DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia fa leggere nell’Ufficio divino la storia di Ester verso quest’epoca (5a Domenica di Settembre). Reputiamo quindi cosa utile, al fine di rivedere ogni anno con la Chiesa tutte le figure dell’Antico Testamento e per continuare a studiare le Domeniche dopo Pentecoste in corrispondenza del Breviario, di parlare in questo giorno di Ester. – L’lntroito della Domenica 21 dopo Pentecoste è la preghiera di Mardocheo. Non potremo noi vedervi un indizio della preoccupazione della Chiesa di unire, a questo periodo liturgico, la stona di Ester ad una Messa di questo Tempo? « Assuero, re di Susa in Persia, aveva scelto per prima regina Ester, nipote di Mardocheo. Aman, l’intendente del palazzo, avendo osservato che Mardocheo rifiutava di piegare le ginocchia davanti a lui, entrò in grande furore e, saputo che era ebreo, giurò dì sterminare insieme a lui tutti quelli che fossero della sua razza. Accusò quindi al re gli stranieri che si erano stabiliti in tutte le città del suo regno e ottenne che venisse dato ordine di massacrarli tutti. Quando Mardocheo lo seppe, si lamentò e fu presso tutti gli Israeliti un gran duolo.- Mardocheo disse allora a Ester che essa doveva informare il re di quanto tramava Aman, fosse pure col pericolo della sua vita medesima. » Se Dio ti ha fatta regina, non fu forse in previsione di giorni simili? ». Ed Ester digiunò tre giorni con le sue ancelle; e il terzo giorno, adorna delle sue vesti regali, si presentò davanti al re e gli domandò di prender parte ad un banchetto con lui e Aman. Il re acconsentì. E durante questo banchetto Ester disse al re: « Noi siamo destinati, io e il mio popolo, ad essere oppressi e sterminati ». Assuero sentendo che Ester era giudea, e che Mardocheo era suo zio, le disse: « Chi è colui che osa far questo? ». Ester rispose: « Il nostro avversario e nostro nemico è questo crudele Aman ». Il re, irritato contro il suo ministro, si levò e comandò che Aman fosse impiccato sulla forca che egli stesso aveva fatto preparare per Mardocheo. E l’ordine fu eseguito immediatamente, mentre veniva revocato l’editto contro i Giudei. Ester aveva salvato il suo popolo e Mardocheo divenne quel giorno stesso ministro favorito del re e uscì dal palazzo portando la veste regale azzurra e bianca, una grande corona d’oro e il mantello di porpora, e al dito l’anello regale ». — Il racconto biblico ci mostra come Dio vegli sul suo popolo e lo preservi in vista del Messia promesso. « Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore, in qualunque tribolazione mi invochino, li esaudirò e sarò il loro Signore » (Introito). « Quando cammino nella desolazione Tu mi rendi la vita, Signore. Al disopra dei miei nemici, accesi d’ira, tu mi stendi la mano e la tua destra mi assicura la salvezza » (Off.); il Salmo del Communio parla del giusto che è oppresso dall’afflizione e che Dio non abbandona; quello del Graduale, ci mostra come, rispondendo all’appello di coloro che in Lui sperano, Dio fa cadere i peccatori nelle loro proprie reti; il Salmo dell’Alleluia canta tutte le meraviglie che il Signore ha fatto per liberare il suo popolo. Tutto questo è una figura di quanto Dio non cessa di fare per la sua Chiesa e che farà in modo speciale alla fine del mondo. Aman che il re condannò durante il banchetto in casa di Ester, è come l’uomo che è entrato al banchetto di nozze di cui parla il Vangelo, e che il re fece gettar nelle tenebre esteriori, perché non aveva la veste di nozze, cioè « perché non era rivestito dell’uomo novello che è creato a somiglianza di Dio nella vera giustizia e nella santità, per non aver deposto la menzogna e i sentimenti di collera, che nutriva in cuore verso il prossimo » (Epistola). Cosi iddio tratterà tutti coloro che, pur appartenendo al corpo della Chiesa per la loro fede, sono entrati nella sala del banchetto senza essere rivestiti, dica S. Agostino, della veste della carità. Non essendo vivificati dalla grazia santificante, non appartengono all’anima del Corpo mistico di Cristo, e rinunziando alla menzogna, dice S. Paolo, ognuno di voi parli secondo la verità al suo prossimo, perché siamo membri gli uni degli altri. Possa il sole non tramontare sull’ira vostra » (Epistola). E quelli che non avranno adempiuto a questo precetto saranno dal Giudice supremo gettati nel supplizio dell’inferno, come pure gli Ebrei che hanno rifiutato l’invito al pranzo di nozze del figlio del re, cioè di Gesù Cristo con la sua sposa che è la Chiesa (2° Notturno) e che hanno messo a morte Profeti e gli Apostoli recanti loro questo invito. — Assuero in collera, fece impiccare Aman. Anche il Vangelo ci narra che il re montò in furore, inviò i suoi eserciti per sterminare quegli assassini e bruciò la loro città. Più di un milione di Giudei morirono nell’assedio di Gerusalemme per opera di Tito, generale dell’esercito romano, la città fu distrutta e il Tempio incendiato. Aman infedele, fu sostituito da Mardocheo; gli invitati alle nozze furono sostituiti da coloro che i servi trovarono ai crocicchi. I Gentili presero il posto degli Ebrei e verso di quelli si volsero gli Apostoli, riempiti di Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste. E al Giudizio universale, che annunziano le ultime domeniche dell’anno, queste sanzioni saranno definitive. Gli eletti prenderanno parte alle nozze eterne e i dannati saranno precipitati nelle tenebre esteriori e nelle fiamme vendicatrici, ove sarà pianto e stridore di denti. – Bisogna spogliarsi dell’uomo vecchio, dice S. Paolo, come ci si toglie una veste vecchia e rivestirsi di Cristo come ci si mette una veste nuova. Bisogna dunque rinunziare alla concupiscenza traditrice delle passioni che, come figli di Adamo, abbiamo ereditato, e aderire a Cristo accettando la verità evangelica, che ci darà la santità nei nostri rapporti con Dio e la giustizia nei nostri rapporti col prossimo. – « Dio Padre, dice S. Gregorio, ha celebrate le nozze di Dio suo Figlio, allorché l’unì alla natura umana nel seno della Vergine. E le ha celebrate specialmente allorché, per mezzo dell’Incarnazione, lo unì alla santa Chiesa. Inviò due volte i servi per invitare i suoi amici alle nozze, perché i Profeti hanno annunziata l’Incarnazione del Figlio di Dio come cosa futura e gli Apostoli come un fatto compiuto. Colui che si scusa col dover andare in campagna, rappresenta chi è troppo attaccato alle cose della terra; l’altro che si sottrae col pretesto degli affari, rappresenta chi desidera smodatamente i guadagni materiali. E ciò che è più grave, è che la maggior parte non solo rifiutano la grazia data loro di pensare al mistero dell’Incarnazione e di vivere secondo i suoi insegnamenti, ma la combattono. La Chiesa presente è chiaramente indicata dalla qualità dei convitati, tra i quali si trovano coi buoni anche I cattivi. — Cosi il grano si trova mescolato con la paglia e la rosa profumata germoglia con le spine che pungono. — All’ultima ora Dio stesso farà la separazione dei buoni dai cattivi che ora la Chiesa contiene. Quegli che entra al festino nuziale senza l’abito di nozze appartiene alla Chiesa colla fede, ma non ha la carità. Giustamente la carità è chiamata abito nuziale perché essa era posseduta dal Creatore allorché si unì alla Chiesa. Chi per la carità è venuto in mezzo agli uomini ha voluto che questa carità fosse l’abito nuziale. Allorché uno è invitato alle nozze in questo mondo, cambia di abiti per mostrare che partecipa alla gioia della sposa e dello sposo e si vergognerebbe di presentarsi con abiti spregevoli in mezzo a tutti quelli che godono e celebrano questa festa. Noi che siamo presenti alle nozze del Verbo, che abbiamo fede nella Chiesa, che ci nutriamo delle Sante Scritture e che gioiamo dell’unione della Chiesa con Dio, rivestiamo dunque il nostro cuore dell’abito della carità, che deve comprendere un doppio amore: quello di Dio e quello per il prossimo. Scrutiamo bene i nostri cuori per vedere se la contemplazione di Dio non ci faccia dimenticare il prossimo e se le cure verso il prossimo non ci facciano dimenticare Dio. La carità è vera se si ama il prossimo in Dio e se si ama teneramente il nemico per amore di Dio » (Omelia del giorno).

Incipit

In nomine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.]

Ps LXXVII: 1
Attendite, pópule meus, legem meam: inclináte aurem vestram in verba oris mei.
[Ascolta, o popolo mio, la mia legge: porgi orecchio alle parole della mia bocca.]

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum.

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, univérsa nobis adversántia propitiátus exclúde: ut mente et córpore páriter expedíti, quæ tua sunt, líberis méntibus exsequámur.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, allontana propizio da noi quanto ci avversa: affinché, ugualmente spediti d’anima e di corpo, compiamo con libero cuore i tuoi comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 23-28


“Fratres: Renovámini spíritu mentis vestræ, et indúite novum hóminem, qui secúndum Deum creátus est in justítia et sanctitáte veritátis. Propter quod deponéntes mendácium, loquímini veritátem unusquísque cum próximo suo: quóniam sumus ínvicem membra. Irascímini, et nolíte peccáre: sol non occídat super iracúndiam vestram. Nolíte locum dare diábolo: qui furabátur, jam non furétur; magis autem labóret, operándo mánibus suis, quod bonum est, ut hábeat, unde tríbuat necessitátem patiénti.”

(“Fratelli: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, che è creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Perciò, deposta la menzogna, ciascuno parli al suo prossimo con verità: poiché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira siate senza peccato: il sole non tramonti sul vostro sdegno. Non lasciate adito al diavolo. Colui che rubava non rubi più: piuttosto s’affatichi attendendo con le proprie mani a qualche cosa di onesto, per aver da far parte a chi è nel bisogno.”)

IDEALE E REALTÀ.

Il Cristianesimo è venuto al mondo con una realtà nuova e divina ch’era un ideale e con un ideale umano che era una realtà divina. Non è per quanto possa parerlo, non è un bisticcio, un gioco di parole: le parole qui traducono un concetto magnifico e che a voi, Cristiani miei uditori, dovrebbe essere famigliare. O non è forse il Cristianesimo venuto al mondo con Gesù Cristo? E non è Gesù Cristo vero uomo e vero Dio? È la formula precisa che la Chiesa mette sulle nostre labbra nelle famose benedizioni popolari e semiliturgiche. Vero. C’è l’eco di una frase di San Paolo nel brano che oggi leggiamo. Vero vuol dire qui: reale, che è realmente uomo e Dio. Ma vero vuol dire che N. S. Gesù Cristo rappresenta in sé l’umanità quale deve, quale dovrebbe essere Egli è il nostro modello. E San Paolo lo proclama oggi apertamente. Invita i suoi lettori, a diventare copie di Gesù Cristo. –  Dobbiamo trasformarci interiormente, ricreare in noi l’uomo nuovo, che è poi viceversa molto antico, in quanto nell’uomo nuovo si realizza quell’ideale di umanità che brillò davanti a Dio Creatore. Gesù, Signor Nostro, nella Sua reale umanità (ipostaticamente unita alla divinità) è perfetto, è ciò che Dio voleva fare e sognò di fare sin da principio, fece anzi da parte sua fin da principio. Ecco il paganesimo. – Chi è l’uomo vero? forse l’uomo pagano? l’uomo passionale e passionato? che alla passione si abbandona? alla passione, che è ragione contro la ragione? Purtroppo molti lo pensano. Salutano l’umanesimo pagano. È un ritornello preferito degli anticlericali. Il paganesimo è (o era) umano: e ciò significa ed implica che il Cristianesimo non lo è: è antiumano. Il Cristianesimo è veramente umano. È stato e continua ad essere una restaurazione. Quando si restaura un edificio, che cosa si fa? lo si prende deformato e lo si riconduce alla purezza, alla verità delle linee primitive. Dio ha restaurata l’umanità in Gesù Cristo. La linea primitiva, il disegno divino dell’uomo era bello. Dio lo aveva creato a Sua immagine e somiglianza: con un intelletto fatto per la verità, con una volontà dirizzata verso il bene. E l’uomo guastò in se stesso l’opera di Dio, si scostò dal disegno divino. Adoperò l’intelletto per ributtare coi sofismi la verità: adoperò la sua volontà per fare il male. Il senso si sovrappose alla ragione, e la passione alla volontà. Umanità rovesciata: ecco il paganesimo. – Ma viene Gesù Cristo, l’uomo nuovo, dice San Paolo, il nuovo Adamo; proprio così dice San Paolo e lo dice benissimo. Nuovo Adamo quello (è San Paolo che continua), che fu creato proprio secondo il disegno di Dio (secundum Deum) e perciò fu creato giusto e vero. E il nostro sforzo d’uomini e di Cristiani deve essere quello di ricopiare, di rifare Gesù Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. (Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXV: 2

Dirigátur orátio mea, sicut incénsum in conspéctu tuo, Dómine.

[Si innalzi la mia preghiera come l’incenso al tuo cospetto, o Signore.]
V. Elevatio mánuum meárum sacrifícium vespertínum. Allelúja, allelúja

[L’elevazione delle mie mani sia come il sacrificio della sera. Allelúia, allelúia]
Ps CIV: 1

Alleluja

Alleluja, Alleluja

Confitémini Dómino, et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus. Allelúja.

[Date lode al Signore, e invocate il suo nome, fate conoscere tra le genti le sue opere.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt XXII: 1-14


“In illo témpore: Loquebátur Jesus princípibus sacerdótum et pharisæis in parábolis, dicens: Símile factum est regnum cœlórum hómini regi, qui fecit núptias fílio suo. Et misit servos suos vocáre invitátos ad nuptias, et nolébant veníre. Iterum misit álios servos, dicens: Dícite invitátis: Ecce, prándium meum parávi, tauri mei et altília occísa sunt, et ómnia paráta: veníte ad núptias. Illi autem neglexérunt: et abiérunt, álius in villam suam, álius vero ad negotiatiónem suam: réliqui vero tenuérunt servos ejus, et contuméliis afféctos occidérunt. Rex autem cum audísset, iratus est: et, missis exercítibus suis, pérdidit homicídas illos et civitátem illórum succéndit. Tunc ait servis suis: Núptiæ quidem parátæ sunt, sed, qui invitáti erant, non fuérunt digni. Ite ergo ad exitus viárum et, quoscúmque invenéritis, vocáte ad núptias. Et egréssi servi ejus in vias, congregavérunt omnes, quos invenérunt, malos et bonos: et implétæ sunt núptiæ discumbéntium. Intrávit autem rex, ut vidéret discumbéntes, et vidit ibi hóminem non vestítum veste nuptiáli. Et ait illi: Amíce, quómodo huc intrásti non habens vestem nuptiálem? At ille obmútuit. Tunc dixit rex minístris: Ligátis mánibus et pédibus ejus, míttite eum in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”

(“In quel tempo Gesù ricominciò a parlare a’ principi dei Sacerdoti ed ai Farisei per via di parabole dicendo: Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gl’invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agl’invitati: Il mio desinare è già in ordine, si sono ammazzati i buoi e gli animali di serbatoio, e tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e li trattarono ignominiosamente, e gli uccisero. Udito ciò il re si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi e diede alle fiamme le loro città. Allora disse a’ suoi servi: Le nozze erano all’ordine, ma quelli che erano stati invitati, non furono degni. Andate dunque ai capi delle strade e quanti riscontrerete chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori di lui per le strade, radunarono quanti trovarono, e buoni e cattivi; e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi ministri: Legatelo per le mani e pei piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridor di denti. Imperocché molti sono i chiamati e pochi gli eletti”)

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LA GRAZIA

In casa del re c’era una gran festa: si sposava il suo figliuolo. Erano stati uccisi molti buoi ed altri animali squisiti; già l’aroma delle bevande e delle vivande vagava in giro alla reggia, vellicando la gola ai passanti. Mancavano solo gli invitati. Ma gli invitati s’erano ricusati di venire; anzi, alcuni avevano ingiuriato e ucciso i messi del re. Credevano forse quegli invitati che non si sarebbe potuto far nozze senza di loro? Intanto il re aveva lanciato i suoi eserciti a sterminare loro e le loro case e le loro città; e poi disse ai servi: « Giacché gli invitati non furono degni, riempite le mie sale d’ogni gente che c’è sulla strada, sulla piazza, sul campo ». E fecero così. Mentre tutti si assidevano alla gran mensa, il re passò in rivista i banchettanti. Ed ecco ne trova uno senza la veste nuziale. « Amico! con che coraggio ti presenti così? ». Legategli le mani e i piedi, lo fece buttar fuori dalla porta a stridere i denti nel gelo della notte. Dunque: per entrare nel Regno de’ cieli, all’eterno banchetto di nozze con Cristo, non è necessario essere nobili; e neppure essere sapienti; e nemmeno essere ricchi; e neanche essere sani e belli di corpo. Una cosa sola è necessaria: indossare la veste nuziale. Quale profondo mistero Gesù ha svelato sotto questo simbolo? Il mistero della grazia. Si sa che la grazia si riceve nel S. Battesimo; si sa che s’accresce con le opere buone e specialmente coi Sacramenti; è risaputo anche che al primo peccato mortale si perde, e di solito non si può riaverla se non per mezzo d’una buona Confessione. Ma pochi sono quelli che hanno compreso e che vivono il mistero della grazia. Alcuni credono che essere in grazia, significhi soltanto essere senza peccati mortali; è troppo poco questa; essa importa molto di più. Che cos’è allora la grazia? È difficile dirlo, tanto è cosa meravigliosa e divina; però dagli effetti che essa produce nelle anime, possiamo formarcene un’idea. È difficile dire che cosa sia la forza che noi chiamiamo elettricità: ma quando noi osserviamo la differenza che v’è tra un filo con la corrente ed uno senza, quando vediamo il treno divorare le distanze rumorosamente, quando sentiamo il rullare sordo di gigantesche motrici, quando in un attimo vediamo illuminarsi una città che prima era nelle tenebre, un grido di meraviglia ci sfugge dal labbro: « Ma questa è la più bella forza del mondo! ». Così quando consideriamo l’infinita distanza che v’è tra un un’anima con la grazia ed una senza, quando pensiamo che la grazia ci mette Dio in cuore, ci rende figli di Dio, ci fa degni della vita eterna, allora è un grido d’amore che erompe dal nostro cuore: « Ma questo è il più bel dono di Dio! ». – 1. CI METTE DIO IN CUORE. In diversi modi Dio è presente nel mondo. « Dov’è Dio? » domanda il Catechismo, e risponde: « Dio è in ogni luogo. Egli è l’immenso ». Ma questa presenza universale di Dio in tutti gli esseri, nei minerali e nei vegetali, nelle cose e negli uomini, nei buoni e nei cattivi, finisce per impressionare un piccolo numero soltanto di anime. Per la maggior parte essere dappertutto, equivale a non essere in nessun posto. Dio, inoltre, è presente in Cielo. Ma in Cielo ci si arriva soltanto dopo la morte: e siccome alla morte gli uomini non ci vogliono mai pensare, così non pensano neppure alla presenza di Dio nel Cielo. Dio è presente, ancora sui nostri altari nell’Eucaristia: questa presenza, benché anch’essa molto misteriosa, è assai più sensibile. Noi possiamo sempre dire:  « Dietro a quelle apparenze di pane, vi è realmente Iddio ». Ma la presenza eucaristica, nella Comunione, dura poco; né possiamo restare in chiesa tutto il giorno e far della nostra vita un perpetua visita al Santissimo Sacramento. Ma v’ha un’altra meravigliosa presenza di Dio tra gli uomini: quella per mezzo della grazia. « Se qualcuno mi ama, — ha detto Gesù — mio Padre ed Io l’ameremo: e verremo a lui, e resteremo in lui come in casa nostra ». Dunque, quelli che amano Gesù, ossia che non fanno peccati e si mantengono in grazia, hanno Dio nel loro cuore. Quando S. Ignazio martire fu trascinato davanti a Traiano, non potendo il tiranno indurlo all’apostasia, gli gridò: — Tu sei un miserabile! — E il Martire calmo e solenne gli rispose: « Nessuno osi chiamare, miserabile Ignazio, perché egli porta Cristo ». — Come puoi dire di portar Cristo? « Posso dirlo, perché è verità: io porto Dio in me ». Dio in noi! ecco che cosa è la grazia. E se Dio è con noi, che cosa ci potrà spaventare? Quando verranno le tribolazioni ad angustiarci, non rattristiamoci, che abbiamo con noi il Dio della letizia. Quando il demonio con le seduzioni cercherà di lusingarci al peccato, resistiamogli che abbiamo con noi il Dio della fortezza. E quand’anche in casa nostra ci fosse e la miseria, e la fame, e la nudità, e la malattia, Dio è con noi, non temiamo. Una cosa sola ci deve far paura: il peccato. Perché il peccato ci toglie la grazia, e, con la grazia, Dio. – 2. CI RENDE FIGLI DI DIO. S. Luigi, re di Francia, quando firmava qualche decreto, accanto al suo nome, poneva anche il nome della città in cui era stato battezzato. Gli osservarono: « Perché vi ostinate a chiamarvi Luigi di Poissy, quando ben altri titoli più gloriosi che non quello d’un’oscura città potrebbero far corona al vostro nome? ». — E non sapete, — rispose il Re, — che a Poissy nel santo Battesimo la grazia mi ha fatto figlio di Dio? E v’è forse sulla terra una nobiltà maggiore di quella d’essere figlio di Dio? Quando S. Giovanna d’Arco guidava il gregge sui pascoli paterni e non s’era ancora decisa di lasciare i suoi monti e le sue pecore e di correre, lei fanciulla ignorante e debole, in capo agli eserciti e salvare la Francia, udiva spesso delle voci misteriose gridarle: — Va, Figlia di Dio, va! — Come quella pastorella poteva essere detta figlia di Dio? Sì, qualunque anima in grazia è figlia di Dio. Perché il digiuno di Gesù? Perché i suoi sudori? Perché i suoi flagelli? Perché le sue spine? Perché la sua croce? Perché la sua morte? In una parola, perché da figlio di Dio s’è fatto Figliuolo dell’uomo?… Perché noi che siamo figli dell’uomo avessimo a diventare figliuoli di Dio!… dedit eis potestatem filios Dei fieri (Giov., I, 12). Ecco perché Gesù, compita la redenzione, salendo al Cielo disse alla Maddalena: « Ascendo al Padre mio e Padre vostro ». Considerate, adunque, le meraviglie della grazia: Dio diventa nostro Padre e noi suoi figli! Ma pensate anche l’orrore del peccato mortale: noi cessiamo di essere figli di luce e diventiamo figli d’oscurità, non è più Dio il nostro padre, ma il demonio. Vos ex patre diabolo estis (Giov., VIII, 44). – CI FA DEGNI DELLA VITA ETERNA. Come alle nozze della parabola nessuno poteva entrare senza la candida veste, così in paradiso nessuno può ascendere che non sia rivestito di splendore. La grazia è appunto questo splendore che fa bella l’anima e la rende degna del Cielo e della compagnia degli Angeli e dei Santi. Quando a Montpellier, in un’oscura prigione sotto il letto d’un fiume, morì S. Rocco, nessuno se ne accorse. L’avevano rinchiuso là sotto credendolo una spia, ed invece era il nipote del governatore della città, che tornava dopo aver pellegrinato per tutta la vita. Ma appena la sua anima uscì dal corpo, una gran luce uscì dal carcere per ogni fessura, tanto che un grande incendio vi pareva sepolto. Che cos’era quella luce se non lo splendore della sua anima ornata di grazia? Quando a Lisieux, nella clausura delle carmelitane, morì S. Teresa del Bambino Gesù, tutte le suore sentirono per le scale, per le celle del convento, un finissimo olezzo di violette, tanto che sembrava ritornata la primavera. Che cos’era quell’olezzo se non il profumo della sua anima ornata di grazia? La grazia è splendore, è profumo dell’anima. S. Caterina da Siena vide un giorno, per favore divino un’anima priva di peccato e divinizzata dalla grazia. Era tanta la bellezza di quella visione e la dolcezza che ne ridondava in lei ammirante, che sarebbe venuta meno se Dio non l’avesse sostenuta. E Nostro Signore, indicandole quel divino splendore, le soggiungeva: « Non ti sembra graziosa e bella quest’anima? Chi dunque non accetterebbe qualunque pena per guadagnare una creatura così meravigliosa? ». E chi di noi, ora che abbiam compreso che cos’è la grazia, non preferirebbe qualsiasi sofferenza, pur di non perdere tanto splendore con un peccato mortale? S’io sapessi tutti i libri degli scienziati a che mi gioverebbe senza la grazia? Senza la grazia a che mi gioverebbero gli onori di questo mondo, le ricchezze, la beltà? Tutto finisce con la morte: unica cosa che vale ancora più in là è la grazia. Solo per la grazia ci verrà aperta la porta del paradiso e più grazia avremo e più gloria ci sarà data. Per ciò nell’Imitazione di Cristo c’è questa preghiera: « O Signore, dammi la grazia e mi basta: di tutto il resto non m’importa!  (L. III, 4). Noi invece il nostro cuore l’attacchiamo a tutto il resto, danaro, piaceri, onori, e della grazia non c’importa. Non sappiamo quasi nemmeno che ci sia: per noi Gesù è morto inutilmente. Siam come quell’uomo del Vangelo che aveva nel suo campo un tesoro ingente sepolto e non lo sapeva. – Durante la persecuzione dei Vandali, Elpidoro apostatò. Era stato battezzato da poco tempo, con gioia aveva portato per otto giorni la candida veste simbolo della grazia, ma davanti alle lusinghe e alle minacce dei cattivi, aveva ceduto e aveva rinunciato alla sua fede. Allora il vecchio diacono che l’aveva battezzato, prese con sé la veste con cui aveva rivestito l’altro nel giorno della sua ammissione alla Chiesa e gli andò incontro. Davanti a lui spiegò la veste e l’agitò come un vessillo bianco: « Prendila, Elpidoro, e guarda! Riconosci quest’abito. Oggi tu l’hai profanato, tu l’hai lacerato, tu l’hai insozzato. Esso ti accuserà nel giorno del giudizio. Pensa bene a quello che fai ». Anche a noi, quando fummo battezzati, il Sacerdote ci pose indosso la candida veste, simbolo della grazia. Ma se quest’oggi, tra voi, ci fosse qualcuno che ha ceduto alle lusinghe del demonio e si trova in peccato, anch’io come quel vecchio diacono agito, davanti a lui, la sua veste battesimale come un vessillo bianco; e gli grido: « Prendila, e guardala. Col tuo peccato tu l’hai insozzata, tu l’hai stracciata, Tu hai perso la grazia. Quest’abito ti accuserà nel giorno del giudizio, quando il Re del Cielo vedendoti senza la veste nuziale, 9dirà anche a te: « Amico; con che coraggio ti presenti così? ». Non aspettate, o Cristiani, quel giorno d’ira. Ma tutti mettetevi in grazia con una santa Confessione, perché Dio non getti voi pure dalla porta del paradiso, legati e mani e piedi, a stridere i denti nel gelo e nel fuoco della notte eterna. — L’INFERNO. Un filosofo francese faceva un giorno, con la sua anima, questo dialogo: « Anima mia se tu abusi, non solo sarai infelice in questa vita, ma ancora dopo morte, nell’inferno ». E l’anima dal fondo gli rispondeva con un filo di fiato: « Ma chi ha detto che c’è l’inferno? ».  E il filosofo: « L’inferno è così orrendo, che anche solo il dubbio che ci possa essere, ci dovrebbe costringere a far giudizio ». L’anima ardì rispondergli: « Io son certa che l’inferno non c’è ». « Anima mia, non dir bugie! » gridò il filosofo. « Se sei persuasa che l’inferno non c’è, io ti sfido » (Diderot). Quando dalla bocca di qualche uomo ascolto l’eresia: « Morto io, morto tutto. L’inferno è una favola… », io lo guardo con un sorriso di compassione e dico: « Buon uomo non dir bugie, che tu adesso non sei persuaso delle tue parole. È la tua vita sregolata; è un certo guadagno ingiusto a cui ti sei attaccato; è quell’affetto impuro che non vuoi spegnere in cuore; è quel peccato che non vuoi confessare, che ti far dir così ». « Finito noi, finito tutto; mai nessuno è venuto a dirci quello che c’è di là ». — Non dire questo, che non è vero. Oggi stesso viene Gesù, Gesù morto e risorto, Gesù Figlio di Dio che non inganna, oggi stesso viene col suo Vangelo e ti dice che l’inferno c’è. « Come un re che festeggia le nozze del suo figliuolo, così è il regno dei cieli. Erano stati invitati molti, e il re per tempo, li mandò a chiamare. Non vennero. Li mandò a chiamare un’altra volta: e quelli schernirono, batterono, uccisero i poveri servi. Il re adirato disse: Le nozze si faranno egualmente e senza di loro. Andate negli incroci delle vie, e tutti quelli che passeranno invitate alla mia festa ». Allora una folla d’ogni colore si riversò al banchetto; ogni posto fu occupato. Il re passò nelle sale a salutarli; ma vide un uomo senza la veste nuziale. Fremette e gli disse: Amico! in quest’arnese si viene qui? — Il misero taceva. — Prendetelo! stringetegli con ferri mani e piedi, e buttatelo di fuori nell’oscurità, dov’è pianto e stridore di denti ». Mittite eum in tenebras exteriores, ibi fletus et stridor dentium. Il Signore parla chiaro: se qualcuno gli comparirà mal vestito, (e il peccato è un pessimo vestito), sarà buttato fuori dalla sua presenza, nell’oscurità ove in eterno piangerà nello stridor dei denti. Dunque l’inferno c’è. E c’è perché Dio è giusto; perché Dio è buono. Ecco tre pensieri da comprendere bene. – 1. L’INFERNO C’È. Se lo dicesse un Profeta che l’inferno c’è, gli credereste voi? Ebbene: ricordate che non uno, ma molti Profeti sono venuti sulla terra a dir alla gente che l’inferno c’è. Isaia così parla dei dannati: « Il verme che li rode non morrà mai; il fuoco che li divora non si spegnerà mai » (LXVI, 24). E Daniele dice: « Tutti risorgeranno: alcuni destinati alla vita eterna, altri alla rovina eterna ». Se venisse Gesù Cristo a dirvelo, credereste che l’inferno c’è? Ebbene: sappiate che Gesù Cristo è venuto e l’ha detto; e più d’una volta. Egli stesso ci ha insegnato che è molto meglio sottoporci in questo mondo ai più dolorosi sacrifici, anche a lasciarci amputare un braccio e cavare un occhio, piuttosto che incorrere nel supplizio eterno (Mt., XVIII, 8). Egli stesso parlando del giudizio finale, ci rivelò le parole che dirà ai condannati: «Via da me, o maledetti; andate nel fuoco eterno ». E quelli dovranno entrare nel tormento senza fine. Ibunt hi in supplicium æternum). (Mt., XXV, 46). Se venisse qua a dirvelo un Apostolo, S. Paolo per esempio, credereste allora che l’inferno c’è? Ebbene, sentite S. Paolo; che cosa scrive ai Tessalonicesi: « Quelli che non riconosceranno Dio, quelli che non obbediranno al Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, riceveranno in morte tormenti eterni (II Tess., I, 8). Non basta? È necessario forse che vengano a dirvelo trecento Vescovi insieme? Ebbene: sono i trecento Vescovi, tutti raccolti a Nicea che dissero: « Quelli che faranno bene entreranno nella vita eterna. Ma quelli che faranno male entreranno nel fuoco eterno » (Simb. Atan.). L’inferno c’è. Più chiaro di così non potrebbe dirvelo nemmeno un dannato se vi comparisse in casa vostra. E se non credete alle testimonianze dei profeti, di Cristo, degli Apostoli di tutta la Chiesa, non credereste neppure a vederlo coi vostri occhi stessi. Fareste anche voi come Gaetano Negri che diceva: « Se io, proprio con i miei occhi in pieno giorno, vedessi anche un miracolo, non crederei ». Come mai? « Correrei in casa, mi caccerei in letto, mi metterei il ghiaccio sul cervello, persuasissimo d’aver un febbrone ». – 2. C’È PERCHÈ DIO È GIUSTO. Semei figlio di Gera aveva rincorso lungo il Cedron il re David, lanciandogli la maledizione peggiore. Ora, morto David, Salomone lo fece chiamare e gli disse: « Fabbricati una casa in Gerusalemme e là vi abiterai, senza uscir mai dalla città. Poiché se ti coglieranno, in qualche giorno, oltrepassare il Cedron, tu morrai; il tuo sangue allora sia sopra il tuo capo ». Semei rispose al re: « Dici bene, perché io ho maledetto David. Così farò ». Dopo tre anni fu riferito a Salomone che Semei era uscito da Gerusalemme, fino a Geth. Mandò subito a chiamarlo. « Semei! Semei! Non te l’avevo io minacciato? Non te l’avevo io predetto, che ogni qualvolta fossi uscito dalla città e avessi passato il Cedron t’avrei messo a morte? Ora ci sei caduto. Muori dunque, e di questa morte tu solo fosti la causa; tu solo e la tua malizia ». Dominus reddidit malitiam tuam in caput tuum (III Re, II, 44). E Salomone fece spiccare la testa a Semei di Gera. Nessuno poté accusare Salomone d’ingiustizia o di crudeltà per questa morte, poiché Semei era stato preavvisato. E chi allora potrà accusare d’ingiustizia il Signore quando ci condannerà all’inferno, se più e più volte ci ha avvisati, scongiurati, minacciati? quando anche oggi, vi fa ammonire dal Sacerdote che spiega il suo Vangelo? « L’uomo avvisato — dice un proverbio — è mezzo salvato ». E se dopo tutto questo noi cadiamo in inferno, l’ingiustizia non è di Dio, ma nostra. Malitia tua in caput tuum. « È  impossibile — si sente dire — che l’inferno esista;. Dio è troppo buono… ».. È vero Cristiani; Dio è troppo buono; è infinitamente buono, ma è pure infinitamente giusto. Che direste voi di un uomo che avesse un braccio lungo e l’altro corto? che è un mostro. Allora non fatemi di Dio un mostro. Non crediate che il braccio della sua misericordia sia lungo lungo, e quello della sua giustizia corto corto. Dio è buono, ma anche giusto. Vedete: a questo mondo c’è poca giustizia: Gli iniqui spesso trionfano: hanno ricchezze, palazzi, cibi, vesti, amici, onori. E nelle cause hanno sempre ragione. Mentre ci sono invece degli uomini buoni che al mondo soffrono: soffrono la miseria, le malattie, l’ingiustizia dei più forti. Ad essi, molte volte, come al povero Lazzaro, vien negato perfin quello che si butta ai cani. È necessario allora che la giustizia si faccia almeno nell’altro mondo; che il povero Lazzaro abbia nel cielo quel che gli fu negato in terra; e che all’Epulone sia negato in cielo quel che ha negato agli altri in terra. Dio è giusto! consolatevi, voi che patite, perché Egli vede ogni vostro dolore, conta ogni lagrima vostra, ogni vostro affanno, anche il più nascosto… niente andrà perduto; di tutto sarete compensati. Dio è giusto! spaventatevi, uomini tristi, che vivete nel peccato; che non osservate le leggi di Dio; che angariate il vostro prossimo… niente andrà perduto; di tutto sarete puniti anche di un desiderio cattivo. La vostra pena è l’inferno; che c’è perché Dio è giusto. – 3. C’È PERCHÈ DIO È BUONO. Di solito si dice che l’inferno non c’è perché Dio è buono e non può farci soffrire così. Ma io vi dico che appunto perché Dio è buono, l’inferno c’è. Un magnifico re, che aveva un unico figlio, una volta cominciò a voler bene anche al figliuolo di un suo schiavo, che non aveva nulla di suo, che viveva solo perché egli lo faceva vivere. Il gran re lo nutrì ogni giorno, lo arricchì, lo colmò di favori e arrivò perfino a chiamarlo suo figlio, a farlo erede d’ogni sua sostanza insieme all’unigenito suo. Questo figlio adottivo, un giorno malaugurato, commise un pessimo delitto e fu condannato a morte dalla giustizia. Il re non poteva andar contro giustizia. Era straziato dal dolore, eppure l’amava ancora. E in una follìa, che solo l’amore potrebbe spiegare, piuttosto che lasciar condannare lui — figlio di schiavo, che non aveva nulla di suo, che viveva solo perché egli lo faceva vivere — preferì veder morire il suo unigenito: l’innocente, E sopportò che questi patisse fame e stanchezza, obbrobrio e dolore, che fosse tradito, messo in croce. Tutto sopportò, pur che l’altro si salvasse. Non basta: l’amore non è ancor stanco. L’altro non si pente; salvato ritorna ancora al pessimo delitto. Il gran re lo segue per ogni via, gli perdona più volte, lo conforta. Inutilmente: eppure l’amore non è ancor stanco. Lo perseguita con rimorsi: lo fa avvisare dai suoi ministri; ma lo sciagurato s’abbandona al capriccio di tutte le sue passioni. Una volta annunciano al re che egli è malato da morire. Il re lascia ogni cosa e corre al suo capezzale e lo chiama: « Guardami in viso: sono io, il tuo Re, ma chiamami padre, che tu sei mio figlio. Guardami, son io ». E l’ingrato stringe i pugni, si nasconde nelle coltri, gli volta le spalle, e rantola nell’agonia: « Vattene! che non ti voglio ». Oh dite: che farà adesso l’amore? L’amore non corrisposto, o peggio tradito, è terribile nelle sue vendette. Ne potrebbe dire l’orgoglio umano qualcosa! Che farà allora il gran re con quell’ingrato? Che farà allora Dio col peccatore, poiché già tutti l’avete indovinato, il gran re è Dio e il figlio ingrato è il peccatore? Egli non ha più che la vendetta per salvare il proprio onore. Cadi, peccatore, cadi nel fuoco che non si spegne mai; cadi nel dolore che non ha fine, mai; cadi nell’inferno. L’inferno c’è perché Dio è amore, e guai a chi non lo ama. Con Lui non si scherza (Gal., VI, 7). Questo non è mio pensiero, ma è di S. Giovanni, ed io non ho fatto che ampliarlo: « Quis non timebit te, Domine, quia solus pius es? » (Apoc., XV, 4). Dobbiamo dunque temere Dio, appunto perché è buono. – Lisimaco, bruciato dalla sete, pur d’avere una tazza d’acqua fresca, onde placare quel tormento d’arsura, diede i suoi beni e il suo regno e la sua felicità in mano del nemico. E bevve. Dopo quella breve soddisfazione, mirando la tazza vuota, scoppiò in pianto. « Dii boni! quam ob brevem voluptatem amisi felicitatem summam ». « Un regno per una tazza d’acqua! la felicità di tutta la vita per il rinfresco d’una bevanda! Condannarmi a un fuoco eterno per liberarmi da un poco di sete! Che ho mai fatto… ». E cominciò a piangere che riempì di lacrime quella tazza che aveva vuotata d’acqua. Quando commettiamo il peccato, la pazzia di Lisimaco la ripetiamo noi. Per un breve piacere, per la soddisfazione momentanea d’una passione, perdiamo ogni merito, il paradiso, la somma felicità di goder Dio e ci condanniamo al fuoco eterno. Se così abbiamo fatto, giacché siamo ancora in tempo, riempiamo con le lacrime del pentimento la tazza del piacere, che abbiamo vuotata. Queste lacrime varranno a spegnere il fuoco che ci potrebbe tormentare nei secoli dei secoli.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVII: 7
Si ambulávero in médio tribulatiónis, vivificábis me, Dómine: et super iram inimicórum meórum exténdes manum tuam, et salvum me fáciet déxtera tua.

