SANTO NATALE – MESSA ALL’AURORA (2021)

SANTO NATALE – (2021)

SECONDA MESSA ALL’AURORA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Anastasia.

La Messa Dell’Aurora si celebrava a Roma nell’antichissima chiesa di S. Anastasia. La sua posizione ai piedi del Palatino, dov’era la residenza dei Cesari, ne faceva la Chiesa degli alti funzionari della Corte. Il nome di S. Anastasia è inserito al Canone della Messa. Santa Anastasia, di cui oggi si fa memoria, è la celebre martire di Sirmio. – La liturgia della Messa ci fa salutare « con gioia il santo Re che viene » (Com.) « il Signore che è nato per noi » (Intr.), « il Bambino adagiato nella mangiatoia » (Vang.). Ci dice che « colui che è nato uomo in questo giorno, si è rivelato anche ai nostri occhi come Dio » (Secr.). Perchè Egli è « il Verbo fatto carne (Or.) si chiama Dio (Intr.) ed « esiste sino dall’eternità » (Off.). E, se Egli viene, è per salvarci (Ep. Com.) e « per farci eredi della vita eterna » (Ep.) della quale noi godremo nel cielo, quando questo Principe della pace, tornerà alla fine del mondo rivestito di forza» (V. dell’ Intr., Alleluia) e in tutto lo splendore della sua Maestà. Allora « il Re dei cieli, che s’è degnato nascere per noi da una Vergine per richiamare al Regno celeste l’uomo che ne era decaduto» (1° resp.)» regnerà per sempre «(Intr.)sugli uomini di buona volontà (Gloria) che lo avranno accolto con fede e amore al tempo della sua prima venuta. Le feste di Natale hanno dunque lo scopo di prepararci al 2° Avvento « giustificandoci per la grazia di Gesù Cristo » (Ep.) « distruggendo in noi il vecchio uomo » (Postcom.) « conferendoci ciò che è divino » (Secr.) e aiutandoci « a fare risplendere nelle nostre opere ciò che per la fede brilla nelle nostre anime » (Or.). – Con i pastori, ai quali il Signore manifesta l’Incarnazione del Suo Figlio, « affrettiamoci di andare» (Vang.) ad adorare all’Altare, che è il vero presepe, il Verbo, nato nell’eternità dal Suo Padre celeste, nato da Maria sopra la terra, e che deve nascere sempre più colla grazia nelle nostre anime, in attesa che ci faccia nascere alla vita gloriosa nel cielo.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is IX:2 et 6.
Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis. [La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Ps XCII:1
Dominus regnávit, decorem indutus est: indutus est Dominus fortitudinem, et præcínxit se.
[Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza.]

Lux fulgébit hódie super nos: quia natus est nobis Dóminus: et vocábitur Admirábilis, Deus, Princeps pacis, Pater futúri sǽculi: cujus regni non erit finis.

[La luce splenderà oggi su di noi: poiché ci è nato il Signore: e si chiamerà Ammirabile, Dio, Principe della pace, Padre per sempre: e il suo regno non avrà fine.]

Oratio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui nova incarnáti Verbi tui luce perfúndimur; hoc in nostro respléndeat ópere, quod per fidem fulget in mente.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, essendo inondati dalla nuova luce del Tuo Verbo incarnato, risplenda nelle nostre opere ciò che per virtù della fede brilla nella nostra mente.]

Orémus.
Pro S. Anastasiæ Mart:
Da, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ sollémnia cólimus; ejus apud te patrocínia sentiámus.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente: che, celebrando la solennità della Tua Martire Anastasia, possiamo godere presso di Te il beneficio del suo patrocinio.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Titum.
Tit III: 4-7
Caríssime: Appáruit benígnitas et humánitas Salvatóris nostri Dei: non ex opéribus justítiæ, quæ fécimus nos, sed secúndum suam misericórdiam salvos nos fecit per lavácrum regeneratiónis et renovatiónis Spíritus Sancti, quem effúdit in nos abúnde per Jesum Christum, Salvatorem nostrum: ut, justificáti grátia ipsíus, herédes simus secúndum spem vitæ ætérnæ: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: Apparsa la bontà e l’umanità del Salvatore, nostro Dio: Egli ci salvò non già in ragione delle opere di giustizia fatte da noi, ma per la Sua misericordia: col lavacro di rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, diffuso largamente su di noi per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore: affinché, giustificati per la Sua grazia, divenissimo eredi, in speranza, della vita eterna: in Cristo Gesù, Signore nostro.]

Graduale

Ps CXVII: 26; 27; 23
Benedíctus, qui venit in nómine Dómini: Deus Dóminus, et illúxit nobis.

[Benedetto Colui che viene nel nome del Signore: Il Signore è Dio e ci ha illuminati.]

V. A Dómino factum est istud: et est mirábile in óculis nostris. Allelúja, allelúja

V. Questa è opera del signore: ed è mirabile ai nostri occhi. Allelúia, allelúia
Ps XCII: 1
V. Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

[V. Il Signore regna, si ammanta di maestà: Il Signore si ammanta di fortezza, e si cinge di potenza. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II:15-20
In illo témpore: Pastóres loquebántur ad ínvicem: Transeámus usque Béthlehem, et videámus hoc verbum, quod factum est, quod Dóminus osténdit nobis. Et venérunt festinántes: et invenérunt Maríam et Joseph. et Infántem pósitum in præsépio. Vidéntes autem cognovérunt de verbo, quod dictum erat illis de Púero hoc. Et omnes, qui audiérunt, miráti sunt: et de his, quæ dicta erant a pastóribus ad ipsos. María autem conservábat ómnia verba hæc, cónferens in corde suo. Et revérsi sunt pastóres, glorificántes et laudántes Deum in ómnibus, quæ audíerant et víderant, sicut dictum est ad illos.

[In quel tempo: I pastori presero a dire tra loro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è accaduto, come il Signore ci ha reso noto. E andati con prontezza, trovarono Maria, e Giuseppe, e il bambino giacente nella mangiatoia. Dopo aver visto, raccontarono quanto era stato detto loro di quel bambino. Coloro che li udirono rimasero meravigliati di ciò che i pastori avevano detto. Intanto Maria riteneva tutte queste cose, meditandole in cuor suo. E i pastori se ne ritornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, come era stato loro detto.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL MISTERO DEL SANTO NATALE

Da Nazareth, dove avevano messo su casa, il censimento di Cesare Augusto obbligò Giuseppe e Maria a recarsi fino a Betlemme città dei loro antenati. Per tal modo mentre il padrone dell’Impero col suo decreto metteva in moto umili persone, inconsapevolmente dava compimento alla profezia che annunciava Betlemme come luogo di nascita per il Messia. « Che fate voi principe del mondo! Credeste d’agire secondo le vostre voglie e finite per eseguire i disegni di Uno che è sopra di voi » (BOSSUET). – Quattro giorni viaggiarono i due pellegrini: e si era nella stagione delle piogge e le condizioni della Vergine estremamente delicate. A Betlem, gremita di forestieri accorsi per farsi iscrivere, non trovarono alloggio conveniente; neppure all’albergo. Sicché, quando fredda fredda discese la sera, Giuseppe e Maria andarono a ripararsi in una grotta dove gli uomini del paese cacciavano il bestiame e qualche volta essi pure pernottavano. Unico arnese vi era una mangiatoia per i foraggi e biadumi degli animali. In questa stalla, nel cuor della notte, nacque il Figlio di Dio, Salvatore del mondo. Sua Madre, la sempre Vergine, lo prese nelle sue mani, lo ravvolse in pannicelli, e lo accomodò nella mangiatoia. Di lì, come da un trono prescelto, cominciò a regnare il Signore dei potenti, il Re dei re. E vagiva, con un filo di fiato. E non seppe ch’Egli era nato, Erode il feroce Iduneo che abitava in una fortezza non lontano dalla grotta, e che forse in quell’ora adagiato fra gli ori e la porpora accoglieva gli omaggi de’ suoi cortigiani o si assideva al banchetto sontuose di un festino notturno. E non lo seppe neanche Cesare Augusto: eppure il Dio dei Cieli era nato suddito del suo impero. – Invece lo seppero alcuni poveri e buoni pastori che vegliavano a custodia della greggia. Un’improvvisa luce sbocciò davanti ad essi sbalorditi ed un Angelo disse loro: « Non temete, che vi annunzio una gran gioia: è nato il Salvatore. Eccovi il segno per riconoscerlo: troverete un bambino avvolto in panni e posto in una mangiatoia ». In quel momento sulla terra oscura ed ignara, i cieli parvero spalancarsi; stormi innumerevoli d’Angeli trasvolarono lasciando indietro un canto di speranza: « Gloria a Dio! Pace agli uomini! ». Quando disparvero e la notte si ricompose nel silenzio e nelle tenebre, i pastori rinvenuti un poco dalla stupefazione dissero: « Corriamo a Betlemme, e vedremo ciò che il Signore ci ha fatto conoscere ». Vi giunsero in fretta, verificarono il segno preannunciato dall’Angelo, e adorarono Dio in quella creaturina di carne, messa è in un greppia, come un oggetto di rifiuto. Cristiani! l’eco del canto angelico ripassa ancora sulle nostre anime, sulle nostre case, sulle nostre chiese: «A Dio gloria, agli uomini pace ». È vero che il fatto della nascita di Gesù dal seno verginale di Maria, avvenuto una volta per sempre venti secoli or sono, più non si ripete. Ma gli effetti di quella nascita, i suoi frutti di grazia e di vita, come un fiume celeste, ancora inondano la terra: oggi specialmente passano accanto a noi. Apriamo i cuori ad accoglierli! Quelli che come Erode si ostinano nelle loro passioni di egoismo e nelle abitudini sensuali, quelli che come Augusto si abbandonano a sogni d’orgoglio e a bremosie di possedere, non sentiranno nel loro animo che è nato il Salvatore. Beati quelli che, come i pastori dalla semplice vita, deposta ogni ingombrante preoccupazione terrena, accorreranno alla culla divina e gusteranno i frutti del santo Natale. Tre sono i principali frutti del ministero che celebriamo:

1) comprendere il sentimento che faceva palpitare il cuore al celeste Bambino: l’Amore;

2) raccogliere dal suo esempio l’insegnamento che illumina ogni uomo che viene al mondo: la Verità;

3) attingere alla sorgente che nascendo ha dischiuso per noi: la Vita divina della Grazia.

Insomma, ciò che provarono e videro allora i pastori, noi dobbiamo provarlo e vederlo ora: l’Amore, la Verità, Dio che si fece carne e s’attendò tra noi. – È APPARSO L’AMORE. Dopo il peccato una profonda separazione distaccò l’uomo da Dio. Se Dio parlava, la sua voce faceva tramortire di spavento. « Udii la tua voce — balbettava Adamo — e per la paura mi sono nascosto » (Gen., III, 10). Se Dio s’avvicinava alle punte della terra, i tuoni e le folgori lo avvolgevano. Il popolo atterrito alle falde dei Sinai, supplicava Mosè: « Parla tu a noi; ma non ci parli il Signore, perché morremmo » (Es., XX, 19). Gli uomini sentivano d’essere sotto una maledizione e di non poter pensare a Dio se non con terrore. « Le nubi e le tempeste gli stanno intorno; l’incendio lo precede ad abbruciare i suoi nemici. S’egli guarda, la terra sussulta; s’egli guarda, i monti si struggono come fossero di cera » (Ps., XCVI, 2-5). – E sarebbe stato sempre così, perché l’uomo solo doveva riparare, e l’uomo da solo non poteva. Infatti « qual mai tra i nati all’odio, qual era mai persona che al Santo inaccessibile potesse dire: « perdona? » (MANZONI). – Ma un amore infinito, incomprensibile, spinse il Figlio di Dio a prendere la nostra carne umana, che era condannata e che trascinava a morte. Eppure alla morte Egli innocente non doveva nulla. Egli onnipotente avrebbe potuto sottrarsi. Ma non l’ha fatto. E nasce un bambino appunto per morire d’amore e liberarci dal terrore. Perciò dissero gli Angeli ai pastori: « Non temete più… È nato il Salvatore e lo troverete bambino in fasce ». – Sentite. Un antico capitano di nome Temistocle, fuggiasco e sfinito, fu costretto ad approdare alla terra d’un re che aveva un giorno offeso e da cui era ricercato a morte. Folle di spavento entrò nella reggia e corse a nascondersi in una sala. Ecco un rumore dietro a lui: si voltò disperato e deciso a lasciarsi uccidere. Vide un bambino, incerto sui suoi passi, che lo guardava, e gli sorrideva e gli tendeva le manine bianche…: era il figlio del re. Temistocle non seppe resistere allo spettacolo inatteso di quella innocenza: lo prese tra le sue braccia e cominciò a tremare e a piangere. Così, in quest’atteggiamento lo sorprese il re. Come l’ira del re avrebbe potuto colpire, se tra la punta della spada e il nemico c’era di mezzo il suo bambino? Il monarca adunque ripose la spada, e corse ad abbracciare il suo piccolo: ma stretto a lui, fatto quasi una sol cosa con lui, era il colpevole. Non poté disgiungerlo, e se li strinse entrambi al suo cuore confondendoli in un unico amore. O uomo, — grida S. Bernardo, — perché paventi? Perché temi davanti al Signore che viene? Non disperarti, non fuggire! Rivolgiti e guarda: è un Bambino che ancora non sa parlare, che ancora, non sa camminare, solo già sa piangere d’amore (Migne, P. L., «In Nativ. Dom. », Sermo I, 3). Detestando sinceramente le nostre colpe, abbracciamo il piccolo Gesù che nasce per noi; con la fede aderiamo a Lui fino a far con Lui una cosa sola. Se Dio vorrà poi giudicarci a morte, noi gli diremo: « Signore fra me e il tuo giudizio, io metto in mezzo quest’innocente creaturina, che è tuo Figlio ». – È APPARSA LA VERITÀ. Pochi anni prima che nascesse Gesù, Ottaviano il futuro padrone del mondo che avrebbe ordinato il censimento, prima di salir sulle navi e muovere a battaglia incontrò un asinaio col suo somaro; la bestia si chiamava Vittorioso. Dopo la battaglia l’imperatore fece innalzare nel tempio una statua di bronzo a quell’asino perché fosse adorato in ricordo della sua vittoria. Quanta superstizione e quanta immersione nella materia vi era negli uomini anche tra le persone più cospicue e civili, perfino nello stesso Imperatore. Il demonio che si faceva adorare negli idoli, traviava l’umanità proponendole come supremo bene il piacere dei sensi, gli onori umani, il possesso del danaro e della roba. – Ma la divina Sapienza si fece carne, e pose la cattedra in una mangiatoia: di lì la Verità illumina ogni uomo che viene al mondo. Alla sensualità il Bambino Gesù oppone l’esempio delle sue sofferenze. Soffre nel corpo il rigore della notte, l’ispidità di quella strana cuna; soffre nell’anima per i nostri peccati, i quali già cominciano a strappargli dagli occhi le lacrime e poi gli strapperanno dalle vene tutto il sangue. – All’orgoglio il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua umiliazione. L’uomo vuol sempre apparire da più di quello che è fino a ribellarsi a Dio, e anteporre il suo capriccio al comandamento dell’Eterno. Gesù, vero Dio, si nascose nella natura umana, si annientò facendosi come uno di noi. Gesù, immenso, Dio, che i cieli non possono contenere si restrinse in piccole membra ad avvolgere le quali bastarono pochi decimetri di fasce. Gesù, eterno Dio, che vive nei secoli apparve fragile creatura di poche ore. Gesù l’onnipotente Dio che guida gli astri, sostiene l’universo, giudica i vivi ed i morti, s’abbandonò incapace di reggersi nelle mani di Giuseppe e di Maria, si lasciò prendere e portare dovunque desiderassero, sempre a loro sottomesso. – All’avarizia il Bambino Gesù oppone l’esempio della sua povertà. La bramosia di possedere muove quaggiù individui e popoli, ma il Figlio di Dio nascendo ci ha disillusi, insegnandoci che ogni cosa terrena è una fugace bagatella. Il re dei secoli infatti non volle un palazzo, neppure una camera affittata nell’albergo, neppure una cuna: gli è bastato una mangiatoia e pochi pannicelli. È apparsa dunque la Verità in forma visibile per entusiasmarci dei beni invisibili. I poveri e gli umili non devono più lagnarsi del loro stato che tanto somiglia al suo; i ricchi e i fortunati devono preoccuparsi di aiutare i bisognosi, altrimenti non assomiglieranno mai a Lui, che «da ricco che era, si è fatto per noi povero » (II Cor., VIII, 9). – È APPARSO DIO. Che mirabile scambio è mai avvenuto tra la divinità e l’umanità nel Santo Natale! 1) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo. Noi gli abbiamo prestata la nostra natura. Contemplate il celeste Bambino, ci sono in Lui due vite: quella di Dio e quella d’uomo. Come uomo giace sul fieno, come Dio regna nei cieli e giudica le anime che compariscono davanti a lui. Jacet in præsepio, et in cælis regnat. Badiamo bene di non macchiare coi peccati quella natura umana che Egli s’è degnato di prendere in prestito da noi. 2) Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio. Nascendo Egli ci ha fatto partecipare alla sua natura divina. Considerate, Cristiani, la nostra realtà: ci sono in noi due vite. L’una naturale che ci fu data attraverso l’opera dei nostri genitori; l’altra soprannaturale, divina, che ci fu comunicata nelle acque del battesimo. Non siamo appena figli d’uomini, ma siamo anche figli di Dio, fratelli di Gesù Bambino, degni di godere in paradiso la sua stessa beatitudine e la sua stessa gloria. Di queste due vite, è quella divina che deve dominare in noi, benché noi non la vediamo. Anche in Gesù Bambino la sua vita divina era nascosta, sembrava soltanto un fanciullo come tutti gli altri. Ma un giorno Cristo apparirà nella sua gloria, e noi appariremo con Lui nella nostra realtà divina se non l’avremo soffocata nei peccati. Bisogna finirla una buona volta con tutto ciò che distrugge e intisichisce la vita divina in noi: cioè coi peccati, cogli affetti illeciti alle creature, con le preoccupazioni sregolate per le cose che passano, coi meschini desideri del nostro orgoglio! – Nell’anno 135 l’imperatore Adriano, con empio proposito, profanò la grotta della santa nascita collocandovi la statua di Adone, l’impudico idolo dei pagani. Dove Cristo infante aveva vagito per la salvezza nostra, ivi era tornata a dominare l’immagine della perdizione. Ma più vergognosa profanazione avviene nel cuore di molti Cristiani, nei quali Dio s’è degnato di nascere colla sua grazia, e dai quali è poi discacciato orrendamente e sostituito dalle più basse passioni. –  Sarebbe ingratitudine concludere senza un pensiero amoroso a Colei che fu degna di donarci il Bambino Redentore. Tra i ricordi che della sua infanzia S. Bernardo raccontava, il più dolce era questo. Era giunta la vigilia del Natale, attesa con quel fascino che solo sanno i fanciulli dall’anima bianca. Egli volle ad ogni costo che i suoi lo prendessero seco alla Messa di mezzanotte. Ma quando fu nella chiesa, cullato dal mormorio delle preghiere, avvolto nel tepore della folla, tardando la Messa ad uscire, vinto dal sonno s’addormentò. «Nel sonno vide attraversare i cieli la Vergine Maria che teneva stretto al seno il bellissimo Bambino, appena nato. Con materna mossa curvata su di lui, diceva: « Guarda fra quella gente il mio piccolo Bernardo! ». Il Bambino aprì le palpebre, girò gli occhi, e lo vide. Si sorrisero scambievolmente. O dolce, o santa Madre, quella parola che un giorno dicesti per S. Bernardo, ripetila al tuo Bambino, oggi, anche per noi! Digli che ci guardi. Digli che tu lo rivestisti di poveri panni, perché Egli rivestisse noi con la gloria dell’immortalità. Digli che lo ponesti nell’angusta mangiatoia, perché Egli collocasse noi nella reggia dei cieli immensa. Digli che tu lo adagiasti fra il fiato di due animali, perché Egli sollevasse noi tra il canto degli Angeli. Se così gli dici, così sarà.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sǽculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il Tuo trono, o Dio, è stabile, fin dal principio, fin dall’eternità Tu sei.]

Secreta

Múnera nostra, quǽsumus, Dómine, Nativitátis hodiérnæ mystériis apta provéniant, et pacem nobis semper infúndant: ut, sicut homo génitus idem refúlsit et Deus, sic nobis hæc terréna substántia cónferat, quod divínum est.

[Le nostre offerte, o Signore, riescano atte ai misteri dell’odierna Natività e ci infondano pace duratura: affinché, come il Tuo Figlio nascendo uomo rifulse quale Dio, così queste offerte terrene conferiscano a noi ciò che è divino.]

Pro S. Anastasia.
Acipe, quǽsumus, Dómine, múnera dignánter obláta: et, beátæ Anastásiæ Mártyris tuæ suffragántibus méritis, ad nostræ salútis auxílium proveníre concéde.

[Le nostre offerte, o Signore, riescano atte ai misteri dell’odierna Natività e ci infondano pace duratura: affinché, come il Tuo Figlio nascendo uomo rifulse quale Dio, così queste offerte terrene conferiscano a noi ciò che è divino.]
Pro S. Anastasia.
[O Signore, Te ne preghiamo, accogli favorevolmente i doni offerti: e concedi che, per i meriti della beata Anastasia, Martire Tua, giovino a soccorso della nostra salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Zach IX:9
Exsúlta, fília Sion, lauda, fília Jerúsalem: ecce, Rex tuus venit sanctus et Salvátor mundi

[Esulta, o figlia di Sion, giubila, o figlia di Gerusalemme: ecco che viene il tuo Re santo, il Salvatore del mondo.]

Postcommunio

Orémus.
Hujus nos, Dómine, sacraménti semper nóvitas natális instáuret: cujus Natívitas singuláris humánam réppulit vetustátem.

[Ci restauri sempre, o Signore, la rinnovata celebrazione del Natale di Colui la cui nascita singolare scacciò l’umana decrepitezza.]

Orémus.
Pro S. Anastasia.
Satiásti, Dómine, famíliam tuam munéribus sacris: ejus, quǽsumus, semper interventióne nos réfove, cujus sollémnia celebrámus.

[Hai saziato, o Signore, la tua famiglia con i sacri doni: confortaci sempre, Te ne preghiamo, mediante l’intercessione della Santa di cui celebriamo la festa.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

SANTO NATALE – PRIMA MESSA DURANTE LA NOTTE (2021)

PRIMA MESSA del SANTO NATALE (2021)

DURANTE LA NOTTE

Doppio di I cl. con ottava privileg. di III ord. – Paramenti bianchi.

Stazione a S. Maria Maggiore all’altare del Presepe.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Il Verbo, generato nell’eternità del Padre, (Com. Grad.) ha elevato fino all’unione personale con sé il frutto benedetto del seno verginale di Maria, ciò che significa che la natura umana e la natura divina sono legate in Gesù nell’unità di una sola Persona, che è la seconda Persona della SS. Trinità. E, come quando si parla di figliolanza, è la persona che si designa, si deve dire che Gesù è il Figlio di Dio perché la sua persona è divina; è il Verbo incarnato. Perciò Maria è la Madre di Dio; non perché essa abbia generato il Verbo, ma perché ha generato l’umanità che il Verbo si è unito nel mistero dell’Incarnazione; mistero di cui la nascita di Gesù a Betlemme fu la prima manifestazione al mondo. Si comprende allora perché la Chiesa canti ogni anno a Natale: « Puer natus est nobis et Filius datus est nobis»; un fanciullo è nato per noi, un figlio ci viene dato, (Intr., Allei.). Questo Figlio è il Verbo incarnato, generato come Dio dal Padre nel giorno dell’eternità: Ego hodie genui te, e che Dio genera come uomo nel giorno dell’Incarnazione: Ego hodie genui te; perché con l’assunzione della sua umanità in Dio « assumptione humanitatis in Deum » (Simbolo di S. Atanasio), il Figlio di Maria è nato alla vita divina, ed ha Dio stesso per Padre, perché Egli è unito ipostaticamente a Dio Figlio. – «Con grande amore, dice S. Leone, il Verbo incarnato ha ingaggiato la lotta contro satana per salvarci, perché l’onnipotente Signore ha combattuto con il crudelissimo nemico non nella maestà di Dio, ma nella debolezza della nostra carne » (5a Lez.). E la vittoria che ha riportato, malgrado la sua debolezza, mostra che Egli è Dio. – Fu nel mezzo della notte, che Maria mise al mondo il Figlio primogenito e lo depose in una mangiatoia. Cosi la Messa si celebra a mezzanotte nella Basilica di S. Maria Maggiore, dove si conservano le reliquie della mangiatoia. – Questa nascita in piena notte è simbolica. È il « Dio da Dio, luce da luce » (Credo) che disperde le tenebre del peccato. « Gesù è la vera luce che viene a illuminare il mondo immerso nelle tenebre » (Or.). «Col Mistero dell’Incarnazione del Verbo, dice il Prefazio, un nuovo raggio di splendore del Padre ha brillato agli occhi della nostra anima, perché, mentre conosciamo Iddio sotto una forma visibile, possiamo esser tratti da Lui all’amore delle cose invisibili ». « La bontà del nostro Dio Salvatore si è dunque manifestata a tutti gli uomini per insegnarci a rinunciate alle cupidigie umane, per redimerci da ogni bassezza e per fare di noi un popolo gradito, e fervente di buone opere» (Ep.). «Si è fatto simile a noi perché noi diventiamo simili a Lui (Secr.) e perché dietro il suo esempio possiamo condurre una vita santa » (Postcom.). « È cosi che vivremo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, attendendo la lieta speranza e l’avvento della gloria del nostro grande Iddio Salvatore e nostro Gesù Cristo » (Ep.). Come durante l’Avvento, la prima venuta di Gesù ci prepara dunque alla seconda.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps II:7.
Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te

(Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato).
Ps II:1
Quare fremuérunt gentes: et pópuli meditáti sunt inánia?

[Perché si agitano le genti: e i popoli ordiscono vani disegni?]

Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te.

[Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato].

Oratio

Orémus.
Deus, qui hanc sacratíssimam noctem veri lúminis fecísti illustratióne claréscere: da, quǽsumus; ut, cujus lucis mystéria in terra cognóvimus, ejus quoque gáudiis in coælo perfruámur:

[O Dio, che questa notta sacratissima hai rischiarato coi fulgori della vera Luce, concedici, Te ne preghiamo, che di Colui del quale abbiamo conosciuto in terra i misteriosi splendori, partecipiamo pure i gaudii in cielo:]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum
Tit II: 11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc sǽculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: La grazia salvatrice di Dio si è manifestata per tutti gli uomini e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, aspettando la lieta speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha dato sé stesso per noi, a fine di riscattarci da ogni iniquità, e purificare per sé un popolo suo proprio, zelante per buone opere. Insegna queste cose e raccomandale: in nome del Cristo Gesù, Signore nostro.]

Aspirazione. Siate benedetto, o mio divin Salvatore, che vi siete degnato di scendere dal cielo e rivestirvi di nostra carne mortale, per venire ad insegnarmi il cammino giustizia! Riconoscente a sì grande amore e per  profittare di un sì gran benefizio, rinunzio ad ogni empietà e ad ogni inimicizia, ai piaceri della carne ed a tutte le azioni, parole, pensieri che potessero dispiacervi, e prometto fermamente di vivere con temperanza, giustizia e pietà. Deh! la vostra grazia, o mio Dio, mi renda fedele ai disegni che essa m’ispira! (Goffinè: Manuale per la santif. della Domenica, etc …)

Graduale

Ps CIX: 3; 1
Tecum princípium in die virtútis tuæ: in splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.


[Con te è il principato dal giorno della tua nascita: nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

V. Dixit Dóminus Dómino meo: Sede a dextris meis: donec ponam inimícos tuos, scabéllum pedum tuórum. Allelúja, allelúja.

[V. Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra: finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Allelúia, allelúia.]

Ps II:7
V. Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Allelúja.

[V. Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secundum Lucam
Luc II:1-14
In illo témpore: Exiit edíctum a Cæsare Augústo, ut describerétur univérsus orbis. Hæc descríptio prima facta est a præside Sýriæ Cyríno: et ibant omnes ut profiteréntur sínguli in suam civitátem. Ascéndit autem et Joseph a Galilæa de civitáte Názareth, in Judæam in civitátem David, quæ vocatur Béthlehem: eo quod esset de domo et fámilia David, ut profiterétur cum María desponsáta sibi uxóre prægnánte. Factum est autem, cum essent ibi, impléti sunt dies, ut páreret. Et péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit juxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ coeléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

[In quel tempo: Uscì un editto di Cesare Augusto che ordinava di fare il censimento di tutto l’impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirino era preside della Siria. Recandosi ognuno a dare il nome nella propria città, anche Giuseppe, appartenente al casato ed alla famiglia di Davide, andò da Nazareth di Galilea alla città di Davide chiamata Betlemme, in Giudea, per farsi iscrivere con Maria sua sposa, ch’era incinta. E avvenne che mentre si trovavano lì, si compì per lei il tempo del parto; e partorì il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non avevano trovato posto nell’albergo. Nello stesso paese c’erano dei pastori che pernottavano all’aperto e facevano la guardia al loro gregge. Ed ecco apparire innanzi ad essi un Angelo del Signore e la gloria del Signore circondarli di luce, sicché sbigottirono per il gran timore. L’Angelo disse loro: Non temete, perché annuncio per voi e per tutto il popolo un grande gaudio: infatti oggi nella città di Davide è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sia per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia. E d’un tratto si raccolse presso l’Angelo una schiera della Milizia celeste che lodava Iddio, dicendo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA SANTA NOTTE

La notte tenebrosa gravava come una lunga maledizione sul mondo assopito nel sonno. Tutti dormivano: si dormiva a Roma, si dormiva a Gerusalemme, si dormiva a Betlem, dove una moltitudine era accorsa da ogni villaggio per dare il nome al censimento di Cesare Augusto. Solo qualche pastore vegliava nei dintorni, accanto a fuochi morenti, mentre custodiva il gregge. – Ed ecco squarciarsi l’oscurità e sfociare giù dall’alto fiumi di luce e tutto il cielo ardere come una fiamma e sopra i paesi assonnati passare cori invisibili, cantando parole non mai udite sopra la terra: « Gloria a Dio nei cieli più alti; pace agli uomini di buona volontà ». Balzarono attoniti i pastori vigili presso il loro branco di pecore ed una luce li investì. Nella luce videro l’Angelo fulgidissimo del Signore. Si spaventarono; ma l’Angelo disse loro: « Non temete: è una gioia grande per voi e per tutti, che noi portiamo: è nato il Salvatore ». Dunque, il tempo di piangere era finito, la maledizione era passata, la schiavitù del demonio era infranta. – « Gioia grande!» diceva l’Angelo ai pastori prostrati nella luce celeste. « Gioia grande: è nato nella città di Davide Cristo Signore. Vi dò un segno per trovarlo: vedrete un bambino involto in pochi panni, adagiato in una greppia ». Come gli Angeli sparirono, i pastori si guardarono l’un l’altro muti, poi dissero: « Andiamo a Betlem, e vedremo ». Transeamus usque in Betlehem et videamus. Lasciarono le pecore a ruminare sotto la rugiada presso i fuochi ormai spenti,e corsero.Lasciamo ogni altra cura anche noi e corriamo dietro a loro col cuore pieno di fede, col cuore pieno di gioia. Giungono, ansimanti. Et venerunt festinantes. Trovano Maria, trovano Giuseppe e, in una greppia, un Bambino. Gioia grande! Dio si è fatto bambino. La divinità offerta e l’umanità peccatrice si sono abbracciate nel corpicino di Gesù Cristo. Gaudium magnum. Adoriamo anche noi il Bambino e pensiamo: Il padrone del mondo s’è fatto povero, senza casa, senza culla. Il forte, il Dio delle armate, s’è fatto debole e infermo. L’infinito, per il quale son troppo piccoli i cieli, è raccolto in una greppia. Chi ha dato alla terra la virtù di produrre il pane, e alle piante la virtù di produrre frutti, patisce la fame.Il regolatore delle stagioni e del freddo nasce d’inverno, intirizzito dall’aria rigida.  Quelle piccole mani arrossate dalla gelida notte hanno sollevato nei cieli il sole, la luna e tutte le stelle. Ed è per noi, sapete che Dio s’è reso così; per noi Propter nos egenus factus est, cum esset dives (II Cor., VIII, 9). S’è reso così perché noi gli volessimo bene: è il pensiero di S. Pier Crisologo: « sic nasci voluit qui voluit amari ». S’è reso così perché l’imitatissimo: è il pensiero di Tertulliano: « ut homo divine agere doceretur ». Allora diciamogli, con le lacrime agli occhi: « Bambino Gesù! noi ti ameremo,noi ti imiteremo ».NOI TI Ameremo. Elena imperatrice, la madre di Costantino il grande, aveva avuto da Dio la bella missione di ritornare al culto dei fedeli i luoghi santificati dalla vita e dalla morte di Nostro Signore.Quando arrivò a Betlem ed entrò nella grotta della santa nascita, emise un grido d’indignazione. Quel luogo santo era stata profanato: al posto della greppia là dove Cristo aveva vagito per la nostra salvezza s’ergeva la statua infame di Adone. L’imperatore Adriano, acre nemico di nostra fede, con un gusto diabolico l’aveva eretta là, perché il demonio ridesse dove Cristo aveva pianto. La pia regina, con le lacrime, comandò che abbattessero quel diabolico simulacro; ed ella stessa, con le sue mani, godeva di frantumarlo. Poi vi fè edificare un sontuosissimo tempio, che custodisse quell’umile posto, scelto da Dio per venire al mondo. –  È Natale: Dio nasce nei cuori. E c’è forse qualcuno che nel suo cuore, nel luogo dove Cristo deve nascere tien eretto il simulacro del demonio, il peccato?Alessandro il Macedone per conquistarsi l’animo dei Persiani, ha voluto vestirsi come loro, imitare in tutto quelle barbare costumanze; Dio per conquistare il nostro cuore, per farsi amare dagli uomini si è fatto uomo in tutto come noi: habitu inventus ut homo; ha voluto patire come noi e più di noi, e noi non gli vogliamo bene? Noi daremo il nostro cuore al demonio, ma non a lui? Nessuno sarà così pazzo e crudele da far questo. Come Elena regina frantumiamo il peccato dentro di noi, ed una bella confessione purifichi l’anima nostra, e la nascita di Cristo segni il principio di una nuova vita d’amore, di preghiera,di purezza.« Bambino Gesù! » diciamogli sinceramente « io t’amo ».Se la nostra vita passata ci dicesse che queste parole sono una bugia, perché non siamo capaci d’amarlo con le opere, diciamogli così: « Bambino Gesù, se non ti amo, desidero però d’amarti assai ». E se anche questo non fosse vero, perché  il nostro cuore è più attaccato alla roba di questo mondo che al Signore, diciamogli almeno: « Bambino Gesù! mi piacerebbe tanto desiderare d’amarti ».NOI TI IMITEREMO. A Giovanni II, re di Portogallo, annunciarono che stava male un servo, a lui tanto caro. Il re si turbò, poi volle egli stesso scendere dal suo palazzo nella casa del servo. Nel varcare la soglia dell’ammalato, chiese, come si suole, dello stato dell’infermo. Gli risposero che il male era gravissimo, ma il peggio era che l’ammalato non si lasciava indurre a prendere medicine. Quel mattino stesso i medici gli avevano imposto una medicina amara ma tanto salutare. La prese nelle sue mani, e senza indugio, egli stesso ne bevve parecchi lunghi sorsi. Poi, accostandola alla bocca del malato gli disse: «Io il re, sanissimo, ho preso quest’amara bevanda solo per tuo amore, e tu, il servo, ammalato, non prenderai questo poco che resta per amor mio e per tua salute? ».  Il vassallo tese di slancio le mani verso la medicina, e disse: « Datemela: ora la berrei d’un fiato, foss’anche tossico ». Noi siamo servi ammalati: ammalati di superbia perché ci crediamo un gran che e siamo niente; ammalati di collera perché non vogliamo dimenticare e perdonare le offese; ammalati d’avarizia perché non pensiamo che a roba e a danaro; ammalati nella mente, nel cuore di pensieri e di desideri cattivi. È necessaria la medicina amara dell’umiliazione, della povertà, della mortificazione. Il nostro re, il Bambino Gesù, oggi è venuto a trovarci in casa nostra e ce ne dà l’esempio. Egli santissimo Dio, s’è fatto umile nel presepio, povero in una stalla, mortificato dal freddo. E noi non vorremmo portare la nostra croce? Ci lamenteremo ancora della Provvidenza? – Simone Maccabeo, una notte che conduceva l’armata contro i nemici, si trovò la strada tagliata da un torrente gonfio per le piogge recenti. I soldati s’arrestarono, poiché nessuno osava guardare in quel posto. Simone non fece parola, slanciò il cavallo nell’acqua e passò per il primo: transfretavit primus (I Macc., XVI, 6). Tutti allora gli andarono dietro. Ebbene: il nostro capitano Gesù oggi, per il primo, si slancia attraverso il torrente del dolore, della povertà, della mortificazione: a noi non resta che andargli dietro. Bambino Gesù! noi ti imiteremo. Disse l’Angelo ai pastori: « Evangelizo vobis gaudium magnum ». Vi porto una gioia grande. Lungi da noi, dunque, ogni pensiero di tristezza. Che cosa possiamo temere se il Verbo si è fatto carne, se Dio s’è fatto bambino? Quando Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Gioia grande! – Il capitano Alfonso d’Albuquerque fu sorpreso da una procella furiosa, in mezzo al mare. La povera nave flagellata dalle onde rabbiose, squassata dal vento, cigolava in ogni connessura quasi volesse sfasciarsi. Le nubi basse e cupe avevano fatto l’oscurità sull’acque; i lampi guizzavano in quella tenebra con un bagliore di sangue. Le donne urlavano; perfino i vecchi marinai piangevano di paura. Il capitano, pazzo dal terrore, strappò dal seno d’una madre un bambino di pochi mesi, salì sulla tolda in alto, e protese verso la rabbia delle nubi quella fragile creaturina: «E se, — diceva — siam tutti peccatori, questo bimbo, o Dio, risparmialo perché è senza peccati ». Subito tacque il vento, si chetò l’acqua, s’aperse il cielo: e attraverso lo squarcio d’una nube discese l’arcobaleno. – Nelle disgrazie della vita, nelle tentazioni, nell’ora della morte e nel giorno del giudizio, quando intorno alla navicella della nostra anima sarà come una fragorosa burrasca, ricordiamoci di questo Bambino che oggi c’è dato, che oggi per noi è nato; innalziamolo a Dio e si farà la pace e la gioia intorno a noi. Tra pochi istanti, quando la Messa sarà all’elevazione, io stesso tra le mie mani prenderò Gesù Bambino ed elevandolo verso il cielo, mi ricorderò delle parole di Alfonso d’Albuquerque: « Se tutti noi siamo peccatori, o Dio, questo Bambino risparmialo perché è senza peccati! ». Per la sua innocenza noi tutti saremo salvati.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCV: 11:13
Læténtur cæli et exsúltet terra ante fáciem Dómini: quóniam venit.

[Si allietino i cieli, ed esulti la terra al cospetto del Signore: poiché Egli è venuto.]

Secreta

Acépta tibi sit, Dómine, quǽsumus, hodiérnæ festivitátis oblátio: ut, tua gratia largiénte, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia:

[Ti sia gradita, o Signore, Te ne preghiamo, l’offerta dell’odierna solennità: affinché, aiutati dalla tua grazia, mediante questi sacrosanti scambi, siamo ritrovati conformi a Colui nel quale la nostra sostanza è unita alla Tua:]

Prefatio de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ideo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus …

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIX:3
In splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.

[Nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

Postcommunio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, qui Nativitátem Dómini nostri Jesu Christi mystériis nos frequentáre gaudémus; dignis conversatiónibus ad ejus mereámur perveníre consórtium:

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, che celebrando con giubilo, mediante questi sacri misteri, la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, meritiamo con una vita santa di pervenire al suo consorzio:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA IV DI AVVENTO (2021)

IV DOMENICA DI AVVENTO (2021)

Stazione alla Chiesa dei 12 Apostoli.

Dom. privil. Semid. di II cl. Paramenti violacei.

Come tutta la liturgia di questo periodo, la Messa della Quarta Domenica dell’Avvento, ha lo scopo di prepararci al doppio Avvento di Cristo, avvento di misericordia a Natale, nel quale noi commemoriamo la venuta di Gesù, e avvento di giustizia alla fine del mondo. L’Introito, il Vangelo, l’Offertorio e il Communio fanno allusione al primo, l’Epistola si riferisce al secondo, e la Colletta, il Graduale e l’Alleluia possono applicarsi all’uno e all’altro. Le tre grandi figure delle quali si occupa la Chiesa durante l’Avvento ricompaiono in questa Messa. Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Il Profeta Isaia annuncia di S. Giovanni Battista, ché egli è: « … la voce di colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore, appianate tutti i suoi sentieri, perché ogni uomo vedrà la salvezza di Dio ». E la parola del Signore si fece sentire a Giovanni nel deserto: ed egli andò in tutti i paesi intorno al Giordano e predicò il battesimo di penitenza (Vang.). « Giovanni, spiega S. Gregorio, diceva alle turbe che accorrevano per essere battezzati da lui: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire la collera che sta per venire? La collera infatti che sovrasta è il castigo finale, e non potrà fuggirlo il peccatore, se non ricorre al pianto della penitenza. « Fate dunque frutti degni di penitenza. In queste parole è da notare che l’amico dello sposo avverte di offrire non solo frutti di penitenza, ma frutti degni di penitenza. La coscienza di ognuno si convinca di dover acquistare con questo mezzo un tesoro di buone opere tanto più grande quanto egli più si fece del danno con il peccato » (3° Nott.). « Iddio, dice anche S. Leone, ci ammaestra Egli stesso per bocca del Santo Profeta Isaia: Condurrò i ciechi per una via ch’essi ignorano e davanti a loro muterò le tenebre in luce, e non li abbandonerò. L’Apostolo S. Giovanni ci spiega come s’è compiuto questo mistero quando dice: Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza perché possiamo conoscere il vero Iddio ed essere nel suo vero Figlio » (2° Nott.). – Per il grande amore che Dio ci porta ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, che è nato dalla Vergine Maria. Proprio questa Vergine benedetta ci ha dato di fatto Gesù; così, nel Communio, la Chiesa ci ricorda la profezia di Isaia: « Ecco che una Vergine concepirà e partorirà l’Emmanuele », e nell’Offertorio Ella unisce in un solo saluto le parole indirizzate a Maria dall’Arcangelo e da Santa Elisabetta, che troviamo nei Vangeli del mercoledì e del venerdì precedenti: « Gabriele, (nome che significa « forza di Dio »), è mandato a Maria — scrive S. Gregorio — perché egli annunziava il Messia che volle venire nell’umiltà e nella povertà per atterrare tutte le potenze del mondo. Bisognava dunque che per mezzo di Gabriele, che è la forza di Dio, fosse annunciato Colui che veniva come il Signore delle Virtù, l’Onnipotente e l’Invincibile nei combattimenti, per atterrare tutte le potenze del mondo » (35° Serm.). La Colletta fa allusione a questa «grande forza» del Signore, che si manifesta nel primo avvento, perché è nella sua umanità debole e mortale che Gesù vinse il demonio, come anche ci parla dell’apparizione della sua «grande potenza» che avverrà al tempo del suo secondo avvento, quando, come Giudice Supremo, verrà nello splendore della sua maestà divina, a rendere a ciascuno secondo le sue opere (Ep.). Pensando che, nell’uno e nell’altro di questi avventi, Gesù, nostro liberatore, è vicino, diciamogli con la Chiesa « Vieni Signore, non tardare ».

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Exod XVI :16; 7
Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]


Ps XXIII: 1
Dómini est terra, et plenitúdo ejus: orbis terrárum, et univérsi, qui hábitant in eo.

[Del Signore è la terra e quanto essa contiene; il mondo e e tutti quelli che vi abitano.]

Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]

Oratio  

Oremus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: et magna nobis virtúte succúrre; ut per auxílium grátiæ tuæ, quod nostra peccáta præpédiunt, indulgéntiæ tuæ propitiatiónis accéleret:

[O Signore, Te ne preghiamo, súscita la tua potenza e vieni: soccòrrici con la tua grande virtú: affinché con l’aiuto della tua grazia, ciò che allontanarono i nostri peccati, la tua misericordia lo affretti.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Corinthios
1 Cor IV: 1-5
Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quaeritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer aut ab humano die: sed neque meípsum judico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus  judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuique a Deo.

[ “Fratelli miei, così ci consideri ognuno come ministri di Cisto, e dispensatori dei misteri di Dio. Del resto poi ciò che si richiede ne’ dispensatori è che sian trovati fedeli. A me pochissimo importa di esser giudicato da voi, o in giudizio umano; anzi nemmeno io giudico di me stesso. Poiché non ho coscienza di nessun male; ma non per questo sono giustificato; e chi mi giudica, è il Signore. Onde non vogliate giudicare prima del tempo, finché venga il Signore: il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre, e manifesterà i consigli de’ cuori, ed allora ciascuno avrà lode da Dio”.]

A qual fine la Chiesa fa leggere oggi questa lettera?

Per avvertire quelli che ieri ricevettero i sacri Ordini a distinguersi per la fedeltà ai loro doveri e per la santità della vita, quanto sono distinti per l’alta dignità del loro stato; per ispirare il rispetto dovuto ai sacerdoti. che sono i ministri di Gesù Cristo, e i dispensatori dei divini misteri; ed in ultimo per ricordare ai Fedeli questa seconda venuta del Figliuolo dell’uomo; ed invitarli così a giudicarsi da se stessi, a purificare il loro cuore per la festa del Natale, ed a ricevere degnamente Gesù Cristo come Salvatore, sicché non l’abbiamo a temer come Giudice.

Perché S. Paolo non voleva giudicar se stesso?

Perché non sapeva come Dio lo giudicava, sebbene di niente gli rimordesse la coscienza: senza una rivelazione di Dio, nessuno sa se sia degno d’amore o d’odio. Dio scandaglia i cuori e le reni; nulla può sfuggire al suo sguardo, ed i giudizi di Lui sono ben differenti da quelli degli uomini, che accecati dall’amor proprio e dalla passione, spesso non vedono il male che fanno; nascondono sé a se stessi, e si giustificano quando dovrebbero condannarsi. Tale si crede innocente e si riguarda come santo, che al giorno poi del giudizio sarà ricoperto di confusione, quando Dio svelerà in faccia all’universo tutte le azioni di lui e tutti gli interni segreti. Non giudichiamo gli altri; di loro ci è ignoto l’interno; ma giudichiamo noi stessi: esaminiamoci accuratamente, pesiamo tutte le nostre azioni, scendiamo nel fondo della nostra coscienza, frugando tutte le pieghe e i nascondigli del nostro cuore; ed imiteremo s. Paolo che si giudicava così da se stesso; ma imitiamo parimente s. Paolo che in un altro senso non si giudicava da sé, cioè se dopo un’esatta ricerca, non troviamo nulla di riprensibile in noi, senza troppo fidarci del nostro giudizio, rimettiamo a Dio il giudizio definitivo, ed affatichiamoci per la nostra salvezza con timore e tremito, ponendo la confidenza nella misericordia del Signore.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale 

Ps CXLIV:18; CXLIV:  21
Prope est Dóminus ómnibus invocántibus eum: ómnibus, qui ínvocant eum in veritáte.

[Il Signore è vicino a quanti lo invocano: a quanti lo invocano sinceramente.]


V. Laudem Dómini loquétur os meum: et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus.

[La mia bocca dia lode al Signore: e ogni mortale benedica il suo santo Nome.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
V. Veni, Dómine, et noli tardáre: reláxa facínora plebis tuæ Israël. Allelúja

[Vieni, o Signore, non tardare: perdona le colpe di Israele tuo popolo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc III:1-6
Anno quintodécimo impérii Tibérii Cæsaris, procuránte Póntio Piláto Judæam, tetrárcha autem Galilaeæ Heróde, Philíppo autem fratre ejus tetrárcha Ituraeæ et Trachonítidis regionis, et Lysánia Abilínæ tetrárcha, sub princípibus sacerdotum Anna et Cáipha: factum est verbum Domini super Joannem, Zacharíæ filium, in deserto. Et venit in omnem regiónem Jordánis, praedicans baptísmum pæniténtiæ in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíæ Prophétæ: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas ejus: omnis vallis implébitur: et omnis mons et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta, et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.”

“L’anno quintodecimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello, tetrarca dell’Idurea della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i Pontefici Anna e Caifa, il Signore parlò a Giovanni figliuolo di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutto il paese intorno al Giordano, predicando il battesimo di  penitenza per la remissione dei peccati: conforme sta scritto nel libro dei sermoni d’Isaia profeta: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i suoi sentieri: tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti e le colline si abbasseranno: e i luoghi tortuosi si raddrizzeranno, e i malagevoli si appianeranno: e vedranno tutti gli uomini la salute di Dio”. (Luc. III, 1-6).

