LA PREGHIERA DI PETIZIONE (7)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (7)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

10. — Ecco la vera tavola di salvezza!

Ed ora riassumiamo brevemente quanto è stato scritto fin qui, per correre senz’altro ad individuare quel grande mezzo che il buon Dio ci ha messo a portata di mano, affinchè — servendocene — possiamo davvero evitare il peccato, divenire sempre migliori e raggiungere l’eterna salute. – Anzitutto abbiam visto, che, per poterci salvare, dobbiamo osservare i comandamenti di Dio. Lo disse Gesù: « Se vuoi entrare alla vita eterna, osserva i comandamenti » (Matt. 19, 17) E su questo punto è inutile tergiversare, nicchiare o recalcitrare. Iddio così vuole. Sia fatto così. – Poi abbiamo veduto che i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni e pur nei più gravi pericoli non ricercati volontariamente. E le prove da me addotte in sostegno di questa tesi, mi pare che siano state esaurienti e decisive. Nessuno infatti può ragionevolmente sostenere di non essere in grado di osservare i divini comandamenti. Chi osasse asserirlo, confesserebbe, con ciò stesso, di non volerli osservare. Ecco la verità. Abbiamo però dovuto in seguito candidamente riconoscere che noi, colle sole nostre forze naturali e coi mezzi puramente umani che abbiamo a nostra disposizione, non possiamo liberarci dalla colpa, non riusciamo a preservarci a lungo dal peccato mortale, anzi non abbiamo neppur la forza e la idoneità necessarie per compiere delle azioni che, a rigore di giustizia, abbiano valore presso Dio e merito soprannaturale. Ed infatti, dal momento che Gesù disse: « Nessuno può venire a me, se il Padre mio non lo attrae » e « Senza di me non potete far nulla » (Giov. 6, 44; 15, 5), non è più il caso di discutere. Tuttavia quel buon Dio, che vuol essere Egli stesso l’autore della nostra virtù, il promotore della nostra salvezza e il consumatore della nostra santità « affinché nessun uomo si glorii davanti a Lui » (1 Cor. 1, 29), ci comunica nei momenti del bisogno o dell’opportunità una luce, un calore, un’energia tutta soprannaturale e divina, che si chiama grazia attuale, assecondando noi la quale e corrispondendovi docilmente, veniamo portati — secondo i casi — a detestare il peccato, liberati dal medesimo, arricchiti della grazia santificante, aiutati ad evitare la colpa, a praticare opere virtuose, a vivere secondo il beneplacito di Dio. È questa, quella mirabil forza divina comunicataci dal Signore, che può darci perfino il coraggio di dire con S. Paolo: « Se abbiamo Dio con noi, chi oserà mettersi contro di noi? » (Rom. 8, 31). – Questi sono in riassunto gli argomenti che ho svolto fino a questo punto. Ora, dal momento che questa luce e questa forza divina ci è offerta in sì larga e generosa misura, « non è lecito dire: Non posso. Sarebbe un accusare il Creatore. Infatti se ci avesse fatti incapaci e ci comandasse egualmente, l’accusa sarebbe contro di Lui» (Crisostomo). « Non si caricano nemmeno le bestie con pesi superiori alle loro forze ». Quindi « se anche un sol uomo al mondo, in una sola circostanza della vita, non potesse evitare il peccato mortale, Dio sarebbe ingiustissimo ed il tiranno più crudele; poiché punirebbe con un inferno eterno ciò che non si può evitare » (Ut vitam habeant, pag. 58, e Vivere in Cristo, pag. 67 – I ediz. di ambedue). « Come dunque molti non possono? Perché non vogliono. E come non vogliono? Per indolenza (proprio questo è il motivo precipuo, anche in questi nostri tempi. Ciò che è spirituale non interessa, e perciò vien trascurato): ed invero, se volessero, potrebbero benissimo. Infatti abbiamo Dio che ci dà l’aiuto e la forza. Basta che noi pure facciamo la scelta, che ci disponiamo agli atti che dobbiamo compiere come a un dovere, che abbiamo premura, che mettiamo attenzione, e tutto verrà da sè » (Crisostomo). Ma purtroppo — ecco, ecco il gran guaio! — purtroppo, dico, tanti non si decidono a far la scelta d’una vita veramente cristiana, non si dispongono agli atti necessari per raggiungerla, non si danno premura di afferrare le buone occasioni per convertirsi e per operare il bene. Essi invece seguendo il contegno dei più, si lasciano facilmente distrarre ed illudere dalle molteplici cianciafruscole che di giorno in giorno offre il mondo, non reagiscono contro le proprie cattive inclinazioni, si ripromettono di darsi a Dio quando saran cessati i bollori delle passioni giovanili, confidano in quella divina misericordia che è bensì da Dio promessa, ma solo a chi è pentito e non a chi ne abusa…; ed allora, per necessità di cose e quasi a dispetto di tutti i ben studiati puntelli che genitori pii, Dirigenti dell’Azione Cattolica, santi Sacerdoti e Missionari zelanti si sforzano di approntare e mettere dove ne vedono il bisogno, succede purtroppo ciò che chiaramente si vede da tutti, che cioè i peccatori non si convertono davvero, i tiepidi non divengono migliori ed i buoni non si fan santi; se pur non succede di dover vedere tutto il rovescio, cioè i santi medesimi divenire — adagio, adagio — prima appena buoni, poi tiepidi ed infine peccatori e pessimi peccatori anch’essi! Ah! certe floride promettenti giovinezze cristiane, prima illanguidite, poi afflosciate, poi appassite ed infine.., ah! In fine Dio solo sa ciò che è divenuto o diviene di esse! – Dunque — come già dissi — da tanti, da troppi non si coopera alle grazie di Dio, non si corrisponde fedelmente ad esse; e quindi si va, di precipizio in precipizio, fino all’ultimo: quello dell’inferno. – Ora io mi chiedo: Non ci sarà proprio alcun mezzo sicuro, che ci procuri delle grazie talmente forti alle quali noi infallibilmente corrispondiamo? E rispondo trionfalmente: Questo mezzo c’è: ed è precisamente e soltanto la preghiera di petizione. E per provarlo a sufficienza bastano, intanto, le seguenti citazioni: « Chi prega certamente si salva » (S. Alfonso de’ Liguori). « Troppo lo dimostra l’esperienza, che chi ricorre a Dio nelle tentazioni non cade, e chi non ricorre cade, e specialmente nelle tentazioni d’incontinenza » (S. Alfonso). « Bisogna persuaderci che dal pregare dipende tutto il nostro bene, dal pregare dipende la mutazione della vita, dal pregare dipende il vincer le tentazioni, dal pregare dipende l’ottener l’amor divino, la perfezione, la perseveranza, la salute eterna » (S. Alfonso). « Nessuna cosa può resistere a lungo alla soave e potente influenza della preghiera: non le passioni, non la forza delle tentazioni e dei pericoli. Trionfa di tutto. Trasforma insensibilmente i sentimenti, le idee, la volontà e i pensieri. Colla preghiera, senza accorgersi, l’uomo diventa un altro » (P. Meschler S. J.). « La preghiera fatta colle debite disposizioni ha, per divina promessa, l’infallibile efficacia d’impetrare ciò che si domanda » (Teol. Priimmer) « E’ certissimo che la preghiera fatta colle dovute condizioni impetra infallibilmente la grazia attuale efficace, quella cioè alla quale l’uomo, sempre liberamente, ma infallibilmente corrisponde. – In altre parole la preghiera ottiene infallibilmente la grazia non di potersi convertire (ìntendi: non solo la possibilità di convertirsi), ma di convertirsi di fatto; non di poter essere casti, ma di vivere realmente puri; non di poter odiare il peccato, ma di odiarlo effettivamente, ecc. ecc. – È certissimo che ciò vale anche della perseveranza nel vivere in grazia di Dio e della stessa perseveranza finale. Colla preghiera è certissimo che infallibilmente si ottiene la grazia non di poter perseverare, ma di perseverare di fatto nella grazia santificante; non di potersi salvare, ma di salvarsi davvero. Cioè pregando ci assicuriamo in modo infallibile non solo che Dio ci conceda le grazie attuali, ma altresì la corrispondenza alle grazie che ci vengono concesse; essa pure una grazia. Alla sola preghiera Dio ha promesso infallibilmente la grazia efficace; e perciò colla preghiera soltanto ce la possiamo assicurare infallibilmente » (« Ut vitam habeant » I, Ediz. pag. 92). « I comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni, coll’aiuto della grazia, che Dio non nega mai a chi lo invoca di cuore » (Cat. di Pio X Dom. 1654. – Ed ora venga Dio stesso a confermare quanto dissero i suddetti. Egli in ben tre luoghi della Sacra Scrittura ci fa sapere che « chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo » (Gioel. 2, 32; Att. 2, 21; Rom. 10, 13). Sarà salvo, soggiungo io, prima dal peccato e poi dall’inferno. E quanto dirò da adesso avanti non servir ad altro che a confermare questa consolantissima verità alla quale sono finalmente arrivato. Deh, mi si accompagni! Le cose che dissero Dio, i Santi e gli uomini grandi sulla preghiera, sono davvero meravigliose, apportatrici di conforto e conducenti a speranza; e ci conviene ascoltarle con attenzione e meditarle profondamente. Io stesso le medito per ordine che le stendo.

11. — La gran forza dell’uomo.

Dunque chi invoca di vero cuore il buon Dio avrà da Lui un aiuto tale per cui di fatto certamente osserverà sempre, anche nelle più forti tentazioni e pur nei più gravi non ricercati pericoli, tutti i suoi comandamenti, anche i più difficili. Anzi è unicamente la preghiera — intesa nel senso da me esposto e che determinerò sempre meglio nel decorso dell’esposizione — quel grande mezzo che senza fallo c’impetra dal Signore le grazie efficaci che ci sono necessarie per uscire dallo stato di peccato, per ottenere la grazia santificante, per evitare nuove gravi colpe, per accrescere le nostre virtù e i nostri meriti presso Dio, e infine salvarci. Ma — dirà più di uno — non è pur necessario applicarci a conoscere il bene, le verità che dobbiamo credere, le cose che dobbiamo fare ed i mezzi che dobbiamo adoperare per renderci a Dio graditi? — E’ necessariissimo anche questo; poiché chi intende salvarsi davvero e rendersi a Dio gradito, deve pur ricercare ciò che Egli esige da lui perché possa raggiungere lo scopo della sua vita, che è quello di conoscere, di amare e di servire il suo supremo Signore per averne il promesso guiderdone. Però la passione di apprendere tutte queste cose ci sarà comunicata da Dio, se noi Gliela chiederemo colla nostra preghiera. Invece, se non la domanderemo, noi non l’avremo mai in modo che veramente ci giovi a salute. E non si devono pur fuggire le cattive occasioni che potrebbero trascinarci o spingerci al peccato? — Certamente, poiché sta scritto; « Chi ama il pericolo in quello perirà. Il vino e le donne fan perdere il buon sentimento perfino ai più saggi.., Fuggi dalla faccia del peccato, come fuggiresti alla vista d’un serpente » (Eccl. 3, 27; 19, 2; 21. 2). Ma anche questa grazia veramente grande ci sarà procurata dalla sincera e fervida preghiera, -assai più e meglio che dalla più oculata attenzione che non dobbiamo mai trascurare in proposito. Il Signore. da noi cordialmente invocato, le toglierà o le farà svanire o ci darà la forza di eluderle, neutralizzarle, evitarle. Non si deve anche vegliare sopra noi stessi, reprimere le nostre malvagie passioni, sforzarci di correggere le nostre perverse tendenze e cattive abitudini, e per giunta scacciare le tentazioni al male e declinare i perfidi inviti dei mondani? – Guai  chi lo nega! Infatti « chi ha creato te senza di te, non salverà te senza di te », cioè senza la tua cooperazione (S. Agostino), e « non è detto che dobbiamo lasciare unicamente a Dio la cura della nostra salute. Ha diritto di aspettarsi aiuto e salvezza da parte di Dio sol chi impiega da parte sua tutte le forze per meritarselo » (Scheeben). E deve pur sapersi che né Dio, né i Santi si presterebbero mai a nutrire la nostra poltroneria » (Curato d’Ars), poiché « il Paradiso non è fatto pei poltroni » (S. Filippo Neri). Anzi guai anche a chi resta passivo in questa lotta. Infatti Dio già a Caino aveva detto: «Frena il tuo malvagio appetito, e così lo dominerai (Gen. 4, 7). Tuttavia come potremo noi riuscire vittoriosi in questo combattimento, se di fronte alle insinuazioni diaboliche, alle esigenze dei sensi ed alle lusinghiere seduzioni del mondo, siamo come fragili canne esposte alle bufere e come tenere erbe sotto lo scrosciar della grandine?… Perciò anche qui ci vuole la forza di Dio, che possiamo senza dubbio impetrare colla istante, fiduciosa e fervente preghiera. « Mentre combattiamo in questo agone, domandiamo l’aiuto del Signore. Se Egli non ci aiutasse, nonché vincere, noi non potremmo neppur combattere » (S. Agostino, Serrn. 156). Le amarezze poi della vita son tante! Or come potremo noi conservare sempre in mezzo ad esse la necessaria pazienza e rassegnazione? — Oh! assai più facilmente chiedendola con la insistente preghiera, che non con tutte le più sagge considerazioni, coi più tenaci sforzi e coi nostri più seri propositi, che pur non debbono assolutamente omettersi. E dobbiamo anche meditare sopra le grandi verità eterne, sui benefici della Redenzione, sui mezzi di santificazione, sulle virtù cristiane, sulla nostra responsabilità di fronte al nostro prossimo e soprattutto di fronte a Dio, ed approfittarci delle prediche, delle istruzioni religiose e delle pie letture? — Certo bisogna che facciamo anche questo. Infatti chi non s’approfitta di queste pratiche e non medita seriamente sugli argomenti da me proposti, ed anche su diversi altri ricordati dai buoni maestri spirituali, « poco conosce i difetti, poco i pericoli di perdere la divina grazia, poco i mezzi per superare le tentazioni e poco conoscerà ancora la stessa necessità di pregare ». Tuttavia « che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare e poi non farlo, se non per renderci più colpevoli innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo (e assistiamo a prediche) quanto vogliamo: non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempierle» (S. Alfonso de’ Liguori). Ecco dunque necessaria la preghiera anche per valorizzare le nostre meditazioni e quanto ci vien proposto nelle prediche ed istruzioni religiose. – Tanti poi, a periodi, sentono grande ripugnanza per tutto ciò che sa di religione e di virtù. È questa una gravissima tentazione del demonio; e potrà anch’essa facilmente farsi svanire per mezzo della preghiera; la quale, se allora sarà più difficile e pesante, sarà appunto per questo più meritoria e quindi anche più facilmente esaudita da Dio. – E chi è in peccato mortale, oltreché pentirsi convenientemente del male fatto e proporre sinceramente di evitarlo e di rimediare — per quanto è possibile — alle sue conseguenze, non è forse pur obbligato a confessarsene sacramentalmente, se vuol essere perdonato da Dio? Oh! certamente! Lo vuole Gesù, nostro divin Redentore; e quindi anche questo è un precetto divino. Ma come potrà il misero vincere la ripugnanza di compiere quest’atto salutarissimo, apportatore di misericordia e di pace?… Ah! stia pur certo che, se è di cuor retto, il Signore da lui cordialmente invocato farà svanire gl’immaginari ostacoli; ed egli piegherà volentieri le sue ginocchia davanti al ministro di Dio, che gli dirà la certa e sicura parola del divino perdono. E chi non vedesse la necessità della S. Comunione neppure a Pasqua? — Anche costui preghi il buon Iddio ad illuminarlo; ed egli certamente verrà a conoscere che la S. Comunione è il più forte e sostanzioso cibo dell’anima, il più efficace preservativo dal peccato, il più potente generatore di virtù e quell’alimento misterioso che gli farà gustare e vedere quant’è soave il Signore (Salm. 33, 9); e — dopo ciò — non potrà fare a meno di accostarsi spessissimo a questa mensa celeste, nella quale si riceve Colui che è « via, verità e vita » (Giov. 14, 6), e « pegno di vita eterna » (Liturg.). E chi sentisse la propria volontà recalcitrante all’osservanza della divina legge, dovrà dirsi perduto? — No; attivi tutta la sua energia per domarla e piegarla al bene; ma se — con tutto ciò — non riesce a sottometterla, ricorra con fiducia al Signore. Se « l’uomo non può colle sole sue forze cambiare la sua cattiva volontà » (Scheeben), la Chiesa ha però una preghierina anche per questi miseri. « Placati, te ne preghiamo, o Signore, — essa dice nella Messa della IV Dom. dopo Pentecoste — e benignamente spingi verso di Te le nostre sia pur ribelli volontà »; e nelle grandi Litanie: « Liberaci, o Signore, dalla cattiva volontà ». E chi non volesse riconoscere la sua miserabile condizione di fronte a Dio, ancorché fosse carico di peccati e di perverse abitudini? — Oh! avrà anche costui una moglie, una figlia o una mamma la quale possa pregare per lui! Noi sappiamo che Dio ha in mano le chiavi delle menti e dei cuori di tutti; e c’è pur noto che Gesù esaudì anche le preghiere fattegli per altri e se uno avesse perfin perduta la fede? — Il caso purtroppo non è raro. Anzi oggidì è assai frequente; ed è gravissimo. Tuttavia il rimedio c’è anche per questi; ed è quello indicato or ora: se c’è chi prega per lui, non bisogna mai disperare. Ma non potrebbe egli stesso tentare di far questa breve preghiera: « O Signore, se è vero che Tu esisti e che vuoi qualcosa da me… se è proprio vero quanto insegna la Chiesa Cattolica, ti prego istantemente d’illuminarmi e di darmi la forza di assecondare i tuoi voleri! »? — Certamente a tempo opportuno egli sperimenterà quanto è buono il Signore. E lo stesso dicasi per qualsiasi caso che possa prospettarsi nella vita umana, poiché « la preghiera è bensì una; ma con essa si ottengono tutte le cose » (Teodoreto). E dev’essere proprio così. Gesù infatti afferma: « In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa voi domanderete al Padre nel nome mio, Egli ve la concederà» (Giov. 16, 33). E la parola di Gesù non può fallire. Dopo ciò come oseremo noi temere che Dio possa, anche una sola volta, mancare alla sua promessa? Ah! fra gli uomini purtroppo sono abituali le mancanze alla parola data; ma in Dio ciò è impossibile. Infatti « chi mai lo invocò, e ne fu disprezzato » (Eccli. 2, 12), rimanendo così deluso nelle sue speranze? Oh! si faccia pure avanti!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (6)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (6)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (6)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

8. – La candida veste dei figli di Dio.

Non indugiamoci. Questa veste candida di cui intendo parlare qui è la grazia santificante. Essa non è una cosa passeggera e transitoria come la grazia attuale, ma bensì una qualità ed un influsso permanente e stabile della bontà di Dio nelle anime nostre, le quali, per tal celeste influsso divengono pure, giuste, a Dio gradite ed a Lui somiglianti. In virtù di questa grazia diveniamo per giunta figli adottivi di Dio e meritevoli della vita eterna. Ed essa permane in noi abitualmente (e per questo si chiama anche grazia abituale), senza che più di tanto neppur l’avvertiamo, finché non la scacciamo col peccato mortale, cioè con una grave deliberata trasgressione alla legge di Dio. – Queste poche nozioni dovrebbero essere sufficienti a farci comprendere come « questa grazia sia il più grande tesoro che possa arricchire le anime nostre… è il più gran dono che Dio possa farci… E’ la comunicazione della divina natura fatta all’uomo » (Frassinetti). Infatti in grazia di essa noi siamo « fatti consorti della divina natura » (I Pietr. 1, 4), cioè della bellezza e santità stessa di Dio; e noi veniamo così elevati al di sopra di noi e, in certa maniera, divinizzati. Gesù infatti disse: « Io sono la vite, e voi i tralci… Come il tralcio non può portar frutto da se stesso se non rimane intimamente unito alla vite; così neppure voi, se non rimarrete in me… ed io in voi… Chi rimane in me ed io in lui, porterà frutti abbondanti> (Giov. XV). La grazia santificante è insomma la vita stessa di Dio — la vita di Gesù Cristo — trasfusa in noi; per cui ogni uomo che ne è dotato, ben può dire con S. Paolo: « Sì, io vivo; ma non già io, poichè in me vive Cristo » col suo Spirito. « Per me il vivere è Cristo » (Gal. II, 20; Filip. I, 21). Quindi se l’uomo, nella sua condizione naturale, è il binomio « anima e corpo », il vero Cristiano invece è il trinomio « corpo, anima e grazia di Dio », o — come si può pur dire — corpo, anima e Spirito Santo. Non dimentichiamo poi che la grazia santificante ci rende talmente graditi a Dio da farci senz’altro divenire suoi figli adottivi e quindi meritevoli della sua stessa gloria. Ascoltiamo infatti Gesù. Anzitutto spessissimo egli insinua ai suoi discepoli questo grande mistero d’amore; poiché, quando parla del suo celeste Padre, anziché dire « il Padre mio », dice invece quasi sempre « il Padre vostro che è nei cieli… il vostro celeste Padre ». Poi nella preghiera da Lui stesso insegnataci, ce lo fa invocare senz’altro colle parole « Padre nostro che sei nei cieli > facendoci chiaramente capire ch’Egli vuole che il Padre suo sia insieme suo e nostro. E non ebbe Egli pure a dir ai suoi: « Non date ad alcuno.su questa terra il nome di padre, poichè uno solo è il Padre vostro: quello che sta nei cieli»? (Matt. 23, 9). E non volle Egli confermare questa sua amabilissima volontà anche alla Maddalena il giorno stesso della sua risurrezione, dicendole: « Va dai miei fratelli e di’ loro: Io ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro »? (Giov. 20, 17), e ciò, dopo avere, già tre sere innanzi, detto loro: « Nella casa del Padre mio ci sono molti posti… Vado a prepararne uno anche per voi »? (Giov. 14, 2). Davvero Gesù non poteva essere più esplicito di così; e quindi ben poteva anche l’Apostolo dell’amore esclamare tutto estatico: « Guardate di quale amore ci ha amato il Padre, concedendoci di poterci chiamare e di essere davvero figli di Dio » (Giov. 3, 1). E siamo così anche fratelli di Gesù! – Ah! bisogna ben dire che la grazia santificante ci eleva a tal dignità, altezza e nobiltà da farci partecipare dell’infinito! Oh! quanto grandi ci vuole il Signore, se lo vogliamo noi pure! Ma vediamo le cose un po’ più in concreto, cioè in un bambino prima e dopo il battesimo ed in un Cristiano adulto gravato di peccati mortali, prima e dopo la confessione. Il bambino che prima del battesimo (essendo discendente di progenitori colpevoli) è, di fronte a Dio, « figlio d’ira » (Efes. II, 3), e che — se morisse in quello stato — sarebbe senz’altro escluso dall’eterna beatitudine; invece dopo il battesimo è illuminato di luce divina, arricchito di doni celesti, ammantato di splendori, angelici, già figlio adottivo di Dio, e — se morisse in tal condizione — andrebbe immediatamente nel regno della gloria celeste. – E quel Cristiano che è in peccato mortale?Ahi, misero! Per causa di esso egli è aperto nemico di Dio, orrendamente devastato nell’anima, privato di tutti i meriti acquistati in passato colle sue opere buone mentre era in grazia di Dio, schiavo del demonio, reo di grave colpa davanti al Signore e meritevole di eterne atrocissime pene; e, se morisse in tale stato, andrebbe immediatamente nell’inferno. Anzi la sentenza è già firmata; e guai a lui se un’improvvisa morte gli porta anche l’ordine dell’esecuzione!… Ma se quel povero peccatore, per l’infinita misericordia di Dio, riesce a concepire un sincero dolore soprannaturale delle sue colpe o meglio ancora — a farlo seguire da una buona Confessione sacramentale, ecco ch’egli in un attimo riacquista l’amicizia e la figliolanza di Dio, ha di nuovo l’anima riparata e riabbellita, rientra in possesso di tutti i suoi meriti che aveva acquistati prima della colpa; e, se fosse colpito dalla morte in tal buona condizione, la sua sorte sarebbe felicissima fra i divini comprensori nel bel Paradiso. – Ecco quali sono gli stupendi e meravigliosi effetti della grazia santificante nelle anime nostre! – Ma nel confronto abbiamo purtroppo dovuto rilevare quanto gran male sia per l’uomo la mancanza di questa grazia, specialmente se essa è accompagnata — come avviene ordinariamente negli adulti — dal peccato mortale, da numerosi peccati mortali. Oh, quanto orrenda, spaventosa e piena di grave pericolo non è mai la condizione del peccatore! (Vedi in appendice trattato in modo particolare l’argomento.). I Santi, al solo intravvederla in altri, inorridivano, tremavano e si scioglievano in amare lacrime; mentre invece i miseri peccatori, che son parte in causa, spesso non se ne danno pensiero e anzi ridono, scherzano e si divertono! Può mai darsi cecità maggiore di questa? Ed è appunto questa loro cecità, conseguenza del peccato e specialmente dell’abitudine nel peccato, che li porta all’eterno precipizio quasi senza ch’essi se ne avvedano. Ah! « mettono ogni loro studio nel passare felicemente quaggiù i loro giorni; e poi in un lampo si trovano nell’inferno! » (Giob. 21, 13). Eh, già! la loro sorte, se non si ravvedono a tempo, non può essere che questa. Disse infatti Gesù: « Chi non rimane unito a me (come il tralcio alla vite), è gettato via core un tralcio staccato, che poi inaridisce; e in seguito vien raccolto e gettato ad ardere nel fuoco » (Giov. 15, 6)..Dunque, conclude S. Agostino, a noi non rimane che quest’unica affermativa: « O rimanere uniti alla vite, che è Cristo, per mezzo della grazia santificante, oppure rassegnarci al fuoco eterno dell’inferno: « aut vitis, aut ignis ». Quale alternativa tremenda! Ora è mai possibile che, di fronte ad essa, noi restiamo indifferenti? Ecco dunque che cosa è l’uomo che vive in grazia di Dio, ed ecco pure ciò che è l’uomo senza la divina grazia e per giunta carico di colpe personali! E noi continueremo a vivere per mesi e fors’anche per lunghi anni senza sforzarci di uscire da quest’orrenda condizione, da questo tenebroso sotterraneo pieno di sozze bestiacce e di schifosi rettili? O se, per fortuna, ci trovassimo in grazia di Dio, che cosa non dovremmo fare per non decadere da sì felice ed onorevole condizione? Anzi che non dovremmo noi fare per accrescerla ancora maggiormente onde renderci sempre più belli e graditi davanti al grande e nobilissimo Signore nostro, il quale si è degnato di ammetterci — senza alcun nostro merito — alla sua figliolanza e di prometterci la sua stessa felicità eterna, se gli rimarremo fedeli? Ah! qui bisogna venire assolutamente ad una pronta ed energica risoluzione; poiché se già il « non vivere da santo, è viver da folle » (Guido Negri), qual cosa orrenda e mostruosa non sarà mai quella di perseverare ostinatamente nell’aperta inimicizia con Dio? – Che cosa dunque decidiamo? (Da quanto ho scritto si deve capire che chi vive in peccato mortale, non vive né può vivere una vita veramente cristiana. Crederà da Cristiano e si diporterà in via ordinaria da Cristiano; ma spiritualmente egli è morto; e guai a lui se la morte lo sorprende in tal disgraziata condizione! Per lui non c’è altro che l’inferno! Su questo argomento desidererei che fosse letto da tutti il bel volume « Vivere in Cristo » edito a cura del Cons. Dioc. Unioni di A. C. di Treviso e Milano. Esso aprirebbe certamente gli occhi a più d’uno.)..« O Madre della divina grazia, prega per noi! » (Litanie lauretane).

