CANONIZZAZIONE (4)

V. ELENCO DELLE C. PREPARATE DALLA S. CONGREGAZIONE

DEI RITI, DA CLEMENTE VIII ( 1594) FINO A Pio XII

(seguono in ultimo le c. già fissate definitivamente per l’Anno Santo 1950 fino a tutto giugno 1949. Da notare che alle volte le bolle di c. non sono state pubblicate contemporaneamente all’atto della c. solenne; l’elenco dà unicamente le date delle c. solenni).

Clemente VIII, il 14 apr. 1594, s. Giacinto Odrovaz (15 ag. 1257); il 29 apr. 1600, s. Raimondo di Penafort (6 genn. 1275).

Paolo V, il 29 maggio 1608, s. Francesca dei Ponziani (9 marzo 1440); il I° nov. 1610, s. Carlo Borromeo (3 nov. 1584).

Gregorio XV celebrò, il 12 marzo 1622, per la prima volta nella storia, la c. di un gruppo di cinque santi s. Teresa di Gesù (15 ott. 1582), s. Filippo Neri (26 maggio 1595), s. Ignazio di Loyola (31 luglio 1556), s. Francesco Saverio (2 dic. 1552), s. Isidoro agricoltore (maggio 1130).

Urbano VIII, il 25 maggio 1625, s. Elisabetta regina del Portogallo (4 luglio 1336); il 24 apr. 1629, s. Andrea Corsini (6 genn. 1373).

Dopo l’interruzione di quasi trent’anni: Alessandro VII; il l ° nov. 1658, s. Tommaso da Villanova (8 sett. 1555); il 19 apr. 1665, s. Francesco di Sales (28 dic. 1622).

Clemente IX, il 28 apr. 1669, s. Pietro d’Alcàntara (18 ott. 1562) e s. Maria Maddalena de’ Pazzi (25 luglio 1607).

Clemente X, seconda c. cumulativa d i cinque santi, il 12 apr. 1671 : s. Rosa da Lima (24 ag. 1617), s. Luigi Bertràn (9 ott. 1581), s. Gaetano da Thiene (7 ag. 1547), s. Francesco Borgia (30 sett. 1572), s. Filippo Benizi (22 ag. 1585).

Alessandro VIII, altra c. di cinque santi il 16 ott. 1690: s. Lorenzo Giustiniani (8 genn. 1455), s. Giovanni da S. Facondo (11 giugno 1479), s. Pasquale Baylon (17 maggio 1592), s. Giovanni di Dio (8 marzo 1550), s. Giovanni da Capistrano (23 ott. 1456).

Clemente XI, il 22 maggio 1712, s. Pio V (l° maggio 1572), s. Andrea Avellino (10 nov. 1608), s. Felice da Cantalice (18 maggio 1587), s. Caterina Vigri da Bologna (9 marzo 1463).

Benedetto XIII, il 10 dic. 1726, s. Turibio Alfonso di Mogrovejo (23 marzo 1606), s. Giacomo della Marca (28 nov. 1476), s. Agnese Segni da Montepulciano (20 apr. 1317); il 27 dic. 1726, s. Pellegrino Laziosi (1° maggio 1345), s. Giovanni della Croce (de Yepes; 14 dic. 1591), s. Francesco Solano (14 luglio 1610); il 31 dic. 1726, s. Luigi Gonzaga (21 giugno 1591) e s. Stanislao Kostka (15 ag. 1568); il 16 maggio 1728, s. Margherita da Cortona (22 febbr. 1297); il 19 marzo 1729, s. Giovanni (Nepomuceno) Welflin da Pomuk (16 maggio 1393) .

Clemente XII, il 16 giugno 1736, s. Vincenzo de’ Paoli ( Depaul; 27 sett. 1660), s. Giovanni Francesco Regis (31 dic. 1640), s. Caterina Fieschi-Adorno, da Genova (15 sett. 1510), s. Giuliana Falconieri (19 giugno 1340).

Benedetto XIV, terza c. quintupla, il 29 giugno 1746: s. Fedele da Sigmaringa (Marco Roy; 24 apr. 1622). s. Camillo de Lellis (14 luglio 1614), s. Pietro Regalado (13 maggio 1456), s. Giuseppe da Leonessa (4 febbr. 1612), s. Caterina de’ Ricci (2 febbr. 1590).

Clemente XIII fece la prima c. di sei santi insieme il 16 luglio 1767: s. Giovanni Vacenga da Kanty (24/25 dic. 1473), S. Giuseppe da Copertino (18/19 sett. 1663), s. Giuseppe Calasanzio (25 ag. 1648), s. Girolamo Emiliani (8 febbr. 1537), s. Serafino da Montegranaro (12 ott. 1604) s. Giovanna Francesca Frémiot di Chantal (13 dic. 1641). Segue una parentesi di 40 anni.

Pio VII fa un’altra c. d i 3 santi, il 24 maggio 1807: s. Francesco Caracciolo (4 giugno 1608), s. Benedetto da S. Filadelfo, il « Moro » (4 apr. 1589), s. Angela Merici (27 genn. 1540), s. Coletta Boilet (6 marzo 1447), s. Giacinta Marescotti (30 genn. 1640). Segue altra parentesi di 35 anni. Gregorio XVI, il 26 maggio 1839, procede ad altra c. quintuplice: s. Alfonso M. de’ Liguori (1 ag. 1787). s. Francesco di Gerolamo (11 maggio 1716), s. Giovanni Giuseppe della Croce ( Carlo Gaetano; 5 marzo 1734), s. Pacifico da S. Severino (24 sett. 1721), s. Veronica Orsola Giuliani (9 luglio 1727).

Pio IX, l’8 giugno 1862: 26 martiri giapponesi (6 francescani, 3 gesuiti, 17 laici: 5 febbr. 1597) e s. Michele de Santi (10 apr. 1725); il 29 giugno 1867, c. solenne per il centenario della morte di s. Pietro: s. Giosafat Kuncewif (12 nov. 1623) e s. Pietro da Arbué; (17 sett. 1485), martiri; i 19 martiri di Gorkum (11 francescani, un domenicano, tre premonstratensi, un canonico di s. Agostino, quattro sacerdoti secolari, un laico: 9 luglio 1572), s. Paolo della Croce (Paolo Francesco Danei; 18 ott. 1775), s. Leonardo da Porto Maurizio 26 nov. 1751), s. Maria Francesca delle Cinque Piaghe (Anna Maria Gallo; 6 ott. 1791), s. Germana Cousin (1601 senz’altra indicazione; la festa fu fissata al 15 giugno). –

Leone XIII, l’8 dic. 1881, s. Giovanni Battista de Rossi (23 maggio 1764), s. Lorenzo da Brindisi (Cesare de Rossi; 22 luglio 1619), s. Benedetto Giuseppe Labre (16 apr. 1783), s. Chiara da Montefalco (18 ag. 1308); il 15 genn. 1888, i Sette fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, s. Pietro Claver (8 sett. 1654), s. Giovanni Berchmans (13 ag. 1621), s. Alfonso Rodriguez (31 ott. 1617); il 27 maggio 1897, s. Antonio M . Zaccaria (5 luglio 1539), s. Pietro Fourier (9 die. 1640); i l 24 maggio 1900, s. Giovanni Battista de la Salle (7 apr. 1719), s. Rita da Cascia (22 maggio 1457).

Pio X, l’11 dic. 1904, s. Alessandro Sauli (11 ott. 1592), s. Gerardo Maiella (15 ott. 1755); il 20 maggio 1909, s. Giuseppe Oriol (22 marzo 1702), s. Clemente M. Hofbauer (15 marzo 1820).

Benedetto XV, il 13 maggio 1920, s. Gabriele dell’Addolorata (Francesco Possenti; 27 febbr. 1862) e s. Margherita Maria Alacoque (17 ott. 1690), il 16 seguente s. Giovanna d’Arco (30 maggio 1431).

Pio XI celebrò 15 c. Nell’anno santo 1925: il 17 maggio 1925, s. Teresa del Bambino Gesù (Ter. Martin; 21 dic. 1897); il 21, s. Pietro Canisio ( Kanis, Kanijs; 21 dic. 1597); il 24, s. Maria Maddalena Postel (16 luglio 1846), s. Maddalena Sofia Barat (24 maggio 1865); il 31, s. Giovanni Eudes (19 ag. 1680), s. Giovanni Batt. M. Vianney (4 ag. 1859). Il 22 giugno 1930, s. Lucia Filippini (25 marzo 1732), s. Caterina Thomas (5 apr. 1374); il 29, gli otto martiri gesuiti « canadesi », s. Giovanni di Brébeuf e compagni (1642-49), s. Roberto Bellarmino (17 sett. 1621), s. Teofilo da Corte (19 maggio 1740). Durante l’Anno Santo della Redenzione 1933-34 vi furono sei c. Il 4 giugno 1933, s. Andrea Uberto Fournet (13 maggio 1834); 1′ 8 dic., s. Maria Bernarda Soubirous (16 apr. 1879); il 14 genn. 1934, s. Giovanna Antida Thouret (24 ag. 1826); il 4 marzo, s. Maria Michela del S.mo Sacramento (Desmaisières; 24 ag. 1865); l’11, s. Luisa de Marillac, vedova Le Gras (15 marzo 1660); il 19, s. Giuseppe Benedetto Cottolengo (30 apr. 1842), s. Pompilio M. Pirrotti (15 luglio 1766), s. Teresa Margherita del S. Cuore di Gesù (Anna M. Redi; 7 marzo 1770); il l° apr. 1934, s. Giovanni Bosco (31 genn. 1888); il 20 maggio, s. Corrado da Parzham ( Giov. Ev. Birndorfer; 21 apr. 1894). Il 19 maggio 1935, s. Giovanni Fisher (22 giugno 1535) e s. Tommaso More (6 luglio 1335); il 17 apr. 1938, s. Andrea Bobòla (16 maggio 1657), s. Giovanni Leonardi (9 ott. 1609), s. Salvatore da Orta (18 marzo 1567).

Pio XII, il 3 maggio 1940, s. Gemma Galgani (11 apr. 1903), s. Maria di s. Eufrasia Pelletier (24 apr. 1868) il 7 luglio 1946, s. Francesca Sav. Cabrini (22 dic. 1917): il 15 maggio 1947, s. Nicola di Flue (21 marzo 1487); il 22 giugno, s. Giovanni de Britto (4 febbr. 1693), s. Bernardino Realino (2 luglio 1616), s. Giuseppe Cafasso (23 giugno 1860); il 6 luglio, s. Michele Garicoìts (14 maggio 1863) e s. Elisabetta Bichier des Ages (26 ag. 1838); il 20 luglio, s. Luigi Maria Grignion di Montfort (28 apr. 1716); il 27 luglio, s. Caterina Labouré (31 dic. 1876); il 15 maggio 1949, s. Giovanna di Lestonnac (2 febbr. 1640); il 12 giugno, s. Maria Giuseppa Rossello (7 dic. 1880) ; il 22 maggio 1950, s. Bartolomea Capitanio (26 luglio 1833) e s. Vincenza Gerosa (28 giugno 1847); il 28 maggio 1950, s. Giovanna di Valois (4 febbr. 1505). [12 giugno 54 Domenico Savio, Gaspare del Bufalo, Pietro Chanel, Giuseppe Pignatelli, Maria Crocifissa Do Rosa, Pio X. – ndr. -]

LA C. EQUIPOLLENTE. – Il termine giuridico c. equipollente è una creazione, come pare, di Prospero Lambertini (Benedetto XIV) e precisamente introdotta nella sua nota opera circa la beatificazione e la c. Nella beatificazione si soleva, al suo tempo, distinguere una beatificazione formale, in tutta regola secondo la procedura canonica, e una beatificazione equipollente. Tale distinzione nacque ai tempi di Urbano VIII; in forza dei suoi decreti, quando preesisteva sotto determinate condizioni giuridiche un culto liturgico, era possibile ottenerne dalla S. Sede la ricognizione, equivalente, negli effetti pratici, ad una beatificazione formale: indi la denominazione beatificazione «equipollente ». Ora, il Lambertini, raccogliendo l’immenso materiale per la sua opera, riscontrò un certo parallelismo alle beatificazioni formale ed equipollente anche nel campo della c. Egli dovette registrare dei casi ove l’effetto finale era identico a quello raggiunto in forza di una c. formale, senza che vi fossero mai stati né la procedura canonica, né l’atto stesso di “una c. formale. Tutti questi casi il Lambertini li raccolse sotto la denominazione « c. equipollente ». Ne parlò lungamente nel 1. I, cap. 41 e intravvide una duplice specie di c. equipollente: 1) Molti santi infatti, come i martiri dell’antichità, i SS. Padri e dottori antichi, molti santi medioevali godono in tutta la Chiesa di culto universale, e su loro non fu mai fatto un processo, mai emanata una sentenza; tutto fu l’effetto di uno sviluppo storico; secondo il Lambertini, abbiamo qui una c. equipollente ed egli non omette, per scrupolo giuridico, di notare che certamente non manca, in questi casi, il consenso dei Sommi Pontefici, almeno tacito. Ci sono poi altri santi, martiri, confessori, vergini, che in tutta la Chiesa vengono comunemente considerati santi, ma la loro festa viene celebrata soltanto in determinate regioni, come, ad es., Genoveffa, Sigismondo, Rocco e innumerevoli altri. Anche qui esiste il consenso della Chiesa, mentre la festa effettiva rimane circoscritta. Anche qui manca la procedura canonica e la formale c., ma l’effetto è uguale; basta ricordare che anche per i santi formalmente canonizzati, oltre l’atto della c., ci vuole un secondo atto, con cui il Papa impone anche la festa alla Chiesa universale. Dunque siamo sempre nell’ambito della c. equipollente.

2) Il Lambertini costituisce però un secondo gruppo di santi, per i quali constata l’atto pontificio dell’imposizione della festa a tutta la Chiesa, senza però alcuna procedura precedente canonica né un atto di c. formale. Sono i santi inseriti per atto pontifìcio nel calendario universale. Siccome poi un calendario della Chiesa universale, in senso stretto, esiste soltanto dai tempi di S. Pio V (v. CALENDARIO DELLA CHIESA UNIVERSALE), la c. equipollente in quest’ultimo senso si riscontra in tutti i casi, in cui un Papa inserisce la festa di un santo, non mai canonizzato formalmente, nel detto calendario. Il Lambertini, fra l’altro, adduce come esempi i ss. Romualdo, Norberto, Brunone, Pietro Nolasco, Raimondo Nonnato, Giovanni de Matha e Felice di Valois, Stefano d’Ungheria, Venceslao, Gregorio VII ecc. Dopo i tempi di Benedetto XIV la lista di tali casi si potrebbe di molto allungare (ss. Pietro Damiani, Beda il Venerabile, Cirillo di Gerusalemme e Cirillo di Alessandria, s. Scolastica, Ireneo, Bonifacio apostolo della Germania, Agostino apostolo dell’Inghilterra ecc.). – Infatti i liturgisti e i canonisti hanno accettato questo modo di vedere del Lambertini, e fino ai nostri tempi passarono come esempi della c. equipollente soprattutto i casi dell’inserzione di santi non formalmente canonizzati nel calendario della Chiesa universale. Senonché lo stesso Lambertini, nella stessa opera, 1. IV, parte 2 a, cap. 6, si diffonde largamente circa la concessione di Messa ed Ufficio in onore di santi non canonizzati; qui presenta come esempi, fra altri, anche Norberto, Brunone, Pietro Nolasco, Giovanni di Matha e Felice di Valois, Stefano d’Ungheria, tutti già presentati come esempi della c. equipollente; ora qui non parla più di c. equipollente, ma di cosa completamente differente. I casi citati dunque sono o non sono c. equipollenti? Almeno la cosa non appare troppo chiara, e l’autore ha alquanto complicato le cose. – Ma i tempi recentissimi ci portarono finalmente due atti pontifici, dichiarati espressamente come c. equipollenti, cioè le c. equipollenti di s. Alberto Magno, sotto Pio XI (16 dic. 1931: AAS, 24 [1932], pp. 1-17) e di s. Margherita d’Ungheria sotto Pio XII (19 nov. 1943: AAS, 36 [1943], pp. 33-40) . In entrambi i casi precedette uno studio storico-critico della sezione storica della S. Congregazione dei Riti e le susseguenti discussioni dei consultori storici e soprattutto della Congregazione ordinaria. Mancò quindi la procedura normale; non furono chiesti miracoli; ma il Sommo Pontefice procedette, di sua piena autorità, alla proclamazione dei due personaggi come santi, e da venerarsi come tali in tutta la Chiesa. Per s. Alberto Magno la festa fu imposta contemporaneamente a tutta la Chiesa, dato anche che egli era stato dichiarato, nello stesso atto pontificio, Dottore della Chiesa universale; la festa invece di s. Margherita non fu imposta a tutta la Chiesa. In entrambi gli atti pontifici è chiaramente detto che l’atto stesso vuol essere una vera e piena c. equipollente. – Da questo momento si delinea, per la c. equipollente, una duplice accezione: nel senso del Lambertini, cioè come estensione o imposizione della festa di un santo non formalmente canonizzato, e che oggi dev’essere chiamata c. equipollente in senso improprio o largo; e nel senso dei due atti pontifici ora citati, cioè la vera e propria c. equipollente nel senso stretto. – Quando furono elaborati gli schemi per il CIC, era stato preparato anche uno schema per la c. equipollente, ma poi fu ritirato per lasciare ai Sommi Pontefici la piena libertà di procedere in questo campo. Quindi una definizione giuridica precisa o una norma per la procedura “ad casum” non esiste. Certo è però che un personaggio da proporsi al Papa per una c. equipollente dovrà presentare alcuni elementi inderogabili, come, ad es., l’autenticità della persona stessa, la prova storica delle virtù o la certezza del martirio, l’esistenza di veri miracoli operati dalla persona dopo la sua morte, l’esistenza di un vero e proprio culto liturgico antico, la sua origine, la sua continuazione, e un certo rilievo della persona stessa, elementi storicamente provati nei due casi finora esistenti della c. equipollente vera e propria.

VII. C. E CHIESA. – La c. costituisce, nella vita della Chiesa Cattolica, un elemento essenziale, in quanto che attesta la santità della Chiesa stessa attraverso la storia, proprietà o nota distintiva della vera Chiesa di Cristo, confessata nel simbolo niceno-costantinopolitano. Questa santità dev’essere esternamente controllabile, e Chiesa deve poter mostrare al mondo la santità delle sue membra in modo tangibile. Non si tratta qui soltanto della santità comune alla quale sono chiamati tutti i cristiani, ma soprattutto della santità esimia, alla quale possono arrivare ed arrivano di fatto molti cristiani. La nota della santità esimia non mancò mai alla Chiesa cattolica, ma trattandosi di un elemento esterno, la Chiesa deve avere il modo e la facoltà di dichiarare, in forma dottrinale, che questa o quella persona è veramente santa, vale a dire, che esprime, nella sua vita, l’ideale evangelico, previssuto e chiesto da Cristo. Questa dichiarazione ufficiale è appunto la c. – Per la vita della Chiesa quindi è necessario che non le manchi mai la nota della santità, ma non è necessario per la Chiesa che venga canonizzato questa o quella persona. Del numero dei santi che vissero e vivranno nella Chiesa, solo pochi sono e saranno quelli che, per disposizione positiva della Provvidenza, arriveranno al riconoscimento esplicito della santità nella c. Questa è anche la ragione per cui la Chiesa, come tale, non prende l’iniziativa per introdurre una causa, ma lascia ciò alla Provvidenza, la quale si serve ai suoi scopi dei mezzi e delle vie ordinarie. – Talvolta però la storia di una causa rivela molto chiaramente disposizioni particolari di Dio; vedi, ad es., la rapidità straordinaria con cui si svolse la causa del frate cappuccino Corrado da Parzham (la causa più rapidamente condotta a termine nei tempi recenti: introduzione 1914, c. 1934). – L’oggetto immediato e diretto della definizione papale, nella c., è solo il fatto che l’anima della persona santa gode certamente la gloria celeste; ciò però non è un fatto, incluso direttamente nel tesoro della rivelazione soprannaturale, chiusa dopo la morte dell’ultimo apostolo; quindi il Papa non lo può definire come oggetto di fede divina, ma solo come oggetto di fede ecclesiastica. – Il Concilio Vaticano, nella sua esposizione dell’infallibilità del Papa, non nomina espressamente la c. dei santi come oggetto dell’infallibilità pontificia. È però dottrina comune dei teologi che il Papa nella c. è veramente infallibile, trattandosi di un atto importantissimo attinente alla vita morale della Chiesa universale, in quanto che il santo non viene soltanto proposto alla venerazione perché gode la gloria celeste, ma anche perché modello delle virtù e della santità reale della Chiesa. – Ora, sarebbe intollerabile se il Papa in una tale dichiarazione che implica tutta la Chiesa, non fosse infallibile. Questa dottrina risulta da non poche bolle di c., anche del medioevo, dalle deduzioni dei canonisti, sin dal medioevo, e dei teologi sin da s. Tommaso d’Aquino. Benedetto XIV insegna che è certamente eretico e temerario insegnare il contrario.

 [Nota: Come abbiamo potuto vedere, la Canonizzazione è una faccenda estremamente seria e complessa, che nel tempo ha assunto, data l’importanza capitale della questione, caratteri rigorosissimi. Ogni elemento viene setacciato con cura e valutato attentamente da commissioni che si succedono per gradi, inserito in un mosaico perfettissimo in cui ogni tessèra deve trovare la sua giusta collocazione. Questo fa ben comprendere come il Santo Padre abbia una grande responsabilità spirituale nel proporre alla Chiesa Universale un culto ed un esempio di virtù eroiche da additare ai fedeli. Pertanto, come più volte è stato riportato, massimamente dal Santo Padre Benedetto XIV [P. Lambertini], una autorità assoluta in materia. … “sarebbe intollerabile se il Papa in una tale dichiarazione che implica tutta la Chiesa, non fosse infallibile … ed è certamente eretico e temerario insegnare il contrario!” Se ci imbattiamo invece in canonizzazioni strane, di soggetti notoriamente empi, eretici, anticristiani, tendenti al protestantesimo, all’indifferentismo religioso ed all’ecumenismo multietnico, garantiti da miracoli ridicoli, da raffreddori guariti in estate o simili, questo non vuol dire che il Papa sia fallibile in materia di canonizzazione e la Chiesa la tana di aspidi velenose: significa semplicemente che chi ha sottoscritto la santità di un soggetto notoriamente “dannato”, almeno secondo il giudizio dei sacri canoni, del Magistero e dei catechismi della Santa Madre Chiesa, semplicemente non è un Papa, bensì un impostore fasullo. Praticamente l’ultima canonizzazione fu quella del 27 aprile 1958 di S. Teresa di Gesù Jornet y Ibars1843-1897- alla quale sono succedute invalidamente, [perché gestite da antipapi marrani modernisti apostati e scismatici della falsa chiesa dell’uomo, da Roncalli fino ad oggi, che non hanno alcuna autorità … o forse ce l’hanno nelle logge degli Illuminati ?!?] una caterva di pseudo-beati e pseudo-santi che sono da considerare come “mai canonizzati”; tra essi chiaramente ci saranno anche delle sante persone degne di attenzione e di venerazione, ma canonicamente non sono assolutamente da considerarsi tali, né possono costituire oggetto di venerazione o di culto da parte dei Cattolici. È probabile che quando la Chiesa Cattolica sarà emersa dall’eclissi attuale, alcuni di essi saranno validamente canonizzati da un “vero” Papa liberamente e validamente eletto, ma al momento il loro culto è sacrilego e blasfemo, perché non conforme alle leggi della Chiesa Cattolica (anzi “imposto” fuori dalla “vera” Chiesa Cattolica) e soprattutto perché avallato da servi della sinagoga di satana: falsi religiosi, falsi cardinali e veri antipapi].

 

CANONIZZAZIONE (3)

 [LA C. PAPALE O UNIVERSALE]

b) Periodo secondo : fino a Sisto V. Gregorio X ordina l’inquisitio per il processo di s. Margherita d’Ungheria (18 genn. 1270) a tre prelati ungheresi. Nel 1271 il processo era chiuso, ma a Roma giudicato insufficiente (il processo è andato perduto); pertanto Innocenzo V commise a due italiani esperti della Curia di istituire un secondo processo (1276) con gli « interrogatoria » mandati da Roma. Il processo è conservato, ma non ebbe poi seguito. Soltanto recentemente (1943) Margherita è stata canonizzata equipollentemente da Pio XII (v. appresso c. equipollente). – Onorio IV poco prima della sua morte (3 apr. 1287) nel convento di S. Sabina a Roma, ricevuta la notizia della morte di Ambrogio Sansedoni, domenicano senese (20 marzo 1287), circondato da fama di santità e di miracoli straordinari, ordinò subito a quattro domenicani di recarsi a Siena per iniziare le dovute indagini. I commissari, sopravvenuta la morte del Papa, continuarono, pur senza forma di processo, a riunire il materiale in proposito. Ma tutto si fermò lì. Quando poi nel 1442-1443 Eugenio IV fu sollecitato di procedere alla c., promise di farlo a Roma. Intanto, il 16 apr. 1443, concesse alla provincia romana dei Domenicani di solennizzare la festa di Ambrogio « velut si sanctus esset canonizatus »: ma una c. formale non ebbe mai luogo. – Bonifacio VIII, nel luglio 1297, a Orvieto, canonizzò s. Luigi IX, re di Francia (25 ag. 1270). Questa c. ha un certo sapore politico, perché fatta dal Papa in seguito alla sua rappacificazione con Filippo IV, re di Francia. – Clemente V, il 5 maggio 1313, canonizzò, in Avignone, s. Pietro de Murrone, Celestino V papa (19 maggio 1296). – Giovanni XXII, il 7 apr. 1317, canonizzò s. Ludovico vescovo di Tolosa (19 ag. 1297); il 17 apr. 1320, s. Tommaso Canteloup, vescovo di Herford (3 ott. 1282); c., il 18 luglio 1323, s. Tommaso d’Aquino (7 marzo 1274), sempre in Avignone. – Clemente VI, ancora in Avignone, i l 26 giugno 1347, canonizzò s. Ivo Hélory (19 maggio 1303) e, il 19 sett. 1351, s. Roberto de Furlande, abate di Chaise-Dieu (17 apr. 1067). – Urbano V, il 15 apr. 1369, canonizzò, in Avignone, s. Elzeario de Sabran, conte di Ariano (27 sett. 1323). La bolla di c. fu pubblicata da Gregorio XI il 15 genn. 1371. Era l’ultima c. fuori Roma. – Sotto Gregorio XI è degno di nota il caso di Carlo di Blois, conte di Bretagna, caduto nella battaglia di Auray il 29 sett. 1364. Il processo di c. fu costruito regolarmente ad Angers nel 1374 e spedito ad Avignone. Il Papa, secondo la relazione dell’ambasciatore veneziano, già in procinto di partire per Roma, decise di far la solenne c. a Marsiglia il giorno precedente la sua partenza che realmente avvenne il 2 ott. 1376: ma nessuna fonte ci attesta l’avvenuta c. La c. di s. Caterina, figlia di s. Brigida, posta da diversi autori al 1378, sotto Urbano VI, manca di ogni fondamento storico; la sua festa, permessa da Sisto IV, fu fissata da Leone X, il 21 marzo 1512, al 25 giugno, « donec ad eius canonizationem deveniatur ». Alla stessa epoca era viva in Francia la fama del taumaturgo Pietro, conte di Lussemburgo (2 ag. 1387). L’antipapa Clemente VII (Roberto di Ginevra), che l’aveva creato cardinale vescovo di Metz, commise a tre cardinali una prima indagine e, nel Concistoro del 16 giugno 1389, Pietro d’Ailly, a nome di Carlo VI, ne perorò la causa. Nominata nuovamente una commissione di cardinali, nel 1390 fu costruito il processo in base a non meno di 280 articoli, ma, dati i tempi turbinosi, tutto si fermò lì. Nel 1433 Eugenio IV riprese la causa, e il Concilio di Basilea nel 1435 istituì una nuova commissione, ma ancora una volta senza esito. Finalmente papa Clemente VII, il 7 apr. 1527, dopo iterate istanze, emanò una bolla in cui permise che il predetto Pietro e Luigi Aleman potessero esser venerati come « .. donec… ad canonizationem deventum fuerit ». Ma la c. non fu mai fatta. – Bonifacio IX, il 7 ott. 1391, canonizzò s. Brigida (23 luglio 1373), nella cappella del palazzo Vaticano, e il giorno seguente, domenica, ne celebrò la Messa solenne. – Martino V canonizzò, il 26 marzo 1425, s. Sebaldo eremita (19 ag., sec. VII o VIII). Egli ordinò anche l’inquisizione per Edvige, regina di Polonia (17 luglio 1399); nel 1426 Alberto Jastrzembiec, arcivescovo di Gnesna, nella sua qualità di visitatore apostolico del regno di Polonia, istituì di nuovo una sottocommissione per raccogliere testimonianze sulla regina; nel 1450 il cancelliere regio Giovanni Dlugos notò rassegnato che non c’era più speranza per la causa. – Eugenio IV celebrò, il 1 febbr. 1447, la c. di s. Nicola da Tolentino (10 sett. 1306), e, poiché il novello Santo apparteneva all’Ordine degli Eremiti agostiniani, terminata la funzione in s. Pietro, il Papa si recò in grandiosa processione alla chiesa di s. Agostino per celebrarvi la Messa. – Niccolò V, il 24 maggio 1450, canonizzò s. Bernardino dagli Albizeschi, da Siena (20 maggio 1444). – Callisto III, il 1 genn. del 1456, canonizzò s. Osmundo, vescovo di Salisbury (4 dic. 1099); il 29 giugno 1456 s. Vincenzo Ferreri (5 apr. 1419). La pubblicazione della bolla avvenne, sotto Pio II, il 1 ott. 1458. Il 15 ott. 1457 canonizzò s. Alberto da Trapani, carmelitano (7 ag. i307); la pubblicazione della bolla fu fatta da Sisto IV, il 31 maggio 1476. Pio II, il 29 giugno 1461, canonizzò s. Caterina Benincasa, da Siena (29 apr. 1380). – Paolo II nel 1466 ordinò il processo per s. Emma di Gurk (29 luglio 1045). In una lettera all’imperatore Federico III (1467) affermò che intendeva procedere alla c., ma solo nel 1938 si ebbe l’approvazione del culto col titolo di « santa ». Paolo II intervenne anche nella causa di s. Andrea Corsini (6 genn. 1373), caso quanto mai interessante per la storia della c. Andrea fu subito venerato a Firenze, e a lui si attribuì, nella guerra di Firenze contro Milano del 1440, la salvezza della città. Nell’anniversario della liberazione si espose solennemente il corpo. Il Papa visitò il suo sepolcro e acconsentì senz’altro a tutte le manifestazioni di venerazione ormai regolari. Paolo II finalmente, ad istanza di Firenze, formò la commissione di tre cardinali, allora necessaria per iniziare il processo di c. La causa fu ripresa sotto Clemente VIII e Paolo V, ma soltanto sotto Urbano VIII, nel 1629, si poté procedere alla formale c. Si vedrà come Urbano VIII stroncò una volta per sempre certe affermazioni di culto che certo apparivano non del tutto scevre di inconvenienti. – Sisto IV. E da notare il caso particolare dei protomartiri francescani del Marocco, Bernardo, Pietro, Ottone, Accursio e Adiuto (16 genn. 1220). Il Papa aveva concesso « vivæ vocis oraculo » di celebrarne la festa nelle chiese dell’Ordine francescano; ma levatesi varie opposizioni, il Papa emanò un breve i l7 ag. 1481, nel quale dichiarò espressamente che i frati Minori « ubicumque et solemniter ac publice » potevano celebrare questa festa. Questa concessione rientra quindi perfettamente nelle concessioni papali di un culto limitato, ma con tutte le prerogative di un culto di santi canonizzati: una c. « minore », se si vuole, ma sempre una c. Il 14 maggio 1482 canonizzò s. Bonaventura (14 luglio 1274). – Innocenzo VIII canonizzò solennemente, i l6 genn. 1485, s. Leopoldo III, duca d’Austria, della famiglia dei Babenberg (15 nov. 1136). – A Giulio II (1508) si ascrive un caso simile a quello di Sisto IV, per i martiri camaldolesi Benedetto, Giovanni, Matteo, Isacco e Cristiano (10 nov. 1003, presso Poznan). Però la notizia è una invenzione del sec. XVII. Il 15 dic. 1512 egli approvò il culto da secoli prestato a Notgero di S. Gallo, detto il Balbo, (6 apr. 912) per il monasterò di S. Gallo e per la diocesi di Costanza, con la clausola però « quod… propterea canonizatus aut alias approbatus non censeatur », dunque esclude positivamente l’effetto di una c. formale, a differenza di simili concessioni precedenti già ricordate. La c. formale già talmente radicata come atto supremo del Papa, che bisognava prevenire possibili malintesi derivanti da concessioni di grado minore. – Leone X, il 1 maggio 1519, canonizzò s. Francesco di Paola (2 apr. 1507) e, nel 1521, s. Casimiro, figlio di Casimiro IV il Grande, re di Polonia (4 marzo 1484). – Adriano VI, il 31 maggio 1523, canonizzò, primo caso di questo genere, in un’unica c. due santi insieme: s. Antonino, arcivescovo di Firenze (2 maggio 1459) e s. Bennone, vescovo di Meissen (16 giugno 1105 o 1107); la bolla però fu promulgata da Clemente VII il 26 nov. 1523. – Paolo III nel 1537 commise al nunzio di Sicilia di istituire il processo di c. di Guglielmo Cuffitella, eremita a Scicli (4 apr. 1411). Esaminatolo, il 26 febbr. 1538, il Papa permise per il momento il culto già esistente, ma con la clausola : « quod dictus Guglielmus, propter præmissa, canonizatus non censeatur»; la c. formale, non venne mai. Questi e simili casi sono i primi indizi di quella che in seguito doveva essere la beatificazione. – Sisto V canonizzò, il 2 luglio 1588, s. Diego da Alcalà (13 nov. 1463) ed è l’ultima c. secondo lo stile antico. La Congregazione dei Riti, istituita appena da qualche mese, non poté infatti intervenirvi in alcun modo. Durante il secondo periodo delle c. papali, si constata subito una decisa e completa affermazione di tali c. come unica forma legittima per la costituzione di un culto universale. Ma tuttavia, anche se nelle bolle pontificie generalmente la festa del nuovo santo viene prescritta in termini categorici, in realtà poche di quelle feste sono entrate nell’uso venerale della Chiesa; i culti rimasero circoscritti, de facto, a territori più o meno limitati. Qualche volta invece anche nelle stesse bolle papali tale limitazione viene espressamente stabilita, senza per questo derogare alla qualità di « santi » dei relativi canonizzati. Qualche volta però l’intervento papale è avvenuto, con espressa esclusione dell’effetto completo della c.; sono i primi indizi della futura beatificazione formale distinta dalla c. – La procedura e il rito della c. in questo periodo ci è noto in primo luogo attraverso alcune precise descrizioni. G. Gaetani Stefaneschi, nipote di Bonifacio VIII, cardinale nel 1295, m. nel 1341, lasciò una relazione sulla c. di s. Celestino V e di s. Tommaso Canteloup, in prosa; una seconda su s. Celestino, in versi, e una terza su s. Luigi di Tolosa, inserita nell’Ordo Romanus XIV (capp. 111 e 115). – Nella procedura canonica appare una novità che però in seguito non fu mantenuta, cioè tutta una serie di concistori per lo studio del processo, e la scelta di 7 o 8 prelati della Curia incaricati di esporre, il giorno della c., il contenuto del processo in forma di predica al popolo. Interessante la notizia che il Papa, nell’ultimo concistoro, nominava due cardinali, generalmente religiosi, con incarico di preparare i testi liturgici, uno le lezioni, l’altro le antifone, i responsori e l’Oremus. Appare poi un personaggio nuovo: il procuratore della causa della c., ordinariamente l’ambasciatore di uno Stato cattolico. Questi dovrà domandare al Papa a volersi degnare di ascoltare i prelati che peroreranno la causa del canonizzando; seguono le prediche dei 7 o 8 prelati al popolo; il Papa, dopo il canto del Confiteor, dà l’assoluzione e pubblica l’indulgenza. In un secondo tempo poi, in chiesa, il Papa stesso tiene il sermone e chiede che si preghi. Intonato il Veni Creator, si continua, dopo il canto, a pregare in silenzio; poi il Papa pronunzia la formula della c., canta il Te Deum, con l’Oremus del nuovo santo. Segue il Confiteor, con l’indulgenza di 7 anni e 7 quarantene, e la Messa solenne. – Ca. cento anni dopo lo Stefaneschi, il patriarca di Grado, Pietro Amely (Petrus Amelii; m. nel 1403), nel 1395 stese una relazione sulla c. di s. Brigida, inserita nell’Ordo Romanus XV (cap. 153). Da questa relazione si conoscono altre novità introdotte: dopo la proclamazione della c., i procuratori chiedono al Papa di rogare il pubblico istrumento dell’atto. Mentre si canta il Te Deum, vengono distribuite torce di peso diverso, secondo il grado della persona cui sono destinate, e si fa una grandiosa processione verso il palazzo Vaticano. Nella cappella si chiude la funzione con l’Oremus e l’indulgenza. Finalmente, durante la Messa, un’altra novità, la quale costituisce ancora oggi per il pubblico una delle più curiose attrattive della c. Dopo il Vangelo i tre cardinali commissari della causa escono dalla sacrestia di S. Pietro con le oblazioni: il primo porta due grandi torce dorate, il secondo due pani, coperti con panni recanti gli stemmi dei tre cardinali e di s. Brigida, il terzo due barilotti dorati, pieni di vino e con gli stessi stemmi. Seguono cinque procuratori e l’avvocato della causa, e ciascuno offre un canestrello verde con due colombe bianche e due tortore. Nel caso di s. Brigida, il Papa, per riguardo alla Santa tanto venerata, concesse l’indulgenza in forma di giubileo, cioè un’indulgenza plenaria. Importante la notizia dell’Amely che la causa ebbe tre cardinali commissari; da altre fonti successive sappiamo che essi furono scelti dai tre ordini: dei vescovi, preti e diaconi. I cardinali commissari, alla loro volta, avevano nominato sottocommissari (vescovi, abati o altri dignitari) con le facoltà necessarie per la costruzione del processo apostolico. Durante il sec. xv, l’esame dei processi di c., la rubricazione ecc., passò agli uditori di Rota, nominati sin dai tempi di Innocenzo III, per lo studio e la trattazione di certe cause. Dopo Bonifacio VIII gli uditori che formano già un collegio ben determinato, furono incaricati di esaminare i processi di c. Nella c. di s. Bonaventura appare per la prima volta la notizia del canto delle litanie dei santi. Per la c. di s. Francesco di Paola il noto cerimoniere pontificio Paris de Grassis rivide tutto il cerimoniale, nelle forme ormai tradizionali, rimasto in uso, nelle grandi linee, fino ad oggi.