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

APRI IL TUO CUORE AL SIGNORE CHE NASCE

Pochi giorni ci separano dal santo Natale. Penso a molti secoli fa, nell’imminenza del grande avvenimento, quando a Betlemme gremita di forestieri, entrarono due modesti sposi che venivano da Nazareth. Penso alla trepidazione di Giuseppe che supplicava con la parola e con gli occhi sulle porte degli alberghi, perché facessero al Padrone del mondo un po’ di posto, per nascere. In mezzo agli uomini non ce n’era più: dovette trovarglielo in mezzo alle bestie. Se per il prossimo Natale S. Giuseppe ritornasse a cercargli un posto, lo credereste più fortunato dopo venti secoli? Purtroppo il crudele rifiuto si ripeterebbe punto per punto. Immaginiamolo. – Ecco S. Giuseppe batte alla porta del ministero di qualche nazione moderna, ove si forgia il destino dei popoli, e chiede umilmente: « Fate la carità di un posto per nascere al Re del Cielo! ». «Ma non c’è più il Cielo. Non sapete ch’era una fandonia inventata per tener quieti quelli che non potevano mangiare abbastanza sulla terra?… ». «…È il Padrone del mondo ». «Il padrone del mondo siamo noi. Noi lo coltiviamo con le macchine e con i concimi chimici, noi lo scaviamo per estrarne oro e petrolio, noi lo percorriamo inalto e basso, per lungo e per traverso, con treni, con navi, con aeroplani. E poiché il rombo del temporale non fa più paura, noi lo spaventiamo con il rombo dei cannoni e lo scoppio delle bombe atomiche ». «… È Dio ». «Silenzio! Noi abbiamo le temibili organizzazioni dei « Senza Dio ». Ed ecco S. Giuseppe in giro per le città moderne. Batte alla porta dei cinema e dei teatri, dei caffè, delle osterie, ma spesso si vedono e si dicono cento cose che non è conveniente siano udite o viste dalla Vergine Maria: e lo respingono. Batte alla porta di negozi e di officine, ma si sente dire in faccia: « Indietro! Se ti facciamo un posto, poi bisognerà osservare la morale nel commercio. E con la morale non si fanno affari, e si va alla malora ». Batte alle edicole dei giornali, per chiedere se qualcuno inserisca tra gli avvisi economici una domanda d’alloggio per lui e per la Vergine Maria, e per il Bambino che deve nascere. «Ah no! — gli rispondono. — Se incominciamo a mettere sui giornali i nomi dei Santi e le cose vere e serie della Madonna e del Signore, i lettori s’infastidiscono, e non li vogliono più leggere. Perfino i Cattolici preferiscono i giornali un po’ liberali e larghi, e lasciano volentieri entrare in casa certi settimanali, illustrati magari con poca arte, ma con molta immodestia… » S. Giuseppe si decide a battere alla porta di famiglie private. Gli viene incontro il capo di casa che gli getta addosso uno sguardo non incoraggiante. « Impossibile; non ho stanze. Di figliuoli in casa non ne voglio più, primo perché non ho posto, e poi perché mia moglie ha già troppi fastidi, figurarsi se posso prendermi in casa un figlio di altri, sia pure il Figlio di Dio! ». – Che resta ancora a S. Giuseppe? Gli resta da battere alla porta del nostro cuore. Non lo sentite parlarvi, in questi giorni di santa aspettativa, con la voce della coscienza, con la voce della liturgia, con la voce innocente dei vostri bambini? « Apri il tuo cuore al Signore che nasce ». Il tuo cuore! da quanto tempo è forse ingombro di passioni cattive e di affetti illeciti e di peccati non confessati, o confessati male, o confessati senza né dolore né proponimento! Il nostro cuore forse è diventato una regione dove il demonio impera con la sua legge d’orgoglio, con i piaceri della sensualità, con le frodi e le ipocrisie. Come quando in una città deve arrivare il Re, ferve da per tutto il lavoro di pulizia, di riordino, di abbellimento, così con tutte le forze dobbiamo in questi giorni lavorare, nel raccoglimento, intorno al nostro cuore per disporvi le degne accoglienze al Re dei re. E che dobbiamo fare? Ce lo dice S. Giovanni nel Vangelo di questa domenica. « Udite la voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore. Spianate i monti.  Coltivate le valli. Raddrizzate i sentieri tortuosi ». – SPIANATE I MONTI. Le vette da rovesciare sono quelle irte e gelide dell’odio e del rancore. Nel Vangelo è detto: « Da questo vi riconoscerò per miei discepoli se vi amerete tra di voi» (Giov., XIII, 35). Ecco che Gesù viene nel santo Natale, e guarda i cuori che sono suoi, per entrarvi. Ma dove c’è rancore, desiderio di vendetta, odio, Egli non li riconosce per suoi, e non entra. Nel Vangelo è detto: « Se stai per presentarti all’altare e ti ricordi che c’è una ruggine tra te e il tuo fratello, torna indietro, e va prima a riconciliarti » (Mt., V, 23-24). Se questo comandamento vale per ogni occasione, tanto più nella massima festa cristiana del santo Natale. «Ho già perdonato una volta e due — si scuserà qualcuno — ma poi mi ha fatto peggio ». Anche questo caso è contemplato nel Vangelo. « Se tuo fratello ha sbagliato verso di te, perdonagli. E quand’anche sbagliasse sette volte al giorno, se egli venisse sette volte al giorno a chiederti scusa, tu sempre gli perdonerai ». (Lc., XVII, 3-4). COLMATE LE VALLI. Le valli da colmare, acquitrinose e malariche, donde esala un’aria febbricosa. sono quelle dei piaceri sensuali, degli affetti morbidi, dei desideri impuri. Per nascere, al Figlio di Dio non importò né di ricchezze, né di casa, né di cuna. D’una sola cosa non poté fare a meno, essendo Dio: della purezza. Nacque da una Vergine. Beati quelli che saranno trovati in questi giorni col cuore puro: la grazia del santo Natale li inonderà, sentiranno la bellezza e il fascino di questa virtù che ci rende capaci di vedere Dio, godranno la pace promessa dagli Angeli agli uomini di buona volontà. Buona volontà di mortificare i sensi e il cuore, perché Dio non può nascere « dove i demoni ballano e le sirene fanno il nido ». (S. GEROLAMO, P. L. XXII, 398). – RETTIFICARE I SENTIERI TORTUOSI. I sentieri tortuosi sono tutte quelle vie coperte di frodi, di furti più o meno piccoli, di inganni, di bugie, di sotterfugi di cui troppo spesso si lascia inquinare anche l’uomo onesto. « Sono inezie, è un danno di cui non s’accorge nessuno! ». – « Colui che è fedele nelle piccole cose è anche fedele nelle grandi, e colui ch’è infedele nelle piccole è anche infedele nelle grandi ». (Lc., XVI, 10). – «Fanno tutti così ». Eppure vi dispiacerebbe che si sapesse che anche voi fate come tutti; che si sapesse quella vostra astuzia, o la provenienza di quella roba, o il modo di farvi dare quel denaro. E del Signore, che lo sa non vi rincresce? Non temete la sua giustizia? S. Giovanni grida ancora nel deserto: « Ah, gente tortuosa come le vipere chi vi insegnerà a sfuggire l’ira ventura? Viene il Signore col ventilabro, e separerà nettamente il grano dalla pula ». Raddrizzate i sentieri del vostro lavoro e del vostro commercio. – S. Francesco d’Assisi, parecchi giorni prima della festa di Natale, chiamò un uomo molto pio, di nome Giovanni, e gli disse che desiderava passare il Natale a Greccio. Doveva però preparargli nella foresta un presepio con la mangiatoia e col bue e l’asino, per rappresentare in una maniera viva il mistero della divina nascita. Nella santa notte arrivò la gente da tutte le parti con fiaccole e con lanterne: tutta la foresta palpitava di luce e risonava di gioia, Francesco con i suoi frati, in ginocchio, cantava le lodi del Signore davanti alla mangiatoia. Fu allora che al buon Giovanni parve di vedere una cosa meravigliosa. Nella greppia c’era un Bambino con gli occhi chiusi, come un morto. San Francesco s’avvicinò dolcemente e lo svegliò da quel profondo sonno di morte. Cristiani, il Natale è qui. Ma nella cuna di tanti cuori, il Bambino Gesù è morto. Sono stati i peccati a ucciderlo, così piccolo ed innocente! Lo dice S. Paolo che chi commette peccato lo fa morire nel proprio cuore. Bisogna farlo rinascere. – Sardanapalo, famoso re d’Assiria, statua di fango e di vizi da vivo, ha voluto che dopo la sua morte gli fosse eretta sulla pubblica piazza una statua di bronzo, con questa infame iscrizione sul piedestallo: «Passante, bevi, mangia, godi: il resto è nulla». Aristotile stesso ch’era un pagano leggendola esclamò: « Che altro scriveresti sul sepolcro non di un re, ma di un bue? ». Eppure Sardanapalo, simbolo del godimento sensuale, è oggi deificato da per tutto, sulla grande piazza pubblica del mondo e gli uomini ripetono il grido che San Paolo pose in bocca ai disperati mondani: « Non ci sia piacere che l’anima nostra non abbia provato: incoroniamoci di rose prima che marciscano; mangiamo e beviamo perché domani morremo » (I Cor., XV, 32). Ma in faccia alla statua di Sardanapalo, da due mila anni, un’altra fu eretta, non di bronzo, ma di legno; e sul legno inchiodato e sanguinante sta Gesù Cristo che morendo dice: « Se qualcuno mi vuol seguire, prenda la sua croce, e vi configga sopra spietatamente le sue cattive passioni ». (Mt. XVI, 24). Dove ci mettiamo noi? Sotto la statua di Sardanapalo o sotto la croce? Sceglieremo i piaceri del mondo e la vita sensuale delle bestie, o la penitenza di Cristo e la vita spirituale degli Angeli? Sceglieremo la strada larga dell’inferno, o quella stretta del Paradiso? Quello che ci convien fare, ce lo predica dal Vangelo San Giovanni Battista. Regnava a Roma da quindici anni Tiberio Cesare, Ponzio Pilato era governatore di Gerusalemme, Erode tetrarca della Galilea, Anna e Caifa, sommi sacerdoti, quando il figliuol di Zaccaria venne nei paesi lungo il Giordano a predicare il battesimo della penitenza. Prædicans baptismum pœnitentiæ. A quelli che l’ascoltavano diceva: « Razza di vipere! chi v’insegnò a fuggire l’ira che vi sovrasta? fate penitenza. Già l’ascia è sulla radice della pianta: fate penitenza. Già s’avvicina il regno dei cieli: fate penitenza ». Non è dunque la vita spensierata, ma la vita dura del proprio dovere che impone il Precursore; e dopo il mangiare, il bere e il godere ricordiamoci che c’è l’ira che ci sovrasta, c’è l’ascia che abbatte, c’è il regno dei cieli per i buoni e l’inferno per i cattivi. Facciamo dunque penitenza. – Ma che cos’è la penitenza? Ce lo spiega chiaramente S. Gregorio Magno: transacta flere, ea illa deinceps non committere. È il dolore, dunque, dei peccati, ed il fermo proposito di evitarli. Il dolore è la penitenza che cancella i peccati commessi. Il proposito è la penitenza che preserva i peccati futuri. PENITENZA CHE CANCELLA I PECCATI. Dopo la Pentecoste, S. Pietro uscì sulla pubblica piazza e predicò con parole ferventissime. « Uomini d’Israele! Ascoltatemi in silenzio. Gesù Nazareno, figlio di Dio, famoso per dottrina, per virtù, per miracoli, voi l’avete ucciso. Vos interemistis. Perché l’avete ucciso? forse perché illuminò i vostri ciechi, o forse perché mondò i lebbrosi? Forse perché guariva i vostri ammalati, o perché abbracciava, benedicendo, i vostri bambini? Perché l’avete ucciso? rispondete! ». Sotto la rovente foga di quel discorso la folla doveva sussultare come un bosco battuto dal vento. Gli uomini d’Israele si guardavano in faccia, atterriti, e gemevano tristamente: « Quid faciemus, viri fratres? ». Che faremo adesso per cancellare il delitto enorme? Come S. Pietro li udì mormorare così, rispose: « Fate penitenza! ». Pœnitentiam agite (Atti, II, 38).Non appena ai Giudei, ma anche a noi S. Pietro potrebbe ripetere: «Gesù Nazareno,voi l’avete ucciso. Voi coi vostri peccati, l’avete di nuovo crocifisso nell’anima vostra ». Quando avete assecondato quei pensieri disonesti, voi l’avete novellamente crocifisso sul legno infame della vostra impurità. Quando avete trasgredito il precetto del venerdì voi l’avete nuovamente crocifisso sul legno infame della vostra golosità. E potrei continuare. Ma allora, o fratelli, se noi siamo colpevoli di così gran delitto, che dobbiamo fare? Pœnitentiam agite. Buttiamoci ai piedi del crocifisso, guardiamo quelle piaghe che noi abbiamo aperte, e domandiamogli perdono. Questa contrizione delle nostre colpe, questo vivo rincrescimento d’aver offeso Dio che è tanto buono, questo dispiacere grande d’aver nuovamente crocifisso Cristo, è la penitenza che predicava S. Giovanni nei paesi lungo il Giordano, quella penitenza che è simile al Battesimo perché ci lava da ogni peccato. Prædicans baptismum pœnitentiæ. Il dolore d’aver offeso Dio, quanto più è perfetto, tanto più ci otterrà, non solo il perdono dei peccati, ma la remissione della pena dovuta al peccato.Quando S. Vincenzo Ferreri predicò in Francia, un giovane andò a gettarsi ai suoi piedi, piangendo. Aveva condotto una vita dissoluta, ora la grazia di Dio lo toccava in un modo mirabile. Il santo ascoltò la sua lunga confessione, poi gli assegnò una penitenza austera di sette anni.« Ma come, padre! — ripigliò il giovane — a me che tanto peccai, solo sette anni di penitenza! » e singhiozzava. Il santo, vedendo tanto dolore, rispose. « Figlio, andate: farete soltanto tre giorni di penitenza perché Dio è tanto buono ». – « Appunto perché Dio è buono e ciò nonostante io l’offesi, merito una grande penitenza ».« Orsù — rispose il santo — contentatevi di recitare tre Ave ». Allora il giovane scoppiò in pianto e S. Vincenzo Ferreri, per virtù di Dio, vide la sua anima così bianca che se fosse morto in quell’istante, senz’altra penitenza che il suo dolore, sarebbe volato direttamente al Cielo. – PENITENZA CHE PRESERVA DAL PECCATO. E Gesù entrò in Gerico. Passando sotto un sicomoro, scorse tra le foglie una breve figura d’uomo: Zaccheo. Lo chiamò: « Zaccheo, scendi in fretta che ho pensato di venire a casa tua ». La guardia doganale confusa e commossa, si calò giù dall’albero e si trovò in faccia al Signore: « Andiamo, Zaccheo, — disse Gesù — oggi voglio fermarmi un poco da te ». E s’avviarono. Zaccheo intanto pensava alle sue ingiustizie, ai furti, alle esose estorsioni di danaro fatte sulle carovane che passavano il confine tra la Giudea e la Perea; Zaccheo intanto sentiva i mormorii della folla scandalizzata al vedere il divin Maestro prendere stanza presso quel doganiere. Pensava e sentiva tutto questo con un senso di disgusto e di dolore per la sua vita passata. Ma a che sarebbe valso questo dolore, se non fosse stato seguito dal proposito efficace? Per ciò quando furono sul limitare si rivolse e disse: « Signore! dò la metà dei miei beni ai poveri e per ogni estorsione ingiusta, restituirò il quadruplo ». – Gesù guardò con amore quell’uomo di forte proposito, e in faccia alla folla gli rispose: « Questa casa ha ricevuto la salute, oggi, poiché anche costui è diventato figlio d’Abramo » (Lc., XIX, 19). – Da questo brano evangelico consegue che la vera penitenza non consiste solo nel detestare i peccati commessi, ma soprattutto nel ripararli, e nell’usare tutti quei mezzi che possono preservare dalle ricadute. Non bastano quindi parole e sospiri: mi confesso, mi pento, è mia colpa, mia massima colpa; ci vogliono i fatti. A quante persone si potrebbe dire: la tua voce è quella di Giacobbe, ma la tua mano è quella d’Esaù! Di parole e di promesse ne hai tante, ma in pratica c’è troppo poco. Il santo Natale è vicino, Gesù ha pensato di venire in casa nostra: come un giorno nella casa di Zacheo; via le chiacchiere adunque e convertiamoci. È necessario distruggere il corpo del peccato che è dentro di noi come dice l’apostolo: Ut destruatur in vobis corpus peccati (Rom., VI, 6). Rinunciamo a quelle mille cose dilettevoli che acuiscono in noi le passioni; perciò via dai nostri occhi soggetti e libri che suscitano la concupiscenza. Via dal nostro labbro quella scandalosa libertà di parola che rovina la nostra anima e l’altrui. Via quegli spettacoli, dei quali l’unico effetto è ridestare le immagini più losche. Via quelle amicizie morbose nelle quali noi stessi presentiamo vicina la caduta fatale. Anche la gola bisognerà mortificare, anche la pigrizia che ci tiene a letto quando alla prim’alba le campane ci chiamano alla Messa. Il regno dei cieli si conquista con la violenza; con la violenza che ciascuno di noi deve fare alla propria carne. Castigo corpus meum et in servitutem redigo (I Cor., IX, 27). – Ma dunque, dirà qualcuno spaventato da questo battesimo di penitenza, la Religione cristiana è proprio melanconica. Aveva ragione il poeta paganeggiante quando diceva a Cristo: cruciato martire, tu cruci gli uomini. Ascoltate: Gesù un giorno andò a un banchetto di nozze che si faceva in Cana. Sul più bello del convito manca il vino: nessuno ci aveva pensato. Gesù allora, benché a malincuore, — ma come resistere alla Madonna che lo pregava! — chiamò i servi: « Riempite le idrie d’acqua e poi versate che ne uscirà vino ». Tutti bevvero il vino del miracolo; ma come l’ebbe saggiato l’architriclino, ne fu meravigliato. Ne centellinò qualche sorso e poi esclamò: « Maestro! tutti, in principio, offrono ai convitati il vino migliore e poi, quando sono ubriachi, li riempiono di quello scadente; tu invece hai fatto il contrario. Hai dato prima il vino peggiore ed hai serbato alla fine un vino estasiante ». Cristiani: il calice del mondo è del demonio, il calice di Sardanapalo comincia col dolce, e poi dopo averci ubriacati nei vizi, finisce con il fiele del rimorso in questa vita, e con l’inferno nell’altra. Il calice di Cristo comincia con l’amaro della penitenza e finisce con la pace e la benedizione di Dio in questa vita, e con il paradiso nell’altra. – VOCE NEL DESERTO. Dice S. Tommaso da Villanova che l’anima del peccatore è un deserto. Ne ha infatti tutto l’aspetto: è arida e incolta, non produce frutto alcuno di vita, è ingombra dei rovi di cattivi pensieri, delle spine di cattivi desideri, delle ghiande di passioni immonde. E neppure mancano i serpenti, che sono i demoni. E poi, quanta solitudine dove Dio manca! quanta siccità dove la grazia non piove!… Ebbene, in questo deserto Dio non cessa di parlare per chiamarci al battesimo della penitenza e alla remissione dei peccati. E ci chiama con la voce della predicazione e con quella dell’ispirazione; con la voce del beneficio e con quella del castigo. a) Voce della predicazione. — Come in quei tempi il Signore si fece preparare i cuori dalle prediche del Battista, così attraverso i secoli Egli si è sempre servito della parola dei sacerdoti. La predicazione è come l’acqua fecondatrice: ove essa non discende, vi è terra dura e sterile. La predicazione è come la manna alimentatrice: chi non ne raccoglierà morirà di fame spirituale. La predicazione è come l’olio che nutre la lampada: chi non se ne procura, rimarrà al buio. S. Ilario d’Arles vide una volta alcune persone che, appena ebbe cominciata la spiegazione del Vangelo, si dileguarono fuori di chiesa per sottrarsi alla noia d’una predica. Il santo allora gridò verso di quelli: « Uscite pure: ora potete fuggire dalla chiesa, ma verrà tempo che non potrete fuggire dall’inferno ». – b) Voce dell’ispirazione. — Ma talvolta il peccatore è così indurito che nessuna voce esteriore può penetrarlo, nessun grido può risvegliare il suo deserto. E allora Dio, buono e misericordioso, parla direttamente a quel cuore, parla quella sua parola viva, più acuta della spada a due tagli, che penetra gelida e rovente fino alle più intime compagini dell’anima (Hebr., IV, 12). « Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?» diceva l’Innominato dei Promessi Sposi, quell’uomo che aveva riempito di spavento e di delitto una intera regione. E a lui il Card. Federico Borromeo rispondeva così: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo. confessiate, l’imploriate? ». – c) Voce dei benefici. — Ci sono certi periodi della vita in cui Dio ci manda ogni fortuna: salute, danaro, onori; ed aspetta quasi che l’uomo dica: « Anima mia, serviamo un Padrone così buono e generoso: non vedi che meritiamo pene e ci dà gioie? ». Ma invece l’uomo non riconosce attraverso le creature la voce del suo Padrone: Il cielo grida: «O uomo, io giro per tuo comodo e utilità ». Il sole grida: «O uomo, io ti riscaldo e ti fortifico: io, a primavera, rinnovo la terra e l’adorno come un paradiso; io faccio crescere i frutti sulle piante e le piante sul suolo ». Grida la terra: «O uomo, io ti lavo, rinfresco, e fecondo ogni cosa ». E tutte insieme dicono le creature: « Riconosci dunque, e ringrazia il tuo generoso Signore ». L’uomo non ode. E Dio si lamenta: « anche il bue è grato all’uomo che lo nutre, anche l’asino riconosce che la stalla è del suo padrone: solo Israele non ha conosciuto me, solo il mio popolo lascia cadere nel deserto la mia voce » (Is., I, 3). – d) Voce dei castighi. — Come un padre che ama suo figlio ricorre ai castighi quando non è ubbidito, così il Padre eterno fa con noi. Anche i suoi castighi sono un segno del suo grande e tenero amore. Se la malattia non lo avesse costretto a letto, Ignazio di Loyola forse non sarebbe diventato mai santo. Se una ostinatissima piaga non avesse travagliato Camillo de Lellis, egli non sarebbe forse mai diventato il grande amico degli ammalati. Se la morte non avesse rapito crudelmente il marito a Margherita di Cortona, noi ora non la venereremmo. E se la miseria e la tribolazione non avessero colpito i fratelli di Giuseppe, essi non si sarebbero giammai pentiti del loro peccato orribile ». « Merito hæc patimur, — dicevano, — quia peccavimus în fratrem nostrum » (Gen. XLII, 21). I veri Cristiani che non sono sordi alla voce di Dio così devono dire nei dolori: « Soffro giustamente, perché ho peccato contro il mio fratello Gesù Cristo ». – PREPARARE LA STRADA DEL SIGNORE. La strada per la quale il Signore deve venire nel nostro cuore, al prossimo Natale, ora impedita, forse, dalle colline del peccato, dalle valli che simboleggiano la mancanza delle buone opere, dai sentieri tortuosi che invece di mirar diritto al fine si perdono nei piaceri e nelle lusinghe del mondo. – a) Abbattiamo i colli del peccato con una sincera confessione. Sarebbe un’ironia crudele per un Cristiano festeggiare la venuta del Salvatore, mentre il suo cuore è già occupato dal demonio. Una buona confessione dunque! Non come quella di Saul che disse a Samuele: « Ho peccato!» e si sentì rispondere: «Il Signore ti ha rigettato », perché non era pentito; ma una confessione sincera e dolorosa come quella di David che disse a Nathan: « Ho peccato! »  e si sentì rispondere: « Il Signore ha già distrutto il tuo peccato ». – b) Non basta la confessione, se poi non si continua, con le opere buone, a camminare sulla strada intrapresa. Le opere buone che ci preparano meglio al santo Natale sono la preghiera e la elemosina: la preghiera perché senza di essa noi siamo come una città senza difesa; l’elemosina perché in cielo è preferita a qualsiasi penitenza corporale: «Non sapete quale sia il digiuno che io prediligo? dice il Signore Iddio: Spezzare il proprio pane con l’affamato, Albergare i poveri senza asilo, Vestire chi si trova ignudo, Non sottrarsi alle necessità. del proprio fratello. Allora la tua luce spunterà come l’aurora… ». (Is., LVIII, 6-8) – c) Ed infine viviamo un po’ più ritirati; amiamo un poco anche noi il deserto, come S. Giovanni Battista. Lontani dai divertimenti pericolosi, lontani dai ritrovi rumorosi, lontani dalle compagnie corrompitrici; noi vivremo dolcemente, cristianamente tra la nostra casa e la nostra chiesa. Senza questa volontà di isolamento le antiche abitudini cattive ci riprenderanno facilmente. Quando S. Antonio passò da Alessandria, il governatore d’Egitto voleva fermarlo per qualche giorno. Gli rispose il santo: « Capita al monaco quello che capita al pesce: l’uno muore se lascia l’acqua, l’altro muore se lascia la sua solitudine ». Capita anche al Cristiano quello che capita al pesce: l’uno muore: se lascia l’acqua, l’altro muore alla grazia se lascia la solitudine della sua casa e della sua Chiesa, e si espone ai pericoli e alle seduzioni del mondo: – E un’altra volta è vicino il Natale del Signore, In questa solennità, alcuni vedono una festa di piacere. Già stanno organizzando veglie danzanti, spettacoli lussuriosi, ricevimenti mondani, e trascorreranno la notte santa in cui il Salvatore venne al mondo per redimerli, nell’ebbrezza dei sensi, sprofondando sempre più nel fango e nel peccato. – Altri vedono invece nel Natale una festa di benessere corporale. Anche i più poveri per un giorno almeno all’anno possono nutrirsi a sazietà e con cibi succulenti e con bevande corroboranti; quelli poi che non son poveri imbandiscono la loro mensa con inconsuete e laute vivande. Sicché c’è della gente che tutta questa settimana sarà indaffarata per il pranzo di Natale, senza trovare tranquillità e tempo per pensieri diversi da quelli gastronomici. – Vi sono altri ancora che vedono nel Natale una festa sportiva. Alla vigilia o all’antivigilia, con maglioni e calzettoni per difendersi dal rigore invernale, partiranno per la montagna, a sciare. « Ah che religiosità commovente — dicono — contemplare dalle finestre d’un albergo alpino le stelle della notte natalizia scintillanti sugli abeti coperti di neve! che senso di pace e di purezza volar tutto il giorno come Angeli sui campi immacolati!». E la Messa di Natale? « Probabilmente non mancherà. Forse verrà lassù un prete a celebrare ». Così tutta la santificazione della grande solennità cristiana si esaurisce in una ipotetica Messa. E nessuno, che non sia maligno, sospetti ipotetiche profanazioni. Altri, infine nel Natale non vedono che una festa di poesia domestica. Nessuno manca della famiglia, anche i lontani sono ritornati, almeno per un giorno. È gioia del cuore raccogliersi in casa, dove tutto luccica per la recente pulizia, e arde il focherello sul camino; e c’è l’albero fosforescente di cordelline e di dolciumi, e c’è il presepio, e c’è qualche fanciullo che declama un complimento in rima stringendo nelle mani i doni del Bambino Gesù. – Ma non è Natale veramente e compitamente cristiano se non quello in cui si vede con la fede il Signore. « E vedrà ogni uomo la salvezza di Dio ». Questo è l’insegnamento che S. Giovanni Battista ci dà nel Vangelo odierno. Infatti, prima che Gesù incominciasse la vita pubblica, egli si mosse a preparargli la strada, e predicando la penitenza, diceva: « Preparate la via al Signore che viene! Ogni valle si colmi; ogni colle si spiani, ogni tortuosità si rettifichi. Così vedrà ogni uomo la salvezza in Dio ». Bisogna dunque prepararci al Santo Natale in modo tale da meritare di vedere spiritualmente il Signore. Ma per meritare tanta grazia occorre prepararci con la purità dell’anima, con la bontà delle opere. – Perché l’anima veda Iddio, non basta colmare le valli del peccato con una sincera confessione, non basta spianare ogni ostacolo opaco con la custodia dei sensi: occorre che Dio viva nell’anima con le opere buone. – Verso il Natale del 396, l’ultimo che gli restava da vivere in terra; S. Ambrogio si sentiva stanco e alla fine delle sue eroiche fatiche; ma aveva il cuore pieno d’una pace vasta e serena com’è quella del colono, quando in certe domeniche d’autunno contempla beato la sua campagna colma di frutti, mentre in lontananza campane suonano a distesa. In quei giorni appunto, a Paolino, il suo fedele segretario, dettava queste parole: « Cristo vive in me: cioè, vive quel Pane vivo che discese dal cielo e nacque a Betlemme, vive la sua carità, vive la sua pace, vive la sua giustizia, vive la sua sapienza». Mirabili espressioni, che ci suggeriscono con quali buone opere Cristo deve nascere in noi nel prossimo Natale. Vive in me quel Pane vivo, la prima opera, la più bella e cara a Lui che sta per venire: è la santa Comunione. – I pastori si ritennero fortunatissimi in quella notte in cui lo poterono vedere e forse baciare. I re magi fecero lunghissimo e pericoloso viaggio per poterlo trovare. Il vecchio Simeone per i molti anni della sua vita non desiderò altro; e come lo poté stringere tra le sue braccia tremanti, disse che non gli importava di morire, perché il suo cuore non chiedeva più nulla. La gioia dei pastori, dei magi, di Simeone, ci è vicina: perché non ne approfitteremo? È vero che siamo peccatori e oppressi d’infinite miserie, però se un rincrescimento profondo delle nostre colpe, se un desiderio vivo di farci più puri per più vedere il Signore c’è dentro di noi, quel Dio che venne al mondo in una stalla, non sdegnerà il nostro povero cuore. – Vive in me la sua carità: Non può gustare il Natale cristiano chi si priva della consolazione di fare in questi giorni un po’ di carità, con le opere di misericordia corporali e spirituali. I poveri pastori e i ricchi magi non si presentarono a mani vuote al Celeste Bambino, ma ciascuno con un dono proporzionato alla propria condizione: agnellini, frutti agresti, formelline di tenero cacio erano i doni dei poveri, oro, incenso, mirra erano i doni dei re. Così tutti noi, poveri e ricchi, dobbiamo avvicinarci alla culla di Gesù col nostro dono proporzionato. È dato al Dio nato poverissimo e inerme tutto quanto è donato senza ostentazione. ai poveri e agli infermi. Vive in me la sua pace. Colui che nasce fu vaticinato come il Principe della pace. Egli stesso ha detto: «Io vi dono la mia pace: ma non ve la dono come fa il mondo » (Giov. XIV, 27). Il mondo, quando vuol sembrare buono, fa la pace con quelli che la meritano; i Cristiani, che vogliono essere buoni, fanno pace con tutti, anche con quelli che non la meritano e da cui sono stati offesi. Perciò nessuna scusa è valevole, nessuna ragione è plausibile, perché tra noi si conservi anche un solo rancore durante il santo Natale. Vive in me la sua giustizia: Quand’Egli nacque gli Angeli dissero agli uomini: «Non temete più: vi annunciamo una grande gioia ». Ora che il suo Natale ritorna, c’è forse qualcuno che non può gioire per colpa nostra? Nessuno dei nostri fratelli può accusarci d’ingiustizia nei danari, nella roba, nei commerci, nei contratti, nei debiti e nei crediti? Non abbiamo nulla con noi che invoca il suo legittimo padrone? – Vive in me la sua sapienza: Ascoltiamo e meditiamo volentieri in questi giorni santi la parola di Dio per poter capire qualche cosa almeno dell’infinita sapienza nascosta nel mistero della natività del Salvatore. Se vi si offre il tempo e l’occasione, leggete nel Vangelo il racconto della nascita di Gesù, così lo potrete raccontare alla sera ai vostri figliuoli, che sono avidissimi d’ascoltarlo dalle vostre labbra. – Un giorno Napoleone passava in rivista le sue truppe. Un umile soldato anziano attirò il suo sguardo, per alcune cicatrici che gli apparivano sul volto. L’imperatore  si fermò davanti a lui, e, con un gesto consueto gli pose una mano sulla spalla; poi, guardandolo negli occhi gli rivolse brevissime domande. «Tu, a Ulm?». « C’ero ». «A Austerlitz? ». « C’ero ».  «A Iena? ». « C’ero ». –  «A Wagram? ». « C’ero ». – «A Dresda? ». « C’ero ».  «Bene, capitano! ». L’altro, ch’era soltanto soldato, voleva correggere il grado credendo fosse uno sbaglio. Ma l’imperatore, senza correggersi, aggiunse: « Capitano, decreto per voi la grande croce della legione d’onore ». Quando preparate le strade secondo il consiglio di Giovanni Battista, il nostro Re divino giungerà nel santo suo Natale e passerà in rivista i suoi fedeli; felice colui che potrà rispondere alle sue domande franco e ardito come quel soldato napoleonico.  «Alla dottrina cristiana? ». « C’ero ». – «Alla messa festiva? ». « C’ero ». – « Al confessionale? ». « C’ero ».  – «Alla balaustra? ». « C’ero » – « Nella resistenza aspra contro le tentazione? ». « C’ero ». – «Nella professione coraggiosa della fede in faccia a chiunque? ». « C’ero ». – « Bene, servo buono e valoroso: perché nel poco sei stato fedele, ti darò autorità sul molto, e verrai nella gioia del tuo Re ».

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, gratia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Sacrifíciis pæséntibus, quǽsumus, Dómine, placátus inténde: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno alle presenti offerte: affinché giovino alla nostra devozione e alla nostra salvezza.]

Comunione spirituale:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is. VII:14
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio: e si chiamerà Emanuele.]

Postocommunio

Orémus.
Sumptis munéribus, quǽsumus, Dómine: ut, cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Assunti i tuoi doni, o Signore, Ti preghiamo, affinché frequentando questi misteri cresca l’effetto della nostra salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA III DI AVVENTO (2021)

III DOMENICA DI AVVENTO (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pietro

Semid. Dom. privil. di II cl. – Paramenti rosacei o violacei.

Il Signore è già vicino, venite, adoriamolo (Invitatorio). 1° Avvento. È Maria che ci dà Gesù: « Tu sei felice, o Maria, perché tutto quello che è stato detto dal Signore, si compirà in te » (Ant. Magn.). « Da Bethlem verrà il Re dominatore, che porterà la pace a tutte le Nazioni » (2° resp.) « e che libererà il suo popolo dal dominio dei suoi nemici » (4° resp.). Le nostre anime parteciperanno in un modo speciale a questa liberazione nelle feste di Natale, che sono l’anniversario della venuta in questo mondo del vincitore di satana. « Fa, chiede la Chiesa, che la nascita secondo la carne del tuo unico Figlio ci liberi dall’antica schiavitù che ci tiene sotto il giogo del peccato ». (Messa del giorno, 25 dic.). S. Giovanni Battista prepara i Giudei alla venuta del Messia: egli ci prepara anche all’unione, ogni anno più intima, che Gesù contrae con le nostre anime a Natale. « Appianate la via del Signore » dice il Precursore. Appianiamo dunque le vie del nostro cuore, e Gesù Salvatore vi entrerà per darci le sue grazie liberatrici. – 2° Avvento. S. Gregorio fa allusione alla venuta di Gesù alla fine del mondo allorché, spiegando il Vangelo, dice: «Giovanni, il Precursore del Redentore, precede Gesù nello spirito e nella virtù d’Elia, che sarà il precursore del Giudice » (9a Lezione). Dell’avvento di Gesù come Giudice parlano l’Epistola e l’Introito. Se proviamo gran gioia nell’avvicinarsi alle feste del Natale, che ci ricordano la venuta dell’umile bambino della mangiatoia, quanto più il pensiero della sua venuta in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà, non deve empirci di santa esultanza, perché  allora soltanto la nostra redenzione sarà compiuta. S. Paolo scrive ai Cristiani: « Godete, rallegratevi nel Signore, ve lo ripeto ancora, perché il Signore è vicino ». E come nella Domenica Lætare (Questa pia pratica in uso per la benedizione della rosa a Roma, nella Domenica Lætare, si è estesa a tutti i sacerdoti che ne hanno desiderio per la celebrazione della Messa ed è passata alla Domenica Gaudete, perché queste due domeniche cantano la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato per opera di Cristo), i sacerdoti che lo desiderano celebrano oggi con paramenti rosa, colore che simboleggia la gioia della Gerusalemme celeste, dove Gesù ci introdurrà alla fine dei tempi. « Gerusalemme, sii piena di gioia, perché il tuo Salvatore sta per venire » (2a Ant. vesp.). Desideriamo dunque questo Avvento, che l’Apostolo dice vicino, e, invece di temerlo, auguriamoci con santa impazienza che si realizzi presto. « Muovi, o Signore, la tua potenza, e vieni a soccorrerci » – « Ecco — dice l’Apocalisse — il Signore apparirà e con Lui milioni di Santi e sulla sua veste porterà scritto: Re dei Re e Signore dei Signori » (1° resp.). « Il Signore degli eserciti verrà con grande potenza » (4° resp.). « Il Suo Regno sarà eterno e tutte le Nazioni Lo serviranno » (6° resp.). (All). « Vieni, o Signore, non tardare » (Ant. delle Lodi). « Per adventum tuum libera nos, Domine »].

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Phil IV:4-6
Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni]

Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: hai liberato Giacobbe dalla schiavitù].

Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni.]

Oratio

Orémus.
Aurem tuam, quǽsumus, Dómine, précibus nostris accómmoda: et mentis nostræ ténebras, grátia tuæ visitatiónis illústra:

[O Signore, Te ne preghiamo, porgi benigno ascolto alle nostre preghiere e illumina le tenebre della nostra mente con la grazia della tua venuta.]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses

Philipp IV: 4-7
Fratres: Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne et obsecratióne, cum gratiárum actióne, petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. Et pax Dei, quæ exsúperat omnem sensum, custódiat corda vestra et intellegéntias vestras, in Christo Jesu, Dómino nostro.
R. Deo gratias.

[“Rallegratevi sempre nel Signore: da capo ve lo dico, rallegratevi. La vostra benignità sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi di nulla: ma in ogni cosa le vostre domande siano manifestate a Dio nell’orazione, nella preghiera e nel rendimento di grazie. E la pace di Dio, che supera ogni mente, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Gesù Cristo „ (Ai Pilipp. IV, 4-7]

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Che significa rallegrarsi nel Signore?

Significa ringraziare Dio del benefizio che ci ha dato di una felice eternità, e della continua protezione che ci presta: e rallegrarsi dei mali e delle persecuzioni che si possono avere a sopportare per il Signore, come se ne rallegrarono gli Apostoli, e specialmente s. Paolo. – Docili all’esortazione di s. Paolo, la nostra vita sia esemplare, e mai la nostra sollecitudine per i beni temporali sia eccessiva; confidiamoci nella Provvidenza: gratissimi a Dio per i suoi benefizi esponiamo a Lui le nostre necessità. E può questo Dio di bontà, che ha cura dei più piccoli animali abbandonare i suoi figli, se ricorrono a Lui come al migliore dei padri?

SERVITE DOMINO IN LÆTITIA!

Ecco un testo latino, biblico, molto popolare, forse troppo, nel senso che forse c’è chi, malignamente o ingenuamente (non importa), lo fraintende. Però, a parte gli equivoci e i malintesi, il testo in sé è bello ed è di indubbia marca religiosa, giudeo-cristiana. Un’onda di letizia corre dal Vecchio al Nuovo Testamento, dalla Legge al Vangelo di Gesù Cristo. Nostro Signore non è il maestro arcigno e burbero, non è l’asceta truce o il filosofo altero. No. Di fronte ai discepoli del Battista, che digiunano troppo, i suoi discepoli digiunano meno, poco. Di fronte ai Farisei accigliati per ostentazione di virtù o per piccineria di spirito, il volto del Maestro, Gesù, e dei suoi discepoli è non solo sereno, addirittura ilare. E San Paolo riprende questa tradizione evangelica, come egli suole, quando grida nell’Epistola che oggi leggiamo, ai Filippesi: allegri, allegri in Dio. « Gaudete, iterum dico gaudete. » Il quale cristiano gaudio non è — sarebbe quasi superfluo il dirlo se io non volessi circoscrivere bene questa gioia cristiana di fronte ad altri stati spirituali affini ma non da confondersi con essa — l’incomposta rumorosa sfrenata ilarità del mondo: una ilarità fatta di incoscienza e di voluttà più o meno accentuata. La gioia cristiana sta molto più in qua, sta molto più in su della follia pagana. Quella è divina, questa è brutale. Quella si esprime nel sorriso, nel riso magari; questa nella sghignazzata. Paolo la descrive benissimo con due tratti contrastanti: la letizia nostra è: divina; in Domino e composta, « modestia vestra nota sit omnibus hominibus. » Ma come la gioia cristiana si oppone alle accigliatezze o tristezze farisaiche e alla gioia pagana, così non va confusa colla serenità pura e semplice, colla imperturbabilità — per usare la frase precisa — del filosofo stoico, greco. Non turbarsi mai. Nell’alto cielo non arrivano i turbamenti atmosferici della terra. Ma questa imperturbabilità oltreché tutta umana, oscilla, nello stoicismo, tra l’egoismo e l’orgoglio; egoista la imperturbabilità se nutrita dal desiderio di non soffrire; orgogliosa se ispirata da desiderio di parere; è qualcosa di negativo, di freddo; anche il marmo non si turba mai, nella sua glaciale, marmorea freddezza e durezza. Il Cristianesimo ha portato al mondo l’attività di fronte alla passività, la possibilità di fronte alla negabilità. Quello che è la carità attiva e calda del Cristianesimo di fronte alla inerte compassione buddistica, questo è la gioia cristiana di fronte alla stoica imperturbabilità. Il Cristianesimo ci vuole, sì, sereni, della serenità di un bel viso terso, ma ci vuole anche lieti, giocondi, allegri, positivamente contenti. Non gli basta che noi non si maledica; vuole che benediciamo, e molto, la vita. Non solo non dobbiamo essere corrucciati coi nostri fratelli, ma dobbiamo verso di loro nutrire la nostra benevolenza. Il nostro non deve essere un viso olimpico, serenamente olimpico per disprezzo di tutti e di tutto, disprezzo altezzoso e quasi corrucciato, o disprezzo umoristico, disprezzo sempre…: Noi non dobbiamo disprezzare nulla e nessuno. Dobbiamo amar tutti e tutto, meno il male. – Una luce divina deve nutrire questa nostra gioia: la luce della bontà di Dio. Il mondo, per noi che lo vediamo in quella luce divina del Dio Creatore, Creatore buono, il mondo è bello. – Per noi che vediamo la storia nella luce di Dio, il Dio Redentore, caritatevole, l’avvenire è santo. Non siamo dei fatui che non vedono le ombre nel quadro, nel mondo e nella vita: ma su quella ombra grandeggia la luce di Dio. La luce trionfa. Lietamente noi abbracciamo la vita — non dice l’accettiamo, che è di nuovo una espressione di passività: l’abbracciamo, che vuol dire attività — colle sue lotte e coi suoi sacrifici e dolori. Alla lotta andiamo giocondi, sicuri della vittoria; i sacrifici li accettiamo lieti, sicuri della ricompensa. « Servite Domino in Lætitia: » ripetiamolo pure il vecchio ritornello, con nuova e più lucida coscienza, e, soprattutto, applichiamolo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXXIX: 2; 3; 79:2

Qui sedes, Dómine, super Chérubim, éxcita poténtiam tuam, et veni.

[O Signore, Tu che hai per trono i Cherubini, súscita la tua potenza e vieni.]

Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, Tu che reggi Israele: che guidi Giuseppe come un gregge. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,

Excita, Dómine, potentiam tuam, et veni, ut salvos fácias nos. Allelúja.

[Suscita, o Signore, la tua potenza e vieni, affinché ci salvi. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joann l: XIX-28

“In illo tempore: Misérunt Judæi ab Jerosólymis sacerdótes et levítas ad Joánnem, ut interrogárent eum: Tu quis es? Et conféssus est, et non negávit: et conféssus est: Quia non sum ego Christus. Et interrogavérunt eum: Quid ergo? Elías es tu? Et dixit: Non sum. Prophéta es tu? Et respondit: Non. Dixérunt ergo ei: Quis es, ut respónsum demus his, qui misérunt nos? Quid dicis de te ipso? Ait: Ego vox clamántis in desérto: Dirígite viam Dómini, sicut dixit Isaías Prophéta. Et qui missi fúerant, erant ex pharisæis. Et interrogavérunt eum, et dixérunt ei: Quid ergo baptízas, si tu non es Christus, neque Elías, neque Prophéta? Respóndit eis Joánnes, dicens: Ego baptízo in aqua: médius autem vestrum stetit, quem vos nescítis. Ipse est, qui post me ventúrus est, qui ante me factus est: cujus ego non sum dignus ut solvam ejus corrígiam calceaménti. Hæc in Bethánia facta sunt trans Jordánem, ubi erat Joánnes baptízans.”

“In quel tempo i Giudei mandarono da Gerusalemme a Giovanni i sacerdoti ed i leviti, per domandargli: Chi sei tu? Ed ei confessò, e non negò, e confessò: Non son io il Cristo. Ed essi gli domandarono: E che adunque? Se’ tu Elia. Ed ei rispose: Noi sono. Se’ tu il profeta? Ed ei rispose: No. Gli dissero pertanto: Chi se’ tu, affinché possiamo render risposta a chi ci ha mandato? Che dici di te stesso? Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia. E questi messi erano della setta de’ Farisei. E lo interrogarono, dicendogli: Come adunque battezzi tu, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose loro, e disse: Io battezzo nell’acqua; ma v’ha in mezzo a voi uno, che voi non conoscete: questi è quegli che verrà dopo di me, il quale è prima di me; a cui io non son degno di sciogliere i legaccioli delle scarpe. Queste cose successero a Betania di là dal Giordano, dove Giovanni stava battezzando”.

(Jo. I, 19-28).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

UMILE CONOSCENZA DI NOI STESSI

S. Antonio fu un giorno rapito in estasi: quando ritornò in sé, i suoi buoni religiosi gli si fecero intorno per domandargli quello che aveva visto. « Figli miei! — rispose il santo, — io ho visto il mondo tutto avvolto in fili invisibili entro i quali i miseri uomini incespicavano precipitando in abissi spaventosi ». Allora, i religiosi dissero: « Ma se tutto il mondo è fasciato da queste misteriose reti, chi mai ne potrà scampare? ». Rispose il santo: « Coloro che sono umili, e nella luce dell’umiltà hanno conosciuto se stessi ». Or si capisce come S. Agostino levasse a Dio questa preghiera: « Signore, ch’io conosca me, ch’io conosca te! ». Si capisce anche come S. Bernardo potesse scrivere a Papa Eugenio parole come queste: « Non sarai sapiente, se non conoscerai te stesso. Perché tanta curiosità d’indagare il mondo esteriore e tanta trascuratezza di scrutare il nostro mondo interiore? Ritorna in te; considerati qual sei. Non essere come l’occhio che tutto vede e sé non vede. Ti dico che nessuna ignoranza è peggiore di quella d’ignorarsi. Se ignorerai la filosofia, la letteratura, la meccanica, le leggi, la medicina ti potrai ancora salvare: ma se ignori te stesso, non ti salverai ».. Sed si te ignoras, non salvaberis. Se uno vi fu al mondo che non ha meritato i rimproveri di S. Bernardo questi è S. Giovanni Battista. Mentre battezzava sulle sponde boscose del Giordano, gli arriva una delegazione di sacerdoti e leviti: « Noi veniamo a te da Gerusalemme — dissero — e siamo mandati dai capi della città e del popolo per chiederti se il Messia aspettato sei tu ». L’occasione era grande: bastava che egli accennasse col capo affermativamente, e tutti lo avrebbero proclamato. Ma il Battezzatore non ebbe un attimo d’incertezza: negò replicatamente di essere il Messia. « No! io non lo sono. No! ». «Almeno sarai Elia, quello che dovrà precederlo ». E Giovanni ancora: « No! ». « Allora sei un profeta ». E Giovanni sempre: «No ». « Che risposta dobbiam dare a chi ci ha mandato? ». « Dite — esclama Giovanni — che io sono la voce che nel deserto grida: Spianate la via al Signore » Poteva essere più umile e più sincero? che cosa è una voce se non un brivido che passa in un attimo e svanisce nell’aria? e che cosa è l’uomo davanti a Dio se non questo?… – Ma quando egli credette d’essersi abbassato sotto il livello d’ogni uomo, Gesù lo esaltò sopra tutto il mondo: « È più che un profeta! è un angelo! è il più grande dei nati da donna ». Che S. Giovanni ora ci aiuti a conoscere noi stessi, egli che così bene si era conosciuto. Dobbiamo scrutare chi siamo:

chi siamo per natura,

chi siamo per grazia.

1. CHI SIAMO PER NATURA

Per natura noi siamo un composto di anima e di corpo. Non dunque appena corpo, come molti dicono con la pratica della loro vita. Che cos’è il corpo. Il profeta Isaia udì una voce dirgli: « Grida! ». « Gridar che cosa? » rispose meravigliato. E quella voce insistè: « Grida che ogni corpo è come il fieno, che ogni carne è come fiore. Il fieno secca, il fiore cade, e che rimane? ». (Is., XL, 6-8). Entriamo, nel cimitero, avviciniamoci ai sepolcri e vedremo che cosa è il nostro corpo. Homo putrido et filius hominis vermis (Iob., XXV, 6). « Questo già lo sapevo » penseranno tra voi moltissimi. Ma se conoscete davvero che cos’è il vostro corpo, perché a lui sacrificate i diritti dell’anima? Perché lo circondate di mollezze e di vanità? Perché lo adornate, lo pitturate, lo vantate? Che cos’è l’anima. È una creatura nobile ed immortale, sorella degli Angeli, simile a Dio: è un gran tesoro che noi portiamo in vaso fragile. Oh se conoscessimo davvero l’eccellenza della nostra anima, come ce la sapremmo guardare da ogni minima sozzura!… – Dice la Storia Sacra che Nabucodonosor, da gran re che era, si trovò cambiato in bestia schifosa. Scacciato dalla sua reggia, andava carponi a cibarsi di erba come un bue: sul suo capo che aveva portato la corona imperiale i capelli divennero irsuti come penne d’aquila; sulle sue mani che tennero lo scettro, le unghie s’alzarono come gli artigli d’uccello rapace (Dan., IV). Questa pagina paurosa dei libri santi si avvera troppo spesso anche tra noi: molti non comprendono l’onore di un’anima bella e la costringono coi peccati a diventare bestia schifosa. Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai cani per la loro incredulità: ad essi Gesù nega le sue cose sante. Nolite dare sanctum canibus (Mt., VII, 6). – Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai porci per la loro disonestà: ad essi Gesù nega le sue gemme. Neque mittatis margaritas ante porcos. Povera gente, che inconscia della propria dignità, si è abbassata ai giumenti, fino ad assimilarsi a loro!

