maggior letizia sulla terra; più saremo stati conformi a Gesù Cristo crocifisso, più saremo gloriosi in cielo; ti stancherai prima tu di farmi soffrire, che non io di soffrire. „ Il proconsole lo condannò a morire in croce, ma per rendere il suo supplizio più lungo, ordinò di non inchiodarlo, ma di legarlo solo con corde. S. Andrea provò tanta gioia d’essere condannato a morire in croce, come Gesù Cristo, il suo divino Maestro, che vedendo due mila uomini che venivano ad assistere alla sua morte, quasi tutti piangenti, temendo di venir privato della sua felicità, alzò la voce a scongiurarli, per grazia, di non ritardare il suo martirio. Vista da lungi la croce alla quale doveva venir appeso, in un trasporto d’allegrezza esclamò: “Io ti saluto, Croce veneranda, che fosti consacrata ed abbellita dal contatto del Corpo adorabile di Gesù Cristo, mio divin Salvatore! O Croce santa! o Croce tanto desiderata! o Croce amata con tanto ardore! O Croce che ho cercato e sospirato con tanto zelo e senza stancarmi mai! tu soddisfi tutti i voti del mio cuore! O Croce diletta, ricevimi dalle mani degli uomini per rimettermi in quelle di Dio, affinché io passi dalle tue braccia in quelle di Colui che mi ha redento. „ L’autore che ne scrisse la vita, ci dice che essendo ai piedi della croce per esservi legato, non cambiò di colore, i capelli non gli si drizzarono sul capo, come accade ai rei, non gli tremò la voce, il sangue non gli si agghiacciò nelle vene, non fu nemmeno preso dal minimo tremito; ma si vedeva invece che il fuoco della carità, che ardeva nel suo cuore, gli faceva uscire fiamme di ardore dalla bocca. Quando fu vicino alla croce, si spogliò da solo, e donò le sue vesti ai carnefici; montò senz’aiuto d’alcuno sul palco dov’era rizzata. Tutto il popolo, erano circa duemila persone, vedendo S. Andrea appeso alla croce, esclamò che era ingiustizia far soffrire un uomo così santo, e corse al pretorio per mettere a brani il proconsole, se non lo faceva slegare. S. Andrea vedendolo da lontano, esclamò: ” O Egeo, che vieni a far qui? se vieni per imparare a conoscere Gesù Cristo, sia pure; ma se vieni per farmi distaccare, non avanzarti: sappi che non arrivi in tempo, ed io ho la consolazione di morire pel mio divin Maestro! Ah! veggo già il mio Dio, l’adoro con tutti i beati. „ Malgrado questo, il governatore volle farlo distaccare, temendo che il popolo desse a lui medesimo la morte; ma fu impossibile distaccarnelo: a misura che s’avvicinavano per slegarlo, mancavano loro le forze, restando immobili. Allora S. Andrea esclamò alzando gli occhi al cielo: ” Mio Dio, ti domando la grazia di non permettere che il tuo servo, crocifisso per la confessione del tuo Nome, abbia l’umiliazione d’esser liberato per ordine di Egeo. Mio Dio! tu sei il mio Maestro, tu sai che non ho cercato e desiderato altro che te. „ Terminate queste parole, si vide una luce in forma di globo che avvolse tutto il suo corpo, e sparse un profumo che ricreò tutti gli astanti, e nel medesimo momento l’anima sua volò all’eternità. Vedete, F. M.? chi conosce la religione e si è fermamente dato al servizio di Dio, non considera le sofferenze come disgrazie, ma le desidera e riguarda come beni inestimabili. – Sì, F. M., anche quaggiù, chi ha la fortuna di darsi a Dio, è più felice che non il mondo con tutti i suoi piaceri. Ascoltate S. Paolo: « Sì, ci dice, io sono più felice nelle mie catene, nelle prigioni, nel disprezzo e nei patimenti, che non i miei persecutori nella loro libertà, nell’abbondanza dei beni, nelle gozzoviglie. Il mio cuore è ripieno di gioia, e non può trattenerla, essa trabocca d’ogni parte. „ (II Cor. VII, 4), Sì, senza dubbio, F . M., S. Giovanni Battista è più felice nel suo deserto, privo d’ogni soccorso umano, che Erode sul suo trono, sepolto fra le ricchezze e nei godimenti delle sue infami passioni. S. Giovanni è nel deserto, conversa famigliarmente con Dio, come un amico coll’amico, mentre Erode è divorato da un segreto timore di perdere il suo regno, ciò che lo induce a far trucidare tanti poveri bambini (Matt. II, 16). Vedete ancora Davide: non è egli più felice quando fugge la collera di Saul, quantunque costretto a passare le notti nelle foreste (I Reg. XXIII); tradito ed abbandonato dai suoi migliori amici, ma unito al suo Dio e abbandonato in Lui con intera confidenza, non è egli più felice di Saul in mezzo a’ suoi beni e nell’abbondanza delle ricchezze e dei piaceri? Davide benedice il Signore perché prolunga i suoi giorni e gli dà tempo di soffrire per suo amore, mentre Saul maledice la vita e diventa suo proprio carnefice (ibid. XXXI). Perché ciò, F. M.? Ah! perché l’uno si dà al servizio di Dio, e l’altro lo trascura. Che cosa dobbiamo concludere da tutto ciò, F. M.? Questo solo, che né i beni, né gli onori, né le vanità possono rendere l’uomo felice sulla terra; ma solo l’attendere al servizio di Dio, quando abbiamo la fortuna di conoscerlo e di compierlo fedelmente. Quella donna, non curata dal marito, non è dunque infelice perché egli la disprezza, ma perché non conosce la religione, o non pratica ciò che essa le impone. Insegnatele la religione, e vedrete che, da quando la praticherà, cesserà di lamentarsi e di credersi sfortunata. Oh! come l’uomo sarebbe felice, anche sulla terra, se conoscesse la religione, ed avesse la ventura di osservare quanto essa ci comanda, e considerasse quali beni essa ci promette nell’altra vita! Oh! qual potere ha presso Dio chi lo ama e lo serve con fedeltà. Davvero, F. M.! Una persona disprezzata dal mondo, e che sembra non meriti che d’essere schiacciata sotto i piedi, vedetela divenir padrona della volontà e della potenza di Dio. Vedete Mosè, che obbliga il Signore a perdonare a trecento mila uomini colpevoli (Es. XXXII, 31); vedete Giosuè che comanda al sole di arrestarsi, ed il sole s’arresta immobile (Gios. X, 12): ciò che non era mai accaduto e che forse mai più avverrà. Vedete gli apostoli: sol perché amavano Dio, i demoni fuggivano davanti a loro, gli zoppi camminavano, i ciechi riacquistavano la vista, i morti risuscitavano. Vedete S. Benedetto che comanda alle rupi d’arrestarsi nella loro caduta, ed esse restano sospese nell’aria; vedetelo moltiplicare i pani, far sgorgare l’acqua dalle rocce, e rendere le pietre ed il legno leggieri come una paglia (Ribad. al 21 marzo). Vedete S. Francesco da Paola che comanda ai pesci di venir ad ascoltare la parola di Dio, ed essi accorrono alla sua voce con tutta prestezza e applaudono alle sue parole (Questo miracolo è narrato nella vita di S. Antonio da Padova, ma per quanto sappiamo, non in quella di san Francesco da Paola). – Vedete S. Giovanni che comanda agli uccelli di tacere ed essi obbediscono (Questo miracolo è raccontato nella vita di S. Francesco d’Assisi). Vedetene altri che attraversano i mari senza mezzo alcuno (Per esempio S. Raimondo di Peñafort e S. Francesco da Paola, citato più sopra. — Per questi fatti vedi nel Bibadeneira le vite di questi santi). Ebbene! confrontateli ora con tutti gli empi ed i grandi del mondo pieni di brio, di scienza presuntuosa: di che sono capaci? di niente: e perché? Perché non sono fedeli al servizio di Dio. Oh! chi conosce la religione e osserva tutto ciò che essa comanda, quanto è potente e felice insieme! Ahimè! F. M., chi vive a seconda delle proprie passioni ed abbandona il servizio di Dio, quanto è sventurato! egli è capace di fare ben poca cosa! Mettete un esercito di centomila uomini vicino ad un morto, e che tutti impieghino la loro potenza per risuscitarlo: no, no, F. M., non risusciterà mai; ma che una persona sprezzata dal mondo ed amica di Dio comandi a questo morto di ritornare alla vita, e subito lo vedrete rialzarsi e camminare. Ne abbiamo altre prove ancora (Mettete tutti questi imperatori, come Nerone, Massimiano, Diocleziano… Vedete Elia: era solo a far discendere il fuoco dal cielo sul sacrificio, ed i sacerdoti di Baal erano cinquecento. – Nota del Beato).