[Se cammino in mezzo alla tribolazione, Tu mi dai la vita, o Signore: contro l’ira dei miei nemici stendi la tua mano, e la tua destra mi salverà.]

Secreta

Hæc múnera, quǽsumus, Dómine, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, salutária nobis esse concéde.

[Concedi, o Signore, Te ne preghiamo, che questi doni, da noi offerti in onore della tua maestà, ci siano salutari.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 4-5
Tu mandásti mandáta tua custodíri nimis: útinam dirigántur viæ meæ, ad custodiéndas justificatiónes tuas.

[Tu hai ordinato che i tuoi comandamenti siano osservati con grande diligenza: fai che i miei passi siano diretti all’osservanza dei tuoi precetti.]

Postcommunio

Orémus.
Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et tuis semper fáciat inhærére mandátis.

[O Signore, l’opera medicinale del tuo sacramento ci liberi benignamente dalle nostre perversità, e ci faccia vivere sempre sinceramente fedeli ai tuoi precetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DEL SS. ROSARIO (2023)

Festa del S. Rosario della B. V. M. (2023)

Doppio di 2° classe – Paramenti bianchi

La festa odierna fu istituita da S. Pio V per ricordare la strepitosa vittoria riportata dai Cristiani sui musulmani a Lepanto il 7 ottobre del 1571, giorno in cui le numerose e diffuse confraternite del Rosario onoravano in modo particolare Maria SS. Sotto l’invocazione di Madonna del Rosario. Forma popolare di devozione e risultato d’una lunga evoluzione attraverso gli ultimi secoli del basso Medio evo, il Rosario – ad imitazione dei 150 Salmi del Salterio – consta di 150 Ave Maria, ogni decina delle quali è intercalata con un Pater e accompagnata dalla meditazione di uno dei principali episodi della vita di Gesù e di Maria. Questa forma altrettanto semplice che facile di preghiera, adatta anche ai meno colti, è divenuta una delle più care alla pietà privata, favorita ed arricchita da indulgenze da parte dei Papi. La festa odierna, celebrando una grande vittoria, celebra pure l’umile ma potente arma cui è dovuta: la preghiera e particolarmente quella del Rosario.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Confiteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat te ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beátæ Maríæ Vírginis: de cujus sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei.

[Rallegriamoci tutti nel Signore celebrando questo giorno di festa in onore della beata Vergine Maria! Della sua festa gioiscono gli angeli, e insieme lodano il Figlio di Dio]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, cujus Unigénitus per vitam, mortem et resurrectiónem suam nobis salútis ætérnæ præmia comparávit: concéde, quǽsumus; ut, hæc mystéria sacratíssimo beátæ Maríæ Vírginis Rosário recoléntes, et imitémur, quod cóntinent, et quod promíttunt, assequámur.

[O Dio, il tuo Unico Figlio ci ha acquistato con la sua vita, morte e risurrezione i beni della salvezza eterna: concedi a noi che, venerando questi misteri nel santo Rosario della Vergine Maria, imitiamo ciò che contengono e otteniamo ciò che promettono.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Prov VIII:22-24; VIII:32-35

Dóminus possédit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram. Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie. et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.
[Dall’inizio delle sue vie Iddio mi ha posseduta, dal principio dei tempi, prima di ogni opera sua. Fin dall’eternità io sono stata formata; dai tempi remoti, prima che la terra fosse. Ancora non c’era l’abisso, ma io ero già stata concepita. Or dunque, figlioli, ascoltatemi: beati coloro che custodiscono le mie vie. Ascoltate l’ammonizione e diventate saggi, e non vogliate disprezzarla. Beato l’uomo che mi ascolta, che veglia ogni giorno alle mie porte e custodisce la soglia della mia casa. Chi trova me, trova la vita: e dal Signore attingerà la salvezza.]

Graduale

Ps XLIV:5;11;12
Propter veritátem et mansuetúdinem et justítiam, et dedúcet te mirabíliter déxtera tua.
V. Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam: quia concupívit Rex spéciem tuam. Allelúja, allelúja.
V. Sollémnitas gloriósæ Vírginis Maríæ ex sémine Abrahæ, ortæ de tribu Juda, clara ex stirpe David. Allelúja.

[Per la tua fedeltà e mitezza e giustizia la tua destra compirà prodigi.
V. Ascolta e guarda, tendi l’orecchio, o figlia: il Re si è invaghito della tua bellezza.
Alleluia, alleluia.
V. Celebriamo la gloriosa vergine Maria, della discendenza di Abramo, nata dalla tribù di Giuda, nella nobile famiglia di Davide.
Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:26-38

In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elisabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, di nome Nazareth, ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe, della stirpe di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Mentre l’udiva, fu turbata alle sue parole, e si domandava cosa significasse quel saluto. E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre: e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». L’angelo le rispose, dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo il Santo, che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia ed è già al sesto mese, lei che era detta sterile: poiché niente è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola».]

OMELIA

Devozione della Chiesa per Maria.

(Dom Gueranger: l’Anno liturgico, Ed. Paoline, 1957)

La Liturgia nel corso dell’anno ci ha mostrato più volte che Gesù e Maria sono così uniti nel piano divino della Redenzione che si incontrano sempre insieme ed è impossibile separarli sia nel culto pubblico che nella divozione privata. La Chiesa, che proclama Maria Mediatrice di tutte le grazie, la invoca continuamente per ottenere i frutti della Redenzione che con il Figlio ha acquistati. Comincia sempre l’anno liturgico col tempo di Avvento, che è un vero mese di Maria, invita i fedeli a consacrarle il mese di maggio, ha disposto che il mese di ottobre sia il mese del Rosario e le feste di Maria nel Calendario Liturgico sono così numerose che non passa un giorno solo dell’anno, senza che Maria in qualche luogo della terra sia festeggiata sotto un titolo o sotto un altro, dalla Chiesa universale, da una diocesi o da un Ordine religioso. – La festa del Rosario: La Chiesa riassume nella festa di oggi tutte le solennità dell’anno e, con i misteri di Gesù e della Madre sua, compone come un’immensa ghirlanda per unirci a questi misteri e farceli vivere e una triplice corona, che posa sulla testa di Colei, che il Cristo Re ha incoronata Regina e Signora dell’universo, nel giorno del suo ingresso in cielo. Misteri di gioia che ci riparlano dell’Annunziazione, della Visitazione, della Natività, della Purificazione di Maria, di Gesù ritrovato nel tempio; Misteri di dolore, dell’agonia, della flagellazione, della coronazione di spine, della croce sulle spalle piagate e della crocifissione; Misteri di gloria, cioè della Risurrezione, dell’Ascensione del Salvatore, della Pentecoste, dell’Assunzione e dell’incoronazione della Madre di Dio. Ecco il Rosario di Maria. – Storia della festa: La festa del Rosario fu istituita da san Pio V, in ricordo della vittoria riportata a Lepanto sui Turchi. È cosa nota come nel secolo XVI, dopo avere occupato Costantinopoli, Belgrado e Rodi, i Maomettani minacciassero l’intera cristianità. Il Papa san Pio V, alleato con il re di Spagna Filippo II e la Repubblica di Venezia, dichiarò la guerra e Don Giovanni d’Austria, comandante della flotta, ebbe l’ordine di dar battaglia il più presto possibile. Saputo che la flotta turca era nel golfo di Lepanto, l’attaccò il 7 ottobre del 1751 presso le isole Echinadi. Nel mondo intero le confraternite del Rosario pregavano intanto con fiducia. I soldati di Don Giovanni d’Austria implorarono il soccorso del cielo in ginocchio e poi, sebbene inferiori per numero, cominciarono la lotta. Dopo 4 ore di battaglia spaventosa, di 300 vascelli nemici solo 40 poterono fuggire e gli altri erano colati a picco mentre 40000 turchi erano morti. L’Europa era salva. Nell’istante stesso in cui seguivano gli avvenimenti, san Pio V aveva la visione della vittoria, si inginocchiava per ringraziare il cielo e ordinava per il 7 ottobre di ogni anno una festa in onore della Vergine delle Vittorie, titolo cambiato poi da Gregorio XIII in quello di Madonna del Rosario. – Il Rosario: L’uso di recitare Pater e Ave Maria risale a tempi remotissimi, ma la preghiera meditata del Rosario come noi l’abbiamo oggi è attribuita a san Domenico. È per lo meno certo che egli molto lavorò con i suoi religiosi per la propagazione del Rosario e che ne fece l’arma principale nella lotta contro gli eretici Albigesi, che nel secolo XIII infestavano il sud della Francia.  La pia pratica tende a far rivivere nell’anima nostra i misteri della nostra salvezza, mentre con la loro meditazione si accompagna la recita di decine di Ave Maria, precedute dal Pater e seguite dal Gloria Patri. A prima vista la recita di molte Ave Maria può parere cosa monotona, ma con un poco di attenzione e di abitudine, la meditazione, sempre nuova e più approfondita, dei misteri della nostra salvezza, porta grandiosità e varietà. D’altra parte si può dire che nel Rosario si trova tutta la religione e come la somma di tutto il Cristianesimo. – Il Rosario è una somma di fede: Riassunto cioè delle verità che noi dobbiamo credere, che ci presenta sotto forma sensibile e vivente. Le espone unendovi la preghiera, che ottiene la grazia per meglio comprenderle e gustarle. – Il Rosario è una somma di morale: Tutta la morale si riassume nel seguire e imitare Colui, che è « la Via, la Verità, la Vita » e con la preghiera del Rosario noi otteniamo da Maria la grazia e la forza di imitare il suo divino Figliolo. – Il Rosario è una somma di culto: Unendoci a Cristo nei misteri meditati, diamo al Padre l’adorazione in spirito e verità, che Egli da noi attende e ci uniamo a Gesù e Maria per chiedere, con loro e per mezzo loro, le grazie delle quali abbiamo bisogno. – Il Rosario sviluppa le virtù teologali e ci offre il mezzo di irrobustire la nostra carità, fortificando le virtù della speranza e della fede, perché « con la meditazione frequente di questi misteri l’anima si infiamma di amore e di riconoscenza di fronte alle prove di amore che Dio ci ha date e desidera con ardore le ricompense celesti, che Cristo ha conquistate per quelli che saranno uniti a Lui, imitando i suoi esempi e partecipando ai suoi dolori. In questa forma di orazione la preghiera si esprime con parole; che vengono da Dio stesso, dall’Arcangelo Gabriele e dalla Chiesa ed è piena di lodi e di domande salutari, mentre si rinnova e si prolunga in ordine, determinato e vario nello stesso tempo, e produce frutti di pietà sempre dolci e sempre nuovi » (Enciclica Octohri mense del 22 settembre 1891). – Il Rosario unisce le nostre preghiere a quelle di Maria nostra Madre. « Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi poveri peccatori ». Ripetiamo con rispetto il saluto dell’Angelo e umilmente aggiungiamo la supplica della confidenza filiale. Se la divinità, anche se incarnata e fatta uomo, resta capace di incutere timore, quale timore potremmo avere di questa donna della stessa nostra natura, che ha in eterno il compito di comunicare alle creature le ricchezze e le misericordie dell’Altissimo? Confidenza filiale. Sì, perché l’onnipotenza di Maria viene dal fatto di essere Madre di Gesù, l’Onnipotente, e ha diritto alla nostra confidenza, perché è nello stesso tempo nostra Madre, non solo in virtù del testamento dettato da Gesù sulla Croce, quando disse a Giovanni: « Ecco tua Madre » e a Maria: « Ecco tuo figlio », ma ancora perché nell’istante dell’Incarnazione, la Vergine concepì, insieme con Gesù, tutta l’umanità, che Egli incorporava a sé. Membri del Corpo mistico di cui Cristo è il capo, siamo stati formati con Gesù nel seno materno della Vergine Maria e vi restiamo fino al giorno della nostra nascita alla vita eterna. Maternità spirituale, ma vera, che ci mette con la Madre in rapporti di dipendenza e di intimità profondi, rapporti di bambino nel seno della Madre. – Qui è il segreto della nostra divozione per Maria: è nostra Madre e come tale sappiamo di poter tutto chiedere al suo amore, perché siamo suoi figli! Ma, se la madre, appunto perché madre, pensa necessariamente ai suoi figli, i figli, per l’età, son facili a distrarsi e il Rosario è lo strumento benedetto che conserva la nostra intimità con Maria e ci fa penetrare sempre più profondamente nel suo cuore. Strumento divino il Rosario che la Vergine porta in tutte le sue apparizioni da un secolo in qua e che non cessa di raccomandare. Strumento della devozione cattolica per eccellenza, in cui l’umile donna senza istruzione e il sapiente teologo sono a loro agio, perché vi trovano il cammino luminoso e splendido, la via mariana, che conduce a Cristo e, per Cristo al Padre. Così considerato il Rosario realizza tutte le condizioni di una preghiera efficace, ci fa vivere nell’intimità di Maria e, essendo essa Mediatrice, suo compito è di condurci a Dio, di portare le nostre preghiere fino al cuore di Dio. Per Maria diciamo i Pater, che inquadrano le decine di Ave Maria, e, siccome quella è la preghiera di Cristo e contiene tutto ciò che Dio volle che noi gli chiedessimo, noi siamo sicuri di essere esauditi. – Maria nel compito di educatrice. Non si può eludere il carattere mariano di questa pagina dei Proverbi, obiettando che si applica al Verbo Incarnato e solo per accomodamento la Chiesa la riferisce alla Santa Vergine. La Chiesa non fa giochi di parole e la Liturgia non si diverte a far bisticci. Trattandosi di vite, che nel pensiero di Dio e nella realtà sono unite insieme, come le vite del Signore e della Madre sua unite nello stesso decreto di predestinazione, il senso accomodatizio è in sé e deve esserlo per noi uno degli aspetti multipli del senso letterale. « Giova a noi, per onorare Maria, considerarla agente della nostra educazione soprannaturale. Noi non siamo mai grandi per Dio, né per la nostra madre, né per la Madre di Dio. Come non vi è Cristianesimo senza la Santa Vergine così se l’amore di Dio non è accompagnato da un tenero amore per la Santa Vergine qualsiasi vita soprannaturale è in qualche modo mancante. « Maria è tutto quello che Essa insegnerà a chi l’ascolta e l’ama: l’esempio, la carità, l’influenza persuasiva… « Maria ha educato il Figlio ed educherà noi. Non si resiste ad una Madre » (Dom Delatte, Omelie sulla Santa Vergine, Plon, 1951). – Parole benedette. Il Vangelo è quello del Santo nome di Maria del 12 settembre. È il Vangelo dell’Incarnazione del quale rileggiamo volentieri le parole. Parole benedette perché  vengono da Dio: L’Angelo infatti ne è soltanto il messaggero; parole e messaggio gli sono stati affidati da Dio. Parole benedette perché vengono da Maria, che, sola, poté riferire con ferma precisione di dettagli, che rivelano un testimonio e una esperienza immediata. – Messaggio di gioia. « Questo messaggio è un messaggio di gioia. La gioia mancava nel mondo da molto tempo: era sparita dopo il primo peccato. Tutta l’economia dell’Antico Testamento e tutta la storia dell’umanità portavano un velo di tristezza, perché era continuamente presente all’uomo la coscienza di una inimicizia nei suoi rapporti con Dio, che doveva ancora essere espiata. Il messaggio è preceduto da un saluto pieno di gioia e da una parola pacifica, carezzevole: Ave. Questo Ave, primo elemento del messaggio, detto una volta, verrà poi ripetuto per l’eternità. – La fede di Maria. « La fede di Maria fu perfetta e non dubitò della verità divina neppure nel momento in cui chiedeva all’Angelo come si poteva compiere il messaggio. Gabriele rivelò il modo verginale della concezione promessa, sollecitando il consenso della Vergine per l’unione ipostatica, perché, per l’onore della Vergine e per l’onore della natura umana. Dio voleva avere da Maria il posto che avrebbe occupato nella sua creazione. E allora fu pronunziata con libertà e con consapevolezza la parola, che farà eco fino all’eternità: « Io sono l’umile ancella del Signore: sia fatto secondo la sua volontà » (Dom Delatte. Opere citate). – Preghiera alla Vergine del Rosario. Ti saluto, o Maria, nella dolcezza del tuo gioioso mistero e all’inizio della beata Incarnazione, che fece di te la Madre del Salvatore e la Madre dell’anima mia. Ti benedico per la luce dolcissima che hai portato sulla terra. O Signora di ogni gioia, insegnaci le virtù che danno la pace ai cuori e, su questa terra, dove il dolore abbonda, fa’ che i figli camminino nella luce di Dio affinché, la loro mano nella tua mano materna, possano raggiungere e possedere pienamente la meta cui il tuo cuore li chiama, il Figlio del tuo amore, il Signore Gesù. Ti saluto, o Maria, Madre del dolore, nel mistero dell’amore più grande, nella Passione e nella morte del mio Signore Gesù Cristo. Unendo le mie lacrime alle tue, vorrei amarti in modo che il mio cuore, ferito come il tuo dai chiodi che hanno straziato il mio Salvatore, sanguinasse come sanguinano quelli del Figlio e della Madre. Ti benedico, o Madre del Redentore e Corredentrice, nel purpureo splendore dell’Amore crocifisso, ti benedico per il sacrificio, accettato al tempio ed ora consumato con l’offerta alla giustizia di Dio, del Figlio della tua tenerezza e della tua verginità, in olocausto perfetto. Ti benedico, perché il sangue prezioso che ora cola per lavare i peccati degli uomini, ebbe la sua sorgente nel tuo Cuore purissimo Ti supplico, o Madre mia, di condurmi alle vette dall’amore che solo l’unione più intima alla Passione e alla morte dell’amato Signore può far raggiungere. Ti saluto, Maria, nella gloria della tua Regalità. II dolore della terra ha ceduto il posto a delizie infinite e la porpora sanguinante ti ha tessuto il manto meraviglioso, che si addice alla Madre del Re dei re e alla Regina degli Angeli. Permetti che levi i miei occhi verso di te durante lo splendore dei tuoi trionfi, o mia amabile Sovrana, e diranno i miei occhi, meglio di qualsiasi parola, l’amore di figlio, il desiderio di contemplarti con Gesù nell’eternità, perché tu sei Bella, perché sei Buona, o Clemente, o Pia, o Dolce Vergine Maria.

IL CREDO

Credo.

Offertorium

Orémus.
Eccli XXIV:25; Eccli XXXIX:17
In me grátia omnis viæ et veritátis, in me omnis spes vitæ et virtútis: ego quasi rosa plantáta super rivos aquárum fructificávi

[In me ogni grazia di verità e dottrina in me ogni speranza di vita e di forza. Sono fiorita come una rosa, piantata lungo i corsi delle acque].

Secreta

Fac nos, quǽsumus, Dómine, his munéribus offeréndis conveniénter aptári: et per sacratíssimi Rosárii mystéria sic vitam, passiónem et glóriam Unigéniti tui recólere; ut ejus digni promissiónibus efficiámur:

[Rendici degni, Signore, di offrirti questo sacrificio: e concedi che, venerando nel santo rosario i misteri della vita, passione e gloria del tuo unico Figlio, diventiamo partecipi dei beni da lui promessi]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Beata Maria Virgine

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitate beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festivitate della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Floréte, flores, quasi lílium, et date odórem, et frondéte in grátiam, collaudáte cánticum, et benedícite Dóminum in opéribus suis.

[Fiorite, come gigli, o fiori, date profumo, spandetevi in bellezza: cantate in coro la lode divina e benedite Dio nelle sue opere.]

Postcommunio

Orémus.
Sacratíssimæ Genetrícis tuæ, cujus Rosárium celebrámus, quǽsumus, Dómine, précibus adjuvémur: ut et mysteriórum, quæ cólimus, virtus percipiátur; et sacramentórum, quæ súmpsimus, obtineátur efféctus:

[Ci aiutino, Signore, le preghiere della tua santissima Madre, nella festa del suo rosario: concedi a noi di sentire l’efficacia dei misteri che veneriamo, e di ottenere il frutto dei sacramenti che abbiamo ricevuto:]

I SERMONI DI PADRE CAMPBELL 1/10/2023 – XVIII Domenica dopo Pentecoste.

Padre Louis Campbell –
Diciottesima domenica dopo Pentecoste


Il banco vacante

Sermone del 1° ottobre 2023, Santuario di San Giuda, Stafford, Texas


Oggi, la diciottesima domenica dopo Pentecoste, era conosciuta in passato come “domenica vacante”, perché la Messa utilizzata era quella del giorno precedente, di solito il sabato di settembre, uno dei giorni in cui si celebravano le ordinazioni dei minori e dei maggiori. In un secondo momento è stata inserita nel Messale una nuova Messa, che è quella che di solito viene celebrata oggi. Ma questo era il giorno in cui i sacerdoti appena ordinati celebravano la loro prima Messa. – Con un pensiero così felice in mente dobbiamo allo stesso tempo lamentarci del fatto che il sacerdozio oggi sta attraversando una valle oscura. Piuttosto che atleti spirituali che si sforzano come San Paolo di vincere la gara, molti sacerdoti, soprattutto i “sacerdoti” del novus ordo formati negli attuali seminari, sono più simili al paralitico del Vangelo di oggi. Non sono in grado di parlare chiaramente o di dare una direzione chiara al gregge perché sono prigionieri di una mentalità mondana. Sono motivati dallo spirito sbagliato – lo spirito della rivoluzione, che è quello che è realmente lo “spirito del Vaticano II”. Purtroppo, sono stati inghiottiti dalla rivoluzione perché non sono disposti o non sanno come combatterla, perché “la Rivoluzione divora i suoi figli”. La santa monaca agostiniana Anna Katherine Emmerich forse guardava in avanti, in una visione, al tempo del Vaticano II quando riferiva: “Tra le cose più strane che ho visto, c’erano lunghe processioni di vescovi. I loro pensieri e i loro discorsi mi venivano resi noti attraverso immagini che uscivano dalle loro bocche. Le loro colpe verso la religione erano mostrate da deformità esterne. Alcuni avevano solo un corpo, con una una nuvola scura di nebbia al posto della testa. Altri avevano solo la testa, i loro corpi e i loro cuori erano come vapori densi. Alcuni erano zoppi, altri paralitici, altri ancora addormentati o barcollanti. Io ho visto quelli che ritengo essere quasi tutti i vescovi del mondo, ma solo un piccolo numero era perfettamente sano” (Y. Dupont, Catholic Prophecy, p. 68). – Quando ero un giovane sacerdote ero tra quelli divorati dalla Rivoluzione. Probabilmente ero uno di quelli con una nuvola al posto della testa. All’inizio degli anni Ottanta fui inviato dal mio Ordine all’Istituto di Formazione Religiosa di St. Louis, dove affluivano altri sacerdoti, suore e fratelli religiosi provenienti da tutto il mondo. Si trattava di un programma per coloro che erano coinvolti nella formazione dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa. Attraverso varie sessioni di sensibilità da parte di vari “esperti” di profili di personalità, del Giornale di Progoff, dell’Enneagramma e di altri programmi basati sulla psicologia junghiana, sulla teologia della liberazione o sulle religioni non cristiane, siamo stati programmati per essere “utili idioti” per la Rivoluzione. Da lì siamo stati mandati nei seminari, nei conventi e nei noviziati di tutto il mondo, pronti a fare, a nostro turno, delle vittime innocenti, molte delle quali ora insegnano nei seminari o nelle scuole cattoliche, o predicano nelle parrocchie a vittime altrettanto ignare della Rivoluzione. – Uno dei commenti di suor Emmerich: “La maggior parte dei sacerdoti è stata attirata dalla scintillante ma falsa conoscenza dei giovani insegnanti di scuola, e tutti hanno contribuito all’opera di distruzione” (Ibid., p. 68). Ne vediamo i tristi risultati quando i cattolici fuggono come agnelli dai lupi. È davvero la “Domenica Vacante” in molte parrocchie. Quelli che sono rimasti, a meno che non siano sotto la speciale protezione di Dio, si stanno trasformando in figli della Rivoluzione, che non saranno in grado di resistere alle attrattive del mondo e periranno con esso. Dovreste rendervi conto che potreste essere stati derubati come un gregge di pecore innocenti ed indifese, e che i vostri pastori, “guide cieche dei ciechi”, stanno conducendo i loro seguaci verso il precipizio, e la maggior parte dei quali non è nata per essere predatrice, ma è stata rovinata dai rivoluzionari… Che possano ancora essere guariti dal Pastore misericordioso. – Il rimedio per questa terribile paralisi spirituale che affligge molti dei nostri leader religiosi, vescovi ed aspiranti papi, ci viene dall’esempio di Gesù Cristo stesso. Una rivoluzione è una disobbedienza organizzata ad un ordine stabilito, con l’intenzione di rovesciarlo.. satana è il padre della rivoluzione contro l’ordine voluto da Dio. La sua disobbedienza ha introdotto il disordine tra gli Angeli ed in questa creazione attraverso la disobbedienza di Adamo ed Eva. L’eredità della rivoluzione del Vaticano II è che la disobbedienza e il disordine regnano in quella che passa per la “Chiesa”. Ma coloro che sono obbedienti, sull’esempio di Cristo obbediente, daranno il colpo di grazia alla Rivoluzione. Obbedienti, però, a coloro che hanno un’autorità legittima, non ai lupi travestiti da pecore. – “Abbiate in voi questa mente che era anche in Cristo Gesù”, dice San Paolo, “che, pur essendo per natura Dio, non considerò l’essere uguale a Dio ma svuotò se stesso, assumendo la natura di schiavo e facendosi simile agli uomini. E, apparso in forma di uomo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce” (Fil2,5-8). Senza obbedienza non c’è progresso nella vita spirituale. Abramo era disposto a obbedire a Dio fino al punto di sacrificare suo figlio Isacco, affinché Dio gli promettesse una discendenza numerosa come le stelle del cielo o le sabbie del mare. Allo stesso modo, l’obbedienza a Dio ed a coloro che Egli ha posto al di sopra di noi produce grazie e doni spirituali altrettanto numerosi. Tutti noi dobbiamo praticare l’obbedienza secondo il nostro stato di vita. I bambini onorano il loro padre e la loro madre soprattutto attraverso l’obbedienza. Le mogli devono essere obbedienti ai loro mariti, dice la Parola di Dio. I mariti, in quanto capo famiglia, devono essere come Cristo obbediente. Tutti noi dobbiamo ascoltare la parola di Dio ed obbedirle. Eliminiamo la Rivoluzione! Diciamo con San Paolo: “Per questo anche noi abbiamo pregato per voi incessantemente… chiedendo che siate ricolmi di conoscenza della sua volontà, in ogni sapienza spirituale ed in ogni intelligenza. Che possiate camminare degnamente con Dio e piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio” (Col.1:9,10).

IDOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semìdoppio. – Paramenti verdi.