2. CHI SIAMO PER GRAZIA

a) Per grazia siamo diventati Cristiani.

Un giorno intorno a noi fu celebrata una misteriosa e sublime cerimonia. Contavamo pochi giorni di vita e i nostri pii genitori ci fecero portare alla Chiesa. « Rinunci a satana e a tutti i suoi piaceri? — ci domandò il Sacerdote rappresentante di Cristo Redentore. — Non si può servire a Dio e al demonio: scegli ». « Rinuncio al demonio e servirò Dio in tutti i giorni di mia vita » risposero per nostro bene i padrini. E noi l’abbiamo dimenticato e in molti giorni della nostra vita, forse anche oggi, siamo ritornati a servire al demonio e a chiedergli i suoi piaceri. Ci rivestì anche di veste bianchissima e bella dicendoci: « Prendi questa veste immacolata, ricordati che con questa un giorno dovrai comparire davanti al tribunale di Dio ». E noi l’abbiamo dimenticato. Dov’è ora la nostra innocenza? dov’è quella veste spirituale? oh quanti strappi, quante macchie, quante toppe! Come faremo in simile guisa a ricomparire un giorno davanti al Signore? Infine il Sacerdote offrendoci un lume ardente: « Portalo, — ci disse, — acceso sempre, che ti farà luce nell’ora oscura della morte». Quel lume era la fede: e noi l’abbiamo lasciato languire leggendo stampe che i Cristiani dovrebbero odiare, accettando discorsi che i Cristiani dovrebbero respingere, esponendoci ai venti delle passioni. Ora il nostro lume fumiga appena, e forse è spento; chi ci illuminerà nella estrema agonia? Quando uscimmo dal Battistero, una mirabile trasformazione era avvenuta in noi. Gli Angeli non ci riconoscevano più nel nuovo splendore per quelle miserabili creature di prima. L’ombra del Maligno era sparita dall’anima nostra ove, come in un tabernacolo di luce, era disceso ad abitare lo Spirito Santo. Da poveri figli dell’uomo che eravamo fummo elevati ad essere figli di Dio: Dio guardandoci riconosceva in noi un po’ della sua natura, trovava in noi una meravigliosa somiglianza col suo Unigenito Gesù Cristo. Ci dichiarava allora suoi veri figli, fratelli di Gesù Cristo stesso, col quale ci costituiva eredi de’ suoi possessi eterni.

b) O Cristiano, riconosci la grandezza di quello che sei!

I ricchi si vantano delle loro terre e dei castelli e delle grosse eredità che aspettano: ed il Cristiano possiede non terra ma cielo, non castelli diroccati ma la città divina costrutta di gemme, non eredità passeggere ma eterne. I sapienti insuperbiscono per la loro intelligenza, eppure non riescono a comprendere che poche cose create: il Cristiano ha un lume nel quale un giorno vedrà e comprenderà i misteri di Dio. I nobili decantano l’antichità e il pregio della loro stirpe; il Cristiano è della stirpe di Dio. Genus Dei sumus (Atti, XVII, 29). I principi si gloriano se qualche volta il Re passa la soglia della loro casa; ma lo Spirito Santo abita dentro l’anima del vero Cristiano, in dolcissima e stabile dimora… Dio è in noi!… O Cristiano, conosci te stesso! O Cristiano, non degradarti nel fango di quaggiù!… – Le antiche cronache francesi narrano che il conte Béranger, che fu poi suocero di Luigi IX, s’era impaniato in cattivi affari fino a ridursi nella miseria più nuda. Ed ecco presentarsi a lui un pellegrino ignoto; egli lo riceve in casa ed avendolo conosciuto per un esperto maggiordomo gli affida i suoi affari malandati e la sovraintendenza della sua casa. Sembrerebbe incredibile, eppure quel pellegrino seppe agire con tanta sagacia e avveduta destrezza che, in pochi anni, i debiti furono estinti, le rendite furono triplicate, le casse della contea di Provenza riempite d’oro e d’argento, le quattro figlie del conte sposate degnamente a quattro re. L’invidia allora mosse le male lingue e le calunnie maligne giunsero fino alle orecchie del conte, il quale parve dubitare dell’onestà del suo maggiordomo. Il buon pellegrino, impotente a difendersi dalle accuse, rassegnò il suo ufficio e i conti esatti nelle mani del conte Béranger, e prima che altri lo scacciassero, partì da quella casa che aveva salvato dalla miseria e dal disonore. Non fu una vergogna questa per il conte? Supponete ora che non solo l’abbia lasciato partire, ma che dopo qualche mese, sentendone bisogno, l’abbia richiamato, e che ancora dopo qualche tempo senza motivo l’abbia preso per le spalle e scacciato con queste parole: « Via di qua, ospite inutile e sgradito!», e che così abbia fatto per dieci o venti volte; che pensereste voi? Non direste forse che quel conte, crudele e stupido, meriterebbe una fine vergognosa?… Ecco quello che abbiamo fatto tante volte, non con un pellegrino ignoto, ma con lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo che è venuto dentro di noi per il Battesimo, che ci ha pagato i nostri debiti, che ci ha nobilitati, arricchiti, resi degni delle nozze eterne del Re dei re, che noi abbiamo scacciato ripetutamente con amare e blasfeme parole: « Via di qua, ospite inutile e sgradito, lascia il tuo posto a satana! ». Pensate che ingiuria! Pensate alle terribili conseguenze! O Cristiano, conosci te stesso. O Cristiano, non degradarti nel fango di quaggiù! – S. Agostino (Epist. XXII) dice che, dopo morte, l’anima nostra nuda e tremante batterà alla porta del Paradiso. « Chi sei? » rintronerà dal di dentro la voce di Cristo. « Fui un uomo » risponderà essa. E allora la medesima voce sussurrerà: « Come hai trattato il tuo corpo di fango? come hai trattato la tua anima immortale? ». Che risponderemo?… «Sono Cristiano » aggiungerà l’anima; e Cristo di rimando: « Fammi vedere le tue mani se sono piagate come le mie, fammi vedere la tua fronte se è coronata della mia corona. E la veste battesimale dov’è? E il lume acceso di fede dov’è? Mostrami la tua faccia affinché ti possa riconoscere per mio fratello.. per figlio di mio Padre… per tempio dello Spirito d’Amore… ». Che risponderemo allora? – Giovanni Battista era un uomo veramente straordinario, correvano di bocca in bocca il suo nome, le sue virtù, le sue gesta. Si parlava di lui «come d’un profeta, come del Messia. Ed il Sinedrio decise di inviare a lui un’ambasciata per chiedere spiegazione di quanto succedeva. «Tu chi sei, dunque? ». E Giovanni non tacque ma confessò chi era, poiché egli non era un illuso sul proprio conto, o un distratto dalla propria realtà. Quanto sarebbe opportuno che capitasse di frequente a molti Cristiani, a noi, ingolfati in cento preoccupazioni pur necessarie, ma sempre terrene e devianti, una bella terribile ambasciata che ci obblighi ad una visione o revisione profonda, reale del nostro « io » e delle nostre partite. Ma se ascoltiamo, è un complesso di voci che davvero premono attorno a noi, suscitate da Dio e nascoste nelle pieghe della nostra coscienza, ovvero nel rude richiamo di certi contrattempi o nelle voci di chi ci critica e ci assale, o nelle circostanze diverse della vita. Una vera ambasciata che interroga spesso, rompendo gl’incantesimi: «Chi sei tu? Perché fai questo? Ne sei degno? Sai quello che compi? ». Se fossimo noi stessi, poi, che ci rivolgiamo tali domande e sapessimo rispondere con sincera franchezza, quale profitto nella nostra vita morale! L’esame di coscienza è argomento tanto utile: vediamo la necessità e le diverse specie. – a) Per conoscersi. Colpisce il modo con cui Giovanni risponde ai suoi interlocutori. La sua coscienza è un libro aperto, ordinato, edificante. La sua risposta è sincera, chiara e di inconfondibile umiltà e verità. Non sono il Cristo; gli preparo, tuttavia, la strada. Battezzo, ma in acqua: è il preludio del grande Sacramento. Non sono né Elia, né un profeta, ma una voce soltanto. Vedete, piuttosto, il Messia che è già tra voi e nessuno s’accorge. Esame e risposta pronta. Un segno, invece, di grossa trascuratezza morale in molti Cristiani è la riottosità e talora la ripugnanza a mettersi di fronte al proprio « io ». Passare anche un solo minuto a faccia con se stessi par di morire. Ed è vero. Morirebbe quella personalità fittizia, bizzarra, insignificante che ci siamo fatta di giorno in giorno dall’uso di ragione in poi. – Son proprio gli antichi pagani che ce ne dànno la lezione. Essi ritenevano l’esame di coscienza un mezzo importantissimo per acquistar la sapienza. Chi non ricorda il loro motto « conosci te stesso »? Lo scolpivano anche sul tempio. Seneca scrive di sé: « Io mi sforzo di ripensare alla mia responsabilità quotidiana, ogni sera quando il lume è spento e i servi dormono. Misuro le mie parole e le mie opere; non mi dissimulo nulla e mi castigo dove ho mancato per non ricadervi ». Sapienza antica, ma vera e quanto perfezionata dal Cristianesimo! S. Paolo raccomandava ai Galati: « ciascuno esamini le proprie azioni ». S. Agostino, incamminandosi nella vita della luce ritrovata, mormorava in preghiera: « Noverim te Domine, noverim me! » Preghiera che dovremmo ripetere anche noi se aspiriamo ad un po’ di perfezione. – b) Per correggersi. – Non abbiam mai visto certe carte geografiche antiche, in certi punti segnate così: « Terra sconosciuta », «Zona ignorata »? Quanti di noi potrebbero dire così della loro coscienza! Quante pieghe del nostro cuore ancora inesplorate! Si arrischia davvero di morire senza esserci conosciuti almeno a sufficienza. Non sono pochi gli illusi che credono di essere galantuomini mentre hanno la coscienza letteralmente coperta di idee false e di pregiudizi sulla Religione, sul proprio carattere, sui doveri dello stato, della necessità delle opere buone, sull’obbligo dell’istruzione religiosa. E quando non si conosce una zona, come si può valorizzarla, bonificarla? Come ottenere rendimento? Se il medico non esamina bene l’ammalato, non gli sarà facile curarlo. È pretesa stolta di correggersi, di profittare nella virtù, se non ci si esamina. L’ottavo Sacramento (l’ignoranza) che spesso, si dice, salva molti Cristiani, è da vedere « se » e « quando » vale nel caso individuo, dopo tutti i richiami del Signore, che sono una vera ambascia che ci assedia. S. Ignazio di Lojola dice che la malattia, la quale ci dispensa dalla preghiera ordinaria, non ci esonera dall’esame di coscienza. S. Giovanni d’Avila, vero maestro di spirito, dichiarò apertamente: « Se voi fate con costanza l’esame di coscienza, i vostri difetti non possono durare a lungo ». Sicché potremmo affermare che più siamo consapevoli delle nostre condizioni di coscienza e più sarà elevata la nostra perfezione. DIVERSI ESAMI DI COSCIENZA. Solitamente se ne distinguono tre sorta: l’esame per la Confessione, l’esame quotidiano e quello particolare. – a) Non si pretenderà sempre dalla comune dei fedeli l’esame particolare. Ma non si dica che sia una piccineria da convento. È un breve piccolo esame che si compie ogni tanto  nella giornata su un fatto o su una virtù. Ad es. « la mattina appena lavato e fatto il segno della croce: a mezzo giorno, cambiando gli abiti dopo il lavoro: «quante volte sono scivolato nella critica? Mi guarderò meglio, riprendendo il lavoro ». Piccole cose ma non è di piccoli punti il prezioso ricamo? Non è a piccoli moti d’ala che l’uccello si eleva verso il cielo? Non è a piccole esplosioni che la motocicletta divora la via? – b) Se durante il giorno il lavoro ci assorbe, è pur bello e doveroso per un Cristiano piegare il ginocchio, a sera, e prendere in mano come un libro la propria coscienza e rileggere sia pure a volo d’uccello quanto si è compiuto. Fissati i punti neri, sulle prime si constata che le colpe difficilmente diminuiscono; ma a poco a poco la volontà reagirà con frutto. Bisogna rintracciare anche i punti d’oro (non solo evitare il male, ma è necessario far il bene) e chiedersi se non si è sciupato tempo prezioso. Meglio accorciare le preghiere se si è stanchi, ma non tralasciare l’esame di coscienza! Il vantaggio dell’esame quotidiano la sera renderà molto facile l’esame di confessione. – c) Almeno qui, fossimo premurosi e seri! Proprio quelli che non si esaminano mai, non riescono a trovar mai nulla di grave. I Santi, invece, abituati a gettar fasci di luce nella loro coscienza scoprivano sempre difetti e rendevano di conseguenza sempre più rifulgente il loro spirito. Ecco perché S. Carlo conduceva persino in visita pastorale il suo direttore spirituale: per non lasciarsi sfuggire nulla e risplendere sempre agli occhi del suo Dio. – La sincerità ci deve sempre guidare. Con Dio e con noi stessi. Non c’è che tender l’orecchio per sentirci richiamati dalla legge di Dio, dai nostri doveri, dai giudizi dei nostri amici e familiari. Quando è utile, sì, far tesoro anche di questi. Tu quis es? Come ci sentiremo impacciati a rispondere anche a loro. Ci parrà di rimpiccolire. Anche di fronte a una vostra virtù essi possono sempre aggiungere un « però » un « ma » che ci confonde. – Dunque la scena dell’ambasciata a S. Giovanni ci ricordi l’importante dovere dell’esame di coscienza. – Prepariamoci al S. Natale con umiltà. Quando sulle rive del Giordano venne San Giovanni a predicare e a battezzare, le speranze del Popolo si rivolsero segretamente a lui come all’atteso dei popoli. Ma di questo favore popolare ognora crescente si insospettì il sinedrio di Gerusalemme che gli mandò una delegazione di preti e di leviti. Gli chiesero: « Tu chi sei? ». Giovanni più che alla loro domanda espressa, rispose al loro segreto sospettoso decisamente, « No: io non sono il Messia ». I delegati, sicuri ormai sul punto capitale, proseguirono la loro inchiesta. « Non sei forse Elia? ». «No: io non sono Elia ». « No: io non sono il Profeta ». « Non sono che una voce che vien dal deserto a dire: fate la strada al Signore che viene ». Rimasero delusi. E qualcuno obbiettò: «Se non sei il Messia, non sei Elia, non sei il Profeta, perché battezzi? ». Allora disse chi era, un semplice precursore, e il battesimo una cerimonia di preparazione. Ma in mezzo a loro, benché ancora sconosciuto, già stava Uno a cui si sentiva indegno perfino di slegare le stringhe dei calzari. – Davanti alla rude umiltà di San Giovanni Battista viene spontanea questa osservazione, Il primo peccato nell’universo fu di superbia. A redimere il mondo rovinato dalla superbia ci volle l’umiltà di Colui che, essendo Dio per natura, s’abbassò fino alla nostra misera condizione di uomini. Volendo poi mandare avanti chi gli preparasse la strada, era conveniente che scegliesse un uomo come Giovanni, che sapeva stare al suo posto. Questi infatti non s’arrogò il posto di Dio: « No, io non sono il Cristo ». Questi infatti non s’arrogò il posto del prossimo: « No, io non sono Elia; no, io non sono il profeta ». Umiltà con Dio, umiltà col prossimo prepareranno nel nostro cuore la strada al Signore che viene nel santo Natale.

1. Umiltà con Dio.

Nella Storia Sacra si racconta che a Nabucodonosor venne in mente di farsi una statua d’oro e di innalzarla in mezzo a un vasto piano. Nel giorno dell’inaugurazione fece dare questo bando: « Magistrati e Popolo, siete avvisati: appena udrete la poderosa orchestra suonare con trombe, flauti, arpe, cetre, zampogne, sull’istante vi butterete per terra adorando la statua del Re. Se qualcuno non lo farà, una fornace di fuoco inestinguibile già arde per lui ». Evidentemente una folle superbia spingeva Nabucodonosor a credersi Dio, e a scimmiottare il castigo divino dell’inferno. Non passò molto tempo che la vendetta del Signore lo raggiunse. Fu preso da un male strano e bestiale per cui urlava e morsicava come una belva, mangiava fieno come un bue, e gli crescevano sulle dita le unghie come artigli. Chi volle farsi Dio, si trovava ad essere bestia. (Dan., III, 1-7; IV, 26-30). L’orgoglio è quella profonda depravazione che induce l’uomo a mettersi al posto di Dio. – a) Sono io il Messia! gridano tante anime, non a parole ma con la pratica della vita: a esempio, con lo spirito d’indipendenza dalle leggi di Dio. Perché il Signore deve proibirmi questo piacere? Che c’entra lui con l’uso che del matrimonio io credo di fare nel segreto della mia famiglia? Così della propria volontà si fanno una statua d’oro da adorare. –  b) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito d’egoismo che le inclina ad operare per sé, come se fossero fine a se stesse. Perché devo perdere un guadagno se mi viene da un lavoro di festa? Che mi viene in tasca a frequentare la Chiesa, le prediche? Così, del proprio interesse si fanno una statua d’oro da adorare. – c) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito di vana compiacenza che si diletta nelle proprie qualità come se Dio non ne fosse l’autore; che si vanta per qualche opera buona come se essa non fosse, prima di tutto, principalmente il risultato dell’azione divina in loro. Così della propria stima si fanno una statua d’oro da adorare. – E in conclusione, tante anime, arrogandosi il posto di Dio, misconoscendo la loro realtà di creature che devono ubbidire, servire, adorare il Signore, sono diventate più felici, più elevate? Né più felici, né più elevate. Dio le vede cadute nell’abbiezione di Nabucodonosor. Si sono preclusa la comprensione e la grazia dell’umile nascita di Gesù nella stalla di Betlemme.

2. Umiltà col prossimo.

San Giovanni Battista ricusò di innalzarsi nella stima dei suoi contemporanei, proclamandosi Elia o il Profeta. Quanti invece tenendosi per grandi uomini, disprezzano il prossimo col cuore, con la parola, con gli atti. – a) Col cuore perché hanno invidia dei buoni successi altrui; si rattristano come di un torto fatto a loro; e giungono perfino a desiderarne il male. Essi sono il grande Elia, il Profeta atteso, e guai a chi fa ombra su di loro. – b) Con la parola perché vedendo il prossimo sbagliare, lo diffamano ripetendo a tutti con maligna mormorazione quel che hanno veduto o saputo. E non vedono i loro sbagli e i loro peccati; si credono zelanti come Elia, santi come il Profeta. – c) Con gli atti perché non riconoscono nessuna superiorità più in su della loro, e vogliono a tutti soprastare. Se si ricordassero che coi loro peccati hanno meritato l’inferno, e dovrebbero stare sotto i piedi del demonio, con quanta più delicata carità tratterebbero il prossimo. Ma essi si credono come Elia destinati al Paradiso prima ancora di morire. – Il santo Natale s’avvicina. Moviamo incontro a Gesù Bambino col sentimento della nostra nullità e miseria. Egli è colui che redimendoci dalla maledizione e dalla schiavitù ci ha riaperto le porte del paradiso, di cui avevamo smarrito la chiave. A S. Gerardo Maiella, quand’era fanciullo, capitò un caso tanto bello che quasi non parrebbe vero, ma è degno di fede perché fu esaminato e riconosciuto dalla Chiesa quando si trattò la causa della sua beatificazione. Gerardo faceva da servitorello al Vescovo di Lacedonia. Un giorno fu visto con la faccia pallida e piena di spavento vicino al grande pozzo sulla piazza del mercato. Con negli occhi una muta angoscia guardava in quell’oscura profondità. Neppur lui sapeva dire come fu: ad un certo momento udì un tonfo, ed erano le chiavi di casa sgusciategli dalle dita. E adesso che fare? che cosa gli avrebbe detto il suo padrone, malaticcio e nervoso? Forse l’avrebbe messo alla porta. Dove sarebbe andato, solo, senza lavoro, senza tetto? Di colpo gli balenò un’idea. Attraversa correndo la piazza, entra nella cattedrale, e prende, dalla cuna in cui giaceva, la statuetta del Bambino Gesù. « Bambino Gesù — supplica Gerardo quasi stringesse non una figura di gesso, ma proprio Lui di carne, vivo e respirante. — Tu soltanto puoi aiutarmi. Tu e nessun altro: fammi dunque ripescare la chiave! ». Poi legò il Bambino Gesù alla corda del pozzo e lo fece calare dolcemente. Come lo sentì nell’acqua gli gridò dentro con tutta la forza della sua speranza: « Bambino Gesù! portami su la chiave ». E cominciò a ritirare la corda. – Un grido di gioia: già sull’orlo era apparso il Bambino Gesù e nella manina teneva la chiave. Gerardo la prese da lui, e poi sospinto come da un vento di allegrezza e di riconoscenza corse a riportarlo nella sua cuna. Cristiani, questo fatto è la conclusione più bella al Vangelo che abbiamo spiegato in questa terza settimana d’Avvento. – Gli uomini per la loro superbia avevano perduto la chiave della loro casa, cioè del Paradiso. Il demonio con l’astuzia e con la menzogna l’aveva fatta sgusciare dalle loro mani, e con riso beffardo l’aveva gettata in un abisso, donde era impossibile riprenderla. – Venne Gesù Bambino, ci ripescò la chiave, e ci riaprì il cielo: non da noi, ma solo da Lui venne la nostra salvezza. Umiliamoci! Il triste tempo della chiave perduta è finito: la chiave del Paradiso c’è per tutti che la vogliono. Rallegriamoci con riconoscenza amorosa! E se qualcuno sentisse di non potersi rallegrare perché nel suo cuore s’è spalancato ancora un pozzo di peccati e la chiave di nuovo gli è caduta dentro, con una umile, sincera confessione faccia calare Gesù Bambino in quel suo pozzo. Riavrà la chiave.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV:2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob: remisísti iniquitatem plebis tuæ.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: liberasti Giacobbe dalla schiavitù: perdonasti l’iniquità del tuo popolo.]

Secreta

Devotiónis nostræ tibi, quǽsumus, Dómine, hóstia iúgiter immolétur: quæ et sacri péragat institúta mystérii, et salutáre tuum in nobis mirabíliter operétur.

[Ti sia sempre immolata, o Signore, quest’ostia offerta dalla nostra devozione, e serva sia al compimento del sacro mistero, sia ad operare in noi mirabilmente la tua salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is XXXV: 4.
Dícite: pusillánimes, confortámini et nolíte timére: ecce, Deus noster véniet et salvábit nos.

[Dite: Pusillanimi, confortatevi e non temete: ecco che viene il nostro Dio e ci salverà.]

Postcommunio

Orémus.
Implorámus, Dómine, cleméntiam tuam: ut hæc divína subsídia, a vítiis expiátos, ad festa ventúra nos præparent.

[Imploriamo, o Signore, la tua clemenza, affinché questi divini soccorsi, liberandoci dai nostri vizii, ci preparino alla prossima festa.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA II DI AVVENTO (2021)

DOMENICA II DI AVVENTO (2021)

Stazione a S. Croce in Gerusalemme.

Semid. Dom. privil. II cl. – Paramenti violacei.

Tutta la liturgia di questo giorno è piena del pensiero di Isaia, (nome che significa: Domini Salus: Salvezza del Signore), che è per eccellenza il profeta che annuncia l’avvento del regno del Cristo Redentore. Egli predice, sette secoli prima, che « una Vergine concepirà e partorirà l’Emanuele »  — che Dio manderà <il suo Angelo >, — cioè Giovanni Battista — per preparare la via avanti a sé (Vang.) e che il Messia verrà, rivestito della potenza di Dio stesso, (I e III antif. dei Vespri) per liberare tutti i popoli dalla tirannia di satana. « Il bue — dice ancora il profeta Isaia — riconosce il suo possessore e l’asino la stalla del suo padrone; Israele non m’ha riconosciuto: il mio popolo non m’ha accolto » (I Dom. 1° Lez. ) — « Il germoglio di Jesse — continua — s’innalzerà per regnare sulle nazioni » (Ep.) e « i sordi e i ciechi che sono nelle tenebre (cioè i pagani) comprenderanno le parole del libro e verranno » (Vang.). Allora la vera Gerusalemme (cioè la Chiesa) « trasalirà di gioia » (Com.) perché i popoli santificati da Cristo vi accorreranno (Grad. All). Il Messia — spiega Isaia — « porrà in Sion la salvezza e in Gerusalemme la gloria » — « Sion sarà forte perché il Salvatore sarà sua muraglia e suo parapetto » cioè il suo potente protettore. Così la Stazione è a Roma, nella Chiesa detta di S. Croce in Gerusalemme, perché vi si conservava una grossa parte del legno della Santa Croce, mandata da Gerusalemme a Roma quando fu ritrovata.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 Introitus

Is XXX: 30.
Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Ps LXXIX:2
Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, tu che reggi Israele, tu che guidi Giuseppe come un gregge.]

Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Oratio

Orémus.
Excita, Dómine, corda nostra ad præparándas Unigéniti tui vias: ut, per ejus advéntum, purificátis tibi méntibus servíre mereámur:
[Eccita, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito, affinché, mediante la sua venuta, possiamo servirti con anime purificate:]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apostoli ad Romános.
Rom XV: 4-13.
Fatres: Quæcúmque scripta sunt, ad nostram doctrínam scripta sunt: ut per patiéntiam et consolatiónem Scripturárum spem habeámus. Deus autem patiéntiæ et solácii det vobis idípsum sápere in altérutrum secúndum Jesum Christum: ut unánimes, uno ore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Jesu Christi. Propter quod suscípite ínvicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Jesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissiónes patrum: gentes autem super misericórdia honoráre Deum, sicut scriptum est: Proptérea confitébor tibi in géntibus, Dómine, et nómini tuo cantábo. Et íterum dicit: Lætámini, gentes, cum plebe ejus. Et iterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli. Et rursus Isaías ait: Erit radix Jesse, et qui exsúrget régere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus autem spei répleat vos omni gáudio et pace in credéndo: ut abundétis in spe et virtúte Spíritus Sancti.

 “Tutte le cose che furono già scritte, furono scritte per nostro ammaestramento, affinché per la pazienza e per la consolazione delle Scritture noi manteniamo la  speranza. Il Dio poi della pazienza e della consolazione vi conceda di avere un medesimo sentimento fra voi, secondo Gesù Cristo. Affinché di pari consentimento, con un sol labbro, diate gloria a Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Il perché accoglietevi gli uni gli altri come Gesù Cristo ha accolto voi a gloria di Dio. E veramente io affermo, Gesù Cristo essere stato ministro della circoncisione per la veracità di Dio, per mantenere le promesse fatte ai patriarchi: i gentili poi glorificare Iddio per la misericordia, siccome sta scritto: Per questo io ti celebrerò fra le nazioni e inneggerò al tuo nome. E altrove: Rallegratevi, o genti, col suo popolo. E ancora: “Quante siete nazioni, lodate il Signore, e voi, o popoli tutti, celebratelo. E Isaia dice ancora: Vi sarà il rampollo di Jesse e colui che sorgerà a reggere le nazioni, e le nazioni spereranno in lui. Intanto il Dio della speranza vi ricolmi di ogni allegrezza e pace nel credere, affinché abbondiate nella speranza per la forza dello Spirito santo. ,, (Ai Rom, XV, 4-13). –

L’intenzione di s. Paolo in questa lettera è di far cessare certe controversie domestiche, che lo spirito di gelosia aveva suscitate tra i Giudei ed i Gentili convertiti alla fede. Quelli si gloriavano delle promesse che Dio aveva fatto ai loro padri, di dare il Salvatore, che sarebbe della loro nazione; questi rimproveravano ai Giudei la manifesta ingratitudine della quale si eran fatti colpevoli uccidendo il loro Redentore. S. Paolo dimostra agli uni come agli altri che essi devono tutto alla grazia ed alla misericordia del Salvatore.

Perché Dio è chiamato il Dio della pazienza, della consolazione e della speranza?

Perché la sua longanimità verso i peccatori lo determina ad aspettare la loro conversione con pazienza; perché da Lui viene questa consolazione interiore che sbandisce ogni pusillanimità; e fa insieme trovar gaudio nelle croci; perché Egli è che ci dà la speranza di pervenire, dopo questa vita a godere Lui stesso.

Aspirazione. O Dio di pazienza, di consolazione e speranza, fate che una perfetta rassegnazione al vostro santo volere versi la gioia e la pace nei nostri cuori, e che la Fede, la Speranza e la Carità ci rechino, con la pratica delle buone opere, al possedimento del bene a cui fummo creati, e che ci attende nell’eternità, se adempiremo fedelmente le condizioni alle quali ci è stato promesso.

Graduale

Ps XLIX: 2-3; 5
Ex Sion species decóris ejus: Deus maniféste véniet,
V. Congregáta illi sanctos ejus, qui ordinavérunt testaméntum ejus super sacrifícia.

[Da Sion, ideale bellezza: appare Iddio raggiante.
V. Radunategli i suoi santi, che sanciscono il suo patto col sacrificio. Alleluia, alleluia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
Ps CXXI: 1
V. Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dóminibimus. Allelúja.

[V. Mi sono rallegrato in ciò che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt. XI:2-10

In illo tempore: Cum audísset Joánnes in vínculis ópera Christi, mittens duos de discípulis suis, ait illi: Tu es, qui ventúrus es, an alium exspectámus? Et respóndens Jesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Joánni, quæ audístis et vidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdi áudiunt, mórtui resúrgunt, páuperes evangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis autem abeúntibus, coepit Jesus dícere ad turbas de Joánne: Quid exístis in desértum vidére? arúndinem vento agitátam? Sed quid exístis videre? hóminem móllibus vestitum? Ecce, qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére? Prophetam? Etiam dico vobis, et plus quam Prophétam. Hic est enim, de quo scriptum est: Ecce, ego mitto Angelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.  

“In quel tempo avendo Giovanni udito nella prigione le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate, e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo; ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono partiti, cominciò Gesù a parlare di Giovanni alle turbe: Cosa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna sbattuta dal vento? Ma pure che siete voi andati a vedere? Un uomo vestito delicatamente? Ecco che coloro che vestono delicatamente, stanno ne’ palazzi dei re. Ma pure cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico io, anche più che profeta. Imperocché questi è colui, del quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio Angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te” .

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL PRECURSORE

Siamo vicini al Santo Natale. E la Chiesa, per tre domeniche consecutive, — oggi, la ventura e l’altra ancora — nel Vangelo, ci manda S. Giovanni a dirci: « Preparate i cuori, che il Signore sta per venire ». Ma chi è questo San Giovanni Battista che viene a rimbrottarci per i nostri peccati, e a persuaderci di fare più bene? Sarebbe utile conoscerlo un po’. Ascoltate il brano evangelico di questa seconda Domenica d’Avvento, e conoscerete dalla bocca stessa di Cristo chi è il Precursore. – Siamo nelle prigioni di Macheronte e Giovanni vi è rinchiuso. Tutti sanno perché. E fin là dentro, in quel luogo di martirio e d’ingiustizia, arriva la fama dei miracoli compiuti da Gesù. Il Precursore, la cui anima impetuosa bruciava dal desiderio di far conoscere a tutto il mondo il vero Messia, gli mandò due discepoli con questo messaggio: «Sei tu il Salvatore, o ne dobbiamo aspettare un altro? » Giovanni sapeva bene ch’era Lui; ma a quella domanda, Gesù sarebbe stato costretto a manifestarsi, e allora anche tutta la gente lo avrebbe riconosciuto, e lo avrebbe acclamato. – Il Maestro divino accolse con benevolenza quel messaggio perché intravide l’amore di chi lo mandava, e appena i due discepoli del Battista ritornarono; si rivolse alla folla e disse: – « Chi siete andati a veder nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? «Chi, dunque, siete andati a vedere? Forse un uomo vestito alla moda? no; questa gente non si trova nel deserto, ma nel palazzo dei re. « Chi allora, siete andati a vedere? Forse un profeta? sì, vi dico: un profeta e più che un profeta. Egli è l’Angelo, predetto da Malachia, che camminerà innanzi al Signore ». Poche parole, ma scultoree: balza d’un tratto la grande figura di Giovanni Battista, tutta. – Dentro, senza debolezza: non è una canna. Fuori, senza mollezze: non vestiva con lusso. Dentro e fuori, senza macchia di peccato: un angelo.

NON FU UNA CANNA

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? ». Quella folla ch’era accorsa ad ascoltare Giovanni, doveva conoscere molto bene questa pianta, simbolo di debolezza e di volubilità. Doveva averla vista sulle sponde paludose del Giordano tremare nell’aria, e piegarsi fino a terra nel vento: se il vento tirava dal Mar Morto, la canna piegava verso il mar di Genezareth; ma tosto che il vento, cambiata direzione, tirava dal mar di Genezareth, la canna piegava verso il Mar Morto. Giovanni, dunque, era forse una canna dondolata dal vento? No; era una quercia che non si piega a nessun vento. Non come noi che alla mattina facciamo un proposito e alla sera lo troviamo trasgredito; non come noi che se anche ci confessiamo cento volte, cento volte siamo quelli di prima; non come noi che siamo canne pieganti ad ogni vento di tentazione. – Un giovane monaco era molto tentato. Una volta, che non ne poteva più, corse da S. Isidoro, si buttò sulla terra davanti a lui, e singhiozzava: « Padre, perché non mi aiutate? ». Il santo sollevò quell’anima sconvolta dalla bufera, e prendendola con sé, disse: «Vuoi che t’insegni a resistere? ». Il giovane alzò gli occhi pieni di lacrime: «È per questo che sono venuto ». « Allora, ecco il rimedio: «preghiera e mortificazione ». Ubbidì il monaco, e tutti i giorni pregava e si mortificava: ma le tentazioni non cessavano. Ritornò da S. Isidoro e gli chiese nuovamente rimedio. «Come! sei caduto in peccato? ». « No; grazie a Dio ». « Che vorresti, allora? » – «Vorrei essere senza tentazioni ». – Sorrise il vecchio santo, esperto della vita, e gli rispose: « Vedi: io ho settant’anni e neppure un giorno potei requiare; ma non mi sono mai piegato al demonio, come una canna, perché ho pregato e mi son mortificato. Va’, e fa’ lo stesso ». – Questo episodio ci spiega bene due cose: ci spiega perché S. Giovanni Battista non ha mai ceduto a nessuna tentazione, ci spiega perché noi invece cediamo tanto spesso. – Vicino ad ogni uomo c’è un demonio, nemico di Dio e di noi, e tutto il giorno suscita pensieri di odio, desideri di roba altrui, immaginazioni impure. Ci sono poi nella vita dei momenti in cui la tentazione è così forte da farci quasi disperare. Son quei brutti momenti che ha provato anche S. Francesco, quando si gettò, d’inverno, nella neve; son quei brutti momenti che ha provato anche S. Benedetto quando si slanciò a capo fitto nelle spine; sono quei brutti momenti che ha provato anche S. Caterina, quando esclamava: —O Signore, ma dove sei? —; son quei brutti momenti in cui il vento della tentazione cerca di squassarci come una canna. Ebbene, ricordiamolo: senza preghiera e senza mortificazione, è impossibile resistere.

NON FU UN EFFEMINATO

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? forse un uomo vestito sfarzosamente? ». Il Precursore viveva nella solitudine da molti anni, solo, senza casa, senza tenda, senza servi, senza nulla fuor di quello che aveva indosso. E indosso aveva una pelle di cammello, stretta al fianco da una cintola di cuoio. Appariva alto, ossuto, adusto dal sole. La figura austera del Battezzatore, e la lode che Gesù ha fatto del suo vestire, è un forte rimprovero per non pochi Cristiani e Cristiane che hanno la vanità del vestito: lo vogliono di lusso, moderno, scandaloso. In tali acconciature osano anche varcare la soglia della Chiesa, portarsi davanti ai purissimi marmi dell’altare, davanti al Crocifisso nudo e sanguinante sulla croce, davanti a Gesù che vive nella miseria dei nostri tabernacoli. – Quello che più addolora è di vedere come perfino i bambini, innocenti e ignari del male, già dai genitori sono vestiti poco cristianamente. Quei piccoli che Gesù amava, che voleva stretti al suo cuore, crescono così, troppo presto, alla scuola del mal esempio. Mamme, che vi compiacete di profanare l’innocenza dei vostri bambini, sappiate che il Signore non li può abbracciare in quella guisa; e senza l’abbraccio di Gesù che cosa diventeranno i vostri figliuoli? so bene le scuse con cui taluni cercano di giustificarsi, ma non si possono accogliere per buone.- a) Ma è la moda, si dice, è la moda che porta così: noi viviamo nel mondo e bisogna che ci adattiamo. Mostrerò la sciocchezza di questa scusa con un esempio: Dionigi di Siracusa era corto di vista e camminava barcollando e spesso gli accadeva di urtare in qualche cosa, di rovesciare tavolini e di frantumare vasi. Sembrerebbe incredibile eppure, in quella corte, per compiacere al tiranno, tutti i cortigiani stringevano le palpebre facendola da non vedenti e andavano tentoni, investendo sedie e tavolini e talvolta ruzzolando dalle scale. (Il fatto è raccontato da Plutarco). Il mondo non solo è un tiranno corto di vista, ma è cieco di tutti e due gli occhi; e quelli che seguono la sua moda sono più ciechi e più stupidi di lui, e una volta o l’altra finiscono col ruzzolare per le scale giù nell’inferno. – b) Ma io non ho mai avuto intenzione cattiva seguendo le mode! Scusa troppo ingenua per essere valevole. Non la voglio discutere: ricordate però che se le idee cattive non le avete voi, le fate venire agli altri. – C’è nella Storia Sacra una frase espressiva. Un re terribile, con centoventimila fanti e ventiduemila cavalli, assediò la città di Betulia: fece deviare anche l’unico fiume che le dava acqua, e la tormentò con la sete. Gli assediati, piangendo lacrime disperate, si prostravano sulla nuda terra, invocando soccorso dal Cielo. Allora una vedova sorse; vestì gli abiti preziosi di quand’era sposa felice, si ornò con monili d’oro e con gemme, poi, sola, varcò la porta e uscì dalla città assediata verso il nemico in arme. I soldati la videro e la condussero dal re Oloferne. Oloferne pure la vide, ma non l’uccise perchè sandalia eius rapuerunt eum. Bastarono due sandali a far perdere la testa a quel terribile guerriero; e la perse veramente perché, in quella notte, Giuditta gliela tagliò via (Giud., X). – Ma di quante altre persone, cadute in basso, si potrebbe ripetere: sandalia eius rapuerunt eum (Giud., XVI, 11). c) — Allora, — diranno alcuni, — dobbiamo proprio vestirci con pelle di cammello, alla S. Giovanni? Non è questo che io dico. Vi dico soltanto la parola dell’Apostolo: « Nolite conformari huic sæculo » (Rom., XII, 2) Non vogliate seguire la moda scandalosa di questo mondo.

FU UN ANGELO

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse un profeta? Sì, vi dico, un profeta e più che un profeta. Un angelo che annunzia il Signore ». Si può lodare di più un uomo? Mai nessuno fu esaltato così dal labbro di Cristo. Nel Vangelo però (Giov., X, 40) c’è un riferimento a S. Giovanni, forse poco meditato. Gesù, passato il Giordano, arrivò dove il Battista soleva battezzare. Le canne tremanti sulla sponda, il deserto che appariva in una lontananza giallastra e uniforme, l’acqua pura del fiume precipitoso rievocarono al Messia quella persona a lui tanto cara, che un re adultero aveva trucidato. Gesù commosso, quasi per riposare in quella melanconica ricordanza, si fermò là. Et mansit illic. Tutti compresero che il Maestro pensava a Giovanni Battista, ma non capivano come mai amasse tanto un uomo che non aveva fatto neppure un miracolo. Anzi molti osarono dirgli: « Del resto Giovanni non fece miracoli. Joannes quidem nullum signum fecit » (Giov. X, 41). E Gesù non rispose. Ma è tanto facile capire perché Giovanni non ha fatto miracoli! Perché noi lo potessimo imitare nella sua santità. Perciò la Chiesa in queste domeniche di Avvento ce lo propone quale modello. Vengano dunque gli avari a specchiare la propria cupidigia in chi ha rifiutato ogni bene terreno. Vengano i superbi a specchiare la propria arroganza in chi predicava: « E’ necessario ch’io sia disprezzato e che Lui, Cristo, onorino gli uomini ». Vengano i disonesti a specchiare la propria anima infangata in chi visse vergine tutta la vita. Vengano i golosi a specchiare la propria voracità in chi non si cibava che d’erbe e di miele selvatico. Da questo confronto deducano un proposito di vita nuova. – Quando i Giudei, strappati dalla loro terra, furono confinati in Persia, alcuni timorati di Dio presero il fuoco sacro dell’altare e lo nascosero in una valle ov’era un pozzo fondo, senz’acqua. E dentro là lo riposero al sicuro, talché a tutti fu ignoto quel luogo. Ma quando, finiti gli anni della schiavitù, tornarono in patria, subito si cercò il fuoco sacrificale. Andarono nella valle, scoprirono il pozzo fondo, ma ivi il fuoco s’era spento e non trovarono che acqua marcia. Neemia allora ordinò che cavassero di quell’acqua e la ponessero sull’altare sopra la legna e si aspettasse la nascita del sole. Appena dietro le grasse nubi sfolgorò il primo raggio, un gran fuoco s’accese sull’altare e tutti ne restarono meravigliati (II Macc., I, 19-22). – Noi pure oggi, confrontando la nostra anima con quella di S. Giovanni Battista, abbiam trovato che in fondo al nostro cuore non c’è più il fuoco dell’amore di Dio, ma c’è l’acqua stagnante della nostra tiepidezza, o peggio c’è l’acqua marcia dei peccati e delle passioni. Cristiani! prendiamo, piangendo, questo nostro cuore pieno di miserie e poniamolo sull’altare, appena Gesù Bambino, sole delle anime, nel prossimo Natale spunterà sul mondo, lo vedrà, ne avrà compassione, e riaccenderà quel fuoco che noi, coi nostri peccati, abbiamo spento.

FORTI CONTRO IL RISPETTO UMANO

Federico II, imperatore di Prussia, soleva tenere nel suo palazzo ed alla sua stessa mensa tanti uomini insigni per la scienza o per le arti. Strano e bizzarro com’era, volle un giorno di venerdì invitare a pranzo un principe romano cattolico per tentarne la fede e mettere a prova il suo coraggio religioso. L’imperatore non era cattolico. Ma le vivande erano fatte con carne ed il principe romano, tranquillo e disinvolto, lasciava passare, accontentandosi di ingannare la fame soltanto con qualche pezzetto di pane. L’imperatore osservava senza parlare; ma poi, tra lo scherzoso ed il serio: « Perché, disse, non mangiate? Forse la cucina di Germania non vi piace? ». « No, Maestà, la vostra cucina è eccellente per gli altri giorni della settimana, ma oggi per un Cattolico è cattiva. La Chiesa proibisce di mangiar carne al venerdì ». Alla nobile e franca risposta, Federico soggiunse: « Vi ammiro: avete reso un grande omaggio alla vostra religione! Ora passate nella sala vicina, ove sono preparati cibi di magro. Verrò anch’io a farvi l’onore che meritate ». – Quel principe di Roma non era una canna agitata dal vento. Era un uomo di carattere. E sì che si trovava alla mensa dell’Imperatore, fra tante illustri personalità che non la pensavano come lui. I Cristiani dovrebbero essere tutti così. Se siamo persuasi che la nostra Religione è la sola vera, che Dio esiste, che Gesù Cristo è la sola salvezza e fuori di Lui e della sua Chiesa non c’è che rovina eterna, dobbiamo sentirci capaci di manifestare queste idee anche all’esterno. Invece, purtroppo, ci sono ancora moltissimi Cristiani dalle mezze misure che non vogliono rinunciare alla fede e nello stesso tempo non hanno il coraggio delle proprie convinzioni. Sono schiavi di un sentimento vile che li piega come canne sotto il vento. Tale sentimento si chiama rispetto umano: un bel nome, ma applicato malissimo. Prima bisogna rispettare Dio, prima bisogna rispettare la propria fede, poi, si abbia pure riguardo ai nostri fratelli. Questo tenete a mente quando fra persone che parlano male, che vestono male, che offendono apertamente le leggi di Dio, voi sentiste paura a fare diversamente da loro. – Del resto capita spesso quanto occorse al principe cattolico alla mensa di Federico. – Quelli stessi che scherzano o fanno le meraviglie sono i primi ad ammirare e stimare i buoni che hanno il coraggio delle loro idee. Alle volte, una fede sincera e aperta vale la conquista di anime per le quali i fatti contano assai più delle parole. Ricordiamo inoltre quello che Gesù affermava ai discepoli e a tutti quelli che lo seguivano: « Davanti al Padre mio che è nei cieli, anch’Io avrò vergogna di chi ha avuto vergogna di me davanti agli uomini » (Mt., X, 33).