c) Periodo terzo. – Evoluzione della procedura e della trattazione delle cause da parte della S. Congregazione dei Riti. Nel generale riordinamento della Curia voluto da Sisto V nel 1588, con il quale furono istituite 15 Congregazioni cardinalizie, la S. Congregazione dei Riti occupa il quinto posto. A questa il Papa affidò, fra l’altro, anche il compito: « diligentem quoque curam adhibeant cardinales circa sanctorum canonizationem ». Con questa semplice frase, venne affidato ufficialmente e stabilmente alla nuova Congregazione tutta la preparazione delle cause dei santi fino alla loro piena maturazione, quando cioè potevano essere presentate al Papa nei soliti concistori, per l’ultimo esame formale. Fino a questo momento lo studio immediato dei processi inviati nell’Urbe era stato affidato agli uditori di Rota; però gli uditori non funzionarono, nelle cause dei santi, come collegio, ma isolatamente. Un organo permanente, che sorvegliasse e accompagnasse ogni causa attraverso le varie fasi fino al termine, mancava. Accadde non di rado che un processo, portato in Curia e deposto nella casa di uno dei tre soliti cardinali commissari, per la morte di uno, andasse smarrito. Anche i processi venivano costruiti con criteri molto disparati. Ora, Sisto V, affidando tutta la materia della c. alla nuova Congregazione dei Riti, gettò le fondamenta per la formazione definitiva di quella procedura che gode giustamente in tutto il mondo la meritata fama. Era troppo evidente che agli inizi la Congregazione avesse bisogno di trovare la giusta strada, di raccogliere esperienze, di formarsi una prassi stabile, di trovare soluzioni, norme, applicazioni generiche in tanta varietà di materia. Questo periodo di orientamento e di stabilizzazione durò dal 1588 fino a tutto il pontificato di Urbano VIII (1623 – 44). Spetta a lui il merito di aver indirizzata la procedura canonica della c. a quella austerità e sicurezza che vige ancora. Nel 1642 egli fece pubblicare in un volumetto di 63 pagine tutti i decreti e i successivi schiarimenti emanati durante il suo lungo governo in materia di c.; porta il titolo: Urbani VIII O. M. Decreta servando in canonizatione et beatificatone sanctorum. Accedunt Instructiones declarationes quas Emi et Rmi S. R. E. Cardinal præsulesque romanæ Curiæ ad id muneris congregate ex eiusdem Summi Pontificis mandato condiderunt. – Si apre con due decreti della S. Inquisizione (13 marzo e 2 ott. 1625), fondamentali in materia di culto. Fino a quel momento erano nati continuamente nuovi culti. I grandi santi della Riforma cattolica, come s. Ignazio, s. Filippo Neri, s. Francesco Saverio, s. Teresa, suscitarono quasi subito una spontanea venerazione popolare che presto si trasformò in vero culto, anzi molto esteso, prima che la Chiesa si fosse pronunziata in merito alla loro santità. Urbano VIII vietò d’un colpo ogni culto ecclesiastico nuovo; anzi, d’allora in poi l’esistenza di un tale culto recente doveva costituire un impedimento alla procedura canonica. Così non pochi culti più o meno recenti furono allora troncati, altri si spensero da sé. Con ciò cessò qualunque spinta indisciplinata e pericolosa verso la c. Per simili ragioni gli stessi decreti vietarono la pubblicazione di libri o scritti sulla vita, sui miracoli, sul martirio, su rivelazioni ecc. di persone, morte in concetto di santità, senza previa approvazione ecclesiastica e senza debite proteste dell’autore di non voler in alcun modo prevenire il giudizio della Chiesa in questa materia. Per la stessa ragione fu vietato anche di porre alle sepolture di tali persone qualsiasi segno di culto religioso. In un supplemento ai sopraddetti decreti, fu permesso solo di accettare e di conservare, ma in luogo appartato e segreto, gli « ex-voto », affinché servissero, eventualmente, come attestato di fama di santità e di miracoli in una futura trattazione della causa. Considerato però il fatto che un culto già esistente poteva avere anche le sue ragioni giuridiche, fu stabilito che culti formati « per communem Ecclesiæ consensum, vel immemorabilis temporis scientia, ac tolerantia Sedis Apostolicæ, vel Ordinami », non venissero pregiudicati. Segue il celebre breve Cælestis Hierusalem cives (5 luglio 1634), nel quale si inculcano le prescrizioni dell’Inquisizione dell’anno 1625, aggiungendo poi ulteriori norme molto incisive per la procedura canonica della c.Anzitutto vengono proibite informazioni private sulla vita, virtù, miracoli o martirio di un servo di Dio, raccolte da qualsiasi autorità, per servire ad una futura c.Invece per prima cosa doveva esserci un processo canonico particolare sull’obbedienza prestata ai decreti urbaniani del non cultu; per culti formati legittimamente, come sopra fu detto, viene introdotto invece come normale lo spazio di 100 anni prima dell’anno 1634. Ogni interpretazione dei decreti urbaniani è riservata alla Santa Sede. Seguono le formule per le varie proteste degli autori, di cui sopra; si stabilisce, in conseguenza ai decreti stessi, una duplice via canonica di c., per viam cultus e per viam non cultus; l’ultima è d’ora in poi la via ordinaria, l’altra la via di eccezione: casus exceptus [a decretis urbanianis], distinzione basilare che vige ancor oggi. Urbano VIII stabilisce poi anche l’ordine progressivo degli atti fondamentali. Tre volte l’anno (genn. maggio, sett.) si terranno Congregazioni « coram Sanctissimo » (l’odierna Congregazione generale), in presenza dei cardinali dei Riti, del protonotario della Congregazione, del sacrista del Papa, del promotore della Fede, del segretario, degli uditori di Rota di turno per le cause in discussione. Quindici giorni prima delle Congregazioni papali si terranno Congregazioni particolari (le odierne Congregazioni preparatorie) nella casa del cardinale più anziano, per preparare la materia per la Congregazione papale; il cardinal proponente dovrà riferire sul merito della causa. La Congregazione papale tratterà la validità dei processi, le virtù e i miracoli. Nel caso che una Congregazione generale non bastasse ad esaurire l’argomento stabilito, si continuerà nelle susseguenti Congregazioni ordinarie e si riferirà al Papa. Le Congregazioni ordinarie invece saranno competenti, nelle cause dei santi, in tutto ciò che si riferisce all’ubbidienza ai decreti urbaniani, all’apertura dei processi, la deputazione, surrogazione ecc. dei giudici e cose simili, a patto che tutto venga riferito al Papa. Viene poi imposto il segreto di ufficio (p. 24) con le varie formule del relativo giuramento. Un altro punto che causò molti ritardi e non fu sempre ben interpretato, fu la prescrizione di Urbano VIII secondo cui (p. 27) non si poteva in alcun modo procedere « ad effectum canonizationis seu beatificationis, aut declarationis martyrii, nisi lapsis 50 annis ab obitu illius »; e anche dopo i 50 anni soltanto con un espresso permesso del Papa. Si permetteva però la costruzione dei processi ordinari, sia di quelli « in genere », come di quelli « in specie, ne pereant testes », anche prima del cinquantennio, ma i detti processi dovevano essere sigillati e conservati chiusi. Misura questa molto severa, ma sapientissima; la fama di santità, nata attorno ad un personaggio morto da poco, doveva subire, per dire così, la prova della sua consistenza reale. Nelle pp. 28-56 viene rapidamente descritta la procedura canonica relativa alle cause: lettere postulatorie da parte di prìncipi e personalità cospicue come base, la « signatura Commissionis » e la formula del relativo decreto; il giudizio sopra l’ubbidienza ai decreti urbaniani circa il non cultu, la concessione delle « litteræ remissioriales » per la formazione del processo ordinario « in genere » e la formula delle remissioriali; dopo un sommario giudizio, fatto « coram Sanctissimo », si concedono nuove lettere remissioriali per il processo ordinario « in specie ». Qualora capitasse di istruirlo nella stessa Roma, dovrà essere a ciò delegato il cardinal vicario, il quale, a sua volta, deputerà un dignitario dimorante in Roma, aiutato dal protonotario della Congregazione dei Riti, uso ancora in vigore. Agli uditori, il Papa raccomanda soprattutto di bene indagare sulla morte del servo di Dio e le sue circostanze, sull’origine della fama di santità, e circa eventuali scritti lasciati da lui, i quali, nel caso, devono essere raccolti ed esaminati per vedere se contengano nulla che possa ostacolare la causa. Da qui nacque la procedura particolare ancora vigente intorno agli scritti dei servi di Dio, altro punto molto importante che richiedeva una sistemazione. Finalmente viene stabilito che, dopo tutti gli esami dei processi, e dopo lo studio di tutta la procedura percorsa da una causa, prima di procedere alla c., si debba tenere una Congregazione particolare davanti al Papa, per deliberare, tutto valutato e considerato, « an sit procedendum ad canonizationem » ; è la Congregazione che oggi si chiama « super tuto ». – Le ultime pagine del libretto urbaniano contengono i testi di lettere circolari ai nunzi, patriarchi, arcivescovi, vescovi, prelati minori ecc. con un formale rinnovato divieto di assumere, nelle cause dei santi, informazioni private, extragiuridiche. Si ordina poi che gli originali dei processi si conservino sigillati nelle relative curie, mentre a Roma si devono inviare copie autenticate, il « transumptum ». Finalmente il Papa dichiara che, quando la S. Sede ha posta la mano ad una causa, essa è sottratta ad ogni ingerenza degli Ordinari qualora non ricevano una particolare autorizzazione da parte della Congregazione. Chiude il libro una serie di minute prescrizioni per gli uditori, il promotore della Fede, gli avvocati, ecc. – Questa raccolta del 1642 costituisce la «magna charta » in materia di c. , perfezionata in seguito in vari punti; nella sostanza però è ancor oggi il fondamento della procedura canonica della c.. – Dopo l’unica c. celebrata da Urbano VIII nel 1625, in seguito alle severe norme da lui emanate, si ebbe una stasi fino a Alessandro VII (1658); bisognava adattare la prassi alle norme e mettere tutta la procedura in nuova e più organica efficienza. A ciò servirono varie ulteriori prescrizioni delle quali presentiamo soltanto le più importanti. Fino a Innocenzo X (successore di Urbano VIII), i processi furono consegnati agli uditori di Rota che li studiarono « in casa »; ma ormai la Congregazione dei Riti prese nelle proprie mani il detto esame, soprattutto attraverso l’ufficio del promotore della Fede e del sottopromotore. Dal tempo di Alessandro VIII la serie delle « Congregationes » si è completata con una « Congregatio ante præparatoria »; le prime annotate nei protocolli della Congregazione dei Riti sono del 1691, sia per le virtù, come per i miracoli. D’ora innanzi si avrà quindi: 1° Congr. antepraep., in presenza dei consultori e dei prelati della Congregazione dei Riti, nella casa del cardinal ponente, allo scopo di procurargli la necessaria conoscenza della causa stessa; 2° la Congr. praepar., in Vaticano (allora anche al Quirinale), in presenza di tutti i cardinali della Congregazione dei Riti, dei consultori e prelati, per l’informazione dei cardinali; e, finalmente, 3° la Congr. generalis, in presenza del Papa, per informarlo sul merito della causa. Queste tre Congregazioni hanno luogo sia per la discussione delle virtù o martirio, come dei miracoli, e tale serie si chiude con un’ultima Congregazione generale, « super tuto », che apre la via o alla beatificazione, o alla c., secondo il grado dell’avanzamento della causa stessa. Con ciò i consultori della Congregazione furono posti sempre più in vista. Essi, insieme al promotore e sottopromotore della Fede, in una gara vicendevole di esami e di discussioni intorno ai punti deboli delle cause, esposti appunto dal promotore, specie di procuratore o pubblico ministero per garantire da parte della « Fede », ossia della Chiesa, l’incolumità del diritto e degli interessi morali e dottrinali, portarono la causa, mediante una continua e progressiva chiarificazione, allo stadio di perfetta maturazione per la definitiva sentenza della c. In seguito alla prassi introdotta da Urbano VIII, ed entro il suo secolo, si creò la piena separazione fra beatificazione e c.. Alessandro VII (2 ott. 1655) prescrisse che nelle lettere remissoriali, rilasciate agli Ordinari, fosse espresso un preciso termine di validità, oltrepassato il quale sarebbe stata necessaria una rinnovazione esplicita del mandato. Innocenzo XI (15 ott. 1675) emanò una serie di nuovi decreti, dopo lunga preparazione (Decreta novissima… servando in causis beatificationis et canonizationis sanctorum) con non pochi perfezionamenti. Va citata, fra l’altro, l’istituzione, nei processi, di « testes ex officio », da scegliersi dai giudici, indipendentemente dai postulatori, per garantire meglio la veracità delle cose. Furono introdotte severe misure per garantire l’assoluta segretezza degli interrogatòri, con chiusura e sigillo dopo ogni seduta, e con rinnovato giuramento in ogni apertura. Notevole l’introduzione di uno spazio di 10 anni fra la consegna di un processo alla Congregazione e la segnatura della Commissione, ulteriore inasprimento del cinquantennio urbaniano. – Seguono particolareggiate norme per le incombenze specifiche del sottopromotore, e prescrizioni circa gli avvocati delle cause. Lo stesso Innocenzo XI, con un decreto del 18 apr. 1682, diede anche una nuova e più chiara fisionomia alla segnatura della Commissione. Ormai l’originaria idea si era completamente trasformata. D’ora in poi la detta segnatura avrà per ragione il passaggio di una causa dalle mani dell’Ordinario alla S. Sede, e ciò in seguito ad un giudizio preliminare circa la fama di santità in generale, circa i miracoli o il fatto del martirio, per stabilire se la causa merita di essere presa in considerazione dalla Sede Apostolica. Pertanto questo atto prese il nuovo termine di Introductio causæ e fu giuridicamente fissato mediante un apposito decreto. Da questa determinazione invalse l’uso di conferire alle persone, di cui la causa era stata introdotta, il titolo onorifico di « venerabilis ». Però nel 1913 (26 ag.) Pio X, per ragioni di maggiore sicurezza, stabilì che tale titolo in futuro sarebbe riservato solo ai servi di Dio di cui era stata dichiarata l’eroicità delle virtù o il martirio: determinazione che entrò poi anche di diritto nel CIC. – Clemente XII (11 maggio 1733) represse vari e non indifferenti abusi e interferenze, determinò la incompatibilità fra gli incarichi di consultori, avvocati, postulatori ecc. ed escluse i consultori religiosi dalla votazione in una causa di un religioso della propria Congregazione. – Benedetto XIV (23 apr. 1741), in seguito soprattutto alla causa di Giovanna Francesca di Chantal, causa che si basò non tanto sopra testi oculari, ma sopra testi di informazione di seconda mano, e sopra documenti storici, stabilì che in tali cause, si esigessero non due, come ormai era di regola, ma tre o anche quattro miracoli, prima di poter procedere alla beatificazione, ordinanza che passò anche nel CIC. In questo stesso spazio di tempo, fra Urbano VIII e Benedetto XIV, si era venuto anche a determinare con maggiore precisione un elemento fondamentale per il giudizio sulla santità di una persona, il concetto cioè della « virtù eroica ». Certamente, anche nel medioevo si richiedeva, come attestano le bolle di c. di quell’epoca e le opere dei canonisti, una « excellentia virtutum », una « multiplex excellentia vitæ ». Ma mancava, per così dire, una specie di misura della santità, conforme alle possibilità umane di misurare cose soprannaturali. Tale misura fu trovata appunto nel concetto dell’eroicità delle virtù che proveniva dall’etica aristotelica; la letteratura ascetico-mistica e teologica l’aveva applicate alle virtù cristiane, il Collegio dei Salmanticensi in supplica a Clemente VIII per la c. di Teresa del Gesù ( 2 febbr. 1602) introdusse la prima volta il concetto dell’eroicità delle virtù nelle cause dei santi. – Anche gli uditori della Rota incominciarono (verso il 1614-16) a seguire questa idea nelle loro relazioni e la riassumono senz’altro, nella forma, rimasta classica: « itaque ad hunc effectum (cioè: per virtutes heroicæ in canonizandis requiruntur ». Urbano VIII nei suoi molteplici decreti non usa questo termine, invece ne parla nelle lettere apostoliche per la concessione, « ad interim », del titolo di beato a Gaetano da Thiene (1629) e a Giovanni di Dio (1630). L’eroicità delle virtù infatti non è altro che uno stato di perfezione o di santità che permette all’uomo che la possiede una certa facilità permanente di porre atti di virtù in grado superiore, e in forme abituale e normale. Ciò presuppone una completa trasformazione dell’interno dell’anima, la restaurazione, per quanto possibile, dell’uomo allo stato d’innocenza, sotto l’influsso dei doni dello Spirito Santo. – Ora, a noi non è dato fare una diretta introspezione nelle anime, ma possiamo dedurne, dagli atti esterni, lo stato interno. Qui sta il fondamento pratico, concreto del giudizio sull’eroicità delle virtù: i testimoni interrogati nei processi forniscono il materiale, cioè il racconto di una quantità di fatti ed episodi della vita del servo di Dio, il confronto dei quali permette una conclusione valida circa il movente interno da cui essi scaturiscono. Per queste ragioni l’idea dell’eroicità delle virtù entrò rapidamente nella trattazione delle cause di c. e tutta l’indagine svolta attraverso le tre ormai rituali adunanze, antepreparatoria, preparatoria e generale, converge ad appurare l’esistenza, nel soggetto, della virtù « in gradu heroico ». Nella stessa seconda meta del sec. XVII, anche la discussione ed elaborazioni teologica di questo concetto raggiunge l’apice: il trattato di Brancati da Lauria De virtute heroica (1668) è rimasto classico; il Lappi (1671) ne dedusse le conseguenze per le cause dei santi, e Benedetto XIV, nella sua opera monumentale sulla c., riunì tutti gli elementi opportuni sull’argomento in modo definitivo. Da questa evoluzione deriva anche il fatto che la conclusione giuridica, dopo la discussione sull’eroicità delle virtù, acquistò rapidamente un valore superiore; essa costituisce, infatti, un vero giudizio formale del Sommo Pontefice sulla realtà delle virtù eroiche nel soggetto, di cui si propone la causa, ed apre la via alla glorificazione suprema, quando viene appoggiata da miracoli, operati da Dio ad intercessione del servo di Dio. – In un primo tempo, dopo la discussione sulle virtù di un servo di Dio, quando il giudizio fosse stato favorevole e quando il Papa avesse dato il suo consenso, la cosa si notava semplicemente fra gli atti della Congregazione dei Riti; ma ben presto la decisione pontificia su questo punto si presentò in tutta la sua importanza fondamentale per una causa: quindi intorno ad essa si sviluppò un certo cerimoniale. – All’epoca di Clemente XI (1700-21) era già di uso che il Papa differisse alquanto la sua decisione, e solo dopo un certo intervallo di preghiera e di riflessione, in una prossima occasione festiva, aprisse la sua « mente » in presenza del segretario e del promotore generale della Fede, a ciò chiamati, e ordinasse la pubblicazione fra gli atti. Benedetto XIV qualche volta ne dettò personalmente il testo « verbum ad verbum ». La tipografia camerale ne curava poi la stampa e il testo veniva affisso alle porte delle chiese di Roma. Dopo il 1760 il testo di questi decreti divenne meno formalistico, e prese un tono più solenne, iniziandosi spesso con una citazione biblica. La lettura di questi decreti fu resa ancor più solenne, in quanto il Papa li fece leggere in pubblico, dopo una cappella papale o una visita pontificia in una delle chiese di Roma. Dal 1870 in poi la lettura si fece generalmente nella sala del Concistoro, in presenza di uno stuolo di invitati e di rappresentanze degli interessati alla causa; in queste occasioni il Papa soleva anche pronunziare un discorso. Celebri quelli di Pio XI. Ma dopo la sua malattia (1938) quest’uso cessò e non fu più ripreso e ora la lettura ha luogo in forma privata, in presenza del cardinal ponente, del segretario, del promotore generale e del postulatore della causa. Da notare che anche i decreti sull’introduzione della causa, sui miracoli e sopra il « Tuto » solevansi (almeno dopo il 1800) leggere con simili solennità. Ma attualmente anche questi decreti vengono pubblicati in forma privata. – Fra i vari decreti più recenti circa le cause di beatificazione e di c. rammentiamo solo quello di Pio X (26 ag. 1913: AAS, 5 [1913], pp. 436- 38) , con il quale restrinse l’uso del titolo venerabile ai servi di Dio, dei quali è stata riconosciuta la eroicità delle virtù o il fatto del martirio; prescrisse, nelle cause recenti, che venissero uditi nei processi anche tutti i testimoni contrari, “poena nullitatis”; e stabilì finalmente sagge norme per garantire meglio, nelle cause antiche, la raccolta e la disanima dei documenti. Finalmente con il motu proprio « Già da qualche tempo », Pio XI, in data 6 febbr. 1930, istituì, nella Congregazione dei Riti, la Sezione storica, organo stabile, incaricato di tutto ciò che concerne la preparazione delle cause antiche, e, comunque, di tutto ciò che ha attinenza alla storia e alla critica storica in rapporto agli affari da trattarsi nella Congregazione (revisione di lezioni storiche, revisione di libri liturgici, e simili). In tutto questo periodo il luogo dì celebrazione delle c. è la basilica Vaticana; tale uso è invalso sin dal ritorno dei papi da Avignone. Bonifacio IX, a causa di una sua indisposizione, celebrò la c. di s. Brigida nella cappella interna del palazzo pontificio vaticano, però il giorno seguente scese alla basilica Vaticana per la Messa solenne. Alessandro VII, quando prescrisse la solenne beatificazione, come atto conclusivo della prima fase verso la c., la volle in S. Pietro: « ut ibi fieret beatificatio, ubi fit canonizatio ». Benedetto XIII, quando consacrò solennemente la basilica del Laterano (1729), per risparmiare le spese, essendo la basilica magnificamente addobbata, vi celebrò la c. di s. Giovanni Nepomuceno e la beatificazione di s. Fedele da Sigmaringa (19 e 24 marzo). Anche Clemente XII, grande mecenate della detta basilica, vi celebrò l’unica c. del suo pontificato (1736) e la beatificazione di s. Giuseppe da Leonessa. – Benedetto XIV (13 dic. 1741) emanò una costituzione, nella quale stabilì che la c. e la beatificazione, qualora il Papa fosse presente a Roma, si celebrassero esclusivamente nella basilica Vaticana. Però le c. degli anni 1881 e 1888, sotto Leone XIII, causa gli avvenimenti politici del 1870 e degli anni seguenti, si celebrarono alla meglio nell’Aula delle benedizioni, sopra l’atrio di S. Pietro; solo nel 1897 si tornò alla basilica. Da notare ancora il caso che in una sola c. venissero canonizzati più santi. Sotto Gregorio XV, avverandosi il primo caso di una quintuplice c., fu deliberato e concluso di serbare l’ordine dell’antichità, cioè la data di morte, preferendo solo s. Ignazio di Loyola, come fondatore, al suo figlio spirituale, s. Francesco Saverio, onde si ebbe l’ordine seguente: Isidoro l’agricoltore, Ignazio, Francesco, Teresa d’Avila e Filippo Neri. Ma sotto Clemente X si chiese un parere al celebre canonista G. B. De Luca, il quale propose l’ordine gerarchico, principio accettato con il decreto del 6 dic. 1670: « servandum esse ordinem hierarchiæ ecclesiasticæ; et si plures sint eodem ordine, praeferatur dies mortis ». Finalmente, sotto Clemente XII (decreto del 17 apr. 1737), fu accordata la precedenza, entro lo stesso ordine gerarchico, ad un fondatore religioso. Tutti però precede un martire, essendo il martirio la testimonianza più eccelsa per il Cristo. – Giovano ora alcune notizie intorno ad alcuni particolari aspetti della celebrazione della c. La processione solenne che precede il Papa, quando discende dalle stanze pontificie in S. Pietro, è in qualche modo assai antica, dovendosi il Papa ricevere solennemente al suo arrivo già nel medioevo. Ma da quando le c. si celebrarono costantemente in S. Pietro, il Papa fu accompagnato da tutta la corte e la famiglia pontificia. Di ciò siamo certi già sin dal sec. XV. La processione per la c. di s. Giacinto si aprì con il cantico dell’Ave Maris Stella, uso rimasto fino ad oggi. L’uso di portare uno stendardo con l’immagine del novello santo, risale alla c. di s. Stanislao, vescovo e martire (1253), ed è attribuito addirittura ad un miracolo; si narra cioè che fosse apparsa improvvisamente, davanti al corteo, l’immagine del santo, il che indusse in seguito all’uso di un enorme stendardo, come si usa ancora. L’esposizione di un altro stendardo pendente dalla facciata di S. Pietro, risale almeno alla costruzione del nuovo S. Pietro. – La triplice postulazione rivolta al Papa per la c. appare nella sua forma piena sin dal 1482 (c. di s. Bonaventura). Il procuratore della causa, alla fine del medioevo e, fino a ca. il sec. XVIII, sempre l’ambasciatore di una potenza cattolica, assistito da un avvocato concistoriale, si rivolgeva al Papa, domandando instanter che volesse canonizzare il servo di Dio in parola. Vi rispondeva il segretario ai prìncipi e si intonavano le litanie dei santi. Gli stessi ripetevano la domanda instantius, rispondeva di nuovo il detto segretario e si intonava il Veni Creator Spiritus; finalmente, dopo la terza domanda instantissime, il Papa proferiva la definizione dopo la quale l’avvocato, per l’ambasciatore, chiedeva che ne venisse steso l’atto. Chiudeva tutto il Te Deum. Questo solenne rito fu mantenuto fino ai nostri giorni, quando, per abbreviare la lunghissima cerimonia, le litanie dei santi furono anticipate all’ingresso della processione, mentre le tre istanze sono state riunite in una sola, seguita dal Veni Creator e dalla definizione. Ancora ai tempi di Clemente XI la formula stessa della c. variava alquanto. Lo stesso Clemente XI, il quale amava molto predicare al popolo, tenne anche l’omelia dopo la c., uso che prima di lui non era sempre osservato, ma che divenne dopo di lui di regola. – Le oblazioni, cerimonia fra le più singolari e caratteristiche della c. , nella forma attuale, rimontano, come fu già detto, almeno a quella di s. Brigida (1391). Benedetto XIII, chiestone un parere dal b. card. Tommasi, soppresse l’uso delle oblazione degli animali; però Benedetto XIV lo restituì senz’altro e rimase in vigore fino ad oggi. Quanto alla sua origine, gli autori che asseriscono che lo stesso cerimoniere pontificio Pietro Amely, di cui ci resta la descrizione, ne fosse stato l’inventore, sono tratti in inganno da una frettolosa lettura; l’Amely dice solo che l’apparecchio fastoso della cappella pontificia per tale celebrazione era di sua invenzione; il rito stesso delle oblazioni, compreso quella degli animali, pare che sia più antico; ma ci mancano notizie. Le oblazioni delle candele, dei pani e del vino sono prese dal rituale della dedicazione delle chiese o della consacrazione dei vescovi. Le più o meno dotte deduzioni di autori antichi e moderni, circa il significato dell’oblazione degli animali sono senza fondamento reale. – Un’ultima parola circa l’addobbo sfarzoso usato nelle c. Già le varie notizie e descrizioni contenute nell’Ordo Rom., XIV e XV, nei diari di Paris de Grassis, nel cerimoniale romano di Marcello, ricordano unanimemente la ricchezza dell’addobbo e dell’illuminazione usata nelle c. Nella nuova basilica Vaticana, con la sua vastità, che si presta così magnificamente alle cerimonie pontificie, il disegno degli addobbi fu affidato ben presto agli artisti più rinomati. Basta consultare le incisioni inserite negli atti stampati delle c., per ammirare la varietà e la grandiosità di tali apparecchi, i quali, talvolta, cambiarono addirittura l’aspetto della basilica. Fra gli artisti più noti di cui si conservano i disegni, rammentiamo il Bernini, il Borromini, Carlo Fontana, il Vanvitelli, il Valadier, il Poletti e il Vespigniani. Da mezzo secolo non si varia più tale disegno. L’introduzione della illuminazione elettrica ha portato a fissare il numero dei lampadari e la loro disposizione (dicesi che ci siano ca. centomila lumi).