1. Se per servire il buon Dio bisognasse esser ricchi od istruiti, molti non lo potrebbero fare. Ma no, F. M., la gran scienza e la gran ricchezza non sono affatto necessarie per servire Dio; al contrario, assai spesso sono a ciò di grande ostacolo. Sì, F . M..  siamo ricchi o poveri, dotti o ignoranti, in qualsiasi stato ci troviamo, possiamo piacere a Dio e salvarci: e S. Bonaventura appunto ci dice che lo possiamo: “in qualsiasi stato o condizione ci troviamo. „ – Ascoltatemi un momento, e vedrete che il servizio di Dio non può che consolarci e renderci felici in mezzo a tutte le miserie della vita. Per esso non dovete lasciar né i beni, né i parenti, né gli amici, tranne che vi siano causa di peccato; non occorre che passiate i vostri giorni in un deserto a piangervi le vostre colpe; fosse anche necessario, dovremmo esser felici di aver un rimedio ai nostri mali; ma no: un padre ed una madre di famiglia possono servire Dio vivendo coi loro figli, educandoli cristianamente; un domestico può facilmente servire Dio ed il suo padrone, nulla lo impedisce; anzi il suo lavoro, e l’obbedienza che deve ai suoi padroni divengono occasione di merito. No, F. M., il modo di vivere servendo Dio non muta niente in ciò che facciamo; al contrario servendo Dio facciamo meglio le nostre azioni; siamo più assidui ed attenti nell’adempire i doveri del nostro stato; siamo più dolci, più benevoli, più caritatevoli; più sobri nei pasti, più riservati nelle parole; meno sensibili alle perdite che subiamo ed alle ingiurie che riceviamo; cioè, F. M., quando ci diamo al servizio di Dio, compiamo assai meglio le azioni nostre, operiamo in maniera più nobile, più elevata, più degna d’un Cristiano. Invece di affaticarci per ambizione, per interesse, noi lavoriamo solo per piacere a Dio, che ce lo comanda, e per soddisfare la sua giustizia. Invece di far un servigio od un’elemosina al prossimo per orgoglio, per essere considerati, noi la facciamo solo per piacere a Dio, e redimere i nostri peccati. Sì, F. M., ancora una volta, un Cristiano che conosce la religione e la pratica, santifica tutte le sue azioni, senza nulla mutare di quanto fa; e senza nulla aggiungervi, tutto diviene per lui causa di merito pel cielo. Ebbene, F. M.! ditemi, se aveste ben pensato che fosse così dolce e consolante servire il buon Dio, avreste potuto vivere come avete fatto sinora? Ah! F. M., qual rimorso al punto di morte, quando vedremo che se ci fossimo dati al servizio di Dio, avremmo guadagnato il cielo, compiendo solo quanto abbiamo fatto! Mio Dio! quale sventura per chi si troverà nel numero di questi ciechi!

Ora, vi domanderò, è l’esteriorità della religione che vi sembra ripugnante e troppo difficile? Forse la preghiera, le funzioni sacre, i giorni di astinenza, il digiuno, la frequenza ai Sacramenti, la carità verso il prossimo? Ebbene! vedrete che in ciò non v’è nulla di penoso come avete creduto.

1° Anzitutto è forse penosa la preghiera? o non è invece essa il momento più felice della nostra vita? Non è per la preghiera che conversiamo con Dio, come un amico coll’amico? Non è in questo momento che incominciamo a fare ciò che faremo cogli Angeli in cielo? Non è per noi una fortuna troppo grande che, miserabili come siamo, Dio, così eccelso, ci soffra alla sua santa presenza, e ci metta a parte, con tanta bontà, d’ogni sorta di consolazioni? Del resto, non è Lui che ci ha dato quanto abbiamo? Non è giusto che l’adoriamo e l’amiamo con tutto il nostro cuore? Non è dunque il momento più felice della nostra vita quello dell’orazione, giacché vi troviamo tante dolcezze? È forse cosa penosa offrirgli tutte le mattine, le nostre preghiere e le nostro azioni, affinché le benedica, e ce ne ricompensi nell’eternità? È forse troppo il consacrargli un giorno ogni settimana? Non dobbiamo al contrario veder arrivare questo giorno con grande piacere; poiché in esso impariamo i doveri che dobbiamo adempiere verso Dio e verso il prossimo, e ci si fa concepire così gran desiderio dei beni dell’altra vita, che ci induce a disprezzare ciò che è veramente spregevole? Non è nelle istruzioni, che impariamo a conoscere la gravità delle pene che il peccato merita? Non ci sentiamo noi spinti a non più commetterlo, per evitare i tormenti che gli sono riservati? Mio Dio! quanto poco l’uomo conosce la sua felicità!

2° Inoltre: forse vi ripugna la confessione? Ma, amico mio, si può avere più bella sorte che vedere in meno di tre minuti cambiata una eternità sventurata in una eternità di piaceri, di gioie, di felicità? Non è la confessione che ci rende l’amicizia del nostro Dio? Non è la confessione che ci libera da quei rimorsi della coscienza, che ci straziano senza posa? Non è essa che ridona la pace all’anima nostra, e le dà novella speranza di raggiungere il cielo? Non è in questo momento che Gesù Cristo sembra spiegare le ricchezze della sua misericordia sino all’infinito? Ah! F. M., senza questo Sacramento, quanti dannati di più e quanti santi di meno!… Oh! i Santi del cielo quanto sono riconoscenti a Gesù Cristo d’aver istituito questo Sacramento!

3° In terzo luogo, F. M., forse i digiuni prescritti dalla Chiesa vi fanno trovare pesante il servizio di Dio? Ma la Chiesa non ve ne comanda più di quanti ne possiate fare. Del resto, F. M., se li consideriamo cogli occhi della fede, non è per noi gran ventura potere con piccole privazioni evitare le pene del purgatorio, che sono tanto rigorose? Eppure, F.M., quanti si condannano a digiuni ben più rigidi per conservare la sanità ed appagare il loro amore pei divertimenti o accontentare la loro golosità! Non si vedono giovani donne abbandonare i figli in mano ad estranei, ed anche la casa? Non se ne vedono altre passare le intere notti all’osteria in mezzo ad ubbriachi, ad avvinazzati, dove non ascoltano altro che sconcezze ed oscenità? Non si vedono vedove le quali sciupano i pochi giorni che loro rimangono e che dovrebbero invece consacrare a piangere le pazzie di loro gioventù… non se ne trovano talune che si abbandonano ad ogni sorta di vizi, come persone che hanno d’improvviso perduto il senno? costoro sono di scandalo ad una intera parrocchia. Ah! F. M., se per Iddio si facesse quanto si fa per il mondo, quanti Cristiani andrebbero in cielo!… Ahimè! F. M., se doveste stare tre o quattro ore in chiesa a pregare, come le passate al ballo od all’osteria, quanto vi sembrerebbero lunghe!… Se doveste fare parecchie miglia per ascoltare una predica, come si fanno per divertirsi o per conseguire qualche guadagno, ah! F. M, quanti pretesti, quante scuse si cercherebbero per non andarvi! Ma, per il mondo, niente è pesante; e di più non si teme di perdere Dio, l’anima, il cielo. Ah! F. M., Gesù Cristo aveva dunque ben ragione quando diceva che i figli del secolo si danno maggior premura di servire il loro padrone, il mondo, che non i figli della luce per servire il loro padrone, il Signore (Luc. XVI, 8). Ahimè! F. M., diciamolo a nostra vergogna, non fanno paura le spese e neppure i debiti quando si tratta dei propri piaceri: ma per un povero che cerca qualche cosa non si ha nulla; ecco come va la cosa: si ha tutto per il mondo e nulla per Iddio, perché si ama il mondo, e Dio non è da noi affatto amato. – Ma qual è la causa, F. M., per cui abbandoniamo il servizio di Dio? Eccola. Noi vorremmo poter servire Dio ed il mondo insieme: cioè poter unire l’ambizione e l’orgoglio coll’umiltà, l’avarizia collo spirito di distacco che il Vangelo ci comanda; bisognerebbe poter confondere insieme la corruzione colla santità della vita o, a dir meglio, il cielo coll’inferno. Se la religione comandasse, od almeno permettesse l’odio e la vendetta, la fornicazione e l’adulterio, saremmo tutti buoni Cristiani; tutti sarebbero figli fedeli della loro religione. Ma per servire Iddio è impossibile potersi comportare così; bisogna assolutamente essere tutti di Dio, o non appartenergli punto. – Sebbene abbia detto, F. M., che tutto è consolante nella nostra santa religione, e questo, è verissimo, debbo anche aggiungere che dobbiamo fare del bene a chi ci fa del male, amare chi ci odia, conservare la riputazione dei nostri nemici, difenderli quando vediamo che altri ne parla male; ed invece di desiderar loro il male, dobbiam pregare Dio che li benedica. Lontani dal mormorare quando Dio ci manda qualche afflizione, qualche dolore, dobbiamo ringraziarlo, come il santo re Davide, che baciava la mano che lo castigava (II Reg. XVI, 12). La nostra religione vuole che passiamo santamente il giorno di festa, lavorando a procurarci l’amicizia di Dio, se per disgrazia non la possediamo; vuole che consideriamo il peccato come il nostro più crudele nemico. Ebbene! F. M., questo ci sembra la cosa più dura e faticosa. Ma, ditemi, non è un procurare con ciò la nostra felicità sulla terra e per l’eternità? Ah! F. M., se conoscessimo la nostra santa Religione, ed il gusto che si prova praticandola, quanto ci sembrerebbe cosa da poco! quanti santi hanno fatto più di quello che Dio da loro richiedeva per dare ad essi il cielo! Essi ci hanno detto che una volta. gustate le dolcezze e le consolazioni che si provano nel servizio di Dio, è impossibile lasciarle per servire il mondo coi suoi piaceri. Il santo re Davide ci dice che un giorno solo passato nel servizio di Dio, vale assai più di mille che i mondani passano nei piaceri e nelle cose profane (Ps. LXXXIII, 10)