FORTI CONTRO LE PASSIONI

Prima che S. Vincenzo de’ Paoli cominciasse a fondare le grandi opere di carità, era Parroco di un piccolo paese della Francia. La fama della sua santità si era diffusa nelle terre vicine e a udire le sue prediche, a confessarsi da lui accorrevano anche alcuni che da tempo non erano a posto col Signore. C’era un conte rinomato per i tanti duelli che aveva sostenuto. Tutte le volte che veniva offeso anche leggermente, sfidava il suo avversario a combattere con la spada ed era sempre così fortunato che non si contavano più le sue vittime. Una volta però, udendo una predica di S. Vincenzo, fu tocco dalla grazia di Dio e si convertì. Vendette le sue terre e col prezzo ricavato fondò monasteri e consolò i poveri. Bisognava che S. Vincenzo lo moderasse tanta era la generosità con cui si era dato al Signore. Ma gli rimaneva ancora la spada che gli era servita così spesso per offendere il Signore e non sapeva decidersi a separarsene. Quella spada teneva sempre acceso in lui un po’ di affetto alla sua vita passata; e siccome ai primi fervori erano successi dei momenti di freddezza, se avesse continuato a tenere quell’arma sarebbe forse ritornato alla vita di prima. Ma un giorno, preso dalla vergogna di tale debolezza, arresta il suo cavallo, scende, trae la spada e la spezza in mille scintille contro una roccia e, rimontando a cavallo, esclama: « Finalmente sono libero! » – Un paragone alla spada di quel conte sono le passioni che ciascuno di noi porta con sé dalla nascita. Alcuni sono inclinati alla superbia, alla vanagloria, all’arroganza. – Altri invece amano le cose terrene, hanno il cuore troppo attaccato ai denari, agli affari. Altri ancora sentono la smania del godere e vorrebbero sempre e solo soddisfare i cattivi istinti. – L’aver le passioni non è un male: è solo il segno di essere uomini. Ma possono diventare spade taglienti, strumenti di peccato quando non sono soggette alla legge di Dio. Se con la fermezza di una volontà risoluta noi non teniamo le redini ai nostri pensieri, ai nostri istinti, alle nostre inclinazioni, diventiamo canne agitate dal vento, e dopo un periodo breve di fervore e di bontà, pieghiamo subito ad una vita scorretta. Non le fragili canne, ma gli alberi robusti sanno resistere al soffio rovinoso del vento: le canne finiscono nella corruzione del fango. Per evitare questa pessima fine, bisogna voler seriamente spezzare quelle spade. Un colpo solo non basta. La vittoria sulle nostre passioni non è così facile e così pronta come poté essere l’infrangere la spada del duello. Bisogna resistere sempre ed ogni giorno, ogni ora che passa si devono dar due colpi decisi, persuasi che soltanto la morte le spezzerà per sempre. – Però quanto più avanziamo in questa lotta spirituale, tanto più diventiamo forti e la grazia di Dio, che si congiunge alla nostra volontà, dà all’anima cristiana una dolce sicurezza di vivere nell’amore del Signore. – « Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, e mette la sua compiacenza nella legge del Signore. Egli è come un albero che è piantato lungo correnti di acque, che darà il frutto a suo tempo e tutto quello che fa riesce bene » (Salmo 1). I cattivi invece sono come canne che il vento passa ed abbassa; anzi sono come un nuvolo di polvere che il vento solleva e disperde. Impii tanquam pulvis quem projicit ventus. – La perfezione cristiana non consiste nelle azioni grandiose. Gli Apostoli lasciarono e la casa e il loro mestiere, e senza danaro e senza bisaccia e senza un’arma, camminarono tutta la vita per regioni deserte e selvagge, predicando il Vangelo. Ma non a tutti conviene la missione degli Apostoli: però tutti possono, devono fare qualcosa per difendere e propagare la nostra santa Religione: E prima di tutto col buon esempio, con l’assiduità alle funzioni di Chiesa, col rifuggire da ogni discorso, da ogni lettura che sia contro la fede. Poi con l’aiutare i sacerdoti nell’azione cattolica, perché essi sono i successori degli Apostoli. I martiri nei tormenti e nella morte confessarono Cristo: e chi veniva sbranato da belve, e chi immerso in caldaie bollenti e in fuoco, e chi straziato con uncini e ricoperto di calce viva, e chi colpito con la spada. Ma non è questo che Dio vuole ora da noi: però tutti siamo obbligati alla mortificazione. Mortificazione degli istinti cattivi che si ridestano in noi, mortificazione dei nostri sensi. Che cosa vieta che anche un padre di famiglia sia temperante nel bere, nel giocare, nel fumare, per amor di Cristo? Che cosa vieta che una donna si mortifichi il lusso delle vesti, la vanità della acconciatura, la frivolezza dei discorsi? Queste sono opere buone che Dio vuole da noi specialmente in questo tempo di Avvento. Gli anacoreti fuggirono dalle città e dall’abitato, e s’inoltrarono nelle solitudini del deserto e là trascorsero la vita in grotte e in capanne sconnesse, senza vivanda fuor che i frutti selvatici, senza bevanda fuor che l’acqua del torrente. Non questo esige da noi, non è nel deserto che Egli ci aspetta. È nella nostra famiglia dove ognuno ha la sua croce da portare. Ivi i genitori devono essere di esempio ai figliuoli, ivi i figliuoli devono crescere nel timore di Dio, nell’ubbidienza, nella bontà. I santi davano tutto ai poveri e poi sì ritiravano a pregare, e Dio li favoriva con le estasi e le visioni. Ma non tutti sono così ricchi di beni di fortuna per fare abbondanti elemosine; non tutti si ritrovano così indipendenti nella vita da poter rimanere nelle chiese per ore e ore, ogni giorno, conversando col Signore. Però, chi è quella persona così misera da non poter largire qualche soldo ai poveri, alle opere buone della parrocchia? Perfino la vedova del Vangelo trovò due danari da offrire al tempio di Gerusalemme, e fu tanto lodata da Gesù. E se non si ha tempo di fermarsi lungamente in Chiesa, chi vieta all’operaio mentre lavora di ripetere, anche solo col cuore, delle fervorose giaculatorie? Chi vieta alla mamma di famiglia di pregare mentre culla, mentre nutre i suoi bambini? Per quante occupazioni si abbia, si può trovare il tempo anche d’ascoltare qualche Messa nei giorni feriali e di ricevere i sacramenti con opportuna frequenza. Sono queste, o Cristiani, le opere buone che Dio domanda del proprio stato. Se in esse saremo fedeli, avremo il Paradiso. Quia super pauca fuisti fidelis, intra in gaudium Domini tui (Mt.. XXV, 23). – Un enorme fico aduggiava la terra con la sua ombra. Sotto, un giorno, passa il Signore: scruta tra i rami fronzuti e non trova un frutto. «Sii maledetta tu, pianta sterile! ». Subito la ficaia inaridì. Dieci vergini aspettano lo sposo. Una notte, quando più nessuno l’aspettava ed il sonno aveva vinto anche i più vigili, arriva lo sposo. Un grido e tutti si risvegliano e accendono le lampade: ma cinque vergini improvvide si trovarono senz’olio. Corsero per acquistarne ma al ritorno trovarono la porta del convito chiusa, e udirono una voce dal di dentro che disse: « Non vi conosco ». – Un padrone ritorna da un viaggio lungo e chiama il servo al rendiconto. « Padrone », balbetta il poverino «io sapevo la vostra esosità, e che domandate fin quello che non avete dato, e che mietete fin dove non avete seminato: per ciò nascosi il vostro talento sotterra ed oggi ve lo rendo intatto ». « Prendete il servo inutile! — comandò il padrone, — e gettatelo fuori nell’oscurità e nel dolore ». Il Natale non è lontano e Gesù ritorna. Egli è il viandante che desidera dissetare le sue labbra con qualche frutto dell’anima nostra. Egli è lo sposo a cui bisogna muovere incontro con lampade provviste di olio di buone opere. Egli è il nostro Padrone e viene a domandarci il rendiconto. – Affrettiamoci a radunare un ricco tesoro di opere virtuose da presentargli davanti alla cuna insieme ai doni degli antichi pastori. – Un pomeriggio domenicale, una persona di mondo entrò nella canonica del parroco d’Ars, attratta da quello che si diceva intorno all’austerità di quell’umile prete, alla generosità con cui donava tutto per vivere poi egli stesso in una povertà estrema, allo zelo con cui si prodigava di giorno e di notte per la salvezza delle anime. «Signor Curato, — disse quella persona — crede proprio a tutto quanto dice il Vangelo? ». – « Sì, a tutto». « Ma è proprio sicuro che dopo la morte ci sarà il Paradiso? ». « Sicurissimo ». « Proprio sicuro, come dopo quest’oggi che è domenica verrà il lunedì? ». « No, molto più sicuro ». « Proprio sicuro come il sole che è tramontato adesso, sorgerà domani mattina? ». « No. Molto, molto più sicuro. Poiché può darsi anche che venga una domenica dopo la quale non ci sia più il lunedì, un giorno nel quale ci sia un tramonto dopo il quale non ci sia più aurora, un inverno dopo il quale non ci sarà più primavera, ma non può darsi assolutamente che le parole di Cristo non s’avverino ». « Quali parole? ». « Queste: Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà… Io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». – Quella persona partì commossa e persuasa d’aver capito il segreto di quella grande santità. Soltanto una convinzione così profonda poteva dargli la forza di vivere come viveva. Tale profondità di convinzione era quella che condusse Giovanni Battista nel deserto, che gli diede il coraggio di rinfacciare al re il suo nefando peccato, che lo fece intrepido quando si lasciò troncare la testa. Tale profondità di convinzione era quella che sostenne i martiri: Agnese, bella e ricca ereditiera d’una cospicua famiglia romana, che a 13 anni, mentre le fiamme del rogo già la lambivano, esclamava: « Ecco che finalmente io vengo a Voi, Signore, che io amavo, cercavo, desideravo, senza intermissione »; Pancrazio di 14 anni che lasciò sbranare dalle belve la sua giovane vita, ma non sacrificò agli idoli; Policarpo di 85 anni, Simeone di 120, entrambi col corpo tremante di vecchiezza, ma con l’anima immobile nella certezza della fede. Né si creda che questa convinzione capace di sfidare perfino la morte, sia un ricordo archeologico di tempi antichi che non ritornano più. È del nostro tempo il fatto di una fanciulla americana, (Grazia Minford), convertita dal protestantesimo e divenuta suora domenicana. Suo padre morendo le lasciò la somma favolosa di 12 milioni e mezzo di dollari, a patto che abbandonasse il convento. Che cos’ha risposto quella fanciulla? «Il mio Padre del cielo è assai più ricco del mio padre della terra, e mi darà una ricompensa più grande ancora ». Questa è convinzione e forza veramente cristiana! («Schonere Zukunft », 1-5-1927). – Convinzione cristiana spinge ancora tante figliuole a rinunciare a un sogno di felicità, piuttosto che sposare una persona che non rispetterebbe la loro coscienza, a rinunciare a un impiego lucroso piuttosto che sgualcire il candore della loro innocenza in certi uffici. Convinzione cristiana sostiene il padre di famiglia in gravi e lunghi sacrifici piuttosto che violare la legge del Signore. – L’uomo di carattere sa dimostrare la sua volontà decisa davanti al mondo, a sé, a Dio. – Davanti al mondo. Il mondo ha due armi terribili per trascinare al male: la lusinga e lo scherno. Le lusinghe del mondo sono le amicizie, certe amicizie specialmente; sono i divertimenti, come gli spettacoli licenziosi, i balli, passeggiate sbrigliate e promiscue. Gli scherni del mondo sono fatti di sorrisi maliziosi, di mormorazioni, di ironia, di disprezzo, e perfino di persecuzioni; poiché spesso i buoni si vedono preclusa la via alle loro legittime aspirazioni, e alle ricompense meritorie. La volontà energica dell’uomo di carattere non cede alle lusinghe, non teme gli scherni: ma va diritta e sicura, ascoltando sempre la voce della coscienza. – Davanti a sé. Un nemico potente è entrato in noi stessi per il peccato originale, ed ha esteso il suo nefasto impero un poco su tutte le facoltà dell’anima. Bisogna riconquistare e difendere la nostra libertà interiore. I cattivi pensieri la minacciano nella nostra mente, i cattivi desideri nel rostro cuore, i cattivi istinti nella nostra carne: quale campo di battaglia aspra e incessante per la volontà! Chi cede è rammollito. – Davanti a Dio. Dio ogni giorno per purificarci o per provarci ci manda la nostra parte di fatica e di sofferenza. È necessaria la volontà energica, che tronchi ogni querela e ogni impazienza, e ci faccia accettare con santa e lieta rassegnazione la sua paterna e misteriosa volontà. La volontà energica sa placare la natura ferita, e la induce a ripetere quella preghiera che, quando è sincera, vuole coraggio e amore: «La tua volontà sia fatta! ». – Santa Giovanna è all’assedio d’Orléans. Sette ore ha combattuto, sempre calma e intrepida, in mezzo alle sue truppe; ora è il momento in cui deve strappare al nemico la famosa bastiglia di Tourelles. Repentinamente si slancia, afferra la scala, l’appoggia alla torre, e sale impetuosa. Una freccia la colpisce in mezzo al petto: sgorga sangue. Ella impallidisce, trema: sospesa a metà della scala, piange di dolore e di paura. Ridiscende e si nasconde a curarsi. Ecco la debolezza umana. Gli Inglesi imbaldanziscono, ed i Francesi spauriti cedono il campo, e suonano la tromba della ritirata. Ma al primo squillo, Giovanna scatta in piedi: ricorda le visioni che ebbe, le voci che udì, e fa una breve preghiera. Poi di colpo si strappa la freccia, e col petto chiazzato di sangue, grida: « Avanti, siamo vincitori! » E vince. – Cristiani, la vita è una battaglia per la conquista del regno di Dio. Se ci capitasse qualche momento di paura e di debolezza, richiamiamo i motivi della nostra fede, ravviviamo le nostre condizioni, e chiediamo forza con la preghiera. Poi come Santa Giovanna andiamo avanti, sicuri che la vittoria è nostra. – S’avvicina il giorno in cui la Chiesa ricorderà a tutto il mondo il mistero della ancora nascita di Gesù. E la Grazia che da questo mistero sgorgò allora, verrà diffusa a tutti i cuori, nella misura che se ne renderanno capaci. Dio Eterno che nasce bambino per noi! C’è qui un abisso di amore e di degnazione di cui non ci sarà mai possibile vedere il fondo. Santa Maddalena de’ Pazzi con incessante amorosa adorazione ripeteva centinaia di volte al giorno: «Il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi ». S. Alfonso de’ Liguori non sapeva studiare se sul suo tavolo di lavoro non vedeva la cara immagine di Gesù Bambino. Ed infinite volte la baciava, adorando Colui che vi era rappresentato. Cristiani: in questa settimana d’Avvento più volte al giorno, sull’esempio dei Santi, diremo col cuore: « Bambino Gesù, io ti ringrazio d’essere nato per me! ». Ma forse qualcuno penserà: « Come farò a ricordarmelo? ». Ebbene: perché non l’abbiate a dimenticare tre volte al giorno, al mattino, al mezzodì, alla sera, la Chiesa fa suonare le campane dell’Angelo che annunzia l’incarnazione del Verbo. Nessuno dunque si scordi, almeno in questa settimana, che udendo quel suono deve pensare al Figlio di Dio che si fece uomo per la nostra salvezza. – Orbene, Cristiani: la santa Chiesa in principio dell’Avvento, imitando il gesto del Precursore, manda anche noi a considerare i frutti della venuta del Salvatore perché abbiamo a credere più fermamente in Lui, a seguirlo più coraggiosamente. Questi frutti sono molti, ma i principali sono tre: la pace, la luce, l’amore.

1. LA PACE: a) Tra Dio e l’uomo: dal momento che il primo uomo peccò, Dio voltò via la sua faccia sdegnata e abbandonò la nostra natura al giogo del demonio. Passarono migliaia e migliaia d’anni in cui nessun uomo poté, benché santo, entrare in Paradiso: né Adamo, né Mosè, né Isaia, né Davide, alla loro morte, lo trovarono aperto. – Finalmente nel seno verginale di Maria la natura divina e la natura umana s’abbracciarono nell’unica Persona nel verbo incarnato. Come Iddio poteva continuare la sua inimicizia con gli uomini, se uomo era anche il suo Figlio Unigenito? – b) Tra l’Angelo e l’uomo. Fino alla venuta di nostro Signore Gesù, gli Angeli trattavano gli uomini come stranieri con superiorità ed asprezza. Perciò quando apparvero ad Abramo, a Loth, a Giacobbe, a Mosè, ad Ezechiele, a Davide gli uomini tremanti si gettavano a terra per adorarli come padroni. Ma dal giorno della venuta del Signore, tutta la schiera angelica ci è diventata benevola ed amica: ai loro occhi cessammo di apparire la razza degradata e maledetta, poiché vedono che il Figlio di Dio ha voluto rivestire umana natura, farsi uomo in carne ed ossa come noi. Se Dio ebbe di noi tanta misericordia da diventare uno dei nostri, gli Angeli come ci potrebbero ancora trattare duramente? Quando a S. Giovanni Evangelista apparì un Angelo, egli, secondo l’uso dell’Antico Testamento, fece per gettarsi sulla nuda terra ad adorarlo. Ma la celeste creatura glielo impedì, dicendo: « Che fai? Io sono come te un servo dell’Altissimo ». – c) Tra uomo e uomo. Prima che il Salvatore discendesse su questa terra, il sentimento più diffuso tra gli uomini era l’odio. I pagani odiavano i Giudei, i Giudei odiavano gli immondi pagani. I Greci chiamavano barbaro chiunque non fosse della loro nazione; i Romani non riconoscevano i diritti se non dei cittadini di Roma. La guerra e l’odio implacabile per i nemici era un vanto. Venne Gesù: e davanti a Lui non ci furono più né Giudei né Gentili, né Greci né barbari, né rivali né nemici, ma tutti gli uomini divennero fratelli suoi, compartecipi della sua natura umana: e perciò figli tutti d’un Padre unico, Iddio. L’uomo dunque da Dio, dagli Angeli, dagli uomini stessi era odiato e disprezzato come un lebbroso. Gesù Redentore, portandoci la pace con Dio, con gli Angeli, con gli uomini, ci ha mondati da quella lebbra. Leprosi mundantur. Ma guai a quelli che ritornano negli odi antichi! per loro il frutto dell’avvento divino è maturato invano.

2. LA LUCE

Tutti i popoli camminavano nelle tenebre e nell’ombra della morte. In Egitto si adoravano le cipolle e il bue; in Grecia si erano costruite divinità viziose e libidinose; in Roma si incensavano i tiranni crudeli. Le madri uccidevano i loro figliuoli per placare le ire di Baal o di Astharte, idoli sanguinarî. Anche gli uomini più intelligenti d’allora non riuscivano a sapere del loro eterno destino quanto ora ne sa anche l’ultimo dei nostri bambini. Gesù venne: e fu come se si squarciasse la maligna nuvolaglia che ottenebrava il mondo e risplendesse improvvisamente il sole. Sole di giustizia è Gesù! Luce del mondo è Gesù! – Quante meravigliose verità ci ha Egli disvelate riguardo a Dio, all’anima nostra, alla vita eterna… Tutte le cose più utili al nostro vero bene il Vangelo ce le insegna. – I nostri occhi erano ciechi, ed ora vedono. Cæci vident. Eppure ci sono di quelli che la dottrina cristiana hanno dimenticata, che non vogliono più impararla. Eppure ci sono di quelli che vivono solo per mangiare e guadagnare, veri adoratori delle cipolle e del bue; di quelli che vivono per accontentare ogni istinto bestiale, veri adoratori delle passioni immonde; di quelli che i proprî figli non educano cristianamente e sacrificano la loro innocenza al demonio. Guai a questi che ritornano nell’antica tenebrosa ignoranza! per loro il frutto dell’avvento divino è maturato invano.

3. L’AMORE

« Signore, perché sei venuto sulla terra? ». «Sono venuto a portare il fuoco dell’amore sulla terra ghiacciata, e non bramo altro che di incendiarla tutta in questa mistica fiamma ». Anche senza l’Incarnazione, nella sua infinita misericordia, Dio avrebbe saputo trovare il modo di perdonarci e salvarci. Ma era l’amore della sua creatura, che il Creatore dell’universo voleva: e si fece uomo per amore. Nell’Antico Testamento avevano imparato a temerlo e a rispettarlo; lo sentivano presente nel fragore del tuono, nell’urlo della bufera, nell’ardore del fuoco; ma gli uomini non riuscivano ad amare un Dio invisibile. Ma ora Egli si è fatto visibile, e tutto il mondo vede la sua dolce Umanità. « Fratelli, — scriveva S. Paolo — dopo la sua venuta più nessuno può vivere per sé, ma solo per Lui, che visse e morì per noi ». E sorsero allora moltitudini di uomini, di donne, di fanciulli che con desiderio offrirono la loro vita nel martirio. Sorsero allora infinite schiere di Monaci e di Vergini che si ritirarono nei deserti a vivere solo per suo amore, già fatti angeli prima di morire. Sorsero in ogni tempo i Santi che non temettero penitenze e umiliazioni, fatiche e malattie, tribolazioni e persecuzioni, accesi com’erano nell’amore di Cristo, il Dio fatto Uomo. – Senza questo eterno amore, che sarebbero stati gli uomini se non dei cadaveri? – Gesù venne e li risuscitò. Mortui resurgunt. Eppure sono troppi quelli che non amano il Signore: passano lunghe settimane senza un pensiero e un palpito per lui! Troverete di quelli che neppure una Messa alla festa sanno ascoltare per suo amore; per suo amore non sanno nemmeno compiere una piccola rinuncia. E se si volesse entrare nel segreto delle famiglie, quanti ne trovereste che non sanno più rispettare la castità coniugale e vivono nell’egoismo brutale, dissacrando ogni legge di Dio e di natura! Guai a questi che ritornano nell’antica morte dell’indifferenza e del peccato! Per loro la primavera della redenzione è venuta senza fiori e senza frutti. – Dopo due millenni, nuovamente ci prepariamo al Santo Natale per partecipare maggiormente ai frutti della divina venuta. – S. Gaetano da Thiene sì struggeva in affettuose preghiere; S. Filippo Neri si ritirava nelle catacombe a meditare; San Francesco d’Assisi s’avviava verso Greccio gridando: « Amiamo il Bambino celeste! ». Noi che faremo? Facciamo pace con Dio e con gli Angeli togliendo via i peccati dal cuore, facciamo pace con gli uomini perdonando e chiedendo perdono. Ritorniamo a frequentare la Chiesa, a studiare la dottrina cristiana, ad ascoltare la parola di Dio. Infine, per amore di Gesù che tanto ci amò, facciamo un po’ di penitenza, di elemosina, di mortificazione. – Così la pace, la luce, la carità del nostro Signore ritorneranno in noi.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV: 7-8
Deus, tu convérsus vivificábis nos, et plebs tua lætábitur in te: osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam, et salutáre tuum da nobis.

[O Dio, rivolgendoti a noi ci darai la vita, e il tuo popolo si rallegrerà in Te: mostraci, o Signore, la tua misericordia, e concedici la tua salvezza.]

Secreta

Placáre, quǽsumus, Dómine, humilitátis nostræ précibus et hóstiis: et, ubi nulla suppétunt suffrágia meritórum, tuis nobis succúrre præsídiis.

[O Signore, Te ne preghiamo, sii placato dalle preghiere e dalle offerte della nostra umiltà: e dove non soccorre merito alcuno, soccorra la tua grazia.]

Comunione spirituale:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Bar V: 5; IV:36
Jerúsalem, surge et sta in excélso, ei vide jucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sta in alto: osserva la felicità che ti viene dal tuo Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Repléti cibo spirituális alimóniæ, súpplices te, Dómine, deprecámur: ut, hujus participatióne mystérii, dóceas nos terréna despícere et amáre cœléstia.

[Saziàti dal cibo che ci nutre spiritualmente, súpplici Ti preghiamo, o Signore, affinché, mediante la partecipazione a questo mistero, ci insegni a disprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA I DI AVVENTO (2021)

DOMENICA I DI AVVENTO (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Maria Maggiore.

Semid. Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

A Natale Gesù nascerà nelle nostre anime, perché allora si celebrerà l’anniversario della sua nascita e alla domanda della Chiesa sua Sposa, alla quale non rifiuta nulla, accorderà alle nostre anime le stesse grazie che ai pastori e ai re magi. Cristo tornerà cosi alla fine del mondo per « condannare i colpevoli alle fiamme e per invitare con voce amica i buoni in cielo » (Inno Matt..). Tutta la Messa di questo giorno ci prepara a questo doppio Avvento (Adventus) di misericordia e di giustizia.

Alcune parti si riferiscono indifferentemente all’uno e all’altro (Intr. Oraz. Grad. All.), altre fanno allusione alla umile nascita del nostro Divin Redentore, (Comm. Postcomm.). Altre, infine, parlano della sua venuta come Re in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà (Ep., Vang.). L’accoglienza che noi facciamo a Gesù quando viene a redimerci, sarà quella ch’Egli ci farà quando verrà a giudicarci. Prepariamoci dunque, con sante aspirazioni e col mutamento della nostra vita alle feste di Natale, per essere pronti all’ultimo tribunale, dal quale dipenderà la sorte della nostra anima per l’eternità. Abbiamo fiducia, perché « quelli che aspettano Gesù non saranno confusi » (Intr. Grad. Off.). – Nella basilica di S. Maria Maggiore tutto il popolo di Roma un tempo si intratteneva in questa 1a Domenica di Avvento, per assistere alla Messa solenne che celebrava il Papa, assistito dal suo clero. Si sceglieva questa chiesa, perché è Maria che ci ha dato Gesù e poiché in questa chiesa si conservano le Reliquie della mangiatoia nella quale la Madre benedetta adagiò il suo Figlio divino.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Ps XXIV:4
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]

Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: ut ab imminéntibus peccatórum nostrórum perículis, te mereámur protegénte éripi, te liberánte salvári:

[Súscita, o Signore, Te ne preghiamo, la tua potenza, e vieni: affinché dai pericoli che ci incombono per i nostri peccati, possiamo essere sottratti dalla tua protezione e salvati dalla tua mano liberatrice.]

Lectio


Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Romános Rom XIII: 11-14.


“Fratres: Scientes, quia hora est jam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies autem appropinquávit. Abjiciámus ergo ópera tenebrárum, et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne et æmulatióne: sed induímini Dóminum Jesum Christum” .

 “È già ora che ci svegliamo dal sonno, perché al presente la salute è più vicina che quando credemmo. La notte è avanzata e il giorno è vicino: gettiam via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. Camminiamo con decoro, come chi cammina alla luce del giorno; non in crapule e in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia; ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza „ (Ai Rom. XIII, 11-14).

S. Paolo, dopo avere spiegato in questa ammirabile lettera i principali doveri del Cristianesimo, eccita i Romani a praticar la virtù, rammentando loro la breve durata di una vita che tanti uomini passano in un triste assopimento. Gli esorta ad uscirne, perché il tempo stringe, ed il momento definitivo della nostra salute non è molto lontano. – Che cosa si intende qui per l’assopimento, per la notte ed il giorno, e per le opere delle tenebre? Per assopimento s’intende quella funesta tiepidezza che fa trascurare a tanti Cristiani ogni mezzo di salute. Ah! di quanti noi possiamo dire che la morte sarà il loro risvegliarsi! Per la notte s’intende il peccato, che immerge l’anima nelle tenebre allontanandole da Dio, che è il vero lume; per il giorno, s’intende la fede, la grazia, la riconciliazione con Dio, la scienza della salute. Le opere delle tenebre sono i peccati in generale, ed in particolare quelli che si commettono nell’oscurità della notte da chi l’aspetta per abbandonarsi al male. – Quali sono le armi della luce, delle quali dobbiamo rivestirci? Sono la fede, la speranza e la carità, e in generale tutte le buone opere. Noi combatteremo per esse il demonio, il mondo e la carne.

Che significa camminare nella decenza come durante il giorno?

Significa il non fare e non dire alla presenza di Dio. che vede e sente tutto, nulla di ciò che non si osa fare o dire in presenza delle persone che più si rispettano.

Che vuol dire rivestirsi di Gesù Cristo? Vuol dire pensare, parlare ed operare come Gesù Cristo.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale


Ps XXIV: 3; 4
Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine.

[Tutti quelli che Ti aspettano, o Signore, non saranno confusi.]

V. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]


Alleluja

Allelúja, allelúja.

Ps LXXXIV: 8. V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis. Allelúja. [Mostraci, o Signore, la tua misericordia: e dacci la tua salvezza. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum S. Lucam.

Luc XXI:25-33.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Coelum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.

“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vi saranno dei prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle, e pel mondo le nazioni in costernazione per lo sbigottimento (causato) dal fiotto del mare e dell’onde: consumandosi gli uomini per la paura e per l’aspettazione di quanto sarà per accadere a tutto l’universo: imperocché le virtù de’ cieli saranno commosse. E allora vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sopra una nuvola con potestà grande e maestà. Quando poi queste cose principieranno ad effettuarsi, mirate in su, e alzate le vostre teste; perché la redenzione vostra è vicina. E disse loro una similitudine: Osservate il fico e tutte le piante: quando queste hanno già buttato, sapete che l’estate è vicina. Così pure voi, quando vedrete queste cose succedere, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico, che non passerà questa generazione, fino a tanto che tutto si adempia. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (S. Luca, XXI, 25-33).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL GIUDIZIO UNIVERSALE

Al di là dei secoli, Dio pose un segno a cui tutti i nodi dovranno arrivare. Questo segno è la sua Croce che apparirà alla fine del mondo nel cielo vuoto, e sfolgorerà terribilmente sul capo di tutti gli uomini rassembrati d’ogni parte e prostesi sulla terra nuda. Sarà quello il giorno più tremendo, Dies iræ dies illa! – Il mattino del 14 Settembre del 258, nel campo Sextio, molle ancora di rugiada, veniva decapitato il Vescovo di Cartagine. I nemici di Cristo l’avevano preso e tradotto al tribunale del proconsole Galerio. – Galerio: « Sei tu Tascio Cipriano? ». Cipriano: «Son proprio io ». Galerio: « Che Tascio Cipriano sia giustiziato di spada ». Cipriano: « Deo gratias ».

Ma quando i soldati s’accinsero ad eseguir la sentenza, quando i fedeli stesero pannolini da torno a raccogliere il suo sangue che sarebbe sgorgato, il santo ebbe un tremito, e coprendosi con le mani gli occhi disse: « Væ mihi cum ad iudicium venero! » (guai a me che sto per andare in giudizio) Fu un istante: poi protese la testa. Se il pensiero del giudizio di Dio faceva tremare i martiri, che sarà di noi? Che faremo noi e che diremo davanti al Giudice divino? Pensiamo che quello sarà: giorno della grande manifestazione; giorno della grande accusa. 1. Manifestazione senza veli. Rappresentiamoci la nostra anima davanti a quel tribunale supremo, circondata dagli Angeli e dagli uomini: i giusti e i peccatori, i parenti e i conoscenti, i superiori e gli inferiori, gli amici e i nemici. Gli occhi di tutti son sopra di noi. Sono sopra di noi gli occhi di Dio. – Intanto si rifarà la storia della nostra vita, dai giorni lontani e dimenticati della fanciullezza sino a quello della nostra morte. Apparirà allora tutto il male che copertamente facemmo e tutto il bene che infingardamente non volemmo. Quaggiù abbiam creduto di ingannare gli occhi dello sposo, la vigilanza dei genitori, la buona fede forse di un prete a cui strappammo l’assoluzione. Fatica al vento: là tutti sapranno tutto. – Passavamo per amico fedele, sincero, generoso: invece vedranno che eravamo sleali, interessati, senza coscienza. Passavamo come una persona giusta che s’accontenta del suo: invece si conosceranno le frodi dei nostri commerci, e tutti potranno contare il danaro e la roba arraffata agli altri. Passavamo come un uomo integro ed onesto: invece appariranno le infamie commesse nell’ombra e nel segreto. E non solo il male che facemmo fuori di noi, ma anche il male che rimase dentro di noi, nell’occulto dell’anima, verrà manifestato. Tanti desideri vergognosi che abbiamo secondato con la mente nelle ore di ozio; tanti istinti di gelosia e di rancore che abbiamo dissimulato, ma che però erano il profondo motivo delle nostre maligne vendettuzze; tanti progetti di peccati che non facemmo solo perché ci mancò l’occasione: noi vedremo queste iniquità balzate dal nostro cuore, a nostra insaputa quasi come un’imboscata. Alla storia secreta del nostro cuore sentiremo ribrezzo di noi. All’esame del male che facemmo seguirà quello del bene che, potendo, non volemmo fare. – Quaggiù è facile nascondere dietro un comodo pretesto la nostra infingardaggine nel trascurare il bene e ci illudiamo di giustificarci dicendo: « Non tocca a me » oppure « Non ci riesco, non ho i mezzi ». Ma lassù ci verranno ricordate e rinfacciate tutte le colpevoli omissioni di cui è intessuta la nostra vita. Tutte le occasioni di dare una gloria a Dio che non demmo; tutte le anime che avremmo potuto salvare con la preghiera, con il consiglio, con l’elemosina e che non salvammo; tutte le Sante Comunioni, le Messe, le prediche che abbiam trascurato per pigrizia; tutti i giorni perduti, sacrificati ai pettegolezzi e ai piaceri del mondo senza un pensiero che li consacrasse a Dio e li rendesse buoni per l’eternità. Manifestazione totale, dunque: del male fatto fuori e dentro di noi e del bene non fatto. E sarà una manifestazione senza veli. Sulla terra, quando si è stati capaci di un delitto che ci ha precipitati nell’infamia e nel disprezzo, si fugge dal proprio paese, si abbandona la patria e si cerca un luogo, in America o in Africa, dove nessuno ci conosca, dove nessuno sappia né venga a sapere, dove ci è possibile ancora respirare e redimerci. Ma nel giorno del grande giudizio in quali ignote contrade potremo rifugiarci se tutte furono distrutte, in quali popoli stranieri se ogni uomo potrà leggerci sulla fronte la piaga e il destino? Sulla terra l’uomo disonorato può nascondersi, può intrufolarsi nella folla degli indifferenti, e sperare che col tempo si plachi il rumore delle sue scelleratezze. Ma non questo sarà possibile nell’ora dell’universale giudizio: non più confusione, ma separazione. Cristo dall’alto, come un gran pastore, separerà col suo vincastro ardente gli agnelli dai capri: i buoni dai cattivi. E sarà una separazione crudele: l’amico dall’amico, il fratello dal fratello, il padre dal figlio, l’uno assunto e l’altro abbandonato. E sarà una separazione ignominiosa, perché tutti ci vedranno e disprezzeranno. – 2. Giorno della grande accusa. a) L’accusa del demonio. S. Agostino ci assicura che il primo a levarsi contro noi sarà il demonio. Proprio lui! che ora con ogni lusinga ed inganno ci sospinge nel fango. Dirà: Durante la vita quest’anima ha osservato i comandamenti, Signore, non della tua ma della mia legge. Dammela dunque, che m’appartiene. Noi oseremo balbettare: « Signore, a seguire il demonio si faceva meno fatica; troppo dura è la tua legge ». « Non è vero, non è vero! — c’insulterà il demonio — Io ti facevo lavorare anche la Domenica, mentre la soave legge di Dio ti avrebbe concesso riposo. E tu lavoravi per me, senza lamentarti. Io ti facevo bere anche quando non avevi più sete: e tu per me bevevi ancora, fino a sentirti male, a imbestialirti nell’ubriachezza. Io ti comandavo di ballare: e tu, stanco di sei giorni di lavoro, ballavi alla domenica per farmi ridere. Io ti suggerivo un appuntamento equivoco: e tu, per ascoltarmi, lasciavi la tua famiglia, e magari faceva freddo, pioveva, e sostenesti d’attendere sotto l’acqua o la neve per ore e ore quella persona. Io ti imponevo di sprecare nei vizi il sudore della tua settimana: e tu, che avevi paura di donare un soldo in elemosina, consumavi nei ritrovi e nei piaceri il sostentamento della tua famiglia. Altro che leggero il mio giogo: ma tu l’hai preferito! b) L’accusa dell’Angelo. Poi sorgerà il nostro Angelo. Sì l’Angelo custode, a cui ci aveva affidati la Pietà superna, anch’esso diverrà accusatore. «Mio Signore, — dirà — il mio dovere d’illuminarlo, custodirlo, reggerlo, governarlo l’ho compiuto: ma invano. Invano, o Signore, ho illuminato la sua mente coi buoni pensieri, la sua anima con le buone parole di sacerdoti e di amici, la sua via col buon esempio di compagni. Invano lo custodivo, ché egli si recava di sua cocciuta volontà con le persone cattive e nei luoghi pericolosi. Alle tempeste di rimorsi che suscitavo nel suo cuore, non volle arrendersi ». – c) L’accusa degli uomini. Terminata l’accusa dell’angelo maligno e dell’Angelo buono, sorgeranno gli uomini ad accusarci. Sarà la voce degli innocenti scandalizzati dalle nostre parole, dal nostro esempio, dai nostri incitamenti: « Giustizia di Dio, — grideranno, — vendica le anime nostre ». Sarà la voce dei complici dei nostri peccati: « Giustizia di Dio, — grideranno, — con lui il male, con lui l’inferno ». – Sarà la voce, o genitori, dei vostri figlioli che non custodiste, che non educaste, che forse scandalizzaste. « Signore, diranno, ho imparato in casa a non pregare, a bestemmiare, ad offenderti! ». Sarà forse, o genitori, la voce fioca dei figli che non avete voluto, o che abbandonaste prima di nascere. « Signore, gemeranno: noi pure avevamo diritto alla vita, e non l’avemmo! ». d) Accusa senza scusa. Quale scusa troveremo da opporre a tanta accusa? Forse la nostra ignoranza? Colpa nostra se non ci siamo istruiti: ogni Domenica c’era predica e dottrina. Forse la nostra debolezza? Ma tutti i santi balzeranno a dire: « Anche noi eravamo di carne e sangue come voi, e ci salvammo ». Allora sorgerà il Giudice e giudicherà. – – «Osservate il fico, e, in genere, tutte le piante. Quando — diceva Gesù — la scorza si fa più tenera e umida, quando le gemme inturgidite lasciano trasparire in punta un occhio verde, voi dite che vien primavera. Ebbene, vi darò i segni per conoscere l’arrivo della mia giustizia. Segni in terra: scoppieranno guerre di popolo contro popolo, si svilupperanno malattie contagiose di città in città, e lunghi incendi arderanno su tutta la faccia del mondo. I viventi d’allora squallidi e muti si consumeranno per la paura e per l’aspettazione. – Segni in cielo: il sole si spegnerà ruggendo come un ferro rovente nell’acqua, la luna negherà i suoi raggi pallidi, le stelle come ubriache usciranno dal loro cammino e precipiteranno; ogni potenza dell’universo si muoverà. Allora su le nubi, con potestà e maestà, si vedrà venire il Figlio di Dio ». E svelerà. E parlerà. E condannerà. 1. E svelerà:  Quando nel buio d’una stanza penetra un improvviso fascio di luce, in un colpo d’occhio tutto si vede quello che c’è nella stanza: si vede anche il granello di polvere sui mobili, e i corpuscoli che danzano nel vuoto. Così sarà nell’apparire del Figlio di Dio: tutta la nostra coscienza sarà invasa dalla sua luce sfolgorante. Non una piega rimarrà nell’ombra, non una pagina della nostra vita rimarrà oscura. Sarà quella l’ora della verità. Quelle frequenti visite, quelle passeggiate, quei ritrovi che sì è creduto di coprire col pretesto di un’amicizia innocente, di giusto sollievo, appariranno allora quali sono, motivi d’impura passione. Quella roba che si portava a casa col pretesto di ricompensarci dalla cattiva paga o di ciò che avevano tolto a noi, allora apparirà quale realmente è: un furto. È facile, quaggiù, perdere la Messa con la scusa che il tempo manca, trascurare la Dottrina cristiana col pretesto degli affari, omettere le preghiere della sera per la stanchezza; ma allora tutti sapranno che non si trovava tempo per i doveri religiosi, il tempo si trovava — e quanto! — per i divertimenti, per le chiacchiere, per il gioco, per i peccati. È facile quaggiù profanare, col lavoro, il giorno festivo e nascondere il proprio peccato con l’apparenza di una necessità o dell’urgenza; ma l’avarizia sordida che ci spinge a questo sacrilegio sarà svelata in quel giorno. Tutto sarà svelato: ma soprattutto i peccati tenuti nascosti anche nella Confessione, e trascinati dietro di giorno in giorno con una lunga catena di sacrilegi. Chi può immaginare la confusione del reprobo, scoperto agli occhi di tutti, agli occhi di Dio? –

– 2. E parlerà.  Santa Caterina da Siena, una sera che pregava ginocchioni davanti al Crocifisso, vide una luce uscire dalle piaghe del Signore, e poi udì un gemito che la rimproverava perché in quel giorno era stata distratta nell’orazione. La santa cominciò a tremare dallo spavento, e un sudore gelido le rigò le membra, e giù dagli occhi caddero amarissime lacrime. « Ho provato un dolore — manifestò poi — che altrettale non proverò mai, nemmeno se mi svergognassero davanti ai re del mondo. Preferirei camminare per mesi e mesi su di una strada intessuta di spine, ma non riudire la trafittura di quel rimbrotto ». Eppure il suo era un piccolo difetto, e forse non del tutto volontario. Eppure Gesù le parlava per amore, volendola purificare da ogni debolezza e trasportarla verso un’altissima perfezione. Che stordimento indicibile dovrà dunque essere quello dei reprobi quando Cristo nel suo furore li rimprovererà dei loro enormi peccati? Loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos (Ps., XI, 5). « Rendimi conto, — ci dirà, — della vita che ti diedi. Dov’è il bene che hai fatto in trenta, quaranta, cinquant’anni? Quante sono le tue Comunioni, le mortificazioni, le elemosine, le opere buone? ». «Rendimi conto — ci dirà — delle mie buone ispirazioni. Che hai fatto di quei pensieri di bene che di giorno in giorno ti mandavo? Che hai fatto di quei rimorsi coi quali ti pungevo il cuore quando sentivi le prediche, quanto ti trovavi nella solitudine? Li cacciasti via come mosche, li soffocasti: ora me li pagherai ». «Rendimi conto — ci dirà — della tua famiglia. I tuoi genitori ti hanno educato bene, ti hanno insegnato a rispettare la mia legge e il mio Nome, ma tu perché hai dimenticato i loro insegnamenti? I tuoi figliuoli perché non sono cresciuti buoni? E come potevano crescere tali, se non ti curavi di loro, se non li castigavi quando fuggivano dalla chiesa, se li scandalizzavi con mali esempi? ». – « Rendimi conto — ci dirà — dei sacerdoti che ho messo vicino alla tua anima. Essi ti insegnavano, e tu non andavi a sentirli. Essi predicavano e tu chiudevi le orecchie. Essi ti rimproveravano a nome mio, e tu li hai odiati ». – «Rendimi conto — ci dirà — dei miei Sacramenti. Avevi nell’anima il demonio e non andavi a confessarti: hai disprezzato il sacramento del perdono, e adesso pretendi ch’Io ti perdoni? Oh quante volte ti ho aspettato nel silenzio del Tabernacolo, e non sei venuto. Ti ho aspettato a Pasqua, ti ho aspettato alle SS. Quaranta ore, ti ho aspettato il giorno del Perdono, ti ho aspettato il giorno dei Morti… E non sei venuto ». «Ah, rendimi conto del mio sangue. Il sangue che ho versato sotto gli ulivi, il sangue della flagellazione, il sangue della coronazione di spine, il sangue delle mie mani e de’ miei piedi, il sangue del mio cuore. Tutto il sangue fu inutile per te ». – Quid sum misertum dicturus? Miseri, confusi, nudi, sotto il pungente sguardo di tutti gli uomini, che sono che furono e che saranno, chi di noi oserà rispondere qualche cosa? 3. E condannerà. Prima dell’alba S. Agostino fu risvegliato da un gemere lungo e da un singhiozzare straziante che gli veniva su dalla strada. Due uomini seminudi, dalla barba e dalla capigliatura sporca e lunga, magri e affamati, tremavano convulsamente davanti alla porta del Vescovo. Intanto tutto il popolo d’Ippona era accorso a vederli. «Come vi chiamate? » domandò S. Agostino. « Paolo e Palladio » risposero, senza cessare di piangere e di tremare. « Quietatevi, noi vi soccorreremo ». – « È impossibile quietarci. Noi veniamo da Cesarea di Cappadocia, ove eravamo sette fratelli e tre sorelle. Abbiamo offeso nostra madre vedova, ed essa ci ha maledetti, e la sua maledizione è passata nella nostra pelle, nella nostra carne, nel nostro sangue, nelle ossa nostre. E ci fa tremare, così come vedi, notte e giorno senza requie mai… Liberaci, santo di Dio, dalla maledizione di nostra madre, oppure, se non puoi altro, facci almeno la grazia di morire ». S. Agostino pregò per loro, e Dio li liberò. Riflettete, Cristiani: se tanto ha potuto in quei figli la maledizione di una madre terrena, che cosa non produrrà in noi la terribile, irrevocabile, finale maledizione di Dio, Padre nostro, offeso dai nostri peccati? Ite, maledicti, in ignem æternum. Adesso non sappiamo comprendere che cosa importi la privazione di Dio; soltanto possiamo formarcene un’idea assai lontana e confusa. Immaginate se in questa chiesa mancasse l’aria: i nostri occhi si gonfierebbero, le gote diverrebbero livide, apriremmo la bocca delirando, soffocheremmo. Un tormento che a questo assomiglia, ma infinitamente più grande, proverà l’anima che, maledetta, si sente privare di Dio, che è il suo respiro. Aver sempre sete, senza bere mai; aver sempre fame senza mangiar mai; tremare dal freddo senza una fiamma, ardere dal fuoco senza un alito che ci rinfreschi: così l’anima senza Dio. – Terribili tormenti, ma questa grama ricompensa il peccatore se la invoca lui stesso peccando. E quando la mobilitazione generale delle coscienze sarà suonata, quando su tutta la terra rintronerà il grido tremendo: — levatevi, o morti! — allora Iddio non farà che sancire quello che ciascuno ha voluto per sé. «O Cristiano! col peccato hai degradato te stesso: sia fatta la tua volontà, per sempre. Fiat voluntas tua, in æternum. «O Cristiano! col tuo peccato dal tuo cuore mi hai scacciato. Io ratifico: per sempre In æternum. « E ormai vattene, che non ti conosco più: per sempre. In æternum ». – Un piccolo re aveva dichiarato guerra a un gran Re. Ma poi si pose a tavolino e cominciò a riflettere: « Come mai posso nutrire speranze di vincerla, se conto appena diecimila soldati, quando il mio avversario ne conduce più di venti milioni? ». E da saggio, intanto che le armate erano ancora lontane, mandò una legazione chiedendo umilmente la pace e i patti di sottomissione. Legationem mittens rogat ea quæ pacis sunt (Lc., XIV, 32).Ora, il Vangelo di questa prima domenica di Avvento ci assicura che Gesù Cristo, il gran Re sul cui fianco sta scritto il segno del potere infinito Rex regum et Domus dominantium (Apoc., XIX, 16), deve venire dal cielo a giudicare la terra. Che cosa siamo noi davanti a lui? Pretendiamo forse di resistergli? Facciamola da saggio come il piccolo re della parabola: intanto che è ancora lontano, intanto che siamo ancora in tempo, domandiamogli i patti di pace, e assoggettiamoci a tutti i suoi dolci comandamenti. – Se vivessimo i nostri giorni sotto la luce che viene da questo ultimo giorno, come volentieri porteremmo la nostra croce! I Santi queste cose le capivano molto bene. S. Pietro Martire, esorcista della Chiesa di Roma nei primi tempi del Cristianesimo, quando fu cacciato in prigione per la fede, disse al carceriere che egli era pronto a liberare nel Nome di Cristo la sua figliuola dal demonio da cui era invasata da parecchi anni. Il carceriere, sorpreso a tale proposta, gli chiese perché non si serviva della onnipotenza del Nome di Gesù per liberare se stesso dalla prigione. Ed egli: «Conosco troppo bene i vantaggi delle mie catene e per nessun motivo vorrei liberarmi ». Se possiamo recare un po’ di conforto ai nostri fratelli facciamolo sempre volentieri; le nostre croci invece apprezziamole come si meritano ed anzichè domandare al Signore che ce le tolga, preghiamolo che ci dia la forza di portarle, con rassegnazione ed amore. Tanto più godremo, quando più avremo faticato, sofferto, pianto per amor di Dio. – Austera è la verità del giudizio universale. Ancora al nostro orecchio risuonano le parole paurose che leggemmo, domenica scorsa, nel Vangelo; ancora nella nostra mente ripassano le fosche immagini di un mondo in fiamme e di un cielo sfasciato. Oggi, il Vangelo ritorna al medesimo argomento, ma non più per opprimerci di spavento, bensì per elevarci a grande speranza. Il sole, la luna, le stelle daranno tristi segnali e la costernazione passerà sui popoli; il mare mugghierà, e gli uomini morranno di paura nell’aspettazione di ciò che sarà. E sarà per venire, in potenza e in gloria, il Figlio dell’uomo a giudicare dalle nubi. Quando avverranno queste cose, voi — che siete buoni — levate la fronte, che la redenzione vostra è vicina. Levate capita vestra: quoniam appropinquat redemptio vestra. (Alzate il vostro capo perché la vostra redenzione si avvicina). Gesù ci rivolge queste buone parole, proprio nella I Domenica d’Avvento. Noi ci prepariamo al Santo Natale che è il ricordo della prima venuta di Gesù nel mondo; prepariamoci bene e ci troveremo contenti nella seconda venuta di Gesù nel mondo, al giudizio universale.Il mondo si sfascerà in una fumosa rovina: ma noi non saremo del mondo e lo guarderemo scrosciare, sicuri, come se scrosciasse la casa di un altro, anzi come se scrosciasse la prigione dove abbiamo patito e lacrimato tanto. Alzeremo allora,con gioia, la nostra testa verso i cieli squarciati, attendendo la redenzione; Gesù verrà a portarcela. Il giudizio finale libera gli eletti dalle persecuzioni del mondo. Inoltre, in questa vita, i giusti sono condannati a vivere come gli iniqui, sono confusi con loro; sono chiamati ipocriti più di loro; sono perseguitati in mille modi. Nel giorno del giudizio i buoni saranno vendicati: ci sarà la separazione e si vedranno i raggiri e le ingiustizie dei cattivi. Quando Dio comandò a Giosuè di togliere di mezzo al popolo Acan, uomo scandaloso, e di farlo morire, disse: « Sorgi e santifica il popolo ». Surge et sanctifica populum (Ios., VII, 13). Quando Giuda uscì dal cenacolo, per eseguire il suo detestabile disegno, Gesù si sentì sollevato da un’ambascia mortale, ed esclamò: « Finalmente il Figliuol dell’uomo è glorificato ». Nunc clarificatus est Filius hominis (Giov., XIII, 31). Questa santificazione e questa glorificazione sarà data ai buoni nel giorno finale, quando gli Angeli separeranno i giusti dagli ingiusti. c) Il giudizio finale libera gli eletti dallo scherno del mondo.  Infine, in questa vita le persone umili sono schernite; quelle che sopportano le offese sono dette vili; quelle che non si danno ai piaceri sono dette sciocche; quelle poi che si consacrano a Dio attraverso alla vita religiosa sono chiamate pazze. Ma sarà un momento di brusca meraviglia, quando i mondani vedranno queste persone in un trono di gloria. «Eccoli là — esclameranno con rabbia, — quelli che ritenemmo come il rifiuto del mondo, quelli che deridemmo; ora sono nella luce e nella gioia dei figli di Dio. Li abbiamo creduti stupidi, e gli stupidi eravamo noi ». Nos insensati! Vitam illorum aestimabamus insaniam (Sap., V., 4). Al giudizio finale saremo redenti dalla morte. Squilleranno le trombe a risurrezione, e dovunque il nostro corpo sarà o in terra o in mare o sparso nel vento come leggera polvere, risorgerà. Cristo, che è morto per vincere la morte, ci redimerà dalla morte, restituendo ai buoni la propria carne, rifatta luminosa, impassibile, bella per la gloria del Paradiso. – È giusto. Quel corpo che ha patito tanto per resistere al demonio, è giusto che sia premiato. Quegli occhi che si sono chiusi con violenza davanti alle vanità mondane, ai libri, a figure pericolose, è giusto che s’abbiano a riaprire a veder tutta la gloria di Dio. Quelle orecchie che sono diventate sorde a certe mormorazioni, a certe parole, empie contro la fede, o luride contro la virtù, è giusto che ascoltino l’armonia degli Angeli e i cori universali dei santi. Quella gola e quella lingua che si era proibito l’abuso nel cibo, nel bere, nel parlare, è giusto che intoni un cantico eterno e beatissimo. E quelle povere ginocchia che hanno saputo com’è duro il pavimento delle chiese, o il legno delle panche, o le mattonelle della propria stanza vicino al letto, perché non avranno la loro parte di gloria? Vedete allora come i buoni non devono temere il giorno del giudizio, ma aspettarlo come il contadino aspetta la primavera. E non è forse tutto primaverile il presagio datoci dal Signore per riconoscere il tempo del giudizio finale? «Guardate la pianta del fico, anzi tutte le piante: quando voi vedete le gemme umettarsi di gomma, inturgidirsi, rompere la buccia per mettere al sole un occhio di tenerissimo verde, voi dite: è vicina la primavera. Ebbene, quando cominceranno i segni nel sole e nelle stelle, rallegratevi! ché il regno di Dio è alle porte ». Come un albero che si risveglia dall’inverno, noi ci risveglieremo dalla morte. Con questi sentimenti moriva, arso vivo, il martire S. Pionio. Mentre le fiamme, crepitando sotto, ascendevano a lambirgli le membra contratte nello spasimo atroce, mentre il rogo l’avvolgeva in una bandiera tormentosa di fuoco, egli gridava: « Muoio volentieri così; perché tutto il Popolo sappia che dopo la morte c’è la resurrezione della carne ». Poi il fumo e il fuoco gli raggiunsero la bocca, e non parlò più. Avete, qualche volta, pensato bene al Paradiso? Immaginate quell’immensa regione d’ogni bellezza, i canti e le armonie, la luce, il sorriso, la gioia: e noi saremo là. Là, col nostro corpo, proprio noi e tutti ci vorranno bene; ma più di tutti è Dio che vorrà bene. «O Signore! com’è bello star qui…» (Mt., XVII, 4) gridava S. Pietro nel colmo della gioia; eppure non vedeva il Paradiso, sul Tabor non c’era che una smunta rivelazione della infinita bellezza del Signore. Chissà, allora, noi, in Paradiso, quando vedremo tutto il Signore, chissà che cosa diremo?… Non diremo nulla: ameremo. Il più è arrivarci. – Santa Caterina da Siena, ascoltando parlare del giudizio universale mentre tutti tremavano, sorrideva beata. « Perché? » le fu chiesto. « Perché penso che Colui che verrà a giudicarmi è quel Gesù che tanto amo, per cui ho sacrificato la mia giovinezza, e tutta la mia vita». Amiamo in questa vita Gesù Cristo, e il suo giudizio non ci farà spavento. E se in questa vita noi ci facessimo amici della Croce e del Crocifisso, non sarebbe un bell’accorgimento per sfuggire all’ira ventura, e trovare misericordia in quel momento supremo? Dunque facciamoci amici della Croce. Facciamoci amici del Crocifisso. – Amate la sua croce! e l’amerete quando con fede, con pazienza porterete le tribolazioni che ogni giorno della vita incontrerete. Considerate come Gesù Cristo, il Re divino, ha fatto e poi andategli dietro: factus obœdiens usque ad mortem, ad mortem autem crucis (Phil., II, 8). E perché ribellarci quando la Provvidenza di Dio con la sua spada ci percuote nella roba, nella famiglia, nella salute?Non sappiamo che se Dio ci tocca, è per farci cavalieri suoi nel Paradiso? e noi l’imprecheremo? Amate dunque la sua guerra! la quale è guerra contro le seduzioni del mondo. Sempre e da ogni parte noi siamo circondati da pericoli spirituali: il mondo è tutto una malignità. Amate la sua guerra! la quale è guerra contro noi stessi. Ci sono in noi due parti contrastanti: l’una parte è animale e terrestre, l’altra è spirituale e celeste; la prima ci solleva al bene, la seconda ci abbassa al male. È questa parte di noi che dobbiamo soffocare e rinnegare con le sue inclinazioni perverse, con i suoi affetti velenosi. Se avremo amato la croce e la guerra contro il mondo e contro noi stessi, non proveremo spavento all’apparire del Segno del Figliuol dell’uomo, nel dì del giudizio.« Ecco la croce! » grideranno gli Angeli: altri piangeranno, ma non noi, che in quel momento la saluteremo con le parole di S. Andrea Apostolo: « Salve, o croce, a lungo portata! Salve, o croce, con gioia aspettata! Accoglimi sotto l’ombra del tuo braccio destro, perché fui discepolo di Colui che appesero su te! ». – Per farci amici del Crocifisso non c’è via migliore che farci amici dei poveri, dei malati, di tutti coloro che soffrono, di tutti coloro che in qualsiasi modo sono crocifissi nell’anima o nel corpo. In Turingia non v’era dolore che S. Elisabetta non lenisse, non vi era bisogno che non soccorresse, non v’era sventura che ella ignorasse. Accorreva alle capanne degli ammalati, assisteva i moribondi, vestiva gli ignudi, raccoglieva ed istruiva gli orfani. Ai cancelli del suo palazzo, i poveri si affollavano ogni giorno, e nessuno partiva senza qualche consolazione. Una volta lasciò entrare nelle sue stanze un ammalato schifoso, anzi ella stessa con le sue mani fini e candide cominciò a curargli le piaghe, a lavarle, a baciarle… I servi inorriditi esclamarono: «Che fate! Che fate!… ». Ma Elisabetta tranquillissima rispose: « Bacio le piaghe del Signor mio Gesù Cristo: così non mi faranno più spavento nel giorno del giudizio. È a quel giorno che io penso, e ad esso, come posso, mi preparo ». – Era veramente una regina saggia, della saggezza del Vangelo. Il Vangelo infatti dice apertamente il valore e la stima che verrà data alle opere buone nel giudizio universale. Il gran Re dirà a coloro che saranno accolti alla sua destra: « Venite, o benedetti dal Padre mio, a prender possesso del regno che fin dal principio del mondo vi tenevo preparato. Voi mi trovaste affamato e mi sfamaste; mi vedeste ignudo e mi vestiste; mi incontraste pellegrino sulla strada e mi ricoveraste; mi sapeste prigioniero e mi visitaste; e se fui malato, mi assisteste ». Ed i giusti meravigliati gli domanderanno: « Forse ti sbagli, giacché noi non ti trovammo mai affamato né ti vedemmo mai ignudo, e neppure pellegrino sulla strada, e neppure prigioniero e neppure ammalato… ». « No, no! — riprenderà il Re — non mi sbaglio: tutto quello che avete fatto al più piccolo, al più dimenticato tra gli uomini, l’avete fatto proprio a me». – S. Giovanni Crisostomo ci ammonisce di non considerare il bene fatto come una perdita, ma come un guadagno, noi doniamo del pane, ed in cambio riceveremo il paradiso; noi doniamo un abito ed in cambio riceveremo la veste nuziale per entrare al banchetto dei cieli; noi concediamo ospizio sotto il nostro tetto e avremo tutta l’eternità; noi perdoniamo poco e saremo perdonati molto; noi asciughiamo le lagrime altrui e saremo rallegrati per sempre. Vi dico che neppure un bicchier d’acqua pura offerto per amor di Dio, andrà smarrito! Anzi vi dico che nel giorno del giudizio finale noi non possederemo se non quello che avremo donato. San Filippo Benizi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria Vergine, moriva. Oltre la malattia, oltre il dolore, da giorni lo tormentava una terribile visione. Già gli sembrava di trovarsi davanti al tribunale di Dio, e intorno a lui sorgevano i demoni a rimproverargli i peccati della vita passata, anche i più lontani, anche i più piccoli… L’agonizzante a quella vista, a quelle parole apriva gli occhi inorriditi, tremava, e più non aveva speranza. « Datemi il mio libro! Datemi il mio libro! » gridava con voce spaventata. Degli astanti alcuni corsero a prendere un libro, altri un altro libro: ma egli li rifiutava tutti senza trovare requie. Finalmente uno si accorse che gli occhi del morente s’erano fissati sopra un Crocefisso lì accanto; lo prese e glielo pose tra le mani gelide e sudate. – Appena l’ebbe, come un assetato, vi pose sopra la bocca a baciarlo bramosamente: baciò il legno della croce, baciò le piaghe di Colui che vi era appeso. 1 suoi occhi si illuminarono come al sorgere d’un alba interiore; la sua fronte si spianò in una dolce serenità; le sue labbra si atteggiarono a dolcissimo sorriso. E andò così incontro al giudizio di Dio. Aveva amato la croce, aveva amato il Crocifisso con tutte le sue forze. Di che cosa avrebbe dovuto temere? – Il padrone se n’è andato lontano. Qualche servo prudente e fedele cominciò subito ad eseguire gli ordini ricevuti, preparando senza sperpero e distribuendo con puntualità al momento opportuno il cibo ai familiari. Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà a fare così! In verità vi dico lo metterà a capo di tutto quel che possiede. Invece qualche altro servo indolente e cattivo, passato qualche tempo, disse fra sè: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… forse non verrà più ». Cominciò a trascurare il suo lavoro, a litigare e venire alle mani coi compagni di servizio, a mangiare e bere con gli ubriachi, Disgraziato quel servo che il padrone troverà a fare così! Il padrone sopravvenendo in un giorno che non sarà atteso, in un’ora che il servo non sa, lo farà uccidere, lo caccerà tra gli ipocriti maligni: là dove sarà pianto e stridor di denti (Mt., XXIV, 45-51). Dunque, Cristiani, tutta la nostra vita quaggiù è un’aspettativa, è un tempo d’avvento. Ma specialmente, deve essere una aspettativa fervorosa in questa parte dell’anno liturgico che si chiama proprio « Avvento ». Nessuno s’inganni, dicendo fra sé: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… ho tempo ». Nessuno osi restare in peccato mortale: mettetevi tutti in grazia di Dio; vivete sempre in grazia di Dio. «I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese: siate simili a quelli che aspettano il loro padrone… » (Lc., XII, 35-36). – Un altro consiglio per prevenire in bene il nostro Giudice divino è quello di non giudicare mai il prossimo. « Non giudicate, e non sarete giudicati». Ecco alcuni motivi che ci persuaderanno meglio a praticarlo. a) Non dobbiamo giudicare perché nessuno ci ha costituiti nella carica di giudice verso il nostro prossimo. Tutti siamo sullo stesso piano, tutti fratelli; Uno solo sta sopra di noi, superiore e giudice di tutti: a suo tempo verrà. Intanto nessuno usurpi quell’ufficio che solo è suo. b) Non dobbiamo giudicare perché ogni nostro prossimo è suddito e servo di Dio. Che egli cada o stia in piedi, ciò riguarda il suo padrone e non noi. (Rom., XIV, 4-10). c) Non dobbiamo giudicare perché siamo incapaci d’essere imparziali: nell’occhio del prossimo ci dà fastidio perfin la pagliuzza, e nel nostro sopportiamo anche una trave. Già fin d’ora noi sappiamo esattamente come si svolgerà il giudizio e quali parole saranno pronunciate dal Giudice. Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi Angeli, allora siederà sul trono, e dirà a quelli che saranno alla sua destra: « Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno, che v’è stato preparato dalla creazione del mondo. Perché io ebbi fame, e m’avete dato da mangiare; ebbi sete e m’avete dato da bere; fui straniero e m’avete accolto; nudo e m’avete vestito; malato e mi avete assistito: in prigione e siete venuti a trovarmi ». Per conchiudere, sentite come è saggio quest’altro consiglio che è nel Vangelo di S. Matteo: « Mentre sei ancora per strada, mettiti d’accordo col tuo avversario. Altrimenti all’istante in cui arrivi, ti consegna alle guardie e vieni gettato in carcere ». Mentre siamo ancora pellegrini in questo mondo, mettiamoci dunque in pace col Signore che abbiamo offeso. Non aspettiamo quando saremo arrivati alla morte. Corri tu prima a presentarti avanti a Lui col pentimento, con la confessione. Corri a presentarti a Lui, prima che Egli ti faccia comparire davanti a sé. Previeni, per non essere prevenuto.