9. — Inviti, attrazioni e spinte al bene.

A questo punto chi fa la carità di seguirmi è pregato a mettere la massima attenzione; poiché ciò che sto per dire ha immensa importanza per quanto esporrò specialmente nel successivo capitolo. Per l’infinita bontà e misericordia di Dio, il quale sinceramente desidera, anzi vuole che tutti gli uomini si salvino, le grazie attuali vengono da Lui concesse e distribuite in misura generosa e sovrabbondante a tutti gli uomini: tanto a coloro che si trovano in grazia santificante, come anche a coloro che vivono in peccato mortale; tanto ai Cristiani, come agli eretici, come perfino ai pagani. Sì, anche i peccatori sono inseguiti e, dirò, perseguitati assai spesso dalle grazie attuali. Infatti, quantunque tanti, per il loro orgoglio, non vogliano riconoscere che Dio li invita, e talvolta anche fortemente — soprattutto quando si trovano lungi dal chiasso e frastuono del gran mondo, in occasione di predicazioni straordinarie, o colpiti da qualche sventura — a mutar vita, a finirla coi disordini, ad abbandonare le’ occasioni cattive, a ritornare all’amoroso amplesso del buon Padre celeste; tuttavia l’esperienza insegna inequivocabilmente che tutti i peccatori convertiti, riandando il loro passato, intravvidero le file misericordiose attraverso le quali il Signore li guidò continuamente fino a farli sfociare dal fitto e scuro labirinto in cui brancicavano, alla luce della grazia ed alla santa libertà di figli di Dio. Non a caso perciò un eminente Accademico d’Italia, ritornando a Dio, poté dire: « Chi neppure una volta ha sentito il desiderio di essere santo, non è un uomo, ma una bestia. Penso che ci siano per tutti certi momenti in cui il cuore desideri di essere più puro, più buono, più leale, più giusto. Ebbene questi sono i momenti della grazia che ci attira più vicino a Dio, che è la stessa purezza, bontà, lealtà, giustizia ». – E non molto più oltre riferirò anche la testimonianza d’un grande finanziere americano, che pure confessa la stessa cosa sotto un altro aspetto. Qui porto due casi, ambedue storici al cento per cento. – A Parigi un protestante s’accorge d’aver dietro di sé sulla via un Sacerdote che porta il Viatico ad un infermo. Egli scantona, il prete lo segue. Indispettito, il protestante volta per un altro vicolo, ed il prete gli è alle calcagna. Allora il protestante infila la porta d’una gran casa e ne ascende le scale fino all’ultimo piano, dicendo tra sè: Qui non verrà certo! Invece il Sacerdote deve portare il Viatico proprio a quel piano e deve entrare proprio per la porta presso la quale il protestante s’era rannicchiato! La conclusione fu che il protestante si arrese, dicendo dentro di sè a Gesù Eucaristico: Voi mi siete corso dietro fin qui: adesso tocca a me ad andare dietro a Voi! Ed immediatamente si convertì. – Un giovane, seccato per le festose capriole che gli fa il cane di famiglia rientrando una sera in casa, gli dà un calcio che lo fa ruzzolare lontano. La povera bestiola, dati un paio di guaiti, s’alza e, tutta confusa, tremante, a capo basso, colla coda tra le gambe, a passo lento e incerto e con un occhio che pare chieda pietà, muove verso il padroncino quasi supplicandolo che lo riammetta alla sua amicizia e al suo amore. Il giovane a tale scena si commuove quasi fino alle lagrime e sente vivo dispiacere per aver dato quel calcio brutale al suo cagnolino. Fin qui tutto è naturale. Ma ecco che due pensieri improvvisi lo sorprendono. Il primo: « Io per aver dato un calcio a un cane, provo immenso dispiacere; mentre invece neppur mi scompongo pei calci orribili che dò al Signore coi miei peccati ». L’altro: « Il cane, quantunque da me maltrattato, mi torna vicino. Ma non fa forse lo stesso anche il mio buon Dio, il quale, benché da me ripetutamente offeso, m’offre tuttavia il suo perdono per potermi ridare l’abbraccio del suo amore? ». Che pensieri! Ma che cosa erano essi se non due grazie attuali, una più preziosa dell’altra? E notisi che qui abbiamo un cane — dico un cane — veicolo della divina grazia! Ma i veicoli della grazia variano all’infinito. – Tali sono quelle improvvise ispirazioni, quelle soavi emozioni, quei saggi consigli, quei teneri rimproveri, quelle salutari correzioni, quelle buone letture, quei fatti impressionanti, quegli amabili incoraggiamenti, quelle misericordiose Consolazioni, quelle provvidenziali sventure, quei singolari avvenimenti, che fanno maggiore impressione e dei quali è intessuta la vita d’ognuno, di quanti ci stanno d’attorno ed anche di persone lontane. Tutte le cose e tutti gli avvenimenti di questo mondo possono servire da veicoli alla grazia attuale. Cosa strana! Talvolta può perfino succedere che una banale notizia, letta su un giornale, ci faccia più salutare impressione di una splendida massima letta su un libro di devozione! Ma che è questo? E’ la grazia di quel Dio che « si trastulla nell’orbe della terra » sotto i nostri occhi! (Prov. 8, 31). Ah sì! quante grazie cl vengono offerte ogni giorno, ogni ora! E noi? Ah! noi, ciechi, bene spesso non ce ne avvediamo neppure! Grandi ed insondabili miniere di grazie sono poi quelle che si dicono « disgrazie ». Eh! sono pochi coloro che non si arrendono a Dio in seguito a forti, ripetuti e ben dosati colpi di sventura. Lo confessa lo stesso Salmista, quando dice: « Mi colpì la tribolazione e il dolore, ed io invocai il nome del Signore)> (Salmo 114, 3). – E disgrazie, oh, quante ne piombano specialmente sui peccatori! Dunque questi non possono dire di non avere, essi pure al pari dei giusti, e forse anche in maggior copia — perché più bisognosi — abbondantissime grazie da parte di Dio. Il guaio invece è che non le vedono o — meglio — non le vogliono vedere, non le vogliono riconoscere per tali, soprattutto non le vogliono assecondare. Ed è proprio questa — come vedremo — la loro colpa più grave e la loro maggior sventura. Ma ecco che s’impone qui una questione oltre ogni dire interessante, anche per il lato pratico. Come dobbiamo diportarci di fronte a questi lumi, queste mozioni e questi eccitamenti divini, che sono le grazie attuali? E’ presto detto. – Chi è già in grazia di Dio deve assecondarle e corrispondervi; e deve pur corrispondervi ed assecondarle chi è in peccato mortale. Il Signore non ci comunica i suoi doni, né perché li disprezziamo, né perché li trascuriamo, né perché ci trastulliamo con essi. Ci vorrebbe altro! Dunque chi è in grazia di Dio deve assecondare le grazie attuali per potersi preservare dal peccato, per poter progredire nella virtù e per poter così aumentare in sé la grazia santificante, che già possiede, ed i meriti per il Paradiso. Poiché, se non corrisponde a queste grazie attuali, egli — per quanto attualmente sia giusto davanti a Dio — a poco a poco decadrà dalla sua giustizia e rettitudine, fino a precipitare nel peccato mortale e perdere così tutto il suo tesoro spirituale. Cosa questa purtroppo frequentissima, di cui comprese assai bene la gravità S. Agostino quando disse: « Temo Gesù che passa! » Oh, guai a chi non ascolta Gesù quando Egli passa colla sua grazia invitandoci al bene! Potrebbe darsi che non ripassi più e che ci abbandoni alla nostra colpevole miseria. – Ma tanto più deve sforzarsi di corrispondere alle grazie attuali il peccatore; poiché soltanto corrispondendo egli docilmente agli inviti ed alle pressioni che Dio gli fa colle grazie attuali, potrà per divina misericordia, raggiungere quella grazia santificante senza la quale non v’è neppure un minimo di vera vita cristiana. – E’ dunque la grazia attuale, e soltanto la grazia attuale, quel mezzo preziosissimo di cui Dio si serve come di ago per introdurre (pel tramite dei Sacramenti del Battesimo o della Penitenza, e talvolta anche del perfetto dolore od amor di Dio congiunti col voto di uno o dell’altro dei suddetti Sacramenti) la grazia santificante nelle anime dei peccatori. Ed è pure la grazia attuale quella magica operaia che (per mezzo delle buone opere e soprattutto dei Sacramenti dei vivi) ricamerà e rinforzerà sempre meglio la veste della grazia santificante nelle anime dei giusti (soprattutto la Comunione). Infatti, per chi è in grazia di Dio, le grazie attuali non son altro che tocchi, attrattive, lumi e spinte a servirsi di tutti i mezzi che la religione suggerisce per rendersi sempre più virtuosi e più graditi a Dio; e per il peccatore le stesse grazie attuali sono a loro Volta tocchi, lumi, attrattive, spinte ed eccitamenti affinché egli esca dallo stato di peccato e si dia all’amore misericordioso di Dio. Proprio così. Le grazie attuali non hanno verso di noi altro uffizio all’infuori di questo. – Ma dunque perché mai tanti peccatori non si convertono? Perché tanti mediocri in virtù non divengono più virtuosi? e perché mai tanti, che pure sono buoni, non diventano migliori ed anzi santi? Eh! unicamente perché non cooperano alla grazia, perchè non corrispondono fedelmente alle molteplici e non di rado vive e forti grazie attuali che il Signore loro manda. Si noti che ciò che ho detto qui è della massima importanza pratica; e perciò va profondamente meditato.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

5. — Qual è la mia forza? (Giob. 6, 11).

Scrissi dunque che i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più violente tentazioni. Questo sostiene Iddio, questo insegna la Chiesa, questo confessano i peccatori e questo conferma l’intima coscienza di ognuno. Tutti infatti, dopo commesso un fallo volontario (in questo sta il peccato), dobbiamo riconoscere che, se proprio volevamo, potevamo evitarlo. Ma possiamo noi osservare i comandamenti di Dio colle sole nostre forze?… Le nostre naturali energie sono esse così perspicaci e così forti da poter reagire sempre efficacemente contro il peccato?… – Rispondo: L’uomo (e in questi nostri tempi non occorrerebbe neppur dirlo), l’uomo — dico — è libero. Egli, infatti, può fare una cosa od anche non farla; può fare una cosa od anche un’altra del tutto diversa e perfino opposta, fra le cose a lui possibili. Egli dunque si trova nella possibilità di fare ciò che vuole: tanto il bene, come il male. È però un fatto incontestabile, confermato dall’esperienza stessa, che i sensi e i pensieri del cuore umano sono inclinati al male fin dalla sua adolescenza» (Gen. 8, 21). Ma donde mai tal disordine in noi? È presto detto. Essendosi Adamo, nostro progenitore, ribellato al divino comando con la sua disobbedienza (in questo consiste effettivamente la sua colpa), egli perdette anzitutto la giustizia originale, che corrispondeva press’a poco a quella che è l’attuale grazia santificante; e così si costituì nemico di Dio e fu privato del diritto al premio del Paradiso. Fu pur privato di diversi doni preternaturali dei quali era stato da Dio arricchito nell’atto stesso della creazione; ed essendosi egli ribellato al Signore, avvenne che anche in lui la parte inferiore si ribellasse all’anima, portando così il disordine in tutto il suo essere. Ora questa triste e misera condizione in cui Adamo erasi precipitato per propria colpa, si trasfuse —per essere egli il capostipite del genere umano – in tutti i suoi discendenti, e quindi anche in noi. Questo disordine e questa debolezza alla quale siamo ora, si può dire, naturalmente soggetti, è assai ben ritratta da S. Paolo quando, gemendo, scrive di se stesso ai Romani: « Io non intendo ciò che faccio, poiché purtroppo io opero non quel bene che vorrei, ma bensì quel male che odio… Volendo io operare il bene, mi sta a fianco il male. Mi compiaccio bensì della legge di Dio nel mio interno, e pur vedo nelle mie membra un’altra legge che cozza colla legge della mente e mi rende schiavo del peccato. Disgraziato ch’io sono! chi mi libererà da questo corpo di morte? » (Rom. 7, 15-24). – Quindi benché sia di fede che il peccato di Adamo non abbia estinto il nostro libero arbitrio, tuttavia lo ha attenuato, indebolito e piegato al basso (Conc. Trid.) per modo che l’autore dell’Imitazione di Cristo può asserire che « la poca forza rimasta in noi è come una fievole scintilla nascosta sotto la cenere » (III, 55,. 2). Dopo ciò riescono chiare anche le seguenti gravi parole del Concilio Carisiaco : « Noi abbiamo il libero arbitrio, prevenuto ed aiutato dalla grazia, a fare il bene; ed abbiamo il libero arbitrio a fare il male, se esso è abbandonata dalla grazia » (Denz. n. 317); parole che spiegano in qual senso si debbano prendere queste altre di S. Pier Crisologo « Noi siamo inabili alla virtù, abili al vizio ». Dunque aveva pur ragione, quantunque corrottissimo, lo stesso Ovidio, quando scrisse: «Vedo il meglio e lo approvo, ma poi faccio il peggio » (Metamorfosi). Questa triste constatazione è infatti confermata da S. Agostino medesimo, quando gemendo confessa: « Se la tua bellezza, o mio Dio, mi rapiva verso di te, subito il mio peso me ne strappava via, facendomi precipitare, gemebondo, verso codeste cose infime… e sospiravo legato dalla mia ferrea volontà » (Conf. 7, c. 17). – In pratica qual è dunque la nostra condizione quaggiù?

1. Chi è in peccato mortale (od anche solo originale) non può colle sole sue forze naturali mettersi in condizione d’essere gradito a Dio, nè meritarsi il Paradiso. Infatti « nè il libero arbitrio dell’uomo, nè alcun capitale di natura basta per sè a sollevare l’uomo dal peccato alla grazia, se non interviene il braccio della divina potenza » (Ven. Luigi da Granata).

2. Chi è in peccato mortale non può colle sole sue forze naturali perseverare lungamente senza cadere in altri peccati mortali; e ciò per la ragione che adduco nel numero successivo.

3. Chi è in grazia di Dio, cioè chi ha la grazia santificante, non può colle sole sue forze naturali durare a lungo senza cader in peccato mortale. Così infatti devesi ritenere, poichè « è sentenza comune dei Teologi che quando le tentazioni sono gravi — e chi non ne ha? — senza l’aiuto di Dio nessuno può vincerne nemmeno una ». (In « Alcune note pratiche sul testo di catechismo: l’orazione e la liturgia ». Sono dell’Autore di « Ut vitam habeant » e di « Vivere in Cristo »).

4. Chi è in grazia di Dio non può compiere il minimo atto soprannaturale, cioè tale che in qualsiasi modo giovi alla salute eterna, senza l’aiuto di Dio che si chiama grazia attuale. Gesù infatti disse; « Senza di me voi non potete fare nulla » (Giov. 15, 5). E si potrebbe aggiunger dell’altro; ma questo solo basta per farci capire in che triste e misera condizione ci abbia precipitati il peccato di Adamo. – Ciò posto, come potremo noi metterci in condizione di non dovere ad ogni piè sospinto cadere e ricadere in peccato mortale? Infatti, dal momento che Dio ci vuole effettivamente salvi (è di fede) e che per noi Cristiani l’unico ostacolo alla salvezza eterna è il peccato mortale (e questo è pure di fede), noi dobbiamo fermamente ritenere che Dio, il quale è infinitamente buono e misericordioso, abbia per noi disposto uno o più mezzi tali che realmente ci liberino e preservino dal peccato mortale. Eh, già! chi vuol il fine, deve pur volere e disporre i mezzi necessari ed atti a raggiungerlo. E se tutti così, tanto più Iddio a cui tutto è possibile. (Anche i peccatori ammettono che Dio sia buono e misericordioso. Tant’è vero che essi per lo più peccano nella fiducia del suo incondizionato e facile perdono. Attenti però. C’è una sentenza che dice così: Maledetto l’uomo che pecca nella speranza del perdono. Se Dio è tanto buono, perché si ha a continuare ad offenderlo?). Ora quali sono questi mezzi?… Saranno forse l’istruzione e l’educazione religiosa, la fuga delle cattive occasioni, il frequentare le compagnie dei buoni, il leggere buoni libri, il meditare le massime morali ed eterne, il fare energici sforzi sopra se stessi, il controllare i propri sentimenti e le proprie azioni, il ribadire tenacemente i buoni propositi?… Tutti questi mezzi sono davvero utilissimi e mai abbastanza raccomandati. Vedremo anzi che, almeno in parte, essi devono pur ritenersi necessari. Ed è certo che chi li adopera con costanza dà a vedere ch’eì vuole seriamente intraprendere e continuare la riforma della propria vita secondo il gusto di Dio. – In pratica però — come ci sarà dato di vedere chiaramente in seguito — tutti i mezzi qui enumerati, tanto se adoperati ad uno ad uno, come se usati simultaneamente, sia perché non proporzionati al fine, sia per la connaturale fiacchezza ed incostanza umana nel loro uso, non sono per sè soli sufficientemente efficaci nè a farci risorgere dallo stato di colpa, nè a preservarci abitualmente dal peccato mortale. L’esperienza, infatti, ha dimostrato e tuttora dimostra come le suddette ottime e spesso necessarie pratiche morali e religiose, possono bensì attenuare, leggermente diminuire ed anche per breve tempo rimandare le nostre cadute e ricadute in peccato, ma non valgono a farcele abitualmente evitare. Ed i Ss. Sacramenti?… S. Alfonso, insieme con altri buoni autori, dubita perfino dell’efficacia dei Sacramenti, in quanto preservativi dalla colpa, come vedremo in seguito. E ciò, non perchè essi non siano necessari all’uomo, ma perché il loro fine primario è diverso: è quello d’infondere o di accrescere la grazia santificante; mentre nel caso di cui qui si tratta ci vuole la grazia attuale. Ma allora — dirà più di uno — abbiamo a perderci d’animo e a rassegnarci a vivere quasi abitualmente in istato di peccato mortale, cioè nell’inimicizia con Dio e nel rischio continuo d’andare all’inferno per tutta l’eternità?… No, caro! continua a leggere le successive pagine di questo libretto, e vedrai che Dio ha provveduto le cose in modo che a nessuno mai manchi il mezzo sicurissimo ed efficacissimo sia per liberarsi dal peccato sia per preservarsene in seguito. E tu stesso allora vedrai quanto sono ammirabili le sue invenzioni.

6. — Eureka: Ho trovato!

Ho già detto che Dio effettivamente vuole che tutti gli uomini si salvino e che per salvarli diede alla morte più ignominiosa perfino il suo Figliuolo Unigenito. Ora, dopo ciò, sarà mai credibile ch’Egli non abbia saputo trovare e poi voluto metterci a portata di mano un mezzo effettivamente efficace, col quale tutti, anche i più ignoranti e miseri — insomma tutti indistintamente — possano di fatto preservarsi stabilmente dalla colpa e meritarsi l’eterna salvezza?… Ah, no! Questo sarebbe un negare od almeno mettere in dubbio i suoi più grandi e nobili attributi, che sono la sua infinita sapienza e potenza, e sopratutto la sua infinita Provvidenza, bontà e misericordia. « Come mai Colui che non risparmiò il proprio Figliuolo, ma lo diede per noi tutti, non ci donò ogni cosa insieme con Lui? » (Rom. 8, 32). Dunque questo mezzo tutto divino dev’esserci; e a noi non resta altro da fare che ricercarlo, individuarlo e poi servircene. – Ora che si debba fare molta fatica a scoprirlo? Non credo. Anzitutto è certo che questo mezzo deve provenire da Dio stesso. Eh, già, dal momento che « se il Signore non edifica la casa, inutilmente s’affaticano i costruttori intorno ad essa » e che « se il Signore non custodisce la città, invano veglia su di essa il custode)) (Salmo 126, 1), non può essere diversamente. Gesù stesso infatti disse: « Niuno può venire a me, se il mio Padre non lo attira » e « Senza di me non potete fare nulla » (Giov. 6, 44 e 15, 5). Tal mezzo dunque deve provenire da Dio e non dagli uomini e dalle risorse ch’essi possono avere o porgere. Come Egli fu già l’autore della nostra vita naturale, così Dio stesso vuole pur essere l’autore della nostra virtù, della nostra santità, della nostra salvezza e della nostra gloria eterna. Vorrei poi soggiungere che tal mezzo dev’essere efficace all’uopo. Ma vale forse neppur la pena di dirlo?… Là dove mette mano il Signore, ivi è pure la sua forza, che è onnipotente. Quale sarà dunque questo gran mezzo che ci salverà dal peccato e ci procurerà la vita eterna? Che non sia forse quello che ci addita lo stesso S. Paolo immediatamente dopo le parole di lui da me riferite nel capitolo precedente? Là infatti, dopo aver detto con voce trambasciata : « Infelice ch’io sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? » — ecco che tosto, con tono che pare gioioso e festivo, soggiunge « La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore » (7, 24-25). Sì, caro Paolo, « ti basta la mia grazia » (II Cor. 12, 9). È proprio la grazia di Dio quel mezzo che ci libererà dal peccato, ci preserverà da colpe successive e ci aprirà le gioiose porte del bel Paradiso. – Infatti lo stesso San Paolo, poco più oltre, spiega assai bene quale sia nei suoi effetti, la divina grazia, scrivendo: « La saggezza carnale è nemica di Dio perché non sta sottomessa alla legge di Dio, essendole ciò impossibile; e perciò coloro che son carnali (cioè saggi secondo lo spirito mondano) non possono piacere a Dio. Voi però non siete carnali, ma bensì spirituali, se pur lo Spirito di Dio (che è la grazia) abita in voi. Se uno non ha lo Spirito di Cristo (anche qui è la grazia), non è dei suoi. Se invece Cristo è in voi, il corpo è bensì morto pel peccato, ma lo spirito è vita in virtù della giustificazione (operata dallo Spirito di Dio, dallo Spirito di Cristo, dalla grazia). E se abita in voi lo Spirito che risuscitò Cristo, Egli che risuscitò Gesù dai morti farà rivivere anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito (grazia) che risiede in voi » (Rom. 8, 7-11). – Dunque — secondo S. Paolo — quella che ci trasforma, che anzi in certo modo ci divinizza dandoci lo stesso Spirito di Dio, ed illumina la nostra mente, muove la nostra volontà e dà forza alle nostre facoltà, ci purifica dalle nostre sozzure morali e spirituali e poi ci sostiene nell’amicizia e nell’amor di Dio, anzi —come vedremo meglio in seguito.— ci mantiene nella privilegiata condizione di figli adottivi di Dio stesso, è la grazia di Dio e soltanto la grazia di Dio. Si, disse S. Paolo — « è per la grazia di Dio, ch’io sono quello che sono » (I Cor. 15, 10). Anzi qui senz’altro soggiungo che, se i mezzi indicati poco fa come insufficienti, saranno prevenuti, assecondati, sostenuti e quindi valorizzati dalla divina grazia, essi porteranno eccellenti frutti e produrranno splendidi effetti nelle anime nostre; mentre invece, se quelle raccomandabilissime pratiche non saranno potenziate dalla grazia di Dio, esse saranno bensì delle buone opere naturali, ma nient’altro e nulla più che pure e semplici opere naturali, le quali in sè e per sè, quantunque attestino la buona volontà di chi le pratica e manifestino i suoi sforzi per raggiungere la virtù, tuttavia non hanno alcun valore per l’acquisto e l’aumento della vita soprannaturale, come non dànno neppure alcun diritto a merito soprannaturale, nè a premio nella vita eterna, neppure se chi le pratica fosse in istato di grazia santificante. Infatti (il paragone è di S. Agostino) come chi — pur avendo l’occhio sanissimo — non può vedere nulla se gli manca la luce; così anche chi ha la grazia santificante non può compiere alcun atto soprannaturale, cioè meritorio per la vita eterna, se non è prevenuto, mosso ed aiutato dalla grazia di Dio che si chiama attuale. – Quanto ho detto adesso potrà sembrare assai strano e forse perfino ostico a chi è imbevuto di naturalismo e di razionalismo (cosa, del resto, assai facile, per non dir comune, nei tempi attuali); ma per un vero Cristiano non può essere diversamente che così. Infatti non è possibile stabilire una qualsiasi proporzione fra il naturale ed il soprannaturale, poiché le cose indicate da questi due termini sono a distanza infinita tra di loro.

