LO SPIRITISMO (2)

CAPITOLO XXXIV.

(seguito del precedente.)

Frutti dello spiritismo — Negazione sempre più generale del Cristianesimo — Libertà data a tutte le passioni — Pazzia — Suicidio — Statistiche — Ultimo ostacolo all’invadimento satanico: il Papato — Grido della presente guerra : Roma o morte — Timore, generale sentimento d’Europa — Unico mezzo di calmarlo rimettersi sotto il governo dello Spirito Santo — maniera di farlo.

La novella religione dà i suoi frutti. È dote essenziale d’ogni dottrina concretarsi in fatti, che ne sono i frutti naturali. Sinora, fra i più palesi effetti dello spiritismo s’annovera, nell’ordine religioso, la negazione che si fa sempre più generale del Cristianesimo, come opera divina e come religione positiva; il diminuirsi del timore de’ divini giudizi, la fede della metempsicosi, la quale portando in pieno secolo decimonono gli errori dello gnosticismo teorico, mena allo gnosticismo pratico, vale a dire allo sbrigliamento degli scorretti appetiti. – E potrebbe forse accadere altrimenti? Venir fuori a proclamare in mezzo ad un mondo come il nostro, che le pratiche del cattolicismo punto non sono obbligatorie; e che qualunque vita s’abbia menata, se ne potrà saldare i conti con pene transitorie; che queste pene medesime andranno sempre scemando, finché si giunga a perfetta ed eterna felicità; non è egli un gettar legna sul fuoco e stimolar le passioni in modo terribilmente efficace? « Le strade derivate, dicono con ragione gli spiritisti, hanno fatto cadere le barriere materiali. La parola d’ordine dello spiritismo: senza carità non vi è salute, farà cadere tutte le barriere morali. Farà in special maniera cessare l’antagonismo religioso, cagione di tanti odi e sanguinosi conflitti; attesoché allora ebrei, cattolici, protestanti, turchi, si stenderanno la mano, adorando, ciascuno alla sua maniera, l’unico Iddio di misericordia e di pace ch’é lo stesso per tutti. [Rivista spiritisti a , ivi, p. 23.]- [Questi concetti di spiritismo pratico, o satanismo operante, sono oggi addirittura spacciati dal “novus ordo” degli adoratori del baphomet-luciferino, nei sacri palazzi un tempo cattolici, come modello per i fedeli-ignoranti che si pretendono cattolici –ndr.-] » E in altro luogo: «Il principio della pluralità delle esistenze, ha soprattutto una singolare tendenza a entrar nell’opinione delle moltitudini, e nella filosofìa moderna. » [Ivi,, p. 5.]. E noi lo crediamo facilmente. Di tutti questi errori più o meno seducenti, qual’ è il finale resultato? quello che il demonio ha sempre ambito e che unicamente ambisce: la perdita delle anime, cioè la separazione eterna del Verbo redentore: « Satana, dice san Cipriano, non ha altro desiderio che di allontanare gli uomini da Dio e attirarli al suo culto, togliendo loro l’intelligenza della vera religione. Punto». egli cerca di farsi dei compagni del suo supplizio, di coloro che rende con i suoi inganni, partecipi del suo delitto.» – E sant’Agostino: «I demoni fìngono d’essere costretti dai maghi a cui obbediscono volentieri, a fine di allacciarli essi e gli altri, più fortemente nelle loro reti e di ritenerveli. » « Il demonio, aggiunge Alfonso di Castro, finge d’esser preso per prenderti meglio; vinto, a fine di vincerti, sottomesso alla tua volontà, per sottometterti alla sua; prigioniero per metterti nei suoi ferri; finge d’essere attaccato, per le tue invocazioni ad una statua, ad una pietra (a una tavola) all’oggetto di attaccarti con le catene del peccato e di trascinarti nell’inferno. » E in mezzo a nazioni battezzate, si lascia tranquillamente propagarsi una simile religione? – Nell’ordine sociale, i suoi effetti non sono punto meno funesti. Per ciò stesso che egli tende a distruggere il Cristianesimo, lo spiritismo prepara la rovina della società. Bisogna aggiungere che i principali agenti della Rivoluzione europea sono spiritisti, e che gli oracoli degli Spiriti, circa i futuri avvenimenti sono mandati da Garibaldi. Fra esso e i capi dello spiritismo vi è una attivissima corrispondenza. Nell’ordine civile o domestico, la nuova Religione si rivela con la pazzia e col suicidio. Cosi doveva essere. satana é l’implacabile nemico dell’uomo: chiunque scherza con esso, scherza col fuoco. Vittima della sua temerità, egli si trova colla pazzia quando credeva abbracciar la ragione: in seno alla morte, credendo andare alla vita: imperocché, uccidere l’uomo nell’anima e nel corpo, è il supremo intento del grande omicida. – Son questi adunque i due grandi contrassegni del regno di satana, che si manifestano sul mondo presente, segni che lo Spiritismo ha resi più che mai chiari e spiccati. Ahimè! guardate che terribile forza ha la muta eloquenza delle seguenti cifre. Il numero dei pazzi in cura ne’manicomi in Francia, era nel 1835, quando s’ebbe a farne per la prima volta il novero, di 10,539. Nel 1851, di pazzi o scemi, ricoverati ne’pubblici ospizi, o dimoranti nelle loro case, se ne contarono 44,960. Nel 1856 il numero dei pazzi propriamente detti crebbe a 35,031; dei quali 11,714 nelle loro case, e 23,515 negli spedali. Nel 1861, negli 86 dipartimenti dell’antica Francia, si contarono 14,853 pazzi propriamente detti a domicilio, e quindi quasi 20 per cento più che nel 1856. Il l° gennaio del 1860, il numero de’pazzi negli spedali era di 28,706. « Siccome questo numero cresce incessantemente; noi non esitiamo punto a metterlo, pel giugno 1861, di 29;500: onde risulterebbe un totale di 44,353 pazzi, nei manicomi o a domicilio. Sommando insieme pazzi, scemi e cretini, si ha per l’antica Francia, nel 1861, un totale di 80,839 di cotesti infermi. » [Giornale della Società di statistica di Parigi. Del movimento dell’alienazione mentale, ecc., del signor Legoyfc capo di divisione e di statistica generale in Francia, marzo 1863. — L’Inghilterra segue lo stessa progresso. Al 1° gennaio 1864 vi si contavano 44,695 pazzi per l’ Inghilterra e il paese di Galles, e questo numero non rappresenta tutto che imperfettamente le reali proporzioni della pazzia in tutto il regno.]. – Dal che si vede che nei ventisei ultimi passati anni il numero dei pazzi noverati in Francia si è quasi triplicato. [Statistica della Francia . 2a serie, t. III, 2a parte — e Censimento del ministero dell’Interno, 1861.] – Non è altrimenti un calunniare lo spiritismo, l’attribuirgli gran parte del merito di cotesto bel progresso. Or sono dieci anni, negli Stati Uniti, si calcolava che nei casi di pazzia e di suicidio esso ci entrava per un decimo. In un suo ragguaglio sullo Spiritismo, considerato come causa di pazzia, e letto recentemente alla società degli studi medici di Lione, il Dott. Burlet cosi riepilogava le sue conclusioni: « L’influenza della pretesa dottrina spiritica è oggidì ben dimostrata dalla scienza. Le osservazioni che la mostrano vera e reale si contano a migliaia. Ci sembra cosa posta fuori di dubbio che lo spiritismo può venir collocato fra le più feconde cagioni dell’alienazione mentale » [Nampon, Disc. sullo spirit., p. 41 e 43]. E una lettera da Lione, posteriore a codesto ragguaglio dice: « È un fatto, che, dopo l’invasione dello Spiritismo nelle nostre mura, il numero di coloro che s’ebbero a chiudere nell’ospedale per cagione di pazzia, si è più che duplicato. » Somigliante progresso appalesasi dovunque pianta le sue tende lo spiritismo. L’arcivescovo di Bordeaux, in una sua pastorale per la Quaresima del 1863, diceva al suo clero: « Difendete la cattolica verità contro le pratiche misteriose, le evocazioni, le malie, cose che rammentano tristi epoche nella storia del mondo, e che, troppo sovente, hanno, fra gli altri loro lacrimevoli effetti, quello altresì di produrre la pazzia. » E, notato che il numero dei pazzi si è in questi ultimi tempi triplicato, il cardinale soggiunge: « Sì è giunti, fra le congreghe, che noi crediamo dover nostro segnalare alla sollecitudine deinostri padri di famiglia, al segno di formulare dottrine contrarie a quelle della Chiesa. State costantemente sulla breccia; allontanate i fedeli da’luoghi in cui si esercitano queste dannevoli superstizioni.» Segno manifesto dell’influenza del demonio si è, anco  più della pazzia, il suicidio. Suprema violazione della legge divina, negazione assoluta della fede del genere umano, questo disperato delitto non è in natura. Ogni essere ripugna alla sua propria distruzione: mortem horret, dice sant’Agostino, non opinio sed natura, di guisa che le bestie medesime non si uccidono volontariamente. Il pensiero del suicidio, che rende l’uomo inferiore alle bestie, non può dunque venirgli che da suggestione fuori della sua natura. Ora, gli ispiratori del pensiero sono due soltanto: Lo Spirito Santo, e Satana. Non viene dallo Spirito Santo: che anzi lo vieta e condanna: Non occides. Viene dunque da satana, il grande omicida, che, fin dal principio del mondo, non ha mai cessato, e non cesserà mai, di odiare l’uomo di mortalissimo odio. E se vien dal demonio il pensiero, che dire del delitto stesso del suicidio ? Per spingere l’uomo a distruggere sé stesso, oh Dio! che dominio non bisogna mai che abbia sopra di lui! E l’uomo suicida, quanto più consuma l’orrendo delitto a sangue freddo, dà segno che è tanto meno libero di sé  stesso: proprio com’è il moderno suicidio. Pertanto, tutte le volte che sentirete dire che un uomo s’é dato a sangue freddo la morte, dite pure francamente, ch’egli era in balìa del demonio. Parimente se troverete nella storia tempo, in cui il suicidio si mostri più frequente, dite pure anche allora: il demonio in questo tempo volle avere una gran signoria. E se voi v’abbattete a trovar tempo in cui il suicidio sia più frequente che in altri mai; che lo si commetta a sangue freddo, per qualsiasi motivo, in ogni età e condizione dell’uomo; in modo insomma che cessi d’incutere orrore e spavento, ahimè! quello sarà tempo di dover tremare. E si ha un bel negarlo, ma pur troppo si può dirlo ad alta voce, e senza paura di errare, che il demonio sul tempo nostro regna con signoria, quasi diremmo, sovrana: la storia é li pronta a confermarlo. Quando, nell’antico mondo, il suicidio desolava in miseranda guisa l’umana società, il regno di satana era al suo apogèo: codesto delitto n’è il segno e la misura. Divenuto simile alla Bestia che adorava, l’uomo s’era abbrutito. E non credeva più a nulla, nemmeno a sé stesso: a sanare il mondo, a purgarlo della profonda sua corruzione, ci voleva il ferro dei barbari, e il diluvio di sangue. Scacciato dal Cristianesimo, il suicidio ricomparve in Europa in un col Risorgimento; in modo che di mano in mano che questo andava recando i suoi frutti, il suicidio cresceva ancor esso; imperocché egli è uno di quei frutti. Presentemente s’è fatto tale che, in questa parte, i tempi nostri passano gli antichi. Lo si commette per i più leggieri motivi, da uomini e donne, da fanciulli e da vecchi, da ricchi e da poveri, nelle campagne, del pari che nelle città. Non fa più orrore né spavento: se ne leggono i casi come una novella della giornata. La, legge civile più non lo punisce: e sa male che la Chiesa il condanni: per la coscienza di molti non è più manco peccato. – Volete vedere, nel suo laido splendore, codesto segno, del regno di Satana sul mondo presente ? Nel 1783, Mercier scriveva nel suo Quadro di Parigi: « Da alcuni anni in qua, si contano circa venticinque suicidi per anno, in Parigi. » E nelle provincie, allora, era delitto quasiché ignoto, e sempre orribile; cosicché un solo caso che ne avvenisse, bastava a gettar lo spavento in tutto un paese. Mezzo secolo dopo il Mercier, Parigi fu spettatrice di cinquantasei suicidi in un mese. Del resto, ecco qui, per la Francia, la statistica ufficiale del suicidio nel 1861. « Il numero de’ suicidi in Francia è, tratta una media, da 10 a 11 al di, cioè 3899 all’ anno. « Figurano in cotesto numero 842 donne, e 3057 uomini: 16 fanciulli furono suicidi: 9 di 15 anni ; 3 di 14: 2 di 13: 2 di 11, « 49 nonagenari, di cui 38 uomini, e 11 donne. » [Statistic a pubblicata dal Ministero della giustizia. Nel 1866 il numero dei suicidi in Francia è stato di 5,119, cioè 173 di più che nel 1865. S tatistica id. 1868.]. – Da quanto reca l’esattissimo e molto ben fatto libro intitolato: Del suicidio in Francia, pubblicato nel 1862, dal sig. Ippolito Blanc, capo d’uffizio nel ministero dell’istruzione pubblica, il numero dei suicidi in Francia, dal 1827 al 1858, vale a dire in 32 anni, crebbe sino all’ enorme somma totale di 99,662. Gran Dio, in trentadue anni, nel regno cristianissimo, novantanove mila uomini volontariamente uccisi di propria mano! Sarà egli lo Spirito Santo che ha ispirato sì orrenda strage ? E poi si nega l’operar di satana sul mondo! E si celia su d’esso! E si parla di miglioramento morale sempre crescente! – E non è da pretermettere che la Frància, in cotesto satanico macello, punto non fa eccezione: anzi in tal progresso di nuovo genere non primeggia nè anco. Da’ quanto ricavasi dai più recenti documenti ufficiali, i vari stati d’Eùropa danno; sovra un milione di abitanti, i seguenti numeri di suicidi:

.- Belgio ……. 57  – Prussia…………………. 108

.- Svezia…………………. 67 – Sassonia…………… 202

.- Inghilterra……………. 84 – Ginevra…………………..267

.- Francia ………. 100   .- Danimarca ………………….. 288 –

.- Norvegia……………….108 [Annali d’igiene pubblica, gennaio 1862, p. 85. Quanto alla Russia, ecco quel.che ne dice il sig. D. K. Schedo-Ferroti nei suoi Studi sull’avvenire della Russia, pubblicati in Berlino, 1863. « Si conta gran numero di sètte in Russia; eccone qui alcune, che più vannp segnalate per la stravaganza delle loro dottrine. « I Kapitoni, cosi detti dal loro capo, il monaco Kapiton, formano la più antica delle sètte, senza clero: essi considerano il suicidarsi per la fede come la più meritoria delle azioni. « I bespopowzì, della Siberia, credono che 1’Anticristo è venuto e regna sulla chiesa russa, onde fa d’uopo evitare ogni contatto coi suoi servi o aderenti. Come buon mezzo d’involarsi al pericolo di cader vittima delle astuzie del demonio, raccomandano specialmente il suicidio col fuoco; e tali raccomandazioni non sono punto vane ; attesoché, in un dì, 1700 persone perirono volontariamente per via dell’immacolato battesimo del fuoco, implorato dal loro capo. – « I pomoreni e i fllipponi professano la stessa credenza sull’efficacia del suicidio per la fede. « Ve ne sono dei mostruosi, come per es. gli uccisori di bambini, i quali stimano atto meritorio mandare al cielo l’anima di un tenero bambino: i soffocatori, i quali credono che il cielo non sarà aperto se non a coloro che muoiono di morte violenta, e si fanno un dovere di soffocare o accoppare quei dei loro congiunti, nei quali una qualche grave malattia faccia temer la sventura d’una morte naturale. Anzi i più fanatici spacciano fin anche i loro amici vegeti e sani. – Oggi le “società sedicenti civili, lo fanno con l’eutanasia” – ndr. –]. – E in questo conto non entrano che i suicidi ufficialmente denunziati. Quanti ve n’ha che, per un motivo o per un altro, sfuggono alla pubblicità ufficiale! Tale si è la sanguinosa via in cui, da quattro secoli, cammina l’Europa, l’antica Città del bene. Al vedere il suicidio, abolito già dal Cristianesimo, tornato, col Risorgimento, endemico in Europa, che altro conchiuderne se non che il Risorgimento fu il ritorno del Satanismo in Europa: che il grande omicida ha ricuperato parte del suo impero e regna sui nuovi suoi soggetti con signoria pari all’antica? che dico? con signoria ancora più estesa; attesoché la si vede, a certi segni, maggiore d’ assai dell’antica. – E lo spiritismo la va facendo crescere sempre più [Ecco alcune confessioni che abbiamo raccolte dalla bocca stessa di spiritisti avanzatissimi nelle pratiche dello spiritismo, e testimoni dei fatti che ci confidavano. « Lo spiritismo è pieno di pericoli per la salute a ed anche per la vita. Dappertutto ove si sviluppa con una certa intensità, sorgono malattie anomali, un immenso numero di casi di pazzia e la deplorevole propagazione del suicidio, che vanno a colpire coloro che vi si danno con ardore. » Ravvedutisi non senza fatica dei loro errori, gli stessi spiritisti ci riferivano moltissimi casi di suicidio e di follia, avvenuti tra i loro fratelli in spiritismo. La loro testimonianza non faceva che confermare la nostra personale esperienza» A questo proposito la Vera buona novella racconta che a Firenze dove il magnetismo ed il sonnambulismo contano numerosi osservanti, un empio si è dato al mestiere dello spiritismo. Egli ha trovato per medium una povera giovane, e si è messo ad evocare gli spiriti infernali. A forza di essere chiamati, gli spiriti, che non sono sordi, sono venuti: son venuti così spesso che hanno stimato per la più corta di stabilirsi a dimora presso la giovane, la quale a quest’ora, è diventata ossessa e sul punto di morire.]; imperocché lo spiritismo toglie il timor dell’inferno, anzi gli spiriti bene, spesso invitano a venir con essi i viventi e ad entrare, per via della morte, in una nuova incarnazione più perfetta, od anche a godersi lo stato di puri spiriti. Da quanto confessano gli spiritisti medesimi, confermato dai molti fatti riferiti dai giornali, dalle osservazioni dei medici, dai ragguagli datine dalle famiglie, risulta pur troppo chiarissima l’influenza omicida della novella religione. – Si giudichi adesso se la Chiesa ha avuto ragione di condannare gli spiriti, i sonnambuli, i magnetizzatori, i loro libri e le loro pratiche. Sino dall’anno 1856, il Sommo Pontefice segnalava le pratiche diaboliche che avevano per fine di evocare le anime dei morti, e raccomandava a tutti i vescovi del mondo cattolico di adoperare tutte le forze, per estirpare queste pratiche abusive. [Enciclica del 4 agosto 1856].  – Quantunque il decreto non nomini lo spiritismo col suo proprio nome, attesoché a quest’ epoca non si era ancor bene smascherato, nulladimeno egli è chiaramente condannato con queste parole: evocare le anime del morti e ottenere risposte, è una cosa illecita ed eretica. Più tardi, avvenne più direttamente, allorquando lo stesso Pio IX, mediante il decreto della S. Congregazione del Santo Uffizio data del 20 aprile, e della Congregazione del Concilio del 25 dello stesso mese 1864 condannò tutte le opere di Allan Kardec, che trattano dello spiritismo, e tutte le altre opere concernenti le stesse materie: omnes libri similia tractantes. – Infine il Padre Perrone, gesuita romano, stabilì teologicamente la proposizione seguente che è la condanna delle moderne pratiche diaboliche: « Il magnetismo animale, il sonnambulismo e lo spiritismo nel loro insieme non sono altra cosa che la restaurazione della superstizione pagana e dell’impero del demonio. [De Virt. Relig. Etc., p. 351] – Una sola cosa impedisce tuttavia allo spiritismo di recare tutti i suoi frutti: il Cattolicesimo. Or il Cattolicesimo si personifica nel Papato; e satana lo sa molto meglio ancora di Garibaldi e Mazzini. Quindi i fatti,di cui siamo spettatori: l’accanita sua guerra contro di Roma. Dal suo babelico concilio fino alla venuta del Messia, i perseveranti sforzi del principe delle tenebre mirarono ad un solo scopo: formare la sua gigantesca città, e stabilirne Roma capitale. Ci riuscì, imperocché con l’essere padrone di Roma, era padrone del mondo. Ed invero, non sì tosto comparvero gli Apostoli armati di Spirito Santo, Roma diventò l’oggetto del combattimento. Roma o Morte., era il grido della Città del bene e della Città del male, che per tre secoli echeggio da Oriente ad Occidente; ed undici milioni di martiri attestano quanto grande fosse e tremendo il conflitto. – Per il Verbo incarnato, Roma vuol dir l’impero: per satana, morte vuol dire perdita di Roma e dell’impero., Chi non resterà stupito al vedere, dopo diciotto secoli, Roma diventare un’altra volta oggetto della pugna; ed il grido di guerra Roma o morte servire di parola d’intesa ai due campi opposti? Fra tutti i segni dei tempi, questo, per nostro avviso, non è punto il meno degno di attenzione. Che Roma sia il grido del mondo attuale, il grido che passa ogni altro, è fatto che non ha bisogno di prova. Re e popoli, diplomatici e filosofi, scrittori e soldati, cattolici e rivoluzionari, tutti agognano Roma per diversi motivi. Oggidì più che mai l’odio e l’amore si contendono Roma; e tutto ciò che parla di Roma scuote gli animi, ed eccita la duplice passione del bene e del male.- Questo dramma supremo, di che il mondo fu spettatore solo una volta, di che cosa è prova? Di quel medesimo che diciotto secoli fa. Prova che Roma è la regina del mondo; prova che satana, cacciato di regno, e stretto in catene dal Redentore, tenta spezzare quelle catene e rifare la sua città; città formidabile, in quanto che va composta di gran parte d’Europa, tolta al Cristianesimo. Prova che, per ricostituirla qual era una volta, non gli resta più che renderle Roma, sua antica capitale; ch’ei la vuole ad ogni costo, e per conquistarla cammina alla testa d’immenso esercito di rinnegati, non facendo, come già altre volte, distinzione tra mezzo e mezzo, e ripromettendosi una non lontana vittoria, la quale, giusta il detto di Pio IX, rìcomincierà l’era dei Cesari e dei secoli pagani, vale a dire farà ricadere il mondo nella morale e materiale schiavitù, da cui lo aveva liberato il cristianesimo.[Encic. 8 ic. 1849]. – Detto verissimo. Ora s’egli è chiaro che il mondo va sempre peggio sottraendosi all’influenza dello Spirito Santo, è chiaro non meno che esso cade, in pari misura, sotto l’impero dello Spirito maligno, e si sottopone per sua grande sventura a tutte le conseguenze della sua colpevole infedeltà. Il passato è storia dell’avvenire. Non ostante le lusinghiere predizioni dei loro falsi profeti, i popoli dei tempi nostri hanno un cotal presentimento di quel che li aspetta: essi hanno paura. È questo indefinibile sentimento, ignoto in tempi regolari, un contrassegno dei nostri. – L’Europa soggioga città reputate inespugnabili, e pure ha paura. Con pochi soldati ottiene, in lontani paesi, splendide vittorie su potenti nemici, e pure ha paura. Vegliano alla sua difesa quattro milioni di baionette, e pure ha paura. Doma gli elementi, annulla le distanze da popoli a popoli, vanta i prodigi della sua industria; l’oro scorre abbondante nelle sue mani; alle rustiche divise ha sostituita la seta; la natura tutta s’è fatta tributaria del suo lusso; la sua vita somiglia al convito di Baldassarre; e pure ha paura. Dappertutto regna la paura. Le nazioni hanno paura delle nazioni: i re hanno paura dei popoli, e i popoli hanno paura dei re. L’uomo ha paura dell’uomo. La società ha paura del presente, e più ancora dell’avvenire ; chi ha paura di qualcheduno, o di qualche cosa, il cui nome è un mistero. Perché ha ella paura ? Perché l’istinto della sua propria conservazione 1’avverte che non è più retta dallo spirito di verità, di giustizia, di carità, senza del quale non v’ha ordine possibile, né società durevole, né sicurezza per alcuno. E questo temere non è altrimenti vano. Per le nazioni si come per gl’individui, tra la Città del bene e la Città del male, tra Cristo e Belial, non si dà punto di mezzo. – Or, ritornando nel mondo, satana, checché ne dicono i suoi apologisti, ci ritorna qual è, fu, e sarà sempre: l’odio. Lasciate che cotesto forzato dell’inferno, esca della sua galera, sciolto e libero della camicia di forza che si chiama Cattolicesimo, e vedrete quel che farà. Padre della superbia e della crudeltà, della menzogna e della voluttà fallace, farà domani quello che ha fatto in tutti i tempi che fu dio e re, quel che seguita a far tuttavia in tutti i popoli ancor sottoposti al suo impero. La guerra sarà generale; la terra diventerà un campo di rovine; lacrime e sangue scorreranno a torrenti: il genere umano avvilito, sarà fatto segno ad Oltraggi non rammentati ancor dalla storia, giusto castigo di una ribellione allo Spirito Santo, simile al’quale la storia parimente non conta. Salvo un miracolo, tale si è, non accade dissimularlo, lo spalancato abisso, a cui camminiamo. Come arrestarci sul fatale pendio? Via tutti i mezzi di salvamento, che viene a proporre 1’umana sapienza. No, cento volte no; l’Europa infedele allo Spirito Santo non sarà salvata né dalla filosofia, né dalla diplomazia, né dall’assolutismo, né dalla democrazia, né dall’ oro, né dall’industria, né dalle arti, né dalle banche, né dal vapore, né dall’elettrico, né dal lusso, né dalle belle parole, né dalle baionette, né dai cannoni rigati, né dalle navi corazzate. Come dunque vorrà ella esser salvata, se lo dev’essere? La risposta è facile: perdutosi per essersi dato in braccio allo spirito del male, il mondo moderno sì come 1’antico, non andrà salvo che col darsi allo spirito del bene. Il flgliuol prodigo non risorge a vita se non ritornando nelle braccia di suo padre. Attesi gl’incalcolabili pericoli onde, nell’ora che corre, è minacciata la vecchia Europa, questo ritorno allo Spirito Santo, pronto, sincero, universale, è la prima necessità urgentissima. A fine di farla vedere finanche ai ciechi, noi ci siamo indotti a rinfrescar la memoria dell’esistenza, dimenticata troppo, dei due spiriti opposti, che si contendono l’impero del mondo e con sovrana autorità lo governano: e abbiamo posta in chiaro l’ineluttabile alternativa, in cui si trova il genere umano, di vivere sotto l’impero dell’uno ò dell’altro. Finalmente la storia universale, riepilogata in breve nella descrizione parallela delle due Città, ci ha detto quel che ridonda all’uomo dall’essere cittadino della Città del bene, o cittadino della Città del male. – Ma il solo sapere quel che bisogna fare, punto non basta, e resta a indicare i mezzi corrispondenti. I quali tutti consistono e riduconsi nel conoscere lo Spirito Santo, all’oggetto di amarlo, invocarlo, rimetterci sotto il suo impero, e restarvi. Finora abbiamo mostrata l’opera più dell’artefice: l’opera esteriore e generale, più che l’opera intima e particolare; il corpo piuttosto che l’anima. Or’è d’uopo far conoscere in se stessa quest’Anima divina dell’uomo e del mondo: questo Spirito Creatore, a cui il cielo e la terra vanno debitori del loro splendido ammanto: questo Spirito vivificatore, che ci nutre come l’aria, che ci circonda come la luce: questo Spirito santificatore, Autore del mondo della grazia e delle sue magnifiche realtà. E’ si vogliono spiegare le multiformi sue operazioni nell’ordine della natura e nell’ordine della grazia, si nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Teologica, acciocché sia esatta; semplice e in certo modo catechetica, acciocché la verità sia nelle mani del Sacerdote un pane più facile a rompere alle menti meno forti e capaci, tale dev’essere la seconda parte del nostro lavoro. La quale, diciamolo schiettamente, è, più ancor della prima, superiore alle nostre forze. Vi ci accingiamo tuttavia, confortati nella nostra debolezza da due cose: cioè dalla benevola indulgenza delle persone illuminate, le quali intendono la difficoltà di tale lavoro; e dalla infinita bontà di Colui per cui lavoriamo : “Da mihi sedium tuarum assistricem saptentiamut im eum sit et mecum làboret” [Sap., IX, 4.].

LO SPIRITISMO (1)

 

[J.- J. Gaume – “Il Trattato dello Spirito Santo” – Firenze, 1887: Vol. I, Capp. XXXIII e XXXIV]

Capit. XXXIII

Lo Spiritismo.

Farsi adorare, supremo scopo di Satana — Lo spiritismo — Sua apparizione — Sua pratica — Sua dottrina — Sue mire — Forma una nuova religione — Suo simbolo — Suoi regolamenti — Sue finanze — Suoi mezzi di propagazione — Numero crescente dei suoi adepti.