IL CREDO

Offertorium


Orémus
Ps XXIV: 1-3. Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Secreta


Hæc sacra nos, Dómine, poténti virtúte mundátos ad suum fáciant purióres veníre princípium.[Questi misteri, o Signore, purificandoci con la loro potente virtú, ci facciano pervenire piú mondi a Te che ne sei l’autore.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps LXXXIV: 13.
Dóminus dabit benignitátem: et terra nostra dabit fructum suum. [Il Signore ci sarà benigno e la nostra terra darà il suo frutto.]

Postcommunio

Orémus.
Suscipiámus, Dómine, misericórdiam tuam in médio templi tui: ut reparatiónis nostræ ventúra sollémnia cóngruis honóribus præcedámus.
[Fa, o Signore, che (per mezzo di questo divino mistero) in mezzo al tuo tempio sperimentiamo la tua misericordia, al fine di prepararci convenientemente alle prossime solennità della nostra redenzione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

XXIV ED ULTIMA DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021)

Last Judgement fresco by Vasari and Zuccari, Florence duomo, Tuscany, Italy

XXIV ED ULTIMA DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Quest’ultima settimana chiude l’anno ecclesiastico, e con essa si chiude la storia del mondo, iniziatasi coll’Avvento. Perciò in questa domenica la Chiesa fa leggere nel Breviario il libro del Profeta Michea (contemporaneo di Osea e di Isaia) con il commento di S. Basilio, che tratta del giudizio universale, e nel Messale il Vangelo dell’Avvento del Giudice divino. « Ecco, dice Michea, che il Signore uscirà dalla sua dimora; e camminerà su le alture della terra; le montagne si scioglieranno sotto i suoi passi e le valli fonderanno come la cera dinanzi al fuoco, e spariranno come l’acqua su un pendìo. E tutto questo per causa dei peccati d’Israele ». Dopo questa minaccia il Profeta continua con promesse di salvezza « Ti radunerò totalmente, Giacobbe, riunirò quello che resta d’Israele; lo radunerò come un gregge nell’ovile». Gli Assiri hanno distrutto Samaria, i Caldei hanno devastato Gerusalemme, il Messia riparerà tutte queste rovine. Michea annunzia che Gesù Cristo nascerà a Gerusalemme e che il suo regno, che è quello della Gerusalemme celeste, non avrà fine. I profeti Nahum, Habacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia, i libri dei quali si leggono nell’ufficiatura della settimana, confermano quanto ha detto Michea. Gesù nel Vangelo comincia con l’evocare la profezia di Daniele, che annunzia la rovina totale e definitiva del tempio di Gerusalemme e della nazione giudea per opera dell’esercito romano. Questa abominazione della desolazione è il castigo in cui il popolo di Israele ha incorso per la sua infedeltà, che è giunta al colmo, quando ha rigettato Cristo. Questa profezia si realizzò infatti qualche anno dopo la morte del Salvatore, allorché la tribolazione arrivò a tal punto, che se avesse durato ancora più a lungo nessun giudeo sarebbe sfuggito alla morte. Ma per salvare coloro che si convertirono in seguito ad una si rude lezione, Dio abbreviò l’assedio di Gerusalemme. Così farà alla fine del mondo, di cui è figura la distruzione di questa città. Al momento del Secondo Avvento di Cristo vi saranno senza dubbio tribolazioni ancor più terribili. «Molti impostori, fra i quali l’anticristo, faranno prodigi ancora più satanici per farsi credere il Cristo; allora, l’abominazione della desolazione regnerà in altro modo nel tempio, poiché, spiega S. Girolamo « sorgerà, secondo quanto dice S. Paolo, l’uomo dell’iniquità e dell’opposizione contro tutto quello che è chiamato Dio ed è adorato e spingerà l’audacia fino a sedersi nel tempio stesso di Dio ed a farsi passare egli stesso per Dio » – « Verrà accompagnato dalla potenza di satana per far perire e gettare nell’abbandono di Dio quelli che l’avranno accolto » (3° Notturno). Ma qui ancora, continua S. Girolamo, Dio abbrevierà questo tempo, affinché gli eletti non siano indotti in errore (id.). Del resto, non vi lasciate ingannare, dice il Salvatore, poiché il Figlio dell’uomo non apparirà, come la prima volta, nel velo del mistero e in un angolo remoto del mondo, ma in tutto il suo splendore e dappertutto contemporaneamente e con la rapidità della folgore. Allora tutti gli eletti andranno incontro a Lui, come gli avvoltoi verso la preda. Compariranno, allora, nel cielo, il segno sfolgorante della croce e il Figlio dell’Uomo che verrà con grande potenza, e con grande maestà (Vangelo). – « Quando vi prende la tentazione di commettere qualche peccato, dice S. Basilio, vorrei che pensaste a questo terribile tribunale di Cristo, dove Egli siederà come giudice sopra un altissimo trono; davanti a questo comparirà ogni creatura tremante alla sua gloriosa presenza; là renderemo uno per uno, conto delle azioni di tutta la nostra vita. Subito dopo, coloro che avranno commesso molto male durante la loro vita, si vedranno circondati da terribili e orribili demoni, che li precipiteranno in un profondo abisso. Temete queste cose, e, penetrati da questo timore, usatene come un freno per impedire all’anima vostra di esser trascinata dalla concupiscenza a commettere il peccato» (3″ Notturno). La Chiesa ci esorta perciò nell’Epistola, per bocca dell’Apostolo, a condurci in modo degno del Signore e a portar frutto in ogni sorta di buone opere, affinché, fortificati dalla sua gloriosa potenza, sopportiamo tutto con pazienza e con gioia, ringraziando Dio Padre che ci ha fatti capaci di aver parte all’eredità dei Santi, ora in ispirito, e all’ultimo giorno in corpo e in anima, per il Sangue redentore del suo Figlio diletto. Dio, che ci ha detto per bocca di Geremia di nutrire pensieri di pace e non di collera (Introito), e che ha premesso di esaudire le preghiere fatte con fede (Com.), ci esaudirà e ci affrancherà dalle concupiscenze terrene (Secr.) facendo cessare la nostra cattività (Intr. e Vers.) e aprendoci per sempre il cielo ove il trionfo del Messia troverà la sua gloriosa consumazione. – Vincitore assoluto sui suoi nemici, che risusciteranno per il loro castigo, e Re senza contestazione di tutti gli eletti, che hanno creduto nel suo avvento e che risusciteranno per essere gloriosi nel corpo e nell’anima per tutta l’eternità. Gesù Cristo rimetterà al Padre questo regno, che ha conquistato a prezzo del sul Sangue, come omaggio perfetto del capo e dei suoi membri. E sarà allora la vera Pasqua, il pieno passaggio nella vera terra promessa e la presa di possesso, per sempre, da parte di Gesù ed il suo popolo del regno della Gerusalemme celeste, dove, nel Tempio, che non è stato fatto da mano di uomo, regna sovrano Dio in cui metteremo tutta la nostra gloria ed il cui Nome celebreremo eternamente (Grad.). E per mezzo del nostro Sommo Sacerdote Gesù noi renderemo un eterno omaggio alla SS. Trinità dicendo: « Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, come era in principio ed ora e sempre e nei secoli, così sia. »

Rendiamo infinite grazie a Dio Padre per averci riscattato per mezzo di Gesù Cristo dalla schiavitù del demonio e delle sue opere tenebrose ed averci resi degni di partecipare con Lui alla gloria del suo regno celeste, che è l’eredità dei Santi nella luce.

Gesù è venuto nell’umiliazione, e tornerà nella gloria. Il suo Primo Avvento ebbe per scopo di prepararci al secondo. Coloro che l’avranno accolto nel tempo, saranno da Lui accolti quando entreranno nell’eternità; quei che l’avranno misconosciuto saranno rigettati. Perciò i Profeti non hanno separato i due avventi del Messia, poiché sono i due atti di un medesimo dramma divino. Così pure Nostro Signore non separa la rovina di Gerusalemme dalla fine del mondo, poiché il castigo che colpì i Giudei deicidi è la figura del castigo eterno, che toccherà a tutti quelli che avranno rigettato il Salvatore. Questo primo avvento ha già avuto luogo, il secondo si effettuerà: prepariamoci; la lettura del Vangelo di oggi, tende appunto a questo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ier XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, tuórum fidélium voluntátes: ut, divíni óperis fructum propénsius exsequéntes; pietátis tuæ remédia maióra percípiant.

[Eccita, o Signore, Te ne preghiamo, la volontà dei tuoi fedeli: affinché dedicandosi con maggiore ardore a far fruttare l’opera divina, partécipino maggiormente dei rimedi della tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 9-14
“Fratres: Non cessámus pro vobis orántes et postulántes, ut impleámini agnitióne voluntátis Dei, in omni sapiéntia et intelléctu spiritáli: ut ambulétis digne Deo per ómnia placéntes: in omni ópere bono fructificántes, et crescéntes in scientia Dei: in omni virtúte confortáti secúndum poténtiam claritátis eius in omni patiéntia, et longanimitáte cum gáudio, grátias agentes Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem eius, remissiónem peccatórum”.

(“Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, affinché camminiate in maniera degna di Dio; sì da piacergli in tutto; producendo frutti in ogni sorta di opere buone, e progredendo nella cognizione di Dio; corroborati dalla gloriosa potenza di lui in ogni specie di fortezza ad essere in tutto pazienti e longanimi con letizia, ringraziando Dio Padre che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, sottraendoci al potere delle tenebre; e trasportandoci nel regno del suo diletto Figliuolo, nel quale, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati”).

SAPERE.

San Paolo tocca mirabilmente tre verbi, che riassumono il fior fiore dell’attività veramente cristiana, con insistenza sul primo: sapere. Non è il caso di esagerare o piuttosto alterare l’azione che il Divin Maestro ha esercitato ed esercita sull’intelletto umano, e quella che l’intelletto umano deve esplicare docilmente, secondando gl’impulsi del Maestro. Ma non per nulla N. S. Gesù Cristo ha preso e conserva questo bel nome: Maestro. Rabbi. Non per nulla il Maestro è il Verbo di Dio, è la Sapienza incarnata di Lui. Verbo che illumina ogni uomo, quando specialmente, in carne mortale, viene a risiedere in mezzo a noi. – Il suo Vangelo è, inizialmente, radicalmente luce nuova. Ci ha strappato, dice San Paolo, parlando, si capisce, di preferenza ai convertiti, dal Gentilesimo, ci ha strappati dall’impero delle tenebre, trasportandoci nel regno della luce. Ed anche per questo il Cristianesimo è umano, cioè proporzionato, profondamente, perfettamente agli umani bisogni. L’uomo comincia di lì, dal sapere, dalla luce, dalla testa, la sua vita veramente umana. È un uomo perché pensa, uomo perché opera a ragione veduta. Il Cristianesimo ci prende di lì, comincia a prenderci di lì, dalla testa, colla sua rivelazione. Alla quale risponde la nostra fede, che è un sapere sovrannaturale, ma sapere. Sapere con una certezza nuova cose che erano oggetto di discussioni antiche; sapere cose nuove intravedute per « speculum in enigmate, » attendendo che venga di là, di lassù, la luce piena. E questo saper nuovo, scende sì, in noi, da Dio, ma dobbiamo noi pure accrescerlo col divino aiuto e la nostra operosità. Non tutti i Cristiani sono egualmente sapienti o veggenti. Paolo esorta i suoi lettori e discepoli a diventarlo sempre più. Augura loro e raccomanda che « siano riempiti della profonda conoscenza della volontà di Dio, in ogni sorta di spirituale sapienza e intelligenza spirituale ». Il che si consegue quando si studia e si medita il Vangelo, la rivelazione divina, il mondo della realtà cristiana. Si studia come fanno anche i più semplici Cristiani, leggendo il Catechismo, ascoltando la spiegazione evangelica dei Sacerdoti, e poi si medita come hanno fatto e fanno i grandi Cristiani, non solo sacerdoti e teologi, dirò così, di professione, S. Tommaso, S. Bonaventura, S. Bellarmino, ma anche i grandi laici, come Manzoni, Nicolò Tommaseo, Contardo Ferrini. Bisogna istruirsi per sapere; e bisogna sapere se si vuol essere degni del nome di uomini e di Cristiani. Ma, soprattutto, bisogna sapere cristianamente, per cristianamente lavorare e soffrire. Il sapere cristiano non è fine a se stesso; non è appagamento vano di vana curiosità. In ciò la sua profonda differenza dal sapere profano. S. Paolo segna subito quella finalità essenziale e doverosa del sapere cristiano, che è pratica. Augura a tutti i suoi lettori, a noi, che lo siamo dopo tanti secoli, di crescere in ogni maniera di sapienza spirituale perché — gli cedo la parola — « camminiate in modo degno di Dio in guisa da essergli in ogni cosa graditi, producendo frutti d’ogni opera buona ». – Del resto, è naturale, è logico. Alla luce si cammina meglio; più veloci, più alacri, nell’ordine fisico. Nell’ordine morale e religioso, è lo stesso. Quello che pareva problema di luce, si risolve in un problema di azione. Conoscendo meglio Dio, dobbiamo, — è quasi direi, una necessità, necessità logica, — amarlo di più. Conoscendo meglio noi stessi, dobbiamo lavorare di più alla nostra purificazione ed elevazione. Conoscendo meglio il prossimo, dobbiamo compatirlo di più e perdonargli più facilmente. C’è così, una vera termo-dinamica del mondo Spirituale. Siamo davvero immersi nella luce di Dio: questa ci circonda da ogni parte. Tutto è lucido attorno a noi. La via è nettamente tracciata. Si vedono molti ostacoli: avanti! «Ambulemus: » camminiamo. Lavoriamo: sapere per fare… Del qual fare è parte anche il soffrire, il sopportare. Il sacrificio è un Cristianesimo in forma di azione. Il soldato lavora e soffre, versa sudore e sangue. Noi dobbiamo essere i soldati di Gesù Cristo. – Sono cose buone, sempre a ricordarsi a noi; più utili ed opportune mentre si chiude un ciclo di vita ecclesiastica e se ne apre un altro. Un anno più dell’altro, il nostro programma deve essere: luce, lavoro, sacrificio.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

 Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]


V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in sæcula.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno.]

Alleluja

Allelúia, allelúia.
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúia.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum S.  Matthǽum.

Matt XXIV: 15-35

“In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle Prophéta, stantem in loco sancto: qui legit, intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ autem prægnántibus et nutriéntibus in illis diébus. Oráte autem, ut non fiat fuga vestra in híeme vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce, hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti et pseudoprophétæ, et dabunt signa magna et prodígia, ita ut in errórem inducántur – si fíeri potest – étiam elécti. Ecce, prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce, in desérto est, nolíte exíre: ecce, in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fulgur exit ab Oriénte et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim autem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes cœlórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cœlo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa et maiestáte. Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis cœlórum usque ad términos eórum. Ab árbore autem fici díscite parábolam: Cum iam ramus eius tener fúerit et fólia nata, scitis, quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte, quia prope est in iánuis. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cœlum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt.”

(“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Quando adunque vedrete l’abbominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge comprenda): allora coloro che si troveranno nella Giudea fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non scenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste. Ma guai alle donne gravide, o che avranno bambini al petto in que’ giorni. Pregate perciò, che non abbiate a fuggire di verno, o in giorno di sabato. Imperocché grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo sino a quest’oggi, ne mai sarà. E se non fossero accorciati quei giorni non sarebbe uomo restato salvo; ma saranno accorciati quei giorni in grazia degli eletti. Allora se alcuno vi dirà: Ecco qui, o ecco là il Cristo; non date retta. Imperocché usciranno fuori dei falsi cristi e dei falsi profeti, e faranno miracoli grandi, e prodigi, da fare che siano ingannati (se è possibile) gli stessi eletti. Ecco che io ve l’ho predetto. Se adunque vi diranno: Ecco che egli è nel deserto; non vogliate muovervi: eccolo in fondo della casa; non date retta. Imperocché siccome il lampo si parte dall’oriente, e si fa vedere fino all’occidente; così la venuta del Figliuolo dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, quivi si raduneranno le aquile. Immediatamente poi dopo la tribolazione di quei giorni si oscurerà il sole, e la luna non darà più la sua luce, e cadranno odal cielo le stelle, e le potestà dei cieli saranno sommosse. Allora il segno del Figliuolo dell’uomo comparirà nel cielo; e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figliuol dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con potestà e maestà grande. E manderà i suoi Angeli, i quali con tromba e voce sonora raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità de’ cieli all’altra. Dalla pianta del fico imparate questa similitudine. Quando il ramo di essa intenerisce, e spuntano le foglie, voi sapete che l’estate è vicina: così ancora quando voi vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è vicino alla porta. In verità vi dico, non passerà questa generazione, che adempite non siano tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno”).

OMELIA

(Discorsi del santo Curato d’Ars, vol. I, quarta edizione. Torino-Roma, C. Ed. Marietti, 1933)

DELLE VERITÁ ETERNE

Memorare novissima tua, et in æternum non peccabis

“Ricordati della tua fine e non peccherai in eterno”

(Eccli. VII, 40)

Fratelli miei bisogna che queste verità siano molto potenti e molto salutari, se lo Spirito Santo ci assicura che se le meditiamo seriamente non peccheremo mai. Ciò non è difficile da comprendere. In effetti, fratelli miei, chi è colui che potrebbe attaccarsi ai beni di questo mondo pensando che fra poco tempo non ci sarà più? Da Adamo fino al presente, nessuno si è portato via qualcosa da quaggiù, e anche per noi sarà lo stesso. Chi è colui che si occuperebbe tanto degli affari di questo mondo, se fosse veramente persuaso che il tempo che trascorre sulla terra non gli sia donato se non per impegnarsi a guadagnare il cielo? Chi è colui che, ben impresso nella mente, o meglio nel cuore, che la vita del Cristiano debba essere vissuta nelle lacrime e nella penitenza, potrebbe ancora dedicarsi ai piaceri e alle gioie folli del mondo? Chi è colui che, essendo ben convinto che potrebbe morire in ogni momento, non si terrebbe sempre pronto? Ma voi mi direte: perché queste verità che hanno convertito tanti peccatori ci impressionano così poco? Ahimè, fratelli miei, questo accade perché noi non le meditiamo seriamente; il nostro cuore è troppo occupato dagli oggetti sensibili, che possono soddisfare le sue cattive inclinazioni; inoltre essendo il nostro spirito ingombro di affari temporali, perdiamo di vista queste grandi verità che dovrebbero costituire la nostra unica occupazione in questo mondo. Se mi domandaste perché lo Spirito Santo ci raccomanda con tanta insistenza di non perdere mai di vista queste verità, eccovene la ragione: il motivo è che non c’è nulla che sia più capace di distaccarci dai beni di questo mondo, niente di più potente per farci sopportare le miserie della vita in spirito di penitenza, o per meglio dire, nulla, più di queste verità ci faccia distaccare da tutte le cose create per non legarci che a DIO solo. – Ah! Fratelli miei, non dimentichiamo mai queste grandi verità, e cioè: che la nostra vita non è che un sogno; che la morte ci segue molto da vicino, e che ben presto essa ci raggiungerà; che un giorno saremo giudicati molto severamente, e che dopo questo giudizio la nostra sorte sarà fissata per sempre. Vedete, fratelli miei, quanto Gesù Cristo desideri salvarci: a volte ci si presenta come un povero Bambino nella sua mangiatoia, adagiato su una manciata di paglia che egli bagna con le sue lacrime; altre volte come un criminale, legato, incatenato, coronato di spine, flagellato, cadente sotto il peso della sua croce, e, infine, morente tra i supplizi, per amore nostro. Anche se ciò non fosse capace di commuoverci, di attirarci a Lui, ci induce però ad annunciare che un giorno ritornerà, rivestito con tutto lo splendore della sua gloria e della maestà del Padre suo, per giudicarci senza più grazia né misericordia. Allora Egli svelerà, davanti al mondo intero, sia il bene che il male che noi abbiamo fatto in ogni istante della nostra vita. Ditemi, fratelli miei, se noi pensassimo bene a tutto ciò, ci sarebbe bisogno d’altro, per farci vivere e morire da santi? Ma Gesù Cristo, per farci comprendere bene cosa dobbiamo fare per andare in cielo, ci dice nel Vangelo, che le persone del mondo conducono una vita completamente opposta a quella di coloro che gli sono graditi, che appartengono interamente a Lui. I buoni Cristiani, Egli ci dice, fanno consistere la loro felicità nelle lacrime, nella penitenza e nel disprezzo; mentre le persone del mondo fanno consistere la loro felicità nei piaceri, nella gioia e negli onori della terra, rifuggendo da tutto il resto. Sicché, ci dice Gesù Cristo, la vita degli uni è del tutto opposta a quella degli altri, ed essi non andranno mai d’accordo, né nel modo di vivere né di pensare. E questo è molto facile da comprendere. Io dico che ci sono quattro cose che fanno la felicità di un buon Cristiano: la brevità della vita, il pensiero della morte, il giudizio e l’eternità. E noi vediamo che proprio queste quattro cose, costituiscono, invece, la disperazione di un cattivo Cristiano, cioè di una persona che dimentica il suo fine ultimo, per occuparsi solo delle cose presenti.

1. Dico che la brevità della vita è di conforto a un buon Cristiano, poiché egli vede che le sue pene, le sue disgrazie, le sue persecuzioni, le sue tentazioni, la sua separazione da DIO, non saranno lunghe. Quale gioia per noi, fratelli miei, quando pensiamo che tra poco tempo lasceremo questo mondo, dove siamo sempre in pericolo di offendere il buon DIO, che è un Salvatore così caritatevole, che ha tanto sofferto per noi. Ahimè! fratelli miei, con questo pensiero, potremmo forse noi mai attaccarci alla vita che è piena di tante miserie? “Che buona nuova! Esclamò san Girolamo. Quando si venne per annunziargli che stava per morire, felice nuova, che sta per unirmi al mio DIO, per sempre!”. Ed in effetti, fratelli miei, così è, dato che la morte è lo strumento di cui il buon DIO si serve per liberarci.

2° Io dico che il giudizio, ben lungi dal gettare il Cristiano nella disperazione, non fa invece che consolarlo, perché egli sta per trovarsi davanti non un giudice severo, ma suo Padre e il suo Salvatore. Sì, suo Padre, che lo attende per aprirgli le viscere della sua misericordia, al fine di riceverlo nel suo seno paterno; che sta, io dico, per manifestare al mondo intero tutte le sue lacrime, le sue penitenze, e tutte le buone opere che egli ha fatto durante tutti i giorni della sua vita.