II. — Ditemi, chi di noi vorrebbe servire il mondo, se avessimo la felicità, la grande felicità di comprendere tutte le miserie che vi si incontrano, cercando i suoi piaceri, ed i tormenti che si preparano per l’eternità? Mio Dio! Quale cecità è la nostra di perdere tanti beni, anche in questo mondo, e molto più nell’eternità! E ciò per piaceri che sono soltanto apparenti, per gioie miste a tanti dolori e a tante tristezze! Infatti, chi vorrebbe servir Dio, se fosse necessario soffrire tanto e sopportare tante molestie, mortificazioni, strazi del cuore, quanti se ne sopportano pel mondo? Vedete uno che si è prefisso di accumulare ricchezze: né venti, né pioggia lo trattengono; soffre ora la fame, ora la sete, ora le intemperie; giunge talora fino ad arrischiare la vita e perdere la riputazione. Quanti vanno di notte a rubare, esponendosi al pericolo di essere uccisi e di perdere la stima, essi e la loro famiglia. E senza andar tant’oltre, F. M., vi costerebbe di più in tempo delle funzioni essere in chiesa ad ascoltar con rispetto la parola di Dio, o starvene fuori a chiacchierare di interessi temporali o di cose da nulla? Non sareste più lieti di assistere ai Vespri, quando si cantano, che restare in casa ad annoiarvi, mentre si cantano le lodi di Dio? – Ma, direte, bisogna farsi delle violenze quando si vuol servire a Dio. — Ebbene, vi dirò che molto meno si soffre servendo Dio colla sua croce che seguendo il mondo con i suoi piaceri, le sue passioni; e ve lo mostro. Forse penserete che è difficile perdonare una ingiuria ricevuta; ma, ditemi, chi soffre più dei due, chi perdona prontamente e di buon cuore per amor di Dio, o chi nutre sentimenti di odio per due o tre anni contro il suo prossimo? Non è questo per lui un verme che lo rode e divora continuamente, che spesso gli impedisce di mangiare e di dormire; mentre l’altro, perdonando, ha subito trovato la pace dell’anima? Non è cosa più eccellente domar le proprie passioni, che volerle accontentare? Si riesce forse a soddisfarle del tutto? No, F. M.: usciti da un delitto, vi spingono ad un altro, senza mai darvi tregua; siete uno schiavo, che esse trascinano dovunque vogliono. Ma, a meglio convincervene, accostiamoci ad uno di quegli uomini, che fanno consistere tutta la loro felicità nei piaceri del senso, e si gettano a corpo perduto nelle lordure delle più infami e vergognose passioni. Sì, F. M., se prima ch’egli s’abbandonasse al libertinaggio, alcuno gli avesse descritta la vita che oggi deve condurre, avrebbe egli potuto risolvervisi senza inorridire? Se gli aveste detto: Amico mio, hai due partiti da prendere: o reprimere le tue passioni, ovvero abbandonarvisi. L’uno e l’altro hanno piaceri e pene: scegli quale vuoi. Se vuoi abbracciare il partito di praticare la virtù, baderai bene di non frequentare i libertini, e sceglierai i tuoi amici tra chi pensa ed agisce come te. Saranno tua lettura i libri santi, che ti animeranno alla pratica della virtù, e ti faranno amare Dio; concepirai ogni giorno nuovo amore per Lui; occuperai santamente il tuo tempo, e tutti i tuoi piaceri saranno piaceri innocenti, che daranno sollievo al corpo, mentre renderanno gagliardo lo spirito; adempirai i doveri religiosi senza affettazione e con fedeltà; sceglierai per condurti nella via della salvezza un saggio ed illuminato confessore, che cercherà soltanto il bene dell’anima tua, e seguirai con esattezza quanto ti comanderà. Ecco, amico mio, tutte le difficoltà che proverai nel servizio di Dio. La tua ricompensa sarà d’aver sempre l’anima in pace, ed il cuore sempre contento; sarai amato e stimato da tutti i buoni; ti preparerai una vecchiaia felice, immune in gran parte dalle infinite malattie, a cui d’ordinario vanno soggetti quelli che conducono una giovinezza sregolata; i tuoi ultimi momenti saranno dolci e tranquilli; da qualsiasi lato considererai allora la tua vita, nulla potrà affliggerti; anzi, tutto contribuirà a consolarti. Le croci, le lagrime, le penitenze saranno ambasciatori inviati dal cielo per assicurarti che la tua felicità sarà eterna, e che non hai più nulla a temere. Se in quei momenti volgerai lo sguardo all’avvenire, vedrai il cielo aperto per riceverti; infine, partirai da questo mondo come una santa e casta colomba che va a nascondersi e seppellirsi nel seno del suo diletto; non abbandonerai nulla, e acquisterai tutto. Non avrai desiderato che Dio solo, e sarai con Lui per tutta l’eternità. Ma, invece, se vuoi lasciar Dio e il suo servizio per seguire il mondo ed i suoi piaceri, la tua vita passerà nel desiderare sempre e nel cercare sempre, senza mai essere né contento, né felice; potrai usare tutti i mezzi che sono a tua disposizione, ma non vi riuscirai. Comincerai a cancellare dal tuo spirito i principi di Religione che hai imparato fin dall’infanzia e seguito sino a quest’ora; non aprirai più quei libri di pietà che nutrivano l’anima tua, e la proteggevano contro la corruzione del mondo; non sarai più padrone delle tue passioni, esse ti trascineranno dovunque vorranno; ti farai una religione a tuo modo; leggerai libri cattivi, ispiranti disprezzo contro la fede e sollecitanti al libertinaggio, e percorrerai la via da essi tracciata; non ricorderai più i giorni passati nella pratica della virtù e della penitenza, quando era per te gioia grande accostarti ai Sacramenti, dove Iddio ti colmava di tante grazie, o, se li rammenterai, sarà solo per rammaricarti di non aver dato tutto quel tempo ai piaceri del mondo; arriverai fino a non credere più nulla, ed a negare ogni cosa; insomma, diventerai un povero empio; in questa convinzione cederai la briglia a tutte le passioni, esclamando che colla vita tutto finisce, che bisogna correre in cerca di tutti i piaceri che si possono godere. Accecato dalle passioni, precipiterai di peccato in peccato, senza neppure accorgertene; ti abbandonerai a tutti gli eccessi di una gioventù bollente e corrotta, e non temerai di sacrificare la quiete, la sanità, l’onore ed anche la vita: non dico l’anima, giacché non crederai di averla. Sarai sulla bocca di tutti, tutti ti guarderanno come un mostro, sarai fuggito e temuto: non importa; ti riderai di tutto, continuerai sempre nel tenore di vita usato, seguendo ormai soltanto la via delle passioni che ti trascineranno ove loro meglio piacerà. Talora ti si troverà presso una giovane intento ad adoperare tutti gli artifici e gli inganni che il demonio saprà ispirarti per ingannarla, sedurla e perderla; tal altra sarai veduto, di notte, alla porta d’una vedova, a farle tutte le promesse possibili per indurla ad acconsentire ai tuoi infami desideri. Forse, senza alcun rispetto ai sacri diritti del matrimonio, calpesterai tutte le leggi della religione, della giustizia e della stessa natura, e diventerai un adultero infame. Giungerai anche a fare delle membra di Gesù Cristo le membra d’un’infame prostituta. E andrai più innanzi, poiché le pene dello spirito e del cuore non saranno le sole che dovrai divorare vivendo nel libertinaggio: ma le infermità del corpo, il sangue indebolito, la vecchiaia snervata saranno la tua porzione. Durante la vita hai abbandonato Dio; la morte, al suo avvicinarsi, farà forse risuscitare quella fede che avevi spenta colla tua vita malvagia… Se riconoscerai di aver abbandonato Dio; Egli ti farà toccar con mano che ti ha abbandonato, respinto per sempre e maledetto per tutta l’eternità; allora i rimorsi della coscienza che cercavi di far tacere, si faranno sentire e ti divoreranno, nonostante ogni tuo sforzo per soffocarli; tutto ti turberà e ti getterà nella disperazione. Se vorrai riandare col pensiero alla tua vita, conterai i giorni seguendo il numero de’ tuoi delitti, che saranno come tanti tiranni i quali ti strazieranno senza posa; la vita non ti presenterà altro che grazie disprezzate, un tempo ben prezioso che hai sciupato; avevi bisogno di tutto, e non hai approfittato di nulla. Che se considererai l’avvenire, i tormenti dai quali l’anima tua sarà straziata, ti faranno credere che le fiamme divoranti i reprobi infelici già ti circondino, mentre il mondo, che tanto avevi amato, al quale temevi tanto di dispiacere, a cui avevi sacrificato Dio e l’anima, ti avrà abbandonato, respinto per sempre. Hai voluto seguire i suoi piaceri: allora, mentre avrai bisogno di maggior aiuto, sarai abbandonato da tutti; tuo solo rifugio sarà la disperazione; e, ciò che è peggio, tu morrai, e, piombando nell’inferno, dirai che il mondo ti ha sedotto, ma che, troppo tardi, riconoscesti la tua sventura. Ebbene, F. M.! che ne pensate voi? Eppure, sono queste le pene e le gioie, e di quelli che vivono virtuosamente, e di quelli che vivono per il mondo. Ah! F. M., quale sventura è quella di chi non vuole che il mondo, e trascura la salvezza dell’anima sua!… Come passa invece felice la vita colui che ha la grande ventura di cercare soltanto Dio e la salvezza dell’anima sua! Quante amarezze di meno! quante consolazioni di più nel servizio di Dio! quanti rimorsi di coscienza risparmiati al punto di morte! Quanti tormenti evitati per l’eternità!… Ah! F. M., quanto la nostra vita sarebbe felice, malgrado tutto ciò che possiamo soffrire da parte del mondo e del demonio, se avessimo la bella sorte di darci al servizio di Dio, disprezzando il mondo e chi lo segue! Ah! F. M., qual cambiamento grande opera il servizio di Dio in chi è così avventurato da cercare sulla terra Dio solo! Se dovete vivere con un orgoglioso, che non vuol tollerare nulla, pregate Dio che lo faccia attendere con costanza al suo servizio: vedrete subito tutto cambiarsi in lui; amerà il disprezzo, ed egli medesimo si terrà a vile. Un marito od una moglie sono sfortunati nel loro matrimonio? procurate che abbraccino il servizio di Dio, e vedrete allora che non si considereranno più come infelici, ma la pace e l’unione regnerà fra loro. Un domestico è trattato duramente dai padroni? Consigliatelo di darsi al servizio di Dio, e d’allora non lo udrete più lamentarsi, anzi benedirà la bontà di Dio che gli dà occasione di far il suo purgatorio in questo mondo. Dirò ancor più, F. M.: una persona che conosce la religione e la pratica, non pensa più a se stessa, ma solo a rendere felice il suo prossimo. Per meglio farvelo comprendere, eccovi un bell’esempio. – Leggiamo nella storia che nella città di Tolosa viveva un santo sacerdote, lo zelo e la carità del quale lo facevano considerare in tutta la città come il padre dei poveri. Quantunque povero egli stesso, pure non mancava mai di mezzi per soccorrere gli altri. Un giorno una donna devota venne ad annunciargli che le era stato messo in prigione il marito, e che le restavano a carico quattro figliuoli; se alcuno non aveva pietà di lei e dei bambini, avrebbe dovuto morire di fame. Il santo sacerdote fu commosso fino alle lagrime; era appena tornato dalla sua questua giornaliera a favore dei suoi poveri, ma uscì di nuovo per domandare soccorso ad un ricco negoziante, suo amico. Mentre il sacerdote entrava, il mercante aveva appena ricevuto una lettera annunciantegli una perdita considerevole. Il sacerdote, nulla sapendo, gli fa il racconto delle miserie di quella sventurata famiglia. E il mercante burberamente: “Siete ancor qui; è troppo. „ — “Ah! signore! Se sapeste! gli risponde il sacerdote. „ — “No, non voglio saper nulla, andatevene subito. „ — ” Ma, signore, gli dice il sacerdote, che sarà di quella povera famiglia! ah! ve ne scongiuro, abbiate pietà delle sue sventure! „ L’altro, preoccupatissimo della propria disgrazia, gli si rivolge contro e gli dà uno schiaffo sonoro. Il sacerdote, senza mostrare la minima emozione, presenta l’altra guancia, dicendogli: “Signore, percuotete quanto vi pare, purché mi diate di che soccorrere quella povera famiglia.„ Il mercante, meravigliato di ciò, gli dice: “Ebbene, venite con me; „ e prendendolo per mano, lo conduce nel suo studio, gli apre la cassa forte, e: “Prendete quanto vi abbisogna. „ — “No, signore, gli dice umilmente il sacerdote, datemi quanto volete. „ Il mercante caccia ambo le mani dentro al suo scrigno e gli dà abbondantemente, dicendogli: “Venite ogni qual volta vorrete. „ Ah! F. M., la religione è pur cosa preziosa per chi la conosce. Infatti, quanto vi è di bene nel mondo, fu essa che lo ha prodotto. Gli ospedali, i seminari, le case di educazione, tutto fu istituito da chi si era dato al servizio di Dio. Ah! se i padri e le madri conoscessero quanto sarebbero felici essi stessi, e quanto contribuirebbero a glorificare Dio educando santamente i loro figli! Ah! se fossero ben convinti che essi tengono il luogo di Dio sulla terra, come lavorerebbero a rendere vantaggiosi per sé e pe’ loro cari i meriti della Passione e della Morte di Gesù Cristo!…,, – Concludo, F. M., col dire che seguendo il mondo e volendo accontentare le nostre inclinazioni perverse, non saremo mai felici, né potremo trovare quel che cerchiamo; mentre dandoci al servizio di Dio, tutte le nostre miserie verranno addolcite, o meglio, si muteranno in gioia e consolazione, al pensiero che fatichiamo pel cielo. Quale differenza tra chi muore dopo aver vissuto male, e chi muore dopo aver condotto vita buona; questi ha il cielo per eredità; le sue lotte sono finite; la sua felicità, che già intravvede, incomincia per non più finire! Sì, F. M., diamoci a Dio davvero e proveremo questi grandi benefizi che Dio mai rifiuterà a chi l’avrà amato! Eccovi la felicità che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:8-9