Questa Domenica, inserita nel Messale dopo il Sabato delle Quattro-Tempora, era anticamente libera. La liturgia della vigilia si prolungava, infatti, fino alla Domenica mattina, e quindi questo giorno non aveva Messa propria. La lezione del Breviario nella Domenica che segue le Quattro Tempora (4a Domenica di settembre) è quella del libro di Giuditta, che S. Ambrogio, nel 2° Notturno riporta a questo tempo di penitenza, attribuendo al digiuni e all’astinenza di quest’eroina la sua miracolosa vittoria. Per continuare il riavvicinamento che abbiamo stabilito fra il Messale e il Breviario, possiamo anche studiare la Messa del Sabato delle Quattro Tempora, che era anticamente quella di questa Domenica in rapporto con la storia di Giuditta. – Nabuchodonosor, re degli Assiri, mandò Oloferne, generale del suo esercito, a conquistare la terra di Canaan. Quest’ufficiale assediò la fortezza di Betulia. Ridotti agli estremi, gli assediati decisero di arrendersi nello spazio di cinque giorni. Viveva allora in questa città una vedova chiamata Giuditta, che godeva grande riputazione. « Facciamo penitenza per i nostri peccati disse ella, e imploriamo il perdono da Dio con molte lacrime! Umiliamo le anime nostre davanti a Lui e preghiamolo di farci sperimentare la sua misericordia. Crediamo che questi flagelli, con i quali Dio ci castiga, ci sono mandati per correggerci e non per rovinarci ». E questa santa donna entrò allora nel suo oratorio rivestita di cilicio e con la testa cosparsa di cenere si prostrò a terra davanti al Signore. Compiuta la sua preghiera, mise le sue vesti più belle ed uscì dalla città con la sua ancella. Sul far del giorno giunse agli avamposti dei Caldei e dichiarò che era venuta per dare i suoi nelle mani di Oloferne. I soldati la condussero dal generale che fu colpito dalla sua grande bellezza « che Dio si compiacque di rendere ancor più abbagliante, poiché aveva per scopo non la passione, ma la virtù ». Oloferne credette alle parole di Giuditta e offrì in suo onore un gran banchetto. Nel trasporto della gioia bevve con intemperanza maggiore del solito e oppresso del vino si distese sul letto e si addormentò. Tutti si ritirarono allora e Giuditta restò sola presso di lui. Ella pregò il Signore di dar forza al suo braccio per la salvezza di Israele; poi, staccata la spada appesa al capo del letto, tagliò coraggiosamente la testa di Oloferne, la consegnò all’ancella ordinandole di nasconderla nella borsa da viaggio e ambedue rientrarono a Betulia quella notte medesima. Quando gli Anziani della città appresero quello che Giuditta aveva fatto, esclamarono: « Benedetto sia il Signore, che ha creato il cielo e la terra! ». L’indomani la testa sanguinante di Oloferne venne esposta sulle mura della fortezza. I Caldei gridarono al tradimento ma, inseguiti dagli Israeliti, furono massacrati o messi in fuga. Quando il Sommo Sacerdote venne da Gerusalemme con gli Anziani per festeggiare la vittoria, tutti acclamarono Giuditta, dicendo: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la letizia di Israele, tu l’onore del nostro popolo ». S. Ambrogio, nel 2° Notturno della IV Domenica di Settembre commenta questa pagina della Bibbia dicendo: « Giuditta tagliò la testa ad Oloferne in forza della sua sobrietà ». Armata del digiuno, essa penetrò arditamente nel campo nemico. Il digiuno di una sola donna ha vinto le innumerevoli schiere degli Assiri ». La Messa del Sabato delle Quattro Tempora è piena di sentimenti analoghi. Le Orazioni implorano il soccorso della misericordia divina, appoggiandosi sul digiuno e sull’astinenza che ci rendono più forti dei nostri nemici. Perdonaci le nostre colpe, Signore, dice il l° Graduale. Vieni in nostro aiuto, o Dio nostro Salvatore; liberaci, per l’onore del nome tuo ». – « O Signore, Dio degli eserciti, continua il 2° Graduale, presta l’orecchio alle preghiere dei tuoi servi ». « Volgi il tuo sguardo, o Signore; sino a quando volti da noi la tua faccia? Aggiunge il 3° Graduale, abbi pietà dei tuoi servi ». — Le Lezioni fanno tutte allusioni alla misericordia di Dio verso il popolo, che ha fatto penitenza. Così parla il Signore degli eserciti: « Come ebbi l’intenzione di far del male ai vostri padri quando essi provocarono la mia collera, cosi in questi giorni ho avuto l’intenzione di fare del bene alla casa di Gerusalemme ». – Il racconto della liberazione del popolo ebreo dalla servitù assira per mezzo di Giuditta (nome che è il femminile di Giuda) dopo che essa ebbe digiunato è un’immagine della liberazione del popolo di Dio alla Pasqua, per mezzo di Gesù (della stirpe di Giuda) dopo la Quaresima. – Più tardi, allorché non si attese più la sera per celebrare il santo Sacrificio il Sabato delle Quattro Tempora, si prese per la 18° Domenica dopo Pentecoste, la Messa che era stata composta al VI secolo per la Dedicazione della Chiesa di San Michele a Roma e che fu celebrata il 29 settembre; infatti tutto il canto si riferisce alla consacrazione di una Chiesa. « Mi rallegrai quando mi dissero “Andremo nella casa del Signore” (Versetto All’Introito e Graduale). Mosè consacrò un altare al Signore, dice l’Offertorio. « Entrate nell’atrio del Signore e adoratelo nel Tempio Suo santo », aggiunge al Communio, e questa è una immagine del cielo ove affluiranno tutte le nazioni quando verrà la fine dei tempi indicata da questa Domenica e dalle seguenti che vengono alla fine del Ciclo. L’Alleluia è infatti quello delle Domeniche dopo l’Epifania, che annunziava l’ingresso dei Gentili nel regno dei cieli. L’Epistola parla di coloro che attendono la rivelazione di Nostro Signore al suo ultimo avvento; allora essi godranno eternamente, nella casa del Signore, la pace che, come dissero i Profeti, Egli accorderà a quelli che lo attendono (Intr., Graduale). Questa pace Gesù ce l’ha assicurata morendo sulla croce, che è il sacrificio vespertino. Questa pace e questo perdono noi lo godiamo già nella Chiesa, in grazia del potere accordato da Gesù ai suoi Sacerdoti. Questa Messa, che segue il sabato delle Ordinazioni fa infatti allusione anche al sacerdozio. Come il Salvatore, che esercitò il suo ministero e guarì l’anima del paralitico guarendone il corpo, quelli che sono ora stati ordinati Sacerdoti predicano la parola di Cristo (Epistola), celebrano il santo Sacrifizio (Offert.) e rimettono i peccati (Vangelo). E cosi preparano gli uomini a ricevere irreprensibili il loro divin Giudice (Epistola).

La predicazione evangelica è una testimonianza resa a Gesù Cristo. Quelli che l’accettano ricevono doni celesti in sovrabbondanza e possono attendere con fiducia l’avvento glorioso di Gesù alla fine dei tempi.

Giovanni Crisostomo così commenta la risposta data da Gesù agli Scribi che non gli riconoscevano la facoltà di perdonare i peccati: « Se non credete la potestà di rimettere le colpe, credete la facoltà di conoscere i pensieri, credete la virtù del sanare da malattie incurabili i corpi. Più facile sanare il corpo; ma giacché non credete alla maggiore meraviglia, ve ne mostrerò una minore ma aperta ai sensi.  »                                                                           

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Eccli XXXVI: 18
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël.

[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]

Ps CXXI: 1
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.

[Mi rallegrai per ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore].

Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël

[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Dírigat corda nostra, quǽsumus, Dómine, tuæ miseratiónis operátio: quia tibi sine te placére non póssumus.

[Te ne preghiamo, o Signore, l’azione della tua misericordia diriga i nostri cuori: poiché senza di Te non possiamo piacerti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor 1: 4-8
Fratres: Grátias ago Deo meo semper pro vobis in grátia Dei, quæ data est vobis in Christo Jesu: quod in ómnibus dívites facti estis in illo, in omni verbo et in omni sciéntia: sicut testimónium Christi confirmátum est in vobis: ita ut nihil vobis desit in ulla grátia, exspectántibus revelatiónem Dómini nostri Jesu Christi, qui et confirmábit vos usque in finem sine crímine, in die advéntus Dómini nostri Jesu Christi.

[“Fratelli: Io rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù; perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di scienza, essendosi stabilita solidamente in mezzo a voi la testimonianza di Cristo, in modo che nulla vi manca rispetto a qualsiasi grazia; mentre aspettate la manifestazione di nostro Signor Gesù Cristo, il quale vi manterrà pure saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo”.]

LE RICCHEZZE DEL CRISTIANESIMO.

Anche il lettore più zotico e disattento capisce subito che quando San Paolo afferma arricchiti in Gesù e per Gesù i Cristiani, arricchiti in tutti i modi, non parla di ricchezze materiali: il discorso dell’Apostolo si svolge su un piano diverso e superiore al piano della materia, che è il piano dello spirito. Però in quel piano la frase di San Paolo ha una verità, una esattezza matematica: N. S. Gesù col suo Vangelo ha, spiritualmente, arricchito l’umanità. C’è più vita al mondo e nella storia dopo di Lui, maggiore e migliore, più intensa e più alta. C’è più luce. La fede non è una barriera, un limite, è un progresso, uno slancio. Dove si ferma la ragione con la sua luce umana, comincia la fede con la sua luce divina, divina e umanizzata, messa per opera di Gesù, il Rivelatore, il Maestro, alla portata dell’umanità. Prima di Gesù c’è la filosofia, dopo Gesù accanto e oltre la filosofia c’è la Teologia. Prima c’è Dio — mistero — poi ci sono i Misteri di Dio. Il Cristiano sa tutto ciò che sapeva il pio pagano e sa molto di più. E anche il patrimonio di verità comuni, nella mente del Cristiano è più luminoso. Le stesse cose noi le sappiamo meglio. Meglio la sua grandezza, meglio la sua bontà, la giustizia così severa, la misericordia così grande. Il più umile Cristiano, sotto questo rispetto, è più avanti del più grande filosofo pagano. C’è una vita morale più ricca. Si vive nella sfera morale più intensamente, con maggiore severità e maggiore dolcezza. Nostro Signore ci ha tenuto ad affermare questa superiorità morale del Suo Vangelo sulla antica Legge, non discutendo neanche la superiorità della Legge mosaica sulla etica pagana. Sinteticamente ha detto che la giustizia, la bontà dei suoi seguaci, deve essere superiore a quella degli Scribi e dei Farisei. E ha specificato una serie di superiorità morali, spirituali. La parola nostra è più sincera, deve essere tersa come uno specchio. – Non bisogna solo non nascondere la verità delle parole, bisogna non velarla. La morale giudaica, salvo le apparenze, provvede ad evitare il male sociale, la morale cristiana va al fondo della realtà, mette l’anima nella luce e al contatto di Dio. Dove il Cristianesimo trionfa è nel regno della carità, dell’amore. Dopo N. S. Gesù c’è più amore al mondo, un amore più operoso. Chi li aveva mai neanche lontanamente sognati i miracoli della carità cristiana nell’inverno dell’età pagana? Cera a Roma la vestale; non c’era la Suora di carità. L’ha creata Gesù. Tra il paganesimo e il Cristianesimo, c’è la differenza dal verno alla primavera. Il nostro amore è più intimo. Non si benefica solo nel Cristianesimo, non si fa solo del bene, si fa del bene, perché si vuole bene. C’è la fratellanza dell’anima, oltre le divisioni sociali. Rimangono materialmente i poveri e i ricchi, ma poveri e ricchi non conta nulla; si è fratelli. La carità cristiana va oltre la divisione nazionale; ci sono ancora i greci, i romani, i barbari, ma greci, romani e barbari si sentono fratelli, si chiamano con questo bel nome, si amano con questo bel titolo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXXI: 1; 7

Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.

[Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore.]

Alleluja

V. Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. Allelúja, allelúja

[V. Regni la pace nelle tue mura e la sicurezza nelle tue torri. Allelúja, allelúja]

Ps CI: 16

Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. Allelúja.

 [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: e tutti i re della terra la tua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. IX: 1-8
“In illo témpore: Ascéndens Jesus in navículam, transfretávit et venit in civitátem suam. Et ecce, offerébant ei paralýticum jacéntem in lecto. Et videns Jesus fidem illórum, dixit paralýtico: Confíde, fili, remittúntur tibi peccáta tua. Et ecce, quidam de scribis dixérunt intra se: Hic blasphémat. Et cum vidísset Jesus cogitatiónes eórum, dixit: Ut quid cogitátis mala in córdibus vestris? Quid est facílius dícere: Dimittúntur tibi peccáta tua; an dícere: Surge et ámbula? Ut autem sciátis, quia Fílius hóminis habet potestátem in terra dimitténdi peccáta, tunc ait paralýtico: Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Et surréxit et ábiit in domum suam. Vidéntes autem turbæ timuérunt, et glorificavérunt Deum, qui dedit potestátem talem homínibus”.

[“In quel tempo Gesù montato in una piccola barca, ripassò il lago, e andò nella sua città. Quand’ecco gli presentarono un paralitico giacente nel letto. E veduta Gesù la loro fede, disse al paralitico; Figliuolo, confida: ti son perdonati i tuoi peccati. E subito alcuni Scribi dissero dentro di sé: Costui bestemmia. E avendo Gesù veduti i loro pensieri, disse: Perché pensate male in cuor vostro? Che è più facile, di dire: Ti sono perdonati i tuoi peccati; o di dire: Sorgi e cammina? Or affinché voi sappiate che il Figliuol dell’uomo ha la potestà sopra la terra di rimettere i peccati: Sorgi, disse Egli allora al paralitico, piglia il tuo letto e vattene a casa tua. Ed egli si rizzò, e andossene a casa sua. Ciò udendo le turbe s’intimorirono e glorificarono Dio che tanta potestà diede ad uomini].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LE ABITUDINI CATTIVE

Portavano a Lui perché lo guarisse un paralitico sul suo giaciglio. Il Maestro divino, davanti alla fede di quella povera gente, sentì l’anima sua piena di commozione e rivolse al malato delle parole piene di bontà: « Figliuolo! » lo chiamò, « confida: i tuoi peccati ti sono perdonati ». A queste parole, alcuni maligni cominciarono a pensare male, « Ma cosa crede di essere costui? Le sue parole sono bestemmia: Dio solo può cancellare i peccati ». E non s’accorgevano quegli uomini gretti che Gesù intanto leggeva i loro pensieri: « Perché  pensate male in cuor vostro? Secondo voi, è più facile perdonare i peccati o far camminare un paralitico? Ebbene, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha la potestà sopra la terra, di rimettere i peccati: sorgi! – gridò, volgendosi all’infermo, – prendi il tuo letto e vattene a casa tua! »  Quegli si rizzò e, caricatosi sulle spalle il giaciglio, si diresse a casa: per tutta la folla passò un fremito di meraviglia. Qualcuno, a gran voce glorificava il Signore. Questo è il brano del Vangelo: deduciamo alcune riflessioni per l’anima nostra.  Il male che affliggeva il povero paralitico io lo assomiglio al male che affligge molte anime: l’abitudine cattiva. Osservate quanto è vero. Il paralitico da solo non poteva fare un passo: ma anche quelli che si trovano da anni e anni irretiti nelle abitudini peccaminose non sanno più muovere un passo sulla via del bene. Essi si lasciano trasportare dalle passioni, come una fragile barchetta senza remi da una rapace fiumana. Non una preghiera sincera, non più un proposito efficace, non più uno sforzo per uscire dal terribile stato in cui ogni giorno affondano maggiormente. Il paralitico notte e dì giaceva sul letto duro: anche l’abitudine cattiva è un letto duro per i disgraziati che vi giacciono. Capiscono che rovinano la propria anima, quella degli altri, dissipano magari la salute e la sostanza, trascurano la moglie e i figli: capiscono e soffrono ma una fune invisibile li tiene legati al vizio. Una fune non di ferro né di corda, ma formata dalla loro volontà, quella volontà che hanno ceduto al demonio perché ne facesse le catene d’imprigionare la loro anima (S. Ag. Conf., VIII, 5). Il paralitico fu guarito, non per i propri meriti, ma per la fede che era negli altri; così è ben difficile che chi vive in abitudine cattiva possa guarire, se qualche persona buona tra i parenti e gli amici non prega per lui e non lo conduce con dolcezza ai Sacramenti dove troverà Gesù che gli dirà: « Sorgi e cammina! ». Ma il danno più grave che l’abitudine cattiva cagiona nell’uomo è quello di sconvolgerlo così che la sua anima non capisce più il bene, non sente più nessun affetto per ciò che è nobile e soprannaturale, non conosce più nemmeno Iddio che l’ha creata. Questo è il primo pensiero. Esaminiamo poi la nostra coscienza: e se, Dio non voglia, siamo proprio anche noi travolti da qualche abitudine cattiva, con uno sforzo eroico corriamo ai rimedi per guarire. – 1. L’ABITUDINE CATTIVA SCONVOLGE TUTTA L’ANIMA NOSTRA a) Non capisce più i suoi eterni interessi: Un padre visitava una fiera con la sua figliuola; nel trambusto, nella folla, nel clamore smarrisce la figlia. Subito la cerca; la fa cercare; senza utilità. Passarono quattro anni: quattro lunghi anni di trepidazione, di attese, di speranze e di accascianti delusioni. Finalmente, passando per Londra, scorge sopra un palco di lottatori una fanciulla. Non ha dubbio alcuno: è sua figlia. Penetra nel palco… « Figlia mia! » le dice; ma la piccina, guasta per la dimora prolungata coi saltimbanchi, contaminata dai loro cattivi discorsi, già aveva dimenticato la sua prima infanzia: aveva dimenticato la sua casa tiepida e linda, il riso delle sue sorelle, i baci della mamma che sempre l’aspettava e piangeva; aveva dimenticato perfino il volto di suo padre. E non lo riconobbe più. « Voi, mio padre? » rispondeva. « Indietro: non vi conosco! ». « Bimba mia! » le diceva l’infelice signore col cuore spezzato, « bimba mia, guardami in viso: non ti ricordi più di quando ti cullavo sulle ginocchia, di quando ti compravo i balocchi, di quel giorno fatale in cui ti condussi alla fiera? ». « No, no! » insisteva la fanciulla. « Con voi non voglio venire: il mio vero padre è questo qui ». E accennava un sinistro ciarlatano, che voleva intervenire per non lasciarsi sfuggire la preda! (Mons. DE SÉGUR Semplici storie). Quante volte accade così all’uomo come a quella fanciulla! Attirato da una gioia di bassi istinti, ingannato dal demonio, grande ladrone di anime, abbandona la dolce casa di famiglia, perde l’amicizia del Padre che sta nei cieli. Divenuto preda delle passioni, a poco a poco si abitua a convivere con loro; fatto schiavo dal demonio, e poco a poco si persuade di esserne il suo servitore. Dio va a cercarlo: moltiplica gli appelli, ripete gl’inviti: « Figliuolo, eccomi, sono Io: tuo Padre, te ne supplico! Oh, se sapessi quanto io bramo di riaverti come mio figliuolo! » Ma l’uomo, abituato nei peccati, non capisce più niente, non riconosce più la voce di Dio, non sa più d’avere un’anima; e con la sua condotta risponde al Signore: « Non so nemmeno chi tu sia: a me piace fare la mia volontà, il mio padrone è il demonio ». Suo padrone è il demonio?… E non sa più che da Dio è stato creato, che da Gesù Uomo-Dio è stato redento, che a Dio deve ritornare per essere giudicato? E non sa più che il demonio, è il nemico acerrimo dell’uomo, e che le sue passioni lo precipiteranno nell’inferno per tutta un’eternità di tormenti e di paure? b) Non capisce più nemmeno i suoi interessi temporali: Ecco un uomo abituato nella passione del gioco: ha sperperato così l’eredità de’ suoi poveri genitori, ha rovinato l’avvenire a’ suoi figliuoli, ha già fatto debiti; eppure gioca ancora. Prevede che i creditori tra poco lo assalteranno, e non potendo pagare sarà chiamato in tribunale; eppure gioca ancora. Tutti già sussurrano di lui, il suo onore e quello della famiglia è già intaccato, eppure gioca ancora. – Ecco un uomo abituato nella passione del bere: ogni domenica, ed anche più spesso, nella casa avvengono scene ributtanti. Egli torna dall’osteria dove ha sciupato il guadagno di molti giorni; entra in casa in uno stato pietoso; gli occhi stravolti, la persona scomposta e dondolante, parole insensate, bestemmie orribili. I figlioletti hanno paura del loro padre e si nascondono vicino alla mamma che tace e piange. Come farà quella famiglia a prosperare? Come farà quell’infelice a guadagnare se le continue ubriacature gli bruciano lo stomaco e dànno a tutte le sue membra un tremito nervoso? Come cresceranno quei figliuoli sotto l’influsso degli esempi paterni? Forse, dopo l’ebbrezza, queste cose le pensa, e pensa a qual calvario condanna la sua sposa; eppure, si è formato una tale abitudine a cui non è più possibile resistere. – Ecco un uomo abituato nella passione dell’impurità: tutto il giorno la sua mente freme sotto il soffio di mille demoni; i suoi occhi non sono mai custoditi; la sua lingua è un carbone d’inferno. La sua anima è discesa al livello dei bruti; i suoi interessi vanno male, ma egli pensa ben altro. La sua famiglia soffre, ma egli non ha più cuore per i nobili affetti. L’abitudine cattiva l’ha sommerso nel fango, e non ricorda più nemmeno se esiste il cielo. Ecco un uomo abituato nella passione dell’avarizia; non dorme, non mangia abbastanza. Sempre in ansietà, è pronto nel ghermire l’altrui, è lento nel concedere il proprio. Non un’elemosina ai poveri, non una beneficenza alle opere pie, non un suffragio a’ suoi morti. Trascura perfino la doverosa educazione dei figli, a cui non concede nemmeno il necessario per vestirsi: è schiavo del danaro. E dopo una vita di stenti sanguinosi, le ricchezze accumulate di chi saranno? Non importa: alla sua passione non può dire di no. – 2. RIMEDI CONTRO LE ABITUDINI CATTIVE. Quello strambo filosofo ch’era Diogene, un giorno, prese un uomo che aveva la cattiva abitudine di rubare, cominciò a sgridarlo e a dimostrargli il male che commetteva e la necessità di correggersi. Per caso, passò da quelle parti un amico del filosofo che gli chiese: « Diogene! che stai dicendo, che parli con tanto calore? ». Il filosofo rivolse uno sguardo all’amico passante e gli disse: « Sto lavando la faccia al moro ». Io non sono così pessimista come l’antico sapiente, ma sono persuaso che non sia cosa facile correggersi da un’abitudine cattiva. Come l’uccello s’accorge d’esser legato al filo quando tenta di volarsene via, così l’uomo si lascia impaniare dalla cattiva abitudine senza accorgersi, ma quando tenta di liberarsene si trova davanti a difficoltà gravissime. E prima di tutto bisogna vincere le difficoltà che il demonio suscita contro quelli che vogliono ricominciare una vita nuova. Quel gran monte a cavaliere del Lazio aspro e della ridente Campania per molti anni fu la sede degli dei bugiardi e del demonio: anche quando in tutta Italia il culto idolatrico era scomparso, là rimanevano ancora i boschetti sacri a Venere e il simulacro d’Apollo. Un giorno su quel monte salì una compagnia d’uomini vestiti di nero, cinti di cuoio: erano S. Benedetto e i suoi primi compagni, i quali a colpi di scure, cantando inni di gloria al Cristo vittorioso, rovesciarono ogni residuo di paganesimo. Si dice che mentre i monaci lavoravano, il demonio escogitava le sue vendette. Una volta mentre rovesciavano un idolo dal suo piedestallo, si destò tutto intorno una fiamma gagliarda che minacciava di incendiare la montagna. Un’altra volta, massi ciclopici, ruinavano giù dalla vetta, schiacciando ogni cosa, e rintronando spaventosamente. I monaci inorriditi fecero per fuggire, ma S. Benedetto tranquillo li arrestò e li incoraggiò con la preghiera. O Cristiani, quando il monte della vostra anima l’avete lasciato in possesso dell’idolo per anni e anni: quando avete permesso al demonio di rizzare dentro di voi un piedistallo per esservi adorato; quando nel vostro cuore avete lasciato che l’impurità impiantasse i suoi boschetti, non meravigliatevi se al momento in cui prenderete la scure per abbattere in voi il regno del demonio, questi vi abbia a spaventare per non lasciarsi sfuggire una preda che già credeva sua. E saranno incendi di passioni che si svilupperanno al primo tentativo di conversione; e saranno macigni che rotoleranno contro l’anima vostra ad abbatterla ogni volta che tenterà di alzarsi dal vizio e dal fango. Ed anche a noi mancherà il coraggio come ai primi monaci benedettini alla conquista di Montecassino. Non disperiamoci. Non è facile vincere una abitudine cattiva, ma non è neppure una cosa disperata come lavare la faccia al moro. Non importa, se qualche volta ricadremo: il Signore, quando c’è tutta la buona volontà e lo sforzo, sa compatire e aiutare maggiormente. Vinti gli inganni del demonio, attacchiamoci alla preghiera con quella bramosia con cui il naufrago s’attacca alla tavola della salvezza: La preghiera è il cibo dell’anima nostra, e come il corpo che non mangia s’indebolisce e muore, così l’anima che non prega s’indebolisce e soccombe. Il demonio è molto più astuto e più forte di noi; ma se preghiamo, Dio scenderà al nostro fianco: e se Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Più necessaria ancora della preghiera, per quelli che vogliono liberarsi dall’abitudine cattiva è la frequenza ai sacramenti della Confessione e della Comunione: l’uno purifica e l’altro fortifica. Prima di farlo camminare, Gesù ha liberato il paralitico da’ suoi peccati: « Confida, figlio: i tuoi peccati ti sono rimessi ». Prima di muovere il primo passo sulla via del bene, bisogna liberarci dal fardello del male nella santa Confessione. La Comunione poi irrobustirà le nostre forze e ci renderà temibili anche al demonio. Infine bisogna agir contro all’inclinazione che l’abitudine cattiva ha formato in noi. Chi ha deviato dalla via giusta deve rifare in senso opposto tutta la strada sbagliata: così è pure nelle cose spirituali: « Age contra! ». Finora sei stato troppe indulgente col tuo corpo? da oggi incomincia a castigarlo con qualche mortificazione di occhi, di gola, di lingua. Finora sei stato troppo inclinato all’avarizia? da oggi sii più generoso coi poveri, con quelli che ti cercano aiuto e più giusto con te e con la famiglia. –  Dall’esercito Filisteo accampato contro i soldati di Saul, uscì fuori un terribile gigante, armato di placche di ferro dalla testa fino ai piedi: « Avanti — sfidò — venite a combattere con me! ». Ed ecco dalla parte d’Israele venire un giovanetto, senz’elmo, senza spada: soltanto portava il bastone, col quale tante volte aveva guidato sui pascoli il gregge e una piccola fionda con cinque pietruzze bianche; lui solo contro il gigante. Disse Goliath: « Sono io un cane, perché tu venga col bastone? Vieni e ti farò preda d’uccelli e di belve ». Disse David: « Tu hai spada, asta, scudo: io vengo inerme, però nel nome del Signore, Dio degli eserciti e Dio delle armate ». Dopo qualche tempo, un enorme troncone giaceva insanguinato sulla terra, ed un giovanetto correva verso il campo di Saul portando un capo mozzo, ancora grondante (1 Re, XVII). Se anche l’abitudine cattiva, — o del gioco, o del vino, o dell’avarizia, o della sensualità, o del furto — in cui siamo caduti è per noi terribile da vincere come un gigante armato, non scoraggiamoci! È vero che siamo deboli per natura e per peccato, ma se noi davvero vogliamo convertirci, il Dio degli eserciti, il Dio delle armate combatterà con noi e per noi, E vinceremo. — CARITÀ VERSO I PECCATORI. La malattia di quel poveretto era ben grave. Inchiodato in un letto, non poteva fare il minimo gesto, non sapeva muovere neppure un dito. Solo negli occhi aveva la vita, ma il corpo era immobile come un cadavere. Per guarirlo i medici non avevano nessun rimedio: perché nelle sue vene rifluisse la linfa vitale ci voleva la parola di Gesù che faceva i miracoli. Ma se non ci fossero stati quei buoni uomini a prenderlo e a portarlo a Gesù quell’infermo non si sarebbe certo mai più trovato col Maestro divino. Forse venivano anche da lontano perché se fossero stati tutti di Cafarnao avrebbero saputo che Gesù era partito con la barca e così non sarebbero andati, con quel peso, ad incontrarlo al porto, ma nella casa che Lo ospitava. Quanta carità in questi uomini che dimenticano per un giorno i loro interessi, la loro casa per curarsi di un loro fratello che ha bisogno di vedere Gesù e di essere da Lui veduto. Certo erano uomini di fede viva; perché uno che non crede a Gesù non farebbe neppure un passo, neanche il minimo sforzo per portare qualcuno da Lui. Dice anzi il Vangelo che il Signore rivolse la sua parola al malato quando vide la fede degli uomini che lo portavano e pregavano per lui. Io paragono alla malattia di quell’infelice lo stato deplorevole di quei Cristiani che sono morti alla grazia di Dio, se ne stanno lontani dalla Chiesa o vanno appena qualche rarissima volta forse più per superstizione che per spirito di fede. Oppure potremmo paragonare al paralitico del Vangelo di oggi i Cristiani che riguardo all’anima hanno quel poco di vita sufficiente per dire che non c’è la morte, ma non esiste un po’ di slancio per frequentare i Sacramenti, pregare di gusto, amare davvero il Signore. Ebbene, con questi Cristiani noi dobbiamo fare come gli uomini del Vangelo. Cioè se non abbiamo anche noi la stessa malattia, bisogna che li portiamo a Gesù col nostro buon esempio, bisogna che preghiamo il Signore con vivissima fede perché li guarisca. E non è forse vero che l’esempio trascina e che la preghiera è onnipotente? – 1. COL BUON ESEMPIO. Ai tempi di Nostro Signore Gesù Cristo, comandava da per tutto l’Impero Romano. I sudditi dovevano pagare ciascuno il proprio tributo secondo quello che possedevano, ma questo obbligo era diventato odioso a tutti per il modo con cui le tasse erano pagate. Alcuni ricchi coi loro danari compravano dal governo il diritto di ricevere i tributi di una determinata regione e tutti dovevano portare i denari a questi esattori che si chiamavano pubblicani. Gente, per lo più odiata da tutti perché liberi nei loro affari, senza nessuna sorveglianza delle autorità romane facevano grandi ingiustizie, succhiando il sangue alla povera gente che doveva tacere e pagare. Gesù che era venuto per evangelizzare i poveri e predicare la giustizia non poteva approvare questi disordini. Ora con la bontà e la mansuetudine, ora con la forza dei suoi rimproveri cercava di arrivare fino al cuore di quei pubblicani per convertirli alla giustizia ed all’amore. Ma tutti lo schivavano perché… seguire Gesù voleva dire rinunciare ai denari rubati, voleva dire aiutare i poveri, non pretendere di più di quanto era giusto. Questo costava fatica e nessun pubblicano si sentiva capace di compierlo. Un giorno però il Maestro passa vicino al banco di un pubblicano che stava proprio riscuotendo le tasse. Si chiamava Matteo. Gesù lo fissa in volto e gli dice: « Vieni dietro a me ». Il pubblicano senza esitare lascia tutto e si mette a seguire Gesù. Ed è così contento di stare con Lui che vuole imbandire un sontuoso banchetto in suo onore. E pensare che Gesù certamente da quell’uomo ha voluto una riparazione di carità, di elemosine per tutte le ingiustizie commesse in passato. Eppure, osservate: da quel momento i pubblicani si fanno coraggio, vincono la loro vergogna e cominciano a stare con Gesù. Vedete come era stato efficace l’esempio di Matteo! Sembrava dovesse essere da tutti compianto perché rovinava i suoi affari ed invece si è visto seguito da moltissimi altri. Cristiani, guardando attorno troviamo di quelli che possiamo paragonare al paralitico del Vangelo di oggi od ai pubblicani che pensano solo alle cose del corpo. Ma non mettiamoci in mente di far loro del bene con tante parole, con prediche lunghe o consigli studiati. Avviare un’anima alla conversione, alla grazia di Dio è dare a quest’anima la vita che le manca. Ora che possono dare la vita sono soltanto i vivi: un morto non può far nulla. Ci vuol dunque prima in noi la vita spirituale davvero vissuta, vita fatta di fedeltà assoluta ai propri doveri. Quando uno non manca mai alla Chiesa, frequenta con sincerità e fervore i Sacramenti, lavora con onestà, educa cristianamente i suoi figlioli, sta lontano dai divertimenti pericolosi, e rifugge da ogni discorso cattivo, e legge i giornali buoni questi vive la sua vita. Ebbene senza che egli se ne accorga, va gettando semi di bene in quelli che lo avvicinano, lo vedono, lo ascoltano. Soltanto in paradiso noi potremo comprendere bene tutta l’efficacia di una vita di buoni esempi. – 2. CON LA PREGHIERA. Tra i molti miracoli avvenuti a Lourdes v’è anche il seguente. Una giovane suora da parecchi giorni era gravemente inferma. Aveva già completamente perduto la vista ed ora cominciava ad irrigidirsi in una paralisi che le rendeva impossibile ogni movimento del capo e delle gambe. I medici dicevano tutti che il caso era disperato; per questo il sacerdote le aveva già amministrato gli ultimi Sacramenti. Ma in quell’Istituto c’erano delle anime che pregavano per la povera malata, c’erano soprattutto i piccoli innocenti che ogni giorno innalzavano al Cielo suppliche ardenti perché — se al Signore fosse piaciuto — la loro maestra riacquistasse la salute. Ed ecco che proprio quando tutto pareva perduto, quando la malata e le consorelle cominciavano già a pregare perché il giorno dell’Assunta fosse il giorno della dipartita da questa terra, una mano invisibile accarezza per tre volte quella fronte arsa dalla febbre. Credendo, perché non vedeva, che fossero state le suore a lei vicine a far le carezze, le pregò di desistere. Passano alcune ore e la inferma che dormiva è risvegliata da un’altra carezza sulla fronte e scorge distintamente la radiosa figura della Madonna, ammantata di celeste e cinta il capo di stelle, che si eleva soavemente magnifica dalla sponda del suo letto verso l’alto. La suora, fino allora immobile e cieca, si slanciava dal letto e alla suora infermiera che la tratteneva gridava: « Ho visto la Madonna! Ci vedo! Sono guarita ». Ed è così. Scomparsa la febbre, liberi i movimenti, nuovamente completa la vista. È impossibile descrivere la commozione di tutti, ma specialmente dei piccoli che avevano finalmente ottenuto la grazia implorata con tante preghiere. Cristiani, lo sa il Signore perché ha compiuto questo miracolo, ma io penso che la preghiera di tante anime deve aver fatto violenza sul Cuore di Dio. e penso anche a tanti ammalati nell’anima che camminano sull’orlo dell’inferno e pei quali ogni speranza di ravvedimento sembra perduta. Sono quelli che hanno abbandonato la Chiesa e i Sacramenti, sono quelli che bestemmiano come demoni e vivono pensando solo al corpo, senza un palpito per Dio e per l’anima. Questa è la vera infermità, la vera agonia, l’unico vero male. Solo il Signore è buono di portare un rimedio. Ma noi possiamo pregare, possiamo come quei piccoli innocenti forzare il Cuore di Dio a concedere un po’ di luce a quelli che sono ciechi, a dare un po’ di vita a quelli che sono morti. Ecco allora che, quando tutto sembra inutile, la mano invisibile di Dio e della Vergine comincia a toccare le menti riarse dalla febbre del peccato. È un pensiero di fede, un rimorso, una compagnia, una parola buona che si fa sentire e penetra in fondo al cuore. Dapprima forse non si vuole credere, ma poi… il Signore ottiene la vittoria completa. – Di quante conversioni e diciamo pure di quante santità raggiunte, la causa deve essere ricercata nelle preghiere, nelle immolazioni, nei sacrifici di anime sconosciute nei conventi o nelle case o nelle botteghe o nelle officine strappano a Dio i miracoli! – Ai primi Cristiani di Corinto, S. Paolo scriveva così: « Voi siete una lettera di Cristo » Che cosa voleva dire? Vedete, la lettera è fatta per esprimere ad uno lontano i nostri pensieri. Se Gesù dovesse scrivere una lettera agli uomini quali pensieri esprimerebbe? « Seguite la mia legge di amore, ascoltate le mie parole perché io sono stato mandato dal Padre a salvare i peccatori ed ora sto sempre davanti a Lui a pregare per voi ». Ebbene S. Paolo dice che noi, la nostra vita deve essere questa lettera, questa predica vivente col buon esempio e con la preghiera perché tutti si salvino.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod. XXIV: 4; 5
Sanctificávit Móyses altáre Dómino, ófferens super illud holocáusta et ímmolans víctimas: fecit sacrifícium vespertínum in odórem suavitátis Dómino Deo, in conspéctu filiórum Israël.