Farsi adorare, il Verbo incarnato è re, è Dio: per tale duplice titolo a Lui spettano gli omaggi e le adorazioni del genere umano. Satana, implacabile nemico del Verbo, vuole ad ogni costo pigliarne il posto, e come re e come Dio. Tale si è lo scopo supremo cui sempre mirò, cui ottenne nel mondo antico, e ancora ottiene in tutti i popoli non cristiani. La storia entra come testimone di questo fatto, antico quanto l’umana progenie. A tale uopo, nel mondo antico, egli aveva diffuso tre grandi errori, che arretravano tutta quanta la terra: il panteismo, il materialismo ed il razionalismo. Piantati negli animi, questi tre errori soppiantavano radicalmente il Verbo Redentore, la cui Incarnazione pareva quindi impossibile, oppure incredibile. Preparato in questa guisa il terreno, satana montava a piè pari sui troni e sugli altari. E la ragione n’è semplice assai: l’uomo non può stare senza un Signore né un Dio. Creato per ubbidire e adorare, bisogna, checché egli faccia, che ubbidisca e adori: Gesù Cristo Dio e re, ovvero satana dio e re, non c’é via di mezzo. Or, esaminando gli errori dominanti nell’Europa moderna, agevolmente, si trova che si riducono ai tre antichi sistemi; il panteismo, il materialismo ed il razionalismo. Adesso come in antico, il supremo loro termine è la distruzione del domma dell’incarnazione. Se tutto è Dio, non accade incarnazione veruna: se tutto è materia, incarnazione non si dà: se non v’ha verità che passi i limiti della ragione, non occorre parlar di misteri, e perciò nemmeno d’Incarnazione. Fa egli mestieri di dire che la negazione diretta di questo domma fondamentale torna a saltar fuori fra noi con tale sfoggio di audace ignoranza, qual non s’era mai visto dal Vangelo in poi? E s’ha egli ad aggiungere che la si vede accolta con tale calore da doverne chinare la fronte per la vergogna e tremare? È un segno dei tempi. Senza l’elemento cattolico, che lotta tuttavia per mantenere sul divino suo seggio la persona del Verbo incarnato, il mondo presente tornerebbe come l’antico. E quanto più quell’elemento viene scemando, tanto più s’appiana la via al demonio per risalire sovra i suoi antichi altari. La ragione lo dice, e la storia lo conferma: l’uomo presente siccome l’antico ha bisogno d’un Dio: detronizzando il Verbo, si cade in satana. – Al mirare l’Europa volgente le spalle al Cristianesimo, tale caduta potevasi preveder facilmente: e v’ebbe chi la previde, annunziò, dimostrò da più di venti anni. Ma i veggenti furono trattati da sognatori. Nel secolo decimonono, il mondo tornare al paganesimo! Insensato chi il dice, sciocco chi il crede. Intanto, il paganesimo, ne’ suoi elementi costitutivi, seguitava ad invadere la società; già era il paganesimo stesso. Per paganizzare gli animi, non fa altrimenti mestieri trarre fuori idoli materiali: il mondo era pagano prima che la mano dell’uomo presentasse alle sue adorazioni dèi di marmo o di bronzo. Il paganesimo è la negazione del Verbo incarnato e del sovrannaturale divino; e, qual conseguenza inevitabile, l’adorazione di ciò che non è il vero Dio, di ciò che non è il vero sovrannaturale. Or, adorare ciò che non è il vero Dio, è adorare un dio falso, è adorare satana, è essere pagano. « Abbia o non abbia l’oggetto dell’idolatria una forma plastica, è nondimeno sempre idolatria, » così Tertulliano. – Siccome l’anima chiama il corpo, così il culto interiore chiama il culto esteriore. In antico, satana godevasi l’uno e l’altro; e ancor se li gode nei popoli idolatri. Or bene, satana punto non muta né invecchia. E’ vuol essere quel che già fu: avere quello che già ebbe. E lo vuole tanto più, in quanto che gli oracoli, le evocazioni, le apparizioni, le guarigioni, i prestigi erano il precipuo mezzo del suo regno, e parte integrante della sua religione. Era dunque più che certo che tosto o tardi, sarebbe ritornato con tutto quell’accompagnamento di pratiche vittoriose, destramente modificate secondo i tempi e le persone. Cosi parlava la logica, la quale aspettava con fede, anzi, con terrore, la conferma dei suoi ragionamenti. Stavano le cose in questi termini, quand’ecco, nel popolo più razionalista del mondo, apparire mille strani fenomeni, attribuiti ad agenti sovrannaturali, e al cui aggregato, fu dato il nome di Spiritismo, ossia Religione degli spiriti. Uno de’ suoi pontefici ve ne fa la storia cosi: « Verso il 1850, la pubblica attenzione venne, negli Stati Uniti d’America, chiamata su diversi fenomeni strani, consistenti in rumori, colpi e movimenti d’oggetti, senza causa conosciuta. Tali fenomeni accadevano spesso spontaneamente, con intensità e persistenza singolari; ma si notò ancora che in più speciale maniera manifestavansi sotto l’influenza di certe persone, alle quali si diede il nome di Mediums, è che in certa qual maniera potevano eccitarli a lor senno: onde s’ebbe modo di replicare gli esperimenti. « S’adoperarono a tale uopo specialmente tavole; non perché tale oggetto vada meglio d’un altro; ma solo perché é mobile, più comodo, s’ebbero giri della tavola, poi movimenti in tutti i versi, scosse, arrovesciamenti, alzamenti, forti colpi, ecc. È il fenomeno che in principio chiamavasi delle Tavole giranti ». «Non si tardò a riconoscere, in quei fenomeni, effetti intelligenti: infatti il muoversi della tavola ubbidiva alla volontà: la tavola volgevasi a destra od a sinistra, verso una persona designata, drizzavasi, al comando: su uno o due piedi picchiava il richiesto numero di colpi, batteva il tempo, ecc. Restò fin d’allora evidente che la cagione di tali fenomeni punto non era meramente fisica; e, secondo 1’assioma: Se ogni effetto ha una causa, ogni effetto intelligente deve avere una causa intelligente, si conchiuse che la causa di tale fenomeno doveva essere un’intelligenza. » Non c’è che dire; il ragionamento è giusto, sì come il fatto medesimo è incontestabile; ma quale si era la natura di questa intelligenza? Qui stava il punto: « Cosi sul primo si pensò che potesse essere un riflesso dell’intelligenza del medium, o degli astanti: ma l’esperienza mostrò che questo era impossibile; attesoché, si ottennero cose interamente estranee al pensiero ed alle cognizioni delle persone presenti, ed anzi contrarie alle loro idee, volontà, desideri: non poteva dunque appartenere che ad un essere invisibile. E semplicissimo era il mezzo di rendersene certi. Non sognava altro che mettersi in conversazione con quell’essere: il che si faceva mediante un numero di colpi fissati, significanti si, ovvero no, sulle lettere dell’alfabeto: e in questa guisa s’avevano le risposte alle fatte domande. » È il fenomeno detto delle Tavole parlanti. Tutti gli esseri, che cosi si comunicarono, interrogati sulla loro natura, dichiararono di essere Spiriti ed appartenere al mondo invisibile. Or, quei medesimi effetti essendosi manifestati in molti luoghi, per mezzo di persone diverse, ed essendo d’altra parte stati osservati da uomini gravissimi ed illuminatissimi, non era possibile che fossero giuoco d’una illusione. Dall’America passò quel fenomeno in Francia, e nell’altre parti d’Europa: dove, per alcuni anni, le tavole giranti e parlanti furono cosa di moda, e divertimento delle brigate; poi quando se n’ebbe abbastanza, si lasciarono da parte per altre distrazioni. Le comunicazioni a colpi battuti erano lente ed imperfette. Si trovò che mettendo per acconcio modo una matita in qualche oggetto mobile, per es. in un paniere, in un tavolino, su cui si ponessero le dita, quell’oggetto prendeva a muoversi, e segnare caratteri. Vennesi poi a conoscere che tali oggetti erano meramente accessori, e se ne poteva far senza. L’esperienza mostrò che lo Spirito, operante su corpo inerte per volgerlo a suo senno, poteva altresì operare sul braccio o la mano, per guidar la matita. S’ebbero allora i Mediums Scriventi, vale a dire persone scriventi in maniera involontaria sotto l’impulso degli Spiriti, de’ quali venivano quindi ad essere strumenti e interpreti. Allora le comunicazioni non ebbero più limite….» – Ai Mediums scriventi, s’aggiungono oggidì i Mediums evocatori, ed i Mediums risanatori. I primi, numerosissimi da due anni in qua, ottengono dagli spiriti i più strani fenomeni; apparizioni di spettri, o di fiamme fosforescenti, suoni articolati, scritture spontanee, rigidità e insensibilità di tutte le membra del corpo, immobilità istantanea di tutti gli orologi d’un appartamento, ecc. [Tutti sanno che i fenomeni dello Spiritismo sono andati crescendo col crescer dei suoi addetti. Non più soltanto con tavole giranti, o scriventi, ma con assunzione temporanea di umane sembianze, Satana scimmia perpetua dell’Uomo Dio, comunica coi suoi adoratori. Questi fenomeni dei quali i periodici spiritistici parlano con frequenza, sono avvenuti in presenza a persone di troppa, serietà da poterli mettere in dubbio. La ossessione poi, quantunque non completa, delle persone ci è rivelata da quei fenomeni che oggi chiamano ipnotici, mediante i quali a volontà dell‘ipnotizzante, anche con distanza di luogo e di tempo la persona ipnotizzata compie per necessità azioni che mai vorrebbe compiere fuori dell’ipnosi. — Chi volesse le sicure riprove dei più strani fenomeni spiritistici, non ha che a leggere The spiritualist, e The Medium, and Daybreak oppure The spiritual Sdentist. (N, d. Ed.). Gli altri, tendono a moltiplicarsi, secondoché gli spiriti hanno annunziato, affine di propagare lo Spiritismo, per l’impressione che questo nuovo genere di fenomeni non può mancar di produrre sulle moltitudini; perché non v’ha alcuno, anche de’ più increduli a cui non piaccia la sua salute…. Tra il magnetizzatore ed il medium risanatore, passa questa capital differenza, che il primo magnetizza col suo proprio fluido, e l’altro col fluido epurato degli spiriti. I medium risanatori sono un de’ mille mezzi provvidenziali, per accelerare il trionfo dello Spiritismo.[Rivista spiritica, del gennaio 1804 p. 10 e 11. — Che i demoni possano operare delle guarigioni più o meno reali la cosa non sembra dubbia. Tertulliano ne dà il segreto: ed i numerosi ex voto appesi alle mura dei templi pagani antichi, attestano la credenza dei popoli; checché se ne dica gli spiriti non arrivano ora fin qui. Il loro gran medium che guarisce, lo zuavo Jacob, la cui fama occupava tutta Parigi, l’anno passato 1867 ha finito col fare un fiasco completo. » – Tali sono, finora, i principali fenomeni spiritistici e i modi ordinari di comunicazione cogli spiriti. Ma, in fin dei conti, che s’ha egli a pensare di codesti fenomeni, e che spiriti sono quelli? Dire, come certuni fanno: « Io nego tutti questi fenomeni, perché finora non ne ho veduto alcuno, torna allo stesso che dire: Io nego l’esistenza della città di Pechino, perché non vi sono mai stato. È un dire a coloro che vi parlano di quei fenomeni: voi siete ingannati, o ingannatori. Or bene, si noti che chi fa tal complimento, lo fa non a poche persone, facili ad essere tratte in inganno, o complici interessati di grossa menzogna: ma a migliaia dì persone, gravi e rispettabili, di ogni paese, le quali fra loro punto non conoscendosi, né pur mai essendosi vedute, si troverebbero allucinate lo stesso dì, nella stessa ora: o s’accorderebbero per affermare come vero un fatto materialmente falso. E insomma un dire: Io nego perché nego: cioè perché voglio dire una sciocchezza; attesoché sciocchezza vera è negare senza provare. Se la tenga chi vuole, e noi andiamo innanzi. – Dire con altri: « Questi fenomeni esistono, ma non hanno niente di sovrannaturale. Giuochi di fisica, ciurmerie, o al più al più effetti di certe influenze dei fluidi; altro non c’è. » Giuochi di fisica! E la prova? « Ah la prova si è che il nostro famoso prestidigitatore, Robert Houdinì ne fa dei somiglianti. » Voi dunque avete veduto da Robert-Houdin quello che migliaia di testimoni affermano di aver veduto dagli Spiriti, tavole che giravano, si alzavano, battevano il tempo, al contatto del dito mignolo d’un fanciullo? Dunque avete veduto tavole intelligenti, che rispondevano alle vostre interrogazioni, e scrivevano esse medesime le risposte? Dunque avete, veduto Robert-Houdin dirvi quel che accadeva cento miglia lontano; scoprirvi cose note a voi soli? L’avete sentito, al semplice contatto dei vostri capelli, esattamente descrivervi una qualche interna malattia, di cui finora nessun medico valse a guarirvi, e spiegarvene la natura, e nominarvi, pur non essendo medico ne chimico, con precisione e con i loro nomi scientifici, i rimedi necessari a guarirne? Oh! No. Robert-Houdini non v’ha fatto vedere nulla di simile. Ciurmerie, e la prova? Ahi la prova, si è che ai tempi nostri i ciarlatani sono tanti e sì destri, che non c’è più da fidarsene. » Vero, verissimo che i ciarlatani, ai tempi che corrono, sono molti e d’una destrezza da non si dire: e voi farete ottimamente a guardarvene. Ma la questione non è questa. Si tratta di sapere le ragioni che voi avete di credere che gli Spiriti son ciarlatani, e i testimoni dei loro fenomeni, gente prezzolata o illusa. Fuori dunque le ragioni, se volete che discutiamo: imperocché ben sapete che su quel che non si conosce, non si da’ discussione. « Le ragioni, voi rispondete, io le ho già dette: io non posso ammettere l’intervento .degli spiriti in questo genere di fenomeni. » Dire che voi non potete, è dire che non potete: non é un recare prove, ma niente altro che affermare la vostra, impotenza, né più né meno. Ma che volete? a questa vostra impotenza, trionfalmente risponde la potenza del testimoniare, mille volte ripetuto, di migliaia di testimoni oculari, sani di mente e di corpo, e come voi, dotati di ragione e forniti di scienza, di esperienza, di sangue freddo e di diffidenza: più che voi per avventura non pensate. Risponde, anzi più, la testimonianza di .tutto il mondo, da migliaia d’ anni; imperocché migliaia d’anni sono che il mondo vede Spiritisti. Or bene, da queste due testimonianze esce una voce che domina tutte le altre e dice: No, i fenomeni dello Spiritismo non sono ciurmerie.L’influenze dei fluidi! E la prova? « Ah! la prova, si è che i fluidi sono agenti misteriosi, atti a produrre effetti da stordire, e che a noi paiono sovrannaturali, comecché siano naturalissimi. » Ammettiamo i fluidi; ma prima ditemi di grazia quello che in sostanza è un fluido. L’avete voi veduto? toccato? analizzato? Che colore ha? di che elementi è composto? È cosa spirituale o materiale? Se è cosa materiale, spiegatemi come possa un agente materiale produrre effetti non materiali: farmi leggere cogli occhi chiusi, vedere a distanza, sapere quello che si fa in lontani paesi, da. me non mai veduti, e dove non conosco persona. Se poi il fluido è qualche cosa di natura spirituale, allora siamo d’accordo; quello a cui voi date nome di fluido, noi lo chiamiamo Spirito. Ma voi a dare un’esatta definizione del fluido vi trovate impacciato: perché voi stesso lo dite un agente. Se è un agente misterioso, dunque non lo conoscete, o lo conoscete troppo poco da potergli, con certezza, attribuire questi o quelli effetti. Questa maniera di ragionare non è però nuova, né recente: imperocché già tutta la materialistica-setta di Epicuro l’adoperava contro gli oracoli ed i prestigi, vale a dire contro l’antico Spiritismo. A detta loro, tutti quei fenomeni procedevano da sotterranee esalazioni d’ignota natura: e i poveretti non s’accorgevano che la paura del sovrannaturale li faceva dare in contraddizioni ed assurdi: badiamo di non caderci anche noi. E sarebbe in verità un cadervi, se ci contentassimo di mal definite parole per sostituirle a fatti veri e reali. Insomma, salvo dare nel pirronismo universale, è giuocoforza ammettere nel loro complesso, la realtà dei fenomeni spiritistici, e la spiritualità degli agenti che li producono. Ma che spiriti son questi? Non possono essere altro che angeli buoni o cattivi, anime sante ovvero anime dannate. Or, angeli buoni né  anime sante non sono: imperocché, prima di tutto, gli angeli buoni e. le anime sante non stanno altrimenti ai cenni dell’uomo, nel senso che vengano, in maniera sensibile, alla chiamata del primo venuto, per soddisfare la sua curiosità e servirgli di spasso: non si è mai veduto, né detto, né creduto nulla di simile. E poi, Iddio vieta, sotto severissime pene, l’interrogare i morti. I pretesi morti che rispondono, disobbediscono a Dio; e perciò non sono santi. Che sono essi dunque? anime dannate, o demoni. Ma anche i dannati non stanno altrimenti, più che i santi, ai cenni di chiunque li evochi. Quali saranno dunque codesti spiriti, che rispondono? I demoni; che stanno attorno a noi, pronti sempre ad ingannarci; al quale intento hanno mille arti e mezzi. Cosi, in perentoria maniera, la ragiona Monsignor vescovo di Poitiers: « Se non è lecito, dice il dotto prelato, interrogare i morti, e se, per conseguenza, Iddio loro non dà facoltà di rispondere alle interrogazioni, che i vivi non possono loro fare lecitamente, onde credete voi che vengano codeste risposte, che altri si vanta di ottenere, e talvolta ottiene? Evidentemente, che possa rispondere a queste colpevoli interrogazioni, altri non v’ha se non lo Spirito delle tenebre. È dunque la comunicazione cogli spiriti, né più né meno che il commercio con i demoni. È quindi un ritornare ai mostruosi disordini e dannose superstizioni, che misero per tanti secoli, e mettono ancora, i popoli pagani sotto la vituperosa servitù delle potenze infernali. [Istr. past. tom. Ili, p. 48, 45.] » – All’autorità dell’ illustre vescovo – aggiungiamo quella di un teologo romano, la cui recente opera é onorata di una lettera del Sovrano Pontefice, Pio IX. « Il Magnetismo animale, dice il P. Perrone, il sonnambulismo e lo spiritismo nel loro complesso, non sono altro che la restaurazione della superstizione pagana, e dell’impero del demonio.» Gli Spiritisti, negando la personalità dei demoni fan loro proteste contro tal ragionare; ma poi sostengono, contro i loro princìpi, e in modo da doverne andare confusi, come fra poco vedremo, che le comunicazioni cogli Spiriti sono un fatto, noto fin dagli antichissimi tempi. « La realtà dei fenomeni spiritistici, così essi, trovò molti contradditori. Gli uni non ci seppero vedere altro che una ciurmeria…. I materialisti misero l’esistenza degli Spiriti nel novero delle favole assurde…. Altri, non potendo negare i fatti, sotto l’impero d’un certo ordine di idee  (Intendi il clero e i cattolici, fedeli alle dottrine rivelate), attribuirono tali fenomeni a mera influenza del Diavolo, e con questo intesero, di spaventar ì timidi.. Ma oggidì la paura del Diavolo ha molto e poi molto perduto del suo prestigio. Se ne è parlato tanto, lo si è presentato in tante maniere, che la gente si è addimesticata con tale idea; e molti hanno detto; bene! e si vuol cogliere l’occasione di vedere una volta che cosa infine è il diavolo. Onde venne che, salvo poche donne di timorata coscienza, l’annunzio dell’arrivo del vero diavolo aveva alcun che di solleticante, per coloro che non l’avevano mai veduto, se non in pittura, o al teatro: di guisa che per molte persone fu un efficace stimolo. » (Àllan Kardec. Lo spiritualismo nella sua più semplice espressione). – In altro luogo, questo medesimo oracolista dello Spiritismo, dopo aver fatta, senza pensarvi, una giusta pittura delle generali disposizioni del mondo moderno rispetto al demonio, dice: « Sebbene i fenomeni Spiritistici si siano in questi ultimi tempi manifestati in maniera più generale, nondimeno v’han mille prove ch’ebbero luogo fin da’più remoti tempi. Questa, di cui noi siamo al presente testimoni, non è dunque una moderna scoperta: è il- ridestarsi dell’antichità; ma dell’antichità sciolta e libera da quella mistica farraggine, che ha prodotto le superstizioni dell’antichità illuminata dalla civiltà e dal progresso nelle cose positive…. (Vuol dire, dell’antichità qual era prima del Cristianesimo, e quale ritorna secondo che il cristianesimo va perdendo terreno. Queste parole del Sig. Allan Kardec valgono, tant’oro. Se noi l’avessimo pagato per sostenere la nostra gran tesi del paganesimo moderno, non avrebbe potuto dir’meglio). – « Il fatto delle comunicazioni col mondo invisibile si trova in termini non equivoci nelle narrazioni bibliche, in s, Agostino, s. Girolamo, s. Giovanni Grisostomo, s. Gregorio Nazianzeno. I più sapienti filosofi dell’antichità l’hanno ammesso; Platone, Zoroastro, Confucio, Pitagora… Lo troviamo nei misteri e negli oracoli … negli indovini e fattucchieri del Medio Evo…. In tutto lo stuolo delle ninfei dei geni buoni e cattivi, delle siili, de’gnomi, delle fate, dei folletti, ecc. » (Rivista spiritistica, 8 gennaio 1858.). Tale dunque si è la bella genealogia dello Spiritismo. Da quanto confessa il loro più solenne maestro, gli spiritisti moderni hanno per antenati e colleghi tutte le pitonesse, tutte, le maliarde, tutti gli Spiriti dei tempi antichi. Quest’antichità loro piace, e se ne vantano. Cosi vediamo compiacersi i Protestanti d’aver per loro antenati gli Ussiti, i Valdesi, gli Albigesi, e per mezzo di essi farsi su, fino ai primi tempi della Chiesa. Nel programma d’una magnetizzatrice, dimorante in uno dei bei quartieri di Parigi, leggiamo (marzo 1864): « La scienza, di cui ci accingiamo a parlare ai nostri lettori, è certamente una delle più antiche ed importanti per l’umana specie. Prima del secolo decimosesto, era questa scienza conosciuta sotto il nome di Spirito, di sortilegio e di magia. Due secoli dopo, il dottore Mesmer ravvisò, in questa scienza non definita, un potente agente che s’insinua per influenza- celeste, presso i nervi, de’quali sviluppa l’attività, ecc. » – Il summenzionato messere, che dello Spiritismo ha tessuto la genealogia che abbiamo veduto, dice giusto, giustissimo: i fenomeni spiritistici dei tempi nostri sono i medesimi dell’antichità pagana, e dei popoli che ancora giacciono nelle tenebre dell’idolatria. Qual differenza infatti trovate voi, se non forse nella forma, tra le evocazioni  gli oracoli, le consultazioni, i prestigi che vediamo, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, ricomparire in Europa, e quanto avveniva, due mila anni fa, a Claros, a Dodona, a Preneste, in tutte le città dei Greci e dei barbari, come dice Plutarco, e quanto tuttavia avviene in Africa, nelle Indie, nel Tibet, nella Cina, insomma dovunque non fu predicato il Vangelo? Se l’autore non fosse stato accecato dal suo premeditato intento, avrebbe conchiuso dicendo: l’identità degli effetti mostra l’identità della causa. Or, l’antichità tutta attribuisce a’demoni, e non alle anime dei morti, i fenomeni dello spiritismo: dunque se non si può far contestazione sul fatto, nemmeno sulla causa. (I cattolici si rammenteranno che sarebbe altrettanto pericoloso che assurdo, il negare nel loro complesso l’autenticità delle manifestazioni diaboliche attuali, La negazione del soprannaturale satanico, conduce alla negazione del soprannaturale divino. Quello satanico non è tale che per rapporto a noi; rapporto ai demoni è naturale. Questo è il significato che noi diamo a questa parola nel corso dell’opera nostra). – Che tutta l”antichità attribuisca ai demoni cotali fenomeni, è fatto che nessuno può negare senza dar nello scetticismo. E avendolo noi già provato, basti qui recar Tertulliano; il quale strappando, già ben diciasette secoli fa, la maschera ai pretesi morti di Allan Kàrdec e degli spiritisti moderni, diceva: « La magìa promette di evocare i morti. Che dunque diremo essere la magìa? quello che la dicono quasi tutti, un inganno. Ma è inganno che è noto soltanto a noi cristiani, che sappiamo i fatti degli spiriti maligni. I demoni sono autori della magia, per mezzo della quale si danno per morti. Ben s’invocano dunque i morti giovani, e di morte violenta; ma sono i demoni che operano, sotto la maschera dell’anime. » [Magia…. quæ animas…. evocaturam te ab inferum incolatum  pollicetur. Quid ergo dicemus magiam? quod omnes pene, fallaciam. Sed ratio fallaciæ solos non fugit cbristianos, qui spiritualia nequìziæ novimus…. In qua se dæmones perinde mortuos fingunt…. Itaque invocantur quidem Ahoxi et Biothanati, sed dæmones operantur sub obtentu earum (animarum). De Anim c. LVII]. Sant’Agostino aggiunge: « Questi «piriti, ingannatori non per natura ma per malizia, si dantio per iddii o per tante anime dèi morti, e non per demoni come sono realmente. » – Al chiaro parlare della tradizione, i Padri aggiungevano l’autorità detratti. Colle prove alla mano, essi disvelavano la natura di quei pretesi morti, facendo notare gli errori .e l’immoralità della loro dottrina; e nulla è mutato. Non ostante tutti i suoi artifizi, in nessuna altra cosa il demonio si mostra più evidentemente che nell’insegnamento che dà ai moderni spiritisti, coll’incarico di farsi suoi organi. E il suo insegnamento, strano miscuglio di vero e di falso, adesso come già in altri tempi, finisce con errori radicali. In fatti, il Cattolicesimo è la verità, tutta la verità, niente altro che tutta la verità; ed ogni affermazione contraria è errore, e viene senz’altro dal Padre della menzogna. – Or bene, gli Spiriti insegnano sei errori, vale a dire sei negazioni, che menano alla totale distruzione del Cattolicesimo. Essi negano: 1° resistenza dei demoni; – 2° Teternità delle pene ; – 3° la risurrezione dei corpi; – 4° il peccato originale; – 5° la rivelazione cristiana; – 6° e per conseguenza la divinità stessa di nostro Signore. – Mano alle prove. Per l’organo di tutti i loro medium e specialmente per bocca del loro gran sacerdote, Allan-Kardec, gli Spiritisti dicono: « Lo spiritismo, così essi, impugna l’eternità delle pene, il fuoco materiale dell’inferno, la personalità del diavolo. Secondo la dottrina degli spiriti intorno a’demoni, il diavolo è la personificazione del male; è un essere allegorico, che ha in sé tutte le male passioni degli spiriti imperfetti. Gli spiriti altro non sono che le anime. « Gli Spiriti prendono temporaneamente un corpo materiale. Quelli che seguono la via del bene camminano avanti più presto, sono meno lenti a giungere alla mèta e vi giungono senza penar tanto…. Il perfezionamento dello Spirito è frutto del suo proprio lavoro. Non potendo, in una sola esistenza corporale, acquistare tutte le qualità morali e intellettuali, che lo devono condurre alla mèta, e vi giunge per mezzo di varie esistenze successive, in ciascuna delle quali fa alcuni passi innanzi nella via del progresso…. Quando un’ esistenza fu male spesa, resta senza profitto per lo spirito, il quale deve ricominciarla da capo, in condizioni più o meno penose, secondo la sua negligenza e mal volere…. « Gli Spiriti, incarnandosi, recano seco quello che hanno acquistato nelle esistenze precedenti. Le cattive inclinazioni naturali formano quei rimasugli d’imperfezioni dello Spirito, di cui non s’è interamente purgato: sono i segni delle colpe che ha commesse ed il vero peccato originale…. Dicendo che l’anima, rinascendo, porta seco il germe della sua imperfezione, delle sue esistenze antecedenti, viene a darsi del peccato originale una spiegazione logica, che ognun può intendere ed ammettere…. « Nelle sue incarnazioni susseguenti: essendosi lo spirito a poco a poco spogliato delle sue impurità e perfezionato col lavoro, giunge al termine delle sue esistenze corporali, appartiene allora all’ordine degli spiriti puri, ossia degli angeli, e gode ad un tempo la piena vista di Dio ed una perfetta felicità in eterno. (Intorno alla pretesa rincarnazione delle anime, gli spiritisti non sono d’accordo. Allan Kardec e la sua scuola lo sostengono; Pierart e la sua scuola lo negano radicalmente. Ma spiritisti e spiritualisti, Kardec e Pierart sono d’accordo per attaccare il Cristianesimo e sostituirvi la religione degli Spiriti). – « Lo Spiritismo è indipendente da ogni culto particolare…. E’ non ne prescrive alcuno, né bada a dommi particolari..,. Si può dunque essere cattolico, greco o romano, protestante, ebreo o turco…. ed essere spiritista; e se n’ha la prova in ciò che lo Spiritismo ha seguaci in tutte le sètte…. Uomini di qualsiasi classe, sètta, colore, voi siete tutti fratelli: perché Dio tutti vi chiama a sé. Stendetevi dunque la mano, qualunque sia la vostra maniera di adorarlo, e non mandatevi a vicenda l’anatema; imperocché l’anatema è la violazione della legge di carità proclamata da Cristo. » [Lo spiritismo nella sua più semplice espressione, p. 15, 16, 18, 19, 21, 22, 28, 5a ediz. 1868 — e Istruzioni pratiche sulle manifestazioni spiritiche, passim, Parigi, 1858. — Voi non sapete ciò che vi dite: il Cristo del quale voi invocate l’autorità non ha Egli lanciato l’anatema contro quegli che non crede? « Colui che non crederà sarà condannato; è già giudicato, Colui che non ascolta la Chiesa deve essere tenuto per un pagano e un pubblicano. » La vostra carità senza la fede è una chimera. L’unione dei cuori suppone l’unione degli intelletti. — Gli stessi errori sono insegnati in tutti i libri e giornali spiritisti]. [Oggi si sente lo stesso ritornello, “siamo tutti fratelli” nelle logge massoniche e nella “sinagoga di satana” del “novus ordo”, la cui radice culturale è con tutta evidenza la stessa: lo spiritismo infernale ed il culto del baphomet! – ndr.-]. – Il credereste? per render loro agevole la via, lo Spiritismo ha l’audacia di mettere i suoi errori in bocca a persone le più santamente cattoliche; san Giovanni Evangelista, san Paolo, sant’Agostino, san Luigi, san Vincenzo dei Paoli, i nostri celebri predicatori e perfino il ven. curato d’Ars tornano dall’altro mondo, a dire ai vivi che i nostri dommi sacrosanti sono favole; ed essi, per conseguenza, ingannati od impostori! Non è questa in verità la più radicale e perfida negazione del Cattolicismo, che mai si sia veduta tra i popoli cristiani? [Il povero mons. Gaume si sbagliava, ma non poteva certo immaginare che la negazione più perfida sarebbe avvenuta dal 1958 in poi, nella falsa chiesa-sinagoga dell’uomo, con il diabolico ecumenismo del “novus ordo”– ndr. -]  Ne volete di più per far conoscere la natura degli Spiriti che rispondono alla chiamata degli Spiriti? Nondimeno, il distruggere la religione del Verbo incarnato non è altro che la parte, direm cosi, negativa dell’opera: ha la sua parte positiva nel sostituire alla religione del Verbo la religion degli Spiriti, vale a dire dei demoni. « Gli Spiriti annunziano, vel dice Allan Kardec, che i tempi, segnati dalla Provvidenza per una manifestazione universale, sono giunti [basta dare un’occhiata alle 4 logge massoniche in Vaticano! –ndr.- ]: e che, essendo essi ministri di Dio e strumenti della sua volontà, la loro missione è d’istruire ed illuminare gli uomini, aprendo un’era nuova per la rigenerazione del genere umano…. – « Parecchi scrittori di buona fede, che hanno impugnato a spada tratta lo spiritismo, rinunziano ad una lotta ravvisata inutile. Di vero, la necessità d’una trasformazione morale va facendosi ogni dì meglio sentire. Lo sfacelo del vecchio mondo è imminente; attesoché le idee da lui predicate non corrispondono più all’altezza, cui è giunta l’umanità intelligente. Si sente che ci vuole qualche cosa di meglio di quel che esiste, e nel mondo attuale lo si cerca invano. Gira per aria qualche cosa come una elettrica corrente preannunziatrice, e ognuno sta in aspettazione; ma ciascuno intende altresì che non è all’umanità che tocca indietreggiare. » [Rivista spiritista, gennaio 1864, p. 4 e 5.]. – Ma dove anderà ella? Gli spiriti dichiarano a voce unanime ch’essa va allo spiritismo. « Lo Spiritismo,, dicono, è la Religione dell’avvenire. [Ne abbiamo un esempio nel cosiddetto “rinnovamento nello spirito … non Santo, movimento trainante del “novus ordo” – ndr. –]”.  Lo spiritismo è la religione legata agli uomini da Cristo, purificata da tutti gli errori, che il loro orgoglio o la loro ignoranza vi hanno introdotto…. -Lo Spiritismo è lontano dall’essere una nuova religione, ma la stessa essenza dei principii sublimi che il Cristo ha legati agli uomini, presentiti da Socrate e da Platone; imperocché niente è venuto a distruggere, bensì ad appurare la legge mosaica, come oggi lo spiritismo quella del cristianesimo. » [La Verità giornale spiritista di Lione, L’Avvenire, Monitore dello spiritismo, 24 novembre 1864. Quest’ultimo giornale aveva per redattore in capo, Alis d’Ambel, luogotenente di Allan Kardec, il quale secondo l’uso troppo comune tra gli spiritisti, sì è suicidato.]. – Altrove: « Lo spiritismo chiarisce tutto; egli é la sintesi di tutte le scienze, di tutte le rivelazioni, di tutte le religioni. Come il Cristianesimo di cui è il complemento e la consacrazione, così lo spiritismo avrà i suoi Giuda: e come questa dottrina sacra, così gli bisognerà rovesciare, migliaia di ostacoli che il vecchio mondo e le vecchie credenze coalizzate dirigono e dirigeranno da tutte le parti contro di lei. » [Avvenire id.,8 settembre 1864]. Uno dei loro medium, parlando sotto l’influenza dello Spirito, è ancor più esplicito : « Si, lo spiritismo è una religione, poiché essa procede dalla onnipotenza dell’Altissimo, ma non come nel vostro mondo s’intende questa parola, vale a dire contornata da culto esteriore, di simulacri, di canti,, corteggio obbligato di tutte le istituzioni, le quali sino a questo giorno hanno preso questo titolo. Lo Spiritismo è la religione del cuore, lo spirito dei pensieri emessi da Cristo…. Oggi la religione cristiana non vive più, atterrita alla sua volta da un cattolicismo pagano…. cioè da quella religione falsata dalle tradizioni, dalle dispute teologiche, dai concili che l’attuale spiritismo ha per missione di rigenerare. » [Come sopra, 17 novembre 1864]. [Sembra di riascoltare il “benemerito” patriarca universale degli “Illuminati di Baviera”, quando si faceva adorare come Principe degli Apostoli! – ndr. -]]. Medesime dottrine o piuttosto medesime bestemmie sulle labbra di un altro Spirito parlante a Parigi per l’organo del medium P. S. Leymarie: « Le tendenze dell’uomo hanno cambiato ; l’epoca attuale,* come la crisalide, sembra trasformarsi per prendere ali: la scienza degli Spiriti, impossibile cinquant’anni fa, adesso s’identifica col generale buon senso. Voi ascoltate queste voci amiche che vengono a distruggere le vostre incertezze. Il loro programma è un lavoro di propaganda spirituale. Quel che vogliono è la rinnovazione delle idee religiose come base e condizione della società europea, riorganizzata su nuovi principi…. È un lavoro religioso tale che sarà l’opera capitale di questo secolo; e uno dei più grandi movimenti dell’intelligenza umana dopo Gesù Cristo. » [Avvenire, Monitore dello Spiritismo, 17 novembre 1864]. E altrove : « Si, lo spiritismo è altresì una leva potente che deve rendere alla morale cristiana il suo movimento normale ed effettivo attraversato da tanti secoli. Si, l’unico suo scopo e il suo effetto immediato è per l’appunto la rigenerazione dell’umanità.  » [Avvenire, monitore dello spiritismo, 17 nov. 1864]. – Più sotto : « Se qualcuno vi domanda ciò che lo spiritismo ha insegnato, dite, che egli ha da principio insegnato ciò che la maggior parte degli uomini avevano bisogno di sapere, cioè che cosa é l’anima; ciò che essa diventa dopo la morte; se vi sono delle purgazioni o stati intermedi; qual progresso vi si compie…. che Dio in questo momento prepara la razza umana ad una universale restaurazione; che nessun cristianesimo vale una festuca, salvo il cristianesimo primitivo, e che il vecchio cadavere delle Chiese oggidì esistenti, deve da prima ricevere un nuovo alito di vita se esse vogliono rivivere. » [Spiritual Magazine, apr. 1863] – [sembra un discorso dopo l’Angelus attuale! –ndr.- ] Potremmo citare cento altri passi simili, in cui gli Spiriti dichiarano che il Cattolicismo è una istituzione decrepita; il Nostro Signore Gesù Cristo un semplice mortale, la Chiesa una maestra d’errori, tutte le religioni tante sette non intelligenti, e lo spiritismo la sola vera religione, là religione dell’avvenire. Non contenti di predicare nei loro libri, nei loro giornali, nelle loro assemblee, nelle loro conversazioni particolari, la religione degli Spiriti, gli addetti la predicano anche pubblicamente e la propagano con successo. Essi la praticano, e qual nome dare a quel che noi vediamo? – L’ evocazione degli spiriti, la consultazione orale, l’idromanzia, la negromanzia, l’ornitomanzia, la divinazione, il magnetismo, il sonnambulismo artificiale ed altre pratiche spiritiste, esercitate senza scrupolo e senza spavento, da una moltitudine di persone, nell’antico e nel nuovo mondo, non sono essi forse nient’altro che un avviamento verso il culto dei demoni, o piuttosto non sono questo culto medesimo? Così lo comprendono gli spiriti. Ci hanno detto: per essi lo spiritismo non è una semplice scuola di filosofia, ma una religione, e lo provano con la loro condotta. Ogni religione mira a mettere l’uomo in diretta relazione col mondo sovrannaturale, con mezzi sovrannaturali, allo scopo di ottenere effetti sovrannaturali. Lo scopo palese degli spiritisti è di mettersi in immediata comunicazione cogli Spiriti. Il mezzo che usano, è la preghiera. La preghiera è l’atto fondamentale di ogni religione, il cui carattere n’é quindi determinato. Il Cattolicismo è la vera religione, perché la sua preghiera è indirizzata al vero Dio. Il paganesimo è religione falsa, perché la sua preghiera è indirizzata al demonio. Lo spiritismo, che indirizza la sua preghiera ai demoni celati sotto la maschera dei morti, è dunque una religione, ed una religione falsa. [Perfìn nel linguaggio affettano i religiosi loro intendimenti, parlandosi o scrivendosi; si chiamano: cari fratelli nello spiritismo.]. –  Il che appare tanto più vero, in quanto hanno costoro per scopo, d’ottenere il dono di guarire i malati, e la potestà di scacciare i demoni. « I nostri medium risanatori, così eglino stessi, cominciano con innalzare la loro anima a Dio…. Iddio, sollecito, manda loro potenti aiuti…. Sono gli spiriti buoni che vengono a comunicare il benefico loro fluido al medium, il qual lo trasmette al malato. Quindi é che il magnetismo adoperato dai medium risanatori, è cosi efficace, e produce quelle guarigioni che son dette miracolose e che son dovute semplicemente alla natura del fluido effuso sul medium. Attesoché questi benefici fluidi sono proprietà degli spiriti superiori, è quindi necessario ottenere il concorso di questi; e perciò ci vuole la preghiera e l’invocazione. 1 » [Bivista spiritica, gennaio 1864, p. 8-10]. Aggiungono che la preghiera è necessaria specialmente nel caso di ossessione; perché bisogna avere il diritto d’imporre la sua autorità allo spirito.  [Id., p. 12]. Essi annunziano che fra breve le ossessioni diventeranno frequentissime, e saranno il trionfo dello spiritismo. « Codesti casi di possessione, secondo che è annunziato, si hanno a moltiplicare con grande energia, di qui a qualche tempo, acciocché sia fatta ben bene palese l’inefficacia dei mezzi adoperati finora. Anzi una circostanza di cui noi non possiamo ancora parlare, ma che .ha una cotale analogia con quanto avvenne ai tempi di Cristo, contribuirà a sviluppare questa specie di epidemia diabolica. Non v’ha dubbio pertanto che si vedranno medium speciali, forniti della potestà di cacciare gli spiriti cattivi, come gli apostoli avevano quella di cacciare i demoni…. per dare agli increduli una novella prova dell’esistenza degli spiriti. » [Ibid., p. 12. — Non ammettendo gli spiritisti, angeli cattivi, quel che da loro vien chiamato demonio, altro non vuol essere che un’anima impurificata. Tutto è nuovo: idee e parole]. – Intanto che si aspetta codesta epidemia diabolica, gli Spiritisti già si trovano aver alle mani alcune speciali ossessioni, e malattie credute incurabili. Ecco in che modo gli addetti risanatori scrivono ai loro capi: «Stiamo in questo punto curando un secondo epilettico. La malattia questa volta sarà per avventura più malagevole a guarire, perché é ereditaria. Il padre ha lasciato ai suoi quattro figliuoli il germe di codesta affezione. Ma con l’aiuto di Dio e degli spiriti buoni, noi speriamo di riuscirne a bene in tutti e quattro. Caro maestro, noi chiediamo l’aiuto delle vostre preghiere e quelle dei nostri fratelli di Parigi. Sarà per noi quest’aiuto incoraggiamento e stimolo ai nostri sforzi. E poi, i vostri buoni spiriti-possono venire ad aiutarci. « M. G-…. di L…. ci deve condurre suo cognato, cui un spirito malefico soggioga da due anni in qua. La nostra guida spirituale Lamennais c’incarica della cura di questa ostinata ossessione. Iddio ci darà egli altresì la podestà di scacciare i demoni? Se così fosse, altro non avremmo a fare che umiliarci per si alto favore. » Lettera d’un ufficiale de’Cacciatori, che dice: «Noi passiamo le lunghe ore d’inverno attendendo con ardore allo svolgimento delle nostre facoltà medianimiche. La triade dei 4° Cacciatori, sempre unita, sempre vivente, si ispira ai suoi doveri. » Ibid., p. 6, e 7]. – Per ottenerlo, i maestri, giusta gli oracoli loro venuti dall’altro mondo, rispondono: «Ad agire sullo Spirito ossessore, vuolsi l’azione non meno energica d’uno spirito buono disincarnato… Questo vi mostra quel che dovrete fare d’or innanzi, in caso di possessione manifesta. Bisogna chiamar in vostro aiuto la persona d’uno spirito elevato, fornito ad un tempo di potenza morale e fluidica; come, per es., l’eccellente curato d’Ars, e voi sapete che sull’assistenza di questo degno e santo Vanney potete contare…. Quando si magnetizzerà Giulio bisognerà innanzi tutto cominciare colla’ fervente evocazione del curato d’Ars e degli altri Spiriti buoni, che ordinariamente si comunicano fra voi, pregandoli di agire contro i cattivi Spiriti che molestano codesta fanciulla, e che fuggiranno dinanzi alle limane loro falangi » [Rivista spiritistica, p. 16-17]. – Tranne lo scherno vituperoso e inaudito, con cui satana pretende d’avere per complici dei suoi prestigi gli Apostoli e i santi del cielo, non è egli cotesto precisamente quello che in altri tempi già facevano i pagani, e ancora fanno i moderni idolatri? Non invocano essi forse continuamente i genii buoni contro i cattivi? Finora gli Spiriti buoni degli Spiritisti si sono, per lo manco pubblicamente, contentati di chieder preghiere: ma se chiedessero poi, per prezzo dei loro favori, una genuflessione, un granello d’incenso, un voto, un’offerta qualunque, è egli ben certo che tale omaggio lor sarà diniegato? È egli ben certo che non esigeranno tale omaggio, che non ne esigeranno anzi di maggiori? In questa materia non accade asseverare per certo, né questo né quello. Quando si fa ciò che il demonio volle ed ottenne dagli antichi pagani, ciò che vuole e ancora ottiene da’moderni idolatri; quando si pensa che sotto l’influenza1 dello spirito del 93 che punto non era lo Spirito Santo, la Francia ufficiale ha adorata una cortigiana, e che Parigi edificò un tempio a Cibele, s’intende che nulla v’ha d’impossibile. Quanto a noi, restiamo con la triste convinzione che se lo Spiritismo giungesse a dominare la società, e venisse  vaghezza agli Spiriti di chiedere, come già altre volte, combattimenti di gladiatori, ne sarebbero contentati, e la gente trarrebbe in folla allo spettacolo. – Essi la praticano pubblicamente. Lo spiritismo ha preso corpo; egli si è autenticamente costituito sotto il nome di Società parigina degli studi spiritisti, alla quale vanno a congiungersi i gruppi spiritisti della Francia e dell’estero. Dietro il parere del Ministro dell’Interno e della Sicurezza generale, il governo francese, che ha dichiarato la franco-massoneria società d’ utilità pubblica, ha riconosciuto ed autorizzato lo spiritismo per decreto del prefetto di polizia, in data del 13 aprile 1858. [Regolamento della Società Parigina degli studi spiritisti, p. 1]. In perfetta armonia con lo spirito moderno e col principio ateo dell’eguaglianza dei culti, questa società forma, come essa medesima lo dice, il nucleo di una nuova religione, la quale ammette nel suo seno uomini di ogni casta, di ogni setta, di ogni colore, alla sola condizione di credere agli Spiriti e di accettare le loro dottrine. – À fine di provvedere alle spese del culto, la religione spiritista ha le sue finanze. L’articolo 15 del regolamento reca: « Per provvedere alle spese della Società, si paga una tassa annuale di 24 lire pei titolari, e di lire 20 per gli associati liberi. I membri titolari, nella loro accettazione, pagano inoltre un diritto d’entrata di 10 lire una volta tanto. » Codeste tasse, formando considerevoli somme à disposizione dei capi della società, riescono nelle loro mani, potenti mezzi di propagazione. – Ha le sue adunanze periodiche. Art. 17 : « Le sedute della società hanno luogo tutti i venerdì alle 8 della sera. Niuno può prendere la parola senza averla prima ottenuta dal presidente. Tutte le domande indirizzate agli Spiriti devono farsi per mezzo del presidente. » – Art. 21. « Le sedute particolari sono riservate Smembri della società. Si tengono il primo, il terzo e, se v’ è, il quinto venerdì d’ogni mese. » – Art. 22. « Le sedute generali han luogo il secondo e quarto venerdì d’ogni mese. » Secondo ché abbiamo visto, in codeste congreghe tutte le domande si devono dal presidente indirizzare agli Spiriti, e ognuno deve ascoltarle in religioso silenzio. In alcune, l’evocazion degli Spiriti si fa con questa formula: « Io prego Iddio onnipotente di porgere orecchio alla mia supplica, di permettere ad uno Spirito buono (oppure allo spirito di tal persona) di venir qui fino a me, di farmi scrivere sotto la sua influenza. » L’evocatore prende una penna, oppure una matita, la cui punta mette lievemente sulla calia, aspettando che lo Spirito venga egli stesso a guidargli la mano. « Questa mano, dicono gli Spiritisti, è una macchina che lo Spirito disincarnato signoreggia a talento. » Il fatto sta che i medium possono discorrere di cose affatto diverse da quelle che scrivono, con le persone astanti, e pur mentre il loro braccio va con una prestezza bene spesso meravigliosa. La è, sotto altra forma, una continuazione delle antiche pitonesse. Essi la propagano con successo. Lo Spiritismo ha i suoi predicatori ed Apostoli. In America, paese suo natio, ventidue grandi giornali sono diventati suoi organi. In Francia ne conta dieci, a Parigi la Rivista Spiritista (mensile) redatta da Allan Kardec, la Rivista Spiritualista (mensile) redatta da Pierart; [La Rivista spiritista esce ogni mese, e se ne tirano 1800 copie: della Rivista spiritualistica, 600: le quali cifre, paragonate alle migliori Riviste cattoliche, similmente periodiche, sono in verità enormi. L’Avvenire Monitore dello Spiritismo (settimanale); a Lione, la Verità, giornale della spiritismo (settimanale) ; a Bordeaux, l’Alveare Bordelese (bimestrale); il Salvatore dei popoli (settimanale); La luce per tutti (settimanale); La voce dell’altro mondo (settimanale) ; a Tolosa, il Medium evangelico, (idem); a Marsiglia, L’eco del mondo di là (idem); Il Belgio ne ha due: Il mondo musicale (idem), a Bruxelles ; la Rivista Spiritista a Anversa (mensile). Torino, gli Annali dello Spiritismo (mensile); Bologna la Luce; Napoli ha il suo; Palermo pure; Londra i suoi; Spiritual Magazine; Spiritual Times; la Germania i suoi. Possiamo aggiungere l’Almanacco Spiritista che si stampa a Bordeaux. Appena abbiamo noi in Francia ed in Italia altrettanti organi assolutamente cattolici. Oltre a queste pubblicazioni periodiche, libri d’ogni prezzo e formato, altri dotti ed altri popolari, avidamente letti, attivamente spacciati, propalano le risposte degli Spiriti, e le loro dottrine, per irrecusabile prova delle quali sono fatti valere i prestigi. E niuno creda che noi diciamo queste cose a caso, alla leggiera. Abbiamo sottecchi più di sessanta opere spiritistiche, di recente pubblicazione, delle quali altre sono alla terza, altre alla quinta, altre alla sesta, altre alla duodecima edizione. Ed una delle più pericolose di codeste opere, per il suo prezzo e formato, è, per l’Europa, tradotta in tedesco, in portoghese, in polacco, in italiano, in spagnolo; e, per l’oriente, in greco moderno. Nel 1863 quest’opera contava già cinque edizioni. Lo stesso avviene in Inghilterra; l’Allemagna è di tali opere inondata. Aggiungasi che da qualche tempo esiste a Parigi una scuola di spiritismo tenuta da due donne; una locanda spiritista, e nel dipartimento dell’Oise uno stabilimento di educazione spiritista. Londra ha un liceo spiritista, diretto da un sig. Powell.Per conseguenza, La religione degli Spìriti ha i suoi discepoli in tutte le età ed in tutte le classi della società. Le officine, la borghesia, i tribunali, la nobiltà, la, medicina, l’esercito soprattutto gli forniscono il loro contingente. D’anno in anno questo contingente aumenta in un modo spaventoso. «Quest’anno 1863, scrive Allan Kardec, è segnato dall’accrescimento del numero dei gruppi di società che si sono formati in una moltitudine di località dove ancora non ve n’erano, tanto in Francia che all’estero; segno evidente dell’aumento del numero degli addetti e della diffusione della dottrina. Parigi che era rimasta addietro, cede talmente all’impulso generale e comincerà a muoversi. Ogni giorno vede formarsi delle particolari riunioni per uno scopo eminentemente serio e in eccellenti condizioni; la società che noi presiediamo vede con gioia moltiplicarsi intorno a sé dei vivaci rampolli, atti a spargere la buona sementa. Se per un istante si è potuto concepire qualche timore sull’effetto di certe dissensioni nel modo di considerare lo spiritismo, un fatto é di natura da dissiparli completamente; si è il numero sempre crescente delle società, le quali, da tutti i paesi si pongono spontaneamente sotto il patrocinio di quella di Parigi e inalberano la sua bandiera. » [Stato dello Spiritismo al 1863. Rivista spiritica, gennaio, 1864]. – I ragguagli che abbiamo potuto aver fra le mani, danno, che Parigi ha non meno di cinquanta mila Spiritisti, o persone di ogni condizione, dedite abitualmente, come attori o spettatori alle pratiche dello Spiritismo. Calcolare il numero degli Spiritisti a Parigi, sul numero dei centri di riunioni ufficialmente noti, e su quelli dei membri che li frequentano, sarebbe un errore. Oltre i crocchi pubblici, vi sono le riunioni private, chiamate dagli Spiritisti riunioni di famiglia. Possiamo affermare che queste riunioni sono più che moltiplicate, quasi che permanenti, frequentatissime e che si trovano in tutti i quartieri di Parigi. In queste riunioni, prolungate sino a notte avanzata, migliaia di Cristiani fanno ciò che facevano i pagani a Delfo, a Claros, in tutti i tempi d’oracoli, evocazioni, e consultazioni, precedute o seguite da preghiere agli Spiriti. – Possiamo altresì affermare che a Parigi molti medici hanno al loro servizio, per consultar sulle malattie; sonnambule, fanciulle o donne; dì guisa che il magnetismo artificiale diventa una professione come un’altra; e i sonnambuli punto non temono, al pari delle altre professioni, di spargere i loro programmi e procacciarsi clienti. – Ne sia, fra gli altri una prova, questo che fu fatto girar per Parigi (marzo 1864); « Belle maraviglie del onagnetismo e del sonnambulismo e delle loro applicazioni rigeneratrici. — La signora F., dopo aver fatti con buon esito parecchi corsi e subiti gli esami dei professori medico-magnetizzatori, esercita da dieci anni questa meravigliosa scienza, con soddisfazione delle persone da lei pienamente guarite. Può trovarsi, ad ogni ora, in sua casa, via S.-H. dove si é sicuri di avere una sonnambula di primo grado di lucidità, colla quale s’entra in relazione; e soddisfa ad ogni domanda. « Si può alla sonnambula fare ogni possibile domanda, senza tuttavia offendere la buona creanza; si può chiedere ogni parere o consulto sulla probabile riuscita d’un matrimonio, d’un processo, d’una speranza di futura o presente eredità; su ogni smarrimento d’oggetti, o denaro, anche sotterrato o nascosto. La sonnambula risponderà ad rem con lucidità e presenza di spirito sui risultati di cose lontane, anche, milleduecento leghe. Se la persona che consulta ha una malattia qualunque, la consultata sentirà da sé stessa la parte malata, e potrà dare consigli, senza aver mai imparata la maniera di guarire. » Leggesi ancora il seguente annunzio: Sibilla moderna, sonnambula eminentemente lucida, via della Senna, 16, primo piano, a Parigi. Avvenire politico e privato. Malattie inveterate e incurabili. Spiegazione dei sogni, previsioni, ricerche e informazioni diverse. Riceve tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 5. Si può avere la consultazione mediante lettere indirizzate franche alla Sibilla. Se queste promesse non avessero altra malleveria che la parola della sonnambula, sarebbe permesso di dubitarne; ma c’è ben altro. Le riferite domande sono né più né meno che le stesse che si proponevano agli antichi oracoli; a tal segno che, leggendole, quasi ti crederesti leggere una pagina di Porfirio. Ispirate dal medesimo spirito, sciolte con analogo procedimento, e quelle e queste hanno dunque lo stesso valore. Or bene, l’autorità degli oracoli era stabilita, stabilitissima; vale a dire, in altri termini, falsissimo crederebbe, chi pensasse tutto essere stato falsità nelle loro risposte. – A guisa di Parigi procedono le provincie. Tra tutte, la città della SS. Vergine, Lione, si distingue pel suo fervore al nuovo culto e pel numero degli aderenti che essa gli dà. È a tal punto, ci scrive da questa città una persona bene informata, che il capo dello spiritismo, Allan Kardec, il quale passando da Lione nel 1861, vi contava appena quattro o cinque mila spiritisti, nel 1862 punto non teme di portar quel numero a venticinquemila. Credo però di non essere lontano dal vero, riducendo tal numero a quindici o ventimila. » – Bordeaux conta circa diecimila spiritisti. Metz, Nancy, Lisieux, Oléron, Marennes, Le Havre, Saumur, Marsilia, Arbois, Strasburgo, Brest, Montreuil-sur-Mer, Carcagsonne, Chauny, Lavai, Angers, Moulins, Gallóne vicino a Tullìns, Passy, Saint-Ètienne, Tolosa, Limoges, Pontfouchard, Marmande, Macon, Valence, Niort, Douai, Pau, Villenave-de-Rions, Cadenet, Grenoble, Besangon, posseggono tanti gruppi di spiritisti più o meno numerosi. Fuori di Francia, Bruxelles, Anversa, Pietroburgo, Algeri, Constantina, Smirne, Palermo, Napoli, Torino, Firenze, gareggiano di zelo per lo spiritismo e altre pratiche diaboliche. [Nel numero del 21 marzo 1861, il giornale italiano il Movimento contiene quest’annunzio: Trovasi da qualche giorno in Genova il signor Francesco Guidi, professore di magnetologia. E gli percorre l’Europa da undici anni dando delle pubbliche sedute di magnetismo. Ne darà una sabato sera al Teatro Nazionale di Sant’Agostino. »Gli stessi cattolici che vogliono occuparsi dello spiritismo ne costatano i progressi. « Al tempo nostro non si vive più, poiché non c’è tempo; ma si consuma la vita, di maniera che gli avvenimenti invecchiano rapidamente, e cessano presto d’attrarre l’attenzione, anche quando le loro conseguenze continuano a svolgersi. Ecco perché il pubblico ha cessato da qualche tempo di occuparsi dello spiritismo, quantunque il mostro non cessi di crescere. Sì, non bisogna dissimularselo, lo spiritismo non cessa di guadagnare nuovi sèttari, favorito com’é dalla generale tolleranza…. Abbiamo raccolto numerosi fatti e degni di un serio esame. »Fondati su fatti a noi molto ben noti, e su altri, non così noti a noi, ma che ci paiono autentici, gli spiritisti proclamano baldanzosamente i loro progressi sempre crescenti. « Dacché egli apparve, lo Spiritismo non ha mai cessato di crescere, non ostante la guerra fattagli; e al presente ha piantata la sua bandiera su tutti i punti del globo. I suoi aderenti si contano a milioni; e se si pone mente alla via che ha fatta da dieci anni in qua, tra gl’innumerevoli ostacoli opposti, si può giudicare quel che sarà di qui a dieci anni, tanto più che gli ostacoli scemano di mano in mano che va innanzi. » [Discorso del presidente della Società spiritica di Marennes, Rivista ecc., gennaio 1864]. In Oriente lo stesso progresso. Il Presidente della Società Spiritista di Costantinopoli cosi si esprime: Voi conoscete da lungo tempo la mia devozione alla causa spiritista. Secondato dai Signori Valauri e Montani, io non trascuro nessuna occasione per farla penetrare nello spirito della popolazione di Costantinopoli. Perciò, confesso con legittima soddisfazione che i nostri sforzi non sono stati infruttuosi…. Laonde noi che rappresentiamo gli spiritisti di Costantinopoli gridiamo : coraggio!… L’idea spiritista non é più una grande incognita. Come una rugiada penetrante essa ha fatto rinvigorire il vecchio globo. Essa ha già fatto il giro del mondo, e dovunque essa penetra, ha fatto sorgere dei ferventi adepti. Non è questa una prova evidente del suo intrinseco valore? Cosi lo spiritismo deve da qui innanzi camminare a testa alta…. Il passato è finito, l’èra dell’inferno è chiusa. L’èra della pace, della libertà e dell’amore sorge all’orizzonte. Gloria a Dio nel più alto dei cieli. » [Costantinopoli, 8 novembre 1864 ; il vostro fratello in spiritismo. B. Bepos. Avvenire Monitore dello Spiritismo, 20 aprile 1865]. – Finalmente, da calcoli fatti altrove, colla maggiore esattezza possibile, si ha che il numero degli spiritisti è di cinque milioni. [Vedi l’ottima rivista napoletana La Scienza e la fede, giugno 1863, p. 374.]. – Misuriamo adesso il cammino che lo spiritismo ha fatto dopo sedici anni. Nella sua origine non era che un divertimento, una moda, un giuoco, tutt’al più un oggetto di curiosità più o meno vana. Propagato da principio come una traccia di polvere nell’antico e nel nuovo mondo, sembrava ora scomparso. Lo si credeva morto e non era che addormentato. Con la guerra d’Italia si è risvegliato più vivace che mai. Gettando la maschera, di semplice passatempo è diventato Società dotta; e, cosa seria, uomini di tutte le condizioni se ne occupano. « Nei saloni come nelle fabbriche, si fanno oggi adunanze per lo studio dei nostri fenomeni. Non è più come al principio delle tavole giranti, quando ci si contentava del fenomeno innocente di alcuni responsi insignificanti col si o col no. Oggi, è cosa grave e seria. L’evocazione si fa religiosamente. Punto ciarlatanismo, e niente di scenico. Tutto si fa semplicemente; e le comunicazioni hanno un non so che di carattere elevato e profondo che incute rispetto e attenzione, ». – Però lo spiritismo ha fatto un passo di più. Oggi ei si traduce in culto, e si proclama la religione dell’avvenire, la religione che deve sottentrare a tutte le altre. Il suo simbolo, come dettato dagli Spiriti medesimi, e redatto dal loro gran sacerdote Allan Kardec, è la negazione radicale del cristianesimo, e l’affermazione dommatica degli errori fondamentali dell’antico paganesimo. Concentrare tutta la nostra attenzione sopra altri punti, per quanto possano sembrare importanti, e lasciare inosservato questo fatto minaccioso, sotto pretesto che il tempo farà pronta giustizia degli spiritisti, come l’ha fatta dei suoi predecessori, sarebbe agli occhi nostri una illusione deplorevole. Al contrario noi diciamo che lo spiritismo è una potenza con cui bisogna seriamente contare. Da una parte è l’incarnazione religiosa della Rivoluzione, vale a dire del paganesimo, come il socialismo ne sarà l’incarnazione sociale. Dall’altra, notabili differenze lo distinguono dal Mesmerismo, dal Sonnambulismo, dal Magnetismo, e altre pratiche diaboliche dei secoli passati. Queste differenze sono tra le altre; l’estensione del fenomeno ; la sua rapida propagazione; la sua negazione confessata del cristianesimo; lo stabilimento della religione degli Spiriti. Fermiamoci per un istante a quest’ultima differenza. Il pericolo grande dello spiritismo è, ch’esso viene a tempo per lui opportuno. Credere che l’indebolimento attuale della fede conduca il mondo al protestantismo, al giudaismo, al maomettismo, all’ateismo sarebbe un errore. – L’Europa incredula non pensa punto a farsi protestante, ebrea, o maomettana. Quanto all’ateismo non sarà, come alcuno ha detto, l’ultima religione della umanità. L’ateismo è una negazione: il mondo non può vivere di negazione; non è mai vissuto così. In qualunque modo gli è necessaria una affermazione religiosa. Ora non cessiamo di ripeterlo: tra la religione di Gesù Cristo, e la religione di Belial, tra il cristianesimo e il satanismo, non vi è via di mezzo. Il inondo moderno che volge il dorso al Cristianesimo, dove va egli ? Va al satanismo: e lo spiritismo non è altra cosa che il satanismo, imperii dœmonis instauratio. – Se dunque il clero non oppone allo spiritismo una potente lega, e se Dio non interviene da sovrano in questa lotta decisiva, chi impedirà al nuovo culto di prendere, avanti la fine di questo secolo, proporzioni sconosciute? La prima condizione di questa lega, è di istruire solidamente i fedeli non solo nei catechismi, ma altresì nei sermoni e nei libri, sulla potenza degli angeli buoni e malvagi. In questo punto la nostra educazione è da fare o da rifarsi. Si aggiunga che lo Spiritismo è aiutato da potenti ausiliari. Per preparargli la via, liberandogli il terreno, lavorano notte e giorno due armate innumerevoli: le società segrete, e i Solidari. Come dubitare della gravità della situazione ? Come non vedere che oggidì la Chiesa si trova avviluppata nella Città del male, e che all’ordine sociale, in Europa, minato nelle fondamenta, sovrasta qualche inaudita catastrofe? Tale condizione di cose fa venire in mente il detto di sant’Agostino : « In quella guisa che lo Spirito di verità spinge gli uomini a farsi compagni degli angeli santi, così lo spirito dell’empietà li spinge alla società dei demoni. – “Sicut veritas hortatur homines fieri socios sanctorum angelorum, ita seducit impietas ad societatem dæmoniorum”. –Epist. CII; n. 19.- » E non par egli proprio anche il caso di rammentare la predizione dell’Apostolo: « Ma lo spirito dice apertamente che, negli ultimi tempi, alcuni apostateranno dalla fede, dando retta agli spiriti ingannatori; e alle dottrine de’demoni? »  “Spiritus autem manifeste dicit, quia in novissim is temporibus discedent quidam a fide, attendentes spiritibus erroris et doctrinis dæmoniorum”. I Tim . IV, 1]. [Continua …]