Immíttet Angelus Dómini in circúitu timéntium eum, et erípiet eos: gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus.

[L’Angelo del Signore scenderà su quelli che Lo temono e li libererà: gustate e vedete quanto soave è il Signore].

Secreta

Concéde nobis, Dómine, quǽsumus, ut hæc hóstia salutáris et nostrórum fiat purgátio delictórum, et tuæ propitiátio potestátis.

[Concédici, o Signore, Te ne preghiamo, che quest’ostia salutare ci purifichi dai nostri peccati e ci renda propizia la tua maestà].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt VI:33
Primum quærite regnum Dei, et ómnia adjiciéntur vobis, dicit Dóminus.

[Cercate prima il regno di Dio, e ogni cosa vi sarà data in più, dice il Signore.]

 Postcommunio

Orémus.
Puríficent semper et múniant tua sacraménta nos, Deus: et ad perpétuæ ducant salvatiónis efféctum.

[Ci purífichino sempre e ci difendano i tuoi sacramenti, o Dio, e ci conducano al porto dell’eterna salvezza]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “IL MONDO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “Il MONDO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Il Mondo.

Nomo potest duobus dominis servire.

(MATTH. VI, 24).

Gesù Cristo ci dice, Fratelli miei, che non possiamo servire a due padroni, cioè a Dio ed al mondo. Non potete piacere a Dio ed al mondo, Egli ci dice; per quanto facciate, non riuscirete ad andar d’accordo con ambedue ad un tempo. E la ragione, F. M., si è che essi sono totalmente opposti nei loro pensieri, nei loro desideri e nelle loro azioni: l’uno promette una cosa del tutto contraria a quella che promette l’altro; l’uno proibisce quanto permette e comanda l’altro; l’uno vi fa lavorare per la vita presente, l’altro per la vita avvenire, cioè pel cielo; l’uno vi offre i piaceri, gli onori, le ricchezze, l’altro non vi presenta che lagrime, penitenza e rinuncia a voi stessi; l’uno vi invita a percorrere una via tutta fiori, almeno in apparenza, l’altro vi apre una via di spine. Ognuno dei due, F. M., domanda il nostro cuore; tocca a noi di scegliere quale dei due padroni vogliamo seguire. Uno, il mondo, promette di farci gustare quanto possiamo desiderare durante la vita, sebbene sempre più di quanto essa dia; ma, nel medesimo tempo ci nasconde i mali che ci sono riservati nell’eternità; l’altro, Gesù Cristo, non ci promette tutte queste cose; ma per consolarci dice che ci aiuterà, anzi che addolcirà grandemente le nostre pene: “Venite a me, Io vi consolerò: seguendo me, troverete la pace dell’anima e la gioia del cuore. ,, (Matt. XI, 29). Ecco, F. M., i due padroni che ci domandano il cuore; a quale volete appartenere? Tutto ciò che il mondo vi offre non è che pel tempo presente. Beni, piaceri, onori, finiranno colla vita, e terminata la vita cominceremo una eternità di tormenti. Ma se vogliamo seguire Gesù Cristo che ci invita carico del peso della croce, vedremo subito che le pene del suo servizio non sono grandi come crediamo; Egli ci andrà innanzi, ci aiuterà, ci consolerà, e, conforme alla sua promessa, dopo pochi istanti di pene, ci darà una felicità che durerà eterna come Lui – Ma, per meglio farvelo comprendere, F. M., voglio mostrarvi che è impossibile piacere a Dio ed al mondo; o tutto per Dio, o tutto pel mondo: non v’è divisione”.