[Continua … ]

CANONIZZAZIONE (1)

Cominciamo oggi ad approfondire un tema abbastanza dibattuto e per il quale ci sono molte idee confuse, a partire dalla nozione che nella canonizzazione il Papa non impegni la sua Infallibilità! Si sentono in giro voci assurde, come quella che la Chiesa possa proclamare santo un beota, un empio, un omosessuale, un massone 33°, e proporlo come esempio di santità, modello di virtù eroiche [come ad esempio quella di avere tre amanti contemporaneamente in Vaticano]. Quindi secondo tali eretiche idiozie la Chiesa, Sposa di Cristo, Madre e Maestra infallibile dei popoli, può tranquillamente ingannare e propinare latte velenoso ai suoi figli che Essa ama teneramente. E molti di questi oligofrenici fanta-teologi modernisti (senza offesa per gli oligofrenici) si pretendono addirittura cattolici tradizionalisti! Poveri ignari dannati già in terra! A tal punto ci siamo decisi a pubblicare la voce “Canonizzazione” dall’Enciclopedia Cattolica, l’ultima opera “cattolica” pubblicata in Vaticano prima dell’avvento degli sciacalli masso-ecumenisti, in modo che almeno i “veri” pochi Cattolici (quelli di Papa Gregorio XVIII), possano attingere alla “verità” conosciuta, senza incorrere nel peccato contro lo Spirito Santo. La “voce” non è sempre di agevole lettura, pertanto l’abbiamo divisa in 4 parti, in modo da poterla approfondire con calma e con cognizione di causa.

CANONIZZAZIONE (1)

[Encicl. Cattolica vol III, coll. 569- e segg. ]

La “Canonizzazione” è un atto o sentenza definitiva con la quale il Sommo Pontefice decreta che un servo di Dio, già annoverato tra i beati, venga inserito nel catalogo dei Santi e si veneri nella Chiesa universale con il culto dovuto a tutti i canonizzati.

.I

LA CANONIZZAZIONE NELLA PRASSI DEL DIRITTO CANONICO ODIERNO. 

Dalla definizione si scorge subito la differenza che corre tra la beatificazione (v.) e la c. I n quella il culto è limitato ad una città, diocesi, regione o famiglia religiosa, ed è unicamente permissivo, in questa invece è esteso a tutto l’orbe cattolico, ed è precettivo. Ma la vera differenza sta, come scrive Benedetto XIV, in « quell’ultima e definitiva sentenza della santità » che impone il culto dovuto ai santi nella Chiesa universale: sentenza che il Sommo Pontefice pronuncia per la c., e giammai per la beatificazione. Una delle note caratteristiche della Chiesa infatti è la santità: essa è santa, perché è santo il suo Fondatore, santa la sua dottrina, santa la finalità che persegue, e santa perché ha la virtù di generare in ogni secolo legioni di santi che, con la vita, le virtù, con l’apostolato e con i miracoli compiuti per la loro intercessione, vengono a confermare la santità stessa della Chiesa. Assertore, custode e giudice di questa santità non è che il Vicario di Cristo; ed a lui solo, che presiede a tutta la Chiesa ed ha il diritto di proporre ciò che si deve credere ed operare in cose concernenti la religione, spetta di giudicare chi debba essere ritenuto ed onorato come santo. Ed in questo giudizio il Papa non può errare. Benedetto XIV, incomparabile maestro in materia, insegna che egli riterrebbe « se non eretico, certamente temerario, scandaloso a tutta la Chiesa, ingiurioso verso i santi, sospetto di eresia, assertore di erronea proposizione, chi osasse affermare che il Pontefice in questa o quella c. abbia errato, e che questo o quel santo da lui canonizzato non dovesse onorarsi con culto di dulia », cioè per ragione della sua dignità nell’ordine soprannaturale. – Del resto la sentenza definitiva, con la quale il Papa proclama la santità dei servi di Dio, oltre che trovare la sua prima ed alta ragione nell’assistenza speciale dello Spirito Santo che lo illumina, è appoggiata solidamente a tutto un complesso di investigazioni, di studi, di fatti che dimostrano con quanto discernimento e con quanta prudenza proceda la Chiesa nelle cause di c., le quali vanno annoverate tra le maggiori e le più gravi che siano di sua competenza. Infatti la via normale ed ordinaria è quella di non iniziare una causa di c., se prima non consti che il servo di Dio sia stato già riconosciuto come beato. E se per un istante si richiami quanto fu detto sotto la voce beatificazione, si vedrà quale lunga e severa indagine venga adoperata, prima che un servo di Dio ottenga il titolo e gli onori di beato. Malgrado questo complesso di ricerche e di accertamenti, si richiedono altri due miracoli verificatisi dopo la beatificazione, i quali passano sotto il controllo di più medici e chirurgi nominati d’ufficio, e sono discussi e vagliati prima da una commissione medica e poi da due prelati, consultori e cardinali in tre o più Congregazioni, l’ultima delle quali è presieduta dal Papa. Approvati i miracoli, e promulgato il decreto nel quale è stabilito che si può con sicurezza procedere alla c., s’inizia un’altra serie di atti che si svolgono in tre Concistori; poiché la Santa Sede desidera che, in un affare di tanta gravità, al giudizio consultivo della Sacra Congregazione dei Riti si aggiunga il giudizio parimenti consultivo del Sacro Concistoro. Si comincia con il Concistoro segreto, dove, oltreché i cardinali della Sacra Congregazione dei Riti, convengono tutti i cardinali residenti in Roma, i quali, dopo avere ascoltato la relazione del cardinale Prefetto della stessa Congregazione intorno alla vita e miracoli e agli atti fino a quel momento compiuti, interrogati dal Sommo Pontefice se piaccia ad essi che si proceda alla solenne e, rispondono placet o non placet. In seguito si tiene un Concistoro pubblico, dove uno degli avvocati concistoriali espone in elegante latino la vita e i miracoli del beato, la cui c. viene supplicata. Terminata la orazione dell’Avvocato, il Segretario delle Lettere latine in nome del Papa risponde che Sua Santità esorta tutti, perché con i digiuni e con le preghiere invochino i lumi divini, prima che il sacro Collegio dei cardinali e l’Episcopato abbiano manifestato il loro proposito. Ed a questo scopo è indetto un Concistoro semipubblico, al quale, oltre tutti i cardinali, sono invitati i patriarchi, gli arcivescovi, vescovi e abati nullius residenti in Roma, perché, dopo aver preso cognizione di un compendio della vita del beato unitamente ai relativi atti, scritto per cura del Segretario dei Riti, diano il loro suffragio. Quest’ultimo Concistoro si apre e poi si chiude con una breve allocuzione del Papa che annunzia il giorno, in cui nella basilica di S. Pietro con solenne apparato e cerimonie compirà l’atto della c. Nel giorno fissato il Pontefice pronuncia al cospetto del mondo cattolico la sentenza definitiva, con la quale inscrive il nome del beato nel catalogo dei santi, ed ordina che la sua memoria venga onorata ogni anno dalla Chiesa universale. – Quanto finora esposto, riguarda la c. formale. Ma vi è anche una c. equipollente, riservata a quei servi di Dio che, essendo già in possesso di un culto prima dei decreti di Urbano VIII, vennero beatificati con la beatificazione equipollente in virtù di un decreto pontificio che attestava il fatto del culto immemorabile e la eroicità delle virtù o il martirio. Ma perché dalla beatificazione equipollente si passi alla c. equipollente, sono necessari tre miracoli avvenuti dopo che il servo di Dio è stato beatificato. Vi sono altresì casi oggi rarissimi, nei quali il Papa procede alla c. equipollente senza il sussidio dei miracoli; e ciò avviene qualora si tratti di personaggi insigni, la cui santità di vita o il cui glorioso martirio sono dimostrati dai processi con tanta ampiezza e sicurezza di prove, da escludere qualsiasi dubbio.

BIBL.: F. Contelori, Tractatus et praxis de Canonizatione sanctorum, Lione 1634; Benedetto X I V , De Servorum Dei Beatificatione et de Beatorum Canonizatione, Prato 1839; Codex Postulatorum, Roma 1934; Norme da seguirsi nella compilazione delle Posizioni riguardanti le Cause dei Servi di Dio e Regolamento annesso, ivi 1943 (raccoglie le varie norme emanate dalla S. Congregazione dei Riti negli ultimi tempi). Carlo Salotti

II . LA C. NELLA STORIA.

SOMMARIO: I. Le origini della c., il culto dei martiri. – II. L’inizio del culto dei «non»-martiri. – III. La c. vescovile. – IV . La c. papale o universale. – V. Elenco delle c. preparate dalla S. Congregazione dei Riti, da Clemente VIII (1594) fino a Pio XII. – VI. La c. equipollente. – VII. C. e Chiesa.

  1. LE ORIGINI DELLA C., IL CULTO DEI MARTIRI. La Chiesa antica considerò il martirio come l’espressione massima della fede e della carità, quindi della perfezione cristiana; perciò venerò i martiri come i più vicini amici di Dio e come i più potenti intercessori per noi. Questa venerazione si basa sul fatto pubblico del martirio, ed è legata ad un duplice elemento: locale e temporale. Il culto cioè era vincolato al luogo del martirio o della sepoltura del martire, e alla data del martirio stesso. La memoria di un martire, a differenza della memoria di un defunto qualsiasi, non fu celebrata soltanto dai parenti e congiunti, ma dalla stessa comunità cristiana, e l’anniversario fu indicato nei relativi calendari. Inoltre, mentre nella pietà verso i defunti prevalse l’idea della nostra intercessione presso Dio per la loro salute, la celebrazione del martire era festiva, e si implorava la sua intercessione in favore dei vivi. Il primo esempio storicamente documentato di una festa anniversaria per un martire è quello della Chiesa di Smirne per s. Policarpo, morto nel 156 (Martyrologium Policarpi, 18: ed. R. Knopf – G. Kruger, ausgewàhlte Màrtyrerakten, 2a ed., Tubinga 1929.) – Il fatto del martirio era di dominio pubblico; ne era stata testimonio oculare la stessa comunità cristiana! Non occorreva quindi, ordinariamente parlando, alcun atto specifico di riconoscimento dell’autorità ecclesiastica. Solo in certi casi particolari, quando cioè anche delle sette si vantarono di avere dei martiri, soprattutto in Africa, una certa vigilanza dell’autorità ecclesiastica parve opportuna (v. MARTIRI). – Come s’è detto, le comunità cristiane tennero una specie di elenco dei propri martiri, annotando il nome, la data del martirio e il luogo della sepoltura. Ce lo attesta, ad es., s. Cipriano, ricordando al suo clero: « Dies eorum quibus excedunt, adnotate, ut commemorationem eorum inter memorias martyrum celebrare possimus » (Epistolæ, 12, 2, ed. J.M.J. Hartel : CSEL, III, 303). Da qui l’origine dei martirologi e calendari. Si ha un esempio di tali elenchi nella Depositici martyrum della Chiesa romana, inserita nel Cronografo del 354. Ma i nomi dei martiri passarono anche più direttamente nel culto, vennero cioè inseriti nei dittici locali, letti durante il santo sacrificio. Il continuo contatto fra le varie chiese diede occasione per una prima diffusione del culto di un martire fuori del luogo di origine; i loro nomi incominciarono a migrare in calendari e martirologi di altre chiese, e certi martiri celebri furono accolti anche nei dittici di quelle. – L’epoca aurea del culto dei martiri furono i primi secoli dopo la pace costantiniana: basta accennare alla decorazione splendida dei loro sepolcri, all’erezione di memorie, chiese e basiliche, spesso grandiose, sopra la loro tomba, o in loro onore; ai pellegrinaggi, alle solennità liturgiche delle loro feste, ai panegirici recitati in loro onore. L’uso di origine orientale della traslazione e della divisione delle loro reliquie si diffuse poi anche nell’Occidente e si moltiplicarono i centri dei culti dei martiri. S. Stefano protomartire, dacché furono rinvenute le sue spoglie (415), s. Giovanni Battista, o S. Lorenzo, diacono romano, e molti altri, ebbero un culto che si estese rapidamente a tutta la Chiesa. Papi di origine orientale introdussero molti culti di martiri a Roma; con le migrazioni di intere popolazioni a causa delle invasioni barbariche seguirono talvolta quelle delle reliquie e del culto di un martire (ad es., s. Quirino da Sciscia a Roma, s. Severino dal Norico al napoletano); tutto ciò per uno sviluppo organico e naturale, senza preventivi interventi da parte dei vescovi. Solo di tanto in tanto occorreva moderare alquanto uno zelo troppo ardente e meno cauto del popolo. – In questo periodo non si può certo ancora parlare di c. nel senso canonico moderno. Il culto solenne e liturgico dei martiri era il frutto di una evoluzione spontanea e logica che si fondava da una parte sulla notorietà storica del fatto del martirio che rendeva il defunto direttamente simile a Cristo, e d’altra parte sopra i due elementi fondamentali per l’origine del culto: data e luogo del martirio.

II L’INIZIO DEL CULTO DEI « NON » MARTIRI

Il periodo delle persecuzioni non era ancora terminato quando un altro gruppo di defunti incominciò ad attirare la speciale venerazione da parte delle comunità cristiane, cioè i « confessori », vale a dire cristiani deferiti all’autorità civile per la loro fede, ma che, per varie circostanze, o non avevano subito il martirio, o vi erano sopravvissuti. Le testimonianze circa la venerazione particolare verso questi confessori (nel senso primitivo della parola) sono molto numerose; e alla sua morte un confessore della fede poteva divenire facilmente l’oggetto di una venerazione simile a quella prestata da un vero martire. Fra gli esempi più noti basta ricordare: Dionigi di Milano (359); Eusebio di Vercelli (370); Atanasio (373); Melezio di Antiochia (381) Giovanni Crisostomo (407). Però si osserva facilmente che alcuni di questi personaggi, si distinsero non solo per quanto soffersero per la fede, ma anche per la strenua difesa di essa sul campo politico e dottrinale e per loro vita ed attività, sicché, appena morti, si creò attorno ad essi subito una fama non dissimile a quella goduta dai martiri. Ci sono poi altri personaggi, i quali, senza essere stati confessori della fede nel senso primitivo, eccelsero talmente per la dottrina, la vita esemplare, l’attività molteplice, politico-ecclesiastica o sociale, che anch’essi, dopo la morte, furono presto circondati da onori analoghi a quelli resi ai martiri; basti nominare Gregorio Taumaturgo (270), Efrem siro (373), Basilio Magno (379), Ambrogio di Milano, Martino di Tours (397), Girolamo (420) e Agostino (430), per tacere di tanti altri.Ma c’è di più. Si era andato sviluppando, nella stessa epoca, e in una scala larghissima, la pratica dell’ascetismo e del monachismo. L’Oriente riecheggiò ben presto della fama degli eremiti e dei cenobiti, e presto anche l’Occidente ne conobbe alcune grandi figure (Atanasio, ad es., il grande esiliato). Antonio abate (356) era conosciuto in tutto il mondo cristiano, attraverso la celebre biografia scritta da s. Atanasio, dove tutti potevano leggere che Antonio era da equipararsi ai martiri antichi, non per effusione di sangue, ma per un martirio non meno autentico e reale, quello cioè dell’ardua e continua conquista della perfezione (Vita, cap. 47: PG 26, 912). Venerazione simile godettero altri grandi asceti e monaci, come, ad es., Ilarione (372); Paolo di Tebe (381); Simeone lo stilita (459). Anche l’anniversario della loro morte venne celebrato liturgicamente, presso le loro tombe sorsero spesso santuari di fama straordinaria, mete di pellegrinaggi rinomati; le loro reliquie furono venerate e ricercate, le chiese in loro onore si moltiplicarono. I primi « non » martiri, che entrarono nel culto liturgico della Chiesa di Roma, sono stati, come pare, Silvestro papa e Martino di Tours. Durante i secc. VI – IX non pochi altri santi « non » martiri furono accolti nei calendari romani, in Roma ebbero i loro oratòri, monasteri e chiese, e passarono di qui oltralpe, e viceversa. Questo movimento di culto fu in gran parte favorito dai Papi di origine non romana, dai molti monaci emigrati in Occidente, o dallo scambio di reliquie, e dalla diffusione delle leggende e delle passioni, ecc.Altro elemento che non si deve sottovalutare e che operò molto in profondità e vastità, è l’opera letteraria dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, i quali svilupparono e diffusero sistematicamente la teoria del « martirio incruento », rappresentato appunto dalla vita penitente, ascetica e monastica, o comunque dalla vita di perfezione cristiana. Tale teoria divenne la dottrina comune in tutto il Medioevo e influisce anche oggi. Basteranno alcuni pochi riscontri, rimandando per il resto alla bibliografia notata sotto. Paolino di Nola sollecita per s. Felice, presbitero nolano, la gloria di martire: « Martyrium sine cæde placet , si prompta ferendimensque fidesque Deo caleant; passura voluta sufficit, et summa est meriti testatio voti » (S. Paulini carmina [ed. J . M . J . Hartel : CSEL: XXIX], carm. 14, v. 10-12, p. 46). S. Girolamo non si perita a crivere ad Eustochio: « Mater tua longo martyrio coronata est. Non solum effusio sanguinis in confessione reputatur sed devotæ quoque mentis servitus cotidianum martyrium est » (Epistolæ [ed. I . Hilberg], CSEL: LV, ep. 108, n.31, p. 349). Di Martino di Tours dice Sulpicio Severo: implevit tamen sine cruore martyrium »; nella sua festa si riscontrano ancora la salmodia ed altri elementi Iiturgici propri dei martiri. – [BIBL.: H . Dclehaye, Sanctus, essai sur le eulte des saints dans l’antiquité, Bruxelles 1927, pp. 109-21, 162-89: D. Gougaud, Dévotions et pratiques ascétiques du moyen age, Maredsous 1929, p. 200-19; H. Delehaye, Les origines du eulte des martyrs, 2a ed., Bruxelles 1933, p. 50 sgg. ; M. Vi!ler-K. Rahner, Aszese und Mystik in der Vàterzeit, Friburgo in Br. 1939, pp. 29-59; H. Leclereq, Saint, in DACL, XV (1949), coll. 373-462.]

III. LA c. VESCOVILE. – Fra i secc. VI e X, mentre l’Oriente si distaccava sempre più dall’Occidente, la dissoluzione dell’impero romano e l’immigrazione dei popoli barbarici, con la relativa necessità di convertirli alla fede cattolica, posero la Chiesa di fronte a compiti nuovi e ardui. È l’epoca dei grandi vescovi, dei monaci missionari, dei re convertiti che finiscono persino nel chiostro, delle regine e principesse fondatrici di monasteri e chiese e poi esse stesse badesse o monache, degli eremiti e dei pellegrini; un mondo in fermento e in movimento, con profondi contrasti fra violenza e santità, in mezzo a popoli giovani, di forte immaginativa, entusiasti della nuova fede, ammiratori degli eroi della carità e della illibatezza evangelica. In questo periodo, oltre una rifioritura del culto dei santi martiri, nascono un po’ da per tutto nuovi culti di santi: bastava al popolo spesso la fama di vita penitente, la fondazione di un monastero con le sue benefiche conseguenze, una grande beneficenza verso i poveri, talvolta una morte violenta, anche se non sempre per stretto motivo di fede, e soprattutto la fama di miracoli, per far nascere un nuovo culto: voce popolare di santa vita, e credito di miracoli sono i due punti di partenza per questi culti dell’alto medio evo. Le grandi chiese considerarono ordinariamente i loro fondatori e primi vescovi come altrettanti santi; lo stesso vale per le figure di grandi abati. In tutti i casi se ne raccolgono le memorie, se ne scrivono le leggende, senza troppe preoccupazioni di critica; i calendari e i martirologi di quei secoli si arricchiscono con sempre nuovi nomi, nelle chiese si moltiplicano gli altari e il numero delle feste aumenta rapidamente. Di tanto in tanto occorreva anche reprimere facili abusi. Carlomagno, ad es., dovette prendere delle misure contro i culti abusivi ( MGH , Capitularia, II, 56: « Ut falsa nomina martyrum et incertæ sanctorum memoriæ non venerentur »; il Concilio di Francoforte [794]: « Ut nulli novi sancti colantur aut invocentur nec memoriæ eorum per vias erigantur, sed ii soli in ecclesia venerandi sint, qui ex auctoritate passionum aut vitæ merito electi sunt »; MGH, Capitularia, II, 170; il Concilio di Magonza [813]: «Deinceps corpora sanctorum de loco ad locum nullus præsumat transferre sine Consilio principis vel episcoporum et sanctæ synodis licentìa»; Mansi, XIV, 75). Dalle varie e molteplici notizie su questa materia, risulta che si stava formando in questi secoli una certa prassi più o meno uniforme, attraverso la quale veniva autorizzato un nuovo culto. Il punto di partenza rimane sempre la fama pubblica, la vox populi, che subito dopo la morte del servo di Dio correva alla tomba, ne invocava l’intercessione e ne proclamava l’effetto taumaturgico. Allora era avvisato il vescovo competente; in sua presenza, anzi, spesso in occasione di un sinodo diocesano o provinciale, si leggeva una vita del defunto e soprattutto la storia dei miracoli (primissimo nucleo dei futuri processi) e in seguito all’avvenuta approvazione, si procedeva all’esumazione del corpo per dargli una sepoltura più onorevole: la elevatio. Ma spesso seguiva subito o più tardi un altro passo: la translatio, cioè la nuova deposizione del corpo santo davanti o accanto ad un altare o addirittura sotto o sopra l’altare, il quale prendeva il nome dal santo ivi venerato; anzi, alle volte la stessa chiesa era ampliata o ricostruita e dedicata precisamente al santo elevato o traslato. Dall’elevazione o traslazione in poi veniva celebrata regolarmente la festa liturgica, spesso con grande solennità, non solo nella località dove sorgeva l’altare o la chiesa, ma in tutta la diocesi, la regione, la provincia, o in tutta la famiglia religiosa. – Gli elementi principali dunque di questa procedura che si era andata formando in epoca merovingia e aveva preso una certa consistenza in èra carolingia, sono: pubblica fama di santità e di miracoli (o di martirio), presentazione al vescovo diocesano o al sinodo (diocesano, provinciale) di una vita appositamente composta, con particolare rilievo dei miracoli, attribuiti al « santo », approvazione ossia consenso ufficiale al culto che si apre con l’elevazione o la traslazione. Vale a dire si crea un punto fisso del culto: l’altare proprio del nuovo santo, ovvero la sua chiesa, dove viene celebrata regolarmente la festa liturgica. Il culto può restare limitato o può espandersi più o meno rapidamente e largamente; questo è un elemento secondario, l’essenziale è l’intervento ufficiale dell’autorità ecclesiastica competente, cioè, in quell’età, del vescovo ordinario, in forza della sua autorità propria, resa più evidente, spesso, anche dal concorso dei vescovi vicini, o di un sinodo. Siamo in tal modo dinanzi ad una disciplina ecclesiastica ordinaria e normale, riconosciuta universalmente, quindi legittima e valida a tutti gli effetti: cioè la c. vescovile, o locale, ovvero particolare, come alcuni preferiscono nominarla, unica ed esclusiva dal sec. VI al XII e continuata talvolta fino al sec. XIV. Un esempio molto tardo, per citarne uno, abbiamo ancora nel 1215, nella c. di s. Pietro di Trevi, celebrata prout poterat dal vescovo di Anagni, Pietro, in presenza dei prelati vicini. A s. Pier Damiani (m. nel 1072) questa prassi era ben nota ed egli ne parla come di cosa ordinaria (cf. Opusculum VI, cap. 19: PL 145, 142). – Per concludere: per più di 5 e 6 secoli (secc. VI-XII) la c. vescovile era la c. normale e unica in uso nella Chiesa latina. Accanto ad essa, come si vedrà subito, la c. papale crebbe molto lentamente e ci volle molto tempo e molto lavoro dottrinale e canonistico prima che essa riuscisse a soppiantare la c. medioevale ordinaria, compiuta dai vescovi. Da notare sopra tutto che la c. vescovile dava inizio ad un culto vero e proprio di santo, cioè alla celebrazione della festa liturgica, all’erezione o dedica di altari e di chiese, all’uso del nome nel Battesimo e via dicendo, senz’alcun limite. L’estensione geografica più o meno vasta di questi culti è un elemento secondario e puramente accessorio. Bisogna evitare di applicare a quei tempi i concetti giuridici moderni; del resto, anche la c. papale formale, sebbene obblighi tutta la Chiesa a venerare un santo, non implica per nulla l’imposizione della sua festa a tutta la Chiesa. – [BIBL.: Oltre i libri del p. H . Delehaye, citati sopra, cf. St. Beissel, Die Verehrung der Heiligen und ihrer Reliquien in Deutschland, 2 voll., Friburgo in Br. 1890, 1892; E. Marignon, Etudes sur la civilisation française, II: Le culte des saints sous les Mérovingiens, Parigi 1899.].

[Nota redaz. Il carattere rosso è redazionale. … “se non eretico, certamente temerario, scandaloso a tutta la Chiesa, ingiurioso verso i santi, sospetto di eresia, assertore di erronea proposizione, chi osasse affermare che il Pontefice in questa o quella c. abbia errato, e che questo o quel santo da lui canonizzato non dovesse onorarsi con culto di dulia… Questa asserzione di S. S. Benedetto XIV [P. Lambertini] merita un breve commento. Se noi assistiamo anche oggi a canonizzazioni “strane”, che lasciano dubbi, o meglio, danno certezze quasi matematiche, non è perché il Papa abbia errato, ma semplicemente perché la canonizzazione è finta ed invalida, fatta dai burattini del B’nai B’rith, dagli antipapi insediati dall’anticristo! punto.]

[Continua…]

 

 

IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -3-

Il demonio,

CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE. 1890-3-

DI UN PRETE DEL CLERO DI PARGI

Riassunto

Ai giorni nostri, per ridare la salute ai malati, non si conoscono più che i soli mezzi naturali. Essi sono insegnati, è vero, da Dio stesso, nell’arte medica di cui Egli è fautore, poiché i libri santi ci dicono che « Egli ha tratto dalla terra i rimedi della medicina: “Altissimus creavit de terra medicinam” » (Eccl. XXXVIII). Ma quando la medicina è impotente ed inefficace nel guarire le malattie naturali, non è allora che dobbiamo ricorrere a Dio solo? Asa, re di Giuda, quando era malato fu biasimato perché riponeva fiducia solo nei rimedi che utilizzava, e non in Dio (II Re; XII, 16). Vi fu un tempo in cui c’erano i taumaturghi, fautori di grandi cose sulla terra. Si andava da loro, una volta, come verso il Salvatore stesso. Ma oggi, questi Santi, sono nel mondo o nella solitudine del chiostro? Che Dio ce li faccia dunque conoscere, e che operino meraviglie nel suo nome! Perché noi vogliamo credere che ci siano ancora uomini dei miracoli; delle anime penitenti, mortificate, distaccate da tutto, che vivono per Dio solo, e di conseguenza molto potenti sul suo cuore. Manifesta o nascosta nell’ombra, la santità, oggi, non è più rara che in altri tempi. La santa Chiesa non ne è meno ricca. E se non si sente dire più che tal santo, tal prete, tal vescovo guarisce le malattie, è perché la fede si è affievolita tra di noi. Essa è sottoposta alla ragione, piena di dubbi ed esitazioni, si chiedono resoconti e spiegazioni a Dio, invece di abbassare la nostra povera e debole ragione davanti alla sua saggezza infinita. Si può mai essere esauditi nelle proprie preghiere con tali disposizioni? È dunque a causa della nostra incredulità che non otteniamo nessuna grazia da Dio. Si dirà forse che i miracoli non sono più necessari come nei primi secoli della Chiesa. Innanzitutto, è un miracolo propriamente detto il cacciare lo spirito di malattia dal corpo di un cristiano? E anche se ce ne fosse uno, Dio non ha detto che non ne sarebbero più stati fatti. Perché avrebbe seminato a profusione per un periodo di tempo così lungo; e perché ora dovrebbe cambiare sistema per attirare anime a Lui, soprattutto quando Egli ha annunciato che i suoi discepoli faranno cose più grandi di Lui: “majora”? Quali sarebbero dunque queste grandi cose oltre alle guarigioni che Egli moltiplicava davanti i suoi piedi? È passato il tempo in cui si diceva: « è proibito a Dio far miracolo in questo luogo ». Il nostro secolo, scettico, beffardo, divorato dall’ateismo e dal sensualismo, non ha dunque più bisogno di essere attirato a Dio dalle opere soprannaturali dei suoi santi? Dio l’avrebbe abbandonato al suo senso riprovato, alle sue passioni ignominiose, ai suoi immondi piaceri, come dice San Paolo? … “Tradidit eos in reprobum sensum, in immunditiam, in passiones ignominiæ” (Rom. I). Noi non lo crediamo. Dio ci da ogni giorno il segno della sua bontà. I fedeli dovrebbero dunque domandare la benedizione del Prete nella loro malattia, anche quando non abbia alcun carattere di gravità, nel timore che sia provocata dal demonio. Io dico: Benedizione ed una preghiera, e non una semplice visita di cortesia. Il corpo del Cristiano appartiene a Dio: esso è il suo tempio, è santificato dal santo Battesimo e dalla ricezione degli altri Sacramenti; le sue membra sono membra di Gesù-Cristo … e, quando questo corpo, minato dalla sofferenza, è disteso su di un letto di dolore, non potrebbe essere alleviato, guarito anche, dalla preghiera? Noi siamo convinti del contrario. La Chiesa benedice le lenzuola e gli abiti che devono servire sia a rivestire il malato, sia a fasciare le sue piaghe; che sarà dunque se il Prete benedice lo stesso malato, e prega su di lui? La Chiesa ha ancora delle preghiere per benedire la terra, i campi, per ripulirla dagli insetti e dalle bestie che divorano i raccolti. Essa ne ha per benedire le vigne, il vino, il sale, le uova, una fontana, un pozzo, una casa, un letto, una scuderia, una stalla e gli animali che ospita, un naviglio, una ferrovia e molte altre cose ancora. Essa ne ha anche per deviare ed allontanare i temporali, la grandine, lo spirito di tempesta “spiritus procellarum” … e non potremmo allontanare, scacciare lo spirito di malattia dal corpo di un Cristiano? Siamo uomini di poca fede! Un giorno, nostro Signore Gesù-Cristo era sul lago di Tiberiade. Si levò una furiosa tempesta e la barca sulla quale si trovava era sul punto di affondare nei flutti. Risvegliato dal suo sonno misterioso da San Pietro, Gesù si alzò e comandò agli spiriti dell’aria ed agli spiriti dell’acqua che provocavano questa tempesta e si fece calma. Egli disse, e lo spirito di tempesta si placò; “dixit et stetit spiritus procellæ” (Ps. CVI). Un’altra volta Gesù-Cristo comandò alla febbre di lasciare la suocera di san Pietro “imperavit febri”, personifica la febbre; le parla, la comanda, e la febbre obbedisce. Agiamo come il Maestro, imitiamolo, parliamo alla malattia e allo spirito che la fa nascere; comandiamogli uscire dai corpi in nome di Gesù. Egli ci obbedirà, ed il malato sarà guarito. Noi lo diciamo ancora: Nostro Signore Gesù-Cristo ha dato questo potere a tutti, e se abbiamo una fede viva che ci raccomanda, esaudirà le nostre preghiere. Persone poco illuminate diranno forse, che questo libricino insegna la superstizione: lasciateli dire ed agite. Noi crediamo che queste pagine siano irrifiutabili, perché sono basate sul Vangelo e sull’esempio di tutti i Santi. Non c’è dunque alcuna superstizione nella loro applicazione, poiché al contrario hanno come scopo il combattere contro il nemico. In tutte le epoche del Cristianesimo, la santa Chiesa ha incoraggiato la preghiera e tutti gli altri mezzi per distruggere la perniciosa influenza di satana sugli uomini e sulle cose. È così che in Italia, nel secolo XV, san Bernardino consigliava ai Cristiani del suo tempo, di scrivere il santo nome di Gesù sopra una pergamena, una medaglia, una specie di Agnus-Dei in cera, o altro materiale forte e resistente, e portarlo su di sé per essere liberato dalla malattia, o da altri malori occasionati dallo spirito malvagio. Il Papa Martivo V incoraggiava questo pio uso. Tutti sanno forse che la festa di San Giovanni Battista è d’obbligo a Roma. La veglia, dopo i primi vespri, il Cardinale-Arcivescovo della Basilica benedice nella sacrestia di S. Giovanni in Laterano, dei chiodi di garofano che i malati hanno la pia abitudine di portare sul petto, in un sacchetto, in forma di scapolare, per ottenere la guarigione più pronta. Si dirà che questi pii usi siano frutto di superstizione? No, senza dubbio, ed è evidente che una preghiera fatta su di un malato deve avere nel guarire almeno pari efficacia di questi pii oggetti. Si obietterà forse che la Chiesa sola è depositaria della potenza di Gesù-Cristo, e che solo così essa può delegare uno dei suoi ministri per esorcizzare chi è posseduto dal demonio. Questa verità è incontestabile poiché anche il Concilio di Laodicea vieta a coloro che non sono comandati dal Vescovo, di fare alcun esorcismo. E la disciplina attuale della Chiesa non permette agli stessi esorcisti di esercitare il loro potere senza il permesso del Vescovo. Ma la Chiesa non vieta di cercare, con la preghiera ed una viva fede, di sottrarsi alla malizia ed all’ossessione di questo nemico dell’uomo e di cacciarlo da dove è. Anzi Essa ci spinge: « Resistete al demonio, ed egli fuggirà lontano da voi » dice l’Apostolo Giacomo (IV- 27). E con lui ci dice San Pietro: « Vegliate, perché il vostro avversario, il diavolo, gira intorno a voi come un leone ruggente, cercando la preda da divorare. Resistetegli e siate forti e valorosi nella fede »! l’Apostolo s. Paolo aggiunge: « diffidate, per non cadere in balìa di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni. » (2 Cor. II-11). Come dunque resistergli se non con la preghiera? Inoltre, le malattie causate da lui non costituiscono la possessione propriamente detta. Se le nostre preghiere, che non sono altro che l’elaborazione di queste grandi parole: Vade retro satana!, e non sono degli esorcismi, restano inefficaci, possiamo, volendo, sempre ricorrere alla Chiesa ed ai mezzi che Essa dispone. Il mondo Cristiano è pieno di libri di preghiere che hanno come scopo di guarire le malattie dell’anima, sempre causate dal demonio, e non ce n’è uno solo che contenga delle preghiere per guarire le malattie del corpo, cosa che ugualmente è causato dallo spirito malvagio. Ecco perché abbiamo scritto questo, unicamente per coloro che hanno fede, perché non c’è che la fede che libera. Possa far loro del bene. I Cristiani dei primi secoli portavano ogni giorno battaglia a satana; e questo nemico dell’uomo e di ogni bene, era sempre vinto. Ricominciamo e continuiamo la lotta, armiamoci di preghiera e dello scudo della fede e a nostra volta, saremo vincitori. « Va dunque, mio piccolo libro campi la “tua santa missione, penetra dappertutto, nei palazzi e nelle baracche, presso i sapienti e gli ignoranti. Stai nelle mani del ricco, del povero, dei maestri, dei servi e degli operai. Attraverso di te lo spirito cattivo sia messo in fuga, che le piaghe e le malattie del corpo siano guarite. Porta la gioia nelle anime, la speranza e la consolazione in tutte le famiglie cristiane e confermali nella fede nel Nostro Signore Gesù-Cristo. Così sia.