TERTULLIANO

TERTULLIANO

[G. Panzini. “Compendio storico dei Padri della Chiesa, Napoli, 1905]

Tertulliano (Quinto Settimio Plorenzio). Uno dei più illustri Dottori della Chiesa, nacque a Cartagine, capitale dell’ Africa, verso il 160, era figlio di un Centurione delle truppe proconsolari. Era stato pagano ed si era abbandonato alla vita dissoluta. Lo confessa egli stesso, e dice che non restava al mondo che per farne penitenza. I suoi sregolati costumi non gli impedirono di rendersi esperto in tutte le scienze, e particolarmente nella giurisprudenza romana. Studiò la lingua latina e la greca. La costanza dei Martiri nei più crudeli tormenti, il potere che avevano i Cristiani di cacciare i demoni e di fare ammutolire gli oracoli dei falsi dèi, e finalmente il timore dei giudizi di Dio persuase Tertulliano ad abbandonare i suoi errori per abbracciare il Cristianesimo. S’ignora il tempo e le circostanze della sua conversione; ma è certo ch’egli era già Cristiano, e da qualche tempo, allorché scrisse la sua dotta Apologia, nel principio del Secolo III. Da quest’Opera si rileva ch’egli era sin d’allora bene istruito nella religione. Aveva moglie, come apparisce da due libri, ch’egli le indirizza. Non si può dubitare ch’ella non sia stata Cristiana, perché in uno dei libri suddetti l’avverte che se Dio lo chiamasse a sé prima di lei, ed ella volesse rimaritarsi, era obbligata a sposare un Cristiano, poiché S. Paolo a questa sola condizione solamente permetteva le seconde nozze. Egli meritò, separatosi già dalla moglie, per la sua dottrina e virtù morali d’essere innalzato al Sacerdozio, ma non si sa 1’anno della sua Ordinazione. Tertulliano trovandosi a Cartagine, scoprì 1’eresia, che Prassea seminava contro la fede della Trinità. Prassea vedendosi scoperto, ritrattò il suo errore. Questa è l’unica cosa che sappiamo di lui mentre era Cattolico. – Tertulliano aveva un ingegno vivace, ardente e sottile. Benché egli parli poco vantaggiosamente dei propri studi, i suoi libri provano a sufficienza che aveva studiato tutte le scienze. L’elocuzione sua è un po’ dura, ma sovente accompagnata da una nobiltà, da una vivacità e da una forza che destano meraviglia. Si vede ch’egli aveva molta lettura di S. Giustino e di S. Ireneo. Tertulliano disgraziatamente non perseverò sino alla fine; l’invidia, dice S. Girolamo, e qualche male trattamento ricevuto dai compagni, lo precipitarono negli errori di Montano e spregiò le censure della Chiesa. Si crede da alcuni che fosse tratto in quel partito da Proclo, famoso Montanista, che aveva gran riputazione d’ eloquenza e di virtù. Tertulliano aveva anche una severità naturale, che lo portava sempre al maggior rigore; e quindi non è da stupirsi ch’egli sia stato sedotto da una setta di eretici, che vantava di menar una vita più austera e di custodire una continenza più esatta che i medesimi Cattolici: ma ad onta di ciò egli continuò a recare grandi benefici al Cristianesimo, combattendo tutte le eresie. D’altronde non ostante questi errori nei quali cadde, e che portarono la rovina della sua grand’anima, i libri che scrisse nel seno della Chiesa, non cessano di essere un prontuario di profonda teologia, ed Egli sarà sempre uno dei più rinomati Apologisti della Religione Cristiana. Tertulliano morì nel 245.

OPERE

Non v’ha quasi scritto di Tertulliano, in cui non s’incontrino opinioni poco esatte, o almeno espressioni dure e singolari. Spira nondimeno tanta devozione da tutto ciò ch’egli ha composto, essendo Cattolico, e tanta forza e sublimità e penetrazione in quelle Opere nelle quali prende a difendere la verità, anche dopo la sua diserzione, che la lettura può esserne sempre utile: ma fa d’uopo avere di molti lumi per distinguere i buoni raziocini dai meno esatti, dei quali talvolta usa servirsi. – Possono essere divise in tre classi le Opere di Tertulliano: 1. Quelle che ha composto contro i Pagani. 2. Quelle nelle quali combatte contro gli Eretici. 3. Finalmente quelle che destinò all’istruzione dei Fedeli. Le di lui opere di pietà sono: 1.° I trattati del Battesimo, della Penitenza, dell’Orazione, della Pazienza, contro gli spettacoli, e dell’ ornamento delle donne. – 2.° Il trattato delle prescrizioni. Le varie sètte di eretici antiche e recentemente nate, che disonoravano il nome Cristiano ai tempi di Tertulliano, lo indussero a scrivere questo Trattato. Questa voce è tolta dalla giurisprudenza, ed è una ragione di non procedere a trattare del merito delle pretese altrui, fondate sul quieto possesso d’ un gran numero di anni. – 3. La sua “Apologia per la Religione Cristiana contro i Pagani”. È questa la più celebre e la più importante Opera di Tertulliano. Egli ha trattato la materia profondamente, a dato un colpo fatale all’Idolatria. Duolsi dapprima che vengano condannati i Cristiani senza essere uditi; nel tempo che la libertà di difendersi viene accordata anche ai maggiori scellerati. Egli è quindi ben chiaro, dice egli, che l’odio è al nostro nome. La confessione di Cristiano basta per farci condannare; ella sola ci espone all’odio pubblico; e l’odio di questo nome è sì cieco nella maggior parte degli uomini, che dicendo bene d’uno di noi vi mescolano sempre rinfacciamenti del nome: È una buona persona il tale: ma è un peccato che sia Cristiano ecc. Vi è nel suo Apologetico una parte sì sublime che stimo necessità trascriverla interamente. “Io ne chiamo in testimonio, (dice egli) i vostri atti, o voi che presiedete tutti i giorni al giudizio degli accusati; qual seduttore, qual ladro, qual assassino, qual sacrilego, è egli iscritto come Cristiano nei vostri registri ? O allorché i Cristiani compariscono in questa qualità davanti a voi, chi tra di loro è trovato colpevole di questi delitti? È dei vostri che rigurgitano le prigioni e le miniere; è dei vostri che s’ingrassano gli animali; è fra i vostri che gli appaltatori dei massacri reclutano incessantemente quei branchi di rei destinati ai vostri divertimenti. Colà nessun Cristiano, o per essere solo Cristiano. Se egli è incolpato di un altro delitto, da quell’istante non è Cristiano. Noi soli dunque siamo innocenti. Perché sorprendersene, quando è per noi una necessità di esserlo? Sì, ella è per noi una necessità. Istruiti da Dio, noi conosciamo perfettamente la virtù, che un maestro perfetto ci rivela, e la pratichiamo fedelmente per ordine, e sotto gli sguardi di un giudice formidabile. Tra voi essa è insegnata dall’uomo. Voi non potete dunque né come noi conoscerla, né come noi praticarla: tutto vi manca, e la pienezza della verità, e la terribile sanzione del dovere. Che è la sapienza dell’ uomo per mostrare ciò, che è veramente utile? Che è la di lui autorità per condannarlo? l’una s’inganna sì facilmente, come facilmente si disprezza 1′ altra. Ed in realtà qual è il precetto più completo, quello che dice: tu non ucciderai, o quello che proibisce eziandio la collera? Qual è il più perfetto di vietar 1’adulterio, o la semplice concupiscenza degli occhi, le azioni cattive, e puranco le parole maligne? Di proibire l’ingiuria, e d’inibire eziandio di vendicarla? e ancora sappiate, che ciò che sembra tendere alla virtù nelle vostre leggi, esse lo hanno ricevuto da una legge più antica, dalla legge divina. Tuttavia che è in sostanza 1’autorità delle leggi umane, che 1’uomo elude celando il suo delitto, e che affronta volontariamente, o per necessità? Considerate inoltre la brevità del supplizio, che la morte termina, qualunque egli siasi. Per noi che dobbiamo essere guidati da un Dio che tutto vede, e che sappiamo che le sue punizioni sono eterne, noi abbracciamo solo la virtù, e perché perfettamente la conosciamo, e perché non sono vi ombre dense abbastanza per nascondere il delitto, ed a motivo della grandezza del supplizio, lungo non solo, ma eterno. Noi temiamo il supremo Giudice, noi temiamo Iddio, e non il Proconsole, (Capp. XXXVI, XXXVII, XXXVIII). 4. I due libri ai Gentili, dei quali il soggetto è lo stesso, che quello dell’Apologia. Libri che scrisse nel medesimo tempo, vale a dire in uno dei primi anni del 3.° secolo. – 5. Il libro della testimonianza dell’anima, che tratta della medesima materia, poiché non fa che stendere ciò che aveva detto nell’Apologia in poche parole a proposito della testimonianza, che 1’anima rende naturalmente all’esistenza di un Dio solo. Anche lo scopo n’è il medesimo, cioè la difesa della Religione Cristiana. Le altre opere di Tertulliano sono per la maggior parte state composte dopo la sua caduta. Debbonsi distinguere quelle nelle quali attacca la Chiesa Cattolica, da quelle nelle quali combatte gli eretici relativamente ad alcune verità, su delle quali i Montanisti e i Cattolici erano d’accordo. Queste ultime contengono cose pregevolissime. Così: 1. Il Trattato contro Marcione, merita d’ essere guardato come un tesoro d’antica Teologia — 2. Il Trattato contro Prassea, in cui Tertulliano difende la fede della Trinità SS.a a fronte di quell’eretico, che, dopo d’avere abiurato il suo errore, vi ricadde di nuovo. Gli scritti di Tertulliano condannati dalla Chiesa sono: i libri della Monogamia, dove condanna come illecite le seconde nozze — della Pudicizia, dove sostiene, che chi ha violato le leggi della castità non può essere riconciliato con Dio – quello dell’Anima, in cui dice ridicole cose della di lei natura. Quello del Pallio, e prende a dimostrare che aveva avuto ragione di lasciare la veste romana per assumere il pallio filosofico. V’ha molta erudizione in quest’Opera, non vi è cosa contro la Chiesa, ma non vi si trova tutta la gravità e saviezza che si vorrebbe aspettare da un uomo di riputazione sì grande. Nei libri della Corona e della Fuga egli insegna contro il sentimento dei Cristiani che non era permesso ai soldati cristiani di portare sul capo una corona d’alloro, né di fuggire la persecuzione. Scrisse finalmente sei libri intitolati dell’estasi, il soggetto dei quali si è di sapere se i Profeti veri conservavano sempre la libertà dello spirito e del giudizio, come dicevano i Cattolici contro Montano. Questi sei libri sono perduti, come anche la risposta ch’egli fece a S. Apollonio, che li aveva confutati. Tertulliano pretendeva che Dio per un effetto mirabile della sua provvidenza, avesse di nuovo mandato lo Spirito Santo, e riempitene i suoi servi come aveva promesso loro per bocca di Gioele; ch’Egli aveva preparato questo rimedio contro l’incredulità degli eretici e la debolezza dei Cattolici ch’egli chiama psichici, cioè, carnali. Tertulliano si divise finalmente dai Montanisti, e fece Assemblee particolari; vi erano ancora suoi seguaci a Cartagine 200 anni dopo, e Dio si servì di S. Agostino per farli rientrare in grembo alla Chiesa Cattolica. – Abbiamo varie edizioni delle sue Opere. Quelle di Rigault e Pamilins sono le più stimate.

J.-J. Gaume: IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (15)

CAPITOLO XXIX

DISEGNO D’UNA BIBLIOTECA CLASSICA CRISTIANA

Allevare i giovinetti nello spirito della società, di cui essi sono i figliuoli e di cui esser devono i continuatori, tale è la prima legge che il buon senso indica ad ogni popolo. Allevare cristianamente i membri d’una società cristiana, è l’applicazione necessaria di questa gran legge. L’educazione si fa colla trasmissione delle idee; la trasmissione delle idee si fa colla parola scritta o parlata. La parola scritta, la sola di cui qui ci occupiamo, si fa coi libri che si pongono in mano al giovinetto, dei quali lo si forza a nutrirsi durante più anni, che gli sono spiegati con cura, che gli si presentano come modelli, che è obbligato di sapere a menadito, in guisa di riprodurli nel suo linguaggio, e d’invocarli al bisogno come confermazione dei suoi pensieri e dei suoi giudizii. Tutti i popoli capirono l’influenza decisiva di questa parola scritta, sui destini dell’avvenire. I cristiani parteciparono come gli altri, dirò più degli altri, a questo buon senso che fa dipendere le idee ed i pubblici costumi dall’insegnamento dato alla gioventù. Gelosi di conservare intatto il sacro deposito della religione, essi allontanarono con un’estrema sollecitudine dalle labbra delle generazioni nascenti la tazza, per splendida che fosse, la quale contenere potente veleno. Questa condotta ò una legge, alla quale bisogna che noi ritorniamo sotto pena di perire. Ora, lo vedemmo, i soli libri classici, messi in mano alla gioventù dai padri nostri, sono: le Sacre Scritture, gli Alti dei martiri, e le opere dei Padri e dei Dottori della Chiesa. L’ammirabile loro sapienza si mostra qui sotto due aspetti ben gloriosi. Cristiani prima di tutto, e riconoscendo l’esistenza di una letteratura cristiana, come si riconosce, aprendo gli occhi, l’esistenza del sole, essi volevano che i loro figliuoli destinati ad essere cristiani come i padri loro, imparassero dapprima la lingua e la letteratura della società cristiana. Di più, sapevano che l’educazione è il tirocinio della vita. Per loro, la vita era cosa seria. Essa era una lotta continua, una lotta gigantesca, una lotta a morte contro il male. Sotto pena di essere vinto ed infelice di qua e di là dalla tomba, ogni cristiano deve essere un eroe. Nessuna cosa pareva loro più propria a fare dei loro figliuoli tanti eroi, quanto i possenti insegnamenti usciti dalla bocca di Dio stesso; quanto gli eroici esempi dei loro avi; quanto i sublimi incoraggiamenti di quegli immortali dottori, di quei Santi dell’Oriente e dell’Occidente che parlano colla triplice autorità della scienza, dell’eloquenza e della virtù. Cinquanta generazioni, come il mondo non ne vide mai, sono il glorioso monumento della giustezza del loro calcolo. – Fortemente nutriti del sugo cristiano, i loro adolescenti ottenevano il permesso di percorrere il mondo pagano, d’interrogare i suoi uomini, le sue arti, i suoi monumenti, i suoi costumi e le sue leggi. I nuovi ebrei potevano allora visitare l’Egitto, non solo senza correre pericolo di diventare suoi schiavi, ma ancora con la giusta fiducia d’impadronirsi delle sue ricchezze, per farle servire all’ornamento del tabernacolo. Così si trovavano conciliali e l’integrità dello spirito cristiano, ed il compiuto sviluppo della scienza. È chiaro: per i nostri padri tutto cominciava, tutto finiva colla religione. Tale è, per mille motivi, il cammino al quale bisogna imperiosamente ritornare. – Dapprima, pei popoli, quali essi siano, la religione è tutto. Il libro che la insegna deve essere il primo nelle mani del fanciullo, e l’ultimo nelle mani del vecchio. Tranne nei nostri tempi moderni, che non sono caduti nel caos se non per averla sconosciuta, sempre e dappertutto questa verità fu compresa e praticata. – Fra gli Ebrei, la Bibbia era tutto. Con la tradizione che la spiega, essa compone la scienza nazionale. Difesa sino al sangue, essa è rispettata come l’arca santa, amata come la patria. Fra i Maomettani, la legge del Profeta, accompagnata da qualche commento, è il libro unico. In questo libro il fanciullo impara a leggere, il giudice cerca la ragione delle sue sentenze, l’uomo d’ogni condizione e d’ogni età la sua regola di condotta. Libro sacro! Quando i fanciulli sono giunti a conoscerne un capitolo, è un avvenimento, che si celebra con una pubblica festa. Posto su d’un ricco veicolo, circondato da faci, il libro nazionale è portato in trionfo nelle vie, seguito dai fanciulli e dai maestri, salutato con rispetto dai parenti e dalla intera popolazione: la gioia è nel cuore della società, di cui questa manifestazione annuncia la perpetuità dello spirito che l’anima. Dopo lo studio d’ogni capitolo, la festa ricomincia. – Ora, per le nazioni cristiane, l’Evangelio è lutto: esso è la loro vita intellettuale, morale, domestica, civile, politica, letteraria, artistica, scientifica; in questo immenso oceano di luce esse devono vivere come il pesce nel mare. La Chiesa cattolica, loro madre, non cessa di proclamare questa grande verità. Non una vi ha delle sue solenni adunanze, in cui essa non collochi su d’uno splendido trono il libro degli oracoli religiosi e sociali. Pure, bisogna dirlo, da più secoli l’Evangelio è nulla, o quasi nulla nella nostra pubblica educazione. Come stupirsi ch’esso sia più nulla o quasi nulla nelle idee e nei costumi? Come stupirsi, in altri termini, che noi cessiamo d’essere cristiani? O ritornare a resipiscenza, o morire. Di più, lo stato presente del mondo non permette, a questo proposito, né ritardo né concessione. La rapida formazione di due grandi unità, quella del bene e quella del male, regine dell’avvenire senza rivali, non è più un problema per nessuno. Innalzato all’ultima sua potenza, il male si formula oggidì con una negazione assoluta. Una negazione assoluta non può combattersi se non da un’affermazione egualmente assoluta. Il Cattolicesimo, il Cattolicesimo in tutta la sua integrità, il cattolicismo professato da martiri, può solo lottare contro la società del male. Ma una cosa sola può ricondurre in tutto il suo vigore ed in tutta la sua purezza il Cattolicesimo in seno all’Europa, cioè un’educazione fortemente cattolica. – Simile educazione non è possibile se non con classici cristiani. Per conseguente, noi supplichiamo che si voglia ben ripigliare per evangelio, in fatto di educazione, la condotta dei secoli cristiani. Ciò posto, ecco le nostre idee ed il nostro disegno. – Pei popoli cristiani, noi l’abbiamo detto, l’Evangelio è tutto. Tutto deve uscire di là, tutto deve ricondurre colà. Intorno a questo divino perno deve evidentemente girare tutto quanto il sistema della educazione. Ora, l’Evangelio è un centro posto in mezzo al mondo, al quale riescono per due correnti opposte i secoli che lo precedono ed i secoli che lo seguono. Per iniziare il fanciullo alla conoscenza dell’Evangelio, noi gli facciamo studiare nel più bello fra i libri la preparazione quattro volte secolare di questo gran fatto. I magici racconti della Bibbia, non già in un latino del secolo 18°, ma nel latino primitivo e consacrato della Volgata, diventano il primo libro della sua vita di collegio, come furono il primo libro della sua vita di famiglia. Di più, l’Evangelio è un codice, ed il fanciullo lo studia. Ogni codice vuol essere spiegato. Le opere dei Padri ne sono il commento verbale il più perfetto, ed il fanciullo se ne nutrisce. Gli Atti dei Martiri e dei Santi ne formano la spiegazione pratica, ed il fanciullo la conosce; e la sua vita diviene evangelica. Tale è il principio che ci ha servito di bussola. Quanto al nostro disegno, eccolo in poche parole:

1° Supponendo che si mantenga la divisione per classi, tutti i classici, sino alla quarta inclusive, debbono essere cristiani. È d’uopo tutto quel tempo, almeno coll’attuale metodo d’insegnare le lingue, per insegnare convenientemente il latino cristiano ed iniziare allo studio della lingua greca cristiana. Inoltre esso è necessario per nutrire fortemente di Cristianesimo le giovani generazioni, uscite troppo spesso da famiglie poco cristiane e destinate a vivere in una società che è ancor meno cristiana.

2° Partendo dalla terza sino alla rettorica, i classici possono essere cristiani e pagani. In questo momento lo studio del paganesimo offre minor pericolo, poiché, secondo il detto di Tertulliano, lo spirito ed il cuore dei fanciulli sono sodamente temprati alle fonti cristiane. D’altra parie, questo tempo basta per studiare e per leggere gli autori profani, in quanto lo richiede l’esame del baccellierato.

3° Quanto alla scelta particolare dei classici cristiani, noi diremo solo qui, che fu deciso, dopo maturo esame e molti consigli, che l’esecuzione letteraria di questo importante lavoro sia affidata ad uomini, i cui lumi e la cui esperienza offrono al clero ed ai laici tutti i pegni di fiducia che si possono desiderare. Possiamo inoltre affermare che nel suo complesso tale scelta è buona, ottima; e lo possiamo affermare senza essere accusati di vana pretensione. Da un lato noi la troviamo indicata anticipatamente da tutta la tradizione cristiana; dall’altro lato essa è formalmente raccomandata dalla Chiesa.«L’uomo essendo inclinato al male sin dalla puerizia, dice il 5° Concilio generale del Laterano, l’educazione della gioventù è cosa della maggiore importanza. Perciò noi decretiamo e regoliamo che tutti i maestri di scuola ed i professori siano tenuti non solo d’insegnare ai fanciulli ed ai giovani la grammatica, la retorica ed altre cose simili, ma eziandio che siano obbligati ad istruirli nella religione, ed a far loro conoscere gli inni sacri, i salmi e le vite de Santi; di più, è loro proibito, nei giorni festivi, di insegnare a quelli altra cosa, tranne ciò che spella alla religione ed ai buoni costumi (Conc. Laler. V, sess. VIII, an. 1512). Più tardi noi sentiamo il santo Concilio di Trento, questo grande ristoratore della Chiesa e della società, esprimersi in termini non meno formali sulla necessità dello studio classico della Scrittura, non solo nei seminari, ma ancora nei collegi o pubblici ginnasi. I motivi sui quali si appoggia l’augusta assemblea sono gli stessi da noi esposti nel corso di quest’opera: lo studio del codice sacro è necessario alla difesa ed all’accrescimento della fede, alla conservazione ed alla propagazione della sana dottrina; in una parola, se non si nutre di Cristianesimo la gioventù, la società cesserà d’essere cristiana (Sess. V). Tale è il giudizio dell’immortale Concilio. – Il lettore vedrà che noi non siamo novatori: i novatori sono quelli che introdussero il paganesimo nell’educazione; né uomini d’immaginazione e discepoli del nostro senso privato : gli uomini d’immaginazione sono quelli che credono conservare cristiane le generazioni da essi saturate di paganesimo ed alle quali lasciano ignorare il cristianesimo; i discepoli del senso privato sono quelli che, spregiando e la pratica costante delle età di fede ed i precetti della Chiesa universale, impongono le loro teorie siccome regole infallibili. Si concederà pure, amiamo sperarlo, che i l bisogno il più imperioso del tempo nostro quello sia di rendere cristiana la educazione, e per conseguenza di familiarizzare di buon’ora le nascenti generazioni con le idee, con gli uomini, con i fatti, con gli esempi, con le massime, con gli scritti, in cui trovasi con maggiore abbondanza e purezza il sugo vivificatore del Cristianesimo. Finalmente, quando la scelta dei classici sarà conosciuta, si concederà, lo speriamo, che la indicata biblioteca sia tale da raggiungere questo scopo necessario. – Ma non si mancherà di chiederci perché noi la pubblichiamo, mentre già si pubblicano classici cristiani? Non è forse ciò un voler fare un libro a fianco ad un libro parimente buono? Ecco in due parole la risposta. Noi pubblichiamo siffatta biblioteca, perché cosa indispensabile il dare all’insegnamento un seguito logico che assicuri il buon esito dello studio, graduando il lavoro, ed uno sviluppo sufficiente per nutrire di Cristianesimo tutte le facoltà della gioventù, dal suo entrare in collegio sino al suo uscirne. – Ora, i saggi comparsi sinora, sebbene utili in sé, sebbene concetti colle più lodevoli intenzioni, ci sembrano lungi dal soddisfare alla doppia condizione. Da un lato essi si limitano ad alcuni tratti isolati, che annegati in mezzo ai libri pagani, non possono dare alcun serio risultato né sotto il riguardo letterario, né sotto il riguardo morale. I pregevoli autori di quegli opuscoli non tennero conto abbastanza, almeno così ci sembra, dell’esistenza benissimo distinta delle due lingue latine. S’essi l’avessero riconosciuta, come non avrebbero essi visto che, facendo camminare di pari passo lo studio del latino cristiano e lo studio del latino pagano, il giovinetto non imparerebbe altro che un gergo, barbara composizione dell’idioma cristiano e dell’idioma pagano? Non è forse ciò un voler fare studiare in pari tempo l’italiano e lo spagnolo, per esempio? Questo miscuglio, sgraziato nel risultato, accresce singolarmente la difficoltà nella pratica. Quale confusione ancor più deplorevole non deve produrre nello spirito del giovinetto lo studio simultaneo delle idee pagane e delle idee cristiane? Dove sarà per esso la pietra di paragone che gli farà discernere la vera virtù, la vera gloria, la vera saggezza, da quella che non ne ha che l’apparenza? Prima di lasciargli frequentare i pagani, aspettate (come vuole san Basilio) ch’egli sia fortemente cristiano. – Considerato sotto un altro riguardo, questo miscuglio di Cristianesimo e di paganesimo è un sistema all’atto logoro. Al punto in cui siamo, non vi sono più oggidì nella educazione, nonché in religione, in politica, in filosofia ed in tutto il rimanente, se non due sistemi in piedi: il sistema cristiano ed il sistema pagano; cattolicesimo o socialismo; tutto o nulla. Uomini e cose, tutto ciò che non è , tutto ciò che non sarà francamente l’uno o l’altro, o non conta più, o è morto prima d’essere nato. D’altra parte, i trattati o brani, di cui si tratta, mancano di gradazione logica. Infatti, essi offrono a studiare, ad esempio, S. Girolamo prima di S. Gregorio. L’opposto deve avere luogo. L’immortale pontefice è il tipo della bella latinità cristiana. Soltanto dopo averlo bene studiato si può, senza pericolo pel gusto letterario, passare a S. Girolamo, il cui stile rammenta ancora spessissimo la forma pagana. I l dottore di Betlemme deve essere la transizione tra la lingua cristiana e la lingua pagana. Tale è i l posto ch’egli occupa nella nostra biblioteca.

CAPITOLO XXX

VANTAGGI PARTICOLARI DI QUESTA BIBLIOTECA

Facendo rientrare logicamente, gradualmente, compiutamente il Cristianesimo nella educazione, noi facciamo rientrare negli animi il gusto del bello, poiché, amiamo dirlo di nuovo, il bello è lo splendore del vero. Questo scopo, oggidì sì desiderevole, è raggiunto in modo tanto più certo in quanto tutti i nostri classici sono, sotto il punto di vista meramente letterario, al di sopra d’ogni paragone. Ci sia permesso d’insistere su questo punto importante. L’influenza del paganesimo fu tale che un gran numero di persone perdettero il gusto del bello in fatto di letteratura cristiana, ancor più che non in fatto di pittura e di architettura. Ora, lo ripetiamo; la Sacra Scrittura, gli Atti dei Martiri e le opere dei Padri, tali sono i modelli che noi proponiamo alla gioventù.