I . — È certo, F. M., che se Gesù Cristo sapeva che molti avrebbero abbandonato il mondo per darsi a Lui, abbracciando la follia della croce, ed a suo esempio avrebbero passata la vita nelle lagrime, nei sospiri, nella penitenza per rendersi degni della ricompensa ch’Egli ci ha meritata, sapeva altresì che molti l’avrebbero abbandonato per darsi al mondo, che promette ciò che non potrà mai dare, loro nascondendo l’eterna infelicità; perciò volle darci soltanto un cuore, affinché non potessimo darlo che ad un solo padrone. Ci dice chiaramente che è impossibile essere di Dio e del mondo: perché, se vorremo piacere all’uno, diverremo nemici dell’altro. Dio, F . M., per mostrarci quanto è difficile salvarsi in mezzo al mondo, lo ha maledetto, dicendo: a Guai al mondo! „ (Matt. XVIII, 7). Ma ragioniamo di questa cosa addentrandoci un poco più nell’argomento. Sapete, F. M., che lo spirito di Gesù Cristo è spirito di umiltà e disprezzo di se stesso, spirito di carità e bontà per tutti. Ebbene! come potete conservar questo spirito, se vi accomunate ad un orgoglioso il quale non vi parlerà che di piaceri e di onori, si loderà e vanterà delle sue pretese belle doti, del bene che ha fatto, ed anche di quello che non ha fatto? Se lo frequentate per un po’di tempo, necessariamente senza accorgervene, diverrete orgoglioso al pari di lui. Se udrete qualcuno parlar sempre male del prossimo, senza saperlo diverrete anche voi una lingua cattiva, e porterete lo scompiglio dovunque vi troverete. Sapete che Gesù Cristo, scelto da voi quale padrone, vuole che gli conserviamo il cuore ed il corpo nostro puri quanto è possibile; ma se frequenterete quel libertino, che è occupato solo in pensare e dire le cose più laide ed infami, come potrete conservare quella purità che Dio domanda da voi? A forza di frequentarlo, diverrete laido ed infame al pari di lui. Sapete che il vostro Padrone vuole che amiate e rispettiate la Religione, e quanto ha rapporto con essa; ma se frequentate un empio, che si fa beffe di tutto, disprezza quanto v’ha di più sacro e mette tutto in ridicolo, come potrete amar la religione e praticare ciò che essa vi comanda, ascoltando tutte queste empietà? Come potrete aver confidenza coi sacerdoti, dopo che gli empi vi avranno narrato qualche calunnia a loro carico, e vi avranno persuasi che è vera e che tutti i sacerdoti sono così? Ah! F. M., guai a chi segue il mondo! È perduto! Ditemi, come avrete rispetto per le leggi della Chiesa, se andate con questi empi che deridono e disprezzano il digiuno e l’astinenza, dicendovi che sono tutte invenzioni degli uomini? — Lo spirito di Dio, come sapete, ci stimola a disprezzare le cose create per attaccarci solo ai beni dell’eternità; ma come potrete formarvene almeno un’idea se frequentate quell’incredulo, che crede, quantunque non seriamente, o pretende che tutto finisca colla vita? Amico mio, se volete salvarvi, dovete necessariamente fuggire il mondo, altrimenti penserete ed agirete come il mondo, e vi troverete nel numero di coloro che sono maledetti da Dio. – Vedete, F. M., quando qualche gran peccatore non vuol convertirsi, la Chiosa lo scomunica, cioè lo respinge dal suo seno, non lo considera più come figliuol suo: egli non partecipa più alle grazie che Dio ci largisce per i meriti della sua Passione e morte; non vuole nemmeno che si mangi o si beva con Lui, o che lo si saluti; ci proibisce d’aver alcuna comunicazione con Lui, so non vogliamo partecipare alla sua disgrazia. Se uno di costoro viene a morire, è sepolto in luogo profano, e non ha diritto alle preghiere, perché muore da riprovato. Ebbene! F. M., se vogliamo seguire il mondo, ci toccherà la stessa disgrazia. Del resto, F. M., se ne dubitate, vedete quanto hanno fatto tutti i santi: hanno considerato il mondo, i suoi piaceri ed anche i suoi beni come una peste per la salvezza delle anime loro, e tutti quelli che poterono l’abbandonarono. Per quale causa i deserti si popolarono di tanti uomini che prima abitavano le città e le campagne, se non perché ebbero paura del mondo, e l’abbandonarono appunto pel timore che il contagio del mondo li perdesse, facendo nascere in loro gli stessi sentimenti, facendoli operare col medesimo spirito? Sì, F. M., fuggiamo il mondo, se no siamo certi di perderci con esso. F. M., non saremo mai d’accordo col mondo, se vogliamo salvarci. Dobbiamo giurargli guerra eterna; questo fecero tutti i santi. O rinunciare al cielo, o rinunciare al mondo!… Ascoltate, F. M.: volete sapere quanto siamo nemici del mondo, e quanto il mondo ci odia? Uditemi un momento, e vedrete che cosa dobbiamo fare se vogliamo sperare di possedere un giorno il cielo. Ne abbiamo un bell’esempio in S. Gennaro, vescovo di Benevento (Ribadeneira, 19 settembre). Fu denunciato al governatore di Napoli Timoteo perché faceva ogni sforzo possibile per fortificare i Cristiani nella fede, ed indurre i pagani a convertirsi: diceva loro che erano nel numero di quelli che Gesù Cristo aveva maledetti con queste parole: “Guai al mondo! „ Il governatore, incollerito per tale notizia, ordinò sull’istante che si andasse ad arrestare il santo, e lo si conducesse legato mani e pieni davanti al suo tribunale. Fece porre un idolo in faccia a lui, intimandogli d’adorare subito gli dèi, altrimenti si preparasse a morirò fra i tormenti più atroci che si possano immaginare. Il santo, senza commuoversi gli rispose che non ora nato e non aveva ricevuto il battesimo per seguire il mondo, ma per seguire Gesù Cristo carico della croce e morto per noi sul Calvario; che tutti i tormenti che gli erano minacciati non lo spaventavano; erano la sua porzione, ad essa un giorno formerebbe la sua felicità. “Voi, disse al governatore, appartenete a quel mondo che Gesù Cristo ha maledetto. „ Questa risposta infuriò tanto il governatore che ordinò fosse subito gettato in una ardente fornace. Ma Dio, che non abbandona coloro che sono seguaci suoi e non del mondo, fece sì che S. Gennaro, invece di restar abbruciato dalle fiamme, sembrasse entrato in un bagno refrigerante. Il santo ne uscì senza che né i suoi abiti né i suoi capelli avessero alcunché sofferto; cosa questa che meravigliò la folla dei pagani presenti. Il governatore medesimo ne fu sorpreso; ma attribuendola all’opera del demonio, divenne più furibondo, e fece mettere il santo alla tortura, porche soffrisse tale supplizio, che solo l’inferno aveva potuto ispirargli. Ordinò che gli fossero tagliati uno dopo l’altro tutti i nervi del corpo; indi, vedendo che non poteva camminare se non per miracolo, lo fece condurre in prigione, sperando di farlo soffrire ancor più. Alcuni fedeli della sua diocesi, saputo quanto si faceva soffrire al loro Vescovo, partirono subito per venire a visitarlo e recargli, se fosse possibile, qualche sollievo. Il governatore informatone, mandò i soldati per arrestarli e condurli tutti davanti al suo tribunale. Giunti alla sua presenza, li interrogò sulla loro religione e sul motivo del loro viaggio. Gli risposero coraggiosamente che erano Cristiani e venivano a visitare il loro Vescovo, nella speranza d’aver la bella sorte di essergli compagni nel martirio. Non comprendendo nulla di questo strano linguaggio, si rivolse a S. Gennaro, domandandogli se costoro dicevano la verità. Il santo rispose che davvero erano Cristiani al pari di lui, ed avevano rinunciato al mondo per seguire Gesù Cristo. Ottenuta questa dichiarazione, il governatore ordinò che si mettessero loro delle catene alle mani ed ai piedi, e fossero fatti camminare dinanzi al suo carro sino a Pozzuoli, per esservi colà divorati dalle fiere. La gioia che quei santi mostravano andando al martirio, meravigliava i pagani. Appena arrivati, furon posti nell’arena. Allora S. Gennaro, che era il capo, perché loro Vescovo, disse indirizzandosi a’ suoi compagni : “Figli miei, coraggio! Ecco il giorno del nostro trionfo. Combattiamo generosamente per Gesù Cristo nostro Maestro, giacché l’abbiamo riconosciuto per nostro Dio; andiamo con coraggio alla morte, come vi andò Egli stesso per amor nostro. Diamo, figli miei, diamo arditamente il nostro sangue per Gesù Cristo, come Egli lo diede per noi. Sì, figli miei, poiché abbiamo rinunciato al mondo, maledetto da Dio, disprezziamolo, in un con quelli che lo seguono; né le promesse né le minacele giungano a farci piegare dalla parte del mondo maledetto: mettiamo tutta la confidenza nel nostro Dio, e sorretti dalla sua protezione, non temiamo né i tormenti né la morte. Vedete, figli miei, il vostro pastore, al quale furon tagliati tutti i nervi. Io do volentieri il resto del mio corpo alle fiere che stanno per divorarmi. Guardiamo al cielo, figli miei, là il nostro Dio ci attende per ricompensarci; ancora un momento di sofferenze, ed avremo una eterna felicità. „ Appena il santo ebbe finito di parlare, furono lanciate contro di loro le fiere, in presenza d’una moltitudine sterminata di popolo, accorso a vedere quello spettacolo. I leoni, le tigri ed i leopardi, tenuti digiuni da più giorni, volarono con furia eguale a quella d’un torrente di acque che dall’alto d’una rupe cade in un precipizio; ma invece di divorare i martiri, come ognuno s’attendeva, si videro ad un tratto quelle belve perdere interamente la lor ferocia naturale, gettarsi ai loro piedi, lambirli in segno di rispetto, dimenando le code, senza che alcuna osasse pur toccarli.