[Mosè edificò un altare al Signore, offrendo su di esso olocausti e immolando vittime: fece un sacrificio della sera, gradevole al Signore Iddio, alla presenza dei figli di Israele.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes éfficis: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.

[O Dio, che per mezzo dei venerandi scambii di questo sacrificio, ci rendi partecipi della tua sovrana e unica divinità, concedi, Te ne preghiamo, che, come conosciamo la verità, cosí la conseguiamo con degna condotta.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCV: 8-9
Tóllite hóstias, et introíte in átria ejus: adoráte Dóminum in aula sancta ejus.

 [Prendete le vittime ed entrate nel suo atrio: adorate il Signore nel suo santo tempio.]

Postcommunio

Orémus.
Grátias tibi reférimus, Dómine, sacro múnere vegetáti: tuam misericórdiam deprecántes; ut dignos nos ejus participatióne perfícias.

[Nutriti del tuo sacro dono, o Signore, Te ne rendiamo grazie, supplicando la Tua misericordia di renderci degni di raccoglierne il frutto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La storia di Tobia che si legge nell’Officio divino a questa epoca, coincide spesso con questa Domenica. Sarà dunque cosa utile, continuare a studiare la Messa in relazione col biblico racconto. Tobia sarebbe vissuto, sembra, sotto il regno di Salmanasar, verso la fine del secolo VIII prima di Cristo, al tempo della deportazione degli Israeliti in Assiria. Come Giobbe, questo santo personaggio, diede prova di costanza e di fedeltà a Dio in mezzo a tutte le sue afflizioni. « Non abbandonò mai la via della verità, distribuendo ogni giorno quanto poteva avere ai fratelli e a quelli della sua nazione, che con lui erano in prigionia e, quantunque egli fosse il più giovane nella tribù di Nephtali, nulla di puerile riscontravasi nei suoi atti ». I l Salmo dell’Introito può essergli applicato, poiché parla di un adolescente che fin dai suoi più teneri anni ha camminato nella legge del Signore. Fino dagli anni della sua fanciullezza, dice la Sacra Scrittura, « Tobia osservava ogni cosa conformemente alla legge di Dio. Sposata una donna della sua tribù, per nome Anna, ne ebbe un figlio cui diede il proprio nome e al quale insegnò fin dall’infanzia a temere Iddio e ad astenersi da ogni peccato. Condotto prigioniero a Ninive, Tobia di tutto cuore si ricordò di Dio, visitando gli altri prigionieri e dando loro buoni consigli, consolandoli e distribuendo a tutti del proprio avere, secondo quello che poteva. Nutriva chi aveva fame, vestiva quelli che erano nudi, e seppelliva con cura quelli che erano morti o che erano stati uccisi ». Dio permise che venisse cieco, affinché la sua pazienza servisse di esempio alla posterità come quella del sant’uomo Giobbe. « Avendo sempre temuto il Signore fin dalla sua infanzia ed avendo osservato i suoi comandamenti, non si rattristò contro Dio per essere stato colpito da questa cecità, ma rimase fermo nel timore di Dio, rendendogli grazie tutti i giorni della sua vita ». « Noi siamo figli dei santi, soleva dire, e attendiamo quella vita che Dio deve dare a coloro che non hanno mai cambiato la loro fede verso di Lui ». E poiché sua moglie insultava alla sua disgrazia, Tobia proruppe in gemiti e cominciò a pregare con lagrime (Allel.), dicendo parole che sono identiche a quelle dell’Introito: «Tu sei giusto, Signore, tutti i giudizi tuoi sono equi e tutti i tuoi disegni sono misericordiosi. Ed ora, o Signore, trattami secondo la tua volontà ». E, parlando a suo figlio Tobia, disse: « Figlio mio, abbi sempre in mente Dio tutti i giorni della tua vita, e guardati bene dall’acconsentire ad alcun peccato. Fa’ elemosina dei tuoi beni e non distogliere il tuo volto dal povero. Sii caritatevole in quel grado che puoi e quello che ti dispiacerebbe fosse fatto a te, guardati bene dal farlo ad altri ». Questo precetto dell’amore di Dio e del prossimo e la sua attuazione sono inculcati dall’Epistola e dal Vangelo: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, tutta l’anima tua e tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso » (Vang.). « Camminate in umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi a vicenda con carità, sforzandovi di mantenere l’unità di spirito nei vincoli della pace » (Ep.). Tobia mandò suo figlio presso Gabelo a Rages, sotto la guida dell’Arcangelo Raffaele. Per via, l’Angelo disse a Tobiolo di prendere un pesce che lo aveva voluto divorare e di serbarne il fegato per scacciare ogni specie di demoni e gli indicò inoltre il mezzo per prendere in moglie Sara, senza che il demonio, che aveva già uccisi i suoi primi sette mariti, potesse fargli del male. « Il demonio, spiegò l’Arcangelo, ha potere su coloro che nel contrar matrimonio bandiscono Dio dal loro cuore e ad altro non pensano se non a soddisfare la loro passione ». L’Orazione prega Iddio di dare al suo popolo la grazia di evitare i contatti diabolici, « affinché possa con puro cuore essere unito a te solo che sei il suo Dio ». « Come figli di Dio, noi non possiamo, dissero Tobia e Sara, sposarci come pagani, che non conoscono Dio », e « pregarono insieme istantemente il Signore che ha fatto il cielo e la terra, il mare, le sorgenti ed i fiumi con tutte le creature che contengono ». E Dio « benedisse il loro matrimonio, come aveva benedetto quello dei patriarchi, affinché essi avessero dei figli della stirpe di Abramo » (Graduale). Tobia ritornò con Sara e guarì suo padre dalla cecità e questi allora intonò un cantico di ringraziamento, una specie di Benedictus o di Magnificat, nel quale scoprì le grandiose aspettative messianiche: « Gerusalemme tu castigata per le sue opere malvagie, ma essa brillerà di fulgida luce e si rallegrerà nei secoli dei secoli. Dai lontani paesi verranno verso lei le nazioni, portandole delle offerte e adoreranno in essa il Signore. Maledetti saranno coloro che la disprezzeranno e quelli che la bestemmieranno saranno condannati. Beati, continua egli, coloro che ti amano! lo sarò felice se qualcuno della mia stirpe sopravvivrà per vedere lo splendore di Gerusalemme. Le sue porte saranno di zaffiri e di smeraldi e tutta la cinta delle sue mura sarà di pietre preziose. Tutte le pubbliche piazze saranno lastricate di pietre bianche e pure e nelle stradi si canterà: Alleluia. La rovina di Ninive è vicina, poiché la parola di Dio non resta senza effetto ». È questo il « cantico nuovo che troviamo nel Salmo del Graduale « Dio è fedele alla sua parola; Egli dissipa i progetti delle nazioni e rovescia i consigli dei principi. Beato il popolo che Egli ha scelto per suo retaggio. Palesa, o Signore, la tua misericordia su di noi, secondo la speranza che abbiamo posta in te ». E il Salmo del Communio aggiunge: « Dio ha infranto tutte le forze nemiche, i re superbi sono stati abbattuti e i loro eserciti distrutti. Offrite dunque sacrifizi di ringraziamento a questo Dio terribile », poiché, continua l’Offertorio, « Egli ha gettato uno sguardo favorevole sul popolo in favore del quale il suo Nome è stato invocato ». – Gerusalemme, ove il popolo di Dio regna e ove affluiscono tutte le nazioni per lodare il Signore, è il regno di Dio, è la Gerusalemme celeste. Tutti vi sono chiamati con una comune vocazione a formarvi « un solo corpo », la Santa Chiesa, che è una nuova creazione, dice S. Gregorio Magno, e che è animata da « un solo Spirito, una sola speranza, un solo battesimo e una sola fede in un solo Signore » (Epistola). È Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di David, che il « Dio unico e Padre di tutti gli uomini, ha fatto sedere alla sua destra fino al giorno in cui tutti i suoi nemici, vinti, saranno sgabello ai suoi piedi ». Questo Dio « sia benedetto nei secoli dei secoli » (Epistola). – L’unità della nostra fede, del nostro battesimo e delle nostre speranze, come pure dello Spirito Santo, di Cristo e di Dio Padre, dice S. Paolo, fa a tutti noi un dovere di essere uniti dai vincoli della carità, sopportandoci a vicenda.

Il comandamento di Dio di amare il prossimo è simile a quello che ci fa amare Dio, poiché è per amor suo che amiamo il prossimo. « Doppio è il comandamento, dichiara S. Agostino, ma una è la carità ». E per consolidare il suo insegnamento agli occhi dei farisei, Gesù Cristo dà loro, in un testo di David, una prova della sua divinità. Dobbiamo dunque, nella fede e nell’amore, essere uniti a Cristo Gesù. « Interrogato circa il primo comandamento, Gesù rivela il secondo, che non è inferiore al primo, facendo loro comprendere che lo interrogavano soltanto per odio, poichéla carità non è invidiosa » (I Cor. XIII, 4). Egli dimostra inoltre il suo rispetto per la legge ed i profeti. Dopo aver risposto, Cristo interrogò a sua volta, e dimostra che pur essendo figlio di David, ne è il Signore, essendo Egli il Figlio unico del Padre, e li spaventa dicendo che un giorno avrebbe trionfato su tutti coloro che si oppongono al suo regno, poiché Iddio farà dei suoi nemici sgabello ai suoi piedi. Con ciò dimostra la concordia e l’unione che esiste fra Lui e il Padre » (S. Giov. Crisostomo – Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps CXVIII: 137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]

Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secundum misericórdiam tuam.

[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio

Oremus.
Da, quǽsumus, Dómine, populo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 1-6

 “Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in sæcula sæculórum. Amen.”

[“Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi con carità scambievole, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un sol corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati a una sola speranza per la vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, che opera in tutti, che dimora in tutti. Egli sia benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.”]

LA VOCAZIONE.

Come sono solenni e dense di significato le poche battute con cui si apre il brano domenicale della Epistola agli Efesini! Vi scongiuro, — dice l’Apostolo, e perché lo scongiuro sia più efficace e commovente, si chiama prigioniero di Dio (in Dio), — a camminare degnamente in quella che è la vostra vocazione. E il pensiero corre subito alla «vocazione » di Cristiani, quali erano proprio e tutti i suoi primi, immediati lettori. C’è sotto alle parole dell’Apostolo, una grande, una nobilissima idea di questa vocazione cristiana. È Iddio che chiama i suoi figli dalle tenebre del paganesimo, dalla penombra della religione naturale, alla luce del Cristianesimo. Ogni Cristiano è un chiamato da Dio. Molti lo hanno dimenticato, lo dimenticano. Credono che l’essere Cristiani sia la cosa più naturale del mondo: che si nasca Cristiani come si nasce bimani o bipedi, che la vocazione sia un privilegio di pochi, e precisamente di quei pochi che si avviano al Sacerdozio, oppure entrano in un Monastero. Idee piccole e false. Dio ci ha chiamati, tutti e ciascuno, noi Cristiani alla Religione nostra, al Cristianesimo, al Vangelo che è e rimane una grazia! Ci vuole Lui Cristiani. Manda i Suoi apostoli a battezzarci, a istruirci, a convertirci. Nobilissima vocazione, perché Dio ci chiama nel Cristianesimo mercè del Battesimo, ci chiama ad essere suoi figlioli: «ut fili Dei nominemur et simus. » Basta pronunciare bene, sillabando, meditando, questa parola fili Dei, per capire l’altezza di questa dignità e la gravità degli obblighi che ne conseguono. Bisogna rendersi, in qualche modo, degni del nome e del carattere di figli, ricevuti nel Santo Battesimo, con la bontà delle opere. Bisogna vivere da figli di Dio; vivere veramente da buoni Cristiani. C’è qui tutto un programma, riassunto ancor più largamente nelle parole di un Santo Pontefice, grande anima romana e cristiana, San Leone Magno: — Riconosci, o Cristiano, la tua dignità, e, diventato partecipe della natura divina (non è forse il figlio della stessa natura del padre?) non volere con una condotta degenere tornare all’antica bassezza e viltà. — Sentiamola questa dignità di Cristiani oggi meglio d’allora, oggi dopo quasi duemila anni di esperienza, dopo che, con la loro vita, milioni di Santi e di Eroi, ci hanno mostrato che cosa può produrre di eroico il Vangelo in un’anima, in una società. Diventare Cristiani col Battesimo, oggi, vuol dire ricevere una eredità gloriosa di bene, inserirsi in una corrente luminosa, calda, satura di ciò che vi è al mondo di più sacro e più augusto. E ciò non toglie che ciascuno di noi abbia anche una vocazione, una destinazione, una destinazione provvidenziale in un altro senso. Perché ognuno è chiamato poi dal Padre a servirLo in modo speciale.

Nella Casa del Padre, ci sono molte mansioni, o funzioni, come in tutte le case bene ordinate, e ciascuno ha la sua, e tutte sono materialmente diverse ma tutte sono spiritualmente belle e nobili, perché nulla è ignobile nella casa del Padre Celeste, Iddio. E noi dobbiamo stare al nostro posto, fedeli e valorosi come soldati che montano la guardia, e lavorano, e combattono, sapendo di contribuire veramente a una sola, grande vittoria: la vittoria di Dio.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXII: 12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.

[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]

Alleluja

Verbo Dómini cœli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja

[Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]
Ps CI: 2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. XXII: 34-46

“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisæi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisæis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogare”.

[“In quel tempo, accostandosi i Farisei a Gesù, avendo saputo com’Egli aveva chiusa la bocca ai Sadducei, si unirono insieme: e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il gran comandamento della legge? Gesù dissegli: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge, e i profeti. Ed essendo radunati insieme i Farisei, Gesù domandò loro, dicendo: Che vi pare del Cristo, di chi è egli figliuolo? Gli risposero: di Davide. Egli disse loro: Come adunque Davide in ispirito lo chiama Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, sino a tanto che io metta i tuoi nemici per sgabello ai tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come è Egli suo figliuolo? E nessuno poteva replicargli parola; né vi fu chi ardisse da quel dì in poi d’interrogarlo”.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

CHE VE NE PARE DI CRISTO?

I sadducei e i farisei erano giunti a tentare Gesù. Il Maestro, con poche ma ardenti parole, ribatté ogni loro ragionamento, poi, Egli stesso rivolse a’ suoi tentatori una terribile domanda: « Che ve ne pare di Cristo? Di chi è Figlio? ». Qualcuno ardì rispondere: « Di Davide ». Gesù incalzò: « Di Davide, tu dici? Allora, e perché Davide lo chiama suo Signore? ». Più nessuno osò fiatare. A noi, venuti venti secoli dopo, il Maestro rivolge la medesima domanda: « Quid vobis videtur de Christo? ». Cosa che fa stupire: oggi, in cui si parla di fratellanza universale; in cui, senza filo, possiamo comunicare da un estremo altro della terra; in cui, sorpassato ogni confine di monte e di mare, l’uomo in poche ore vola sopra le nazioni e congiunge i continenti, basta rivolgere questa domanda: « che ve ne pare di Cristo » per mettere gli uomini in contraddizione tra loro. Aveva ragione, il candido vecchio che nel tempio aveva consumato la sua vita aspettando il Messia, quando, stringendolo tra le braccia, esclamava: « Ecco il segno della contraddizione: e molti avranno per lui la vita, e molti avranno per lui la morte ». Gesù stesso dirà di sé la medesima cosa: « Venni al mondo per un giudizio: quei che non hanno la vista l’acquisteranno, quei che hanno la vista la perderanno » (Giov. IX, 39). E voleva dire che le anime umili saranno da Cristo illuminate, mentre i superbi da lui saranno accecati. Il crocifisso che domina il mondo, che domina i troni e le potenze della terra, come già una volta sul Calvario è il segno della divisione. Chi lo bestemmia, chi lo ignora, chi lo contempla con amore. « Quid vobis videtur de Christo? ». A questa domanda gli uomini rispondono in un triplice modo: odio, ignoranza, amore. – 1. ODIO. Un giorno del 1797, un ufficiale, passando non lontano dalla città d’Aosta, incontrò nel fondo di una torre in rovina, un disgraziato che vi dimorava da anni, privo d’ogni compagnia. « Che fate qui? » disse il militare. « Sono gli uomini, che non mi possono vedere » gemette l’infelice. Dopo aver scambiate alcune parole, l’ufficiale gli domandò il suo nome. « Il mio nome? » rispose il solitario « ah, il mio nome è terribile. Mi chiamano il Lebbroso ». Cristiani! Io conosco qualcuno che fin nell’ultimo villaggio trascorre i suoi giorni nella solitudine, dove l’odio degli uomini cerca di confinarlo. Se domandate il suo nome, quello che un Angelo portò dal cielo per lui, è Gesù; ma in terra, l’hanno chiamato con un nome terribile: il Lebbroso. Tale, infatti, lo vide il profeta… putavimus eum quasi leprosum. (Is., LIII, 4). E della sua storia si può dire quanto l’ufficiale diceva di quello d’Aosta: « È una lacrima, una lacrima continua ». — In antico, quando all’alba un lebbroso si lasciava sorprendere presso l’abitato, tutti, urlando, lo cacciavano a sassate. Ed a sassate i nemici della religione hanno cercato d’allontanare Cristo dalla società. E lo hanno cacciato dai comuni, ove insegnava a reggere i popoli: e via l’hanno cacciato dalle scuole ove benediceva la crescente gioventù; e via l’hanno cacciato dai tribunali, ove insegnava la giustizia. Perfino dagli ospedali l’hanno cacciato via, dove gli infermi lo cercavano sulle squallide pareti perché lenisse il loro dolore. — In antico, quando un lebbroso s’avvicinava, per bisogno, agli uomini, doveva segnalare la sua venuta col suono della raganella, e chiunque lo udiva, correva lontano, temendo il contagio. Oggi, quando Gesù esce come Viatico dei morenti nelle vie dei nostri paesi, e il chierichetto davanti l’annunzia col suono del campanello, ecco ripetersi l’antica scena di obbrobrio; tutti fuggono, tutti deviano, tutti, se possono, si nascondono dietro i portoni, per non vederlo, per non salutarlo: il Lebbroso! — « Le mie delizie sono tra i figliuoli degli uomini » ha detto il Signore; ma i figliuoli degli uomini ripetono l’urlo di Voltaire: « schiacciamo l’infame »; e i figliuoli degli uomini l’hanno scomunicato dalla loro società. E Gesù è costretto a ritirarsi in solitudine, perché le bestemmie e il turpiloquio offendono pubblicamente le sue sante orecchie, perché una moda sfacciata e scandalosa, ad ogni passo, offende la sua purissima pupilla, quella che pur guardando convertiva i cuori; è costretto a ritirarsi dalle nostre case e dai nostri cuori perché sono diventati luoghi di peccato. « Quid vobis videtur de Christo? ». — Via! via! crucifiggilo — rispondono gli uomini. – 2. IGNORANZA. Quando Giovanni cominciò a battezzare sulle rive del Giordano, a tutti balenò il sospetto ch’egli fosse il Messia. I Giudei da Gerusalemme mandarono una legazione di sacerdoti e di leviti a interrogarlo. Ma il Battista rispose: « Ecco il Messia è già tra voi: e non lo sapete ». Medius vestrum stetit quem vos nescitis (Giov., I, 26). Questo è il rimprovero che meriterebbero ancora non pochi Cristiani. Dite a loro: « Che ve ne pare di Cristo? ». Sgranerebbero gli occhi come a rispondere: « E che ce ne importa? ». Vivono perciò nell’indifferenza della religione, e quando hanno soddisfatto alle brame del loro corpo, non desiderano più nulla. Cristo è venuto sulla terra e per trent’anni col suo esempio, e per tre anni con la sua parola ci ha istruiti: e ci ha detto chi è Dio e quanto ci ama e che vuole da noi e come si fa ad amarlo e servirlo. Ma gli uomini, che pur sanno tante e tante cose per il loro corpo, non sanno nulla per la loro anima. E non desiderano di sapere, anzi non vogliono sapere; e il solo pensiero di ascoltare una predica, una spiegazione della dottrina cristiana, li fa morir di noia. Ignorano Cristo, perché ignorano il suo Vangelo. Cristo è venuto sulla terra nostra e ha istituito mirabili sacramenti, tra cui il sacramento del perdono, che da colpevoli ci ritorna innocenti, da maledetti ci fa figliuoli di Dio. Ha pure istituito il sacramento che nutrisce l’anima di un cibo soprasostanziale, che fortifica e santifica: questo cibo è la carne stessa, il sangue vero di Cristo nell’Eucaristia. Eppure, gli uomini non lo sanno, non vengono mai a confessarsi, a comunicarsi; solo qualche volta all’anno, e malamente. Ignorano Cristo, perché ignorano i suoi sacramenti. Cristo è venuto sulla terra nostra debole e bambino avvolto in panni, Lui che è Dio d’eserciti; è venuto nel freddo e nelle tenebre, Lui che ha creato il sole ed ogni fuoco; e pativa fame e sete, Lui che ha cibo per ogni uccello dell’aria e per ogni giglio della valle. E poi si lasciò tradire, e volle essere umiliato, crocefisso. Eppure, gli uomini ignorano tutto questo, perché non amano che i piaceri dei sensi, le ricchezze del mondo, il cibo e le vesti. Ignorano Cristo, perché non sanno quanto Cristo ha patito per loro. Perciò ha detto bene S. Giovanni (I, 10) in principio del suo Vangelo: « In mundo erat et mundus eum non cognovit ». – 3. AMORE! Fortunatamente però ci furono e ci sono anime che alla domanda: « Quid vobis videtur de Christo », rispondono: « Amore ». Da quel giorno che Pietro ruppe in quel grido: « Tu sei il Cristo, Figlio di Dio, » una lunga schiera d’anime sante hanno saputo rendere a Cristo testimonianza vera, con sacrificio e con sangue, e soprattutto con amore. Furono dapprima i martiri che morivano per Lui; pallidi e sanguinanti, tra la vita e la morte, il loro ultimo palpito era, sempre l’amore di Cristo. È santa Caterina d’Alessandria che davanti ai sapienti parla di Gesù; e poiché tentavano di persuaderla ch’era follia, lei ricca e giovane, adorare un povero ed oscuro Nazareno, la coraggiosa fanciulla gridò: « Cristo è Dio; e chi crede in Lui vivrà anche se muore ». E porse il suo vergine corpo ai tormenti del martirio. Vennero poi i vergini e le vergini che per amore di Gesù, rinunziarono ad ogni amore terreno. È sant’Agnese che alla profferta di un giovane nobile e potente rispose ch’ella amava il Signore con tanta forza che più non le restava amor di creatura. È S. Filippo Neri che nella festa di Pentecoste fu preso da un impeto d’affetto così forte per Gesù Cristo, che il suo cuore non seppe contenersi e ruppe due coste. È S. Teresa che nel monastero d’Avila vide un serafino che le punse il cuore con un dardo d’oro dalla punta infuocata: e da quel giorno non visse che per celeste ardore. Desiderava di morir mille volte per convertire i peccatori; piangeva sulla iniquità degli uomini e si flagellava per ripararle; era insaziabile di dolore e ripeteva sotto i portici del chiostro: O patire o morire. In fine, consumata dal fuoco divino in Alba di Termez morì d’amore per Cristo. Anche ai nostri tempi vivono di queste anime generose e sante, e non sono appena frati e monache; ma anche giovani, come Domenico Savio che preferiva la morte ma non il più piccolo peccato; ma anche uomini, come il professore Contardo Ferrini che si ebbe gli onori dell’altare. E noi, noi che cosa ne pensiamo di Cristo? A parole, certo, tutti diciamo che è Figlio di Dio: ma coi fatti, con la vita nostra quotidiana, che cosa pensiamo di Cristo? – Nella notte della passione, il principe dei sacerdoti osò domandare a Cristo cosa egli pensasse di sé. « Ti scongiuro, per Dio vivo, se tu sei figlio di Dio, dillo! ». E Gesù rispose: « L’hai detto ». Allora il principe dei sacerdoti si stracciò i vestimenti. Cristo aggiunse: « Verrà giorno e mi vedrai, seduto alla destra di Dio, giudicare dalle nubi i vivi ed i morti ». In questa vita, come già l’ipocrita Caifa, possiamo pensare quel che vogliamo noi di Cristo. È libero calunniarlo; è libero avvoltolarci nella polvere e nel fango dei vizi, stracciare coi peccati la veste dell’anima che è la grazia santificante. Ma quando lo vedremo sulle nubi, nella maestà, tra gli Angeli, calare verso noi a giudicarci, che cosa potremo pensare di Lui, allora? — CHI È GESÙ CRISTO. Questa volta, con una domandetta, Gesù mette in imbarazzo i farisei ed i sapientoni della legge che erano venuti in frotta per tentarlo. « Che cosa pensate del Cristo — domandò il Maestro divino. — Di chi è figlio? « Di Davide. — risposero ad una voce. — È un discendente della stirpe di Davide ». « Ditemi, allora — soggiunse Gesù, — se è figlio di Davide, perché Davide, pensando a lui non ancor nato, lo ha chiamato: mio Signore? ». Tutti tacevano smarriti nella difficoltà, che non era difficoltà da poco: un monarca indipendente, come era Davide, non riconosceva nessun signore o padrone fuori di Dio. Come mai aveva dato il titolo di Signore a un suo discendente?… I Farisei, i sapientoni della legge, silenziosi e mogi chinarono la testa, e da quel giorno, dice il Vangelo, furono più guardinghi nell’interrogare Gesù! Ma non è questa l’unica figura inflitta alla superbia e all’ignoranza di simil gente. Diceva un’altra volta Gesù: « Il padre vostro Abramo ha sospirato di vedermi nascere: la mia esistenza gli fu manifestata, mi vide e ne tripudiò ». A sentirlo parlare così, i Giudei restarono sbalorditi. « Son secoli e secoli che Abramo è morto, e tu, che non hai cinquant’anni, hai veduto Abramo? ». « In verità ve lo dico: io esisto prima ancora di Abramo ». Per la rabbia i Giudei non ci videro più: gli risposero a sassate come fosse un bestemmiatore. Ma chi è questo Cristo? È figlio di Davide; e Davide lo chiama suo Signore. È nato molti secoli dopo Abramo; ed esiste prima d’Abramo. Nasce da una donna, ma questa donna è, e rimane, vergine. Gli fa da cuna la greppia d’una stalla come fosse figlio di zingari; ma sopra la stalla viene un astro che guida tre re dall’Oriente a’ suoi piedi. Cresce nella bottega d’un falegname, ma, dodicenne appena, ne sa da meravigliare i dottori di Gerusalemme. Si fa battezzare nel Giordano da Giovanni Battista come fosse un peccatore; ma dal cielo discende la voce di Dio: — È il mio figlio diletto. Cammina come un pellegrino per le strade dei paesi. È stanco lui ma fa camminare gli storpi e i paralitici; ha gli occhi pieni di polvere lui, ma dà la vista ai ciechi; ha fame lui, ma dà pane e companatico a tutta una folla. Va in barca sul lago come un pescatore: non ne può più dal sonno e s’addormenta mentre i suoi discepoli lottano contro la burrasca: un momento dopo si sveglia e con un gesto appiana il lago e spezza le ali del vento. Davanti al cadavere d’un suo amico, anche lui piange lacrime amare! Ma poi con un grido lo risuscita. Nel giardino degli ulivi si lascia legare da una turma di soldati e di servi; ma prima li rovescia al suolo, senza toccarli; pronunciando il suo Nome. Sulla croce muore spasimando, come un uomo qualsiasi: ma il sole si oscura, la terra trema, il velo del tempio si scinde da un capo all’altro; s’aprono le tombe e i morti camminano. Chi è dunque Cristo? È Dio?… Ma Dio non nasce, perché è eterno. Dio non si stanca, non può aver fame, non può aver sete, non può soffrire, non può morire. È uomo?… Ma gli uomini non danno la vista ai ciechi, non guariscono subitamente la lebbra, non gettano a terra con una parola una compagnia di soldati, non placano i temporali, non fanno tremare la terra, non risuscitano, dopo tre giorni, dal sepolcro. Ma chi è dunque Cristo? Ciò che i Giudei non sapevano spiegare, ciò che nella loro superbia non volevano credere, noi Cristiani lo sappiamo e lo crediamo: Gesù Cristo è Dio e Uomo; vero Dio e vero uomo; Dio uguale al Padre Eterno e allo Spirito Santo. Uomo uguale a ciascuno di noi fuor che nel peccato. Come Dio è Signore di Davide, esisteva prima di Abramo; come Uomo è figlio di Davide, è nato dopo Abramo. Sono forse un po’ difficili da capire queste cose; ma è necessario saperle; e s’io non ve le predicassi farei ingiuria alla bontà di Dio che s’è degnata rivelarcelo. Ma si può forse essere Cristiani, senza conoscere chi è Gesù Cristo? Lasciate adunque che vi parli del nostro Redentore e vi dica: — Gesù Cristo è il Figlio di Dio che si è fatto Uomo, perché l’uomo si facesse figlio di Dio (Galat., IV, 4-5). – 1. FIGLIO DI DIO SI È FATTO UOMO. a) Il Figlio di Dio. Dio è uno solo: eterno, immenso, perfettissimo, Creatore e Signore dell’Universo. In questo unico Dio ci sono tre Persone distinte e uguali: il Padre da cui è generato il Figlio; dal Padre e dal Figlio spira un Amore infinito che è lo Spirito Santo. Padre, Figlio, Spirito Santo sono un Dio solo. O beata Trinità, io vi adoro! Offeso da Adamo, Dio maledisse tutti gli uomini e più nessuno doveva salvarsi. Era necessario che qualcuno chiedesse perdono a Dio ed espiasse per gli uomini! Espiare! L’ingiuria di Dio era infinita ed esigeva un’espiazione infinita che l’uomo non può dare: ci voleva dunque un Dio. Espiare! Qualsiasi espiazione avviene attraverso il patimento che Dio non sa provare perché eternamente beato: ci voleva dunque un uomo; ma un Uomo che fosse anche Dio. Ed allora ecco il Figlio di Dio prendere la nostra carne e farsi uomo. Gesù il Dio-Uomo: come Uomo poteva patire, e come Dio il suo patimento acquistava valore di una espiazione infinita. b) Si è fatto Uomo. Quando giunse la pienezza dei tempi, un Angelo discese in una cittaduzza di Galilea, e si diresse verso un’umile casa dove una fanciulla era entrata sposa da poco. E quella fanciulla si chiamava Maria. « Ave, o piena di grazia: il Signore è teco, benedetta tu fra le donne. Concepirai un Figlio che è Figlio dell’Altissimo ». « Come è possibile, se io non conosco uomo? ». « Per opera dello Spirito Santo, e non d’uomo diverrai Madre di Dio; e resterai sempre vergine ». Or udite un esempio della Storia Sacra. Un giorno afoso di mietitura, ad una donna di Sunam portarono in casa l’unico figliolo suo moribondo. « Mi duole il capo! — Mi duole il capo » gemeva in deliquio e morì. La madre presa da turbine di dolore, fugge al monte Carmelo in cerca del profeta Eliseo. « Viva il Signore, e viva l’anima tua! — singhiozzava la madre — io non ti lascerò se non vieni con me ». Il profeta la segue a casa, dove era il fanciullo morto. Entrato, chiuse la porta dietro di sé e pregò il Signore; poi ascese sul letto si distese sopra il fanciullo; pose la sua bocca sulla bocca di lui, i suoi occhi sugli occhi di lui, le sue mani sulle mani di lui, tutto il suo corpo vivo su quel corpo morto. La carne del fanciullo si riscaldò. Chiamò la donna di Sunam e le disse « Prendi, il tuo figlio è vivo » (IV Re, IV). Il fanciullo morto è immagine dell’umanità dopo il peccato originale, morta alla grazia e alla vita soprannaturale. Il profeta Eliseo è immagine del Figlio di Dio che viene a risuscitarla. L’unione di Dio con l’umanità avvenne nel seno verginale di Maria. Fu là che il Verbo si è fatto carne, che il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’uomo: fu là che l’Infinito si è ristretto sopra le piccole membra d’un bambino; l’Altissimo si è curvato sopra il morto che giaceva: ha posto i suoi occhi che avevano visto lo splendore del Padre sopra gli occhi umani senza luce, ha posto la sua bocca divina sopra la bocca umana muta, ha posto le sue mani creatrici del cielo e delle stelle, sopra le piccole mani peccatrici dell’umanità. Insomma, nel seno di Maria la Natura Divina si è misteriosamente congiunta alla natura umana, restando però sempre una sola Persona, la seconda Persona della Santissima Trinità. Ecco Gesù Cristo chi è. S. Bernardo passava delle giornate meditando questo mistero dell’Incarnazione e si trovava l’anima piena di dolcezza. Suaviter rumino ista, et replentur viscera mea. Noi non ci pensiamo mai. – 2. PERCHÈ L’UOMO SI FACESSE FIGLIO DI DIO. Sono figli di un padre quelli che hanno ricevuto la vita dal padre, assomigliante a lui, sono gli eredi di lui. Ebbene Gesù Cristo ci ha portato la vita di Dio, la somiglianza con Dio, l’eredità di Dio. Con la sua Redenzione ha meritato per noi la grazia, la quale è una virtù misteriosa e divina che ci fa partecipi della vita del Signore, rende l’anima così bella che pare un ritratto del Signore, e ci dà il diritto di avere in morte le ricchezze del Signore, che sono in paradiso. Dunque, siam figli di Dio, Dio è nostro Padre. « Padre nostro che sei in cielo… ». Ma S. Giovanni dice che non tutti gli uomini divengono figli di Dio, ma solo quelli che ricevono Gesù Cristo. Quotquot autem receperunt eum… Gesù è la via, la verità, la vita; bisogna dunque accoglierlo come via, verità, vita. a) Ego sum via. L’uomo sapeva che il suo destino era di amare Dio e di andare al cielo. Ma come si doveva fare per amarlo, e quale strada si dovesse scegliere per arrivare a salvamento? Gesù con i suoi esempi ce l’ha insegnato. Ricordate il fatto di Venceslao re di Boemia? Camminava una notte, a piedi nudi, per una strada coperta di neve e dietro si conduceva un fidatissimo servo. Costui ad un tratto, intirizzito dal gelo, non ne poté più, e stava per cadere disperatamente. Ma il Re gli disse: « Metti i tuoi piedi dove io imprimo l’orma nella neve ». Così fece il servo, sentì assai meno il freddo, e poté giungere dove erano incamminati. Così ha fatto con noi Gesù: « Mettete i vostri piedi dove io ho messo i miei e non sbaglierete, perché Io sono la via ». Non nell’avarizia, non nella superbia, non negli odi, non nei piaceri dei sensi, il nostro Redentore ha messo i piedi divini!… E i nostri dove li mettiamo? b) Ego sum veritas. « Maestro, — gli diceva S. Pietro — tu solo hai parole di verità ». E l’Eterno Padre ha gridato a noi dal cielo: « Questo è il mio figlio diletto: ascoltatelo ». Gesù parla nelle prediche, insegna nella spiegazione della dottrina cristiana: l’ascoltiamo noi? Gesù parla per la bocca del Papa; solo il Papa e i Vescovi uniti con lui hanno le parole della verità: e noi trascuriamo di leggere e di sapere le parole del Papa e del Vescovo per ascoltar libri, giornali, persone piene di menzogne e di calunnie e di oscenità. c) Ego sum vita. « Io sono venuto a portare la vita e a portarne tanta ». Gesù parla qui, non della vita naturale, ma della vita soprannaturale, che ci renderà capaci di vedere e godere Dio. Ebbene se vogliamo questa vita divina dobbiamo stare uniti a Cristo come il tralcio sta unito alla vite, come i membri stanno uniti al capo. Quando bambini fummo portati a Battesimo, noi fummo inseriti nel corpo di Cristo, e la sua vita cominciò a fluire nell’anima nostra. Ma quando cadiamo in peccato mortale noi diventiamo fronde tagliate via dall’albero, diventiamo braccia tagliate dal corpo:… inaridire, marcire, bruciare, ecco il destino di coloro che sono staccati da Cristo. Con qual coraggio, Cristiani, si resta in così orribile condizione per mesi, per anni? – Chi è Gesù Cristo? è tutto; è via, è verità, è vita. Senza di Lui c’è lo smarrimento, c’è l’oscurità, c’è la morte. Una notte, tornando da Mattutino, santa Teresa e sua sorella Maria, attraversavano le viuzze oscure di Avila. Ad un tratto Teresa, in pieno buio, esclamò: « O sorella mia, sapessi quale cavaliere ci accompagna ne rimarresti incantata! ». « Chi dunque? » domandò la sorella. « Nostro Signore Gesù Cristo che porta la croce… ». Lo vedesse in quel momento o no, l’episodio ci dimostra come Gesù era tutto nella vita di questa santa. E deve essere anche nella nostra vita, altrimenti siamo falsi Cristiani. Nelle vie del dolore, nelle vie della gioia, nelle ore di fervore e in quelle di tentazione, da giovani e da vecchi, sempre in ogni circostanza ci accompagni il ricordo di Nostro Signore Gesù Cristo che porta la croce per la nostra salvezza.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Dan. IX: 17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.