Qui — come conclusione di questo capitoletto — metto un tratto del sermone 156° di S. Agostino, nel quale è molto bene sviluppato il mio pensiero. Commentando egli le parole di S. Paolo: « Vivrete, se collo spirito Mortificherete i movimenti della carne)) (Rom. 8, 13), soggiunge: « Tu stavi per dire: Questo lo può fare la mia volontà, il mio libero arbitrio. Ma che volontà?! che libero arbitrio?! Se non ti regge lo Spirito di Dio, tu cadi; se esso non ti rialza, tu resti per terra. Come potrai fare col tuo spirito, se l’Apostolo ti dice: « Sono figli di Dio quanti son guidati dallo Spirito di Dio? » (Rom. 8, .14). E tu vuoi fare da te, lasciarti guidare da te stesso nel mortificare i movimenti della carne? Che ti giova il non essere forse un epicureo (materialista) se poi resti uno stoico (razionalista)? O epicureo o stoico che tu resti, non sarai tra i figli di Dio. Infatti sono figli di Dio quanti son guidati dallo spirito di Lui. Non sono dunque figli di Dio quelli che vivono secondo la loro carne o secondo il loro proprio spirito, né quelli che si lasciano condurre dai piaceri della carne o dallo spirito proprio, ma quanti sono guidati dallo Spirito di Dio ». Questo tratto del gran Dottore della grazia ha non lieve riflesso su quanto ho detto ed anche su quanto sanò per dirti nei tre seguenti capitoli. Quindi non dimenticarlo. E leggi pure la nota sulla grazia che qui faccio seguire.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (3)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (3)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABIE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

3. — Quanto è buono con noi il Signore!

A questo punto sarei tentato di fare una domanda: vorrei cioè chiedere se — in fin dei conti – Dio non sia nel suo pieno diritto d’imporci i suoi, ordini e i suoi comandi, e di esigere che siano da noi prontamente, lealmente e perfettamente eseguiti. Infatti non è Egli inequivocabilmente il nostro supremo ed assoluto Padrone? e non siamo quindi noi necessariamente i suoi più stretti ed inalienabili sudditi, ai quali non può essere lecito tergiversare e discutere, e dev’essere invece propria la più assoluta, per quanto ragionevole sottomissione? Così infatti dovrebbe essere, almeno per chi è capace di ragionare. – Ma ahimè! viviamo in tempi nei quali a tanti, che pur difendono a spada tratta, ed esigono tal volta perfin colla violenza — che siano rispettati i diritti dell’uomo o, meglio, quelli che credono e ritengono diritti loro, non si può invece parlare dei diritti dì Dio, senza che essi s’indispettiscono assai gravemente. Essi pretendono per sè, e per sè soli, ogni libertà di pensiero, di parola e di azione. Gli altri invece, e Dio stesso, devono stare alle loro dipendenze, od almeno devono guardarsi dall’intralciane i loro progetti e le loro idee, i loro comandi e le loro azioni, qualunque esse siano. Così è purtroppo! – Ed allora cambiamo registro, e parliamo invece dell’amore che Dio ha dimostrato verso gli uomini, dando loro i suoi comandamenti. Se mai, dei propri diritti, a coloro che si ribellano perfino al suo amore, parlerà poi a tempo opportuno Dio medesimo con quella voce che non potrà esser soffocata, che non ammette replica e che avrà una infallibile sanzione eterna. Che sia adunque vero che Iddio, dandoci i suoi comandamenti, ci abbia dimostrato col fatto, in modo veramente tangibile, il suo grande amore verso di noi?… A me sembra di sì, nè vedo difficoltà alcuna a provarlo. A quanti infatti l’esperienza stessa della vita ha detto così: « Finché ti sei mantenuto fedele al tuo Dio, hai goduto la pace del cuore, hai conservata la benevolenza dei vicini e dei conoscenti, non t’è mai mancato il necessario alla vita e, per giunta, hai pur avuto l’intimo e non illusorio sentimento che il cielo stesso ti sorridesse e benedicesse; mentre invece, appena ti sei allontanato dalla via tracciatati dalla divina legge, hai pure subito sperimentato l’angustia e fors’anche l’inferno nel tuo cuore, ti sei visto guardare di malocchio dai vicini e fors’anche dai congiunti, ti sei procurate miserie e malattie colle intemperanze, sei andato a rischio di cadere e fors’anche sei caduto sotto il rigore delle leggi umane, hai sussultato di spavento in faccia ai pericoli e di fronte alle minacce alla tua vita ed hai pur avuta la certa coscienza che il cielo stesso t’era nemico! » Per quanti purtroppo, perchè non vogliono sottostare agli amorosi comandi di Dio e praticare seriamente la virtù, si avvera appuntino la dolorosa storia del Figliuol prodigo! (Luc. 15, 11-32). E su quanti disgraziati il Signore potrebbe ripetere le amare lamentevoli parole che già rivolse al popolo ebreo, per quanto prediletto, pur tanto instabile ed infedele: « Stupitevi, o cieli, ed anche voi, o porte della terra, ammantatevi d’immensa desolazione per quanto è successo. Il mio popolo ha fatto contemporaneamente due mali: ha abbandonato me, fonte d’acqua viva, ed è andato a scavarsi delle cisterne, delle cisterne incapaci di contener acqua » (Ger. 2, 12-13). Proprio così! E ciò succede perchè è e sarà eternamente vero che « ogni, anima umana che opererà il male, avrà tribolazione ed angustia » e che « sulla via dei peccatori si trovano la sventura e l’infelicità » (Rom. II, 9; Salm. XIII, 3). Per ogni peccatore infatti verrà, e presto, l’ora in cui dovrà gemere col Salmista: « O Signore, i miei occhi versarono lagrime, perchè non osservarono la tua legge » (Salm. CXVIII, 136). Oh, quante sventure ci piombano addosso per causa dei peccati! E quanti peccati — e specialmente certi peccati si pagano palesemente cari anche in questo mondo! – Iddio invece, per il nostro stesso bene, non vorrebbe che noi fossimo colpiti da tali e tanti guai; e ci manifesta questa sua pietosamente benigna volontà col darci quei comandamenti che, se fossero da noi fedelmente osservati, ci preserverebbero, se non da tutte, certo però dalla maggior parte delle umane sofferenze. Ora non è questa una bella prova dell’amorosa bontà e delicatezza di Dio verso di noi?… Oh! come è santo e nello stesso tempo consolante immaginarci il Signore che, nell’atto di darci i suoi comandamenti, ci rivolga pure, come un buon padre, questo saggio avvertimento: « Ascolta, o figlio, le mie parole. Io che t’ho fatto, anche ti conosco, anzi ti conosco assai meglio che non ti conosca tu stesso. Essendo poi al mondo assai prima di te, ho per giunta maggiore esperienza della vita; e perciò conosco assai meglio di te ciò che ti fa bene e ciò che potrebbe farti male. Non te l’avrai quindi a male se Io, pel tuo stesso temporale ed eterno benessere, ti prescrivo di fare ciò che ti fa bene, e ti proibisco di operare ciò che ti farebbe male. Non vorrai tu amorevolmente obbedirmi, o figliuolo? » Ah! non fu questo forse il pensiero di Dio nel darti i suoi comandamenti?… Proprio così. Quanto ho messo in bocca al buon Dio non è affatto parto della mia fantasia, né finzione retorica; ma è la pura e genuina verità. Infatti sta scritto: « Che cosa chiede il Signore Dio tuo da te, se non che tu tema il Signore Dio tuo e tu cammini per le sue vie e tu lo ami e tu serva il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta l’anima; e che tu osservi i comandamenti del Signore e le sue prescrizioni, quali io oggi ti dò, affinché ti provenga bene?.. Se tu ascolterai la voce del Signore Dio tuo osservando ed eseguendo tutti i suoi comandamenti… il Signore Dio tuo ti eleverà sopra tutti i popoli che sono sulla terra; e verranno sopra di te tutte queste benedizioni, e saranno tue, purché tu ascolti i suoi precetti »; e seguono ben dodici versicoli pieni di grandi e preziose benedizioni per chi osserverà i divini comandamenti (Deut. X, 12-13 e XXVIII, 1-14). Dopo ciò chi oserà più chiamare esoso e crudele tiranno il buon Dio per averci prescritto l’osservanza dei suoi comandamenti?… Ma tant’è! Come vi sono dei malati che, nel delirio della febbre, disprezzano, respingono, offendono ed insultano il solerte, valente ed affettuoso medico che vorrebbe salvarli dalla morte colle sue giuste prescrizioni; così purtroppo vi sono pure degli uomini e perfino dei Cristiani — non so dire se più ignoranti o cattivi — i quali tacciano come sopraffattorie e tiranniche le amorose disposizioni di Dio a loro riguardo! Oh, quanto son miseri ed insensati! – O Padre celeste, ed anche voi, o buon Gesù, perdonate loro! Essi non sanno in che cosa consista il loro vero bene.

4. — Una delucidazione importantissima.

Basati dunque sulla parola di quel buon Dio, che è più inclinato a compatirci e soccorrerci, che ad imporci oneri incomportabili e castigarci, noi dobbiamo ritenere e credere che ci riesca possibile adempiere quei divini comandamenti, l’osservanza dei quali è richiesta perché possiamo dare il debito onore a Dio e così raggiungere il premio eterno del Paradiso. Di questo ci assicurano Iddio, la Chiesa, i peccatori convertiti e la nostra coscienza. E — come abbiamo visto – possiamo esser certi che i dannati stessi, se potessero ritentare la gran prova già per loro miseramente fallita, si dimostrerebbero certamente tutti ammirabili campioni di santità, e neppur uno solo di essi ritornerebbe più in quel luogo di tormenti, nel quale non è, né può esserci redenzione. Purtroppo quei miseri devono continuamente dire: « La mietitura è passata, l’estate è terminata; e noi non ci siamo salvati! » (Ger. VIII. 20). A questo punto però viene quasi spontanea una domanda: Quanti e quali sono i comandamenti di Dio? Sono forse quelli che si trovano elencati nel Decalogo mosaico? (Es. XX, 1-17; Deut. V, 6-21). — Si, a rigor di termini, i comandamenti di Dio (fatta la legittima variante al terzo) son proprio quei dieci. Però a scanso di malintesi avverto che, sotto la denominazione di: comandamenti di Dio, chi scrive intende includere anche i doveri dei nostri stati particolari ed i precetti della Chiesa. Non esiste forse per noi l’obbligo di fedelmente osservare anche questi?… Eh, sì! ognuno di noi deve osservare i divini comandamenti secondo i dettami suggeriti dalla particolare condizione di vita in cui si trova (seguo qui l’idea del Tissot (La vita interiore semplificata), il quale dice che i doveri del proprio stato vengono a precisare l’applicazione dei comandamenti e la maniera propria e personale con cui li dobbiamo praticare. I comandamenti sono generali, e la loro applicazione deve essere particolare. I comandamenti enunciano i principi generali, e i doveri del proprio stato precisano le loro applicazioni speciali nell’individuo.); ed al pari dei comandamenti di Dio, devono pur osservarsi i precetti della Chiesa; poiché a coloro dai quali emanano, Gesù disse: « Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi disprezza Me, disprezza Colui che mi ha mandato » (Luc. 10, 16). Questi precetti, a differenza dei comandamenti, sono variabili e sono anche cassabili da parte della legittima autorità; ed è pur possibile ottenere, per giusti motivi, dispensa dalla loro osservanza. Il grave o gravissimo motivo potrà in qualche circostanza, esonerarci dall’osservarli; ma ciò non toglie che anch’essi, sia pur indirettamente, ci siano comandati da Dio. – Non credo poi di andare lungi dal vero se fra i divini comandamenti includo pure diverse obbligazioni di capitale importanza per chi vuol davvero condurre una vita cristianamente onesta, le quali — quantunque non siano esplicitamente menzionate nel Decalogo — vi si contengono però implicitamente e sono spesso dal Signore richiamate qua e là nella Sacra Scrittura e, per giunta, richieste quasi sempre dalla sana ragione. Ne enumero alcune delle più importanti: l’obbligo, per esempio, di credere a tutte le verità rivelate da Dio e proposteci come verità di fede dalla Chiesa; l’obbligo d’istruirci seriamente nelle cose che dobbiamo credere e fare per essere a Dio graditi e poterci salvare; l’obbligo di pentirci delle nostre colpe e di accusarcene presso il legittimo ministro di Dio; l’obbligo di pregare; l’obbligo di evitare — per quanto è possibile — le occasioni prossime di peccato; l’obbligo di attendere a correggerci almeno dei più gravi nostri difetti; l’obbligo di prendere dalla mano di Dio anche le inevitabili tribolazioni della vita… Come infatti può ritenere di essere in regola col Signore chi non ammette certe cose da Lui rivelate, ancorché siano inconcepibili alla ragione ed inspiegabili alla scienza umana? La potenza e la scienza di Dio non sono forse assai superiori alla nostra? E s’ha forse a credere che tutto il vero sia afferrabile dalla nostra debole mente e proporzionato alla nostra scarsa intelligenza?.. Così pure come può dirsi uomo veramente retto chi commette la gravissima imprudenza di non interessarsi scrupolosamente di quanto il suo supremo Padrone da lui esige perché possa evitare la condanna e sperarne invece il premio; chi non riconosce davanti a Dio (e, quando occorra, anche davanti agli uomini) il male commesso; chi stima male solo quello ch’egli percepisce come tale, e che, neanche per espiare questo, vuol piegarsi a compiere gli atti da Dio stesso prescritti all’uopo; chi non si cura o non si degna o si vergogna di pregare; chi stoltamente confida di poter schivare il peccato senza fuggirne i pericoli; chi non si cura di correggersi delle cattive abitudini e non si sforza di frenare e comprimere le proprie passioni e cattive tendenze; chi si dimostra ribelle o poco sottomesso alle divine disposizioni?.. Eh, no! tali maniere di contenersi non possono essere gradite a Dio; sono anzi spesso da Lui detestate e condannate nelle Ss. Scritture; e perciò chi le segue non può dire di essere in regola con Dio, nè può asserire con sincerità di essere prudente nel suo più grande ed importante negozio, che è quello di salvare l’anima. Conseguentemente le cose opposte a queste da me qui denunciate e già precedentemente elencate, devono ritenersi come da Dio stesso comandate, e perciò da osservarsi scrupolosamente da chi vuole essere davvero in regola con Dio e in pace colla propria coscienza. – Dunque coll’espressione « comandamenti di Dio » io intendo abbracciare tutto ciò che Dio, sia direttamente, sia indirettamente ci comanda di credere e di operare, affmchè possiamo riuscire a Lui graditi e salvare le anime nostre. Fatta questa necessaria dilucidazione riguardo all’estensione che in quest’opuscolo intendo dare all’espressione « divini comandamenti », vediamo ora insieme in qual condizione ci troviamo di fronte all’osservanza dei medesimi: cosa pure importantissima, per non dire assolutamente necessaria a sapersi.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (2)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (2)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (2)

OSSIA IL MEZZO PIU’ INDISPENSABILE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

1. — Perché siamo øl mondo

11 più o meno lungo periodo di tempo che noi siamo destinati a trascorrere su questo piccolo pianeta dell’immenso universo, è un periodo di prova, alla quale Dio, nostro Creatore e quindi nostro grande Padrone, ci sottomette. Infatti « Dio da principio creò l’uomo, e lo lasciò in mano del suo libero arbitrio. Aggiunse però i suoi comandamenti e i suoi precetti » (Eccli. XV, 14-15). Perché? Oh! certamente perché fossero dall’uomo osservati. Gesù stesso„ il nostro divin Maestro e Redentore, confermò tal disposizione suprema. Ne trascrivo due parabole che riflettono assai bene il suo pensiero. « Un uomo — ei disse — sul punto di mettersi in viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò ad essi i suoi beni. Ad uno diede cinque talenti, a un altro due e ad un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e senz’altro partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti andò subito a trafficarli, e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo colui che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Chi invece ne aveva ricevuto uno solo, andò a fare un buco nella terra, e vi seppellì il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi ritornò, e li chiamò a rendere i conti. Si fece innanzi chi aveva ricevuto cinque talenti, e ne presento altri cinque, dicendo: Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Il padrone gli rispose: Va bene, o servo buono e fedele: tu sei stato fedele nel poco, ed io ti darò autorità su molto: entra nel gaudio del tuo signore ». Anche colui che aveva ricevuto due talenti, li presentò raddoppiati, e si ebbe le stesse buone parole dal suo padrone. Ma « venne pure innanzi colui che aveva ricevuto un solo talento, e disse: Signore, io sapevo che tu sei un uomo severo, che Mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai piantato. Ebbi timore, ed andai a nascondere il tuo talento sotterra. Eccoti il tuo. Ma il padrone gli rispose: Servo iniquo ed infingardo, se tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho piantato, dovevi portare il mio denaro ai banchieri, e al mio ritorno avrei ritirato il mio coll’interesse. Toglietegli perciò il talento, e datelo a colui che ne ha dieci… E questo servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridor di denti » (Matt. XXV, 14-30). Questo per chi ha trascurato di operare il bene. Ma che sarà di chi si è diportato male? E’ presto detto. « C’era una volta un padre di famiglia, il quale piantò una vigna, la recinse di siepe, vi scavò un frantoio, vi edificò una torre; e, datala a lavorare a dei contadini si pose in viaggio. Venuta la stagione dei frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare i frutti della vigna. Ma i contadini, presi quei servi, uno bastonarono. un altro uccisero e un terzo lapidarono. Egli mandò di nuovo altri servi in maggior numero dei primi, e furono trattati allo stesso modo. Finalmente mandò da essi il suo figliuolo, dicendo: Rispetteranno il mio figlio. Ma i contadini, vedendo il figliuolo, dissero fra di loro: Costui è l’erede. Venite, uccidiamolo; e avremo la sua eredità. E presolo, lo gettarono fuori della vigna, e l’uccisero. Ora — chiese Gesù — quando verrà il padrone della vigna, che farà egli a quei contadini? Gli risposero: Egli colpirà senza misericordia quei tristi, e affiderà la vigna ad altri contadini, che a suo tempo gliene renderanno i frutti » (Matt. XXI, 33-40). E Gesù non solo confermò quel giudizio, ma per giunta lo rincarò. Il vero giudizio infatti è questo: Già sopra la terra ogni anima che opererà il male, cioè andrà contro le disposizioni di Dio, « avrà tribolazione ed angustia » (Rom. II, 9); e nell’altro mondo « andranno i buoni nella vita eterna, ed i cattivi nel fuoco eterno » (Matt. XXV, 46). E si dovrà render conto non solo delle trasgressioni esterne e di quelle che — come si dice — portan conseguenze; ma anche dei pensieri e desideri cattivi (Matt. V, 28), e persino « di ogni parola oziosa » (Matt. XII, 36). Eh, sì! Quantunque a più di uno non garbi questa regola, pure sarà così. « E’ Lui il Signore! E chi oserà contraddirlo? » (I Re, III, 18, e Giob. XI, 10). La mira di Dio infatti è che noi — dopo esserci diportati quaggiù da suoi servi fedeli o, meglio, da buoni figliuoli nell’amorosa osservanza dei suoi comandamenti — possiamo un giorno non lontano (20-50-80 anni di vita non son certo un gran che!) godere di Luì stesso nella sua splendida dimora soprannaturale, come sta scritto: Io stesso sarò la tua mercede immensamente grande… Saremo sempre col Signore… Saremo simili a Lui… Lo vedremo com’Egli è » (Gen. XV, 1; I Tessal. IV, 16; I Giov, III, 2). Oh, il bel Paradiso! « Né occhio vide, né orecchio udì, né cuore umano sperimentò quanto Iddio tien preparato a coloro che lo amano.., non a parole, soltanto con la lingua, ma colle opere e in verità » osservando i suoi comandamenti (I Cor. II, 9; I Giov. III, 18). – E’ troppo chiaro però che, se da una parte ci sono infallibili promesse d’eterna felicità, dall’altra vi sono pure — come ho già accennato — non meno serie minacce di eterna irreparabile rovina per tutti coloro che non avranno voluto sottomettersi alle divine disposizioni. A questi Dio nasconderà la sua faccia amorosa, e tutti i guai cadranno sopra di essi (Deuter. XXXI, 17). Se poi col loro contegno avranno dato ad altrui cattivo esempio, alienando così delle anime dal suo cuore, Egli si scaglierà contro di essi come un’orsa a cui siano stati rapiti i càtuli, per farsene pagare il fio (Os. 1 , 8)! e tutti poi saetterà colle ben note tremende parole: « Via, via da me voi tutti, operatori d’iniquità! Andate; maledetti, nel fuoco eterno! » (Luc. XIII, 27; Matt. XXV, 41). Là poi « saranno puniti di eterna perdizione e tormentati giorno e notte per tutti i secoli » (II Tessal. 1, 9; Apoc. XX, 10). Anzi verrà tempo in cui « il fuoco punirà anche la carne dell’empio » (Eccli. VII, 19). Quali spaventosi riflessi! É’ certo però che Dio, sottomettendoci a prova sì decisiva, non intende affatto umiliarci e, tanto meno, farci violenza; ma intende invece darci modo di potergli provare la nostra fedeltà, affinché Egli, a sua volta, possa premiarci e renderci felicissimi per tutta l’eternità. Sicché chi si lamentasse di questa condizione in cui il Signore ci ha posti, potrebbe assai bene paragonarsi a chi — mentr’era ancora in fasce — fosse stato fatto erede di una immensa fortuna, e che era — già adulto — si rammaricasse d’aver avuto tal felice ventura. E’ chiaro che, se sopra la terra ci fosse un tal uomo, egli sarebbe considerato come uno stolto e un pazzo. Eh, sì! Un tal uomo sarebbe pazzo davvero! Ad ogni modo, dopo quanto ho detto, e comunque la pensino gli stolti ed insensati mondani, « il numero dei quali è infinito » (Eccle. XV), bisogna ritenere che la vita nostra è una cosa oltre ogni dire seria; poiché, proprio quando meno ce l’aspetteremo, essa sboccherà senza dubbio in un’altra vita o di eterni contenti o di eterni tormenti. Vale dunque la pena di pensarci sopra davvero.