- Questo miracolo colpì talmente la moltitudine, che come un sol uomo fu udita esclamare: “Sì, sì, solo il Dio dei Cristiani è il vero Dio, e tutti i nostri dèi ci ingannano e ci conducono a rovina; i sacerdoti dei nostri idoli non fecero mai nulla di somigliante. „ Il governatore, udendo questo grido, temette per sé, ed ordinò che i martiri fossero condotti sulla pubblica piazza per far tagliare loro il capo; ma, mentre vi erano condotti, S. Gennaro passando davanti al governatore, disse: “Signore, togli, ti prego, la vista a questo tiranno, perché non abbia il barbaro piacere di veder morire i tuoi figli. „ All’istante, il governatore divenne cieco. Questo castigo così prodigioso gli fece riconoscere il potere del servo di Dio. Tosto, comandò di sospendere l’esecuzione della sentenza pronunciata contro i santi martiri, e fattosi condurre dinanzi al santo, gli disse in tono supplichevole : “Tu che adori il Dio onnipotente, pregalo , te ne scongiuro, per me, affinché mi renda la vista di cui mi ha privato in punizione dei miei peccati. „ E poiché i santi non hanno né rancore, né odio, S. Gennaro per mostrare con doppio miracolo la potenza del vero Dio, fece una seconda preghiera a favor del governatore, preghiera che fu efficace al pari della prima. Timoteo ricuperò la vista all’istante. Questo prodigio non fu inutile per la gloria di Dio e la salute delle anime: quasi cinque mila pagani, che ne furono testimoni, si convertirono nel medesimo giorno; ma il governatore, a favore del quale era stato fatto il miracolo, fu così ostinato che non si convertì. Temendo, col risparmiare i martiri, di cadere in disgrazia dell’imperatore, ordinò in segreto ai suoi ufficiali di far morire il santo Vescovo. Mentre lo si conduceva in piazza per esservi giustiziato, un buon vecchio gettatosi ai suoi piedi gli domandò qualche oggetto che gli avesse servito, per conservarlo, come ricordo, rispettosamente. Il santo, commosso dalla sua fede, gli disse: “Amico mio, non ho che il fazzoletto che mi servirà per bendarmi gli occhi; ma state certo, dopo la mia morte l’avrete. „ Quelli che l’intesero così parlare, sorrisero, e dopo fatto morire il santo, calpestarono coi piedi il fazzoletto, dicendo: “Lo doni ora al vecchio a cui lo promise. „ Ma furono ben sorpresi nel ritorno: videro il vecchio che lo teneva tra mani. Al momento in cui gli fu reciso il capo, S. Gennaro esclamò; “Mio Dio, rimetto nelle tue mani l’anima mia. „ Ebbene! F. M., eccovi il mondo e Gesù Cristo, quelli cioè che hanno disprezzato il mondo per seguire solo Gesù Cristo e la sua croce; quelli che hanno davvero abbandonato il mondo, i suoi beni e piaceri, per non cercare che il cielo e la salvezza dell’anima loro! – Vedete un po’ da qual lato vi mettereste se il buon Dio vi mettesse a prova simile a quella dei martiri S. Gennaro e i suoi compagni. Ahimè! mio Dio, quanto pochi vi sarebbero… poiché vi sono ben pochi che non siano dei mondo, cioè che non amino il mondo, i suoi beni e i suoi piaceri. È possibile, che quantunque il mondo faccia i suoi seguaci infelici, prometta molto, ma non dia mai ciò che promette, è possibile che l’amiamo ancora ? Tutti ci lamentiamo della su perfidia, e malgrado ciò, cerchiamo ancora di piacergli, e se non possiamo accontentarlo del tutto, vogliamo almeno dargli i nostri anni più belli, la giovinezza e spesso la sanità, la riputazione ed anche la vita. Ah! mondo maledetto! sino a quando ci ingannerai chiamandoci alla tua sequela per opprimerci di tanti mali, farci sempre sventurati e mai felici? O mio Dio! apriteci, di grazia, gli occhi dell’anima, e conosceremo la nostra cecità di amare chi non cerca altro che la nostra rovina eterna! Ma per farvi ancor meglio comprendere quale dei due partiti dovrete seguire, consideriamo il mondo composto di tre società: alcuni sono tutti del mondo, altri sono tutti di Dio, altri, infine, stanno tra i due: vorrebbero essere del mondo senza cessare d’essere di Dio; il che è impossibile, come vedrete. Anzitutto, F. M., dico, che una parte, e forse la maggiore, è tutta del mondo; appartengono a questo numero quelli che sono contenti d’aver spento nell’anima loro ogni senso di religione, ogni pensiero dell’altra vita, che hanno fatto quanto poterono per cancellare il pensiero terribile del giudizio che un giorno dovranno subire. Usano tutta la loro scienza e spesso le loro ricchezze per attirare quanti più possono sul loro sentiero: non credono più a nulla, si gloriano perfino d’essere più empi ed increduli che non siano in realtà, per meglio convincere gli altri, e far loro accettare, non dico le verità, ma le falsità che vorrebbero spargere nei loro cuori. Come Voltaire, che un giorno in un pranzo dato ad amici, cioè ad empi, si compiaceva perché tutti i suoi commensali non credevano alla religione. Eppure egli vi credeva, come ben lo mostrò all’ora di sua morte. In quegli estremi istanti chiese con premura un sacerdote per riconciliarsi con Dio; ma era troppo tardi per lui: Dio, contro del quale si era scagliato con tanto furore, rinnovò per lui il castigo inflitto ad Antioco: lo abbandonò al furore dei demoni. Voltaire non ebbe in questo momento terribile, come sua porzione, che la disperazione e l’inferno. “L’empio, così lo Spirito Santo (Ps. XIII, 1; LII, 1), disse dentro di sé che non v’è Dio, „ ma è solo la corruzione del suo cuore che può portarlo ad un simile eccesso; egli non pensa così nel fondo dell’anima sua. Questa parola: “Vi è Dio, „ non si cancellerà mai; il più gran peccatore la pronuncerà spesso, anche senza pensarvi. Ma lasciamo da parte questi empi; fortunatamente, sebbene voi non siate buoni Cristiani quanto dovreste esserlo, non siete ancora, grazie a Dio, di questo numero. Ma, mi direte, chi sono coloro che ora sono di Dio, ora del mondo? — F . M., eccoli. Li assomiglio, se posso usare questa frase, a quei cani che vanno dietro al primo che li chiama. Seguiteli, F. M., dal mattino alla sera, dal principio sino alla fine dell’anno; costoro non considerano la domenica che come giorno di riposo e di piacere; stanno a letto più a lungo che negli altri giorni della settimana, ed invece di dare il loro cuore a Dio, non vi pensano neppure. Penseranno, gli uni ai piaceri, gli altri alle persone che vedranno; questi alle compere da fare, quelli al denaro che dovranno spendere o ricevere. A mala pena si fanno un segno di croce, a qualche modo; e col pretesto che andranno in chiesa, non faranno alcuna preghiera, dicendo tra sé: “Ne ho del tempo prima della Messa. „ Hanno sempre qualche cosa da terminare prima di muoversi per andare ad ascoltar la S. Messa: credevano d’aver tempo d’avanzo per fare la loro preghiera, ed invece non arrivano nemmeno al principio della Messa. Se trovano un amico per via, non hanno difficoltà di condurlo a casa loro e rinunciano per questa volta alla Messa. Costoro però vogliono sembrar ancora Cristiani agli occhi del mondo, e vanno ancora a Messa qualche volta; ma vi stanno con una noia ed un tedio mortali. Ecco il pensiero che li occupa: “Mio Dio, quando sarà finita? „ Li vedete, specialmente durante le istruzioni, voltar la testa da una parte e dall’altra, domandare al vicino quante ore sono; sbadigliano e si stirano, o sfogliano il libro, per cercar non so che cosa; mentre qualche loro vicino della medesima risma, dorme d’un sonno saporito. Il primo pensiero che loro si presenta, non è d’aver profanato un luogo così santo, ma: “Mio Dio, non finisce più!… ah! non ci torno un’altra volta!