La Scrittura. Se l’eccellenza dello stile dei libri sacri su quanto noi abbiamo di più perfetto fra i migliori scrittori di ogni tempo, potesse essere dubbia agli occhi di qualcheduno, o prevenuto, o superficiale, o indifferente, noi lo preghiamo di meditare il seguente passo di un autore non sospetto. Ecco il paragone che Sterne fa tra l’eloquenza profana e l’eloquenza Sacra: « V’hanno, dice il celebre scrittore inglese, due sorta di eloquenza, una delle quali appena ne merita il nome. Essa consiste in un numero fisso di periodi acconciati e compassati, e di figure artificiali, in diamantate di paroloni pretensiosi. Questa eloquenza abbaglia, ma rischiara poco l’intendimento. Ammirata, affettata dai semi-dotti, il cui giudizio è così falso come ne è viziato il gusto, essa è del tutto estranea agli scrittori sacri. Se fu sempre riguardata come al di sotto dei grandi uomini di ogni secolo, quanto (a più forte ragione) dovette sembrare indegna di quegli scrittori che lo spirito d’eterna sapienza animava nelle loro veglie, e che dovevano raggiungere quella forza, quella maestà, quella semplicità che l’uomo solo non raggiunse mai! « L’altra sorta di eloquenza è affatto contraria a quella che ho censurato, e caratterizza veramente le Sacre Scritture. La sua eccellenza non deriva da un linguaggio lavorato e recato da lungi, ma da un misto meraviglioso di semplicità e di maestà: doppio carattere così difficilmente riunito, che ben raramente si trova nelle composizioni puramente umane. Le sacre pagine non sono caricate di ornamenti superflui ed affettati. L’Essere Infinito, avendo voluto acconsentire a parlare il nostro linguaggio per recarci la luce della rivelazione, si compiacque dotarlo di quelle forme naturali e graziose, che penetrar dovevano nelle nostre anime. – « Osservate che i più grandi scrittori dell’antichità, vuoi greci, vuoi latini, perdono infinitamente delle grazie del loro siile quando sono tradotti nelle nostre lingue moderne. La famosa apparizione di Giove nel libro I di Omero, la sua pomposa descrizione d’una tempesta, il suo Nettuno che fa crollare la terra e che la squarcia per metà sino al suo centro, la bellezza dei capelli della sua Pallade; tutti questi passi, in una parola, ammirati di secolo in secolo, appassiscono e spariscono quasi del tutto nelle traduzioni latine. Si leggano le traduzioni di Sofocle, di Teocrito, di Pindaro stesso: vi si troverà egli altro se non alcune vestigia leggiere delle grazie che ci rapirono negli originali? Concludiamo con dire che la pompa dell’espressione, la soavità dei numeri e la frase musicale costituiscono la maggior parte delle bellezze dei nostri classici autori, mentre quelle delle nostre Scritture consistono piuttosto nella grandezza, delle cose stesse che non in quella delle parole. Le idee vi sono così sublimi di loro natura, che devono sembrare sublimi per necessità nel loro modesto abbigliamento: esse brillano attraverso le più deboli e le più letterali traduzioni della Bibbia ». Quale eloquenza più degna delle anime serie e dei popoli cristiani!

Gli Atti dei Martiri. Dopo la Scrittura, nulla vi è più degno d’ammirazione e di rispetto degli Atti dei Martiri. Se i libri sacri sono dovuti all’ispirazione di Dio stesso, le risposte dei martiri agli interrogatori dei giudici furono, giusta la promessa del Salvatore, dettate dallo Spirito Santo. Sotto il punto di vista puramente letterario, esse presentano lo stesso genere di bellezze della Bibbia. La semplicità delle parole e l’eloquenza delle cose ne formano i l continuo e sublime carattere. In faccia ai padroni del mondo, armati di sofismi, di minacce, di promesse, seguiti da un lungo corteggio di littori, di proconsoli, di prefetti, di giudici, di carnefici e di belve feroci, voi scorgete uomini del popolo, donne, fanciulli, poveri schiavi ridurre al nulla, colla semplicità, colla fermezza, colla chiarezza del loro linguaggio, i sofismi dei filosofi, le questioni capziose dei magistrati, i discorsi patetici dei parenti afflitti. A misura che il coraggio del martire s’innalza all’eroismo, il suo carattere si spiega, la sua parola sfavilla in tratti della più sublime eloquenza. Diventando più stringente, il dialogo diventa più vivo, più interessante. E la grandezza della causa che si discute, ed il contrasto tra la forza del tiranno e la debolezza della vittima, tra la brutalità ed il furore dell’ uno, e l’innocenza e la calma dell’altra, tutto ciò commuove alle lacrime i cuori i più freddi, cioè tutto il dramma finisce col raggiungere la più alta poesia. Sublimità e semplicità, unzione e vigore, grazia ed ingenuità, rapidità che trascina e particolarità commoventi, tali sono le doti letterarie che caratterizzano il racconto di quelle tenzoni senza esempio nei fasti del mondo. Da ciò viene che gli Atti de’Martiri, come tutto quello che è veramente bello di fondo e di forma, godono del privilegio di appassionare i fanciulli medesimi e di fare le delizie dei più grandi uomini dei secoli i più celebri. Fra mille esempi potrei recare quello di Santa Teresa; ma tutti lo conoscono. Fra mille testimonianze, citerò solo quella del celebre Giuseppe Scaligero. « La lettura degli Atti dei Martiri, dice quel dotto critico, è sì commovente, che lo spirito non può mai sfamarsene. Ognuno può averlo provato secondo il grado di sensibilità e d’intelligenza di cui egli è dotato; ma per me, confesso che nulla mai lessi nella Storia ecclesiastica, a più forte ragione nella storia profana, che abbia eccitato nel mio cuore moti sì straordinari ad una e sì violenti, che nel lasciare cotal libro non conosco più me stesso (Annot. ad Euseb., Hist. Eccl.) ».

I santi Padri. Quasi sulla stessa linea della Scrittura ispirata da Dio, delle risposte dei martiri dettate dallo Spirito Santo, compaiono i Padri della Chiesa. I loro scritti sono i monumenti i più insigni del Cristianesimo ed i più bei titoli di gloria del genio dell’uomo. Gli insegnamenti, le parole di quegli uomini, se pure si deve dar questo nome a quegli esseri eccezionali che paiono innalzarsi sino al cielo per contemplarvi la verità, sono ben meno gli insegnamenti e le parole di semplici particolari, che non gl’insegnamenti e le parole della Chiesa universale. Ivi i cristiani d’ogni secolo e d’ogni stato possono imparare ciò che si deve rigettare, ciò che si deve conservare, ciò che si deve odiare, ciò che si deve amare, ciò che si deve evitare, ciò che si deve fuggire, ed anche ciò che si deve ammirare sotto il punto di vista puramente umano della poesia e dell’eloquenza. A giusto titolo pertanto quei geni incomparabili, quei grandi uomini, da Dio suscitati per essere insieme i custodi e gli interpreti del Testamento del suo Figliuolo, sono chiamati nella storia gli specchi della eterna luce, gli organi dello Spirito Santo, i troni della sapienza, gli araldi dell’impero di Dio, le colonne della religione, i vendicatori della verità, i modelli della virtù, i duci del popolo cristiano, i maestri del genere umano, le faci della Chiesa, i fari dell’universo. Ma ciò che bisogna notare qui, si è che gli scritti dei Padri non solo sono fonti di sapienza divina, ma anche tesori di eloquenza e d’erudizione d’ogni genere. Su questo punto non v’ha che una voce nel mondo veramente dotto. Persino gli uomini i più classici del secolo il più appassionato pei Greci e pei Romani pagarono il tributo di loro ammirazione al letterario ingegno dei Padri della Chiesa.: « – Un Padre della Chiesa, un Dottore della Chiesa! grida Labruyère: quali nomi! quale tristezza nei loro scritti! quale aridità! quale fredda divozione! E forse quale scolastica! – dicono coloro che non li hanno mai letti. Ma piuttosto quale stupore per tutti coloro che si sono fatta un’idea dei Padri della Chiesa sì lontana dal vero, se vedessero nelle loro opere maggiore Unitezza e delicatezza, maggiore polito e spirito, maggiore ricchezza di espressione e maggiore forza di ragionamento, tratti più vivi e grazie più naturali, che non se ne notano nella più parte dei libri di questo tempo, i quali sono letti con gusto, i quali danno rinomanza e vanità ai loro autori! Qual piacere di amare la religione e di vederla cresciuta, sostenuta, spiegata da sì bei geni e da sì sodi spiriti, specialmente quando si viene a conoscere che, per la copia delle cognizioni, per i principi della più pura filosofìa, per la loro applicazione ed il loro sviluppo, per la giustezza delle conclusioni, per la dignità del discorso, per la bellezza della morale e dei sentimenti, nulla v’è, ad esempio, che paragonar si possa a Sant’Agostino se non forse Platone e Cicerone! (Caratteri, t. 1; Degli Spiriti forti, p. 153.) ». Non voglio cavillare col mio autore; pure sarei tentato di chiedere a Labruyère dove abbia veduto che Platone e Cicerone siano paragonabili a Sant’Agostino per la copia delle cognizioni, pei princìpi della più pura filosofia, per la bellezza della morale e dei sentimenti? Iddio perdoni al Rinascimento, di cui qui vedesi l’influsso sugli animi i più sodi. Da tali considerazioni generali sul merito letterario dei nostri classici cristiani passiamo a qualche osservazione particolare. Faremo notare dapprima che il numero di siffatti scrittori è assai piccolo. L’esperienza dimostra che il mezzo d’imparare una lingua non è già di studiare molti libri, ma di studiarne uno buono, e di studiarlo a fondo, in modo che il pensiero dell’autore e la forma del suo pensiero ritornino naturalmente e senza sforzo allo spirito, quando bisogna pensare, scrivere o parlare. Come da per tutto, qui pure si verifica la massima: Timeo doctorem unius libri. Poscia i nostri classici, già sì poco numerosi, si riducono quasi all’unità; poiché, dopo aver servito allo studio della lingua latina, servono ancora allo studio della lingua greca. Noi amiamo credere che nessuno dubiti dell’immenso vantaggio che ne deriva. Da un lato, il giovinetto vi trova grande facilità per imparare il greco, poiché è anticipatamente in relazione cogli autori dei quali già conosce tutti i pensieri; dall’altro lato è quasi impossibile che non conservi gli insegnamenti che gli si danno, sotto forme diverse, durante tutto il corso dei suoi studi. Finalmente i libri indicati come soggetti di lettura latina e greca daranno, se utile si crede, tutta la desiderabile varietà al lavoro del giovinetto. In pari tempo che gli faranno conoscere il modo dei vari autori, lo obbligheranno ad acquistare una seria cognizione delle letterature greca e latina. Ecco il nostro pensiero: Noi desideriamo che si appianino al possibile le difficoltà che s’incontrano nel cammino del discepolo; che sia liberato dal lavoro sì lungo, sì fastidioso e quasi sempre sì ingrato e talvolta sì pericoloso, di sfogliettare i dizionari. Basta per ciò dargli a viva voce sia il senso preciso di una parola, sia la spiegazione di una cosa ch’egli cercherebbe a lungo senza sicura speranza di trovarla egli stesso. Nulla pare più conforme di ciò al cammino della Provvidenza nello studio delle lingue, né più efficace per farvi rapidi progressi, preservandolo dal doppio flagello della nausea e della noia. Nondimeno, siccome si dovrebbe temere che tale metodo rendesse pigro l’intendimento, questo pericolo si sfugge facendo fare al giovinetto letture greche e latine, ch’egli solo deve capire e di cui è obbligato a rendere conto. – Aggiungeremo ancora (tanto oggidì ci pare necessario di cristianizzare l’educazione) che bisogna insegnare cristianamente anche gli autori pagani. Ecco come riuscirvi. Invece di darli, come troppo sovente si fece dopo il Rinascimento, per modelli finiti di virtù reali, bisogna avere cura di far notare l’imperfezione della loro sapienza, della loro forza, della loro prudenza, della loro temperanza, delle loro intenzioni e dei loro sensi, paragonando tutte queste cose con gl’insegnamenti della fede. Suppongo, ad esempio, che si spieghi il trattato De Amicitia di Cicerone. Per far risaltare l’inferiorità dell’amicizia naturale, si leggeranno i precetti di carità quali sono esposti nel catechismo del Concilio di Trento, oppure si mostreranno i veri caratteri di questa virtù, spiegando il 13° capitolo di San Paolo, nella prima ai Corintii. Parimente, quanti vantaggi pel discepolo, se alla lettura dei Commentarli di Cesare si unisse la spiegazione delle guerre sante di Giosuè, di Davide e dei Maccabei! Da un lato, il fanciullo vede e la giustizia che deve presiedere alla guerra, e la Provvidenza e la forza del braccio di Dio; dall’altro, gli errori dei grandi capitani del paganesimo, i quali per una vana gloria o per un vile interesse si credevano in diritto di sguainare la spada e di recare la desolazione per tutto l’universo. Quali sapienti, quali santificanti confronti da stabilire tra gli eroi della Grecia e di Roma, ed i grandi imperatori e i grandi capitani cristiani: Teodosio, Carlo Magno, San Luigi, San Stefano d’Ungheria, Vasco de Gama, Albuquerque e molti altri! Finalmente la superiorità del Cristianesimo spiccherà di per sé, se il professore avrà cura, quando s’imbatte in un sentimento od in un principio erroneo di un autore pagano, di provarlo alla pietra di paragone dell’Evangelio. Così, quando Cicerone si loda di per sé, o quando prodiga lodi altrui, bisogna dimostrare che quella lode è falsa, indegna di un’anima cristiana, che cercar deve per ricompensa non già l’adulazione, ma la vita eterna, e deporre tutte le sue corone ai piedi di Colui, da cui proviene ogni dono perfetto. Così ancora, quando Cicerone nei suoi Officii dice che nessuno deve vendicarsi, a meno che non sia provocato, o che non abbia ricevuto un insulto; qual magnifico campo aperto al professore per dimostrare la superiorità della legge cristiana, e per spiegare agli occhi dei giovinetti i grandi dettami del Calvario! – Ecco pel fondo. Che dirò io della forma? Facendo ammirare la frase numerosa di Cicerone, il maestro avrà cura di dire che tutta quella abbondanza di parole, che tutta quella pompa asiatica, oltre ad essere lontana dal convenire ad ogni argomento, è spesso indegna del cristiano, il quale sa che l’eloquenza ben più si trova nelle cose che non nelle parole, e che la parola fu data all’uomo, non già per procacciargli vane lodi, ma per servire alla gloria di Dio ed al vantaggio del prossimo. – Questo semplice saggio ci sembra bastare per far capire che cosa noi intendiamo per « insegnamento cristiano degli autori profani ». Ci si permetta di fare qui una osservazione di alta importanza. Non solo sui discepoli i classici cristiani possono esercitare il più salutifero influsso, ma ben anche sui maestri. Quasi sempre echi dei due mondi, gli autori cristiani, e specialmente gli Atti dei Martiri, aprono agli occhi dei professori un immenso orizzonte; essi danno loro così il mezzo naturale di sviluppare tutti i loro tesori di erudizione cristiana e pagana, o li obbligano a farne ampia provvigione, per potere soddisfare alle spiegazioni rese necessarie sia dal testo stesso dell’opera, sia dalle domande degli scolari. Per grande che sia, un tal vantaggio è però soltanto secondario. Mentre il continuo studio degli autori pagani inaridisce il cuore e talvolta lo corrompe, falsifica il giudizio, altera il gusto, e rende incompiuto l’uomo; lo studio degli autori cristiani nutre il cuore e lo santifica, forma il giudizio, purifica il gusto, rende pratico l’uomo, e di necessità ne fa un essere utile alla società. Diciamo, per finirla, che lo studio delle lingue vive diventando ognora più generale, e sembrandoci esso entrare nei consigli della Provvidenza sui tempi attuali, crediamo di rendere un vero servigio, osiamo dire, all’Europa intera, facendo dei nostri classici latini e greci altrettanti classici francesi, inglesi, tedeschi, italiani e spagnoli. Tradotti in tutte codeste lingue, non solo ne agevolano lo studio, ma nutrono ancora tutta la gioventù europea dello stesso pensiero, l’abbeverano dell’acqua medesima, la cibano dello stesso pane, la vivificano nello stesso battesimo. Ora, un tal pensiero è eminentemente bello, eminentemente sociale, poiché è eminentemente cristiano. O non rimane più alcun mezzo di ricondurre l’Europa a. quella forte unità di fede che per dieci secoli le valse la possanza, la pace, la gloria; a quei princìpi tutelari d’obbedienza e di abnegazione, senza di cui nessuna società è possibile; o bisogna concedere che il mezzo proposto sia il solo veramente efficace. Sia esso adoperato francamente ed universalmente, e ben tosto saranno uccisi il socialismo, il comunismo e tutti quegli errori spaventosi che minacciano di ricondurci al caos. Voi. avrete resa cristiana l’educazione: l’educazione — noi dimenticate — è la società, è l’avvenire, poiché essa è l’uomo tutto quanto di qua di là dalla tomba.

FINE DELL’OPERA

J.-J. Gaume: IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (13)

CAPITOLO XXVII

CONTINUAZIONE DELLA RISPOSTA ALLE OBBIEZIONI

La lingua latina cristiana non è più barbara della filosofia cristiana, dell’architettura cristiana, della pittura cristiana, dell’Arte cristiana: vogliate non dimenticarlo. Dando al mondo per modelli classici gli scrittori che la parlarono, non è questo dunque un ricondurre il mondo alla barbarie letteraria più che non vi sia ricondotto sotto il riguardo artistico, dandogli per tipo l’Arte cristiana. Voi credete che la nostra gioventù sarebbe barbara in fatto di latino ov’essa parlasse in tutta quanta la sua purezza l’idioma di San Leone, di San Gregorio, di San Bernardo e di San Tommaso. Davvero! voi avete ragione; essa sarebbe altrettanto barbara, né più né meno, quanto i nostri pittori che facessero quadri come il Beato Angelico da Fiesole, quanto i nostri architetti che edificassero templi come le cattedrali di Reims e di Colonia. Tutto codesto timore della barbarie non è dunque se non una chimera. Perciò, sotto il punto di vista meramente letterario, le nazioni moderne non hanno interesse veruno nel mantenere nella educazione il regno esclusivo del paganesimo. Vo più lungi, e dico che il loro amore pel latino e pel greco li obbliga a rannodare la catena infranta alla metà del secolo XV, ed a ristabilire nell’istruzione della gioventù il regno del Cristianesimo. Questa asserzione ci pone agli antipodi di coloro che pretenderebbero che la restaurazione delle lettere latine in Europa dati dal secolo XVI. Noi affermiamo all’opposto che simile restaurazione è anteriore a ciò che si chiama il Rinascimento ben più, che questa è l’epoca e la cagion principale del decadimento e della corruzione della lingua latina, come è l’epoca e la cagione del decadimento dell’arte. Tale è la doppia proposizione che bisogna ora stabilire per far giustizia compiuta della prima obbiezione. Durante tutto il medio-evo i classici furono esclusivamente cristiani; ma è falso, affatto falso, che a simile cagione si debbano il decadimento e la corruzione delle lettere latine, non più che quella delle scienze e delle arti. È dunque egualmente falso che tutte queste cose siano uscite dalla barbarie nel XVI secolo, sotto l’influsso del paganesimo. Al pari dell’arte pagana, la lingua latina pagana seguitò il muoversi della società pagana, di cui essa era l’espressione; ingrandì con quella, cadde con quella, come la forma cade e s’altera col fondo stesso che la sopporta e che la inspira. – Perciò appena Augusto discese nella tomba, e già sotto Tiberio, quando non vi era peranco vcrun classico cristiano, il latino comincia ad alterarsi. L’età dell’oro è bentosto seguita dall’età dell’argento, che non tarda a dar luogo a quella del ferro: tutti i monumenti letterari ne fanno fede. Se dunque, malgrado gli sforzi dei maestri i più segnalati, fra gli altri di Quintiliano, le lettere e le arti declinano nello stesso seno del paganesimo, lo ripetiamo, non lo si deve attribuire né all’uso dei libri cristiani, né all’influsso del Cristianesimo, ma piuttosto alle vicende dell’Impero e soprattutto alle dissensioni intestine, al contatto colle nazioni barbare, alle loro scorrerie ed al loro soggiorno in tutte le parti della repubblica, ed in ispecie alla corruzione generale dei costumi, la quale, un po’più presto od un po’ più tardi, ma inevitabilmente, trae seco la corruzione della letteratura e delle arti. Quindi, allorché i barbari, fattisi signori dell’antico mondo, ebbero coperto di mine il suolo saccheggiato, devastate le città, distrutte le scuole, bruciate le biblioteche, le lettere e le arti dovettero sparire quasi interamente. Qui pure non è né ai classici cristiani, né alla influenza del Cristianesimo che imputare si deve la barbarie in cui caddero lettere, arti e scienze. Al contrario; se alcun prezioso germe fu conservato, devesi renderne omaggio al Cristianesimo. Ritornata la calma, la Chiesa capì eh’ essa non aveva la missione di rifar la lingua pagana più che di risuscitare la società pagana. Sua prima cura, come lo indicammo, si fu di creare un novello mondo con gli infranti elementi del mondo pagano e con gli elementi ancor greggi del mondo barbaro. Si pose all’opera, persuasa che il novello mondo saprebbe col tempo crearsi una nuova lingua. La cosa infatti ebbe luogo; e noi crediamo avere stabilito che la nuova lingua, organo della società cristiana, fu per lo meno cosi perfetta come l’antica, organo della società pagana. – Egli è falso pertanto che la lingua latina, le scienze e le arti siano state ristorate in Europa dall’influenza de’classici pagani: come tutti sanno, il paganesimo nella educazione non data, se non dalla fine del XV secolo. Ora, più di trecent’anni prima di questa epoca, le lettere, le scienze e le arti erano state ristorate: che dico! si erano innalzate al più alto grado di perfezione. Prova ne sia che non v’ha ramo di scienza o d’arte, il quale non abbia generato capi d’opera, la cui perfezione non fu mai sorpassata. E giacché l’occasione ci si offre, ci sia permesso, raccogliendo i tratti sparsi in questa opera, di mostrare una buona volta e la magnifica realtà ed il meraviglioso segreto di cotale restaurazione, così sovente negata dagli uni e così male intesa dagli altri. Partiamo da un principio innegabile: la civiltà delle società non comincia né dalla coltura delle lettere e delle arti, né dalla costruzione dei teatri, né dalla eleganza del vestire, né dai comodi della vita materiale. Essa ha la sua origine ed il suo fondamento nei buoni costumi; i buoni costumi hanno per base l’esatta cognizione e la pratica fedele dei doveri della religione, secondo il detto della Scrittura: Inìtium sapieniiæ timor Domini. Infatti, il vero e il giusto sono il doppio fondamento della società: il bello non ne è se non il raggiare. Pertanto, solamente dopo essersi ben bene nutrita di sì sostanziosi alimenti, la società può darsi alla ricerca del bello, cioè allo studio delle lettere e delle arti. Così vogliono e la ragione e la logica. – Cosiffatto si fu il cammino intellettivo, seguito nel medio-evo dalle nazioni cristiane. Dopo le prime Crociate, le quali sì efficacemente contribuirono ai progressi dello spirito umano, si ebbe fretta di profittare della calma di cui godeva l’Europa. Liberi di darsi, secondo l’ordine dei sacri canoni, allo studio di tutte le scienze, i grandi intelletti che contenevano il clero ed i monasteri si concentrarono tutti con mirabile unanimità sulle scienze religiose e morali. Grazie ai loro sforzi, quelle alte scienze raffermate nella loro base, spiegate in tutte le loro parti, logicamente esposte nelle loro relazioni, presero un immenso sviluppo. Mentre oggidì tutta quanta l’umana attività concentrasi sul mondo fisico, il moto intellettuale di quella grande età si volse per intero verso le speculazioni della religione e della metafisica. Quindi ne viene che le numerose accademie, nate allora in tutte le parti d’Europa al soffio vivificante della Chiesa, non furono in origine se non scuole di teologia. – A questi magnifici studi Sant’Anselmo diede la forma, cioè la dialettica; Pietro Lombardo, più noto sotto i l nome di Maestro delle sentenze, procurò il fondo, estratto con un ammirabile lavoro dalle opere dei Santi Padri. L’ accrescimento venne loro da Alberto il Grande: la mano di San Tommaso e di San Bonaventura vi aggiunse la perfezione. Appena la scienza divina fu stabilita sovra un fondamento incrollabile, la filosofia fu costituita in modo non meno sodo. Aristotelica per la forma, ma cristiana nel suo oggetto, nei suoi princìpi, nelle sue dottrine, nel suo metodo, essa si manifestò con tutta la sua magnificenza nella Somma di San Tommaso. Qui la teologia e la filosofia si danno sempre la mano, si prestano un reciproco concorso e si mostrano talmente unite, che formano non so qual meraviglioso complesso, il quale non poté stancare l’ammirazione di sei secoli. Quest’opera è, infatti, la più bella che sia uscita dall’intendimento dell’uomo; opera angelica e quasi divina; ultimo limite del genio, fonte d’ogni scienza, tesoro d’ogni verità, confutazione d’ogni errore, arsenale d’ogni verità, esposizione la più vasta della religione cristiana, il più forte baluardo della Chiesa, gloria immortale dell’umano spirito, sola giudicata degna dai Padri del Concilio di Trento di stare a fianco dell’Evangelio, in mezzo alla sala delle loro auguste assemblee, onde togliere le difficoltà e terminare le controversie che potessero sorgere nella definizione dei dogmi cattolici. Dalla teologia, cioè dalla perfetta cognizione della legge divina e dalle relazioni sovrannaturali dell’ uomo con Dio, nacque la scienza delle leggi umane, cioè delle relazioni degli uomini tra loro. Non si rinviene dallo stupore, quando studiando i monumenti di questa età, si vede l’altezza alla quale era giunta la cognizione del diritto sia divino, sia umano, sia naturale, sia positivo, sia ecclesiastico, sia civile, sia politico. – D’altra parte, non si creda che le alte scienze, innalzate, come conviene, al posto d’onore nella estimazione e nell’amore dei nostri avi, assorbissero esclusivamente la loro attenzione. La religione e la società essendo poste al sicuro da ogni attacco, uomini di un grande sapere presero a scrutare tutte le parti del mondo fisico, affine di scoprire le proprietà dei corpi e di farle servire al vantaggio materiale ed anche ai piaceri della vita umana. In allora si scopersero tre cose, le quali, come fu detto, mutarono condizione, costumi, abitudini dell’universo: la stampa, la polvere e la bussola. Sì, codeste tre meraviglie, delle quali noi siamo così orgogliosi e di cui troppo spesso abusiamo, noi le dobbiamo a quei secoli che i moderni barbari non temono punto d’accusare di barbarie. Nell’ordine puramente fisico, i progressi non ristettero lì. Le matematiche, la geografia, l’astronomia, la chimica, la medicina, in una parola tutte le scienze naturali gettarono un vivo splendore, che servì ad illuminare la via percorsa dai secoli seguenti. Tali scienze si insegnavano pubblicamente dai più esperti maestri a migliaia di giovani intelletti: il che fece dare a quelle scuole illustri il nome di università. Contemporaneamente a questa universale restaurazione delle scienze camminava di egual passo la restaurazione delle lettere e delle arti. Lo stesso secolo che produsse San Tommaso, il dottore angelico, il principe de’ teologi, produsse Dante, il poeta divino ed il re di tutti i poeti. Per l’altezza del soggetto, per la magnificenza dello stile, pel vigore della espressione, per l’armonia del verso, la sua Divina Commedia si lascia addietro di molto tutte le opere poetiche dei pagani. Il mondo era ancora sotto il fascino di quella meravigliosa poesia, quando la voce di Francesco Petrarca si fece sentire. I suoi canti armoniosi non eccitarono minore ammirazione della forte composizione di Dante. Nulla v’ha di più vigoroso di Dante, nulla v’ha di più soave del Petrarca; nell’uno e nell’altro la poesia s’innalza al grado il più sublime. Ciascuno nel .suo genere è sì perfetto, che sorpassa od eguaglia almeno tutti i poeti che lo precedettero o che lo seguirono. (Faremo notare, coi più giudiziosi critici, che i lati deboli di quei due glandi poeti sono appunto quelli in cui essi vollero mescolare il paganesimo col cristianesimo. Questo miscuglio forma pure il pericolo di alcuni scritti del Petrarca.) – Quanto all’eloquenza, essa non era in uso se non nelle chiese. Dacché il governo dell’Impero romano era diventato privilegio di un uomo solo, e dacché il popolo non era più stato chiamato a dare il suo suffragio nelle pubbliche assemblee, l’eloquenza popolare era caduta; la sua caduta data dal regno dei Cesari. Lo stesso dicasi dell’eloquenza curiale. La sapienza della Chiesa aveva stabilito fra le nazioni cristiane quelle forme di giudizio, in cui più non si decideva sotto l’impressione della parola di un avvocato, subito e per così dire tumultuariamente, della fortuna e della vita degli uomini; ma in cui si procedeva lentamente, dopo maturo esame ed in seguito ai detti contraddittori delle parti. Quel genere di eloquenza, per nulla necessario, talvolta anche pericoloso, era pure caduto da secoli. Quanto all’eloquenza del pergamo, la sola quasi che fosse praticata, essa fiorì a meraviglia. I secoli posteriori non videro oratori che esercitassero sulle nazioni quell’impero prodigioso che fu privilegio di San Bernardo, di Sant’Antonio da Padova, di Guglielmo da Parigi, di San Bonaventura, di Giovanni Taulèro, di San Vincenzo Ferrerò, di San Lorenzo Giustiniani, di San Bernardino da Siena e di molti altri, la cui parola dominatrice regolava sovranamente e le cose dei popoli e le controversie dei re. – Ma come il cammino razionale del progresso va dallo studio delle scienze a quello delle lettere; così, esso trascorre dallo studio delle lettere alla coltura delle arti. Infatti, sebbene lettere ed arti esprimano le idee, le credenze, i costumi della società, le une con parole, le altre con segni, tuttavia, a quella guisa che il pensiero si manifesta più facilmente colla parola che non con statue o con quadri, così gli artisti non vengono se non dopo i poeti e gli oratori. – Ne risulta che le arti ricevono il loro impulso dalla letteratura, come la letteratura medesima riceve il moto dalle alte scienze. I secoli anteriori al Rinascimento confermano eloquentemente questa induzione. – A tale epoca l’ardente studio di tutti i generi di letteratura produsse la coltura ammirabile d’ogni arte. La pittura, ristorata nel secolo stesso di San Tommaso e di Dante, da Cimabue, fece magnifici progressi sotto l’influsso di Giotto, discepolo di Cimabue, degno di avere per panegiristi Dante stesso e Petrarca. Nello stesso XIV secolo, il Pisano la circondò di nuova gloria, e sul cominciare del secolo seguente, il Beato Angelico la innalzò alla perfezione. – Si fu nel cielo, per testimonianza di Michelangelo medesimo, che il Beato Angelico trovò il tipo delle sue inimitabili figure; in egual tempo che la pittura, la scultura e l’architettura salivano rapidamente all’ultimo termine della gloria. Infatti, Giotto ed il Pisano furono ad una pittori ed architetti segnalati. – Sì, e noi, noi diciamo senza un maligno piacere, si fu in quei secoli tanto diffamati che furono in ispecie costrutte quelle chiese, quelle cattedrali, quei Duomi, in cui il marmo, lavorato con infinita delicatezza, unisce gli svariati riflessi delle sue incrostazioni alle magnificenze della pittura; in cui la pietra ed il granito prendono, sotto lo scalpello dello scultore, le forme le più graziose e le più svelte, colla stessa agevolezza dell’argilla sotto le dita del vasaio; in cui la chimica, dando segreti sconosciuti prima e sconosciuti dopo, sospese colla mano del vetraio quei meravigliosi tappeti di porpora, d’oro e d’azzurro alle vaste finestre delle nostre venerabili basiliche: secoli per sempre barbari, in cui una quantità di monumenti, rimasti sinora senza rivali, innalzarono alla perfezione l’Arte cristiana in tutta la sua purezza. Sono inoltre onore del medesimo secolo non solo tutti gli altri incomparabili artisti del XV secolo, come Antonio da Messina, inventore della pittura a olio, il Donatello, l’Alberti, il Verrocchio, maestro di Leonardo da Vinci e del Perugino; ma ancora Leonardo da Vinci stesso, il Perugino, Bramante, Raffaello e Michelangelo. Infatti, benché questi artisti siano morti nel XVI secolo, pure ei cominciarono a fiorire nel XV, e dovettero alla scuola cristiana, fondata nel XIII secolo, e le loro idee ed i loro princìpi ed il fondamento della gloria immortale che si acquistarono. Per non citarne se non una prova, egli è un fatto nolo nelle vie del mondo dolio, che Raffaello e Michelangelo, principi degli artisti, si nutrivano di continuo, il primo della lettura del Petrarca, ed il secondo di quella di Dante. Quindi venne che Michelangelo riproducesse il vigoroso stile di Dante, e Raffaello lo stile grazioso e gentile del Petrarca. Perciò, cosa degna della più seria attenzione, tutti gli uomini immortali che dal secolo X I sino alla fine del XV innalzarono scienze, lettere ed arti ad un sì alto punto di perfezione, attinsero i loro princìpi, le loro idee, le loro regole e le loro ispirazioni dal Cristianesimo. Ciò che la stella fu pei Magi, la face della fede lo fu per ciascuno di loro. Si è unicamente alla sua luce ch’essi andarono debitori di percorrere con sicurezza, con facilità e con gloria la carriera aperta al loro genio. Un altro titolo di gloria pei secoli di fede, si è l’aver essi creato una scienza nuova, un’Arte nuova, esclusivamente cristiana ed appropriata alle nazioni cristiane, e non di aver fatto, come i secoli seguenti, una misera copiatura della scienza e dell’Arte pagana. – La stessa creazione avvenne in letteratura: nuovo omaggio ai secoli di fede. Primieramente, nulla è così vero come il dire che le tre più belle lingue d’Europa e del mondo, la lingua francese, la lingua italiana e la lingua spagnola traggono la loro origine dalla lingua latina. Ma devesi notare (il che non si nota se non da pochi) che cotali lingue non sono per nulla figliuole della lingua latina pagana, ma sì della lingua latina cristiana. . Esse ricordano non già la maniera di Cicerone, ma bensì la maniera di San Leone e di San Gregorio. Vi si ravvisa lo stesso taglio di periodo, lo stesso orrore per la vana abbondanza di parole; la stessa indole di sintassi, chiara e semplice (Quindi, fra mille esempi, venne il che, sempre espresso nelle nostre lingue moderne, e quasi sempre tolto nella lingua latina pagana.); lo stesso genere di stile, scelto, gradevole, grave; la stessa significazione per una quantità di parole, significazione nuova ed interamente cristiana; lo stesso uso delle grazie, casto e moderato; lo stesso modo a un dipresso quanto al numero, naturale e senza affettazione. Quindi ne viene che leggendo codeste belle lingue, uno crede di leggere San Girolamo nelle sue traduzioni sacre, o San Gregorio, Beda, San Pier Damiano, San Bernardo, San Tommaso e San Bonaventura. Qui non v’è illusione alcuna: da quelle fonti pure e feconde provennero infatti ed il genio e la sintassi dei nostri stupendi idiomi, ed anche la più parte di loro parole; vocabula manant parce detorta. Stessa origine per la poesia. Certo, non già in Omero, né in Virgilio, né in Orazio, né in Pindaro, ma nei Profeti e nell’Evangelio i padri della poesia francese, italiana e spagnola cercarono le sublimi loro idee, l’audacia loro felice, il loro modo di dipingere e di sentire, l loro stile, la loro elocuzione, il loro procedere. Non al Delius vates chiesero le loro ispirazioni, ma sì alla fede. Persino la forma della nostra moderna poesia ne indica l’origine cristiana. Differentemente dalla poesia pagana, questa poesia non misura i suoi versi né dai piedi, né dalla quantità lunga o breve delle sillabe, ma dal numero delle sillabe e dalla rima. Tale è, come tutti sanno, il carattere proprio della poesia di San Gregorio, di San Bonaventura, di San Tommaso e degli altri poeti latini dei nostri secoli di fede. Nessuno ignora che il ritmo da essi inventato è ancora quello della poesia moderna, soprattutto della poesia italiana. Nate dall’idea e dalla letteratura cristiana, le belle arti presero esse pure il suggello cristiano in tutta la sua purezza. Lo si trova non solo nei loro soggetti e nei loro motivi, ma ancora nel loro stile, nel loro genere di bellezze, nel fondo e nella forma delle loro opere. Ciò si vede specialmente nell’architettura cristiana che si chiama gotica. Vi sono ancora alcuni che la biasimano. Essi dicono: « Coll’arditezza o piuttosto colla temerità dei suoi concepimenti, quell’architettura stanca lo sguardo dello spettatore anziché adescarlo: colpisce penosamente l’anima, che getta in una specie di turbamento e di stupore. Tratta la pietra con libertà tale, scherza con tale audacia con tutti gli ostacoli, che non si ravvisa, né s’indovina il motivo di quei giuochi di forza, o piuttosto di quei capricci ». – La sola ignoranza può ragionare in tal guisa dell’architettura gotica. Tenere simile linguaggio si è un porre il proprio posto fra il volgo degli artisti, i quali non cercando nell’arte se non il piacere prosaico e sensibile dell’occhio e dell’immaginazione, lo considerano quale ultimo scopo dell’arte. Ciò è ad un tempo vergognoso e assurdo, poiché non è maggiormente permesso di dire che il piacere sensibile sia lo scopo ultimo dell’arte, che noi sia di affermare che i sensi e l’immaginazione sono tutto quanto l’uomo. – Del rimanente, non v’ha a stupirsi se i templi greci e romani hanno il privilegio esclusivo di eccitare l’ammirazione di simili giudici. Tale è la condizione, la natura, lo scopo di quei monumenti, che lasciano vedere a prima vista ed il segreto di loro armonia, ed i motivi del loro ordinamento. Nulla essi lasciano a indovinare; nulla nel loro complesso oltrepassa il livello dei sensi e delle volgari abitudini dell’anima; la loro nudità, la semplicità dei loro ornamenti dispensano da ogni fatica, da ogni studio l’anima del riguardante, e permettono alla sua immaginazione ed ai suoi occhi di riposare tranquilli in una vana contemplazione. Ecco perché consimili edifici sono belli di una bellezza puramente sensibile, ma nudamente di una bellezza morale ed intellettuale. Essi piacciono, ma non colpiscono guari: ricreano l’occhio e l’immaginazione, ma non innalzano l’anima al di sopra delle basse regioni della vita sensibile; non eccitano nella stessa alcun moto divino, non le ricordano alcuna rimembranza del mondo sovrannaturale. Lungi da ciò, l’aspetto generale delle loro forme e delle loro linee architettoniche tiene per forza abbassato lo sguardo verso la terra; quello non parla all’uomo se non un linguaggio terrestre, e non eccita in lui se non pensieri e desideri terrestri. E come si vorrebbe che fosse diversamente? Non è già per onorare il vero Dio né per riformare i costumi dell’uomo che i templi pagani furono eretti, ma si per far trovare all’uomo la felicità quaggiù, e per eccitare le sue passioni e lusingare i suoi sensi. Perciò, il Greco od il Romano non provò mai sotto le vòlte de’suoi templi un solo movimento di eutusiasmo divino. Che tali templi abbiano tutte le condizioni della bellezza sensibile, ne convengo; ma essi non poterono, né potranno mai essere gli eloquenti predicatori del mondo sovrannaturale, né dei suoi sublimi misteri, né delle sue mirabili bellezze, né dei suoi divini splendori. – Al contrario, questo è il glorioso privilegio delle chiese gotiche. Le loro torri slanciate verso il cielo, ch’esse sembrano cercare e raggiungere; le loro volte ardite, le loro ogive che forzano lo sguardo a sempre innalzarsi, le loro gigantesche proporzioni, i loro archi immensi: che mai annunziano essi se non il trionfo assoluto del genio dell’uomo sulla materia, ed il sublime sforzo dell’anima sua per innalzarsi al di sopra del mondo corporeo? Poi, quella pietra, quel marmo ammollito sotto lo scalpello, quei corpi sì pesanti, che perdono in certo modo le loro parti materiali per spiritualizzarsi; quelle linee che fuggono in tutti i sensi e che si prolungano quasi sino all’infinito; quella luce a vari colori che penetra per quei rosoni, per quelle invetriate sì ardite, che si direbbero piuttosto dipinte che scolpite alle porte ed ai vasti lati di quei giganteschi edifici: tutte codeste cose non trasportano esse l’anima nella regione dei miracoli, e non la obbligano forse a pensare al Supremo Architetto dell’universo? – Quest’architettura cristiana non eccita, ne convengo, la sensibilità fisica, non lusinga voluttuosamente l’immaginazione, ma penetra nelle profondità di nostra esistenza, assale le fibre le più intime dell’anima, vi risveglia la fede, l’innalza al di sopra delle cure e delle pene di questa miserabile vita, vi produce impressioni morali, lusinga l’immaginazione avida di grandezza e di magnificenza, rapisce tutte le facoltà intellettuali, ed innalza l’uomo al desiderio ed alle cure della vita futura. Perciò, sebbene noi siamo ancora sulla terra quando entriamo in quegli immensi edifici, pensiamo al cielo, e la vista delle opere dell’uomo ci porta sino a Dio. In una parola, l’architettura gotica delle nostre chiese, basata sul principio cristiano, altro non è se non la manifestazione sublime del pensiero cristiano, poiché scopo del Cristianesimo è quello di sciogliere l’uomo dalla tirannide dei sensi e d’innalzarlo alla contemplazione ed all’amore delle cose celesti. Esaminando freddamente il cammino generale dello spirito umano, si vede che in quell’età gloriosa gli scrittori e gli artisti ebbero il medesimo pensiero ed il medesimo scopo, cioè di esprimere, gli uni con parole, gli altri con segni, le idee, le credenze, le verità, i costumi cristiani, mirabilmente sviluppati dalla teologia e dalla filosofia cristiana. Tale è la vivacità e la purezza della fede che presiede alle loro opere, che gli uni e gli altri si mostrano gl’interpreti e i traduttori fedeli delle stesse verità. Ciò che gli scrittori rendono colla parola, gli artisti lo figurano in un linguaggio, diverso, é vero, ma collo stesso stile semplice, corretto, elegante, grave e quasi divino. Ora, secondo il detto già citato, il bello è lo splendore del vero: Pulchrum splendor veri. Dunque le lettere e le arti di quell’età brillano di tutto lo splendore della bellezza, perchè, affatto imbevute della verità cristiana, non riflettono se non i raggi del vero; dunque la stessa verità cristiana, ispirando i poeti e gli artisti, dà ai primi os magna sonaturum, ed ai secondi manum magna et pulchra confecturam. Ora, v’è egli a stupirsi se i grandi uomini dei secoli di fede non gustavano nell’età matura se non la scienza cristiana, la letteratura cristiana e l’Arte cristiana? Dall’infanzia esclusivamente nutriti dei classici cristiani, quasi altro non conoscevano se non il Cristianesimo e conservavano fedelmente ciò che dapprima avevano ricevuto: Quo semel imbuta fuerit recens testa diu christianum servavit odorem. – Avevamo noi torto (chiederemo terminando) di affermare che la ristorazione generale delle scienze, delle lettere e delle arti in Europa è anteriore a ciò che si chiama il Rinascimento? È egli ancor permesso di sostenere che se i libri classici diventassero di nuovo cristiani, si ricondurrebbe il mondo alla barbarie? Non è egli chiaro come il sole che, sotto l’influsso dei classici cristiani, due cose hanno avuto luogo? La prima, che le scienze, le arti e le lettere diventate essendo interamente cristiane, il mondo vide sorgere dalle fondamenta sino al tetto, il più magnifico edificio della sapienza e della civiltà che l’occhio umano abbia mai contemplato ; la seconda, che la teologia, la filosofia, la letteratura, le arti, giunte al colmo della perfezione, produssero in ogni genere uomini sì grandi, che né il passato né il presente nulla hanno da paragonare ad essi: Alberto il Grande e San Tommaso, Dante e Petrarca, Giotto ed il Beato Angelico, ed anche Raffaello e Michelangelo? Curvate il capo: ho nominato i re immortali della scienza, della letteratura e delle arti.