Avviso Importante

Prima di imporre le mani, di fare dei segni di Croce e pregare sul malato, occorre raccogliersi, chiedere a Dio interiormente, perdono per i propri peccati, pregarLo di esaudire la preghiera che si sta per indirizzarGli. Bisogna anche far raccogliere il malato, se possibile, eccitare nella sua anima la fede, la fiducia, il pentimento delle proprie colpe, e invitarlo a vivere cristianamente se si vuole rendere degno di ottenere la sua guarigione. Se si hanno reliquie di santi, un crocifisso, una medaglia, si potranno appoggiare sulla parte malata durante la preghiera. Si dovrà recitare la preghiera, imporre le mani e fare il segno della Croce sul male, finché sia ottenuta la guarigione. Dio, dice S. Agostino, vuole essere importunato “Deus vult importuniri”. Si potranno fare le preghiere che si vorranno, sia mentali che verbali. Tuttavia abbiamo creduto opportuno suggerirne alcune di molto brevi, molto semplici, per aiutare le persone, soprattutto quelle di campagna, che non hanno l’abitudine di pregare. Noi riportiamo anche, quasi testualmente, diverse preghiere che si dicono e si recitano dappertutto. Queste preghiere sono di un’altra epoca e ci richiamano le antiche formule popolari. Noi aggiungiamo che le parole di queste preghiere, come pure le stesse preghiere, non hanno alcuna virtù, né naturale né sovrannaturale per produrre le guarigioni che si domandano a Dio. Credere il contrario sarebbe superstizione, ed una religione falsa e malintesa. Il lettore noterà che nelle preghiere, noi parliamo al male, cioè al demonio che lo provoca e le genera. Noi gli chiediamo con grande autorità di uscire dal corpo che attacca, e rende malato. Noi imitiamo in questo Nostro Signore che in diverse circostanze comandò alla malattia, e in particolare quando ordinò alla febbre di uscire dal corpo della suocera di S. Pietro. Noi imitiamo ancora la santa Chiesa, che negli esorcismi del Battesimo, comanda imperiosamente al demonio di uscire dal corpo e dall’anima del bambino che si battezza. È su questo esempio e sull’esempio di tutti i Santi, che noi assumiamo un tono imperativo e che diciamo al male, di qualunque tipo esso sia: « Esci, fuggi e lascia questo corpo che tu rendi malato. Io te lo comando e te lo ordino nel nome di Nostro Signore Gesù-Cristo.»

№ 1.

— Preghiera per arrestare le perdite e gli sputi di sangue (emottisi o emoftoe), provenienti da piaghe, da lesioni interne o esterne, o da qualunque altra provenienza:

Signore Gesù, appena entrato nel mondo, Voi avete versato il vostro sangue, alla circoncisione, per la salvezza degli uomini; nel giardino dell’agonia avete sudato sangue; nella sala del pretorio, gli aguzzini lo hanno fatto zampillare sui loro corpi; la corona di spine ha insanguinato il vostro capo; sulla croce avete svuotato le vostre vene e dato sangue fino all’ultima goccia per la nostra redenzione. In nome di questa effusione del vostro sangue divino che avete sparso per la nostra salvezza, comandate che colui che è nelle vele della vostra creatura qui presente, si arresti e cessi di colare; che le piaghe si fermino e si cicatrizzino nel vostro nome, e che gli venga resa la salute. Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, e per la potenza del segno della croce. E così sia”.

№ 2.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione della gotta, dei reumatismi, della paralisi, delle distorsioni, delle contusioni, ed altre malattie delle gambe.

Mio Dio! Quando penso che i vostri piedi divini si sono affaticati per predicare il vostro santo Vangelo, e per correre dietro ai peccatori per convertirli, io non posso che amarVi, adorarvi, e benedirvi. In ricordo dei vostri divini viaggi, in nome delle fatiche che avete sopportato percorrendo la terra santa, degnatevi o mio Dio! Dall’alto del cielo, di stendere le vostre mani divine sulla vostra creatura malata; in passato avete guarito gli zoppi, i paralitici e tutti coloro che avevano perso l’uso dei loro arti; guaritelo, e ditegli queste parole che avete pronunziato così spesso: « la tua fede sia ricompensata; sii liberato da ogni infermità: alzati e cammina ».”

[Fate il segno della croce sul male e dite:] “male, qualunque sia la tua origine e la tua natura, ritirati, te lo comando nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E così sia”.

№ 3.

— Preghiera di una donna per ottenere da Dio un felice parto.

[La donna che sta per diventare madre deve leggere ella stessa, o farsi leggere questa preghiera alla quale si unirà quando giungeranno i dolori del parto.]

“Santa Elisabetta, voi che avete messo al mondo San Giovanni Battista; Sant’Anna, che avete partorito la Vergine Santissima; Santa Vergine Maria, voi che siete la Madre del divino Salvatore, pregate per me e per il bimbo che sto per mettere al mondo. Alleviate i dolori, assistetemi nei dolori strazianti del parto. Bimbo che ancora sei nel seno di tua madre, Gesù-Cristo ti chiama; la Santa Chiesa ti reclama. Vieni a ricevere lo Spirito Santo nel battesimo: vieni a purificare la tua anima con l’acqua santa che cancella il peccato originale, e che rende figlio di Dio e della Chiesa. Vieni, ed entra nel mondo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia.”

№ 4.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione di tutte le malattie dei bambini: le convulsioni, il croup, l’angina, la meningite, la pertosse, etc.

“O dolce Gesù, che avete amato così teneramente i bambini; vi piaccia benedirli ed abbracciarli, voi che avete detto che colui che crederà in voi e sarà battezzato, potrà nel vostro Nome e per virtù divina, cacciare il demonio e guarire le malattie imponendo loro le mani; abbiate pietà di noi che ricorriamo a Voi; abbiate pietà del bambino innocente sul quale impongo le mani, nel Nome vostro, e guaritelo dalla malattia che lo affligge e lo tormenta. Male, qualunque tu sia, nel nome del Signore Nostro Gesù-Cristo, esci da questo bambino, io te lo ordino, e te lo comando nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, e per tutte la potenza di questo segno di croce.”

№ 5 .

— Preghiera per ottenere da Dio, per intercessione di san Marculfo, la guarigione della scrofolosi.

“O San Marculfo, voi che guarivate la crofolosi nel corso della vostra vita mortale; voi che, per grazia di Dio, avete comunicato ai vostri Re cristianissimi il potere di guarire, con un semplice tocco, questa malattia nel giorno della loro consacrazione nella città di Reims quando pronunziavano queste parole: « il Re ti tocca, Dio ti guarisce ». Io vi supplico, in nome del Signore Nostro Gesù-Cristo, e per i meriti della sua Santa Madre, ottenete la guarigione di … (dire il nome della persona), chiudete e cicatrizzate le sue piaghe; purificate il suo sangue, e fate che lo spirito di malattia non abbia alcuna azione sul suo corpo. Io vi chiedo questa grazia, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

[Si possono lavare le piaghe con acqua benedetta].

N. B. — San Marculfo era abate di Nanteuil, e morì nel 558. Egli è molto venerato nella Chiesa di Saint-Nicolas, à Blois. Vi si viene in pellegrinaggio anche da molto lontano il 1 maggio.

№ 6.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dall’epilessia.

Dio mio, voi vedete quanto grande sia l’afflizione della vostra creatura soggetta a questa crudele malattia; voi conoscete le angosce del suo cuore e le continue apprensioni nelle quali ella vive. Come quando avete un tempo guarito il fanciullo del Vangelo, ella teme di cadere nell’acqua, nel fuoco, o in altri pericoli quando è attaccata da questo male. Mio Dio, ve ne scongiuro, guarite questa povera creatura; cancellate dal suo corpo questo male sì funesto per la sua salute e la sua tranquillità. Io vi chiedo questa grazia, o Signore Gesù! In nome della vostra grande bontà verso coloro che vi pregano e vi invocano con fede. Male, qualunque sia il tuo principio o la tua natura, io ti ordino di lasciare il corpo di questa persona e di non rientravi mai più; io te lo comando nella mia qualità di cristiano, benché indegno e peccatore. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e per la virtù della santa Croce. Amen.

№ 7.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione del mal di denti, dello scorbuto e delle malattie della bocca.

 “Santa Vergine e Immacolata Madre di Dio, che vi degnate di aver pietà di tutti gli afflitti, voi che siete chiamata la Salute degli infermi, il soccorso dei Cristiani, e che non avete mai respinto nessuno. E voi sant’Apollonia, che siete stata martirizzata per il Nostro Signore Gesù-Cristo, e prima di essere bruciata col il fuoco che consumò il vostro corpo, avete ricevuto, sull’esempio del nostro divino Maestro, tanti colpi sul vostro viso, tanto che le vostre mascelle furono fratturate; voi, alla quale furono strappati tutti i denti, l’uno dopo l’altro, per farvi più soffrire, ottenete da Dio la guarigione di questa persona malata. Che la sua fede sia ricompensata e che il suo male sparisca. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen”.

№ 8.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione della sordità.

“Signore Gesù, la vostra potenza non ha limiti, poiché Voi siete Dio. Io imploro la vostra assistenza affinché scacciate lo spirito di sordità che affligge la vostra creatura qui presente. Privata del senso dell’udito, e non potendo intendere né la vostra parola né quella degli uomini, comandate alle sue orecchie di aprirsi, come avete già fatto quando eravate sulla terra. Guarite questa povera creatura uscita dalle vostre mani, e restituitele l’uso dell’udito. Ripetete in suo favore questa grande e potente parola: « apritevi, » ed essa sarà guarita. Spirito di sordità, esci da queste orecchie per la potenza di questa segno di croce, nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Che Dio ricompensi la vostra fede e vi guarisca. Amen.

№ 9.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dell’idropisia, dell’anémia, degli erpeti o altre malattie causate da difetto o alterazione del sangue.

“O Mio Dio! Voi che toccate con le vostre divine mani i malati per guarirli; Voi che avete ridato salute all’idropico ed ai lebbrosi con una semplice parola, guardate all’afflizione della vostra creatura. Considerate la malattia che la affligge e degnatevi di rendergli la salute. Comandate dunque, o Signore, al suo male di sparire e rendete al suo sangue la sua originaria forza e la sua primitiva purezza. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen”.

№ 10.

— Preghiera per ottenere la guarigione dei mali degli occhi.

San Placido, discepolo di san Benedetto, la recitava su coloro che avevano perso la vista (Dom Guéranger).

“O Signore Gesù, Voi che siete il mediatore tra Dio e gli uomini, Voi che siete disceso sulla terra per illuminare l’intelligenza ed i cuori di tutti; Voi che avete reso la vista ai ciechi, e che avete dato a San Benedetto la virtù di guarire tutte le malattie e tutte le ferite, degnatevi, per i meriti suoi, di rendere la vista a questo malato, affinché vedendo la grandezza delle vostre opere, vi tema e vi adori come il Signore sovrano di tutte le cose. Nel nome del Signore Nostro Gesù-Cristo e per i meriti di San Benedetto, siate guarito; che i vostri occhi si aprano e vedano la luce del giorno. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo (si devono fare i segni di croce sulle palpebre chiuse). Amen”.

№ 11.

— Preghiera per ottenere da Dio la grazia di essere preservati dal colera, dal tifo, dal vaiolo e da altre malattie contagiose.

“O Dio Onnipotente, che date la vita e la salute, noi cadiamo alle vostre ginocchia per implorare la vostra misericordia. Pieni di pentimento per i nostri peccati, noi veniamo a Voi a cercare un rifugio contro le afflizioni che ci opprimono. Cessate dalla vostra collera che noi abbiamo certamente meritato per le nostre colpe. Noi siamo vostre creature, fateci da scudo e protezione contro questo soffio avvelenato che percorre la nostra contrada coprendola di lutto e di lacrime. Purificate l’aria che respiriamo, e preservateci da questa malattia contagiosa. Comandate all’Angelo sterminatore, ministro della vostra giustizia e delle vostre vendette, di non colpirci ancora con la sua spada. Fateci grazia; noi confessiamo i nostri peccati che ci hanno attirato questo terribile flagello. Abbiate pietà di noi, San Carlo Borromeo che avete fatto prodigi di carità durante la peste che desolava la vostra città di Milano; anche voi, gran Santo Rocco che non si invoca invano in siffatte circostanze, pregate Dio per noi, affinché non siamo più vittime di questa malattia contagiosa. Amen.”  [Occorre portare su di sé una medaglia della vergine Santissima, di San Benedetto o simili.]

№ 12.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dalle febbri intermittenti, tifoidi, mucose o altre.

“Che lo Potenza di Dio Padre, la Sapienza di Dio Figlio, la Virtù di Dio Spirito Santo, la potenza di questo segno della Croce, vi guarisca di ogni sorta di febbre che agita e brucia il vostro corpo. Febbre, qualunque tu sia, qualunque il tuo principio e la tua natura, tu che hai obbedito al comando di Nostro Signore Gesù-Cristo, quando ti ordinò di lasciare il corpo della suocera di San Pietro, nel nome dello stesso Signore Gesù-Cristo, io ti ordino di lasciare il corpo di questa persona malata e di non rientrarvi mai più. Santa Vergine Maria, Voi che siete stata concepita senza peccato, pregate per questo malato, affinché sia guarito nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo! Amen”.

№ 13.

Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dalle ustioni.

[Questa preghiera è molto comune, diffusa, e gode tra il popolo di una grande reputazione di efficacia. Noi abbiamo creduto opportuno riportarla qui quasi testualmente:]

“Fuoco creato da Dio, io ti ordino e ti comando nel suo Nome, di perdere il tuo calore, di lenire i cocenti ardori. Ferma i tuoi danni e non dar luogo ad alcuna piaga su questo corpo. Gran San Lorenzo, voi che siete stato su di una graticola rovente senza avvertire dolore per la grazia divina che era in voi, domandate a Dio che esaudisca la nostra preghiera, che ricompensi la fede di questo malato, affinché guarisca nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen.

№ 14.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione delle malattie del petto: raffreddori, bronchite, asma, catarro, laringite

“O Signore Gesù, Voi che avete sofferto fino alla morte per espiare i nostri peccati; noi pure dovremmo soffrire in unione con voi per essere glorificati con voi nel cielo, come insegnano i Libri sacri; ma conoscendo la vostra compassione per i malati, io vi domando la guarigione di questa persona; comandate al male di sparire, come lo faceste Voi nel vostro soggiorno terreno, per i malati che facevano a Voi ricorso. Diffondete la vostra grazia su di ella; comandate allo spirito di malattia di uscire dal suo corpo e non farvi più ritorno. Male, qualunque tu sia e qualunque sia il tuo principio e la tua natura, esci da questo petto. Io te lo comando nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen”.

№ 15.

— Preghiera a San Friacrio, per ottenere da Dio, per sua intercessione, la guarigione delle ulcere, dei cancri, tumori, antrace, ascesso, patereccio, altre lesioni interne o esterne.

“O gran Santo, che avete ricevuto da Nostro Signore Gesù-Cristo il potere di guarire tutte le lesioni e tutte le piaghe, specialmente i tumori, le ulcere ed i cancri; io vi prego e vi invoco affinché scongiuriate questo male, e comandiate alla piaga di fermarsi, di cicatrizzarsi, affinché non generi alcuna corruzione, e che cessi le sue devastazioni. Male, qualunque tu sia, che tu provenga dal demonio o da una causa naturale, io ti comando, nel nome di San Friacrio, di lasciare il corpo di questa creatura di Dio. Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen.”

№ 16.

Preghiera all’Arcangelo Raffaele per ottenere la guarigione da tutte le malattie, specialmente quelle degli occhi.

“O San Raffaele, il cui nome secondo i santi libri vuol dire: medico di Dio; voi che siete stato incaricato di accompagnare il giovane Tobi nel suo viaggio presso il popolo dei Medi, e che avete restituito la vista a suo padre, noi vi invochiamo e ci prostriamo ai vostri piedi per implorare la vostra assistenza. Tobi ed i suoi genitori sono stati aiutati e soccorsi da voi, voi avete esaudito i loro voti ed i loro desideri. Sul loro esempio anche noi vi invochiamo; noi vi preghiamo di essere nostro protettore dopo Dio, poiché voi siete il medico caritatevole che Egli invia a coloro che hanno fede e fiducia. Guarite dunque questa persona malata; restituitegli la salute ed ella testimonierà a Dio la sua riconoscenza vivendo cristianamente.” [Dire tre volte: San Raffaele, pregate per noi!]

№ 17.

— Preghiera a san Pietro d’Alcantara, per ottenere da Dio la guarigione di tutte le malattie e per ogni sorta di grazie.

“O gran Santo, voi che siete ora seduto nella Gloria presso Dio! Voi che dovete alle vostre grandi mortificazioni ed alle penitenze rigorose che facevate quaggiù, la felicità di cui ora godete in cielo: degnatevi di ricordare ciò che il Signore ha rivelato a Santa Teresa nei vostri riguardi. Nostro Signore Gesù-Cristo ha promesso a questa grande Santa che qualunque Gli si chiedesse nel vostro nome, una grazia, un favore, un soccorso, una protezione, una guarigione, questa sarebbe stata accordata. Oggi voi vedete la mia pena e le mie sofferenze. Io vengo dunque a supplicarvi, o grande Santo, di essere il mio avvocato presso nostro Signore Gesù-Cristo, affinchè per vostra intercessione si degni di accordarmi ciò che Gli domando. Amen”.

№ 18.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione da ogni tipo di malattie.

Signore Gesù, consolatore dei fedeli, Dio pieno di compassione e di misericordia per i peccatori, io vengo ai vostri piedi per implorare la vostra grande e immensa bontà in favore di questo povero malato che giace sul suo letto di dolore. Degnatevi di visitarlo, Signore, come avete visitato un tempo la suocera del vostro grande Apostolo, Simon-Pietro; siategli propizio e favorevole; degnatevi di grarirlo dal male che lo affligge, e rendetegli la primitiva salute… [E imponendo la mano sulla testa della persona malata, facendo il segno della croce, si dirà]: Che il Signore Gesù-Cristo stia al vostro fianco per difendervi; che Egli sia in voi perché vi conservi, che sia davanti a voi per guidarvi; che stia dietro a voi per sostenervi, e che sia sopra di voi perché vi benedica e vi guarisca. Amen”. [questa preghiera si trova nel rituale di Parigi].

№ 19.

— Preghiera per essere preservato dalla rabbia, dalle punture velenose dei serpenti, vipere, mosche carbonchiose; o per ottenerne la guarigione.

“O Beato San Uberto, dal settimo secolo vi si invoca in ogni luogo affinchè portiate soccorso a tutti coloro che fanno ricorso a voi; noi, la mia famiglia e me, veniamo a metterci sotto la vostra protezione, alfine di essere preservati dalla puntura o dal morso delle bestie velenose. Proteggeteci, e preservateci da tutti questi generi di danni. Preservate pure le bestie della nostra stalla, affinché non siano attaccate e ne restino immuni. E se ci arriva questo malanno, dall’alto del cielo ove siete, inviateci, col permesso di Dio, la vostra influenza sulla piaga e sul veleno che essa contiene, alfine di paralizzarne gli effetti mortali. Noi vi chiediamo questa grazia, o mio Dio! Per la virtù e la potenza che avete dato al vostro servo. – « Santo Uberto, pregate per noi »”.[ripetere tre volte:]

№ 20.

— Preghiera per ottenere da Dio la guarigione dalle malattie della vigna, delle patate, o di altri frutti; ed anche pre preservare i campi ed i raccolti dalle gelate, dalla grandine, dagli insetti nocivi, fillossera ed altre calamità.

 “O Gesù, pieno di bontà, voi che avete moltiplicato i cinque pani di9 orzo ed i pesciolini, per il popolo che era con voi nel deserto, voi che siete la provvidenza per il ricco ed il povero, e che avete sempre alleviato tutte le miserie, benedite dall’alto del cielo questa terra che noi bagniamo con il nostro sudore per la nostra sussistenza. Siate il protettore ed il medico di queste piante e di questi raccolti che noi vi affidiamo. Distruggetene gli insetti ed allontanate le malattie che potrebbero distruggerle, che né il gelo, né la grandine abbiano azione su di esse. Noi vi chiediamo queste grazie per i vostri meriti infiniti, o Signore Gesù. Amen.” [Si può aspergere da sé il proprio campo con acqua benedetta. Si può anche piantare nel mezzo una piccola croce in legno, o depositarvi qualche medaglia della Santa Vergine o di San Benedetto.]

№ 21.

— Preghiera per preservare le greggi da tutte le malattie e da ogni malanno.

O Santa Genoveffa di Parigi, ed anche voi, Santa Germana Cusin, pastorella di Pibrac,; voi che, nella vostra infanzia pascolavate le greggi; degnatevi di ascoltare la preghiera che indirizzo a voi affinché proteggiate questo gregge che mi è stato affidato. Ottenete da Dio che sia preservato da ogni attacco, sia di bestie nocive, sia da malattie, sia da malefici e sortilegi. Gesù buon Pastore, esaudite la preghiera dei vostri santi servitori che sono con voi in cielo, affinché il male non attacchi mai queste pecore e questi agnelli, Santa Genoveffa, Santa Germana Cousin, pregate per noi.” [Dire: 5 Pater ed Ave.]

№ 22.

Preghiera indirizzata a San Biagio, vescovo e martire del VI secolo, per ottenere da Dio, per sua in recessione, la guarigione di tutti gli animali malate: cavalli, buoi e vacche, montoni e tutte le bestie da cortile.

 “O Dio mio! Voi che avete dato tutti gli animali per l’uso ed il nutrimento dell’uomo, degnatevi di benedire tutti quelli che mi appartengono e sono affidati alle mie cure, qualunque sia la loro specie. Accordatemi la grazia che siano preservati da tutte le malattie, che il demonio non abbia alcuna azione malefica su di essi; che si moltiplichino incessantemente, e che i loro prodotti servano al mio uso ed a ricompensare il mio lavoro. Grande San Biagio, voi che avete saputo comandare ed addolcire le bestie più crudeli delle foreste; voi, che venite ovunque invocato per ottenere da Dio la guarigione degli animali malati, presentate la mia domanda al Signore e fate che per vostra intercessione, essa sia esaudita, nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen.”

№ 23.

— Preghiera indirizzata alla Vergine Santissima da Guglielmo d’Auvergne, Vescovo di Parigi.

[Essa è molto efficace per ottenere la guarigione di ogni specie di malattia, sia del corpo che dello spirito, o per essere preservato da ogni male.].

“O Madre di Dio, io ricorro a Voi, vi supplico di non respingermi. Tutti i cristiani non vi chiamano forse Madre di misericordia? Voi siete così amata da Dio che Egli accoglie tutte le vostre richieste. La vostra bontà non ha mai fatto difetto a nessuno. Voi avete sempre ricevuto con incomparabile affabilità ogni peccatore, benché enormi fossero le sue colpe, quando a Voi si è raccomandato. Ah!, non è senza ragione che la Chiesa vi proclama sua avvocata e rifugio dei miserabili! Voi siete la dispensatrice della misericordia, e le mie colpe non potranno impedirvi di adempiere alla consolante funzione di cui siete incaricata, funzione che vi costituisce avvocata e mediatrice di pace, l’unica speranza e sicuro rifugio dei derelitti. Poiché voi avete dato alla luce il benessere dell’universo, la fonte della misericordia, non sarà mai detto che voi abbiate rifiutato la vostra assistenza a un infelice che vi ha invocato a suo soccorso. Poiché la vostra missione è quella di ristabilire la pace tra l’uomo e Dio, la vostra compassione deve spingervi a soccorrermi. Oh! Che essa sia ben al di sopra di tutti i miei peccati! Amen.”

№ 24.

— Preghiera a san Giuseppe.

“Ricordatevi, nostro buonissimo, amabilissimo, dolcissimo e misericordioso padre San Giuseppe, che la grande santa Teresa assicura di non essere mai ricorsa alla vostra protezione senza essere esaudito. Animato dalla medesima fiducia, o mio amatissimo San Giuseppe, io corro, vengo a Voi, e gemente sotto il peso opprimente dei miei numerosi peccati, io mi prosterno ai vostri piedi, o padre compassionevole! Non rigettate le mie povere e debolissime preghiere, ma ascoltatele con favore e degnatevi di esaudirle. Amen.”

№ 25.

— Preghiera a sant’Antonio di Padova.

“O Sant’Antonio di Padova, voi che possedete e vedete Dio faccia a faccia, e che, malgrado l’estasi, oramai eterna, nella quale voi vivete in cielo, avete ancora compassione di coloro che sono quaggiù nelle sollecitudini della propria vita; Voi, che secondo la testimonianza di San Bonaventura, non siete mai invocato invano nei pericoli, nelle calamità pubbliche e nelle divisioni familiari; Voi che mettete in fuga i demoni, che restituite la salute ai malati che vi pregano con fiducia, Voi che, in una parola, fate ritrovare ciò che è stato perduto, sia nell’ordine spirituale che nell’ordine temporale, vogliate, ve ne prego, chiedere a Dio per me che mi allontani i pericoli che mi minacciano e che mi faccia ritrovare tutto ciò che ho perso. Amen”. [dire cinque Pater e Ave.]

№ 26.

—Preghiera a san Michele Arcangelo.

“O Glorioso San Michele, principe della milizia celeste, protettore della Chiesa Universale, ed in particolare della Francia, difendeteci dai tanti nemici visibili ed invisibili che ci circondano. Non permettete che ci portino ad offendere Dio, proteggeteci contro le insidie e gli inganni che seminano lungo i nostri passi. Combatteteli, e metteteli in fuga quando vengono per fare del male, sia al nostro corpo con le malattie, sia alla nostra anima con le cattive passioni che cercano di far nascere in essa. Trionfate della loro malizia; assisteteci nelle lotte ed i combattimenti della vita, e soprattutto nel momento della morte. E così sia. « O Glorioso San Michele, pregate per noi che ricorriamo a voi”.»

[NOTA: Ai nostri tempi il problema relativo al reperimento di un Sacerdote Cattolico ed all’uso dei Sacramentali (in primo luogo l’acqua benedetta) si è ulteriormente complicato, e questo deve renderci estremamente prudenti. Abbiamo letto sopra che una guarigione possa dipendere, avendo fede, dall’azione di un Sacerdote Cattolico o di acqua benedetta. Ma si badi bene: un SACERDOTE CATTOLICO!!!, un “vero” sacerdote della Chiesa Cattolica, unica depositaria del deposito della Fede in cui solamente esiste la COMUNIONE DEI SANTI, dai cui meriti, oltre a quelli principali di Gesù Cristo e della Vergine Maria, è formato il bagaglio dal quale attingere grazie per impetrare ogni bene spirituale. Da evitare come la peste, e forse ancor più, sono i falsi e sacrileghi preti apostati e scismatici del “novus ordo” che operano, consci o meno, nella sinagoga di satana ai comandi di noti esponenti degli “Illuminati”. Allo stesso modo da schivare da lungi e con orrore, sono i discendenti ancor più falsi e sacrileghi del cavaliere Kadosh Lienart e del suo “compariello” il mai-monsignore di Sion-Econe, o altri scalmanati “cani sciolti” [senza offesa per i cani!] senza missione o giurisdizione, quindi, secondo la definizione di Gesù, ladri e briganti che si introducono come lupi rapaci con vello da pecora, nell’ovile dei Cristiani, dalle porte laterali, dalle crepe dei muri o dal camino! Se non si è certi di avere a che fare con Preti “veri” della Chiesa Cattolica con missione e giurisdizione da Papa Gregorio XVII o XVIII, conviene affidarsi esclusivamente alle preghiere ed ai segni di Croce ed imposizione delle mani, oltre che ad una viva fede in Gesù-Cristo, in attesa che il Padrone della messe ci invii un suo “vero” ed efficace operaio. Ovviamente ogni preghiera viene resa illecita e sacrilega dal partecipare ad un falso culto modernista o “tradizionalista”-non autorizzato ed illecito.]

IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -2-

CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE. -2-

DI

UN PRETE DEL CLERO DI PARIGI

CAPITOLO III

POTENZA DEL SEGNO DELLA CROCE, DEL SANTO NOME DI GESU’, E DELL’ACQUA BENEDETTA.