[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]

Secreta

Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúri

[Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXV: 12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.

[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]

 Postcommunio

Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.

[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2023)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Come Domenica scorsa, la lettura dell’Uffizio divino coincide spesso in questo giorno con quella del libro di Giobbe che si suol fare nella 1a e nella 2a Domenica di Settembre. – Continuiamo quindi a leggere i testi del Messale in corrispondenza con quelli del Breviario. Giobbe è la figura del giusto, che il demonio superbo cerca di umiliare profondamente, affinché si rivolti contro Dio. « Lascia che io lo provi, dichiarò satana all’Altissimo, egli ti bestemmierà ». E Jahvè glielo permise, per fare di Giobbe il modello dell’anima che proclama il supremo dominio di Dio e si sottomette interamente alla sua volontà divina. La gelosia del demonio non conobbe allora più freno e fece piombare sullo sventurato Giobbe, con gradazione sapiente, tutte le calamità che avrebbero potuto abbatterlo. Pure, benché privo di tutto e coricato sul letamaio, Giobbe non maledisse la mano onnipotente di Dio, che permetteva al demonio di accanirsi contro di lui, ma la baciò umilmente. Il Salmo dell’Introito rende mirabilmente la sua preghiera. « Abbi pietà di me, o Signore, Porgi, o Signore, il tuo orecchio, poiché sono misero e povero ». Il Salmo del Graduale è anch’esso « la preghiera del povero quando è nell’afflizione », e i Versetti da 3 a 6: « Sono stato colpito come l’erba, a forza di gemere le ossa mi si sono attaccate alla pelle », sembrano l’eco delle parole di Giobbe che dice: « Le mie ossa si sono attaccare alla pelle, non mi restano che le labbra intorno ai denti » (Vers. 19, 20). Il Salmo dell’Offertorio parla anch’esso « del povero e dell’indigente» che supplica Iddio: « Non allontanare da me le tue misericordie, o Signore, poiché mali senza numero mi hanno circondato. Siano svergognati coloro che insidiano la vita mia » (Versetti 12-14). Infine, l’antifona della Comunione dice: « Piega, o Signore, verso di me, il tuo orecchio! Quante numerose e crudeli tribolazioni mi facesti provare! La mia lingua proclamerà dovunque soltanto la tua giustizia, e questa giustizia mi renderai quando coloro che cercano il mio danno saranno coperti di confusione e di vergogna » (Vers. 2, 20 e 24). Iddio, dicono infatti gli amici di Giobbe, esalta coloro che si sono abbassati, rialza e guarisce gli afflitti. La gloria degli empi è breve e la gioia dell’ipocrita non dura che un momento. Quando anche il suo orgoglio si innalzasse fino al cielo e la sua testa toccasse le nuvole, alla fine egli perirà. Tale è il retaggio che Dio serba agli empi. Essi si sono innalzati per un momento e saranno umiliati. – E Giobbe aggiunge: « Iddio ritirerà il povero dall’angoscia. Dio è sublime nella sua potenza. Chi può dirgli: Hai commesso un’ingiustizia? L’uomo che discute con Dio non sarà giustificato ». Infatti, commenta S. Gregorio, chiunque discute con Dio si mette alla pari con l’Autore di ogni bene; attribuisce a se stesso il merito della virtù, che ha ricevuta, e lotta contro Dio con gli stessi beni di Lui.. È quindi giusto che « l’orgoglioso sia abbattuto e l’umile innalzato » (2° Notturno, 2a Domenica di Settembre). « Chiunque si innalza sarà abbassato e chiunque si umilia sarà rialzato », dice anche il Vangelo di questo giorno. Dio, infatti, dopo aver umiliato Giobbe, lo rialzò, rendendogli il doppio di quanto prima possedeva. Giobbe è una figura di Gesù Cristo, che, dopo essersi profondamente abbassato, è stato esaltato meravigliosamente; è anche figura di tutti i Cristiani, ai quali Iddio darà un posto di onore al banchetto celeste se di tutto cuore avranno praticato la virtù dell’umiltà sulla terra. L’orgoglio, dice S. Tommaso, è un vizio per il quale l’uomo cerca, contro la retta ragione, di innalzarsi al di sopra di quello che egli è in realtà; l’orgoglio è quindi fondato sull’errore e l’illusione; l’umiltà, ha, al contrario, il suo fondamento nella verità, ed è una virtù che tempera e frena l’anima, affinché questa non si innalzi al disopra, super, di quello che è realmente (donde il nome di superbia dato all’orgoglio). L’anima umile accetta in piena sottomissione il posto che ad essa si conviene; quel qualsiasi posto che da Dio, verità suprema ed infallibile, le è assegnato. Umiltà nelle parole, umiltà nelle azioni, umiltà nel sopportare le prove e le contraddizioni, è la virtù che Giobbe ci insegna durante tutta la sua vita e che Gesù Cristo ci raccomanda nel Vangelo della Messa di oggi. « Dopo aver guarito l’idropico, dice S. Ambrogio, Gesù dà una lezione di umiltà » (3° Notturno). Vedendo come i Farisei scegliessero sempre i posti migliori, Egli volle farli accorti della loro malattia spirituale e spingerli a cercarne la guarigione; a questo scopo guarì dapprima uno sventurato, che la malattia aveva fatto gonfiare, e cercò quindi, velando la lezione sotto una parabola, di guarire la spirituale enfiagione che affliggeva i convitati presenti e che purtroppo affligge anche la maggior parte degli uomini. – Il mondo è in balìa di tutte le esaltazioni e di tutte le infatuazioni dell’orgoglio, mentre l’umiltà è la condizione assoluta per entrar nel regno dei cieli, ed è questa la virtù che la Chiesa ci inculca nell’Orazione ove dice che la grazia di Dio deve sempre prevenire ed accompagnarci, e che S. Paolo insegna con energia ai Cristiani nell’Epistola di questo giorno. Senza merito alcuno da parte nostra, spiega l’Apostolo agli Efesini, ma unicamente perché serviamo di strumento di lode alla sua gloria, Dio ci ha eletti in Cristo. Allorché eravamo figli della collera, l’Onnipotente, che è ricco di misericordia, ci ha reso la vita in Gesù Cristo, per l’amore immenso che ci porta. Noi tutti, pagani ed estranei alle alleanze conchiuse da Dio col popolo di Israele, siamo stati riavvicinati e riuniti nel Sangue del Redentore, poiché Egli è la nostra pace, Egli che di due popoli ne ha fatto uno solo e per il quale abbiamo, gli uni e gli altri accesso presso il Padre, in un medesimo Spirito. Non siamo più dunque degli estranei, ma dei membri della famiglia divina. E questo non è opera nostra, ma di Dio, affinché nessuno glorifichi se stesso. Gettiamoci dunque ai piedi del Padre nostro di nostro Signore Gesù Cristo, che è anche Padre nostro, affinché, attingendo nei tesori della sua divinità, sempre di più ci mandi lo Spirito Santo che ha effuso sulla Chiesa nella festa di Pentecoste e che nella fede e nell’amore ci unisce a Gesù, in modo che noi siamo colmati della pienezza di Dio. E chi potrà mai misurare questa carità sconfinata che iddio ci ha manifestata per mezzo del Figlio Suo? Questo amore del Padre per i suoi figli sorpassa infinitamente tutto quello che noi potremmo concepire e domandare a Dio. – A Lui dunque sia gloria in Gesù Cristo e nella Chiesa per tutti i secoli. « Cantiamo al Signore un cantico nuovo, poiché Egli ha operato prodigi » (Alleluia). « Tutte le nazioni temano il nome del Signore tutti i re della terra annunzino la gloria sua », perché  Dio ha stabilito il suo popolo nella celeste Gerusalemme (Graduale). E questo popolo che prenderà parte al gran banchetto della visione beatifica, sarà formato di tutti quelli che, rifuggendo da un’orgogliosa ambizione, saranno sempre stati umili sulla terra: Dio li esalterà nella stessa misura in cui essi si saranno con buon volere sottomessi alla sua santa volontà.- S. Paolo ha ricevuto da Dio la missione di annunziare ai Gentili che essi, al pari degli Ebrei, sono eletti a far parte del popolo di Dio: elezione gratuita che deve riempirli di un’umile riconoscenza verso il Signore e premunirli contro lo scoraggiamento che è una forma di orgoglio. – Per non lasciare un asino o un bue annegare in fondo ad un pozzo, i Giudei non esitavano a fare tutto quello che era necessario per ritirarneli, non ostante il giorno di Sabato in cui ogni opera servile era proibita. Perché dunque il Redentore non doveva poter guarire un ammalato in quel giorno? – « Va, mettiti all’ultimo posto » non vuol dire che il Superiore debba mettersi al di sotto dei suoi subordinati, né esporre la sua dignità al disprezzo; ma egli deve ricordare queste parole dei Sacri Libri: « Quanto più sei grande, tanto più devi mostrarti umile in tutte le cose e troverai grazia davanti a Dio » (Eccl. III, 20).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.

R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.

M. Misereátur nostris omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.

S. Amen.

S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.

R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXXV: 3; 5
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].

Ps LXXXV: 1
Inclína, Dómine, aurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego.

[Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero].

Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus júgiter præstet esse inténtos.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes III: 13-21

Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis: quæ est glória vestra. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire etiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei. Ei autem, qui potens est ómnia fácere superabundánter, quam pétimus aut intellégimus, secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia et in Christo Jesu, in omnes generatiónes sæculi sæculórum. Amen.

[“Fratelli: Vi scongiuro di non perdervi di coraggio a motivo delle tribolazioni che io soffro per voi. Esse sono la vostra gloria. Perciò io piego i ginocchi davanti al Padre del Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni famiglia, in cielo e in terra, affinché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, d’essere fortemente corroborati, mediante il suo spirito, nell’uomo interiore: che Cristo per mezzo della fede abiti nei vostri cuori, affinché, profondamente radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; e d’intendere anche quell’amore di Cristo che sorpassa ogni coscienza, di modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A Lui che, secondo la possanza che opera in noi, può tutto infinitamente di là di quanto noi domandiamo e pensiamo: a Lui sia gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni di tutti i secoli”.]

PIENI DI DIO IN GESU’ CRISTO.

Una delle cose più stupende, e, se volete anche strane, quando ci facciamo a studiare bene l’uomo, è la sua estrema elasticità. Gli animali sono quel che sono, tutti: i buoi tutti lenti, gravi; i cervi tutti veloci; i leoni tutti crudeli, e gli agnelli tutti mansueti. Ma l’uomo… l’uomo è capace di assumere gli atteggiamenti più diversi, più contrari. Può andare da un estremo all’altro. Un trasformismo fenomenale. Possiamo purtroppo abbrutirci, e quanti uomini si abbrutiscono! Potrebbero essere degli uomini e diventano animali e peggio. S. Paolo l’afferma nettamente l’esistenza di questo « animalis homo.» E’ l’uomo che discende la scala dell’abisso. Si abbrutisce nel pensiero, che non è più pensiero, ricerca faticosa, conquista umile della verità, ma schiavitù dei sensi, superficialismo di impressioni molteplici e varie. Pensa e ragiona come una bestia: cioè non pensa, non ragiona più; urla, non parla. Si abbrutisce l’animalis homo, nel cuore corrotto e violento. Nessun battito generoso più, ma bramiti come di belva. Sogni, compiacenze voluttuose: il fango. Oppure la crudeltà: la belva accanto al bruto; col fango il sangue. La guerra e il dopoguerra hanno moltiplicate queste dolorose esperienze di crudeltà feroce, di ferocia bestiale. Abbiam visti uomini capaci di far paura alla bestia. Artigli, zanne, occhi iniettati di sangue. E per queste vie trionfali di discesa, si direbbe non ci sia limite. Si può andare, e si va sempre più in giù, e ci si abbrutisce sempre più. Tutto questo bisognava ricordare, bisogna meditare per comprendere l’altro moto diametralmente contrario. L’uomo può angelicarsi, mi direte voi. Ciò, vi dico con San Paolo, è ancora poco, troppo poco per il Cristiano, il quale, invece, può e deve divinizzarsi. Dal fango a Dio. Sicuro, è il programma del Cristianesimo, di quel Cristianesimo che davvero atterra e suscita questa povera umanità. L’atterra nella polvere davanti a Dio, la umilia profondamente, ci proclama peccatori, guasti; corrotti, figli di ira, vuole che ci mettiamo in ginocchio, che ci mostriamo davanti a Lui. « Venite adoremus. » Ma ci esalta, perché ci scopre la nostra origine e razza divina, ci dà il diritto di chiamarci, e il potere di diventare figli di Dio, di divinizzarci. Meditiamo pure bene, meditiamo spesso questi contrasti. L’umanità è cattiva, peccatrice, ci insegna il Cristianesimo, ed eccoci nella polvere della abbiezione. E, a parte che dobbiamo stare in ginocchio, colla faccia a terra, perché siamo peccatori, dovremmo starci ginocchioni così, prostrati così davanti a Dio, perché siamo uomini, povere creature di Dio, scintille davanti a un incendio, gocce di fronte al mare. È questo il preludio del dramma, non è il dramma. Il dramma è l’esaltazione sino a Dio. L’eritis sicut Dei, che suonò audace bestemmia sulle labbra del demone, suona dolce invito sulle labbra di Gesù Cristo. « Estote perfectì sicut Pater vester coelestis perfectus est. » Gesù non invita all’impossibile; se mai, ci invita all’impossibile, rendendolo possibile. Dobbiamo diventare come Dio in ciò che Dio ha di più tipico, di più suo, di più caratteristico: la bontà.« Nemo bonus nisi unus Deus: » ma anche noi dobbiamo diventare buoni, anzi perfettamente buoni (estote perfecti), come Lui, come Dio. Non si può andare più in là, più in su. MaSan Paolo adopera un linguaggio ancor più espressivo, più enfatico, direi, se la parola enfasi non portasse con sé l’idea della esagerazione.Paolo vuole che ci riempiamo noi Cristiani, ci riempiamo di Dio, anzi, per usare proprio la sua frase, d’ogni pienezza divina. Quanti sono i Cristiani pieni di Dio? Ne conosco tanti pieni di ben altre cose, di vanità, d’orgoglio, di avarizia, di viltà, di invidia… ma pieni di Dio! Cerchiamo di fare noi questo miracolo in noi stessi, coll’aiuto di Dio, nel nome diCristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua.

[Poiché il Signore ha edificato Sion e sarà veduto nella sua maestà.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit Dóminus. Allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché Egli fece meraviglie. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIV: 1-11
In illo témpore: Cum intráret Jesus in domum cujúsdam príncipis pharisæórum sábbato manducáre panem, et ipsi observábant eum. Et ecce, homo quidam hydrópicus erat ante illum. Et respóndens Jesus dixit ad legisperítos et pharisæos, dicens: Si licet sábbato curáre? At illi tacuérunt. Ipse vero apprehénsum sanávit eum ac dimísit. Et respóndens ad illos, dixit: Cujus vestrum ásinus aut bos in púteum cadet, et non contínuo éxtrahet illum die sábbati? Et non póterant ad hæc respóndere illi. Dicebat autem et ad invitátos parábolam, inténdens, quómodo primos accúbitus elígerent, dicens ad illos: Cum invitátus fúeris ad núptias, non discúmbas in primo loco, ne forte honorátior te sit invitátus ab illo, et véniens is, qui te et illum vocávit, dicat tibi: Da huic locum: et tunc incípias cum rubóre novíssimum locum tenére. Sed cum vocátus fúeris, vade, recúmbe in novíssimo loco: ut, cum vénerit, qui te invitávit, dicat tibi: Amíce, ascénde supérius. Tunc erit tibi glória coram simul discumbéntibus: quia omnis, qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.

[“In quel tempo Gesù entrato in giorno di sabato nella casa di uno de’ principali Farisei per ristorarsi, questi gli tenevano gli occhi addosso. Ed eccoti che un certo uomo idropico se gli pose davanti. E Gesù rispondendo prese a dire ai dottori della legge e ai Farisei: È egli lecito di risanare in giorno di sabato? Ma quelli si tacquero. Ed egli toccandolo lo risanò, e lo rimandò. E soggiunse, e disse loro: Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo trae subito fuori in giorno di sabato? Né a tali cose poterono replicargli. Disse ancora ai convitati una parabola, osservando com’ei si pigliavano i primi posti dicendo loro: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere a sedere nel primo posto, perché a sorte non sia stato invitato da lui qualcheduno più degno di te: e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedi a questo il luogo; onde allora tu cominci a star con vergogna nell’ultimo posto. Ma quando sarai invitato va a metterti nell’ultimo luogo, affinché venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su. Ciò allora ti fia d’onore presso tutti i convitati. Imperocché chiunque si innalza, sarà umiliato; e chi si umilia sarà innalzato”.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

UMILTÀ PRATICA

Nella sala del convito erano rimasti in piedi, con gli occhi sbarrati sul nuovo miracolo che Gesù aveva operato. Un povero idropico gli si era messo davanti sulla soglia invocando la guarigione: il Salvatore l’aveva toccato e sanato in un attimo. Passato il primo stupore, tutti pensarono al banchetto ed ecco molti affannarsi per correre a sedere nei posti migliori. Gesù li osservava. Poi, non tanto per insegnare una regola di civiltà esteriore, quando per inculcare a’ suoi fedeli la fuga dell’ambizione ed esortali, non solo a star contenti degli ultimi posti, ma ad amarli e preferirli con sincera umiltà, disse questa parabola: « Se mai ti capiterà la fortuna di essere invitato ad un pranzo di nozze, non correre a sedere nel primo posto. Può darsi che sia già stato invitato qualcuno più degno di te; e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: — Ritirati indietro. — Che figura allora per te dover lasciare in faccia a tutti il primo posto e andare a sedere in uno degli ultimi! Meglio allora, se t’avverrà d’andare a nozze, che tu ti metta a sedere all’ultimo posto. Il padrone, scorgendoti in luogo umile, ti dirà: — Amico, vieni più in su. — Che onore allora per te, esser condotto dallo stesso padrone, in faccia a tutti, a sedere al primo posto! « Chiunque s’innalza sarà abbassato, concluse Gesù, e chiunque s’abbassa sarà innalzato ». Questa non è soltanto la conclusione della parabola, ma può stare a conclusione di tutto il Vangelo. – La rovina degli uomini venne dalla superbia, quando Adamo in una follìa, che solo il demonio poteva rendere credibile, accettò il frutto proibito sperando di diventar uguale a Dio. La nostra salvezza, dunque, non ci poteva venire che dall’umiltà. Di umiltà fu il primo atto di redenzione: Dio che si fa uomo. Di umiltà la prima parola di Gesù quando dalla montagna promulgò la legge nuova: « Beati i poveri di spirito perché il regno dei cielo è loro ». Di umiltà è il modello che dobbiamo seguire: « Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore ». Non disse, come osserva S. Agostino, imparate da me a fabbricare i cieli e la terra; imparate da me a non mangiare né bere per quaranta giorni; imparate da me a risanar gli infermi, a scacciare i demoni, a risuscitare i morti, o far altre cose prodigiose; ma imparate, disse, da me ad essere mansueti ed umili di cuore. Discite a me quia mitis sum et humilis corde (Mt., XI, 29). Si può fare miracoli, e finire all’inferno; ma nessun umile di cuore verrà escluse dal paradiso, perché il paradiso è dei piccoli. Ma non è della bellezza dell’umiltà, non è de’ suoi vantaggi che io voglio parlarvi; ma è soltanto di alcune contingenze pratiche della vita in cui si distingue chi è umile, da chi è superbo. – 1. VINCERE IL RISPETTO UMANO. A Pollone, paese del Piemonte, durante una Messa festiva, mancando il sacrestano, era passato tra la folla un giovane distintissimo, figlio d’un senatore, studente universitario, con la borsetta a ritirar l’elemosina. Nell’uscir dalla chiesa, mentre i fedeli sfollavano, qualcuno gli si avvicinò e gli disse: « Oh, Pier Giorgio, sei diventato un bigotto! » E quel giovane, che è morto nel fior della vita e nel profumo delle santità, rispose semplicemente: « Non sono diventato niente. Sono rimasto quel che ero: un Cristiano ». Che cosa siamo noi? Ricchi e poveri, sapienti e ignoranti, re e sudditi, tutti siamo creature di Dio. Perché dobbiamo aver vergogna di umiliarci davanti a Lui che ci creò, perché dobbiamo aver rossore di compiere per Lui, anche i più umili uffici? Quei che si lasciano vincere dal rispetto umano sono superbi: ci tengono al giudizio della gente, hanno paura di essere presi come bigotti, come ignoranti, come persone di poco spirito. Per me, Davide non riesce mai così simpatico come quando me lo immagino danzare davanti all’Arca. Si doveva condurre l’Arca dalla casa di Obededon levita fino a Gerusalemme, e Davide organizzò un ingresso trionfale. Sette cori cantavano inni di lode, e ad ogni sei passi s’immolava un bue e un montone. Intanto davanti all’Arca Davide il re, deposte le insegne regali e vestito di un ephod di lino, saltava con tutte le sue forze come un fanciullo. Et David saltabat totis viribus ante Dominum (II Re VI, 14). Quando ritornò a casa, Michol, che l’aveva spiato dalla finestra, gli disse con pungente disprezzo: « Come stava bene oggi il re, danzante in faccia ai suoi sudditi come un buffone! » Ed il re le rispose fieramente: « Al cospetto del Signore, il quale elesse me piuttosto che tuo padre a capo d’Israele, io danzerò ancora di più; ancora di più mi avvilirò e sarò umile! ». Dei Cristiani che ragionano come Michol, ve ne sono ancora. Quanti non vogliono inscriversi alle associazioni e nelle confraternite, per non portare la candela nella processione, per non rivestire la divisa benedetta! Siamo umili, Cristiani! Il mondo ci chiami pure buffoni « Unus de scurris ». Davanti a Dio è gloriosissimo essere anche buffoni. – 2. ACCETTARE LE CORREZIONI. Serapio, il famoso Santo del deserto si vide un giorno comparire un certo monaco che quasi ad ogni parola si chiamava peccatore. Il Santo allora, dopo averlo fatto sedere alla sua mensa ospitale, si permise di fargli alcune osservazioni per il bene della sua anima. « Figliuolo — gli disse con grande dolcezza e carità — sei sulla via giusta. Però se vuoi progredire nella perfezione, non andar troppo in giro di qua e di là: rimani ritirato nella tua cella, attendendo all’orazione, al lavoro, al raccoglimento interno, altrimenti… ». Non poté finire, perché il monaco s’era fatto cupo, e tentava di rispondere malamente come fosse stato insultato. « Fratello mio, — disse al monaco — ti manca tutta l’umiltà ». Provate voi, a far la medesima correzione, ad una donna, ad una fanciulla: « Anima del Signore, sei sempre fuori di casa: di mattina, di mezzogiorno, di sera, sprechi ore e ore oziando, cianciando inutilmente… ». Basta un’osservazione di queste per suscitare una lite in tutta la contrada. Per essere umili non basta aver il coraggio, e ce ne vuol poco in questo caso, di manifestar alcuni nostri difetti, ma bisogna aver il coraggio di sentirseli dire dagli altri, e senza perdere la pazienza, ma con animo tranquillo, anzi riconoscente. Mancano quindi d’umiltà quei Cristiani che, quando il prete fa delle osservazioni nelle prediche, per tutto il giorno e per altri ancora, non fanno che mormorare. Mancano d’umiltà quelle mogli che non accettano correzioni dal marito; quelle nuore che non le accettano dalla suocera. Mancano d’umiltà quei figli, e quelle figlie anche, che, ai genitori che li avvisano in bene, hanno la sfrontatezza di rispondere: « I vostri consigli teneteli per voi, ho la mia età ». – 3. PERDONARE FACILMENTE. AI cominciar della quaresima del 1076, come in tutti gli anni in quel tempo, il Papa Gregorio VII teneva un sinodo. Erano convenuti moltissimi perché si dovevano trattare affari importanti e prendere urgenti deliberazioni contro l’imperatore Enrico IV che perfidamente angariava la Chiesa. Mentre tutti già erano adunati, entrò un messo dell’imperatore, Rolando. Costui aveva offeso più volte e crudelmente il cuore del Papa: lo aveva chiamato odioso tiranno, aveva sparso nel popolo la voce ch’egli non era il sommo pastore di Cristo, ma il lupo feroce. Come lo videro comparire, i presenti, indignati, scattarono e con le spade e i pugnali si lanciarono sopra quel tristo per trafiggerlo: ma il Papa, ch’era un santo, in una mossa fulminea era disceso dal trono e si mise tra le spade e il colpevole, coprendolo con la sua persona. « Rolando » gli diceva in mezzo al tumulto, « son io che ti salvo e ti perdono. E tu pentiti, che ti possa perdonare anche Iddio ». Quanta umiltà d’animo! Il Papa Gregorio VII era stato offeso nel modo più atroce e nel modo più ingiusto: eppure non aspetta che l’altro domandi perdono, è lui il primo che spontaneamente glielo concede, e lo salva dalla morte. Eppure, ci sono moltissimi Cristiani che vivono per anni ed anni, covando in cuore un odio terribile, e desiderando l’ora della vendetta. — Io non posso perdonare, il mio onore non me lo permette — rispondono alcuni. — Ma se perdona anche Iddio? dunque voi vi credete più in alto che Dio stesso. — Ma l’offesa che m’ha fatto è troppo grave. — Considerate con occhi d’umiltà questa vostra offesa, e vedrete che il Signore ne ha perdonato a voi di ben più gravi. È la vostra superbia che vi gonfia come un pallone un torto da nulla. — Sì, io gli perdono, ma deve venire a domandarmi scusa in ginocchio… — Ma questo è un perdono che tutti sanno dare; anche i pagani sanno perdonare così. — Sì, io perdono; ma però il torto che m’ha fatto non lo dimenticherò mai; non avrà più da me una parola. — Tutta superbia: le anime umili perdonano facilmente, dimenticano subito le offese, e beneficano di preferenza quelli da cui ricevettero qualche male. – 4. PREGARE CONTINUAMENTE. Dio è tutto. Noi siamo nulla. Quando Sansone, cedendo alle insidie d’una donna, perse coi capelli la grazie di Dio, divenne debole come un bambino, ed i fanciulli stessi se ne facevano ludibrio. Talvolta lo sorprendevano a dormire, o assorto nel dolore della sua abbiezione, e improvvisamente gridavano: « Sansone, levati! levati! ti sono sopra i Filistei. » Egli si levava, imponente come una torre, credeva di abbatterli tutti con un pugno gli eserciti dei Filistei, e invece s’accorgeva che tutta la sua forza lo aveva abbandonato, e non avrebbe più saputo far male a un passero. E tornava ad accasciarsi disperatamente. Come mai, giovanetto ancora, s’era avventato sopra un leone, e afferrandolo per la gola l’aveva squartato in un colpo? Come mai con un osso d’asino era riuscito a sgominare un esercito armato di spada e di scudo? Come mai un mattino, da solo, aveva sconficcato dai cardini le porte di Gaza e con quelle era corso sul monte? Per la grazia di Dio. E senza la grazia di Dio? Non ha potuto far nulla. Così anche noi, Cristiani. Tutto quello di buono che siamo o che facciamo è solo per la grazia di Dio. Dunque, bisogna continuamente invocarla questa grazia: ogni mattina, ogni sera; quando lavoriamo, quando mangiamo; mentre godiamo, mentre soffriamo; nella preghiera e nella tentazione. – Gesù camminava davanti, solo: forse pregava. Intanto dietro gli Apostoli litigavano, discutendo chi di loro doveva essere il primo nel regno dei cieli. Forse Giovanni, il prediletto, ch’era il più giovane? Forse Andrea che fu uno dei primi a seguire Gesù? Forse Pietro ch’era costituito capo dei dodici? Forse Giuda che teneva il danaro per tutti? Gesù li sentì, e volgendosi disse: « Gli ultimi saranno i primi ». O Cristiani! chi di noi ascenderà più in alto in paradiso? chi di noi sarà il primo nel regno dei cieli? Non il più ricco, non il più sapiente, non il più bello, ma il più umile. — GLI AMMALATI. « Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo estrae subito, anche se è giorno di festa? » Nessuno osò replicare. Quando risplende la luce piena, come appare brutta una lucciola! La giustizia formalistica, vuota dei Farisei, era troppo meschina davanti al soffio vivo, intensa di carità che spirava dal cuore di Gesù. Le infermità fisiche hanno sempre suscitato la compassione del Redentore divino, si direbbe, prima ancora delle infermità spirituali e morali. Apparivano a Gesù come il segno delle miserie più profonde dello spirito, per le quali era venuto propriamente dal Cielo? Voleva Gesù arrivare più efficacemente allo spirito, guarendo i corpi e sorreggendo le nostre molteplici debolezze temporali? Sì, tutto questo. Gli uomini, invece, sono troppe volte ciechi, insensibili per le malattie dell’animo, perché poco badano ai dolori fisici del loro prossimo. Potremmo quasi stabilire una proporzione: tanto più un Cristiano è delicato di spirito, quanto più comprende, ama e cura il dolore e le infermità del suo prossimo. Ai cari malati, dunque, il nostro pensiero: li dobbiamo amare; li dobbiamo curare. – 1. AMARE GLI AMMALATI. I missionari cattolici non trovarono mai campo così difficile da conquistare alla fede, come i Maomettani. Quante esperienze finirono nel sangue! La predicazione aperta fu loro proibita; ma essi scelsero il metodo di praticare soprattutto la carità, prima di insegnare. E davanti ai pionieri del Vangelo che curano gli ammalati e proteggono gli infelici, anche l’orgoglio musulmano si piega all’ammirazione, poi alla fede. Suor Rosalia, figlia della carità, è al lavoro nel suo dispensario. Per cavare i denti a quei poveretti, bisogna vincere il terrore dei ferri e la suora usa le più belle espressioni arabe. « Suvvia mio cuore, mia anima, occhi miei! »; e una povera donna guarita se ne va dicendo: « che Allah conservi le tue mani! ». Alcuni musulmani che aspettano il loro turno ragionano tra loro: « Se tutti gli infedeli (Cristiani) andranno all’inferno, per suor Rosalia si farà un’eccezione ». Quando a Damasco la suora curava un povero ammalato, si sentì dire: « Son ridotto in miseria con mia moglie e i miei figli e nessuno de’ miei pensa a consolarmi. Tu che sei straniera vieni nella mia povera casa ad aiutarmi; la tua religione è migliore della mia ». La luce si avanza in quegli spiriti. Assistendo una giovane musulmana aggravatissima, la suora le aveva dato una medaglia della Vergine che l’ammalata baciò e sospese al collo. La suora si fece coraggio e presentò il Crocifisso. È inaudito per un musulmano baciare il Crocifisso; ma la giovane bacia il Crocifisso; e i parenti e gli amici approvano: « Oh, sì, accetta pure tutto ciò che tocca questa religiosa, perché val più una di queste creature che non tutti i dervisci nostri presi assieme ». Gesù amò gli infermi. Non diede a’ suoi Apostoli come primo programma: « curate gl’infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demoni ? » (Mt., X, 8). Le opere di misericordia corporale e spirituale furono sempre la migliore attuazione pratica del Vangelo e conducono sicuramente a convertire i cuori. I malati sono Gesù stesso, che dolora, che aspetta conforto. Sono la parte più sensibile del Corpo Mistico. L’istinto vivo della propria conservazione, le ansie crescenti per l’inerzia forzata, per i lavori interrotti, per l’abbandono della casa e dei figliuoli, per la lunghezza del male, le speranze sempre più incerte, i timori sempre più cupi, danno al malato un’estrema sensibilità. Non per nulla satana, che conosce tutta la miseria umana, riservò al santo Giobbe la malattia come prova estrema, dicendo al Signore: « Stendi la tua mano, toccalo in viso e nel corpo e vedrai se continuerà a benedirti » (Giobbe, II, 4-5). Si diventa migliori o « più Cristiani » come dice tanta buona gente, quando si sanno raccogliere tutte queste situazioni di dolore nel nostro cuore, e si visitano gli ospedali o si è saliti in qualche tugurio. Che effetti il peccato! Come è vano il mondo! Come costa il paradiso! Che meriti per la gloria! – 2. CURARE GLI AMMALATI. S. Ignazio di Loyola, grande conoscitore degli uomini, per provare la stoffa dei suoi novizi, tra gli esperimenti voleva un mese di servizio negli ospedali speso a consolare e a soccorrere gli ammalati. Stimava, poi, come disposizione speciale di Provvidenza d’aver egli stesso sofferte tante malattie e debolezze corporali, per comprendere e compatire più intimamente le malattie degli altri. Così padrone di sé in tutti gli avvenimenti, quando si trattava di malati, specialmente un po’ seri, non riusciva talora a nascondere la sua commozione, tanto era l’amore per essi, Li visitava personalmente, in tempi determinati, osservava con scrupolo se venivan dati con puntualità i cibi e le medicine, e qualche volta fu visto il Santo superiore a scopare la stanza dell’ammalato, a sbattere e a pulire le lenzuola e prestare anche più umili servigi. Una volta, mancando danaro, dié ordine di vendere stoviglie e biancheria perché gli infermi avessero il necessario. E quando il dispensiere gli fece osservare che c’erano in cassa solo tre monete, sufficienti per la comunità, rispose « si spendano pure per l’ammalato! noi stiamo bene e in caso di necessità ci aggiusteremo con un po’ di pan duro ». I Santi facevano così. Quanti Cristiani, invece, di stile 900, sentono difficoltà, forse ripugnanza, a trattare, a soccorrere, a consolare i malati! È proprio di altri tempi che qualche cuore degenere arrivasse a… maledire, a invocare la morte ai propri malati?! Quante esigenze, invece, per se stessi! E quali smanie per un dolore che ci colpisce! Circondiamo i nostri malati di cure materiali. Nel cerchio della famiglia, un padre, una mamma hanno diritto di vedere ne’ loro figli i migliori e più devoti infermieri. Proprio come i nostri sensi e le nostre membra che partecipano attivamente ai mali del nostro corpo. Non si deve badare a noie, a… spese per procurare ai nostri cari una coscienziosa assistenza. E gli altri ammalati, soprattutto i poveri? Fatta proporzione e fin dove è possibile, ogni cura sarà fatta a Dio. Assistere, vegliare, privarci noi qualche volta anche del necessario oltre che del superfluo, è finezza di carità che il nostro cuore cristiano dovrebbe conoscere. Ciò che ancora più importa sono le cure spirituali. È qui dove possiam distinguerci da un pagano che nelle cure materiali potrebbe superarci. Perché non santificar la festa anche visitando gli ammalati? Certe buone mamme di un tempo andando nella borgata o in città, calcolavano anche una visita all’ospedale. E portavano magari primizie di frutta. Che profumo certe delicatezze di carità! È pur facile iscriversi alle Conferenze di S. Vincenzo, per venir a contatto con miserie impensate. Preghiamo per i malati. Vicino agl’infermi preghiamo con loro, rammentando l’Angelo Custode, il nome, l’esempio della Madonna, il divino modello, Gesù. Prepariamo e procuriamo la visita del Sacerdote. Disponiamo con dolce prudenza, ma con sincerità, per gli ultimi Sacramenti, nei casi gravi. Oh il delitto, il tradimento dei parenti e degli amici, che ritardano, impediscono tali conforti, voluti da Dio e dalla Chiesa per le anime de’ nostri cari! – I miracoli noi non li faremo, come Gesù, ma quanto balsamo verseremo con la nostra carità nel cuore dei sofferenti. Gesù accolse il povero idropico con fine comprensione, Lo vide incerto se chiedere la guarigione; forse per timore che i Farisei gli rimproverassero di profanare il giorno di sabato. Eppure, desiderava, il poveretto, di essere soccorso nel suo imbarazzo e soprattutto nel suo dolore. E Gesù lo previene, lo attira delicatamente a sé, lo tocca, lo guarisce, e lasciatolo partire in mezzo al silenzio attonito di tutti, lo difese, lanciando una sferzata terribile al cuore cattivo di quei paladini della legge che avrebbero posposto un loro fratello ad un… asino od un bue di stalla.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 14; 15
Dómine, in auxílium meum réspice: confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam: Dómine, in auxílium meum réspice.