 

J.-J. Gaume: IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (12)

CAPITOLO XXVI

NECESSITA’ DEI CLASSICI CRISTIANI.

RISPOSTA ALLE OBBIEZIONI.

Se nella logica loro concatenazione le conseguenze che precedono non sono attaccabili, esse sono lungi, ben lungi dall’essere compiute nel loro sviluppo. Nondimeno, per quanto esser possa imperfetto il quadro da noi abbozzato, sembra bastante a dimostrare, ad ogni uomo che vuol vedere, i fatali effetti del paganesimo nell’educazione. Grazie ad esso, la società europea si trova condotta sull’orlo d’un vasto precipizio, del quale nessun uomo scandagliare potrebbe la profondità. Qui varie cose vi stupiscono e vi spaventano. Alla vista del verme roditore che le moderne società nutrono da sì lungo tempo nel loro seno, alla vista delle carezze medesime ch’esse gli prodigano, ci chiediamo d’onde provenga un sì strano accecamento? È d’uopo, come noi facemmo, cercarne la cagione nei terribili misteri dell’umana natura. L’introduzione del paganesimo nella educazione fu una reazione possente della carne contro lo spirito, una rivincita lungo tempo meditata del vecchio uomo incatenato dal Cristianesimo dominatore d’Europa, contro l’uomo nuovo, la cui signoria era stata crudelmente scassinata durante il troppo lungo scisma d’Occidente. Tale fu la cagione fondamentale del nuovo ingresso trionfale del paganesimo in seno alle moderne nazioni: la forma letteraria e artistica non fu se non un pretesto. Un fatto palpabile ne è la prova. Questo fatto, troppo poco notato, eccolo qui: il Rinascimento, propagato dapprima con entusiasmo da tutti i nemici della Chiesa, consiste essenzialmente in due cose: nella denigrazione universale delle opere del Cristianesimo; nell’ammirazione parimente universale per le opere del paganesimo; nel profondo disprezzo pei secoli inspirati dal cristianesimo; nel culto fanatico pei secoli nei quali il paganesimo regnò. – Allo stupore succede l’inquietudine. Noi indicammo il male; esso è sì profondo, sì inveterato che ci chiediamo se rimanga ancora qualche probabilità di guarirlo. Ammettendo siffatta probabilità favorevole, la società accetterà essa il rimedio? La risposta è sgraziatamente dubbia. Il rimedio è evidentemente 1’uso dei classici cristiani. Ora, a questo nome, io sento parte della società gridare all’assurdità, al fanatismo, alla barbarie. Malgrado il progresso delle idee, da sedici anni, una tempesta di sarcasmi e d’ingiurie sta aspettando, da parte degli Dei Termini, e il rimedio e lo sgraziato medico che osasse proporlo. Dopo il disprezzo vengono le impossibilità. In verità, codesta esplosione non ci meraviglia; essa ci incoraggia provandoci che noi ponemmo il dito sulla piaga: il paganesimo è sempre simile a sé. – Quando, sotto i Cesari, esso vide apparire il Cristianesimo che si preparava a disputargli la signoria del mondo, faceva rimbombare gli echi delle sue accademie e dei suoi anfiteatri del sanguinario grido: alle belve i cristiani! Padrone oggi delle società moderne, il paganesimo fa sentire in termini diversi lo stesso grido di morte contro il Cristianesimo che viene a rivendicare la signoria della educazione; poiché l’educazione è l’impero, essendo essa l’uomo. Le ingiurie ed i sarcasmi non si confutano: si sta paghi a compiangere colui che ne usa, e si fa di tutto per innalzarsi abbastanza alto per non esserne colpiti. Ma dopo le ingiurie vengono le impossibilità, e la lista ne è lunga. Formulate non solamente dai nemici dichiarati del Cristianesimo, ma ancora da uomini che al medesimo sono sinceramente devoti, richiedono esse un esame serio e imparziale. Ora, codeste impossibilità, ridotte dall’analisi alla loro più semplice espressione, si limitano a tre. In primo luogo si dice che il rimedio sarebbe peggiore del male, giacché esiliando dalla educazione i grandi modelli dell’antichità pagana, sarebbe ciò un ricondurre il mondo alla barbarie letteraria da cui il Rinascimento lo trasse. – In secondo luogo si dice che il rimedio è impossibile, poiché il baccalaureato (in Francia) esige la cognizione degli autori profani, e la più parte dei parenti vorranno che i loro figliuoli siano baccellieri, acciò siano qualche cosa in società, anche a costo di non essere cristiani. – In terzo luogo si dice che il rimedio, fosse pure applicabile, sarebbe inefficace, poiché con dei classici cristiani il professore può sempre, quando lo vorrà, fare dei discepoli pagani.

Esaminiamo in particolare ciascuna di queste obbiezioni.

Sostituendo classici cristiani ai classici pagani, ciò sarebbe, voi dite, un rimedio peggiore del male. Eppure il male è grande come può esserlo, meno che non sia la morte. A noi intorno, tutto è scassinamcnto, tutto è rovina: dal capo alle piante la società è una sola piaga. I medici chiamati a guarirla si dichiarano impotenti: molti la credono all’agonia, ed aspettano da un giorno all’altro ch’essa soggiaccia nelle convulsioni di una lotta suprema. Ecco il male: e voi dite che il rimedio proposto è anco peggiore! Perchè? ve, ne prego. Perché, in ultimo, voi rispondete: meglio vale per una società il perire frammezzo alla luce di una gloriosa civiltà che non il ricadere nella barbarie, la quale pure è una morte, e, per una nazione, di tutte le morti la più vergognosa. Ebbene! esiliando dall’educazione i grandi modelli dell’antichità, sarebbe questo un ricondurre senza fallo il mondo alla barbarie donde il rinascimento lo trasse. Tale è in tutta la sua forza la prima ragione che si oppone al ritorno dei classici cristiani. Noi abbiamo la disgrazia di credere l’opposto: noi sosteniamo che i classici cristiani non ricondurranno il mondo alla barbarie, sia la barbarie in letteratura che in morale; noi sosteniamo che la barbarie, dalla quale si vuole che il Rinascimento abbia tratto l’Europa, non è se non una chimera, e che la restaurazione delle arti è anteriore all’introduzione del paganesimo nella educazione. È vero: si trovano anche oggi molte persone, ben intenzionate di certo, che ripetono quale un assioma che i secoli anteriori al Rinascimento furono secoli barbari: barbari nei loro costumi, barbari nelle leggi loro, barbari nelle loro istituzioni civili e politiche, più barbari ancora nella loro letteratura e nelle loro arti. Queste persone capiscono per fermo quanto dicono. Per me, che nulla affatto le capisco, chiedo licenza di spiegare parola per parola la loro terribile proposizione. – Le tenebre della barbarie seguono le tenebre dell’errore di cui esse sono il prodotto, e le prime stanno sempre in ragion diretta delle seconde. La luce della civiltà, all’opposto, regna colà ove la luce della verità regna. La verità è il Cristianesimo. Per sapere se il medio-evo sia 1′ età della barbarie, basta dunque sapere se il Cristianesimo fosse sconosciuto nel medio-evo; s’esso non fosse per nulla applicato alla società, od anche se fosse men conosciuto, meno applicato che noi sia di presente. Aspetto la vostra risposta… – Aspettandola, vi chiederò perché mai i classici cristiani ricondurrebbero l’Europa alla barbarie? Essi ci farebbero perdere, voi dite, la conoscenza della nostra lingua materna, poiché non si può saper bene alcuna lingua d’Europa senza sapere il latino, dal quale tutte le nostre lingue moderne sono tratte. Una quantità d’ uomini, ed in ispecie di donne, che non sanno di latino, troveranno la vostra proposizione molto poco lusinghiera; infatti essa è troppo assoluta per essere, vera. Prendiamola tutta volta in tutta quanta la sua estensione; ma intendiamoci. Vi sono due lingue latine, lo sapete, e, se fa d’uopo, ve lo proverò in un momento. Ora, voi non potreste ignorare che le nostre lingue volgari sono uscite dalla lingua latina cristiana, e non già dalla lingua latina pagana. Abbiate pazienza, e su questo punto voi sarete ben presto convinto. Voi soggiungete che i classici cristiani ci ricondurrebbero alla barbarie, perché la lingua latina del secolo di Augusto e la lingua greca del secolo di Pericle, cessando d’essere conosciute, noi ci chiuderemmo l’adito ad ogni soda erudizione. Ancora un poco, e voi vedrete che i classici cristiani non faranno punto dimenticare le lingue pagane: all’opposto. Pel momento, debbo farvi convenir meco che queste lingue non sono mezzi di erudizione così necessari come voi sembrate crederlo. Quali sono mai, ditemelo, i tesori della scienza del diritto pubblico e privato delle nazioni d’Europa, del diritto civile e del diritto canonico, della teologia, della nostra istoria, della filosofia, della medicina, della geologia, delle scienze naturali e delle matematiche, se non forse le opere scritte nella lingua latina cristiana o nelle lingue moderne? Che mai sapreste voi di tutto ciò quando aveste letto gli autori del secolo d’Augusto e di Pericle? Voi insistete dicendo che i classici cristiani ci farebbero perdere il gusto del bello che noi dobbiamo al Rinascimento. Io vi rispondo che il gusto del bello nasce dalla conoscenza del vero. Bisogna dunque provarmi che la conoscenza del vero fosse meno perfetta prima del Rinascimento che nol fu dopo. Nominatemi dunque le verità che il Rinascimento ci fece meglio conoscere. Mostrate in qual genere esso sviluppò il senso del bello. Crediatemelo, non retrocediamo di sessantanni. Il rimprovero di barbarie pronunciato tante volte contro i secoli cristiani non è più accettato da tutti. Si conosce oggi, ed è provato che v’ha del bello, e dì molto, nell’ordine morale, nell’ordine scientifico, nell’ordine sociale, nell’ordine artistico anteriormente all’invasione del paganesimo classico. Da un quarto di secolo specialmente, molti pregiudizi secolari sono caduti: ancora ogni giorno ne cadono. Rimane, lo confesso, un punto sul quale i pregiudizi rimangono quasi interi. Voglio parlare della letteratura anteriore al Rinascimento. Siccome questo punto si è il principale motivo, o, per meglio dire, il pretesto il più ordinario che si ponga innanzi per mantenere il paganesimo nell’educazione, esso richiede un esame particolare. Ciò che fu detto a lungo dell’architettura cattolica, che essa era il tipo del cattivo gusto e della barbarie, che non era degna d’esser paragonata all’architettura greca e romana più che non Lucano a Virgilio, o Seneca il Tragico a Sofocle, si dice anche oggi della letteratura dei secoli cristiani. La medesima prosegue ad essere l’oggetto di un superbo disprezzo; si giunge persino ad arrossire di trovarla sulle labbra della Chiesa, e non viene ancora in mente a certi spiriti che si possa essere abbastanza senza buon gusto per porla a confronto colla letteratura dei secoli pagani. In una parola, Fénélon, il P. Maffei, Scaligero e molti altri lasciarono numerosi eredi della loro ammirazione esclusiva per la letteratura pagana e della loro profonda compassione pel cristianesimo letterario (Nella sua Lettera sull’eloquenza, Fénélon, l’egregio Fénélon non teme di dire che, ai di suoi, l’Europa non faceva se non uscire dalla barbarie, p. 399. È noto che la sua Lettera sull’eloquenza è un panegirico pomposo dell’eloquenza, della poesia, della tragedia, della commedia e dell’epopea pagane, offerte come solo tipo del bello). Fra mille esempi, uno solo ne scelgo, il quale a maraviglia compendia le disposizioni degli animi. Ecco ciò che pubblica, nel 1850, un uomo di alto sapere, di soda istruzione, di venerabile carattere: « L’innario del Breviario parigino è cosa che non si potrebbe abbastanza ammirare; gli è l’idioma latino in tutta la purezza del secolo d’Augusto; egli è il genere lirico in tutta la sua leggiadria, in tutta la sua pompa, in tutto il suo sfarzo; sono le figure le più giuste, le più energiche, le più delicate; i moti dell’anima i più naturali, i più toccanti, i più sublimi, i più pii. In una parola, gli è la cosa la più degna della verità discesa dal cielo. La decenza del culto pubblico richiedeva tale riforma, tale quale fu fatta, in ispecie nel secolo in cui viviamo, nel quale cotanto importa che il letterato indifferente od empio, che il fanciullo collegiale nulla trovino a dispregiare nel linguaggio liturgico che è posto sulle labbra al culto ». – Ed ecco la lingua e la poesia cristiana anteriori al Rinascimento, trattate come poco fa era trattata l’architettura gotica. Malgrado la severità di questo giudizio, o piuttosto a motivo di questa severità, il rispettabile autore delle linee sopra citate ci permetterà di discutere la questione e di appellarci a lui medesimo dalla sua propria sentenza. Custode fedele di una delle nostre più sontuose cattedrali, egli è, lo sappiamo, l’ammiratore illuminato dell’Arte cattolica. A questo titolo, egli considererebbe giustamente quale un ignorante ed un vandalo colui che andasse a dirgli: « La sostituzione dell’architettura greca e romana all’architettura gotica è una riforma richiesta dalla decenza del culto pubblico; lo stile artistico del secolo di Augusto e di Pericle è la cosa la più degna della verità discesa dal cielo ». Ebbene! egli ci permetterà di stabilire: 1° che la qualificazione di barbara non potrebbe essere maggiormente applicata alla letteratura cristiana, che all’Arte cristiana, cioè che il letterato indifferente od empio; che il fanciullo collegiale nulla ha a dispregiare nel linguaggio liturgico che gli si pone sulle labbra: 2° che l’idioma latino non ritrovò tutta la sua purezza nel Rinascimento del paganesimo classico, ma che la perdette e finì per perdervisi esso stesso tutto quanto. Dapprima, il semplice buon senso respinge a priori l’argomentazione dei partigiani del Rinascimento. Prima di ogni discussione esso obbliga ogni persona riflessiva a dire con l’illustre vescovo di Langres: « Noi eravamo sulle panche del collegio e già noi ci chiedevamo come poteva mai essere che solo lo spirito di menzogna avesse ricevuto il privilegio delle grazie del linguaggio; e quando poscia fummo incaricati noi stessi d’insegnare agli altri codest’arte del ben dire, la quale, considerata nella prima sua fonte, si è una derivazione meravigliosa del Verbo di Dio, noi non volevamo credere che questo Verbo fatto carne, il quale si era compiaciuto di prodigare un tale ingegno ai suoi nemici, come fa spesso di tutti gli altri doni della natura, l’avesse poi negato a quella Chiesa da lui procacciatasi col suo sangue, e che Egli unì a sé, a segno che, secondo la sublime espressione di San Giovanni, ne fa la sua sposa…. « Ecco quali erano i nostri pensieri in un’epoca di nostra vita, in cui, sotto l’impero di pregiudizi concetti sin dalla nostra tenera età, noi non potevamo ancora apprezzare i tesori letterari della Chiesa, i quali d’altronde noi conoscevamo a mala pena. – « Ma a misura che, innalzandoci al di sopra delle nostre proprie convinzioni, noi esaminammo con imparzialità tranquilla e coscienziosa gli scritti dei nostri dottori e dei nostri padri nella fede, il nostro stupore cangiò di oggetto. Noi ci chiedemmo, non più come mai la Chiesa di Dio non avesse posseduto le sublimi doti del linguaggio così bene come le chiese di Satana, poiché avevamo sott’occhio e sotto mano la manifesta prova dell’opposto; ma come mai fosse avvenuto che nel seno stesso del Cristianesimo si fossero posti da parte, negletti, sconosciuti, e, dal lato della educazione, dimenticati del tutto, i numerosi ed innegabili capi di opera della letteratura cristiana, per non studiare, ammirare, e, umanamente parlando, per non adorare se non le opere letterarie del paganesimo. – « Certo, queste ultime hanno pure il loro notevole merito, e, come dicemmo, la perizia nel parlare e nello scrivere è un dono della natura, lasciato in comune a tutti i figliuoli degli uomini da Colui che fa risplendere il suo sole sui buoni e sui cattivi, che sparge la fecondatrice sua pioggia sulla terra dei peccatori, del pari che su quella dei giusti. Ma ciò che noi non possiamo ammettere, e ciò che tuttavia fu lasciato credere lungamente, si è che quel dono prezioso sia il privilegio dell’errore. Noi sappiamo, per la consolazione di nostra fede, e proclamiamo oggi a discarico di nostra coscienza, che questo non è vero (Lettera ai sigg, superiore e professori del suo piccolo seminario) ». Prima di ogni esame, noi abbiamo dunque il diritto di respingere la qualificazione di barbara, applicata alla letteratura cristiana; giacché è cosa assurda, per nulla dire di più, lo ammettere che le grazie del linguaggio siano privilegio esclusivo dell’errore. Ma andiamo più lungi, e stabiliamo una distinzione fondamentale, sempre dimenticata dai partigiani del paganesimo letterario; questa distinzione fa crollare tutti i loro sofismi. Il latino fu parlato da due società interamente contrarie nel loro modo di giudicare e di sentire: dalla società pagana e dalla società cristiana. A quella guisa che, per confessione di tutti, v’ha una filosofia pagana ed una filosofia cristiana, una architettura pagana ed un’architettura cristiana, una pittura pagana ed una pittura cristiana, un’oreficeria pagana ed un’oreficeria cristiana, così vi fu un’eloquenza pagana ed un’eloquenza cristiana, una poesia pagana ed una poesia cristiana, una lingua latina pagana, ed una lingua latina cristiana.Queste due lingue hanno ciascuna la propria perfezione relativa ed i proprii caratteri distintivi. Sotto il pennello o sotto lo scalpello dei grandi maestri di Grecia e d’Italia, l’Arte pagana rende bene, molto bene, l’idea pagana, il sentimento pagano; parimente in bocca a Cicerone ed a Tito Livio, o sotto la penna di Virgilio e di Orazio, la lingua latina pagana rende bene, molto bene, l’idea pagana ed il sentimento pagano. Al pari della società di cui è l’espressione fedele, codesta lingua è, soprattutto nel secolo di Augusto, molto polita, molto elegante e molto fredda; talvolta maestosa ed il più spesso imperiosa e superba. – L’unzione le manca, perché la carità manca alla società pagana. Organo esclusivo di passioni e d’interessi puramente naturali, essa è profondamente sensualista. Tutto quanto l’ordine d’idee, di virtù, di sentimenti, di relazioni, nato dal Cristianesimo, rimane nella medesima senza traduzione. Perciò, materialismo puro, sensualismo, egoismo e povertà nel fondo, varietà, eleganza, secchezza nella forma, in versione e rigore nel contesto: tali sono i caratteri principali che la distinguono. Espressione di una società differentissima, la lingua latina cristiana presenta caratteri diametralmente opposti. Spiritualismo puro, ricchezza inesauribile nel fondo; semplicità, dolcezza, unzione, pieghevolezza, chiarezza nella forma: ordine logico soprattutto nel contesto: ecco alcune delle sue qualità. Si scorge che queste due lingue differiscono altrettanto l’una dall’altra quanto le due società medesime, di cui elleno sono la espressione. – Si vede ancora che non è né meno impossibile, né meno assurdo il voler fare della lingua latina pagana l’impalcato del Cristianesimo, quanto il voler fare della lingua latina cristiana l’organo del paganesimo. Sotto il punto di vista dell’Arte, egli è un edificare una cattedrale gotica per onorare Giove, o servirsi dei templi di Pesto per far processioni. Ecco perché i Padri della Chiesa, uomini di buon senso e di genio, impadronendosi delle parole dell’idioma latino, ne composero una nuova lingua latina, atta a rendere benissimo le idee, i sentimenti e gli usi cristiani: nella stessa guisa che gli architetti, gli scultori, i pittori e gli orefici cristiani, riconoscendo nell’Arte pagana certi principi e certe regole primitive, le adottarono modificandole sotto la ispirazione della fede, in modo da formarne gli elementi di un’Arte esclusivamente cattolica. Non è dunque per ignoranza della lingua latina pagana che la lingua latina cristiana fu creata. Chi oserebbe dire, ad esempio, che ignorasse la lingua e la letteratura pagana San Cipriano, il quale prima della sua conversione insegnò a lungo in Cartagine, ed in modo tanto splendido, l’eloquenza pagana? o San Girolamo, sì appassionato per Cicerone, e per Plauto, che non ci volle meno d’un castigo divino per guarirlo dalla sua passione? o Sant’Agostino, il quale prima di essere discepolo dell’Evangelio, lo fu per tanto tempo di Cicerone, di Virgilio e di Terenzio, ed il quale insegnò per lunghi anni la retorica mondana in Roma ed in Milano? Certo, se l’avessero voluto, nessun meglio di codesti uomini immortali avrebbe scritto e parlato il latino del secolo di Augusto. Se non lo fecero, non è già perché non lo potessero fare, ma perché non lo vollero; e non lo vollero perché capirono che una lingua nuova faceva mestieri ad una società nuova. A tale proposito noi abbiamo la irrecusabile testimonianza di Sant’Agostino stesso (S. Aug. opp. t. IlI, part. I, p. 129, De Doctr. christ., lib. IV, c. 14, n. 31, Edit. Paris.). – Del rimanente, non si creda già che respingendo e cacciando via dal latino idioma tutta quella mollezza, tutta quella superfetazione di forme, di misure e di sonorità pagana, i fondatori della lingua latina cristiana abbiano dimenticato la proprietà e la scelta dei termini, e l’eleganza stessa ed il numero. All’opposto, essi davano a tutto ciò una cura particolare, come lo testifica ancora Sant’Agostino. Ma la proprietà e la scelta delle parole; ma l’eleganza ed il numero ch’essi ricercavano, erano appropriati alla lingua latina cristiana, della quale è scopo principale non già lusingare i sensi, ma esprimerechiaramente, fortemente, nobilmente la verità. – Come il precedente, noi dobbiamo questo nuovo segreto del loro lavoro al gran Vescovo di Bona. Perciò, le espressioni ed i termini sono comuni all’una e all’altra lingua; ma il suggello, il genio, l’ordine ed il significalo di un gran numero di parole sono totalmente diversi. Questo divario tra i due idiomi è siffattamente reale che i più esperti in latinità pagana non lo sono per ciò in latinità cristiana: e colui che in prosa si lusinga d’imitar Cicerone, ed Orazio in versi, non è per questo capace di scrivere un discorso che sappia di San Leone o di San Gregorio, né un inno che ricordi Sant’Ambrogio o San Tommaso. La prova ne è fatta. Invano un uomo si sarà, per dir così, appropriato la maniera degli autori profani, e conoscerà benissimo la latinità del secolo di Augusto; s’egli non fa uno studio profondo dei principi della latinità cristiana, si troverà imbarazzato e persino incapace di scrivere e di parlare convenientemente del dogma, della disciplina, in una parola, delle cose cristiane. La sua composizione delle parole e pel numero della frase; ma mancherà di precisione, di gravità, di chiarezza; essa sarà vuota di cose, misera, e spesso ridicola. – Nel sedicesimo secolo si era intravveduto questo grave sconcio. Si era anche temuto, e non senza fondamento, che la lingua pagana non introducesse idee pagane ed errori nel Cristianesimo. « Si è dagli autori cristiani, diceva i l celebre P. Possevino, che i giovinetti toglier devono non solo la sana dottrina, ma ancora il modo di esprimerla con convenienza e con verità. Colui che vorrà scrivere o ragionare delle cose cristiane unicamente colla lingua del secolo di Augusto commetterà perniciosi errori, darà alla religione una fisonomia pagana, cadrà ad ogni passo in sconvenienze di lingua, in vanità di pensiero, spesso anche in inesattezze di credenza, le quali aprono la porta all’eresia. Del che noi abbiamo numerosi e tristi esempi in Lorenzo Valla ed in Erasmo, chiamati non senza ragione, da giudiziosissime persone, i precursori di Lutero ». – In prova di quanto asserisco, posso anche citare la testimonianza di un uomo noto a tutta Europa per la sua erudizione profonda e per la sua meravigliosa prestanza nella letteratura latina. Monsignor Laureani, custode della Biblioteca Vaticana, i cui scritti in prosa e in Verso latino sono quanto vi ha di più elegante, di più soave e di più ricco, faceva poco fa ingenuamente questa confessione: « Lo studio di Cicerone ( col quale si può dire ch’egli si sia identificato) non mi servì a nulla o quasi a nulla per trattar convenevolmente gli argomenti cristiani. Da principio, mi sentiva molto imbarazzato per iscrivere sulle cose religiose. Allora mi applicai allo studio di San Leone: ho trovato in questa continua lettura la vera lingua della Chiesa, colla sua eleganza, colla sua forma, colla sua chiarezza. Da quel punto potei dissertare agevolmente sulle materie ecclesiastiche (De oper. SS.Eccl. Pati: in litterar., etc. p. 52.). » Il dotto prelato avrebbe potuto aggiungere ch’egli aveva attinto a quella sorgente 1’eloquenza, il numero e la grazia inimitabile di linguaggio che così altamente lo illustrano. Da tutto ciò conchiudere bisogna non solo che vi sono due lingue latine benissimo separate; ma eziandio che, se si può fare un paragone tra un autore pagano ed un altro autore pagano, tra Cicerone, ad esempio, e Quintiliano, è cosa assurda il voler paragonare un autore cristiano ad un autore pagano, Cicerone, per esempio, a Sant’Ambrogio, o Quintiliano a Sant’Agostino; gli scrittori del secolo d’Augusto agli scrittori del secolo XIII. Infatti, gli uni parlano la lingua latina pagana e gli altri la lingua latina cristiana. Ora, queste due lingue differiscono essenzialmente per la forma, pel numero dei periodi, per l’ordine della sintassi ed anche pel senso di una quantità di parole. « Come mai, grida qui il dotto Vescovo sopraccitato, come mai si concede senza protestare, ad ogni autore di grido il diritto di avere il suo modo di scrivere, e non si concede alla Chiesa di Dio? Forse che la frase di Tito Livio non varia sensibilmente da quella di Tacito? Forse che la poesia di Orazio non ha una fisonomia ben diversa da quella di Virgilio? Chi pensò mai di dar carico ad uno di loro di cattivo gusto solamente pel suo paragone coll’altro ? E tuttavia, non si è forse ciò fatto nella riprovazione assoluta e collettiva dei Tertulliani, dei Cipriani, dei Lattanzii, degli Ambrogi, degli Agostini, dei Girolami, ecc., poscia dei Gregorii da Nazianzo, dei Basilii e dei Grisostomi? Si cercò negli uni la frase ciceroniana, e non fu trovata; negli altri le forme di Demostene, e nemmeno ivi si trovarono; per ciò solo si conchiuse che quegli scrittori fossero di gusto traviato, senza chiedere a se medesimi, se nello speciale loro modo di scrivere essi non contenessero bellezze affatto pure e di altissimo ordine? Ma da quando in qua il genere di uno scrittore forma legge assoluta in letteratura? Si danno a studiare in pari tempo vari autori pagani, sebbene di generi diversissimi: perchè questo, se non affinché il gusto si formi ed ogni nascente ingegno si determini appunto con siffatto paragone? Quale è dunque lo spirito di menzogna che non volle che da trecent’anni in qua venissero seguitate, in quanto riguarda gli scrittori di Santa Chiesa, quelle regole così generali e così naturali ? » L’ esistenza di una doppia lingua latina essendo così resa innegabile, noi respingiamo come un’odiosa menzogna la denominazione di bassa latinità, adoperata per designare l’idioma della Chiesa; a più forte ragione noi respingiamo di nuovo e con tutte le nostre forze il qualificativo di barbara, applicato alla lingua latina cristiana, la quale, elaborata dai più bei geni d’ Occidente, dice egualmente bene in prosa ed in verso. La poesia latina cristiana ha per creatori e per modelli, oltre Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, San Gregorio, San Fulgenzio, Innocenzo III, San Bonaventura e San Tommaso. Quanto alla prosa, questa ricevette tutta quanta la sua perfezione da San Leone e soprattutto da San Gregorio. – Essa fu mirabilmente parlata dai Concili e dai più grandi uomini del medio-evo, e prima ancora, come p. e. da Sant’Eucherio, da San Massimo, da San Vincenzo da Lérins, da San Piero Grisologo, da San Prospero, da San Fulgenzio, da Boezio, da Cassiodoro, da Sant’Isidoro, da Sant’Ildefonso, da Beda, da Rabano, da Aimone, da San Bernardino da Siena, da Sant’Antonio da Padova, da San Pier Damiano, da Sant’Anselmo, da San Bruno, da San Bernardo, da Ugo e da Riccardo di San Vittore, da Pietro di Blois, da Alberto il Grande, da San Bonaventura, da San Tommaso, e da una quantità d’altri ai quali né l’antichità, né i tempi moderni nulla hanno a paragonare. Essa prosegue a parlarsi ed a scriversi con gran perfezione nelle congregazioni romane e negli atti ufficiali della Santa Sede. Tale si è la lingua che si osa chiamare barbara! Come se tutti quegli uomini immortali, come se tutti quei secoli cristiani che rivestir seppero il loro pensiero con sì meravigliose forme artistiche, fossero stati colpiti da idiotismo e da impotenza quando trattasi di esprimerlo colla parola! Non basta affermare; mostrateci l’esistenza di somigliante contraddizione. Mostrateci i titoli scientifici e letterari che vi danno autorità di lanciare l’oltraggio sulla fronte della Chiesa cattolica. Senza di questo, quando voi vi permetterete di qualificare di barbaro il latino dell’Evangelio e di San Bernardo, che forse non avete mai letto; di Tommaso da Kempis e di tanti altri, il cui stile presenta qualità ammirabili e quasi divine, voi provate di essere voi stessi ignoranti e barbari, simili a coloro che poco fa trattavano di gotici e di barbari i nostri capi d’opera d’architettura, la cui inimitabile perfezione non è oggidì negata da alcun uomo di buon gusto. Esaminando la questione intrinsecamente, e fatta astrazione dalle testimonianze esterne, noi siamo anche meglio fondali a respingere le qualificazioni di spregiativi, delle quali è argomento la lingua latina della Chiesa. Trattasi di sapere non già se questa lingua sia la lingua del secolo d’Augusto, ma se essa sia meno perfetta; in altri termini, se la lingua latina cristiana esprima le idee, i sensi e le cose del Cristianesimo men perfettamente di quello che la lingua latina pagana esprimesse le idee, i sensi e le cose del Paganesimo? se in bocca a San Leone, per esempio, a San Gregorio, a San Bernardo, a San Tommaso, il sovrannaturale sia meno eloquente, meno nobile, meno abbondante, meno sublime, meno semplice, meno chiaro, meno vario che noi sia il naturalismo in bocca a Tito Livio, a Quinto Curzio od a Cicerone? Chi può mai, colle prove in mano, rispondere affermativamente? Ecco circa la relativa perfezione dell’uno e dell’altro idioma. Circa la loro perfezione assoluta, volete voi sapere a che attenervene? Ricordatevi che il bello è lo splendore del vero: che lo splendore od il raggiare del vero si appalesa nell’arte e nella parola; che quanto più una società possiede il vero, tanto più il suo stile, la sua arte e la sua lingua sono belli. Ciò posto, a voi basta, per decidere quale delle due lingue sia all’altra superiore, il rispondere al quesito seguente: « il Cristianesimo possiede egli maggior verità che non il Paganesimo? ».

FATIMA FARO DI VITA

« Fatima non ha ancora detto al

Portogallo e al Mondo tutto il suo

segreto. Ma non sembra eccessivo

affermare, che quelle che ha già rivelato

il Portogallo, è indizio e pegno

di quello che riserba al Mondo ».

Cardinale-Patriarca di Lisbona

Era fresca l’eco dell’ultima apparizione della Vergine a Fatima quando l’insofferenza del giacobinismo ufficiale e ufficioso contro la « nascente superstizione di Fatima » cominciò a sfociare in aperte minacce e rappresaglie. Una notte, alta notte, i pacifici abitanti dei dintorni della « Cova da Iria » si svegliano impauriti alle grida di allarme: Fuoco! fuoco!… La Cova da Iria è in fiamme! Guardando in quella direzione, si vedeva salire al cielo, nitidamente tracciato nelle tenebre, un chiarore rossastro, come di grande incendio. Non v’era dubbio: i settari avevano eseguito le minacce, appiccando il fuoco a quanto nella Cova poteva essere pasto delle fiamme. – Gli uomini di « Moita » balzano in piedi, si armano di randelli e di quanto trovano alla mano, e decisi corrono alla riscossa… Ma nella Cova regnava pace assoluta e silenzio profondo, reso più solenne dai trilli degli usignoli, che sembravano salmeggiare il Mattutino nella placida notte. – Sarebbe dunque quel fuoco una meteora straordinaria, o più semplicemente… una illusione collettiva? Ma ecco che il fenomeno si ripete due, tre volte, a pochi giorni d’intervallo… No! non poteva essere giuoco di fantasie esaltate! Era una realtà, un segno del Cielo, un simbolo prefigurante l’avvenire. Quel « fattore invisibile, che furono le Apparizioni di Nostra Signora di Fatima », doveva manifestarsi luminosamente come un incendio, perché doveva essere Faro immenso per diffondere torrenti di luce e di calore vitale in un mondo, che si dibatteva nelle tenebre, sotto minaccia di morte.