Il lettore noterà indubbiamente che i segni della Croce sono moltiplicati nelle preghiere che noi inseriamo alla fine di questo libro. La ragione è che tutti i beni ci vengono dalla Croce. I santi di tutti i secoli e di rutti i paesi, si sono sempre serviti del segno della Croce per operare i loro miracoli e guarire i malati, e come insegna San Doroteo, abate d’Egitto, del IV secolo: « Il demonio perde tutta il suo potere alla presenza della Croce di Gesù-Cristo. » Ecco perché si legge nelle preghiere del breviario questa invocazione indirizzata a Dio: « Signore, con il segno della Croce liberateci dai nostri nemici – Per signum crucis, de inimicis nostris libéra nos, Deus noster. » Ed ancora: « Ecco la croce di Gesù-Cristo, fuggite parti avverse. – Ecce crucem Domini, fugite partes adversæ. » – È dunque vero che il segno della Croce fatto con fede può cacciare i demoni. L’invocazione del santo Nome di Gesù ha la stessa potenza. La storia ecclesiastica ne riporta un gran numero di esempi. Noi ne citiamo qualcuno che si leggerà con interesse. È la voce dei martiri e degli apologisti che noi ascoltiamo: San Giustino, filosofo cristiano, martirizzato nel II secolo, afferma positivamente nel libro delle “Antichità giudaiche” che il demonio obbedisce a coloro che lo scacciano pronunciando il santo Nome di Gesù. Minuzio Felice, oratore latino del II secolo, non è meno esplicito.« Voi sapete bene – egli dice nell’Octavius – che questi demoni sono costretti a confessare ciò che sono, quando tormentandoli, noi li facciamo uscire dai corpi con parole che li torturano e con preghiere che li bruciano. » San Cipriano, vescovo di Cartagine, martirizzato nel 258, diceva che: « egli cacciava i demoni dai corpi che essi ossessionavano, intimando loro di uscire nel Nome di Gesù-Cristo, e per la virtù del segno “della Croce”. Oh, se volete vedere -egli diceva- come i demoni sono tormentati, torturati dalle parole sante e sacre che noi pronunciamo, quando li comandiamo e li cacciamo nel Nome di Gesù-Cristo dai corpi che ossessionano ». Lattanzio, celebre filosofo ed apologista cristiano del II secolo, è anche egli positivo. Egli dice che « i discepoli di Gesù-Cristo cacciano i demoni nel Nome del loro Maestro, e con il segno della Passione: « Questo mostrerà quanto il segno della Croce sia terribile per i demoni e si vedrà come, costretti dal Nome di Cristo, essi escano dai corpi che ossessionano. Allora egli racconta questo episodioo storico. Egli dice che il demonio, consultato dall’imperatore Diocleziano, non aveva osato rispondere in presenza di un cristiano che aveva fatto il segno della croce. Tertulliano, uno dei dottori più illustri della Chiesa di Cartagine, nel III secolo, portava questa audace sfida ai pagani dei suoi tempi: « che si porti davanti ai tribunali, davanti a tutto il mondo, e non in un luogo chiuso, qualcuno che sia veramente posseduto dal demonio “quem agi dæmone constet”, ed un cristiano, chiunque esso sia, il primo venuto “a quolibet cristiano”, comandi a questo spirito di parlare: questo spirito maledetto confesserà che non è che un demonio e che, mentre altrove si dice falsamente Dio, egli non oserà mentire ad un cristiano. Se non lo confessa subito, spargete sul luogo stesso, senza indugio, senza alcuna nuova procedura il sangue di questo cristiano temerario (Apologetica, 23). Che sicurezza! Quale fede eroica in questa sfida! Chi può credere che Tertulliano possa compromettere con tanta leggerezza la vita di un cristiano! È per questa ragione, ed ispirato dalla stessa fede, che Bossuet, che noi amiamo citare, dice ancora che, forzato dalla parola di un fedele, il demonio depose la sua impudenza. Un’altra volta, Tertulliano, indirizzandosi al proconsole d’Africa, Scapula, cita i nomi propri dei posseduti liberati da lui, e dice che essi sono pronti a rendere omaggio alla verità. Anche i vostri ufficiali e consiglieri potrebbero istruirvi in essa, il segretario di uno di essi, il figlio di un altro, senza contare un gran numero di uomini di qualità, e gente comune che sono state liberate da noi e dalla malattia e dal demonio”. Egli racconta nella sua opera intitolata “gli spettacoli” che una dama romana andò in buona salute al teatro e ne tornò posseduta dal demonio: “Theatrum adiitet cum dæmonio rediit”; esso, evocato e biasimato per aver osato attentare ad una matrona cristiana, rispose difendendosi: “io ho colto l’occasione, e non penso di aver fatto torto a nessuno. Tutto ciò che trovo sulle mie terre mi appartieneConstanter et justissime feci quia in meo eam inveni…”, se l’avessi trovata in chiesa io non avrei mai osato avvicinarla, ma io l’ho trovata nella mia assemblea, tra le danze ed i piaceri, e l’ho presa come cosa che si trovava nel mio feudo e quindi mia proprietà”. Quale insegnamento in queste parole! Quale soggetto di meditazione per coloro che sono al mattino in chiesa, e la sera in riunioni pericolse!!! Non si può ignorare l’influenza perniciosa che eserciti il teatro su tutta una categoria di figli del popolo che vi si introducono, riportandone una spaventosa precocità di vizio. Per un gran numero il teatro è il vestibolo della prigione; come per molti ricchi, è l’abisso ove sprofondano l’onore e la fortuna. So bene che si dice che il teatro sia entrato nei nostri costumi; che bisogna andare per non singolarizzarsi, diventare asociali; e poi esso non fa alcuna cattiva impressione, né allo spirito, né ai sensi. Illusione!!! In effetti, anche se i soggetti rappresentati non sono sempre cattivi, il luogo è sempre pericoloso. Se noi citassimo tutte le testimonianze dei pagani, greci o romani, contro il teatro, si vedrebbe che essi lo consideravano come una scuola di vizio. Tertulliano dice che il teatro è un “luogo infame” e “chiesa del diavolo”. Si dice che a Roma nessun attore fosse ammesso né a corte, né al tribunale, né al senato, e che era escluso da tutti gli onori militari e civili. San Giovanni Crisostomo lo chiama “l’impuro cibo di satana”. Sant’Agostino si domanda come possa un cristiano pregare al mattino in chiesa e correre poi in teatro per applaudire satana e le suo opere. Salviano, questo celebre prete che viveva a Marsiglia nel IV secolo dice: “… che ritorno al diavolo, e che rinuncia alle promesse battesimali quando si va a teatro!”. Del resto tutti i padri della Chiesa, tutte le decisioni dei Concili, dicono che un cristiano che abbia rinunciato, col suo Battesimo, a satana, alle sue pompe ed alle sue opere, non debba più frequentare il teatro che chiamano con diversi nomi, come “scuola del vizio”, “focolaio di corruzione”, “perdita di innocenza”, “mare in cui la virtù fa spesso naufragio”. Il teatro non è dunque una scuola di moralità ed un innocente piacere. Non restiamo stupefatti quindi dalla severità della Chiesa su questo soggetto. È in questi luoghi, sempre pericolosi, che il demonio va a cercare numerose vittime; anche tra le persone che si credono pie e che corrono a frotte. satana ha osato attaccare Nostro Signore stesso mentre pregava e digiunava nel deserto. Gli sembra dunque naturale tendere insidie alle anime che vanno “da lui”. È allora che egli introduce il peccato nella loro anima, e dei germi patogeni nei loro corpi. Felice ancora quando non porta egli stesso la torcia incendiaria nella “propria casa”, per far bruciare tutti coloro che vi si trovano!!! Lo abbiamo visto spesso, quanti teatri sono stati bruciati e quanti bruceranno ancora!!! Ciò che sto dicendo, lo so, è opposto a tutto quello che si chiama lo spirito dei tempi moderni. Gli increduli, i cristiani indifferenti, riverseranno su questo soggetto il loro sarcasmo ed i loro ghigni beffardi. Compiangiamoli e preghiamo per essi che sono nelle tenebre e nell’errore, mentre noi siamo nella luce e nella verità. E poi ci meravigliamo se il demonio agisce così, attaccando dei semplici cristiani, egli che ha osato attaccare nostro Signore stesso. Noi abbiamo ricordato più in alto gli assalti furiosi che satana ha portato a Giovanni M. Vianney, questo santo curato d’Ars, che ha reso illustre il clero francese per la sua carità e per le sue ammirevoli virtù. Ed egli non ci attaccherebbe? È inammissibile! Origene, questo gran dottore della Chiesa che teneva la celebre scuola di Alessandria, assicura che « il più piccolo, il più infimo tra i Cristiani ha tra le mani questo ammirabile ed infallibile potere di espellere i demoni là dove essi sono. » Ora, se il più piccolo e più infimo tra i Cristiani ha questo mirabile ed infallibile potere, cosa non potrà un Prete [cioè un “vero” Prete, oggi introvabile – ndr. -], che è un altro Gesù Cristo, “sacerdos alter Christus” e che ha ricevuto missione e potere, per la sua dignità di esorcista, di espellere e cacciare i demoni? S. Gregorio Nazianzeno (IV secolo) esclama: « quante volte questo mi è successo! ». In ultimo luogo citiamo il poeta latino cristiano Prudenzio, che viveva nel IV secolo, e che afferma nel suo libro di Apoteosi contro i Giudei che « il demonio è cacciato e torturato dal nome di Gesù-Cristo. » Si legge ancora la recita di più miracoli operati dal segno della Croce, ed invocando il Nome di Gesù, in San Gerolamo, in Teodoreto, in San Sulpizio severo, in San Agostino, in Vittorio de Vita ed altri scrittori ecclesiastici. Queste autorità della prima antichità, questi miracoli riportati da Santi il cui nome è venerato pure tra i protestanti, rendono molto credibili ciò che gli autori dei secoli successivi scrivono dei miracoli operati dal segno della Croce. Sarebbe troppo lungo il catalogo. Penetrato da questa credenza, ed appoggiato a testimonianze storiche sì incontestabili, mons. Gaume ha pubblicato un libro intitolato: “Il segno della croce nel XIX secolo” [pubblicato anche su questo blog –ndr. -], nel quale enumera la potenza, l’efficacia di questo segno divino nell’ordine temporale, e dice: «il segno della Croce ridona la salute e guarisce tutte le malattie; calma le tempeste, spegne il fuoco, protegge dagli incidenti, arresta le onde, fa rientrare le acque nel suo alveo, allontana le bestie feroci, preserva dal veleno, dal fulmine; esso purifica l’aria, l’acqua, il fuoco e ne caccia il demonio ». Infine ricordiamo queste ultime parole: « esso fa dei Cristiani degli strumenti di prodigi. » Lo storico Fleury ci dice che nei primi secoli, i Cristiani guarivano le malattie, cacciavano i demoni, non solo dagli uomini, ma pure dagli animali e dai luoghi che gli erano dedicati. Essi pregavano, facevano dei segni di Croce sui malati pronunciando il Nome di Nostro Signore Gesù-Cristo. « E questo Nome da solo aveva tanta forza da cacciare i demoni anche se pronunciato dai malvagi. » Imitiamo questi grandi e valorosi Cristiani. satana non è più forte oggi di quanto non lo fosse nei primi secoli. Io affermo che un malato, avendo la fede, può guarire, o almeno alleviarsi considerevolmente da sé, facendo il segno della Croce sul suo male, ed ingiungendogli di sparire nel nome di Gesù-Cristo. Potrei citare tanti esempi. Ne riporto uno solo: « una signora, ancor giovane, aveva un reumatismo gottoso che la teneva a letto da diverse settimane. Uno dei suoi ginocchi si era gonfiato considerevolmente, ed il minimo movimento le era impossibile. Conoscendo la sua fede viva e la sua grande pietà le suggerii il pensiero di fare da se stessa dei segni di Croce sul suo male invocando il Santo Nome di Gesù. La sera stessa ella si mise in raccoglimento e pregò Dio, cominciò a fare col suo pollice dei segni di Croce sull’area malata. Ella seguì il consiglio che le avevo dato di comandare al male di sparire nel nome di Gesù-Cristo, e per la potenza del segno della Croce. Era appena passato un minuto che già vedeva diminuire il gonfiore sotto i segni della Croce che ella moltiplicava. Sbalordita ed entusiasta, chiamò sua sorella che era nella camera accanto e che fu testimone di questa guarigione; perché in effetti questa era avvenuta. Il male era sparito nel giro di qualche minuto, e all’indomani ella poteva camminare senza sofferenza e senza dolore. Dunque, poveri malati, abbiate fede e fiducia in Dio, imitate questo esempio, ed il Signore vi guarirà! È dunque certo che il segno della Croce ed il Nome sacro di Gesù irritino e abbattano i demoni che fuggono tremanti … Contremiscunt. Lo si può notare molto spesso quando si fa una novena per ottenere la guarigione di un malato. Quasi sempre, durante il corso di questa novena, le sofferenze sono più acute, più intense, le crisi più violente. Si potrebbe supporre che le preghiere siano inutili, ed il malato stia per morire, tanto che si raddoppiano i dolori. È il demonio, spirito di malattia che è tormentato, torturato, irritato dalle preghiere che si indirizzano al cielo, e che lo scacciano dal corpo che rendeva malato. Invitato ad uscire nel nome di Gesù-Cristo, egli fugge; ma fa soffrire colui che egli tormentava, e … conseguentemente ha luogo la guarigione. Si vedono anche tutti i giorni, dei poveri moribondi che resistono alle più pressanti ed affettuose esortazioni di persone che le circondano, e che lo scongiurano, nel nome della loro eterna salvezza, di ricevere i soccorsi della Religione, per riconciliarsi con Dio. Si prega, si piange, ci si dispera, si crede che il povero malato stia per morire nella sua empietà. Quando improvvisamente chiede un prete e muore con i sentimenti della più grande pietà. A chi attribuire questo cambiamento sì repentino? Oltre le preghiere, molto spesso, sono di ausilio anche una medaglia della Santissima Vergine, o quella di San Benedetto, un Crocifisso od altri oggetti di pietà posti sul malato, anche a sua insaputa. Questo oggetto benedetto mette in fuga il demonio che era là, al capezzale del morente, per impadronirsi della sua anima. Per sottrarsi alle influenze diaboliche, San Agostino giungeva a desiderare che i Cristiani fossero esorcizzati tutti i giorni. E San Crisostomo consigliava ai Cristiani del suo tempo di dire ogni mattino, con la bocca o con il cuore. “Abrenuntio tibi satana, et coniungor tibi, Christe”. Era come dire di impegnarsi a non far più parte delle schiere comandate da satana, ma di appartenere alla milizia di Gesù-Cristo. La storia ci riporta che un santo Prete, nominato Gassner, che viveva in Germania nel 1752, guariva i malati con la preghiera, il segno della Croce, l’imposizione delle mani, e soprattutto con l’invocazione del sacro Nome di Nostro Signore Gesù-Cristo. Egli affermava che un terzo delle malattie era provocato dal demonio. Migliaia di malati lo circondavano incessantemente. Egli era approvato dal grande Papa Benedetto XIV, allora regnante. Circa sessanta anni orsono si parlava molto di un altro santo Prete che viveva pure in Germania, il principe Hohenlohe, che guariva allo stesso modo tutti i malati che si presentavano a lui. Egli guariva pure da lontano coloro che si raccomandavano alle sue preghiere, dirigendo il suo pensiero verso di essi. – In una seconda opera che ha fatto pubblicare mons. Gaume e che ha come titolo: “l’acqua benedetta nel XIX secolo”, si leggono delle pagine toccanti sulla potenza e l’efficacia dell’acqua benedetta per cacciare il demonio, pulire le piaghe e guarirle. Questa potenza dell’acqua benedetta è stata insegnata fin dalla culla del Cristianesimo. Le costituzioni apostoliche riportano le formule di questa benedizione, che noi riportiamo qui. « Sanctifica, Domine, hanc aquam, tribue ei juvandi et repellendi morbum, fugandi dæmonies, expellendi insidias ». Signore, santificate questa’acqua; fate che per essa le malattie siano risanate e spariscano, che metta in fuga i demoni e preservi dalle sue insidie ». [diciamo solo per inciso che queste formule di benedizione vanno usate solo da “veri” sacerdoti, aderenti alla “vera” Chiesa Cattolica, quella di Papa Gregorio, altrimenti è meglio evitare accuratamente quella che sarebbe purtroppo un’acqua maledetta! – ndr. -]. Hincmar, arcivescovo di Reims, tenne un sinodo il 1 novembre 852, ed in uno degli articoli si esprime così: « ogni domenica, ogni prete, prima della Messa, farà dell’acqua benedetta con cui si aspergerà il popolo entrante nella chiesa, e coloro che vorranno ne riporteranno per aspergere le loro case, le loro terre, le loro bestie, il cibo degli uomini e delle bestie. » Ci sono numerose prove storiche dell’efficacia dell’acqua benedetta che sarebbe troppo lungo riportare qui. – Per riassumere, ricordiamo dunque gli effetti salutari che produce questa acqua santa, quando se ne serve con fede e pietà. Essa caccia i demoni dai luoghi che occupa, fa cessare i mali che egli causa; serve a guarire le malattie; essa purifica le case o altri luoghi in cui si trovano i fedeli; allontana le insidie del nemico, che essa respinge e blocca; essa protegge i campi ed i raccolti; allontana l’aria pestilenziale e corrotta, e tutto ciò che potrebbe essere nocivo all’anima ed al corpo. Questi effetti dell’acqua benedetta dipendono dal grado di fede con la quale se ne impiega. Più questa fede sarà viva, tanto più velocemente saremo esauditi!

CAPITOLO IV

L’IMPOSIZIONE DELLE MANI E LA SUA

POTENZA

Fino allo stabilirsi del protestantesimo nel XVI secolo, tutti i Cristiani, vescovi, preti e laici, che venivano chiamati presso un malato, pregavano, invocavano il nome di Gesù-Cristo e, quando possibile e conveniente, facevano dei segni di Croce e stendevano le mani soccorrenti sulle parti del corpo che erano affette; e molto spesso si rendeva la salute a questi ammalati che avevano fede. Imponendo le mani, questi Cristiani, imitavano nostro Signore Gesù-Cristo, che fece sì spesso questa azione per guarire i malati che venivano a Lui. Questa azione di Nostro Signore non deve essere assimilata a quella che facevano i saggi dell’India, i sacerdoti egiziani e greci. I riti del paganesimo prescrivono l’estensione o imposizione delle mani per guarire i malati; ma questa non era che un’azione magnetica. Mentre nei Cristiani è un’azione santa che conferisce ai malati che abbiano fede, un dono spirituale che è la grazia della santità: “Gratia sanitatum”, come dice San Paolo ai Corinti (I, 12-29). L’imposizione delle mani era praticata nella legge giudaica. Noi vediamo il sommo sacerdote stendere le sue mani sul popolo di Israele per benedirlo da parte di Dio. Giosuè non fu riempito dello Spirito di saggezza, se non perché Mosè impose le sue mani su di lui (Deut. XXXIV, 9). Si tratta quindi ben veramente di un’azione santa nella Religione Cattolica. E con questa azione, la Santa Chiesa stende le sue mani materne su di noi, ci copre come uno scudo. Essa si occupa dei nostri corpi e dell’anima. Essa ci preserva e ci garantisce contro i colpi del demonio; Essa gli dice: non toccare questa creatura, ella è mia. Indietro, dunque, satana! Con questa azione ancora, la santa Chiesa ci benedice ed attira sulle nostre teste la grazia di Dio. È con l’imposizione delle mani che gli Apostoli comunicano lo Spirito Santo ai Cristiani del loro tempo. È con l’imposizione delle mani e pronunciando il santo Nome di Gesù, che essi guariscono i malati (Atti c. V). – Ancora e sempre con l’imposizione delle mani, ripetute e moltiplicate, che nel Battesimo, si caccia il demonio. – È con l’imposizione delle mani che i Vescovi [quelli veri con Giurisdizione! –ndr. -] danno il Sacramento della Confermazione. Quando i sacerdoti sono ordinati e consacrati a Dio, si impongono loro le mani. – La santa assoluzione, nel Sacramento della Penitenza, è data al peccatore alzando e stendendo le mani verso di lui. Nel Sacramento del Matrimonio, si dà la benedizione nuziale stendendo la mano verso i giovani sposi. Leggiamo questa prescrizione nella lettera di San Giacomo sul soggetto della Estrema Unzione; « Se qualcuno è malato, faccia chiamare i preti della Chiesa, affinché impongano le mani facendo unzioni di olio in nome del Signore; e la preghiera, unita alla fede, salverà il malato. » È come conseguenza di questa prescrizione che la preghiera, amministrando questo Sacramento si pronunziano queste parole, con la mano stesa sul malato: « Che ogni potenza del demonio sia annientata in te, nel nome del Padre, del Figlio e dello spirito Santo, ed anche per l’imposizione delle nostre mani “Extinguatur in te omnis virtus Diaboli, per impositionem manuum nostrarum”.» La Chiesa ci insegna dunque, con queste ultime parole, che il demonio può provocare la malattia, ma anche, che può essere scacciato con la preghiera e l’imposizione delle mani. È a causa dell’efficacia e della potenza di questo Sacramento sullo spirito del male che lo si riceveva tutti i giorni nel IX secolo, come il Santo viatico, quando si era pericolosamente malati. Lo storico Fleury ce lo dice, parlandoci del vescovo S. Ramberto, morto l’ 11 giugno 888. Egli aggiunge che era l’uso in quei tempi. Le sante vedove della Chiesa primitiva erano elevate alla dignità di diaconesse con l’imposizione delle mani.”Suscipientes manûs impositionem”. (Concilio di Calcedonia.), non c’è dunque alcuna cerimonia di Culto Cattolico senza l’imposizione delle mani. Essa è un segno di protezione e di amore da parte di Dio. Un morente benedice la sua famiglia stendendo e ponendo la sua mano debole sulla testa di coloro che sta per lasciare: è un’azione istintiva e che risiede in natura. Il reverendo Padre Valuy, della Compagnia di Gesù, nel suo mirabile libro intitolato: “Le Directoire du Prêtre”, raccomanda di insegnare ai genitori a presentare i propri figli al curato, al prete, quando passa, affinché li possa benedire, toccarli, ed imporre loro le mani. Così faceva il divino Maestro. Gli si presentavano i fanciulli affinché li toccasse (S. Luca XVIII, 15). Non si dovrebbe forse sempre chiamare un prete presso un bambino malato, anche per colui che è nella culla? Non sarebbe come per lui comunicargli la grazia della salute “Gratia sanitatum”, anche quando la malattia non fosse causata dal demonio; l’esperienza prova che spesso, una preghiera, una benedizione, un segno di Croce, una imposizione delle mani guarisce questi cari piccoli ammalati; perché il demonio attacca sia l’innocente che il colpevole; e la prova ci viene data da S. Agostino che ci parla “dei mille insulti che il demonio fa sopportare ai piccoli bimbi battezzati ed innocenti” (Città di Dio, lib. 22). Quali sono questi insulti se non questa serie di malattie che affliggono l’infanzia? Nella cattolica Irlanda esiste da tempo immemore, l’uso di andare dal Prete per farsi imporre le mani e toccare con segni di croce quando si è sofferenti. È una traccia dell’antica fede. Gli infermi ed i malati trovano il loro sollievo e spesso pure la guarigione nell’imposizione delle mani, nei segni della Croce accompagnati dalla preghiera mentale od orale. Nelle nostre campagne noi troviamo ancora questo costume nella espressione popolare rimasta: “Far toccare un malato”, vale a dire stendere la mano su di lui, recitare delle preghiere, e fare dei segni di Croce sul suo male. “Io ti tocco, si diceva, che Dio ti guarisca”. E Ambrogio Paré, questo celebre chirurgo del XVI secolo (1517-1590), diceva anche queste parole: “io l’ho curato, ma Dio lo ha guarito”. Purtroppo ai nostri giorni i Preti stessi considerano a torto come una superstizione questa azione che Nostro Signore Gesù-Cristo ha fatto così spesso, ed ha raccomandato ad i suoi Apostoli e discepoli di praticare; non solo essi se ne astengono, ma addirittura la vietano! Da questo deriva che invece di avere soccorso dal loro santo ministero, ci si indirizza a persone che mancano quasi sempre di una fede chiara e di una vera pietà. Sono questi i Cristiani infimi ed abietti agli occhi del mondo di cui parla Origene, ma non di meno superiori ai Giudei e temuti dai demoni a causa della loro fede, qualunque essa sia, a causa del loro glorioso titolo di Cristiano, e per i segni di Croce di cui si servono recitando sui malati le loro semplici preghiere. Se i Giudei, anche coloro che non erano per Gesù-Cristo, cacciavano nel suo Nome i demoni dai corpi, guarivano i malati con l’imposizione delle mani (S. Matt. VII, v. 22; XII, v. 27), perché dunque i Cristiani, anche i più umili non ne avrebbero il potere? perché il demonio li teme, come dice Bossuet? Ma soprattutto, se i Preti, che sono altri Gesù-Cristo: Sacerdos alter Christus, e di conseguenza le personalità più alte della terra, si ricordassero della potenza e della santità delle loro mani consacrate, essi farebbero tante meraviglie che ben presto la fede rinascerebbe nelle anime che porterebbero ad una reazione religiosa. Si crederebbe allora al sovrannaturale; i fatti avrebbero più logica ed eloquenza degli scritti più sublimi e dei discorsi più magnifici. – Qualunque sia il rango nella gerarchia della Chiesa, il Prete è la permanenza di Gesù-Cristo quaggiù, e quand’anche fosse un umile servitore dell’ultima borgata, egli ha ricevuto la missione ed il potere di cacciare il demonio con la dignità dell’esorcista, di cui è investito; non potrà guarire i malati ossessi? La visita di un prete porta sempre gioia, egli è sempre stimato, ricercato dalle famiglie veramente cristiane per le quali egli è il Santo di Dio (S. Luca IV-34). Il demonio trema e fugge davanti al Nome santo di Gesù; egli trema e fa altrettanto davanti al ministro di Dio. I miei benamati confratelli hanno dovuto rimarcarlo nel corso del loro santo Ministero. O voi tutti, chiunque voi siate; voi che satana carica di mali, di dolori ed infermità, andate dunque a presentarvi ai Preti [superfluo sottolineare: ai Preti Cattolici “veri” –ndr.-], come un tempo Nostro Signore lo ordinò ai lebbrosi: “ostendite vos sacerdotibus” (S. Luca, XVII, 14), e se avete una fede ardente, essi vi libereranno e vi guariranno. Se voi non potete andare verso di loro, chiamateli, ed essi vi risponderanno come faceva Gesù-Cristo nella sua vita mortale: “ego veniam et curabo eum” [io verrò e lo guarirò] (S. Matteo, VIII, 7). Preti di Gesù-Cristo, usate dunque questa potenza per la gloria di Dio e per il sollievo di tutti coloro che soffrono. Le vostre mani sacerdotali, mani sante e venerabili, poiché impregnate di divinità per l’onore che esse hanno di toccare ogni mattina, al santo Sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù-Cristo in Persona: le vostre mani io dico, saranno così potenti quando le imporrete sui malati, esse saranno come le mani di Gesù-Cristo stesso, come il dito di Dio “digitus Dei”. Da esse uscirà, come un tempo da quelle del Signore, una virtù che guarirà tutti coloro che sono oppressi dal demonio: “oppressos a diabolo” (S. Marco, III, 10 – S. Luc. VI, 19). All’opera dunque! Ci sono in Francia 50.000 preti e milioni di veri fedeli. Noi siamo un’armata formidabile ed invincibile; noi non possiamo essere vinti dal demonio. Quando Gesù-Cristo era sulla terra, la fede in Lui era così viva e così ardente che tutti coloro che avevano bisogno di essere soccorsi, si precipitavano su di Lui per toccare il bordo del suo vestito, e venivano guariti (S. Marco VI, 56). Andiamo dunque verso di Lui nella persona del suo Prete, e saremo guariti dalle nostre infermità spirituali e corporali. Il marchese de Mirville assicura, nel suo libro sugli spiriti, che il demonio ha paura e fugge davanti ad una punta acuminata: chissà che non abbia paura anche di questo contatto umano-cristiano: l’imposizione delle mani, quella soprattutto del Prete? Se Gesù-Cristo, la verità stessa, che non può né ingannarsi né ingannare, non avesse dato grande importanza a questa azione, l’avrebbe mai potuta praticare, insegnare e consigliare? È a causa di questo insegnamento del Salvatore che i Vescovi dei primi secoli, riuniti nel Concilio di Milevi tenuto nell’anno 416, volevano che l’imposizione delle mani fosse fatta in tutto il mondo nella Chiesa. “Manuum impositiones ab omnibus celebrentur in Ecclesia”. Molto spesso i Santi pregavano ed imponevano le mani per più giorni di seguito sui malati che erano stati loro presentati. La storia ce ne riporta numerosi esempi. Gesù-Cristo stesso impose le sue divine mani in un due riprese diverse su di un cieco per rendergli la vista (S. Marco XVVV-22). Si legge nella vita di S. Agostino (354-430) che si recava senza indugio presso i malati che lo facevano chiamare affinché imponesse loro le mani. “Cumque ab ægrotantibus peteretur, ut ipsis manus imponeret, ad eos, sine mora, pergebat”. San Fiacrio (670), questo Santo sì conosciuto e popolare, aveva una reputazione tale di santità, che da ogni parte gli recavano dei malati che egli riportava in salute con la sola imposizione delle mani. Gli si chiedeva soprattutto la guarigione delle ulcere: “Cum, autem virtutum ejus fama longe diffunderetur, undequaque ad eum adducebantur infirmi quod sola manus impositione sanitati restituebat”. San Germano d’Auxerre (IV secolo), guarì con l’imposizione delle mani, un giovane gentiluomo chiamato Elipius, che era gravemente malato. Il re Childeberto era malato senza speranze per i medici; San Germano, vescovo do Parigi (VI secolo), gli impose le mani e d’un colpo si ritrovò guarito. Childeberto riporta egli stesso il miracolo nelle lettere da lui inviate con le quali dona, riconoscente, alla Chiesa di Parigi ed al Vescovo Germano, la terra di Celles ove egli aveva recuperato la salute in modo sovrannaturale (Godes-carde). E quasi ai giorni nostri il santo Curato di Ars non si comportava diversamente: egli pregava imponendo le mani sui malati che ricorrevano a lui, e noi sappiamo che li guariva quasi sempre. – Uno degli storici di Pio IX (Ville-frange, 6 édit., pag. 431), ci dice che un giorno Pio IX si recò in ospedale. Tra i malati gliene segnalarono dieci il cui stato era disperato, … un giovane canadese, tra l’altro, agonizzava. Egli non aveva se non il Prete al suo capezzale. Il Papa si avvicinò a questi malati, impose loro le mani, li toccò, pregò ed essi guarirono tutti. Pio IX agì in questa circostanza come agirono tutti i Santi per lunghi secoli. Malgrado la nostra profonda indegnità, non esitiamo mai ad invocare Dio perché Egli guarisca i malati con la nostre preghiere. Dio si serve spesso degli strumenti più deboli per operare guarigioni veramente straordinarie. (Ep. Cor. I.) è quello che S. Paolo chiama « il dono di guarire i malati. » “gratia curationum”. (Ep. Cor. l. XII-28.). Concludiamo dicendo che se Gesù-Cristo non avesse voluto che si facesse l’imposizione delle mani sui malati, non avrebbe dato questo potere a tutti coloro che credono in Lui.

 

IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -1-

 

Iniziamo oggi la pubblicazione di un anonimo libricino francese [però cattolico con tanto di nihil obstat ed “imprimatur] del secolo XIX che ai nostri tempi SEMBREREBBE affatto fuori luogo, e questo soprattutto agli apostati modernisti, sia del “novus ordo”, che dei falsi ipocriti tradizionalisti sede- e cerebro-vacantisti o cerebro-privazionisti vari, oltre che ai soliti tromboni [senza offesa per tromboni, flicorni, o basso-tuba!] atei, pagani, e “diversamente” massonizzati. Ma poiché noi ci rivolgiamo esclusivamente ai Cattolici “veri” [quelli di Papa Gregorio] ancora superstiti nonostante tutto e nonostante tutti gli sforzi dei “nemici di tutti gli uomini e di Dio”, lo proponiamo ai nostri sparuti lettori, avendolo suddiviso, per una più comoda lettura, in tre capitoletti. Buona e fruttuosa lettura!

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IL DEMONIO, CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE.

[DI UN PRETE DEL CLERO DI PARIGI]

SECONDA EDIZIONE Rivista, corretta ed ampliata.

PARIGI

LOUIS CARRÉ, LIBRAIRE-ÉDITEUR,

 RUE DE SÈVRES, 15 – 189O [imprim.]

 

-I-

PREFAZIONE

Un buon prete mosso a compassione verso i malati, e desiderando alleviarne le sofferenze e guarirli, ha scritto questo libricino pieno di erudizione e completamente nuovo. La fede deborda da ciascuna delle sue pagine: è fede sincera e capace di portare consolazione e speranza nel cuore di tutti coloro che soffrono. Le preghiere aggiunte alla fine di questo libro, sono semplici ed ingenue nella loro forma e nelle parole che le compongono, dando un profumo medioevale, di questo tempo in cui la fede in Dio era viva, ardente, scuotente, riscaldante i cuori, e donava alla vita dell’uomo questa grandezza, questa purezza virile e religiosa dei primi secoli. Queste pagine possono essere lette con frutto dai preti, così come dai fedeli. Noi crediamo che nel loro laconismo, esse richiudano degli insegnamenti molto seri. Ecco perché le pubblichiamo. Ricordando ciò che facevano gli uomini di fede in altra epoca, l’autore ha voluto incoraggiare i Cristiani dei giorni nostri ad imitarli, eccitandoli a pregare Dio ed a mettere la loro fiducia in Lui, quando sono provati dalla malattia. È in questo l’unico suo desiderio. Nell’indirizzare questo piccolo libro ai veri credenti, l’autore ha la convinzione di aver fatto una buona azione.

CAPITOLO I°

L’INFLUENZA DIABOLICA SUI CORPI, CAUSA MOLTO FREQUENTE DELLE NOSTRE MALATTIE.