[Signore, vieni in mio aiuto: siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita per rovinarla: Signore, vieni in mio aiuto.]

Secreta

Munda nos, quǽsumus, Dómine, sacrifícii præséntis efféctu: et pérfice miserátus in nobis; ut ejus mereámur esse partícipes.

[Purificaci, Te ne preghiamo, o Signore, in virtù del presente Sacrificio, e, nella tua misericordia, fa sì che meritiamo di esserne partecipi].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei,

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXX: 16-17;18
Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus: Deus, docuísti me a juventúte mea: et usque in senéctam et sénium, Deus, ne derelínquas me.

[O Signore, celebrerò la giustizia che è propria solo a Te. O Dio, che mi hai istruito fin dalla giovinezza, non mi abbandonare nell’estrema vecchiaia.]

Postcommunio

Orémus.
Purífica, quǽsumus, Dómine, mentes nostras benígnus, et rénova coeléstibus sacraméntis: ut consequénter et córporum præsens páriter et futúrum capiámus auxílium.

[O Signore, Te ne preghiamo, purifica benigno le nostre anime con questi sacramenti, affinché, di conseguenza, anche i nostri corpi ne traggano aiuto per il presente e per il futuro].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA XV DOPO PENTECOSTE (2023)

XV DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La Lezione dell’Ufficio in questo giorno coincide spesso con quella del libro di Giobbe. Questo pio e ricco signore del paese di Hus, dapprima ripieno d’ogni bene, fu colpito dai mali più spaventosi che si possano quaggiù immaginare. « satana, dicono le Sacre Scritture, si presentò un giorno avanti a Dio e gli disse: Circuivi terram, ho percorsa tutta la terra e ho visto come hai protetto Giobbe, la sua casa, le sue ricchezze. Ma stendi la tua mano su di lui e tocca quello che possiede e vedrai come ti maledirà. Il Signore gli rispose: Va: tutto quello che lui possiede è in tuo potere, ma non togliergli la vita. E satana uscì dal cospetto del Signore. E ben presto Giobbe perdette il bestiame, i beni, la famiglia e fu colpito da satana con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino alla testa ». E Giobbe, disteso su un letamaio, fu costretto a togliere il putridume delle sue ulceri con un coccio » La Chiesa, pensando alla malizia di satana, ci fa domandare di essere sempre difesi contro gli assalti del demonio, contra diabolicos incursus (Segr.). satana ha l’impero della morte e, se Dio lo lasciasse fare, dicono i Padri, egli toglierebbe a tutti gli esseri la vita che posseggono. S. Paolo definisce una sua malattia: «L’angelo di satana che lo colpisce. « Ed il demonio, dice la S. Scrittura, riduce Giobbe ad un punto tale, che il santo uomo può gridare: « Il soggiorno dei morti è diventato la mia dimora, io ho preparato il mio giaciglio nelle tenebre, e ho detto al marciume: tu sei mio padre; alla putredine: madre mia, sorella mia. (XVII, 14). Le mie carni si sono consumate come un vestito roso dai tarli, e le mie ossa si sono appiccicate alla mia pelle ». Così la Chiesa applica ai defunti il disperato appello che Giobbe fece allora ai suoi amici: « Abbiate pietà di me almeno voi, o amici, poiché la mano del Signore m’ha colpito. Ma il suo appello rimase senza risposta; Giobbe allora si rivolse verso Dio e gridò con una salda speranza: « Io so che il mio Redentore vive e ch’io risusciterò dalla terra l’ultimo giorno; che sarò di nuovo rivestito della mia pelle e nella mia carne rivedrò il mio Dio. Lo vedrò io stesso e i miei occhi lo contempleranno: questa speranza riposa nel mio cuore ». E Giobbe descrive la gioia con la quale ascolterà un giorno la voce di Dio che lo chiamerà a una vita nuova: « Tu mi chiamerai e io ti risponderò, tu stenderai la tua destra verso l’opera delle tue mani ». – « Il Signore, mettendo fine ai mali che lo travagliavano, gli rese il doppio di quello che possedeva prima e lo colmò di benedizioni più negli ultimi anni di vita che non nei primi ». — La Chiesa, raffigurata in Giobbe, domanda a Dio « di essere purificata, protetta, salvata e governata da Lui » (Oraz.). Col Salmo dell’Introito essa dice: « Rivolgi, o Signore il tuo occhio verso di me ed esaudiscimi, che io sono povera e mancante di tutto (Versetto 1°). Signore, abbi pietà di me, che ho gridato verso di te tutto il giorno. Vieni alla mia anima che io ho elevata fino a te (Versetto 4°). Io ti loderò, o Signore, poiché mi hai liberato dall’inferno più profondo (Versetto 13°) ». Col Salmo dell’Offertorio essa aggiunge: « Io ho atteso il Signore con perseveranza, ed Egli infine si è volto verso di me, ha esaudita la mia preghiera e ha messo sulle mie labbra un cantico nuovo ». Questo cantico è quello delle anime cristiane risuscitate alla vita di grazia. « È bello, esse dicono, lodare il Signore e annunciare la sua grande misericordia » (Grad.). « Sì, davvero il Signore è il Dio onnipotente, il Gran Re che regna su tutta la terra » (All.).L’Epistola di S. Paolo è intieramente consacrata alla vita soprannaturale che lo Spirito Santo dà o rende alle anime. « Se noi viviamo per lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito », cioè siamo umili, dolci, caritatevoli, verso quelli che cadono, ricordandoci che noi siamo deboli e che di fronte al supremo Giudice porteremo il fardello delle nostre colpe personali. Contraccambiamo generosamente con beni temporali (denaro, cibi, vesti) le persone che ci predicano la parola di Dio (divina parola che dà la vita) e non indugiamo, perché Dio non tollera che ci burliamo di Lui. Il raccolto sarà conforme alla natura della semenza gettata. Seminiamo opere piene di spirito soprannaturale e mieteremo la vita eterna. Non tralasciamo un istante di fare il bene. Evitiamo le opere della carne che sono la mancanza di carità, l’orgoglio, l’avarizia e la lussuria, poiché quelli che commettono peccati sono morti alla vita di grazia e non mieteranno che corruzione. Usciamo, dunque, dalla morte e viviamo come veri risuscitati. — Il Vangelo ci dà questo stesso insegnamento raccontandoci la risurrezione del figlio della vedova di Naim. Gesù, vedendo il dolore di questa madre, fu mosso a compassione: si accostò al feretro e toccando il morto disse: « Giovinetto, te lo comando, alzati! ». E subito il morto si levò e cominciò a parlare. E tutti glorificavano Iddio dicendo; « un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo ». Il Verbo facendosi carne si è accostato alle anime che giacevano nella morte del peccato, e, commosso dalle lacrime della Chiesa, nostra madre, le ha resuscitate alla vita della grazia. Poi, mediante l’Eucaristia ha posto nei corpi un germe di vita, affinché essi risuscitino nell’ultimo giorno (Com.). — Fa, o Signore, che il nostro corpo e la nostra anima siano interamente sottomessi alla influenza dell’Ostia divina, affinché l’effetto di questo sacramento domini sempre in noi (Postcom.). – Vivificati dallo Spirito Santo, solleviamo con sollecitudine quelli che sono morti alla vita della grazia, aiutiamo con le nostre sostanze quelli che con la parola della verità diffondono la vita dello Spirito, e promuovono sempre più in noi la vita soprannaturale che abbiamo ricevuta nel Battesimo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.

S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXXV: 1; 2-3
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Lætífica ánimam servi tui: quia ad te, Dómine, ánimam meam levávi.

[Allieta l’ànima del tuo servo: poiché a Te, o Signore, levo l’anima mia.]

Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Ecclésiam tuam, Dómine, miserátio continuáta mundet et múniat: et quia sine te non potest salva consístere; tuo semper múnere gubernétur.

[O Signore, la tua continua misericordia purífichi e fortífichi la tua Chiesa: e poiché non può essere salva senza di Te, sia sempre governata dalla tua grazia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti s. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 25-26; 6: 1-10

Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inanis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirituáles estis, hujúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter alteríus ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus autem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet autem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui autem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum autem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo, dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, maxime autem ad domésticos fídei.

[Fratelli: Se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito. Non siamo avidi di vanagloria, provocandoci a vicenda, a vicenda inviandoci. Fratelli, quand’anche uno venisse sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali ammaestratelo con lo spirito di dolcezza, e bada a te stesso che tu pure non cada nella tentazione. Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se alcuno crede di essere qualche cosa, e invece non è nulla, costui inganna sé stesso. Piuttosto ciascuno esamini le proprie opere, e allora avrà motivo di gloriarsi soltanto in se stesso, e non nel confronto con gli altri. Perché ciascuno porterà il proprio fardello. Chi poi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo istruisce. Non vogliate ingannarvi: Dio non si lascia schernire. Ciascuno mieterà quello che avrà seminato. Così, chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà corruzione: chi, semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. Non stanchiamoci dunque dal fare il bene; poiché se non ci stanchiamo, a suo tempo mieteremo. Perciò mentre abbiamo tempo facciamo del bene a tutti, e in modo speciale a quelli che, per la fede, sono della nostra famiglia.]  

CONOSCI TE STESSO

L’Epistola di quest’oggi è la continuazione di quella della domenica scorsa, nella quale si inculcava di vivere secondo lo spirito. Per vivere secondo lo spirito, prosegue l’Apostolo, bisogna fuggire la vanagloria e l’invidia. Si deve correggere chi sbaglia con spirito di dolcezza; tutti hanno a sopportarsi vicendevolmente. Persuasi del proprio nulla, devono esaminar spassionatamente le proprie azioni. Siamo, inoltre, generosi con chi ci istruisce nella fede. E conclude esortando di non stancarci di fare il bene, essendo la nostra vita il tempo della semina. Se in questa vita non ci stancheremo a seminare nello spirito, a suo tempo, mieteremo la vita eterna. – Accogliamo l’invito di S. Paolo, a esaminare le nostre opere.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

Graduale

Ps XCI: 2-3.
Bonum est confitéri Dómino: et psallere nómini tuo, Altíssime.

[È cosa buona lodare il Signore: inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]

V. Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctemm.

[È bello proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà nella notte.].

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XCIV: 3

Quóniam Deus magnus Dóminus, et Rex magnus super omnem terram. Allelúja.

[Poiché il Signore è Dio potente e Re grande su tutta la terra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum S. Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc VII: 11-16
“In illo témpore: Ibat Jesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli ejus et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. – Hi autem, qui portábant, stetérunt. – Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et coepit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.

[“In quel tempo avvenne che Gesù andava a una città chiamata Naim: e andavan seco i suoi discepoli, e una gran turba di popolo. E quand’ei fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato fuori alla sepoltura un figliuolo unico di sua madre, e questa era vedova: e gran numero di persone della città l’accompagnavano. E vedutala il Signore, mosso di lei a compassione, le disse: Non piangere. E si avvicinò alla bara, e la toccò (e quelli che la portavano si fermarono). Ed egli disse: Giovinetto, dico a te, levati su; e il morto si alzò a sedere, e principiò a parlare. Ed egli lo rese a sua madre. Ed entrò in tutti un gran timore; e glorificavano Dio, dicendo: Un profeta grande è apparso tra noi; e ha Dio visitato il suo popolo”

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

LA MADRE

Era Naim una borgata di Palestina. Fu proprio alle sue porte, che il Maestro incontrò un funerale. Portavano a sepoltura un giovane, un figlio unico: e sua madre era una vedova. Gran tratta di popolo, mossa dalla pietà del caso, accompagnava la salma. Gesù si fermò ed ecco una donna venire col viso nascosto sotto il velo oscuro, curva sotto il velo oscuro, curva sotto un’angoscia senza parola. La madre! Come la vide, il Figlio di Dio sentì il cuore pieno di misericordia per lei, per la madre. E dicendole — Non piangere! — chiamò il figliuolo fuori dal sonno della morte e lo restituì a lei: alla madre. Quam cum vidisset, motus super eam… Non il pietoso cadavere d’un giovanetta non la commiserazione d’una città, ma una madre in ambascia ha ottenuto il miracolo. Quando una Madre piange, Dio sente straziarsi le viscere (è il significato preciso della parola greca usata da Luca: « esplachnìsthe ») e non sa più resistere. « Madre », che misteriosa parola: essa è la prima che il bambino ignaro della vita riesce a balbettare. Essa è l’ultima che l’uomo esperto d’ogni amara fatica mormora nel turbine dell’agonia. Nelle ore più disperate in cui ci sentiamo schiacciati e soli nel mondo, involontariamente ognuno chiama la sua mamma: « Dov’è ella mai? Perché non sento la sua mano bianca carezzarmi la fronte ardente? » Nelle ore più benedette e fortunate, nessuna gioia è piena, nessuna gloria è colma, se manca la nostra mamma. « Dov’è ella mai? se mi potesse vedere! ». Guardando un giovane ben educato, che fa bella e onesta riuscita nel mondo, subito ci vengono in mente queste parole: « Sono i consigli, sono le preghiere di sua madre ». Incontrando invece qualche cattivo soggetto, fuorviato, depravato, noi diciamo: « Non ha avuto madre ». Ed io sono del parere di quelli che asseriscono come neppure il Figliuol Prodigo sarebbe finito a riempirsi il ventre con le ghiande dei porci, se la parabola gli avesse messo accanto una mamma. E non avete osservato con che accento d’insaziabile pietà gli orfani dicono: « La mia povera mamma… »? E non avete osservato quale tremito d’amarezza trascorre sulla bocca dell’uomo che tormentosamente esclama: « Ho fatto piangere mia madre… »? Madri, voi siete una potenza nel mondo. Perciò, permettete che vi richiami la dignità altissima a cui foste innalzate da Dio e da Cristo Salvatore. Permettete ch’io vi riguardi nella luce della nostra fede, in quella luce in cui Gesù vide la madre di Naim. Madre cristiana, significa Martire, perché la sua vita è un continuo olocausto; madre cristiana significa Angelo, perché la sua vita deve essere una continua elevazione a Dio sulle ali della preghiera. Forse questi pensieri faranno piangere molte che hanno dimenticato ciò che dovrebbero essere; faranno arrossire anche i mariti che in questa luce non hanno considerato mai la loro sposa; faranno pentire tutti i figliuoli che hanno disgustato la loro mamma. Dio voglia che avvenga così. – 1. LE MADRI DOLORANTI. Un lontano venerdì, al meriggio, una Madre ascendeva verso il sommo d’una collina appena fuori dalle mura di Gerusalemme. Era Maria, la madre di Dio: di Dio suo Figlio che agonizzava sopra una croce per la salvezza del mondo. Ed Ella dolorosa e lacrimosa stette a contemplare lo strazio del suo Unigenito. Grande come il mare fu la sua angoscia, e per ciò tutte le generazioni l’hanno riconosciuta come la più addolorata fra le donne. E dopo di Lei, dovrò ricordare tutte le madri cristiane, che l’imitarono nel sacrificio? Ricorderò Santa Sofia che vide co’ suoi occhi le tre figliuole uccise per la fede, e poi raccolse le reliquie delle tre piccole martiri, e le compose nella stessa arca e si adagiò sul loro sepolcro; e vi morì di dolore e di amore. Ricorderò anche la madre di S. Barulo. Mentre camminava per le vie di Antiochia con l’unico suo figlioletto, improvvisamente fu trascinata al tribunale del prefetto Asclepiade. Stavano processando un diacono, perché s’era rifiutato di adorare gli idoli. « Fa venire un fanciullo semplice ed innocente — diceva il martire al giudice — e sentiremo da lui se si devono onorare più dei, o un Dio solo ». E il primo fanciullo trovato, fu Barulo. « Barulo! — gli diceva Asclepiade con voce ingannevole — quella rosa che tieni fra le mani, non la potresti offrire a Giove? » « No! — rispose il bimbo — perché soltanto il Dio dei Cristiani è il Vero ». Scoppiò d’ira il prefetto: « Chi ti apprese a parlar così? ». « Mia madre rispose il piccolo — e a mia madre Iddio ». Allora fu consegnato ai carnefici perché fosse sospeso in alto e flagellato a morte in presenza della madre. E dall’alto, mentre le tenere carni percosse cadono a brani, dalle labbra riarse del fanciullo si sprigiona un lamento: « Oh, mamma, una goccia d’acqua! Ho sete ». « Figlio mio! — risponde la madre straziata — chi beve l’acqua terrena ha sete ancora… sopporta un poco e berrai al fonte dell’acqua che disseta per sempre ». Sopportò un poco ancora e gli fu troncata la testa nel grembo di sua madre! Che la Madre di Dio, che le madri doloranti dei martiri, insegnino anche alle nostre madri l’olocausto della maternità. La vita non è una festa, e i figliuoli non sono balocchi da conservare tra le carezze, gli agi, i capricci. La vita di una vera madre è un sacrificio lento, oscuro, continuo: è un immolarsi corpo ed anima, di giorno in giorno, per i figli e per lo sposo. Ma ora le giovani vanno al matrimonio sognando le rose soltanto, e di spine non vogliono saperne. Ecco perché con peccati e talvolta con delitti esecrandi si arriva fino a rifiutare d’essere madri, per sfuggire ai pesi e ai sacrifici della maternità. – 2. LE MADRI PREGANTI. Nell’infocato deserto di Bersabee da più giorni erravano una madre e un figlio: ed il figlio moriva di sete. Allora la madre lo pose sotto uno degli alberi che v’erano, s’allontanò quanto un tiro d’arco e piangendo alzava le mani e la voce al cielo: « Signore, non vedrò morire il mio fanciullo ». Quel grido fu udito da Dio, e venne un Angelo a dire: « Agar, che fai, non piangere più: prendi il figlio tuo e guarda ». In quel momento i suoi occhi scorsero non lontano un pozzo d’acqua, ove riempiendo l’otre, ella dissetò Ismaele (Gen. XXI). Ascoltate ancora di un’altra madre. Una volta che Gesù s’era spinto entro i confini della regione cananea, una donna che aveva la figlia torturata dal demonio venne a Lui, si buttò ai suoi piedi gridando: « Signore, pietà di mia figlia, e di me ». Ed il Signore dapprima la guardò senza rispondere, ma come ella raddoppiava le insistenze, i discepoli stessi lo pregarono di esaudirla. Egli allora parlò, ma per dire una parola dura: « Il mio popolo è quello d’Israele, tu sei forestiera. Donna, non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cani ». Ma quella donna era madre e pregò con eroica fede così: « E s’io sono un cane, almeno non mi sia negato il diritto dei cani che è ben quello di raccogliere le briciole cadute dalla tavola del padrone ». Gesù non poté più resistere: « La tua fede è grande! — esclamò commosso — ti sia concesso ciò che domandi ». Quante madri ancora somigliano ad Agar dell’Antico Testamento? l’anima del loro figlio, del loro sposo muore di sete nel deserto della vita, poiché da tempo hanno lasciato la Chiesa, le devozioni, l’amor del lavoro e della famiglia… Quante madri ancora somigliano alla Cananea del Nuovo Testamento; la loro figlia è tormentata dal demonio: non vuol più ubbidire, non vuol più vivere onestamente. Le mode, le gite, gli amici, le lunghe ore serotine passate fuori di casa l’hanno rovinata nell’anima… Bisogna pregare. « Signore! — dicono anch’esse piangendo — io non voglio vederlo morire di sete! Fa’ che ritorni a Te ed ai Sacramenti, fa che si disseti con l’acqua della tua grazia, fa che diventi buono » — « Signore! — dicano anch’esse — scaccia da mia figlia il demonio della leggerezza, dell’immodestia, della vanità, della disobbedienza, dello scandalo. Fa che diventi buona ». Alle madri che pregano e piangono con fede, con insistenza di anni e di anni — come santa Monica — Dio non può resistere. Ma perché dunque queste giovani madri dei nostri tempi pregano così poco? Perché non si recita più il Rosario alla sera, la preghiera prima dei pasti e del riposo, l’Angelus del mezzodì, le giaculatorie durante il lavoro? Perché non si sente il bisogno della Comunione frequente, della Messa quotidiana? – Si racconta dell’imperatore Corrado che assediò una città di Germania e la prese a discrezione. « Sia sterminata col ferro e col fuoco e nella rovina perisca ogni abitante ed ogni roba », questo era l’orrido bando. Ma le madri scarmigliate si prosternarono davanti al padiglione del terreo conquistatore e seppero singhiozzare così pietosamente che concesse a loro il permesso di fuggire con ciò che potevano portarsi dietro. E quelle con improvviso ardimento, si presero sulle spalle gli sposi e sulle braccia i figli e li sottrassero alla morte. Ah, le madri cristiane avranno forse meno zelo per sottrarre i loro cari alla morte spirituale? Ecco che il re dell’inferno cinge d’assedio le nostre case: sono mille nuovi pericoli che accerchiano la fede e il buon costume delle famiglie. Solo il sacrificio e la preghiera delle madri potrà strappare fuori dall’eterna rovina gli uomini ed i fanciulli. — LA SANTA MADRE CHIESA PIANGE. Questa donna di Naim mi ricorda un’altra mistica donna che oggi piange dietro alle anime morte non di uno solo, ma di mille e mille suoi figli giovanetti: la santa Madre Chiesa. Non è essa la sposa di Cristo vedovata per l’ascensione di Lui al cielo? Tutti i giovani che hanno perso l’innocenza della vita e l’amore alla preghiera e il desiderio della Comunione, non sono forse i suoi figliuoli morti? La gioventù non respira più nell’atmosfera cristiana, ma agonizza e muore nello spasimo di un’asma morale. V’è un attossicamento di anime, una lebbra di cuori, una tubercolosi spirituale. Perciò la Chiesa oggi piange. O Cristiani aprite una volta gli occhi e vedete la corruzione della nostra gioventù come dilaga; poi ricercatene qualche causa per opporvi rimedio. – 1. LA CORRUZIONE DEI GIOVANI. Un giorno che il Papa San Gregorio attraversava la piazza del mercato di Roma, vide un gruppo di giovani legati sopra un banco: bellissimi di forma, piacevoli di volto e tutti biondi di capelli. Erano schiavi ed aspettavano che qualcuno li comprasse. Il beato Gregorio passando vicino, domandò al mercante donde li avesse condotti. « Di Bretagna, — rispose quello — là, ove gli abitanti risplendono di simigliante bianchezza ». E ancora domandò: « Almeno sono essi Cristiani? » E il mercante rispose: « Non sono Cristiani, anzi sono involti negli orrori del paganesimo ». Allora S. Gregorio incominciò fortemente a sospirare in mezzo al mercato, e a piangere come un fanciullo, così dicendo: « Ohimè, dolente! che bellissimi giovani e che splendidi facce son venduti schiavi agli uomini pessimi e al demonio maligno ». Usciamo anche noi, e guardiamo con occhi cristiani su questa gran piazza di mercato che è il mondo: guardiamo la sorte della nostra gioventù. Sono fanciulli che a otto a dieci anni perdono di già la santa Messa nei giorni festivi; che di già non pregano più né mattina né sera. Sono giovani che non vengono mai alla dottrina cristiana, che non vogliono frequentare più l’oratorio, per divertirsi tutta la domenica e offendere il Signore. – I campi sportivi, i divertimenti; i balli rigurgitano di giovanetti: alla sera tornano a casa, ma il loro occhio non è limpido, ma la loro fronte non è più serena, ma la loro anima è una fiamma. Una fiamma d’impurità che li divora. Essi hanno visto, hanno udito, hanno imparato il male. E quando il demonio del vizio brutto entra in corpo a un nostro figliuolo lo rende muto. Subito ve ne accorgete, perché non prega più, non si confessa più come una volta, non apre più la sua bocca a ricevere il Pane degli Angeli. Allora è finita. E che cosa si può sperare ancora quando finanche le fanciulle hanno perso il senso del pudore istintivo nel cuor della donna? Voi le vedete in giro ad ogni ora, e sole: di giorno, di sera, di notte. Voi le sentite frivolmente ridere e scherzare per le strade; vestono una moda così immorale che forse non s’è vista mai, neppure al tempo dei pagani. E la gioventù ha l’anima bella. Un’anima splendente, che non vien di Bretagna come quei giovani che vide il beato Gregorio, ma viene da Dio e a Dio deve ritornare. Ma chi piange ora che sì belle anime cadono schiave di uomini pessimi e del demonio maligno? Il Papa più volte ha levato il suo grido d’allarme e contro alla moda e contro alla corruzione che dilaga. Il Papa dal Vaticano, come un giorno S. Gregorio sul mercato di Roma, sospira fortemente e piange sulla rovina della gioventù. – 2. QUALCHE CAUSA. « Oh i ragazzi adesso, non sono più come quelli di una volta! Nascono. già con un istinto più perverso… » così dicono le mamme ed anche i papà. Può darsi: ma è proprio possibile che il Signore tutti i buoni figliuoli li abbia già fatti nascere, e per i nostri tempi, abbia riserbato soltanto i cattivi? « Adesso si respira un’aria diversa. Ai nostri tempi non c’erano tanti luoghi di divertimento, tanti sports: e siamo cresciuti più sani e più onesti ». Sì, questo è vero ma non basta a spiegar tutto. Io credo, — e scusate genitori se ve lo dico, è per vostro bene — io credo che la vera colpa di tanto sfacelo morale ricada sui padri e sulle madri. Sapete perché i ragazzi di adesso non sono più come quelli di una volta? Perché anche ì genitori d’adesso non sono più come quelli d’allora. Il figlio in mano vostra è come una cera e cresce come voi lo volete. Il grande Vescovo di Costantinopoli S. Giovanni Crisostomo, quell’uomo meraviglioso che tanta orma di sé ha impresso sui secoli della storia, nacque nel 344, in una ricca e distinta famiglia. Il padre Secondo morì nel fior dell’età e lasciò vedova a vent’anni Antusa. A questa donna, ben degna dell’augusto nome di madre, si deve in gran parte la gloria del figlio. Per donarsi totalmente all’educazione del suo Giovanni, rifiutò un secondo matrimonio. Fu così fedele per ben due decenni ai suoi doveri di madre da strappare al pagano Libanio queste parole: « Che donne meravigliose ci sono tra i Cristiani! ». Or dove sono queste mamme? Che meraviglia allora che non ci siano più figli come Giovanni Crisostomo? Naturalmente non basta sorvegliare e avvisare i figli, sgridarli, castigarli: bisogna dar loro l’esempio. Perché i giovani non ragionano ancora e vivono di imitazione. Il piccolo Origene era un’anima ardente e pura. In quel tempo infieriva la persecuzione contro i Cristiani: lo sapeva il fanciullo, ma non aveva paura. Anzi agognava il martirio, per testimoniare col suggello della vita e del sangue a Cristo tutto il suo amore. Già in segreto aveva deciso di consegnarsi spontaneamente nelle mani dei carnefici. E sarebbe morto martire se l’astuzia della madre non fosse riuscita ad impedirglielo. La santa donna, che aveva intuito l’eroico disegno del suo figliuolo, prima che si svegliasse, nascose tutti i suoi abiti e l’obbligò a rimane a letto (EUSEBIO, Storia Eccl., VI, 2-5). Com’è possibile in un fanciullo tanto coraggio, tanta fede e questo entusiasmo fino alla morte? Com’è possibile? Suo padre gliene aveva dato l’esempio: il beato Leonida era morto martire. O genitori! i vostri figliuoli cresceranno secondo i vostri esempi. Li volete obbedienti? Cominciate voi ad ubbidire a tutte le leggi di Dio. Li volete devoti, che frequentino i Sacramenti? Cominciate voi ad essere devoti e a frequentare i Sacramenti. Li volete puri, onesti, lavoratori? Cominciate voi ad essere puri, onesti, lavoratori. Infine, vi raccomando: pregate per i vostri figliuoli, offrite qualche sacrificio per loro, fate per loro qualche elemosina. Perché noi ci affanniamo, ma quello che fa tutto è Dio. Una volta ho sentito una mamma che in un momento di stizza, fece questa imprecazione contro un suo bambino: « Che Dio ti faccia morire! ». No: non dite mai, non dite più questa parola. Bisogna pregar Dio per i vostri figliuoli ogni giorno, non perché li faccia morire, ma perché ce li preservi dal male, che è tanto nel mondo, che è orribile. Così pregava Gesù per i suoi Apostoli, che teneramente amava come figliuoli: « O Signore! non perché li tolga da questo mondo, ma perché li preservi dal male, io ti prego ». Non rogo ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo (Giov., XVII, 15). –  O Gesù! che un giorno hai sentito fremere il tuo cuore davanti alla desolata donna di Naim piangente sul suo giovanetto figlio, oggi ti prenda compassione anche della santa Madre Chiesa, che piange la rovina di tanti suoi figli giovanetti. Non permettere che pianga più oltre: consola il tuo Vicario. O Gesù! come un giorno alle porte di Naim, avvicinati oggi alle porte delle nostre città, alle porte dei nostri paesi, alle porte del cuore dei nostri figliuoli. Toccali Tu. Liberali dalla morte del peccato. Grida anche loro la tua parola di vita: « Giovanetto, risorgi: son Io che te lo comando ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 2; 3; 4
Exspéctans exspectávi Dóminum, et respéxit me: et exaudívit deprecatiónem meam: et immísit in os meum cánticum novum, hymnum Deo nostro.