* * *

Questa irruzione vivificatrice di grazia si inaugurò già al tempo delle Apparizioni. Erano mistici effluvi di soprannaturale, che si irradiavano dalla Cova da Iria, illuminando, attirando, conquistando le anime, trasformandosi in un doppio torrente di vita: vita fisica e vita morale. I primi a sentirne l’efficacia furono gli stessi confidenti della Madonna. La grazia operò in essi meraviglie. Menti semplici e cuori innocenti si lasciarono prendere, trasformare, sollevare in alto, sempre più in alto. Francesco e Giacinta furono trovati in breve tempo maturi per il Cielo. Bambini analfabeti, ma Francesco in uno scarso anno e mezzo, Giacinta in due anni e quattro mesi, avevano percorso una lunga via di santità, da toccarne le vette. La loro tomba è ora i n benedizione, mèta di devoti, mentre è già in corso il Processo Canonico per la loro beatificazione. Fatima si gloria di queste due fiaccole di vita, trapiantate nel cielo, valida testimonianza della bontà del suo Messaggio. E Lucia di Gesù… Lasciamo in pace la candida colomba, che, infastidita del mondo, se n’è volata al vertice del Carmelo, per nascondersi nella cavità della roccia, nel Cuore Immacolato di Maria, lontano, tanto più lontano dalla terra, quanto più alle porte del Cielo. Il segreto della sua vita è là ora, nel Monastero di S. Teresa a Coimbra (Portogallo), che ha il privilegio di averla fra le sue mura, sotto il nome di Suor Maria Lucia del Cuore Immacolato. Ha detto tutto quello che doveva dire al mondo, come messaggera di Maria. Può attendere quindi tranquilla alle sue ascensioni interiori, aspettando l’ora della promessa, che la ricongiungerà ai suoi due cari amici d’infanzia. – Il celeste richiamo di Fatima volava intanto per gli spazi; moltiplicando i suoi prodigi. Il suo influsso toccante e trasfigurante operò anzitutto nei paesi vicini, poi nei più lontani. In breve tempo tutto il Portogallo ne fu conquistato. Ed eccovi una immigrazione sui generis di popolo, un continuo accorrere dì moltitudini sempre più numerose verso la montagna santificata dalla presenza di Maria… Una gran parte, forse i più, a piedi scalzi e col Rosario in mano… non pochi con i piedi sanguinanti, dopo un percorso di cento, duecento e perfino quattrocento chilometri! Non ha forse la Madonna raccomandato preghiera e penitenza, quale frutto della propria conversione, e per la salvezza del mondo? E’ una marea montante che sale ogni anno, dai cinque ai dieci mila pellegrini nei mesi invernali, dai 150 ai 200 mila in maggio e ottobre; in occasioni eccezionali si sale ai 300.000 nella Incoronazione della Regina Mundi (13-5-46) e ad una marea di gente incalcolabile nella solenne Chiusura dell’Anno Santo mondiale (13 Ottobre 1951). E per tutti Fatima è Faro di vita, fisica o morale, o fisica e morale insieme. E’ incontestabile che qui si sono realizzati veri portenti, guarigioni complete e rapide, che le forze della natura sono incapaci di realizzare, e che la scienza umana non riesce a spiegare, e la parola miracolo è sulle labbra di tutti: del « popolo non meno che degli uomini di scienza, che più accuratamente hanno esaminato i fatti. Ancora una volta si dimostra che qui c’è il dito di Dio, e la devozione di Fatima è suggellata dal segno inconfondibile del suo potere ». Così l’Episcopato Portoghese in un solenne documento. – Il « suggello di Dio »! suggello che parla non soltanto all’anima, ma ai sensi, e perciò attira e conquista irresistibilmente. Ogni pellegrinaggio porta i suoi malati, dalle più svariate infermità; ed i registri del Santuario presentano una media annuale superiore a 1000; qualche volta di 1.500 o 1.600. Ma quanti non si fanno registrare! E quanti si associano ai pellegrini, in ispirito, dai loro letti di dolore!… tutti colla speranza di recuperare la salute, o almeno trovare sollievo nei loro mali; e se non questo, certamente la rassegnazione cristiana per portare fruttuosamente e santamente la croce! Quante volte il povero infermo, venuto a Fatima anelando disperatamente la salute miracolosa, arrivato qui si sente inondare l’anima da un soave torrente di rassegnazione cristiana, e finisce per domandare la guarigione per un altro malato, che ora gli ispira più compassione che non le proprie sofferenze!… E non sono questi pure miracoli di luce, di vita, di una vita migliore, più alta della salute miracolosa? Le grazie attribuite all’intercessione della Madonna di Fatima qui nel Santuario e fuori sono a migliaia. La sola « Voz da Fatima» ne ha registrate più di mille in venti anni (1922-42). Oggi sarebbe letteralmente impossibile farne una statistica relativamente completa. Ma non importa; perche non è questa la nota caratteristica di Fatima. « Fatima è stata e continua ad essere soprattutto un fuoco potentissimo di vita spirituale… « …Non sono le guarigioni portentose e le grazie temporali di varia specie qui ottenute i grandi miracoli dì Fatima ; questi avvengono nel dominio recondito delle anime, nell’ambito delle coscienze, nel recinto misterioso dove non penetra la sonda dell’osservazione né l’investigazione della scienza. – Chi assiste alle solennità dei grandi giorni di Fatima e vede tutte le classi della società portoghese confuse nelle acclamazioni alla Vergine e nell’adorazione a Gesù Sacramentato, chi ha modo di osservare le folle immense inginocchiate nella polvere e quante volte nel fango, ricevendo in umile atteggiamento il Pane dei forti, chi sorprende i singhiozzi di pentimento e le lacrime negli occhi di tanti che camminavano sperduti pei sentieri del vizio, o militavano ostinatamente nelle schiere dell’incredulità, chi contempla la commozione profonda, che s’impadronisce degli stessi indifferenti, dinanzi alle invocazioni dolenti e ardenti, che sgorgano da migliaia di petti, chi assiste in spirito allo sfilare delle moltitudini che in Portogallo e fuori del Portogallo portano in trionfo la bianca immagine della Vergine di Fatima e piegano le ginocchia con eguale ardore nella strada e nel tempio, e chi paragona tutto questo con la deplorevole decadenza a cui era scesa in Portogallo la vita religiosa,… ha l’impressione di trovarsi dinanzi a un mondo nuovo, e non può non riconoscere che un’onda potente di linfa divina e soprannaturale si è infiltrata nell’anima del popolo portoghese, si sono convertiti molti peccatori, si sono riconciliati con la vita molti che avevano perduto ogni speranza, hanno di nuovo imparata la strada della chiesa molti che l’avevano completamente dimenticata, si aprono alla preghiera umile e fiduciosa labbra che l’indifferenza aveva immobilizzato, benedicono il nome del Signore molti che ieri sacrilegamente lo bestemmiavano. In verità scorre nelle anime un fremito di vita più alta. Non è il caso di indagare il segreto delle anime. Ma la salute recuperata si può leggere nei numeri del termometro. Ed un termometro che indica sicuramente la vita delle anime, è la Mensa Eucaristica. A Fatima in ogni pellegrinaggio le Comunioni si contano a mogli aia: sono 20 o 30 mila, qualche volta 45 e 50 mila; nella chiusura dell’Anno Santo circa 160.000. – La media annuale nel quadriennio 1930-1933 fu di 97.550: nel quadriennio immediato saliva a più di 130.500: negli ultimi anni oscilla intorno alle 250.000. l’Anno Santo fu straordinario con le sue 400.000 Comunioni. E se fosse contare le Comunioni generali che nei giorni di pellegrinaggio nazionale si fanno in tante parrocchie del paese in unione coi pellegrini di Fatima?! Un altro termometro in numeri più piccoli parla ancora più alto; perché indica le forze vive che si vanno creando a Fatima, decise a rivivere esse stesse e a propagare la vita intorno a sé . tale è l’opera dei Ritiri chiusi, inaugurata a Fatima nel 1930 con 200 esercizianti; poco dopo superava i 1000; oggi ne conta 2500 all’anno. Fra essi il ptimo posto è riservato all’Episcopato. Vi convengono poi a turno sacerdoti, Medici, Avvocati, Professori, Studenti universitari, Dirigenti dell’A. C. , Membri di terz’ordini, madri e sorelle di sacerdoti, operai … Anche l’Azione Cattolica si è organizzata sotto la protezione della Madonna di Fatima, non chè le truppe ausiliarie della medesima, i 500.000 crociati di Fatima. – Con tutte queste forze vive, sotto il comando della “Vincitrice di tutte le battaglie di Dio” , come non realizzare miracoli? Ed il grande miracolo si è avverato: il profondo cambiamento avvenuto nel Portogallo, non soltanto politico, ma soprattutto morale e religioso. « Chi avesse chiuso gli occhi trent’anni fa e oggi li riaprisse, non riconoscerebbe più il Portogallo ». – Allora uno dei corifei della rivoluzione del 1910 poteva gloriarsi in piena assemblea della Massoneria, di avere vibrato il colpo di grazia al Cattolicesimo nel Portagallo, con l’iniqua « Legge di Separazione fra la Chiesa e lo Stato ». In due generazioni non ve ne sarebbe rimasto neppure vestigio… In rinforzo poi della satanica bravata vennero lunghi anni di persecuzione, bando agli Ordini religiosi, i Vescovi esiliati dalle loro Sedi o incarcerati, i Sacerdoti perseguitati a segno, i Seminari fatti caserme, proibito il catechismo e l’insegnamento religioso, le chiese — più di 40 nella sola capitale — profanate e bruciate, o convertite ad usi profani; e tutto il resto che narra la storia e quello che essa non ardisce narrare… – Trenta, quaranta anni dopo. E’ in piena attività la seconda generazione. Stracciata l’infame Legge di separazione, il Portogallo stringe con la Santa Sede un Concordato quasi modello e lo Accordo Missionario. Lisbona, la rocca forte del laicismo, riceve trionfalmente i Legati del Papa. Le più alte Autorità della Nazione non temono affermare pubblicamente la loro fede; mentre la vita cattolica va rifiorendo dappertutto in una immensa primavera di bene, che permette concepire le più ridenti speranze. « Il Portogallo ha ritrovato le sue antiche tradizioni di Nazione crociata : fedelmente cattolica e missionaria ». – Un simbolo, segno dei tempi. La Guardia Repubblicana, che una volta perseguitava a colpi di sciabola e arrestava i pellegrini di Fatima, oggi in alta tenuta è passata in rivista dal Vicario di Cristo nella persona dei suoi Legati, e si fa vanto non soltanto di montare la guardia d’onore alla Madonna di Fatima, ma di portarla a spalla attraverso un oceano di popolo plaudente. Simbolo quanto mai significativo della nuova vita che si irradia da FATIMA, faro di vita. Un giorno S. S. PIO XII, salendo in ispirito la montagna di Fatima, vedeva la Cova da Iria trasformata in « sorgente perenne di grazie e di « prodigi fisici, e molto più di miracoli morali che a torrenti di qua si riversano su tutto il Portogallo, e poi irrompendo le frontiere invadono tutta la Chiesa e tutto il mondo » (Radio-messaggio del 13-5-46). Fin dalle apparizioni dell’Angelo, e più da quelle della Madonna, con le allusioni trasparenti all’ateismo militante, al comunismo irruente ed iconoclasta, al materialismo ed all’immoralità dilaganti, e poi alle guerre mondiali, castigo di Dio per tante iniquità, il Cielo faceva vedere chiaramente che, se Fatima sorgeva nel Portogallo, era però destinata al mondo. Infatti appena stabilitone solidamente il culto, con il riconoscimento implicito dell’Autorità ecclesiastica (erezione della basilica, maggio 1928), e più con l’approvazione ufficiale (13 ottobre 1930), la devozione alla Madonna di Fatima irradiò largamente al di là delle frontiere del Portogallo, portando dovunque gli stessi frutti di benedizione. Fu però il giubileo delle Apparizioni, coll’intervento solenne del Vicario di Cristo, e la Consacrazione del mondo all’Immacolato Cuore di Maria (31-10-42), che diedero al Faro di Fatima una potenza illuminatrice e vivificatrice di milioni di chilowatt, registrati nei contatori di Dio. – « Dalle più lontane e recondite plaghe dell’Universo. dall’America, dall’Oceania, dalla Cina. dall’India, finanche dalla Russia martoriata arrivano a Fatima offerte, domande di preghiere, ringraziamenti, in una parola, dimostrazioni di confidenza e d’interesse, omaggi a Nostra Signora di Fatima. E’ incontestabile che Nostra Signora di Fatima ha conquistato il Portogallo e va conquistando il mondo ». Così scrivevano allora i Vescovi. – Oggi, passati dieci anni, chi potrebbe semplicemente elencare le chiese, cappelle, oratori, altari in suo onore eretti e venerati nelle cinque parti del mondo, nonché gli Istituti, Parrocchie, Diocesi, Missioni… a Lei intitolate e poste sotto la sua protezione? Si contino, per esempio, le centinaia di statue portate per essere benedette nel Santuario, e di là partite in tutte le direzioni per tutte le latitudini del globo. O si pensi a quel devoto de la Virgen de Fatima » , che a Madrid si diede a diffonderne la devozione, distribuendo immagini a prezzi minimi e spesso gratis: da quella improvvisata officina sono uscite in pochi anni, fra piccole e grandi, ben 3.000 statue dirette alla Spagna, all’India, all’America… – La devozione alla Madonna di Fatima ha preso la forma di una inondazione, serena ma grandiosa, come la piena del Nilo, che, superati i margini, allaga e feconda fino all’orlo estremo tutta la pianura coltivabile…, qui però la pianura è tutta la Chiesa di Dio! . .. Ma il Cuore Immacolato della Vergine Madre non si contenta di questa inondazione serena, per quanto rapida e progressiva. Appena incoronata REGINA MUNDI, ispira l’idea del Pellegrinaggio Mondiale, in circostanze tanto singolari, che è impossibile non riconoscervi un chiaro segno della volontà divina. Ed il Pellegrinaggio è, Come dire?, un violento nubifragio, che percorre l’orbe, travolgendo e trascinando tutto al suo passaggio. La prima tappa, Lisbona; e Lisbona per quattro giorni e quattro notti è ai piedi della Madonna « nella più stupenda e più impressionante manifestazione di fede di tutta la storia del Portogallo ». Poi percorre le provincie più abbandonate, dove fin dal 1910 tante città non avevano visto né voluto vedere l’ombra di un Sacerdote. Si moltiplicano i prodigi … Ma il grande miracolo è la trasformazione quasi repentina di tante migliaia di quei neo-pagani in cristiani ferventi. La Vergine Pellegrina entra in Ispagna da un arco trionfale in cui si legge il distico: « Spagna ai Tuoi piedi ». E il distico si verifica alla lettera. Piovono grazie e miracoli temporali; diluviano gli spirituali. Madrid in un sol giorno vede ben quindici miracoli! Ma allo stesso tempo, tutte le parrocchie, specialmente le periferiche, dove più abbondano gli elementi comunisti, subiscono una vera rivoluzione spirituale. Non vi è una sola che, alla vista notturna della Madre SS.ma, non conti alla Mensa Eucaristica 20 o 30 mila persone, il quaranta per cento delle quali da dieci e più anni non erano entrati mai in Chiesa. In Belgio: chi direbbe, per esempio, che Charleroi è in pieno pays rouge, vedendo che le chiese non bastano a contenere le moltitudini, e che le piazze si trasformano in chiese ed i banchi degli stabilimenti in balaustrata per la Comunione? Il Lussemburgo, paese di 250.000 anime, per tre giorni è tutta una fiamma di amore alla Vergine di Fatima e a Gesù Sacramentato: 100 mila Comunioni! In Olanda, ultima tappa del viaggio i n Europa, « se il Congresso di Maastricht fu una manifestazione grandiosa, il vero spirito di fede e di pietà glielo diede la Vergine Pellegrina », affermava l’ecc.mo Presidente. In Africa i vecchi Missionari piangono a calde lacrime vedendo la commozione delle anime; il passaggio della celeste Regina « è per loro il più bel giorno della vita »; e poi i catecumeni si moltiplicano, si fondano nuove Missioni. Nella grande India, nel Pakistan la Madonna passa spargendo generosamente favori a cristiani e non cristiani. La commozione delle folle è tale, che i Vescovi meravigliati si domandano se è sogno di leggenda orientale, o realtà vera, lo spettacolo che dappertutto si rinnova sotto i loro occhi… Nel Ceylon per qualche giorno si ha l’impressione che la grande isola sia diventata ad un tratto cristiana. Un Arcivescovo osserva: « Quello che il Figlio non ha fatto durante i secoli, la Madre lo ha fatto in pochi giorni »! Così pure nell’Indocina, in Australia, nelle Isole del Pacifico; così in America, dal Canada e Stati Uniti alla Colombia ed al Cile… Ed ora in Brasile: Fortaleza, Rio, S. Paulo, Nova Friburgo, Belo Horizonte, e cento altre città… ognuna protesta che il trionfo della Vergine Pellegrina è stato, da loro, il più grande, il più sentito, il più stupendo che mai si sia visto in Brasile: manifestazioni gigantesche di fede e pietà, conversioni, tante comunioni, e più che nei Congressi Eucaristici! . .. Il torrente avanzando cresce, trascina, vivifica; luce viva delle menti, vita dei cuori! Ma la grande meraviglia inedita di questo Pellegrinaggio di meraviglie è l’intervento di protestanti, di scismatici, di buddisti, di pagani, di mussulmani, che i n Africa, Asia, America, accorrono, spesso i n numero superiore a quello dei cattolici, e con essi fanno a gara nell’onorare la REGINA MUNDI, che passa sorridente e benedicente. S.S. PIO XII lo sottolineava nel suo augusto Messaggio de1 13 ottobre 1951 « La Regina degli Angeli uscendo… da cotesto Santuario di Fatima, dove il Cielo ci ha concesso di incoronarla REGINA MUNDI, percorre in visita giubilare tutti i suoi domini. E al suo passaggio, in America come in Europa, in Africa ed in India, nell’Indonesia e nell’Australia si moltiplicano le meraviglie della grazia per forma tale, che a stento possiamo credere a quanto pure vedono gli occhi. Non sono a soltanto i figli della Chiesa ubbidienti e buoni che diventano più ferventi, sono i prodighi che vinti dalla nostalgia delle carezze materne, ritornano alla casa del Padre; sono ancora (chi mai potrebbe immaginarlo?) in paesi dove ha appena incominciato a risplendere la luce del Vangelo, tanti avvolti nelle tenebre dell’errore, i quali a gara coi fedeli di Cristo, aspettano la Sua visita, La ricevono ed acclamano con delirio, La venerano, La invocano, ne ottengono grazie segnalate. Sotto lo sguardo materno della celeste Pellegrina… tutti per quache momento si sentono felici di essere fratelli. Spettacolo singolare e singolarmente impressionante, che ci fa concepire le più belle speranze!». – Qui viene spontanea una domanda: la REGINA MUNDI non avrà voluto forse prendere il titolo di FATIMA, per aprire una breccia nella fortezza inaccessibile dell’Islamismo?… Il nome di Fatima è un richiamo per i Musulmani. Esso ricorda un’antica leggenda, il nome di una nobile damigella musulmana del sec. XII, figlia di Vali Alcàcer, fatta prigioniera in uno scontro tra cavalieri portoghesi e musulmani, e richiesta in isposa dal condottiero dei portoghesi, Don Gongalo Hermingues. Fatima, che aveva aderito alla proposta, si fece anche cattolica, ma morì dopo pochi anni, con immenso dolore del suo sposo, che a conforto del suo schianto entrò tra i monaci di S. Bernardo nella Badia di Alcobaga a trenta chilometri da Ourém, nome imposto alla cittadina d’Abdegas, dal nome di Battesimo di Fatima, Oureana. Per interessamento dell’Abate del Monastero le spoglie di Fatima furono trasportate in un paesello, a sei chilometri da Ourém, dove l’Abate aveva fatto costruire in onore della Madonna una chiesa e un piccolo convento. Da quel tempo il paesello fu chiamato Fatima. Mons. Fulton J. Sheen, ricordando questa leggenda, si pone la stessa domanda: «Chissà che la Madonna non abbia voluto forse farsi conoscere col nome di Nostra Signora di Fatima, per offrire un segno di predilezione e di speranza ai Musulmani, e quasi un’assicurazione che essi, per il grande rispetto che hanno verso di Lei, accetteranno un giorno il suo Divin Figlio? » ( La Madonna di Fatima o i Musulmani nel pensiero di S. E. Mons. Fulton J. Sheen, in Selezione Missionaria, 1 (1933) p. 153.) . – Le non poche conversioni in atto dall’Islam al Cattolicesimo, al passaggio della Vergine di Fatima, sono un confortante saggio. Ma conforta ancora il pensiero che tutto il mondo missionario è in prodigioso risveglio. La Vergine di Fatima vuole accelerare i tempi, scendendo Lei stessa in aiuto sensibile dei pionieri dell’espansione evangelica. Il « faro di vita », acceso per il mondo in questa piccola località di Fatima, affretta le vie di Roma.

Can. AMILCAR MARTINS FONTES

Rettore del Santuario di Fatima

J.-J. Gaume: IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (11)

CAPITOLO XXIII

INFLUSSO DEL PAGANESIMO CLASSICO SULLA SOCIETÀ

II Cristianesimo è la legge della carità universale. Esso insegna due cose: a rispettare ed a sacrificarsi. Vincitore del mondo e padrone della educazione durante mille anni, il Cristianesimo era penetrato col suo spirito fra le nazioni d’Europa, nutrendo del suo sugo vivificante le giovani generazioni: e, per quanto lo permette la umana debolezza, aveva fatto la società ad immagine sua. Quindi, durante tutto il medio-evo, la quasi assoluta mancanza di guerra generale fra i popoli cristiani; quindi, le guerre intestine più ristrette e men crudeli che non nell’antichità; quindi, un patriottismo cattolico che facendo della religione la patria comune, considerava tutti i cristiani dell’universo come fratelli, per i quali si aveva dell’oro a dare e del sangue a versare, qualunque fosse il clima sotto cui soffrivano; quindi, lo spirito cavalleresco, che poneva a disposizione dell’essere debole la potenza disinteressata del nobile e del forte. Quindi, il sovrano potere, contenuto entro giusti limiti dall’autorità superiore della religione, dando durante questo periodo maggiori esempi di santità sul trono, cioè di abnegazione eroica agli interessi dei popoli, che non se ne videro durante tutte le altre epoche della storia; quindi, libertà comunali e provinciali incomparabilmente maggiori di quanto si era prima conosciuto, di quanto poscia fu visto; quindi, finalmente, la libertà assoluta della Chiesa, madre e guardiana di tutte le altre; della Chiesa, che non era punto considerata come una straniera od una rivale, ma che era amata, rispettata e secondata in ogni modo nella sua azione sociale. Oggi, noi abbiamo l’opposto di questo quadro. – Il segno caratteristico dell’Europa, da tre secoli, è l’odio. « Odio di Dio: si vorrebbe abolire la sua religione non solo, ma persino il suo nome; odio dei sacerdoti, che sono calunniati, ingiuriati, oppressi nell’esercizio delle loro funzioni, e sono già proscritti in speranza da certe persone; odio dei re, dei nobili, delle istituzioni stabilite: odio di ogni autorità; odio delle leggi che conservano la pace reprimendo le passioni; odio dei magistrati che difendono le leggi; odio nello Stato, nella famiglia; odio universale che si palesa colla ribellione, col1’assassinio e con un ardente desiderio di distruzione (Saggio sull’indiff., t. II, pref., p. xix e xx.) ». Nell’ordine puramente politico, ecco le principali manifestazioni di un simile odio, sconosciuto dai secoli di fede:

La guerra esterna ed intestina quasi continua;

Un amore feroce della libertà;

Un patriottismo selvaggio;

Un dispotismo brutale che a volte passa dalle mani della moltitudine in quelle di un solo uomo;

Una servilità abbietta;

Una tendenza decisa al comunismo ed alla rovina.

Chi mai produsse, chi mai mantiene questo stato anomalo? D’onde provennero queste idee sì contrarie alle idee cristiane? In qual modo hanno esse fatto irruzione nella società? Perché mai, bandite dall’Europa durante mille anni, l’hanno esse invasa da tre secoli in qua? Rimontiamo alla sorgente d’ogni cosa, interroghiamo l’educazione. Essa ci risponderà. « Sono io che formo l’uomo e la società. Da tre secoli io son pagana: invece d’insegnare ad amare, io insegno ad odiare; io ho fatto l’uomo a mia immagine; l’uomo trasmise ciò che egli ha ricevuto, e la società è diventata pagana, e l’odio ha regnato ». – Infatti, la legge d’odio era la legge del mondo pagano, ed i grandi segni che annunciano la sua presenza nella moderna Europa sono letteralmente gli stessi che la palesavano in seno alle società antiche della Grecia e dell’Italia. La guerra esterna ed interna quasi continua: ecco il fondo della storia di tutte le repubbliche classiche. Ora, da tre secoli, quale quadro vien egli presentato ogni giorno, durante sette anni, allo studio ed alla ammirazione della gioventù di Europa? La guerra. Lasciando da parte alcune insignificanti particolarità di costumi e d’organamento interno, che cosa ci s’insegna mai a conoscere su Roma, su Atene, su Sparta, su Tebe, su Cartagine, sul Peloponneso, sulla Macedonia, sulla Persia, sulle Spagne, sulle Gallie e sulla Germania? La guerra. Gli Etrusci, i Volsci, gli Equi, i Veii, i Sanniti ed una folla di altri popoli non sono da noi conosciuti se non per la guerra. Non solo gli uomini, ma gli Dei ben anco ci offrono il medesimo spettacolo. Colle turpitudini degli Immortali che cosa ci dimostra l’Olimpo? La guerra. Espressione viva della legge d’odio che reggeva il mondo pagano, la guerra, la guerra in cielo ed in terra: tale si è l’elemento nel quale noi fummo tirati su. Non v’ha campo di battaglia sul quale noi non siamo stati condotti a passeggiare, da Maratona alla Trebbia, da Arbella a Farsaglia: non v’ha carneficina che non ci sia stata messa sott’occhio; non v’ha saccheggio di città, al quale noi non abbiamo assistito; non v’hanno eserciti nemici, per i quali noi non abbiamo preso parte; non v’ha gran capitano del quale non ci siano state narrate le gesta, di cui non ci siano stati ridetti i discorsi, di cui non ci siano stati spiegati i disegni e gli stratagemmi; in una parola, non v’ha fibra guerriera nel nostro cuore fanciullo, che non sia stata scossa sovente, scossa a lungo, scossa profondamente. – Ora, che cos’erano nelle loro cagioni e nei loro effetti tutte queste guerre, la cui storia imbeve la giovine nostra anima? Non altro erano se non l’odio universale, figliuolo dell’egoismo, appagante se stesso coll’esercizio del diritto brutale del più forte: l’ingiustizia e il brigantaggio. Pure, ci si ispirava passione per tutte quelle opere; noi eravamo tenuti di ammirare coloro che ne furono gli eroi; i nostri libri e i nostri maestri davano loro nome di grandi, d’illustri, d’immortali. Si aveva cura dimostrarceli, al ritorno dalle loro spedizioni, cantati dai poeti, onorati dal senato, dall’areopago e dagli arconti, coperti d’applausi dal popolo, e montati su carri d’oro o d’avorio ascendere al Campidoglio. Quegli uomini e quei falli, che si proponevano alla nostra ammirazione, furono dopo il Rinascimento proposti all’ammirazione non solo dei figliuoli del popolo, ma ben anco dei figliuoli dei nobili e dei re. Chiamato ad educare i successori di San Luigi, Amyot vescovo di Auxerre e traduttore di Plutarco, non conosceva, dopo la Sacra Scrittura di cui solevasi ancora consigliare la lettura, modelli più compiuti, per un principe, dei grandi uomini di Atene, di Sparta e di Roma. – In questi termini egli scrive al suo regale discepolo, nel dedicargli la sua versione: « Avendo io avuto questa bella fortuna d’essere collocato presso di voi sin dalla vostra prima infanzia, allorché non avevate se non quattro anni, per incamminarvi alla conoscenza di Dio e delle lettere, mi posi a pensare quali fra gli antichi scrittori sarebbero più idonei e più acconci al vostro stato, da proporveli a leggere quando voi foste giunto in età da potervi prendere alcun gusto; ed essendomi parso che dopo le Sante Lettere, la più bella, la più degna lettura che si potesse presentare ad un giovane principe, fossero le Vite di Plutarco, mi posi a rivedere quanto ne aveva cominciato a tradurre in nostro idioma per comando del fu gran re Francesco, mio primo benefattore, e terminai l’opera intera. E la versione essendone stata molto bene accolta, anche in diritto, e siccome voi dopo che l’età e l’uso v’ebbero dato attitudine a leggere ed alcun giudizio naturale non volevate leggere in altro libro, ciò mi pose voglia sin d’allora di volgere in nostra lingua le altre sue opere morali e filosofiche (Epistola al Re Cristianissimo Carlo, Nono di Questo nome, ediz. 158:2.) ».Ecco la cosa: la storia di Costantino, di Teodosio, di Carlo Magno, di San Luigi e di tanti altri santi re od imperatori, era meno propria a formare lo spirito e il cuore di un principe cristiano che non le vite di Teseo, di Romolo, di Licurgo, di Solone, di Pericle, di Mario, di Siila, di Cesare, di Trasibulo e di Bruto! Bentosto le Sante Lettere spariscono dall’educazione; esse non hanno più accesso ai collegi; e, cento anni dopo Amyot, Fénélon compone ad uso dell’erede del Regno Cristianissimo un evangelio, di cui Telemaco è il discepolo, Mentore l’interprete, Minerva l’inspiratrice, ed il paganesimo il più puro il fondo e la forma. – Nello stesso intento, invece di scrivere le vite e le massime dei nostri grandi uomini e dei nostri gran santi, per formare lo spirito e il cuore del duca di Borgogna, il venerabile arcivescovo di Cambrai crede dover consacrare il suo genio ed il suo tempo nello analizzare, nel tradurre l’Odissea, nel fare un compendio delle vite dei filosofi antichi colle loro massime: Talete, Solone, Pittaco, Biante, Periandro, Chilone, Cleobulo, Epimenide, Anacarsi, Pittagora, Eraclito, Anassagora;, Democrito, Empedocle, Socrate, Platone, Antistene, Aristippo, Aristotile, Senocrate, Diogene, Crates, Pirone, Jiione, Epicuro e Zenone. Finalmente ai dì nostri, in faccia all’Europa si proclama, che l’antichità è quanto v’ha di più bello al mondo. – In mezzo a questo concerto d’elogi tributati al paganesimo, ai suoi falsi grand’uomini, alle false sue glorie, alle false sue virtù; fra il rumore rimbombante delle sue guerre e delle sue battaglie; fra lo spettacolo continuo delle sue violenze e delle sue ingiustizie, da tre secoli in qua è formata la gioventù di Europa. Ed è ad una tale scuola che si pretende farle attingere i sensi di giustizia, di dolcezza, di modestia, di subordinazione, d’indulgenza, di abnegazione, d’umiltà e di carità che sono lo spirito stesso dall’Evangelio e le condizioni di vita delle società cristiane! Ma che! Se si volessero a disegno formare uomini ingiusti, superbi, orgogliosi, insubordinati, ed all’occasione devastatori di provincie, si potrebbe forse procedere diversamente? Non è forse in tal modo che furono preparati gli eroi famosissimi di quella guerra dei Trent’Anni (1618-1648) che coprì trequarti d’Europa di sangue e di rovine? Guerra pagana, in cui si commisero maggiori orrori e maggiori infamie di quante il mondo ne avesse veduto da dieci secoli; guerra selvaggia, che distrusse più monumenti e capi d’opera d’ogni genere che non ne avessero distrutto le barbare orde. Non è egli dalla medesima scuola che uscirono i capi dei nostri eserciti rivoluzionari, i feroci proconsoli che condussero la devastazione da Parigi a Napoli, da Lisbona a Mosca, ed i quali, come gli eroi dell’antichità, ritornarono recando nei loro carri non solo l’oro e l’argento, ma ben anco le ricchezze artistiche di lutti i popoli vinti? Non è forse la loro condotta quella ch’essi si gloriavano d’imitare, ed i loro nomi quelli che eglino invocavano? Tuttavia la guerra esterna non è se non una parte dello spettacolo offerto alla gioventù dal paganesimo classico; le lotte interne compiono il quadro. Che cosa abbiam noi veduto nella storia interna di Sparta, di Atene, di Roma in specie, che meglio si cerca di farci conoscere? L’antagonismo continuo delle classi inferiori e delle classi superiori della società; l’orrore dei re, designati sotto il nome di tiranni; l’odio inveterato dei plebei contro i patrizi e dei patrizi contro i plebei, le tempeste nel Foro, le ritirate sul Monte Sacro, le leggi agrarie, l’intervento dei tribuni e la popolarità dei cospiratori; dissensioni sempre rinascenti, fazioni sempre pronte a venire alle mani; il sangue dei cittadini inondante le vie e le piazze delle città, e l’ostracismo che esiliava a volte i vincitori della vigilia, vinti del domani. Begli esempi, sublimi precetti, preziosi semi da deporre nell’anima della gioventù! E sotto il nome di Tarquinio noi detestavamo la monarchia; eravamo aizzati a volte a pro del popolo ed a pro dei nobili, a pro dei Gracchi ed a pro di Druso, a pro di Mario ed a pro di Siila, a pro di Pompeo ed a pro di Cesare, e quasi tutti noi tenevamo dal popolo e dai suoi tribuni, e sentivamo nascere in noi l’odio verso il governo e la gelosia verso le superiorità dei nobili o dei ricchi. Aggiungete a ciò un patriottismo selvaggio che non rispetta né il diritto naturale, né il diritto delle genti, né i vincoli i più sacri della natura. Ora è Scevola che si brucia la mano per avere sbagliato nello assassinare Porsenna; ora è Bruto che uccide i suoi figliuoli sospetti di congiurare contro la patria; ora è un secondo Bruto che pugnala Cesare, suo benefattore, ed altri ancora che sono esaltali come i tipi del patriottismo, come gli adoratori sublimi della libertà. « Che è ancora codesto patriottismo, il lato bello del mondo antico? L’odio dello straniero; distruggere ogni civiltà, soffocare ogni progresso, portare dovunque la face accesa e la spada, incatenare donne, fanciulli, vecchi ai carri trionfali, quest’essa era la gloria, quest’essa era la virtù. A tali atrocità il marmo degli scultori ed il canto dei poeti era riservato. Quante volte i nostri giovani cuori non palpitarono essi di ammirazione, pur troppo! e di emulazione a somigliante spettacolo! In tal modo i nostri professori, venerabili sacerdoti, pieni di cuore e di carità, ci preparavano alla vita cristiana! ». E cosiffatti tempi si chiamano i tempi-modelli, i tempi dell’eroismo e della grandezza d’animo; e quell’antichità pagana, in cui simili azioni si facevano, chiamasi « la più bella cosa del mondo, l’asilo calmo, pacifico e sano, destinato a conservare la gioventù fresca e pura ». Quest’esso è l’aere che da tre secoli la gioventù europea respira. Finalmente, l’albero diede i suoi frutti. Si era creduto che si poteva impunemente affidare al paganesimo la nostra educazione, la nostra letteratura, i nostri teatri, come se la logica del tempo non deducesse sempre, con inflessibile rigore, le conseguenze pratiche dalle teorie deposte nel cuore delle generazioni nascenti. Oggi, la benda fatale è caduta: la Rivoluzione francese fu la traduzione sanguinosa delle nostre idee di collegio. Essa si spiega, senza dubbio, con motivi estranei all’insegnamento classico. Ma si può mai dubitare che un tal insegnamento non v’abbia aggiunto una quantità d’idee false, di sensi brutali, d’utopie sovversive, di esperimenti fatali? Si leggano i discorsi pronunciati all’Assemblea Legislativa ed alla Convenzione Nazionale: non sono altro se non prosopopee, invocazioni, apostrofi a Fabrizio, a Catone, ai due Bruti, ai Gracchi, a Catilina. – Si sta per commettere un’atrocità? Per glorificarla si trova sempre l’esempio di un Romano. Ciò che l’educazione pose nello spirito passa nelle azioni. È cosa convenuta che Sparta e Roma siano dei modelli: bisogna dunque imitarle o parodiarle. L’uno vuole instituire i giuochi olimpici, l’altro le leggi agrarie ed un terzo il brodetto nero degli schiavi. « Che voleva Robespierre? Innalzare gli animi all’altezza delle virtù repubblicane dei popoli antichi (3 nevoso, anno III). Che mai voleva Saint-Just? Voleva offrirci la felicità di Sparla e di Atene, e che tutti i cittadini portassero sotto i loro panni il coltello di Bruto (23 nevoso, anno III). Che mai voleva i l sanguinario Carrier? Che tutta la gioventù guardasse in faccia oramai le braci ardenti di Scevola, la morte di Cicerone e la spada di Catone suicida. Che mai voleva Rabaut-Saint Étienne? Che secondo i dettami dei Cretesi e degli Spartani, lo Stato s’impadronisse dell’uomo sin dalla culla ed anche prima del nascere (16 dic. 1792). Che mai voleva la Sezione dei Trecento? Che si consacrasse un tempio alla Libertà, e si facesse erigere un altare sul quale bruciasse un fuoco perpetuo, nutrito da giovani Vestali (19 marzo 1794). Che mai voleva la Convenzione tutta quanta? Che le nostre comuni non contenessero più se non dei Bruti e dei Publicoli (Baccalaureato e socialismo, p. 48 e 58) ». – Non solo il paganesimo appare per intero nei discorsi, nelle massime e negli atti privati; esso passa nelle leggi, nei pubblici costumi e nei nomi. Il diritto del più forte, schifosa legge del mondo antico, diventa l’unica regola dei legislatori. Il sangue innocente tinge in rosso il palco e si mischia a torrenti alle onde dei nostri fiumi; la spogliazione è di moda in tutta quanta la Francia. Nelle pubbliche feste ritorna tutta quanta la mitologia: i Genii, il Tempo, la Vecchiezza, le Stagioni, i carri trascinati dai buoi colle corna dorate; sulle piazze, nelle vie ricompaiono le Baccanti scapigliate. La più infame delle Dee pagane risale sugli altari; essa ha i suoi sacerdoti e i suoi adoratori; il Panteon riceve i cittadini giudicati degni dell’apoteosi. Noi abbiamo la repubblica, il popolo-re, dei licei, degli Atenei, dei Pritanei, dei ginnasti, degli ippodromi, dei circhi olimpici, dei comizi, delle municipalità, dei prefetti, dei consoli, un dittatore, un tribunato, un senato, un imperatore, dei decreti, dei Senatus-consulti; l’aquila guida le nostre legioni alla vittoria; ed affinché nulla manchi a questa atroce e burlesca parodia, ci si costringe a porci in capo il berretto frigio. I costumi diventano feroci, il dar del tu a tutti rientra nella lingua; il giuramento d’odio alla monarchia è rinnovato conforme ai Romani; dovunque, i loro Mani sono invocati; Bruto ha imitatori. – I Francesi del secolo XVIII si gloriano di portare i nomi di Catone, di Scevola, di Manlio, di Anacarsi, di Dracone, di Simonide, di Socrate, di Gracco e di Anassagora. In qual modo simili pazzie, per non dire simili atrocità, poterono commettersi con un sì strano buon esito? Carlo Nodier risponderà. Dopo aver dipinto le scene orribili della Rivoluzione e la bruttura delle Assemblee popolari, soggiunge: « Ciò che v’ha di notevole si è che noi non eravamo affatto preparati ad un tal ordine di cose eccezionali, noi altri scolari, che da un’educazione anomala ed anormale eravamo assiduamente preparati sin dall’ infanzia a tutte queste aberrazioni di una politica senza base. Non v’era gran sforzo a fare per passare dai nostri studi di collegio alle discussioni del foro e alla guerra degli schiavi. La nostra ammirazione era già tutta per le istituzioni di Licurgo e pei tirannicidi delle Panatenèe: non ci si era mai parlato d’altro che di questo. « I più vecchi di noi riferivano che, alla vigilia dei nuovi avvenimenti, il premio della composizione di retorica si era disputato tra due perorazioni, alla guisa di Seneca l’oratore, in favore di Bruto l’antico e di Bruto il giovine. Non so chi l’abbia vinta agli occhi dei giudici; se colui che uccise il proprio padre o se colui che uccise i suoi figliuoli: ma il laureato fu incoraggiato dall’Intendente, accarezzato dal primo Presidente ed incoronato dall’Arcivescovo. All’indomani si seppe d’una rivoluzione e se ne meravigliarono, come se non si avesse dovuto sapere ch’essa si era fatta nell’educazione del popolo. « Se la moda di tali pedantesche suasorie si rinnovasse, e se si trattasse di decidere chi, di Voltaire o di Rousseau, abbia maggiormente contribuito all’annientamento delle nostre vecchie dottrine monarchiche e religiose, confesso che sarei passabilmente imbarazzato nella scelta; ma non dissimulerei che Tito Livio e Tacito vi ebbero una buona parie. Cotale testimonianza, la filosofìa del secolo XVIII non può non renderla ai Gesuiti, alla Sorbonna ed all’Università (Rimembranze, t. I, 88) ».

CAPITOLO XXIV

SEGUITO DEL PRECEDENTE

Abbiamo veduto il paganesimo antico riprodotto, tratto per tratto, nell’Europa moderna dalla guerra esterna ed interna quasi continua, da un amore feroce della libertà, da un patriottismo selvaggio, così bene imitato secondo i Greci e i Romani, che non si sa quale divario trovare tra i novelli e gli antichi Bruti, tra la lingua, i disegni, le azioni, ed i costumi degli uni e degli altri. Rendiamo compiuto questo quadro che non si potrebbe abbastanza studiare. Quale altra lezione il paganesimo classico dà alla gioventù? Ignorando la vera nozione del potere, il paganesimo classico le dimostra il dispotismo come l’unica legge della società; e siffatto dispotismo passando a volte dalle mani della moltitudine in quelle di un solo uomo. Tale si è l’idea colla quale da tre secoli in qua vien resa famigliare la gioventù. Il paganesimo classico mostra alla gioventù i l potere sovrano non già come cosa divina, la cui origine non trovasi sulla terra; non già come un deposito divino il cui depositario deve rendere conto a Dio; non già come un carico che richiede il sacrificio continuo del superiore all’inferiore; ma sì come cosa d’origine umana, come un deposito umano il cui depositario deve conto all’uomo solo; non già come un carico, ma come un benefizio che suona gloria, onori, piaceri a colui che lo possiede. In una parola, il paganesimo classico falsifica affatto la nozione del potere politico, il quale, più non essendo se non un mandato umano od una conquista della forza, finisce sempre col dispotismo di un solo uomo o della moltitudine. – Quindi vediamo in tutte le repubbliche classiche assemblee popolari di continuo rinnovate per trasmettere il potere, per determinarne i limiti, per giudicarne i contabili; vediamo tribuni faziosi per equilibrare la loro autorità, ed un senato geloso per sorvegliarne l’esercizio. Poscia rivalità e gelosie perpetue; poscia cospirazioni per togliere il potere, o congiure per assassinare i tiranni; poscia elogi egualmente assoluti agli assassini ed ai tiranni, a Bruto e a Cesare, a Cicerone ed ai Triumviri; poscia finalmente la repubblica sempre palleggiata, che inevitabilmente finisce con cadere in eccessi di licenza sfrenata, e quindi in un’abbietta servilità. Tale si è il nuovo tratto del quadro col quale, da tre secoli in qua, vien resa famigliare la gioventù, avendosi cura di ripeterle, qui come altrove, l’eterno ritornello che il sig. Thiers ridice ancora ai dì nostri, e che, nell’ora stessa in cui io vergo queste linee, risuona in lutti i collegi d’Europa: L’antichità è quanto vi è di bello al mondo. Ma qui eziandio giudichiamo l’albero dai suoi frutti. Quali sono le risultanze politiche di simile educazione? Da una parte, la totale alterazione della vera nozione del potere; d’altra parte, la glorificazione e la pratica di queste teorie sovversive. Alterazione della vera nozione del potere. I secoli cristiani ripetevano con San Paolo che ogni potere viene da Dio. Ora, dite di presente all’Europa, discepola del paganesimo, che ogni potere deriva da Dio, e dipende da Gesù Cristo, Re dei Re, Signore dei signori; combattete il dogma pagano della sovranità del popolo: e vedrete se v’ha una sola nazione che vi capisca, e vedrete quanti saggi vi risponderanno con non altro che con un sorriso di pietà. Leggete i discorsi solenni, i discorsi in certo modo nazionali, discorsi del trono, discorsi degli oratori parlamentari, e guardate se non vi trovate ad ogni pagina il nome della Nazione, il nome del Popolo, il nome della Patria, invocato in tutta Europa come la ragion suprema del diritto e del dovere. Perché mai la ripetizione così frequente di tal nome, sostituito al nome di Dio, se non perché l’autorità ch’esso esprime è onnipossente, sola possente, sola considerata come la sorgente del potere nel mondo politico d’adesso? Glorificazione e pratica delle teorie sovversive del paganesimo. Leggete i giureconsulti, i legisti, i filosofi della moderna Europa, tutti nutriti della bella antichità pagana; che cosa vi troverete? Essi vi raccontano che « la società è un contratto; che per essere legittimo il Governo, esser deve fondato sul libero consenso dei sudditi, che senza di ciò esso non è se non violenza, usurpazione, assassinio (Rousseau , Emilio, t. IV, p. 349; Enciclop., Autorità politica; Sistema della natura, 1.1, c. 9. e 16.); che ogni potere viene dal popolo; che il popolo si è la sola potenza la quale non abbia d’uopo d’aver ragione per legittimare i suoi atti (Rousseau, ib.); che insegnare che i principi tengono il loro potere da Dio è una massima immaginata dal clero, il quale non pone i re al di sopra del popolo, se non per comandare ai re stessi in nome della Divinità; dunque non è altro che una catena di ferro la quale tiene una intera nazione sotto i piedi di un solo uomo ; che il Magistrato supremo altro non è se non il primo fattorino della nazione (Elvezio, Dell’uomo, t.II nota 5 p.596); che nei secoli di barbarie si poté pascere d’ambigue parole gli spiriti traviati da un’epidemia di fanatismo, e tener saldi con vuoti suoni dei greggi che camminavano solo al suono delle trombe; ma quando uno Stato si è incivilito, forse che allora esso cerca nelle tenebre dell’ignoranza e dell’errore le fondamenta dell’autorità legittima? che il popolo è il solo sovrano; che esso ha il diritto di giudicare i re; che il loro mandato viene dalla sua volontà; .quando essi lo violano, il loro mandato è infranto; che l’insurrezione è il più santo dei doveri (Dichiaraz. e discorsi di tutti gli oratori rivoluzionari del 93 e del 1848 inclusivamente.) ». E il popolo insorse da un capo all’altro d’Europa, e giudicò i tiranni, e si trastulla colle corone come un fanciullo coi balocchi; e noi vedemmo in meno di un mezzo secolo cinquantadue troni andare in frantumi, e le sanguinose loro reliquie trascinate nel fango dei trivii dal popolo-sovrano; e v’ebbero canti di trionfo per gli assassini dei re, come già ve ne furono per Scevola, per Bruto, per Macrone e per Stefano; e la società sempre divisa dall’odio, sempre palleggiata tra le fazioni, passa alternativamente dalla tirannide la più dura alla servilità la più vile; i più fieri Bruti del 93 diventano i più schifosi servitori del soldato fortunato che indorò le cuciture dei loro abiti; oggi pure, malgrado le sue superbe pretese alla libertà ed all’eguaglianza, la società si sottometterà senza fiatare al Tiberio che vorrà porle il piede sul collo. Aspettando di obbedire alla sciabola d’un soldato pretoriano, la società obbedisce alla penna di un commesso, come una macchina alla cieca forza che la fa muovere. Ecco ciò che noi siamo da tre secoli in qua, ed ecco ciò che dobbiamo essere. Ritornato al paganesimo colla sua educazione, il mondo dové a forza rientrare nelle condizioni sociali del paganesimo: rivalità, anarchia, dispotismo, servilità, instabilità, rivoluzioni. Riflettete e conchiudete. Rimane a porre in luce un ultimo frutto dell’albero pagano. – « Il vero progresso, dice l’illustre pubblicista spagnolo Donoso Cortes, consiste nel sottoporre l’elemento umano, che corrompe la libertà, all’elemento divino, che la purifica. La società seguì una via diversa riguardando siccome la morte l’impero della fede; e proclamando l’impero della ragione e della volontà dell’uomo, rese assoluto, universale e necessario il male, che era relativo, eccezionale e contingente. Questo periodo di rapida retrogradazione cominciò in Europa colla restaurazione del paganesimo letterario, che successivamente produsse le restaurazioni del paganesimo filosofico, del paganesimo religioso e del paganesimo politico. Oggi il mondo è alla vigilia dell’ultima di queste restaurazioni, la ristaurazione del paganesimo socialista ( Lettera al signor di Montalembert, 4 giugno 1849.) ». – Ah sì! Il socialismo che ci minaccia è un frutto del paganesimo classico. Esso è insegnato dagli autori dei quali s’insegna alle generazioni d’Europa a considerare le parole come oracoli, e le teorie sociali come quanto v’ha al mondo di più perfetto e di più leggiadro. – Il socialismo intacca nelle sue basi la famiglia e la proprietà e tende a realizzare, coll’annientamento della libertà individuale a profìtto dello Stato, il più vasto, il più vergognoso, il più spaventoso dispotismo che mai abbia pesato sul mondo. Ora, il paganesimo che ci si insegna ad ammirare, insegna e pratica il socialismo nella famiglia. « Legislatori di popoli guerrieri, Licurgo e Platone capiscono che la famiglia può indebolire l’abnegazione militare. Noi stessi lo sentiamo, poiché vietiamo il matrimonio ai nostri soldati. Pure bisogna che la popolazione cresca. Come risolvere il problema? Come fecero Platone in teoria e Licurgo in pratica? Colla promiscuità. Platone e Licurgo, ecco i nomi che ci si avvezza a non pronunziare se non con idolatria (Baccalaureato e Socialismo, p. 14.) ». – Roma stessa, degna discepola della Grecia, consacrò il concubinato e il divorzio (3 V. Storia della famiglia, t. I, c. 9 e 10.). V’ha di più: nell’antica famiglia il socialismo assorbe la libertà della donna e del figliuolo a pro del padre, come lo Stato medesimo assorbe a suo pro la libertà del padre. Infatti, Licurgo stabilisce in principio che il figliuolo appartiene non già a suo padre, ma sì allo Stato, e noi vedemmo con qual barbaro rigore codesta legge socialista si eseguisse. Vedemmo eziandio che tali teorie pagane sulla famiglia e sul figliuolo sono diventate la base delle istituzioni dell’Europa moderna col divorzio, colla coscrizione militare e col monopolio dell’insegnamento. Se esse non sono riprodotte alla lettera, ringraziamone il Cristianesimo, il cui segreto influsso ci vieta d’essere sì cattivi come i nostri princìpi. – In quanto alla proprietà, io sfido a trovarne in tutta quanta l’antichità una definizione passabile (L’antichità era incapace di darne una. Allora l’uomo non essendo seriamente responsabile innanzi a Dio, non poteva essere realmente inviolabile innanzi agli uomini. « Infatti, l’uomo non è inviolabile se non perché egli ha una responsabilità assoluta innanzi a Dio. La proprietà, frutto dell’uomo, non è inviolabile se non della inviolabilità dell’uomo. Dacché egli non è più responsabile innanzi a Dio, perde la sua inviolabilità sulla terra: la sua proprietà non è più inviolabile di quella del lupo. La difenda, se può; ma la proprietà non è più legittima.). – La vera base della proprietà è la volontà del Proprietario universale di ogni cosa: è codesta parola di Dio: Tu non ruberai: non furtum facies. L’antichità o aveva dimenticato o aveva sprezzato questa ed invece di fondare il diritto di possedere sulla autorità di Dio, l’aveva fondato sull’autorità dell’uomo, cioè sull’autorità della legge. Ma se la legge umana crea la proprietà, la legge umana la può distruggere; è questo il principio del socialismo moderno. Quanto alla supremazia assoluta dello Stato e quanto all’assorbimento della libertà individuale nella volontà di un capo: che questo capo si chiami l’areopago, gli arconti, il Senato, Augusto o Tiberio, questo principio fu praticato in tutta quanta l’antichità classica con un rigore che non sarà sorpassato se non dal socialismo che ci si prepara. Il figliuolo vi era schiavo, la donna vi era schiava, i tre quarti del genere umano erano schiavi. Quest’ordine di cose non era se non l’applicazione degli insegnamenti della filosofia. Il suo più celebre rappresentante, Platone, sciogliendo successivamente tutti gli elementi dal multiplo, giunge all’unità assoluta, cima della sua dialettica. Circoscritta nello spazio delle idee astratte, codesta teoria non è più pericolosa di un’altra; ma applicata al governo delle cose umane, contiene il vizio irrimediabile di annichilare l’individuo sacrificandolo tutto quanto al complesso. Platone, sempre coerente a se stesso, e collo sguardo rivolto alla sua unità assoluta, proclamò infatti nella sua repubblica la comunanza dei beni, la comunanza delle donne, la direzione del cittadino per mezzo dello Stato, dalla culla sino alla tomba. Tali sono le istituzioni che ci si insegna ad ammirare. E voi volete che non si trovino uomini disiderosi di diventare tanti Minossi, tanti Licurghi, tanti Soloni, tanti Numa, tanti Platoni, tanti fabbricatori di costituzioni e di repubbliche sullo stampo delle repubbliche greche e romana! – « Voi esagerate, mi si dirà; non è guari possibile che la nostra gioventù studiosa attinga alla bella antichità opinioni e sensi sì deplorabili. E che mai volete ch’essa vi attinga se non quello che vi si trova? Fate uno sforzo di memoria e rammentatevi con quale disposizione d’animo siete entrato nel mondo Per me, quand’io vedo la società presente gettare i giovani, a decine di migliaia, nello stampo dei Bruti e dei Gracchi, per lanciarli poscia, incapaci d’ogni utile lavoro, nella stampa e nella via, mi stupisco che la società resista a tale prova. Poiché l’insegnamento classico non ha solo l’imprudenza di tuffarci nella vita greca-romana; esso vi ci tuffa avvezzandoci ad appassionarci per quella, a considerarla quale il bello ideale dell’umanità, tipo sublime, troppo alto collocato per le anime moderne, ma che noi dobbiamo sforzarci d’imitare senza mai pretendere di raggiungerlo (Baccalaureato e Socialismo, p. 20.). L’insegnamento classico ha ragione: noi non raggiungeremo mai il sistema sociale del paganesimo. O noi cadremo più in basso, o rimarremo molto al di sopra. « La rivoluzione cristiana è un fatto compiuto, del quale si devono subire le conseguenze. Voi fareste rivivere tutti i geni politici, militari, poetici, filosofici, artistici dell’antico mondo, ed essi sarebbero impotenti a ricostruire le società di cui furono la gloria. Uscite un po’ dalla cerchia fanciullesca delle vostre idee di collegio per tener conto delle realtà. Non vedete voi che il banchetto sociale, al quale l’Europa d’altra volta ammetteva appena dieci milioni di padroni, serviti da duecento milioni di schiavi, è molto troppo stretto pei duecento cinquanta milioni di padroni, di cui non un solo non esiterebbe a sfoderare la spada contro chi gli dicesse: sii tu il mio schiavo? – « Che un tale spirito di fratellanza, di eguaglianza e di libertà, il quale agita i popoli cristiani sia cosa lamentevole per gli ammiratori delle società antiche, sta bene; ma pure è un fatto vivo. – « Ora, ecco una delle conseguenze di questo fatto: lo spazio che poteva bastare alla vita di dieci milioni di cittadini formati dai legislatori della Grecia e del Lazio, sarebbe insufficiente ad un numero eguale d’uomini educati dall’Evangelio: come dunque basterebbe a duecento cinquanta milioni di cristiani? « Noi abbiamo popolazioni venti volte più numerose e senza paragone più esaltate nelle loro idee e nelle loro pretese che non le popolazioni libere dell’antichità. Volere che queste masse di giganti si muovano in buon ordine o rimangano immobili nella sala di equitazione in cui presero le loro mosse ed in cui finirono con rimanere soffocati i figliuoli di Cecrope, di Licurgo, di Romolo e di Numa , si è un volere l’impossibile, si è un originare disastri. – « Però, tale fu lo scopo dei nostri moderni sistemi di educazione, se tuttavia è permesso di chiamare sistemi l’impasto sragionato dei più strani elementi (il sig Martinet, Della educazione dell’uomo) ».

CAPITOLO XXV

SEGUITO DEL PRECEDENTE

Continuiamo a spiegare il fatto particolare che in questo momento ci occupa, il fatto che sulla soglia dell’avvenire si erge come un gigante innanzi al mondo atterrito: il comunismo ed il socialismo. Come volete voi che la gioventù studiosa, non ne attinga i principi nella nostra educazione pagana, giacché vi si trova tutto quanto, e mentre gli uomini i più segnalati non seppero schermirsene? Lo dico a malincuore e scusandone le intenzioni: « La lunga frequentazione degli antichi non fece forse un comunista di Fénélon, di questo uomo che l’Europa moderna considera a ragione quale il più bel tipo della perfezione morale? Leggete il suo Telemaco, questo libro che si ha fretta di porre in mano alla gioventù; voi vi vedrete Fénélon toglier a prestito i lineamenti della Sapienza medesima per istruire i legislatori. E su qual disegno organizza egli la sua società-modello? Da un lato, il legislatore pensa, inventa, opera; dall’altro, la società, impassibile, inerte, lascia fare. – Il motore morale, il principio d’azione è in tale guisa strappato a tutti gli uomini per essere l’attributo di un solo. Precursore dei nostri moderni più ardili organizzatori sociali, Fénélon decide del cibo, della dimora, tutti i Salentini. Egli dice ciò che loro sarà permesso di bere e di mangiare, su qual disegno le loro case dovranno essere fabbricate, quante camere conterranno, e come saranno addobbate. « Mentore, egli dice, stabilì magistrati ai quali i mercanti rendevano conto delle sostanze loro, dei loro lucri, delle loro spese e delle loro imprese… D’altra parte la libertà del commercio era intera… Mentore regolò gli abiti, il cibo, le suppellettili, la grandezza e l’addobbo delle case per tutte le varie condizioni.«Regolate le condizioni della nascita, diceva al re …. Le persone del primo grado, dopo voi, saran vestite di bianco…. quelle del secondo grado, d’azzurro,… le terze, di verde…. le quarte, d’un giallo roseo…. le quinte, d’un rosso pallido o roseo…. le seste, d’un grigio di lino …. e le settime, che saranno le ultime del popolo, d’un colore misto di giallo e di bianco. – Ecco gli abiti di queste varie condizioni per gli uomini liberi. Tutti gli schiavi saranno vestiti di grigiobruno; non si permetterà mai alcun cambiamento, né per la sorta delle stoffe, né per la forma degli abiti. Egli regola parimenti il cibo dei cittadini e degli schiavi; dà modelli di un’architettura semplice e graziosa. – Volle che ogni casa, alquanto considerevole, avesse una sala ed un portico, con camerette per tutte le persone libere ». Non si ravvisa qui forse una fantasia riscaldata dalla lettura di Platone e dall’esempio di Licurgo, divertendosi a fare esperimenti su vili uomini come su vile materia? Dove si troverà descritta in termini più seducenti l’onnipotenza dello Stato, il suo diritto di sistemazione universale, la sua personalità unica, sognata dagli attuali nostri socialisti? Non vi è forse ragione di chiedere a se stessi se ciò che si è letto è una pagina di Telemaco od un capitolo dell’Icaria del signor Cabet? « Vi è un altro uomo, quasi simile a Fénélon per il sapere e per il cuore, il quale s’occupò di educazione più che non Fénélon: egli è Rollin. Ebbene! A qual grado mai d’infermità intellettuale e morale la lunga frequentazione dell’antichità non aveva ridotto il buon Rollin Non si possono leggere i suoi libri senza sentirsi presi da tristezza e da pietà. Non si sa s’egli sia cristiano o pagano, tanto si mostra imparziale tra Dio e gli dei. I miracoli della Bibbia e le leggende dei tempi eroici trovano in lui la medesima credulità. Sul suo placido volto vedesi sempre errare l’ombra delle passioni guerriere; egli non parla che di giavellotti, di spade e di catapulte; per lui è uno dei problemi sociali i più importanti il sapere se la falange macedone valesse meglio che non la legione romana. Egli esalta i Romani, perché non si applicarono se non alle scienze che hanno per oggetto la dominazione, l’eloquenza, la politica, la guerra. Tutto il suo incenso è per Marte e per Bellona: a gran pena ne brucia alcun granello al Cristo…. L’intervento del legislatore in tutto sembra a Rollin così indispensabile, ch’egli si allegra coi Greci che un uomo per nome Pelasgo sia venuto ad insegnar loro a mangiare ghiande. Prima di Pelasgo, dice, i Greci si pascevano d’erba come i bruti (Baccalaur. e Social., p. 28.) ». Dopo qualche riserva per le leggi di Licurgo, Rollin ammette senza difficoltà il principio comunista di questo legislatore, cioè: che la legge crea la proprietà. « Il ladrocinio, dice, era permesso in Isparta, ed era con severità punito fra gli Sciti. Il motivo di simigliante differenza è sensibile; si è che la legge, la quale sola decide della proprietà e dell’uso dei beni, nulla fra gli Sciti, aveva concesso ad un particolare sulla possessione di un altro, e che la legge, fra gli Spartani, aveva fatto tutto l’opposto ». Se la legge è la ragione d’essere della proprietà, perché mai, domanda Proudhon, non sarebbe essa pure la ragione d’essere del furto? Che rispondere a siffatta domanda? – Dopo Rollin viene Montesquieu, ogni frase del quale ebbe per tanto tempo il privilegio di fare autorità, ed i cui scritti esercitarono sullo spirito della società un decisivo influsso. Ora Montesquieu, degno discepolo del paganesimo, non cessa d’ammirare e di proporre all’ammirazione dei suoi lettori le istituzioni dell’antichità le più comuniste e le più barbare. « Gli antichi Greci, dice, penetrati della necessità che i popoli viventi sotto un governo popolare fossero educati alla virtù, fecero, per ispirarla,istituzioni singolari…. Le leggi di Creta erano l’originale di quelle di Sparta, e quelle di Platone ne erano la correzione. Prego che si ponga un po’ di attenzione all’estensione di genio che era d’uopo a quei legislatori per vedere che, urlando lutti gli usi ricevuti, confondendo tutte le virtù, mostrerebbero all’universo la loro saggezza. Licurgo, mescolando il furto collo spirito di giustizia, la schiavitù la più dura colla libertà estrema, i sensi i più atroci colla più grande moderazione, diede stabilità alla città sua. Ei parve toglierle tutte le fortune, le arti, il commercio, il danaro, le mura: vi si ha dell’ambizione senza speranza di stare meglio; vi si hanno i sensi naturali, e e non vi si è né figliuolo, né marito, né padre. Per queste strade Sparta è condotta alla grandezza ed alla gloria; ma con tanta infallibilità nelle sue istituzioni, che nulla si otteneva contro essa guadagnando battaglie, se non si giungeva a toglierle la sua polizia (Spirito dello Leggi, lib. i v , e. 8. ) ». Più lungi, esaltando lo spirito d’ambizione che, ad esempio dei Greci e dei Romani, spinge oggi la gioventù d’Europa intera al dispregio delle professioni umili, ma utili, e produce la sclassificazione universale, così si esprime: « Bisogna riporsi in capo che nelle città greche, in quelle specialmente che avevano per principale oggetto la guerra, tutti i lavori e tutte le professioni che potevano condurre a guadagnar denaro erano considerale come indegne d’uomo libero. « La maggior parte delle arti, dice Senofonte, corrompono i l corpo di coloro che le esercitano; esse obbligano a sedersi all’ombra o presso al fuoco: non si ha tempo né pei proprii amici, né per la repubblica ». Non fu se non nella corruzione di alcune democrazie che gli artigiani giunsero ad essere cittadini. Aristotele ce lo narra, e sostiene che una buona repubblica non darà mai ad essi il diritto di città. Stupitevi se oggi tutti vogliono essere cittadini, se i libri dei filosofi ed i discorsi dei rivoluzionari sono pieni di declamazioni contro le arti, e se il popolo-re ne infranse sì stupidamente i capi d’opera! – « L’agricoltura, prosiegue Montesquieu, era eziandio una professione servile, ed ordinariamente era esercitata da qualche piopolo vinto: dagli Iloti fra i Lacedemoni, dai Perièci fra i Cretesi, dai Ponesti fra i Tessali, e da altri popoli schiavi in altre repubbliche. Finalmente tutto il commercio era infame fra i Greci. Avrebbe bisognato che un cittadino avesse reso servizi ad uno schiavo, ad un locatario, ad uno straniero: questo pensiero era avverso allo spirito della libertà greca. Perciò Platone vuole, nelle sue leggi, che si punisca un cittadino che commerci. Si era adunque molto imbarazzati nelle repubbliche greche: non si voleva che i cittadini lavorassero nel commercio, nell’agricoltura, né nelle arti; nemmeno si voleva che fossero oziosi. Essi rinvenivano una occupazione negli esercizi che dipendono dalla ginnastica ed in quelli che avevano relazione colla guerra: l’istituzione non ne dava altre ad essi (Spirito delle Leggi, lib, v.) ». Ma ecco cosa più direttamente comunista: « Non basta, soggiunge il degno rampollo della bella antichità pagana, che in una buona democrazia le parti di terreno siano eguali; bisogna che siano piccole, come fra i Romani…. Come l’eguaglianza delle fortune mantiene la frugalità, così la frugalità mantiene l’eguaglianza delle fortune. Queste cose, sebbene diverse, sono tali che non possono stare l’una senza dell’altra ». – Più lungi, egli trova meravigliosa un’istituzione che farà sorridere i signori Cabet e Consideraut. « I Sanniti, dice, avevano un’usanza la quale, in una repubblichetta, ed in ispecie nella condizione in cui versava la loro, produr doveva ammirabili effetti. Si che chi era dichiarato il migliore di tutti prendeva per moglie la fanciulla che egli voleva; quegli che dopo lui otteneva i suffragi sceglieva eziandio, e così di seguito…. Sarebbe malagevole immaginare una ricompensa più nobile, più grande, meno a carico di un piccolo Stato, più capace di operare su ambo i sessi. I Sanniti discendevano dagli Spartani, e Platone, le cui istituzioni non sono se non il perfezionamento delle leggi di Licurgo, promulgò a un dipresso una simile legge (Spirito delle Leggi, lib. VIII, c. 16.) ». Montesquieu avrebbe dovuto dirci quali erano gli effetti meravigliosi di tali sponsali, imposti dalla legge. Quanto io ne so (e questo non è per nulla meraviglioso) si è che la libertà di una delle parti non era menomamente contata. Quando dunque gli apostoli della libertà saranno essi d’accordo con loro medesimi? – A misura che il tempo procede, i frutti dell’albero pagano giungono alla loro maturità. Dopo Montesquieu viene Rousseau. Più d’ogni altro, il suo spirito ispirò la Rivoluzione francese. « Le sue opere, dice Luigi Blanc, erano sul tavolo del Comitato di Salute Pubblica. I suoi paradossi, che il suo secolo prese per audacie letterarie, dovevano bentosto risuonare nelle assemblee della nazione sotto la forma di verità dogmatiche e taglienti siccome fa spada. Il suo stile ricordava il linguaggio veemente e patetico di un figliuolo di Cornelia. Pagano pel linguaggio, Rousseau lo era anche per i pensieri; egli stesso dice che la lettura di Plutarco lo fece quale egli è. Poi, rendendo omaggio a Sparta, sua madre nutrice, grida: « Dimenticherò io che fu in seno alla Grecia che si vide innalzare quella città così celebre per la sua fortunata ignoranza, come per la sapienza delle sue leggi? quella repubblica di semidei, anziché d’uomini, talmente le loro virtù parevano superiori alla umanità? O Sparta! eterno obbrobrio di una vana dottrina! Mentre ì vizi, guidati dalle belle arti, si introducevano in Atene; mentre un tiranno vi adunava con tanta cura le opere del principe dei poeti, tu cacciavi dalle tue mura le arti e gli artisti, le scienze e i dotti (Discorso sulla ineguaglianza delle condizioni.)! »Dopo d’avere, con tali declamazioni, empiuto d’idee spartane lo spirito pubblico e preparato l’atroce vandalismo della Rivoluzione francese, egli prosegue ad inspirare se stesso alla bella antichità per scalzare le basi tutte della società: « Io mi fingerò, dice, nel liceo d’Atene, ripetendo le lezioni dei miei maestri, avendo per giudici i Platoni ed i Senocrati, e l’uman genere per uditore. Sinché gli uomini stettero paghi alle loro rustiche capanne, sinché stettero paghi a cucire le loro vesti di pelli con ariste, ad abbigliarsi di penne e di conchiglie, a dipingersi il corpo di vari colori ;…. sinché non si occuparono se non delle opere che un solo poteva fare, essi vissero liberi, sani e felici. Dal punto che un uomo ebbe d’uopo dell’aiuto di un altro uomo; dal punto che fu visto esser vantaggioso ad un solo l’avere provvisioni per due, l’eguaglianza disparve, la proprietà s’introdusse, il lavoro diventò necessario. La metallurgia e l’agricoltura furono le due arti, la cui scoperta produsse questo grande rivolgimento. Pel poeta, si è l’oro e l’argento; pel filosofo, si è il ferro e il grano che incivilirono gli uomini e perdettero il genere umano (Discorso sulla ineguaglianza delle condizioni) ». Uscire dallo stato sociale per rientrare al più presto nello stato di natura; sconoscere tutte le relazioni di superiorità, di rispetto, d’affetto, di proprietà, che il patto sociale, prodotto della corruzione, stabilì fra gli uomini; proclamare il diritto inalienabile ed illimitato d’ogni individuo a quanto lo tenta ed a quanto egli può raggiungere; tali sono, secondo Rousseau, i doveri naturali dell’uomo. Sei fosse morto alcuni anni più tardi, avrebbe visto con i suoi occhi questi doveri letteralmente adempiti dai suoi discepoli; e Licurgo, Platone e Senocrate, suoi degni maestri, commuoversi d’aver trovato un interprete sì fedelmente ascoltato.Infatti, Rousseau aveva detto : « La proprietà è di convenzione e d’instituzione umana, mentre la libertà è un dono della natura ». E Mirabeau prosiegue: « La proprietà è una creazione sociale. Le leggi non proteggono, non mantengono, solamente la proprietà, ma la fanno nascere ». Nel suo famoso discorso sulla soppressione delle decime, nel quale il sig. Thiers, il difensore della proprietà, trova tratti decisivi di ragione e d’ironia, il focoso oratore così si esprime: « La decima è il sussidio col quale la nazione salaria gli ufficiali di morale e d’insegnamento ». La sconvenienza di queste espressioni fece nascere mormorii alla destra dell’Assemblea, ed allora l’eloquente marchese esclamò: « Tempo sarebbe che si abiurassero i pregiudizii d’ignoranza orgogliosa che fan disprezzare le parole salario e salariati. Io non conosco se non tre modi di esistere nella società: bisogna esservi mendicante, ladro o salariato. Il proprietario non è egli stesso se non il primo dei salariati. Ciò che noi chiamiamo volgarmente la proprietà non è altro se non il prezzo che gli paga la società per le distribuzioni ch’egli è incaricato di fare agli altri individui colle sue spese: i proprietarii sono gli agenti, gli economi del corpo sociale ». – Robespierre soggiunge : « Definendo la libertà, questo primo bisogno dell’uomo, il più sacro dei diritti che egli ha dalla natura, noi abbiamo detto a ragione ch’essa ha per limite il diritto altrui. Perché non avete voi applicato questo principio alla proprietà, che è un’istituzione sociale, come se le leggi di natura fossero meno inviolabili delle convenzioni degli uomini?… La proprietà è il diritto che ciascun cittadino ha di godere e di disporre dei beni che a lui sono garantiti dalla legge ». Da questo segue che il legislatore può mettere all’esercizio del diritto di proprietà, poiché egli lo crea, le condizioni che a lui piacciono. Così Robespierre si affretta a dedurre dalla sua definizione il diritto al lavoro, il diritto all’assistenza, l’imposta progressiva. – « La società, ei dice, è obbligata a provvedere alla sussistenza di lutti i suoi membri, sia procurando ad essi lavoro, sia assicurando mezzi di esistenza a coloro, che sono fuori stato di lavorare. I soccorsi necessari all’indigenza sono un debito del ricco verso il povero. Appartiene alla legge il determinare il modo in cui questo debito debba essere soddisfatto. I cittadini, il cui reddito non eccede quanto è necessario alla loro sussistenza, sono dispensati dal contribuire alle pubbliche spese. Gli altri le devono sopportare progressivamente, secondo l’estensione della loro fortuna». Ancor più esplicito, Bruto Saint-Just proclama il lavoro una infamia, ed il comunismo l’unico mezzo di dare dei costumi ai Francesi: « Un telaio, egli dice con Licurgo, sta male al vero cittadino. La mano dell’uomo non è fatta se non per la terra e per le armi. Il giorno in cui io mi fossi convinto ch’è impossibile dare ai Francesi costumi dolci, sensitivi ed inesorabili verso la tirannia e l’ingiustizia, io mi pugnalerei. Sevi fossero costumi, tutto andrebbe bene; sono necessarie delle istituzioni per purgarli. Per riformare i costumi, bisogna cominciare dall’appagare il bisogno e l’interesse. Bisogna dare qualche terreno a tutti. 1 fanciulli siano vestiti di tela in ogni stagione. Dormano essi su pagliericci e dormano otto ore. Siano nutriti in comune e non vivano se non di radici, di frutta, di legumi, di pane e d’acqua: non possano mangiar carne se non dopo i sedici anni. Gli uomini di venticinque anni saranno tenuti di dichiarare ogni anno nel tempio i nomi dei loro amici. Colui che abbandona il suo amico senza sufficiente motivo sarà esiliato ». – Terminiamo queste citazioni che sarebbe agevole il moltiplicare. Mi si permetta soltanto di coronarle coll’aneddoto seguente. Allorché si trattò di dare alla Francia la costituzione dell’anno III, uno dei membri della Commissione incaricata di preparare il lavoro, Hérault de Séchelles, non trovò cosa migliore quanto il prendere a modello le leggi di Minosse. In conseguenza s’affrettò a scrivere ad uno dei suoi amici (Barthélemy), l’autore di Anacarsi, conservatore della Biblioteca Nazionale, pregandolo di mandargli senza indugio il codice del legislatore cretese! Provatevi adesso di negare la potenza delle rimembranze di collegio e l’influsso sociale della bella antichità! A bella posta io mi sono a lungo fermato sulla filiazione del socialismo. Da una parte, esso costituisce il più formidabile nemico della presente Europa; dall’altra, assalendo addirittura l’interesse materiale, esso é tale da far capire meglio di ogni altra considerazione il pericolo del paganesimo classico, di cui è l’irrecusabile progenitura. « Tale è dunque, in due parole, il cammino impresso alla Rivoluzione dal convenzionalismo greco-latino. Platone segnò l’ideale. – Sacerdoti e laici, nei secoli 16°, 17° e 18° si pongono a celebrare questa maraviglia: l’ora dell’operare giunge: Mirabeau discende il primo gradino, Robespierre il secondo, Saint-Just il terzo, Antonelle il quarto, e Babeuf, più logico di tutti i suoi predecessori, s’innalza da ultimo al comunismo assoluto, al platonicisino puro. Dovrei qui citare i suoi scritti; mi limiterò a dire, poiché questa è cosa caratteristica, ch’egli li firmava Caio Gracco ». Per attenuare l’influenza del paganesimo classico, si dice: « Le classi inferiori non conoscono nè Licurgo, nè Platone, e tuttavia esse sono oggidì socialiste ». Lascerò al nostro grande ammiratore dei pagani il sig. Thiers, l’onore di rispondere: « L’insegnamento secondario, egli dice, insegna ai giovanetti delle classi colte le lingue antiche… Né sono già soltanto parole che si insegnano ai giovani, insegnando loro il greco e il latino, ma sì nobili e sublimi cose (La spogliazione, la guerra, la schiavitù, il divorzio, il materialismo e il comunismo.), la storia dell’umanità sotto immagini semplici, grandi, incancellabili… L’istruzione secondaria forma ciò che si dice le classi colte di una nazione. Ora, se le classi colte non sono la nazione tutta quanta, esse la caratterizzano. I loro vizi, le loro qualità, le loro inclinazioni buone e cattive sono in breve quelle di tutta la nazione, e formano il popolo stesso col contagio delle loro idee e del loro sentire (Benissimo). L’antichità, osiamo dirlo ad un secolo orgoglioso di sé, l’antichità è ciò che v’ha di più leggiadro al mondo. Lasciamo, o signori, lasciamo i giovinetti nell’antichità come in un asilo calmo, pacifico e sano, destinato a conservarli freschi e puri ». – Si, o signori, continuate a mandare i giovinetti nella leggiadra antichità, in cui la schiavitù è la base del sistema sociale; in cui l’odio reciproco delle classi sociali è il senso universale; in cui il divorzio è consacrato dalla legge; in cui il socialismo è insegnato dalla filosofia, vantato dall’eloquenza, cantato dalla poesia: continuate a dar loro per modello la calma dell’antica Roma, la pace dell’antica Roma, la santità dell’antica Roma, e fate conto che ritornino a voi freschi e puri.

ABITUDINE DEL PECCATO

 

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol I, terza ed. SEI Torino 1930]

1. Come si cada nell’abitudine del peccato. — 2. Conseguenze funeste dell’abitudine cattiva. — 3. Quanto sia difficile lasciare l’abitudine del peccato. — 4. Come si conosce se il peccato sia d’abitudine. — 5. Come si lascia l’abitudine.

Come si cada nell’abitudine del peccato. — Gesù, andato alla casa di Marta e di Maria, trovò che Lazzaro, loro fratello, giaceva da quattro giorni nel sepolcro. (Ioann. XI, 17). Per cinque gradi Lazzaro scende nella tomba a putrefarsi: 1° per la languidezza: Erat languens…; 2° per la malattia: Infirmabatur…; 3° per il sonno: Dormit…; 4° per la morte: Mortuus est….; 5° per la dissoluzione nello stato di cadavere: Iam fœtet…; e così ancora per questi gradi si rovina nell’abitudine del peccato. Lazzaro che giace da quattro giorni nella tomba offre l’immagine del peccatore che è nell’abitudine di peccare mortalmente. Il primo giorno è per lui, quando cade pel consenso della sua volontà… Il secondo, quando consuma col fatto il peccato… Il terzo, quando ricade e contrae la consuetudine di ricadere… Il quarto, quando s’indurisce e si forma del suo peccato e delle sue ricadute una seconda natura, secondo quelle parole di S. Agostino: «La passione ha origine dalla volontà perversa; il servire alla passione diventa abitudine; non resistere all’abitudine trae alla necessità ». Il medesimo santo Dottore dice ancora: A quel modo che per tre gradi, cioè la suggestione, la dilettazione ed il consenso, si giunge al peccato, così tre differenti stadii si trovano nel peccato: esso è nel cuore, nell’azione e nell’abitudine. Queste sono tre morti: la prima occorre, diremo così, nel recinto della, casa, ed è quando s’apre il varco nel cuore alla passione. La seconda avviene come fuori di casa, ed è quando si consente all’azione. La terza ha luogo quando, per la forza delle abitudini cattive che schiacciano a mo’ di macigno, l’anima, vien quasi gettata e chiusa in un sepolcro. Gesù Cristo ha risuscitato queste tre specie di morti; ma osservate la diversità di modi che, secondo la sua. stessa, parola, egli adopera, per richiamarli a vita. Al primo morto e’ dice: « Lèvati su, fanciulla»  (Marc. V, 41). Al secondo aggiunge: «Lèvati, chè io te lo intimo» (Luc. VII, 14). Per risuscitare il terzo si turbò, pianse, fremette due volte interiormente, si portò al sepolcro, e qui ad alfa voce gridò: « Lazzaro, vieni fuori » (Ioann. XI, 43). Così nel lib. I, De Serm. Domini in Monte al c. XXIII : e poi di nuovo nel Tratt. XLIV su S. Giovanni: « V’ha primieramente il solletico della dilettazione nel cuore…, poi il consenso…, quindi l’azione…, finalmente la consuetudine » — Est 1° titillatio delectationis in corde; 2° consensus; 3° factum; 4° consuetudo. « Essi erano lutti legati con una medesima catena di tenebre » dice la Sapienza (XVII, 17) — Una enim catena tenebrarum omnes erant colligati. — Or la, catena dei delitti si va formando con l’abitudine; perché la suggestione del Demonio genera il diletto nel pensiero; il diletto provoca il consenso; il consenso porta al fatto; un fatto spinge ad un altro, ed ecco costituirsi la consuetudine. Questa trae la volontà a compiacervisi, e di qui poi l’abbandono di Dio, l’induramento e la riprovazione. Gli atti abituali sono anelli che s’intrecciano gli uni agli altri; come dice benissimo la Glossa su quelle parole di Giobbe: «Io ho stabilito un patto, con i miei occhi» (XXXI, I), il pensiero tien dietro allo sguardo; la dilettazione sorge dal pensiero; il consenso nasce dalla dilettazione; l’azione segue il consenso; l’abitudine viene dall’azione; la necessità s’ingenera dall’abitudine; la disperazione è frutto della necessità; la. dannazione, della disperazione. « La passione, scrive S. Gregorio ne’ Morali, s’accende come fuoco, e chi tarda a spegnerlo, si vede ben tosto andare come stoppa in fiamme ». L’imprudenza e la follia degl’insensati consiste nel non comprendere, nel non vedere la necessità di ben regolarsi; traviano dal retto sentiero, si smarriscono tra viottoli oscuri e tortuosi e gli errori delle seducenti passioni, a cui sono spinti dai sensi degradati e dalla concupiscenza, li trascinano da questa in quella, finché procedendo sempre peggio d’errore in errore si chiudono finalmente in un labirinto di consuetudini, e da questo precipitano all’Inferno, supremo ed irreparabile errore… Badate a voi! grida Bossuet (Vol. II, Profession religieuse), che l’uomo vecchio il quale è in noi e contro cui dobbiamo lottare tutta la vita, non dà tregua e continuamente lavora a soppiantare l’uomo nuovo: il suo appetito indocile e impaziente, per quanto frenato dalla disciplina, solletica, corre e si precipita, qual prigioniero smaniante di libertà, verso ogni uscita; tenta per tutti i sensi di avventarsi su gli oggetti che gli piacciono. Modesto da principio, finge d’appagarsi di poco, non è che un desiderio imperfetto, una curiosità, un nonnulla; ma provatevi a soddisfar quel primo desiderio, e voi lo vedrete ben tosto attirarne parecchi altri, sino a tanto che l’anima tutta ne resta conquisa. Come un sasso gettato in uno stagno non tocca che in un punto le acque, eppure una volta ricevuto il moto questo si comunica dalle più vicine alle più lontane, cosicché in pochi istanti tutta la massa è commossa, così le passioni dell’anima nostra si svegliano a poco a poco le une le altre per via d’un movimento che si concatena…

Conseguenze funeste dell’abitudine cattiva. — Se non si resiste alla consuetudine, questa diventa necessità, ha detto S. Agostino ed a proposito di Lazzaro che giaceva nel sepolcro chiuso da un macigno (Ioann. XI, 38), osserva che quell’enorme pietra figura la forza d’una perversa e dura abitudine, la quale schiaccia l’anima e non le permette nè di risorgere, nè di respirare. Se si rimane in quest’abitudine, si accumulano colpe su colpe e si finisce coll’essere esclusi per sempre dalla clemenza di Dio (Psalm. LXVIII, 28). Il nome di costoro è scancellato dal libro dei viventi, ed essi non sono nel numero dei giusti (Psalm. LXVIII, 29). Chi si trova, in questa lagrimevole condizione, non si stanca nella sua iniquità, dice l’Ecclesiastico, e non sarà sazio finché non abbia dimagrita e consunta l’anima sua (Eccli., XIV, 9). Cadere nel peccato è fragilità umana, scrive S. Bernardo, perseverarvi è malizia diabolica: e Seneca diceva: « La prima e più grave pena per i peccatori sta nell’aver peccato; né v’ha delitto che resti impunito, perché è già castigo il cadere di colpa in colpa ». È proprio del peccato, come nota Bossuet (Vol. I, Péché d’habitude), imprimere nell’anima una macchia la quale va sfigurando in lei ogni bellezza, e ne scancella i tratti dell’immagine del Creatore ch’egli stesso v’impresse. Ma un peccato ripetuto, oltre questa macchia, produce ancora nell’anima una tendenza, una forte inclinazione al male, perché insinuandosi in fondo all’anima, ne inceppa tutte le buone inclinazioni, e col proprio peso la trascina agli oggetti terreni. A dinotare la disgrazia del peccatore abituato, la Scrittura si serve di tre efficaci paragoni: «Egli ha vestito la maledizione come un abito; ed essa, s’è infiltrata come acqua nelle sue viscere, e come olio ha penetrato le sue midolle» (Psalm. CVIII, 17). Sì, la maledizione copre come una veste il peccatore consuetudinario, perché l’avviluppa tutt’intorno, ne signoreggia le parole e le azioni tutte: entra come l’acqua nel suo interiore e vi corrompe i pensieri; penetra qual olio nelle sue ossa che sono il cuore, l’anima, lo spirito. La veste simboleggia la tirannia dell’abito; l’acqua l’impetuosità; l’olio una macchia che si spande dappertutto e difficilissimamente si toglie. Terribile malattia è questa dunque dell’abitudine di peccare! Dio non abbandona mai nessuno, se non è abbandonato nel primo, dice S. Agostino (In Psalm. VII). Ora i peccatori, e principalmente gli abituati, continua il medesimo Dottore, lasciano per i primi Iddio e poi Egli lascia loro: Adamo fu giudicato con questa norma: egli abbandonò, poi fu abbandonato e così avviene degli altri peccatori. In poche parole S. Agostino spiega come i peccati siano giusta punizione gli uni degli altri, ed in qual baratro si precipiti col ripetersi delle colpe abituali: «Il peccatore abbandonato da Dio cede e consente ai desideri perversi: e allora egli è vinto, preso, legato, e tenuto schiavo ». L’uomo s’abbandona all’abito di peccare, Dio ve lo lascia: due disgrazie spaventose!