Dalla culla del Cristianesimo, la Chiesa ispirata dallo Spirito Santo, ha sempre insegnato che il demonio era ed è il nemico dell’uomo, principalmente del cristiano, e che cercava di nuocergli in ogni modo; che egli era inoltre l’autore del male morale e spesso, pure, del male fisico. Il male morale è il peccato, che fa così gran danno nelle anime. Il male fisico è la malattia del corpo, e tutti i flagelli che sono scatenati sulla terra dall’azione e dalla malizia degli angeli cattivi. – Il demonio è dappertutto: tutte le creature sono l’oggetto del suo odio. L’Apostolo san Pietro ce lo rappresenta come un leone ruggente, che gira intorno a noi cercando le brecce della nostra anima, alfine di sorprenderci e nuocerci, sia nella nostra persona, sia nei nostri beni; egli vuole divorarci, “circuit quærens quem devoret” [I Piet. V, 8], è il nostro avversario, egli dice, “adversarius”, cioè il nemico ed il perturbatore. Egli si trova nell’aria; San Paolo ce lo dice molto positivamente nella sua epistola agli Efesini, cap. V, 12, quando ci dichiara che noi dobbiamo combattere contro le malizie spirituali “spiritualia nequitiæ”, sparse nell’aria; invisibili, di conseguenza, come ci insegna il simbolo della Fede Cattolica, quando ci dice che Dio ha creato gli esseri visibili ed invisibili, “visibilium et invisibilium, perché, come insegna pure la scienza moderna, che ci sono nell’aria, ed in tutta la natura fisica, degli esseri animati che noi non vediamo anche con l’aiuto di un microscopio, e che si vengono chiamati con nomi diversi: microbi, bacilli, virus, batteri od altro, e che provocano delle malattie epidemiche e contagiose che affliggono l’umanità; così ugualmente nel mondo soprannaturale esistono degli esseri incorporei, puri spiriti, buoni e cattivi, che si attaccano a noi per farci del bene, o per farci del male. – Come conseguenza di questo insegnamento, S. Giovanni Crisostomo ci dichiara che Nostro Signore Gesù-Cristo è stato sospeso alla croce, affinché purificasse la natura dell’aria: “ut aeris naturam purgaret”, cioè al fine di distruggere queste tenebrose potenze di cui parla l’Apostolo. Penetrato da questa medesima credenza, il Papa Pio IX, di gloriosa e santa memoria, diceva nella domenica di Passione, il 3 aprile 1870, benedicendo gli Agnus-Dei: “Io li benedico affinché essi abbiano la virtù di “scacciare i demoni, perché essi non sono tutti nell’inferno; ce ne sono molti in “questo momento sulla terra e non dei meno malvagi e dei meno terribili” (Rosier de Marie). – Ed il Papa Leone XIII, suo degno successore, giunge a prescrivere a tutti i Sacerdoti Cattolici, di dire al termine della santa Messa una preghiera per difenderci contro la malizia e i tranelli del demonio e degli altri spiriti cattivi che si diffondono in tutto il mondo per la perdita delle anime … “satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo …” – Questa credenza nel demonio e nella sua perniciosa influenza, è dunque nuovamente affermata da questi due grandi ed illustri Sovrani Pontefici. Il demonio è nell’aria, nell’acqua, in seno alla terra, e nel fuoco. Un gran numero di filosofi dei primi secoli insegnavano che « esseri incorporei » si trovano in questi quattro elementi. I nostri missionari trovano questa stessa credenza nei selvaggi delle quattro parti del mondo. Ed i Padri della Chiesa confermano tutti unanimemente questo insegnamento. Il grave Tertulliano, tra gli altri, ci dice che, in generale, le acque devono essere sospette, perché gli spiriti immondi vi risiedono, principalmente, egli dice, nelle fontane nascoste, nei laghi e ruscelli sotterranei. È la il soggiorno di questi spiriti di perdizione. Ecco perché la Chiesa esorcizza la acque di cui si serve nelle sue cerimonie. Benché queste parole appaiano strane, esse devono tuttavia ispirarci il più grande rispetto perché sono riportate pure dall’immortale Vescovo di Meaux [Bossuet], nel suo sermone sui demoni (I di quaresima). Noi leggiamo nell’Apocalisse che c’è l’Angelo delle acque e del fuoco, che facevano dire ad Origene che gli Angeli presiedono alla terra, all’acqua, al fuoco. E Sant’Agostino aggiunge che, in questo mondo, ad ogni cosa e ad ogni elemento è preposta una virtù angelica. In effetti, la Santa Chiesa, depositaria infallibile della verità, ci insegna formalmente che il demonio si trova nell’acqua, poiché nelle magnifiche preghiere liturgiche che essa recita per benedirla, sia nella veglia di Pasqua che di Pentecoste, o meglio ancora la Domenica mattina con l’aspersione che precede la Messa parrocchiale, Essa scongiura e forza il demonio, con preghiere e segni di croce multipli, ad uscire dall’acqua che sta per santificare per l’uso proprio e dei fedeli. Il Sabato-Santo soprattutto Essa si esprime così: « Comandate o Signore che ogni spirito impuro si ritiri da qui; ed eliminate da questo elemento tutta la malizia e gli artifici del demonio; ché alcuna potenza nemica possa mischiarsi a quest’acqua, né girare intorno ad essa e scivolarvi in segreto per infettarla e corromperla. » la Chiesa insegna ancora che, sovente, gli animali che servono all’uso dell’uomo e che vivono nelle stalle, nelle scuderie, nelle pastorizie, gabbie e pollai, sono malati per azione del demonio, e la prova ne è nelle preghiere che Essa recita per guarirli; Essa chiede a Dio che « la potenza di satana si allontani da essi “recedat ab eis omnis potestas diabolica”. » Lo stesso è per i beni della terra: la Chiesa ha delle suppliche indirizzate al cielo, affinché sia purgata e preservata dagli insetti che divorano le semenze, le radici, i frutti ed i raccolti che speriamo da esse. Sarebbe dunque illogico credere che, se il demonio fa nascere delle malattie nel seno della terra, o nei corpi di esseri privi di ragione, non possa farne nascere nel corpo dell’uomo, e soprattutto in quello dei Cristiani, che costituiscono l’oggetto particolare del suo odio. Non abbiamo noi forse come esempio il sant’uomo Giobbe, questo re di dolore sì crudelmente afflitto dal demonio, nei suoi affetti, nei suoi beni e nel suo corpo? E noi pertanto dobbiamo credere che da questa epoca in poi satana si ne stia tranquillo, e cessi di affliggere l’umanità intera? Stolti, ma niente affatto! E la prova ne è ciò che leggiamo nella vita dei Santi di tutti i secoli che essi guarivano i malati, e tutti coloro che erano tormentati dal demonio: « lnfirmi et a dæmonibus vexati sanarentur. » Dunque il demonio in tutti i tempi ha sempre tormentato il corpo dell’uomo, del quale si serve «come di un giocattolo turbandone i sensi », secondo l’espressione di Sant’Agostino nel suo libro della “Città di Dio” (Cap. 22). Noi lo ripeteremo ancora più avanti. La sua attività diabolica è sì grande che si manifesta ogni giorno in una molteplicità di flagelli e calamità, sia pubbliche che private e personali, che noi solitamente attribuiamo al caso o ad una cattiva fortuna; ma che in realtà, non provengono che dalla malizia dello spirito malvagio, di cui il padre Ravignan diceva: « il suo capolavoro è quello di essersi fatto negare nell’epoca nostra. » E non poteva dire nulla di più vero: “satana, ecco il nemico!” È denunciato a tutti i cristiani; perché negare la sua esistenza, non lo distrugge, anzi! – Abbiamo talvolta riflettuto su questa misteriosa parola che Nostro Signore Gesù-Cristo diceva a San Pietro: « satana mi ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano » (S. Luc. XXII, 31). Il demonio è qui che domanda e supplica Dio di lasciarlo agire contro gli uomini, e di vagliare le anime ed i corpi mediante le pene, le malattie e le angosce della vita!!! C’è qualcosa che fa paura, soprattutto quando Dio lo permette. Sembra di ascoltare Nostro Signore dire ad un’anima: “Io voglio provarti e riempire i tuoi giorni di amarezza, voglio associarti ai dolori della mia Passione e della mia Croce, e staccarti dalle cose di quaggiù affinché tu faccia penitenza. È per questo che ho permesso a satana, come un tempo per Giobbe, di tenersi al tuo fianco “Diabolus stet à dextris ejus” (Ps. CVIII), per compiere la missione che gli ho affidato. Ma sii paziente, sottomesso e rassegnato, ed Io « ti ricompenserò. » – Ma dicevamo bene sopra che per l’uso che si fa del libero arbitrio, l’uomo più spesso, si dispone a ricevere delle influenze di virtù dagli angeli o di vizi e malattie dal demonio, secondo che la sua vita sarà cristiana o empia; e noi affermiamo che un gran numero di malattie sono il frutto di queste influenze che l’uomo si attira dall’inferno a causa delle sue passioni sregolate, e l’abbandono dei suoi doveri cristiani. Infatti i santi Libri ce lo dicono con queste parole: « Dio invia sui peccatori la sua collera, la sua indignazione e delle amare tribolazioni per mezzo delle influenze dei cattivi angeli “Misit in eos iram indignationis suæ: indignatiónem, et iram, et tribulatiónem: immissiónes per ángelos malos.” (Ps. LXXVII, v. 49.). ecco perché, nelle antiche preghiere del Battesimo, il Prete diceva al demonio: “esci da questo spirito, da questo cuore, da quest’anima, da questa testa, da questi capelli, da questi polmoni, da queste membra; esci, fuggi, scivola via come l’acqua”, tanto è vero che il demonio può attaccare e rendere malate tutte le parti e tutti gli organi del corpo umano. Lo spirito che influenza la carne è lo spirito di malattia che esiste come lo spirito d’orgoglio, lo spirito di menzogna, lo spirito di odio, e lo spirito di discordia che semina la divisione nelle famiglie e sconvolge le esistenze; lo spirito di avarizia e di cupidigia, lo spirito di maldicenza e di calunnia, lo spirito che altera le facoltà mentali. E così per le altre passioni. – Si usano ancora ogni giorno, nel linguaggio familiare, queste parole così profondamente cristiane, e che ricordano l’antica fede dei nostri padri: «Che una persona è animata da un cattivo spirito », per significare gli istinti cattivi, le inclinazioni sregolate e perverse che lo animano e che i demoni gli ispirano. I demoni dunque fanno il male al corpo ed all’anima, facendo germogliare le malattie nell’uno, e le peggiori passioni nell’altra. Non preghiamo nostro Signore nelle litanie che Gli sono consacrate, di liberarci dalle insidie del demonio e dello spirito contrario alla santa ed angelica purezza? Ed il santo Vangelo non ci parla anche dello spirito impuro che si era impossessato di un uomo e che, scacciato da Gesù-Cristo, va a cercare altri sette spiriti più malvagi di lui per rientrarvi? (S. Luca c. II, 23). Pertanto dunque si potrà mai avere una fede sincera nella divinità di Gesù-Cristo, senza credere nel contempo al demonio? Se satana non è che un mito, cioè un essere immaginario, Nostro Signore lo avrebbe cacciato dal corpo dei malati? Non sarebbe dunque Egli allora che un allucinato, per non dire peggio? La recita dei Santi Vangeli non sarebbe dunque che una favola? E tuttavia noi leggiamo in San Matteo, cap. VIII, v. 29, ed in San Marco cap. I v. 24, che gli stessi demoni si rivolgono a Gesù-Cristo dicendoGli: « noi sappiamo chi Tu sei: Tu sei il Santo di Dio “Sanctus Dei” », ed ancora : « Tu sei il Figlio di Dio, “Filius Dei”. Perché vieni per torturarci e perderci, “torquere nos?” » Gli Evangelisti che ci ricordano queste parole, possono ingannarsi ed ingannarci? Evidentemente no! E allora, il demonio esiste! È “de fide” che sotto mille forme, in mille maniere, egli cerca di nuocerci, di esercitare la sua azione malefica sull’uomo, e si è eretici se ci si rifiuta di credere questa verità. Fare il male, questa è la sua unica occupazione: nelle anime, quando vi entra, genera il peccato; nei corpi è spesso la causa e la permanenza delle nostre malattie, così come si esprime a questo riguardo, con molti altri, il celebre Dom Guéranger stesso nel suo libro sulla medaglia di San Benedetto. – mons, De Segur insegna la stessa dottrina, nelle sue “Istruzioni familiari sulla religione”. – Prima di essi, il grande Bossuet, dicendoci che l’esistenza del demonio è attestata dal consenso unanime di tutti i popoli, aggiunge, « in questi spiriti incorporei, tutto è attivo, tutto vi è nervoso; e se Dio non trattenesse il loro furore, essi agiterebbero il mondo intero con grande facilità. » Questa credenza nelle influenze diaboliche è dunque tanto antica quanto il mondo. I Giudei attribuivano loro tutte le malattie (Vita di G. C. del dott. Sepp.) – Lutero, questo grande eresiarca del XVI secolo, parla nei suoi scritti, delle difficoltà che aveva con satana che – egli diceva – « veniva a spegnere le sue candele » quando lavorava; o ancora, “veniva a svegliarlo per discutere con lui sul soggetto della Messa”… egli confessa così che trae la sua dottrina da satana. – Se ai giorni nostri questa credenza è alterata, negata da un sì gran numero di Cristiani, accusata anche di superstizione, non ne cercheremo forse la causa nella negligenza che si pone nell’istruirsi alle verità di Religione? E poi si combatte questa credenza perché si riduce l’effetto che potrebbe produrre su una società scettica e beffarda come la nostra, la riapparizione di una potenza dimenticata o fuori moda, e che si vuole rinviare all’antica credulità dei nostri padri. È dunque a giusta ragione che il Dizionario delle scienze mediche ci dice (articolo: uomo): « Occorre ben confessarlo, la dottrina degli “angeli e demoni” è troppo rifiutata ai nostri giorni. » che confessione! – In effetti, se esiste un ricordo dei demoni, non è manifestato il più spesso che da parole oltraggiose rimaste nel linguaggio popolare, e pronunciate in un momento di vivacità e di cattivo umore: “vattene al diavolo”… “che il diavolo ti porti” … “è il diavolo che ci mette la coda” … “egli ha il diavolo in corpo” … ed altre amenità del genere. Si noti in un gran numero di diocesi, che i rituali riediti, rivisti, corretti, dopo l’epoca della restaurazione, non fanno quasi menzione a preghiere o benedizioni impiegate contro il demonio in altra epoca. Ma quelle che non hanno subito correzioni riportano preghiere contro gli spiriti. Un antichissimo rituale di Parigi, tra gli altri, ne riporta contro gli spiriti battenti, chiamati anche “spiriti martelli” ; « spiritus percutientes, spiritus maliens, » e si può leggere nella vita del curato d’Ars, il racconto dei rumori infernali che i demoni venivano a produrre nella sua casa. Tutti gli abitanti del villaggio possono attestarlo, poiché tutti hanno ascoltato gli “spiriti battenti”. Del resto non è raro apprendere, ai nostri giorni, che questi stessi spiriti battenti manifestano la loro presenza in abitazioni particolari. Le prove più autentiche sovrabbondano su questo soggetto. In altre diocesi, gli antichi rituali hanno preghiere contro i temporali, le tempeste, le nubi cariche di grandine. Si scongiura in queste preghiere, lo spirito dell’uragano e della tormenta «spiritus procellarum», e si prega per allontanarlo e paralizzarne gli effetti sempre disastrosi. – Nella preghiera della sera, noi supplichiamo il Signore di visitare la nostra dimora alfine di allontanare le insidie del demonio. Noi Gli domandiamo di conservarci in pace. Ciò che vuol dire: che il demonio essendo dappertutto, ed in particolare in certe case, in certe famiglie, ove apporta turbe, la disunione ed il malore, noi preghiamo Dio di liberarcene. Si dirà forse che queste pie credenze non siano altro che superstizioni; ma se la fede fosse più viva e più chiara, si crederebbe all’incessante attività ed alla potenza del demonio, combattendolo con la preghiera, il digiuno, la penitenza, come facevano i nostri padri, che ne erano ben lungi. Ai giorni nostri, se non se ne nega interamente la sua esistenza, si ride delle sue manovre e delle trappole con le quali semina i nostri passi; egli ci trova quindi disarmati. Noi siamo allora come in una città senza difesa ed aperta agli attacchi del nemico. È per questa ragione che ci ossessiona e ci divora così facilmente. – Sant’Agostino, questa grande autorità della Chiesa, ci parla nel suo trattato “de Divinitate” lib. 3 cap. 11, della potenza degli angeli cattivi, della scienza meravigliosa che essi possiedono e che non hanno perso nella loro caduta, essi « abusano – ci dice il gran Dottore – della nostra carne, ingannando i nostri sensi, turbando i nostri pensieri, oltraggiando i nostri corpi, “mischiandosi al nostro sangue, generando malattie ». Non si potrebbe parlare più chiaramente. Vi fu un’epoca in cui i medici più celebri credevano all’intervento ed all’azione del demonio in tante malattie. Noi potremmo citare a questo proposito l’opinione di un gran numero di essi. Uno tra essi, Thomas Willis, medico inglese, sapiente di primo ordine del XVII secolo, ed i cui scritti di materia medica saranno sempre apprezzati, dice: che ci sono molte malattie guaribili solo con le preghiere, « perché il demonio può, entro certi limiti, introdurre dei veleni sottili nell’organismo e produrvi delle lesioni molto gravi. » Molto prima di lui Ippocrate, il padre della Medicina, aveva insegnato che bisognava distinguere due grandi categorie di malattie: le malattie tutte “naturali”, e quelle che avevano un carattere esclusivamente “divino”. L’importanza di queste parole, la confessione e l’insegnamento che esse racchiudono, si impongono all’attenzione del lettore. Non si può dunque mettere in dubbio l’azione dello spirito cattivo sul corpo degli uomini, più che della sua anima; e la scienza medica, sempre troppo materialista, ammette che vi sia qualcosa di inesplicabile oltre a quello che essa sa, di ciò che insegna, di ciò che pratica. Se essa è così inefficace in un sì gran numero di casi, è perché essa non vede molto spesso che una causa naturale che provoca la malattia, e considera il corpo dell’uomo malato come una materia disorganizzata che occorre restaurare con rimedi materiali, mentre che la fede vede sovente l’azione del demonio, cioè una causa soprannaturale diabolica. Non bisogna stupirsene, poiché la santa Scrittura, i Padri della Chiesa, e tutti gli Scrittori ecclesiastici sono unanimi nel dirci che i demoni, prima della venuta di Gesù-Cristo, erano i maestri del mondo, e che tutti i mali erano opera loro, perché il loro impero si estendeva a tutta la terra. Pure il Re-Propfeta lo annunciava, dicendo che tutti gli dei del paganesimo erano demoni (Ps. XCV). Molto spesso ancora ai giorni nostri gli Annali della propagazione della fede o quelli della Santa-Infanzia, ci parlano dell’azione del demonio sulle persone e sulle cose, in quelle regioni dove non essendo Gesù-Cristo ancora conosciuto, lo spirito delle tenebre si fa adorare al suo posto. I missionari, uomini istruiti, seri e prudenti, raccontano dei fatti sorprendenti, al di sopra dell’ordine naturale e che mostrano, fino all’estrema evidenza, l’intervento del demonio. Noi leggiamo negli Annali dell’Arciconfraternita di N.-D. delle Vittorie del mese di febbraio 1888, il fatto seguente, raccontato dall’alto del pulpito dal padre Buotelant, missionario al Maduré [parte sud-est dell’India –ndt.-]. « Da oltre sei mesi, una giovane donna apprese da un mago del paese a mettersi in comunicazione con il demonio. Ella vedeva perfettamente ciò che succedeva a grande distanza e, quando veniva commesso un furto, ella indicava il luogo dove si trovavano gli oggetti rubati, e non si sbagliava mai. A forza di mettersi in contatto con il demonio, divenne una posseduta; e questa possessione si manifestava con segni esteriori dei quali erano testimoni novemila persone, i Padri, io stesso. Questa donna non aveva mai imparato a leggere, e si metteva a parlare diverse lingue. Ma a lato di questi aspetti trionfali, subiva numerose umiliazioni; talvolta era obbligata a restare in silenzio per cinque o sei giorni, veniva gettata a terra, riceveva affronti dei quali conservava il segno; o si ascoltavano dei rumori senza che si vedesse nessuno. Cosa sorprendente: questa donna faceva cuocere il suo riso in un vaso; esso era perfettamente bianco, puro. Anche quando ne faceva cuocere per il marito esso era perfettamente bianco e puro. Ma ecco che nel suo piatto, o piuttosto nella foglia di palma ove si serviva, numerosi vermi rapidamente vi brulicavano intorno; se suo marito cambiava piatto con lei per affetto, i vermi andavano verso di lei. « Stanca di essere preda di satana ella si rivolse ad un Catechista Cattolico che, dandole uno Scapolare ed un Rosario, le consigliò di recitare tutti i giorni questa preghiera: “io rinuncio a satana per legarmi a Gesù-Cristo”. Venne poi istruita nella Dottrina Cattolica ed un mese dopo riceveva il Battesimo. Tutti gli astanti notarono che al momento in cui iniziava la cerimonia, la sua figura era contratta ed una schiuma bianca le usciva dalla bocca, ma quando le cerimonie terminarono, la sua figura si illuminò, divenne radiosa; ella ringraziava Dio e la sua Santa Madre dicendo: “Grazie, Madre mia, Voi mi avete liberato. Io vi consacro il resto della mia vita”. satana era vinto. – Monsignor Pineau, vicario Apostolico del Tong-King meridionale, scrive anche negli Annali della Propaganda della fede nel mese di agosto del 1889, che un miserabile pagano aveva fatto massacrare, bruciare, annegare mille e cento neofiti durante la persecuzione del 1885, egli si dichiarava nemico della Francia e del nome Cristiano. Egli aveva trovato il mezzo di avvelenare la sorgente che alimentava un avamposto di soldati francesi e ben quattro ne morirono. L’ora del castigo arrivò. Cadde malato ed il demonio gli fece vedere che lo considerava come appartenergli. Per un mese fece un baccano infernale attorno alla sua casa; una grandinata di pietre e zolle di terra cadeva quasi in continuazione sia sul tetto che negli appartamenti. Questo mostro morì tra orribili sofferenze. Tutti gli abitanti erano terrificati e molti tra essi si convertirono. Sottolineiamo che questi fatti, come tanti altri che potremmo citare, sono riportati da questi eroici missionari che non si ingannano. Ma tutte queste divinità infernali devono sparire davanti a Nostro Signore Gesù-Cristo. Il Profeta Habacuc (Cap. III) aveva annunciato che il regno di satana avrebbe avuto fine, perché era atteso il Messia promesso ed atteso che lo avrebbe atterrato e fatto fuggire davanti ai suoi passi: « Egredietur Diabolus ante pedes ejus », egli dice: è questa una prova che il demonio regnava su tutta la terra prima di Gesù-Cristo. Ecco perché Nostro Signore stesso chiama satana “il principe di questo mondo”, « Princeps hujus mundi » (S. Luc. XI, 21). E sul suo esempio San Paolo lo nomina “il dio di questo secolo” – «Deus hujus sæculi» (Ef. VI, 13). E con San Paolo, san Giovanni ci dice che “il mondo intero è sotto l’impero di satana” « Mundus totus in maligno positus est. » [Efes. V, 19]. Egli è il “forte armato”, « Fortis armatus» (San Luca, XI- 21). E queste sono parole di una gravità eccezionale, poiché sono uscite dalle labbra di Gesù-Cristo stesso e da quelle dei suoi Apostoli ispirati. E con tutte queste sante e divine autorità, il grave Tertulliano ci dichiara che satana e le sue bande sono “i magistrati del mondo” « Dæmones sunt magistratus sæculi » (de IdoL, n° 18, page 106). Io non voglio tuttavia dire che satana si trova nello spirito e nel cuore di tutti i magistrati. Noi ne abbiamo prova contraria tutti i giorni. Ecco dunque il regno di satana ben affermato. In effetti è lui che ispira tutte le infamie dei governi atei, scismatici, eretici, persecutori della vera Religione. È lui che ispira questa pretesa giustizia degli uomini che lascia tanto a desiderare, è ancora lui che ispira questa letteratura malsana, nemica di ogni credenza, di ogni morale, di ogni pudore. In verità, si è portati a chiedersi se è Dio che regni quaggiù nelle società, nelle famiglie, come nello spirito e nel cuore di ogni persona. Quanti regni Cattolici vi sono nel mondo? Non formano l’eresia, lo scisma, il maomettanesimo, il buddismo, il feticismo la maggioranza delle religioni? Abbiamo pertanto questa convinzione che il regno di satana sia passato, malgrado la lentezza con la quale procede l’opera di Gesù-Cristo, e malgrado ancora la persecuzione che dura ancora dopo 1900 anni – Questa è una delle numerose prove della divinità della Religione Cattolica. Tutte le altre religioni sono opera di satana: ecco perché esse si stagliano al sole, onorate, rispettate, sostenute e sovvenzionate. Ma esse cadranno nella rete che San Pietro ha gettato sul mondo per avvolgerlo e convertirlo. Gesù-Cristo ha vinto il mondo! E la sua Chiesa, sostenuta ed assistita da Lui, persegue satana dappertutto, fin nei suoi estremi nascondigli, alfine di imbrigliare e paralizzare i suoi sforzi. Sia che si impadronisca degli uomini e delle cose; che vizi l’aria per desolare la terra con la peste o altre malattie contagiose; che avveleni le acque affinché trasportino nei loro percorsi dei germi morbiferi; sia che attacchi le radici delle vigne o quelle di altre piante con insetti che la scienza umana non sa e non può distruggere; sia che faccia altre devastazioni, la Chiesa è là, armata con la sue preghiere e soprattutto con il Santo Sacrificio della Messa; e se si fa appello alla sua potenza essa abbatte questo nemico infernale e lo mette in fuga col solo nome di Gesù-Cristo. – Pochi sanno che la Phyllossera, questo insetto che divora le nostre vigne, non è un castigo nuovo – perché è un castigo – ma che è chiaramente indicato nella Bibbia (Deuteronomio, cap. XXVI, v. 39). Dio vi fa dire al popolo di Israele, così spesso prevaricatore: « voi pianterete una vigna, la lavorerete; ma non berrete del vino non ne raccoglierete perché essa sarà divorata dai vermi ». Quali sono questi vermi? È da credersi che sia la Phyllossera. Dei veri fedeli si chiedono perché i preti non percorrono le vigne per benedirle e scacciarne la phyllossera o altre malattie, con le potenti ed efficaci preghiere della Chiesa. È da credersi che i nostri vignaioli ne troverebbero beneficio. Ne abbiamo una prova recente (1886) nel pellegrinaggio che hanno fatto a Nostra Signora di Lourdes cinquecento vignaioli di M… (Aveyron). Le loro vigne erano distrutte dalla phyllossera. Essi avevano impiegato senza successo tutti i mezzi indicati dalla scienza. Essi allora hanno pregato Dio ed invocato la Santissima Vergine, e questo insetto distruttore è sparito istantaneamente. Essi sono venuti a Lourdes per ringraziare di un sì grande beneficio. Perché non si segue questo santo esempio?

 

CAPITOLO II

GUARIGIONE DELLE MALATTIE CON LA PREGHIERA — NECESSITA’ DELLA FEDE.

 

Essendo dunque ammessa la credenza del demonio e della sua perniciosa influenza, chi dunque caccerà questi cattivi spiriti dai corpi che egli tormenta? Chi gli dirà, come altre volte Gesù-Cristo: « Vade retro satana! » “via satana, fuggi via da qui”. Tutti i Cristiani sanno che con la potenza di un segno di croce fatto su di sé, con una preghiera, anche mentale, indirizzata a Dio in un momento di tentazione e di debolezza, il nemico della salvezza viene messo in fuga. Il male morale non esiste dunque se non quando si trascura la preghiera ed il compimento dei propri doveri religiosi. Se dunque il ricorso a Dio distrugge e scaccia il male dall’anima sempre causato dal demonio, perché non potrebbe essere lo stesso per il male fisico che pure produce satana? Perché non potrebbe essere scacciato dal corpo dell’uomo, dai corpi degli animali, espulso dalle case, come da ogni altra cosa, con il Nome santo di Gesù, con il segno della Croce, l’acqua benedetta, la preghiera e l’imposizione delle mani? – Il Salvatore Gesù, dopo la sua ascensione, ha lasciato agli uomini questo potere? Sì, senza alcun dubbio. In primo luogo il santi Evangelisti ce lo dicono nella maniera più certa. Poi la pratica costante di tutti gli uomini di fede, preti, religiosi e semplici fedeli lo prova sovrabbondantemente. Noi leggiamo in San Matteo (Cap. X, v. 1 e segg.), che Gesù-Cristo avendo convocato i suoi dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità. Guarite i malati , « resuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni ». [v. 8]. Ecco il potere che Nostro Signore dà ai suoi discepoli ed ai loro successori. Cioè ai Vescovi e Preti, poiché dichiara che li assisterà fino alla consumazione dei secoli. Perché dunque i Vescovi ed i Preti non esercitano questo potere? E non solo Nostro Signore ha dato questo potere ai Vescovi ed ai Preti, ma lo da pure ai semplici fedeli che credono in Lui. San Marco ce lo dice e ce lo afferma al capitoli XVI, v. 18. Egli riporta le parole dello stesso Gesù, « chiunque crede in me e sarà battezzato, costui scaccerà i demoni, e guarirà i malati imponendo loro le mani. » Il divino Maestro dice una parola ancora più stupefacente; e affinché sia creduto afferma solennemente, in riprese diverse, che ciò che dice è vero. AscoltiamoLo: « In verità, in verità vi dico, colui che crede in me, costui farà le opere che Io faccio e ne farà di più grandi, “Majora” (S. Giov., XIV-22). » ora, cosa faceva Egli? Cacciava i demoni dal corpo dei malati ed i malati erano guariti. Nostro Signore non può parlare più chiaramente. Dunque ogni cristiano, chiunque esso sia, animato da grande fede, può scacciare il demonio e guarire le malattie. Citiamo solo una pagina, tra le altre, del Vangelo secondo Marco, cap. IX, v. 22: « Un giorno, un padre di famiglia molto afflitto venne a trovare Nostro Signore Gesù-Cristo, per confidargli la sua pena e la sua angoscia. Suo figlio era posseduto da un demonio che lo gettava a terra, facendolo bavare e digrignare i denti. In più esso lo faceva cadere sia nell’acqua che nel fuoco e lo irrigidiva procurandogli i più crudeli tormenti rendendolo insensibile. E questo buon padre, nel suo dolore, dice a Gesù: “Signore, se Voi volete, Voi potete guarire mio figlio; abbiate pietà di noi e soccorreteci”. Gesù gli risponde: “Se voi credete in me, questo si farà”, perché « tutto è possibile a colui che crede ». Ed il povero padre subito gridò, con le lacrime agli occhi: “io credo, Signore, ma aumentate ancora la mia fede”. E subito, il buon Gesù minaccia lo spirito immondo e gli dice : “spirito sordo e muto esci dal corpo di questo fanciullo e non entrarci più; Io te lo comando”. Il demonio ne esce subito gettando alte grida, e agitando il fanciullo con tanta violenza che cadde a terra come morto. Ma Gesù, presolo per mano lo aiutò a rialzarsi e lo consegnò ai suoi genitori. Notate, una volta per tutte, che Nostro Signore, pone cura nel chiedere se si ha fede in Lui, prima di accordare quel che Gli si domanda. “Creditis quia hoc possum facere vobis?” Credete che Io possa fare ciò che mi chiedete? (Matth. IX, 18). Andate, diceva ai malati che Egli guariva, che vi sia fatto secondo la vostra fede: « secundum fidem vestram fiat vobis » (S. Math., IX-29). È per questo che il Nazareno, dove era passato per la maggior parte della sua vita terrena, non poté fare alcun miracolo, se non guarire un piccolo numero di malati imponendo loro le mani, perché non si credeva nella sua divinità né nella sua potenza (Marco VI, 6). Si sarebbe portati a credere che l’incredulità gli legasse le mani privandolo del potere di fare miracoli ed operare prodigi. In effetti, Dio non fa nulla per la salvezza degli uomini senza la loro cooperazione. La potenza della fede in Nostro Signore Gesù-Cristo risplende in ogni pagina del Vangelo e si può dire che il successo delle preghiere che noi Gli indirizziamo, dipenda dal grado di fiducia che abbiamo in Lui. San Marco ce lo dice con queste parole sì piene di incoraggiamento (XI, 22): « Abbiate fede in Dio; Io ve lo dico, in verità, tutto quello che chiedete nella preghiera, credetelo che lo otterrete. Non esitate nel vostro cuore, e vi sarà accordato ciò che domandate. » San Matteo ci insegna la stessa cosa, dicendo che. « se avete fede nulla vi sarà impossibile … Nihil impossibile erit nobis » (17-19). » E per farci comprendere la sua potenza e le opere meravigliose che possiamo compiere con essa, Nostro Signore impiega la similitudine di una montagna che può essere sollevata dalla base e gettata in mare. Non moltiplichiamo più queste citazioni. Tutte le pagine del Vangelo e gli insegnamenti degli Apostoli offrono delle istruzioni simili. È sufficiente dunque essere un vero Cristiano e non cancellare, né esitare nella fede per operare tutte le sue meraviglie. Credere!!! Con questa parola si fanno prodigi qualunque sia lo stato di abiezione nel quale si è agli occhi degli uomini. Da qui deriva un assioma sì profondamente cristiano: “non c’è che la fede che salvi!” M. Dupont, morto a Tours, in odore di santità il 18 marzo 1876, e conosciuto dal mondo intero per la sua devozione al Volto Santo di Nostro Signore, non voleva che pregando, per ottenere anche un miracolo, si esprimesse un dubbio, una diffidenza, un timore qualsiasi. Se la grazia richiesta non era ottenuta, egli la attribuiva sempre all’imperfezione della fede. E Mosè non fu escluso dalla terra santa perché aveva avuto un sentimento di diffidenza nella potenza di Dio, battendo la roccia due volte, invece di una parola che egli le doveva dire? Gli Apostoli, che i giudei consideravano come il rifiuto del mondo, secondo l’espressione di San Paolo, provavano e giustificavano la loro missione tutta divina operando delle cose straordinarie, e che sovvertivano tutte le leggi della natura, al punto che l’ombra di San Pietro, passando per le strade, guariva i malati che avevano fede in lui (Act. V, 15; II-43). – Questo stesso potere, noi lo diciamo ancora, è stato dato da Gesù-Cristo a chiunque creda in Lui, senza distinzione di persona né posizione sociale, senza restrizione di tempo né di luogo; sia alle persone del mondo che ai Preti. Le sue promesse sono formali, e non si può avere alcun dubbio a questo riguardo. Tuttavia non si può affermare che le guarigioni saranno istantanee come quelle che faceva Nostro Signore stesso o i suoi Apostoli; né come quelle che hanno luogo a Nostra Signore delle Vittorie, a Lourdes, a la Salette o in altri Santuari celebri e venerati. La, la Santa Vergine è invocata contro la potenza del demonio. I fedeli lanciano questo grido di allarme: « Tu nos ab hoste protège, », O Maria, proteggeteci dal male che ci fa satana. Ma se queste guarigioni entrano nei disegni della misericordia divina, esse avranno luogo in un breve spazio di tempo, e tanto più breve quanto più saranno unite a Dio da una fede viva, una pietà sincera, una vita pura ed esente da gravi colpe. Il Santo curato di Ars ce lo da ad intendere quando afferma che quando si è servitore di Dio, Dio obbedisce al suo servitore. ServiamoLo fedelmente, e la nostra azione sul suo cuore sarà potente, e potente anche sullo spirito di malattia. Non bisognerà scoraggiarci né perdere fiducia, se Dio mette la nostra fede alla prova, differendo, per qualche tempo, nell’accordarci ciò che Gli domandiamo. Ci sono degli spiriti che non si cacciano se non con la preghiera e col digiuno (S. Marc. IX- 28). Preghiamo dunque e digiuniamo, se questo ci è possibile, e noi saremo esauditi. Per millecinquecento anni tutti gli uomini di fede, Preti e laici, hanno fatto ciò che il Signore ha raccomandato di fare, e i malati si sono trovati bene … “et bene habebunt”. – imitiamoli dunque, e lo spirito maligno non ci toccherà. « Malignus non tangit eum » (Ep. San. Giov., V-19).

 

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’

[J.-J. Gaume: “Catechismo di Perseveranza”- Torino, 1881]

Trinità! Di tutte le feste religiose ecco la più antica, sebbene in un certo senso sia essa una delle più nuove. Nel creare il mondo, Dio si è edificato un tempio, e nel formare i secoli Ei si è consacrato una festa; perché il « Signore ha fatto tutte le cose per sé medesimo». La creatura non può non appartenere al suo Creatore e non essere consacrata alla gloria di Lui. Ora Dio in tre Persone è il Creatore di tutti gli enti e di tutti i tempi. È dunque vero che tutte le religioni non hanno potuto avere in sostanza altro scopo tranne il culto del Creatore dell’universo, e per conseguenza del Dio, in tre Persone, che è questo Creatore. La consacrazione del mondo e del tempo alla gloria dell’augusta Trinità era stata violata, profanata dal Paganesimo. Restauratore universale, Gesù Cristo venne sulla terra per rimediare a tutti gli effetti del male e per richiamare tutte le cose alla loro istituzione primitiva alla gloria dell’augusta Trinità.