2. — Chi sa se è possibile?…

Ma è mai possibile riuscire vittoriosi in questa grande e decisiva prova, alla quale siamo da Dio sottoposti? Se si guarda attorno pel mondo e si osserva ciò che ordinariamente succede, sembrerebbe che agli uomini, anzi alla maggior parte dei Cristiani stessi della nostra epoca, riesca del tutto impossibile stare per lungo tempo alla condizione posta da Gesù medesimo per poterci meritare il Paradiso, e che suona così: « Se vuoi entrare alla vita eterna, osserva i comandamenti » (Matt. XIX, 17): tanti sono gli strappi che continuamente si fanno ai medesimi, specialmente a taluni. Infatti il bestemmiare Dio, Gesù Cristo, l’Ostia divina e la Madonna, il mancare alla Messa domenicale e il profanar le feste con lavori servili, con sbornie e con divertimenti immorali, la più sfacciata libertà di occhi, di parole ed anche di atti contro il buon costume, le esagerazioni della moda che apre la via ai più sozzi piaceri sensuali, la trascuranza d’intervenire alle istruzioni catechistiche e quindi la più supina ignoranza religiosa, e poi le mancanze contro il VII Comandamento e le segrete innumerevoli turpitudini che facilmente si possono intravvedere, sono alcune di quelle colpe divenute ormai talmente comuni che colui, il quale tosto o tardi non vi si trova impigliato ed infangato„ può considerarsi come un’« araba fenice ». E per tal modo i divini comandamenti vengono, non solo martoriati e bistrattati, ma ridotti in frantumi, uno dopo l’altro, tutti. – Oso però fare una domanda: I comandamenti di Dio non si osservano perché è impossibile osservarli, oppure non si osservano perché non si vuole osservarli? In breve: Non si può o non si vuole osservarli? – Potrei spicciarmi col dire come, dal momento che tanti e tanti riuscirono ad osservarli, così potrebbero farlo tutti coloro che hanno — come si dice — la testa sul busto, e potremmo farlo noi pure, poiché siamo della stessa natura; ma è meglio che vediamo insieme un po’ come stiano le cose. A più di uno di coloro che ritornano a Dio dopo una vita molto agitata, feci questa domanda: « Ma com’è stato di te? non potevi fare a meno di commettere tutti quei disordini?… » E mi risposero quasi invariabilmente: « Eh, caro amico! E’ un fatto che io — specialmente per le cattive abitudini contratte nella mia giovinezza e non corrette dai miei genitori — sentivo in me una forza prepotente che mi spingeva o mi trascinava al male. Ma, a dire il vero, la mia reazione a quella forza non fu mai forte, seria e continuata. Anzi spessissimo andavo io stesso in cerca di occasioni per poter soddisfare le mie passioni. Fu solo a principio ch’io provai un po’ di vergogna e ripugnanza al male; ma purtroppo anche allora mi lasciai soggiogare dal desiderio di novità, e mi abbandonai al male soprattutto per non parere diverso dai tristi compagni coi quali m’era messo a bazzicare. Pensavo: Che si dirà di me, s’io non faccio come loro?! — e rimasti vittima del vizio. Ora però, riandando le mie scapestrataggini, posso dire che, se veramente volevo, io potevo evitarle tutte; e che, se le ho invece assecondate, lo devo imputare unicamente a mia colpa. Dio mi perdoni! ». – Dopo aver udito il peccatore ravveduto (i peccatori in alto non fanno volentieri una tal confessione, poiché, se la facessero, si darebbero — come si dice — la zappa sui piedi), ascoltiamo ciò che ci dice la Chiesa nostra Madre. Anche questa per mezzo del catechismo ai fanciulli ed agli adulti, insegna francamente che « i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni ». – Pure Iddio ci fa sapere che, se vogliamo, possiamo osservare i suoi comandamenti e che il serbargli fedeltà dipende dal nostro arbitrio; e su questo punto insiste in modo tutto speciale, soggiungendo: « Ti ho messo davanti l’acqua e il fuoco: stendi la mano a quello che vuoi. In faccia all’uomo sono la vita e la morte (spirituale), il bene e il male: e gli sarà dato ciò che gli piacerà » (Eccli. XV, 16-18). Fa attenzione alle parole « se vogliamo, possiamo… dipende dal nostro arbitrio.., quello che vuoi.., ciò che gli piacerà ». Esse ci convincono che, volendo, possiamo riuscire bene nella prova alla quale il Signore ci ha sottoposti. Del resto non è forse questa anche la voce della nostra coscienza?… Infatti, caduti che siamo in qualche fallo volontario, tosto dobbiamo intimamente riconoscercene colpevoli, quantunque il nostro amor proprio faccia il possibile per giustificarci o almeno scusarci di fronte agli altri. Gesù pure, quantunque metta come condizione per entrare nella vita eterna l’osservanza dei suoi comandamenti, tuttavia ci assicura che « il suo giogo è soave e il suo peso è leggero » (Matt. XI, 30); ed anche dopo asceso al Cielo, ci fa dire dal suo discepolo prediletto, che « i suoi comandamenti non son gravosi)) (I Giov. V, 3). – Vorresti sentire anche il responso dei miseri dannati. Io ti assicuro che nessuno di essi incolpa il Signore della propria dannazione: tutti quei disgraziati son costretti a riconoscere che, se avessero fatto, per l’onor di Dio e per la salute dell’anima, appena metà dei sacrifici che fecero per accontentare i propri perversi istinti, essi sarebbero riusciti grandi santi in Paradiso. Già, se riuscirono nel male, potevano riuscire anche nel bene. – Del resto — a parte tutto — con chi abbiamo a fare? Forse con un crudele ed esoso tiranno che intenda e voglia la nostra eterna rovina?… Ah, no! questo non deve neppur passare per la nostra mente. Noi abbiamo a fare col Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione » (I Cor. 1, 3); abbiamo a fare con un Signore che « ha compassione di quei che lo temono, come un padre ha compassione dei suoi figliuoli; poiché Egli sa di che miseria siamo impastati, e non dimentica che siam polvere » (Salmo CII, 13-14); abbiamo a fare con un Dio sì buono che invita a sé i peccatori stessi, anche i più grandi, persino con una vera amorosa sfida, dicendo loro: « Su, venite! e poi datemi pur torto se non farò che i vostri peccati — fossero pur come scarlatto — diventino bianchi come la neve, e — fossero pur rossi come la porpora — divengano come candida lana » (Is. 1, 18); (abbiamo a fare con un « Dio che vuole salvi tutti gli uomini », (I Tim. II, 4), con un « Dio che ha talmente amato il mondo da dare il suo Unigenito Figliuolo » alla più atroce delle morti « affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna » (Giov. III, 16). Abbiamo poi a fare con un Uomo-Dio di cui era stato predetto che « non avrebbe spezzato la canna già fessa, né spento il lucignolo appena fumante » (Is. XLII, 2; Matt. XII, 20), che « passò facendo del bene a tutti gli oppressi dal diavolo » (Att. X, 38), e che su tutti coloro che — dopo ciò — lo avevano condannato al più barbaro ed atroce dei supplizi e che tuttavia continuavano a dileggiarlo ed offenderlo colle più ingiuriose parole, invocò dal suo celeste Genitore il più ampio perdono, supplicando: « Padre, perdona loro, perché non sanno ciò che fanno! » (Luc. XXIII, 34). E questo Dio sì buono e misericordioso c’imporrà dei comandi impossibili ad osservarsi?! Ma non sarebbe questa la più orrenda delle bestemmie? – Ah, na non è in Dio che dobbiamo ricercare la vera cagione di tante nostre colpe e quindi di tante sciagure che desolano noi e il mondo tutto. Siamo invece noi, sì, proprio noi i tristi e gl’insensati che — non volendo comprendere il gran bene che sotto tutti gli aspetti ci apporterebbe l’osservanza dei divini comandamenti —ci lusinghiamo di poter raggiungere la felicità in quelle chimere che si chiamano onori, ricchezza e piaceri. Sì, sono proprio questi che c’illudono di poter raggiungere in essi la nostra felicità, e che invece ci tradiscono ogni qualvolta vogliamo goderne senza o contro il beneplacito di Dio. Quindi verrà certamente l’ora in cui il buon Dio, a qualunque peccatore che si sarà dannato, potrà francamente dire: « Che potevo io fare di più per salvarti? Della tua perdizione sei causa tu! » (Is. V, 4; Osea XIII, 9). Ed al misero, per tutta risposta, non resterà che di chinare, con immensa confusione e dolore, la già tanto proterva cervice, e tacere!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (3)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (1)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (1)

P- B. LAR – RUCHE:

LA PREGHIERA DI PETIZIONE

OSSIA IL MEZZO PIU’ INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

Chi sa pregar bene, sa pur vivere rettamente (S. Agost.)

Chi prega, certamente si salva, (S. Alfonso de. Liguori)

Signore, insegnaci a pregare (S. Luca, XI, 1

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

L’Autore a chi legge.

Faccio mie le parole con le quali un certo D. Piazza presentò due anni fa, a mezzo dei tipi di questa stessa Casa Editrice, un opuscoletto intitolato « La Preghiera Cristiana … « Se si sapesse — egli scrisse — se si sapesse che cosa è la preghiera! Io ritengo che la maggior parte degli uomini, e purtroppo anche dei Cristiani, la trascurino e la disprezzino unicamente perchè non ne conoscono la grande necessità e sopratutto l’immensa efficacia. « Ho a dire che uno di questi tali fui io medesimo? — Se dicessi proprio così, non direi il vero. Devo tuttavia confessare che, fino a poco tempo fa, io pure non davo alla preghiera tutta l’importanza. ch’essa giustamente si merita. « Quando però udii il defunto grande Pontefice Pio XI definire S. Alfonso De’ Liguori “il grande Dottore della preghiera ” (e — aggiungo io — lessi le recenti opere « Ut vitam habeant » e « Vivere in Cristo » di autore anonimo), mi posi a ripassar le opere ascetiche di quel gran Santo ed anche quelle di molti altri buoni autori che trattano tale argomento; e finii per convincermi d’aver scoperto un immenso tesoro. « Riflettendo poi che, aprendo tal tesoro anche ad altri, io non ne avrei punto scapitato, ecco che venne fuori questo lavoro, ch’io inetto a disposizione di tutte le anime di buona volontà, pregando di leggerlo con la maggior attenzione possibile. « Se poi qualcuna — come son sicuro — ritrarrà giovamento dai pensieri raccolti in questo libretto, ‘io la supplico a volersi ricordare nelle sue preghiere anche della povera anima mia davanti al Padre ed alla Madre della misericordia ». E non soggiungo altro, poichè sono dei medesimi sentimenti.

L’AUTORE

Introduzione

E’ assai stolto colui che attende ad alcuna cosa all’infuori di quelle che giovano alla propria salvezza (Imit. di Cristo, 1, 2, 2). Oh! è pur bello il pensiero di Dio a nostro riguardo. Vuoi tu conoscerlo? Eccolo in brevi parole: Nell’Antico Testamento: “Dice il Signore: Potrei io voler la morte dell’empio, e non piuttosto ch’egli si converta e viva? » (Ezec. XVIII, 28). Nel Nuovo Testamento: « Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Unigenito Figliuolo, affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna » (Gesù in S. Giov. III, 16). Nei tempi apostolici: “Dio vuole che tutti gli uomini si salvino » (I Tim. II, 4). Nei primi tempi della Chiesa: « Noi che siamo stati fatti degni di essere testimoni della venuta di Gesù Cristo, diciamo con perfetta scienza quale sia la buona, gradita e perfetta volontà di Dio dimostrataci a mezzo dello stesso Gesù Cristo, che (cioè) nessuno perisca, ma che tutti gli uomini in Lui unanimemente credenti e a Lui unanimemente lodanti, vivano eternamente co Lui » (Costituz. Apostol. Lib. II, c. 59). – Nel corso dei secoli: « Dio vuole, cioè sinceramente e con tutto l’animo desidera che tutti gli uomini si salvino; ed a tale fine per tutti diede Cristo Redentore, — per mezzo di Lui e in quanto è da Sè — somministra la grazia, i sacramenti e tutti gli altri mezzi necessari alla salvezza; per modo che coloro che si perdono, non si perdono per volontà e predestinazione di Dio, ma unicamente per loro propria colpa e malizia » (Corn. A Lapide). – Ai nostri tempi: « Badate, o miei diletti figliuoli, che voi siete tutti creati pel Paradiso; e Iddio, qual Padre amoroso, prova grande dispiacere quando è costretto a condannare qualcuno all’inferno. Oh, quanto mai il Signore vi ama e desidera che voi facciate buone opere per potervi rendere partecipi di quella grande felicità che a tutti tiene preparata in eterno in cielo! » (S. Giov. Bosco). – Dunque, da quanto ho riferito, appare chiaramente che il pensiero, il desiderio e la volontà stessa di Dio è oltre ogni dire benevola e favorevole verso di noi. Eppure, ciò non ostante, che cosa, succede di fatto?… Ah! per quanto sia spaventoso, leggi pur quanto riferisco in seguito. Disse Gesù: « Entrate per la porta stretta, perchè larga è la porta e spaziosa la via che conduce a perdizione.; e molti son coloro che entrano per questa ». Ed affinchè nessuno ritenesse ch’Egli avesse esagerato o detta una cosa per l’altra, tosto soggiunse « Oh! quanto angusta è la porta e quanto stretta è la via che conduce alla vita; e pochi son coloro che la seguono » (Matt. VII, 18-14). Ed in altra circostanza: e Sforzatevi di entrare per la porta stretta, poichè — ve lo dico io — molti cercheranno di entrare e non vi riusciranno (Luc. XVIII, 23-24). [ (Leggo in un autore modernissimo che passa per la grande, queste parole: « Ma dove mai, in qual passo lugubre del Vangelo questi predicatori di sventura (coloro che ritengono che la maggior parte degli uomini ed anche dei Cristiani adulti vadano dannati) hanno trovata la prova delle loro asserzioni? — Eccolo, proprio in una frase di Gesù, del mite e buon Gesù: Molti sono i chiamati e pochi gli eletti (Matt. XX, 16). E’ strano che tale testo evangelico sia stato così mal tradotto e sì poco capito da quelli che ne fanno un’arma in favore del piccolo numero degli eletti”. — Ed io dico: E strano che un autore come quello non sia riuscito a pescare nel Vangelo, proprio in favore di tal tesi, i testi da me riferiti. Oh! certo anch’io rigetto il Massilon e compagni. Ma chi m’impedisce di stare con S. Alfonso, che citerò subito?…)- Neanche quattro secoli più tardi, troviamo sul pergamo di Antiochia S. Giovanni Crisostomo, uno dei più grandi Padri della Chiesa, il quale ha le seguenti parole che certamente fecero rizzare i capelli a quanti le udirono: “Quanti credete che si salvino nella nostra città? È certo assai grave ciò che sto per dire; ma pure Io dirò: Fra tante migliaia di uomini (dovevano essere circa centomila) non possono essere cento che si salvino. Anzi io dubito pur di questi pochi. Infatti quanta malizia c’è nei giovani! quanto torpore nei vecchi! Nessuno ha un po’ di zelo!” (Omel, 40 al popolo). Dunque appena uno per mille!… Certo allora ad Antiochia molti erano ancor pagani. Pur tuttavia la sentenza del Santo Patriarca dà assai a pensare. Ed essa non è stata condannata dalla Chiesa, nè espulsa dalle sue opere. Quindi per quei tempi deve avere un certo valore. – Intorno al 1700 il beato Antonio Baldinucci S. J. chiaramente predicava all’aperto ad una gran folla, in vista d’un lbell’albero carico di foglie. Discorreva sull’inferno. Ad un trattò, come ispirato, fece questa domanda all’uditorio « Miei fratelli, volete voi sapere quanto grande sia il numero di coloro che si dannano? Guardate quell’albero ». — Tutti gli occhi si portarono su di esso; ed ecco un soffio di vento improvviso e gagliardo agitò tutti i rami della pianta, e fece cadere le foglie in tale abbondanza che non ne rimasero che poche, facili a contarsi. — « Ecco — soggiunse l’uomo di Dio — ecco quante sono le anime che si perdono e quelle che si salvano. Prendete le vostre precauzioni per essere del numero di queste ultime » (Vita del Beato). — Che siansi salvati almeno coloro che assistettero a quello spettacolo?… La storia non lo dice, ed io non lo so. Circa mezzo secolo più tardi S. Alfonso De’ Liguori osò scrivere le seguenti parole : « La sentenza più comune è che la maggior parte dei Cristiani (parlando degli adulti) si danna » (Appar.. alla morte, XVII). Ed oggi?… Purtroppo anche oggi « siamo condannati a vedere l’umanità fluttuante correre accanto a noi verso il piacere, l’inutile, il nulla, l’inferno! » (Plus: Gesù Cristo nei suoi fratelli). Dunque parrebbe che, quantunque Dio voglia salvi tutti gli uomini, moltissimi invece egualmente si perdono e precipitano nell’inferno. Ma come? !… ma perchè?!… ma può mai essere che sia così?!… – Nel settembre 1937 un bravo scrittore, in « “Noi uomini!”, classificò gli uomini moderni nelle seguenti categorie: l’uomo che non crede, l’uomo che se ne infischia, l’uomo che ride, l’uomo delle fogne, l’uomo che crede di credere e — finalmente — l’uomo veramente Cattolico. Orbene se, in via ordinaria, « qual la vita, tal l’uscita — qualis vita, finis ita » (S. Agostino), quali sono davvero in condizione di potersi salvare, all’infuori di quest’ultimo?… Me lo dica chi lo sa! « Ma allora — dirà taluno a questo punto — dove se ne va la bontà e la misericordia di Dio? » — Oh, bella! Nego io forse la misericordia di Dio?!… Io non faccio altro che constatare la grande follia, stoltezza ed insipienza degli uomini riguardo al sommo affare della loro eterna salute. Ed è purtroppo appunto questo che non si vuol riconoscere da tanti al giorno d’oggi. La misericordia di Dio !… Ma sai tu quanto essa ha fatto e continuamente fa perchè gli uomini non si dannino? Essa ha disteso e continua a tener teso come un immenso reticolato di ferro sopra l’inferno, per impedire che gli uomini abbiano a precipitarvi. E gli uomini — almeno tanti uomini, anzi troppi uomini — che cosa fanno invece?… Essi sforzano continuamente colle stesse loro mani le maglie di quella rete, per potervi cadere dentro. Per preservarli da tale sciagura il Signore dovrebbe togliere loro il più bel dono che già loro diede, cioè la libertà di pensare, di volere e di operare: in altre parole dovrebbe privarli della vita e della natura di uomini: cosa che Dio non può fare senza rinnegare la sua opera. Vuoi invece avere un saggio del contegno degli uomini: di quel contegno che conduce molti di essi all’eterna dannazione?… Te lo farò chiaramente vedere in tre tipici quadretti, che qui ti metto innanzi. Una mamma invia il suo figliuolo a portar la merenda al babbo che lavora in campagna; ed il ragazzo, anzichè sollecitare il passo verso il luogo dove lo attende il padre, si trattiene a curiosare qua e là, si ferma a stanar grilli, va a saccheggiare nidi d’uccelli, rincorre libellule e farfalle, si trattiene a giocare con tristi compagni. E intanto il buon babbo aspetti! – Ma non è pur questo il contegno di tanti uomini di fronte a Dio?… Sì, il buon Dio aspetta, e quanto aspetta! Ma dovrà pur venire un giorno la resa dei conti, poichè non siamo immortali. Ed allora?… Eh! allora, se non potremo negare d’aver avuto l’uso della ragione, la ci andrà molto male! – Un’altra storiella. Un colono ha un campo che, con un po’ di lavoro e fatica, potrebbe rendere assai. Ma quel colono non pensa a svellerne le erbacce che vi crescono, non si cura di coltivarlo, anzi ad ogni ora ci butta in quel già misero campo rovi, sterpi, grovigli, ghiaia, pietre e perfino grossi macigni. Ora si può chiedere: Che sarà di quel campo trattato a quel modo? Che ne dirà il padrone? E che farà egli dell’infingardo ed insipiente colono? — Orbene, ciò che del campo affidatogli fa quell’insensato colono, facciamo troppo spesso noi dell’anima nostra. Non facciamo nulla per estirparne i vizi e le cattive inclinazioni, trascuriamo di coltivarla affinchè produca opere virtuose, e — ciò che è peggio — la riempiamo, ad ogni piè sospinto, di imperfezioni, di colpe, di peccati, di disordini, e perfino di delitti. Or che sarà di lei? Che ne dirà Iddio? E quale sarò la sua, la nostra sorte?… Non ci vuole grande intelligenza per intravvederla. Ma prendiamo pure un uomo effettivo, e prendiamolo da quella categoria che nel mondo è considerata come la più saggia e giudiziosa. Ecco dunque quest’uomo che, al termine dei suoi giorni, può farsi con tutta coscienza questo discorsetto: « Oh, bene! Ho sostenuto la mia famiglia, ho nutrito ed allevato tre buoni e bravi figliuoli, ho fabbricato case, ho comperato poderi, ho fatto eccellenti affari, mi son diportato da vero patriotta, lascio un buon nome in paese: insomma sono stato un uomo nel vero senso della parola! Bene! — gli dirò io — mi congratulo e mi felicito con te! Ma dimmi un po’: Sono stati tutti onesti i tuoi affari? Le tue case e i tuoi poderi non grondano forse del sangue dei poveretti da te strozzati? E non c’è forse anche qualche donna che ti maledice o ti maledirà? Non hai mai macchiato la tua lingua con bestemmie, iinprecazioni, discorsi sozzi, inganni e calunnie? Hai osservata la legge dell’astinenza e del digiuno? Hai fatto sempre bene la tua Pasqua e sei stato fedele alla Messa domenicale, al Catechismo e al riposo festivo? Ti sei spesso ricordato del Signore che ti diede tanti beni, e ne hai fatto parte ai poveri? Hai maliziosamente limitato il numero dei figli, ed a quelli che hai accettato hai procurato d’istillare il santo timore ed amor di Dio? Insomma, oltre ad aver fatto quanto hai detto sei pur vissuto da buon Cristiano?… Orbene, se mi puoi rispondere affermativamente, tutto va bene. Ma se per tua disgrazia, mancasti gravemente ai tuoi doveri di seguace di Gesù Cristo e non hai fatto il possibile per riparare a questi tuoi errori, allora devi pur riconoscere di aver fatto tutto fuorcbè ciò che realmente dovevi fare; e di te si può dire francamente: « Hai nome d’esser vivo, ed invece sei morto » (Apoc. III, 1). Sì, davanti a Dio tu non sei altro che un gran miserabile. – Ecco in tre specchietti riprodotta la triste e lagrimevole condizione morale e spirituale in cui oggi versa, si può dire, la maggior parte degli uomini, anche dei nostri paesi cristiani. – Eh, lo so! Tutta questa quasi generale attività umana contro le disposizioni di Dio, contro i dettami della sana ragione e contro il bene spirituale, morale e soprannaturale non solo dei singoli individui ma anche della stessa società, non è dagli uomini appreso e voluto come male. La sarebbe troppo grossa! Tuttavia è un fatto indiscutibile che gran parte di questi uomini, dei quali unica mira e continua preoccupazione su questa terra dovrebbe essere quella di dare onore a Dio col procurar di fare sempre tutto ciò ch’Egli comanda e di evitare ciò ch’Egli proibisce, e ciò non solo per meritarsi l’immenso premio da Lui promesso e schivare l’eterno castigo da Lui minacciato, ma sopratutto per l’infinito merito ch’Egli ha della nostra illimitata e spontanea sottomissione, non ha invece altro a cuore (e i fatti lo dimostrano ad evidenza) che di affannarsi insensatamente in una caccia continua agli onori, alla roba, al denaro, ai divertimenti ed ai piaceri, senza punto badare se tutte queste cose — pur non cattive in se stesse — possano sempre, dovunque, in ogni maniera e in qualsiasi circostanza aversi colla benedizione di Dio; e così vanno quasi sempre, e contro ogni loro previsione ed aspettativa, incontro alla propria rovina morale, spirituale ed anche materiale già in questo mondo, e poi spessissimo pure alla irreparabile loro rovina eterna. E così viene a verificarsi ancora la tremenda sentenza dello Spirito Santo che dice: « Tanti vogliono passare allegramente i loro giorni su questa terra; e poi in un lampo piombano nell’inferno » Giob. XXI, 13). Non si conculcano però impunemente i diritti di Dio, non si può passar sopra ai dettami della coscienza, né è lecito — almeno nei nostri paesi — ignorare o fingere d’ignorare la sovrana legge di Dio, predicata abitualmente nelle nostre chiese. Lo si tenga bene a mente! Sì, convengo che in punto di morte a qualcuno sia dato di aggiustare alla meglio le sue partite con Dio, in cui « la misericordia trionfa del giudizio » (Giac. II, 13). Ma che s’ha a pensare dei tantissimi che vengono colpiti da paralisi al cervello, che muoiono per improvvise tragiche disgrazie, che, pur sapendosi gravemente inferml, si ingegnano di far chiamare i congiunti lontani, il notaio, ed il medico, e non si prendono il minimo pensiero di mettersi anche nelle mani di un Sacerdote per assestare i grovigli della propria coscienza?… Oh! io certo di fronte a morti di questa sorte non dirò con Balaam: “Siano tali anche gli ultimi momenti della mia vita” (Num. XXIII, 10). No, non mi sento in animo di dire così. Sicchè — mi dice qui certamente più di uno dei miei scarsi lettori — secondo te la maggior parte degli uomini, anzi dei Cristiani stessi, va all’inferno?

E rispondo: Non ho veste che mi consenta di dare un giudizio definitivo. So però che vanno certamente all’inferno tutti coloro che non servono Dio e muoiono in peccato mortale. Siccome poi “a Dio solo è noto il numero di coloro che saranno elevati all’eterna felicità del Paradiso” (Dalla Liturgia), così ritengo pure che Dio solo sia in grado di conoscere a qual numero ascendano coloro che van dannati; nè vale la pena di scrutare questo mistero, che resterà impenetrabile fino all’ultimo giorno del mondo.

Ma per conto mio, onde mettermi al sicuro da qualche brutta sorpresa al termine della mia vita temporale, credo prudente seguire il pensiero dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo, dei quali quest’ultimo ci dice: “Operate la vostra salvezza con timore e tremore” (Filip. II, 12), ed il primo: « O fratelli, vieppiù studiatevi di rendere certa la vostra vocazione ed elezione per mezzo delle buone opere” (2 Pietr. 1, 10). E chi vuol seguirmi mi segua. – Ad ogni modo per salvarsi non basta affatto quella stolta speranza che tanti ‘nutrono di “beccarsi” un po’ di Paradiso senza fare nulla o quasi nulla per meritarselo, ed anzi continuando ad accumulare peccati sopra peccati. Questo non è altro che il detestabile « pecca fortiter et crede firmiter » di Lutero, senza alcun timore dei divini giudizi, che poi in punto di morte va a risolversi nella più nera disperazione foriera dell’impenitenza finale e delle pene eterne dell’inferno. Nulla però impedisce, nè a me, nè ad alcuno, di poter ricercare qualche buon mezzo che ci faciliti questa unica opera veramente necessaria della nostra eterna salvezza. – E questo faccio io pure in questo piccolo lavoro sopra la preghiera di petizione; poichè mi sembra d’aver trovato appunto in questa preghiera, tanto squalificata, disprezzata e trascurata, quel mezzo oltre ogni altro necessario ed efficacissimo per raggiungere effettivamente lo scopo finale di tutta la nostra vita, che è la salute eterna. E’ vero: Dio non si accontenta, nè può accontentarsi, delle sole nostre preghiere. Ci vogliono — come vedremo — tante altre cose. Ma tutte queste altre cose il Signore ce le darà soltanto alla condizione che gliele domandiamo. Se non gliele chiederemo, noi o non le avremo, oppure le avremo scarse ed imperfette, cioè tali che non ci gioveranno a salute. Leggi perciò, anzi medita posatamente — capitolo per capitolo — quest’operetta. Io t’assicuro che, prima ancora che tu ne sia giunto alla metà, sarà pur già svanita ogni cattiva impressione che possono averti lasciate le cose da me or ora riferite; poichè nella preghiera ben fatta avrai scoperto quel mezzo facile ed infallibile che ti assicurerà una vita santa seguita da una morte santa che ti aprirà la bella porta della gloria santa del Paradiso. Tutte cose che io ti auguro di vero cuore.