3° Il pensiero dell’eternità, poi, porta al colmo la sua gioia. Se la sua beatitudine è infinita nelle sue dolcezze e nelle sue grandezze, l’eternità gli assicura che essa non finirà mai. Questo solo pensiero, fratelli miei, deve incoraggiarci a ben servire il buon DIO e per sopportare con pazienza tutte le miserie della vita, perché, una volta che saremo in cielo, non ne usciremo mai più! Ahimè! fratelli miei, tutte le miserie di questo mondo passano, tutto questo non dura che un momento, mentre la ricompensa durerà per sempre. Coraggio! ci dice san Paolo, siamo ormai vicini alla meta della nostra strada. Ma per un Cristiano, fratelli miei, che ha perso di vista il pensiero dei suoi fini ultimi, non è la stessa cosa; la brevità della vita è una sciagura e un’amarezza che lo turba e lo rode anche nel bel mezzo dei suoi piaceri; egli fa tutto ciò che può per allontanare questo pensiero della morte. Tutto ciò che gliene offre un ricordo, lo atterrisce; rimedi e medicine, tutto è invocato in suo soccorso, al minimo sentore che la morte si approssimi. Egli crede sempre di poter trovare la felicità quaggiù. Ma, purtroppo, egli si inganna. Questo povero derelitto, abbandonando il buon DIO, abbandona proprio ciò che poteva procurargliela; al momento della morte, sarà costretto a confessare di aver trascorso tutta la vita nel cercare un bene che non è mai riuscito a trovare. Ahimè! fuori di Dio, solo molte pene, molte sofferenze, nessuna consolazione, e nessuna ricompensa! Prima di partire da questo mondo, avrà il suo bel gridare, come quel re di cui ci parla la Scrittura, nell’Antico Testamento, il quale, vedendosi sul punto di dover lasciare la vita e tutti i suoi beni, diceva: “Ah!, devo dunque morire! Devo lasciare le mie aiuole e i miei bei giardini, per andare in un paese dove non conosco nessuno!”. Ahimè! la morte che è la consolazione del giusto, diviene la sua disperazione; bisogna morire, e non ci si è mai pensato! Ah! triste pensiero, bisogna andare a rendere conto a DIO di una vita che non è che una catena di peccati, e… senza buone opere che possano rassicurarlo. Al momento di partire da questa vita, egli vede chiaramente che il buon DIO lo aveva posto sulla terra soltanto per servirlo e per salvare la sua povera anima, mentre non ha fatto altro che oltraggiarlo e perdere così la sua bella anima. Egli vede, capisce benissimo, in questo momento, che il buon Dio non voleva affatto che si perdesse, ma voleva assolutamente salvarlo, e che sono i suoi peccati che Lo costringono a condannarlo. Quanto poi all’eternità, egli vede che fra qualche minuto sarà gettato nell’inferno. DIO mio, che disperazione! Se il pensiero dell’eternità consola tanto un Cristiano, nella certezza che la sua felicità non avrà mai fine, questo medesimo pensiero, completa la disperazione di questo povero infelice. Ah! povero disperato, deve iniziare il suo inferno per non finirlo mai più! Entrando nell’inferno, vede l’infelice Caino che brucia fin dall’inizio del mondo ed egli che ci sta entrando adesso, non ha meno tempo di lui da trascorrervi. Allora, i demoni stessi che lo hanno spinto a peccare, per rendere il suo supplizio ancora più violento, gli metteranno davanti tutte le grazie che il buon Dio aveva meritato per lui, con la sua morte e con la sua santa Passione. Egli vede come preoccupandosi della sua salvezza, sarebbe stato più felice. Egli vede quanto Gesù Cristo sia buono, per coloro che vogliono amarlo. – Ma, malgrado tutte queste riflessioni, che per lui saranno come altrettanti inferni, bisognerà rassegnarsi a bere, per tutta l’eternità, a piena bocca, il fiele del furore di Colui che doveva essere tutta la sua felicità, se egli si fosse deciso ad amarlo. Ah! triste meditazione che questo Cristiano farà per tutta l’eternità, dicendo a se stesso: ho perso il mio tempo, ho rovinato la mia anima, ho perduto DIO, ho rifiutato il cielo, ed ora mi aspetta una eternità di sofferenze! Ah! Cielo! che disgrazia! Ecco, fratelli miei, cosa succede a chi perde di vista i suoi fini ultimi. Ma! forse voi direte, voi dite bene che ci sia un’eternità infelice per i peccatori; ma occorre che lo dimostriate. Sarebbe molto facile, fratelli miei; ma questo significherebbe fare un affronto a dei Cristiani. Sarebbe molto meglio per voi, se potessi convincervi della necessità che avete di fare tutto il possibile per evitare quei tormenti. Se volete, ve ne dirò qualche parola, di passaggio, visto che siete così ignoranti e così ciechi, da nutrire qualche dubbio sull’argomento. Ascoltatemi bene. – Ecco cosa ci dice lo Spirito Santo per bocca del profeta Daniele: ci sono due sorta di uomini, ci sono coloro che sono giusti, vi sono quelli che sono peccatori; gli uni muoiono nella grazia di Dio, gli altri in odio a Lui. Tutti compariranno un giorno davanti al buon Dio, tutti si risveglieranno dal sonno della morte; tutti saranno giudicati e riceveranno una sentenza senza appello, dopo la quale, gli uni non avranno più nulla da temere, gli altri più nulla da sperare. Ma la differenza che sarà trovata tra gli uni e gli altri sarà molto grande, poiché gli uni si sveglieranno per andare a godere una gioia eterna, gli altri, per essere coperti di obbrobri, inabissati in ogni genere di pena, e questo, per tutta l’eternità. Lo Spirito Santo ci indica dappertutto quale sarà la sorte dei peccatori nell’altra vita; Egli ci dice: « Il Signore spargerà il fuoco sulla loro carne, affinché ardano e siano eternamente divorati ». Il santo re Davide dice che « il peccatore che durante la vita ha disprezzato il suo Dio, sarà gettato nell’inferno ». Se desiderate procedere oltre, san Giovanni Battista, predicando ai Giudei il battesimo di penitenza, per prepararli alla venuta del Messia, insegna loro, ancora, quale sarà la sorte del peccatore nell’altro mondo, dicendo loro che Gesù Cristo verrà un giorno e separerà il buon grano dal grano cattivo e dalla paglia: il buon grano, che sono i giusti, il Padre eterno li porrà nel suo granaio, che è il cielo; il grano cattivo e la paglia, che sono i peccatori, saranno legati in fasci e saranno gettati nel fuoco, che è l’inferno; là vi sarà pianto e stridore di denti. Gesù Cristo ci dice nel Vangelo, che il ricco epulone muore e che l’inferno è il suo sepolcro, dove soffre infiniti mali. Lazzaro, invece, è trasportato dagli Angeli nel seno di Abramo, cioè nel cielo. In un altro passo, parlando del peccatore ci dice: « Va’, maledetto, nel fuoco che è stato preparato per il demonio e per coloro che lo hanno imitato ». Sant’Agostino ci dice parlando del peccatore: « Va’ maledetto, tu hai disprezzato il tuo DIO e le sue grazie durante la vita; va’ maledetto,  tu sarai precipitato in uno stagno di fuoco e di zolfo per tutta l’eternità. » Ma, fratelli miei, ciò che sto dicendo è inutile. Non c’è bisogno che vada a trovare così grandi prove, per mostrarvi che c’è una vita felice o infelice, a seconda che avremo vissuto bene o male. E’ sufficiente solo che apriate il vostro Catechismo, e lì troverete tutto quello che dovete credere, sapere e fare. Infatti, fratelli miei, quale è stata la prima domanda che vi è stata fatta, quando siete venuti in Chiesa per farvi istruire? Non è stata forse questa: chi vi ha creato e conservato fino al presente? E voi non avete forse risposto, molto semplicemente, che è stato DIO? Poi vi è stato chiesto: perché DIO vi ha creato? E voi avete risposto: per conoscerlo, amarlo, servirlo, e con questo mezzo guadagnare la vita eterna. Ecco, dunque, quale deve essere tutta l’occupazione di un buon Cristiano, e tutta la sua felicità. Deve imparare a conoscere DIO, cioè, a conoscere quali siano i mezzi più sicuri che debba usare, per piacere al buon DIO, evitando il male, e facendo il bene. Sto dicendo, fratelli miei, che noi dobbiamo amare il buon DIO. Ahimè! fratelli miei, non inganniamoci; se non ameremo il buon Dio in questo mondo, non avremo mai e poi mai la felicità di amarlo nell’altro. Non vi è stato detto forse, quando siete venuti al catechismo, che se non salvate la vostra anima, per voi tutto è perduto? Che avrete un bel piangere per tutta l’eternità, che non ne caverete un bel nulla! Non vi è stato forse assicurato, facendovi distinguere il bene dal male, che un solo peccato mortale possa portarvi alla idannazione eterna? E non vi è stato detto che il peccato sia l’unico male che dovete temere, perché non c’è che esso che abbia il potere di separarci da Dio per tutta l’eternità, gettandoci nell’inferno? Non vi è stato forse detto, che tutti noi un giorno moriremo, e che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo per ognuno di noi? Non vi è stato forse ricordato che nell’istante in cui moriremo, saremo giudicati rigorosamente, e che tutto ciò che abbiamo fatto durante la nostra vita, sia in bene che in male, ci accompagnerà davanti al tribunale di Dio? Non avevo, dunque, ragione nel dirvi che se conoscessimo tutto quello che è scritto nel nostro Catechismo, avremmo tutta la scienza necessaria per salvarci? Allorché siete venuti qui, nella vostra infanzia, non vi è stato forse detto che, dopo questo tempo che finirà ben presto, ne verrà un altro che non finirà mai più, e che racchiuderà ogni sorta di bene o di male, a seconda che ci avremo fatto bene o male? Ditemi, fratelli miei, se tutte queste verità fossero incise nei nostri cuori, potremmo vivere senza amare il buon Dio, e senza fare tutto ciò che dipende da noi, per evitare tutti questi malanni? – Ahimè! fratelli miei, queste verità hanno fatto tremare i Santi, hanno fatto convertire grandi peccatori, e hanno spinto i penitenti a usare grande rigore nelle loro penitenze e nelle loro macerazioni! – Leggiamo nella storia che sant’Ambrogio, scrivendo all’imperatore Teodosio che aveva commesso un certo peccato, più per essere stato colto di sorpresa che per malizia, gli diceva: « Ho visto – dice Sant’Ambrogio – in una visione nella quale il buon DIO mi ha mostrato che, se ti avessi visto venire in chiesa, mi ha comandato di chiudervi la porta, poiché il vostro peccato vi aveva reso indegno di entrarvi ». Dopo la lettura di questa lettera, l’imperatore cominciò a spandere lacrime in abbondanza; tuttavia, come era suo costume, andò a presentarsi alla porta della chiesa, nella speranza che il Vescovo si sarebbe lasciato commuovere dalle sue lacrime e dal suo pentimento. Ma il Vescovo, ben lontano dal lasciarsi piegare, come i suoi ministri vili e compiacenti, vedendolo avvicinarsi alla chiesa, gli intimò di fermarsi, secondo l’ordine ricevuto da DIO, poiché non era degno di entrare nella casa di Colui che aveva osato oltraggiare, e gli ordinò di cominciare a espiare il suo peccato ». L’imperatore rispose: « E’ vero – gli dice –  che sono un peccatore e indegno di entrare nel tempio del Signore, ma il buon DIO vede il mio pentimento. Anche Davide ha peccato, ed il Signore gli ha perdonato ». – « Ebbene! – gli rispose sant’Ambrogio – se avete imitato Davide nel suo peccato, imitatelo nella sua penitenza ». L’imperatore, senza nulla replicare a queste parole, si ritira; le lacrime colano dai suoi occhi; il suo cuore si lacera per il dolore; si strappa i suoi abiti regali e ne indossa di poveri e laceri, si getta con la faccia a terra, abbandonandosi a tutta l’amarezza del dolore e facendo risuonare per il palazzo le grida più laceranti. I suoi sudditi, vedendolo in una così grande desolazione, non hanno il coraggio né di guardarlo, né di rivolgergli la minima parola per consolarlo; si contentano di mescolare le loro lacrime a quelle del loro padrone; il suo palazzo si trasforma in un luogo di dolore, di lacrime e di penitenza. Egli non si contenta di confessare il suo peccato nel tribunale della penitenza, ma lo confessò pubblicamente, affinché una tale umiliazione attirasse su di lui la misericordia di DIO. Era inconsolabile nel vedere che i suoi sudditi potessero entrare in chiesa, mentre egli ne era escluso. Se gli si permetteva di partecipare ad una preghiera pubblica, vi prendeva parte nella maniera più umiliante: non stava né in piedi, né in ginocchio, come gli altri, ma prostrato con la faccia a terra, inondandola di lacrime. Si strappava i capelli per mostrare la grandezza del suo dolore, raccoglieva delle pietre con le quali si martoriava il petto e gridava: Misericordia! Per tutta la vita conservò il ricordo del suo peccato: i suoi occhi versavano continuamente lacrime. Ma se voi mi domandate: quale è stata la causa di tante lacrime, di un così grande dolore e di una penitenza così straordinaria? Ahimè! fratelli miei, vi risponderei: che fu il solo pensiero che un giorno Dio lo avrebbe citato in giudizio per il suo peccato, davanti a quel tribunale dove sarebbe stato giudicato senza più misericordia. Ahimè! fratelli miei, se queste grandi verità fossero ben impresse nei nostri cuori, potremmo noi vivere senza lavorare continuamente per placare la giustizia di Dio, che i nostri peccati hanno tanto esasperato? In effetti, fratelli miei, chi è colui che, pensando che non si trovi in questo mondo se non per salvarsi l’anima, potrebbe ancora cercare di ingannare o fare torto al proprio prossimo? Chi è colui che ben convinto che tutti questi beni che accumula a discapito della salvezza della sua anima, fra poco tempo li lascerà a degli eredi che forse sono ingrati, che li dissiperanno in dissolutezze, senza, forse, fare la minima preghiera in suffragio della sua anima? Ma, quand’anche essi li usassero per compiere opere buone, queste non potranno strapparvi all’inferno, se voi avete lasciato la vostra anima nel peccato. Chi potrebbe ancora abbandonarsi ai divertimenti del mondo, che sono tanto fugaci e sì funesti per la nostra salvezza, perdendo di vista l’affare più grande della nostra salvezza? Chi è colui che, essendo ben persuaso che un solo peccato mortale possa dannarlo, avrebbe il coraggio di commetterlo? Oppure, chi, avendo avuto la disgrazia di averlo commesso, potrebbe restare ancora in uno stato sì deplorevole, in cui la mano di DIO può colpirlo da un momento all’altro, e non si affretterebbe invece a far ricorso al Sacramento della Penitenza, unico rimedio che il buon DIO ci offre, nella sua misericordia? – Chi è colui, fratelli miei, che pensando che potrebbe morire in qualunque momento, non vivrebbe ogni giorno, tremante, sull’orlo dell’abisso? Chi è colui che si attaccherebbe tanto fortemente alla vita, al pensiero che forse domani non esisterà più? Chi, fratelli miei, pur essendo certo che nell’istante in cui andrà a comparire davanti a DIO, sarà giudicato con ogni rigore, non temerebbe continuamente di dover subire un giudizio, così temibile perfino per i più giusti? Chi è colui fratelli miei che, essendo certo che dopo questa vita mortale ne avremo un’altra felice o infelice, a seconda che avremo vissuto bene o male, non metterebbe ogni cura nel meritare i beni che il buon DIO ha preparato per coloro che lo hanno amato? Ah! fratelli miei, diciamo ancora meglio, chi è colui che, meditando a fondo queste grandi verità, non vivrebbe e non morirebbe da santo? Anima mia – gridava un santo penitente – ricordati dei tuoi peccati e di queste grandi verità; non dimenticare mai da dove vieni, dove vai, da chi hai ricevuto l’essere, a chi devi donare il tuo cuore, che cosa hai portato in questo mondo e che cosa porterai via, uscendo dal tuo esilio. Ahimè! fratelli miei, noi, fino ad ora, non abbiamo mai considerato tutto questo fino al presente; ahimè! noi aspettiamo, per pensarci, il momento in cui le nostre lacrime e le nostre penitenze resteranno senza frutto. Come saremmo felici, fratelli miei, se queste grandi verità potessero dissipare le tenebre che ci accecano, riguardo al grande affare della nostra salvezza; se noi avessimo la fortuna di essere fortemente convinti che noi non siamo stati che un puro nulla e un miserabile verme di terra: che siamo solo peccatori e pieni di colpe, che un giorno saremo eternamente felici, se evitiamo il peccato, ed eternamente infelici, se seguiamo le nostre cattive inclinazioni! Ahimè! fratelli miei, forse non abbiamo a nostra disposizione che pochi istanti ancora, per prepararci al terribile passaggio. Rientriamo nei nostri cuori, fratelli miei, per non occuparci che delle grandi verità, le sole degne della nostra attenzione, le sole capaci di convertirci. Fratelli miei, lasciamo passare ciò che passa e perisce insieme a noi; attacchiamoci a ciò che è eterno e permanente. Diciamo a tutte le cose di quaggiù, come facevano tutti i Santi: No! No! Voi per me non contate più nulla, dal momento che, forse domani, o voi o io, non esisteremo più; lasciatemi profittare del poco tempo che mi resta, per fare in modo che il buon Dio si degni di perdonarmi. Ah! no, no, io non voglio vivere che per Dio, disprezzando i beni che periscono. Ah! questi Santi hanno ben compreso queste grandi verità! E potremmo dire che ne hanno fatto l’unica loro occupazione! Leggiamo nella storia della Chiesa che un gran numero di Santi, tutti penetrati dal nulla di questo mondo e dalla grandezza delle verità, lo hanno disprezzato e abbandonato, per andare a chiudersi nei monasteri o ritirarsi nel fondo delle foreste, per poter meditare queste verità con maggiore agio. E là, nelle grotte spaventose e oscure, lontani dai rumori e dai tumulti del mondo, non si occupavano d’altro se non di queste verità immutabili. Penetrati da questi grandi sentimenti, esercitavano sui loro corpi tutti i rigori della penitenza, che il loro amore per DIO gli ispirava. La preghiera, il digiuno e la disciplina, riducevano i loro corpi in uno stato degno della più grande compassione. Una gran parte di loro non mangiava che qualche radice che trovava smuovendo la terra. Se mangiavano qualche pezzetto di pane, lo ammollivano con le loro lacrime, vedendosi costretti a dare un po’ di sollievo a quel corpo che era più morto che vivente. Così trascorrevano la loro vita, che non era altro che un continuo martirio. E allorché, dopo venti, trenta, quaranta o ottant’anni di penitenza, arrivavano alla fine della loro corsa, ancora tutti spaventati, si dicevano, gridando, gli uni gli altri: Pensate, amici miei, che Dio avrà finalmente pietà delle nostre anime e che si lascerà piegare? Che vorrà ancora accordarci il perdono dei nostri peccati? Pensate che potremo ancora trovare grazia davanti a questo Giudice che allora sarà senza misericordia? Ah! chi pregherà per noi, per addolcire la severità del nostro Giudice? Ah! potremo ancora sperare di aver parte un giorno alla felicità dei figli di DIO? – Sì, fratelli miei, noi vediamo che i Santi penitenti, dopo aver avuto la fortuna di conoscere che cosa sia veramente il peccato, e come il buon Dio lo punisca severamente nell’altra vita, non mettevano limiti alla loro penitenza. – San Girolamo ci racconta che una dama romana, avendo abbandonato il marito, a causa dei vizi a cui era dedito, credette che, essendosi separata secondo la legge, poteva, senza peccare, rimaritarsi legittimamente con un altro uomo. San Girolamo ci dice che un giorno la rese consapevole del suo peccato; ella allora fu colta da un tale dolore, coperta da una tale confusione, che abbandonò all’istante gli abiti mondani e si vestì di un sacco; … i capelli scompigliati, il volto coperto di fango, le mani tutte sporche, la testa coperta di cenere e di polvere, i vestiti tutti strappati, la bocca serrata. In questo misero stato, si va a gettare ai piedi del santo Padre (san Girolamo). Il santo Padre e tutti coloro che furono testimoni di questo spettacolo, non riuscivano a resistere vedendo il triste stato in cui questa signora romana era caduta, a causa della sua ignoranza. Roma, continua questo Padre, faceva echeggiare le sue mura delle grida più laceranti, e sembrava voler condividere il dolore di questa grande penitente. Ella confessava pubblicamente il suo peccato, sempre versando un torrente di lacrime. Portò per tutta la vita i vestiti della penitenza; il suo dolore e il suo pentimento la seguirono fino alla tomba. Non contenta di tutto ciò, vendette tutti i suoi beni, che erano immensi, per vivere e morire nella più grande povertà. A questo punto vi sarete chiesti: … ma quale è stata la causa di tutto questo? Ahimè! Il solo pensiero che un giorno le sarebbe stato intimato di andare a presentarsi davanti al tribunale di Gesù Cristo. Ella chiedeva a Dio la grazia di prolungarle di qualche giorno la vita, affinché avesse il tempo di fare penitenza. Ahimè! Gridava ad ogni istante, bisogna che io vada a comparire davanti al buon Dio; che ne sarà di me, se il mio peccato non sarà cancellato dalle lacrime e dalla penitenza? O felice penitenza! O lacrime salutari! Venite in mio aiuto: soltanto voi voglio come compagne per tutti i giorni della mia vita. Ahimè! Fratelli miei, ci dice il grande Santo Giovanni Climaco, se il pensiero dell’eternità ha portato tanti Santi a fare penitenze così straordinarie, quale sarà la nostra sorte, noi che non facciamo nessuna penitenza? DIO mio! Quanto sarà terribile la vostra giustizia per questi poveri peccatori che non avranno nulla su cui appoggiarsi! « Ah! Amici miei, egli ci dice, ho visto dei penitenti in un luogo che non si può nemmeno immaginare, senza versare lacrime; in un luogo, dico, sprovvisto di ogni aiuto umano, di ogni consolazione umana. Non c’era che oscurità, puzza e sporcizia; tutto era così spaventoso, che non lo si poteva vedere senza piangere di compassione. Questi nobili e santi penitenti non avevano in questo luogo né fuoco né vino, solo qualche radice e qualche pezzo di pane duro e nero che essi inzuppavano con le loro lacrime. Quando arrivai – ci dice san Giovanni Climaco, in quel luogo di penitenza, che molto giustamente è nominato « soggiorno del pianto e delle lacrime », vidi veramente, oserei dire, ciò che colui il quale trascura la sua salvezza, non ha mai visto, e ciò che colui che è pigro nei suoi doveri, non ha mai ascoltato, e ciò che il cuore di colui che cammina lentamente nella via della virtù, non ha mai potuto comprendere; poiché vi assicuro che ho visto delle azioni ed ho ascoltato delle parole, capaci di esprimerlo. Alcuni passavano le notti intere in piedi nel rigore dell’inverno e, quando il loro povero corpo cadeva per la debolezza e il rilassamento: Ah! maledetto, dicevano a se stessi, poiché hai avuto l’ardire di oltraggiare il buon DIO, bisogna che tu soffra in questo mondo o nell’altro. Scegli la parte che vuoi prendere; le sofferenze di questo mondo non sono che di un momento, invece quelle dell’altra vita sono eterne. Ne vidi altri che con gli occhi sempre levati al cielo, rivolgevano le grida più laceranti chiedendo misericordia. Altri che si facevano legare le mani, finanche le dita, durante la loro preghiera, come criminali, ritenendosi indegni di fissare il cielo. Essi erano talmente penetrati dalla loro miseria e del loro niente che non sapevano da dove cominciare la loro preghiera. Essi si offrivano a DIO come vittime pronte ad essere immolate. Si vedevano altri, vestiti da un sacco, coperti di cenere, distesi sul pavimento e battersi la fronte contro le pietre; altri che piangevano con tante lacrime, da formarne dei ruscelli. Ne vidi alcuni talmente pieni di ulcere, che ne usciva un’infezione capace di far morire coloro che erano loro vicini. Essi avevano sì poca cura di sé, che i loro corpi sembravano un ammasso di ossa coperto da una pelle. Ovunque ci si volgeva, non si ascoltavano che grida e singhiozzi che laceravano le viscere facendo versare lacrime. Le loro grida più frequenti erano: Ah! guai a noi che abbiam peccato! Gli uni portavano il loro rigore tanto lontano che non bevevano acqua se non per impedirsi di morire; altri, quando mettevano qualche boccone di pane in bocca, lo rigettavano subito dicendo che essi erano indegni di mangiare il pane dei figli di DIO dopo averlo oltraggiato. Essi avevano sempre presente al loro spirito e davanti ai loro occhi l’immagine della morte; essi si dicevano l’un l’altro: ahimè! Amici miei, cosa diventeremo? Pensate che avanziamo un poco nella strada della penitenza? Oh! Siano profonde le nostre lacrime! I nostri debiti sono troppo grandi! Come faremo per ripagarli? Facciamo, si dicevano, come i niniviti. Ahimè! Chissà se il buon DIO non avrà ancora pietà di noi? Facciamo tutto ciò che potremo per sperare che il Signore voglia ancora lasciarsi commuovere; corriamo nella corsia della penitenza senza risparmiare questo corpo di peccato che non è che abisso di corruzione: uccidiamo questo corpo maledetto come esso ha voluto uccidere le nostre povere anime. Era questo il loro linguaggio ordinario, esso era sufficiente – ci dice San Giovanni Climaco, a condurli a piangere amaramente: essi avevano gli occhi abbattuti, infossati nella testa, non avevano più ciglia alle palpebre: le loro gote erano talmente infossate che sembrava che il fuoco le avesse rose, tanto era per loro ordinario il piangere con lacrime calde; il loro viso era così sfigurato e pallido che sembravano dei morti che avevano dimorato due giorni nella tomba; ve n’erano di taluni che si martoriavano talmente il petto a colpi di pietre, che alla maggior parte di essi si vedeva il sangue uscire dalla bocca; diversi chiedevano al loro superiore di mettere loro dei ferri al collo ed alle mani e ceppi ai piedi: una parte li tenevano fino alla tomba. Essi erano così umili, amavano talmente il buon DIO, avevano tanto dolore dei propri peccati, e si vedevano sul punto di comparire davanti al loro Giudice, che essi pregavano in grazia del loro superiore, di non seppellirli; ma di gettarli in qualche fiume o in qualche foresta per servire da pasto ai lupi e alle bestie selvagge. Ecco – ci dice San Giovanni – la maniera in cui vivevano queste anime sante ed innocenti. Quando fui di ritorno – continua il Santo medesimo –  ed il superiore vide che ero così distrutto e che appena poteva riconoscermi e sembravo di non poter più vivere: ebbene! Padre mio – mi dice – avete visto i travagli ed i combattimenti del nostro genere di soldati? Io non potei rispondergli se non con lacrime e singhiozzi, tanto questo genere di vita mi aveva colpito in dei corpi umani. » Ahimè! Fratelli miei, dove siamo? Qual sarà la nostra sorte e la nostra eternità se DIO domandasse a noi altrettanto? Ah! No, no, fratelli miei, mai per noi il cielo se ci volesse tanto! Ah! almeno senza fare così grandi e spaventose penitenze e cominciassimo ad amare il buon DIO, potremmo  ancora sperare la stessa felicità! Oh DIO mio, quanto siamo ciechi circa la nostra eterna felicità! Ahimè!, fratelli miei, questi grandi Santi che ammiriamo senza avere il coraggio di imitarli, ditemi, avevano forse un altro Vangelo da seguire? Avevano un’altra Religione da praticare? Avevano un altro DIO da servire? Un’altra eternità da temere o da sperare? No, senza dubbio, fratelli miei, ma essi avevano la fede che noi non abbiamo, che noi abbiamo quasi spenta per la moltitudine dei nostri peccati: è che essi pensano seriamente alla salvezza della loro povera anima, mentre noi lasciamo da parte questa povera anima che è sì povera e che tanto è costata a Gesù-Cristo, e che torna indifferente salvare o dannare. È che essi meditavano incessantemente queste grandi e terribili verità dell’altra vita, la perdita di un DIO, la grandezza del peccato, una eternità felice o infelice, l’incertezza della morte, gli abissi spaventosi dei giudizi di DIO e le sequele di un avvenire felice o infelice, secondo che avremo vissuto bene o male, mentre noi non ci pensiamo mai. Non essendo occupati che da cose di questo mondo, lasciamo la nostra anima ed il cielo da parte. In una parola, c’è che essi vivono da penitenti e da Santi, mentre noi viviamo da mondani, nel peccato e nei piaceri del mondo, e non di penitenza. O cecità dell’uomo, quanto grande tu sei! Chi potrà mai comprenderlo? Non essere in questo mondo che per amare il buon DIO e salvare la nostra anima, e non vivere per offenderlo e rendere la nostra anima infelice per l’eternità! In effetti, fratelli miei, qual è la nostra vita al presente? A cosa abbiamo pensato da quando siamo sulla terra? A chi abbiamo dato il nostro cuore? Cosa abbiamo fatto per Dio, nostro primo ed ultimo fine? Qual zelo, quale ardore abbiamo avuto per la gloria di Dio e la salvezza della nostra povera anima che è costata tante sofferenze a Gesù-Cristo? Quanti rimproveri, al contrario, non abbiamo da farci? Ahimè! Ben lungi dall’avere impiegato tutta la nostra vita a procurare la gloria di DIO ed assicurarci la felicità eterna, forse noi non vi abbiamo mai pensato un solo giorno, come un Cristiano dovrebbe fare tutta la vita. Ah! ingrati! È forse per questo che il buon DIO  ci ha creati e messo sulla terra? Non è al contrario che per occuparci di Lui e consacrargli tutto i movimenti del nostro cuore? Noi non dovremmo vivere che per LUI, e forse non abbiamo ancora vissuto un solo giorno del quale potremmo dire di essere tutto per Lui e solo per Lui. Ahimè! Fratelli miei, ben presto ci toccherà render conto di tutte le nostre azioni. Cosa abbiamo da presentargli? Cosa avremo da rispondere a tutte le sue interrogazioni quando ci mostrerà da un lato tutte le grazie che ci ha accordato durante tutta la nostra vita, e dall’altra il poco profitto o piuttosto il disprezzo che ne abbiamo fatto? È possibile mai che, avendo tra le mani, delle grazie così preziose, siamo ancora sì tiepidi, sì lassi e languidi nel servizio a DIO? Ah! fratelli miei, se i pagani e gli idolatri avessero ricevuto tante grazie come noi, non sarebbero divenuti gran Santi? Quanti, fratelli miei, grandi peccatori, se fossero stati ricolmi di tanti benefici come noi, non avrebbero fatto penitenza, come i niniviti, coperti da cenere e cilicio? Ricordiamoci, fratelli miei, tutto ciò che il buon DIO ha fatto per noi da quando siamo al mondo. Quanti tra voi sono morti senza avere avuto il beneficio di ricevere il santo Battesimo? Quanti altri che, dopo un peccato mortale sono stati colpiti subito e sono caduti nell’inferno! Oh! Quanti pericoli anche corporali da cui DIO, nella sua misericordia, ci ha preservato, preferendoci a tanti altri che sono periti in una maniera straordinaria. Ma a quanti di noi, dopo avere avuto la disgrazia di peccare, il buon DIO non ci ha perseguiti con rimorsi di coscienza, di buoni pensieri? Quante istruzioni, quanti buoni esempi che sembravano rimproverarci la nostra indifferenza per la nostra salvezza! Ditemi, fratelli miei, dopo tanti tratti di misericordia del buon DIO, cosa avremo da rispondergli quando ci domanderà conto del profitto che ne abbiamo fatto? O pensiero triste, fratelli miei,  per un peccatore che ha disprezzato tutto, e che non ha saputo profittare di nulla. Eh ben ingrato, ci dirà Gesù-Cristo, le virtù che vi ho comandato erano troppo difficili? Non potevate praticarle come tanti altri? In quale stato comparirete davanti a me! Non sapevate che sarebbe arrivato un giorno in cui Io avrei domandato a voi conto di tutto ciò che la mia misericordia ha fatto per voi? Ebbene, miserabili, rendetemi conto di tutto ciò che la mia misericordia ha fatto per voi! Ahimè! Fratelli miei, cosa andremo a rispondere, o piuttosto qual confusione per noi! Preveniamo, fratelli miei, questo momento orribile per il peccatore, profittando finalmente delle grazie che la bontà di DIO vuole ancora ben accordarci oggi. Io dico oggi, perché forse domani, in cui il buon DIO ci avrà abbandonato, non saremo più in questo mondo. Sapete, fratelli miei, il linguaggio che dobbiamo tenere in questo momento? Eccolo: Ah! diremo. Io sapevo molto bene che non ero sulla terra che per poco tempo, e tuttavia non ho vissuto che per il mondo. E perdendo la vita eterna, io sapevo che in qualche anno avrei finito la mia corsa, e che mille anni non sarebbero stati tanto lunghi per prepararmi a questo triste passaggio da questo mondo all’eternità in cui potevo entrare in ogni istante; e questo poco tempo io non l’ho impiegato che per gli affari del tempo, per i divertimenti e per del niente. Ecco questo tempo prezioso che DIO non mi aveva dato che per assicurarmi una eterna felicità che va a sparire ai miei occhi, e l’eternità che sta per cominciare per non finire mai. Sarà essa felice o infelice? Ahimè! Cosa ho fatto per meritarla felice? O tempo perduto! Eternità obliata! Qual disprezzo! Tu che getti anime nell’inferno! O cecità dell’uomo che potrà comprendere, quattro giorni da passare in questo mondo ed una eternità intera nell’altra: e questi quattro giorni hanno fatto tutta la mia occupazione, ed io ho fatto tutto ciò che ho potuto per cancellarvi dalla mia memoria. DIO mio, dov’è dunque la nostra fede? Dove la nostra ragione? Per vivere come viviamo. – Cosa dobbiamo concludere da tutto questo, fratelli miei? È che, malgrado noi abbiamo tanto disprezzato delle grazie, se vogliamo profittare di quelle che il buon DIO vuole accordarci nella sua misericordia, non soltanto potremo riscattare il tempo passato, ma procurarci una felicità infinita nell’altra vita. Se il buon DIO ci ha conservato la vita, malgrado tanti peccati, non è che perché voleva effondere su di noi la grandezza delle sue misericordie; più siamo peccatori, più Egli desidera la nostra salvezza, affinché possiamo essere come tanti strumenti per manifestare per tutta l’eternità la grandezza delle sue misericordie per i peccatori. Sì, fratelli miei, Egli ci attende con le braccia aperte; Egli ci apre la piaga del suo Cuore divino per nasconderci alla severità della giustizia di suo Padre; Egli ci presenta tutti i meriti della sua morte e passione al fin di pagare per i nostri peccati. Se il nostro ritorno è sincero, Egli si incarica di rispondere per noi al tribunale di suo Padre, quando saremo interrogati per rendere conto della nostra vita. Felice colui che obbedisce alla voce del suo DIO che lo chiama! Felice, fratelli miei, colui che non avrà mai perso di vista che la sua vita è breve, che può morire in ogni istante, e non ha mai perso il pensiero che dopo questa vita sarà giudicato, per una eternità di felicità e di dannazione, per il cielo o per l’inferno. O DIO mio! Se noi pensassimo incessantemente ai nostri fini ultimi, potremo vivere nel peccato, potremmo dimenticare questo tempo avvenire che, una volta cominciato, non finirà mai? Ditemi, fratelli miei, credete a questa eternità, voi che dopo forse dieci o venti anni siete nell’odio di DIO? Credete all’eternità, fratelli miei, voi che avete i beni di altri? Ah! no, no, se voi vi credeste, voi non potreste vivere come vivete. Ditemi, voi miserabile, che dopo tanti anni di peccati celati nelle vostre Confessioni, colpevole di tanti sacrilegi fatti con le Comunioni; ahimè! Se voi lo credeste appena un poco, non morireste di orrore di voi stesso, pensando ad ogni momento in cui siete esposto ad andare a rendere conto di tutte queste turpitudini davanti ad un Giudice che sarà senza misericordia. Sì, fratelli miei, se avessimo la felicità di ben meditare su ciò che ci attende dopo questo mondo che è così breve, sarebbe impossibile non lavorare per tutta la vita tremando nel timore di non riuscire a salvare la nostra povera anima. Felice, fratelli miei, colui che si terrà sempre pronto! Ciò che io vi auguro…

 Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Propítius esto, Dómine, supplicatiónibus nostris: et, pópuli tui oblatiónibus precibúsque suscéptis, ómnium nostrum ad te corda convérte; ut, a terrenis cupiditátibus liberáti, ad cœléstia desidéria transeámus.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche e, ricevute le offerte e le preghiere del tuo popolo, converti a Te i cuori di noi tutti, affinché, liberati dalle brame terrene, ci rivolgiamo ai desideri celesti.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI: 24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato].

Postcommunio

Orémus.
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine: ut per hæc sacraménta quæ súmpsimus, quidquid in nostra mente vitiósum est, ipsorum medicatiónis dono curétur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore: che quanto di vizioso è nell’ànima nostra sia curato dalla virtú medicinale di questi sacramenti che abbiamo assunto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: DELLE VERITÁ ETERNE

(Discorsi del santo curato d’Ars, vol. I, quarta edizione. Torino-Roma, C. Ed. Marietti, 1933)

DELLE VERITÁ ETERNE

Memorare novissima tua, et in æternum non peccabis

“Ricordati della tua fine e non peccherai in eterno”

(Eccli. VII, 40)

Fratelli miei bisogna che queste verità siano molto potenti e molto salutari, se lo Spirito Santo ci assicura che se le meditiamo seriamente non peccheremo mai. Ciò non è difficile da comprendere. In effetti, fratelli miei, chi è colui che potrebbe attaccarsi ai beni di questo mondo pensando che fra poco tempo non ci sarà più? Da Adamo fino al presente, nessuno si è portato via qualcosa da quaggiù, e anche per noi sarà lo stesso. Chi è colui che si occuperebbe tanto degli affari di questo mondo, se fosse veramente persuaso che il tempo che trascorre sulla terra non gli sia donato se non per impegnarsi a guadagnare il cielo? Chi è colui che, ben impresso nella mente, o meglio nel cuore, che la vita del Cristiano debba essere vissuta nelle lacrime e nella penitenza, potrebbe ancora dedicarsi ai piaceri e alle gioie folli del mondo? Chi è colui che, essendo ben convinto che potrebbe morire in ogni momento, non si terrebbe sempre pronto? Ma mi voi mi direte: perché queste verità che hanno convertito tanti peccatori ci impressionano così poco? Ahimè, fratelli miei, questo accade perché noi non le meditiamo seriamente; il nostro cuore è troppo occupato dagli oggetti sensibili, che possono soddisfare le sue cattive inclinazioni; inoltre essendo il nostro spirito ingombro di affari temporali, perdiamo di vista queste grandi verità che dovrebbero costituire la nostra unica occupazione in questo mondo. Se mi domandaste perché lo Spirito Santo ci raccomanda con tanta insistenza di non perdere mai di vista queste verità, eccovene la ragione: il motivo è che non c’è nulla che sia più capace di distaccarci dai beni di questo mondo, niente di più potente per farci sopportare le miserie della vita in spirito di penitenza, o per meglio dire, nulla, più di queste verità ci faccia distaccare da tutte le cose create per non legarci che a DIO solo. – Ah! Fratelli miei, non dimentichiamo mai queste grandi verità, e cioè: che la nostra vita non è che un sogno; che la morte ci segue molto da vicino, e che ben presto essa ci raggiungerà; che un giorno saremo giudicati molto severamente, e che dopo questo giudizio la nostra sorte sarà fissata per sempre. Vedete, fratelli miei, quanto Gesù Cristo desideri salvarci: a volte ci si presenta come un povero Bambino nella sua mangiatoia, adagiato su una manciata di paglia che egli bagna con le sue lacrime; altre volte come un criminale, legato, incatenato, coronato di spine, flagellato, cadente sotto il peso della sua croce, e, infine, morente tra i supplizi, per amore nostro. Anche se ciò non fosse capace di commuoverci, di attirarci a Lui, ci induce però ad annunciare che un giorno ritornerà, rivestito con tutto lo splendore della sua gloria e della maestà del Padre suo, per giudicarci senza più grazia né misericordia. Allora Egli svelerà, davanti al mondo intero, sia il bene che il male che noi abbiamo fatto in ogni istante della nostra vita. Ditemi, fratelli miei, se noi pensassimo bene a tutto ciò, ci sarebbe bisogno d’altro, per farci vivere e morire da santi? Ma Gesù Cristo, per farci comprendere bene cosa dobbiamo fare per andare in cielo, ci dice nel Vangelo, che le persone del mondo conducono una vita completamente opposta a quella di coloro che gli sono graditi, che appartengono interamente a Lui. I buoni Cristiani, Egli ci dice, fanno consistere la loro felicità nelle lacrime, nella penitenza e nel disprezzo; mentre le persone del mondo fanno consistere la loro felicità nei piaceri, nella gioia e negli onori della terra, rifuggendo da tutto il resto. Sicché, ci dice Gesù Cristo, la vita degli uni è del tutto opposta a quella degli altri, ed essi non andranno mai d’accordo, né nel modo di vivere né di pensare. E questo è molto facile da comprendere. Io dico che ci sono quattro cose che fanno la felicità di un buon Cristiano: la brevità della vita, il pensiero della morte, il giudizio e l’eternità. E noi vediamo che proprio queste quattro cose, costituiscono, invece, la disperazione di un cattivo Cristiano, cioè di una persona che dimentica il suo fine ultimo, per occuparsi solo delle cose presenti.

1. Dico che la brevità della vita è di conforto a un buon Cristiano, poiché egli vede che le sue pene, le sue disgrazie, le sue persecuzioni, le sue tentazioni, la sua separazione da DIO, non saranno lunghe. Quale gioia per noi, fratelli miei, quando pensiamo che tra poco tempo lasceremo questo mondo, dove siamo sempre in pericolo di offendere il buon DIO, che è un Salvatore così caritatevole, che ha tanto sofferto per noi. Ahimè! fratelli miei, con questo pensiero, potremmo forse noi mai attaccarci alla vita che è piena di tante miserie? “Che buona nuova! Esclamò san Girolamo. Quando si venne per annunziargli che stava per morire, felice nuova, che sta per unirmi al mio DIO, per sempre!”. Ed in effetti, fratelli miei, così è, dato che la morte è lo strumento di cui il buon DIO si serve per liberarci.

2° Io dico che il giudizio, ben lungi dal gettare il Cristiano nella disperazione, non fa invece che consolarlo, perché egli sta per trovarsi davanti non un giudice severo, ma suo Padre e il suo Salvatore. Sì, suo Padre, che lo attende per aprirgli le viscere della sua misericordia, al fine di riceverlo nel suo seno paterno; che sta, io dico, per manifestare al mondo intero tutte le sue lacrime, le sue penitenze, e tutte le buone opere che egli ha fatto durante tutti i giorni della sua vita.

3° Il pensiero dell’eternità, poi, porta al colmo la sua gioia. Se la sua beatitudine è infinita nelle sue dolcezze e nelle sue grandezze, l’eternità gli assicura che essa non finirà mai. Questo solo pensiero, fratelli miei, deve incoraggiarci a ben servire il buon DIO e per sopportare con pazienza tutte le miserie della vita, perché, una volta che saremo in cielo, non ne usciremo mai più! Ahimè! fratelli miei, tutte le miserie di questo mondo passano, tutto questo non dura che un momento, mentre la ricompensa durerà per sempre. Coraggio! ci dice san Paolo, siamo ormai vicini alla meta della nostra strada. Ma per un Cristiano, fratelli miei, che ha perso di vista il pensiero dei suoi fini ultimi, non è la stessa cosa; la brevità della vita è una sciagura e un’amarezza che lo turba e lo rode anche nel bel mezzo dei suoi piaceri; egli fa tutto ciò che può per allontanare questo pensiero della morte. Tutto ciò che gliene offre un ricordo, lo atterrisce; rimedi e medicine, tutto è invocato in suo soccorso, al minimo sentore che la morte si approssimi. Egli crede sempre di poter trovare la felicità quaggiù. Ma, purtroppo, egli si inganna. Questo povero derelitto, abbandonando il buon DIO, abbandona proprio ciò che poteva procurargliela; al momento della morte, sarà costretto a confessare di aver trascorso tutta la vita nel cercare un bene che non è mai riuscito a trovare. Ahimè! fuori di Dio, solo molte pene, molte sofferenze, nessuna consolazione, e nessuna ricompensa! Prima di partire da questo mondo, avrà il suo bel gridare, come quel re di cui ci parla la Scrittura, nell’Antico Testamento, il quale, vedendosi sul punto di dover lasciare la vita e tutti i suoi beni, diceva: “Ah!, devo dunque morire! Devo lasciare le mie aiuole e i miei bei giardini, per andare in un paese dove non conosco nessuno!”. Ahimè! la morte che è la consolazione del giusto, diviene la sua disperazione; bisogna morire, e non ci si è mai pensato! Ah! triste pensiero, bisogna andare a rendere conto a DIO di una vita che non è che una catena di peccati, e… senza buone opere che possano rassicurarlo. Al momento di partire da questa vita, egli vede chiaramente che il buon DIO lo aveva posto sulla terra soltanto per servirlo e per salvare la sua povera anima, mentre non ha fatto altro che oltraggiarlo e perdere così la sua bella anima. Egli vede, capisce benissimo, in questo momento, che il buon Dio non voleva affatto che si perdesse, ma voleva assolutamente salvarlo, e che sono i suoi peccati che Lo costringono a condannarlo. Quanto poi all’eternità, egli vede che fra qualche minuto sarà gettato nell’inferno. DIO mio, che disperazione! Se il pensiero dell’eternità consola tanto un Cristiano, nella certezza che la sua felicità non avrà mai fine, questo medesimo pensiero, completa la disperazione di questo povero infelice. Ah! povero disperato, deve iniziare il suo inferno per non finirlo mai più! Entrando nell’inferno, vede l’infelice Caino che brucia fin dall’inizio del mondo ed egli che ci sta entrando adesso, non ha meno tempo di lui da trascorrervi. Allora, i demoni stessi che lo hanno spinto a peccare, per rendere il suo supplizio ancora più violento, gli metteranno davanti tutte le grazie che il buon Dio aveva meritato per lui, con la sua morte e con la sua santa Passione. Egli vede come preoccupandosi della sua salvezza, sarebbe stato più felice. Egli vede quanto Gesù Cristo sia buono, per coloro che vogliono amarlo. – Ma, malgrado tutte queste riflessioni, che per lui saranno come altrettanti inferni, bisognerà rassegnarsi a bere, per tutta l’eternità, a piena bocca, il fiele del furore di Colui che doveva essere tutta la sua felicità, se egli si fosse deciso ad amarlo. Ah! triste meditazione che questo Cristiano farà per tutta l’eternità, dicendo a se stesso: ho perso il mio tempo, ho rovinato la mia anima, ho perduto DIO, ho rifiutato il cielo, ed ora mi aspetta una eternità di sofferenze! Ah! Cielo! che disgrazia! Ecco, fratelli miei, cosa succede a chi perde di vista i suoi fini ultimi. Ma! forse voi direte, voi dite bene che ci sia un’eternità infelice per i peccatori; ma occorre che lo dimostriate. Sarebbe molto facile, fratelli miei; ma questo significherebbe fare un affronto a dei Cristiani. Sarebbe molto meglio per voi, se potessi convincervi della necessità che avete di fare tutto il possibile per evitare quei tormenti. Se volete, ve ne dirò qualche parola, di passaggio, visto che siete così ignoranti e così ciechi, da nutrire qualche dubbio sull’argomento. Ascoltatemi bene. – Ecco cosa ci dice lo Spirito Santo per bocca del profeta Daniele: ci sono due sorta di uomini, ci sono coloro che sono giusti, vi sono quelli che sono peccatori; gli uni muoiono nella grazia di Dio, gli altri in odio a Lui. Tutti compariranno un giorno davanti al buon Dio, tutti si risveglieranno dal sonno della morte; tutti saranno giudicati e riceveranno una sentenza senza appello, dopo la quale, gli uni non avranno più nulla da temere, gli altri più nulla da sperare. Ma la differenza che sarà trovata tra gli uni e gli altri sarà molto grande, poiché gli uni si sveglieranno per andare a godere una gioia eterna, gli altri, per essere coperti di obbrobri, inabissati in ogni genere di pena, e questo, per tutta l’eternità. Lo Spirito Santo ci indica dappertutto quale sarà la sorte dei peccatori nell’altra vita; Egli ci dice: « Il Signore spargerà il fuoco sulla loro carne, affinché ardano e siano eternamente divorati ». Il santo re Davide dice che « il peccatore che durante la vita ha disprezzato il suo Dio, sarà gettato nell’inferno ». Se desiderate procedere oltre, san Giovanni Battista, predicando ai Giudei il battesimo di penitenza, per prepararli alla venuta del Messia, insegna loro, ancora, quale sarà la sorte del peccatore nell’altro mondo, dicendo loro che Gesù Cristo verrà un giorno e separerà il buon grano dal grano cattivo e dalla paglia: il buon grano, che sono i giusti, il Padre eterno li porrà nel suo granaio, che è il cielo; il grano cattivo e la paglia, che sono i peccatori, saranno legati in fasci e saranno gettati nel fuoco, che è l’inferno; là vi sarà pianto e stridore di denti. Gesù Cristo ci dice nel Vangelo, che il ricco epulone muore e che l’inferno è il suo sepolcro, dove soffre infiniti mali. Lazzaro, invece, è trasportato dagli Angeli nel seno di Abramo, cioè nel cielo. In un altro passo, parlando del peccatore ci dice: « Va’, maledetto, nel fuoco che è stato preparato per il demonio e per coloro che lo hanno imitato ». San Agostino ci dice parlando del peccatore: « Va’ maledetto, tu hai disprezzato il tuo DIO e le sue grazie durante la vita; va’ maledetto,  tu sarai precipitato in uno stagno di fuoco e di zolfo per tutta l’eternità. » Ma, fratelli miei, ciò che sto dicendo è inutile. Non c’è bisogno che vada a trovare così grandi prove, per mostrarvi che c’è una vita felice o infelice, a seconda che avremo vissuto bene o male. E’ sufficiente solo che apriate il vostro Catechismo, e lì troverete tutto quello che dovete credere, sapere e fare. Infatti, fratelli miei, quale è stata la prima domanda che vi è stata fatta, quando siete venuti in Chiesa per farvi istruire? Non è stata forse questa: chi vi ha creato e conservato fino al presente? E voi non avete forse risposto, molto semplicemente, che è stato DIO? Poi vi è stato chiesto: perché DIO vi ha creato? E voi avete risposto: per conoscerlo, amarlo, servirlo, e con questo mezzo guadagnare la vita eterna. Ecco, dunque, quale deve essere tutta l’occupazione di un buon Cristiano, e tutta la sua felicità. Deve imparare a conoscere DIO, cioè, a conoscere quali siano i mezzi più sicuri che debba usare, per piacere al buon DIO, evitando il male, e facendo il bene. Sto dicendo, fratelli miei, che noi dobbiamo amare il buon DIO. Ahimè! fratelli miei, non inganniamoci; se non ameremo il buon Dio in questo mondo, non avremo mai e poi mai la felicità di amarlo nell’altro. Non vi è stato detto forse, quando siete venuti al catechismo, che se non salvate la vostra anima, per voi tutto è perduto? Che avrete un bel piangere per tutta l’eternità, che non ne caverete un bel nulla! Non vi è stato forse assicurato, facendovi distinguere il bene dal male, che un solo peccato mortale possa portarvi alla dannazione eterna? E non vi è stato detto che il peccato sia l’unico male che dovete temere, perché non c’è che esso che abbia il potere di separarci da Dio per tutta l’eternità, gettandoci nell’inferno? Non vi è stato forse detto, che tutti noi un giorno moriremo, e che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo per ognuno di noi? Non vi è stato forse ricordato che nell’istante in cui moriremo, saremo giudicati rigorosamente, e che tutto ciò che abbiamo fatto durante la nostra vita, sia in bene che in male, ci accompagnerà davanti al tribunale di Dio? Non avevo, dunque, ragione nel dirvi che se conoscessimo tutto quello che è scritto nel nostro Catechismo, avremmo tutta la scienza necessaria per salvarci? Allorché siete venuti qui, nella vostra infanzia, non vi è stato forse detto che, dopo questo tempo che finirà ben presto, ne verrà un altro che non finirà mai più, e che racchiuderà ogni sorta di bene o di male, a seconda che ci avremo fatto bene o male? Ditemi, fratelli miei, se tutte queste verità fossero incise nei nostri cuori, potremmo vivere senza amare il buon Dio, e senza fare tutto ciò che dipende da noi, per evitare tutti questi malanni? – Ahimè! fratelli miei, queste verità hanno fatto tremare i Santi, hanno fatto convertire grandi peccatori, e hanno spinto i penitenti a usare grande rigore nelle loro penitenze e nelle loro macerazioni! – Leggiamo nella storia che sant’Ambrogio, scrivendo all’imperatore Teodosio che aveva commesso un certo peccato, più per essere stato colto di sorpresa che per malizia, gli diceva: « Ho visto – dice Sant’Ambrogio – in una visione nella quale il buon DIO mi ha mostrato che, se ti avessi visto venire in chiesa, mi ha comandato di chiudervi la porta, poiché il vostro peccato vi aveva reso indegno di entrarvi ». Dopo la lettura di questa lettera, l’imperatore cominciò a spandere lacrime in abbondanza; tuttavia, come era suo costume, andò a presentarsi alla porta della chiesa, nella speranza che il Vescovo si sarebbe lasciato commuovere dalle sue lacrime e dal suo pentimento. Ma il Vescovo, ben lontano dal lasciarsi piegare, come i suoi ministri vili e compiacenti, vedendolo avvicinarsi alla chiesa, gli intimò di fermarsi, secondo l’ordine ricevuto da DIO, poiché non era degno di entrare nella casa di Colui che aveva osato oltraggiare, e gli ordinò di cominciare a espiare il suo peccato ». L’imperatore rispose: « E’ vero – gli dice l’imperatore –  che sono un peccatore e indegno di entrare nel tempio del Signore, ma il buon DIO vede il mio pentimento. Anche Davide ha peccato, ed il Signore gli ha perdonato ». – « Ebbene! – gli rispose sant’Ambrogio – se avete imitato Davide nel suo peccato, imitatelo nella sua penitenza ». L’imperatore, senza nulla replicare a queste parole, si ritira; le lacrime colano dai suoi occhi; il suo cuore si lacera per il dolore; si strappa i suoi abiti regali e ne indossa di poveri e laceri, si getta con la faccia a terra, abbandonandosi a tutta l’amarezza del dolore e facendo risuonare per il palazzo le grida più laceranti. I suoi sudditi, vedendolo in una così grande desolazione, non hanno il coraggio né di guardarlo, né di rivolgergli la minima parola per consolarlo; si contentano di mescolare le loro lacrime a quelle del loro padrone; il suo palazzo si trasforma in un luogo di dolore, di lacrime e di penitenza. Egli non si contenta di confessare il suo peccato nel tribunale della penitenza, ma lo confessò pubblicamente, affinché una tale umiliazione attirasse su di lui la misericordia di DIO. Era inconsolabile nel vedere che i suoi sudditi potessero entrare in chiesa, mentre egli ne era escluso. Se gli si permetteva di partecipare ad una preghiera pubblica, vi prendeva parte nella maniera più umiliante: non stava né in piedi, né in ginocchio, come gli altri, ma prostrato con la faccia a terra, inondandola di lacrime. Si strappava i capelli per mostrare la grandezza del suo dolore, raccoglieva delle pietre con le quali si martoriava il petto e gridava: Misericordia! Per tutta la vita conservò il ricordo del suo peccato: i suoi occhi versavano continuamente lacrime. Ma se voi mi domandate: quale è stata la causa di tante lacrime, di un così grande dolore e di una penitenza così straordinaria? Ahimè! fratelli miei, vi risponderei: che fu il solo pensiero che un giorno Dio lo avrebbe citato in giudizio per il suo peccato, davanti a quel tribunale dove sarebbe stato giudicato senza più misericordia. Ahimè! fratelli miei, se queste grandi verità fossero ben impresse nei nostri cuori, potremmo noi vivere senza lavorare continuamente per placare la giustizia di Dio, che i nostri peccati hanno tanto esasperato? In effetti, fratelli miei, chi è colui che, pensando che non si trovi in questo mondo se non per salvarsi l’anima, potrebbe ancora cercare di ingannare o fare torto al proprio prossimo? Chi è colui che ben convinto che tutti questi beni che accumula a discapito della salvezza della sua anima, fra poco tempo li lascerà a degli eredi che forse sono ingrati che li dissiperanno in dissolutezze, senza, forse, fare la minima preghiera in suffragio della sua anima? Ma, quand’anche essi li usassero per compiere opere buone, queste non potranno strapparvi all’inferno, se voi avete lasciato la vostra anima nel peccato. Chi potrebbe ancora abbandonarsi ai divertimenti del mondo, che sono tanto fugaci e sì funesti per la nostra salvezza, perdendo di vista l’affare più grande della nostra salvezza. Chi è colui che, essendo ben persuaso che un solo peccato mortale possa dannarlo, avrebbe il coraggio di commetterlo? Oppure, chi, avendo avuto la disgrazia di averlo commesso, potrebbe restare ancora in uno stato sì deplorevole, in cui la mano di DIO può colpirlo da un momento all’altro, e non si affretterebbe invece a far ricorso al Sacramento della Penitenza, unico rimedio che il buon DIO ci offre, nella sua misericordia? – Chi è colui, fratelli miei, che pensando che potrebbe morire in qualunque momento, non vivrebbe ogni giorno, tremante, sull’orlo dell’abisso? Chi è colui che si attaccherebbe tanto fortemente alla vita, al pensiero che forse domani non esisterà più? Chi, fratelli miei, pur essendo certo che nell’istante in cui andrà a comparire davanti a DIO, sarà giudicato con ogni rigore, non temerebbe continuamente di dover subire un giudizio, così temibile perfino per i più giusti? Chi è colui fratelli miei che, essendo certo che dopo questa vita mortale ne avremo un’altra felice o infelice, a seconda che avremo vissuto bene o male, non metterebbe ogni cura nel meritare i beni che il buon DIO ha preparato per coloro che lo hanno amato? Ah! fratelli miei, diciamo ancora meglio, chi è colui che, meditando a fondo queste grandi verità, non vivrebbe e non morirebbe da santo? Anima mia – gridava un santo penitente – ricordati dei tuoi peccati e di queste grandi verità; non dimenticare mai da dove vieni, dove vai, da chi hai ricevuto l’essere, a chi devi donare il tuo cuore, che cosa hai portato in questo mondo e che cosa porterai via, uscendo dal tuo esilio. Ahimè! fratelli miei, noi, fino ad ora, non abbiamo mai considerato tutto questo fino al presente; ahimè! noi aspettiamo, per pensarci, il momento in cui le nostre lacrime e le nostre penitenze resteranno senza frutto. Come saremmo felici, fratelli miei, se queste grandi verità potessero dissipare le tenebre che ci accecano, riguardo al grande affare della nostra salvezza; se noi avessimo la fortuna di essere fortemente convinti che noi non siamo stati che un puro nulla e un miserabile verme di terra: che siamo solo peccatori e pieni di colpe, che un giorno saremo eternamente felici, se evitiamo il peccato, ed eternamente infelici, se seguiamo le nostre cattive inclinazioni! Ahimè! fratelli miei, forse non abbiamo a nostra disposizione che pochi istanti ancora, per prepararci al terribile passaggio. Rientriamo nei nostri cuori, fratelli miei, per non occuparci che delle grandi verità, le sole degne della nostra attenzione, le sole capaci di convertirci. Fratelli miei, lasciamo passare ciò che passa e perisce insieme a noi; attacchiamoci a ciò che è eterno e permanente. Diciamo a tutte le cose di quaggiù, come facevano tutti i Santi: No! No! Voi per me non contate più nulla, dal momento che, forse domani, o voi o io, non esisteremo più; lasciatemi profittare del poco tempo che mi resta, per fare in modo che il buon Dio si degni di perdonarmi. Ah! no, no, io non voglio vivere che per Dio, disprezzando i beni che periscono. Ah! questi Santi hanno ben compreso queste grandi verità! E potremmo dire che ne hanno fatto l’unica loro occupazione! Leggiamo nella storia della Chiesa che un gran numero di Santi, tutti penetrati dal nulla di questo mondo e dalla grandezza delle verità, lo hanno disprezzato e abbandonato, per andare a chiudersi nei monasteri o ritirarsi nel fondo delle foreste, per poter meditare queste verità con maggiore agio. E là, nelle grotte spaventose e oscure, lontani dai rumori e dai tumulti del mondo, non si occupavano d’altro se non di queste verità immutabili. Penetrati da questi grandi sentimenti, esercitavano sui loro corpi tutti i rigori della penitenza, che il loro amore per DIO gli ispirava. La preghiera, il digiuno e la disciplina, riducevano i loro corpi in uno stato degno della più grande compassione. Una gran parte di loro non mangiava che qualche radice che trovava smuovendo la terra. Se mangiavano qualche pezzetto di pane, lo ammollivano con le loro lacrime, vedendosi costretti a dare un po’ di sollievo a quel corpo che era più morto che vivente. Così trascorrevano la loro vita, che non era altro che un continuo martirio. E allorché, dopo venti, trenta, quaranta o ottant’anni di penitenza, arrivavano alla fine della loro corsa, ancora tutti spaventati, si dicevano, gridando, gli uni gli altri: Pensate, amici miei, che Dio avrà finalmente pietà delle nostre anime e che si lascerà piegare? Che vorrà ancora accordarci il perdono dei nostri peccati? Pensate che potremo ancora trovare grazia davanti a questo giudice che allora sarà senza misericordia? Ah! chi pregherà per noi, per addolcire la severità del nostro Giudice? Ah! potremo ancora sperare di aver parte un giorno alla felicità dei figli di DIO? – Sì, fratelli miei, noi vediamo che i Santi penitenti, dopo aver avuto la fortuna di conoscere che cosa sia veramente il peccato, e come il buon Dio lo punisca severamente nell’altra vita, non mettevano limiti alla loro penitenza. – San Girolamo ci racconta che una dama romana, avendo abbandonato il marito, a causa dei vizi a cui era dedito, credette che, essendosi separata secondo la legge, poteva, senza peccare, rimaritarsi legittimamente con un altro uomo. San Girolamo ci dice che un giorno la rese consapevole del suo peccato; ella allora fu colta da un tale dolore, coperta da una tale confusione, che abbandonò all’istante gli abiti mondani e si vestì di un sacco; … i capelli scompigliati, il volto coperto di fango, le mani tutte sporche, la testa coperta di cenere e di polvere, i vestiti tutti strappati, la bocca serrata. In questo misero stato, si va a gettare ai piedi del Santo Padre (san Girolamo). Il Santo Padre e tutti coloro che furono testimoni di questo spettacolo, non riuscivano a resistere vedendo il triste stato in cui questa signora romana era caduta, a causa della sua ignoranza. Roma, continua questo Padre, faceva echeggiare le sue mura delle grida più laceranti, e sembrava voler condividere il dolore di questa grande penitente. Ella confessava pubblicamente il suo peccato, sempre versando un torrente di lacrime. Portò per tutta la vita i vestiti della penitenza; il suo dolore e il suo pentimento la seguirono fino alla tomba. Non contenta di tutto ciò, vendette tutti i suoi beni, che erano immensi, per vivere e morire nella più grande povertà. A questo punto vi sarete chiesti: … ma quale è stata la causa di tutto questo? Ahimè! Il solo pensiero che un giorno le sarebbe stato intimato di andare a presentarsi davanti al tribunale di Gesù Cristo. Ella chiedeva a Dio la grazia di prolungarle di qualche giorno la vita, affinché avesse il tempo di fare penitenza. Ahimè! Gridava ad ogni istante, bisogna che io vada a comparire davanti al buon Dio; che ne sarà di me, se il mio peccato non sarà cancellato dalle lacrime e dalla penitenza? O felice penitenza! O lacrime salutari! Venite in mio aiuto: soltanto voi voglio come compagne per tutti i giorni della mia vita. Ahimè! Fratelli miei, ci dice il grande Santo Giovanni Climaco, se il pensiero dell’eternità ha portato tanti Santi a fare penitenze così straordinarie, quale sarà la nostra sorte, noi che non facciamo nessuna penitenza? DIO mio! Quanto sarà terribile la vostra giustizia per questi poveri peccatori che non avranno nulla su cui appoggiarsi! « Ah! Amici miei, egli ci dice, ho visto dei penitenti in un luogo che non si può nemmeno immaginare, senza versare lacrime; in un luogo, dico, sprovvisto di ogni aiuto umano, di ogni consolazione umana. Non c’era che oscurità, puzza e sporcizia; tutto era così spaventoso, che non lo si poteva vedere senza piangere di compassione. Questi nobili e santi penitenti non avevano in questo luogo né fuoco né vino, solo qualche radice e qualche pezzo di pane duro e nero che essi inzuppavano con le loro lacrime. Quando arrivai – ci dice san Giovanni Climaco, in quel luogo di penitenza, che molto giustamente è nominato « soggiorno del pianto e delle lacrime », vidi veramente, oserei dire, ciò che colui il quale trascura la sua salvezza, non ha mai visto, e ciò che colui che è pigro nei suoi doveri, non ha mai ascoltato, e ciò che il cuore di colui che cammina lentamente nella via della virtù, non ha mai potuto comprendere; poiché vi assicuro che ho visto delle azioni ed ho ascoltato delle parole, capaci di esprimerlo. Alcuni passavano le notti intere in piedi nel rigore dell’inverno e, quando il loro povero corpo cadeva per la debolezza e il rilassamento: Ah! maledetto, dicevano a se stessi, poiché hai avuto l’ardire di oltraggiare il buon DIO, bisogna che tu soffra in questo mondo o nell’altro. Scegli la parte che vuoi prendere; le sofferenze di questo mondo non sono che un di momento, invece quelle dell’altra vita sono eterne. Ne vidi altri che con gli occhi sempre levati al cielo, rivolgevano le grida più laceranti chiedendo misericordia. Altri che si facevano legare le mani, finanche le dita, durante la loro preghiera, come criminali, ritenendosi indegni di fissare il cielo. Essi erano talmente penetrati dalla loro miseria e del loro niente che non sapevano da dove cominciare la loro preghiera. Essi si offrivano a DIO come vittime pronte ad essere immolate. Si vedevano altri, vestiti da un sacco, coperti di cenere, distesi sul pavimento e battersi la fronte contro le pietre; altri che piangevano con tante lacrime, da formarne dei ruscelli. Ne vidi alcuni talmente pieni di ulcere, che ne usciva un’infezione capace di far morire coloro che erano loro vicini. Essi avevano sì poca cura di sé, che i loro corpi sembravano un ammasso di ossa coperto da una pelle. Ovunque ci si volgeva, non si ascoltavano che grida e singhiozzi che laceravano le viscere facendo versare lacrime. Le loro grida più frequenti erano: Ah! guai a noi che abbiam peccato! Gli uni portavano il loro rigore tanto lontano che non bevevano acqua se non per impedirsi di morire; altri, quando mettevano qualche boccone di pane in bocca, lo rigettavano subito dicendo che essi erano indegni di mangiare il pane dei figli di DIO dopo averlo oltraggiato. Essi avevano sempre presente al loro spirito e davanti ai loro occhi l’immagine della morte; essi si dicevano l’un l’altro: ahimè! Amici miei, cosa diventeremo? Pensate che avanziamo un poco nella strada della penitenza? Oh! Siano profonde le nostre lacrime! I nostri debiti sono troppo grandi! Come faremo per ripagarli? Facciamo, si dicevano, come i niniviti. Ahimè! Chissà se il buon DIO non avrà ancora pietà di noi? Facciamo tutto ciò che potremo per sperare che il Signore voglia ancora lasciarsi muovere; corriamo nella corsia della penitenza senza risparmiare questo corpo di peccato che non è che abisso di corruzione: uccidiamo questo corpo maledetto come esso ha voluto uccidere le nostre povere anime. Era questo il loro linguaggio ordinario, esso era sufficiente – ci dice San Giovanni Climaco, a condurli a piangere amaramente: essi avevano gli occhi abbattuti, infossati nella testa, non avevano più ciglia alle palpebre: le loro gote erano talmente infossate che sembrava che il fuoco le avesse rose, tanto era per loro ordinario il piangere con lacrime calde; il loro viso era così sfigurato e pallido che sembravano dei morti che avevano dimorato due giorni nella tomba; ve n’erano di taluni che si martoriavano talmente il petto a colpi di pietre, che alla maggior parte di essi si vedeva il sangue uscire dalla bocca; diversi chiedevano al loro superiore di mettere loro dei ferri al collo ed alle mani e ceppi ai piedi: una parte li tenevano fino alla tomba. Essi erano così umili, amavano talmente il buon DIO, avevano tanto dolore dei propri peccati, e si vedevano sul punto di comparire davanti al loro Giudice, che essi pregavano in grazia del loro superiore, di non seppellirli; ma di gettarli in qualche fiume o in qualche foresta per servire da pasto ai lupi e alle bestie selvagge. Ecco – ci dice San Giovanni – la maniera in cui vivevano queste anime sante ed innocenti. Quando fui i ritorno – continua il Santo medesimo –  ed il superiore vide che ero così distrutto e che appena poteva riconoscermi e sembravo di non poter più vivere: ebbene! Padre mio – mi dice – avete visto i travagli ed i combattimenti del nostro genere di soldati? Io non potei rispondergli se non con lacrime e singhiozzi, tanto questi genere di vita mi aveva colpito in dei corpi umani. » Ahimè! Fratelli miei, dove siamo? Qual sarà la nostra sorte e la nostra eternità se DIO domandasse a noi altrettanto? Ah! No, no, fratelli miei, mai per noi il cielo se ci volesse tanto! Ah! almeno senza fare così grandi e spaventose penitenze e cominciassimo ad amare il buon DIO, potremmo  ancora sperare la stessa felicità! Oh DIO mio, quanto siamo ciechi circa la nostra eterna felicità! Ahimè!, fratelli miei, questi grandi Santi che ammiriamo senza avere il coraggio di imitarli, ditemi, avevano forse un altro Vangelo da seguire? Avevano un’altra Religione da praticare? Avevano un altro DIO da servire? Un’altra eternità da temere o da sperare? No, senza dubbio, fratelli miei, ma essi avevano la fede che noi non abbiamo, che noi abbiamo quasi spenta per la moltitudine dei nostri peccati: è che essi pensano seriamente alla salvezza della loro povera anima, mentre noi lasciamo da parte questa povera anima che è sì povera e che tanto è costata a Gesù-Cristo, e che torna indifferente salvare o dannare. È che essi meditavano incessantemente queste grandi e terribili verità dell’altra vita, la perdita di un DIO, la grandezza del peccato, una eternità felice o infelice, l’incertezza della morte, gli abissi spaventosi dei giudizi di DIO e le sequele di un avvenire felice o infelice, secondo che avremo vissuto bene o male, mentre noi non ci pensiamo mai. Non essendo occupati che da cose di questo mondo, lasciamo la nostra anima ed il cielo da parte. In una parola, c’è che essi vivono da penitenti e da Santi, mentre noi viviamo da mondani, nel peccato e nei piaceri del mondo, e non di penitenza. O cecità dell’uomo, quanto grande tu sei! Chi potrà mai comprenderlo? Non essere in questo mondo che per amare il buon DIO e salvare la nostra anima, e non vivere per offenderlo e rendere la nostra anima infelice per l’eternità! In effetti, fratelli miei, qual è la nostra vita al presente? A cosa abbiamo pensato da quando siamo sulla terra? A chi abbiamo dato il nostro cuore? Cosa abbiamo fatto per Dio, nostro primo ed ultimo fine? Qual zelo, quale ardore abbiamo avuto per la gloria di Dio e la salvezza della nostra povera anima che è costata tante sofferenze a Gesù-Cristo? Quanti rimproveri, al contrario, non abbiamo da farci? Ahimè! Ben lungi dall’avere impiegato tutta la nostra vita a procurare la gloria di DIO ed assicurarci la felicità eterna, forse noi non vi abbiamo mai pensato un solo giorno, come un Cristiano dovrebbe fare tutta la vita. Ah! ingrati! È forse per questo che il buon DIO  ci ha creati e messo sulla terra? Non è al contrario che per occuparci di Lui e consacrargli tutto i movimenti del nostro cuore? Noi non dovremmo vivere che per LUI, e forse non abbiamo ancora vissuto un solo giorno del quale potremmo dire di essere tutto per Lui e solo per Lui. Ahimè! Fratelli miei, ben presto ci toccherà render conto di tutte le nostre azioni. Cosa abbiamo da presentargli? Cosa avremo da rispondere a tutte le sue interrogazioni quando ci mostrerà da un lato tutte le grazie che ci ha accordato durante tutta la nostra vita, e dall’altra il poco profitto o piuttosto il disprezzo che ne abbiamo fatto? È possibile mai che, avendo tra le mani, delle grazie così preziose, siamo ancora sì tiepidi, sì lassi e languidi nel servizio a DIO? Ah! fratelli miei, se i pagani e gli idolatri avessero ricevuto tante grazie come noi, non sarebbero divenuti gran Santi? Quanti, fratelli miei, grandi peccatori, se fossero stati ricolmi di tanti benefici come noi, non avrebbero fatto penitenza, come i niniviti, coperti da cenere e cilicio? Ricordiamoci, fratelli miei, tutto ciò che il buon DIO ha fatto per noi da quando siamo al mondo. Quanti tra voi sono morti senza avere avuto il beneficio di ricevere il santo Battesimo? Quanti altri che, dopo un peccato mortale sono stati colpiti subito e sono caduti nell’inferno! Oh! Quanti pericoli anche corporali da cui DIO, nella sua misericordia, ci ha preservato, preferendoci a tanti altri che sono periti in una maniera straordinaria. Ma a quanti di noi, dopo avere avuto la disgrazia di peccare, il buon DIO non ci ha perseguiti con rimorsi di coscienza, di buoni pensieri? Quante istruzioni, quanti buoni esempi che sembravano rimproverarci la nostra indifferenza per la nostra salvezza! Ditemi, fratelli miei, dopo tanti tratti di misericordia del buon DIO, cosa avremo da rispondergli quando ci domanderà conto del profitto che ne abbiamo fatto? O pensiero triste, fratelli miei,  per un peccatore che ha disprezzato tutto, e che non ha saputo profittare di nulla. Eh ben ingrato, ci dirà Gesù-Cristo, le virtù che vi ho comandato erano troppo difficili? Non potevate praticarle come tanti altri? In quale stato comparirete davanti a me! Non sapevate che sarebbe arrivato un giorno in cui Io avrei domandato a voi conto di tutto ciò che la mia misericordia ha fatto per voi? Ebbene, miserabili, rendetemi conto di tutto ciò che la mia misericordia ha fatto per voi! Ahimè! Fratelli miei, cosa andremo a rispondere, o piuttosto qual confusione per noi! Preveniamo, fratelli miei, questo momento orribile per il peccatore, profittando finalmente delle grazie che la bontà di DIO vuole ancora ben accordarci oggi. Io dico oggi, perché forse domani, in cui il buon DIO ci avrà abbandonato, non saremo più in questo mondo. Sapete, fratelli miei, il linguaggio che dobbiamo tenere in questo momento? Eccolo: Ah! diremo. Io sapevo molto bene che non ero sulla terra che per poco tempo, e tuttavia non ho vissuto che per il mondo. E perdendo la vita eterna, io sapevo che in qualche anno avrei finito la mia corsa, e che mille anni non sarebbero stati tanto lunghi per prepararmi a questo triste passaggio da questo mondo all’eternità in cui potevo entrare in ogni istante; e questo poco tempo io non l’ho impiegato che per gli affari del tempo, per i divertimenti e per del niente. Ecco questo tempo prezioso che DIO non mi aveva dato che per assicurarmi una eterna felicità che va a sparire ai miei occhi, e l’eternità che sta per cominciare per non finire mai. Sarà essa felice o infelice? Ahimè! Cosa ho fatto per meritarla felice? O tempo perduto! Eternità obliata! Qual disprezzo! Tu che getti anime nell’inferno! O cecità dell’uomo che potrà comprendere, quattro giorni da passare in questo mondo ed una eternità intera nell’altra: e questi quattro giorni hanno fatto tutta la mia occupazione, ed io ho fatto tutto ciò che ho potuto per cancellarvi dalla mia memoria. DIO mio, dov’è dunque la nostra fede? Dove la nostra ragione? Per vivere come viviamo. – Cosa dobbiamo concludere da tutto questo, fratelli miei? È che, malgrado noi abbiamo tanto disprezzato delle grazie, se vogliamo profittare di quelle che il buon DIO vuole accordarci nella sua misericordia, non soltanto potremo riscattare il tempo passato, ma procurarci una felicità infinita nell’altra vita. Se il buon DIO ci ha conservato la vita, malgrado tanti peccati, non è che perché voleva effondere su di noi la grandezza delle sue misericordie; più siamo peccatori, più Egli desidera la nostra salvezza, affinché possiamo essere come tanti strumenti per manifestare per tutta l’eternità la grandezza delle sue misericordie per i peccatori. Sì, fratelli miei, Egli ci attende con le braccia aperte; Egli ci apre la piaga del suo Cuore divino per nasconderci alla severità della giustizia di suo Padre; Egli ci presenta tutti i meriti della sua morte e passione al fin di pagare per i nostri peccati. Se il nostro ritorno è sincero, Egli si incarica di rispondere per noi al tribunale di suo Padre, quando saremo interrogati per rendere conto della nostra vita. felice colui che obbedisce alla voce del suo DIO che lo chiama! Felice, fratelli miei, colui che non avrà mai perso di vista che la sua vita è breve, che può morire in ogni istante, e non ha mai perso il pensiero che dopo questa vita sarà giudicato, per una eternità di felicità e di dannazione, per il cielo o per l’inferno. O DIO mio! Se noi pensassimo incessantemente ai nostri fini ultimi, potremo vivere nel peccato, potremmo dimenticare questo tempo avvenire che, una volta cominciato, non finirà mai? Ditemi, fratelli miei, credete a questa eternità, voi che dopo forse dieci o venti anni siete nell’odio di DIO? Credete all’eternità, fratelli miei, voi che avete i beni di altri? Ah! no, no, se voi vi credeste, voi non potreste vivere come vivete. Ditemi, voi miserabile, che dopo tanti anni di peccati celati nelle vostre Confessioni, colpevole di tanti sacrilegi fatti con le Comunioni; ahimè! Se voi lo credeste appena un poco, non morireste di orrore di voi stesso, pensando ad ogni momento in cui siete esposto ad andare a rendere conto di tutte queste turpitudini davanti ad un Giudice che sarà senza misericordia. Sì, fratelli miei, se avessimo la felicità di ben meditare su ciò che ci attende dopo questo mondo che è così breve, sarebbe impossibile non lavorare per tutta la vita tremando nel timore di non riuscire a salvare la nostra povera anima. Felice, fratelli miei, colui che si terrà sempre pronto! Ciò che io vi auguro…