Le creature intelligenti. Infatti il Verbo fatto carne ordinò che tutti i popoli fossero rigenerati in nome della Trinità; « Andate, ammaestrate, battezzate tutte le nazioni in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo ». Da questo momento la Chiesa Cattolica non ha cessato di battezzare in nome delle tre auguste Persone. – E quante volte dalla cuna alla tomba ella fa sopra di noi il segno adorabile della Trinità! Siamo noi rigenerati nelle acque del Battesimo? Ciò avviene in nome dell’adorabile Trinità. Siamo noi fortificati dalla grazia della Confermazione? Ciò è pure in nome della santa Trinità. Ci sono cancellati i nostri peccati nel Sacramento della penitenza? Ed è questo parimente in nome dell’adorabile Trinità. Ci sono dati per cibo il corpo e il sangue del Salvatore? Ciò accade col segno della Trinità. Il malato è egli fortificato dall’olio santo, è egli consacrato il sacerdote, sono eglino uniti i coniugi? Ciò si fa sempre in nome dell’augusta Trinità. Se noi riceviamo le benedizioni dei Pastori e dei Pontefici, se incominciamo gli uffizi santi, se la Chiesa rivolge preghiere all’Altissimo, ciò si fa sempre invocando le tre persone dell’adorabile Trinità. Se ella intona cantici di allegrezza, se pronunzia inni di mestizia, essa li finisce sempre con render grazie al Padre, al Figliuolo e allo Spirito Santo. Questo per le creature intelligenti.

Le creature irragionevoli. Anche tutte le creature prive di ragione sono santificate in nome della santa Trinità. Da una estremità all’altra dell’universo cattolico voi vedete il segno della croce consacrare l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra, il sale, la pietra, il legno, il ferro, i lini, tutto, tutto ciò che la Chiesa vuol purificare e sceverare dalla massa comune; e il segno della croce richiama tutte queste cose alla primitiva loro santità e le libera dai maligni influssi del demonio, con imprimer loro di nuovo il suggello dell’augusta Trinità. Ah! quanti profondi misteri sono nel segno della croce, di cui la sola Chiesa cattolica ha sempre mantenuto l’uso frequente! – In essa si racchiude tutta la storia del mondo, la di cui creazione in uno stato di santità, la di lui profanazione per mezzo del male, la di lui riabilitazione per mezzo di Gesù Cristo e della santa Trinità. Questo per le creature prive di ragione.

Il tempo. Per mezzo del Battesimo gli uomini diventano i figli, i loro corpi il tempio; il loro spirito il sacerdote della Trinità, e la loro vita intera ne è la festa. Ora la successione di tutte le vite individuali col formare la vita del genere umano, compone la durata ossia il tempo. Dunque per mezzo del Battesimo dell’uomo, il tempo si trova già in un senso consacrato alla gloria della santa Trinità; perciò tutti i nostri pensieri, parole, azioni debbono riferirsi alla gloria delle tre Persone auguste, e formare inno continuo a loro lode. Ma esso gli appartiene in senso anche più diretto, perché la Chiesa Cattolica consacra alla santa Trinità tutti gli istanti della durata, non vi è infatti giorno dell’anno, nè ora del giorno in cui ella non renda testimonianza in ogni sua preghiera alla Trinità. Essa ha persino prescritta una formula d’omaggio, chiamata Dossologia, per onorare ad ogni momento e celebrare distintamente le adorabili Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; formula sacra con che finisce regolarmente i suoi salmi, i suoi responsori e i suoi inni. – Che diremo delle sue feste? Osservate con quale sfoggio le nostre solennità, la cui successione costituisce la durata del tempo, dimostrano questa verità, essere cioè la Triade augusta lo scopo di tutto il culto cattolico. Potrebbe mai questo avere un più nobile oggetto? Così le feste dei santi e dell’augusta Maria si riferiscono a Gesù Cristo di cui tutti i beati sono i membri; e noi gli onoriamo a riguardo di Gesù Cristo. Egualmente a riguardo della divina Trinità noi veneriamo Gesù Cristo medesimo, che vi è essenzialmente unito, o a meglio dire è uno in sostanza col Padre e con lo Spirito Santo. Le Persone divine sono inseparabili le une dalle altre, anche nelle nostre devozioni e nel nostro culto. – E per rischiarare questa sublime dottrina con qualche esempio: se noi veneriamo Gesù Cristo che s’incarna nel seno di Maria, noi vediamo tosti il Padre e lo Spirito Santo che concorrono al compimento di questo mistero. Se veneriamo Gesù Cristo soffrente, noi vediamo ben tosto il Padre che Lo abbandona alla morte e lo Spirito Santo che, come un fuoco divino, consuma quella vittima innocente. Se veneriamo Gesù Cristo risorto, noi vediamo il Padre che Lo resuscita e lo Spirito Santo che Lo fa entrare una vita nuova Se veneriamo Gesù Cristo che sale al cielo, noi vediamo il Padre nella gloria del quale Ei si riposa, e lo Spirito Santo che Egli invia. In fine se veneriamo Gesù Cristo che si rinchiude e si fa adorare nell’Eucarestia, noi non vediamo altro in Lui che una vittima che non può onorarsi, se non unendosi a lei e con lei immolandosi al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. – Che cos’altro abbisogna per farvi comprendere, non essere nella religione cristiana veruna festa che non sia veramente festa della Trinità, poiché tutte le altre non sono che mezzi per onorare la medesima e come gradini per innalzarci a lei, come al vero ed unico termine del nostro culto?

Festa particolare della Trinità. — Avvenne pertanto che quando si trattò di istituire una festa particolare della santa Trinità, per appagare la devozione di quelli che la sollecitavano, grandi dottori e grandi santi fecero udire i proprii reclami. Tutte le feste dell’anno, dicevano essi, non erano che frazioni della festa generale e perpetua della Trinità: essere quindi superfluo instituirne una speciale e soggetta all’annua rivoluzione delle altre. Non era forse da temere che una festa particolare conducesse all’oblio di quella festa generale e perpetua che deve occupare incessantemente la mente e il cuore dei cristiani? Non era ciò forse un voler limitare quello che non ammette limiti, e ridurre il medesimo Dio alla condizione dei Santi, cioè delle sue proprie creature con lo stabilirgli una festa a parte? Non era ciò forse un ignorare che non vi ha né feste, né templi, né altari che non appartengano unicamente alla santa Trinità? Per tutti questi motivi la Chiesa romana, operando con quella prudenza consumata che la contrassegna, stette fungo tempo senza ammettere la festa speciale della santa Trinità. Il Pontefice Alessandro III, che occupava la santa Sede verso la metà del duodecimo secolo, scriveva: « La festa della Trinità è diversamente osservata in diverse Chiese; ma la Chiesa romana non ha festa speciale della Trinità, perché ella la venera ogni giorno e ogni ora del giorno, poiché tutti i suoi uffici contengono le lodi e terminano con gloria alla Trinità ». Tuttavia poiché la Chiesa della città eterna, la madre e maestra di tutte le altre non biasimava la festa speciale della Trinità, quelle sue figlie che l’avevano introdotta continuarono a celebrarla. Si crede che sia ella stata istituita nel nono secolo da alcuni vescovi, che non la progettarono in principio, se non per dare un nuovo alimento alla devozione dei loro popoli. In questa intenzione Stefano vescovo di Liegi ne fece comporre un uffizio verso l’anno 920. Alcune Chiese vicine l’ammisero, e la festa della santa Trinità, si diffuse di luogo in luogo, tanto che l’abate Ruperto che viveva a principio del dodicesimo secolo, ne parla come di una festa adottata a tempo suo, e impiega un intero libro per, spiegarne il mistero [Lib. II, div offic.]. La celebrazione, lasciata fino allora alla devozione delle chiese particolari, fu fissata alla domenica nell’ottava di Pentecoste, presso a poco nel decimoterzo secolo. Fu volentieri destinata quella domenica per due motivi. Il primo, perché essa era vacante, cioè non aveva uffizio proprio. Infatti l’ordinazione che si faceva il sabato precedente, non cominciava che dopo l’uffizio del vespro, e durava molto spazio della notte, specialmente quando vi erano molti chierici da ordinare. Spesso anche veniva prolungata l’ordinazione fino al far del giorno, perché sembrasse fatta nella domenica stessa, e perché la domenica potesse aver qualche specie di uffizio che la impedisse a rimaner vacante. Ma siccome le persone devote domandavano un sacrificio per quel giorno, vi fu collocato l’uffizio e la festa della santa Trinità. L’altro motivo per cui fu posta nell’ottavario della Pentecoste si è per rammentare ai fedeli che la Trinità è la fine e la consumazione di tutte le feste e misteri medesimi di Gesù Cristo [Tomass., lib. II, Delle feste, etc.]. Finalmente la Chiesa romana vedendo che la festa particolare della Trinità nulla toglieva alla festa generale e perpetua delle tre Persone adorabili, si decise ella medesima ad adottarla, ma ciò non fu che nel decimoquarto secolo sotto il Pontificato di Giovanni XII. Questo Papa la decretò irrevocabilmente alla domenica dopo la Pentecoste, e ne fece sostituire l’uffizio a quello dell’ottava che allora si terminò il sabato dei quattro tempi a nona. La Chiesa non assegna alla festa particolare della santa Trinità che un posto secondario tra le feste dell’anno, forse per nuocere alla festa generale, e per mostrare l’impotenza in cui siamo di celebrare degnamente quest’augusto mistero. Esso è talmente al di sopra dei nostri pensieri, che il capitolo generale dei religiosi cisterciensi dell’anno 1230, sebbene ordinasse che la festa della Trinità fosse generale in tutte le case del loro ordine, proibì la predica a cagione della difficoltà del soggetto.

III. Influenza del ministero della augustissima Trinità. — Tuttavia, comunque incomprensibile sia il mistero della Trinità, esso non è né impugnabile né ineficace per la regola dei nostri costumi. Simile al sole che l’occhio non può fissare, ma la cui luce ci abbaglia e la cui esistenza visibile, il domma della Santa Trinità ci presenta da ogni lato dei segni evidenti della propria esistenza. Senza parlare qui della menzione che ricorre spesso nella Scrittura, né delle numerose figure sotto le quali Dio lo fece travedere agli antichi, noi vediamo intorno a noi, portiamo in noi stessi delle immagini di questo mistero. Il sole, a cagion d’esempio, vi appresta la luce, i raggi e i1 calore; queste tre cose sono distinte e tuttavia sono la sostanza medesima, e antiche al pari del sole. Creato a similitudine di Dio, l’uomo ei pure porta in se stesso l’immagine della santa Trinità. L’anima nostra possiede tre facoltà distinte, la memoria, l’intelletto e la volontà; tuttavia queste tre facoltà appartengono alla stessa sostanza ed ebbero esistenza con lei. – Abbiamo pur detto che il mistero della santa Trinità non si deve guardar qui qual soggetto sterile per la regola della nostra vita. O uomini, intendetelo quanto questo domma vi nobiliti. Creati a similitudine dell’augusta Trinità, voi dovete formarvi su di Lei modello, ed è questo un dovere sacro per voi. Voi adorate una Trinità il cui carattere essenziale è la santità, e non vi è santità si eminente, alla quale voi non possiate giungere per la grazia dello Spirito santificatore, amore sostanziale del Padre e. del Figlio. Per adorare degnamente l’augusta Trinità voi dovete dunque, per quanto è possibile a deboli creature umane, esser santi al pari di Lei. Dio è santo in sé stesso, vale a dire che non è in Lui né peccato, né ombra di peccato; siate santi in voi stessi. Dio è santo nelle sue creature: vale a dire che a tutto imprime il suggello della propria santità, né tollera in veruna il male o il peccato, che perseguita con zelo immanchevole, a vicenda severo e dolce, sempre però in modo paterno. Noi dunque dobbiamo essere santi nelle opere nostre e santi nelle persone altrui evitando cioè di scandalizzare i nostri fratelli, sforzandoci pel contrario a preservarli o liberarli dal peccato. – Siate santi, egli dice, perché Io sono santo [Lev. XI, 44]. E altrove: Siate perfetti come il Padre celeste è perfetto; fate del bene a tutti, come ne fa a tutti Egli stesso, facendo che il sole splenda sopra i buoni e i malvagi, e facendo che la pioggia cada sul campo del giusto, come su quello del peccatore [Matt. V, 48]. – Modello di santità, cioè dei nostri doveri verso Dio, L’augusta Trinità è anche il modello della nostra carità, cioè dei nostri doveri verso i nostri fratelli. Noi dobbiamo amarci gli uni gli altri come si amano le tre Persone divine. Gesù Cristo medesimo ce lo comanda, e questa mirabile unione fu lo scopo degli ultimi voti che Ei rivolse al Padre suo, dopo l’istituzione della santa Eucarestia. Egli chiede che siamo uno tra noi, come Egli stesso è uno col Padre suo. A questa santa unione, frutto della grazia, Ei vuole che sia riconosciuto suo Padre che lo ha inviato sopra la terra, e che si distinguono quelli che Gli appartengono. Siano essi uno, Egli prega, affinché il mondo sappia che Tu mi hai inviato. Si conoscerà che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri [Giov. XVI]. « Che cosa domandate da noi, divino Maestro, esclama sant’Agostino, se non che siamo perfettamente uniti di cuore e di volontà? Voi volete che diveniamo per grazia e per imitazione ciò che le tre Persone divine sono per la necessità dell’esser loro, e che come tutto è comune tra esse, così la carità del Cristianesimo ci spogli di ogni interesse personale ». – Come esprimere l’efficacia onnipotente di questo mistero? In virtù di esso, in mezzo alla società pagana, società di odio e di egoismo si videro i primi cristiani con gli occhi fissi sopra questo divino esemplare non formare che un cuore ed un’anima, e si udirono i pagani stupefatti esclamare: « Vedete come i cristiani si amano, come son pronti a morire gli uni per gli altri! » Se scorre tuttavia qualche goccia di sangue cristiano per le nostre vene, imitiamo gli avi nostri, siamo uniti per mezzo della carità, abbiamo una medesima fede, uno stesso battesimo, un medesimo Padre [Ephes. IV]. 1 nostri cuori, le nostre sostanze siano comuni per la carità: e in tal guisa la santa società, che abbiamo con Dio e in Dio con i nostri fratelli, si perfezionerà sulla terra fino a che venga a consumarsi in cielo. – Noi troviamo nella santa Trinità anche il modello dei nostri doveri verso noi stessi. Tutti questi doveri hanno per scopo di ristabilire fra noi l’ordine distrutto dal peccato con sottomettere la carne allo spirito e lo spirito a Dio; in altri termini, di far rivivere in noi l’armonia e la santità che caratterizzano le tre auguste Persone, e ciascuno di noi deve dire a se stesso: Io sono l’immagine di un Dio tre volte santo! Chi dunque sarà più nobile di me! Qual rispetto debbo io aver per me stesso! Qual timore di sfigurare in me o in altri questa immagine augusta! Qual premura a ripararla, a perfezionarla ognor più! Sì, questa sola parola, io sono l’immagine di Dio, ha inspirato maggiori virtù, impedito maggiori delitti, che non tutte le pompose massime dei filosofi. Osservate Francesco Saverio. Come è sublime quella parola ch’ei ripeteva ad ogni momento: Oh! santissima Trinità! Oh! Santissima Trinità! Per più di dieci anni le regioni dell’Oriente risuonarono di questa parola misteriosa, che era come il grido di guerra del san Paolo dei tempi moderni. Per animarsi alla lotta gigantesca ch’egli aveva intrapresa contro il paganesimo Indiano, Francesco Saverio considerava l’immagine augusta della santa Trinità sfigurata in tanti milioni di uomini, e la sua bocca pronunziava questa esclamazione: Oh! santissima Trinità! Allora un fuoco divino s’impossessava di lui, il suo petto si gonfiava, le lacrime scorrevano dai suoi occhi scintillanti, e con la rapidità del lampo ei si scagliava verso mondi sconosciuti, e rovesciava gl’idoli, e seminava i prodigi; e sopra migliaia di fronti faceva scorrere l’acqua rigeneratrice, e ristabiliva l’immagine sfigurata della santa Trinità, e né la morte, né la fame, né la sete, né gli uomini, né l’inferno potevano arrestare o intepidire il suo zelo nel riparare l’immagine alterata delle tre auguste Persone. Oh! santissima Trinità! – Che diremo noi dei sentimenti di riconoscenza che la contemplazione di questo gran mistero ci sveglia nel cuore? Il Padre che ci ha creati, il Figlio che ci ha redenti, lo Spirito Santo che ci ha santificati; conoscete voi cosa alcuna più idonea a sublimare i nostri affetti, a purificarli, e a dare vera dignità a tutta la nostra condotta? Oh! nazioni moderne, al mistero dell’augusta Trinità voi andate debitrici di non esser più prostrate ai piedi degl’idoli! Osereste voi dire, che non le siete debitrici di cosa alcuna?

Mezzi di celebrare degnamente la festa della Trinità. — Quanto a noi cristiani, veneriamo la santa Trinità con tutti gli omaggi di cui siamo capaci; recitiamo spesso la bella preghiera: Gloria al Padre e Figlio e allo Spiriti Santo, com’era al principio, ora e nei secoli dei secoli. [Questa preghiera è di tradizione apostolica. Bened. XIV] Formare società fra tre Persone, e recitare ogni giorno, o insieme o separatamente, la mattina, a mezzo giorno e la sera, sette Gloria Patri con una sola Ave Maria in onore della santa Trinità, è una devozione autorizzata dalla Chiesa ed arricchita di grandi indulgenze, tra le quali una plenaria da acquistarsi in due domeniche d’ogni mese [Raccolta di Indulgenze. Roma 1841, pag. 5]. Oltre di che è questo un mezzo eccellente di riparazione alle bestemmie degli empi. Celebriamo con fervore speciale la festa che la Chiesa ha consacrato alle tre adorabili Persone; ma rammentiamoci che la nostra vita intera deve essere una festa continua ad onore loro. Adoriamo nel silenzio del nosro nulla questo sto incomprensibile mistero; imitiamo con la nostra carità e santità le tre Persone divine, rimanendo penetrati di riconoscenza per i beni di cui siamo loro debitori. Rinnoviamo in questo giorno le promesse fatte nel nostro battesimo: eccitiamoci allo zelo per la nostra perfezione e per la nostra santificazione prossimo. Così noi ci conformeremo allo spirito della Chiesa, così adempiremo al dovere d’una creatura verso il Creatore, così conserveremo in noi l’immagine augusta della santa Trinità.

Preghiera

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio che ci abbiate rivelato il mistero della Santissima Trinità; penetrateci di riconoscenza pel Padre che ci ha creati, pel Figlio che ci ha redenti e per lo Spirito Santo che ci ha santificati. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio per amor di Dio, ed in prova di questo amore io domanderò spesso a me stesso: di chi sono io l’immagine?

 

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -XI- di mons. J.-J. Gaume [capp. XXXIV-XXXV]

CAPITOLO XXXIV

CONCLUSIONE.

I.

Abbiamo da una parte ricordato il grido di morte, emesso nello stesso tempo, nell’antico e nel nuovo mondo, contro il Clericalismo; abbiamo dall’altra annunziate le conseguenze di quest’odio ignoto negli annali dei popoli battezzati. Se Dio non ha pietà dell’uman genere, queste conseguenze saranno, fra le altre, la risurrezione del sacrificio umano diretto o indiretto, siccome s’è spiegato.

II.

Or ripieni di spavento, domandiamo: in qual modo, dopo diciannove secoli di Cristianesimo, il mondo è giunto al punto in cui lo vediamo? Non v’ha effetto senza causa. L’uomo è un essere ammaestrato. L’uomo forma la società, a lei comunicando tutto ciò che ha ricevuto. A coloro che la condannano, la società attuale può rispondere: « Egli è vero, io son ben colpevole ed infelice. Ma di chi è la colpa? Non sono già io che mi son fatta qual sono; io sono quale m’han fatto. »

III.

La società attuale essendo, nel suo complesso, satolla di odio contro il Cattolicesimo, ha dunque ricevuto in copia l’odio del Cattolicesimo. Dove lo ha essa ricevuto? Nell’insegnamento. Dapprima nell’insegnamento delle lettere e della filosofia; poscia nell’insegnamento della stampa che n’è la derivazione. La causa principale e tuttodì operativa dei presenti mali è dunque l’insegnamento della gioventù, sopratutto della gioventù letterata, che, per la sua superiorità, fa il popolo a sua immagine. Il rimedio del male, se pur ce n’è uno nelle mani dell’uomo, sarebbe la riforma radicalmente cristiana dell’educazione.

IV.

Predicate in tutti i modi, da più di quaranta anni, queste verità che abbagliano, tanto son luminose, non sono state dal maggior numero né considerate, né ricevute, né, a più forte ragione, praticate, come dovevano esserlo. Questa cecità, o meglio ostinazione, inconsapevolmente forse presso gli uni, ma consapevolissimamente presso gli altri, ha prodotto ciò che vediamo. Che vediamo?

V.

Malgrado il risveglio del Cattolicesimo su alcuni punti, e in una certa parte della società; risveglio che si manifesta nei frequenti e numerosi pellegrinaggi, nella creazione di circoli cattolici d’operai e di militari, e d’altre buone opere di fede e di carità: non ci daremo già a credere che il mondo è salvo. Quando trattasi di delitti nazionali, Dio non si lascia disarmare per alcune particolari preghiere, o per alcuni pellegrinaggi, nei quali il suo occhio non ha giammai scorto un solo di quei grandi colpevoli che eccitano la sua collera e provocano le sue vendette. Il fatto di Sodoma che poteva andar salva per dieci giusti non è una legge. La legge delle nazioni colpevoli sì, è Ninive penitente. – D’altronde da alcune manifestazioni cristiane, non segue che la maggior parte delle popolazioni non addivenga ognora vieppiù materialista, indifferente ed anche ostile alla religione; che fino le migliori provincie, città e campagne, non siano invase dallo spirito rivoluzionario; che questo spirito non faccia ogni giorno rapidi progressi, come testificato, fra le altre, in cinque anni d’intervallo, la formazione delle due camere legislative del 1871 e del 1876. Gli è dunque doloroso, ma vero il dirlo: andiamo di male in peggio; le nazioni han deviato; ed insorgendo contro il Cattolicesimo, che è la vera vita, si precipitano verso la morte.

VI.

Saremmo noi in tale stato, se si fosse compreso che faceva mestieri, sotto pericolo di gettar polvere al vento, apprestar il rimedio al male, salvando, mercé un’educazione cristiana, le generazioni ancora vergini dall’errore e dal vizio; che, fatte poche eccezioni, le generazioni già formate batteranno ostinatamente la loro strada, atteso che non si raddrizzino le querce vecchie, e non si fan ritornare i fiumi alla loro sorgente? In luogo di tutto questo, che si è fatto?

VII.

Si sono consumati dei monti di carta, rivi d’inchiostro; molto tempo, molte fatiche e fin molto talento e molto genio. Si è inondato il mondo d’apologie, di dimostrazioni, di polemiche, di critiche, di confutazioni, di lamentazioni, di discussioni. Notte e giorno si è battagliato contro i rivoluzionari e i miscredenti; cento volte sono stati convinti di stoltezza, di calunnia, di cattiva fede; li han creduti sconfitti, ed essi stanno in piedi meglio di prima.

VIII.

Sono essi intanto in tutta Europa padroni della posizione. I loro empii libri, i loro osceni romanzi vanno in voga, e vendonsi a migliaia; mentre la più parte dei libri buoni non ha che una ristretta pubblicità, se pur non rimangono tutti sepolti nei magazzini. I loro giornali si moltiplicano; e molti abbondano d’associati; mentre i buoni giornali, in picciolissimo numero, o chiudono il loro ufficio, o vivono a stento, come meglio possono, giorno per giorno.

IX.

Le loro dottrine han prodotto i loro frutti. Di vittoria in vittoria sono giunti alla disorganizzazione universale, alla negazione radicale d’ogni verità e d’ogni diritto; alla mostruosa invasione dell’immoralità e del suicidio; alla completa spoliazione della Chiesa; all’imprigionamento del Papa; all’impianto dell’eresia nel cuore stesso della cattolicità [il “modernismo” è oramai la setta dominante nei palazzi e nei templi un tempo cattolici ove la massoneria ecclesiastica si è “impiantata” radicalmente –ndr.-]; al bestiale dell’essere umano ed alla riabilitazione di satana. – Sino ad ora veruna corporazione aveva assistito ufficialmente ad un seppellimento civile. Era riservato all’Accademia di medicina di Parigi il dare, per la prima, un simile scandalo. Presentato dai medici, che sono stimati meglio di ogni altro per conoscere la natura dell’uomo, e da medici incaricati di ammaestrare la gioventù, questo scandalo inqualificabile per sè stesso è spaventevole nelle sue conseguenze. Il fatto è questo. Un certo Sig. Axenfeld, professore alla Scuola di medicina di Parigi, è stato seppellito civilmente, senza che l’avesse chiesto. Ciò che è più particolarmente scandaloso si è la pompa che ha accompagnato le sue esequie, a cui non ebbe già parte il prete. Dieci professori e undici dottori collegiali, in veste rossa, condotti dai signori Gosselin e Bouchardat assessori, preceduti dal mazziere e dai bidelli, hanno accompagnato il feretro del Sig. Axenfeld. Cosi la Facoltà medica, ufficialmente, con tutto l’apparato, bidelli e mazzieri, ha assistito a un seppellimento civile. Questo è progresso! [chissà cosa direbbe il povero mons. Gaume davanti al “progresso” delle “unioni” omosessuali di politici, passato in prima serata televisiva? –ndr.-]. Ancora un altro progresso: si legge nei Droits de l’homme, settembre 1876: « Ieri sera, racconta l’Egalitè di Marsiglia, ba avuto luogo la cerimonia civile, per la quale il nostro amico cittadino Malaucène, ha voluto surrogare, pel suo neonato, il battesimo religioso. Il nostro collaboratore Clodoveo Hugues è stato il compare, e la signorina Luisa Tardif la comare. Questa piccola festa di famiglia s’è compita maravigliosamente. Il poeta dell’Egalitè, come dice la Gazette du Midi, ha poeticamente battezzato il figlioccio con questo quadernario, che val bene il latino della Chiesa:

PERCHÈ SE RITORNASSE IN TERRA IL CRISTO NON SAREBBE PIÙ CRISTIANO, IN NOME DELLA NATURA AUSTERA IO TI BATTEZZO CITTADINO. [Puisque, s’il revonait sur terre, Le Christ ne serait plus chrètien, An nom de la Nature austère, Je te baptise citoyen.]

II giornale les Droits de l’Homme qualifica come “filosofica” questa parodia. Noi ci prendiamo la libertà di dirla abominevole e buffonesca, ma d’altronde perfettamente degna della mandria d’Epicuro. Per coloro infatti che 1’han composta, il battesimo della natura deve aprire la vita dell’ uomo, come la sepoltura deve chiuderla. [chissà in quale tugurio dell’inferno si trovano ora il “battezzato”, i compari e gli assistenti! Chissà se ancora stanno brindando … o forse sì, con oro fuso con calice infuocato insieme al loro padrino generale: lucifero – ndr.-].

CAPITOLO XXXV.

(Continuazione del precedente.)

I.

Perché tante vittorie dalla parte dei malvagi, e tante disfatte dalla parte dei buoni? Perché invece di portare risolutamente la scure alla radice dell’albero avvelenatore, s’è portata soltanto ai rami; invece di concentrar le nostre forze e dirigere tutti i nostri sforzi contro la cittadella del nemico, ci siamo divisi e ci siamo fatti battere. Non poteva essere altrimenti, e sino a tanto che non cambieremo tattica, andremo di disfatta in disfatta. Lasciamo parlare qui 1’esperienza.

II.

Nei primordi di questo secolo, allorché la Francia era ancora grondante del sangue versato dalla Rivoluzione, la quale non era che una scena degli studi del collegio, la Provvidenza suscitò alcuni gran geni per esserle di faro e ritrarla dalla via ov’erasi perduta : il Sig. de Chateubriand, nella letteratura; il Sig. de Bonald, nella filosofia; il Sig. de Maistre, nella scienza sociale; il Sig. de la Mennais, nella scienza religiosa. Questi uomini illustri han lasciate opere piene di salutari dottrine, la cui pratica avrebbe rigenerata la Francia, e colla Francia forse tutta Europa.

III.

Perché mai questi grandi maestri non ebbero discepoli, ad eccezione de la Mennais, che lo deve all’educazione particolare del clero? Perché mai nell’uscir di collegio la gioventù francese, arrivando a Parigi, in luogo di nutrirsi delle dottrine insegnate da quegli uomini grandi, le ha poste da banda per frequentar le scuole del Royer-Collard, del Beniamini Costant, del Cousin, del Quinet, del Michelet e d’altri anticlericali?

IV.

Non v’ha cosa men difficile a comprendere. Queste giovani generazioni erano state gettate, dai loro studi classici, in una corrente d’idee affatto differenti dalle cattoliche; e correvano ai maestri il cui insegnamento era lo sviluppo continuato della loro prima educazione. Non v’ha dubbio, che a questa cagione principalmente debba attribuirsi l’anticristianismo che, sotto il nome di liberalismo e di razionalismo ha da un mezzo secolo invaso la gioventù francese.

V.

Da tale gioventù è costituita oggi la Francia. Addivenuta padrona di ogni posizione: nella magistratura, nella milizia, nell’accademie, nelle camere legislative, nella diplomazia, in tutte le grandi amministrazioni, essa trasmette ciò che ha ricevuto, e trasmettendolo forma la società a sua immagine: lebbrosa dalla testa ai piedi, quale la vediamo.

VI.

Se l’educazione continua ad essere quel che è, mezzo cristiana e mezzo pagana, ed anche più pagana che cristiana, non verranno su che ibride e tristi generazioni, incapaci di resistere al male. L’invasione che noi deploriamo non pure continuerà; ma a ragion dell’acquistata forza, si accelererà sempre più. Che sarà mai se l’istruzione, addivenuta laica, non è più una madre, ma una matrigna; non una nutrice, ma un’avvelenatrice patentata?

VII.

Riforma dunque dell’educazione. Riforma pronta; riforma radicale; riforma interamente cristiana nei libri come negli uomini: poiché la salute del mondo dipende da ciò. Senza questo, con tutte le opere nostre di rigenerazione, noi che faremo? Tutt’al più una pesca con l’amo; mentre gli anticlericali la faranno colla rete. Noi continueremo a dar dei colpi di spada all’acqua, o, come dice la Scrittura, getteremo le nostre mercanzie in un sacco sfondato. – Ma chi opererà tale riforma? Vescovi, preti, religiosi, padri di famiglia, tutti vi pongano mano. Tuttavia, riconosciamo umilmente la nostra impotenza. [Oggi proprio i vescovi, falsi e sacrileghi, oltre che intruppati in varie obbedienze massoniche, sono i veicoli di eresie e dottrine grondanti apostasia, ed ancor peggio i preti ed i religiosi, falsamente consacrati e quindi sacrileghi e blasfemi, i padri di famiglia devono pensare alle concubine, alle adultere loro compagne ed agli illegittimi frutti del peccato … solo la Vergine Santissima ci salverà! –ndr.-]. Iddio solo, cambiando gli uomini, può operare questa necessaria riforma. Gridino dunque tutte le lingue e tutti i cuori verso il Padre delle misericordie, come fecero gli apostoli, presso a naufragare: Signore, salvateci! Noi periamo:

Domine salva nos, perimus.

FINE

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -X- di mons. J. J. Gaume [capp. XXXII-XXXIII]

CAPITOLO XXXII.

GIUSTIFICAZIONE DI QUEST’OPERA.

I.

Lucifero è il nemico personale ed implacabile del Verbo incarnato. Il suo odio non ha che uno scopo, quello di rendere impossibile la credenza nel domma dell’Incarnazione. Perciò, i tre grandi errori che riassumono tutti gli altri, e che han dominato il mondo antico, e tendono a dominare il mondo moderno [e la falsa chiesa dell’uomo dei marrani usurpanti attuali -ndr.-]:

Il Panteismo; se tutto è Dio, non vi è incarnazione;

Il Materialismo; se tutto è materia, non v’è incarnazione;

Il Razionalismo; se ogni verità è racchiusa nei limiti della ragione, non vi è mistero, e quindi non v’è incarnazione.

II.

Esaminati accuratamente tutti gli errori moderni, figli de precedenti, non hanno altro obietto che la negazione della divinità di Nostro Signore. Ammesso questo solo domma, essi svaniscono, come la notte in faccia al giorno; rigettato questo solo domma, tutte le verità senza base e senza coesione cadono le une dopo le altre, e l’ umanità ricade nel caos. Ora, cosa inaudita, la grande negazione è oggi stampata, predicata, accolta con un ardore che fa vergogna, e riempie l’anima di spavento pel presente, e più ancora per l’avvenire: quest’ è un segno de’tempi. – Infatti, se Nostro Signor Gesù Cristo, autore della grande rivoluzione che ha trasformato il mondo, non è Dio, ei bisogna ripudiare il Vangelo con tutte le sue conseguenze, ritornare al paganesimo e rifoggiar dèi secondo il capriccio delle passioni. E non è già il mondo ripieno di questi nuovi, o meglio, di questi antichi idoli di lussuria e di crudeltà?

III.

Se non fosse l’elemento cattolico che lotta ancora per mantenere, sul suo piedistallo divino, la persona del Verbo incarnato, il mondo moderno ricadrebbe nelle condizioni del mondo antico. Più questo elemento s’affievolisce, siccome noi vediamo ai nostri di, e più s’appiana la via al demonio per ritornare sopra gli antichi suoi altari. La ragione lo dice, e la storia lo conferma. L’uomo ha avuto, ha ed avrà sempre bisogno d’un Dio. Rovesciare il trono di Gesù Cristo, non é altro che innalzare il trono di Belial.

IV.

Al vedere dell’Europa attuale, che volta le spalle al Cristianesimo, e si sforza di sterminarlo; che dico io? al vedere uomini battezzati, intraprendere, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, la riabilitazione di Satana e vantare il suo antico regno, come l’epoca più brillante della storia; era facile prevedere questa nuova caduta dell’umanità. E fu infatti preveduta, annunziata, dimostrata, or sono più di trenta anni. Ma i veggenti furono trattati da stravaganti. Che? il mondo ritornare al paganesimo nel secolo decimonono! Insensanto chi il dice; stupido chi il crede! Intanto il paganesimo ne’ suoi elementi costitutivi, particolarmente nella negazione del Verbo incarnato, ha continuato ad invadere la società: e già tutto è paganesimo.