TU SEI PIETRO (4)

Monsignor Tihamér Tóth

VESCOVO DI VESZPRÉM

“Tu sei Pietro

STORIA E ATTUALITÀ DEL PONTEFICE ROMANO (IV)

1956

CENSURA ECLESIASTICA

Nihil obstat: Dr. Vicente Serrano, Censore

IMPRIMATUR: † JOSE MARIA. Ob. Ausiliario e Vicario Generale

Madrid, 2 marzo 1956

Capitolo IV

IL PAPATO NELLA BILANCIA DELLA STORIA

Se un acattolico vuole offendere un Cattolico, e gli sembra che sia giunto il momento di affondare un pugnale doloroso ed offensivo nel suo cuore, è quando gli dice con tono sprezzante e con un ghigno di disprezzo: “Papista!”. È pienamente convinto di aver fatto centro con i più, perché secondo lui, non c’è vergogna, umiliazione e offesa più grande che sputare su un Cattolico con l’aggettivo “papista”, cioè definirlo dipendente dal Papa. Questi sono gli uomini dalla testa vuota, coloro che non hanno nemmeno un’idea della Storia, perché chi conosce – anche a grandi linee – la storia universale, qualunque sia la sua religione, che sia ebreo o maomettano, non potrà negare il suo rispetto per il Pontificato, per questa istituzione sovrana che ha lavorato come nessun’altra per la cultura spirituale e materiale, per la giustizia ed il diritto. È vero che noi Cattolici credenti non vediamo in questo il più grande merito dei Papi. La nostra gratitudine ed il nostro amore per il Pontificato sono, in primo luogo, per avere conservato pura e trasmessa senza adulterazioni la dottrina di Gesù Cristo, e per essere la “roccia” su cui poggia incrollabile la vera Chiesa. Sì, questi sono i principali motivi di entusiasmo e di gratitudine. – Tuttavia, non sarebbe superfluo esaminare anche i grandi meriti del Pontificato che la Storia riconosce, a vantaggio della cultura e del benessere umano, per rendere il nostro amore ed il nostro rispetto per la persona del Pontefice. Non sarà superfluo, nel presente capitolo, guardare al Papa con occhi meramente umani, soppesando i suoi meriti o demeriti nella bilancia della storia, e che ci si ponga questa domanda: da un punto di vista puramente umano, è davvero vergognoso essere chiamati “papisti”, o possiamo piuttosto dire con santo orgoglio: “Grazie a Dio, sono un papista! In questa esclamazione dobbiamo certamente esplodere se esaminiamo con attenzione i meriti che i Papi si sono guadagnati nel propagare il Cristianesimo: in primo luogo, il Cristianesimo e, in secondo luogo, la cultura.

I Papi ed il Cristianesimo.

A) A cosa servono i Papi? Questa è la domanda che intendiamo delucidare. I malintenzionati osano rispondere in questo modo: “I Papi servono solo a tiranneggiare e a schiavizzare il mondo, sottomettendolo ai ai loro capricci”. Non hanno ragione nell’affermare una cosa del genere. Se il Pontificato esiste, è per darci Cristo, per annunciare al mondo la lieta novella del Vangelo e di comunicare agli uomini la grazia redentrice. Per questo Pietro andò a Roma, per predicare Cristo; per questo morì. Per questo i Papi hanno inviato missionari in tutto il mondo per predicare Cristo. Per questo vennero ad affrontare le potenze della terra e a combattere con loro, ed hanno dovuto essere tagliati fuori ed espulsi dalla Chiesa, solo per questo, per difendere la dottrina di Gesù Cristo. Per questo consentirono il luccichio esteriore che li circonda, e l’omaggio reso alle loro persona, per meglio servire la propaganda del regno di Gesù Cristo. I Papi hanno sempre ricordato con commozione la triplice confessione di amore di Pietro, secondo dopo la quale fu investito da Cristo di un potere sovrano: Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di questi? È stata la domanda del Signore. E Pietro rispose: “Sì, Signore, tu sai che ti amo”. Poi Cristo gli disse: “Pasci i miei agnelli” (Gv XXI,15). Una seconda ed una terza volta Cristo ha richiesto questa confessione d’amore a Pietro, e per la seconda e terza volta ha ripetuto il suo incarico. Come potrebbero i Papi dimenticare che è proprio dall’amore che hanno ricevuto il loro potere trionfale nel mondo? … che devono proclamare l’amore, la pace, la benedizione, la buona novella di Cristo a tutta l’umanità: che al di sopra di ogni malvagità, di ogni male, di ogni odio e inimicizia umana, devono far trionfare l’amore intenso e autosacrificante, eroico di Gesù Cristo?

B) Se vogliamo riassumere in un’unica frase la storia ventennale e secolare dei 263 Papi, potremmo farlo con queste parole del divino Salvatore: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore”. Tutti i Papi, Vicari di Gesù Cristo, hanno fatto di queste parole il loro dovere. E quanto hanno fatto e sofferto i Papi per il gregge di Cristo! Le persecuzioni del primo secolo si abbattono sul gregge per distruggerlo. Dov’è il pastore? Il pastore mercenario sarebbe fuggito; ma il buon pastore è con il suo gregge. I Papi stanno con il loro gregge nelle catacombe sotterranee, confermandoli nella fede e andando con i martiri al supplizio, per testimoniare Cristo con il sangue del loro cuore. Leggiamo l’elenco dei Papi, che certamente ci sorprenderà: “Pietro, Pietro, Lino, Clemente, Clemente, Evaristo”…, dopo i nomi di tutti loro la parola “martire”, “martire”, “martire”, “martire”, “martire”. Continuiamo a leggere: “Alessandro, Igino, Pio, Aniceto, Sotero, Eleuterio, Vittore”…, e dopo il nome di tutti loro la parola “martire”, “martire”, martire”… Per ventinove volte viene ripetuto il sorprendente ritornello: “martire”, “martire”. Veramente il Pontificato è sempre stato la forza, l’incoraggiamento e la forza, il respiro e il cuore del Cristianesimo.

b) E sempre, fin dai primi anni della nostra fede, il Pontificato è stato lo splendido faro della nostra fede. Il Pontificato è sempre stato uno splendido faro che ha indicato le rotte, e la piccola nave di Pietro ha lasciato una scia di benedizioni. Questo è quanto affermano diciannove secoli. Roma è il punto di partenza ed il centro della fede e della cultura cristiana. Quante volte, nella storia dei Papi, si è ripetuta la scena di San Pietro che cammina sulla superficie del mare e comincia ad immergersi! La storia registra molti momenti che sono stati allarmanti per la Chiesa. Ricordiamo un periodo nero: il tempo dell’eresia ariana, quando solo il Papa e pochi credenti rimasero fedeli alla fede nella divinità di Gesù Cristo; quasi tutto il mondo divenne ariano. Leggiamo le atroci persecuzioni di Giuliano l’Apostata. Ripercorriamo la storia degli scismi, delle rivoluzioni, il dispotismo di Napoleone… Sempre, quando sembra che le onde stiano per chiudersi sulla testa del Pontefice, si è sempre ripetuto alla fine della scena di la scena di Gesù Cristo con Pietro: E subito Gesù stese la mano, lo prese e gli disse: “Tu, uomo di poca fede, perché esiti?” (Mt XIV, 31). Il fatto che la dottrina di Gesù Cristo si sia mantenuta intatta per mille e novecento anni deve essere ascritto al merito dei Papi. Il fatto che l’incessante lavoro dei missionari abbia conquistato i continenti ed il mondo intero per Gesù Cristo è merito dei Papi. “Se la propagazione del Cristianesimo è un merito”, scrive il protestante Herder (Ideen zur Philosophie der Geschichte, II, 350 (Idee per la filosofia della storia), “i Papi hanno una grande parte di questo merito”. Il fatto che l’Europa non sia caduta davanti agli Unni, i Saraceni, i Tartari e i Turchi, è innanzitutto merito dei Papi.

C) Ci viene in mente uno strano pensiero: cosa succederebbe se Cristo apparisse di nuovo sul monte e andasse in Vaticano? Ah, sì, cosa succederebbe, cosa farebbe Cristo? Se passasse in rassegna con il suo sguardo onniveggente la vita dei 263 Papi, troverebbe anche ombre e debolezze umane in coloro che, pur essendo stati esaltati alla più alta dignità ecclesiastica, erano tuttavia uomini? Li troverebbe? Ah, sì! O il suo sguardo divino non si rattristerebbe a volte, e non brillerebbe forse con con lampi di luce? Ah, sì! Eppure… Anche con la misura più ristretta, a quanti dei 263 Papi si può rimproverare la negligenza del proprio dovere, l’eccessiva mondanità o la mondanità o gravi difetti morali? Forse, al massimo, sei o sette Papi. Tutti gli altri sono stati integri, di grande carattere; molti di loro martiri e santi canonizzati. Se il Signore – che conosce così a fondo le debolezze della natura umana, come nessun filosofo o storico potrà mai conoscerle, e penetra fino in fondo le leggi che presiedono allo sviluppo della storia – passasse il suo sguardo divino attraverso l’intera successione dei Papi, vedendo che l’energia vitale di quel piccolo granello di senape, seminato da Lui, ha portato tante foglie e fiori e magnifici rami sul robusto albero della Chiesa, e rivolgesse all’attuale Pontefice Pio XII – il “Pietro” di oggi – quella domanda che rivolse a San Pietro, chi lo considerano gli uomini, il Papa, prostrandosi in ginocchio, gli ripeterebbe le immortali parole: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente”… Certamente, ripeto, non pronuncerebbe parole di condanna contro il Pontificato, né avrebbe gravi obiezioni da rivolgere ad esso, ma avrebbe certamente ripetuto le parole che disse a Pietro: “Beato te, Pio, perché la mia Chiesa poggia saldamente su di te…”. Questo è il grande valore storico dei Papi: su di loro poggia la Chiesa di Gesù Cristo.

I Papi e la cultura

Tutto ciò che è stato detto finora sui meriti del Pontificato è citato solo tra coloro che amano il Cristianesimo. tra coloro che amano il Cristianesimo, ne apprezzano il valore e lo considerano la più grande benedizione dell’umanità. Ma nella bilancia della storia ci sono altri meriti che costringono anche i non Cristiani a guardare al Papa con il più profondo rispetto. Solo gli analfabeti, che disprezzano la storia della cultura, possono facilmente esprimere giudizi e sentenze di condanna sull’indegnità di questo o quel Sommo Pontefice. Mi sembra meglio dare credito al famoso storico a-cattolico Gregorovius, che così scriveva: “La storia non ha abbastanza titoli distintivi per delimitare anche solo approssimativamente le imprese e la gloria imperitura dei Papi…”. Quali sono i grandi meriti culturali dei Papi?

Quelli che si sono guadagnati A) nel campo della cultura, B) nel campo della verità e C) nella propagazione e nella difesa del diritto. Insisto ancora una volta sul fatto che per noi Cattolici questi non sono i loro meriti principali. Il merito principale risiede nel fatto che essi sono il fondamento roccioso della Chiesa di Gesù Cristo. Ma non ho ritenuto superfluo passare brevemente in rassegna i loro meriti storici, per renderci sempre più consapevoli del nostro rispetto per il vicario di Gesù Cristo in terra.

A) Avremmo bisogno di molti volumi per delineare anche solo ciò che è dovuto alla cultura – sia spirituale che materiale – ai Pontefici di Roma.

a) Innanzitutto, dovremmo fare riferimento a tutta la storia della conversione dei popoli. Il Pontificato è una grande potenza che si estende su tutto il mondo, eppure non ha cannoni o mitragliatrici. E con quanta rapidità ha conquistato il mondo! Ha parlato all’altezzoso romano, dominatore di cento popoli, ed egli ha chinato il capo davanti a Gesù Cristo. Ha parlato al popolo greco, educato con la filosofia di Platone e Aristotele, ed il popolo greco ha chinato il capo davanti a Gesù Cristo. Aristotele, e il popolo greco chinò il capo ed ha abbracciato la nuova ideologia e le nuove norme di vita cristiana. – Parlò alle tribù barbariche che devastavano l’Europa, e anch’esse piegarono il loro collo rigido al giogo di Gesù Cristo. E ovunque apparve la croce, un nuovo mondo morale, sociale e politico sorse sulla mappa dei popoli: sparpagliati, si trovavano in un’unica città. Popoli nomadi e animosi si trasformarono in pacifici coltivatori della terra, delle scienze e delle arti. Solo il Pontificato, attraverso l’unità di fede e di morale, ha potuto realizzare questa unità di pensiero e di morale, questa nobilitazione dei cuori e degli spiriti, che è stato il fondamento, più solido della nostra cultura occidentale, di cui siamo così orgogliosi.

b) Ma, oltre a questa conversione dei popoli, dobbiamo anche menzionare quell’impareggiabile magnificenza e quel gesto di mecenatismo, insuperato da qualsiasi istituzione, con la quale i Papi riuscirono a dare impulso alle scienze e alle arti. Chiunque visiti Roma si trova ad ogni passo davanti a edifici, statue e magnifiche fontane erette dai Papi. Chi abbia visto le mirabili sale del Vaticano ed i suoi mausolei pieni di incomparabili tesori artistici, ed ha trascorso qualche ora nell’immensa biblioteca o nell’archivio vaticano, non ha bisogno di molte spiegazioni per rendersi conto di ciò che debba al Papato la più nobile cultura umana. Qualsiasi semplice manuale di storia dell’arte proclama eloquentemente le lodi dei grandi protettori di Bramante, Raffaello, Michelangelo, Bernini, Maderna, in altre parole, le lodi dei Papi. Chiunque visiti il museo di antichità in Vaticano noterà con sorpresa che le fondamenta di tutto il nostro sapere e della nostra educazione classica sono state salvate dalla distruzione dai musei vaticani. Ciò che tutti noi conosciamo in una semplice riproduzione dai libri di testo di seconda elementare, possiamo vederlo lì nella sua forma originale: il gruppo di Laocoonte, Arianna che dorme coperta da una magnifica veste dalle bellissime pieghe, l’Apollo del Belvedere, la statua di Zeus di Otricolo e molte altre opere di arte antica di altissimo livello. Pio XI ha giustamente elencato nella sua Enciclica “Deus scientiarum Dominus”, pubblicata nel 1931, tutta una serie di Università che devono la loro esistenza al Papato. Molti saranno sorpresi di sapere che le seguenti Università sono state fondate dai Papi: quelle di Bologna, Parigi, Oxford, Salamanca, Tolosa, Roma, Padova, Cambridge, Pisa, Perugia, Colonia, Heidelberg, Lipsia, Montpellier, Ferrara, Lovanio, Basilea, Cracovia, Vilnius, Graz, Valladolid, Messico, Alcalá, Manila, Santa Fe, Lima, Guatemala, Cagliari, Lemberg, Varsavia.

B) E non minore è il merito dei Papi nella propagazione e nella difesa della verità.

a) La soluzione dei problemi temporali e terreni dipende sempre dalla concezione che abbiamo  delle cose eterne. La politica, l’educazione, la vita sociale, la vita giuridica e morale sono legate alla risposta che diamo alle domande ultime. Il merito imperituro dei Papi è quello di aver educato l’Occidente cristiano ad una tradizione culturale forte, sicura e unitaria, attraverso la conservazione intatta delle verità religiose. – Sono sempre stati i Papi a proclamare e difendere in questo mondo il primato dello spirito sulla materia, dell’anima sul corpo, quello della moralità sull’interesse, quello del diritto sul potere, quello della giustizia sull’acquiescenza. A chi può sfuggire il fatto che nel rispetto di queste verità, la vita umana, sociale e collettiva, come pure quella personale, sia diventato il primo fattore culturale dell’umanità?

b) A causa delle grida di aiuto che l’umanità lancia nella sua sfrenata ricerca delle fallacie delle idee sbagliate, abbiamo conosciuto il valore culturale del Pontificato nella propagazione della verità. Tutti i progetti, i desideri e l’essere dell’uomo antico erano strettamente uniti al soprannaturale. L’uomo moderno ha voluto rompere i legami di questa unione, ha creduto di essere autosufficiente e di potersi redimere da solo. Tuttavia, dopo incessanti sconvolgimenti sociali e continue rivoluzioni, oggi sta di nuovo riconoscendo che anche per il giusto ordinamento della vita naturale e terrena, l’unica solida garanzia è l’umile sottomissione all’ordine soprannaturale. Solo la concezione del mondo, proclamata dai Papi fin da mille e novecento anni fa, può appianare i contrasti e porre fine alle incertezze, e dare risposte soddisfacenti ai molteplici problemi della vita. Se i Papi non avessero fatto altro che innalzare la fiaccola della verità, solo questo sarebbe bastato per considerarli i più grandi benefattori dell’umanità.

C) Ma si sono anche guadagnati meriti illustri nella difesa del diritto.

a) Raffaello, il grande pittore famoso in tutto il mondo, ha lasciato, tra i suoi affreschi in Vaticano, uno splendido sull’incontro tra Attila e Papa Leone I. L’esercito devastante degli Unni sta avanzando da Venezia verso Roma e minaccia di travolgere l’intero mondo civilizzato. In una situazione di urgenza, Papa Leone va ad incontrare Attila per chiedergli un po’ di pietà. Questo incontro di alto profilo si svolse a Mantova nell’anno 452. Nell’affresco di Raffaello, si vede un vecchio dai capelli grigi (San Pietro) accanto al Papa, che minaccia il principe distruttore con una spada sguainata in un’immagine simbolica, che ben illustra l’incrollabile coraggio con cui i Papi hanno sempre alzato la voce in difesa del diritto. Questa difesa del diritto era certamente ciò che pensava  il famoso Veuillot, pubblicista francese, quando scrisse: “Privando il mondo di Pietro, verrà la notte, una notte in cui si formerà, crescerà e salirà sul trono …. Nerone”. – I Papi non solo pubblicarono la dottrina di San Paolo, Paolo, secondo il quale il potere legale dello Stato è mantenuto dalla grazia di Dio (Rm XIII,1), ma si sforzarono di pubblicarla di fronte agli eccessi dello Stato. I Papi condannarono, da un lato, quella forma di sovranità popolare che che deriva tutto il potere dal popolo; ma condannarono anche la dottrina dell’onnipotenza statale, che fa derivare tutto il potere dallo Stato. I Papi non hanno mai smesso di insegnare la relazione tra diritto e morale, impedendo così che le questioni giuridiche si trasformassero in questioni di potere. Il diritto è ciò che è giusto; ma ciò che è giusto è prescritto dalle leggi eterne di Dio e non dal capriccio umano. Pertanto, chi ama Dio rispetterà anche la legge; l’uomo religioso è, quindi, il miglior cittadino. Proclamando e difendendo questo modo di pensare, il Papa rendeva un importante servizio al diritto. Nelle più grandi crisi della vita dei popoli, i Papi non trascurarono di alzare la voce in difesa di un’autorità superiore, dell’autorità sociale, dei doveri sociali e dell’ordine giuridico, gettando le basi di una vita sociale degna dell’uomo. “Nel Medioevo dice il noto storico Leo Henkik, – che non è cattolico (Geschichte des Mittelalters, II, 19 – Storia del Medioevo) – i veri baluardi della libertà politica erano i Papi”. Eppure, questa fiera posizione è costata loro così tanti sacrifici e sofferenze che quasi tutti i Papi avrebbero potuto dire ciò che Gregorio VII disse prima di morire: “Ho amato la verità e odiato l’iniquità; perciò muoio in esilio”. Pertanto, se Gregorovius, il famoso storico di Roma, che non è un cattolico, ha potuto scrivere: “La religione cristiana è stata l’unico baluardo contro il quale si è schiantata la marea dei popoli barbari”, non sarà certo difficile comprendere quest’altra sua affermazione: “Il rispetto che i popoli del Medioevo mostravano nei confronti della città di Roma era illimitato”. Sì, era illimitato perché l’umanità trovava nel Pontefice la migliore garanzia di un giudizio sereno e giusto.

b) Anche oggi ci sono molti che attaccano il Papa: perché? Sono feriti dalla fede cristiana? No. Lo attaccano perché il Pontificato è il principale rappresentante dei principi dell’autorità. Questo è sempre stato il motivo principale degli attacchi al Papa. – Le scuole di pensiero dissolute sono state ben consapevoli che il pontificato stesso è l’unico baluardo che debba essere seriamente preso in considerazione. – Per capire bene cosa significhi il Papato per la cultura e per l’umanità, bisogna considerare dove saremmo arrivati senza il suo aiuto, che ne sarebbe stato dell’Europa se fosse mancata questa potente difesa della cultura, della verità e del diritto? Se fosse mancato questo araldo del primato dello spirito e questo più vigoroso rappresentante del rispetto dell’autorità? Non sono io ad affermarlo, ma il famoso discepolo di Kant, Herder, che nel suo libro intitolato “Ideen zur Philosophie Geschichte der Menschheit”, “Ideas zur Philosophie Geschichte der Menschheit”, “Idee per la filosofia della storia dell’umanità”, scrive: “Il fatto che gli Unni, i Saraceni, i Tartari, i Turchi e i Mongoli non abbiano inghiottita per sempre l’Europa, è opera del Pontificato. Senza la gerarchia romana, l’Europa sarebbe probabilmente diventata preda dei despoti, teatro di continui litigi, o un deserto mongolo”.

* * *

Permettetemi, amati lettori, di ripetere alla domanda: dobbiamo vergognarci se uomini incolti ci chiamano sprezzantemente “papisti”? “È forse motivo di vergogna per noi che la nostra fede poggi sulla roccia di un’istituzione così incomparabile? O è piuttosto fonte di vergogna che alcuni non siano nemmeno a conoscenza dei fatti storici, che sono per sempre memorabili, per i quali il Pontificato si è guadagnato l’eterna gratitudine del di ogni uomo colto?

Sarebbe difficile riassumere ciò che l’umanità deve al Pontificato. Gli deve il fatto che la fede di Cristo sia giunta a noi indenne, intatta. Deve ad esso il fatto che la morale cristiana sia proclamata nella sua interezza ed incolume. Deve ad esso l’estensione del regno di Cristo. Gli deve tutta la cultura cristiana, le arti e le scienze. Gli deve gratitudine per la sua vigilanza e la sua tenacia nel custodire i tesori più preziosi, che sono la sua ricchezza ed il suo ornamento: la vita familiare, l’educazione, la giustizia reciproca. È proprio negli ultimi decenni che gli occhi dell’umanità si sono spesso rivolti a Roma: nel fiume di sangue della guerra e nel mare di miseria del dopoguerra. Come una roccia sopra le onde, il Trono pontificio si erge in alto, rafforzato da un’autorità raddoppiata, in mezzo ad una autorità, in mezzo ad un mondo in cui i troni secolari sono stati frantumati in schegge e sembra avviarsi a perire in assenza di autorità o per il dispotismo dei forti. La tiara papale brilla, quando accanto ad essa decine di corone reali sono cadute nella polvere.

E se l’umanità è così sciocca da continuare a suicidarsi e ad inseguire il fuoco fatuo delle filosofie seducenti e delle monete fallaci, continua a dissipare follemente i migliori tesori e i valori spirituali raccolti nell’antichità, anche così, in mezzo alle macerie caotiche di una società e di culture in disfacimento, l’istituzione del Pontificato resterà in piedi e svetterà, così come le piramidi d’Egitto si ergono e si stagliano ancora sull’Egitto, sugli strati di sabbia con cui i secoli le hanno ricoperte una dopo l’altra.

* * *

Amico lettore: ringraziamo il Signore che siamo “papisti”… anche noi!

Ave, Santa Roma!

La città eterna attira i pellegrini con un’attrazione incessante. Non si può visitare Roma senza incontrare pellegrini provenienti da tutto il mondo. Al di fuori della Terra Santa, calpestata dalle divine suole di Gesù Cristo, e al di fuori della patria in cui sono sepolti i nostri antenati, non c’è luogo in tutto il mondo così caro ai Cristiani come questa città santa. Ma ciò che amiamo non è la capitale di un antico impero mondiale. Né amiamo la città, museo di tesori artistici incomparabili. Ciò che amiamo è la “pietra” di Roma, la roccia su cui Cristo ha costruito la sua Chiesa. Amiamo il cuore che vi batte e che trasmette il sangue della vita cristiana a tutti i membri della Chiesa universale, che si estende in tutto il mondo. Amiamo il capo che comanda e e ordina a Roma e che proclama la dottrina di Cristo. Amiamo la mano paterna che si leva a Roma per benedire il mondo intero. In questo sta il fascino misterioso e attraente della “Roma eterna”.

“Ave, Ave, Santa Roma”, gridavano entusiasti i pellegrini nell’anno 1300, durante il Giubileo del primo Anno Santo, dopo una lunga e faticosa marcia, quando, finalmente, sotto i raggi del sole al tramonto, intravidero dal sole al tramonto, la città santa dall’alto del monte Mario. Ave, Roma santa”, esclama oggi ogni credente che medita su ciò che le anime cristiane devono a Roma. La caratteristica dei fedeli Cattolici è sempre stata, in tutto il mondo, il loro fervente e amorevole attaccamento alla Città Eterna. Questo è un fatto così noto che non è necessario soffermarsi su di esso. Sarà invece più istruttivo studiare le cause di tale fatto e porsi questa domanda. Perché ci chiamiamo Cattolici romani, cioè perché amiamo la Città Eterna? Ovvero, perché amiamo Roma con tanto fervore? La nostra risposta sarà duplice: in primo luogo, amiamo Roma perché è lì che batte il cuore della Chiesa e, in secondo luogo, perché è lì che vive il capo della Chiesa.

La Chiesa vive lì!

A Roma batte il cuore della Chiesa

Diciamo, innanzitutto, che siamo Cattolici romani e che amiamo Roma perché lì batte il cuore della Chiesa; perché: a) come questa città è stata lo scenario del glorioso passato del Cristianesimo, così b) in modo analogo, rimane oggi il luogo di culto del Cristianesimo.