… „ Ve ne sono persino di quelli ai quali la parola di Dio, che ha convertito tanti peccatori, fa venire il mal di cuore; debbono uscire, dicono, per respirare una boccata d’aria, e non morire; li vedete tristi, sofferenti durante le sacre funzioni; ma quando l’ufficiatura è appena finita, e spesso il sacerdote non è ancora partito dall’altare, si accalcano alla porta, e fanno a chi uscirà pel primo; e vedete allora ritornare quella gioia che avevano perduta, Sono così stanchi che, spesso, non hanno il coraggio di ritornare ai vespri. Se domandate loro perché non vanno al vespro: “Ah! vi soggiungono, bisognerebbe, dunque, stare tutto il giorno in chiesa: abbiamo altro da fare! „ Costoro non danno importanza né al catechismo, né al rosario, né alla preghiera della sera: tutte quelle pie pratiche sono considerate da essi come cose da nulla. Se loro chiedete che cosa ha detto il parroco all’Evangelo o alla Dottrina? “Ah! vi risponderanno, ha gridato abbastanza!… ci ha abbastanza annoiati!… non mi ricordo… se non fosse così lungo, si ricorderebbe almeno qualche cosa; ecco ciò che fa perdere al mondo la voglia di venire alle funzioni; perché son troppo lunghe. „ Avete ragione di dire, al mondo, perché costoro sono nel numero di quelli che appartengono al mondo senza pur saperlo. Ma, via, procuriamo di farlo adesso meglio comprendere, se almeno lo vogliono: essi sono sordi e ciechi, ed è appunto perché son sordi che è ben difficile far loro intendere le parole di vita, come è difficile far loro intravvedere il loro stato miserando, essendo essi ciechi. Vedete, in casa loro non si usa più dire il Benedicite prima dei pasti, né il ringraziamento dopo, e neppur l’Angelus. Se per antica abitudine lo fanno, chi ne è testimone prova una stretta al cuore: le donne lo fanno lavorando o sgridando  figli od i domestici; gli uomini facendo girare il cappello od il berretto tra le mani, come por esaminare se avessero dei buchi; pensano tanto a Dio, come se credessero davvero che Egli non esiste, e come se facessero tutto per ischerzo. Non si fanno scrupolo di vendere o comperare in giorno di domenica, quantunque sappiano benissimo, o almeno debbano sapere che un contratto un po’ grosso fatto in domenica, senza necessità, è un peccato mortale. Costoro riguardano tutte queste cose come un nonnulla. Andranno nei giorni festivi in una parrocchia vicina per accordare domestici al loro servizio; e se loro si dice che fanno male: “Ah! vi rispondono, bisogna pur andarvi quando si possono trovare. Senza alcuna difficoltà pagano le loro imposte in domenica: perché durante la settimana, dovrebbero andare un po’ più lontano, e impiegare qualche ora di più. Ah! mi direte, noi non badiamo a tutte queste cose. — Non vi badate, amico mio? Non mi fa meraviglia, perché siete del mondo; o meglio, vorreste essere di Dio ed accontentare nello stesso tempo il mondo. Sapete, F. M., chi sono costoro? Sono gente che ancora non ha perduto interamente la fede, ed a cui resta ancora qualche attaccamento al servizio di Dio, che non vorrebbero abbandonare del tutto; perché essi stessi biasimano chi non frequenta più le funzioni: ma non hanno abbastanza coraggio per romperla col mondo, e per voltarsi dalla parte di Dio. Costoro non vorrebbero dannarsi, ma non vorrebbero scomodarsi; sperano di potersi salvare senza farsi tanta violenza; hanno l’idea fissa che Iddio, che è così buono, non li ha creati per perderli, li perdonerà ben ugualmente; che col tempo si daranno a Dio, si correggeranno, lasceranno le cattive abitudini. Se, in alcuni momenti di riflessione, si mettono la loro misera vita appena un po’ davanti agli occhi, ne gemono, e talora anche ne piangeranno. Ahimè! F. M., qual vita triste conducono coloro che vorrebbero essere del mondo senza cessare d’essere di Dio! Proseguiamo un po’, e comprenderete ancor meglio, vedrete come la loro vita è altresì ridicola. Ora, li udrete pregare Dio e fare un atto di contrizione, e più tardi li sentirete bestemmiare fors’anche il santo Nome di Dio, se le cose non vanno a modo loro. Stamattina li avete veduti alla S. Messa cantare le lodi di Dio, e nello stesso giorno li udirete tenere i più laidi discorsi. Le medesime mani che hanno preso l’acqua benedetta, domandando a Dio di purificarli dei loro peccati, un istante dopo, le medesime mani sono adoperate per fare toccamenti disonesti sopra di sé o forse sopra altri. I medesimi occhi che al mattino ebbero la gran ventura di contemplar Gesù Cristo stesso nell’Ostia consacrata, durante il giorno si porteranno volontariamente e con diletto sugli oggetti più disonesti. Ieri, avete visto costui fare la carità al suo prossimo, o rendergli un servigio: oggi cercherà d’ingannarlo, se vi trova interesse. È appena un minuto che quella madre augurava ogni sorta di benedizioni a’ suoi figli: ed ora che l’hanno contrariata, li ricolma di imprecazioni; non vorrebbe mai averli visti nascere, vorrebbe esserne tanto lungi quanto ne è vicina; e finisce per mandarli al diavolo affine di sbarazzarsene. Ora manda le sue figlie alla santa Messa ed a confessarsi: ora le manda ai balli, od almeno farà sembiante di non saperlo, o lo proibirà loro sorridendo, come se dicesse: “Andate pure. „ Una volta dirà alla figlia d’esser riservata, di non frequentare le cattive compagnie, ed un’altra la lascia per ore intere in compagnia di giovinotti senza dirle nulla. Andate, povera donna, siete del mondo. Credete di essere di Dio per qualche atto esteriore di religione che praticate: vi ingannate; siete del numero di coloro ai quali Gesù Cristo dice : “Guai al mondo !„ (Matt. XVIII, 7). Vedete costoro che credono d’essere di Dio e sono del mondo: non si fanno scrupolo di portar via ai vicini ora un po’ di legna, ora qualche frutto, e mille altre cose; finché sono lodati per ciò che fanno rispetto alla religione, lo fanno volentieri, rivelano molta sollecitudine, sono maestri nel dare consigli agli altri; ma, se sono disprezzati o calunniati, allora li vedete scoraggiarsi, affliggersi per essere trattati in questo modo; ieri volevano bene a quelli che facevano loro del male; oggi non possono più soffrirli, e spesso neppure vederli o parlare con essi. Povero mondo! quanto sei sventurato; prosegui la tua strada: va, non puoi sperare che l’inferno! Gli uni vorrebbero frequentare i Sacramenti, almeno una volta all’anno; ma per questo occorrerebbe un confessore molto accomodante, vorrebbero soltanto e tutto fatto. Se il confessore non li vede abbastanza ben disposti e rifiuta loro l’assoluzione, eccoli scatenarsicontro di lui, dicendo quanto potrà giustificarli del non aver finito la loro confessione; conoscono benissimo perché sono stati rimandati, ma siccome sanno che il confessore non può loro condiscendere, si sfogano dicendo ciò che loro talenta. Va, o mondo, va per la tua via, vedrai un giorno quello che non volesti vedere. Bisognerebbe adunque che potessimo dividere in due il nostro cuore! — Ma no, amico mio, o tutto di Dio, o tutto del mondo. Volete frequentare i Sacramenti? Ebbene lasciate i giuochi, le danze, le osterie. Del resto, vi par cosa corretta venire ora a presentarvi al tribunale di penitenza, ad assidervi alla sacra Mensa per cibarvi del pane degli Angeli; e dopo tre o quattro settimane, forse meno, farvi vedere passare la notte in mezzo agli ubbriachi ripieni di vino, peggio ancora, commettere gli atti i più infami di impurità? Va, o mondo, va!… cadrai ben presto nell’inferno; e là imparerai ciò che dovevi fare: imparerai quanto dovevi fare per andare in cielo, che hai perduto per colpa tua. No, F. M., non inganniamoci: bisogna necessariamente, o sacrificare pel mondo Gesù Cristo, ovvero fare a Gesù Cristo il sacrificio di quanto abbiamo di più caro sulla terra. Ma che può dare il mondo da potersi paragonare a quanto ci promette Gesù Cristo in cielo? D’altra parte, P. M., fra tutti quelli che si sono dati al mondo, che non hanno cercato che d’accontentare le loro inclinazioni perverse e corrotte, non ve n’ha uno che non abbia provato delusioni, e che, all’ora della morte, non si sia pentito di averlo amato. Sì, F. M., è allora che sentiremo la vanità e fragilità delle cose di quaggiù, e la sentiremmo fin d’ora, se volessimo dare uno sguardo alla vita passata: vedremmo che la vita è pur poca cosa. Ditemi, F. M., voi che pel peso degli anni incominciate già a curvar la testa sulle spalle; nella vostra giovinezza, correvate dietro ai piaceri del mondo, e vi sembrava non potervene saziare abbastanza; avete passato molti anni a cercar solo i vostri diletti: le danze, i giuochi, le osterie e le vanità erano tutta l a vostra occupazione; avete sempre differito il vostro ritorno a Dio. Giunti ad età più avanzata, avete pensato di accumulare