Quanto sta difficile lasciare l’abitudine del peccato. – Affinché il peccatore abituato esca dal suo stato, bisogna che Dio lo svegli con voce grande e potente, come fu quella con cui Gesù Cristo chiamò Lazzaro dal sepolcro (Ioann. XI. 43). perché i consuetudinari sono sordi spiritualmente. Ma Iddio non è punto tenuto a tale miracolo: l’abitudine poi oppone un ostacolo al miracolo della risurrezione spirituale. Di Lazzaro sta scritto che aveva mani e piedi legati e la faccia avviluppata in un sudario (Ioann. XI, 44) : e quest’è la lagrimevole condizione del peccatore abituato… or, come uscire da questa tomba?… Udite Seneca che discorrendo della concupiscenza, la quale trascina all’abitudine del male chi l’asseconda, dice: «Voi non giungerete mai a ottenere che s’acqueti, se le darete libertà d’incominciare; torna assai più facile tenerla affatto lontana, che scacciarla quando sia entrata ». « Uccidi il nemico mentre è debole », grida S. Girolamo: e non trascurare le piccole cose, soggiunge S. Gregorio, perché, insensibilmente sedotto, commetterai le più gravi. Allora poi si pecca senza rimorso, e, giunti a questo punto di perversità, non v’ha più rimedio. Tale è l’orribile stato del consuetudinario… Chi aggiunge colpa a colpa ha il cuore traviato, dice Dio pel Salmista, egli non conosce le mie vie, ed ho perciò giurato nel mio sdegno, che non entrerà nei luogo del mio riposo (Psalm. XCIV, 10-11). Ah! « i perversi ben difficilmente s’emendano, esclama l’Ecclesiaste, e stragrande è la turba degli insensati » (Eccl. I, 15). « Non da ferro nemico, ma dalla mia ferrea volontà io ero legato, confessa S. Agostino; la mia volontà stava in balìa del mio nemico, il quale si era fatto di essa una catena con cui mi teneva stretto ». « E con tante catene il peccatore avvinghia se stesso, soggiunge S. Gregorio, quante volte ricade nella colpa ». Per enormi e orrendi che siano i peccati, scrive S. Agostino {Enchirid. c. LXXX), se avviene che diventino abito, sono considerati come leggeri, ed anche non più tenuti in conto di veri peccati; a tal punto che non solo non si tengono celati, ma si ostentano. I consuetudinari non si correggono, dice la Scrittura, perché son pazzi. E come no? mentre in 1° luogo il peccato è il sommo della pazzia, perché scombuia la ragione e soffoca il desiderio della virtù. Il peccatore antepone la creatura al Creatore, che è a dire un centesimo a tesori immensi, un granellino di frumento ad una ricchissima messe, il fango all’oro, una stilla d’acqua al mare, un mortifero veleno alla grazia ed alla vita eterna. Oh Dio, che insensatezza! 2° Ripetendo i peccati si contrae l’abitudine, questa mena alla necessità. Conoscete voi follia più funesta?… Si perfidia ostinatamente, si fa pompa del male… 3° Si ricusa ogni emendazione, si spregiano gli avvertimenti e le persone che per impulso di carità riprendono. Si friggono i rimedi, si vuol rimanere nella malattia. Ah qui, più che sragionevolezza, più che stupidità, bisogna dire che vi è il colmo della pazzia… La Scrittura dà a questa follia morale il nome di carestia del cuore,  e chiama i peccatori abituati uomini senza cuore  cioè privi dell’uso della volontà (Prov. XI, 12). « Giunto l’empio in fondo all’abisso del male, tutto disprezza », dicono i Proverbi (Prov. XVIII, 3). A ragione pertanto scriveva il poeta: Arresta la passione in sul nascere, chè troppo tardi giungerà il rimedio, se lasci che il male abbia tempo a far progressi; e l’anima, dice S. Giovanni Crisostomo, corrotta che sia, degradata per l’abito del peccato, languisce d’incurabile malattia, né più si rimette in forze per quanti rimedi le offra Dio. Non è così facile svestir gli abiti viziosi, come il vestirli. La volontà, la quale può a suo talento schivare od abbracciare il male, s’avviluppa di per se stessa, come il baco da seta, nell’opera sua; e se i lacci dentro cui s’è arretita figurano seta perché aggradevole sono però ferro per la loro durezza. No, essa non è in grado di distruggere a sua posta la prigione che ella medesima si è fabbricata, né spezzare i fili di cui s’è cinta. E non mi state a dire, soggiunge Bossuet (Vol. I, Circoncis.), che essendo i vostri impegni affatto volontari voi possiate, con la medesima volontà che li ha contratti, quandochessia disdirli, perché anzi qui sta appunto il nodo, che quella medesima volontà, la quale si è impegnata, sia obbligata a disimpegnarsi; che essa, la quale forma o vuol formare i legami, s’impegni poi a scioglierli; che debba ella medesima sostener ad un tempo l’urto e dar l’assalto. Or chi è dunque sì cieco che apertamente non veda come invano essa combatterà e si stancherà in inutili sforzi, se non viene a sostenerla una forza o un soccorso dal di fuori? Poiché non si resiste da forti e robusti per lungo tempo, scrive S. Ambrogio, quando è d’uopo vincere se medesimo. Troppo faticosa ed angosciante è la lotta che l’uomo deve sostenere contro se stesso e le sue passioni perché possa vincere da solo. So bene che altri accusa il Demonio delle malvagie abitudini in cui vive, ma badate, grida S. Agostino , che il Diavolo tripudia quand’è accusato, e niente meglio desidera se non che voi gettiate su di lui i vostri torti, affinché perdiate così il frutto d’un umile confessione. L’uomo deve superare due ostacoli, l’inclinazione e l’abitudine; quella rende il vizio amabile, questa lo fa necessario; e non è in nostro potere, osserva S. Agostino, né il principio dell’inclinazione, né la fine dell’abitudine; l’inclinazione c’incatena e ci precipita nel carcere, l’abitudine vi ci lega e chiude sopra di noi la porta per toglierci ogni uscita. Il peccato passato in abitudine diventa quasi identificato coll’uomo: il peccatore abituato è divenuto peccato; e da ciò proviene la difficoltà immensa di vincere le cattive consuetudini.

Come si conosce se il peccato sia d’abitudine. — Grave malattia è l’abitudine di peccare, e chi desidera vedere se egli ne sia infetto deve osservare: 1° S’egli commette il male con piacere; perché ogni piacere è conforme a qualche natura: ora egli è certo che il peccato non ha di per se stesso questa consonanza colla nostra natura, bisogna perciò che la ripetizione del peccato abbia formato in noi un’altra natura, e questa seconda natura è l’abitudine… 2° Se pecca senza resistere, perché allora la forza dell’anima è svigorita ed abbattuta…

Come si lascia l’abitudine. — i mezzi con cui lasciare e vincere le malvagie abitudini per quanto radicate, sono i seguenti : 1° il timor di Dio; 2° la resistenza…; 3° la preghiera…; 4° il rincrescimento ed il dolore di trovarsi in così infelice stato…; 5° la fuga delle occasioni prossime del peccato d’abitudine…; 6° un vivo orrore del peccato…; 7° frequente ed umile confessione. « Siete voi combattuti dell’abitudine del peccato? grida S. Agostino, respingetelo da valorosi; non saziatelo ritirandovi, ma sforzatevi d’abbatterlo resistendo ». Finalmente, una sincera e viva devozione alla Vergine ci fa uscire da qualunque abitudine cattiva.

 

J.J. Gaume: IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (10)

CAPITOLO XXI

INFLUSSO DEL PAGANESIMO CLASSICO SULLA FAMIGLIA

Il rispetto all’autorità paterna, l’indissolubilità del matrimonio, il diritto del padre sui suoi figliuoli, tali sono le basi della famiglia cristiana. Ora, come la società politica, la società domestica vive pel rispetto alle leggi che la costituiscono. Quindi, durante quindici secoli, la venerazione profonda dei popoli cristiani per gli insegnamenti dei loro padri, pei loro costumi e pei loro usi; quindi, la religiosa cura di trasmettere ai figliuoli, come la parte la più preziosa di loro eredità, il sacro culto degli avi. Così fecero tutte le famiglie storiche; così fecero tutti i grandi popoli che brillano negli annali del mondo. – Questa legge di conservazione è talmente naturale, e, se oso dirlo, talmente elementare, che le nazioni pagane la conobbero a meraviglia, e la adempierono con fedeltà ammirabile. Roma, la quale tanto si ama di menzionare, se ne appellava sempre agli usi e costumi primitivi. Le massime dei suoi padri formavano altrettante massime sacre, e la venerazione con cui si proseguivano i nomi dei suoi fondatori andò sino all’apoteosi. In questo rispetto profondo ed universale il vincolo di famiglia trovò la sua conservazione. Alla sua volta il vincolo di famiglia, mantenendo sempre Roma simile a se stessa, diventò il principio di sua forza, il segreto della sua durata e la base della sua sovrana potenza. Che cosa è ora il paganesimo classico? È la più grande scuola di disprezzo per l’autorità paterna che abbia mai esistito. Esponendo il modo con cui il paganesimo è applicato all’ anima dei giovinetti, usai a bella posta una grande riserbatezza. Per non essere tacciato di esagerazione, ho amato meglio rimanere lungi dal vero, che non dimostrarlo tutto quanto: il momento è giunto di parlare senza reticenza. Gli elogi dati al paganesimo sono la faccia della medaglia: le ingiurie, le calunnie, le derisioni prodigate ai nostri avi ne formano il rovescio. Ecco realmente come vanno le cose. – Dopo aver portato sino alle stelle gli uomini, le istituzioni, le società pagane, si dà addosso ai nostri poveri avi, ai loro usi, alle loro istituzioni, a tutto ciò che essi dissero, a tutto ciò ch’ei fecero, a segno di far arrossire i loro figliuoli d’una simile discendenza. Nulla è risparmiato: i primi cristiani sono fanatici e idioti; i secoli che essi prepararono sono secoli di barbarie; il medio-evo è l’età di ferro del genere umano, l’epoca d’una letargia universale. La fede dei nostri antenati si chiama abbrutimento; le loro pratiche religiose, superstizione; le loro virtù, fanatismo; i loro Papi, ambiziosi; i loro re, tiranni; i loro principi, ladri; i loro signori, banditi; le loro leggi, il codice della crudeltà e della pazzia; la loro storia, leggenda; il loro insegnamento, puerilità; la loro letteratura, barbarie; la loro scienza, ignoranza; la loro arte, goticismo; il loro stato sociale, schiavitù e miseria. In una parola, da più di tre secoli ci sono rappresentati i nostri antenati come assassini, viventi di rapina e dati a tutti i vizi; come selvaggi che appena appena sapevano camminare coi piedi; come cretini, la cui fede semplice ed ingenua era capace di ammettere che gli asini volavano come le rondini. – Poi, ripigliando la tromba epica, si cantano i benefizi del Rinascimento; si invitano le giovani generazioni a benedire il Cielo d’averle fatte nascere in seno ai lumi ed alla libertà. Dopo del che vengono rituffate felici e riconoscenti in quell’antichità pagana che è, dice anche di presente il sig. Thiers, ciò che v’ha di più bello al mondo; in quell’asilo calmo, pacifico e sano, destinato a conservarle fresche e pure (1(1) Relazione sullo legge d’insegnamento secondario, 1844.); in quel mondo meraviglioso, al quale il mondo moderno va debitore d’essersi risvegliato. In mezzo a queste diatribe d’ogni genere, rinnovate ad ogni pie sospinto, se talvolta la forza della verità strappa una parola di lode a pro di un uomo o di una cosa del medio-evo, l’elogio stesso diventa una nuova contumelia per il modo con cui è concesso. Fra mille, non citerò se non un esempio. « Fu fatta, scrive D’Arnaud, una molto strana osservazione: ed è che dal seno delle tenebre sorsero quei grandi spettacoli degni di attirare a sé la curiosità e la riflessione. I tempi i più sprofondati nell’ignoranza e nella barbarie produssero, se si può dirlo, getti di luce che non rifurono guari presentati da quei secoli celebrati, posti innanzi ai nostri occhi come tante epoche brillanti dei felici rivolgimenti dello spirito umano Quali esempi sublimi di valore, di generosità, di grandezza d’animo, di sacrifici i più sovrannaturali non ci offrono le varie età cavalleresche! » – Per tema che non si capisca il senso del suo pensiero, e che lo strale non giunga al suo indirizzo, l’autore ha cura di spiegarsi dicendo in una annotazione. « Dal seno delle tenebre, ecc. Certo, i secoli XI, XII, XIII e XIV si possono chiamare la feccia dei secoli; e si fu in quei giorni della barbarie la più grossolana che avvennero tante belle azioni che formano tuttora la gloria della nazione francese ». – Così si forma l’educazione della gioventù. E voi, o padri di famiglia, incoraggiate simile sistema, e voi applaudite ai maestri che ogni giorno, durante sette anni, ingiuriano la vostra autorità in quella dei vostri antenati; e voi li pagate acciò insegnino ai figliuoli vostri ciò che venne insegnato a voi pure: il disprezzo di quanto essi debbono rispettar maggiormente! Ma quand’anche tutto ciò che l’insegnamento classico narra degli avi nostri fosse vero, è egli da figliuoli bennati lo svelare l’ignominia dei padri loro? Dove avete voi veduto che il peccato di Cham rechi fortuna? Ma che dire, che pensare se le accuse rivolte contro i nostri antenati sono per la maggior parte calunnie odiose o rimproveri che noi meritiamo al par di quelli, senza contare i rimproveri ben altrimenti gravi che noi meritiamo e che quelli non meritarono mai? Non voglio imprendere qui l’apologia del medioevo. Ma quando io lo scorgo abbandonato tuttodì ad ogni genere di dispregio; quando la prima lezione data alla gioventù d’Europa tutta si è di insegnarle ad arrossire dei suoi avi, per esaltare con un bugiardo confronto ed i secoli pagani ed i secoli moderni, alteri figliuoli dei secoli pagani, la verità non può rimanere prigioniera. I nostri padri valevano meglio di noi, e quanto ci rimane di buono, è opera loro. Uomini al par di noi, ebbero difetti; ne siamo noi senza? Noi accusiamo la loro credulità: il pirronismo, l’ateismo che ci divora, è desso una virtù? Noi avviliamo la rozzezza dei loro costumi, la crudeltà delle loro leggi; le scelleratezze, le empietà, gli orrori che macchiano la storia moderna, sono forse degne dei popoli civili, o non piuttosto degli antropofagi? – Noi chiamiamo fanatismo, esagerazione le loro virtù cavalleresche, i loro tratti sublimi di abnegazione: ma qual nome si merita il nostro egoismo? Essi fabbricavano chiese e conventi; noi fabbrichiamo teatri e prigioni. Commettevano quelli un delitto? Ne chiedevano in pubblico perdono a Dio ed agli uomini; noi ce ne gloriamo. Minacciati o colpiti dai flagelli del cielo, quelli si umiliavano; noi bestemmiamo. Al tempo loro, quando si soffriva qualche grande afflizione, si pregava: oggi l’uomo è suicida. Noi parliamo della loro ignoranza: dove sono i nostri lumi? Forse in quei secoli di tenebre o nei nostri secoli illuminati si trovano le nozioni le più giuste del diritto, dell’autorità, della proprietà, del bene e del male? Noi vantiamo la bellezza delle nostre lingue moderne; quelli le hanno create. Noi abbiamo scoperto il vapore e l’elettricità: quelli scoprirono la bussola, la stampa ed inventarono la polvere. Noi abbiamo prodotto monti di libri; essi produssero L’Imitazione di Cristo. Noi cantiamo le nostre glorie nella guerra, nelle scienze e nelle arti: ma erano dessi così barbari, come godiamo di dirlo, i secoli che produssero nella guerra Carlo Magno, Dugueselin, Goffredo di Buglione; nelle scienze politiche, Alcuino, San Gregorio VII, San Luigi e Sugero: nella teologia San Bonaventura e San Tommaso; nell’eloquenza, San Bernardo, Sant’Antonio da Padova, San Vincenzo Ferreri; nella filosofìa, Sant’Anselmo; nella poesia e nella letteratura, Dante e Petrarca; nelle scienze fisiche, Gerberto e Ruggiero Bacone? Erano forse selvaggi, figliuoli e fratelli di selvaggi coloro che slanciarono nelle nubi le guglie delle nostre cattedrali, che ne tagliarono con tanta delicatezza tutte le parti, che ne popolarono i campanili e le gallerie d’un popolo di statue, che scrissero la storia del tempo e della eternità in caratteri d’oro, di porpora e d’azzurro sulle muraglie e sulle vetrate dei loro superbi edifizi? – Ma, si dice, essi non godevano la libertà del pensiero. Ciò ch’io so, si è che noi ne possediamo le brutture. Essi viveano nell’oppressione; noi siamo ingovernabili. – Essi vestivano saio; noi portiamo indosso percala. Essi si cibavano di pane nero; noi mangiamo pomi di terra. Essi vivevano nelle loro famiglie come volpi nelle loro tane; noi viviamo negli opificii, palazzi, e non abbiamo più famiglia. Facile sarebbe il prolungare questo paragone; quanto precede basta, mi sembra, per renderci un poco più modesti, e per dimostrarci l’ingiustizia del dispregio superbo, di cui ci si insegna a coprire e le persone e le opere dei nostri avi. Del resto, non bisogna ingannarsi: un tal dispregio, somiglianti ingiurie, sono rivolte contro autorità più alta. Nemico-nato del Cristianesimo, il paganesimo classico non si dimostra cotanto altero e cotanto manchevole al medio-evo, se non perché il medio-evo si fu l’età della fede. Esso fu l’opera della Chiesa, il cui spirito penetrò profondamente nelle istituzioni, nei costumi, negli usi, nelle scienze, nelle arti, nel linguaggio di quell’epoca. Ora, screditandola, si pretende screditare la Chiesa, accusandola di superstizione, di ignoranza e di barbarie; si fan ricadere sulla Chiesa tutte queste accuse. Tale è l’ultima parola della guerra stupida ed accanita che i tre ultimi secoli fanno al medio-evo. Ecco quello che avrebbero dovuto capire tanti uomini, ben intenzionati d’altra parte, i quali furono gli ammiratori fanatici del paganesimo letterario e i dispregiatori appassionati della nostra grande epoca di fede. – I novatori del secolo XVI non si ingannarono punto. Nessuno più di loro ripeté più sovente e più forte, che i secoli in cui la Chiesa cattolica aveva esercitato sull’Europa una potenza sovrana, erano i secoli dell’ ignoranza la più grossolana, della superstizione la più vergognosa, della degradazione la più profonda: la conseguenza era agevole ad esser tratta. Di qui non v’era che un sol passo al dire che se la notte aveva regnato sul mondo, si è che il sole aveva subito un eclissi; che la Chiesa aveva perduto una parte della verità primitiva; che bisognava nettare la sua dottrina dalla lega impura che vi s’era mescolata; che era d’uopo rigettare tutte le tradizioni e ritornare alla pura parola di Dio: un tal passo fu fatto. Dietro gli apostoli del paganesimo classico si vedono giungere Lutero, Calvino, Teodoro di Beza; dopo gli eretici ed i novatori vengono Bayle, D’Argens, Bolingbroke, Diderot, Rousseau, Voltaire con tutto l’esercito dei filosofi. Tutti attingono le loro armi contro la religione allo stesso arsenale al quale gli eretici del secolo XVI avevano attinto le loro, non più per intaccare alcune verità soltanto, ma per battere in breccia l’intero edificio del Cristianesimo. Dogmi, misteri, precetti, autorità, pratiche, sono proclamati con voce unanime come il prodotto dell’ignoranza e della stupidezza dei secoli barbari. Quindi nella loro ammirazione, non che in quella dei loro discepoli, una cosa sola rimaneva in piedi, il paganesimo. Infatti, noi vedremo ben presto gli uomini del 93 intraprendere di rigenerare il mondo colle idee di Sparta, di Atene e di Roma.

CAPITOLO XXII

SEGUITO DEL PRECEDENTE

Esaltare i pagani e dispregiare i padri nostri nella fede, tale si è da tre secoli il fondo obbligato della pubblica educazione in Europa. Non è ella questa, di grazia, la violazione la più sacrilega che mai si sia veduta della legge conservatrice della famiglia: Padre e madre tu onorerai, affinché tu viva lungamente? Ma non è tutto. Il Cristianesimo aveva dato per base alla famiglia l’unità e l’indissolubilità del legame coniugale, nonché i diritti sacri del padre sul suo figliuolo. Durante quindici secoli, l’Europa era vissuta con questo sacro principio, al quale le nazioni cristiane debbono la loro moralità e la loro forza. Nulla fu mai più lungi dal loro spirito quanto il pensiero del divorzio e della poligamia; nulla è più raro quanto il trovarne esempi nella storia; nulla è maledetto con maggiore indignazione; nulla ispira un orrore più generale e più profondo. D’altra parte, nulla è più fedelmente rispettato dei diritti dell’autorità paterna. Ora, come va che, sin dal cominciare del XVI secolo, la poligamia ed il divorzio ricompaiono auto rizzati dai capi della Riforma? Come va che hanno avuto sino ai dì nostri un seguito non interrotto di apologisti, fra i letterati dei tre ultimi secoli, in Alemagna, in Inghilterra ed in Francia? Come va che dopo alcune proteste, il divorzio è oggi passato allo stato di legge in metà dell’Europa? Come va che i diritti del padre sul suo figliuolo sono oggi sconosciuti e calpestati sotto i piedi? Dove mai le società moderne attinsero idee così estranee a tutte quante le idee cristiane? Come spiegare la facilità deplorabile colla quale queste idee passarono nelle leggi e nei pubblici costumi? Mio Dio! Questo triste mistero si spiega di per sé. Proponendo all’ammirazione delle generazioni nascenti il paganesimo antico, si familiarizzò l’Europa colle idee e colle istituzioni dei suoi modelli e dei suoi maestri. Ora, tutti i maestri e tutti i modelli della gioventù, quelli che si amò meglio raccomandarle quali i filosofi i più divini, quali i legislatori i più saggi, sono i campioni e gli istitutori della poligamia e del divorzio: essi li giustificano con buone ragioni, i poeti ne cantano i benefici, e le passioni applaudono. Il legislatore della repubblica di Sparta, di cui ci si fece ammirare l’austera virtù, Licurgo, rende il matrimonio obbligatorio per tutti, obbliga lo sposo a rapire colei ch’egli vuole sposare, e, per una conseguenza del suo principio supremo che la famiglia non è stabilita se non per dare cittadini robusti allo Stato, autorizza la promiscuità. [Vita di Licurgo, traduz. d’Amyot, p, 31.]. Sempre conseguente a se stesso, Licurgo infligge pene severe ai celibatari, e colpisce con un pubblico disonore la più santa cosa del mondo, la verginità. « Una nota d’infamia era stabilita contro coloro che non si volevano ammogliare. Loro non era permesso di trovarsi nei luoghi dei pubblici passatempi. Ma ciò che più è, gli ufficiali della città li costringevano a far nudi il giro, nel cuore dell’inverno, della pubblica piazza, e, camminando, dovevano cantare una canzone fatta contro di loro; finalmente, quando diventavano vecchi, loro non si portava rispetto di sorta, loro non si rendevano gli onori riserbati agli altri vecchi ((Id., ib., p, 30.) ». Ma ecco un’altra cosa. Stabilendo come principio il comunismo il più assoluto, Licurgo dichiara che i figliuoli appartengono allo Stato prima di appartenere ai loro genitori. I matrimoni non hanno più luogo per la famiglia, ma per lo Stato: e la potestà paterna, colpita in ciò che v’ha di più sacro, è confiscata a vantaggio dello Stato. Per conseguente, il figliuolo, questa possessione sacra della famiglia, è senza pietà rapito agli abbracciamenti materni dal proprietario della famiglia, cioè dallo Stato, è istruito nelle scuole dello Stato, è educato secondo i capricci dello Stato, o condannato a perire se sin dal suo affacciarsi alla vita non presenta nella sua complessione i pegni di vantaggio fisico dei quali lo Stato si dimostra esclusivamente geloso. « Del rimanente, prosegue Plutarco, dacché il bambino era nato, il padre non ne era più padrone per poterlo far mantenere a suo libito, ma lo portava ei medesimo in certo luogo a ciò destinato, che si chiamava Leschè. Ivi i più vecchi del suo stipite stando seduti, visitavano il bimbo. Se lo trovavano bello, ben complesso di tutte le membra e robusto, ordinavano venisse mantenuto; ma se loro sembrava brutto, contraffatto, malaticcio, lo mandavano a gettare in una cavità che volgarmente si chiamava gli Apotèti. Ai sette anni, i fanciulli che non erano venuti meno alla prova della legge erano tolti definitivamente alla loro famiglia: lo Stato medesimo si incaricava di allevarli ». – « Ora, soggiunge Plutarco, l’oracolo aveva dichiarato Licurgo il benamato dagli Dei, e piuttosto un Dio che un uomo. Egli fece vedere che un uomo perfetto non è punto un essere immaginario, come alcuni hanno creduto, poiché mostrò al mondo una nazione di filosofi. Le leggi di Licurgo sono acconcissime a formare gli uomini alla pratica della virtù ed a mantenere un vicendevole affetto tra i cittadini ». Il grave storico le preferisce a quelle di tutti gli altri Stati della Grecia, ed ha cura di raccontarci che coloro i quali scrissero con qualche successo sulle leggi e sulla politica, come Platone, Diogene, Zenone ed altri, presero per modello Licurgo, al quale Aristotele impartisce magnifiche lodi, proclamandolo degno dei sacrifici che gli Spartani gli offrivano come a un Dio. Infatti, i principi di Licurgo formano, tranne qualche modificazione, la costituzione della famiglia pagana fra i Greci e fra i Romani. Così, in Licurgo, che parla intorno alla famiglia, noi ascoltiamo tutto quanto il paganesimo classico. Ora, da tre secoli, la gioventù d’Europa trascorre sette anni alla sua scuola, in ammirazione per gli oracoli del maestro. Che ne è derivato? Due cose inevitabili: la prima si è che i filosofi, i legislatori ed i letterati moderni, fedeli alle loro impressioni di collegio, vantarono a gara nei loro scritti i principi costitutivi della famiglia Spartana; la seconda si è che nulla fu tralasciato per applicare alla famiglia cristiana i principi della famiglia pagana. – Ammiratore appassionato di Licurgo, che egli non teme nemmeno di approvare in un punto dell’immoralità la più rivoltante, Montesquieu lo loda con una sola parola, dicendo che quell’uomo immortale seppe far praticare la virtù con mezzi che a lui sembravano contrarii (Spirito delle leggi, 1.1, lib. iv, c. 6.). Bolingbroke, Potter, Elvezio, Collins, Tindal, Rousseau, tutti gli enciclopedisti parlano come l’oracolo della legislazione, tutti preconizzano gli uni dopo gli altri le idee di Licurgo e ne chiedono l’applicazione per la felicità del genere umano. – Nulla è più istruttivo quanto il sentirli parlare. – Licurgo non riconosce il carattere religioso del matrimonio, e quelli negano il Sacramento che lo nobilita santificandolo. – Licurgo non ammette l’indissolubilità del vincolo coniugale, e quelli esaltarono i benefizi del divorzio e lo introdussero nella legislazione. – Licurgo autorizza il concubinato, e quelli sostennero che in ciò nulla v’ha di riprovevole, purché sia durevole. – Licurgo giustifica la promiscuità, e quelli asseriscono che la poligamia non è se non un affare di calcolo. – Licurgo copre d’ignominia il celibato e la verginità, e quelli li screditano e li volgono in derisione. – Licurgo nega la potestà paterna, e quelli la negano più compiutamente, se è possibile. « Verun uomo, dicono, ricevé da natura il diritto di imperare agli altri. Se natura stabilì qualche autorità, si è certo la potestà paterna; ma la potestà paterna ha i suoi limiti, e nello stato di natura essa finirebbe, appena i figliuoli fossero in grado di guidarsi di per sé. I diritti dell’uomo sul suo simile non possono essere fondati se non sulla felicità ch’egli procura a quello, o che gli dà luogo di sperare; senza ciò, il potere ch’egli esercita su di lui sarebbe una violenza, un’usurpazione, una tirannia manifesta. Ogni autorità legittima è fondata sulla facoltà di renderci felici. Nessun mortale riceve da natura il diritto di comandare ad un altro; ma noi lo concediamo volontariamente a colui dal quale speriamo il ben essere … – L’autorità esercitata da un padre sulla sua famiglia non posa se non sui vantaggi di’ egli è creduto procurarle (ENCICLOP. Autorità politica; EMILIO, t. IV; Sistema della natura, t.1, p. 340, ecc. ecc.) ». – Non basta. Mentre i filosofi ed i legisti, discepoli del paganesimo, s’affaticavano a ricondurlo nella famiglia, i poeti ed i romanzieri, formali alla medesima scuola, cantavano su tutti i tuoni ed in tutte le lingue i benefizi di questa nuova legislazione. Più intelligibile, più gradevole e perciò più pericolosa di quella dei metafisici, la loro voce non cessò di risuonare. Che mai sono, di grazia, quanto ai fondo, gli innumerevoli componimenti teatrali o tradotti dai pagani, od animati dal loro spirito, da cui l’Europa è inondata dopo il preteso Rinascimento: commedie, tragedie, drammi, melodrammi, vaudevilles, poesie leggiere/canzoni da mensa, e che so io, se non forse una incessante predicazione del sensualismo, del divorzio e dell’adulterio, del dispregio del matrimonio e dell’autorità paterna; un attacco aperto smascherato contro il pudore, contro la continenza, contro la verginità stessa e la pietà filiale; la glorificazione e l’eccitazione perpetua della passione la più focosa e la più distruttrice della domestica società? Ad un tale spettacolo, affatto sconosciuto ai secoli di fede, ogni uomo capace di unire l’effetto alla cagione dirà: « L’insegnamento pagano impiantò l’albero del sensualismo pagano nel cuore delle giovani generazioni; le giovani generazioni trasmisero quanto naturali dell’albero sì bene coltivato: ma esse non ne sono che i fiori. Eccone qui i frutti; essi formano la seconda conseguenza inevitabile dell’educazione moderna. Discepoli dei filosofi e dei legisti pagani, ammiratori degli scrittori sensualisti, i rigeneratori d’Europa sul finire dello scorso secolo considerano quale un dovere di coscienza e di logica l’applicare alla famiglia le idee pagane. Giunti al potere, si pongono all’opera; tolgono al matrimonio ogni carattere religioso, decretano il divorzio, conferiscono pubblici premi alle fanciulle-madri, aboliscono tutti i voti, scacciano dai loro conventi tutti i religiosi e tutte le religiose, indeboliscono per quanto possono nel loro Codice l’autorità paterna; e, coll’organo di Rabaut-Saint-Etienne, rinnovano parola per parola il principio di Licurgo, che il bimbo appartiene allo Stato prima d’appartenere alla sua famiglia. In conseguenza, come il legislatore di Sparta faceva esaminare il novello nato, che non veniva giudicato degno della vita naturale se non nel caso che offrisse guarentigie sufficienti agli esaminatori dello Stato, i moderni Licurghi stabilirono che il fanciullo non sarebbe degno della vita pubblica se non nel caso che portasse l’impronta dello Stato. Tale si è l’invasione del paganesimo nei nostri costumi, che questa selvaggia ingiunzione non incontrò se non un’impotente opposizione; sopravvisse a tutti i rivolgimenti, conta eziandio numerosi ammiratori, e, finalmente, s’insinuò senza ferita e senza avaria nella nuova legge sull’insegnamento. Non è cosa inutile il dimostrarlo. Lascio parlare un uomo che adempì benissimo questo assunto: « Il signor Thiers, egli dice, il sig. Barthélemy Saint-Hilaire ed altri partigiani della legge pensano che l’atmosfera romana sia eccellente per formare cuore ed animo alla gioventù: sia pure. Vi tuffino i loro figliuoli; per me, li lascio liberi di farlo; ma mi lascino libero pure di allontanarne i miei, come da un aere pestilenziale. Signori autori del regolamento, ciò che a voi parve sublime, a me pare odioso; ciò che soddisfa la vostra coscienza spaventa la mia. Voi siete molto convinti che sotto il punto di veduta sociale e morale il bello ideale si trovi nel tempo passato. « Osiamo dirlo a un secolo orgoglioso di se stesso, diceva il signor Thiers, l’antichità è ciò che v’ha di più bello al mondo ». Per me, ho la fortuna di non partecipare a sì desolante opinione. Voi credete che le nostre idee, i nostri costumi debbano, per quanto è possibile, essere gettati nello stampo antico: io ho un bello studiare 1’ordine sociale di Sparta e di Roma, non vi vedo se non violenze, ingiustizie, imposture, guerre perpetue, schiavitù’, turpitudine, falsa politica, falsa morale, falsa religione. Ciò che voi ammirate, ed io 1’aborro; ma insomma, tenetevi per voi il vostro giudizio e lasciate a me il mio. « In virtù della vostra legge, tre fonti d’insegnamento stanno per aprirsi quello dello Stato, quello del clero, e quello degli istituti pretesi liberi. Ciò che io chiedo si è che questi siano infatti liberi di tentare nella carriera vie nuove e feconde. Insegni 1’università quanto essa predilige, il greco ed il latino. Formino ambedue dei platonici e dei tribuni; ma non tolgano a noi di formare, con altri mezzi, uomini per il nostro paese e per il nostro secolo. Giacché, se codesta libertà ci è interdetta, quale amara derisione non sarà mai il venirci dire ad ogni momento: voi siete liberi! – « Nella seduta del 23 febbraio, il signor Thiers venne a dirci per la quarta volta: — Io ripeterò eternamente quel che ho detto: la libertà che è data dalla legge che noi scrivemmo, è la libertà secondo la Costituzione. Io vi sfido di provar altro. Provatemi che quella non è la libertà; per me, sostengo che non ve n’ha altra possibile. Altre volte non si poteva insegnare senza il beneplacito del governo. Noi abbiamo soppresso l’autorizzazione preventiva: tutti potranno insegnare. Altre volte si diceva: insegnate la tal cosa; non insegnate le tali altre. Oggi noi diciamo: insegnate tutto quello che vorrete insegnare. — Vediamo a che si riduce questa libertà che voi dite essere sì intera. – « In virtù della vostra legge, io fondo un collegio… Come padre, io pago l’educazione dei miei figliuoli, senzaché nessuno mi aiuti. Come contribuente, io pago per 1’educazione dei figliuoli altrui; poiché non posso rifiutare l’imposta che assolda i licei. Sono io libero? No, no; dite che voi praticate la solidarietà nel senso socialista, ma non abbiate la pretensione di dire che praticate la libertà. « E questo non è se non il minimo dei lati della questione: ecco ciò che è più grave. Io do la preferenza all’insegnamento libero, perché il vostro insegnamento ufficiale, al quale voi mi forzate di concorrere senza profittarne, mi sembra comunista e pagano; la mia coscienza ripugna a che i miei figliuoli s’imbevano delle idee spartane e romane che, ai miei occhi almeno, non sono altro che la violenza e 1’assassinio glorificati. In conseguenza, mi sottopongo a pagare la pensione per i miei figliuoli e l’imposta per i figliuoli altrui. Ma che trovo io mai? Io trovo che il vostro insegnamento mitologico e guerriero fu indirettamente imposto al mio collegio libero, dall’ingegnoso meccanismo dei vostri gradi, e che debbo curvare la mia coscienza alle vostre mire sotto pena di fare dei miei figliuoli tanti paria nella società. Voi m’ avete detto quattro volte che io era libero; voi me lo direste cento volte, e cento volte io vi risponderei: « io non sono libero. » Ecco a che ne siamo! E questo dopo trent’ anni di sforzi inauditi per rompere il dispotismo Spartano dello Stato; e questo sotto l’impero d’una legge salutata come una legge di libertà. Riunite quest’ultimo tratto a tutti quelli che abbiamo indicati in questo capitolo, e, se potete, negate l’influenza attuale e profonda del paganesimo classico sulla famiglia.