V.

A render pagana un’epoca, una società, tutto il mondo, non vi bisognano idoli materiali. Il mondo anteriore all’incarnazione era pagano, prima che la mano dell’artefice offrisse alle sue adorazioni statue di marmo o di pietra. Il paganesimo è la negazione teorica e pratica del Verbo incarnato; la negazione del vero Dio, e, come conseguenza inevitabile, l’adorazione di ciò che non è il vero Dio. Ora, adorare ciò che non è il vero Dio, è adorare un falso Dio, è adorar satana, è esser pagano, ricadere nel gentilesimo, di cui tutti gli dèi erano demoni: omnes dii gentium dæmonia. [Ps. XCV]

VI.

Tuttavia, come l’anima ha bisogno del corpo, cosi il culto interiore ha bisogno del culto esteriore. Nell’antichità, satana godeva dell’uno e dell’altro: egli aveva le sue statue, i suoi templi, i suoi altari, i suoi sacerdoti. Tutto questo lo possiede anche oggi presso le nazioni idolatre. Or Satana non cambia, né invecchia. Ei vuol essere quel che fu; vuol avere quel che ebbe. Ei lo vuole tanto più che gli oracoli, le evocazioni, le apparizioni, i prestigi erano i principali strumenti del suo regno, di cui il sacrificio umano, fu e continua ad essere l’inevitabile compimento. Pare dunque logicamente infallibile che presto o tardi, se Dio non l’impedisce col più grande dei miracoli, satana tornerà con tutto il suo corteggio di pratiche vittoriose, sempre antiche e sempre nuove, ma destramente modificate secondo i tempi e le persone.

VII.

E forse non è già divenuto l’oracolo delle nazioni moderne, senza che esse vi pongano riparo? È egli satana, ovvero lo Spirito Santo che le inspira nelle leggi anticristiane che promulgano? nella guerra universale che fanno alla Chiesa? Che è mai lo spiritismo, il magnetismo, il sonnambolismo artificiale, se non la risurrezione, sotto nuovi nomi, delle antiche pratiche diaboliche di Delfo, di Delo, d’Àccaron, e di tutti i templi ed oracoli?

VIII.

Che cosa era mai la dea Ragione sugli altari della Francia del 93, se non l’impura Venere in carne ed ossa, vale a dire il Demonio stesso che si faceva adorare? – Ed alla stessa epoca, il tempio di Cibele, fabbricato ai Campi Elisi, che accoglieva nel suo recinto gli adoratori della madre degli dèi, con le offerte tradizionali esatte dal suo culto? – Il repubblicano Quinto Àuclerc non ha egli risuscitato materialmente il culto di Giove, di cui si diceva il sacerdote? E questo culto non s’è forse perpetuato fino al 1821? È vero, che il flamine non offriva vittime umane al dio, ma solamente incenso bruciato in uno scaldavivande di forma antica. Tuttavia, non c’illudiamo; mercè il progresso, dopo l’incenso, può venire il sangue. È dunque vero, il mondo anticristiano è un vaso pieno di paganesimo, che la minima goccia di acqua farà traboccare.

IX.

Ciò quanto al ritorno al paganesimo in generale; ma non basta. Per giustificare il titolo dell’opera, bisogna mostrare che la risurrezione del sacrificio umano non è punto impossibile. Il sacrificio umano si distingue, come abbiamo detto, in sacrificio indiretto, ed in sacrificio diretto. – Il primo s’è dappertutto e sempre più o meno compiuto. Dunque non deve risuscitare, non e morto! Ma, se gli effetti sono ognora in ragion diretta delle cause, si può affermare, salvo l’intervento divino, che in pena della generale insurrezione dei popoli moderni contro il Clericalismo, tal genere di sacrificio tornerà con proporzioni più terribili che mai.

X.

Guerre del carattere antico, guerre d’atrocità e di sterminio, guerre non più d’un’armata contro un’armata, ma guerre di nazioni, gens contra gentem, divenute campi armati, inonderanno la terra di sangue umano. Conseguenza della rivolta universale contro Dio, questo formidabile avvenire è penetrato nei presentimenti delle nazioni: onde l’attendono, e vi si preparano. Che si fa oggidì in tutta l’Europa? Due cose: si fa la guerra a Dio, e lavorasi con un’attività febbrile a preparare la guerra degli uomini gli uni contro gli altri. Ogni giorno s’inventano nuove macchine di distruzione. Le torpedini per esempio, che in pochi minuti possono far saltare in pezzi il più forte naviglio. Si perfezionan le armi, si perfeziona la polvere, si perfezionano i fucili, si perfezionano i cannoni. Affin di resistere a questi potenti mezzi di distruzione, si guerniscono le provincie di forti distaccamenti; si duplicano i ripari delle città; armansi le coste marittime di batterie formidabili; si costruiscono non più vascelli ordinari, ma colossali, capaci a distruggere in poco tempo le città più forti o di resistere agli attacchi di un’intera squadra.

XI.

Eccone una prova. Il 18 settembre ha avuto luogo a Lorient il varo del Redoutable, il più potente naviglio costruito finora in Francia. La sua costruzione ha costantemente impiegati, per lo spazio di tre anni, più di mille operai. La sua lunghezza totale sorpassa 100 metri. La sua larghezza è di 20 metri. La sua capacità, quasi di 9,000 tonnellate, è superiore d’un quarto a quella delle corazzate del tipo dell’ Oceano. – Il bastimento è a doppio scafo, e presso a poco completamente costrutto in acciaio. Quest’è la prima volta che l’acciaio entra, in una si grande proporzione, nella costruzione d’un gran naviglio, vuoi in Francia, vuoi in altri luoghi.

XII.

I fianchi del Redoutable sono ricoperti d’una corazza, la cui grossezza sarà superiore a tutto ciò che s’è fatto finora. Ciascuna delle piastre che la compongono peserà 24,000 chilogrammi. Il davanti sarà armato d’un formidabile sperone di ferro lavorato del peso di 30,000 chilogrammi. I ponti sono a prova di bomba. L’artiglieria, composta di pezzi del più forte calibro, sarà disposta in una nuova maniera, che darà modo al vascello d’utilizzare questi grossi pezzi in tutte le direzioni. Il Redoutable è una corazzata a grande celerità. La sua macchina ha la forza di 6,000 cavalli. Essa farà muovere un’elice in bronzo di m. 6,30 di diametro. L’Inghilterra segue il medesimo progresso. Essa ha costruito un cannone in bronzo del peso di 87,000 chilogrammi, il quale scarica delle palle del peso di 8,000 chilogrammi. Segnali di confidenza nella pace universale. (1)

XIII.

Perché mai questi potenti mezzi di difesa o, a dir meglio, di distruzione, non sono stati inventati cento anni fa? Perché da cento anni in qua? L’uomo s’agita e Dio lo conduce. La Provvidenza non opera mai ciecamente. Questi preparativi di guerre formidabili han la loro ragione d’essere proprio oggidì, né più presto né più tardi. Avviso a questo povero mondo attuale, che ostinasi a chiudere gli occhi per non vedere, le orecchie per non ascoltare; che fa della guerra a Dio un suo passatempo, che ride di tutto e che canta esser tutto per la meglio del migliore dei mondi.

(1) Oggi la descrizione di questi “potenti” armamenti, descritti dal Gaume, fa sorridere se paragonati alle armi atomiche, ai bombardieri supersonici, ai missili balistici intercontinentali, alle corazzate e portaerei più grandi di intere città, ai sottomarini con testate nucleari, alle armi chimiche o batteriologiche, etc. etc. Il Redoutable, così minuziosamente descritto, paragonato alle corazzate ed alle portaerei attuali, è poco più che una piroga di papiro armata di cerbottane! Ma il perché di questi potenziamenti bellici [solo gli Stati Uniti, per “esportare” e mantenere la pace hanno stanziato in questo anno la somma di un trilione di dollari … perdonatemi, non so neppure come si scrivere una tal cifra in termine numerici e con quanti zero!], ha la medesima motivazione di sempre: il sacrificio umano di uomini inerti, fatti ad immagine di Dio, quindi nemici personali di satana, e perciò da eliminare! [n.d.r.-].

CAPITOLO XXXIII

(Continuazione del precedente.)

I.

Può egli ricomparire il sacrificio umano diretto? Tale è la questione che ci resta ad esaminare. Il sacrificio umano diretto, è l’immolazione d’una persona a un idolo qualunque. Che quest’idolo sia una persona, una statua, o semplicemente un’idea, poco importa. Come l’idolatria medesima, il sacrificio può esistere senza statue. «In una certa epoca dell’antichità, dice Tertulliano, non v’erano idoli. Tuttavia l’idolatria esisteva, non sotto questo nome, ma nelle opere. Parimenti oggi può essa praticarsi senza templi e senza idoli. 1 » [De Idolat., c. III]. L’affermazione di Tertulliano è conforme a quelle parole di san Paolo: « Imperocché voi siete intesi, scrive agli Efesini, come nissun fornicatore, o impudico, o avaro, che vuol dire idolatra, sarà erede nel regno di Cristo, e di Dio. » [Eph. V, 5]

II.

Perchè v’abbia il sacrificio umano diretto, non sono assolutamente necessarii nè un tempio né una statua. Si è per questo, come dice Tertulliano, che prima della fabbricazione degli idoli, si praticava l’idolatria, di cui l’atto principale fu sempre il sacrificio umano. Prendevasi un fanciullo, un prigioniero, uno schiavo, e mettevasi a morte in onore d’un re defunto o d’una pretesa divinità, che non aveva né tempio né statua. Più tardi, allorquando il demonio volle avere un culto completamente esteriore, ispirò agli uomini d’edificarsi dei templi e d’erigergli delle statue.

III.

Che facevano allora i grandi sacrificatori, persecutori de’primi secoli? Arrestavano i nostri padri, i nostri fratelli e le nostre sorelle, li conducevano avanti la statua di qualche divinità immaginaria, e loro dicevano: Offrite ad essa l’incenso siccome ad un Dio vero. Se mai essi rifiutavano, erano messi a morte. Erano queste altrettante vittime umane. Bisogna accuratamente osservare, che non era propriamente alla statua che offrivasi l’incenso ed immolavasi la vittima; ma all’idea cui la statua rappresentava, o meglio allo spirito che credeasi l’abitasse. Per esempio, il sacrificio ordinato dinanzi alla statua di Giove, era in onore del demonio considerato siccome dio supremo; quello ordinato dinanzi alla statua di Marte, era in onore del demonio considerato siccome dio della guerra, e così degli altri.

IV.

E venendo ad un’epoca più vicina, che cosa faceva la Rivoluzione del 93, questa degna figlia degli antichi pagani di Roma e di Grecia? Afferrava un sacerdote, e gli diceva: Giura di riguardar come vere le mie dottrine e di farne la regola di tua condotta; adora la Dea-Nazione che le promulga. Se il sacerdote si rifiutava, era immolato: benché non vi fossero né templi né statue, il sacrificio non era meno diretto. Quanti altri, preti e laici, sospetti d’ostilità contro la Dea-Rivoluzione, contro la Dea-Libertà, contro la Dea-Eguaglianza, contro il Dio-Popolo, e fino contro il Dio-Robespierre non furono per sì fatto delitto arrestati, imprigionati e condotti al patibolo? Non furon’essi altrettante vittime umane, immolate agl’idoli?

V.

Se gli anticlericali d’oggidì, aiutati dai loro fratelli, i martiri di Nonmèa, riuscissero ad impadronirsi del potere, troverebbonsi mai imbarazzati a rinvenir qualche Dio, qualche dea, il Genio stesso di qualche divus Caesar; in una parola qualche idolo, al quale esigere, sotto pena di morte, il sacrificio della verità, dell’onore, della coscienza? Troppo semplice colui che si pascesse di una simile illusione. Quanto a ciò, il passato è la profezia dell’ avvenire.

VI.

Del resto, se il demonio vuole avere templi e statue, non avrà che a dirlo. È egli meno potente oggi che nel 93? Ora, gli anticléricali del 93 gli assegnarono per santuarii, non solo il duomo di Parigi, ma la più parte delle chiese di Francia. Nè si fermarono qui: gl’innalzarono un tempio nei Campi-Elisi, dove vennero solennemente ad offrirgli i loro omaggi.

VII.

Quanto alle statue, non avranno che a sceglierle. Forseché i nostri giardini pubblici, le strade, i musei, non sono ripieni di statue di tutti gli dèi del paganesimo? Basterà ai moderni pagani esporne alcune sulle nostre piazze e esigere, sotto pena di morte, da chiunque passerà render loro omaggio. Siccome nulla è nuovo sotto il sole, così sarebbe questa la copia di ciò che Diocleziano e Massimiliano, i due anticlericali incoronati, fecero a Nicomedia e nelle principali città del loro impero. V’ha di più, sarebbe il compimento dell’oracolo divino che annunzia ciò che avrà luogo verso la fine de’ tempi, durante il regno dell’Anticristo : « Egli farà metter a morte tutti quelli che non adoreranno l’immagine della Bestia. Vorrà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, abbiano il carattere della Bestia, nella loro mano destra o sulla loro fronte; in guisa che nessuno possa comprare né vendere senza avere il carattere della Bestia. » [Apoc., XIII, 17, 16, 19. ]

VIII.

Intesa, come è stata spiegata, la risurrezione del sacrificio umano, non ha dunque nulla d’impossibile. Ciò non è tutto: sarebbe essa la necessaria conseguenza della morte del clericalismo. Io non dico niente di più; i ragionamenti ed i fatti che precedono sembrano bastevoli per giustificare questa mia operetta, dar materia di riflessione agli ottimisti, risvegliare i dormienti, scuotere i ciurmatori e qualificare gli anticlericali. [Continua…]

#   #   #   #

[Nota redazionale: Il povero monsignor Gaume, impallidirebbe nel veder oggi il trionfo del paganesimo finanche nel tempio santo, nelle chiese una volta cattoliche, ove si sacrifica [incruentamente almeno per ora!] al “signore dell’universo”, cioè l’obbrobrio della massoneria clericale, il baphomet lucifero, acclamato pure nel trisagio da tanti ignari involontari adoratori del serpente primordiale! Ma satanasso è andato ancor più in là con il sacrificio umano. Se il dotto abate mostrava agli anticlericali i sacrifici di migliaia di poveri infelici presso i popoli dell’Africa, presso i druidi, l’antichità greca e romana, o l’ecatombe dei cardioprivati dell’America precolombiana, corredandoli con particolari raccapriccianti che avranno fatto inorridire tanti lettori disgustati dai banchetti con carni umane ancora palpitati e grondanti sangue, mai avrebbe immaginato che quelli erano numeri da bazzecola, un nonnulla in confronto a crimini ben più efferati e al sacrificio di milioni e milioni di esseri umani, immolati al demonio della “libertà sessuale”, del libero amore irresponsabile, al totem del paganesimo erotico, all’idolo del “culto fallico”, e questo in pieno XX secolo ed inizio del terzo millennio, dopo venti secoli di Cristianesimo! E sì che ci sono anche i templi satanici ed i sacerdoti sacrificatori, gli empi stregoni travestiti da rubicondi pasciuti professionisti con camice, cappellini e calzari sterili, con sonde aspiranti stritola membra, col tubo del respiratore automatico, assistiti da chierici in camice bianco e mascherina sterile, altri professionisti della morte. La sala dei sacrifici, addirittura sterilizzata con raggi u.v., è corredata da apparecchi elettronici sofisticati, scialitiche e lampade speciali, strumenti tecnologici, monitor con schermo piatto a cristalli liquidi, videocamere digitali  miniaturizzate e personale altamente specializzato, preparato per anni a queste orribili pratiche, come e più dei druidi! E non meno cruenta è la modalità di uccisione del povero uomo indifeso, immolato addirittura dai propri genitori e consegnato per finire in un contenitore di immondizia [i rifiuti “speciali”] o venduti all’industria dei cosmetici o ai laboratori delle cellule staminali [questo sì che è progresso scientifico!]. Le sonde aspiranti smembrano lentamente il povero sacrificato, braccio dopo braccio, gamba dopo gamba, e alfine viene staccata la testa, il segmento A, con “attenta” manovra, imparata dopo anni di “specializzazione” e perfezionamenti. Gli stregoni del Dahomey, i cannibali del Centro Africa, i sacerdoti strappacuori del Messico, sono dei dilettanti sprovveduti alle prime armi in confronto ai moderni sacrificatori che mietono, nella totale indifferenza, e … tutti lo sappiamo, milioni e milioni di uomini, esattamente uguali a tutti gli altri, immolati barbaramente, in modo più vile ed ipocrito ancora delle vittime delle tante guerre “democratiche” e di “liberazione”, le scibale sataniche della nostra epoca. L’altare del sacrificio, una volta in pietra o di legno, si è aggiornato, ed è diventato nientemeno che un tavolo “operatorio” snodabile, le cui funzioni sono regolate da comodi telecomandi ad infrarossi, onde permettere al boia sacrificatore-maciullatore … o pardon … volevo dire al “nobile” professionista I.Vu.Gista la posizione più idonea per fare un “buon lavoro”. Evviva la scienza medica! – Nel rileggere il libro dell’abate Gaume, avevamo avuto inizialmente un certo timore nel proporlo ai lettori, visto i contenuti che a prima vista potevano turbare la ipocrita tranquillità del benpensante; via via però ci siamo convinti che era assolutamente nostro dovere portare all’attenzione dei lettori Cattolici [quelli “veri” della Chiesa del Papa Gregorio!] questa piccola opera dell’abate Gaume, quanto mai profetica ed anticipatrice degli attuali abomini. Ora sappiamo meglio che il tutto non è casuale, ma fa parte di un piano da sempre operante, anche se con modalità cangianti con i tempi e le mode, un piano ben preciso dell’antico nemico dell’uomo, il serpente menzognero, ebbro di sangue umano fumante e divoratore di carne umana. Questo dimostra che è impellente il ricorso al nostro unico, vero Filantropo, a Colui che è morto nella carne per la nostra salvezza, al Redentore del genere umano, che spegnendo con il soffio della sua bocca l’opera dell’angelo malefico e dei suoi numerosissimi adepti, ci metta al riparo dal sacrificio umano, comunque effettuato.

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -IX- di mons. J. J. Gaume [capp. XXX-XXXI]

CAPITOLO XXX

L’AMERICA DEL SUD. —PERÙ.

I.

All’epoca della scoperta spagnola, l’America del Sud presentava presso a poco, sotto il rapporto del sacrificio umano e dell’antropofagia, il medesimo spettacolo dell’America del Nord. Verso l’anno 1540, l’imperatore Carlo V volle dagl’indigeni, sottomessi al suo impero, che rinunziassero all’orribile uso di nutrirsi di carne umana.

II.

Il suo capitano generale, Don Alvaro riunì i carichi, e notificò loro l’ordine del principe: tutti promisero d’obbedire. Inoltre li costrinse a bruciare i loro idoli: la qual cosa fecero essi a malincuore, perché temevano di essere maltrattati dai demoni. Fatto questo, Don Alvaro, eresse una croce, e fabbricò una cappella, in cui fu cantata la messa con grande solennità, il che rassicurò d’assai gì’indigeni.

III.

Il pio e coraggioso capitano, dirìgendosi verso l’occidente, trovò, non lungi dalle frontiere del Perù, una borgata dove si contavano otto mila casupole, nel mezzo delle quali s’innalzava una torre costruita con grandi pezzi di legno, e terminata a piramide, il tutto ricoperto di scorze di palma. Questa torre, dice Charlevoix, era la dimora e il tempio d’un serpente mostruoso, di cui gli abitanti avevano fatto la loro divinità, e che nutrivano di carne umana. Esso era della grossezza d’un bue, ed aveva 27 piedi di lunghezza, la testa estremamente grossa, gli occhi piccoli di molto sfavillanti, e quando apriva la bocca, gli si vedevano due ordini di acuti denti. La pelle della sua coda era liscia; grandi scaglie rotonde coprivano il resto del corpo, e gl’Indiani vollero persuadere agli Spagnoli che rendesse oracoli. – « Egli è vero che alla prima vista di questo mostro, furono essi assaliti da spavento; che crebbe ancora quando un di loro, avendogli tirato un colpo d’archibugio, mise un grido simile al ruggito del leone, e con un movimento di coda, fece tremar la torre. Nondimeno l’ammazzarono facilmente. » [Hist. du Paraguay, t. I, p. 83]. Questo accadeva nel Perù prima della predicazione del clericalismo! E oggi vogliono sterminare il clericalismo! E dicon che tutte le religioni sono egualmente buone!

IV.

Circa un secolo fa, tutti i discepoli di Voltaire si sarebbero stretti nelle spalle, al racconto di Charlevoix, ed avrebbero trattato l’autore siccome impostore o visionario. La scienza attuale li ha convinti d’ignoranza. Le scoperte di Cuvier, di Zimmermann e d’altri naturalisti, han provata l’esistenza di questi giganteschi serpenti, i cui fossili si trovano in Francia, in Inghilterra, in Alemagna. Uno dei più mostruosi, poiché conta più di cento piedi di lunghezza, è stato recentemente scoperto nello scavare una fossa per la ferrovia, presso Saint-Lottin, nel Giura.

V.

Tali scoperte hanno questo d’importante, che esse giustificano non solamente il racconto del padre Charlevoix, ma ancora la storia dei nostri primi predicatori evangelici. Quando vennero la prima volta nelle nostre contrade pagane, dovettero molto combattere contro mostruosi dragoni, formidabili divinità degli abitanti. V’ha delle riviere, e perfino delle città che ne conservano il nome: come il Drac e il Draguignan.

VI.

Tutte le provincie dell’America del Sud si abbandonavano, come il Perù, ai sacrifìci umani ed all’antropofagia. Ne abbiamo una prova nella bolla di san Pio V, con la quale il Papa prescrive ai missionari d’obbligare gl’indigeni a vivere almeno secondo la legge naturale, evitando tutto ciò che degrada l’umanità, come i sacrifici sanguinosi di vittime umane, che si perpetuavano nelle contrade più recondite e meno conosciute, al di là della linea equinoziale [Touron, Hist, gen. de l’Amerique, t. X, p. 133].

VII.

Nel numero delle ricche contrade dell’America del Sud, conquistate dagli Spagnoli, risplende sopra tutte la Nuova Granata. Era molto tempo che questo bel paese gemeva sotto l’impero di satana, che l’inondava di sangue umano e lo bruttava d’indicibili turpitudini. Ma finalmente, nel mese di gennaio 1590, il demonio fu espulso dalla sua cittadella.

VIII.

La tribù di Ramiriqui, non ha guari evangelizzata dal domenicano Pietro Duran, era allora affidata alle cure del padre Diego Manura. Il buon missionario si lusingava d’avere ritratto questo popolo dalle favole dell’idolatria, quando riconobbe d’essersi ingannato. Gli venne infatti a notizia, che nei dintorni della città di Ramiriqui esisteva un luogo segreto, nel quale i principali indigeni si riunivano con non poca precauzione, continuando ad onorarvi i loro idoli con ricche offerte d’oro, di smeraldo, e d’ altri oggetti preziosi, e fino con vittime umane.

IX.

Il luogo dove queste abominazioni si praticavano, era nella cavità d’una gran roccia, il cui piccolo ingresso, chiuso ben bene da una pietra piana e quadrata, non permetteva all’occhio di veder dentro. Al fondo d’una sala spaziosissima era posto il grande idolo. Era un pezzo di legno tagliato in forma d’uccello, d’una grandezza smisurata e coperto di penne d’una varietà ammirabile. Da secoli gli schiavi del demonio adoravano questo simulacro, senza levare il minor dubbio sulla sua divinità, né sulla verità delle cose che, per suo organo, lo spirito delle tenebre annunziava. Si sacrificavano a lui de’fanciulli; giovani vergini consacrate al suo culto abitavano giorno e notte la caverna tenebrosa.

X.

Cristiani di nome, ma idolatri di fatto, una folla d’indigeni, che assistevano la mattina alle riunioni de’ fedeli nelle chiese, accorreva la sera a prender parte a sanguinari sacrifìci in questa grotta remota. Coloro che erano sinceramente convertiti non osavano denunziare l’apostasia segreta degli ipocriti. Tuttavia una vecchia indigena, coraggiosa serva di Gesù Cristo, n’avverti con pericolo della sua vita il padre Manura. Ella gl’indicò il luogo, l’ora delle radunanze, le abominazioni che vi si commettevano, fino il nome dei principali colpevoli.

XI.

Il missionario andò a consultare a Tunja il suo provinciale. Questi gli raccomandò di verificar da se stesso il mistero d’iniquità, e fece pregare tutta la comunità pel successo dell’impresa. Il missionario si veste da borghese, e recasi una notte in mezzo all’assemblea, pensando che col favore dell’oscurità e della folla, potrebbe ritirarsi senza essere riconosciuto. Già era stato testimone delle cerimonie, dei sacrifica umani e d’alcune altre abominazioni, allorché Iddio permise che il demonio, per la bocca dell’idolo, facesse udire queste parole: Cacciate di qui quel frate. Gl’indigeni, sorpresi e trasportati dalla collera, misero grandi grida, chiedendo dove fosse il religioso, affine d’immolarlo immantinente.

XII.

Il trambusto della riunione facilita al missionario il modo di fuggire. All’indomani, accompagnato da altri missionari e da una scorta armata, ritorna alla fatale rupe. I soldati s’impadroniscono del grande uccello e d’una parte dei piccoli idoli, posti in ordine attorno ad esso. Il padre Manura fa trasportare questi simulacri sulla piazza pubblica di Ramiriqui, dove un gran fuoco li consuma all’istante.

XIII.

In quel momento gli apostati montano in furore. Gli uni prorompono in minacce, altri corrono alle armi, ma la presenza delle truppe spagnole li ritiene. I ribelli impauriti si riservano di vendicare in segreto col sangue del missionario l’ingiuria fatta ai loro dèi. Il ministro di Gesù Cristo, lungi dal nascondersi, si presenta loro intrepidamente. Lo Spirito Santo mette nella sua bocca parole sì persuasive, che i più irritati prorompono in pianto e corrono alla grotta, donde tolgono via il resto dei piccoli idoli e li gettano nel fuoco, che aveva consumati i primi. Di più, indicano ai missionari altre caverne, nelle quali si trovavano ancora degl’idoli, e si commettevano somiglianti orrori [Hist. gen. des miss., t. Il, part. 1, p. 122]. Ecco quel che accadeva nel regno della Nuova Granata, prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXXI

L’AMERICA DEL SUD.

(Continuazione)

I.

Prima d’arrivare ai Mussi, popoli anch’essi dell’America meridionale, passiamo a Cartagena, dove nel 1589 fecesi un’importante scoperta. Avendo l’arcivescovo di questa nuova città permesso ai religiosi riformati di San Francesco ed agli eremiti di Sant’Agostino fondar dei conventi, il padre Alfonso, eremita di Sant’Agostino, desiderò che il suo fosse fabbricato in forma di romitaggio, sopra un’alta collina rivestita di alberi.

II.

Scavandosi le fondamenta dell’edificio si trovò un sotterraneo ripieno d’idoli, dove alcuni indigeni tenevano ancora delle riunioni clandestine, e offrivano vittime umane al demonio. Questi idoli furono quali bruciati quali ridotti in pezzi, e la cappella che il padre Alfonso innalzò sul luogo stesso, per tanto tempo profanato, divenne celebre pel concorso e la venerazione dei fedeli [Touron, Hist., t. XIII, p. 463].

III.

Dopo l’apparizione degli Spagnoli nel paese che più tardi formò il governo di Santa Marta, furono scoperti i Mussi, popoli quanto feroci altrettanto corrotti, i quali si nutrivano di carne umana cruda, sovente tagliata su di un uomo tuttora vivo. Questi esseri, sì profondamente corrotti, abitavano le foreste ed alcune montagne fra il paese di Venezuela, e l’estrema frontiera del nuovo regno di Granata.

IV.

Non si vedevano presso questi antropofagi né tempi, né altari, né idoli; due piramidi, molto discoste l’una dall’altra, erano l’unico oggetto del loro culto; piramidi sì alte che la loro sommità sembrava perdersi nelle nuvole, e la cui base occupava almeno un quarto di lega. Una di queste piramidi esisteva ancora intera al decimosettimo secolo; ma la sommità dell’ altra era stata portata via da un vento impetuoso. Quei popoli davano all’una il nome di Dea madre, ed all’altra quello di Dea figlia. Ai piedi di queste ridicole divinità sgozzavano vittime umane, di cui spargevano il sangue e divoravano i brani più grati al loro gusto, prima che tali vittime avessero dato l’ultimo respiro. [Tuuron, Hist. t. XIV, p. 241,].

V.

A somiglianza della maggior parte de’popoli dell’Europa pagana, i Mussi trattavano da nemici tutti gli stranieri che osavano associarsi agli omaggi resi alle loro piramidi, che chiamavano loro divinità tutelari. Alcuni dei più superstiziosi fra i loro vicini, azzardavano talora questo pericoloso pellegrinaggio; ma essi avevano cura di circondarsi di mistero; sapendo che, sorpresi nei loro tentativi, sarebbero mangiati vivi.

VI.

I Mussi erano particolarmente formidabili per le loro armi, le quali erano avvelenate col veleno mortale dell’aspide. Essi tuffavano in questo veleno micidiale non pure le frecce, ma anche le spine che spargevano ovunque traessero i loro avversari. Chiunque si trovava ferito, leggiera che si fosse la piaga, non tardava a vedere le sue carni cadere a brani.

VII.

L’orgoglio di questi cannibali eguagliava la loro ignoranza, la loro ferocia e la loro depravazione. Caduti nell’ultimo grado dell’umanità, si credevano essi i più saggi, i più nobili ed i più fortunati degli uomini. Di qui il loro grande disprezzo per ogni istruzione, e per chiunque volesse istruirli. Questa folle presunzione, congiunta alla più brutale ferocia, avrebbe fatto disperare di loro conversione, se la grazia divina non fosse stata capace di suscitar dalle pietre stesse figliuoli ad Abramo.

VIII.

Molti missionarii diedero la vita nella coraggiosa impresa di cacciar satana da questo covile, che pareva impenetrabile. Cosi il sangue de martiri fecondò questa terra ingrata, e dodici popoli che l’abitavano, richiamati dall’estremo della barbarie alla dignità umana, furono inalzati fino al carattere di cristiano [Touron, Hist. t. XIV, p. 241]. Ecco quel che accadeva presso i Mussi prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

IX.

Per rapporto ai costumi, era vi molta analogia fra i Mussi e i Picaos loro vicini. Questi avevano pure un carattere particolare di ferocia. Usi a vivere da animali carnivori, si nutrivano di carne umana, di cui avevano pubblici macelli. Le loro frecce erano come quelle de’ Mussi avvelenate; e ne avevano altre che mettevano fuoco a qualunque combustibile toccassero. Armi funeste, con le quali portavano il terrore in tutte le tribù vicine. Allorché nel 1605, il presidente della Nuova Granata assali i Picaos nel proprio territorio, le frecce del nemico volarono fino al campo degli Spagnuoli, e ne bruciarono le tende, i bagagli e i viveri. Nondimeno, questi terribili selvaggi subirono l’influenza del Clericalismo e divennero dolci siccome agnelli. L’eccellente padre Mancera rallegravasi in Dio del successo che veniva ottenendo in una delle provincie del regno della Nuova Granata. Volando a nuove conquiste, arrivò nella provincia di Guacheta; vi predicò e vi guadagnò un certo numero di anime.

X.

Passeggiando un giorno per la campagna, incontrò un ecclesiastico che gli diede le seguenti informazioni: « In certe epoche dell’anno, gli disse, i Guachetani ed una tribù vicina si recano a truppa in un medesimo luogo, ed ivi si danno ad un preteso giuoco appellato mona, ma che è un vero combattimento dove i vincitori e i vinti spargono moltissimo sangue, e che termina con sacrifici umani. »

XI.

Il padre Mancera fu egli stesso testimone oculare della sanguinosa abominazione. Pregato d’andare a conferire il Battesimo ad un piccolo fanciullo in pericolo di morte, vi si portò con tutta fretta, accompagnato dal medesimo ecclesiastico. Amministrato il battesimo, i due missionari passeggiavano su di un’altura, donde scorsero le due popolazioni venire alle mani in una vasta pianura. Prendendo la via che menava al campo di battaglia, s’imbatterono in un idolo gigantesco e mostruoso, piantato sopra un piedistallo che era tutto insanguinato. E compresero essersi su quell’altare immolate vittime umane al demonio.

XII.

Invece di slanciarsi inutilmente in mezzo all’accanito combattimento, il padre Mancera, col cuore trafitto dal dolore, va diritto a Guacheta. Appena riunitisi come eran soliti attorno a lui quei cittadini, ei parla con fuoco su quanto aveva veduto. Commossi fino alle lacrime, i suoi uditori convengono non solo sulla realtà del delitto, ma aggiungono che in ciascuna settimana era scannnato sul piedistallo un innocente garzone di quattordici anni. Il missionario, profittando delle buone disposizioni dell’uditorio, ordina che coloro i quali vogliono essere riconosciuti per cristiani, lo seguano all’istante per eseguir quanto egli loro prescriverà. Si conduce dinanzi all’idolo, e lo fa rovesciare e trasportare sulla piazza pubblica di Guacheta.

XIII.

Intanto i combattenti nella pianura, informati del rapimento del loro dio, accorrono per riprenderlo e vendicarlo. Vedendoli approssimare accesi di collera, il padre non prova la minima emozione. La sua parola inspirata li rende immobili. Senza dire una parola, essi lo vedono sputare all’idolo, calpestarlo e ridurlo in fiamme. Confusi allora dall’impotenza della loro divinità, confessano altamente d’essere stati ingannati, siccome i padri loro, ed abbracciano sinceramente il Cristianesimo. Ecco quel che accadeva a Guacheta prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone! [Continua …]