[Ebbi ferma fiducia nel Signore, il quale si volse verso di me e ascoltò il mio grido: e pose nella mia bocca un càntico nuovo, un inno al nostro Dio.]

Secreta

Tua nos, Dómine, sacramenta custodiant: et contra diabólicos semper tueántur incúrsus.

[I tuoi sacramenti, o Signore, ci custodiscano e ci difendano sempre dagli assalti del demonio.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Domine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua gloria, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretionis sentímus. Ut in confessione veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia unitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamare quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedíctus, qui venit in nomine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præceptis salutáribus móniti, et divína institutióne formati audemus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann VI: 52
Panis, quem ego dédero, caro mea est pro sæculi vita.

[Il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo.]

Postcommunio

Orémus.

Mentes nostras et córpora possídeat, quǽsumus, Dómine, doni cœléstis operátio: ut non noster sensus in nobis, sed júgiter ejus prævéniat efféctus.

[L’azione di questo dono celeste dòmini, Te ne preghiamo, o Signore, le nostre menti e nostri corpi, affinché prevalga sempre in noi il suo effetto e non il nostro sentire.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA XIV DOPO PENTECOSTE (2023)

XIV DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Le Lezioni dell’Officio di questa Domenica sono spesso prese dal Libro dell’Ecclesiastico (Agosto) o da quello di Giobbe (Settembre). Commentando il primo, S. Gregorio dice: «Vi sono uomini così appassionati per i beni caduchi, da ignorare i beni eterni, o esserne insensibili. Senza rimpiangere i beni celesti perduti, i disgraziati si credono felici di possedere i beni terreni: per la luce della verità, non innalzano mai i loro sguardi e mai provano uno slancio, un desiderio verso l’eterna patria. Abbandonandosi ai godimenti nei quali si sono gettati si attaccano e si affezionano, come se fosse la loro patria, a un triste luogo d’esilio; e in mezzo alle tenebre sono felici come se una luce sfolgorante li illuminasse. Gli eletti, invece, per cui i beni passeggeri non hanno valore, vanno in cerca di quei beni per i quali la loro anima è stata creata. Trattenuti in questo mondo dai legami della carne, si trasportano con lo spirito al di là di questo mondo e prendono la salutare decisione di disprezzare quello che passa col tempo e di desiderare le cose eterne ». — Quanto a Giobbe viene rappresentato nelle Sacre Scritture come l’uomo staccato dai beni di questa terra: « Giobbe soffriva con pazienza e diceva: Se abbiamo ricevuti i beni da Dio, perché non ne riceveremo anche i mali? Dio mi ha donato i beni, Dio me li ha tolti, che il nome del Signore sia benedetto ». — La Messa di questo giorno si ispira a questo concetto. Lo Spirito Santo che la Chiesa ha ricevuto nel giorno di Pentecoste, ha formato in noi un uomo nuovo, che si oppone alle manifestazioni del vecchio uomo, cioè alla cupidigia della carne e alla ricerca delle ricchezze, mediante le quali può soddisfare la prima. Lo Spirito di Dio è uno spirito di libertà che rendendoci figli di Dio, nostro Padre, e fratelli di Gesù, nostro Signore, ci affranca dalla servitù del peccato e dalla tirannia dell’avarizia. « Quelli che vivono in Cristo, scrive S. Paolo, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e bramosie. Camminate, dunque, secondo lo Spirito e voi non compirete mai i desideri della carne, poiché la carne ha brame contro lo Spirito e lo Spirito contro la carne: essi sono opposti l’uno all’altra » (Ep.).  Nessuno può servire a due padroni, dice pure Gesù, perchè o odierà l’uno e amerà l’altro, ovvero aderirà all’uno e disprezzerà l’altro. Voi non potete servire a Dio e alle ricchezze ». « Chiunque è schiavo delle ricchezze – spiega S. Agostino – e si sa che sono spesso fonte di orgoglio, avarizia, ingiustizia e lussuria –  è sottomesso ad un padrone duro e cattivo. (« Forse che questi festini giornalieri, questi banchetti, questi piaceri, questi teatri, queste ricchezze, si domanda S. Giovanni Crisostomo, non attestano l’insaziabile esigenza delle tue cattive passioni? » – 2° Nott.. La V Domenica di Agosto che coincide qualche volta con questa Domenica). Dio non condanna la ricchezza ma l’attaccamento ai beni di questa terra e il loro cattivo impiego). Tutto dedito alle sue bramosie, subisce però la tirannia del demonio: certamente non l’ama perché chi può amare il demonio? ma lo sopporta. D’altra parte non odia Dio, poiché nessuna coscienza può odiare Dio, ma lo disprezza, cioè non lo teme, come se fosse sicuro della sua bontà. Lo Spirito Santo mette in guardia contro questa negligenza e questa sicurezza dannosa, quando dice, mediante il Profeta: Figlio mio, la misericordia di Dio è grande » (Eccl., V, 5 ),— (Queste parole sono prese dal 1° Notturno della V Domenica di Agosto, che coincide qualche volta con questa Domenica): « Non dire: la misericordia di Dio è grande, egli avrà pietà della moltitudine dei miei peccati. Poiché la misericordia e la collera che vengono da Lui si avvicinano rapidamente, e la sua collera guarda attentamente i peccatori. Non tardare a convertirti al Signore e non differirlo di giorno in giorno: poiché la sua collera verrà improvvisamente e ti perderà interamente. Non essere inquieto per l’acquisto delle ricchezze, poiché non ti sopravviveranno nel giorno della vendetta ») – … ma sappi che « la pazienza di Dio t’invita alla penitenza » (Rom., II, 4). Perché chi è più misericordioso di Colui che perdona tutti i peccati a quelli che si convertono e dona la fertilità dell’ulivo al pollone selvatico? E chi è più severo di colui che non ha risparmiati i rami naturali, ma li ha tagliati per la loro infedeltà? Chi dunque vuole amare Dio e non offenderlo, pensi che non può servire due padroni; abbia egli un’intenzione retta senza alcuna doppiezza. Ed e così che tu devi pensare alla bontà del Signore e cercarlo nella semplicità del cuore. Per questo, continua egli, io vi dico di non avere sollecitudini superflue di ciò che mangerete e del come vi vestirete; per paura che forse, senza cercare il superfluo, il cuore non si preoccupi, e che cercando il necessario, la vostra intenzione non si volga alla ricerca dei vostri interessi piuttosto che al bene degli altri » (3° Nott.). Cerchiamo dunque, prima di tutto il regno di Dio, la sua giustizia, la sua gloria (Vang., Com.); mettiamo nel Signore ogni nostra speranza (Grad.), poiché è il nostro protettore (Intr.); è Lui che manda il suo Angelo per liberare quelli che lo servono (Off.) e che preserva la nostra debole natura umana, poiché senza questo aiuto divino essa non potrebbe che soccombere (Oraz.). L’Eucarestia ci rende Dio amico (Secr.) e, fortificandoci, ci dà la salvezza (Postcom.). Cerchiamo, dunque, prima di tutto di pregare nel luogo del Signore (Vers. dell’Intr.) e di cantarvi le lodi di Dio, nostro Salvatore (All.); poi occupiamoci dei nostri interessi temporali, ma senza preoccupazione.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXXIII: 10-11.

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Ps LXXXIII: 2-3

V. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.

[O Dio degli eserciti, quanto amabili sono le tue dimore! L’ànima mia anela e spàsima verso gli atrii del Signore].

Gloria…

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília.

[Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Custódi, Dómine, quǽsumus, Ecclésiam tuam propitiatióne perpétua: et quia sine te lábitur humána mortálitas; tuis semper auxíliis et abstrahátur a nóxiis et ad salutária dirigátur.

[O Signore, Te ne preghiamo, custodisci propizio costantemente la tua Chiesa, e poiché senza di Te viene meno l’umana debolezza, dal tuo continuo aiuto sia liberata da quanto le nuoce, e guidata verso quanto le giova a salvezza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.

Gal V: 16-24

“Fratres: Spíritu ambuláte, et desidéria carnis non perficiétis. Caro enim concupíscit advérsus spíritum, spíritus autem advérsus carnem: hæc enim sibi ínvicem adversántur, ut non quæcúmque vultis, illa faciátis. Quod si spíritu ducímini, non estis sub lege. Manifésta sunt autem ópera carnis, quæ sunt fornicátio, immundítia, impudicítia, luxúria, idolórum sérvitus, venefícia, inimicítiæ, contentiónes, æmulatiónes, iræ, rixæ, dissensiónes, sectæ, invídiæ, homicídia, ebrietátes, comessatiónes, et his simília: quæ prædíco vobis, sicut prædíxi: quóniam, qui talia agunt, regnum Dei non consequántur. Fructus autem Spíritus est: cáritas, gáudium, pax, patiéntia, benígnitas, bónitas, longanímitas, mansuetúdo, fides, modéstia, continéntia, cástitas. Advérsus hujúsmodi non est lex. Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixérunt cum vítiis et concupiscéntiis.”

[“Fratelli: Camminate secondo lo spirito e non soddisferete ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne: essi, infatti, contrastano tra loro, così che non potete fare ciò che vorreste. Che se voi vi lasciate guidare dallo spirito non siete sotto la legge. Sono poi manifeste le opere della carne: esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi ecc. le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili; di cui vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il seguiranno il regno di Dio. Frutto invece dello Spirito è: la carità, il gaudio, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Contro tali cose non c’è logge. Or quei che son di Cristo han crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue brame”].

C’è una lotta, una guerra formidabile, una battaglia che si combatte fieramente e dappertutto e sempre: si combatte in ciascuno di noi. Per un misterioso congegno, noi, siamo due in uno e uno in due. Siamo, lo sanno tutti, anima e corpo, ma corpo e anima pur insieme uniti come sono a formare un sol uomo, rappresentano ciascuno tendenze diverse, addirittura contrastanti. La materia ci trascina nel torbido mondo dei piaceri più bassi: mollezza, ozio, dissipazione, egoismo e poi crudeltà se occorre. La materia ci trascina verso il mondo animale, anzi un mondo animale degenere e corrotto. È un fatto che noi possiamo sperimentare, che sperimentiamo anzi, senza volerlo, in noi stessi. Lo sperimentiamo con un altro fatto, del pari innegabile. Ed è che dentro di noi, contro di noi, contro questi travolgimenti passionali, queste degenerazioni brutali, qualche cosa, qualcheduno protesta; come se si trovasse, perché si trova, a disagio, nel trionfare di queste basse voglie. Questo qualcuno è lo spirito che, dice San Paolo: « concupiscit adversus carnem ». Veramente, questa concupiscenza dello spirito, è una frase ardita. La realtà si è che lo spirito ha delle sue voglie, delle sue tendenze, che non sono quelle della carne. E noi sentiamo in noi, nelle ore migliori della vita, una sete di purezza, di sobrietà, di laboriosità, di sacrificio, di dominio della bestia: sogni angelici ci traversano l’anima e ce la attirano verso il cielo. Istinti angelici da quanto sono brutali quegli altri. Istinti che si rafforzano dentro di noi, colla educazione, coll’altrui buon esempio, colla saturità cristiana dell’ambiente in cui siamo chiamati a vivere. Ma istinti ai quali contrasta e maledice il corpo, proprio come contro quelli del corpo eleva l’anima l’istintivo suo veto. In questa lotta è la tragedia della nostra vita morale. È il segreto della nostra debolezza. È per questo che facciamo spesso quello che non vorremmo, che quasi non vogliamo e non facciamo quello che vorremmo. Quanti uomini vorrebbero essere fedeli alle loro mogli, vorrebbero dare esempi luminosi di buon costume ai loro figli… vorrebbero; e intanto, pur riconoscendo che fanno male, che amareggiano il cuore di una povera donna, che dànno cattivo esempio ai figlioli, profanano il santuario domestico e cercano fuori di esso illecite gioie. Quanti giovani si vergognano, si pentono della vita materiale, animalesca che conducono, e intanto non hanno forza di troncarla: « vident meliora, probantque, deteriora sequuntur ». Ma se in questo congegno di lotta interna è il segreto della nostra debolezza, v’è anche quello della nostra gloria. Abbiamo una bella battaglia da vincere. Essere un po’ sulla terra, ancora sulla terra « sicut angeli Dei in cœlo.» Andare verso l’alto, verso il cielo malgrado questa palla di piombo, che, ahimè, portiamo al piede. Gli Angeli nascono Angeli, lo sono: noi dobbiamo diventarlo. – Il Cristianesimo è stato e rimane il grande alleato dello spirito nella lotta contro la carne, Gesù è venuto apposta tra noi per dare man forte allo spirito. E da Lui in poi, e grazie a Lui, la vittoria nonché possibile, è diventata frequente tra i suoi discepoli. L’umanità vede oggi a frotte i cavalieri autentici dello spirito, gli uomini che collo spirito hanno mortificato, compresso i fasti della carne, e si rivelano in questa trionfale spiritualità di vita, si rivelano guidati dallo Spirito di Dio. Aggreghiamoci alla falange dei vincitori, non accodiamoci, codardi, alle orde dei vinti.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)]

 Graduale

Ps CXVII:8-9
Bonum est confidére in Dómino, quam confidére in hómine.
[È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo].

V. Bonum est speráre in Dómino, quam speráre in princípibus. Allelúja, allelúja
 

[È meglio sperare nel Signore che sperare nei príncipi. Allelúia, allelúia].

Alleluja

XCIV: 1.
Veníte, exsultémus Dómino, jubilémus Deo, salutári nostro. Allelúja.

[Venite, esultiamo nel Signore, rallegriamoci in Dio nostra salvezza. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.
Matt VI: 24-33

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nemo potest duóbus dóminis servíre: aut enim unum ódio habébit, et álterum díliget: aut unum sustinébit, et álterum contémnet. Non potéstis Deo servíre et mammónæ. Ideo dico vobis, ne sollíciti sitis ánimæ vestræ, quid manducétis, neque córpori vestro, quid induámini. Nonne ánima plus est quam esca: et corpus plus quam vestiméntum? Respícite volatília coeli, quóniam non serunt neque metunt neque cóngregant in hórrea: et Pater vester coeléstis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis? Quis autem vestrum cógitans potest adjícere ad statúram suam cúbitum unum? Et de vestiménto quid sollíciti estis? Consideráte lília agri, quómodo crescunt: non labórant neque nent. Dico autem vobis, quóniam nec Sálomon in omni glória sua coopértus est sicut unum ex istis. Si autem fænum agri, quod hódie est et cras in clíbanum míttitur, Deus sic vestit: quanto magis vos módicæ fídei? Nolíte ergo sollíciti esse, dicéntes: Quid manducábimus aut quid bibémus aut quo operiémur? Hæc enim ómnia gentes inquírunt. Scit enim Pater vester, quia his ómnibus indigétis. Quaerite ergo primum regnum Dei et justítiam ejus: et hæc ómnia adjiciéntur vobis”.

[“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo, e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e alle ricchezze. Per questo vi dico: non vi prendete affanno né di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. La vita non vale ella più dell’alimento, e il corpo più del vestito! Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai da più di essi? Ma chi è di voi che con tutto il suo pensare possa aggiuntare alla sua statura un cubito? E perché vi prendete cura pel vestito? Pensate come crescono i gigli del campo; essi non lavorano e non filano. Or io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo riveste Dio un’erba del campo, che oggi è e domani vien gittata nel forno; quanto più voi gente di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi, dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? Imperocché tali sono le cure dei Gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose”].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

I SERVI DEI DUE REGNI

Erano in un ampio prato erboso, che pareva adattato apposta per un’accolta quieta di uomini. Era iniziato il gran Regno ed ora il re dava la sua legge, seduto su un piccolo masso sporgente, che si stendeva su tutto il creato. I Cittadini del regno erano figli, figli della grazia, figli adottivi del Padre: nel regno la prima cosa che debbon fare i figli è obbedire: obbedire seriamente e solo a Dio, non assieme alle proprie passioni, alle ricchezze, agli onori: no, bisogna scegliere. « Nessuno può servire a due padroni, perché odierà l’uno e amerà l’altro: o sarà affezionato al primo e disprezzerà il secondo ». Perché sia dolce obbedire nel regno di Dio, Gesù ha le più tenere espressioni dell’immensa bontà del Padre. « Le ricchezze e le passioni sono padroni troppo esigenti e vi fanno schiavi: non servite loro, servite il Padre che ve le darà Lui le ricchezze, Lui che al rigore dell’inverno fa succedere la primavera, Lui che fa rifiorire la messe, e i ceppi, i gigli, e i tralci delle viti; Lui che nutre gli uccelli dell’aria e i pesci dell’acqua. « Non vogliate dunque angustiarvi, dicendo: cosa mangeremo e cosa berremo o di che ci vestiremo. Poiché tali sono le cure dei gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno ». « Cercate dunque in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia; e di sopra più avrete tutte le altre cose ». Noi sappiamo che il regno di Dio è la sua Chiesa, ove vi è la vita vera, la vita soprannaturale, dove vivono le anime; noi sappiamo che la giustizia del regno sono le virtù e i doveri dei sudditi del buon Dio; noi sappiamo che fuori c’è l’altro regno, quello che Gesù chiamò mondo, col suo re, con le sue leggi. Nella storia degli uomini ci furono quelli che scelsero di servire il mondo; altri rimasero perplessi tra Dio e il mondo, non contentando l’uno e disgustando l’altro; altri, infine, decisamente si posero al servizio di Dio Padre, secondo il dolce invito di Gesù. Fra questi vogliamo collocare anche noi e per assicurarcelo vediamo chi sono gli altri servi infedeli. – 1. I SERVI DEL MONDO. Deve esser bello vedere uno di questi servitori, quando arrivano al tribunale di Dio! Uno di essi, il re dei diamanti, meglio detto il servo delle ricchezze, morì anni or sono e comparì dinanzi a Dio. « Chi siete voi? » domandò l’Angelo del giudizio. Mi conoscono tutti, rispose, sono l’uomo più ricco d’Inghilterra, sono un finanziere famoso: ho una scuderia di cavalli puro sangue che fa invidia a tutta la terra e sono proprietario delle miniere del Sud-Africa… con le mie ricchezze, potrei comprarmi l’Italia intera, i suoi laghi, i suoi monti ». Ma non potrete comprarvi — rispose l’Angelo, — neppure lo spazio per mettere un sol piede nel paradiso. Questo non è il vostro regno: voi avete servito ottimamente nell’altro, là siete ben conosciuto, addio ». Un brivido di terrore entrò nelle ossa del signore: aveva sbagliato padrone. Costui fu uno dei tanti illusi che hanno sentito il proclama del principe del mondo: Venite et fruamur bonis… coronemur rosis… nullum pratum sit quo non pertranseat luxuria nostra. [Su, godiamoci i beni presenti, non vi sia prato che non conosca la nostra lussuria] (Sap. II, 6). Voi non l’avete mai visto questo mondo perché non è una determinata persona, ma voi vivete in mezzo, ne respirate l’aria, lo toccate, tante volte siete caduti nei suoi lacci. Esso è un gran regno.Ha i suoi templi; i suoi teatri sporchi, le sale da giuoco, le case notturne, i covi della corruzione; e sono rigurgiti di gente che vive in questo fango e serve in gran livrea. Ha i suoi apostoli; nella città e nella borgata, con la parola e con la penna, della levatura di un ciabattino e della boria di un dottore: scrittori immorali, maestri elementari atei, giornalisti venduti ad un pezzo di carta sporca: per quattro soldi. Ha i suoi idoli: le ricchezze acquistate con ogni mezzo, la gloria conquistata con la sofferenza d’altri, il piacere ottenuto col vizio, bevuto a goccia a goccia, con voluttà tremenda… Guai al mondo! Un dì uscì questa invettiva amara dalla bocca dolce del divino Gesù: era la voce accorata del padre per i figli venduti al mondo e illusi; per il mondo non pregava, per loro sì pregava, perché si togliessero dal mondo, entrassero nel regno suo, regno di giustizia, di pace.« Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia ». – 2. SERVI PERPLESSI TRA DIO E IL MONDO. Dio aveva mandato il profeta, perché ripetesse al popolo il suo aspro lamento. Quando Elia vide il mare delle teste ondeggiante nel piano, fece cenno di silenzio e solennemente parlò a nome di Dio così: « E fino a quando zoppicherete voi or di qua or di là? Se credete a Dio, ubbiditegli; se credete a Baal, seguitelo ». Ammutolì il popolo, e pensò che il profeta avesse ragione. Gesù riprese il medesimo lamento e disse: « Non si può servire a due padroni. » Lo disse ai farisei, lo dice a molti Cristiani di oggi, i quali, direbbe il Santo Curato d’Ars, assomigliano a quei cani che vanno dietro al primo che li chiami. a) Sono quei Cristiani che ancora non hanno perduto interamente la fede, che stanno in qualche modo attaccati a qualche pratica di pietà, che non vogliono abbandonare del tutto Dio: ma non hanno sufficiente coraggio di lasciare un’occasione di peccato, di troncare una relazione, di abbandonare una buona volta una pessima abitudine; costoro non vorrebbero dannarsi, ma neppure scomodarsi; sperano di arrivare al paradiso senza faticare e senza far violenza a se stessi; si cullano nella lusinga di darsi poi, col tempo, al buon Dio. b) Vi sono poi dei servi ancora più spigliati a cambiare padrone. Li vedete in chiesa a pregare Dio e poi a mezzodì in piazza li sentite bestemmiare: alla Messa della Domenica cantano le lodi di Dio e all’osteria tengono laidi discorsi. Le mani che hanno toccato l’acqua santa le fanno servire alle più ignominiose passioni, gli occhi che hanno visto l’Ostia consacrata li volgono volontariamente attorno su oggetti disonesti. Ieri quel mercante ha fatto l’elemosina ad un povero, oggi ha concluso un affare con imbrogli e con inganni; ieri quella mamma augurava ogni benedizione ai figli, oggi li colma di imprecazioni, ieri li mandava a confessarsi, oggi a ballare, ieri diceva alla figliola di esser seria e riservata, oggi la lascia in compagnia di giovani per tante ore, senza nulla dire… c) Vi sono anche di quelli che vorrebbero aggiustare le cose a loro modo, fare i propri comodi e poi trovare un confessore di loro gusto; e guai se il confessore si trova costretto a negare l’assoluzione, son fulmini e pettegolezzi senza fine: e guai se il predicatore dal pulpito grida contro il vizio, contro il danaro, mammona di iniquità! il meno che possano fare costoro è di borbottare che il prete ha del buon tempo, fa il suo mestiere, dovrebbe badare ai fatti suoi, non interessarsi di politica. No, no, ha ragione il Signore: a meno di voler essere banderuole, di voler usare due misure, di tener il piede in due scarpe, non si può dividere il cuore, non si può servire due padroni. Bisogna scegliere. Chi? – 3. I SERVI DI DIO. Proprio nell’ora in cui arrivava il re dei diamanti al tribunale di Dio, arrivò da Hyderabad l’anima di un umile missionario. « Chi sei tu? » chiese l’Angelo del giudizio. « Io, rispose l’anima, non ho nulla. Avevo casa, genitori, patria, ed ho lasciato tutto: da due anni mi trovavo in India, solo con un crocifisso di legno e ventinove anni di vita. Ieri sera mi hanno chiamato al villaggio di Avanigadda per un coleroso, e gli ho salvato l’anima. Ma il colera mi ha ghermito e in poche ore mi ha portato quassù. Ora non ho proprio più nulla, neppure il mio crocifisso di legno, neppure la mia giovinezza di ventinove anni. Sono solo un missionario, un umile servo del regno di Dio ». « Ora tu hai proprio tutto, esclamò l’Angelo gaudioso, tu hai proprio tutto. Il Regno senza confine di Dio è tutto per te ». Così ai buoni servi verrà detto in quel dì: orsù dunque, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore. Il Re di questo regno è Cristo Gesù. « Non è salute che in Lui ». « Tutto da Lui procede, tutto mette capo a Lui ». « Chi non crede in Lui, è già giudicato ». Il Re di questo regno ha dato questa legge: « Colui che mi vuol seguire, rinneghi se stesso »: mortifichi la carne che si ribella allo spirito, soffochi gli istinti cattivi e le passioni che tentano di sopprimere i germi della virtù. « Prenda la sua croce »; la Croce che Lui ha portato, pesante, diurna, e notturna: a cui sono appese tutte le angustie, le tribolazioni, i gemiti, le lacrime, .il sangue dell’umanità, la croce di questa vita, di questo pellegrinaggio che conta tanti giorni cattivi e dolorosi: questa croce tutti devono portare. « E mi segua »: portala la croce, come ha fatto Lui e Lui ha fatto la volontà del Padre, l’ha portata con rassegnazione, con amore. Così ha parlato il Re. Ma non tutti risposero così. Molti dissero e dicono continuamente, domani, domani, quando le passioni avranno spento il loro fuoco, quando gli anni si saranno accumulati, quando sentiremo l’appressarsi dell’eternità! Ma il Re ha parlato e disse: oggi, oggi, non domani perché allora « Voi mi cercherete e non mi troverete ». Quando? Nel dì del giudizio apparirà nello splendore della gloria, a riconoscere i suoi servi: ai fedeli dirà: « Vi conosco; entrate nel Regno preparato per voi »; agli infedeli dirà: « Non vi conosco; andate nel fuoco eterno » – « Miei fratelli, scrive l’Apostolo Pietro, andate crescendo nella grazia e nella cognizione del Signor nostro e Salvatore Gesù »: questo vuol dire servire nel regno di Dio, sforzarsi di diventar migliori, crescendo in grazia, in cognizione, in amore di Gesù. Fuori di Lui non dobbiamo cercare nulla. Sentite S. Bernardo: « Siete voi ammalati? Egli è il vostro medico. Avete smarrito la via? Egli è la vostra guida. Siete voi assaliti? Egli è il vostro difensore. Avete sete? Egli è la vostra bevanda. Avete freddo? Egli è il vostro vestimento. Siete voi circondati dalle tenebre? Egli è la vostra luce. Siete orfani? Egli è vostro padre. » Tutto ciò che volete troverete in Lui, nell’immensa bontà del Padre: il cibo, le vesti, la sanità anche troverete. Allora non angustiatevi a cercar queste cose al mondo, coi mezzi del mondo; no; cercate prima il regno di Dio, Gesù e la sua grazia; il resto non vi mancherà. — LA PROVVIDENZA. La parola di Gesù, nel S. Vangelo, è sempre improntata di una sapienza divina ma nel discorso del monte assume una bellezza che è senza confronti. Ancora all’inizio della vita pubblica, il Maestro vuol tracciare il programma della religione nuova. Per questo sale sui monti, sale in alto, quasi a dirci che se vogliamo capirlo ci dobbiamo staccare dalle bassure del mondo. Oggi la Chiesa ci fa leggere un tratto di quelle parole sublimi. Dopo averci parlato del Padre che è ne’ cieli, a cui va rivolta la nostra preghiera, soggiunge che Lui solo dev’essere il nostro Padrone, perché nessuno può servine a due padroni: o amare il primo e odiare il secondo; o seguire il secondo e abbandonare il primo. È impossibile servire a Dio e al mondo assieme. Ma il Signore sa che la roba di quaggiù esercita un fascino spesse volte potente, sa che il pensiero delle cose terrene può far dimenticare le cose celesti; ed allora « Non crucciatevi — soggiunge — per il pane che dovete mangiare! Tenete a mente che l’anima vale più del cibo. Del resto, guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono e non hanno granai: eppure il Padre vostro li tiene in vita. E voi non siete forse qualche cosa di più degli uccelli? Non vi angustiate per l’abito che dovete indossare. I gigli del campo come crescono belli! Eppure non filano e non si affaticano. Vi dico che neanche Salomone, nello splendore della sua gloria, si è vestito come uno di essi. Se dunque Iddio veste con sì vivi colori le erbe del campo che domani saranno tagliate, quanta cura non avrà di voi, uomini di poca fede! ». Con simili accenti, Gesù ci solleva in un’altra atmosfera; non ci accorgiamo di far parte di una famiglia dove le preoccupazioni non hanno ragione di essere: nei cieli vi è un Padre che pensa a tutti. Mi sembra che in questa luce anche la vita diventi più bella! Davvero che il Cristiano è l’uomo felice, è l’uomo della vera allegria perché crede che c’è la Provvidenza verso la quale egli ha dei doveri. – 1. C’È LA PROVVIDENZA. La vita di ogni Santo è un argomento per l’esistenza della Divina Provvidenza. Ricordiamo, ad esempio, la storia di S. Vincenzo de’ Paoli fatto schiavo dei musulmani. Sacerdote di fresco ordinato, s’’accingeva a tornare da Marsiglia dove si era recato per un’opera d’apostolato. Un ricco e buon signore gli propose di prendere la via di mare invece che la via di terra per la quale s’era già deciso. Le condizioni erano lusinghiere: risparmio di tempo, di fatica, di denaro; ottima compagnia. Accettò la proposta, credendo d’accondiscendere al suggerimento d’un uomo mentre era la Provvidenza che lo attirava nel suo piano. Infatti, la nave fu assalita dai pirati turchi, e dopo una lotta disperata, tutti i passeggeri furono imprigionati e portati barbaramente a Tunisi. Qui S. Vincenzo fu venduto, come una bestia, sul mercato. Lo comprò un pescatore, ma trovatolo, incapace e inesperto per la caccia, lo vendette a un vecchio medico il quale lo occupava a mantenere il fuoco nei fornelli su cui preparava certe strane medicine. Dov’era in quei momenti la Provvidenza? Che aiuto gli dava, se tutto il giorno era angariato senza un momento di sosta, senza che fosse mai consentita a lui sacerdote novello la consolazione di celebrare Messa e di recitare il Breviario? Un altro al suo posto si sarebbe perso di fede e scoraggiato. Lui invece pregava incessantemente e confidava. Dov’era dunque in quei momenti la Provvidenza? Era là, vicina a lui, che vigilava e disponeva tutto secondo un amoroso e misterioso disegno che gli occhi degli uomini spesso non possono neppure intravvedere. Effettivamente le cose parevano volgere in peggio. Il vecchio medico musulmano l’aveva rivenduto a un Cristiano rinnegato che s’era accasato con una donna turca, e questi lo maltrattava e gli faceva lavorare tutto il giorno la terra. La padrona però, qualche volta, mentre egli zappava nel campo, scambiava con lui qualche parola sulla fede cristiana, e ascoltava volentieri il canto delle lodi di Dio. Passarono alcuni mesi e la grazia, a poco a poco segretamente penetrando, trionfò: non solo la padrona si convertì, ma seppe indurre il marito a riabbracciare la fede ripudiata. E dopo che entrambi furono illuminati dalla verità e accesi dalla carità di Cristo, di comune accordo diedero la libertà allo schiavo loro Vincenzo. Anzi consapevoli che proprio da quello schiavo paziente e umile avevano ricevuto una libertà più grande e più preziosa di quella che gli donavano, la libertà dalla schiavitù dell’errore e di satana, come segno di riconoscenza lo vollero accompagnare nella via del ritorno. Due anni, due lunghi anni erano passati dal giorno in cui era caduto in mano dei pirati, durante i quali non aveva avuto nessuna notizia dei suoi cari, e del suo sacerdozio non aveva potuto vivere che il carattere scolpito indelebilmente nell’anima. Parrebbero anni perduti, anni di rovina. Eppure, senza di essi non avremmo avuto un Santo dal cui cuore sgorgò un fuoco di carità immenso. C’è dunque la Provvidenza di Dio; c’è il Signore « che ha disposto quanto esiste, in peso, numero e misura » (Sap., XI, 21). « Che governa con forza le cose dal principio alla fine e tutto dispone con soavità » (Sap., VIII, 1). « Il piccolo ed il grande è Lui che li ha fatti, ed ha cura egualmente dell’uno e dell’altro » (Sap., VI, 8). « Come l’aquila stimola i suoi piccoli al volo e stendendo le sue ali li protegge, li aiuta e nel pericolo li soccorre » (Deut., XXXII, 11) così il Signore, dopo che ci ha messi nel gran mare della vita, non cessa di vegliare sulla nostra coscienza. Se non che i pensieri e le vie della Provvidenza non sono come i nostri pensieri e i nostri disegni, ma più belli e più grandi. Bisogna credere e fidarsi. – 2. DOVERI VERSO LA PROVVIDENZA. A Torino, se passate per via Cottolengo, vi trovate davanti ad una porta stretta, con sopra un umile cartello che dice: « Piccola Casa della Divina Provvidenza ». Sia pure per curiosità, entrate dentro perché tutti dicono che è la casa dei miracoli. Non lasciatevi però ingannare dal nome perché non è una semplice casa ma una città, la cittadella del dolore. « Quelli che hanno trovato chiuse le porte di tutti gli ospedali, i veri rifiuti dell’umanità soltanto lì possono trovare un po’ di riposo. L’ha fondata un sacerdote, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che non teneva mai un centesimo in tasca: anzi, una volta che gli era avanzato un po’ di denaro, lo buttò dalla finestra. E la Provvidenza non gli è mai mancata perché la sua fiducia non aveva un limite. Se all’ora del pranzo non si trovava neppure un po’ di farina: il Santo non se ne angustiava: stavolta toccava al Signore! Chiamava tutti in chiesa, cominciava il Rosario, cantava il Magnificat od il Te Deum finché non si fosse sentito bussare alla porta: c’erano uomini con carri di farina, di frumento, di pasta. Chi mai aveva mandato quegli uomini con tanta grazia di Dio? Qualcuno certamente, ma i nomi non si seppero mai. Quanti, oggi, i ricoverati? Dicono che siano ottomila, ma il numero preciso non lo si vuol sapere: a contarli e a mantenerli tocca alla Provvidenza a cui dai dormitori, dalle corsie, dai corridoi, nel lavoro, nel riposo, nel dolore, sale la voce del ringraziamento e della fiducia. In tutte le ore, di giorno e di notte, davanti al Tabernacolo ci sono sempre suore raccolte in preghiera. Cristiani, se vogliamo che Dio pensi a noi, noi dobbiamo pensare a Lui. Confidenza e fiducia! Se il Signore ha cura dei suoi nemici, vorrà abbandonare i suoi amici? Siam forse meno degli uccelli dell’aria e dei gigli del campo? « Se gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue orecchie nella loro preghiera » (Salmo, XXXIII, 16). « Speri in Lui chi lo ha conosciuto » (Salmo, XI, 11). Quando sembra che il cielo sia chiuso e nessuno più si ricordi di noi, è proprio il momento di raddoppiar la preghiera. Ringraziamento. Se non casca foglia che Dio non voglia, quel che Dio vuole non è mai troppo. Sia che ci mandi la gioia, sia che permetta il dolore, sempre diciamogli grazie. « Se abbiamo goduto — esclama Giobbe — quando ricevemmo del bene, perché mai non accettiamo anche il dolore? Il Signore ha dato ed il Signore ha tolto: sia benedetto il suo nome nei secoli ». – In un suo viaggio verso Roma S. Ambrogio fu ospite nella magnifica villa di un gran signore. Ma quando seppe che in quella casa la sofferenza non era mai entrata: « Raccogli subito — disse al servo — raccogli subito le nostre cose e andiamo via. Non voglio stare in questa casa! Se non c’è nessun dolore è segno evidente che non c’è Iddio ». Così la pensavano i Santi! Ricordiamo queste parole quando le avversità ci vorrebbero far sospettare che Iddio ci abbia dimenticati. E proprio allora che ci è vicino.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:8-9

Immíttet Angelus Dómini in circúitu timéntium eum, et erípiet eos: gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus.