DOMENICA VI quæ superfuit POST EPIPHANIAM – IV. Novembris

DOMENICA VI quæ superfuit POST EPIPHANIAM – IV. Novembris

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le domeniche terza, quarta, quinta e sesta dopo l’Epifania sono mobili e si celebrano fra la 23a e la 24a Domenica dopo Pentecoste, quando non hanno potuto entrare prima della Settuagesima, cioè quando la festa di Pasqua e il suo corteo di 9 Domeniche, che ad essa preparano, vengono molto presto (vedi Commento liturgico del Tempo della Settuagesima). In questo caso l’Orazione, l’Epistola e il Vangelo sono quelli delle Domeniche dopo l’Epifania e basta interpretarli nel senso del secondo avvento di Gesù Cristo invece del primo, per adattarli al tempo dopo Pentecoste che prepara le anime alla venuta del Salvatore alla fine del mondo, segnata dall’ultima Domenica dell’anno o 24a Domenica dopo Pentecoste. Quanto all’Introito, al Graduale, all’Alleluia, all’Offertorio e alla Comunione, si prendono quelli della 23a Domenica dopo Pentecoste, che fa direttamente allusione alla redenzione definitiva delle anime (Intr.), quando Gesù, rispondendo alla nostra invocazione (Alleluia, Offertorio, Communio) verrà a giudicare i vivi e i morti ed a strapparci per sempre dalle mani dei nostri nemici (Graduale). Per riferire la Messa di questo giorno alla lettura del Breviario di quest’epoca, si può leggere quello che abbiamo detto dei Maccabei alla 20a, 21a e 22a Dom. dopo Pentecoste. – Per riferire la Messa di questa Domenica alla lettura del Breviario di questo tempo leggasi quello che abbiamo detto dei Profeti dopo Pentecoste.

La Messa di questo giorno fa risaltare la divinità di Gesù attestando chiaramente che Egli ha ricevuto il potere, come Figlio di Dio, di giudicare tutti gli uomini. Gesù è Dio, poiché Egli rivela cose che sono nascoste in Dio e che il mondo ignora (Vangelo). La sua parola, che Egli paragona a un piccolo seme gettato nel campo del mondo ed a un po’ di lievito messo nella pasta, è divina, perché seda le nostre passioni e produce nel nostro cuore le meraviglie della fede, della speranza e della carità di cui ci parla l’Epistola. La Chiesa, suscitata dalla parola di Gesù Cristo, è simbolizzata mirabilmente dalle tre misure di farina, che la forza di espansione del lievito ha fatto « completamente fermentare » e dalla pianta di senapa, la più grande della sua specie, ove gli uccelli del cielo vengono a cercare un asilo. Meditiamo sempre la dottrina di Gesù (Or.), onde, come il lievito, essa penetri le anime nostre e le trasformi, e, come il grano di senapa, irradia l’anima del prossimo con la sua santità. Così il regno di Dio si estenderà vieppiù, quel regno quale Gesù ci ha chiamati e di cui egli è il Re. Egli eserciterà questa regalità soprattutto alla fine del mondo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Jer XXIX:11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.
(Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.)

Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.


(Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.)

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

(Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.)

Oratio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, semper rationabília meditántes, quæ tibi sunt plácita, et dictis exsequámur et factis.
(Concedici, o Dio onnipotente, Te ne preghiamo: che meditando sempre cose ragionevoli, compiamo ciò che a Te piace e con le parole e con i fatti.)

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Thessalonicénses
1 Thess 1: 2-10

Fratres: Grátias ágimus Deo semper pro ómnibus vobis, memóriam vestri faciéntes in oratiónibus nostris sine intermissióne, mémores óperis fídei vestræ, et labóris, et caritátis, et sustinéntiæ spei Dómini nostri Jesu Christi, ante Deum et Patrem nostrum: sciéntes, fratres, dilécti a Deo. electiónem vestram: quia Evangélium nostrum non fuit ad vos in sermóne tantum, sed et in virtúte, et in Spíritu Sancto, et in plenitúdine multa, sicut scitis quales fuérimus in vobis propter vos. Et vos imitatóres nostri facti estis, et Dómini, excipiéntes verbum in tribulatióne multa, cum gáudio Spíritus Sancti: ita ut facti sitis forma ómnibus credéntibus in Macedónia et in Achája. A vobis enim diffamátus est sermo Dómini, non solum in Macedónia et in Achája, sed et in omni loco fides vestra, quæ est ad Deum, profécta est, ita ut non sit nobis necésse quidquam loqui. Ipsi enim de nobis annúntiant, qualem intróitum habuérimus ad vos: et quómodo convérsi estis ad Deum a simulácris, servíre Deo vivo et vero, et exspectáre Fílium ejus de cœlis quem suscitávit ex mórtuis Jesum, qui erípuit nos ab ira ventúra.

“Fratelli: Noi rendiamo sempre grazie a Dio per voi tutti, facendo continuamente menzione di voi nelle nostre preghiere, memori nel cospetto di Dio e Padre nostro della vostra fede operosa, della vostra carità paziente e della vostra ferma speranza nel nostro Signor Gesù Cristo; sapendo, o fratelli cari a Dio, che siete stati eletti; poiché la nostra predicazione del vangelo presso di voi fu non nella sola parola, ma anche nei miracoli, nello Spirito Santo e nella piena convinzione: voi, infatti, sapete quali siamo stati tra voi per il vostro bene. E voi vi faceste imitatori nostri e del Signore, avendo accolta la parola in mezzo a molte tribolazioni col gaudio dello Spirito Santo, al punto da diventare un modello a tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. Poiché non solo da voi si è ripercossa nella Macedonia e nell’Acaia la parola di Dio; ma la fede che voi avete in Dio s’è sparsa in ogni luogo, così che non occorre che noi ne parliamo. Infatti, essi stessi, riferendo di noi, raccontano quale fu la nostra venuta tra voi, e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire al Dio vivo e vero, e aspettare dal cielo il suo Figlio (che Egli risuscitò da morte) Gesù, che ci ha liberati dall’ira ventura”.

TRIBOLAZIONI E GIOIE CRISTIANE.

Una delle storie più interessanti per tutti, interessantissima per noi Cristiani, è la storia della prima diffusione del Vangelo, specialmente quando chi la racconta, più che semplice testimone, ne è stato autore e attore. È il caso di San Paolo. E, nella Epistola d’oggi, Egli, l’Apostolo infaticabile, di quella storia ci narra una pagina, un frammento, tanto più importante, perché quello che dice della introduzione del Vangelo in Salonicco vale di tante altre terre. La propagazione del santo Vangelo certo non fu fatta a colpi di gran cassa, o di sciabola o di scimitarra: niente di ciarlatanesco e niente di bellicoso nel senso materiale della parola. La ciarlataneria stonava col sano realismo del Vangelo e la sua umiltà: la spada contrastava con la mansuetudine evangelica. Ma non fu neppure una diffusione tranquilla, pacifica e blanda. San Paolo ci parla di una tempesta o tribolazione attraverso la quale e con la quale il Vangelo s’impiantò nella industre città commerciale: tribolazione è la frase che adopera l’Apostolo. E vuol dire che ci fu da soffrire per lui e per i primi discepoli, da soffrire non poco. – Il Vangelo è entrato nel mondo giudaico o greco-romano ch’esso fosse, come un soffio procelloso di travolgimento. Non veniva a conservare e quasi ad imbalsamare uno stato di anime e di cose ormai impiantato e sicuro: veniva a sconvolgere idee, affetti, leggi, costumi. Qui lo stesso Apostolo ricorda il passaggio dei suoi Cristiani dalla servitù degli idoli simulacri, (parvenze di forze divine) alla adorazione del Dio vivo e vero. Ma quella idolatria a cui il Vangelo col suo monoteismo spirituale gittava un guanto di sfida, dichiarava una guerra mortale, quella idolatria era una religione organizzata e trionfante. Con quella, Roma aveva fatto la sua fortuna militare, e stava facendo la sua fortuna politica. E il Cristianesimo non veniva a temperare blandamente, a ritoccare il politeismo pagano: no, veniva a distruggerlo. Lo negava da cima a fondo. Voleva radicalmente sostituirlo. Operazione di alta chirurgia. Perciò la lotta che suonò da parte degli elementi pagani era una specie di legittima difesa. Il che va letteralmente ripetuto anche per la religione giudaica, pure al Vangelo tanto più affine. – Ma il Cristianesimo veniva a surrogare anche il giudaismo, come il definitivo surroga, sostituisce il provvisorio, il meriggio l’aurora. N. S. Gesù Cristo l’aveva annunciato e predetto. Non sono venuto, non vengo a suggellare una pace tranquilla: vengo a suscitare una tempesta, guerra. Guerra, lotta che se da parte degli agnelli evangelici veniva combattuta con dolcezza e mansuetudine nuova, dall’altra parte si combatteva in quella vece, colla fierezza antica, tradizionale. Donde tra le file cristiane dolore, tristezza, «tribulatio multa.» Grande e gioconda, lieta, serena. Di questa gioia ripieni, i Cristiani primi sopportarono le loro tribolazioni di convertiti, di cui parla espressamente ancora una volta l’Apostolo. Il Maestro l’aveva detto: «Sarete beati quando vi perseguiteranno, pagani e Giudei, e questi vi cacceranno dalle loro sinagoghe, quelli dai loro templi come traditori. Godete, esultate in quel giorno.» E averlo detto fu poco di fronte alla energia che Gesù Cristo seppe ispirare ai suoi seguaci: quella gioia della persecuzione che dagli Apostoli passa ai loro fedeli, che dalle prime generazioni cristiane, arriva, come un soffio eroico, fino a noi, senza interruzione. Tornavano lieti, — dice dei primissimi Apostoli e confessori della fede, il sacro testo, — dal Sinedrio, perché  avevano avuto l’alto ed immeritato onore di soffrire per Gesù Cristo. L’onore di soffrire! È una delle manifestazioni più geniali e impressionanti dello Spirito di Dio nei suoi fedeli. Infatti, San Paolo chiama quello dei suoi Cristiani gaudio dello Spirito Santo. Al quale deve salire assidua la nostra prece perché nella Chiesa di Dio mantenga questo eroismo almeno sotto forma di una disposizione alacre e pronta a tutto soffrire piuttosto di rinunciare alle fede e alla legge di Cristo, piuttosto che perdere per noi e per altri i frutti della Redenzione di Gesù Cristo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939).

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.
V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in sǽcula. Allelúja,

Allelúja.

(Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.

V. In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno. Allelúia, allelúia.)

Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

(Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.)

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XIII: 31-35
In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile est regnum cœlórum grano sinápis, quod accípiens homo seminávit in agro suo: quod mínimum quidem est ómnibus semínibus: cum autem créverit, majus est ómnibus oléribus, et fit arbor, ita ut vólucres cœli véniant et hábitent in ramis ejus. Aliam parábolam locútus est eis: Símile est regnum cœlórum ferménto, quod accéptum múlier abscóndit in farínæ satis tribus, donec fermentátum est totum. Hæc ómnia locútus est Jesus in parábolis ad turbas: et sine parábolis non loquebátur eis: ut implerétur quod dictum erat per Prophétam dicéntem: Apériam in parábolis os meum, eructábo abscóndita a constitutióne mundi.

[“In quel tempo Gesù propose alle turbe un’altra parabola, dicendo: È simile il regno de’ cieli a un grano di senapa, che un uomo prese e seminò nel suo campo. La quale è bensì in più minuta di tutte le semenze; ma cresciuta che sia è maggiore di tutti i legumi, e diventa un albero, dimodoché gli uccelli dell’aria vanno a riposare sopra i di lei rami. Un’altra parabola disse loro: È simile il regno de’ cieli a un pezzo di lievito, cui una donna rimestolla con tre staia di farina, fintantoché tutta sia fermentata. Tutte queste cose Gesù disse alle turbe per via di parabole: né mai parlava loro senza parabole; affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, manifesterò cose che sono state nascoste dalla fondazione del mondo”].

OMELIA.

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL NOSTRO CRESCERE IN GESÙ

Crescere è la legge di ogni vita. – Nel Cristiano ci sono tre specie di vita, ed in ciascuna egli deve svilupparsi fino alla sua giusta e piena misura. C’è in lui la vita fisica del corpo. Il bambino che nasce, voi sapete come ha le membra esili, le ossa senza consistenza, le manine più piccole dei petali di rosa. Ma poi, giorno per giorno, cresce: e i muscoli si fanno robusti e nervosi, le ossa induriscono, le manine divengono larghe e possenti, i passi sicuri ed energici. Guai se anche un membro solo del corpo non si sviluppasse! resterebbe un deforme e un rachitico. – C’è ancora nell’uomo la vita spirituale dell’anima, fatta di volontà ed intelligenza. Anche questa vita esige il suo sviluppo. Il bambino dapprima incapace d’un minimo atto di volontà crescerà fino a sopportare la violenza delle grandi passioni; dapprima incapace della più semplice idea crescerà fino a scoprire l’ingranaggio di complicati problemi e a reggere sotto il fardello di gravi pensieri. Guai se una qualunque causa impedisse questa crescita nel fanciullo! resterebbe un anormale, un deficiente. – Nel Cristiano c’è una terza vita, preziosissima perchè lo avvicina a Dio, infinitamente superiore alle prime due che ormai non hanno più ragione d’essere se non per sostenere quest’altra come i fili elettrici non hanno più importanza che per la misteriosa energia da cui sono attraversati. Parlo della vita soprannaturale della grazia, che ci fu data nelle acque del santo Battesimo. Agli occhi di Dio è l’unica cosa che ha valore, l’unica necessaria, « Unum necessarium! ». Si pensi dunque alla sventura di chi la perdesse o anche solo di chi non la sviluppasse, restando in essa sempre un bambino. Nel Vangelo d’oggi, con due parabole, Gesù insinua la necessità e il modo di crescere nella vita soprannaturale. «A che cosa paragoneremo il regno di Dio? o con quale parabola lo rappresenteremo? Ecco io lo raffiguro al granello di senape. Quando lo si semina, esso è il più piccolo di tutti i semi che sono sopra la terra; ma quando è stato seminato, a poco a poco cresce, e diventa il più alto e produce degli ampi rami, talché gli uccelli del cielo possono ripararsi sotto la sua ombra ». – Anche il regno di Dio in noi, cioè la vita soprannaturale della grazia, segue la legge del progresso. Il Battesimo non ce la comunica nella sua pienezza, ma come in germe che deve svilupparsi in noi mediante la nostra collaborazione. – Col Battesimo non si è Cristiani finiti e perfetti; si comincia soltanto ad esserlo, poi, ogni giorno che passa, lo si deve diventare in una maniera sempre più profonda e piena. Proprio come l’albero di senape che spunta da un minuscolo granellino e progredisce insensibilmente ma continuamente, fino a distendere grandi e ombrosi rami. – S. Paolo, scrivendo ai Cristiani di Corinto, insiste sulla necessità della coscienza soprannaturale. « Fratelli, non restate bambini…; crescete e siate perfetti nei sentimenti dell’anima vostra ». Temeva che molti, ricevuto il Battesimo, restassero inerti senza svilupparsi nella vita divina. – Ciò che l’Apostolo temeva è diventato la frequente e dolorosa realtà di questi tempi. Sono moltissimi quelli che nella conoscenza della dottrina cristiana e nell’amore di Dio sono rimasti alle poche idee e ai pochi sentimenti della prima Comunione, se pure non hanno perduto anche quelli. Cresciuti in tutto: nel corpo e nell’intelligenza e nelle cognizioni del mondo; ma non nella vita cristiana, la sola vita che merita d’essere chiamata con tal nome e che il Vangelo qualifica eterna. Di cristiano resta soltanto il loro nome sui registri della parrocchia, e nel loro cuore resta il Battesimo inerte come un seme secco che non ha trovato terra per germogliare. Intanto il tempo, così prezioso per crescere nella vita soprannaturale, passa irrimediabilmente. Hanno trenta, cinquanta, sessant’anni: ma nell’anima sono rimasti bambini. Hanno studiato e imparato molto, sono forse ragionieri, professori, medici, avvocati: ma nell’anima sono rimasti bambini. Poi viene la morte che sfronda da ogni apparenza: ciascuno avrà allora solo l’età delle sue virtù. – S. Giovanni Damasceno narra che un solitario della Tebaide chiedeva un giorno a un eremita, logoro dalle austerità e bianco per antico pelo, quanti anni avesse. « Ne ho trentacinque » rispose l’eremita. L’interrogatore, con le labbra sfiorate da un sorriso arguto, gli fece osservare che quei trentancinque anni dovevano essere stati ben penosi se l’avevano ridotto bianco e macilento come un vegliardo di ottant’anni… « Sì, è ben possibile — rispose l’eremita — che sia vissuto ottant’anni dell’esistenza che ci è comune con gli insetti: ma è certo che sono vissuto per Dio solo trentancinque anni e innanzi a Lui questi soltanto contano ». Gli altri non erano vita. Vita è solo quella della grazia, al di fuori della quale è la morte, anche quando ci si illude di vivere. Cristiani, se ciascuno di noi togliesse dalla sua vita tutto il tempo che non ha vissuto per Dio, quanto gli resterebbe? – Alla prima parabola che c’insegna la necessità di crescere, Gesù ne aggiunse un’altra che ci mostra il modo di crescere nella vita soprannaturale. «Il regno di Dio è simile a un pugno di lievito che una donna prende per impastarlo con una massa di farina. A poco a poco tutta la farina si lascia penetrare e gonfiare dalla secreta forza del lievito ». La santa Chiesa è la donna della parabola che nel Battesimo mette nella nostra umanità il lievito della Grazia e della vita divina di Gesù. Gesù vuol crescere in noi, vuol assorbire e divinizzare tutta quanta la nostra povera vita d’uomini, e renderci così suoi fratelli, veri figli del suo celeste Padre, degni d’appartenere alla famiglia di Dio, godere nei cieli la gloria eterna di Dio. Due cose sono necessarie per crescere nella vita divina, e ce ne suggerisce S. Pietro: « Primo: rigettare da voi ogni malizia, ogni frode, ogni specie d’ipocrisia, d’invidia, di maldicenza. Secondo: come bambini di fresco nati, siate bramosi del latte spirituale purissimo e con esso crescete nella salvezza e gustate come è dolce il Signore » (I Pet., II, 1-3). – Ciò che dobbiamo bramare con incessanti preghiere, quel latte spirituale e purissimo che ci fa crescere nella salvezza, è la cognizione e l’amore di Dio. Si accresce la cognizione di Dio meditando il Vangelo e le vite dei Santi; ascoltando a cuore aperto le prediche, studiando la dottrina cristiana. Si accresce l’amore di Dio frequentando la santa Comunione, assistendo alla Messa, compiendo opere buone. Cristiani, che cosa fate di tutto questo? E se non fate le opere della vita, come pretendete di vivere? E se le fate raramente e male, come v’illudete di vivere intensamente e bene? – Quanto è da temere per quelli che avendo ricevuto la vita soprannaturale, l’hanno spenta col peccato mortale e restano così in uno stato di morte! Sono simili a certe piante del bosco colpite dal fulmine: si reggono per la corteccia ma dentro sono vuote, non gettano più che qualche raro germoglio che non diviene ramo e tanto meno porterà frutto. Quanto vi è da temere anche per quelli che hanno incominciato bene a progredire nella via della vita e poi si sono fermati, guardando indietro, rimpiangendo le sensualità del mondo e le cose visibili e transitorie. Sono simili alla moglie di Lot. Anch’essa per via dopo essere stata già liberata dalla città maledetta e infuocata; si volse indietro. Ma dove si volse, ivi rimase, mutata in statua di sale. « Essa fu data a te come esempio — scrive S. Agostino — affinché tu abbia senno e non te ne rimanga fatuo per via. Vedendo lei fermarsi, tu passa oltre; vedendo lei guardare indietro tu tieni lo sguardo fisso in ciò che hai dinanzi ». – Questa volta incominciamo da Diogene. Costui, da quel filosofo estroso che era, una volta, a giorno alto, fu veduto aggirarsi per la piazza di Atene, con una lampada tra le mani. Tutti ne ridevano. « Che cercate, Diogene, col lumicino? ». « Cerco l’uomo ». La piazza era gremita d’uomini, ma al filosofo nessuno appariva veramente uomo. Ora applichiamo: nella nostra Italia, nella nostra città, nella nostra parrocchia tutti, o quasi tutti, sono Cristiani cattolici: battezzati e registrati. Però si potrebbe con la lampadina andare in cerca del Cattolico. Non tutti gli uomini erano uomini per Diogene; e forse che tutti i Cattolici sono ora Cattolici? Quanti ne rubano il nome? – Anche il maestro di rettorica Mario Vittorino si vantava, si vantava di essere Cattolico: ma sapete che cosa gli ha risposto S. Simpliciano, il successore di S. Ambrogio nella cattedra di Milano? « Tu lo dici; ed io non ti crederò fino a quando non ti avrò visto nella Chiesa ad ascoltare i sermoni, a ricevere i sacramenti ». « Son forse i muri che fanno i Cristiani? », replicò, ridendo, Vittorino. Ma il Vescovo non si lasciò smuovere e aggiunse: « Eppure è così ». Se tutti quelli che lo dicono fossero Cattolici, dovrebbero intervenire alla dottrina cristiana, alle sante Comunioni, alle processioni: ma essi non vivono la vita della Chiesa Cattolica. Se tutti quelli che lo dicono fossero Cattolici, non dovrebbero leggere certi libri e certi giornali, non dovrebbero frequentare certi divertimenti, non dovrebbero permettersi certe azioni. Che fare allora? Ce lo suggerisce con due parabolette il Vangelo di questa domenica. Dice la prima: « Il regno dei cieli è simile a un granello di senapa, che un uomo prese e seminò. Era proprio il più minuto dei semi, ma, cresciuto che fu, divenne un albero, tanto che gli uccelli si ricoveravano sotto le sue frasche ». Dice la seconda: «Il regno dei cieli è simile a una manata di lievito che la massaia prese e nascose in tre staia di farina, la quale tutta fermentò ». – Il mondo è divenuto una terra brulla: è necessario lasciarvi un seme piccolo sì,  ma fecondo. Il mondo è diventato come una massa di farina inerte e insipida: bisogna lievitarla sia pure con una manata di lievito, ma vivo e saporito. Il seme, fecondo, il pugno di lievito in cui la Chiesa pone molta speranza è l’Azione Cattolica. Voglio dirvi che cosa è, che cosa fa l’Azione Cattolica. Ben lieto sarei se da queste mie parole qualcuno sentisse la vocazione di parteciparvi; ma già avrei ottenuto gran frutto se alcuni comprendessero la sublimità di questo ideale, e non lo guardassero più con occhio sospettoso… – Pregava un giorno S. Francesco nella chiesa di San Damiano, a pochi minuti di strada da Assisi. La chiesa, assai antica, era sgretolata, affumicata, senza lumi e senza devoti. Fuori, seduto, sui gradini, al sole, stava un vecchio prete. Dentro, dall’alto dell’altare, pendeva un Crocifisso bizantino. Improvvisamente sembrò a S. Francesco che il Cristo lo guardasse con dolorosi occhi, e gli sembrò anche che il Cristo parlasse. Nel silenzio della chiesetta le parole del Figlio di Dio agonizzante cadevano come un bisbiglio: « Francisce, vade et repara domum meam, quæ, ut cernis, tota destruitur ». Va, Francesco, e ripara la mia Chiesa: non vedi che da ogni parte è distrutta? Francesco si alzò tutto tremante e sbigottito: la chiesa era ripiombata nella sua immobilità, nel suo silenzio sepolcrale. Non era l’aiuto per la restaurazione d’una cappella in rovina che il Crocifisso voleva da lui, ma l’aiuto per la salvezza di tante anime, per la riforma della santa Chiesa dilaniata da tanti odi e da tanti peccati. Ma lui non era prete, e come poteva far questo? « Va, Francesco, e ripara la mia casa, non vedi che da ogni parte è distrutta? ». Ancora la Chiesa di Dio è assalita e combattuta da ogni parte: l’immoralità e l’indifferenza tentano di sgretolarla. Il Crocifisso ancora si lamenta… Ed il suo grido è stato raccolto ora, non da uno solo, ma da migliaia e migliaia di giovani, di uomini, di donne, di fanciulle: l’Azione Cattolica. Era invalso in mezzo a noi, che pur ci professiamo seguaci di Cristo, il pregiudizio che soltanto al Clero spettasse la difesa degli interessi di Dio, il dovere di promuovere la vittoria della Chiesa e di zelare la salute delle anime; anzi ognuno credeva che fosse compito dei laici disinteressarsene affatto. Non io negherò che la diffusione del Regno di Dio e la salvezza dei fratelli incombe, soprattutto, ai sacerdoti. Ma essi sono i capitani della santa battaglia, e l’esercito obbediente al cenno dov’è? Essi sono gli architetti per la restaurazione della casa di Dio in rovina, e la squadra solerte degli operai dov’è? Volete fare una guerra coi soli architetti? manca l’esercito, manca la squadra. L’Azione Cattolica vuole essere questo esercito e questa squadra, poiché, come il Santo Padre ha detto, essa non è altro che « la partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico ». I membri dell’Azione Cattolica sono i veri collaboratori e cooperatori dei Vescovi e dei Sacerdoti per il trionfo di Cristo Re nel mondo: essi formano una spirituale milizia. « Mentre le forze giovanili intendono particolarmente alla formazione ed alla preparazione delle coscienze e delle intelligenze, e mentre le organizzazioni femminili svolgono efficace lavoro di penetrazione e di persuasione nel santuario domestico, le energie degli uomini, fortemente temprate nella fede e nella pietà, precisamente sviluppano l’azione di difesa, di diffusione e di pratica applicazione dei comandamenti cristiani alle contingenze della vita. Così tutti riporteranno ovunque con serena fortezza la nota della giustizia e della carità cristiana ». (Dal Messaggio di S.S. Pio XI al Congresso degli Uomini cattolici di Palermo). – A S. Francesco peregrinando per campagne e foreste deserte, accadde d’incontrarsi in ribaldi e ladri. « Chi sei?» gli gridarono assalendolo. «Io sono l’Araldo senza macchia e senza paura del Gran Re ». Ognuno dei membri dell’Azione Cattolica deve tendere a questo ideale. Annunciare che il Regno di Dio si avvicina alle anime, ed essere senza macchia davanti a Dio, senza paura davanti agli uomini. Quando, nei secoli scorsi, i Turchi con la loro ferocia minacciavano le nostre città e infestavano i nostri mari e devastavano la regione, furono i Papi che da ogni parte d’Europa suscitarono uomini per difendere la nostra fede e la civiltà. Ora non più una nazione, ma sono i peggiori vizi e gli errori che devastano le anime! È l’ateismo pratico, l’immoralità della moda e del divertimento, il divorzio e la calunnia contro la Chiesa. Il Papa ancora vuole raccogliere da tutte le parti del mondo un nuovo esercito spirituale per la battaglia santa del Signore. Il Papa sente che l’Azione Cattolica è il seme minuto, ma che presto frondeggerà su tutta la Chiesa con le buone opere e gli esempi buoni. Il Papa sente che l’Azione Cattolica è il pugno di lievito che solo potrà fermentare a novella vita cristiana i popoli moderni… il suo programma: preghiera, azione, sacrificio. Preghiera. « La pietà — scrive s. Paolo — è indispensabile in tutto; essa sola ha le benedizioni della vita presente e della vita futura» (I Tim., IV; 8). Se nel mondo le benedizioni di Dio mancano a tanti sventurati, se gli uomini si perdono eternamente, è perché la preghiera manca. Da molti si prega poco, da troppi non si prega più. I membri dell’Azione Cattolica vogliono vivere una vita di preghiera, persuasi che l’orazione rende fecondo l’apostolato. Vogliono la preghiera nel segreto dell’anima; la preghiera nella famiglia; la preghiera pubblica nella società: le ore di adorazione, i santi esercizi, le processioni solenni. Azione. Prima d’ogni altra, l’azione silenziosa del buon esempio. Il buon esempio è una predica che non si sente con le orecchie, ma si vede con gli occhi e quindi di effetto infallibile. La buona parola vola, ma il buon esempio trascina; una famiglia che ha per capo un Cristiano praticante e zelante, ne segue istintivamente la pietà, la modestia, la lealtà. In un paese dove ci sono parecchie decine di uomini, di giovani esemplari, a poco a poco tutto fermenterà in bene. Ma non basta l’azione personale e familiare, ci vuole anche l’azione sociale nella Parrocchia. I membri dell’Azione Cattolica vogliono e devono essere i docili collaboratori del Parroco in tutte le opere di bene. In prima linea partecipano alle funzioni religiose: coraggiosamente combattono contro la immoralità di certi divertimenti, di certe mode, di certe stampe, vigilano perché l’istruzione religiosa sia impartita nelle scuole secondo la legge, aiutano le opere di beneficenza cristiana; difendono il Papa e ì sacerdoti in cui vedono i rappresentanti di Cristo. – Sacrificio.  Ma per tutto questo è necessario un forte spirito di sacrificio. Sacrificio nel sapere dominare le proprie passioni più d’ogni altro Cristiano; vincere il rispetto umano; sacrificio di tempo, di lavoro, di denaro, di divertimento. Bisogna che i membri dell’Azione Cattolica si riempiano il cuore di Dio, per aver la forza d’essere sempre generosi e pronti a donarsi e a sacrificarsi. Ebbene, i membri dell’Azione Cattolica a tutto questo vogliono esser pronti.  – Dice la leggenda che Gesù Bambino voleva traghettare un fiume vorticoso. Allora venne a lui Cristoforo, il fortissimo traghettatore, che lo prese sulle sue spalle larghe e lo portò sopra le acque impetuose. Il nostro secolo è un impetuoso torrente di paganesimo e d’iniquità. Eppure Gesù ancora vuol regnare. L’Azione Cattolica sarà il fortissimo traghettatore e porterà il Signore ad un nuovo trionfo. – « Il regno dei Cieli — dice Gesù Cristo — è come un pugno di lievito che una donna rimescola in tre staia di farina, fin tanto che sia fermentata tutta ». Il pugno di lievito è Gesù Cristo. Quando visibilmente viveva su questo mondo sembrava il più povero degli uomini. Non aveva casa, non aveva danaro, non aveva né armi né armati: solo passava di paese in paese, donando a molti la salute e a tutti la sua parola buona, non mai udita sopra la terra. Eppure, fu questo umile Uomo che fermentò tutta l’umanità: fu Lui che portò la sapienza; Lui, l’amore; Lui, la vita eterna. Ma chi è quella donna evangelica, che ha preparato il mistico lievito e lo ha rimescolato nelle tre misure di farina? Quella donna è la Madonna. Il Figlio di Dio, fatto uomo per la nostra salute, ci venne dalla carne immacolata di Lei e dal sangue purissimo di Lei, Le tre staia di farina sono i tre tempi del mondo: il tempo antico, il presente, il futuro. Il tempo antico: quando la Madonna, non nata ancora, era predetta dai Profeti e il popolo la sognava come un’aurora immensa che da oriente s’innalza a dissipare il tenebrore notturno, come la rosa dei giorni primaverili sbocciata al sole, come il cipresso intatto dalla scure, come il terebinto che distende i suoi rami sul mondo. Il tempo presente: in cui tutte le arti l’hanno onorata, tutti i paesi le hanno fatto una Chiesa, o almeno un altare. Il tempo futuro: perché fin quando ci sarà un uomo, s’udirà sempre il suo bel nome. Le tre staia di farina possono anche significare le tre Chiese: la Chiesa militante in cui la Vergine mette il suo Gesù a fortificare nella lotta: la Chiesa purgante in cui la Vergine mette il suo Gesù a suffragare nel tormento; la Chiesa trionfante in cui la Vergine mette il suo Gesù a beatificare nel premio. E sembra che nessun desiderio abbia fuor che di fermentare ogni cuore col suo Figliuolo divino. Ella, come nel presepio, sta sempre nelle nostre Chiese in atto di offrire alla povertà delle nostre anime il ricco tesoro del sue viscere, come l’offerse ai poveri pastori di Betlemme. Ella, come nel tempio di Sion, sta sempre nelle nostre Chiese, per consegnare in braccio al nostro amore il suo eucaristico Gesù, come allora lo consegnò al vecchio Simeone profeta, e alla vecchia Anna profetessa. Chi è che non vorrà ricevere Gesù dalle mani di Maria? Chi è che preferisce rimanere sterile farina, invece che accogliere il divin Fermento, e trasformarsi in pane eletto? La Madonna, mettendoci il suo Figliuolo nell’anima, ci dà il perdono dei peccati commessi, ci dà la forza per non ricadere; ci dà tutto. Ella è madre di misericordia, è madre di valore, è madre d’amore. – Una donna di Thecua entrò un giorno nella sala del re, si gettò davanti al suo trono, e singultendo disse: « Salvami, o re! ». Davide, stupito e commosso, le rispose con voce buona: «Che hai tu? Parlami ». Allora la donna cominciò a raccontare la sua storia dolorosa, sospirando. « Ah! io sono una vedova e mio marito è morto lasciandomi due figli che son venuti a contesa. Erano alla campagna e non v’era nessuno che li potesse trattenere. Intanto l’uno percosse l’altro e lo uccise. Ma ecco che ora tutta la parentela si è levata contro di me e grida: — Dacci nelle mani colui che ha percosso suo fratello, che dobbiamo farlo morire: anima per anima. — Ed io che ho già perso un figlio, adesso dovrò vedere anche l’altro morire: così rimarrò sola al mondo, senza marito né figli, conculcata ». Il re, come la donna accasciata dalla sua sventura finì di parlare, balzò in piedi e disse: « Viva il Signore; un capello di tuo figlio non cadrà a terra ». Anche noi, coi nostri peccati, abbiamo ucciso nostro fratello Gesù Cristo. Rursum crucifigentes Filium Dei (Ebr., VI, 6). Gli Angeli della giustizia pretendono la nostra condanna e gridano: « Signore, dacci nelle mani quel peccatore che noi lo sprofondiamo nell’inferno ». Ed ecco la Madonna, come la vedova di Thecua, prostrarsi davanti al trono di Dio e supplicare: « Ho già perso un figlio; ho già subìto tutto lo strazio della sua morte in croce: come potrò sopportare adesso di veder l’altro precipitare nell’inferno? ». E Dio risponderà alla Vergine, come Davide alla Thecuite: « Non cadrà un capello di tuo figlio ». – Quando Iddio sta per scoccare la freccia della sua vendetta, accorre la Madonna e pone il suo Gesù in quell’anima, come un pugno di lievito nella farina. Come potrà allora il Signore colpirla se in essa vi è il Figliuol suo? Se alcuno, guardando alla sua vita, si accorge di essere caduto in basso, nella valle dei peccati, si rivolga con fiducia a Maria, ella è Madre dei peccatori che si vogliono convertire. Se i suoi vizi sono stati tanti, e le sue colpe sono state enormi, non si lasci scoraggiare, poiché quanto più grave è stata la sua colpa, tanta più gloria dalla sua conversione verrà a Maria. – Il giovanetto S. Pancrazio, che visse al tempo delle persecuzioni romane, tornando una sera dalla scuola, confidò a sua madre quello che gli era accaduto. Avevano saputo ch’era Cristiano: ormai non avrebbe più potuto vivere tranquillo, la beata fanciullezza era finita. Lo avrebbero ricercato, lo avrebbero perseguitato, tormentato, ucciso: gli bisognava una grande forza. La madre allora prese una piccola borsa, ornata di perle finissime e l’aprì: ne trasse una spugna secca imbevuta d’un liquido che il tempo aveva rappreso. Ecco, o figlio mio — e la voce le mancava e copiose lagrime sgorgavano dai suoi occhi — ecco il sangue di tuo padre; o Pancrazio. Io stessa l’ho raccolto dalle sue aperte ferite il dì in cui, sotto mentite spoglie, fui presente al suo martirio e lo vidi morir per Cristo ». Il giovanetto si mise al collo quella reliquia santa, e sentì nel suo spirito correre tutta la fierezza del martire genitore. E quel sangue stretto al suo cuore gli diede la forza di vincere il supremo combattimento, quando imprigionato e condotto nell’arena, aizzarono contro di lui l’avida pantera. Anche noi, nella vita, siamo attesi da terribili combattimenti; il mondo con dispiaceri ingannevoli, le nostre passioni, il demonio che, come pantera avida, gira intorno all’anima nostra per sbranarla. Abbiamo bisogno di forza e di valore. Ricorriamo alla Madonna. Ella, come già Lucina al figlio suo, ci metterà sul cuore il sangue di Gesù Cristo, quel Sangue che ha raccolto dalle aperte ferite il dì in cui, sotto la croce, lo vide spirare dopo tre ore d’agonia. E quel Sangue, penetrato nella nostra anima, sarà come un lievito che tutta la fermenterà e la farà invincibile ad ogni assalto infernale. – C’è una fanciulla che trema perché al lavoro, in famiglia, altrove, vive in mezzo ai pericoli morali? invochi Maria. Respice stellam, invoca Maria! C’è un uomo che il demonio con desideri impuri non lascia quieto? invochi Maria! Respice stellam, invoca Maria! O tutti, che ad ogni momento siamo sull’orlo d’un precipizio; e pare che una forza maligna ci spinga dentro, invochiamo Maria. Respice stellam, invoca Maria! Ella è terribile come un battaglione schierato in guerra. Iddio, incarnandosi, prese da Maria l’umana debolezza e donò a Lei in cambio la divina potenza della quale si prevale a favore dei suoi devoti. – Nell’inverno crudissimo, S. Ermanno pregava da lungo tempo, davanti alla Madonna. La Chiesa era deserta, ed egli tremava dal freddo e dalla fame. Povero fanciullo, non aveva calzatura sui piedini nudi, e non aveva sulle spalle tremanti fuor che uno sdrucito mantelletto. Solo aveva per riscaldarsi il fervore della sua preghiera. E la Madonna davanti a lui si mosse, s’irradiò di luce, e parlò: « Leva una pietra, che sotto v’è il denaro per comprarti un pezzo di pane e qualche vestito ». Il fanciullo ubbidì e trovò. Da quel giorno, qualunque volta ne abbisognasse, sotto quella pietra, trovò il danaro che occorrevagli. Quello che Maria ha fatto per un suo devoto, può farlo anche con noi. È tanto buona che non solo nei bisogni spirituali, ma anche in quelli materiali è pronta a soccorrerci. Se ci ha dato il suo Unigenito, ch’era la sua vita, tutto il suo amore, se ha lasciato che morisse in croce, purché noi fossimo salvi, che cosa ci potrà ancora negare? Ella è madre di bell’amore. Ego mater pulchræ dilectionis (Eccl., XXIV; 24). Ma se tale è l’amore di Maria, se più buona di così Dio non poteva crearla, guai all’uomo che non è attratto verso di Lei. Quando un’anima non sente più affetto e devozione verso la Madonna, quando il dolce nome di Maria più non lo muove, credetelo, il demonio è sicuro di una vittoria. – Nell’agosto del 1920, sul mare di Pola calava a picco il sommergibile «F 14». Quando i palombari, con un terribile lavoro di manovre, riuscirono a ripescarlo, si comprese che là dentro non c’erano che cadaveri. Ventisette: la morte aveva coperto quei volti di una maschera nerastra, sì che le vittime ebbero lo stesso aspetto, ma avevano avuto lo stesso puro e rassegnato coraggio. Solo dopo che furono riportate esanimi alla luce, e pienamente deterse, riapparvero le loro varie giovinezze, e il pallido viso. Dentro si trovò un foglio. « Mamma… ». La frase non fu compiuta. «Mamma! » In questo grido è racchiusa tutta la vita e tutta la morte d’un uomo. Oh in quell’ultimo istante, quando già l’asfissia anneriva il volto e dilaniava orribilmente le palpebre, l’immagine della mamma ignara lontana è apparsa davanti a ciascuno! Oh almeno la mamma fosse stata là a baciarli per l’ultima volta, ad aiutarli a morire!… Ma la madre terrena non può sempre essere accanto al suo figliuolo, né può vivere fin tanto che la sua creatura vive: spesso muore prima. – Ebbene, il Cristiano, conosce una Madre che non muore mai, che lo vede sempre, che sempre l’ascolta, che sta ai suoi fianchi sempre a rendergli meno triste la vita, e bella la morte, e felice l’eternità. Questa madre è la Madonna. – «Chi ha visto un granello di senape? è il più minuscolo di tutti i semi. Eppure lasciate che un contadino lo getti in terra buona: passano i giorni, passano i mesi ed ecco silenziosamente una lancetta verde occhieggiare su dal solco, e poi cresce e poi sale e poi ramifica e poi diventa il re di tutti i legumi, capace di ricoverare gli uccelli nel verde fresco delle sue foglie. Anche il lievito, gran cosa non è. Eppure, lasciate che una massaia ne prenda tanto quanto un pugno di bimbo, lo sciolga nell’acqua bollente, lo stemperi nella pasta nuova; saprà gonfiare anche tre staia di farina. Così avviene, — diceva alla gente Gesù — così avviene del Regno dei cieli, così la grazia si diffonde nei cuori: con questo silenzio, con questa umiltà ». – Al lievito, al grano di senape io nulla trovo di più somigliante che il buon esempio, sparso intorno con le opere e con le parole. Una parola buona sembra una cosa da nulla: è un debole suono che esce dai labbri e a fatica penetra negli orecchi. Ma lasciate che quella parola buona trovi la strada del cuore, saprà far meditare un’anima, farla piangere di pentimento, farla convertire. Ecco un giovanotto elegante, ricco, allegro che vive la vita spensierata: «Francesco — gli dice un giorno un amico — che cosa ti varrà il mondo intero se perdi l’anima? ». Questa parola gli cade in cuore come il seme di senape in terra; poco a poco mette radici, cresce, tutto lo invade. Quel giovane lascia il mondo, parte per le missioni, salva milioni di anime: è S. Francesco Saverio. Un gesto coraggioso; un’azione buona sembra una cosa da nulla: eppure talvolta bastano a trascinare al bene molte persone lontane dal Signore. Il padre di Luigi XV, a Strasburgo, durante la festa del Santissimo Sacramento, assiste alla processione in ginocchio e a mani giunte. In mezzo alla folla alcuni protestanti lo videro, ne furono commossi e si convertirono. Il buon esempio è simile a quell’altro seme, di cui è pure parola nel Vangelo, che un uomo getta nel campo. Poi se ne torna a casa: mangia, beve, dorme, lavora senza nessuna preoccupazione. Ma intanto quel seme da solo germina, cresce, fa la spiga e la granisce. Anche a nostra insaputa si estende l’influenza del buon esempio, si estenderà anche dopo la morte nostra. S. Maria Egiziaca era morta da molti anni quando un padre di famiglia dedito solo agli affari lesse un giorno la sua vita. Il buon esempio che quella santa diede al mondo con la sua conversione toccò ancora molti secoli dopo la sua morte il cuore d’un uomo che si convertì leggendo una vita della Santa, e divenne santo egli stesso: il Beato Colombini. Eppure sono molti i Cristiani che non diffondono intorno a sé il buon odore di Cristo, che non fermentano in bene la massa del prossimo tra cui vivono, che non fanno crescere il regno di Dio, ma lo isteriliscono come una pianta a cui manchi l’acqua e la luce: essi sono dominati dal rispetto umano. – Quando Federico Ozanam arrivò a Parigi per compiere gli studi universitari aveva diciotto anni. Non era incredulo, ma la sua anima era in crisi: nel frastuono della metropoli, in mezzo a studenti spassosi, con davanti agli occhi tanti spettacoli di corruzione, sentiva la fede materna illanguidire e tremare come la fiammella che sta per ispegnersi. Una sera entrò in una Chiesa della città e scorse in ginocchio in un angolo, un uomo, un vecchio, che fervorosamente recitava il santo Rosario. S’avvicina e nella incerta penombra lo riconosce: Ampére, il suo professore d’università. «Come? — pensa il giovane — Ampére inginocchiato come una donna? Lui, per la sua scienza famoso in tutto il mondo, con la corona in mano? ». Quella vista commuove fin nel profondo dell’anima; una segreta forza gli piega le ginocchia sul pavimento di marmo, lui pure si mette con le mani giunte accanto al gran maestro: le preghiere e le lagrime gli sgorgavano copiose dal cuore. Ormai non aveva più dubbi, non aveva più incertezze: era la piena vittoria della fede e dell’amor di Dio. « L’esempio d’Ampére — dirà poi frequentemente — su me ha fatto di più che tutti i libri e tutte le prediche ». L’influsso del buon esempio non si fermò in Ozanam, ma da lui passò in altri giovani, e da questi in altri ancora fino ai nostri tempi. La compagnia di San Vincenzo de’ Paoli con tutto il bene che compie, è ancora il frutto, che s’allarga sempre più, di quel primo buon esempio del professore Ampére. – Se in ogni famiglia ci fosse un padre che dà buon esempio, non perde mai la dottrina, non bestemmia, recita ogni sera devotamente il santo Rosario, io vi assicuro che in ogni famiglia vi sarebbero dei figliuoli d’oro. Ecco perché quando si convertì Zaccheo, Gesù ha detto: « Hodie salus domui huic facta est »(Lc., XIX, 9). Oggi abbiamo salvato tutta questa famiglia. Il Signore era persuaso che il buon esempio di quel padre, pronto a restituire quattro volte di più di quello che aveva rubato, sarebbe stato irresistibile anche per i figliuoli. Se in tutte le botteghe, se in tutte le officine ci fosse un padrone che dà buon esempio; che bella ripercussione non si avrebbe anche in tutti i dipendenti. Se tutti i servi, se tutti gli operai vedessero i loro padroni ogni festa alla Messa, ogni mese ai santi Sacramenti, certo che la Religione sarebbe più rispettata, certo che il regno di Dio nelle anime si svilupperebbe come il lievito nella farina, e come il granello di senape gettato in buona terra. Ecco perché quando il Regolo di Cafarnao credette nel Signore, tutti i suoi servi, i suoi soldati, i suoi parenti credettero. Credidit ipse et domus eius tota (Giov., IV, 53). – Perciò S. Girolamo scongiura i superiori a stare bene attenti, perché dalla loro condotta dipende la salvezza di molte anime. Perciò Gesù dal suo Vangelo ci dice di non essere carboni fumosi, ma lucerne ardenti che mostrano agli altri il modo di rendere gloria a Dio. – Eppure nel mondo sono più facili i mali esempi che i buoni: si ha vergogna del Vangelo. S. Paolo senza titubare poté dire in faccia a quei di Roma: «Io non ho mai arrossito della mia fede » (Rom., I, 16). Ma quanti sono i Cristiani che possono ripetere schiettamente la parola dell’Apostolo? Nel cuore dell’uomo facilmente si annida un microbo che guasta ogni più nobile affetto nel suo nascere: il microbo del rispetto umano. Se riesce ad acquistare padronanza, l’uomo diventa timido, irragionevole, e giunge a tanta viltà da tradire la propria coscienza. Ma è forse un delitto essere virtuosi perché si debba fare di nascosto ogni atto buono? Ci sono dei bravi giovani che sentono ripugnanza a mangiar di grasso in venerdì. Ma siccome tutti i compagni di lavoro, tutti i pensionanti dell’albergo non rispettano la legge della Chiesa, essi hanno vergogna e compromettono la loro anima. Ci sono degli uomini a cui piacerebbe iscriversi nella Confraternita del SS. Sacramento, fare un po’ di bene, acquistare molte indulgenze: ma hanno vergogna a portare l’abito, non vogliono mettersi in fila nelle processioni, temono che qualcuno li derida. Povere anime rovinate dalla paura di sembrar buone! – Là in quella casa, la conversazione della sera trascorre tutta nel fare strazio dell’onore altrui e si dicono anche cose indegne contro la Religione e i preti; fra tanta gente che ascolta, non manca una persona di sano criterio che vorrebbe insorgere, ma teme di riuscire sgradita a qualcuno e soffoca la parola in gola. Là in quell’ufficio, tutto il giorno è un parlare osceno, è un bestemmiare solo: costretta dal dovere, c’è anche qualche buona giovane. Vorrebbe levarsi in protesta a farla finita una benedetta volta, ma ha rispetto umano e finge con un sorriso di acconsentire. « In his omnibus apostasia est ». Qui c’è apostasia, esclama S. Cipriano. Parla e comanda il Signore e non lo si ascolta, il mondo fa un mezzo sorriso di scherno e subito si torce il collo dalla sua parte. Ma coloro che si fan vittima, per rispetto umano, di ogni diceria e di ogni giudizio della gente, che cosa s’aspettano poi dal mondo? Sentite. Molti secoli or sono l’Italia fu conquistata dall’esercito barbarico dei Goti con a capo re Teodorico. Il re e il suo popolo erano ariani. Orbene, un romano per acquistarsi simpatia e fiducia da Teodorico abiurò dalla Chiesa Cattolica e si fece ariano. Quando il re dei Goti seppe la cosa, se ne sdegnò fieramente e disse: « Costui che manca di fiducia al suo Dio, come potrà essere fedele al suo re, che è semplice uomo? ». E lo privò di ogni onore e lo scacciò dal suo palazzo. Così tratta il mondo quelli che, timidamente come conigli, lo servono, rinunciando a Dio, alla coscienza, alla ragione. Dopo di averli sfruttati, li disprezza e li getta via. – Si era saputo che anche Eufemia la giovane figlia di un senatore era cristiana. Neppure a lei si fece eccezione. Fu tradotta in tribunale e condannata a morire. La martire silenziosa e diritta stava in mezzo alla folla, davanti ai giudici, con gli occhi socchiusi come se di sotto le palpebre potesse già contemplare un mondo migliore. « Prendetela, legatela! » urlò il prefetto di tribunale a due soldatoni che gli stavano accanto. Quelli di scatto si precipitarono contro la vergine: come le furono vicini, si sentirono mutati e dissero: «Se la sua fede le dà tanta gioia a morire, non può essere che vera. Facciamoci anche noi Cristiani ». E si ricusarono di torcere un capello alla santa. Il giudice si sentì sconfitto da una fanciulla inerme. « Sòstenes! — gridò allora al centurione che aveva alla sua destra. — Sòstenes! gettala tu sopra la ruota dilaniatrice. E sia finita ». Anch’egli si avvicinò, ma anch’egli improvvisamente mutato da lei le chiese perdono e la forza d’imitarla. Poi col ferro sguainato si volse al giudice dicendo che più volentieri metterebbe quella lama nel suo petto che nel cuore di lei, la quale gli Angeli difendevano. Come S. Eufemia in mezzo al tribunale, così, o Cristiani, in mezzo al mondo faccia l’anima nostra. Che il profumo del buon esempio si diffonda dalle nostre azioni in tutti i giorni della vita, e chiunque ci avvicini, anche se in cuore è tristo, si allontani da noi edificato e col proposito di imitarci.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXIX1, 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

(Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.)

Secreta

Hæc nos oblátio, Deus, mundet, quǽsumus, et rénovet, gubérnet et prótegat.

(Questa nostra oblazione, chiediamo, o Dio, ci purifichi e rinnovi, ci governi e protegga.)

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI: 24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

(In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.)

Postcommunio

Orémus.
Cœléstibus, Dómine, pasti delíciis: quǽsumus; ut semper éadem, per quæ veráciter vívimus, appétimus.
(O Signore, nutriti del cibo celeste, concedici che aneliamo sempre a ciò con cui veramente viviamo.)

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

DOMENICA V “quæ superfuit” DOPO EPIFANIA – III. Novembris (2021)

DOMENICA V “quæ superfuit” DOPO EPIFANIA – III. Novembris (2021)

Semidoppio. Paramenti verdi.

Nei Vangeli delle precedenti Domeniche dopo l’Epifania la divinità di Gesù Cristo appariva nei suoi miracoli; oggi essa si afferma nella sua dottrina che « riempì di ammirazione » i Giudei di Nazaret (Com.). Gesù è nostro Re (Vers., Intr., All.), perché accoglie nel suo regno non solo i Giudei, ma anche i Gentili. Chiamati per pura misericordia a far parte del Corpo mistico di Cristo, bisogna dunque che anche noi usiamo misericordia al prossimo, perché noi facciamo in Gesù una cosa sola con Lui (Ep.). Perciò bisogna esercitarsi nella pazienza; perché nel regno di Dio, qui sulla terra, ci sono buoni e cattivi, e verranno separati per sempre gli uni dagli altri solo quando Gesù verrà per giudicare gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Jer XXIX :11; 12; 14

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2

Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

 [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ cœléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur.

 [Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses
Col III: 12-17

Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum.

[“Come eletti di Dio, santi e bene amati, vestite viscere di misericordia, benignità, umiltà, mitezza, pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonando, se alcuno ha querela contro di un altro; come il Signore ha perdonato a voi, voi pure così. Ma più di tutto vestite la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale foste chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti. La  parola di Cristo abiti riccamente in voi con ogni sapienza, istruendovi ed ammonendovi tra voi con salmi ed inni e cantici spirituali, cantando con la grazia nei cuori vostri a Dio. Quanto fate in parole ed opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per lui „ ].

I SEGRETI DELLA CARITA’.

(S. Paolo ai Colossesi: 3, 12-17).

E’ uno dei tasti, questo della carità, che San Paolo batte più spesso e più volentieri. Nel che egli imita e persegue la tattica del Maestro divino Gesù. Pel Maestro la carità riassume la lettera della Legge e lo spirito dei Profeti: per il discepolo la carità è l’intreccio delle perfezioni. E la carità reciproca, pel discepolo come pel Maestro, deve spingersi, per essere carità fino al perdono. Se non arriva lì, se deliberatamente si ferma più in qua, non è carità: è un surrogato, una imitazione, una contraffazione, forse non è carità cristiana, carità vera. Sopportarci a vicenda dobbiamo, dice con grande senso della realtà vera, quotidiana della vita; sopportarci dobbiamo se vogliamo essere caritatevoli. La sopportazione concerne i nostri difetti, grazie ai quali ci si urta l’un l’altro. È una forma di pazienza necessaria, perché gli urti nella vita sono facili, anche indipendentemente dalla nostra volontà. Pensate che per uno può diventare difetto ciò che per un altro è pregio. La calma del flemmatico è di fastidio alla vivacità del temperamento impulsivo. Bisogna sopportarci per amare. La carità è viva a prezzo di pazienza. Perciò altrove San Paolo enumerando le qualità che la carità deve avere, pone in alto, in prima linea la pazienza: «Charitas patiens est ». – Ma non basta essere tolleranti dei difetti altrui, la carità esige da noi il perdono, la condonazione. Qui non si tratta più di difetti del prossimo, cioè di qualità altrui che spiacciono a noi. Non ci sono sole le vivacità che offendono la mia flemma, ci sono gli sgarbi veri e proprî che irritano la mia coscienza; umiliazioni che offendono la mia dignità, male parole che so di non meritare. Ci sono le offese meditate, calcolate, volute, gratuite, dannose. Provocano lo sdegno. L’istinto grida vendetta. E all’istinto fa eco un certo senso molto egoistico di giustizia. Vendetta? No, dice il Vangelo; no, dice Paolo in nome della carità, il programma nuovo del Cristianesimo: bisogna perdonare, condonare: « Sopportatevi l’un l’altro (sono le parole testuali dell’Apostolo nell’odierna Epistola) e condonatevi l’un l’altro, se avete motivo di lagnarvi ». Ma l’Apostolo dice anche il perché di questo precetto nuovo: ci insegna il segreto, la molla di questa virtù eroica. « Come Dio ha condonato a voi, così voi reciprocamente ». Terribile motivo, travolgente. Ogni giorno abbiamo bisogno del perdono di Dio, ogni giorno facciamo appello alla Sua misericordia, per ottenerla. «Perdonaci » gridiamo nella preghiera. « Dimitte nobis debita nostra». Ma allora bisogna essere logici: non negare agli altri, ciò che sivuole, quasi si pretende per se stessi. E la preghiera quotidiana continua implacata ed implacabile:«Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris ». Come anche noi perdoniamo, condoniamo a chi si è fatto, si è reso nostro debitore offendendoci iniquamente. Atto eroico, atto difficilissimo questo del perdono ai nostri offensori, meno difficile quando se ne considera la misteriosa e reale giustizia e, sempre sulla scorta di San Paolo, un frutto prezioso e provvidenziale la pace. La pace è il sospiro dell’anima umana; la pace è l’atmosfera normale della vita: la pace è l’atmosfera normale della vita e della gioia. La guerra stessa, che ha i suoi fanatici non vale se non in quanto serve alla pace. Non sifa la guerra per la guerra, si fa la guerra perla vittoriosa pace, la pace nella vittoria. Ma la pace, non è, non sarà mai l’epilogo della vendetta. La vendetta ha un meccanismo fatto a catena. Una violenza, una ingiustizia produce l’altra: « Abjssum invocat … ».Il tuo schiaffo genera, in linea vendicativa, il mio pugno, il mio pugno il tuo bastone, il tuo bastone la mia rivoltella e così fino all’infinito. Dove e quando la vendetta fu costume e legge, la pace fu un mito astratto, un desiderio pio, una invocazione vana. Questa catena maledetta e infinita di rappresaglie la tronca il perdono. È un punto fermo, è un cambiamento di registro, e l’intimazione efficace di un basta colle lagrime e col sangue. Alle anime veramente caritatevoli, perché caritatevoli fino al perdono, Paolo annuncia, come ricompensa la pace di Cristo, pace lieta tripudiante. « Et pax Christi exultet in cordibus vestris.» Perché, fratelli se vogliamo la pace sappiamo come e dove procurarcela. Col perdono imparato alla scuola di Gesù Cristo. Carità, perdono, pace sono tre fili di una sola, magnifica, infrangibile corda.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.

V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja
.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno. Allelúia, allelúia.]

Ps: CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XIII: 24-30

In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizzania, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum.

[“Gesù disse questa parabola: Il regno dei cieli è simile ad un uomo, che seminò seme buono nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e soprasseminò zizzania nel mezzo del grano e se ne andò. E quando l’erba fu nata ed ebbe fatto frutto, apparvero anche le zizzanie. E i servi del padre di famiglia vennero a lui e gli dissero: Padrone, non seminasti tu buona semenza nel campo? Donde adunque le zizzanie? Ed egli disse loro: Un qualche nemico ha fatto ciò. Ed essi a lui: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? Ma egli disse: No! perché talora, raccogliendo le zizzanie, insieme con esse non abbiate a svellere anche il grano. Lasciate crescere insieme le une e l’altro fino alla mietitura, e allora dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e legatele in fasci per bruciarle: il grano poi riponete nel mio granaio „ ].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL NEMICO, IL SUO SEME E LA SUA ORA.

Un uomo aveva seminato, nel suo campo, frumento di prima qualità. Ma intanto che gli agricoltori dormivano, il nemico passò sui solchi a gettarvi la grama zizzania. Nessuno s’accorse della vendetta. Giunse la buona stagione e i grani germogliati crebbero in erba. Un giorno, tornando dai campi; gli agricoltori corsero dal padrone, pallidi per la dolorosa sorpresa. Signore nostro, tu seminasti grano scelto ed è venuto su frumento e zizania … ». «È stato il nemico! » rispose tristemente. E quelli bruciando dall’ira: «Noi ritorniamo indietro, e sterpiamo ogni mala pianta. Lo vuoi? ». « No, che mi rovineresti anche la buona pianta. Lasciate che l’una e l’altra crescano sino alla mietitura; allora io dirò ai mietitori: « Il tempo è venuto: su sterpate prima la zizzania e legatela in fasci che daremo alle fiamme, Il grano invece riponetelo nel mio granaio ». – La parabola è bella chiara. Gesù Cristo è il padrone, il mondo è il suo campo. Per questo suo campo non ha lesinato sudori e sangue e neppure la vita. Ma noi fermiamoci a discorrere del nemico, del suo seme, della sua ora. – Il nemico più forte e più accanito della nostra anima è il demonio. Inimicus autem est diabolus (Mt., XIII, 39). Egli si avvicina alle anime, — lo dice S. Giovanni — per derubarle, per ferirle, per ucciderle. Infatti, egli è il ladro del tesoro più prezioso che ciascuno porta con sé: la grazia. Egli è il feritore che aperse in noi piaghe mortali e pressoché incurabili; il peccato. Egli ancora è la perdizione di molte anime, che, sedotte dalle sue astuzie, precipitano nelle fiamme eterne. Non bisogna credere però che il demonio ci venga attorno di persona. È troppo furbo per far questo: sa di essere orribile e noi fuggiremmo da lui lontano per lo spavento. Si trasfigura in mille maniere, e più spesso sotto le apparenze di un uomo, amico o compagno o vicino di casa. Inimicus homo. – S. Teresa, già suora al convento dell’Incarnazione in Avila, s’era stretta in amicizia con una persona di cui ella non ha voluto scrivere il nome: senza dubbio era di condizione nobile, gran signora e gran dama della città. Di grave nulla vi era, ma con quella persona trascorreva lunghe ore in parlatorio, dimenticando così i rigori della sua vita monastica. Già più volte ne aveva sentito rimorso, già più volte aveva anche promesso a Dio di troncare con un taglio netto quell’amicizia: ma il suo cuore vi era così attaccato che al momento decisivo veniva a mancarle il coraggio e cedeva. «Una volta — ella narra nella sua autobiografia, — trovandomi ancora con quella persona in parlatorio, vedemmo venire verso di noi, (ed altre persone che erano là lo videro egualmente) qualcosa che assomigliava ad un enorme rospo, ma molto più leggero di quanto siano di solito questi animali. Non posso ancora comprendere come mai in pieno giorno, in quel luogo, vi potesse entrare una bestia di quella specie, né seppi mai donde venisse ». Comunque, n’ebbe tanto spavento che quella dolce e pericolosa amicizia, che le impediva i suoi doveri e la sua santificazione, fu troncata per sempre. Esaminiamo le nostre amicizie: sono tutte buone? in fondo a quella familiarità con persona di diverso sesso, non c’è forse il rospo schifoso dell’inferno? Se avessimo la grazia di S. Teresa, forse anche noi lo vedremmo avvicinarsi paurosamente dopo certi colloqui, in certe passeggiate, in certi ritrovi. Non è forse per quel compagno, per quell’amicizia che noi tante volte abbiamo peccato, tante volte abbiamo tralasciato i doveri religiosi? – Già nella coscienza abbiamo sentito rimorso, già in qualche confessione abbiamo promesso a Dio. Poi il coraggio ci è mancato. È troppo piacevole quella compagnia, è tanto dolce quell’amicizia… – Vi ricorderò la scellerata astuzia che quelli di Ioppe usavano con i Giudei ingenui. Invitarono dunque i Giudei a salire con loro sulle barche per una gita di piacere in mare: era tanta l’allegria, l’affabilità, l’amore che quei di Ioppe dimostravano, che essi entrarono in barca con le mogli e i figli, e senza alcun sospetto cantavano e ridevano. D’improvviso, tra i canti e i suoni, i falsi amici di Ioppe presero gli Ebrei e li scaraventarono in mare. Gli annegati non furono meno di duecento. (II Macc., XII, 3-4). – Al demonio quest’astuzia non è ignota. In mezzo ai canti, alle risa, ai piaceri, nelle gite di falsi amici, quanti improvvisamente han sentito la loro anima sprofondare nell’abisso del peccato e dell’inferno! – Il cuore dell’uomo è il mistico campicello di Dio. In esso ogni giorno vi semina ispirazioni buone e propositi santi, in esso frequentemente lascia cadere la sua parola che scende dalla bocca dei sacerdoti, in esso lo Spirito Santo prega e geme senza interruzione; in esso vi sono gli Angeli a custodia. Eppure, per colpa nostra, il nemico si avvicina e può scagliare la sua maligna semenza. Semenza di ribellione a Dio. « Perché gli obbedisci? — insinua il serpente nel cuore di Adamo — mangia il frutto proibito e diverrai indipendente e sovrano come lui ». Perché, insinua ancora il serpente nel nostro cuore, rispetti le leggi della Chiesa, santifichi la domenica, preghi mattino e sera?… fa quello che vuoi e sarai padrone di te. – Semenza di discordia in famiglia. « Perché il tuo fratello Abele deve essere sempre preferito, e tu lasciato in disparte? Non vedi che il suo mestiere di pasturare le greggi è senza fatiche e tu invece devi vangare la terra dura e bagnarla di sudore? uccidilo e avrai la sua parte… ». Variata, a seconda delle circostanze, ma è ancora questa la semenza che egli getta in molte case, dove i fratelli odiano i fratelli, i figli non amano i genitori, le nuore non sopportano i vecchi. – Semenza di parole cattive. Le bestemmie, i discorsi osceni, i libri impuri, i giornali senza pudore né fede, son tutta semenza dell’uomo nemico. Semenza di vizi disonesti. La storia del figlio prodigo che abbandona la casa del padre sospinto dagli amici dietro ai piaceri della carne, è vera anche ai nostri tempi. Ci sono famiglie che piangono, ci sono poveri cuori che soffrono, ci sono anime in cui il buon frumento di Dio è stato soffocato dalla zizzania delle passioni impure. – È ora di notte. Gesù è il padrone della semina nella luce del giorno pieno; ma il nemico sceglie per le sue vendette le ore della notte. Cum autem dormirent homines. « L’omicida si leva prima dell’alba e nelle tenebre compie i suoi latrocini. L’occhio dell’adultero brama l’oscurità, e nascondendo nel buio la sua faccia, dice: nessuno mi vedrà. Di notte i tristi sfondano le porte segnate di giorno. Per questa gente, come per i gufi, il giorno è noioso al pari della morte » (Giobbe, XXIV, 14-17). Quando poi Giuda si decide ad uscire dal cenacolo, per correre a vendere il Salvatore, il Vangelo osserva: « Erat autem nox ». Di notte fu compiuto dunque il peccato più grave che mai vide la terra. È ora di ozio. Ma l’ora del nemico non è appena quella della notte, ma anche quella dell’ozio. Cum autem dormirent omnes. C’è il sonno che sana e ristora le forze perdute; e c’è un’altra specie di sonno che debilita e rovina l’anima e il corpo: l’ozio. Nessuna ora è tanto propria del demonio quanto quella dell’ozio. Le immaginazioni cattive ci assalgono nei momenti di ozio. Come spiegate voi l’atto sacrilego degli Ebrei che si abbassarono ad onorare il vitello d’oro? Ce lo confida S. Paolo: «Il popolo sedette in ozi a mangiare, a bere, a divertirsi ». — E come spiegate la rovina di Davide, il re secondo il cuore di Dio? cadde nell’ora dell’ozio. Udite che arguta frase ha detto S. Tommaso da Villanova: « David in bello sanctus, in otio adulter et homicida ». Nelle opere di guerra Davide si conservò santo, nell’ora dell’ozio divenne adultero ed omicida. È ora di negligenza. Infine, l’ora del nemico, non solo è nelle tenebre e nell’ozio, ma è pure nella trascuratezza. Cum dormirent omnes. Dormono molti Cristiani e non fanno più penitenza, né dicono più alcuna preghiera: intanto il demonio semina in loro quelle tentazioni a cui non potranno resistere. Dormono molti genitori, né più si curano di custodire con pazienza i figli e le figlie: e ad un certo momento s’accorgono che non sono più né ubbiditi né amati. S’accorgono che i figli non vanno all’oratorio né alla chiesa, che le figlie fanno parlare malamente di sé. Raccogliete il monito di S. Paolo: « Vigilate et orate et state in fide » (I Cor., XVI, 13). Solo così il nemico che s’aggira attorno al nostro campo non vi potrà gettare il seme maligno. Solo così il buon frumento di Dio crescerà in spighe d’oro per il Paradiso.

– Il campo dove frumento e zizzania crescono insieme è questo mondo in cui i buoni sono misti ai cattivi, e la mistura durerà fino alla fine del mondo; gli Angeli sono i mietitori che allora faranno la grande spartizione. Questa è l’interpretazione della parola che Gesù stesso diede agli Apostoli. – Eppure, non molto tempo dopo, Giacomo e Giovanni se ne dimenticarono. Sdegnati della malignità dei Samaritani che non li lasciavano passare sul loro territorio, dissero a Gesù: « Vuoi che comandiamo al fuoco del cielo di cadere su loro e incenerirli all’istante? ». Si sentirono rispondere: « Non sapete di che spirito siete » (Lc., IX, 54-55). A quanti Cristiani, ancora oggi dopo due millenni di Cristianesimo, Gesù potrebbe ripetere il rimprovero fatto ai due figli di Zebedeo! Quando vi lamentate e dite quasi di perdere la fede perché Dio permette che i cattivi sconvolgano le nazioni, distruggano le chiese, massacrino preti e monache, violino i sepolcri, non sapete di che spirito siete. Quando vi meravigliate che Dio non faccia morire o almeno non mandi un malanno a certi impudichi, sacrileghi; contenziosi che mettono scandalo e discordia tra le buone famiglie, non sapete di che spirito siete. Perché, dunque, questa sopportazione divina da lasciare crescere la zizzania in mezzo a grano fino alla mietitura? Per misericordia verso i cattivi. Per amore verso i buoni. – Un istruttivo episodio è raccontato da S. Dionigi in una lettera. C’erano in una città due pessimi soggetti che angariavano in ogni guisa un uomo pacifico ed onesto di nome Carpo. Non potendo ottenere rispetto e giustizia dagli uomini, il perseguitato la invocava da Dio, supplicandolo incessantemente a mandare la morte che gli togliesse di mezzo i due iniqui. Dio invece andò in sogno al buon Carpo. Gli pareva di vedere la bocca spalancata d’un abisso dal quale, in mezzo a fumo e a fiamme, montavano immani serpenti per avvinghiare due uomini e strapparli dall’orlo giù nel baratro. Quei due uomini erano i suoi nemici e Carpo tremava di gioia nell’attesa di vederli da un momento all’altro precipitare. Ma sollevando un poco lo sguardo vide una mano nuda, forata in mezzo alla palma e sanguinante, che si protendeva in aiuto dei due sciagurati. Capì subito che quella mano era di Cristo crocifisso, di cui nel sonno udiva anche la voce: « Sono pronto ancora a morire per la vostra salvezza ». Quando si svegliò, Carpo non fece più la preghiera per la morte degli iniqui, e non si scandalizzò più della sopportazione divina che lascia vivere i cattivi in mezzo ai buoni, che lascia trionfare a volte l’ingiusto sopra il giusto. Aveva capito tre cose che anche da noi è necessario siano capite. A noi le anime non sono costate nulla, ma al Redentore sono costate il sangue e la vita. Egli le amò fino a morire sulla croce in mezzo a spasimi atroci, ed il suo tenerissimo cuore non può lasciarle cadere nella dannazione infernale senza aver prima tentato tutte le vie per salvarle. Non vuole la punizione ma il perdono, non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Il buon pastore ha forse battuto ed ucciso la pecorella traviata? Ha forse lasciato lapidare la donna adultera? Qual è il medico che non tenta ogni risorsa fino all’ultimo per guarire l’ammalato? Gesù è il paziente medico venuto per guarire le anime malate dei peccatori. Come deve sentirsi triste e incompreso quando intorno a lui si grida: «Falli morire! liberaci dal loro disturbo! ». Ancora risponde amaramente come ai figli di Zebedeo: « Non sapete di che spirito siete ». –  Bisogna inoltre riflettere che se Dio facesse giustizia con la impazienza voluta da molti, e lasciasse cadere nell’inferno ogni uomo appena lo meritasse, non mancherebbero poi gli scandalizzati per l’esagerata severità del Signore. Che direbbero allora quelli a cui l’inferno sembra già un supplizio incompatibile con la divina bontà? Gli uomini, agitati come sono dalle passioni, passano da un eccesso all’altro nel loro giudizio. Dio invece possiede il perfetto equilibrio dell’amore e della giustizia. Egli solo conosce tutta l’atrocità e l’eternità delle pene dell’inferno, e conosce anche la fragile tempra della nostra natura; perciò sopporta i cattivi aspettando con paterno amore la loro conversione. Ma la sua pazienza ha pure un limite, e venuto il tempo della mietitura in essa farà lampeggiare la falce della sua giustizia. La pazienza di Dio è dunque una manifestazione del suo amore e della sua giustizia. – Infine c’è da riflettere che anche noi siamo stati in qualche momento cattivi nella vita, per giorni, per anni forse, siamo stati zizzania nel campo della Chiesa. Dio non voglia che la coscienza in questo momento ci accusi d’esserlo ancora. Se l’impazienza dei servi venisse ascoltata, se la zizzania fosse sradicata nell’istante in cui è scoperta, che sarebbe di noi ora? Dove saremmo? Sia ringraziata e benedetta la misericordiosa sopportazione del Signore. – « No, aspettate! — disse il padrone del campo; — altrimenti, sradicando subito la zizzania, ne soffrirebbe pure il buon grano ». Dunque, è anche per amore del buon grano che il padrone comanda d’aspettare. Ci sono infatti dei vantaggi per i buoni nella convivenza coi cattivi. a) Il primo vantaggio è nella possibilità di una conquista d’anime. Con la preghiera, con la mansuetudine, e massime col buon esempio possono persuadere il peccatore della bellezza delle virtù, della pace misteriosa ed intima che si prova nel vivere col Signore; possono indurlo a dire: « Si isti et istæ cur non ego? ». Non è necessario salpare l’oceano per salvare anime. Nella nostra casa forse, tra i nostri parenti ed amici; tra le persone con cui ci mette in contatto la nostra professione o il nostro lavoro ci sono anime smarrite nel buio dell’incredulità, anime assetate di gioia che fanno il male nell’illusione di sentirsi felici. Che grande onore se Dio ci usasse come strumenti di redenzione e di salvezza! Che grande gloria e ricompensa in cielo se riuscissimo a convertire un cuore! « Chi farà che un peccatore si converta dal suo traviamento, salverà l’anima sua dalla morte e coprirà la moltitudine dei suoi peccati » (Giac., V, 20). b) Un altro vantaggio che deriva ai buoni dalla comunanza coi peccatori è l’esercizio e lo stimolo della virtù. La vicinanza gravosa del peccatore è la cote su cui s’affila la pazienza e la costanza del giusto. Si ode spesso dire: « Tutti i miei peccati, i miei disordini, i miei dispiaceri provengono dall’aver a che fare continuamente con un consorte ubriacone o iroso, con figliuoli ribelli, con parenti invidiosi, con padroni esosi e ingiusti, con compagni libertini e irreligiosi, con gente sfrenata nelle passioni ». Bisogna condolerci con le persone che si lamentano così, perché soffrono tutti gli incomodi di questa grave e noiosa società dei peccatori, senza però ricavarne nessun merito. Non hanno forse l’occasione di farsi simili al loro Maestro e Capo, l’Uomo umile e mite di cuore, il Dio fattosi agnello di espiazione che perdonò a tutti e pregò per coloro che lo mettevano in croce? Perché non ne approfittano? Tutto coopera al bene di quelli che amano il Signore: anche le mormorazioni, le calunnie, l’odio, le ingiustizie dei cattivi perché attraverso a simili tribolazioni, i buoni si purificano e s’innalzano. – Nel campo del Signore la zizzania cresce in mezzo al grano, e così sarà fino al giorno della mietitura. Sull’aia del Signore i chicchi di frumento son frammisti a molta paglia e pula: e così sarà fino al momento del ventilabro. Intanto domandiamoci: il Signore che scruta i cuori, mi vede come grano o come zizzania nella sua Chiesa? come chicco di frumento o come pula? Se ci vede come buon grano, ricordiamoci di vigilare per non diventare zizzania. Benché costretti a vivere in mezzo ai corrotti, teniamoci separati da loro col cuore e coi sentimenti; di sopportare con carità e con silenzio. Anche Dio ha sopportato noi quando fummo cattivi, ed ancora adesso ci sopporta perché al suo sguardo nessuno può dirsi buono; di dare buon esempio. « Siate irreprensibili e sinceri figliuoli di Dio, scevri di colpa in mezzo ad una nazione prava e corrotta, fra cui risplendete come luminari del mondo » (Phil., II, 15). – Se invece in questo momento ci vedesse come pula sulla sua aia, o come zizzania nel suo campo, convertiamoci subito. Ci sproni:

— l’esempio e la gioia dei buoni;

— l’amorosissima pazienza con cui Dio ci ha aspettati finora, ed ancora ci aspetta per stringerci al suo cuore paterno;

— il timore che il giorno della mietitura, che il momento del ventilabro sia per noi imminente. Forse sarà domani. Forse oggi stesso. – La parabola della zizzania si può benissimo applicare alla tragedia che avvenne all’inizio della storia umana. Dio è il padrone e il suo campo coltivato e seminato con amore era l’umanità. Aveva infatti creato un uomo pieno d’armonia: tutte le forze e i sensi del corpo ubbidivano all’anima, e l’anima a sua volta ubbidiva a Dio. Anzi aveva voluto abbellirlo con doni singolari di intelligenza e di volontà; non solo, ma per un atto di intelligenza ed amore immenso e incomprensibile aveva voluto farlo partecipe della sua vita divina. – Ma ecco che il nemico, in un momento di solitudine, colse l’uomo e lo indusse al peccato: il primo peccato, la prima ribellione a Dio sulla terra. La zizzania ormai era seminata. Da allora, ogni uomo che viene al mondo, sente di essere in uno stato di disarmonia e di squilibrio: i sensi tendono a ribellarsi all’anima, l’anima sedotta tende a ribellarsi a Dio. È una lotta sorda tra corpo e anima, tra anima e Dio; è una mistione di bene e di male, un ondeggiamento di luce e tenebre, una concrescita di grano e zizzania nel solco umano. – Il peccato originale è una realtà d’ogni giorno. (Ecco il primo pensiero da meditare). Di fronte a questa dolorosa realtà come si comportano gli uomini? (Ecco il secondo pensiero). Alcuni con esagerato ottimismo, altri con uno sfiduciato pessimismo. I primi proclamano che tutto è buono quel che è in noi; i secondi proclamano che tutto è necessariamente corrotto quel che è in noi. E gli uni e gli altri, per diverso motivo, s’accordano nel rinunciare alla lotta: perché  non c’è nemico da vincere, dicono i primi; perché tutto è fatalmente perduto, dicono i secondi. Gesù si pone in mezzo a costoro, e agli esagerati ottimisti dice: « Vigilate e fate penitenza »; e agli sfiduciati pessimisti dice: « Chi crede in me ha la vittoria e la vita eterna».

a) Osservate un bambino. Egli viene al mondo e i suoi buoni genitori lo circondano d’intelligenti e affettuose cure; allontanano da lui ogni cosa, ogni parola, ogni esempio che lo potrebbe male impressionare. Cresce sano e buono, già ripete con dolce trasporto le prime preghiere, già corrisponde con tenerissimo affetto all’affetto dei suoi cari; ma già si manifestano anche tendenze egoistiche, disobbedienze, bugie, pigrizie, capricci, che vuol dire questo? Non erano stati messi nel cuore soltanto semi buoni? Perché appaiono le male erbe? È che il cuore del bambino non è più una terra vergine. Il peccato originale vi ha disseminato la zizzania delle cattive inclinazioni che affiorano nell’animo quando meno ci si pensa. È verissimo che il Battesimo toglie il peccato originale, ridonando la vita divina ch’era perduta, ma ne restano le conseguenze; come quando guariti da un grave male ci trasciniamo dietro le debolezze della convalescenza.

d) Osservate un giovanetto. È vissuto finora ingenuo e pio, con negli occhi la luce delle cose belle, con nel cuore il desiderio spontaneo delle cose pure. Poi, una volta egli avverte rumore strano in sé: proprio dal fondo di quel suo cuore buono si sommuove qualcosa di torbido, e viene adagio adagio a galla, e appare nella sua laidezza accanto ai fiori dell’innocenza. Egli, per primo, è spaventato di ciò che gli è venuto in mente, lo detesta; non l’ha voluto e l’ha discacciato. Discacciato, dunque. Eppure il suo cuore già trema in un altro punto: ecco, accanto ad un gentile desiderio è sbocciato un desiderio perverso, malefico, inconfessabile. Lo vede, e s’attrista la luce delle sue pupille; egli non lo vuole, lo odia, eppure, suo malgrado, avverte una curiosità insana, una voluttà d’indugio, un fascino nefasto! – Oh! l’angoscia di questa scoperta! si ripete la dolorosa sorpresa del padrone quando intuì che nel suo campo era stata seminata la zizzania. Il peccato originale ha seminato la zizzania della concupiscenza nei profondi solchi del nostro cuore. c) Osservate un uomo. Quest’uomo sia uno dei più nobili e santi che la storia conosca: Paolo di Tarso. Grandiosi pensieri, sovrumani affetti lo trasportano a mirabili gesta, lo esaltano fino al martirio; si sente maggiore di se stesso, capace di far tutto. « Omnia Possum!». Eppure, a momenti, si ferma e trema: «Io non capisco — esclama — quello che avviene in me. Si desta una forza contro me, che vorrebbe trascinarmi a fare ciò che non voglio, e mi impedisce di fare ciò che voglio. Io, di mia vera e libera volontà, non voglio che osservare la legge di Dio; ma dalla mia carne si leva un vento furioso che cerca di rapinarmi e gettarmi contro la legge del Signore che amo. Orbene, se io faccio ciò che non voglio, c’è qualcuno in me che m’induce a farlo: chi è questo qualcuno? È il peccato… Chi mi libererà da esso? » (Rom., VII, 15-24). – Tra poco vedremo la risposta a questa implorazione pietosa; ora ci preme constatare che il peccato originale non è un male sospeso all’inizio della storia umana, ma fluisce incessantemente nelle nostre vene. Ma come si comportano gli uomini? A) Agli esagerati ottimisti: vigilare e lottare! Tolstoi racconta un episodio infantile, profondamente psicologico. Vola, un fanciullo di otto anni, va tutto felice per incarico della mamma a portare un dolce alla nonna. Ma poco dopo il fratello maggiore trova Vola nel corridoio, che piange con un piatto vuoto fra le mani. « Perché piangi? » gli domanda. «Io — risponde il piccolo singhiozzando — io non avevo intenzione… e tutto a un tratto… per caso… (si badi a questo « per caso ») l’ho mangiato ». E la mamma credeva che tu fossi contento di portarlo alla nonna, e non desiderassi che di vederla sorridere del dono!… ». «Ma. sì, — protesta il piccino, — io ero contento davvero, e non volevo che quello. Soltanto, a un tratto, per caso… mi venne in mente di assaggiarlo. Credimi, di assaggiarlo appena… Poi, non ricordo più come sia andata… Ecco che è SUCCESSO ». E torna a piangere: i goccioloni cadono sul piatto vuoto. Il grande scrittore russo ha toccato un punto essenziale della psicologia umana: «per caso »; e v’insiste tanto bene che nella sconfitta del piccino di otto anni, noi scorgiamo in germe tanti drammi della vita. Infatti, quelli che pretendono d’agire come se la nostra natura fosse tutta integra e sana, come se il peccato originale non vi stesse in agguato per travolgerci al male, cadono nell’ingenuità di quel bambino; ma. poi piangono per motivi assai più seri e per cadute assai più deplorevoli. «Io vado al cinema, alle commedie, ai balli, senza nessuna. intenzione di male, soltanto per. svagarmi un poco… ». Ma poi, tutto ad un tratto, « … per caso », non si può neanche dire come avviene… una scintilla balza da sotto la. cenere, una gran fiamma, e, addio virtù! si torna a casa con l’anima-disfatta e con l’amarezza che opprime. «Io vado all’appuntamento sola con lui solo, passeggiamo per vie meno usate; ma non c’è nessuna intenzione cattiva, perché siamo fidanzati e i genitori lo sanno, si fidano di noi che tanto spesso ci lasciano soli in casa… ». Ma, poi, tutto ad un tratto (per caso…) e, addio virtù! verrà il giorno delle nozze e si presenteranno all’altare due cuori sciupati, infangati, insozzati; e s’illuderanno che Dio su di cuori siffatti possa fabbricare la salda struttura di una buona famiglia. «Io leggo certi giornali, certe riviste, certi romanzi, non per gusto di male ma soltanto per passatempo, per cultura… ». Ma poi c’è un punto, e si sprigiona un narcotico morboso e l’anima; non si sa come, cede. Cede e non l’intendeva, non lo voleva. Si arriva fino al punto di non distinguere più il bene dal male, il frumento dalla zizzania, e si fa d’ogni erba fascio. « È un’esigenza della natura… Soffocarla è un immiserire la vita…. A tanta perversione di giudizio. conduce l’aver dimenticato che in noi ci sono le conseguenze del peccato originale, e che tutta la vita dell’uomo richiede vigilanza e mortificazione. B) Agli sfiduciati pessimisti: possiamo e dobbiamo vincere. – All’opposto, al comodo ottimismo di quelli che dimenticando il peccato originale giustificano tutti gli istinti della natura, v’è il pessimismo di quelli che li credono invincibili e s’abbandonano alla loro tirannia come a una fatalità. Anzitutto la fede c’insegna che il nostro Salvatore Gesù, morendo sulla croce, ci ha liberati dalla colpa originale infondendo nelle anime che credono in lui la sua vita divina. Inoltre ci ha meritato una tale abbondanza di grazia che ci rende capaci di superare tutte le conseguenze di una natura decaduta. Per quanto forti siano le passioni, per quanto profonde le tare ereditarie, sempre ci assiste un aiuto divino che, se vi collaboriamo con la buona volontà facendo tutto quanto ci è possibile, ci rende capaci di trionfare del male. «Chi mi libererà dalle tendenze corrotte della mia natura?» chiedeva angosciato S. Paolo. E udiva nel suo cuore la risposta che gli assicurava la certezza della liberazione: «La grazia del Signor Nostro Gesù Cristo». Con la grazia si sentiva capace di tutto: «Omnia possum». Un giorno alcuni malvagi, volendo uccidere S. Benedetto, gli presentarono da bere una coppa di vino avvelenato. Il santo fece il segno della croce sulla coppa e questa si spezzò e il vino mortifero si sparse per terra. – Un altro giorno S. Cunegonda si risvegliò per un eccessivo calore che sentiva nel sonno. Fece il segno della croce e il fuoco si spense, lasciandola illesa. Cristiani, dopo che il Figlio di Dio morì per noi sulla croce, dalla croce ci viene una forza infinita per la salvezza. Se il mondo e il demonio ci offrono la coppa avvelenata delle loro seduzioni, se le passioni provocano l’incendio intorno a noi, attacchiamoci a Cristo Crocifisso: con la preghiera, la mortificazione e la buona volontà invochiamo l’aiuto divino della sua croce, e il male non prevarrà giammai sulla nostra anima. Ma perché Gesù con la sua preziosa e sovrabbondante redenzione non ci ha liberati anche dalle perverse inclinazioni? Perché il Battesimo che ci lava dal peccato originale, non monda il nostro cuore anche dalla ripullulante zizzania? Perché bisogna ancora farsi tanta violenza per conquistare il cielo? Anche l’indemoniato di Gerasa (Mc. V, 1-20), liberato da Gesù, rivolse al Signore domande impazienti come le nostre; Lo ricordate questo infelice, invaso da una «legione» di demoni, che i suoi compaesani legavano, nudo, con catene di ferro in mezzo ai sepolcri, come se si trattasse di bestia feroce? Gesù lo liberò dai molti demoni che aveva indosso; i quali s’abbatterono su una mandria di porci e la gettarono nel lago dove affogò. Quando il giovane liberato vide Gesù che se ne andava, si mise ai suoi piedi e sollevando a Lui gli occhi pieni di lacrime implorava: « Conducimi via di qui! Conducimi con te!» Ma Gesù gli rispose di restare per dar gloria a Dio in quel selvaggio suo paese. Così, Cristiani, come la sorte di quel giovane, è la nostra. Gesù è venuto, ci ha liberati dal demonio, ha infranto le catene che ci legavano al sepolcro della morte eterna, ci ha rivestiti con lo splendore dei suoi meriti, ma non ci ha ricondotti nel paradiso terrestre. – Ci ha lasciati qui a lottare, su questa terra piena di seduzione, con questo fragile nostro cuore di cui non possiamo mai fidarci. Perché? È difficile dirlo, perché la sapienza delle disposizioni divine è spesso così profonda che alla nostra mente riesce misteriosa. Certo è per un nostro più grande bene, per una sua gloria maggiore. Inoltre, bisogna riflettere che Dio non ha voluto salvarci quasi non fossimo persone dotate d’una loro volontà e capaci d’una loro azione; quasi fossimo cose inanimate e non uomini. L’Amore infinito ebbe un gran rispetto della nostra personalità; ci dona la redenzione, ma insieme ce la fa conquistare; ci offre la salvezza, ma senza toglierci l’onore e la gioia di meritarla. Pertanto, rivestiamoci con le armi della luce e della giustizia, e combattiamo senza vili compromessi, nell’attesa del suo ritorno. Quand’Egli tornerà, beato l’uomo che avrà trovato al suo posto, fedele e vigile in arme!

IL CREDO

Offertorium

Ps CXXIX:1-2

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta


Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas.

[Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI:24

Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Quǽsumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus.

[Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA