LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (16)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (16)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XI

I MAESTRI.

E non solo scrittori di libri e di giornali ti schizzano addosso il veleno, ma anche talvolta…. ho a dirlo?…. anche talvolta i maestri. Così è, purtroppo! giovani cari; e’ ci ha maestri frammassoni; maestri atei, maestri rotti al vizio, maestri sboccati e villani, maestri i quali, più ché insegnare le lettere e le scienze che debbono, mirano a corrompere nella mente e nel cuore i miseri giovanetti fidati a lor mani. Ahi povere colombe raccomandate alla pietà dello sparviero!… E non son favole che vi conto: oh così fossero!…. Io so d’un ginnasio dove insegnava un toscano, uso per ogni nonnulla a scaraventare sugli esterrefatti scolari maledizioni e bestemmie che tracan foco: ed ebbi ad accapigliarmi con un cotale che il difendeva, perché bestemmiava in pura lingua toscana! So di un altro che a tutte l’ore fa la commedia sul Papa e sui preti. Ricordo di un terzo che in piena scuola diceva cose orribili della Vergine Santissima, spiegando ai giovani misteri ben diversi da quei della Santa Religione. E un quarto, che posta la mira a quelli tra suoi giovani discepoli che ancora usavano a Chiesa, li bersagliava a ogni tratto senza misericordia. Come poi li conciasse all’esame, lascio a voi il pensarlo. — Poveri giovani, poveri giovani! e quando uno di cosiffatti maestri, tocchi, per somma sventura, a voi… poveri giovani, saprete star saldi? saprete combattere; vincere ogni umano rispetto? E ci ha delle città che li tollerano, e delle città che no. In questo secondo caso; sapete come s’usa per lo più? Quando l’indignazione del pubblico trabocca, ed i buoni si lamentano, ed i parenti levano le grida, son rimossi di lì e mandati ad occupare forse miglior posto altrove, certo a corrompere altri giovani sventurati. E pensare chi li paga! Dio, Dio! Che perfidia, che tradimento a giovanetti innocenti! Domandavano un pane da sfamarsi, e voi avete dato loro un serpente che: li, morda e li attossichi. — Ah guai a chi Scandalizza fosse pur un solo di questi piccioli! Meglio con una macina al collo sia sommerso nel profondo del mare! Terribile sentenza! É di Gesù Cristo, non mia. Io domando perdono ai maestri buoni (che sono ancor tanti, grazie a Dio !) di queste gravi e’ sdegnose parole. Ma come non sdegnarsi quando, per lo strazio che si fa dell’anime innocenti ti sanguina il cuore? Anche Gesù benedetto lo vide questo strazio, e, mansuetissimo qual era, non si terne dallo sfolgorarne gli autori. D’altra parte la considerazione del danno ci stimolerà a volerlo riparare, raddoppiando di zelo, di sollecitudini, di fatiche intorno alle care pianticelle affidate alla nostra coltura. O, crescano, crescano sotto i nostri occhi, sempre diritte al cielo; e ci mostrino, dopo il verde delle tenere frondi, tal vaghezza di fiori, e tal abbondanza di frutti, da consolarsene ad un tempo e la Religione e la Patria. – A voi tornando, giovani cari, scolpitevi in cuore questa gran massima del Vangelo: —;, Uno è il maestro nostro Gesù Cristo. — Chi insegna contro a ciò ch’Egli ha insegnato, non è maestro, è corruttore. E non badate se per caso egli abbia scienza, ingegno, eloquenza ed altri somiglianti qualità: dacché le adopera a servizio della menzogna, a rovina dell’anime, è corruttore, non altro che corruttore; è ladro, è assassino delle anime vostre: fur est et latro. Ora venite un poco con me; voglio conosciate a prova, e come a dire, cogli occhi vostri, l’indegnità di cui ho parlato. – Vedete in quella sala, su quella cattedra, quel professorone in abito nero che disserta con tanta gravità? E vedete bell’udienza di gioventù l’assiepa intorno e l’ascolta senza batter palpebra?… Volete sapere chi è e che insegna di bello? È un uomo venutoci d’in Tedescheria, chiamato e largamente pagato del nostro denaro, perché levi i giovani italiani all’altezza de’ tempi, insegnando loro, ch’ei son bestie, e null’altro che bestie. E ci ha degli italiani che gli batton le mani!!! Qui bisogna che mi permettiate un furterello. Dite, cari giovani: conoscete voi Don MENTORE? Quel buon vecchietto tutto cuore pe’ giovani, che li regala ogni anno d’ un libricino a mo’ di strenna?… Bene, gli è appunto d’una di queste strenne che io vo’ diventar ladro, facendole il piccolo furto che ho detto. Benché né ladro io son, né furto è il mio, potrei dire colla Sofronia del Tasso, ed invero, tra D. Mentore e me corre tale intimità da poter chiamarci cor unum et anima una; cosicché io piglio del suo come a pigliar del mio ed egli piglia del mio come a pigliare del suo. Sentite dunque, si tratta d’un bell’esempio intitolato: Buon coraggio. « Taddeo ha la debolezza di passare una mezz’ora al caffè; ci va per qualche ritrovo, o leggere i giornali (ma non i giornalacci, veh!) o a pigliare un rinfresco, che so io! — Meglio non ci praticasse, direte voi. Anzi meglio ci bazzichi un pochino, rispondo io  perché, giovine franco qual è, (vuol dire che non teme la bestia) gli è toccato più volte dare certe lezioncine che…. m’intendo io!  Ci si trovava un giorno con una serqua di bellimbusti dell’università, i quali, adocchiato il Paoletto entrarono per fargli dispetto in certi discorsi da far accapponare la pelle. Figuratevi che Dio, eternità, inferno, paradiso, chiamavano ubbie da medio evo, e levavano a cielo (state attenti: ci siamo) i Magni professori. B e M. i quali avendo dimostrato (asserivano) che nell’ uomo tutto è materia, avevano tolti via una volta gli spauracchi del genere umano. Mentre così trionfalmente la discorrevano, Taddeo stringeva i denti e corrugava la fronte, studiando 1a opportunità d’una risposta; quando a caso capita a passare davanti al caffè un bel vecchietto di prete (era Don Mentore) e Taddeo a fargli tanto di cappello. Alla qual vista i bellimbusti, stringendoglisi attorno incominciarono a sbertarlo di mala grazia, dandogli tutti quei nomi onde sogliono onorare i sedicenti liberali (in ciò non liberali solo ma prodighi) quanti han conservato ancora il buon senso antico e la coscienza cristiana; e conchiudendo tutti ad una voce che un vile era Taddeo, che inchinavasi a un prete. A. quest’insulto Taddeo non seppe contenersi, e fattosi bello d’una santa ira che scintillavagli dagli occhi e gli si dipingeva sulle guance infiammate, rispose agli impudenti così: — Sapete chi è il prete che ho salutato? Quel prete è un uomo che non ha mai offeso né amareggiato persona, neppure i suoi più accaniti nemici; un uomo che la sua vita ha speso e spende tuttavia al sollievo de’ poveri e al bene della gioventù; un uomo che mi ha istruito e educato dalla fanciullezza con senno da filosofo ed affetto di padre… — E che t’ha insegnato quel prete? — l’interruppero i bellimbusti. E Taddeo coll’istessa foga: — Che mi ha insegnato quel prete?… Quel prete mi ha insegnato che c’è un Dio in cielo e che l’uomo è la sua più nobile creatura sulla terra; mi ha insegnato ch’io non sono tutto fango, tutto bestia, come voi; mi ha insegnato che dentro questo fango brilla, qual gemma, un’anima immortale. Ed ecco perché a questo prete cosiffatto io mi inchino, come voi v’ inchinate ai vostri B. e ai vostri M., con questa differenza però, che dal mio inchino io mi rizzo col santo orgoglio d’un figlio di Dio; voi, curvato una volta il dorso davanti a quegli idoli vostri, non potete più rizzarvi, siete bestie e non più. Che vi pare? Sta dalla mia parte o dalla vostra la viltà? — Bravissimo! ben detto! — s’ udirono gridar più voci da ogni parte della sala; e i bellimbusti, mutato discorso, poco dopo se la svignarono di cheto. » E buon viaggio a loro signori! noi, mandata loro dopo le spalle una buona salva di fischi, ci terrem saldi pur qui: che la verità è una; che di questa verità maestro autorevole, perché divino è Cristo, maestra da lui deputata, la Chiesa. A Cristo, alla Chiesa, a quanti insegnano con Cristo e colla Chiesa, c’inchineremo rispettosi; a chi sta contro Cristo, contro la Chiesa, contro la nostra coscienza, no mai! Sarebbe lo stesso che inchinarsi alla GRAN BESTIA, alla quale abbiam giurato guerra mortale, e ai portavoce che le fanno corteo.

LA GRAN BESTIA E LA CODA (17)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (15)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (15)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

X.

ALTRO GENERE DI TROMBE: I LIBRI.

E basti questo breve saggio d’un giornalaccio, con quel poco panegirico che vi ho recitato dei cosiffatti, per farvi persuasi, miei cari giovani, che se vi sta a cuore il bell’ingegno e la bellissima anima che Dio dato, non dovete bere, e spero non berrete mai a fonti sì avvelenate e fangose. — Sta bene; leggeremo libri, non giornali — parmi sentirvi a dire. Buona risoluzione! Ma anche qui, cari giovani, se mi andate colla testa nel sacco, potreste capitar male. Sentite. Io era fanciullo fra i tredici ed i quattordici anni. Già entrato in quella che allora chiamavasi prima Rettorica,e ghiottissimo di leggere, sentii corrermi l’acquolina in bocca a dir cose mirabili, che diceva un mio

compagno, delle poesie di Leopardi. Prima però di procacciarmele volli pigliar mie precauzioni. Un libro nuovo in casa, a dir vero, non mi sarei attentato di portarcelo; ché stavami ancor fitta nella mente una scena, vista da bambino, del babbo, che, trovato un giorno per casa non so che romanzo, n’andò sulle furie, stracciò il libro e ne gittò le pagine al fuoco, dicendo: — I libri che entrano in casa mia gli ho da veder io, gli ho da vedere. Guai a chi ne porta il secondo! — E quel quai fece gelare il sangue nelle vene, non che a’ miei fratelli maggiori, persino a me che non ne capivo nulla; e così fin da quell’età incominciai a quardar certi libri con sospetto. Ora poi, trattandosi di questo che mi veniva tanto lodato, prima di comperarlo o farmelo imprestare, pensai ben fatto

andarne a trovare il mio buon maestro, e: — dica, signor maestro, le poesie del Leopardi son elle proibite? — Proibite (mi rispose) le poesie veramente no, ma…. ma posso leggerle? Certo sì, potresti: ma… ma… ci ho questo benedetto ma, che per amor tuo mi inquieta un tantino. — E guardavami fisso negli occhi. — Oh via! la me lo dica dunque questo ma: la non dubiti; son disposto ad acconciarmi al suo consiglio. — Com’è così, senti, Cecchino mio; a dirtela, quelle poesie son cose belle, nol nego: ma

ora… ti guasterebbero l’umore. Vedi, gli è come se su un bel ciel sereno si stendesse una nuvola scura scura … Stattene colla tua pace, colla tua giocondità giovanile; più tardi leggerai quelle e dell’altre ancora. Ora hai Tasso, hai Monti, hai Dante; Dante, il gran babbo di tutti i poeti, questo sì che ti farà il buon pro! E poi non dimenticare i prosatori, specie del trecento, il Cavalca, il Passavanti, fra Bartolomeo… questi, questi gli scrittori su’ quali devi formarti!… Tenni il consiglio del buon maestro; e più tardi, quando lessi le poesie di quello sventurato poeta, capii quel ma, e ne mandai al mio maestro mille benedizioni. – Queste cose di me vi racconto, o cari giovani, perché  vorrei ispirarvi una gran diffidenza anche dei libri, specie se romanzi, specie se forestieri; e che non vi lasciate tirare alla curiosità, adescare all’eleganza dell’edizione, alle gaie vignette, al buon prezzo… Ahi povera Eva, povera Eva! Perché vagheggiar tanto quel pomo bianco e rosato, ed aspirarne con avidità le soavi esalazioni, e lasciarsi adescare alle melate parole del serpente?… Pareva così ragionevole al parlare! Pareva così dolce a vedere quel frutto! Eppure e’ c’era dentro veleno di morte. – Così siam fatti un poco anche noi, figli pur troppo di madre temeraria e leggera. Si fissa curioso, avido lo sguardo su tutto che è proibito; tant’è, l’ha detto il poeta: nitimur in vetitum; e dietro il guardo vola il cuore; dietro il cuore la mano….Deh! non fermarti a guardare il vino (avverte lo Spirito Santo) quando rosseggia spumando nel bicchiere…Or simili a questo vin traditore, simili al pomo avvelenato di Eva, sono appunto, giovani cari, certe stampe e certi libri messi lì in bella mostra sotto i tersi cristalli delle ricche vetrine a far pompa di sé, a trarre com’esca gli uccelli, l’incauta gioventù. Voi non fidatevi, non fidatevi di ciò che non conoscete; e prima di stender la mano a un libro sospetto, fate capo a un buon consigliere. Il miglior consigliere sarebbe il babbo, se avesse la prudenza e la vigilanza del mio. Ma quanti ci abbadano ai libri? Eppure, se è tempo d’aprire gli occhi, gli è questo nostro per l’appunto. – A quei tempi d’insopportabile schiavitù, come tutti sanno, di cattivi libri o non ce n’era o non se ne vedeva punto. I librai arrossivano a venderli, i tipografi non osavano stamparli, perché…. perché…. lo sapete il perché? È c’era il castigamatti,vo’ dire, il governo che lo scandaloso traffico non permetteva, e a’ librai che cogliesse in flagrante, non solo sequestrava la merce, ma azzeccava, se d’uopo, una buona multa per giunta. In que’ tempi là ragionavasi alla buona così: — Inuna ben regolata società la vendita de’ veleni va proibita. Or veleni cen’ha di due sorta, altri che al corpo, altri che all’anima dan morte; dunque se ha a vietarsi lo spaccio dei primi (che nessuno ne dubita) e molto più de’ secondi. — Ora poi che è venuto il progresso, la sì discorre diversamente: — Chi avvelena i corpi, la forca; chi l’anime, s’accomodi pure. — Con che guadagno del buon senso e della logica, un orbo il vede. Sicché vedete, cari giovani, se vi conviene star desti! Oh sapeste male che può farvi, e all’anima e al corpo, un pessimo libro! Si, cari giovani, anche al corpo, alla sanità, alla vita; e ne ho veduti io degli esempi da far fremere i sassi. Ricordate quellodi: Bertino; aveva cominciato da un libro!..; E se uno non basta, togliete questi altri: sono due giovani stati miei scolari, de’ quali potrei farvi nome, cognome, e parentela; ma bisogna me n’astenga. per compassione di loro famiglie. L’uno …. suo padre andava pazzo per la pesca e per la caccia, e curavasi dei figliuoli come voi del terzo piè che non avete; la madre, una vanarella tutta vezzi e moine e smancerie; i figli (specie quel di cui parlo, ch’era il primo e perciò il più guastato) piena libertà e denaro a’ lor comandi. Costui dunque, che aveva la passione del leggere, comperò e lesse d’ogni sorta libri, romanzacci il più, s’intende: pure con tanto leggere che faceva mantenne sempre in classe il suo posto, ch’era quello del ciuco. Io lo vedevo che non aveva nessun amore allo studio, alla scuola, a’ compagni, e veniva su lungo, pallido; allampanato, con du’ occhi tondi, stupidi, cerchiati di paonazzo; e sospettato quel che era, l’ebbi a me, l’interrogai; l’ammonii, lo carezzai, lo supplicai persino… Chiuse il cuore e non volle ascoltarmi; infelice!….. Più tardi, datosi al militare, fatto fiasco all’esame di ufficiale, veduto promosso un fratello minore, che aveva letto meno di lui, sapete che fece?….. Un colpo di pistola nelle tempia e buona notte! L’altro, pur rovinato cogli stessi veleni, a quattordici anni portava l’occhialino e fumava il sigaro, a quindici bestemmiava come un turco, passava le nottate al gioco, e vi perdeva fin la giubba, a diciotto, non ostante la sua asinaggine, riusciva a forza di protezioni, ad arraffare un impieguzzo dal governo, a ventitrè languiva tisico spacciato in un letto, bistrattava quanti gli venivano d’attorno, e non voleva saperne di morire. – Pregato dall’infelice sua madre a visitarlo e rammollirlo alquanto, vi andai, ma col cuore serrato, che non mi diceva nulla di bene. La buona mamma, m’accolse a mani giunte come fossi stato un Angelo, e: l’abbia la bontà di aspettare un tantino; vado a disporlo, ad avvertirlo ché è lei. — Aspettai più d’un quarto d’ora; quand’ecco la madre, tra sgomentata e piangente, e farmi le scuse. Non c’era stato verso che l’infelice giovane s’inducesse a ricever la mia visita. Due mesi dopo, o in quel torno, moriva. Un buon frate, chiamato nel serra serra dell’ultime agonie; l’acconciò dell’anima..- Dio sa come! Ah giovani; giovani! Perché non voler credere? Non voler ascoltare chi v’ama? Perché tanta paura, tanto rispetto d’un mondo, che tenta strapparvi al prete? Ah il prete! L’hanno ben schernito, in nome della santa libertà, questo povero prete! Ma badate, o giovani: il mondo, che, gettatoci addosso tanto del suo fango vi grida: alla larga dal prete! vedete: com’ egli, è sozzo! — questo mondo, dico, mira nulla. meno che a strapparvi dal cuore i due tesori più preziosi: fede e buon costume, che è quanto dire, chiudervi il cielo sul capo, e aprirvi sotto i piedi l’abisso. E il prete?…. Il prete freme, piange e prega, e darebbe tutto il suo sangue per la pace e per la serenità delle belle e care anime vostre.

VIVA CRISTO RE (20)

CRISTO-RE (20)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXV

CHI È IL CRISTO PER NOI?

Nell’anno 1880 si tenne a Roma una grande assemblea. Uno degli oratori tenne un discorso solenne in onore di lucifero, capo degli spiriti ribelli. E nel mezzo del discorso si udì questo grido: “Evviva satana!” “Viva satana!” E cinquemila gole ripeterono il grido: “Dio è morto, viva satana!”. Siamo inorriditi da questa incredibile rozzezza spirituale, da questa adorazione del diavolo; eppure le migliaia di peccati che si commettono oggi, cos’altro sono se non idolatria infernale? – Quante cose ha fatto l’umanità contro Dio! La Rivoluzione francese ha voluto distruggere Dio; ha fatto un manifesto in cui diceva che Dio non serviva più. Ci meravigliamo di questa follia? Eppure cosa sono gli innumerevoli orrori della nostra epoca se non la realizzazione del decreto rivoluzionario e la sua promulgazione a tutta l’umanità? E la rivoluzione contro Dio continua. Ricordiamo quei giorni tristi in cui gli studenti di Vienna cantavano: “Non sono cristiano, sono socialista!”. Quante cose ha provato l’umanità contro Dio…, e tutte invano. Per questo, il Papa, Sua Santità Pio XI, ci ha ammonito: Uomini, rivolgetevi a Cristo, al quale Dio ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome: “nessun altro Nome sotto il cielo è stato dato tra gli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (At. IV,12). Individui, rivolgetevi a Cristo! Società, rivolgetevi a Cristo! Nazioni, rivolgetevi a Cristo! Famiglia, politici, economisti, pensatori, rivolgetevi a Cristo! Stampa, spettacolo, letteratura, affari, banche, industria, finanza, rivolgetevi a Cristo! Uomini, perirete se non avete Gesù Cristo come vostro Re! – Questi sono i pensieri che spieghiamo in tutte le pagine di questo libro. Negli ultimi due capitoli voglio riassumere quanto detto e allo stesso tempo delineare i tratti caratteristici e definitivi di Cristo Re. Solo chi lo conosce può amarlo in tutta verità e rimanergli fedele in ogni momento della vita, e quanto più lo conosce, tanto più lo amerà!…. – In questo capitolo cercheremo di conoscerlo meglio! Sfoglieremo il Vangelo, affinché il Signore stesso ci risponda a queste domande: Chi sei? Cosa ci dici di Te?

* * *

Apro il Vangelo secondo Giovanni e leggo ciò che il Signore dice in un passo: “Io sono la porta. Chi entra attraverso di me sarà salvato” (Gv X, 9). Gesù Cristo è la porta e io non posso essere salvato se non entro attraverso di Lui. “Attraverso di Lui”, cioè se guardo il mondo con i suoi occhi, se penso al mondo con il suo spirito, se ciò che Lui considera importante è importante per me, se non lego il mio cuore a ciò che per Lui era una cosa secondaria. Guardare il mondo con gli occhi di Cristo! Quale utile lezione di vita è contenuta in questa frase apparentemente semplice! Perché Nostro Signore Gesù Cristo è sceso sulla terra? Per formare un nuovo tipo di uomo: l’uomo che lotta per la vita eterna. Tutto in Gesù Cristo serve a questo piano: la sua vita, le sue parole, la sua passione, la sua morte, la fondazione della Chiesa. Cristo era onnisciente; eppure non ha promulgato una sola verità di tipo scientifico, perché non la riteneva di importanza decisiva. Cristo è onnipotente, eppure non ha voluto lasciare alla tecnica, all’industria, alcuna linea guida che ne moltiplicasse l’efficienza. Cristo era bellezza eterna, e non ha fatto un solo quadro, una sola statua, una sola poesia, una sola composizione musicale. Cristo era l’amore eterno, e non ha insegnato come curare la tubercolosi o il cancro, o come eseguire operazioni chirurgiche. Cristo amava il bambino al massimo, eppure non ha lasciato in eredità ai posteri un metodo pedagogico a beneficio dei più piccoli. Perché? Perché non considerava tutte queste cose di importanza decisiva! Cosa era importante per Lui, allora? Credere in Dio, pregare, obbedire ai genitori, dire la verità, mantenere puro il proprio cuore; in altre parole, guardare il mondo alla luce dei suoi insegnamenti. Lui è la porta e solo chi entra attraverso di Lui sarà salvato. Continuiamo a chiedere: Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore ci risponde in un altro passo: “Io sono il buon pastore” (Gv X,11). Cristo è il mio pastore, che non mi abbandona mai, che non fugge all’arrivo del nemico, che dà la vita per le pecore. È lecito per me avvilirmi, abbattermi, disperarmi, se so che Cristo è il Pastore che si prende teneramente cura di me? Ah, se il vento soffia, lo specchio liscio del lago trema, la mia fronte si corruga, è naturale, ma non è lecito per me disperarmi! Non è lecito piangere? Oh, sì, ma non ribellarsi! Anche il fiore piega il suo calice pieno di lacrime quando l’uragano scatenato passa su di lui. Come la sua rugiada cade sulla madre terra, così è lecito per me piangere; ma non in modo disperato, non rotto e spezzato, ma con la piena certezza che le mie lacrime cadono nelle mani amorevoli del Buon Pastore! E il pensiero del Buon Pastore non solo mi consola nelle disgrazie, ma mi dà anche forza nelle tentazioni. Quale forza acquisterei in tutte le tentazioni, se ricordassi questa grande verità in questi momenti! Questo Cristo che mi ha tanto amato, che ha dato la sua vita per me, questo Buon Pastore, ora mi chiede questo o quello, o mi proibisce questo o quello! È lecito per me disperare, dubitare come un uomo di poca fede, quando Cristo mi parla attraverso le circostanze? Perché Cristo ha dato se stesso per me fino alla morte; Cristo, il Buon Pastore. – E ancora chiediamo: Dimmi, Signore, chi sei? E Lui ci risponde così: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi è unito a me e Io a lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in Me sarà scacciato come un tralcio che non porta frutto, appassirà e si seccherà, sarà preso e gettato nel fuoco e bruciato” (Gv XV, 5-6). Queste sono le parole di GESÙ CRISTO. Cristo è la vite e io sono il tralcio: che grave avvertimento, ma allo stesso tempo che grande onore! Il tralcio vive solo finché la linfa vitale della vite circola in esso. Anche la mia anima vivrà solo finché la forza di Cristo circolerà in me, finché il Cuore di Cristo batterà in me, cioè finché sarò fratello di Gesù Cristo. L’edera ha bisogno della roccia; se può arrampicarsi sulla roccia, fiorisce, ma se striscia per terra, ha una vita stentata. Il sempreverde ha bisogno della quercia; se può abbracciarla, riceve i raggi del sole vivificante; senza la quercia, non ha vita. Anch’io sono edera; Cristo è la mia roccia. Anch’io sono un sempreverde; Cristo è la mia quercia. Se mi aggrappo a Lui, volerò con gioia piena al di sopra di questa vita terrena, così piena di pantano, di dolore e di amarezza. Il buon Cristiano gode così della vita. I divertimenti legittimi e puri sono destinati a lui. Il buon Cristiano non deve mai essere triste, imbronciato, amareggiato – per niente! Al contrario. Chi ha l’anima in grazia, chi è unito al Signore, deve avere una pace e una gioia traboccanti. Il tralcio che ha una comunicazione vitale con la vite, trabocca di vigore e rigoglio. La più bella fioritura della vita cristiana mostra proprio agli uomini che, per godere della vera gioia, non è necessario peccare, né vivere in modo frivolo, né sprofondare nella dissolutezza dell’immoralità. Un Cristiano può essere duro con se stesso, mortificato come San Francesco d’Assisi, eppure sentire la sua anima inondata di grande felicità, come lo era l’anima di questo Santo, che parlava agli uccelli dell’aria, che predicava ai pesci e accarezzava il lupo della foresta. Per vivere così non devo mai dimenticare che Cristo è la vite e io sono il tralcio, cioè sono fratello di Cristo. Sono fratello di Cristo, quindi… vado a testa alta! Sono fratello di Cristo; perciò i miei occhi devono essere puri. Sono un fratello di Cristo, perciò tutte le mie parole devono essere espressione di verità. Sono un fratello di Cristo, quindi tutte le mie azioni devono essere giuste e corrette. Sono un fratello di Cristo, quindi la mia vita deve essere degna del Signore. Devo irradiare la luce che brilla in me; non ho altra scelta. La mia vita, le mie opere, le mie parole devono essere luminose. Sono fratello di Cristo; perciò non devo pensare, parlare, fare, amare nulla che Cristo stesso non possa pensare, dire, fare e amare. Perché Lui è la vite e io sono il tralcio. – Dimmi, Signore, chi sei? E CRISTO ci risponde: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv VIII,12). Mi sembra di sentire l’obiezione: “Cosa? Cristo è la luce del mondo? Ci sono milioni di persone che non si interessano a Lui, che gli passano accanto senza nemmeno guardarlo! Milioni di persone che non sono cristiane! È vero che ancora oggi molti vivono lontani da Cristo. Ma questi o non hanno ancora sentito la Buona Novella di Cristo, o non vogliono più saperne di Lui. Questi ultimi proclamano, senza saperlo, la grandezza di Cristo; infatti, da duemila anni combattono contro di Lui e non sono riusciti a strappargli le sue pecore. Gli altri, quelli che non lo hanno ancora conosciuto, con quale gioia ascoltano quando qualcuno parla loro della vita e delle parole di Cristo! Infatti, che cos’è, in confronto alla luce di Cristo, la dottrina del Buddha, che viene dal nulla e ritorna al nulla? Che cos’è Maometto, accanto alla Luce del mondo? Maometto ha cercato di attingere l’acqua dai torrenti che sgorgano da Cristo; ne ha attinta ben poca, sta nella bacinella della sua mano. La sua luce è presa in prestito, esigua e impura. Cosa sarebbe il mondo senza la luce di Cristo? Non possiamo immaginare in quale abisso di tenebre scenderemmo. Che ne sarebbe del mondo se la terra inghiottisse intere città e paesi, se i grandi oceani scomparissero? Il mondo ci sarebbe ancora. Cosa ne sarebbe se tutte le gradi invenzioni tecnologiche che abbiamo, cessassero di esistere? Il mondo non cesserebbe ancora di esistere. Cosa sarebbe la storia del mondo senza i grandi scienziati, senza i più importanti filosofi? Potremmo fare a meno di loro. Ma cosa sarebbe l’umanità senza Cristo? Mancherebbe la sua anima e ciò che resterebbe non sarebbe altro che un cumulo di macerie in un’oscurità spaventosa. Cristo è la luce del mondo. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai fame e chi crede in me non avrà mai sete” (Gv XIV: 6). In effetti, Cristo è il pane della vita, perché senza di Lui non potremmo vivere. Se non avessimo Cristo, quale speranza resterebbe all’uomo peccatore? Se non avessimo Cristo, chi si prenderebbe cura dei poveri? Se non avessimo Cristo, chi frenerebbe gli eccessi dei forti, chi solleverebbe gli spiriti dei deboli? Se non avessimo Cristo, chi difenderebbe i non nati? Se non avessimo Cristo, a chi si rivolgerebbe l’uomo nella tentazione? Se non avessimo Cristo, a chi si rivolgerebbe il povero malato? Sì, Signore; sappiamo, sentiamo, sperimentiamo ad ogni passo che Tu sei il pane della vita e che chi viene a Te non avrà più fame e chi crede in Te non avrà più sete. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv XIV, 6). Molti hanno voluto essere le guide dell’umanità, ma nessuno più di Cristo ha osato affermare che “Io sono la via”, che dobbiamo essere come Lui, che dobbiamo imitarlo in tutto. L’umanità ha avuto molti maestri, ma nessuno ha osato affermare come Cristo: “Io sono la verità”. Molte promesse sono state fatte e vengono fatte nel nostro tempo, ma non ci viene detto: “Io sono la vita”. Se Cristo è la via, chi si allontana da Lui si smarrisce. Se Cristo è la verità, chi lo nega o si vanta di non conoscerlo cade nell’errore. E se Cristo è la vita, chi rifiuta di ricevere la sua linfa sarà come un albero secco. E questo principio non vale solo per la vita dei singoli, ma anche per la vita della società, degli Stati stessi, dell’Umanità. Se le vie e le leggi sono contrarie alle vie e alle leggi di Cristo, la rovina è certa, sia degli individui che delle collettività. È vero che Cristo non ci esenta dalle difficoltà della vita; ma ci dà la forza, il coraggio, la libertà interiore, la maturità spirituale per sopportarle. L’individuo che segue Cristo sarà onorato nella sua condotta, meriterà la fiducia degli altri, avrà un grande spirito di sacrificio, amerà il prossimo. Oggi più che mai l’umanità ha bisogno di vivere questo spirito cristiano. Perché viviamo in un mondo competitivo, dove la cosa principale è il profitto e l’efficienza. Perché l’egoismo è all’ordine del giorno, perché i conflitti di interesse si moltiplicano, perché i Paesi ricchi cercano di conquistare il mondo, perché siamo padroni di molte materie, ma non di noi stessi. Cristo è la via, la verità e la vita. Vita non solo dell’individuo, ma anche della famiglia e della società. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv IX, 25). Queste parole del Signore ci incoraggiano e ci danno speranza. La mia vita ha un senso, non finisce con la morte. Il Signore è in grado di riportare in vita una persona morta? Sì. Lo ha fatto diverse volte durante la sua vita terrena. Ma non ci crediamo del tutto? Ha calmato la tempesta sul lago di Gennesaret… Ma a cosa mi serve sapere”, obietterà il marinaio che lotta contro l’uragano, “se poi vengo inghiottito dagli abissi?”. L’orlo della sua veste curò una volta il malato…. “Ma a cosa mi serve”, si lamenta un giovane gravemente malato, “se sono malato da anni e non sono guarito?”. Gesù ha risuscitato i morti… Ma a che mi serve”, dice la vedova, “se mio marito è morto e i miei figli sono morti? Quanti sono quelli che si lamentano così, ma senza motivo! Gesù Cristo, nella sua vita terrena, non ha voluto calmare tutte le tempeste, guarire tutti i malati, risuscitare tutti i morti!0 Perché non è venuto per questo. Se ha mandato al mare, alla malattia, alla morte, lo ha fatto per dimostrare che davvero “a Lui è data ogni autorità in cielo e in terra”, anche su tutte le disgrazie, anche sui morti! Sulla morte stessa, è il suo potere, e che Egli “è la risurrezione e la vita, e chi crede in Lui, anche se muore, vivrà”. Se lo volesse, potrebbe salvare, anche oggi, tutti i naufraghi. Se Lui volesse, potrebbe guarire tutti i nostri malati. Ma non è questo che Egli vuole. Allora cosa vuole? Ci dice: “Rimanete nel mio amore”. “Chi mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e Noi verremo a lui e prenderemo dimora in lui”. Vale a dire, instaurate nella vostra anima e nel mondo intero il regno di Dio: il regno della fiducia ancorata a Dio, il regno dell’amore di Dio, in Dio e per Dio. Lavorate perché il mio amore abbracci tutta la terra…. Morirete…, ma un giorno verrò di nuovo e spazzerò via ogni miseria e cancellerò ogni lacrima…. “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”.

* * *

Ecco, mentre sfoglio il Vangelo, il volto santo e divino di Nostro Signore Gesù Cristo diventa ad ogni pagina più bello, più radioso, più caldo, più soggiogante, più chiaro. Chi conosce Gesù Cristo sa tutto, chi lo ignora non sa nulla.

Signore, Tu sei la porta; attraverso di Te fammi entrare una volta per tutte.

Signore, Tu sei il Buon Pastore; fammi diventare una pecora docile del Tuo gregge.

Signore, Tu sei la vite; fa’ di me un tralcio vivo nutrito dalla Tua linfa.

Signore, Tu sei la luce del mondo; fa’ che la tua luce illumini tutta la mia vita.

Signore, Tu sei il pane della vita; nutriti per me.

Signore, Tu sei la via, la verità e la vita; guidami sulla via della verità verso la vita divina.

Signore, Tu sei la risurrezione e la vita; credo che un giorno risorgerò per vivere con Te in cielo.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (14)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (14)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

IX.

LE TROMBE DEL CIARLATANO E PRIMA I GIORNALI.

Voi dunque dovete guardarvi dalle dottrine che spaccia il gran ciarlatano il mondo: e. ciò non solo nei punti, che ho toccato del suicidio e del duello, ma in tutto che dice ed insegna, perché il mondo, per vostra regola, oltr’essere, un gran ciarlatano, è anche un gran pazzo: non basta; ma di ciarlatani e di pazzi ai suoi servigi ne mantiene una baraonda senza fine, che d’ogni parte vi assiepano, vi circonvengono, vi stordiscono, v’intronano … Carro vuoto (dice bene quel proverbio) fu maggior fracasso. E col fracasso appunto, col vociare alto e sonoro, col piglio di gran baccalari, e’ s’ingegnano supplire alla buona ragione che lor manca. Chi ha la ragione dalla sua non ha mestieri di gridar tanto alto: pur pure in mezzo a questo gran buscherio che ci fanno d’attorno, non disdirà anche a noi alzar un tantino la voce, come si fa in una conversazione, quando un qualche trombone ci assorda; che se vogliamo farci intendere, ci è forza anche noi, date le spalle a monna creanza, alzar un tantino il corista. E di tromboni e di trombe il gran ciarlatano ne ha a dovizia, dalle qual v’è d’uopo guardarvi, se no, ne avreste sì intronate le orecchie, che vi ne verrebbe il capogiro. – Prima tromba, cari giovani, sono i giornali; parlo de’ cattivi, s’intende cioè, per nostra disgrazia, dei più e vi domando; lo sapete voi che di venti e più anni questi sono un flagello, una piaga del nostro bel paese, peggiore di tutte insieme le dieci piaghe d’Egitto? Oh potessi dirvi l’un cento del male che fanno a furia di ciarlatanesche strombazzate. –  Platone che dalla sua repubblica volea cacciati i poeti, fu tacciato di soverchio rigore; ma se i poeti d’allora erano come i nostri giornalisti d’adesso, credo che ogni onesto gli batterebbe le mani. A ogni modo togliete pur via i giornali, e statevi tranquilli, che la repubblica letteraria non avrà a patirne detrimento. Ora frattanto, mentre che ci sono, e’ bisogna guardarcene come dal contagio, e voi, miei giovani, se ascoltate il mio consiglio, non li leggerete, non li guarderete nemmeno. Ei vi pervertirebbero in poco d’ora le idee, il giudizio, il buon senso, le idee, il giudizio, il buon gusto … Sì, anche il buon gusto. E che avreste a impararci, in grazia, da quello scrivere contorto, smanioso, barbaresco che fanno i più dei giornalisti, che hanno sempre Italia sulla punta della penna, e non sanno rabberciare a garbo un periodo, esprimere italianamente un concetto, e questo dolcissimo idioma che Dio ci ha dato, che pare un’emanazione del nostro bel cielo, lo sformano, lo snaturano, l’imbrattano a tutto pasto, infarcendolo di solecismi e di barbarismi da spiritarne cani? O povera nostra, lingua; a che mani ci sei venuta! – Per carità, giovani cari, se punto vi cale de’ vostri studi, del buon giudizio, del buon gusto, e sapere scrivere due righe d’italiano, leggete, non osa sì, che fate bene; ma! intendiamoci; buoni libri, si: giornalacci, poi, no, no mai! – E questo che ho detto, notate, è che non ancora il men male. Se dalla lingua passiamo al pensiero, dallo stile ai concetti, dalla scorza al midollo, Dio mio! che idee stravolte! che granchi! che bestialità!… E non è mica sempre facile, ad un giovane specialmente, di accorgersene; perchè in difetto d’altre cose, questi, cosiffatti. Scribacchini hanno sì bene appresa l’arte di falsar le idee, le parole, i nomi stessi delle cose, che uno più non ci si raccappezza. Togliete ad esempio Libertà; chi ne capisce più nulla?… Tolleranza; la levano a cielo, ma poi guai a chi non pensa e dice e fa come loro. Indipendenza; ed essi per primi si danno devotissimi servi alla GRAN BESTIA, e non restano dal lisciarle, la coda.; Amor di patria; eh via! L’udimmo tanto menare e rimenare da certe bocche questo nome così sacro, che ormai un uomo one non osa più proferirlo. – Che se poi, non paghi alla politica, e’ t’entrano, come suol dirsi, in sacrestia, apriti cielo!. spacciano di quelle che non hanno vabbo nè mamma. — Ma e chi son dunque costoro, che ci appestano l’aria? Italiani? Che volete vi risponda?.., In Italia, almeno la maggior parte, sì, pur troppo! ci son nati: ma italiani non oserei dirli davvero; anzi né italiani né Cristiani, che si putono di barbaro e di volteriano a mille miglia. Giovani, il più, di primo pelo, teste intronate che suonano a fesso come le campane rotte, saggiati appena i primi studi, odorato alla larga un po’ d’enciclopedia alla moderna, letto un buon dato di robaccia forestiera, imparati certi paroloni e frasi sonanti da tener a bada il popolino, ecco che s’impancano a maestri d’Italia, anzi di tutto quanto il genere umano: essi gli organi della pubblica opinione, essi gli educatori delle plebi; questo, se nol sapete, il loro apostolato, questa la loro missione. Boom!.. E chi glie ne diede, in grazia? Il gatto ?…. E così, con sì bei titoli e santissimi fini, s’accomodano coraggiosamente nascosti dietro il nome d’un paltoniere qualunque a frecciare non visti il terzo ed il quarto, lanciar la pietra e nasconder la mano, gettare del loro fango su tutto e su tutti…. Giù lo maschera, vigliacchi! Uscite dalla macchia e combattete a viso aperto, se ne avete il cuore!…. Oh quante vergogne di meno, se ci calasse dal cielo un buon governo che avesse coscienza e coraggio di intimar loro: — Volete parlare al pubblico? E voi mostrategli il viso. Ciarlatani,. pazienza; ma ciarlatani camuffati da eroi, non ne vogliamo, non ne vogliamo. — Recatomi un giorno da un amico e non trovatolo in casa, mentre stava aspettandolo, mi misi, così per far ora, a leggere su un giornaluzzo che trovai li, quello che chiamano elegantemente, l’articolo di fondo. Lo scrittore parla solla gravità d’un Catone in Utica, in persona prima plurale, come i grandi personaggi fanno, e trinciava a dritto ed a rovescio, non sol di politica, ma e di filosofia, di teologia; di storia, e di non so quante altre cose: strafalcioni che Dio vel dica! Tornato l’amico: – chi è (l’inchiesi) che scrive di queste babbuassaggini? — Il tal di tale, mi risponde. Non potei tener le risa. Era il più gran lasagnone di questa terra, un giovinastro sciupato che io, anni avanti, aveva avuto scolaro, e so quanto pesava! Ché senza fargli torto, è sempre stato il più asino tra gli asini. Oh vedete, giovani miei, come anche gli asini in questa nostra felicissima età, possono impennar l’ali e volarsene alle stelle! Tant’è; Sic itur ad astra. E mi sovvenne la nota favoletta d’Esopo. —L’asino, coperto d’una pelle di leone, andava attorno spaventando eli animali: e veduta la volpe, volle provarsi a farle una grossa paura anche a lei. Ma la volpe che è volpe: — ti conosco al raglio — e se ne rise, Or di cosiffatti asini, vo? sappiate, miei cari giovani, che ce n’ha un buon dato. Ma io mi starò contento a dirvi di uno che conosco assai bene, camuffato, non da leone, ma da cittadino; il quale, udito ch’era uscito il libretto della Gran Bestia, tratto senza dubbio da simpatia di razza, volle vederlo; ma trovatovi cose che forse non pensava, cioè, che della BESTIA ne dico corna ad ogni pagina, volle pigliarne una sua vendetta. — O quale? Sentite. Mi stampò contro un articoluzzo di poche righe, intitolandolo: Risum teneatis, che vuol dire: si tenga dal ridere chi può. E fece bene a darne avviso al lettore, perché davvero son tutti da ridere gli argomenti che mi sfodera contro. Ne volete sentire?… Sì, ve li copierò tali e quali: è bene che pigliate un’idea della sodezza con che ragionano certi giornali. Attenti.

Argomento. Mi chiama un tal reverendo, non sappiam bene, aggiunge (ehi, sentite plurale? Cavatevi la berretta e zitti!) non sappiamo bene se prete o frate … Balordo! Bastava leggere il frontespizio per saperlo.

Argomento. — Ignoriamo (bravo! È proprio il verbo dell’asino, e messo così al plurale, ha certa maestà!) ignoriamo se il rev. Autore abbia relazione col rev. anonimo che propaga lunari e libri ascetici editi da una società di corvi e gufi per istruire il popolo. — Non vi spaventate, cari giovani, di quei corvi e gufi: son parole e non più; parole d’effetto magico… pei gonzi. Quanto alla sostanza; lo ‘scrittore ignora. Ebbene io gli lascerò la sua ignoranza che gli sta tanto bene, e gli dirò: — Confutate il libro, se vi basta la vista, poi parleremo delle relazioni e dell’anonimo.

Argomento. — Dice che riporta un brano dell’opuscoletto (ahi! Perché sbranarmelo così il poverino!) come prezioso saggio dell’istruzione fornita dagli affigliati (eleganza di moda) della società di s. Vincenzo. — Brrrr!…. libera nos Domine! Ma come il sa egli che sono affigliato, se ignora persino chi io mi sia?

Argomento. — Reca quel tratto o brano del capo XIII, dove: mostro colla Scrittura, coi Padri e cogli interpreti alla mano; che la colpa di Adamo fu in gran parte effetto della stolta condiscendenza d’Adamo alla donna; per indi dedurre che non piccola parte ebbe in essa, e nelle miserie che ne conseguitarono, l’umano rispetto; e finite quelle mie parole, conchiude secco secco così: — O sei un gran pazzo, o un gran citrullo: punto e basta. E grazie del complimento! Che ne dite, cari giovani? Non son proprio le carezze dell’asino? E così avete un’idea delle valide ragioni, o meglio dei raglioni sonori, con cui, in prima persona plurale, con pochi paroloni di civiltà moderna, e con meno fatica, si può confutare, nel secolo decimonono, un buon libro qualunque. Che ne pensate? C’è egli da spaventarsi o da ridere? … Per me, questa volta almeno, do tutte le ragioni alla volpe.

VIVA CRISTO RE! (19)

CRISTO-RE (19)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXIII

CRISTO, RE DELLE MADRI.

Nel presente capitolo esamineremo la più alta missione che Dio abbia dato alla donna: la missione della maternità. Dio ha fissato una missione peculiare per ogni essere di questo mondo. Qual è la missione primaria, la più peculiare, la più importante della donna? La missione di essere madre. E non solo in senso fisico, ma anche in senso spirituale. È questo il punto che vorrei sottolineare in modo particolare a quelle ragazze addolorate che, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non sono riuscite a sposarsi. Devono rendersi conto che, nonostante tutto, questo non impedisce loro di aspirare alla maternità, anche se solo in senso spirituale. Infatti, è lo stesso spirito che spinge una donna a esercitare il suo ruolo di madre curando ed educando i figli, così come quello che opera in un’infermiera, in un’insegnante, in una religiosa, in una catechista per svolgere il suo compito. – Se nelle pagine precedenti ho mostrato quanto la donna, in generale, debba a Cristo, permettetemi ora di sottolineare quanto debba a Lui come moglie e madre. – La nascita di Nostro Signore Gesù Cristo segna l’ora della redenzione per la sposa e l’ora della gloria per la madre. Ora di redenzione, perché il Signore ha restaurato l’unità, la santità e l’indissolubilità del matrimonio. Le sue parole sono per sempre memorabili: “Non avete letto che Colui che all’inizio creò il genere umano creò un solo uomo e una sola donna e disse loro: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”? Ciò che dunque Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 4-5.6). E in un’altra occasione il Signore dice: “Chiunque divorzia dalla propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chiunque sposa colei che è divorziata dal marito commette adulterio” (Lc XVI:18). Donne, madri, non sentite quanto amore per voi emana da queste parole del Signore? Ma c’è di più: sapete chi ha promulgato il primo decreto in difesa delle donne? GESÙ CRISTO stesso, quando pronunciò le seguenti parole: “Avete udito che fu detto ai vostri anziani: “Non commetterete adulterio”. Ma io vi dico che chiunque guardi una donna con desiderio cattivo di lei ha già commesso adulterio nel suo cuore” (Mt V,27-28). Donne, non sentite l’immensa gratitudine che dovete a Gesù Cristo? – Cosa deve una donna a Cristo? Innanzitutto, gli deve l’indissolubilità del matrimonio. Quanto sarebbe triste la situazione delle donne ancora oggi se un marito potesse divorziare dalla moglie quando vuole! Una donna sacrifica tutto al servizio del marito e dei figli: la sua bellezza, la sua forza, la sua giovinezza; ebbene, è lecito divorziare quando la sua bellezza è svanita? E quanti lo farebbero se fosse possibile! Spesso la Chiesa deve subire rimproveri rabbiosi da parte di donne divorziate civilmente che vorrebbero risposarsi: “La Religione cattolica è crudele, antiquata, non ha cuore, non mi permette di sposarmi! – Ma donna, non ti rendi conto che la Chiesa ti sta difendendo, non vedi che sta difendendo la tua dignità specifica, la tua condizione di compagna, non di serva, dell’uomo? Madre, devi mostrare una gratitudine speciale al Signore. Devi essergli grata perché non è più lecito che il marito prenda il bambino dal tuo seno e lo abbandoni, condannandolo a morire di fame. È merito di Gesù Cristo! Gesù Cristo, che ha steso la mano per benedire i piccoli di entrambi i sessi e ha detto: “Chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me” (Mt XVIII, 5). – Quali sono i benefici che le madri devono a Cristo? Ecco il primo: la Vergine Maria, la cui figura esaltata dice a tutti gli uomini con quale alta considerazione dobbiamo trattare le madri. Tutto ciò che di sublime la Chiesa ha saputo creare nell’arte e nella liturgia, nelle immagini, nelle statue, nelle pietre preziose, nella musica, nel canto, nella poesia, lo ha posto ai piedi della Vergine Madre; e questo culto della Donna Benedetta, radicato in tutto il mondo, sta proclamando a gran voce il grande rispetto dovuto alle madri, soprattutto alle madri cristiane. “Madre cristiana!” Mentre scrivo questa parola un mare di sentimenti si agita in me. “Madre cristiana!” Mentre la scrivo, penso a tutti i dolori e alle fatiche di una vita piena di sacrifici. “Madre cristiana!” L’amore più grande che possa entrare in un cuore umano. Quanto l’umanità deve ai sacrifici delle madri! Non ci sono parole per descriverlo. Guardate il famoso scienziato, che è diventato tale grazie alle cure prodigategli dalla madre! Guardate il Sacerdote, come lo ha preparato l’amore di sua madre! Guardate la madre che veglia di notte al capezzale del figlio malato; guardate la preghiera delle madri, che sale incessantemente al cielo! Quanti altri esempi potremmo fare…! Considerate tutte queste cose e forse arriverete a capire cosa significhi l’amore di una madre cristiana. – In verità, tra i doni che Dio ci ha concesso, non ce n’è uno più eccelso di questo: aver avuto una madre fervente e cristiana. Donna che hai il titolo di madre, sii veramente una madre cristiana! Una madre è stata sepolta. La figlia sedicenne si precipitò verso la bara gridando: “Madre mia, portami con te!” Che lode per una madre! Che conforto ricordare una madre così!

II

Abbiamo visto a quale altezza Cristo abbia innalzato la dignità di una madre; studiamo ora come essa si sgretoli, come tale dignità perisca se si rinuncia a Cristo. Contempliamo una bella immagine della Vergine con il Bambino Gesù in braccio. Se dovessimo fare una statistica per sapere quale soggetto è stato più trattato dai pittori, credo che non potrebbe essere altro che quello della Vergine con Cristo, diverso da quello della Vergine con il Bambino in braccio. È la maternità, il compito più importante del mondo! Ma oggi viviamo in un mondo in cui si cerca in tutti i modi di privare la donna della sua più alta dignità. Oggi è di moda evitare la maternità, persino vergognarsi della maternità. Un simile peccato non è nuovo tra gli uomini; ma non è mai stato così diffuso come oggi, diventando addirittura uno stile di vita, un modo di pensare, un’intera mentalità anti-vita o contraccettiva. Come canta l’allodola nelle mattine di primavera; come gorgheggia l’usignolo; come cinguettano gioiosi gli uccelli canori di Dio! Perché, perché tutto questo? Per amore dei “piccoli”. Ogni canto, ogni nido, tutta la poesia della vita è per loro, per i pulcini. Anche il lupo più feroce, o la leonessa più feroce, rabbrividiscono di tenerezza quando si prendono cura dei loro piccoli nella giungla. Ma nella specie umana non è lo stesso, ci sono madri che guardano con orrore e persino con odio l’arrivo di una nuova prole, per chiudere la strada prima che i poveri piccoli abbiano avuto la possibilità di nascere. La bestia selvaggia si lascia uccidere per difendere i suoi cuccioli; la donna moderna fa il contrario, fa di tutto perché il suo bambino non venga concepito e, se viene concepito, che non nasca… con una freddezza spaventosa, per puro egoismo, perché non disturbi minimamente il suo benessere? Ecco quanto si abbassa la madre quando l’umanità si separa da Cristo. Essere madre ha sempre significato molta abnegazione, molta mortificazione, molti sacrifici; ma oggi significa non di rado avere un eroismo da martire! Se, in questi tempi, la moglie vuole essere madre, deve essere pronta a subire gli attacchi più duri. Il marito, l’amica, la vicina di casa, la portinaia, la sarta, la manicure…; tutti cercheranno, prima in modo cauto e subdolo, poi in modo palese, di farle capire che ciò che desidera è una temerarietà, una vera e propria barbarie, che i tempi non lo permettono. Madri, volete un pensiero che vi consoli in questi tempi? Pensate al severo rimprovero che Nostro Signore Gesù Cristo rivolse al fico sterile. Pensate alla Beata Vergine che, apprendendo per rivelazione dal cielo i misteri della sua divina maternità, scoppiò in un canto di gioia santa e traboccante: “L’anima mia glorifica il Signore… perché Colui che è potente ha fatto in me grandi cose…” (Lc 1, 46.49). Alzate gli occhi verso questa Madre Santissima, che ci mostra tra le sue braccia il Figlio amato, invitandoci a essere vere madri! Pensate all’umanità, perché siete il suo sostegno. E pensate anche alla patria eterna, che non potrete certo conquistare con i divertimenti, gli studi o il prestigio umano…, ma con l’alta missione a cui Dio vi ha chiamate, la buona educazione dei figli, come vi avverte l’Apostolo (I Tim II, 15), e compiendo fedelmente i vostri doveri di moglie e di madre.

* * *

Vorrei concludere queste righe con il caso tragico e sublime narrato nel libro II (capitolo XXI) dei Re dell’Antico Testamento. Saul, re degli Israeliti, aveva punito molto severamente i Gabaoniti; questi si vendicarono crudelmente crocifiggendo i suoi due figli e cinque nipoti sulla cima di un monte e, per rendere più dura la punizione, non permisero che fossero sepolti. Ed ora arriva una scena agghiacciante: Resfa, la moglie di Saul, appare e fa la guardia ai sette cadaveri per tutta la notte… per evitare che vengano fatti a pezzi dagli sciacalli. A tal fine, accende un fuoco e inizia a gridare per spaventare le bestie selvagge e farle fuggire… Sorge il giorno: i rapaci affamati si posano sui morti… e la donna lancia pietre contro di loro per tutto il giorno, affinché non si avvicinino… E così trascorre giorni e settimane, sempre di guardia accanto ai cadaveri dei suoi figli e nipoti. Per sei mesi! Alla fine i gibeoniti hanno pietà della madre e le permettono di seppellirli…. Che testimonianza del cuore di una madre! Eppure, in questo caso, la madre stava solo difendendo i cadaveri dei suoi figli morti. Voi, madri cristiane, difendete le anime vive e immortali dei vostri figli! Donne, siate orgogliose della vostra maternità, proprio ora che è così screditata. Prendete Nostro Signore Gesù Cristo come vostro Re, quando tanti Lo rifiutano. Madri: la vita familiare è malata, voi potete curarla! Madri, la vita sociale è malata e voi potete curarla! Madri, l’umanità intera è malata e voi potete curarla! Che il Signore del cielo faccia conoscere alle donne la grande missione a cui le chiama. Solo così il futuro della società e della Chiesa sarà sicuro.

CAPITOLO XXIV

CRISTO, RE DELLA MORTE

Cristo è Re non solo della vita, ma anche della morte.

La Chiesa dedica un mese intero, il mese di novembre, soprattutto ai defunti, e con questo ci dice di tenere sempre ben presente la morte. Dobbiamo dare sollievo ai nostri cari defunti, ma dobbiamo anche ricordare sempre la morte, in modo da acquisire la forza d’animo e la serenità che deriva dalla consapevolezza che siamo solo di passaggio. La Chiesa sembra indifferente quando ci grida: “Uomini! Ricordatevi dei vostri cari morti; ancor più: ricordatevi anche della vostra morte”. Ma ci parla della morte non per spaventarci, ma per incoraggiarci. I cimiteri ci annunciano la verità, anche se ci addolora; e per non farci disperare, la croce sta sopra le tombe. Cristo, re della morte, ci porta la resurrezione. Ma cosa ci predica la Chiesa nel ricordarci la morte? Ci predica una grande verità, una verità spaventosa: la vita dell’uomo su questa terra dura pochi decenni, e poi è finita. Tutti dobbiamo morire: io come voi. “Perché pensarci, perché rovinare il nostro buon umore”, si dice. E ci sono davvero molti che non vogliono pensare alla morte, in questo grave momento. Vivono come se dovessero vivere sempre in questo mondo, ma come si ingannano! Che si pensi o meno alla morte, ci si avvicina ad essa di momento in momento; la differenza tra l’uno e l’altro è che l’uomo che pensa spesso alla morte cessa di temerla. La morte è senza dubbio un potere spaventoso. Andate nei cimiteri…, cosa leggete sulle tombe? Che il bambino, l’uomo adulto, il vecchio, il potente come il debole, il povero come il ricco, tutti devono morire.

Ave, Cesare, morituri te salutant! Ti salutiamo, Cesare, noi che stiamo per morire. Questo è il grande grido che l’umanità grida incessantemente al passaggio della morte…; ma questo Cesare non lo perdona mai. Alza la mano per farci morire, non per esercitare la misericordia. Siamo condannati a morire dalla nascita. Il sonno, il cibo, i vestiti, il riposo, non sono che tentativi di sopprimere la morte. Alla fine essa vince! Quante cose ci dicono quei morti silenziosi: “Io ero come te, tu sarai come me”! Che ci si pensi o che lo si dimentichi, poco importa. “Vegliate, perché nell’ora che meno ve lo aspettate, il Figlio dell’uomo verrà”, dice il Signore. TALLEYRAND, il famoso politico francese, aveva molta paura della morte. La parola “morte” non poteva essere pronunciata in sua presenza. Non osavano dirgli della morte dei suoi migliori amici, tanto che non sapeva nemmeno che alcuni di loro fossero morti. Ma invano vegliava, invano si difendeva: un giorno si ammalò anche lui. Supplica il suo medico: “Le darò un milione di franchi per ogni mese che riuscirò a prolungare la mia vita”. Invano… Quando arrivò la sua ora, morì anche lui… “Quando venne la sua ora…” Come faccio a sapere che tra un anno non sarà arrivata anche la mia ora! “Chissà quando arriverà”, dice qualcuno per consolarsi? Sì, anch’io dico la stessa cosa, ma con un tono diverso: “Chi sa quando arriverà? Stiamo tutti in guardia, per evitare di fare la fine del maggiordomo di Re Salomone. È una vecchia leggenda. Si racconta che la morte bussò una mattina alla porta dell’intendente di Salomone e lo guardò in modo così strano, con tale sorpresa, che il potente cortigiano si sentì gelare il sangue nelle vene. Corse dal re: “Mio signore, grande re”, disse, “sono sempre stato un tuo fedele vassallo, non negarmi ora una richiesta: dammi il tuo destriero più veloce”. Il re non poteva rifiutare una simile richiesta e l’accolse. L’intendente saltò in sella al cavallo e…. Avanti, per fuggire in ogni caso!…. Per tutto il giorno spronò il suo cavallo ansimante…; voleva andare lontano… il più lontano possibile, per sfuggire alla morte… Quando scese la notte, cavaliere e cavallo si fermarono esausti per riposare un po’, lontano, sul ciglio della strada. Quando l’intendente salta, quasi senza forze, fuori dalla sella, mio Dio, cosa vede lì? Chi è seduto sul ciglio della strada, a guardare il cavaliere stanco? La morte. Il maggiordomo, esausto, si arrende al suo destino e dice: “Vedo che non posso scappare da te; eccomi, prendimi. Ma prima rispondi a una sola domanda: “Stamattina, quando sei entrato nella mia stanza, perché mi hai guardato con tanta sorpresa? – Perché avevo ricevuto l’ordine di prenderti al tramonto, qui, su questa strada. Sono rimasto sorpreso e mi sono detto: sarà una cosa difficile, quel posto è così lontano. Ma vedo che comunque sei venuto…”. La morte stava portando via l’amministratore. Cosa avverte il Signore… “Vegliate, perché il Figlio dell’uomo viene nell’ora che non vi aspettate” (Mt 24,42). La morte parla anche dell’orrore del peccato. La morte fa paura, perché? Perché la morte dell’uomo non faceva parte del piano originale di Dio, quindi cos’è il peccato agli occhi di Dio quando lo punisce con la morte? I nostri primi genitori, mangiando il frutto proibito, hanno mangiato anche la morte. Il piano originale di Dio prevedeva che anche il nostro corpo fosse immortale. Ma dopo il peccato, questo corpo è diventato fragile come un vaso di terracotta (è la stessa Sacra Scrittura a dirlo). E ancora più fragile: un vaso, se non viene danneggiato, può durare secoli. Ma la vita di un uomo è di circa “settant’anni, o forse ottanta”; in ogni caso, per quanto possa essere conservata, si risolve in un pugno di cenere. Che cosa sarà dunque il peccato, quando una tale punizione è stata meritata da Dio? Alla luce di questi principi, possiamo ancora avere un concetto frivolo della vita? I trappisti si salutano spesso in questo modo: Memento mori, “Pensa alla morte”. Anche noi dobbiamo meditare spesso su di essa. Soprattutto nelle ore di tentazione. – Lo specchio di NUMA POMPILIO, l’antico re romano, aveva un teschio come cornice con questa iscrizione: Hoc speculum non fallit: “Questo specchio non inganna”. Anche il pensiero della morte non inganna: sotto il suo suo influsso si dissipano molte tentazioni di peccato. Perché vivere da cristiano è talvolta difficile, e morire da Cristiano è facile: la morte, invece, è difficile per coloro per i quali la vita è stata facile. E la morte sottolinea la vanità del mondo. Essa proclama a gran voce la grande verità: non temere quando soffri, non fidarti troppo quando tutto va bene. – HORMIDA, un illustre persiano, si recò una volta a Roma, a quel tempo capitale del mondo. Al momento di congedarsi, l’imperatore romano gli chiese: “Cosa ne pensi di Roma? Non vorresti rimanere qui?” “Mio signore”, rispose il persiano, “in nessuna parte del mondo ho visto bellezze così ammirevoli. Ma se posso parlare sinceramente, vi dirò che queste bellezze non mi hanno abbagliato. Infatti, tra colonne, archi di trionfo, palazzi e templi magnifici, ho visto anche delle tombe; quindi gli uomini muoiono a Roma come in Persia? Quando ho scoperto questa verità, la bellezza più luminosa si è oscurata davanti ai miei occhi”. Questo persiano aveva proprio ragione. Anche io sono colpito da un pensiero ogni volta che mi trovo in un cimitero: “Se tutti questi morti, che riposano qui a migliaia, venissero ora resuscitati con il permesso di vivere, per esempio, per un anno, cosa accadrebbe? Vivrebbero con la stessa frivolezza, commetterebbero lo stesso numero di peccati della loro prima vita? Avrebbero una così bassa considerazione dei precetti divini? Sanno già che la bellezza, la ricchezza, la vanità, tutto, tutto passa”. Ma questo non è che un sogno di fantasia: i morti non possono tornare, non è più dato loro di riparare a ciò che hanno fatto. Ma si può ancora riparare. Pensate! Non avete forse offeso il vostro vicino, con il quale avreste dovuto fare pace? Non possedete denaro, oggetti di valore, che avete acquisito illegittimamente e che dovreste restituire? Non c’è nessuno a cui dovreste dire: “Oh, non fare, non fare quello che hai imparato da me? Potete ancora riparare a tutto. Non rimandate, non dite: lo farò. Non c’è potere al mondo capace di trattenere nel corpo l’anima che sta prendendo il volo: né le medicine, né le migliori cure prodigate ai malati, né i singhiozzi dei presenti; per quanto atroci siano le sofferenze che torturano il malato, egli non può morire prima, e per quanto possa ancora desiderare di vivere, non può vivere più a lungo di quanto la misteriosa legge di Dio gli permetta. Confessate, dunque, che è una follia pensare costantemente al corpo e trascurare l’anima! Non vedete come gli uomini dimenticano rapidamente i morti e come vanno facilmente a divertirsi quando lasciano il cimitero? Non capite come crolla rapidamente l’opera principale della vostra vita? Non pensate come coloro che non si sono mai stancati di lodarvi in vita vi dimenticheranno dopo la morte? Considerate, dunque, quanto sia pericoloso cercare il favore degli uomini e non cercare l’approvazione del Dio eterno. Per le stesse ragioni, la morte rende più importante la vita terrena. La morte non è la fine di tutto. Quando l’uomo muore, arriva il giudizio. “È tutto finito”, singhiozza la vedova mentre il marito morente esala l’ultimo respiro. Ah, non è così. Perché se fosse tutto finito… Ma non è finita. Al contrario: proprio morendo, siamo all’inizio: all’inizio della vita eterna. E tutto dipende da questo: come ho vissuto, in che stato sono morto. Spesso nei necrologi leggiamo queste parole: “Morto inaspettatamente”. Inaspettatamente? Ma quasi tutti noi non moriamo “inaspettatamente”? Non solo chi muore di infarto, ma anche la persona più gravemente malata, perché…. non si aspettava ancora la morte”. Tutti sappiamo che moriremo; ma tutti crediamo che non moriremo adesso. Pertanto, dobbiamo aspettarla, dobbiamo essere preparati. Non sapete dove vi aspetta la morte: aspettatela ovunque.

II

Le tombe ci ricordano la nostra morte! È qualcosa che ci rattrista, che ci toglie lo spirito. E cosa annuncia la croce sulle nostre tombe? Ci dice che c’è vita nell’aldilà, che Cristo è il Re sulla morte, perché Cristo è risorto dai morti e ha vinto la morte. Il cimitero è un terreno sacro, è il grande campo coltivato da Dio. I semi, le persone, sono stati seminati in esso affinché un giorno germoglino e si diffondano nella vita eterna. C’è una vita oltre la morte! Sì, chi vive per Cristo non teme la morte. – Il grande missionario SAN FRANCESCO SAVERIO morì consumato dalla febbre lontano dalla sua patria, su una piccola isola al largo della Cina, pronunciando queste parole: “Signore, in Te ho sperato; non sarò mai confuso”. – SAN CARLO in tutta la sua vita non fece altro che vivere per Cristo, ma guardò a Lui; così poté dire sul letto di morte: “Eccomi, vengo”. – SAN VINCENZO DI PAOLO morì con queste parole: “Che Egli stesso compia in me la sua santa volontà”. – SAN ANDREA AVELLINO sentì il colpo della morte sull’altare quando pronunciò queste parole, Introibo ad altare Dei: “Mi accosterò all’altare del Signore”. Durante le persecuzioni, un diacono in Africa stava giustamente cantando l’Alleluia pasquale dal pulpito, quando una freccia gli trapassò la gola e dovette finire l’Alleluia davanti al trono di Dio. Non importa… Cristo è il Re della morte! – Nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna, c’è un monumento tombale che affascina. In groppa a un destriero agitato, un giovane principe in cotta di maglia sale su una collina fiorita. Ai piedi della collina si trova una fontana. Dietro di essa si nasconde la perfida Morte; la sua falce è nascosta dai bellissimi fiori. Il cavaliere si china verso la fontana; i riccioli dei suoi capelli gli cadono sul viso; nello specchio limpido dell’acqua, la volta azzurra del cielo. Si alza in piedi. La morte è su di lui. Nessuno è ancora riuscito a sfuggire a un simile colpo… E trecento anni fa, un cavallo tornò indietro senza il suo cavaliere, e il suo proprietario fu sepolto in quella chiesa. Oggi mi fermo davanti al monumento. L’iscrizione è stata cancellata dal tempo e non posso nemmeno chiedergli: “Bel cavaliere, come ti chiamavi? Nel fiore degli anni sei stato colpito dalla morte!”. Ma la sua anima vive! Facciamo un passo avanti. Un ampio sarcofago di pietra nella Chiesa. Molto tempo fa le spoglie del potente re, dominatore del mondo, davanti al quale si prostrarono migliaia di vassalli, si ridussero in polvere; ora anche lui è polvere. Non ci fermiamo nemmeno davanti al suo monumento, perché altri ricordi ci chiamano. Le pareti sono piene di lapidi di marmo con iscrizioni dorate. Corona, trionfo, sfarzo, benessere, bellezza, giovinezza, potenza…; queste sono le parole che ci è ancora permesso leggere sulle lastre consumate dal tempo, e da esse scaturisce la lezione: tutto questo splendore, tutta questa gloria, appartengono ormai al passato. Ma le loro anime continuano a vivere! Premo la mia fronte ardente contro il marmo freddo e grido alle profondità delle tombe: “Tu, eroico capitano; tu, nobile giovane; tu, principessa dal bel viso; tu, re sovrano; tutti voi che siete qui ridotti in cenere, avete pensato alla morte durante la vostra vita? Se lo avete fatto, ora sarete contenti di averlo fatto…”. Nessuno risponde, non sento altro che il battito del mio cuore. E nel momento in cui il pensiero schiacciante della morte mi opprime, sull’altare maggiore si sente il Vangelo della Messa per i morti: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv XI, 25-26). Parole consolanti! …. La Santa Messa continua e risuona il mirabile prefazio: “È veramente giusto e necessario, è nostro dovere e nostra salvezza renderti grazie sempre e dovunque, o Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Nel quale rifulse per noi la speranza della felice risurrezione, affinché noi, che siamo rattristati dalla certezza della morte, fossimo confortati dalla promessa della futura immortalità. Perché per i tuoi fedeli, Signore, la vita non si spegne, ma solo si trasforma, e mentre la nostra casa terrena si sgretola, acquistiamo una dimora eterna in cielo…”. Cristo è la risurrezione e la vita. La nostra vita non si spegne, ma viene solo trasformata e ci viene preparata una dimora eterna in cielo. Cristo, nostro Signore Gesù Cristo! Tu sei anche il Re della morte!

* * *

Il momento della morte è difficile. Nessuno, per quanto vicino, può aiutarci a superarlo. Dobbiamo intraprendere da soli il cammino più difficile della nostra vita. Tuttavia… c’è una mano a cui possiamo aggrapparci. Una mano che è stata trafitta sulla croce. Una mano che ha teso la mano della misericordia al ladrone crocifisso. Una mano che si è posata nel perdono sul capo della Maddalena pentita…. La morte è una cosa terribile. Ma coloro che sono guidati da Cristo lungo il difficile cammino della vita non saranno oppressi; la prova non sarà difficile per loro. Come faccio a saperlo? Me l’ha detto una bambina. Una bambina malata. Uno dei miei colleghi Sacerdoti fu chiamato a confessare una bambina che stava morendo. La bambina era malata da tempo; sapeva che la morte si stava avvicinando; ma era così tranquilla che il Sacerdote le chiese: “Non hai paura della morte, bambina mia?” “Prima la temevo, ma da quando è successa quella cosa della vespa, non la temo più”. “Della vespa?” “Beh, sì. Ero seduto in giardino e all’improvviso è arrivata una grossa vespa che ronzava, ronzava e io avevo paura che mi pungesse…; ho gridato: Mamma! E mia madre mi ha sorriso e mi ha abbracciato, coprendomi completamente, e mi ha detto: Non avere paura, piccolo mio. E la vespa svolazzò… e ronzò…, salì sul braccio di mia madre e la punse…, e mia madre continuò a sorridermi: “Non ti fa male, vero? Guarda, sarà così anche con la morte, non ti farà male, perché il suo pungiglione è stato spezzato prima nel Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo. Da allora non ho più paura della morte!”. – Che Nostro Signore Gesù Cristo ci conforti quando arriva la nostra ora e ci faccia vivere il pensiero che il pungiglione della morte è stato spezzato nel Suo Cuore…, nel Suo Sacro Cuore.

VIVA CRISTO RE (20)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (13)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (13)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

VII.

IL GRAN CIARLATANO.

Giovani miei, già incomincio a sospettare che la Coda voglia riuscirmi più lunga della BESTIA. A dir vero, gli è un argomento quel che ho a mano, che dà luogo ad esempi ed applicazioni senza numero. D’altra parte vi confesserò una mia debolezza: quando parlo o scrivo a’ giovani….. non so… mi pare anch’io ringiovanire, mi s’allarga il cuore, mi s’affollano le idee, e le parole, v’assicuro, non si fanno tirare. Ma bisogna che mi moderi, che rifletta, che non mi lasci trascinare. Mi proverò tutto quel che posso. –  Vi parlai nel precedente libretto del mondo che a taluni fa tanta paura, e dietro la scorta d’un predicatore alla buona, vi ricordate a che l’abbiamo ridotto. Ora aggiungerò: ciò che il rende imponente e pauroso agli animi volgari, sapete che è? La serietà, la franchezza, la prosopopea magistrale con che divulga ed espone i suoi dettami e le sue massime. Vedete quel ciarlatano sulla piazza; quanta gente gli s’accalca d’attorno! – E vedete come tutti stanno fissi, attenti, colla bocca aperta, e vevono  e bevono… che cosa ? un fiume di ciance e d’imposture.. — Ma possibile; tanto allocchi … Che volete? e’ le sballa con tanta franchezza! … – Così è il mondo, e vi bisogna star bene all’erta; miei cari giovani: quelle  ch’egli spaccia con maggior solennità sono per lo più le più solenni castronerie. Qui più che mal fa mestieri discendere alla pratica. – Vi ricordate. ancora di. Quel giovanottino infelice, che vi feci vedere  nella mia lanterna magica battersi con quel villan barbuto e lasciarci misero! la vita?… Ebbene, chi gli ebbe imposto in sì giovane e bella età un sì duro sacrificio? Il gran ciarlatano; il mondo. E che dicevagli il mondo? Che il battersi così era da generoso e da forte; ricusarsi., da vigliacco. Dio buono! che. stravolgimento!…. Ma prima di credere e lasciarvi imporre di sì bestiali dottrine… l’avete voi la ragione? Ebbene adoperateci un po’ su la ragione, e vedrete. Forse che il sangue umano è tal liquido, che lavi le macchie dell’onore?…. O non è anzi vero che il contaminarsene le mani è la maggior dell’infamie?… Va là, omicida; mi metti orrore! che per una parola, per l’insulto d’un momento, che solo fossi un po’ filosofo, ti saria stato “Come l’insulto di villana ‘auretta.;, d’abbronzato guerriero in sulla guancia”, non hai dubitato piantar una lama nel cuore del fratello. Orrore; orrore! Viassù! pasciti nella vista dell’infelice tua vittima; or che l’hai atterrata a’ tuoi piedi. Vedi come caldo sbocca da larga ferita il sangue! Bevi, saziatene, omicida!… guata quel volto pallido, quelle chiome arrovesciate, quello sguardo errante, quel lento boccheggiare; quel rantolo…. Ma sta; sentesi uno strido., un urlo prolungato… Dio; Dio! è una madre, una sposa; son bamboli innocenti che gridano vendetta… Tu fuggi? Ah lo senti ora, disgraziato! lo senti che se’ diventato un Caino!…. Or va e credi al mondo.  Pure il mondo per sì poco non si sbigottisce, e dopo tanti fiumi di sangue che ha fatto spargere colle stolte sue massime, freddo e tranquillo pur ripete: chi non si batte infame. – Vo’ smentirlo con un bell’esempio, che lessi, non ha molto, nella strenna d’ogni mese, che si pubblica a Firenze da un bravo e valente amico de’giovani La sera del dì 15 settembre 1846 in un casino di campagna presso Santiago di Cuba, cenavano allegramente col capitano inglese Starldey parecchi americani e spagnoli, che dovevano partire al domani con lui per la Giamaica; e come il capitano recava a quel viaggio parecchi negri da lui fatti liberi, cosa che quegli americani, fautori della schiavitù, vedevano di mal occhio, vennero con lui a tal questione; che presto degenerò in animatissimo alterco; a mezzo quale certo il De Pastro avendo lanciata una villana ingiuria contro lai Regina d’Inghilterra che vieta la tratta de’ negri, il capitano Starkley non poté più contenersi, e levatosi in furia e dato di piglio ad un bicchiere, l’avventò contro il De Pastro, dicendogli: Sciagurato! così parli della mia regina?…. Tutti si levarono in tumulto; il De Pastro faceva sangue dal viso: ma più che quella ferita gli cuoceva l’ingiuria; di che pensando satisfare all’onor suo, sfidò a duello il capitano. – Quella sfida parve a tutti (amici e devoti quali erano della BESTIA) la cosa più naturale del mondo, e non che opporsi, mostrando apertamente d’approvarla, chi si esibiva padrino, chi proponeva l’ora, il giorno, il luogo, fin l’armi. Anzi (a proposito dell’armi) vi fu lo zelante, che tratte fuori due pistole belle nuove e lucenti, le mise sulla tavola sotto gli occhi del signor Starkley. Il quale, mostrato il suo dispiacere d’avere in quell’impeto subitaneo ferito il De Pastro, e chiestogli scusa del suo trasporto: Quantoal duello, soggiunse, non posso accettare, perchè… perchè lo stimo, un delitto. — Perchè sei un vile! — gli ripicchiò furibondo l’avversario. A quest’insulto il capitano sentì come una vampa di fuoco salirgli alla testa, gli si oscurò un tratto la vista, e tremava come una foglia. Pur si contenne, e per quella sera non ne fu altro. Al domani egli era pronto sul suo vascello; il Nettuno, ad accogliere i passeggeri. Gli sfilavano davanti i commensali della sera innanzi e il guardavano con cert’aria di compassione. Il capitano dissimulava. Ma allorchè passando il De Pastro gli lanciò contro la seconda volta la parola vile, il capitano afferrollo pel braccio e con voce alta e concitata, che tutti e passeggieri e marinai poterono intendere: — Signor De Pastro (gl’intimò), vi prego a ricordarvi che qui son capitano; o rispettate la mia autorità, o vi metto agli arresti. – Di lì a poco dava il comando di salpare. Sul legno tutto era in ordine, regolarità, disciplina perfetta: il capitano era esperto del suo mestiere, e uso da lungo tempo a farsi obbedire. E già dopo pochi giorni di prospera navigazione, s‘avvicinavano all’ isola di Giamaica; quando di nottetempo, mentre i passeggeri tranquillamente dormivano, s’ode un grido: al fuoco! Al fuoco! — Tutti si levano in sussulto, salgono sulla tolda, veggono con spavento con ispavento levarsi da poppa globi di fumo misti a scintille; quindi un urlo prolungato, e pianto di femmine, e strillar di bambini, e correre qua e là, e chiedere l’un altro e cercarsi e urtarsi e chiamarsi. a vicenda … Ma ecco in buon punto farsi avanti il capitano Starkley, e con voce stantorea:— Fermi tutti; sentite. Il mozzo ubriaco appiccò il fuoco all’alcool; la stiva è in fiamme, né v’ha speranza d’estinguerlo; bisogna salvarci prima che il fuoco: giunca alle polveri. Qui un nuovo urlo di terrore. I marinai si slanciano alla scialuppa per fuggire. — Fermi, ho detto (ripiglia con voce tuonante il capitano); chi primo osa infrangere i miei ordini, una palla di piombo. — E mostrò la bocca della pistola: l’argomento fu efficace; i marinai tornarono al dovere. — Ora s’allestisca la scialuppa grande, ripigliò il capitano. E come fu pronta, piantatosi al luogo della calata con a foanco quattro de’ più robusti marinai: – vengano prime le donne, i vecchi ed i fanciulli. — I chiamati s’affollarono e mentre scendevano uno dopo l’altro n vietato nella scialuppa, s’ode in fondo al vascello un sordo scoppio e levarsi come lampo le fiamme. Tutti i passeggeri per un moto istintivo si precipitano verso la scala, il De Pastro tra i primi, che malamente urtando una fanciulla per poco non la trabalza nel mare. Il capitano lo respinse di forza con ambe le mani, e: — indietro, signor De Pastro! indietro tutti!…. Marinai, il primo che muove gettatelo in mare. – Così tornato l’ordine, aiuta a discendere le donne, e come la scialuppa fu piena: — tagliate la corda e andate al nome di Dio, voi siete salvi. Presto, l’altra scialuppa. — La scialuppa fu tosto pronta. — Vengano gli altri passeggieri. Signor De Pastro; venite pure, ora è la vostra volta. Il De Pastro gli passò davanti umiliato e confuso; i compagni che la sera avanti avean preso le sue parti, ora sfilavano davanti all’intrepido Starkley, quale stringendogli la mano, quale rallegrandosi con lui: — bravo, signor capitano! così va fatto. Voi siete un uomo! Ed egli: — non è tempo di complimenti. Lesti, scendete. E come vide piena e in salvo la seconda scialuppa: — Ora a noi (disse volto a’ marinai); è pronto lo schifo? — Pronto. — Scendete. Lo schifo era piccolo, i marinai vi capivano a stento. Potete ricevere ancora una persona? chiede loro il capitano. I marinai credendo dicesse di sé, benché lo schifo minacciasse far acqua: — Si, venga, signor capitano. — A queste parole Starkley si china, piglia di peso, come fosse un sacco, il mozzo briaco e addormentato che aveva appiccato il fuoco e porgendolo a’ marinai: — Giacché c’è posto, pigliate ancora questo disgraziato. — Consegnatolo; tira un respirone e: — Lodato Dio! tutti salvi. — E lei, signor capitano?…. gli chiedono i marinai impazienti di sferrare. — Basta; il mio peso vi farebbe pericolar tutti. Lesti, partite; e se incontrate qualche barca, avvertitela che qui ci ha ancor una vita da salvare. Lo schifo partì: il capitano rimase a guardar le fiamme che si levavano stridenti e vorticose all’altezza dell’albero, e sempre avanzandosi s’appressavano alla polveriera. S’aspettava da un istante all’altro il terribile scoppio, e raccomandavasi a Dio. Ma Dio vegliava sulla vita. del prode. Una barca che da lontano aveva scorto l’incendio giungeva in tempo a salvare l’intrepido capitano, che marinai passeggieri ed isolani accolsero con grida frenetiche alla spiaggia, come fosse un Dio salvatore. In quel momento certo non venne in mente a nessuno (neanche al De Pastro, ci scommetto) che il capitano Starkley fosse un vile. E voi, cari giovani, che ne pensate?

VII

DOPO IL DUELLO IL SUICIDIO.

Ora dirò d’un altro duello accaduto anni Domini in una città d’Italia nostra, che per dengi rispetti non si nomina.  Trovavansi a ciaramellare parecchi giovinotti in un caffè. Un bizzoso, di nome Federico, punto da non so che celia di Martino, lo sfida a duello, e Martino: — Accetto, risponde. Si fissa il dimani, ora, luogo, padrini… E l’armi? — L’armi, tocca a me la scelta (risponde Martino): le porterò dimani sul luogo. — Così intesi, si separano. Al dimani alle dieci del mattino in un pratello remoto chiuso di folti alberi all’intorno, irrigato da un canaletto d’acque limpide e freschissime, Martino se la passeggiava su e giù col padrino, aspettando il rivale; e novellavano tra loro di non so che, così lieti e spensierati, che nessuno avrebbe detto: son li per un duello. Di lì a poco arrivano parecchi compagni, anch’essi allegri e ridenti. Martino gli accoglie con festa li fa entrare in un folto di roveri li presso, e: — cheti (lor dice); appena vedrete rosseggiare «il primo sangue… siamo intesi. — Gli amici rispondono che sì, e s’appiattano. Martino si rifà daccapo a misurare passeggiando il campo, e non avea dato ancora due volte, che sì vide comparire, con al fianco il suo bravo, padrino, Federico; vestito a nero, con guanti bianchi, viso pallido, capelli rabuffati, occhi stravolti…. Poveraccio! ei non aveva chiuso occhio tutta la notte; agitato dal pensiero del duello, occupato a scriver lettere, ordinar suoi affarucci, stendere una specie di testamento e (cosa più ghiotta) certa letterina profumata…. che diceva così: — Un villano insulto da vendicare mi strascina a duello. Se soccombo, ricorda il tuo Federico, e che per non rendersi indegno di te, ha sacrificato all’onore la vita. — Giunto dunque sul luogo, e abboccatosi col rivale: — suvvia, l’armi! dimanda con feroce cipiglio. E Martino: — eccole!… e trae dalle tasche due salami lunghi un braccio. E come l’altro mostravasene scorrucciato; quasi di scherno: — Se queste non accetti (entra a mezzo il padrin di Martino) non potrai rifiutare quest’altre…. E presenta due bottiglie di Madera: — Oppure queste! Sottentra l’altro padrino, ch’era anche lui della cricca; e ne mette fuori due altre di Sciampagna. Federico, al vedersi così assalito, tradito dal suo stesso padrino, rimane allocco. I compagni nascosti, visto il segno del sangue, cioè il vino, saltano dalla macchia, traggono fuori anch’essi alla lor volta, chi pane, chi frutta, chi cacio, chi un bell’arrosto; e tutti dattorno all’eroe trasognato, si mettono a fare un diavoleto, che, volere o no, gli fu forza accettare quella nuova maniera di sfida; e così tutto finì con un’allegra merenda, sdraiati sull’erba, al rezzo delle piante, al canto degli uccelletti, al mormorar del ruscello… Che cosa volete di più poetico? non sarebbe proprio da farci un sonetto?… Provatevi; io ripiglio il mio discorso e dico che di certe massime storte la miglior cosa è farne commedia; e quanto più il mondo mostra spacciarle sul serio, più farsi animo a ridergliene sul muso. E quel che ho detto del duello s’ha ad intendere (chi ne dubita?) di quell’altra barbarie del suicidio, divenuta anch’essa, in questo che chiamano civilissimo secolo, purtroppo comune. E non dico già che l’umano rispetto ne sia la sola cagione: e c’entra senza dubbio e il bollimento delle passioni e la frenesia del godere, e il contagio dell’esempio, e l’estinguersi della fede… Che volete faccia, al sopravvenirgli di grave sventura, un miserabile, ché tenendosi bestia senz’anima immortale, aveva posto ogni sua beatitudine ne’ godimenti della vita? Davvero, dacché è infelice, o sel crede, non ha più ragione d’esistere costui: quindi padrone d’andarsene, la commedia è finita per lui. Ma il mondo in questo spaventoso moltiplicarsi di suicidi ci ha anch’egli la sua parte; che, oltre al predicar che fa: beati i ricchi! beati i godenti! e favorire le nuove dottrine che ci pareggiano al ciacco, applaude per lo più o il men che sia, scusa assai facilmente i vigliacchi che fan getto della vita. E apposta li chiamo vigliacchi, che non hanno coraggio a sostenere il peso della sventura; e li metto con que’ soldati che disertano il campo quando più ferve la battaglia, e incalza il pericolo. Questi soldati cosiffatti come li chiamate? vigliacchi e infami, non è vero? E infame e vigliacco è dunque il suicida. Domandatene a Virgilio, che addisse ad eterni cruciati coloro … Qui sibi lethum …. peperere mani, lucemque perosi, Proiecere animas. Domandatene. Dante che creava un cerchio del suo Inferno apposta per quelle anime feroci che da se stesse sî divelgono dal corpo, e le puniva incarcerandole in arbusti spinosi. Così la pensano i savi, così, d’ogni saviezza maestra, la Chiesa, che al suicida volontario, come a chi muore in duello, nega i pubblici suffragi e l’ecclesiastica sepoltura. Sebbene; quanto a Dante, se in leggendolo siete giunti almeno al principio del Purgatorio, vi avrà scandalizzato non poco, come accadde a me da ragazzo, quell’abbattervi nel suicida Catone, posto, lì dal poeta, quasi a guardia e custode del sacro monte. Ma non confondiamoci, giovani miei; l’idea che ha Dante dei suicidi si par chiara abbastanza dall’averli messi a dirittura tra’ dannati. Quanto a Catone, ci sta qui, non come persona reale, ma com’essere allegorico; convien quindi spiegarlo in conformità all’allegoria del poema; quell’allegoria, dico, cui Dante stesso accenna nella sua famosa lettera a Can Grande della Scala, quella che seguirono fedelmente gli antichi commentatori; ed è schiettamente religiosa e morale. Or secondo questa (ponete mente) Dante che, smarritosi nella selva selvaggia e aspra e forte n’esce con Virgilio a visitar l’inferno, ci significa l’uomo vizioso e peccatore, che atterrito alle funeste conseguenze del vizio, fa sforzo di levarsene per avviarsi al sentiero della virtù. Questo sforzo, il più bello e per avventura il più penoso che uom possa fare, ci è figurato in Dante medesimo, che tocco il basso fondo dell’inferno, s’appiglia alle vellute coste dell’immane Lucifero, e scende con Virgilio, … di vello in vello tra il folto pelo e le gelate croste; finché giunto all’anche del mostro, che rispondono al centro della terra quivi (vedete fatica di chi spogliasi il vizio e mutasi in altro uomo) … con pena e con angoscia, Volge la testa dove avea le zanche; e pur seguitando a salir pelo pelo, riesce all’emisfero di là, dove sorge il monte del Purgatorio, simbolo del cammino della virtù. Qui appunto a guardia del sacro monte, trova Catone, quel Catone, che, udita la vittoria di Cesare; né volendo soggiacergli, per amor di libertà si sciolse volontario dai legami del corpo. Di che potete facilmente scorgere, come questo suicidio catoniano ci sta qui, non propriamente per suicidio, ma come simbolo espressivo di quel nobile sforzo che ho detto, per cui l’uomo, dianzi vizioso, si libera dalla schiavitù del corpo e delle passioni, per volgersi a virtù e rivendicar. lo. spirito immortale alla vera libertà dei figli di Dio. – Menatemi buona questa digressione letteraria, a cui so io perché mi son lasciato andare, e mi rimetto tosto in careggiata.

VIVA CRISTO RE (18)

CRISTO-RE (18)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXII

CRISTO, RE DELLA DONNA

All’inizio del quinto secolo dopo la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, Roma stava attraversando giorni luttuosi: dopo essere stata devastata dalle migrazioni di vari popoli, le truppe di Alarico avevano infine depredato la città, un tempo potente, lasciandola nella miseria dei mendicanti. I nobili pagani rimproverarono aspramente i Cristiani. “Voi siete la causa di tutto questo”, dicevano. “Noi? -, disse Sant’Agostino nel suo libro De civitate Dei, “noi, per aver abbattuto gli idoli? Al contrario: è perché ci sono ancora troppi idoli, perché voi credete ancora in essi. Per questo ci è capitata la disgrazia”. – Anche il mondo moderno scricchiola: è perché siamo Cristiani? Al contrario: perché non lo siamo, perché non seguiamo abbastanza Cristo. L’umanità, la società, la famiglia moderna hanno ancora troppi idoli. L’idolatria continua intorno a noi, abbiamo criteri pagani, abbiamo un concetto di vita completamente pagano, idolatriamo i piaceri, alla maniera dei gentili; per questo il mondo sta crollando. Abbiamo già visto nei capitoli precedenti dove andrà a finire l’umanità se si separerà da Cristo. Ora arriviamo ad un argomento nuovo e molto importante. Tratteremo la grande questione della donna, con questo titolo: Cristo, re della donna. – La “questione della donna” è senza dubbio uno dei problemi più banali del nostro tempo: il medico, il politico, il sociologo, il teatro, la letteratura parlano della donna; anche il Sacerdote deve parlare della donna. Esaminiamo il concetto di Gesù Cristo e della sua Chiesa nei confronti della donna. Vorrei chiarire due punti: I. A che punto è arrivata la donna con Cristo e II. Cosa ne sarebbe della donna senza Cristo.

I

Che cosa deve la donna a Cristo? Basta guardare la sua sorte prima che il Verbo si facesse carne: che vita umiliante aveva persino nella colta società greca! È noto che la maggior parte degli abitanti della Grecia era costituita da schiavi. Poiché agli schiavi era generalmente vietato sposarsi, ciò significava che la maggior parte delle giovani greche non poteva sposarsi. Pertanto, ciò che le aspettava era uno spaventoso degrado morale. E se una schiava si sposava, il suo matrimonio poteva essere sciolto a piacimento del padrone. La condizione delle donne delle classi superiori non era migliore. Il giovane greco era arricchito da tutta la cultura spirituale del suo tempo, mentre le ragazze sapevano solo ballare e cantare. Data questa grande differenza spirituale, non era possibile per l’uomo e la donna avere un rapporto ed un’unione perfetta, quella completa armonia senza la quale non è possibile una vita coniugale felice. Non è possibile una convivenza coniugale felice. Soprattutto se consideriamo che non è stato il giovane a scegliere la moglie, ma il padre. – E la situazione della donna nel matrimonio? Aveva un alloggio separato in casa e non poteva lasciare la dipendenza dalle donne, se non per le pratiche religiose; c’erano guardie speciali perché la donna non potesse mai uscire di casa. Quando il marito voleva divorziare, era libero dalla moglie. La moglie non poteva stipulare contratti d’affari, non poteva comprare, non poteva servire come testimone. Quando rimaneva vedova, il figlio maggiore era il suo tutore. Trovava almeno la sua gioia nei figli? Nemmeno in loro. Il padre aveva il diritto di decidere, il quinto giorno dopo la nascita del bambino, se voleva accettarlo o se preferiva mandarlo via a morire di fame. E quando il bambino era malato o il neonato era una femmina, non era difficile per il padre prendere una decisione in merito. Oggi è più difficile per la casalinga scegliere quale gattino tenere tra quelli appena nati. È spaventoso, ma è così che era. La donna greca non aveva dignità, non aveva libertà, non era amata e veniva privata di ogni tipo di diritto. Che il popolo greco, all’apice della sua cultura, sia rimasto indietro in termini di umanità e di elevazione morale, non lo attribuiamo al popolo stesso, ma alla meschinità umana, che vacilla nelle tenebre se non è illuminata dalla luce di Cristo. – E se questa era la sorte delle donne presso i popoli più civilizzati dell’antichità, cosa possiamo aspettarci dai popoli barbari? Possiamo meravigliarci che gli uomini si comprassero le mogli a vicenda e che il padre vendesse la figlia al pretendente? Che fosse in voga la poligamia? Che tutto il peso del lavoro fosse scaricato sulle donne? Buia, molto buia era la notte della donna prima di Cristo! E questa notte buia viene improvvisamente illuminata dalla debole luce della stella di Betlemme. Cristo sta arrivando; gioite, tutti voi oppressi, tutti voi peccatori, i poveri, i bambini, le donne…; gioite! Che cosa deve la donna a Cristo? In primo luogo, che l’uomo si sia degnato di parlarle come ad una persona di pari livello. Questa proposta non deve sorprendere nessuno. Agli scribi e ai dottori giudei era vietato parlare con una donna, anche se era loro sorella. Nostro Signore Gesù Cristo ha infranto questa regola umiliante. Cosa ci dice la Sacra Scrittura nel descrivere la scena in cui Gesù Cristo parla con la Samaritana? Quando i discepoli tornano dalla città e trovano il Signore che parla con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, la Sacra Scrittura dice: “I suoi discepoli si stupirono che egli parlasse con quella donna” (Gv IV, 27). Ma il Signore non ne fu turbato e questo fu un passo decisivo a favore della valorizzazione e dell’emancipazione della donna. Ci sono, inoltre, le bellissime parabole del Signore, in cui ricorda così spesso in tono affettuoso i dolori, le sofferenze e le fatiche della donna. Socrate, il grande saggio, quando iniziava a parlare di filosofia, faceva uscire le donne dalla stanza, perché non disturbassero la saggezza degli uomini; invece Cristo, la luce del mondo, salutava con gentilezza le donne del suo pubblico. Cristo, la luce del mondo, ha salutato con benevolenza le donne del suo pubblico, le madri, dando così l’impressione che anche loro hanno un’anima immortale di valore pari a quella degli uomini. Cristo è davvero il Re delle donne. E devo ricordare altre azioni del Signore, e devo sottolineare ancora di più il cuore amorevole di Cristo? Guardiamolo, allora, quando risuscita il figlio della povera vedova di Naim; quale compassione deve aver provato per quella madre piangente! Guardiamolo quando, sotto il fuoco degli sguardi scandalizzati dei farisei, parla amorevolmente alla Maddalena pentita, così vergognosa delle sue colpe; quale compassione deve aver provato per lei! Ascoltiamo come confonde l’orgoglio dei farisei mentre trascinano la donna peccatrice in piedi per essere lapidata; con quale amore perdonante le parla! E guardiamolo quando, portando la croce e coperto di sangue, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di conforto, dimentica se stesso e consola le donne che piangono. Oh, dobbiamo ancora insistere su ciò che le donne devono a Cristo, che le scelse, quelle che erano andate a visitarlo al sepolcro, per essere le prime a sapere che era risorto e per portare tale lieta novella agli Apostoli? – E come Cristo ha rispettato le donne, così ha fatto la Chiesa, il Cristo mistico che continua a vivere in mezzo a noi. È impossibile enumerare la ricchezza delle benedizioni che scaturiscono dall’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle donne. Già nei primi secoli del Cristianesimo la Chiesa si servì delle donne, che Dio aveva dotato di qualità meravigliose, per esercitare ovunque la carità cristiana in tutte le sue manifestazioni; inoltre, nel Medioevo permise loro di entrare nelle accademie. Pertanto, l’educazione spirituale, l’istruzione e l’elevazione delle donne non è un’opera dei tempi nuovi, ma del Medioevo cattolico, al quale viene dato l’ironico appellativo di “oscuro”. Abbiamo dati che lo dimostrano. Ne abbiamo la prova da quanto Rousseau scriveva a D’Alembert e gli diceva che le donne non possono avere né talento né senso dell’arte; quando Kant proclamava ai quattro venti che a una donna basta sapere che al mondo ci sono altri universi e altre bellezze oltre a lei; già allora, e anche molto prima, nel XII secolo, la Chiesa aveva promosso le donne a cattedre nelle Università di Salerno, Bologna e Padova. – È stato Gesù Cristo a mostrare per primo la bellezza dell’anima femminile, ed è grazie a Cristo che la donna è diventata ciò che è oggi: una compagna dell’uomo, una consorte di pari grado con lui. Solo il Cristianesimo ha riconosciuto come nessun altro la bellezza dell’anima femminile – la Vergine Maria ne è il massimo esempio – e le straordinarie qualità di cui Dio le ha dotate: grande cuore, tenerezza, bellezza, capacità di dedizione e di sacrificio, delicatezza d’animo, fine sensibilità per la cura delle persone, soprattutto dei più piccoli e dei più deboli, ecc.

II

Ma a questo punto del nostro ragionamento ci viene in mente un’altra importante domanda: questo altissimo concetto di donna vive nella coscienza dell’uomo moderno, e soprattutto nella coscienza della donna stessa? Ed è con dolore che notiamo che l’alto concetto cristiano, spesso per colpa delle donne stesse, sta perdendo sempre più il suo contenuto e suona sempre più come una frase vuota di giorno in giorno. Un filosofo disse una volta che una frase altisonante è come una nocciola svuotata; cioè è un guscio senza nocciolo, un nido senza uccello, un guscio di lumaca, una casa senza abitante. Con dolore dobbiamo constatare che anche l’ideale di “donna” rischia di non essere altro che una di queste frasi vuote. Nel mondo cristiano la donna significava qualcosa di sublime; oggi ha perso molto del suo antico significato e del suo pieno contenuto. Sono in voga tre concezioni della donna: una è fondamentalmente umiliante; l’altra, superficiale; la terza è la concezione seria, cristiana. La prima – la più umiliante – è la concezione che ancora rimane dell’antico mondo pagano. Voglio solo citare un esempio molto tipico. Lo Scià di Persia si recava spesso a Karlsbad, per godere delle magnifiche terme, ed era ovvio che, all’arrivo, le sue numerosissime mogli venissero portate in auto chiuse dalla stazione all’albergo, vi rimanessero chiuse per tutto il tempo e, al momento della partenza, venissero nuovamente portate in auto chiuse alla stazione. Una vita per le donne peggiore di quella dei segugi. A cosa arriverà la donna senza Cristo! Perché una concezione così vergognosa della donna non è purtroppo un’esclusiva dello Scià di Persia o degli sceicchi musulmani. Molti uomini, che si definiscono moderni, vedono nella donna nient’altro che un oggetto di piacere, una deliziosa bambola da intrattenimento; qualcosa da usare e da buttare, come è evidente dal gran numero di madri nubili nella società, vilmente ingannate da uomini che dicevano di amarle; o è evidente dal gran numero di divorzi che hanno luogo, in cui l’uomo spesso ripudia la moglie perché ha perso l’attrattiva che aveva da giovane. – Qual è il criterio del Cristianesimo in questa materia? Esaminiamolo con attenzione; vediamo cosa contiene l’Antico Testamento riguardo all’uomo e alla donna. Dopo la caduta dei nostri primi genitori, abbiamo sentito le parole del Signore: “Poiché hai obbedito alla voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo proibito di mangiare, sia maledetto il suolo per causa tua: con grande fatica ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te…. Mangerai il pane con il sudore della tua fronte, finché non ritornerai al suolo… perché polvere sei e in polvere ritornerai” (Genesi III, 17-19). Questa è la missione dell’uomo, secondo il comando di Dio. Noi uomini dobbiamo scavare la terra, lavorare duramente. Scaviamo il ferro e il carbone dal fondo delle miniere; gestiamo la vita industriale e di fabbrica; seminiamo e raccogliamo il raccolto; estraiamo la pietra e costruiamo le case; costruiamo ponti sui fiumi potenti, perforiamo le rocce per formare gallerie, scaviamo la terra per fare il canale…. Vedete qui: secondo la volontà di Dio, l’uomo è l’operaio del mondo. E la donna? Ascoltiamo le parole del Signore: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto adatto” (Gen, III-18). E Dio creò la prima donna, ricavandola dalla costola dell’uomo. E l’Eterno continua, dopo la caduta: “Farò in modo che le tue fatiche siano tante quante sono le tue gravidanze: partorirai figli con dolore. Sarai attratta da tuo marito ed egli dominerà su di te” (Gen. III, 16). Questa, ovviamente, non era la volontà di Dio; questi sono i frutti del peccato, cioè dell’egoismo. Che cosa dobbiamo pensare della donna? Dobbiamo chiederlo a Colui che l’ha creata. “Le darò un aiuto adeguato”. La donna, dunque, è l’aiuto e la compagna dell’uomo. Come può aiutare l’uomo? Soprattutto utilizzando le qualità che Dio le ha dato per svolgere determinati compiti, attraverso la sua funzione di madre e di educatrice dei figli. È responsabile soprattutto della cura della casa, della cura dei bambini, della cura dei malati. Il lavoro duro è compito dell’uomo; per la donna è soprattutto la cura dei figli e i lavori domestici. Può dunque esserci uguaglianza tra uomini e donne? Sì; davanti a Dio, la donna e l’uomo sono completamente uguali in dignità: entrambi hanno un’unica anima e un unico fine eterno, ricevono gli stessi Sacramenti, anche se in parte hanno qualità diverse. – L’uguaglianza non consiste nel fatto che la donna cerchi di imitare in tutto ciò che fa l’uomo. No, no, questa non è l’uguaglianza voluta da Dio! Come faccio a saperlo? Lo so perché Dio è il Dio dell’ordine; e non ci sarà ordine finché non ne comanderà uno solo. Non ci possono essere due teste in casa. Pertanto, la donna – non per merito suo, ma per volontà di Dio – è l’aiutante dell’uomo e, in quanto tale, è al secondo posto nell’ordine sociale. L’Antico Testamento ci insegna questo. –  E cosa ci dice il Nuovo Testamento? Innanzitutto, insegna che la donna ha la stessa dignità umana dell’uomo. “Perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. E non c’è più distinzione tra Giudeo e Greco, tra libero e schiavo, tra maschio e femmina. Perché “… tutti voi siete uno in Gesù Cristo” (Gal. III, 27-28). Ma lo stesso SAN PAOLO sottolinea in un altro passo il primato dell’uomo: “Cristo è il capo di ogni uomo, come l’uomo è il capo della donna” (Cor XI, 3). “Non permetto alla donna di essere maestra nella Chiesa, né di prendere autorità sul marito, ma di tacere, poiché prima fu formato Adamo e poi Eva” (I Timoteo, II, 12-13). E per essere più convinti di questo, basta contemplare la vita della Santa Famiglia di Nazareth. Umanamente parlando, chi doveva essere il primo? Cristo, poi la Vergine Maria e infine San Giuseppe. Eppure, vediamo che il primo era San Giuseppe; la Vergine Maria, il secondo; Gesù Cristo, il terzo. Un esempio sublime di vita familiare ben ordinata! Si può parlare più chiaramente? L’uomo è il capo; e non è forse il capo a guidare? La donna… è l’aiutante. Così è scritto. E se un movimento di protesta vuole trasformarsi in un’autorità per governare quello che dovrebbe essere un aiuto, anche se questo si chiama emancipazione della donna, non è conforme al piano di Dio Creatore. Una donna può lavorare fuori casa, se vuole o se ne ha bisogno a causa del basso reddito della famiglia, ma non è il suo compito principale, che è in casa.

* * *

Non molto tempo fa, un giornale francese si è interrogato sul seguente fenomeno: perché nelle carceri ci sono più uomini che donne? E come soluzione il pubblico ha dato la seguente risposta: “Ci sono più uomini che donne nelle carceri, perché ci sono più donne che uomini nelle Chiese”. E se continuiamo a chiedere: perché ci sono più donne che uomini nelle Chiese? Perché Dio le ha dotate di una maggiore sensibilità per lo spirituale. Ecco perché le donne si danneggiano se rinunciano alla loro religiosità: senza Cristo, le donne diventano schiave degli uomini, completamente soggette ai loro capricci! È una terribile disgrazia perdere la fede; ma per nessuno tanto quanto per una donna. Se l’irreligiosità si vendica su qualcuno, è innanzitutto sulla donna. Perché a Cristo deve la sua dignità, la sua vera emancipazione, la sua libertà. – Povere donne, voi che ingoiate le ideologie alla moda, pensate un po’: che ne sarà di voi se queste teorie trionfano! Che ne sarà di voi se trionfa la completa uguaglianza dei diritti, se trionfa il matrimonio contratto per un certo periodo di tempo, se trionfa lo scioglimento del matrimonio! Esaminate un po’ cosa succederà. La donna che non ha fede, che non ha Religione, che non ha Cristo come suo Re, sarà soggetta alla tirannia della moda, dei suoi capricci, della sua frivolezza, della sua vanità, della sua malizia? D’altra parte, quanto è grande la donna quando è immersa nella grazia di Gesù Cristo! Pensiamo a Santa Giovanna d’Arco, a Santa Teresa di Lisieux, a Santa Teresa di Gesù?

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (12)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (12)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O Tip. E Libr. SALESIANA

V.

S’INCOMINCIA DA SER TUTTESALLE E SI VA A FINIRE COL FILOSOFO HEGEL.

Conobbi un tale (il buon Padre Cesari l’avrebbe chiamato ser Tuttesalle) nella cui grammatica credo che il verbo sbagliare non si trovasse mai nella prima persona, o per lo meno doveva aver voto di non recitarlo; perché la parola ho sbagliato non ci fu mai caso che gli uscisse dalla chiostra dei denti. E notate: costui aveva in corpo (o sel credeva) tutta quanta l’enciclopedia, e dissertava di tutto, d’arti, di lettere, di scienze, di filosofia, di teologia, d’astronomia, di matematica, di fisica, di storia, d’archeologia, di botanica, e chi più ne ha più ne metta, come dice un bell’umor di poeta; sicché lascio pensar a voi se ne sballava di grosse! Bello era poi sentirlo, quando alcuno osasse, coltolo in fallo, metterlo, come suol dirsi, colle spalle al muro; come s’agitava allora e si contorceva, e si divincolava, e affannava, e alzava un gran vocione, e affollava parole a torrenti… Povero Tuttesalle! Lascio stare che tutti l’avevano in tasca, e il fuggivano come il diavol la croce: ma quanta fatica di meno a dir semplicemente: ho fallato!… Io gliel dissi più volte; non arrivò mai a capirla. Caduto infermo (come s’intendeva anche di patologia e di medicina) fu a contrasto col medico, non volle accordarsi né sulla malattia, né sulla cura, e morì protestando fino all’ultimo, che il suo male non era punto pericoloso. Difatti s’è visto! Quanto a me; trovai sempre più facile confessar un errore, che volerlo difendere. M’accadde più volte, quando facevo il maestro di scuola, che insegnando, specie la storia, mi venisse sbagliato un nome, una data od anche un fatto. Accortomene, incominciavo la prima lezione col dire a’ miei scolari così: — Figliuoli, ieri o ier l’altro me ne è accaduta una bella. Grazie alla mia prodigiosa memoria ho preso un granchio solenne! —- A quest’esordio tutti sbarravano gli occhi, tendevano l’orecchie; ed io: — v’ho detto che Colombo sferrò dal porto di Palos nel 1482; niente vero, correggete, è il 92. — Oppure: —: v’ho raccontato di Federico II, che morì soffocato con un guanciale da suo figlio Manfredi. Badate, è una voce corsa ‘a que’ tempi là, cui pare credesse Dante che pose in bocca a Manfredi quel verso: Orribil furon li peccati miei; Però storicamente non è certo… Anzi nol credete, ve ne prego; fa troppo male a pensare che un giovanetto che come il dipinge l’Alighieri: biond’era e bello e di gentile aspetto, chiudesse in petto un’anima cotanto nera. – E così altre volte d’altri fatti: né mi sono mai accorto che questo disdirmi mi nuocesse o mi disonorasse comechessia presso i miei giovani scolari. Che anzi; se avessi a dire, amavano quella mia schiettezza, e me ne pigliavano sempre; più: stima e confidenza ed affetto. Oh il bel cuore che hanno i giovani; e come ben disposto all’amore della santa verità. Peccato che più tardi i pregiudizi del mondo ne guastino tanti! Giunti a questo punto, mi pare or- mai tempo di stabilire qualche buon principio. Proviamoci dunque, 1° principio: l’uomo è fatto per la verità pel e bene. — Che ve ne pare? Vi va?— Oh qui, per grazia di Dio, ci troviamo tutti d’accordo. – Andiamo innanzi: 2° principio: l’uomo: é fallibile e peccabile; cioè può deviare e dal vero è dal bene, cioè ancora, può cadere nel male e nell’errore. — Arche ciò è evidente a meno che dell’uomo non volessimo farne un Dio. Posti così questi due chiari ed evidentissimi principii, che conseguenza ne trarremo? Che l’uomo (state attenti) decaduto, per una disgrazia assai comune; dal vero e dal bene; sel nega tornarci, nega il suo fine, nega d’esser fatto per la verità, d’essere fatto pel bene. E ciò negando, dite, s’avvilisce o s’onora? Ma voi la risposta. Io che amo le figure ed i paragoni vi conterò che una volta due amici viaggiavano sul caval di san Francesco da Viareggio a Lucca. L’uno disse: questa è la strada, e l’altro seguitò. Camminato un buon tratto, quegli disse al compagno: — sai! abbiam fallato la strada. — E l’altro: — Anzi la é proprio questa che ho detto e non altra. — Nacque disputa, e la conclusione fu, che l’uno dié volta, e, sebbene in ritardo, riuscì a Lucca. L’altro andò a perdersi in una bassura delle Maremme. Simile accade più meno a chiunque s’ostina, per un falso punto d’onore e d’umano rispetto, a rimanersi nell’errore. – E qui parmi il luogo d’ammonirvi, miei cari, giovani, d’un grossolano pregiudizio assai divulgato a’ dì nostri, divulgato penso dalla GRAN BESTIA o per lo, meno dagli amici di lei. Parlando di religioni, v’accadrà di sentir, più d’uno a buttar là con gran sicumera questa sentenza: — uomo d’onore non cambia la sua religione. — o lodare, per esempio, un eretico, perché è morto nella religione dei suoi padri! Pare impossibile che proposizioni così sbardellate possano uscir di bocca a chi ha fior di buon senso. Giacché il sostenere che uno, foss’anche turco od ebreo, non deve cambiare religione mai; o è sciocchezza senza nome, e alle sciocchezze non accade rispondere; o torna a dire, che tutte le religioni son buone; se tutte son buone, dunque tutte vere: e se vere (come tutte più o meno si contradicono tra loro) dunque il sì e il no saranno la medesima cosa. O vi pare? Voi ridete, cari giovani; ma riderete ancor più di cuore, se vi dirò, che ci fu a giorni nostri un certo Hegel, uno di quei tedesconi filosofi, cui s’usa far tanto di berretta, che dopo aver impallidito sui libri tutta quanta la vita, stringi stringi, è venuto appunto a questa conclusione: che il sì e il no, il bianco e il nero, la luce e le tenebre, in una parola l’essere e il nulla sono precisamente la stessa, stessissima cosa; questa la conclusione ultima di tutta quanta la sua filosofia!… E dire che ci hanno italiani, i quali smaniano di mandarci a scuola da cosiffatti dottori!… M’interrompo per non dirne una grossa.

VI.

COMBATTER SEMPRE.

ESEMPI ITALIANI E FRANCESI, SACRI E PROFANI ALLA RINFUSA.

Fra tante chiacchere in sostanza (raccapezziamoci un po) mi pare avervi dati due ricordi, suggeriti da mezzi principali a francarvi dalla Bestia. 1°, troncarle la coda fin dai primi e più lievi principii; 2°, se mai v’accada per disgrazia di cadere un tratto a’ suoi piedi, tosto rialzarvi. Ora vengo ad un terzo avvertimento; ed è questo: che contro la mala BESTIA, non solo in gioventù; ana dovrete tenervi in arme tutta quanta la vita; perché ella è bestia sì versatile; sa prendere tante forme; uscire in tal sorprese, presentarsi improvvisa in aspetti sì strani e diversi; che a volte ‘anche l’uomo uomo, vo’ dir, l’uomo vero; in un momento di sonnolenza, di distrazione o di fiacchezza, può cader vinto. Udite caso d’un Santo. – M’immagino abbiate qualche idea di quel gran Padre de’ poveri e benefattore della Francia, anzi del mondo che fu s. Vincenzo de’ Paoli; uomo così nemico della GRAN BESTIA, che diceva, esser, meglio cader nel fuoco con mani e piedi incatenati, che operare per umano rispetto; e alla corte, ove il traeva sovente la sua carica di Consiglier della Corona per gli affari ecclesiastici; soleva comparire così poveramente vestito, che un giorno il Cardinale ministro Mazarino ebbe a pigliarlo pel cinto, e traendolo davanti alla Regina reggente, dirle: — vedete, maestà, con che lusso presentasi a corte il Signor Vincenzo: — A che egli tranquillamente sorridendo rispose, miglior abito non convenirsi al figlio, quale egli era; d’un povero contadino. Or bene; di questo gran Santo si narra, che un giorno, venuto a trovarlo dal suo lontano paesello in Parigi certo suo nipote, semplice, rozzo e grossamente vestito, come usano i contadini, saputolo s. Vincenzo, gliene prese certa vergogna, e già stava per ordinare al portinaio di farlo entrare per un porta segreta, che altri nol vedesse. Ma accortosi tutto a un tratto esser quello un pensiero ispiratogli dalla mala BESTIA, e amaramente pentito d’essersene lasciato sopraffare un istante: — aspettate (disse al portinaio) vengo io stesso. — E sceso alla porta, abbracciò con festa il nipote, e facendolo vedere a’ suoi preti e ad altre ragguardevoli persone venute in quel punto a trovarlo:— vedete, vedete! (diceva a tutti) questo è un mio caro nipote, è il più civile di tutta la mia famiglia… Da questo fatto potete vedere; giovani. miei, come la BESTIA torni audace all’assalto, anche contro i petti più forti, anche dopo le più vergognose sconfitte. Perciò non vi terrete mai troppo franchi e sicuri. E poiché questo fatto me ne tira in mente degli; altri, lasciate ve ne conti ancora qualcheduno. V’imparerete, che, come si deve innanzi tutto rispettare e servir Dio senza paura dell’uomo, così s’ha a vincere ogni vergogna ed umano rispetto nel riconoscere ed obbedire i parenti. – Abbiamo dalla storia, che quando il B. Benedetto XI fu eletto Papa, che avvenne nei principii del secolo XIV, sua madre, in abito semplice e dimesso, qual portava sua condizione, se ne venne a Roma, per desiderio di vederlo: Un figlio Papa! mi burlate! non so quante madri dopo lei avranno potuto godere di simile fortuna. Ma i famigliari del Papa, veduta: la buona donna in quell’arnese, che pareva poco dicevole alla pontificale maestà, pensarono doverla alquanto rimpannucciare, e messele d’attorno non so che gale, la presentarono: — Santità, ecco vostra madre … Mia madre! (rispose; sginardandola da capo a piedi il Pontefice) vi sbagliate. Oh la conosco ben’io quella povera donna di mia madre: non ha mica tanti fronzoli d’attorno. — E non ci fu verso la volesse riconoscere, finché non gli venne presentata nel suo abito ordinario. Allora l’accolse con grande allegrezza, sì intertenne a lungo con lei, le die’ tutti i segni d’affetto e di confidenza figliale, e la rimandò colma di benedizioni e di doni. E perché altri non dica che so solo racconti di sacristia, togliete qua, vo’ parlarvi d’un soldato, di cui forse avrete già letto o sentito a parlare. Chiamavasi Francesco Bussone, figlio d’un povero contadino, e stavasene in un bosco, vicino alla città di Carmagnola, troncando certe piante, quando s’abbattè a passare per di là una pattuglia che andava in volta a far reclute di soldati pel Visconti di Milano. Allora non avevamo ancora le delizie della leva forzata. Chi sentivasi il prurito di rompere o farsi rompere le ossa, padrone; ma non obbligavasi alcuno. E sia detto questo tra parentesi: torno al racconto. Invitato da coloro a scriversi soldato, il buon Cecco stette alquanto fra due; indi gittata in aria la scure tra i rami dell’albero che stava tagliando, disse: — se la ricasca, rimango; se no, vengo soldato. — La scure rimase impigliata tra i rami; il Bussone andò soldato e seppe menar sì bene le mani, che in pochi anni, rapidamente percorsi i gradi della milizia, divenne quel gran Capitano, che va famoso per le storie col nome di Conte di Carmagnola. Un taglialegna eh! che ve ne pare? Or bene, di lui si racconta, che, udita avendo il vecchio padre la sua fama, partissi di Piemonte, e n’andò sino a Venezia, tratto dal desiderio di vedere un tanto figliuolo; e caso volle, guardate! che vi giungesse proprio in quel dì che per decreto del senato festeggiavasi la vittoria di Maclodio riportata dal Conte sulle genti del Duca di Milano. La città era tutta in festa, tutta musica e bandiere, e un’onda immensa di popolo schiamazzante allagava le piazze e le vie. Il povero vecchio fra quel parapiglia non sapeva neppur lui dove s’avesse la testa; pur sentendo qua e là gridare il nome del conte, capi così in aria, quella gran festa dover farsi pel suo figliuolo. Preso lingua dalle persone e inteso d’una grande Sfilata che dal palazzo della Repubblica doveva recarsi a s. Marco, scelse un buon posto e lì stette lung’ora aspettando. Ed ecco finalmente la processione farsi largo tra la calca; ecco sfilar. soldati d’ ogni arma con bandiere, stemmi, trofei d’ogni ragione, poi le corporazioni dell’ arti con lor proprie insegne, poi gli ufficiali della repubblica con loro divise, poi, in gran roboni che spazzavano la strada, que’ fieri senatori, poi più fiero ancora, il Doge con alla dritta (poiché era il santo di quella festa) tutto serrato nella sua splendida ar- matura, il Conte di Carmagnola, alla cui vista i battimani e gli applausi n’andavano alle stelle. E il suo vecchio padre era lì confuso tra la folla, che udiva, vedeva e parevagli sognare. Quando sentì dire: — è là, ecco il gran Capitano, — sospinse gli occhi guardarlo, e due grossi lagrimoni gli scesero lenti tra le rughe delle guance. S’era appena tersi gli occhi col dosso della mano, che vede il Conte arrestarglisi in faccia, guardarlo fisso, far due passi verso di lui, stendergli le braccia — Babbo caro, voi qui.l….. Tu il mio Cecco….. mormorò il vecchio e gli cadde nelle braccia senza parola. Così in mezzo a quella gran festa e a quegli applausi fatto tanto grande il Carmagnola, non dimenticò d’esser Cecco Bussone, non inorgoglì di sè, non arrossì di suo padre, e dopo averlo teneramente abbracciato , e presentatolo al Doge e ai senatori, così in poveri abiti da contadino com’era, il volle al suo fianco in tutta quella tanto a lui gloriosa giornata. Evviva il buon piemontese Val più questo tratto di Cecco Bussone, che tutte le vittorie del Conte di Carmagnola. – E così, o cari giovani, non vi mancano buoni esempi da imitare, Se mai v’accada, come a S. Vincenzo, come al b. Benedetto e come al Carmagnola, d’aver povera ed umile famiglia e voi col vostro studio, coll’onestà, con valore innalzarvi a miglior condizione. – Or sentite ancor questa; è il rovescio della medaglia. — Bernardino, piccolo, possidente e coltivatore di terra di un povero paesello nei dintorni di Genova, non aveva saputo guardarsi dalla vanità solita dei padri di bassa fortuna, di tirar su il suo figliuolo negli studi, per farne poi, chi sa che? forse un mediconzolo da villaggio, o un avvocatuzzo di liti disperate, o un maestrino, o un segretario comunale almeno. Sedotto a’ bei sogni, il povero Bernardino con infinito spendio e amare privazioni, teneva il figlio a pensione in città, sperando studiasse di buzzo buono e s’avviasse a diventar un uomo. Ma dopo qualche anno, avvedutosi ch’e’ sciupava ranno e sapone, e il figlio, sempre testa vuota ad un modo, gli pigliava per soprassello cert’aria di me n’impipo, e incominciava vestir attillato e lisciar la zazzera: e metter Su l’occhialino, e usare a caffè, ed altre cotali smancerie da scervellato, cominciò il buon uomo a dimenar la testa e soffiare e brontolar tre denti: O me! e’ non pare più il mio Peppo. — E mulinava e mulinava…. finché un giorno scontratolo a zonzo con certi giovinastroni per non so che via della città, e addatosi che, voltando la faccia facea le viste di non riconoscerlo; gli corse difilato alla vita, e senza tanti rispetti della sguaiata compagnia, afferratolo per un braccio: – Ah si neh! ti vergogni di tuo padre? Vien con me; basta ormai di questa vita; — e datagli una strappata, sel trasse al paesello, gli bruciò sugli occhi i libri che gli aveva comperati, gli pose in mano una brava zappa e riuscì ancora a farne un buon contadino par suo. E tal sia di que’ sguaiati figliuoli che al vile rispetto della BESTIA sacrificano il rispetto e l’amore sacrosanto che devono ai loro genitori.

VIVA CRISTO RE (17)

CRISTO-RE (17)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXI

CRISTO, RE DELLA VITA UMANA

Cristo è il Re della vita umana!

Qual è il valore della vita per un Cattolico? Non è nessuno dei due estremi: né il godimento eccessivo della vita attraverso il lusso sfrenato, i piaceri o il culto del corpo; né l’altro estremo, il frivolo disprezzo dell’esistenza, che può arrivare fino al suicidio. La Chiesa cattolica ha sempre avuto una visione seria e rispettosa della vita e della salute. Non affermiamo ciò che tanti sostengono a torto: che “la salute è il bene più grande del mondo” – valutiamo molto di più l’anima – ma confessiamo apertamente che “la salute è il più grande dei beni terreni”; che è lecito, anzi necessario, fare sacrifici per essa; e che nessuno ha il diritto di accorciare di un giorno o di un’ora il tempo che la Provvidenza gli ha assegnato. – Pertanto, il Cattolico dà tutto il diritto che gli spetta alla salute, alla cura del corpo, perché sa bene che con un corpo malato non si può fare molto. Non è forse in questa vita che ci santifichiamo e ci rendiamo degni della vita eterna? Dobbiamo meritarla con il lavoro onesto, con l’adempimento fedele del dovere, con l’apostolato… E per questo abbiamo bisogno di un corpo forte e sano. La Religione cattolica parla continuamente della vita eterna e ci incoraggia costantemente a meritarla, ma non dimentica questa vita terrena. Non solo l’anima dell’uomo è santa, ma anche il corpo lo è, poiché è il dono di Dio Creatore. Per lo stesso motivo, la Chiesa ha sempre trattato il corpo umano con santa sollecitudine e lo ha sempre rispettato. Nel Battesimo, con cui la Chiesa ci accoglie, l’acqua santa tocca il nostro corpo, benedicendoci; nella Cresima, il crisma usato dal Vescovo unge il corpo; e nella sepoltura, l’acqua santa tocca di nuovo il nostro corpo. Per noi la vita terrena non è una punizione, come nella nebulosa dottrina della reincarnazione asiatica. No. Per noi la vita terrena è il mezzo che Dio ci dà per raggiungere la vita eterna. – Ciononostante, la Chiesa ci chiede di essere duri con noi stessi, di avere disciplina, abnegazione…. Non lo chiede per il gusto dell’abnegazione in sé, ma per garantire l’armonia tra corpo e anima. Questa armonia è stata disturbata dal peccato originale. Da allora il corpo è incline al peccato e non possiamo riconquistare la supremazia dell’anima sul corpo se non attraverso una severa disciplina. La Chiesa ha sempre apprezzato questa vita terrena e le ha dato l’importanza che merita. Essa dà valore alla vita corporea e a tutto ciò che è necessario per essere sani. Esistevano sette exoteriche (gli gnostici, i manichei) che vedevano nel corpo umano l’opera del principe del male e consideravano la vita terrena una tortura. La Chiesa li bollò come eretici. Ma allo stesso modo ha dichiarato eretici altri fanatici che, interpretando male la parola del Signore, chiedevano a tutti l’estrema povertà e la distribuzione dei propri beni. La Chiesa ha sempre insegnato che non solo l’eccessiva ricchezza è nemica della vita religiosa, ma anche la povertà, la miseria estrema. L’eccessiva agiatezza ci rende delicati e tiepidi; la grande miseria ci rende spietati; l’agiatezza ci rende orgogliosi; la miseria ci fa disperare; l’agiatezza rende l’anima incapace di vivere le esigenze della fede; la miseria ci rende insensibili. Per poter rispondere alla fede religiosa, è necessario che all’uomo non manchino le condizioni più elementari della vita, quelle minime. La Chiesa lo ha sempre saputo e lo ha sempre insegnato. Per questo la Chiesa ha sempre difeso la vita e l’invulnerabilità del corpo umano. Chi non si prende cura della propria salute commette un peccato. Amputarsi un dito, come facevano alcuni per sottrarsi al servizio militare obbligatorio, è un peccato. E se qualcuno si suicida, commette uno dei peccati più gravi.

Perché il suicidio è un peccato così grave?

Perché il suicida tocca un tesoro che non è suo: la vita; e commette un peccato che non potrà mai essere riparato; con la morte viene tagliata ogni possibilità di riparazione. Certo, la Chiesa è ben consapevole di quegli argomenti sentimentali con cui lo spirito deviato della nostra epoca riveste i suicidi di un certo fascino e li riveste di eroismo; è anche consapevole della terribile situazione economica in cui alcuni possono trovarsi; eppure rimane ferma nel suo atteggiamento: considera sempre e in ogni circostanza il suicidio come uno dei peccati più gravi. Voglio essere chiaro: noi non condanniamo nessuno, lasciamo il giudizio al Signore. Solo Dio può giudicare il grado di normalità o anormalità di quel povero disgraziato, di quel nostro fratello, con l’anima spezzata e in frantumi, nel momento in cui ha alzato la mano suicida contro se stesso. Eppure la Chiesa non può cambiare la sua posizione dottrinale; non può cambiare la sua opinione che solo Colui che ha dato la vita, il Creatore, può togliercela, e che né la malattia, né la morte di persone care, né la perdita di fortuna, né la delusione, né le illusioni frustrate, né la disgrazia, né la bancarotta, né qualsiasi altra prova ci danno il diritto di toglierci la vita. “Ma la mia vita è mia, è una mia proprietà personale! Che ti importa se voglio togliermela?” No, fratello! Tu possiedi un quadro d’arte. È l’opera di un pittore famoso. L’hai comprato. L’hai pagato. Il quadro è tuo. Eppure, non potete distruggerlo a vostro piacimento? No. Sarebbe sbagliato da parte vostra farlo. E quando si tratta della vita, essa è incomparabilmente più preziosa del miglior quadro, e anche perché la vostra vita è vostra rispetto alla mia, è vostra e non mia; ma non è vostra rispetto a Dio; non potete dire: è mia e non di Dio; è vostra nella misura in cui Dio ve la dà in usufrutto, ma è vostra nella misura in cui Dio ve la dà in usufrutto, nella misura in cui Dio ve la dà in usufrutto. È vostro nella misura in cui Dio ve lo concede in usufrutto, e ve lo concede perché porti frutto in opere buone finché non ve lo chieda. Siete usufruttuari e non proprietari assoluti. “Ma la vita è così dura, quando non c’è la minima gioia, quando si deve lottare tutto il tempo…..” Nemmeno allora. Questa vita terrena è davvero molto imperfetta; è solo uno stato di transizione. E se la sofferenza vi commuove, se la tristezza vi fa venire le lacrime agli occhi, è comprensibile. Ma romperla, annientarla?…; no, mai! “Ma nella mia vita è crollato tutto! Una cattiva amministrazione, un imbroglio, alcune decisioni sbagliate che ho preso… mi pesano e mi opprimono. Sono affondato… Che io possa almeno riparare ai miei torti!”. Espiare? Sì; ogni peccato richiede una riparazione. Ma ditemi: fare ammenda significa chiudersi la porta alle spalle, rendere impossibile qualsiasi tipo di riparazione? Riparare ciò che si è fatto di male significa avere il coraggio di correggere i propri errori, di iniziare una nuova vita. D’ora in poi potrete riparare con il vostro lavoro al peccato che avete commesso. Ma non è riparazione, bensì vigliaccheria, porre fine ad una vita sbagliata con un colpo di rivoltella; non è espiazione, ma fuga vigliacca, perché si rifiuta di pagare ciò che si deve, per risparmiarsi la fatica. Si tratta di un modo di pensare del tutto insensato e ingiusto. – Se ci guardiamo intorno, vediamo con stupore che questo modo di pensare del tutto insensato e, di conseguenza, il suicidio, si sta diffondendo al giorno d’oggi. Da quando ci sono state tante delusioni in amore, da quando ci sono stati tanti “fallimenti” negli esami, da quando la borsa va male? No, questo tipo di male non è nuovo per l’umanità, ma si sta diffondendo da quando il pensiero cristiano e la vita religiosa si sono indeboliti tra gli uomini. Per molti la vita terrena ha perso il suo valore. Come siamo arrivati a una conseguenza così fatale? Sembra strano, eppure è vero: il pilastro, la forza, il sostegno di questa vita terrena è proprio la vita eterna. Gli sfortunati adducono varie ragioni per spiegare le loro azioni: sfortuna, crisi economica, malattia, delusione…. Ma chi può dubitare che la maggior parte dei casi potrebbe essere evitata se si facesse capire loro che dovranno rendere conto a Dio, che non tutto è perduto, che la speranza non può mai venire meno quando si ripone la propria fiducia nel Signore, che è sempre pronto ad ascoltarci? Questa è una grande verità, una grande lezione tratta dall’esperienza: la vita umana, la vita sociale, ha bisogno del sostegno della Religione. Le fondamenta della società sono minate quando l’influenza della Religione viene meno. Non può esistere una società senza Religione, uno Stato senza Religione, sarebbe una follia, un omicidio. Non trovo un’altra parola: chi separa il corpo dall’anima è un assassino. E la Religione è l’anima della società. La vita dignitosa dell’uomo e la Religione formano un tutt’uno, come il corpo e l’anima. Il corpo è lo Stato; il suo fine, la prosperità naturale del popolo. L’anima è la Religione; il suo fine, la felicità eterna dell’uomo. Oggi vediamo in molti luoghi quanto scioccamente molti partiti e ideologie cerchino di far sì che lo Stato non si occupi di Religione, che la Religione non sia l’anima dello Stato…. Esaminiamo per un momento dove andrà a finire l’uomo senza Cristo. – Su questo punto si potrebbero scrivere pagine e pagine, raccontando i casi più improbabili. Ne trascrivo alcuni presi a caso; basteranno questi pochi per sentire come l’uomo si svilisce, come si abbassa il suo livello spirituale, come scompaiono i tratti umani dal suo volto, se durante il suo pellegrinaggio terreno si allontana da Gesù Cristo. A volte basta una piccola notizia di giornale per avviare le mie riflessioni. Ad esempio, l’Amministrazione postale degli Stati Uniti ha comunicato di aver adottato una nuova misura in via sperimentale, che si è rivelata molto efficace. Aggiunge che, una volta terminata la sperimentazione, sarà adottata definitivamente e la raccomanda vivamente agli interessati. Qual è l’innovazione? Che le poste si impegnano a trasportare a un prezzo molto vantaggioso, come “pegno senza valore”, le ceneri rimaste dai cadaveri bruciati. Con una piccola spesa, chiunque può inviare per posta le ceneri di un proprio caro… “gettone senza valore”… È un motivo di indignazione? A qualcuno potrebbe non sembrare, ma se ci pensiamo un po’… Non sentiamo tutti che qui manca qualcosa, che manca qualcosa nel giudizio degli uomini? – Non molto tempo fa è morto a Varsavia un famoso ladro, al cui funerale ha partecipato una folla immensa. In passato, la presenza a un funerale era un omaggio al defunto; da qui il nome “onoranze funebri”. Oggi muore un capo bandito o si suicida un uomo disperato, e gli uomini, isterici e non, eccitati dalle notizie sensazionalistiche dei giornali, sono capaci di aspettare per lunghe ore per assistere al momento della sepoltura. Scienziati di grande valore, artisti, genitori che fanno il loro dovere fino in fondo con silenzioso eroismo, sono accompagnati da pochi sull’ultima strada; ma quando si tratta di un assassino o di un suicida, i giornali lo pubblicano con numerose fotografie, e al funerale partecipa una folla immensa. Non sentiamo tutti che manca qualcosa nel giudizio degli uomini? – E che dire dei fautori del “suicidio assistito” e dell’eutanasia che, attraverso conferenze e articoli sui media, inducono le persone a porre fine alla propria vita? Che fatto terribile – e di cui nessuno sembra aver paura – che si debbano mettere recinzioni e sbarre intorno ai ponti per impedire alla gente di buttarsi giù! Non sentiamo tutti di aver perso Cristo? Non sentiamo tutti la bancarotta definitiva dell’incredulità? Dov’è il male? Nel fatto che abbiamo dimenticato che Cristo è anche il Re di questa vita terrena; non pensiamo di vivere secondo la dottrina di Cristo. Non c’è rimedio a questo se non in Cristo. Questo è l’unico modo efficace per prevenire il suicidio. Dobbiamo fare tutto il possibile per difendere la vita umana. Dobbiamo avere compassione per i suicidi. D’accordo. Ma… gli articoli che descrivono dettagliatamente come tale persona si è suicidata dovrebbero essere vietati dai media. Tutte le misure preventive sono giuste e lodevoli…. – Ma quando saranno efficaci tutte queste misure? Quando andremo a bere di nuovo alla fonte delle acque vive; quando torneremo a vivere per fede e ci renderemo conto che questa vita è il tempo della prova che Dio ci ha dato per diventare come Lui nell’amore, facendo la Sua volontà. Non ci è lecito abbandonare il posto di sentinella che Egli ci ha destinato, non ci è lecito fuggire vigliaccamente, ma dobbiamo perseverare in mezzo al fango e alla tempesta, al sole e al gelo, nella buona e nella cattiva sorte, facendo sempre il nostro dovere. “Chi ha orecchio ascolti….: A chi vince darò da mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al paradiso del mio Dio” (Apocalisse II:7).

* * *

Cristo è il Re di tutta la nostra vita e solo una fede viva ancorata a Cristo è in grado di aiutarci quando la nostra vita è difficile. Abbiamo bisogno di corrimano quando saliamo su sentieri ripidi e delimitati da abissi vertiginosi. Questa strada ripida è la vita; il corrimano è la fede. Abbiamo bisogno della forza per continuare a vivere, la forza della fede. Oggi assistiamo ad una grande battaglia: quella disperata del divino e del diabolico, del bello e del brutto, del concetto cristiano e di quello pagano della vita. Con Cristo la vita ha un senso, anche se è piena di lotte; senza Cristo la vita non vale la pena di essere vissuta. Scegliamo dunque: Cristo o Anticristo? Dio o satana? Il regno di Dio sulla terra o l’inferno oscuro di una vita senza senso? Signore, il mio corpo, la mia anima, tutto è tuo! Dammi forza, salute, un corpo robusto, un’anima pulita, affinché tutte le mie fatiche siano una continua lode in tuo onore. Che io sia l’arpa e Tu il canto che ne scaturisce! Che io sia il fuoco e che il Tuo amore arda in me! Che io sia la quercia e che Tu mi tenga in piedi!

VIVA CRISTO RE (16)

CRISTO-RE (16)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XX

CRISTO, RE DEI CONFESSORI

I Cattolici del Messico hanno dovuto sopportare terribili persecuzioni e hanno visto scorrere fiumi di sangue cristiano. Lì, nel 1927, era vietato confessare apertamente Nostro Signore Gesù Cristo. In Messico, Paese completamente cattolico, era vietato celebrare la Messa, confessarsi, dare la Comunione, portare una piccola croce al collo. Alcuni Vescovi furono imprigionati; molti Sacerdoti furono fucilati per ordine del governo; meritano di essere citati i padri Correa, Solá, Reyes e Pro. Per la millesima volta si sono realizzate le parole del Signore: “In verità, in verità vi dico: voi piangerete e farete cordoglio, mentre il mondo si rallegra” (Gv XVI, 20). È sempre stato così; i discepoli di Cristo combattevano, piangevano, soffrivano, e il mondo, il nemico della croce, gioiva, esultava, trionfava. Ma anche la seconda parte delle parole del Signore si è realizzata, come sempre: “Sarete afflitti, ma il vostro dolore si trasformerà in gioia” (Gv XVI, 20). – Cristo Re non ha mai abbandonato i fedeli sofferenti; dal sangue dei martiri sgorga lo slancio di una nuova vita cristiana, e coloro che per amore di Cristo hanno perso la loro vita terrena hanno ottenuto, in cambio, la vita eterna. Il tema di questo capitolo sarà: Cristo è il Re dei confessori. Le parole di Gesù Cristo si sono realizzate molto prima di quanto i primi Cristiani potessero aspettarsi. Il Salvatore aveva appena lasciato la terra e si era accomiatato dalla Chiesa nascente, quando si scatenò un uragano così violento che sembrava dovesse strappare le tenere piantine della Chiesa. Le persecuzioni dei Cristiani nei primi tre secoli sono note a tutti; tutti conosciamo quei trecento anni durante i quali gli imperatori romani hanno raccolto tutte le loro forze per affogare il Cristianesimo nel sangue, per cancellarlo, per sterminarlo dalla terra. – Tutte le torture, tutti gli orrori, tutti i supplizi che l’uomo è capace di immaginare furono messi in pratica contro i Cristiani. Tutto fu provato dai nemici della nostra fede; e tutto senza alcun risultato. Cristo vegliava sul suo gregge martoriato. – Entriamo per un momento nei magnifici giardini del primo persecutore, Nerone; in quei giardini dove la gente si accalcava notte dopo notte per vedere l’illuminazione, un’illuminazione raramente visibile su questa misera terra! Quando il sole tramontava dietro le colline romane e arrivava l’oscurità, nei giardini di Nerone venivano accesi enormi bastoni ricoperti di pesce; legato alla cima di ogni bastone, il corpo di un Cristiano bruciava e fiammeggiava…. Tra le grida della folla impazzita, il crepitio della legna che bruciava, i gemiti dei Cristiani morenti, sembrò levarsi la voce del Signore: “In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà…” E il giorno dopo, e il giorno dopo ancora, e ogni giorno per diverse settimane, nuove illuminazioni, nuovi martiri cristiani! – Andiamo a vedere una rappresentazione nel Colosseo romano. Conosciamo i terribili tormenti subiti dai nostri grandi eroi, i martiri. Pensavo di aver capito tutto il sanguinoso orrore delle persecuzioni cristiane quando ho visto per la prima volta il Colosseo a Roma. Mura gigantesche, un piano sopra l’altro. Scatole stipate l’una sull’altra. Una parte dell’arena esiste ancora oggi; celle, gabbie, labirinti sotterranei che fanno venire i brividi…. e in una profondità di due piani! Vecchi con i capelli bianchi, ragazze, giovani in tutto il loro vigore: tutti Cristiani, Cristiani rinchiusi lì, che vivono l’ultima notte della loro esistenza; accanto a loro, nelle gabbie, ruggiscono le belve affamate… Guardiamo la scena. Una notte di martiri. Tutto l’oro e il marmo rubato ai Paesi conquistati, tutte le donne, tutti gli schiavi, le arti e le scienze che Roma ha raccolto in Europa, in Asia e in Africa…; tutto è ai piedi di quel popolo che ha in mano il dominio del mondo. E tutti vanno al circo: l’imperatore e il suo seguito, le vestali e i soldati, il popolo…, una folla immensa…. Improvvisamente il rumore cessa, le grida tacciono…: tutti gli occhi si rivolgono a una porta, dalla quale entra un piccolo gruppo che si dirige verso il centro dell’arena. Che scena commovente! Accanto agli uomini e ai giovani incalliti, ci sono vecchi, fanciulle e bambini! Quando sono al centro dell’anfiteatro, si apre una porta e saltano fuori le bestie selvatiche portate dall’Africa, che sono state private del cibo per diversi giorni. Il gruppo dei Cristiani, tutti in ginocchio! Ancora un attimo, l’ultima preghiera: “Kyrie, eleison“, “Christe, eleison“…, ancora il segno della croce, tracciato per l’ultima volta…, e le loro carni sono già lacerate dagli artigli dei leoni e i denti delle tigri penetrano fino alle ossa. Sangue, sangue dappertutto! Il sangue dei martiri scorre copioso nella sabbia! E quel torrente di sangue sembra proprio che, tra grida di gioia degli spettatori, tra ruggiti di leoni, strappi di muscoli, scricchiolii di ossa, scriva nell’arena le parole di Gesù Cristo: “In verità, in verità vi dico, voi piangerete e farete cordoglio, mentre il mondo si rallegrerà…”. E questo per tre secoli! Non c’è tormento, non c’è tortura a cui i Cristiani non siano stati sottoposti. Contiamo, non a migliaia, ma a centinaia di migliaia, la moltitudine dei nostri martiri, l’enorme numero di coloro che hanno dato per Cristo il più grande tesoro che possedevano su questa terra, la loro stessa vita, e che non avevano altro peccato in questo mondo se non quello di essere discepoli di Cristo e di non abbandonarlo mai. – A volte sembrava che le persecuzioni stessero per dichiarare la vittoria. Uno degli imperatori, Diocleziano, fece persino coniare una moneta con questa iscrizione: Nomine christianorum deleto: “In memoria della distruzione del nome cristiano”. Ma Cristo vegliava sul suo gregge inquieto: quando giustiziavano un martire, altri si alzavano dal mezzo della folla con questo grido: “Anch’io sono Cristiano!”. Il sangue dei martiri fu la pioggia d’aprile che portò la vita nel terreno fertilizzato della Chiesa. I Cristiani erano costanti e laboriosi, perché nelle loro orecchie risuonavano le parole di San Pietro: “Carissimi, quando Dio vi metterà alla prova con il fuoco delle tribolazioni, non mancate come se vi accadesse qualcosa di molto straordinario. Ma rallegratevi di essere partecipi della passione di Gesù Cristo, affinché quando si manifesterà la sua gloria possiate esultare con Lui con gioia” (1 Pietro IV,12,12).

II

Ma quando pensiamo alla sorte dei primi martiri del Cristianesimo, sorge spontanea la domanda: lo spirito dei primi martiri, quell’eroico spirito di sacrificio, vive ancora nei loro discendenti, nei Cristiani di oggi, in noi? Conserviamo anche solo il tizzone di quell’amore di Cristo che ha confortato tutti quei lontani martiri anche nella morte, anche sul patibolo? Perché, dobbiamo saperlo: la persecuzione della dottrina di Cristo non è cessata dai primi secoli cristiani, ed è ancora all’opera nel mondo. – È vero che ai nostri giorni i Cristiani non sono perseguitati da leoni e tigri, non sono gettati in pasto alle bestie selvatiche; i martiri di oggi non sono imbrattati di pesce, non sono inchiodati a bastoni roventi, non sono gettati in acqua, non sono fissati su coltri di supplizio; gli orrori del Messico sono ancora eccezioni nel mondo civile moderno.  Ma anche se le persecuzioni non sono fatte con leoni e tigri, sono fatte con qualcosa che forse è peggiore del dente della tigre e dell’artiglio del leone…; sono le armi dello scherno, del disprezzo, del riso, del silenzio e dell’emarginazione. Sì, chi, in mezzo alla gentilità moderna, vuole rimanere fedele al Vangelo e alla Chiesa, può contare sull’eroismo degli antichi martiri. Il suo corpo non sarà dilaniato da leoni e tigri, ma sarà deriso, gli sarà puntato il dito contro e sarà chiamato antiquato, troglodita, fanatico, che non sa godersi la vita. [Abbiamo vissuto la tragedia spagnola causata dal marxismo internazionale: chi non si commuove di fronte al numero e alla qualità delle vittime immolate dalla furia rossa? Dodici Vescovi, un amministratore apostolico, quattromilaquattro Sacerdoti secolari, duemilaquattrocentosessantasei religiosi, una moltitudine di suore, centinaia di migliaia di laici sono stati vilmente assassinati nella zona rossa. Il loro crimine? Essere cattolici e spagnoli. Leggiamo le seguenti parole, scritte da Papa Pio XI nella sua Enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo 1937: “Anche dove, come nella nostra amata Spagna, il flagello comunista non ha ancora avuto il tempo di far sentire tutti gli effetti delle sue teorie, si è preso la sua rivincita, scatenandosi con più furiosa violenza. Non si è accontentato di demolire una chiesa o un convento o un altro, ma, quando è stato possibile, ha distrutto ogni chiesa, ogni convento e persino ogni traccia della Religione cristiana, per quanto strettamente legata ai più illustri monumenti dell’arte e della scienza. – La furia comunista non si è limitata a uccidere Vescovi e migliaia di Sacerdoti, religiosi e religiose, soprattutto quelli che lavoravano con maggiore zelo con i poveri e gli operai, ma ha fatto un numero molto maggiore di vittime tra i laici di ogni classe e condizione, che vengono quotidianamente, si può dire, assassinati in massa per il solo fatto di essere buoni Cristiani o semplici oppositori dell’ateismo comunista. E questa terribile distruzione è portata avanti con un odio, una barbarie e una ferocia che non sarebbero stati ritenuti possibili nel nostro secolo. Nessun privato di buon senso, nessun uomo di Stato consapevole della propria responsabilità, non può che tremare di orrore al pensiero che ciò che sta accadendo oggi in Spagna possa ripetersi domani in altre nazioni civilizzate. Che il Signore conceda che tanto sangue versato possa essere il seme fecondo delle nuove generazioni. Che siano attente a non distogliere lo sguardo da Dio o dalla loro patria, affinché si realizzino gli ideali di grandezza a cui la nuova Spagna è chiamata. La persecuzione non è cessata nell’Unione Sovietica.]. E che queste armi siano più pericolose degli artigli dei leoni è chiaramente dimostrato dal fatto che sono state realizzate più apostasie con esse che con le bestie selvatiche. Le persecuzioni non sono cessate ai nostri giorni. Ma dov’è ora il coraggio dei primi martiri? Hanno dato la vita per Cristo, e noi arrossiamo a inginocchiarci in chiesa, a farci il segno della croce quando passiamo davanti ad una chiesa; qualcosa ci spinge a farlo, ma… cosa diranno gli altri? ma cosa diranno gli altri? I martiri hanno dato la vita per Cristo, e io vorrei confessarmi e fare la Comunione più spesso, perché sento che ne ho bisogno, sento che la mia anima ne ha bisogno; vorrei, ma… non oso; cosa diranno quelli che mi vedono? Riconosco che questa conversazione che deride la morale, che questo e quel film, questo e quel libro, queste e quelle immagini, macchiano il candore della mia anima; so che sto commettendo un peccato se non lo evito, se vado a vederlo, se lo leggo; vorrei allontanarmi da ogni pericolo; ma… Ma cosa diranno gli altri, che sono un fanatico religioso all’antica? E partecipo alla conversazione, leggo il libro e vado a vedere il film, e subisco le prese in giro della Chiesa, purché non ridano di me. Purché non ridano di me! …. Per un sorriso, per uno sguardo ironico, per un’amicizia fraintesa, tradisco la mia anima, tradisco Cristo, Colui che i primi Cristiani non hanno voluto abbandonare nemmeno in mezzo ad atroci torture. E non furono solo gli uomini vigorosi, nel fiore degli anni, a rifiutarsi di abbandonarlo, ma anche gli anziani, i bambini, le donne; quella materna Felicita, quell’ottantaseienne Policarpo, quella tredicenne Agnese! In mezzo alle torture più crudeli, Sant’Agnese continuava a ripetere: “Signore, conservo la mia fede per Te; Signore, mi consacro a Te. Tu, Onnipotente, Tu, degno di essere adorato, Tu, degno di ogni rispetto, io benedirò in eterno il Tuo santo nome”. – E quanto facilmente avrebbero potuto essere consegnati! Una sola parola era sufficiente. Bastava che dicessero: “Non conosco Cristo, non adoro Cristo”, e allora sarebbero stati liberati dalle bestie selvatiche, avrebbero spento il rogo, o sarebbero stati tirati fuori dall’acqua gelida in cui erano stati gettati, legati mani e piedi. Ma non pronunciarono quella parola, ma nel rogo ardente e davanti alla spada, nell’olio bollente e nel piombo fuso, tra le punture di punte incandescenti, tra terribili tormenti…. sono rimasti fedeli a Cristo! – Chiediamo a Cristo, il Re dei confessori, che, anche se siamo assaliti da mille tentazioni, susciti in noi lo spirito di sacrificio dei primi Cristiani, il loro coraggio di sfidare la morte, l’amore che ardeva nei loro cuori per dare la vita per Lui! Sì: l’amore ardente per Nostro Signore, perché da questo dipende tutto. Cos’è che ha dato perseveranza, coraggio ai primi Cristiani? Il santo amore che ardeva nei loro cuori. Tu, Santa Caterina, cos’è che ti ha dato la forza, quando eri sulla ruota della tortura, di chinare la testa sotto la lama del boia? Era l’amore di Cristo. E tu, Santa Cecilia, quando volevano asfissiarti con il vapore caldo, e quando la scure del boia ti colpì il collo, dovendo soffrire alcuni giorni con quella ferita mortale, cosa ti diede forza? E tu, Santa Lucia, che sei stata tradita dal tuo sposo e poi trafitta da una spada? E tu, San Pancrazio, perché non hai voluto sacrificare agli dei pagani? Cosa ti ha dato la forza di essere fedele a Cristo, quando sapevi che la tua vita, la tua giovane vita, ti sarebbe stata tolta, perché non avevi più di quattordici anni? E tu, San Simeone, che all’età di centoventi anni, dopo una tortura di diversi giorni, hai trionfato nella crocifissione stessa con forza d’animo? E tu, Sant’Agnese, discendente di una famiglia nobile e potente, una bella ragazza di tredici anni! Perché hai detto al tuo spasimante, il figlio del governatore della città: “Il mio Signore Gesù Cristo mi ha promessa in sposa con il suo anello”, quando sapevi che per questa frase avrebbero acceso un falò sotto i tuoi piedi? Perché hai detto: “Sono la sposa di Colui che gli Angeli servono”? Da dove hai attinto la tua energia quando in mezzo alle fiamme continuavi a ripetere: “Ecco, vengo a Te, che amo, che cerco con tutta l’anima, che ho sempre desiderato”? Cos’è che dava loro forza? L’amore ardente di Nostro Signore Gesù Cristo. – Ah, se l’amore eroico dei martiri, di cui abbiamo tanto bisogno per testimoniare Cristo, fosse contagioso! Quando e dove ne abbiamo bisogno? Quando la Religione è ridicolizzata e derisa e io voglio rimanere fedele a Gesù Cristo. Quando voglio preservare la purezza della mia anima in mezzo a tanto marciume, a tanta sessolatria. –  GRACE MINFORD, una giovane americana che si convertì dal protestantesimo al Cattolicesimo e poi entrò in convento, ebbe questo eroismo da martire. Poco tempo dopo il padre morì, lasciandole una fortuna di dodici milioni e mezzo di dollari – una somma favolosa – a condizione che lasciasse il convento. Cosa rispose la giovane donna? “Il mio Padre celeste è più ricco del mio padre terreno e mi darà un’eredità molto più grande”, e perseverò nel convento, perdendo i soldi dell’eredità. Eroismo da martire! Eroismo deve avere l’impiegato che coraggiosamente non nasconde agli altri la sua fede cattolica, sapendo che oggi non è la migliore lettera di raccomandazione per farsi strada, per ottenere vantaggi materiali. Eroismo perché le preoccupazioni materiali della vita quotidiana – lavoro, studio, occupazioni – non soffochino la vita spirituale. – Le parole del Signore: “Voi piangerete e vi rallegrerete mentre il mondo si rallegra”, hanno il loro compimento, non solo nel passato, ma anche oggi. I discepoli di Cristo devono spesso soffrire quando i figli del mondo, cioè i malvagi, si divertono. L’unica cosa che è cambiata è il modo. In passato, i Cristiani soffrivano gli artigli dei leoni; oggi, soffrono i dardi dell’ironia e della calunnia. Un tempo si doveva morire per Cristo; oggi, forse, il sacrificio consiste nel rimanere fedeli a Cristo nella vita quotidiana.

III

Ma, grazie a Dio, la profezia del Salvatore non finisce qui. Ha una seconda parte, molto consolante. “Sarete addolorati, ma il vostro dolore si trasformerà in gioia”, in una gioia che non passerà mai. – E se vediamo che la prima parte della profezia si è realizzata nel corso della storia, dobbiamo constatare che anche la seconda parte si è realizzata. Gesù Cristo aveva predetto che la sua Chiesa sarebbe stata perseguitata, che coloro che lo avrebbero seguito avrebbero dovuto portare la loro croce sulle spalle. Ma ha anche detto che “il suo giogo è facile e il suo fardello leggero” e che le porte dell’inferno non prevarranno contro la sua Chiesa. La storia della Chiesa, che ha due volte mille anni, testimonia in modo luminoso le parole di Cristo. Quante persecuzioni ha dovuto subire la Chiesa, eppure è costantemente ringiovanita. Dei trentadue primi Papi, trenta morirono martiri. L’imperatore Adriano fece porre sul Calvario la statua di una dea pagana, Venere, e sulla tomba del Redentore la statua di Giove ….. E chi parla oggi di Venere e chi venera Giove? D’altra parte, un quinto dell’umanità, senza contare i protestanti e gli scismatici, adora Gesù Cristo, morto sul Calvario e risorto il terzo giorno. – Nel furioso tumulto della Rivoluzione francese, fu messa ai voti questa domanda: “Esiste un Dio?” E, tra gli sguardi assassini, ci fu solo una povera vecchia signora che osò alzare la mano tremante nell’interesse di Dio: “Per amor di Dio, per amor di Dio!” E ancora gli uomini adorano Dio. – Ci lamentiamo continuamente di quanto sia brutto il mondo di oggi, dell’aridità spirituale in cui è immersa gran parte dell’umanità moderna. Chi può negare che intorno a noi ci siano molte anime che hanno perso la fede e si sono allontanate da Dio? Purtroppo, questo è un lato della medaglia. Ma dall’altra parte c’è un quadro molto più edificante e consolante: quanti Cristiani perseverano nella fede e vivono una vita coerente con essa. Vediamo che si realizzano le parole del profeta: “Ci sono settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio a Baal” (3 Re XIX, 18).

* * *

La Chiesa, nostra Madre, è sempre stata perseguitata, è sempre stata condannata a morte, eppure continua a vivere e a diffondersi. Illustri dinastie sono sorte e tramontate, vari imperi sono sorti e tramontati nel corso dei secoli; ma la Chiesa cattolica, così spesso attaccata e perseguitata, continua a sfidare con fermezza la tempesta dei tempi; ed è degno di nota il fatto che non possa contare su una forza armata, non ha cannoni, non ha un esercito, manca di fortuna e di altre risorse umane; ma possiede… una parola, la grande promessa del suo Fondatore: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di lei” (Mt XVI, 18). – E nei corridoi sotterranei delle catacombe, dove il Cristianesimo perseguitato ha trascorso trecento anni, risuonano ancora oggi vibranti preghiere piene di gratitudine, cantate da migliaia di pellegrini. Sul luogo del palazzo dove l’imperatore Massimiliano preparò una delle più sanguinose persecuzioni contro i Cristiani, oggi sorge un magnifico tempio, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Innumerevoli templi, dipinti, statue, feste… proclamano il culto delle migliaia e migliaia di martiri. E dove c’era la tomba di Nerone, oggi sorge un tempio in onore della beata, della misericordiosa, della dolcissima Vergine Maria, Santa Maria del Popolo. E sulla tomba di quel modesto pescatore, che il mondo secoli fa inchiodò a una croce con la testa all’ingiù, per aver predicato la dottrina di Cristo, oggi risplende il tempio più prezioso del mondo, la Basilica di San Pietro; e la luce delle lampade che arde sulla tomba del principe degli Apostoli sembra scrivere sulle pareti di marmo la seconda parte della profezia di Cristo: “Sarete addolorati, ma il vostro dolore si trasformerà in gioia”. – Eppure tutto questo splendore esteriore non è che il premio terreno dei confessori cristiani. Non sappiamo, possiamo al massimo indovinare, quale sarà la loro ricompensa in cielo, la ricompensa che avrà dato loro Cristo, che una volta disse: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”. – Ma c’è una cosa che sappiamo con certezza. So che i due campi, quello dei discepoli di Cristo e quello del peccato, anche oggi sono opposti. So che camminare sulle orme di Cristo oggi significa anche abnegazione, sacrificio, mentre la vita frivola del mondo è facile. So che i fedeli imitatori di Cristo devono spesso soffrire, mentre i figli dell’iniquità gioiscono. E so anche che è meglio soffrire in questo mondo con Cristo che gioire con i peccatori. Ti faccio una domanda, amico lettore: da che parte vuoi stare? Vuoi arruolarti nel campo di Cristo o in quello del peccato?

VIVA CRISTO RE (17)