A) Il passato glorioso del Cristianesimo era indissolubilmente legato al nome di Roma.

a) L’antica Roma pagana doveva anche essere bella; ma quanto era misera l’anima umana lì! I Romani illustri vivevano in palazzi di marmo ornati d’oro. d’oro: leggevano Omero, Orazio, Virgilio. Nel Foro la vita traboccava di febbri d’agitazione; un tempio si scontrava con l’altro…: ma anche le porte del Colosseo si aprirono, e l’imperatore, il politico, il guerriero, lo scrittore, il poeta, il sacerdote e le vestali guardavano con l’avidità di occhi che saltavano fuori dalle orbite per la lotta tra la vita e la morte dei gladiatori. E la folla – circa 90.000 uomini – riunita nel Colosseo ululava e ruggiva. Il Colosseo ululava e ruggiva di indignazione quando i gladiatori si trattavano con delicatezza o finivano di combattere rapidamente. Quegli spettatori volevano vedere sangue, sangue umano che colava a lungo. Loro, i sacerdoti, le sacerdotesse! Loro, i grandi statisti! E se il vincitore guardava verso il palco imperiale implorando la vita del suo avversario, che rotolava a terra, pieno di ferite mortali, il pollice della mano dell’imperatore si girava verso il basso, con un gesto sanguinario: nessuna pietà, uccidetelo, uccidetelo, uccidetelo!

Questa era la Roma pagana.

b) Ma un giorno un pescatore di Betsaida venne a Roma per una delle strade magnifiche; il suo nome antico era Simone, ma a quel tempo si chiamava Pietro. Su un’altra strada regale i soldati romani conducevano un prigioniero inviato da Festo, procuratore della Giudea; il suo nome era Paolo di Tarso. E mentre Pietro e Paolo varcavano le porte della grande città pagana, la storia la storia del mondo si capovolse. La Roma che un tempo era stata un nido e un semenzaio di sensualismo, di giochi gladiatori, di idoli pagani, divenne da quel momento in poi il punto di partenza e il propagatore di una nuova cultura, nobile e santa come lo era e lo è lo spiritualismo cristiano: Roma fu da allora in poi il cuore della Chiesa. E poiché tutto il sangue va al cuore, il mondo intero iniziò il suo pellegrinaggio a Roma. È la città più antica che ha visto la gente affluire a frotte quando ancora non si parlava di traffico turistico. Era il cuore della Chiesa! Per questo motivo Roma è diventata la “Città eterna”. Sì, è eterna. Ma ciò che è eterno in essa è solo quello che proviene da Pietro e Paolo. Da allora Roma è stata un luogo sacro per noi. Migliaia e migliaia di compagni Cristiane sono morte nel suo Colosseo, dilaniati dai denti di leoni, tigri, pantere e orsi. Migliaia di Sacerdoti, Vescovi, madri, fanciulle, bambini e vecchi sono morti per la vittoria della croce, per la causa di Cristo. Dalle loro tombe la nuova Roma, la Roma santa, la Roma eterna.

B) Roma è stata la scena dei primi secoli del Cristianesimo. è la fonte più abbondante delle energie che sono all’origine della sua attuale fioritura.

a) L’Italia, e all’interno dell’Italia Roma, hanno esercitato per secoli una forza attrattiva su popoli e individui. È possibile che i Cimbri, i Teutoni e i Celti siano stati attratti dalla loro patria settentrionale, nebbiosa e fredda, solo dal calore del cielo del sud pieno di sole; ed è possibile che molti viaggiatori moderni visitino l’Italia per i suoi tesori artistici. Ma è possibile affermare che la maggior parte dei treni espressi e dei lunghi convogli di pellegrini che si precipitano a Roma non vanno nella Città Eterna per godere del suo sole ed ammirare i suoi tesori artistici, ma, piuttosto, proprio come nell’antichità, la gente veniva a Roma per ricevere norme giuridiche, politiche, artistiche ed economiche, per poi tornare nella loro patria lontana con un nuovo spirito di lavoro, in un modo simile a quello di Roma, che è il centro della cristianità, così che, in modo simile, i Cristiani di oggi si recano a Roma in modo che, risvegliati spiritualmente dal cuore della Chiesa, possano poi tornare con nuova energia alle faccende e alle lotte quotidiane della vita! – Si dice che Goethe, quando fece il suo famoso viaggio in Italia, andò a Roma in fretta, quasi senza fermarsi. In realtà non si trattava di un viaggio, ma di una fuga; fuggire dall’atmosfera angusta e meschina, carica di nebbie dell’incertezza, verso la luce di una concezione risoluta e ampia del mondo. – Questo è ciò che sente il pellegrino romano. Sente come sia ringiovanito spiritualmente; come la sua anima si riempia di pensieri grandiosi ed edificanti quando contempla da vicino i valori e le misure assolute di eterna validità. I fedeli non vanno a Roma come turisti, ma come pellegrini pentiti, come pellegrini assetati, come esseri deboli in cerca di un rafforzamento spirituale. Perché chi andasse a Roma solo per vedere l’arte, andrebbe con gli occhi bendati e vagherebbe con l’anima chiusa. Cosa significano i tesori deperibili di una Roma artistica rispetto ai problemi eterni dell’esistenza, ai quali l’altra Roma dà risposte, la Roma santa, la Roma eterna?

b) Non è possibile descrivere, bisogna vivere le sensazioni che lì si impadroniscono della nostra anima. Siete davanti alla tomba di colui che che ha parlato con Gesù Cristo. Siete nella città dove il Vangelo è stato predicato incessantemente da quando il primo Papa vi ha messo piede. Vi trovate nella Roma cristiana, fondata non da Romolo e Remo, come si dice della Roma pagana, ma da Pietro e Paolo. Lì si respira l’aria di Cristo e si è impregnati dell’azione vivificante del Vangelo, il lievito divino che ha reso cristiana l’anima pagana, come ha trasformato il pantheon degli dei in un tempio dei martiri, in Santa Maria sopra Minerva. il tempio pagano di Minerva, ed in Santa Sabina il tempio pagano di Diana.

c) E a questo punto vorrei sottolineare un pensiero: Roma è diventata la madre comune di tutti i Cristiani, senza che nessuno di loro debba rinnegare la propria nazione.

Sì, perché quando andiamo a Roma, non andiamo con l’intenzione di visitare la capitale d’Italia, ma per raggiungere il cuore del mondo cristiano. Questo è l’unico modo per capire che i pellegrini che si trovano a Roma, lungi dal dimenticare la propria patria, da nessuna parte pensano ad essa con tanta pietà, e in nessun luogo cantano il loro inno nazionale con più fuoco come lì, nella città santa ed eterna della cristianità.

Sottoscriviamo, dunque, tutte le parole del grande scrittore francese De Maistre, che mette questo paragrafo nel suo libro intitolato Du Pape, Del Papa: “O santa Chiesa romana! Finché potrò fare uso della mia lingua, Dio ti salvi, madre immortale della scienza e della santità, e madre immortale di, salve magna parens! Tu hai diffuso la luce fino agli estremi confini della terra, dove ogni potere ostinato non ha posto alcun ostacolo alla tua influenza, e spesso anche a dispetto di esso. Sei stato Tu a porre fine ai sacrifici umani, alle usanze barbare ed ignominiose, alla notte dell’ignoranza; e dove i tuoi inviati non sono riusciti a giungere, là manca la cultura umana. I vostri sono gli uomini eccelsi. I vostri insegnamenti purificano la scienza dal veleno dell’indipendenza e dell’orgoglio, che la rendono sempre pericolosa e spesso dannosa. I tuoi Papi saranno presto riconosciuti come i primi fattori della cultura umana, i creatori della cultura umana, i creatori della cultura umana, i creatori della cultura umana creatori della monarchia e dell’unità europea, guardiani dell’unità europea, guardiani della monarchia e dell’unità europea, guardiani delle arti, fondatori e difensori nati della libertà civica, distruttori della schiavitù, nemici della tirannia, benefattori del genere umano”.

A Roma vive il Capo della Chiesa

Amiamo Roma non solo perché in essa batte il cuore della cristianità, ma anche perché in essa vive il Capo della Chiesa; in essa vive: A), il Papa; B), il nostro Santo Padre.

A) Amiamo Roma perché a Roma vive il Papa.

a) E chi è il Papa? Cosa pensa di lui la Chiesa cattolica? Perché quello che il mondo pensa di lui lo vediamo ad ogni elezione del Papa. La stampa di tutto il mondo pubblica grandi articoli, fa delle combinazioni per indovinare chi sarà il nuovo Papa, cosa ci si possa aspettare da lui, quale orientamento politico seguirà… Questo è ciò che pensa il mondo. E la Chiesa?

Ordina una messa speciale da celebrare al momento dell’elezione:

Missa pro eligendo Summo Pontifice“, “Messa per l’elezione del Sommo Pontefice”; e la preghiera di questa santa Messa dimostra in modo magnifico ciò che la Chiesa si aspetta dal Papa. Rivediamo questa preghiera: che Papa chiede la Chiesa? Uno spirito ardente di artista, un grande costruttore, un grande politico, un diplomatico? Un grande politico, un diplomatico? Nessuno di questi, ma un Papa che, attraverso la sua fervente sollecitudine per le nostre anime – “pio in nos studio” – sia sempre accettabile agli occhi della divina deferenza e degno di rispetto agli occhi del popolo. È così che la Chiesa prega per il Papa. E abbiamo imparato questa preghiera da Gesù Cristo stesso, che una volta disse a San Pietro: “Simone, Simone! ecco, satana ti insegue per vagliarti come il grano”. Ma Io ho pregato per te, affinché la tua fede non perisca; e tu, quando ti sarai convertito, rafforza i tuoi fratelli.” (Lc XXII,31-32). – Che parole incomparabili, Cristo ha pregato per Pietro! Cristo prega per il Papa, perché conosce il suo immenso valore: il destino eterno di milioni e milioni di anime immortali dipende dalla sua infallibilità, dalla sua fede incrollabile. Da Cristo i fedeli cristiani hanno imparato a pregare anche per il Papa.. Si racconta che, quando Pietro soffriva in prigione, la Chiesa incessantemente Dio per lui (Atti XII, 5).

b) Ma dalle parole di Cristo ricaviamo un’altra cosa: l’obbedienza al Papa, incomparabilmente più sottomessa e traboccante di pietà filiale, che ha sempre caratterizzato i popoli in cui c’è una vita veramente cristiana. Infatti, se Cristo ha incaricato il Papa di confermare i suoi fratelli nella fede, è giusto che a noi venga comandato di essere figli obbedienti del Papa, la cui missione divina è quella di guidarci ed orientarci nella nostra fede.

Che “obbediamo ciecamente al Papa“? Sì, signore! Così così come ogni uomo che non è pazzo è abituato ad obbedire ciecamente alla sua testa, e non alla sua mano o alla sua lingua. Perché le mani, i piedi e il corpo della Chiesa siamo noi, i fedeli. Il Capo è Cristo e il suo Vicario è il Papa. – Rivedete ciò che la Lettera agli Efesini dice di Gesù Cristo: ” Tutto infatti (il Padre) ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa,la quale è il suo corpo,la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.” (Efesini 1, 22-23). Chi non sa che il Capo della Chiesa è Cristo e che il Vicario di Gesù Cristo in terra è il Papa? Noi amiamo Roma perché in essa abita il Papa, il Vicario di Gesù Cristo.

B) Ma il nostro amore ha radici molto più profonde. Non solo il Papa è il capo visibile della Chiesa, il suo governatore, ma anche il Padre amoroso di tutta la cristianità, il nostro Santo Padre; ed è proprio questa espressione che spiega appieno tutto il nostro tenero amore che i fedeli ferventi fedeli hanno sempre professato per Roma.

a) Gli stessi Cattolici sono pervasi da un profondo rispetto e da un’emozione del tutto particolare quando incontrano il Santo Padre in udienza. Quanti hanno vissuto un’esperienza simile a quella del potente ministro di Luigi Filippo re di Francia, Thiers, che durante la sua permanenza a Roma a Roma chiese un’udienza al Papa, ma a condizione che, essendo un protestante, non dovesse inginocchiarsi davanti al Pontefice e baciargli la mano. Quando questa richiesta fu comunicata a Gregorio XVI, questi rispose sorridendo: “Fate come piace a Thiers”. Il presidente del Consiglio dei ministri francese entrò e, trovandosi di fronte al Papa, sentì un forte richiamo, un sentimento forte e indefinibile invadere la sua anima. Si inginocchiò davanti a lui e gli baciò il piede. Il Papa gli chiese in tono di grande dolcezza: “Signor Ministro, è inciampato in qualcosa?”. E il ministro francese rispose con grande arguzia: “Veramente, siamo tutti ad inciampare nella grandezza del Papato”. Questo è ciò che provano anche i non Cattolici quando si trovano faccia a faccia con il Papa.

b) Cosa devono provare i fedeli quando pronunciano queste parole: “Nostro Santissimo Padre”? “Che nome sublime e piissimo! Quante cose dicono queste tre parole: “Padre nostro santissimo”! Prima di tutto, sono parole di fiducia. Tu sei è la roccia su cui poggia la nostra fede. Tu sei il fondamento su cui è costruita la nostra casa familiare, la Chiesa cattolica. Tu sei l’uomo su cui poggia la nostra Chiesa, l’arco della Chiesa universale. Tu sei il pastore che guida il cammino della nostra anima. Tu sei il cuore che batte in noi. Ma queste parole sono anche un segno di profondo amore. Tu sei il capo della grande famiglia, e tutti noi ci sentiamo a casa con te. Tu sei il padre, e i tuoi figli vengono da te da tutto il mondo. Accanto a te c’è “la patria delle anime”, come Sienkiewtcz chiamava Roma. Non c’è stato nessun altro regno al mondo con una tale varietà di lingue e una storia così ricca; i cui membri erano così diversi sia esteriormente che nella loro formazione culturale interiore, come la Chiesa cattolica. E tutta questa varietà è mirabilmente unita in un unico punto centrale della Chiesa: il Papa. Egli è il supremo legislatore, la guida, la roccia, il fondamento, il centro, il Vicario di Cristo!

c) Leggiamo la descrizione di quella visione sublime di cui al capitolo LX del profeta Isaia: Alzati Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. (Is LX,1-4) Sembra di assistere alla scena di un’udienza generale dei pellegrini che il Santo Padre concede in occasione di un Anno Santo. Come se i colori vividi di Isaia fossero stati ispirati da essa! Migliaia e migliaia di persone riempiono con nervosa attesa le magnifiche sale secolari del Vaticano; persone provenienti da tutti gli angoli della Chiesa universale, e come fratelli in Gesù Cristo, con le loro anime immerse nella preghiera, sono fianco a fianco e attendono il Padre comune di tutti, il Papa. Bianchi e gialli, europei, asiatici, Egiziani, pellegrini dell’India orientale, tutti insieme. La loro lingua è diversa, il loro vestito, diversa è la forma dei loro occhi, diversa è la cultura, ma una è la loro fede, uno è il loro Cristo, e uno è il loro Vicario, che sta già venendo nella sua veste bianca, che già risplende da lontano…; tutti si inginocchiano e baciano la mano del padre che benedice; non c’è quasi nessuno che non abbia le lacrime agli occhi. Ora tutti sentono la gioia di essere Cattolici. Che orgoglio santo appartenere a questa Chiesa universale! Che serenità sapere che la mia fede poggia sulla Chiesa universale, sulla “pietra”, su quella pietra sulla quale Gesù Cristo ha posto le fondamenta della sua Chiesa e ha promesso che “le potenze dell’inferno non prevarranno mai contro di essa”!

* * *

Una delle strade più famose di Roma si chiama Via Appia. È una strada triste, fiancheggiata da tombe che sorgono sotto pini e cipressi. Ad un incrocio, una piccola cappella segna il luogo in cui, secondo la tradizione, Pietro, fuggito da un’isola, si sarebbe rifugiato. Pietro, che era fuggito dalla prigione mamertina e intendeva lasciare Roma, incontrò il Signore Gesù Cristo macchiato di sangue e gli chiese, con l’animo commosso: Quo vadis, Domine, “Dove vai, Signore?”. Al che Gesù Cristo rispose queste bellissime e indimenticabili parole: “Vado a Roma, per farmi crocifiggere una seconda volta”. Pietro allora capì Gesù Cristo e tornò in città e, disprezzando la morte, lavorò per Cristo, fino al giorno in cui fu crocifisso il 29 giugno dell’anno 67, con la testa rivolta verso il basso, nel circo di Nerone, non lontano dalla sua tomba attuale, nella Basilica del suo nome. Il primo Papa diede la vita per Cristo nella città di Roma. A Roma vive ancora oggi il 263° successore di Pietro. E da allora, ubi Petrus, ibi Ecclesia; ubi Ecclesia, ibi Vita aeterna, “dove c’è Pietro, c’è la Chiesa, e dove c’è la Chiesa, c’è la vita eterna”. Queste parole sempre belle del grande vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, non solo risplendono sulla cupola del Duomo di Milano, iscritte in lettere d’oro, ma vivono anche in lettere d’oro, ma vivono anche, in modo prodigioso e indelebile, in tutte le anime cristiane. Come non capire perché una tale moltitudine di pellegrini cristiani affluisca a Roma e perché, al primo sguardo sulla cupola della grande Basilica di San Pietro, scoppiano in questo grido entusiasta: “Ave, santa Roma“? Ave, Roma santa! Sotto il tuo pavimento attraversano i corridoi sotterranei, le catacombe sotterranee, le catacombe che custodiscono le tombe dei martiri cristiani che hanno dato la loro vita per Gesù Cristo. Santi sono questi corridoi, perché proclamano forte e chiaro con le loro immagini bibliche e le loro scene liturgiche, dipinte con linee crude, primitive e spigolose, che la nostra fede è la stessa di quella del popolo cristiano, che la nostra fede è la stessa di quei martiri e di quei primi fedeli, e perché è in questi corridoi, intrisi di sangue di martiri, che la nostra religione affonda le sue radici. Ave, Roma santa! In te sorge, sopra la tomba di San Pietro, la sua Basilica.

Ave, Roma santa! In te c’è la Basilica di San Giovanni con l’iscrizione cattolica sulla facciata. L’iscrizione cattolica sulla sua facciata: “Madre e capo di tutte le chiese.”.

Ave, Roma santa! In te si erge l’enorme obelisco di Piazza San Pietro, che proclama al mondo intero: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat“, “Cristo vince, Cristo regna, Cristo regna”.

Ave, Roma santa! In te batte il cuore della Chiesa e in te vive il capo di questa stessa Chiesa. Ecco perché dal profondo della nostra anima scaturisce sempre la preghiera, che sulle ali di una melodia che inviamo al cielo: “Dove giace la tomba di San Pietro e dove batte il cuore di Roma, da mille labbra, su mille lingue, dolcemente e fervidamente una preghiera: Custodisci, o Signore, il nostro santo Padre, il Vicario di Gesù Cristo”.

VIVA IL SANTO PADRE IMPEDITO!!

TU SEI PIETRO (3)

Monsignor Tihamér Tóth

VESCOVO DI VESZPRÉM

“Tu sei Pietro”

STORIA E ATTUALITÀ DEL PONTEFICE ROMANO (III)

1956

CENSURA ECLESIASTICA

Nihil obstat: Dr. Vicente Serrano Censore eccl.

IMPRIMATUR: † JOSE MARIA. Ob. Ausiliario e Vicario Generale Madrid, 2 marzo 1956

Capitolo III

LA CORONA DI SPINE DEL PAPA

Quanto sono misteriose e profonde le parole con cui Gesù Cristo ha voluto mostrare il futuro a Pietro, il primo Papa! “In verità, in verità, in verità io ti dico che quando eri più giovane, ti cingevi le vesti e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi.” (Gv XXI, 18). Che strano e misterioso! Pietro le ha capite? Allora è probabile che non le abbia capite. Non aveva ancora visto la croce che, il 29 giugno 67, sarebbe stata eretta sul colle del Vaticano, e sulla quale lui, il primo Papa, sarebbe stato eretto, a testa bassa, con la testa rivolta in giù, per suggellare con la vita la sua fedeltà a Gesù Cristo. Ma il Signore ci stava pensando. Pensava al martirio del primo Papa e di tutti gli altri. San Giovanni Evangelista non ha mancato di riportarlo: “Disse questo per indicare con quale tipo di morte Pietro avrebbe glorificato Dio” (Gv. XXI,19). Gesù Cristo vide molto bene che, nel corso dei secoli, i suoi nemici mortali avrebbero attaccato con accanimento proprio quell’istituzione dalla cui esistenza dipende il destino della Chiesa. Egli vide molto bene che la triplice corona, la tiara dei Papi, non sarebbe stata, in realtà, una corona reale, ma una triplice corona di spine, che insanguinava la fronte dei suoi Vicari. Studiando, dunque, in questa serie di capitoli, l’istituzione del Papato, il presente capitolo, che tratterà la seguente tesi, non sarà superfluo.

“La sollecitudine di tutte le Chiese” (2 Corinzi XI:28).

La prima corona di spine è l’accumulo di fatiche e doveri che il Papa deve compiere per la causa di Cristo, e che San Paolo esprime con queste parole: “…la cura di tutte le chiese” (2 Corinzi XI, 28).

A) Si sentono qua e là commenti infantili ed ingenui sulla vita del Papa: ha centinaia di stanze in Vaticano, può andare in giro per il suo Vaticano, può andarsene in giro come vuole, mangia e beve come vuole, tutti si inchinano a lui, lui è un “signore sorprendentemente grande”. Chi non ha mai visto il Papa lo immagina così.

Invece, coloro che conoscono i suoi orari, i suoi doveri ed il suo lavoro sovrumano;

chi sa come si alza presto e come lavora incessantemente fino a tarda notte; quelli che sanno che dal primo gennaio al 31 dicembre, giorno dopo giorno, riceve 3.000 interpellanze ed invia altrettante risposte; chi sa che concede costantemente innumerevoli udienze a visitatori che arrivano da tutto il mondo, dai più modesti ai più illustri. Chi sa a quanti consigli e riunioni partecipi e come non solo guidi la vita spirituale dei 460 milioni di fedeli cattolici, ma anche come spiani la strada per la conversione dei non credenti. Chi sa tutte queste cose non invidierà ingenuamente questa “grande signoria” del Papa, ma guarderanno a lui con rispetto e ammirazione, in quanto primo operatore della causa di Gesù Cristo. Vedranno nel Papa il “servo dei servi di Dio”, al quale si possono applicare, in senso stretto, le parole di San Paolo, secondo cui su di lui pesa “la sollecitudine di tutte le Chiese”.

B) E quanto è ammirevole: i compiti e i doveri si moltiplicano ai nostri giorni. Il fatto è che la sua autorità stia crescendo sempre più in tutto il mondo. Notiamo con particolare gratitudine alla divina Provvidenza, che quando nel caos che ha seguito la guerra mondiale, grandi imperi scomparvero, diversi troni crollarono, e la fiducia che gli uomini avevano riposto nelle monete, nelle scuole e nelle filosofie andò in frantumi, fu proprio allora che la voce delle trombe d’argento che risuonava nella Basilica di San Pietro, si fece più penetrante e robusta; e, giorno dopo giorno andò crescendo il numero di uomini, popoli e Paesi, la cui attenzione, speranza, aspettativa ed omaggio sono rivolti verso il Vaticano, da dove giunge ovunque il suono trionfale delle trombe: Tu sei Pietro e… su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt XVI, 18).

È con gioia e quasi con orgoglio che vediamo come, soprattutto dal dopoguerra, sia cresciuta in modo costante e al massimo grado, l’autorità del Papa agli occhi del mondo. Quante milioni di persone guardano a Roma ed ascoltano la parola del Papa!

Non dobbiamo dimenticare, in mezzo al nostro mondo, quanti milioni di persone guardano a Roma e ascoltano la parola del Papa, e come l’enorme compito del Papa di guidare il mondo intero sia in costante crescita.

Il lavoro del Papa di guidare il mondo intero.

Chi è malato, perché io non sia malato con lui?

(2 Corinzi XI, 29)

La seconda corona di spine – più pesante e dolorosa della prima – è l’accumulo di ansie e di preoccupazioni, e le innumerevoli pene e dolori causati dalla persecuzione contro il Signore. “Chi è malato, che io non sia malato con lui?”. -Il Papa potrebbe ripetere con San Paolo: “Chi si scandalizza che io non sia addolorato?” (2 Cor XI, 29). A volte incontriamo esseri stanchi, privi di umorismo, che si lamentano tristemente: “Come sono stanco? Non ce la faccio più, ho tante fatiche, tanti dolori, tante responsabilità sulle mie spalle! Ebbene, cosa deve provare il Papa che deve gestire non una scuola, non una banca, non un ministero, non un Paese, ma la più grande comunità universale, che conta i suoi membri non a migliaia, non a centinaia di migliaia, ma a centinaia di milioni, e il cui campo d’azione non si limita ad un villaggio o ad un paese, a una provincia, a una regione o a un Paese, ma si estende a tutto il mondo, da Est a Ovest, da Sud a Nord? Ogni giorno giungono al Papa notizie sullo stato della Chiesa in tutto il mondo e sulle sorti, prospere o avverse, della stessa, ovunque. Ognuna di queste notizie ha una risonanza speciale nel suo cuore paterno. Tutte le lamentele, tutti i dolori e tutte le disgrazie di tutti i Paesi, isole e continenti e persino delle regioni polari, hanno un’eco nel suo cuore paterno. Quando si dichiara guerra ai principii cristiani, quando si vuole estirparli dalle anime degli uomini e delle donne, con la religiosità di un popolo con astuzia e furbizia, su chi sferrano i colpi più terribili, se non sul Papa? Come si può calcolare l’immenso dolore che deve aver riempito il cuore del Papa a causa dell’inumana persecuzione religiosa del Soviet russo e la sanguinosa persecuzione della Chiesa in Spagna e in Messico? Osserviamolo mentre quando riceve i pellegrini di un paese: quale ansia, quale compassione, quale amore vibra nelle sue parole! Lui che conosce tutte queste cose, cerca di mitigare tanto dolore; perché è giusto che i figli vogliano mitigare le preoccupazioni dei genitori. Come possiamo addolcire le pene del Papa? a) Innanzitutto con le nostre preghiere. Preghiamo per l’intenzione del Papa. Che bella abitudine inserire nelle nostre preghiere i mille dolori, le ansie, e dolori di colui che è il Capo di tutta la cristianità, “affinché perché Dio lo custodisca e non lo consegni nelle mani dei suoi nemici”!

b) I fedeli possono anche mitigare le pene del Papa con un contributo materiale. So che questo suona strano in mezzo alle difficoltà moderne. So quanto sia difficile la vita oggi in tutto il mondo. Eppure, da ogni parte del mondo il denaro di San Pietro viene inviato al Santo Padre. Questo nome non è già molto significativo? Il denaro di San Pietro! Non “denaro di Benedetto”, non “denaro di Pio”, ma denaro di San Pietro. L’obolo di Pietro. Questa è la fonte delle grandi somme di denaro che il Papa investe… In cosa? Nella sua cucina, nella sua casa, nei suoi vestiti…? Ah, no. Non ne ha bisogno,

perché vive come un modesto religioso. La somma esorbitante con cui il Papa è solito aiutare i poveri di tutto il mondo, quelli che soffrono la miseria, gli sfortunati ed i missionari. Per questo motivo, ovunque ci sia un amore un po’ vivo per il Padre comune del Cristianesimo, si cerca almeno di aiutarlo con un modesto contributo, perché si vede che su di lui grava la sollecitudine di tutte le Chiese. E non c’è da temere per il cambio della propria Nazione a causa di questi oboli. Non mancano coloro che ci accusano che questi oboli diminuiscano il valore della propria moneta. Mi sembra che basti rispondere con una sola frase. Non so esattamente a quanto ammonti ogni anno il denaro di San Pietro. Ma una cosa la so: che non è nemmeno un decimo di quello che noi ungheresi permettiamo di mandare all’estero, per esempio, per comprare le arance o altri prodotti di cui il nostro mercato interno è carente.

La persecuzione del Papa.

Il Papa ha anche una terza e dolorosissima corona di spine: l’odio e la persecuzione costante a cui il Papato è esposto da mille e novecento anni, che non è altro che il compimento di tre profezie di Gesù Cristo.

Tre profezie di Gesù Cristo.

Di quali profezie si tratta?

29

A) La prima: Un altro vi cingerà e vi condurrà dove voi non volete (Gv XXI, 18).

Come si è adempiuta, parola per parola, in tutta la storia della Chiesa! – Ripercorriamo la serie dei Papi. Nei primi secoli, essere Papa equivaleva ad essere un martire. Fino a Costantino il Grande ci sono stati 32 Papi; 30 di loro morirono da martiri e gli altri due finirono la loro vita in esilio. Dov’è la dinastia che ha iniziato il suo regno con trenta martiri? La maggior parte di loro non raggiunse nemmeno i trenta monarchi. Ma anche dopo Costantino, quali sofferenze accompagnarono la va del Pontefice! Basterà citare alcuni fatti. Innocenzo I e San Leone Magno sono assediati da Alarico e dai Vandali. Giovanni I muore in prigione. Agapito muore in esilio. Silverio viene portato su un’isola, dove muore di fame. Vigilio viene bandito. Martino I deve portare le sue catene fino al Mar Nero. Sergio I vive per sette anni in esilio. Stefano III è costretto a ricorrere all’aiuto dei principi franchi. Leone III viene maltrattato. Leone V muore in prigione. Giovanni X viene strangolato a morte. Benedetto VI, nel castello di Sant’Angelo. Giovanni XIV muore di fame in prigione. Gregorio V viene bandito da Roma. Silvestro II, avvelenato. Gregorio VII muore in esilio a Salerno. Pasquale II, a Benevento, di pura miseria. Innocenzo II viene catturato da Rogerio, principe di Sicilia. Lucio II viene ferito in una ribellione. Alessandro II deve fuggire dal Barbarossa. Lucio III muore in esilio. Gregorio IX deve assistere alla distruzione dei templi di Roma da parte dei Saraceni. I Saraceni distruggono i templi di Roma. Innocenzo IV fugge da Federico II. Alessandro IV muore in esilio a Viterbo. Bonifacio VIII si ritrova nelle mani di di Filippo il Bello. Clemente V inizia la prigionia di Avignone, che dura settant’anni. Urbano VI deve assistere al grande scisma. E poi seguono i dolori della Riforma! Sotto Urbano VIII, scoppia il giansenismo; sotto Alessandro VII, il gallicanesimo; sotto Innocenzo VII, il Re Sole; Clemente XI e Clemente XII hanno dovuto sopportare le offese dei monarchi di Napoli, Madrid, Parigi e Vienna. Benedetto XIV (il Papa più saggio) deve subire il sarcasmo di Voltaire. Clemente XIII e XIV dovettero assistere alla persecuzione dei gesuiti. Pio VI fu costretto a fuggire a Venezia. Pio VII, a Fontainebleau. Pio IX, a Gaeta. Durante il pontificato di Leone XIII il Kulturkampf, la “guerra culturale” tedesca, si scatena. San Pio X muore rattristato

dall’infedeltà della Francia e dal modernismo. Pio XI vive nell’amarezza dalla persecuzione della Chiesa in Russia, Messico e Spagna… Gregorio XVII, appena eletto viene impedito nel suo operato e vive da recluso nel palazzo di Genova (ndr. -) … un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi andare…. Come si sono realizzate le parole del Signore!

B) E si compì anche un’altra profezia: Simone, Simone, ecco, satana ti insegue per vagliarti come il grano (Lc XXII, 31).

Quando Satana vide che il trono del Pescatore era saldo anche in mezzo ai mari di sangue che minacciavano di straripare, e che stava in piedi anche dopo le rivoluzioni, le eresie e i bandi, cambiò la sua tattica per una molto più pericolosa: si spinse fino alla roccia stessa del Papato quando, nel IX e X secolo, sulla sede di Pietro sedevano uomini che non erano certo i più adatti a far fiorire la Chiesa con con fiori di santità e slancio di vita. L’istituzione del Papato avrebbe dovuto crollare con la forza, non in mezzo a ondate di sangue, né tra il fragore delle eresie, ma nella calma corrosiva di quei secoli. Questa roccia granitica non fu nemmeno smossa.

satana vi insegue per vagliarvi come grano“. Diverse volte nella storia si è ripetuta la scena più triste della Santa Passione: il tradimento di uno degli apostoli. Qualsiasi altra istituzione sarebbe crollata irrimediabilmente. Ma questa, se non è stata creata da Dio il giorno della creazione, è stata chiamata a vivere dalla parola specialissima e creativa del Figlio di Dio: “Tu sei Pietro…”.

satana vi insegue per vagliarvi come il grano“. La storia della Chiesa è una lotta continua di terribili persecuzioni, interrotte da brevi intervalli di pace. Il monarca più potente d’Europa, Federico Barbarossa, assedia Roma, e non sembra che abbia intenzione davvero di farla finita con il Papato, privo di aiuti umani e senza possibilità di salvezza. Ma ecco, i formidabili accampamenti che circondano Roma… Che cosa è successo, intendono forse incendiare la città? No. La peste imperversa nell’accampamento, e stanno bruciando i cadaveri di migliaia e migliaia di soldati. I falò non bastano più e i morti vengono portati a migliaia sulla riva del mare e gettati in acqua. Poco dopo Federico Barbarossa arriva a piedi nudi per fare penitenza… Il sultano Saladillo invia a Pio II il seguente messaggio: “Vengo a Roma; intendo trasformare la Basilica di San Pietro in una moschea”. Il Papa rispose: “La nave può essere sballottata dalla tempesta, ma non affonda”. E non affondò! Queste lezioni sono servite alle generazioni successive? No. Napoleone disprezzò le minacce del Papa, deridendo Pio VII ed esclamando altezzosamente: “Il Papa crede davvero che questa scomunica farà cadere le armi dei miei soldati?” Ma arrivarono fuoco…, neve…, ghiaccio…, carestia…, e le armi, nel senso più reale del termine, caddero dalle mani morte dei soldati, che stavano morendo di freddo. E poi vennero Waterloo e Sant’Elena. Solo rimane nelle pagine della storia, come qualcosa che non doveva più essere, il ricordo di quell’imperatore. Il papato, invece, è ancora in piedi, e il Papa porta ancora in testa la sua triplice corona di spine,

C) Sta in piedi perché il Signore ha fatto una terza promessa, e anche questa si è realizzata: E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt XVI,18).

16, 18).

a) Si è adempiuta nel passato e b) si adempirà anche nel futuro.

Non vi ricordate la favola del leone malato? Il leone giaceva malato nella sua tana. Gli animali andarono a visitarlo uno dopo l’altro. Arrivò anche la volpe, ma si fermò all’ingresso, non volendo non volendo entrare. – Perché stai fuori? -gli chiesero. – Le impronte mi spaventano”, rispose, “vedo che molti animali sono entrati, sì, ma nessuno è tornato. Questa è la favola; ed è chiaro che l’arciduca Rodolfo vi alludeva quando, esortato ad attaccare il Papa e la Chiesa, rispose solo: “Sì, molti animali sono entrati, ma nessuno è tornato”. – L’altare di Giove della capitale è affondato per sempre, e tutto ciò che rimane è il ricordo degli imperatori e dei re che dichiararono guerra senza quartiere al Papa… Ma l’istituzione del Papato vive, fiorisce e risplende sempre di più. La tomba del pescatore di Galilea è stata, da mille e novecento anni a questa parte, una fonte di vita e di valori eterni ed inesauribili. L’ovvia verità di quell’adagio francese si è sempre avverata: “Qui mange du Pape, en meurt“, “Chi mangia dal Papa, ne muore”.

Quante cose hanno visto e vissuto i Papi in una successione infinita! Hanno visto come l’odio degli imperatori romani sia stato rivolto contro la giovane Chiesa…, e hanno visto come la maggior parte dei persecutori è stata annegata nel proprio sangue. Hanno visto sotto l’arco di trionfo di Tito le masnade germaniche, bionde e vittoriose, stupiti del fasto di Roma, che guardavano con occhi azzurri e e stupefatti…, ed hanno visto anche la morte dei capi germanici e udirono le marce funebri dei loro guerrieri, che li accompagnarono alla tomba. Hanno visto Carlo Magno risplendere di maestà imperiale ed hanno anche visto la fine dei Carolingi. Hanno visto quando hanno combattuto la Chiesa gli Hohenstaufen, e come, finalmente, hanno visto la testa bionda dell’ultimo Hohenstaufen rotolare sotto la scure del boia! Hanno visto molte dinastie sorgere e cadere sui troni d’Europa. Hanno visto sorgere i Carolingi, i Capetingi, ed i Valois. dei signori sassoni, danesi e normanni d’Inghilterra; delle famiglie dei Plantageneti, dei Lancaster, York, Tudor e Stuart. Hanno visto l’ascesa dei mongoli e degli zar di Russia; hanno visto i Romanov e i Gottorpo. Hanno visto gli Arpadi, gli Angiò, gli Asburgo, gli Orléans, gli Angulema, i Borboni. Hanno visto il Re Sole nel pieno del suo sfarzo; ma hanno anche ascoltato le parole che un grande oratore, Massillon, pronunciò sulla bara di quel monarca: “Fratelli, fratelli miei, sorelle mie, fratelli miei, solo Dio è grande! Hanno visto brillare la gloria di Napoleone e l’hanno vista spegnersi a poco a poco. E non è stata la forza delle armi a sostenere la Chiesa. Dietro non ci sono cannoni, né baionette; solo una promessa divina che aleggia sopra di essa, ed è la parola di Dio, e questa è la parola del suo Fondatore: “Le porte dell’inferno non prevarranno mai“.

(b) La promessa di Cristo si realizzerà anche in futuro.

– Verrà mai un giorno in cui il Papato perirà? … potrebbe chiederci qualcuno. Risponderemmo, con tutti coloro che sanno studiare la storia: non sembra che sia in via di estinzione. In passato ha saputo resistere a tutte le eresie, a tutti gli scismi, a tutte le rivoluzioni e agli intrighi umani; ai nostri giorni cresce ai nostri occhi e diventa sempre più forte. Quanto più spaventosamente le onde di un mare ruggente, pieno di neri presagi, sballottano il mondo, tanto più fiduciosamente sollevano il clamore del loro sguardo verso l’unico punto fermo che non vacilla, all’unica luce che ancora risplende imperterrita in mezzo al cataclisma, all’unico potere che rimane saldo. – Chi sa studiare la storia è obbligato a meditare sulla forza misteriosa che, superando tutti i calcoli di probabilità, e persino in mezzo a troni e regni in disfacimento, solleva in alto, con bellezza incontaminata e con una forza di attrazione sempre maggiore, il pontificio Trono. Se possiamo parlare di miracoli nella storia, dobbiamo chiamare un miracolo questa salda istituzione del Pontificato, che rimane quando tutto il resto soccombe e non proprio nella calma dell’Oriente, che finora ha goduto di una certa immobilità, ma in mezzo ai continui sconvolgimenti e turbamenti dello spirito europeo. Sicuramente il famoso storico anglicano MACAULAY pensava a tutte queste cose, quando scrisse le seguenti belle parole: “Quale istituzione, con l’eccezione della Chiesa cattolica, che sia stata testimone di quei tempi in cui dal Pantheon saliva ancora il fumo dei sacrifici e quando leopardi e tigri ruggivano nell’anfiteatro di Flavio? Le case reali più orgogliose risalgono a ieri, se le confrontiamo con la serie dei Papi. La repubblica di Venezia era quella che più si avvicinava al Pontificato. Ma la repubblica veneziana, molto poco in confronto al potere dei Papi, scomparve per sempre, e il Papato sussiste. E sussiste non nella decadenza o come un residuo antiquato di tempi che non sarebbero mai più tornati, ma traboccante di vita e di forza giovanile. E non c’è il minimo segnale che indichi la fine di questo lungo regno della Chiesa cattolica … Questa Chiesa ha visto l’origine di tutte le forme di governo e di istituzioni religiose che esistono oggi nel mondo, e non siamo sicuri che non sia chiamata a vederne la fine di tutte. Questa Chiesa era grande e rispettata già prima che gli Anglosassoni mettessero piede nella terra di Britannia e prima che i Franchi passassero il Reno; ed era grande e rispettata quando gli accenti dell’eloquenza classica risuonavano ancora in Grecia e nel tempio della Mecca si adoravano idoli pagani. E può anche darsi che sia ancora in piedi, con il vigore di una giovinezza intatta, quando un giorno qualche viaggiatore della Nuova Zelanda, in mezzo ad un deserto, si appoggerà ad una colonna crollata del London Bridge per disegnare le rovine del tempio di San Paolo”. – È la trasposizione nel linguaggio di uno storico di queste parole senza tempo della Sacra Scrittura: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa“. (MACAULAY: Saggi critici e storici. Lipsia, 1850. Volume IV, p. 98).

* * *

Chi può dire cosa riserva il futuro se non Dio, che conosce ogni cosa? Verrà mai un giorno in cui il Pontificato riacquisterà tutto il lustro e il potere che aveva  nel Medioevo, o verrà un tempo in cui il Papa sarà di nuovo povero, come il Papa è stato nel Medioevo, povero, povero come Pietro, e vagabondo e senza una patria dovrà predicare Cristo? Non lo sappiamo. Ma una cosa la sappiamo di sicuro:

Sappiamo che ci sarà un Papa finché ci sarà un uomo sulla terra.

Come facciamo a saperlo? Perché, molto semplicemente, finché ci sarà un uomo sulla terra, avrà un cuore umano con una fame di nobile e di bello, e avrà un’intelligenza con una fame di verità, e avrà un’anima sempre insoddisfatta, che non potrà essere placata né da radio, né da aeroplano, o qualsiasi altra meraviglia della tecnologia futura, (né dal transumanesimo distopico – ndr. -) né dalle meraviglie della tecnologia futura, ma avrà voglia di Dio … e finché ci sarà un uomo sulla terra, un uomo che anela a Dio, la Chiesa cattolica, che è l’unica scelta da Dio per comunicare con l’uomo, deve restare in piedi, ed il Pontificato, cioè la solida roccia su cui si fonda la Chiesa, deve stare in piedi. – Per mille e novecento anni i più grandi odi della storia si sono infranti contro questa solida roccia, e ci sono stati attacchi, guerre e persecuzioni incessanti; ma è essa rimasta salda, ferma ed incrollabile, vedendo la nascita e la morte nei secoli di dinastie, e l’ascesa e la caduta di Nazioni. Le sue fondamenta più profonde sono perse nel divino e non c’è nessun potere in grado di raggiungere quelle fondamenta. La mano di Dio, che la difende, è troppo alta perché la malvagità umana possa raggiungerla. La roccia si erge ancora, la Chiesa si erge ancora, salda su quella roccia. E da quella salda roccia, come un faro dell’eternità, si leva la fiaccola della luce che è tenuta dalle mani di Pietro, il pescatore. E per quanti numerosi millenni la terra possa esistere, quella fiaccola divina non cesserà mai di brillare, coronata da una triplice corona di spine pungenti, fino a quando lo splendore di quella luce non si perderà nei bagliori del grande giorno del Giudizio. Fino a quando non si perderà nel suono delle trombe angeliche, la voce di Pietro, il pescatore, risuonerà, guidando i mortali. Perché le parole di Gesù Cristo sono eterne: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa“. E le porte dell’inferno non non prevarranno contro di essa.

[Nota redazionale: Questo dovrebbero ben considerare gli usurpanti apostati che occupano truffaldinamente il Soglio di S. Pietro, e tutti i poteri mondialisti guidati dalle bestie massoniche dei kazari, tutti i governanti attuali di Nazioni schierate compatte contro la Chiesa di Cristo, Nazioni apparentemente tra loro antitetiche ma in realtà tutte unite nella unica feroce lotta contro Cristo ed il suo Vicario (si, la Cina, la Russia, l’Impero anglo-americano, l’India, tutta la Comunità europea, sono tutti diretti dallo stesso manipolo di burattinai che tirano i fili come ai pupazzi siciliani). Cosa pensate di poter fare perché Dio non vi distrugga all’improvviso e proprio quando penserete di aver raggiunto i vostri obiettivi? Credete forse di poter uccidere Dio immortale e distruggere la sua Chiesa? Se oggi avete il controllo apparente del Vicario di Cristo, relegato all’impotenza forzata e sacrilega dalla vostra malvagità, questo è solo perché Dio vi dimostrerà l’insensatezza dei vostri pensieri e … irridebit vos. … si riderà dei vostri progetti che sfumeranno in un solo attimo lasciandovi sbigottiti, ma nel contempo condannati senza appello in eterno allo stagno di fuoco ove piomberete con la bestia che avrete servito, con i falsi profeti e gli eretici apostati corruttori e millantatori, e con il dragone primordiale degli inferi! Il vostro orgoglio, come quello di Lucifero, e che vi fa paragonare a Dio, sarà miseramente schiacciato da un delicato piedino, quello della Vergine Maria, la Madre del Dio-Uomo e del Corpo mistico di Cristo di cui è parte militante la Chiesa Cattolica guidata da Pietro … et non prævalebunt, allora, oggi e sempre. Convertitevi e salvatevi, siete ancora in tempo!]

TU SEI PIETRO (4)

LA GRAN BESTIA E LA CODA (17)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (17)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XII.

LA STATUA DI NABUCODONOSOR,

GLI UOMINI TUTTI D’UN PEZZO E I FATTI COMPIUTI.

Ricordate, o giovani, quella statua colossale veduta in sogno dal re Nabucodonosor? Capo d’oro, petto e braccia d’argento, ventre e cosce di bronzo, gambe di ferro, e pie’, parte di ferro e parte di creta. Il re guardava e guardava; quand’ecco staccarsi dal monte e rotolare sino ai piè della statua un sassolino; e al primo urto ridurla in frantumi. — Oh come mai un picciol sasso struggere un sì immane colosso? — Non v’accorgete? era di più metalli mal legati fra loro. Oh fosse stato tutto d’un pezzo, il sassolino non l’atterrava di certo. – Gli è per dirvi, che gli uomini a me non piacciono, non paiono uomini veri, se non son tutti d’un pezzo, e d’un colore; cioè fermi, costanti, consentanei sempre a sé medesimi. Questi cosiffatti uomini non c’è sasso, grande o piccolo, che li faccia vacillare. Ma gli altri, che, acconciandosi a tutti i capricci della GRAN BESTIA, mutano idee, parole, fatti, come le brache e la giubba, ad ogni mutar di stagione, son come la statua sopradetta, che ogni sassolino fa crollare; son la veste d’Arlecchino, cucita a cento toppe disuguali: e la porta appunto Arlecchino, vedete! Perché è personaggio tutto da ridere. O vorreste esser uomini da ridere, essere arlecchini anche voi?… No, cari giovani; credete a me, non vi torna conto: la merce è in ribasso. Ce n’ha già tanti degli arlecchini! E son coloro, per lo più, che non solo s’inchinano ai ciarlatani che parlano e ai ciarlatani che scrivono, di che testé vi ho parlato; ma anche alle vicende dei fatti. Uomini, vo’ dire, i quali loro regola di pensare e d’operare pigliano dagli avvenimenti del giorno. Or come non v’ha cosa più incerta e mutabile degli umani avvenimenti, sarà egli a stupire ch’ei riescano arlecchini in grado superlativo? – Frutto di tal sistema è la famosa teorica, che chiamano de’ fatti compiuti, la cui scoperta doveva. Toccare a questo secolo idolatra della forza. Volete che ve ne spieghi? … Ecco: un furbo ma prepotente, un Nabucodonosor qualunque tenta una solenne bricconeria. La gli riesce? Cosa fatta capo ha: bisogna gridargli l’evviva, e tristo a chi osi zittirgli contro. – Ma a questa stregua (voi dite) dovrassi gridar viva all’assassino, anzi alla tigre che sbrana il viandante? … — Ma! Che ne so io? Dimandatene ai ciarlatani. – Io dico che questo è il peggiore degli scandali, plaudire ai tristi fatti, e che di questo scandalo, il mondo, dall’alto al basso ne è pieno. Or voi, se a cosiffatto scandalo non volete soccombere, adusatevi per tempo ad aver sempre per regola del vostro pensare ed operare, non il fatto mutabile e contingente, ma la ragione e la fede che mai non muta. Solo a tal condizione riuscirete uomini tutti d’un pezzo, da reggere, non ai sassolini soltanto, ma ad ogni grandine di sassi vi scaglino addosso gli amici della BESTIA, i ciarlatani del mondo. – Del resto il mondo, vedete, fu sempre sossopra lo stesso; umile adoratore della forza e de’ fatti compiuti. Guardate Gesù Cristo. Quando lo videro preso, condannato, inchiodato e morto su una croce, i più crollarono il capo e dissero: — Ormai siam chiari: ei non era che un uomo. — E l’inganno fu sì generale, che per poco non vi cascarono gli stessi discepoli. Quei d’Emmaus: Nos sperabamus! — Sclamavano mesti e sfiduciati; quasi volesser dire: – Fummo corbellati per bene! — Ecco i giudizi regolati sul fatto. Ma intanto che avvenne? Passavano pochi anni, e quel Cristo, a cui davan torto perché s’era lasciato crocifiggere, abbatteva l’idolatria, conquistava il mondo. – Simile accadde nei primi secoli del Cristianesimo. I Cristiani erano oppressi, perseguitati, uccisi a milioni dai Nabucodonosorri del romano impero. — Dunque han torto, dunque e’ sono una man di scellerati, dunque: morte ai Cristiani! I Cristiani alle fiere! -— urlava il popolazzo, Ecco logica del mondo! – E forsechè da que’ tempi in qua il mondo ha cambiato vezzo o natura?… Quando a’ principii del secolo ci saltò sul collo quel gran demonio di Napoleone, chi seppe tenersi dall’incensate e dagli applausi? I preti (ce l’ha detto Balbo) e co’ preti pochi altri che ricusarono curvar le ginocchia innanzi a Baal. Del resto neppur certi ingegni, neppur gli scrittori nostri, neppur. quel gran poeta che fu Vincenzo Monti stette saldo alle mosse. E me ne spiace, povero Monti! che, oltre l’alto ingegno, aveva un’anima bella, un cuor d’oro. Ma era debole, e sì lasciò spaventare dalla BESTIA, si lasciò imporre dai fatti; e così, dopo aver levato a cielo nel Pellegrino apostolico, e nella bellissima cantica in morte di Baswille, Roma cristiana e la Religione, e il Papa; si lasciò tirare a scrivere in servizio di Napoleone, certi versacci; che poi ebbe a provarne rimorso e rossore. – O vedete, giovanetti miei! Se persino i Monti cascano, che vorrà essere delle basse colline !… – Che se poi dal primo Napoleone volessi far salto al terzo, e dal terzo a questi giorni nostri … Quasi quasi mi vien voglia d’aprirvi anche una volta la mia Lanterna magica; ma la è un tantino pericolosa; lasciamola lì. E poi; e poi se la riapro dove si va a finire con questa benedetta CODA ?…. – Sicché, per far più presto e non abusare più avanti della vostra pazienza, vi dirò: cari giovani, datevi un’occhiata dattorno: che fatti si presentano al vostro sguardo? … Non vedete? In Russia i Cattolici polacchi pigliati a schioppettate, perché credono che il Papa è Papa: in Prussia Vescovi e preti spogliati, imprigionati, esigliati, perchè credono che il Papa è infallibile; in Isvizzera suppergiù le stesse delizie, e per soprassello i parroci deposti, cacciati dalle loro parrocchie: da ultimo persino al di là dei mari, nel lontano Brasile, castigarsi un Vescovo perché osò dire scomunicati i framassoni. — Ecco i fatti, ecco la forza. E i burattini, gli arlecchini, i ciarlatani, i devoti dei fatti compiuti… o cheti, o batter le mani. – Ma lode a Dio, che accanto a tanta viltà ecco levarsi maestoso l’eroismo degli uomini forti, degli uomini tutti d’un pezzo, che negano adorare lo BESTIA. Ecco i Cattolici polacchi di Dziéelow; di Dolhi, di Pratolina far siepe de’ lor petti alle lor chiese’ minacciate, e gridare agli incalzanti soldati: — tirate pure; non apostateremo giammai! — e cader morti a diecine. Ecco l’arcivescovo di Posen Ledokowski spogliato, multato, condannato, avviarsi sereno e tranquillo alla prigione d’Ostrowa fra il plauso de’ suoi Cattolici e de’ suoi Vescovi; che pubblicamente si dichiarano parati con lui in carcerem et in mortem ire. Ecco il Nunzio pontificio Lachat, e il vescovo di Ginevra Mermillod, ecco i parrochi, della libera Svizzera multati e proscritti, scuoter la polvere de’ loro calzari e pigliare animosi le vie dell’esilio: ed ecco i lor fedeli parrocchiani, il dì della festa, varcare a migliaia il confine per vedere ed ascoltare i pastori loro strappati dalla forza. Ecco il giovane Vescovo di Pernambuco, Oliveira, accoglier pentiti a’suoi piedi ben dugento franco-muratori, e lieto di tanta vittoria darsi in mano a’ suoi nemici. Ed ecco, ecco da ultimo, nel bel centro di questa cara nostra Italia, un santo e fortissimo Pontefice che a castigo dell’Infallibilità che Dio gli ha data, i potenti della terra hanno abbandonato; levarsi gigante sul mondo accasciato appié della forza, e coll’immutabile parola; coll’ammirabile esempio, ispirare a migliaia di Vescovi, di preti, dì fedeli il suo stesso eroismo. — Questi, o carissimi giovani, questi i fatti che rigenerano il mondo, questi gli esempi che dovete imitare.

CONCLUSIONE

Qui fo punto, o cari giovani, non senza pena di lasciarvi di lasciarvi, ma non senza una dolce speranza che torneremo a parlarci un’altra volta. Vi ho mostrato in due libretti, quanto brutta e feroce e schifosa la GRAN BESTIA dell’umano rispetto, e vi ho incuorato a combatterla animosamente; vi ho scaltriti intorno alle difficoltà e ai pericoli di questa battaglia, vi ho additate e quasi messe in mano l’armi più acconce a riuscir vincitori; finalmente vi ho mostrato quanto vili e miserabili e schifosi coloro che alla BESTIA s’inchinano e le bruciano incensi, come al contrario quanto forti e generosi quegli altri, che riescono combattendo senza posa, ad abbattere il mostro e metterselo sotto i piedi. — Ora a voi tocca, o giovani cari, la scelta. Volete abbandonare l’onorata schiera dei valorosi e dei forti, per imbrancarvi cogli abbietti e coi vili?… No, no; eternamente no! Troppo generosa anima avete. Voi ve la terrete coi firti. Vi toccherà faticare; soffrire, combattere; ma n’avrete, certo e soprabbondante ristoro, la più bella, la più splendida delle vittorie. Udite ancora un esempio… – Quel Nabucodonosor; di cui sopra ho parlato, aveva a volte di strani e terribili capricci. Già pativa della malattia del Dio-Stato; una malattia cui van soggetti i re; specie a’ dì nostri; e com’essi de’ Cattolici che si inchinano al Papa, così egli adombrava di quegli Ebrei che osavano adorare il Dio d’Israele. — Che Dio d’Israele (disse un giorno). Qui non ci ha altro Iddio fuori di me. E detto fatto, ordinò una statua, non già quella che aveva sognato, composta di tanti metalli, ma tutta di fino oro, alta la bagatella di sessanta cubiti, che rappresentava la sua divina persona. E fattàla collocare in mezzo a una grande pianura, e convocati alla festa della dedicazione i satrapi, i principi, i prefetti, i magistrati e gli altri dignitari dell’impero, fra un’onda immensa di popolo; comandò che al suon della reale fanfara tutti dovessero prostrarsi a terra e adorarla, sotto pena di esser gettati in una ardente fornace. Demonio d’un re! Gli ordini furono appuntino eseguiti. Nella gran pianura di Dura fa eretta la statua, convennero principi e popolo, suonò la fanfara, e giù tutti colla fronte per terrra. Solo tre giovanetti ebrei (quanto mi piace pensar erano giovani!) stettero’ ritti in piedi dando in giro con occhio di compassione, e di sprezzo all’immensa pianura, tutta gremita di schiene curve, come di vili, giumenti. E ci fu chi li adocchiò in quell’atto; e acceso di un santo zelo per la gloria del dio-re, corse ad informarnelo. – Sappi, o re, che i giovinetti ebrei Anania, Azaria e Misaele non hanno adorata la tua statua. — Il re li fa chiamare: — È vero che vi ricusate d’inginocchiarvi alla mia statua? — Vero (rispondono a fronte alta e sicura); perocché noi non adoriamo che un sol Dio, il Dio d’Israele. E quanto a quella tua statua… gli è inutile che ci comandi, non l’adoreremo in eterno. — Il re monta sulle furie; ordina s’accenda la fornace sette volte più del consueto, fa prendere e legare i giovani, e così belli e vestiti com’erano, gettarveli dentro. Voi sapete il miracolo. Quel fuoco non ebbe sui giovanetti altra efficacia che di bruciar le funi che li tenevano avvinti, e così liberi e sciolti se la passeggiavano tra le fiamme stridenti come in prato di fresca verzura, lodando e benedicendo il Signore finché cavati di là entro, si trovò che il fuoco non avea bruciato loro nemmeno un capello. Di che que’gran principi e satrapi e magistrati, che poc’anzi s’erano inchinati alla statua, e lo stesso re superbissimo, dovettero inchinarsi a loro che avean ricusato inchinarsi. – E così accadrà pure di voi, miei cari giovani se terrete alta verso il cielo la fronte, negando piegarla davanti al simulacro della BESTIA. Lasciate  pure che tutti s’incurvino, lasciate che ridano di voi e della vostra ostinazione a tenervi su ritti, mentre tutti strisciano a terra; nessun male potran farvi; anzi, o tosto o tardi, saranno lor malgrado costretti a rendervi giustizia: mentre voi, operando francamente il bene, n’avrete le benedizioni di tutti gli uomini di buona volontà, e tocco il termine di vostra mortale carriera, potrete presentarvi a Dio e dirgli con santa fiducia: — Signore, non ho servito che a voi:

— Amen, amen, amen !

FINE.

VIVA CRISTO RE (21)

CRISTO-RE (21)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXVI

AVE, REX!

In quest’ultimo capitolo vorrei presentare l’immagine di “Cristo Re” come in un quadro generale. Vorrei dipingere l’immagine divina e offrirla come promemoria ai miei lettori, che potrebbero dover combattere dure battaglie nella loro vita. Perché noi Cristiani non possiamo essere deboli. Se gran parte della società dimentica completamente Cristo, dobbiamo rimanere fedeli, dobbiamo mantenere la parola data al nostro Re. Guardiamo a Lui, dunque, ancora una volta, perché da questo dipende la nostra vita. Signore, cosa pensavano di Te gli uomini durante la tua vita terrena? Signore, cosa hanno pensato di Te gli uomini durante i due millenni di storia cristiana? Signore, cosa penso io di Te? Queste sono le tre domande su cui dobbiamo meditare.

I

Se studiamo i Vangeli, vedremo, non senza stupore, che le opinioni degli uomini su Cristo erano già divise durante la vita mortale del Salvatore. Egli ha sempre avuto amici e nemici; molti ammiravano le sue parole e le sue azioni; alcuni lo seguivano con entusiasmo; altri si spingevano a dire che: Egli opera “agli ordini di satana”, che “seduce il popolo”. Quale può essere la causa di queste opinioni antagoniste? Nella persona di Gesù Cristo c’erano contrasti, in lui si univano tratti straordinari; forse per questo le opinioni sulla sua figura erano così diverse. Conosciamo già il segreto del mistero; sappiamo già che Gesù Cristo era Dio e anche uomo; lo confermano i contrasti altrimenti incomprensibili che si intrecciano nella sua vita. Ma i suoi contemporanei non lo sapevano come noi, anche se dovevano scoprirlo, perché non mancavano i mezzi per farlo. Vedevano ad ogni passo che la vita di Gesù Cristo era piena di contrasti ammirevoli. Ne citerò solo alcuni…. – Quando nasce, è così povero che nemmeno la mangiatoia in cui giace è sua. Ma, d’altra parte, una stella luminosa brilla sopra di Lui e porta i Magi ad adorarlo. È nascosto in una stalla, nessuno sa di Lui. D’altra parte, un coro di Angeli scende dal cielo e canta il Gloria al Bambino sconosciuto. Egli riesce a malapena a muovere le sue manine, tanto meno a fare del male con esse, eppure lo cercano per metterlo a morte. Ma gli Angeli lo proteggono nella sua fuga. Chi sarà mai questo Cristo, forse un semplice uomo? C’è di più: Non è andato a scuola, eppure a dodici anni insegna agli anziani del villaggio, che si stupiscono della sua saggezza. È sempre stato un figlio obbediente, eppure rimane nel tempio senza permesso; e quando i suoi genitori lo trovano, dice loro che doveva stare nella casa di suo Padre. Chi può capirlo, chi può essere questo bambino? Vive nascosto per trent’anni, pochi lo conoscono e quando inizia ad insegnare, gli bastano tre anni per provocare un tale movimento spirituale che né prima né dopo di Lui la storia ha registrato un altro simile. San Giovanni Battista predica il perdono e battezza nel deserto. Cristo va da lui e si fa battezzare, come gli altri peccatori. Ma nello stesso momento si aprono i cieli e si ode la parola del Padre celeste: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt III,17). Chi capisce queste cose? È povero, non ha nulla, non ha dove posare il capo. Eppure dice a ciascuno dei suoi apostoli: Lasciate tutto per me; abbandonate la vostra casa, vostro padre, i vostri fratelli, tutto ciò che possedete… per me. E gli uomini eseguono il suo comando senza esitare, solo per amore suo. I malati sono guariti quando sentono il tocco della Sua mano. La persona su cui posa il suo sguardo si riveste di luce. Comanda al mare agitato e questo, come un cane sottomesso, obbedisce immediatamente e si calma. Fa sentire la sua voce davanti a una tomba, e il sangue coagulato comincia a circolare e il cuore morto a battere. Trema sul Monte degli Ulivi, ma poi, con una sola parola, fa crollare a terra un intero gruppo di soldati. Muore abbandonato, deriso, e nello stesso momento il centurione pagano esclama: “Veramente questo era il Figlio di Dio” (Mt XXVII, 54). Lo mettono in un sepolcro, lo chiudono; ma il sepolcro non può contenerlo…. Lo riporta in vita. Avete mai visto un uomo simile? Ma ditemi: era una vita umana? No. Come il cielo si eleva al di sopra della terra, così la vita di Cristo supera i limiti di una semplice vita umana.

II

E se le opinioni degli uomini su Cristo erano già divergenti a quel tempo, lo stesso vale nel corso dei due millenni cristiani. Da quando la croce di Cristo è stata innalzata sulle cime del Golgota, essa si è posta come un gigantesco punto interrogativo davanti agli occhi degli uomini. Quel Cristo dalle mani trafitte ha scosso l’asse della terra dai suoi cardini, e da allora non c’è nome che risuoni nel mondo intero quanto il santo Nome di Gesù Cristo. Soffermiamoci su questo Nome mirabile: Gesù Cristo. Un Nome composto da due parole di una lingua che non si parla più. Eppure non c’è parola più conosciuta e più amata. Un fenomeno prodigioso: di Cristo non si può fare a meno; pro o contro di Lui, tutti gli uomini devono prendere posizione per Lui. Ha sempre avuto amici. Cristo è una calamita prodigiosa che attrae prodigiosamente. Egli è il centro della storia, tutto ruota intorno a Lui. I re egizi costruirono grandi piramidi I re egizi costruirono grandi piramidi; gli antichi monarchi eressero enormi edifici, e i loro nomi oggi sono solo ricordi, e le loro opere giacciono in rovina; ma Gesù Cristo rimane un segno di contraddizione. Quanti grandi uomini ci sono stati! Uomini potenti che hanno governato grandi imperi; e chi li ricorda? Quanti saggi ci sono stati! Ma poi ne sono venuti altri che li hanno superati. Di Lui solo, il Figlio dell’umile falegname, tutto il mondo parla ancora oggi, ed è l’unico che non è stato superato. – È il centro dell’universo. Non solo fa parte della storia, ma senza di Lui la storia stessa non ha senso. Con Lui gli anni cominciano ad essere contati, perché ha cambiato il mondo. Tutto passa, tutto finisce in delusioni, disillusioni, tutto invecchia…; ma la parola di Cristo non passa di moda, la figura di Cristo continua ad affascinare le anime. Nessuno odia un personaggio che non esiste più. Ma Cristo continua a suscitare nemici. Duemila anni dopo la sua morte è ancora presente; è ancora odiato e ancora amato. Non è solo uomo. Per quanto grande, buono, nobile o cattivo possa essere un uomo, poche settimane, mesi o anni dopo la sua morte, chi lo ama o lo odia ancora? Chi odia oggi l’imperatore Nerone, che ha fatto scorrere tanto sangue? Chi odia il Khan Batu, che ha invaso l’Ungheria e l’ha devastata? Chi odia ancora il sultano Solimano? Eppure sono tutti vissuti più tardi di Cristo. Non importa. Sono morti, e questa è la fine dell’odio. Oppure: chi ama ancora gli uomini più eccelsi? Aristotele, Platone, gli eroi nazionali: chi li ama ancora? Sono morti. Rendiamo omaggio alla loro memoria, ma li amiamo? Cristo è amato e odiato anche oggi. Non sentiamo forse bestemmie terribili contro Cristo? Non vediamo a volte gli occhi di un demonio riempirsi di sangue quando sente parlare di Cristo o del Cristianesimo? Non è evidente come la nostra Religione, la Religione di Cristo, sia perseguitata? Non è forse un odio satanico contro Cristo, un odio che si fa beffe della sua dottrina e vuole sterminare il suo amore nelle anime, che ribolle in migliaia e migliaia di libri, di conferenze, di giornali? Non è forse un odio contro Cristo la manifesta frivolezza moderna e pagana? Non conosciamo i misteri dell’odio che riempiono le logge massoniche? Colui che viene odiato con tale intensità anche dopo duemila anni, non è solo l’uomo. Quanti cosiddetti messia sono apparsi per cercare di allontanare Cristo dalle anime! Ma senza successo, non ci sono riusciti. Quante volte si è detto: il Cristianesimo ha cessato di esistere, la dottrina di Cristo non è più seguita… E in poco tempo la Chiesa si rinnova e torna a splendere con nuovi frutti. Cristo ha sempre avuto nemici… che non potevano prevalere contro di Lui. Cristo è sempre stato l’ideale adorabile degli uomini di ogni epoca. Grazie a Lui abbiamo conosciuto il valore di un’anima, perché ha dato se stesso per salvarla. Grazie a Cristo sappiamo di essere chiamati alla vita eterna. Se potessimo raggruppare nella nostra immaginazione tutti i discepoli di Cristo che sono esistiti in questi duemila anni di Cristianesimo e metterli in processione, che immensa processione formerebbero! Quanti bambini, giovani, fanciulle, santi, peccatori pentiti…! Gesù Cristo continua a sfidare le persone. Nessuno può rimanere indifferente a Lui. Da quando Nostro Signore Gesù Cristo è apparso sulla terra, l’umanità si è divisa in due campi. Ci sono uomini che, all’udire il Santo Nome di Gesù, chinano il capo e si inginocchiano; ci sono altri che lo rifiutano. Questo lo vedo facilmente. Ci sono uomini che, passando accanto a me, ministro di Cristo, mi salutano con rispetto: “Lode a Gesù Cristo”. Salutano me? No, non mi conoscono, salutano Cristo. E ci sono altri che, passando accanto a me, sputano con disgusto per terra. È me che odiano? No, nemmeno loro mi conoscono, odiano Cristo. Ci sono quelli che dicono che Cristo è il più grande ideale che si possa concepire; ci sono quelli che dicono: “Che me ne importa di questo Gesù, che cosa ho a che fare con Lui? Ci sono milioni di uomini che si preoccupano di Lui con un amore mai eguagliato; ci sono anche milioni di uomini che lo odiano. È un fatto strano e sorprendente, degno di essere meditato. – Anche Cristo è amato. Quanti sono coloro che ogni giorno gli dicono dal profondo del cuore: “Gesù mio, ti amo”. E quanti sono i giovani che danno la vita per Lui, lasciando tutto? Colui che, duemila anni dopo la sua morte, è ancora amato con tale fervore, non può essere solo un uomo.

III

E così arriviamo alla terza domanda, la più decisiva, la più importante: che cos’è Cristo per me? Perché la cosa più importante per me non è sapere cosa gli altri uomini hanno pensato di Cristo, ma la risposta a questa domanda: cosa penso io di Cristo? Chi è Cristo per me? Rispondo con tre parole: 1° è il mio Signore; 2° è il mio Re; 3° è il mio Dio. – Il mio Signore! Dobbiamo acconsentire e cercare di lasciare che Cristo prenda possesso della nostra anima. Gesù cercò i suoi discepoli un giorno sul lago di Gennesaret, tra gli esattori delle tasse e sulle barche da pesca. Oggi li cerca in altri luoghi: nell’officina, nella scuola, nell’ufficio, nella fabbrica, nella cucina, nelle aule. Non c’è capanna, per quanto umile, non c’è palazzo in cui Gesù non cerchi discepoli, giovani e fanciulle, uomini e donne, vecchi e bambini. TUTTI SIAMO VOLUTI… per essere suoi discepoli. Quale dovrebbe essere la mia risposta? Mio Signore! Mio Maestro! Eccomi, sono tuo! Fai di me quello che vuoi. Quando sono appesantito dalla pesante croce della vita, so pronunciare con fervore queste parole: Dolce Gesù, è per il tuo amore! Quando la tentazione mi invita a peccare, so pronunciare con decisione incrollabile queste parole: “Mio Gesù, no, non voglio peccare; resisto per amor tuo! Quando faccio fatica a fare il mio dovere, sono in grado di dire: “Gesù mio, lo faccio per Te”? So come dirlo, lo dico? Allora Lui è il mio Signore. – Cristo è anche il mio Re. Egli ha già un regno quaggiù, il regno delle anime. Ovunque ci sia un uomo che aspiri alla santità, che lotta contro il peccato; ovunque ci sia un uomo che dimentica se stesso ed esercita la carità…, lì Cristo ha il suo regno, lì è il Re. – Cristo è anche il mio Dio. È il mio Dio, che adoro. Cerco di immaginare la sacratissima umanità di Cristo. Bacio con fervore le sue ferite, che sanguinano per me. Guardo con gratitudine la sua fronte cinta da una corona di spine… Voglio riparare in qualche modo a ciò che gli ho fatto. Questo deve essere Cristo per me. Il battito del mio cuore deve stare al passo con il suo; i suoi desideri devono essere i miei desideri; devo amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Arrendersi in modo assoluto. Adorazione. Egli è il mio Dio. Cristo è il mio Dio e il mio tutto, lo credo fermamente! Che Cristo non mi rimproveri per ciò che è scritto nella cattedrale di Lubecca:

“Voi mi chiamate Maestro – eppure non mi chiedete.

“Mi chiamate luce – eppure non mi vedete.

“Mi chiamate verità – e non mi credete.

“Mi chiamate via – e non andate per questa via.

“Mi chiamate vita e non mi desiderate.

“Dite che sono saggio e non mi seguite.

“Dite che sono bello e non mi amate.

“Dite che sono ricco – e non mi chiedete.

“Dite che sono eterno e non mi cercate.

“Dite che sono misericordioso – e non vi fidate di me.

“Dite che sono nobile – e non mi servite.

“Dite che sono onnipotente e non mi onorate.

“Dite che sono giusto – e non mi temete”.

Che cos’è dunque Cristo per me? Una persona viva; una vita che continua, in cui vivo, che è in me; una vita che mi accompagna; una vita da cui non posso liberarmi. Non posso, né voglio. Egli tende le sue braccia, è con me giorno e notte; quando lavoro, mi aiuta; quando piango, piange con me. Cristo, Tu sei il mio Signore, Cristo, Tu sei il mio Re, Cristo, Tu sei il mio Dio! – Tu, mio dolce Gesù, mi hai sostenuto nelle battaglie della mia giovinezza, hai perdonato i miei peccati, mi hai nutrito con il tuo sacrosanto Corpo? Grazie, mio Dio.

“Ave, Rex!” Ave, Re divino, Nostro Signore Gesù Cristo!

[Lettera Enciclica “Quas primas” di S. S. Pio XI]

Nella prima Enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. – Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile; nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. – Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la sua Chiesa, che sola può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie dell’obbedienza.

L’Anno Santo e il Regno di Cristo

E tutto quello che accadde e si fece, nel corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro supremo Re e Signore? – Infatti, la Mostra Missionaria Vaticana quanto non colpì la mente e il cuore degli uomini, sia facendo conoscere il diuturno lavoro della Chiesa per la maggiore dilatazione del Regno del suo Sposo nei continenti e nelle più lontane isole dell’Oceano; sia il grande numero di regioni conquistate al cattolicesimo col sudore e col sangue dai fortissimi e invitti Missionari; sia infine col far conoscere quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere al soave e salutare impero del nostro Re. E quelle moltitudini che, durante questo Anno giubilare, vennero da ogni parte della terra nella città santa, sotto la guida dei loro Vescovi e sacerdoti, che altro avevano in cuore, purificate le loro anime, se non proclamarsi presso il sepolcro degli Apostoli, davanti a Noi, sudditi fedeli di Cristo per il presente e per il futuro? – E questo Regno di Cristo sembrò quasi pervaso di nuova luce allorquando Noi, provata l’eroica virtù di sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento esclamò: Tu Rex gloriæ, Christe!  – Poiché, mentre gli uomini e le Nazioni, lontani da Dio, per l’odio vicendevole e per le discordie intestine si avviano alla rovina ed alla morte, la Chiesa di Dio, continuando a porgere al genere umano il cibo della vita spirituale, crea e forma generazioni di santi e di sante a Gesù Cristo, il quale non cessa di chiamare alla beatitudine del Regno celeste coloro che ebbe sudditi fedeli e obbedienti nel regno terreno. – Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare, il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo, inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non avrà mai fine», proclamò la dignità regale di Cristo. – Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. – Questa cosa Ci reca tanta gioia che Ci spinge, Venerabili Fratelli, a farvene parola; voi poi, procurerete di adattare ciò che Noi diremo intorno al culto di Gesù Cristo Re, all’intelligenza del popolo e di spiegarne il senso in modo che da questa annua solennità ne derivino sempre copiosi frutti.

Gesù Cristo è Re

Gesù Cristo Re delle menti, delle volontà e dei cuori

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovreminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana (Supereminentem scientiæ caritatem) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

La Regalità di Cristo nei libri dell’Antico Testamento.

E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe,, eche dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra. Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro di rettitudine è il tuo scettro reale». – E per tralasciare molte altre testimonianze consimili, in un altro luogo per lumeggiare più chiaramente i caratteri del Cristo, si preannunzia che il suo Regno sarà senza confini ed arricchito coi doni della giustizia e della pace: «Fiorirà ai suoi giorni la Giustizia e somma pace… Dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino alla estremità della terra». A questa testimonianza si aggiungono in modo più ampio gli oracoli dei Profeti e anzitutto quello notissimo di Isaia: «Ci è nato un bimbo, ci fu dato un figlio: e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile, Consigliere, Dio forte, Padre del secolo venturo, Principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da ora ed in perpetuo». E gli altri Profeti non discordano da Isaia: così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide «regnerà e sarà sapiente e farà valere il diritto e la giustizia sulla terra»; così Daniele che preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo, regno che «non sarà mai in eterno distrutto… ed esso durerà in eterno» e continua: «Io stavo ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto». E gli scrittori dei santi Vangeli non accettano e riconoscono come avvenuto quanto è predetto da Zaccaria intorno al Re mansueto il quale «cavalcando sopra un’asina col suo piccolo asinello» era per entrare in Gerusalemme, qual giusto e salvatore fra le acclamazioni delle turbe?

Gesù Cristo si è proclamato Re

Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re, che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il suo Regno non avrebbe avuto fine  vediamo che Cristo stesso dà testimonianza del suo impero: infatti, sia nel suo ultimo discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti, colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re, e pubblicamente confermò di essere Re  e annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo e in terra. E con queste parole che altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e l’estensione immensa del suo Regno? – Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni «Principe dei Re della terra», porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti». Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale, è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici. – Da questa dottrina dei sacri libri venne per conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto; come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che «le norme della preghiera fissano i principi della fede». Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza»; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. – Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato». Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo.

Natura e valore del Regno di Cristo

Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. – Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire. – I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità . Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio». Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.

Regno principalmente spirituale

Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. – In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”. – Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio?

Regno universale e sociale

D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli». Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». – Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini». – Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali».

Regno benefico

Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. – In questo senso l’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini». Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. – In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. – Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri”» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?». – Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».

La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Il “laicismo”

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. – I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina. – Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità. – Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

La preparazione storica della festa di Cristo Re

E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore. – Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo. – A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali. – E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione. – Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano. – In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

L’istituzione della festa di Cristo Re

Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente. – In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quest’Anno Santo. – E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. – Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione. – Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

I vantaggi della festa di Cristo Re

Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. – Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio. – Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti. – La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi. – Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di codeste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana. – Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.

Conclusione

Cristo regni!

È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia”  offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione. – Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria. – Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

[Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto del Nostro Pontificato.]