ricchezze. Eccovi ora arrivati alla vecchiaia, senza nulla aver fatto per la vostra salvezza. Ora che siete disingannato delle follie della gioventù; ora che avete affaticato per risparmiarvi qualche ricchezza, ora sperate di far meglio. Io non lo credo, amico mio. Gli acciacchi della vecchiaia che vi accasceranno; i figli, che forse vi disprezzeranno: tutto sarà un nuovo ostacolo per la vostra salvezza. Avete creduto di essere di Dio, ed invece riconoscerete di essere del mondo: cioè del numero di coloro che sono ora di Dio, ed ora del mondo, e che finiscono per ricevere la ricompensa del mondo. Guai al mondo! Andate, mondani, seguite il vostro padrone, come faceste sin ora. Vedete benissimo che siete stati ingannati seguendo il mondo: ebbene, F. M., diverrete per questo più saggi? No, F. M., no. Se alcuno ci inganna una volta, diciamo: Non ci fidiamo più di costui; ed abbiamo ragione. Il mondo ci inganna continuamente, oppure l’amiamo. “Guardatevi, dice S. Giovanni, dall’amare il mondo, o dall’attaccarvi a qualsiasi cosa nel mondo „  (I Joan, II, 15) — “Invano, ci dice il Profeta, porteremo la luce a costoro: furono ingannati e lo sono ancora: non apriranno gli occhi se non quando non avranno più speranza di ritornare a Dio. „Ah! F. M., se riflettessimo bene che cosa è il mondo, passeremmo la nostra vita nel ricevere il suo addio e nel dargli il nostro. All’età di quindici anni abbiamo detto addio ai giuochi dell’infanzia, abbiamo considerato come altrettante scempiaggini il correr dietro le farfalle, come fanno i bambini, che costruiscono per loro case di carta o di fango. A trent’anni avete cominciato a dire addio ai piaceri rumorosi d’una giovinezza ardente; ciò che tanto vi piaceva allora, comincia già ad annoiarvi. Dirò meglio, F. M.: ogni giorno diciamo addio al mondo; facciamo come un viaggiatore che gode della bellezza dei paesi dove passa: appena veduti, deve subito lasciarli: altrettanto è dei beni e dei piaceri, ai quali siamo così attaccati. Infine, arriviamo alla soglia dell’eternità, che tutto inghiotte nei suoi abissi. Ah! F. M., allora il mondo scomparirà por sempre dai nostri occhi, e riconosceremo quale grande pazzia sia stata la nostra di averlo ornato. E quello che ci si diceva del peccato? Era dunque tutto vero, diremo in quel punto. Ahimè! non ho vissuto che pel mondo, non ho cercato che il mondo in tutto lo mio azioni; ed i beni ed i piaceri del mondo non sono più nulla per me! tutto mi sfugge dalle mani: il mondo che ho tanto amato, i beni od i piaceri che tanto occuparono il mio’ cuore ed il mio spirito!… Bisogna intanto che ritorni al mio Dio!… Ah! P. M., quanto è consolante questo pensiero per chi non cercò che Dio solo durante la sua vita! ma come è disperante per chi ha perduto di vista il suo Dio e la salute dell’anima! No, no, F. M., non inganniamoci: fuggiamo il mondo, altrimenti ci mettiamo in gran pericolo di perderci. Tutti i santi hanno fuggito, disprezzato, abbandonato il mondo durante tutta la loro vita. Quelli obbligati a restarvi, vissero come se ne fossero fuori. Quanti grandi del mondo l’hanno abbandonato per vivere nella solitudine! vedete un sant’Arsenio. Colpito da questo pensiero: E difficile salvarsi nel mondo; abbandona la corte dell’imperatore, e va a passare la vita nelle foreste, per piangervi i suoi peccati e fare penitenza Sì, F. M., se non fuggiamo il mondo, almeno quanto ci è possibile, tranne un gran miracolo, ci perderemo col mondo. Eccone un bell’esempio, e ben adatto a farcelo comprendere. – Leggiamo nella sacra Scrittura (III Reg. XXII) che Giosafat, re di Giuda, fece alleanza con Acab, re d’Israele. Lo Spirito Santo ci dice che il primo, Giosafat, era un santo re; ma invece il secondo, Acab, era un empio. Tuttavia, Giosafat acconsentì di unirsi ad Acab per combattere contro i Siri. Prima di partire volle vedere un profeta del Signore, per domandargli quale sarebbe stato l’esito della battaglia. Acab gli disse: “Noi l’abbiamo un profeta del Signore, ma non ci predice che sventure. „ — “Ebbene! gli disse Giosafat, fatelo venire, e lo consulteremo.„ Venuto il profeta davanti al re, Giosafat gli domandò se dovevasi o no combattere contro il nemico. Il re Acab si affrettò di dirgli che tutti i suoi profeti l’avevano assicurato della vittoria. “Sì, rispose il profeta del Signore, andate, o Principi; attaccherete i nemici, li batterete, e tornerete vittoriosi e caricati delle loro spoglie. „ Il re Giosafat capì che non era questo il pensiero del profeta; e gli chiese di dirgli con verità ciò che gli ispirava il Signore. Allora il profeta assumendo il tono di profeta del Signore: “Viva Iddio, nella presenza del quale io sto! Ecco ciò che il Signore, il Dio d’Israele mi ha comandato di dirvi: Voi darete battaglia , ma resterete vinti. Il re Acab vi perirà, e il suo esercito sarà messo in rotta, ed ognuno tornerà a casa senza condottiero. „ Il re Acab disse a Giosafat : “Ti aveva ben detto che questo profeta non annuncia che sventure. „ E lo fece imprigionare, per punirlo al suo ritorno. Ma poco s’inquietò il profeta per questo, perché sapeva bene che il re non sarebbe tornato, ma sarebbe perito. Ingaggiata la battaglia, vedendo che il forte dell’esercito si volgeva contro di lui, Acab mutò vesti. Allora Giosafat fu scambiato per Acab, al quale soltanto si portava rancore. Vedendosi quasi accerchiato dai nemici: “Ah! Signore, Dio d’Israele, esclamò, abbi pietà di me! „ E il Signore venne in suo soccorso, e lo liberò dai nemici. Ma gli mandò il suo profeta per rimproverarlo d’aver fatto alleanza con quell’empio re. “Avresti ben meritato di perire con lui, ma perché il Signore ha visto in te delle buone opere, ti ha conservato la vita, ed avrai la bella sorte di ritornare nella tua città. “Acab invece perì nel combattimento, come appunto gli aveva predetto il profeta prima della partenza. Ecco, F. M., che cosa vuol dire frequentare il mondo: il che ci mostra che, necessariamente, dobbiam fuggire il mondo se non vogliamo perire con esso. Stando colle persone di mondo apprendiamo lo spirito del mondo e perdiamo quello di Dio: e questo ci trascina in un abisso di peccati senza che quasi ce ne accorgiamo: ne abbiamo un bell’esempio nella storia.S. Agostino ci racconta (Conf. VI, C. VII e VIII) che aveva per amico un giovane, che conduceva vita ottima, e proseguiva pel retto sentiero del bene col suo franco ardire giovanile. Un dì, essendo alcuni suoi compagni di studio usciti con lui, indispettiti perché non faceva com’essi, tentarono di trascinarlo all’anfiteatro. Era giorno in cui vi si compieva la lotta dei gladiatori. Il giovane che aveva un estremo orrore per simili curiosità, resisté con tutte le forze; ma i suoi compagni usarono tante lusinghe e oviolenze, che lo trascinarono, per così dire, suo malgrado. Cedendo egli disse: “Potete ben trascinare il mio corpo, e tenermi in mezzo a voi nell’anfiteatro; ma non potete comandare al mio spirito, ed ai miei occhi, che assolutamente non prenderanno mai parte a così orribile spettacolo. Vi starò come se non vi fossi, e per tal modo vi accontenterò senza prendervi 9parte. „ Ma Alipio ebbe un bel dire; lo condussero: e mentre l’anfiteatro intero andava in delirio pel barbaro divertimento, il giovane impediva al suo cuore di prendervi parte, ed a’ suoi occhi di guardare, tenendoli chiusi. Ah! fosse a Dio piaciuto, che si fosse turato anche le orecchie. Poiché scosso dà un fortissimo grido, la curiosità lo vinse: aprì gli occhi per vedere che cosa fosse accaduto; e bastò quello sguardo perché ci si perdesse. Più guardava, più il suo cuore ne sentiva piacere: giunse tant’oltre in seguito, che invece di farsi pregare per andarvi, egli stesso vi trascinava gli altri. “Ahimè! Dio mio, esclama S. Agostino, chi potrà cavarlo da tale abisso? Null’altro, se non un miracolo della grazia di Dio. „ – Concludo, F. M., dicendo che se non fuggiamo il mondo co’ suoi piaceri, se non ci nascondiamo, quant’è possibile, ci perderemo ed andremo dannati. La strada più comoda è d’essere ora del mondo, ora di Dio; cioè fare alcune pratiche di pietà, e seguire gli usi del mondo: i giuochi, le danze, le osterie, il lavoro in domenica; nutrire odi, vendette, risentimenti, fare attenzione ad ogni piccolo torto ricevuto. Se saremo tutti di Dio, bisogna aspettarci d’essere disprezzati e rigettati dal sondo. Felice colui che sarà di questo numero e camminerà con coraggio dietro al suo Maestro, portando la croce: poiché solo per questa via avremo la grande felicità di arrivare al cielo! Ecco quanto vi auguro!