[L’Angelo del Signore scenderà su quelli che Lo temono e li libererà: gustate e vedete quanto soave è il Signore].

Secreta

Concéde nobis, Dómine, quǽsumus, ut hæc hóstia salutáris et nostrórum fiat purgátio delictórum, et tuæ propitiátio potestátis.

[Concédici, o Signore, Te ne preghiamo, che quest’ostia salutare ci purifichi dai nostri peccati e ci renda propizia la tua maestà].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

… de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Così che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle Persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt VI:33
Primum quærite regnum Dei, et ómnia adjiciéntur vobis, dicit Dóminus.

[Cercate prima il regno di Dio, e ogni cosa vi sarà data in più, dice il Signore.]

 Postcommunio

Orémus.
Puríficent semper et múniant tua sacraménta nos, Deus: et ad perpétuæ ducant salvatiónis efféctum.

[Ci purífichino sempre e ci difendano i tuoi sacramenti, o Dio, e ci conducano al porto dell’eterna salvezza].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2013)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2023)

La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’Autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sotto il sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. I perversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna dei cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto a una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’Orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggerenin questo giorno l’Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggettonla fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti, solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza:« Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante,bperché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente ha da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore —che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti, è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele ». I Gentili occupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione piena di umiltà » (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine.  Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezza (Com.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Ps LXXIII: 1

Ut quid, Deus, repulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?

[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod prǽcipis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.

[Gal. III: 16-22]

“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso, dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza, cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione.

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja

[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.

[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19

In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.”

[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]

OMELIA

 (G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

LA CONFESSIONE

Gli uomini del mondo hanno una grande smania di piacere alle creature. Molta cura pongono nei profumi, nei capelli, nell’eleganza del loro vestire: vanno ricercando le stoffe più delicate, vanno seguendo le fogge più strane per adornare l’esteriore del loro corpo, che spesso divien lo scandalo del prossimo. Oh, se avessimo almeno altrettanta cura di piacere a Dio!… invece, no. E mentre sospirano dietro la bellezza materiale e sciocca dei corpi, trascurano la vera bellezza che è nell’anima. E mentre anche con sofferenza sanno usare tutti i soccorsi della vanità per rendersi avvenenti, non vogliono ricorrere al facile e divino espediente che rende bella e graziosa l’anima: la confessione [in assenza di un vero Sacerdote, l’esame di coscienza con contrizione perfetta, il proposito di non più peccare e la penitenza, col desiderio implicito della confessione sacramentale appena possibile -ndr. -]. Questo è appunto il senso mistico del Vangelo di oggi. Nelle folte campagne di una borgata giudaica viveva un gruppo di dieci lebbrosi, tra cui uno almeno era samaritano. Ma il male aveva sopito tra loro ogni dissidio nazionale, curvandoli tutti sotto la medesima piaga, il medesimo destino. Con occhi terribilmente dilatati, e non protetti più dalle sopracciglia ch’erano cadute a pelo a pelo, con orecchie ingrossate e deformi, con dita smozzicate, e con tutto il corpo in tormento, andavano per quella terra dolorando, quando Gesù passò di là. Tutti, senza avvicinarsi, ché la gente li avrebbe lapidati, levarono a Lui un grido straziante: « Gesù! pietà di noi ». Gesù si volse a quelle carni martoriate, a cui d’umano non restava niente fuor che la voce crucciosa, e disse: « Andate, presentatevi ai sacerdoti ». Ite: ostendite vos sacerdotibus. Andando, un nuovo flusso di sangue ascese per le loro vene; ogni piaga stagnò; tessuti corrosi si rinnovarono subitamente: per virtù di miracolo furono mondati e tornarono belli. Nel mondo c’è pure un’altra lebbra che fa strage, non nei corpi, ma nelle anime: il peccato. Il peccato, infatti, ci priva d’ogni bellezza e ci rende cancrenosi e fetenti davanti a Dio. E come gli immondi di lebbra erano scacciati fuori dalle città e dai paesi con sassi e con ingiurie, così gli immondi di peccato sono scacciati via dal paradiso, via da Dio e dagli Angeli suoi, e solo il demonio hanno compagno. È strano però che gli uomini, che non sapevano sopportare nelle loro case la puzza della lebbra, sanno tenere nel loro cuore marcio il fetore del peccato. Eppure, è soprattutto per la lebbra spirituale che Gesù disse: ostendite vos sacerdotibus. Andate, aprite tutte le vostre miserie al Sacerdote nella confessione, poiché la confessione guarisce e preserva dalla lebbra del peccato. – 1. LA CONFESSIONE GUARISCE DAL PECCATO. Nelle vite dei Padri c’è un’espressiva leggenda che a tutti piaceva sentire, in quei primi tempi. In una certa città viveva un uomo peccatore. Quantunque i richiami al bene non gli fossero mancati, pure s’era pazzamente buttato nel vortice della colpa, suscitando intorno uno scandalo rumoroso. Un Vescovo santo, nel vederlo passare, corse al suo cammino e cominciò a piangere amarissimamente per ciò ch’egli, più sollecito a piacere al mondo che a Dio, non si curava della rovina della sua anima piena di peccati, come il corpo di un lebbroso è pieno di piaghe. Mentre il Vescovo pregava e piangeva sulla nuda terra, vide venire verso lo sciagurato una cornacchia nerissima. Il santo, levandosi, la prese e l’immerse nell’acqua: l’uccello subito si tramutò in candida colomba. Il giorno dopo il peccatore, che aveva pur visto il miracolo, venne ai piedi del Vescovo con le lacrime agli occhi; e colui che prima era nerissimo per tanto peccare, fu lavato dalla confessione e divenne candido come una colomba e la sua anima divenne candida come l’anima da lebbrosa divenne, agli occhi di Dio, graziosissima. Ecco un simbolo della confessione che guarisce l’anima dalle nere brutture del peccato. Se gli uomini potessero, così facilmente, con la sola confessione guarire i malati del corpo, chi sa come sarebbero sempre affollati i confessionali!… Invece, siccome si tratta dell’anima, gli uomini preferiscono trattenere la lebbra in cuore, vivere nella maledizione di Dio e degli Angeli, ma non presentarsi al Sacerdote. Non è l’anima da più del corpo, infinitamente? « Non ho bisogno di confessarmi davanti a un uomo, forse più colpevole di me,  — si dice: so intendermela direttamente con Dio ». Allora rispondetemi: a chi tocca stabilire le condizioni del perdono? All’offeso o all’offensore? senza dubbio, all’offeso. Ma l’offeso è Dio. E quel Dio ha voluto guarire i lebbrosi nel corpo solo mandandoli ai sacerdoti, ha stabilito di guarire i lebbrosi nell’anima solo per il ministero dei suoi Sacerdoti. « È tanta — si dice — la vergogna che sento! » È appunto questa umiliazione che vi renderà meno indegni del perdono divino. —. Ma il mio peccato è troppo grande per aver perdono… ». Non bestemmiate, così come Caino, la misericordia del Signore. Se il vostro peccato è grande, la bontà di Dio è più grande ancora. – 2. LA CONFESSIONE PRESERVA DAL PECCARE. S’era presentato a S. Filippo Neri un giovane sfiduciato. Il santo lo raccolse tra le sue braccia, lo riscaldò col suo palpito di padre, e gli disse tante parole incoraggiandolo a cominciare una vita nuova. Il giovane, ad occhi chiusi, ascoltò fino alla fine, poi rispose: « È inutile, padre ». « Perché dici così? ». – « Perché non so resistere: ho già tentato altre volte, ed ho fatto sempre peggio. Adesso non voglio nemmeno formare un proposito; per non aver poi il rimorso di trasgredirlo ». S. Filippo gli sorrise, raggiando fuori da quei suoi occhi grandi la luce ed il calore della sua anima santa. « Non disperare. C’è un rimedio che fa per te, è facile. Prometti a Dio che ti forzerai con tutta l’energia a non cadere per un giorno, e torna domani. » Al domani il giovane torna. « E così? » gli dice, sorridendo, S. Filippo. « E così, risponde il giovane, oggi non sono caduto. Solo un momento d’incertezza; ma fu un attimo. Pensai che dovessi tornare qui, stasera, a confessarmi e respinsi la tentazione. Ma io ho paura per domani, per dopo… ». Non temere: prega e torna domani e dopo. E quel giovane torna domani e dopo, e poi torna tutti gli otto giorni, sempre più lieto, con l’anima pura e preservata dai peccati. Davvero che la confessione è un freno meraviglioso a reprimere i nostri istinti e i cattivi desideri! Il solo pensiero di confessare il peccato, e confessarlo presto, ci trattiene spesse volte sull’orlo dell’abisso. Ma quando l’uomo ha scosso il giogo della confessione, e non si confessa che una volta sola all’anno (povera confessione pasquale!) che meraviglia se di volta in volta si ripetono i medesimi peccati, o si aumentano? Credetelo: non si può essere buoni Cristiani senza la confessione e frequente confessione. Essa è ciò che c’è, praticamente, di più utile nella Religione. E perché, allora, nessuna pratica religiosa è più trascurata, più calunniata, più odiata di questa? Perché c’è di mezzo il demonio. Ma voi volete dar ascolto al demonio? – Le vie, le piazze, il sagrato della cattedrale di Tours erano assai frequentati dalla gente disgraziata. Alcuni, rasenti il muro, ciechi; altri, seduti nella polvere, sciancati: donne con grucce e fanciulli cenciosi: tutti ostentavano la propria miseria e i propri stracci alla pietà e, più ancora, alla borsa dei cittadini. Talvolta, tutta questa umanità pezzente si spaventava improvvisamente, come se passasse una folata di vento a ruzzolarsi sul selciato: chi si nascondeva dietro le porte, chi imbucava un vicolo vicino, e, chi poteva, fuggiva lontano. « Che c’è? ». « Viene Martino, il Vescovo della città ». « E per questo? ». Ma è un santo: che fa miracoli…  « Oh fortuna! ». « Oh disgrazia! Se ci prende, ci risana: e allora più nessuno ci farà la carità; e saremo costretti a lavorare ». – Ci sono altre persone che fan miracoli nelle anime: e sono i Sacerdoti che guariscono dalla lebbra del peccato. E c’è una turba d’uomini che fugge via da loro che non li vuol vedere, che non si vuol confessare. La Messa alla festa, sì; qualche offerta a S. Antonio, pure; qualche lumino per la Madonna, anche. Ma la confessione, no, no! Perché? Perché se si confessano dovranno promettere di non peccare più; di restituire, di lasciare quella compagnia. Invece queste cose non piacciono a loro. –IL SACERDOTE. Ite: ostendite vos sacerdotibus. Gesù, che da solo aveva guarito il sordomuto, che da solo aveva dato la vista al cieco nato, che col solo comando della sua voce destò Lazzaro da morte, perché ha voluto che i dieci lebbrosi andassero dai sacerdoti? Fu per insegnarci il grande potere che dovevano avere i Sacerdoti della nuova legge, di cui quelli giudaici erano una figura. Gesù non doveva rimanere sempre sulla terra: eppure le anime nostre avrebbero sempre sentito bisogno di Lui, della sua parola viva che risuona alle nostre orecchie sensibili, del suo ministero. Ed allora Gesù istituì il Sacerdozio: e mandando i dieci lebbrosi ai sacerdoti di Gerusalemme per essere guariti, ci voleva insegnare come ogni potere sopra le anime nostre Egli avrebbe affidato ai suoi Sacerdoti. Ite: ostendite vos sacerdotibus. Il Sacerdote, dunque, è colui che visibilmente perpetua Cristo nei secoli; è un altro Cristo. Alter Christus. Allora avrà la medesima sorte: sarà anch’egli il segno della contraddizione; ed anch’egli come il Maestro avrà gioia ed umiliazione, dignità e disprezzo; molta gioia e molto dolore. – 1. DIGNITÀ DEL SACERDOTE. L’uomo più grande di tutto il Vecchio Testamento è, senza dubbio, Mosè. Giovanetto ancora pascolava la greggia sul monte, quando vide un roveto che ardeva e che gli affidò tutto il popolo da condurre. Sul Sinai il Signore gli darà le tavole della legge e quando scenderà dal monte due raggi di luce circonderanno la sua fronte. Ebbene: il Sacerdote è il Mosè del Nuovo Testamento, ma più grande, ma più divino: a lui Dio ha affidato la nuova Legge e il nuovo popolo, e attorno alla sua fronte brillano tre raggi di luce che rappresentano il triplice potere di cui è insignito: istruire, nutrire, guarire le anime. a) Istruire: quando Gesù risuscitò da morte apparve agli Apostoli e disse loro: « Andate in tutto il mondo e predicate la mia dottrina a tutte le genti ». Da quel giorno i Sacerdoti furono i maestri della terra, e la luce che, splendendo sul candelabro, rischiara tutti coloro che sono nella casa. Rischiara i piccoli: e i Sacerdoti, con pazienza ed umiltà, si consacrano ad innestare in quelle piccole anime il germoglio che li farà onesti cittadini e sinceri Cristiani. Rischiara i giovani: è il Sacerdote che negli oratorii e nei circoli insegna alla gioventù le prime battaglie della vita, è dal Sacerdote che imparano ad essere puri e forti. Rischiara i popoli: dal pulpito, ogni festa e più spesso, insegna la via che ognuno nella sua condizione deve percorrere se vuol raggiungere il paradiso. « Uno solo è il Maestro » sta scritto nel Vangelo, ed è Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo insegna per la bocca de’ suoi Sacerdoti. Quindi: « Uno solo è il Maestro » possiamo ripetere noi, ed è il Sacerdote. b) Un altro potere, e più grande, fu dato ai Sacerdoti, quello di nutrire le anime. Quaggiù sulla terra noi siamo come il vecchio Elia: siamo perseguitati dal demonio e dalle nostre passioni, abbiamo tanto da patire in questa valle di lagrime; talvolta, come il vecchio profeta ci sentiamo scoraggiare e dal labbro ci sfugge il grido di angoscia: « Signore, fammi morire che sono troppo stanco ». Ma ecco l’Angelo di Dio: è il Sacerdote che alle nostre anime stanche e sfinite dona un pane misterioso: la Santa Comunione. È il Sacerdote che ogni giorno sull’altare rinnova l’ultima cena di Gesù Cristo e sopra la bianca ostia ripete le parole della consacrazione e Dio alla sua voce discende suoi nostri altari e si fa cibo alle anime nostre. c) Infine al Sacerdote fu dato il potere di sanare le anime dai peccati: ed ogni giorno al confessionale si rinnova il miracolo dei dieci lebbrosi. « Ma chi può perdonare i peccati! » esclamavano un giorno i Giudei scandalizzati, « chi può perdonare i peccati se non Dio? ». Ed il Sacerdote non ha poteri divini? Egli è un altro Cristo: Alter Christus. – 2. DOLORE DEL SACERDOTE. Se il Sacerdote è la dignità più grande sulla terra, Dio gli ha però riserbati i sacrifici più duri. Gesù ai due figliuoli di Zebedeo che volevano diventare suoi ministri, uno alla destra ed uno alla sinistra, domandò: «Potete voi bere il calice di dolori ch’io berrò? ». « Possiamo! ». Questa parola ogni Sacerdote la ripete presentandosi alla sacra ordinazione: Dominus pars hæreditatis meæ et calicis mei. Ed ecco che la tonsura, quasi corona di spine, gli segna la testa; e la stola quasi fune gli avvince il collo, e la pianeta quasi croce gli viene addossata; e così s’incammina all’altare come Cristo al Calvario. Sul Calvario Cristo si sacrificò per il popolo, e il Sacerdote deve sacrificare la sua vita per il popolo. Pro hominibus constituitur (Hebr., V, 1). Forse che gli uomini lo ricompensarono con amore? Troppo spesso il mondo perseguita il Sacerdote come un giorno ha perseguitato Gesù. Il discepolo non è da più del maestro. I primi preti tutti subirono il martirio: e chi fu messo in croce e chi fu gettato in pasto alle belve, e chi fu immerso nell’olio bollente, e a chi fu stroncata la testa. E poi, giù nei secoli, la storia del Sacerdozio fu una storia di dolore. Noi sappiamo che dalla Francia, non molti anni or sono, furono scacciati: ed essi lasciarono le loro opere d’amore e di bene ed esulando si volgevano a benedire e a pregare per la patria che li maltrattava. – Durante la persecuzione messicana (1927), un sacerdote fu martirizzato. Si chiamava Librando Arreola. « Perché m’imprigionate? ». « Perché sei un prete ». « È forse un delitto esserlo? ». Ma era l’odio contro Cristo che li inferociva sopra quella santa creatura. E nell’oscurità della prigione, con la scure, gli tagliarono via tutte e due le mani. E ghignando gli dissero: « Così non dirai più la Messa… ». Egli allora nello spasimo atroce alzò i moncherini grondanti, ed asperse i carnefici col suo sangue: « O Dio, perdona… ». E poiché si sentiva morire per il dissanguamento, raccolse le ultime forze, nell’agonia esclamò: « O America, ascoltami: io muoio, ma Dio non muore.. ». – Un uomo, abbandonato a tutti i vizi e tormentato dal demonio, avendo sentito che S. Domenico era in Bologna, corse a vederlo, ascoltò la sua Messa, e poi si presentò a lui per baciargli la mano. Appena diede il bacio, ne sentì un tal profumo di paradiso, quale mai aveva gustato in vita sua fino allora. Meravigliosamente si spense in lui il fuoco della lussuria, e si convertì a una vita cristiana. Ite: ostendite vos sacerdotibus. O Cristiani, quando le tentazioni vi sopraffanno, quando il demonio tormenta nei peccati l’anima vostra, presentatevi anche al Sacerdote per ascoltare la S. Messa o meglio per confessarvi. Anche voi come quell’uomo di Bologna sentirete un profumo di paradiso, anche voi come i dieci lebbrosi sarete mondati.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.

[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.

[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias
ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Sap XVI: 20
Panem de cælo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.

[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA (2023)

FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA (2023)

22 Agosto

(doppio di II classe)

LA FESTA. – Il 22 agosto è consacrato, secondo il decreto della S. Congregazione dei riti del 4 maggio 1944, al Cuore Immacolato di Maria anziché all’ottava dell’Assunzione. E’ festa doppia di 2a classe. La festa è stata introdotta a ricordo della consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria (8 dicembre 1942) affinché sia data, con l’aiuto della Madre di Dio, a tutti i popoli la pace, alla Chiesa di Cristo la libertà. È un caso raro nella liturgia che l’ottava di una festa sia consacrata ad un’altra seconda festa di contenuto quasi uguale. Come Cristiani docili accogliamo volentieri questo arricchimento del calendario e, dal punto di vista liturgico cerchiamo anche di conoscere meglio il significato di questa festa. Innanzitutto non ci dobbiamo preoccupare per il fatto che vengono sempre introdotte nuove feste. Infatti non passa quasi anno che non ci sia una nuova festa. Che cosa ne è del tranquillo ritmo dell’anno? Non si cagiona con feste così molteplici un po’ di disagio spirituale?

DALLA MESSA (Adeamus). – La Messa contiene una serie di testi propri che di solito non si trovano nelle Messe mariane. L’introduzione è un vero Introito: ci presentiamo con fiducia davanti al trono della grazia. L’Epistola è il bel brano tolto da Gesù Sirach: « Io sono la madre del bell’amore… ». Il Vangelo ci conduce ai piedi della croce: Gesù affida Giovanni alla Madre sua. Questo passo è ripetuto al Communio con alcuni versetti del Magnificat.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
M. Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Hebr IV:16.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno.]

Ps XLIV:2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea regi.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema.

Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui in Corde beátæ Maríæ Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum præparásti: concéde propítius; ut ejúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum cor tuum vívere valeámus.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[O Dio onnipotente ed eterno, che nel cuore della beata Vergine Maria hai preparato una degna dimora allo Spirito Santo: concedi a noi di celebrare con spirito devoto la festa del suo Cuore immacolato e di vivere come piace al tuo cuore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli XXIV:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ, et virtútis. Transíte ad me omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
R. Deo grátias.

[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna.]

Graduale

Ps XII:6
Exsultábit cor meum in salutári tuo: cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Il mio cuore esulta nella tua salvezza. Canterò al Signore perché mi ha beneficato, inneggerò al nome del Signore, l’Altissimo]

Ps XLIV:18
Mémores erunt nóminis tui in omni generatióne et generatiónem: proptérea pópuli confitebúntur tibi in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[Ricorderanno il tuo nome di generazione in generazione, e i popoli ti loderanno nei secoli per sempre. Alleluia, alleluia.]
Luc 1:46; 1:47

Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja.

[L’anima mia magnifica il Signore, e si allieta il mio spirito in Dio, mio Salvatore. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann XIX: 25-27
In illo témpore: Stabant juxta crucem Jesu mater ejus, et soror matris ejus María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.
R. Laus tibi, Christe.
[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

Omelia

(Sac. E. Campana: Maria nel dogma cattolico, VI Ed. Marietti ed., 1946)

IL CUORE DI MARIA

VI. — Di madre, Maria non ha soltanto la dignità e le funzioni auguste, ma, soprattutto, Ella ha il cuore! Il cuore di una madre! Quale abisso imperscrutabile di amore, tenero, delicato, preveggente, operoso, inestinguibile! Ogni cuore è fatto per amare, ma nessuno come quello di una madre conosce il segreto delle affezioni sublimi ed eroiche. Studiate i caratteri che rendono santo, prezioso, insuperabile un affetto, e voi li troverete tutti nel sentimento onde palpita un cuore materno. L’amor materno non conosce egoismo, ma vuol donare senza riserve; non indietreggia di fronte a nessuna ingratitudine, ma è sempre pronto al perdono di qualunque offesa ricevuta dal figlio; non si spaventa di nessun ostacolo, ma insiste, insiste nelle sue espansioni, finché non ha ottenuto lo scopo. Anche quando un figlio scellerato cercasse di soffocare sotto un torrente di maltrattamenti la propria madre, il cuore di lei avrebbe sempre ancora dei palpiti, e palpiti di tenerezza per il suo figlio. Tale è il cuore delle madri terrene: ebbene, molto migliore ancora è il cuore della nostra Madre celeste Maria. Ella ci ama in una maniera di cui noi, finché siamo pellegrini sulla terra, non arriveremo mai a formarcene neanche la più pallida idea. Appunto perché è nostra Madre adottiva, Ella ci ama più intensamente che qualunque altra madre naturale. Giacché quando voi dite madre adottiva, indicate una maternità che nasce dall’amore, riposa nell’amore, perdura sostenuta dall’amore. Perché madre adottiva, Maria sente di essere la Madre dell’amore, mater pulchræ dilectionis. Quando Dio la costituiva Madre universale di tutti gli uomini, le dava anche un cuore fatto apposta per amarci: metteva in quel cuore un tesoro inesauribile di bontà, di benignità, di misericordia, di compatimento a nostro riguardo. E come potrebbe Maria non amarci? Il suo amore verso di noi è una conseguenza necessaria dell’amore ch’Ella porta a Dio: « Quella medesima carità, scrive S. Francesco di Sales, che produce gli atti di amore verso Dio, produce ancora nel tempo stesso quelli dell’amore verso il prossimo. E come vide Giacobbe che una medesima scala toccava il cielo e la terra, servendo egualmente agli Angeli per discendere e per salire, così noi sappiamo, che una medesima dilezione si estende ad amar Dio ed il prossimo, sollevandoci all’unione amorosa coi prossimi » (Tratt. dell’amor di Dio, 1. X, c. XI.) – Come dunque è intensissimo l’amor divino, che arde nel cuor di Maria, così senza raffronto, dev’essere l’amore che porta a noi, che di Dio siamo stati fatti ad immagine e somiglianza. « Chi più di Maria, scrive S. Alfonso, ha già amato Dio? Ella ha amato più Dio nel primo momento del suo vivere, che non l’hanno amato tutti i Santi e tutti gli Angeli nel corso della loro vita… Pertanto, siccome non vi è tra gli spiriti beati chi più di Maria ami Dio, così noi non abbiamo, e non possiamo avere chi, dopo Dio, ci ami più di questa nostra amorosissima Madre » (Glorie, p. I, c. 1, § 3). – L’amore di Maria per noi è alimentato ancora dall’amore che Ella porta a Gesù. L’amore di Maria per Gesù! Chi mai oserebbe pretendere di descriverlo? Gesù per Lei era tutto. Ogni pensiero della sua mente, ogni parola della sua lingua, ogni palpito del suo cuore era per Gesù! Tutte le sue azioni erano dirette a compiacere Gesù. Ora, è suprema legge psicologica per ogni madre, di amare tutto ciò che è amato dal figlio, tutto ciò che anche lontanamente lo ricorda. E quindi, in forza dell’amore che Maria sente per il suo Gesù, deve amare ancor noi, che con Lui abbiamo rapporti tanto stretti, tanto indistruttibili. Noi formiamo con Gesù come una cosa sola; siamo ossa delle sue ossa, carne della sua carne, perchè siam con Lui un sol corpo, del quale Egli è il capo e noi siamo le membra. Maria lo sa: Ella comprende l’unione che abbiamo col Salvatore, più di quello che arriviamo a comprenderla noi. Per questo non ci può separare nel suo cuore, per questo stende fino a noi, suoi figliuoli spirituali, quell’amore che porta al suo Primogenito. Soprattutto il sangue che Gesù sparse per il nostro riscatto è ciò che costringe Maria ad amarci. Cediamo la parola a S. Alfonso, il quale scrive: « Noi siamo tanto amati da Maria, perché vede che noi siamo il prezzo della morte di Gesù Cristo. Se una madre vedesse un servo ricomprato da un suo figlio diletto coi patimenti di venti anni di carcere e di stenti, per questo solo riguardo, quanto stimerebbe ella questo servo? Ben sa Maria che il Figlio non è per altro venuto in terra, che per salvare noi miserabili, com’Egli stesso protestò: Venni a salvare quei che si erano perduti. E, per salvarci, si è accontentato di spenderci anche la vita. Se Maria dunque poco ci amasse, poco dimostrerebbe di stimare il sangue del Figlio, che è il prezzo della nostra salute) (1. c.). – La prova poi che deve toglierci ogni dubbio intorno all’immenso amore che ci porta Maria, nostra Madre, sono i dolori atroci che soffrì. Ella, a causa dei suoi dolori, è giustamente chiamata la Regina dei martiri. Il suo dolore, a detta del profeta Simeone, fu come una spada che trapassò inesorabile il suo cuore. Il racconto dei dolori di Maria, è qualche cosa che fa rabbrividire: è solo Maria che li provò, solo Dio, che sa tutto, potrebbero farcene una relazione esatta. Ebbene, per chi soffrì Maria? forse a causa dei suoi peccati, in espiazione delle proprie colpe? No davvero: perché Ella non fu mai contaminata neanche dalla più leggera ombra di qualsiasi difetto morale. Fu sempre l’amica tutta bella ed immacolata dello Sposo celeste. Maria sofferse per noi, in espiazione dei nostri peccati; e questi suoi dolori sono, lo ripetiamo, la prova sacra ed ineluttabile dell’affetto che ci porta. Chi non ama, non sa soffrire per gli altri; mentre il sacrificio per la persona amata, nella misura della sua grandezza, indica infallibilmente la generosità dei palpiti che sente per la persona in cui vantaggio si sobbarca al sacrifizio. – L’eterno Padre ci amò infinitamente, destinando per noi alla morte il suo Figlio unigenito: Gesù non ci dimostrò un amore inferiore, immolando se stesso. Maria partecipò all’amore dell’eterno Padre, consentendo alla morte di Gesù, ed all’amore di Gesù, compatendo con Lui. Ed a causa dei dolori sofferti per noi da Maria, giustamente si può affermare di Lei, quanto S. Paolo dice di Gesù. Il grande Apostolo scrive di Lui : « Dovette in tutto assomigliarsi ai suoi fratelli, per diventar misericordioso. — Debuit per omnia fratribus assimilari ut misericors fieret » (Hebr., II, 17). E così anche Maria si sentì maggiormente sollecitata dai sentimenti di misericordia in nostro favore, dopo che ebbe comuni con noi i patimenti. Anche se Maria non avesse patito, sarebbe stata la nostra Madre piena di amore. Ma dopo che fu immersa nei patimenti, dopo che trangugiò Ella pure il calice delle più ripugnanti amarezze, il suo amore acquistò come una certa tenerezza, una certa sollecitudine ed intensità, che non avrebbe avuto altrimenti; acquistò insomma quella raffinata delicatezza che può nascere solo dal ricordo di aver pure un giorno conosciuto il dolore. Già vedemmo altrove i caratteri che distinguono l’intercessione per noi di Maria da quella degli altri Santi. Ebbene, quei caratteri gloriosi sono l’indice luminoso dell’intenso affetto di cui arde il cuore di Maria per i suoi figli ancora pellegrini sulla terra. E nell’effusione del suo amore, Maria abbraccia tutti: abbraccia i giusti ed i peccatori. Ella ama i giusti, perché vede risplendere in essi, piena di sovrannaturale fulgore, l’immagine di Gesù. E poi ama immensamente anche i peccatori, non nel senso che abbia piacere di vederli imbrattati della colpa, ma nel senso che è sempre pronta a stender loro generosa la sua mano soccorritrice, affin di farli risorgere dal pantano morale, in cui miseramente si dibattono, per rivestirli un’altra volta della veste nuziale della grazia.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Luc 1:46; 1:49
Exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus.

[L’anima mia esulta perché Dio è mio Salvatore, perché il Potente ha operato per me grandi cose e il Nome di Lui è Santo.]

Secreta

Majestáti tuæ, Dómine, Agnum immaculátum offeréntes, quǽsumus: ut corda nostra ignis ille divínus accéndat, cui Cor beátæ Maríæ Vírginis ineffabíliter inflammávit.

[Offrendo alla tua maestà l’Agnello immacolato, noi ti preghiamo, o Signore: accenda i nostri cuori quel fuoco divino che ha infiammato misteriosamente il cuore della beata Vergine Maria.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitate beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festività della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepì il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtúù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann 19:27
Dixit Jesus matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus: deinde dixit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[Gesù disse a sua Madre: «Donna, ecco il Figlio tuo». Poi al discepolo disse: «Ecco la Madre tua». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

Postcommunio

Orémus
Divínis refécti munéribus te, Dómine, supplíciter exorámus: ut beátæ Maríæ Vírginis intercessióne, cujus immaculáti Cordis solémnia venerándo égimus, a præséntibus perículis liberáti, ætérnæ vitæ gáudia consequámur.

[Nutriti dai doni divini, ti supplichiamo, o Signore, a noi che abbiamo celebrato devotamente la festa del suo Cuore immacolato, concedi, per l’intercessione della beata vergine Maria: di essere liberati dai pericoli di questa vita e di ottenere la gioia della vita eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA