TU SEI PIETRO (4)

Monsignor Tihamér Tóth

VESCOVO DI VESZPRÉM

“Tu sei Pietro

STORIA E ATTUALITÀ DEL PONTEFICE ROMANO (IV)

1956

CENSURA ECLESIASTICA

Nihil obstat: Dr. Vicente Serrano, Censore

IMPRIMATUR: † JOSE MARIA. Ob. Ausiliario e Vicario Generale

Madrid, 2 marzo 1956

Capitolo IV

IL PAPATO NELLA BILANCIA DELLA STORIA

Se un acattolico vuole offendere un Cattolico, e gli sembra che sia giunto il momento di affondare un pugnale doloroso ed offensivo nel suo cuore, è quando gli dice con tono sprezzante e con un ghigno di disprezzo: “Papista!”. È pienamente convinto di aver fatto centro con i più, perché secondo lui, non c’è vergogna, umiliazione e offesa più grande che sputare su un Cattolico con l’aggettivo “papista”, cioè definirlo dipendente dal Papa. Questi sono gli uomini dalla testa vuota, coloro che non hanno nemmeno un’idea della Storia, perché chi conosce – anche a grandi linee – la storia universale, qualunque sia la sua religione, che sia ebreo o maomettano, non potrà negare il suo rispetto per il Pontificato, per questa istituzione sovrana che ha lavorato come nessun’altra per la cultura spirituale e materiale, per la giustizia ed il diritto. È vero che noi Cattolici credenti non vediamo in questo il più grande merito dei Papi. La nostra gratitudine ed il nostro amore per il Pontificato sono, in primo luogo, per avere conservato pura e trasmessa senza adulterazioni la dottrina di Gesù Cristo, e per essere la “roccia” su cui poggia incrollabile la vera Chiesa. Sì, questi sono i principali motivi di entusiasmo e di gratitudine. – Tuttavia, non sarebbe superfluo esaminare anche i grandi meriti del Pontificato che la Storia riconosce, a vantaggio della cultura e del benessere umano, per rendere il nostro amore ed il nostro rispetto per la persona del Pontefice. Non sarà superfluo, nel presente capitolo, guardare al Papa con occhi meramente umani, soppesando i suoi meriti o demeriti nella bilancia della storia, e che ci si ponga questa domanda: da un punto di vista puramente umano, è davvero vergognoso essere chiamati “papisti”, o possiamo piuttosto dire con santo orgoglio: “Grazie a Dio, sono un papista! In questa esclamazione dobbiamo certamente esplodere se esaminiamo con attenzione i meriti che i Papi si sono guadagnati nel propagare il Cristianesimo: in primo luogo, il Cristianesimo e, in secondo luogo, la cultura.

I Papi ed il Cristianesimo.

A) A cosa servono i Papi? Questa è la domanda che intendiamo delucidare. I malintenzionati osano rispondere in questo modo: “I Papi servono solo a tiranneggiare e a schiavizzare il mondo, sottomettendolo ai ai loro capricci”. Non hanno ragione nell’affermare una cosa del genere. Se il Pontificato esiste, è per darci Cristo, per annunciare al mondo la lieta novella del Vangelo e di comunicare agli uomini la grazia redentrice. Per questo Pietro andò a Roma, per predicare Cristo; per questo morì. Per questo i Papi hanno inviato missionari in tutto il mondo per predicare Cristo. Per questo vennero ad affrontare le potenze della terra e a combattere con loro, ed hanno dovuto essere tagliati fuori ed espulsi dalla Chiesa, solo per questo, per difendere la dottrina di Gesù Cristo. Per questo consentirono il luccichio esteriore che li circonda, e l’omaggio reso alle loro persona, per meglio servire la propaganda del regno di Gesù Cristo. I Papi hanno sempre ricordato con commozione la triplice confessione di amore di Pietro, secondo dopo la quale fu investito da Cristo di un potere sovrano: Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di questi? È stata la domanda del Signore. E Pietro rispose: “Sì, Signore, tu sai che ti amo”. Poi Cristo gli disse: “Pasci i miei agnelli” (Gv XXI,15). Una seconda ed una terza volta Cristo ha richiesto questa confessione d’amore a Pietro, e per la seconda e terza volta ha ripetuto il suo incarico. Come potrebbero i Papi dimenticare che è proprio dall’amore che hanno ricevuto il loro potere trionfale nel mondo? … che devono proclamare l’amore, la pace, la benedizione, la buona novella di Cristo a tutta l’umanità: che al di sopra di ogni malvagità, di ogni male, di ogni odio e inimicizia umana, devono far trionfare l’amore intenso e autosacrificante, eroico di Gesù Cristo?

B) Se vogliamo riassumere in un’unica frase la storia ventennale e secolare dei 263 Papi, potremmo farlo con queste parole del divino Salvatore: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore”. Tutti i Papi, Vicari di Gesù Cristo, hanno fatto di queste parole il loro dovere. E quanto hanno fatto e sofferto i Papi per il gregge di Cristo! Le persecuzioni del primo secolo si abbattono sul gregge per distruggerlo. Dov’è il pastore? Il pastore mercenario sarebbe fuggito; ma il buon pastore è con il suo gregge. I Papi stanno con il loro gregge nelle catacombe sotterranee, confermandoli nella fede e andando con i martiri al supplizio, per testimoniare Cristo con il sangue del loro cuore. Leggiamo l’elenco dei Papi, che certamente ci sorprenderà: “Pietro, Pietro, Lino, Clemente, Clemente, Evaristo”…, dopo i nomi di tutti loro la parola “martire”, “martire”, “martire”, “martire”, “martire”. Continuiamo a leggere: “Alessandro, Igino, Pio, Aniceto, Sotero, Eleuterio, Vittore”…, e dopo il nome di tutti loro la parola “martire”, “martire”, martire”… Per ventinove volte viene ripetuto il sorprendente ritornello: “martire”, “martire”. Veramente il Pontificato è sempre stato la forza, l’incoraggiamento e la forza, il respiro e il cuore del Cristianesimo.

b) E sempre, fin dai primi anni della nostra fede, il Pontificato è stato lo splendido faro della nostra fede. Il Pontificato è sempre stato uno splendido faro che ha indicato le rotte, e la piccola nave di Pietro ha lasciato una scia di benedizioni. Questo è quanto affermano diciannove secoli. Roma è il punto di partenza ed il centro della fede e della cultura cristiana. Quante volte, nella storia dei Papi, si è ripetuta la scena di San Pietro che cammina sulla superficie del mare e comincia ad immergersi! La storia registra molti momenti che sono stati allarmanti per la Chiesa. Ricordiamo un periodo nero: il tempo dell’eresia ariana, quando solo il Papa e pochi credenti rimasero fedeli alla fede nella divinità di Gesù Cristo; quasi tutto il mondo divenne ariano. Leggiamo le atroci persecuzioni di Giuliano l’Apostata. Ripercorriamo la storia degli scismi, delle rivoluzioni, il dispotismo di Napoleone… Sempre, quando sembra che le onde stiano per chiudersi sulla testa del Pontefice, si è sempre ripetuto alla fine della scena di la scena di Gesù Cristo con Pietro: E subito Gesù stese la mano, lo prese e gli disse: “Tu, uomo di poca fede, perché esiti?” (Mt XIV, 31). Il fatto che la dottrina di Gesù Cristo si sia mantenuta intatta per mille e novecento anni deve essere ascritto al merito dei Papi. Il fatto che l’incessante lavoro dei missionari abbia conquistato i continenti ed il mondo intero per Gesù Cristo è merito dei Papi. “Se la propagazione del Cristianesimo è un merito”, scrive il protestante Herder (Ideen zur Philosophie der Geschichte, II, 350 (Idee per la filosofia della storia), “i Papi hanno una grande parte di questo merito”. Il fatto che l’Europa non sia caduta davanti agli Unni, i Saraceni, i Tartari e i Turchi, è innanzitutto merito dei Papi.

C) Ci viene in mente uno strano pensiero: cosa succederebbe se Cristo apparisse di nuovo sul monte e andasse in Vaticano? Ah, sì, cosa succederebbe, cosa farebbe Cristo? Se passasse in rassegna con il suo sguardo onniveggente la vita dei 263 Papi, troverebbe anche ombre e debolezze umane in coloro che, pur essendo stati esaltati alla più alta dignità ecclesiastica, erano tuttavia uomini? Li troverebbe? Ah, sì! O il suo sguardo divino non si rattristerebbe a volte, e non brillerebbe forse con con lampi di luce? Ah, sì! Eppure… Anche con la misura più ristretta, a quanti dei 263 Papi si può rimproverare la negligenza del proprio dovere, l’eccessiva mondanità o la mondanità o gravi difetti morali? Forse, al massimo, sei o sette Papi. Tutti gli altri sono stati integri, di grande carattere; molti di loro martiri e santi canonizzati. Se il Signore – che conosce così a fondo le debolezze della natura umana, come nessun filosofo o storico potrà mai conoscerle, e penetra fino in fondo le leggi che presiedono allo sviluppo della storia – passasse il suo sguardo divino attraverso l’intera successione dei Papi, vedendo che l’energia vitale di quel piccolo granello di senape, seminato da Lui, ha portato tante foglie e fiori e magnifici rami sul robusto albero della Chiesa, e rivolgesse all’attuale Pontefice Pio XII – il “Pietro” di oggi – quella domanda che rivolse a San Pietro, chi lo considerano gli uomini, il Papa, prostrandosi in ginocchio, gli ripeterebbe le immortali parole: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente”… Certamente, ripeto, non pronuncerebbe parole di condanna contro il Pontificato, né avrebbe gravi obiezioni da rivolgere ad esso, ma avrebbe certamente ripetuto le parole che disse a Pietro: “Beato te, Pio, perché la mia Chiesa poggia saldamente su di te…”. Questo è il grande valore storico dei Papi: su di loro poggia la Chiesa di Gesù Cristo.

I Papi e la cultura

Tutto ciò che è stato detto finora sui meriti del Pontificato è citato solo tra coloro che amano il Cristianesimo. tra coloro che amano il Cristianesimo, ne apprezzano il valore e lo considerano la più grande benedizione dell’umanità. Ma nella bilancia della storia ci sono altri meriti che costringono anche i non Cristiani a guardare al Papa con il più profondo rispetto. Solo gli analfabeti, che disprezzano la storia della cultura, possono facilmente esprimere giudizi e sentenze di condanna sull’indegnità di questo o quel Sommo Pontefice. Mi sembra meglio dare credito al famoso storico a-cattolico Gregorovius, che così scriveva: “La storia non ha abbastanza titoli distintivi per delimitare anche solo approssimativamente le imprese e la gloria imperitura dei Papi…”. Quali sono i grandi meriti culturali dei Papi?

Quelli che si sono guadagnati A) nel campo della cultura, B) nel campo della verità e C) nella propagazione e nella difesa del diritto. Insisto ancora una volta sul fatto che per noi Cattolici questi non sono i loro meriti principali. Il merito principale risiede nel fatto che essi sono il fondamento roccioso della Chiesa di Gesù Cristo. Ma non ho ritenuto superfluo passare brevemente in rassegna i loro meriti storici, per renderci sempre più consapevoli del nostro rispetto per il vicario di Gesù Cristo in terra.

A) Avremmo bisogno di molti volumi per delineare anche solo ciò che è dovuto alla cultura – sia spirituale che materiale – ai Pontefici di Roma.

a) Innanzitutto, dovremmo fare riferimento a tutta la storia della conversione dei popoli. Il Pontificato è una grande potenza che si estende su tutto il mondo, eppure non ha cannoni o mitragliatrici. E con quanta rapidità ha conquistato il mondo! Ha parlato all’altezzoso romano, dominatore di cento popoli, ed egli ha chinato il capo davanti a Gesù Cristo. Ha parlato al popolo greco, educato con la filosofia di Platone e Aristotele, ed il popolo greco ha chinato il capo davanti a Gesù Cristo. Aristotele, e il popolo greco chinò il capo ed ha abbracciato la nuova ideologia e le nuove norme di vita cristiana. – Parlò alle tribù barbariche che devastavano l’Europa, e anch’esse piegarono il loro collo rigido al giogo di Gesù Cristo. E ovunque apparve la croce, un nuovo mondo morale, sociale e politico sorse sulla mappa dei popoli: sparpagliati, si trovavano in un’unica città. Popoli nomadi e animosi si trasformarono in pacifici coltivatori della terra, delle scienze e delle arti. Solo il Pontificato, attraverso l’unità di fede e di morale, ha potuto realizzare questa unità di pensiero e di morale, questa nobilitazione dei cuori e degli spiriti, che è stato il fondamento, più solido della nostra cultura occidentale, di cui siamo così orgogliosi.

b) Ma, oltre a questa conversione dei popoli, dobbiamo anche menzionare quell’impareggiabile magnificenza e quel gesto di mecenatismo, insuperato da qualsiasi istituzione, con la quale i Papi riuscirono a dare impulso alle scienze e alle arti. Chiunque visiti Roma si trova ad ogni passo davanti a edifici, statue e magnifiche fontane erette dai Papi. Chi abbia visto le mirabili sale del Vaticano ed i suoi mausolei pieni di incomparabili tesori artistici, ed ha trascorso qualche ora nell’immensa biblioteca o nell’archivio vaticano, non ha bisogno di molte spiegazioni per rendersi conto di ciò che debba al Papato la più nobile cultura umana. Qualsiasi semplice manuale di storia dell’arte proclama eloquentemente le lodi dei grandi protettori di Bramante, Raffaello, Michelangelo, Bernini, Maderna, in altre parole, le lodi dei Papi. Chiunque visiti il museo di antichità in Vaticano noterà con sorpresa che le fondamenta di tutto il nostro sapere e della nostra educazione classica sono state salvate dalla distruzione dai musei vaticani. Ciò che tutti noi conosciamo in una semplice riproduzione dai libri di testo di seconda elementare, possiamo vederlo lì nella sua forma originale: il gruppo di Laocoonte, Arianna che dorme coperta da una magnifica veste dalle bellissime pieghe, l’Apollo del Belvedere, la statua di Zeus di Otricolo e molte altre opere di arte antica di altissimo livello. Pio XI ha giustamente elencato nella sua Enciclica “Deus scientiarum Dominus”, pubblicata nel 1931, tutta una serie di Università che devono la loro esistenza al Papato. Molti saranno sorpresi di sapere che le seguenti Università sono state fondate dai Papi: quelle di Bologna, Parigi, Oxford, Salamanca, Tolosa, Roma, Padova, Cambridge, Pisa, Perugia, Colonia, Heidelberg, Lipsia, Montpellier, Ferrara, Lovanio, Basilea, Cracovia, Vilnius, Graz, Valladolid, Messico, Alcalá, Manila, Santa Fe, Lima, Guatemala, Cagliari, Lemberg, Varsavia.

B) E non minore è il merito dei Papi nella propagazione e nella difesa della verità.

a) La soluzione dei problemi temporali e terreni dipende sempre dalla concezione che abbiamo  delle cose eterne. La politica, l’educazione, la vita sociale, la vita giuridica e morale sono legate alla risposta che diamo alle domande ultime. Il merito imperituro dei Papi è quello di aver educato l’Occidente cristiano ad una tradizione culturale forte, sicura e unitaria, attraverso la conservazione intatta delle verità religiose. – Sono sempre stati i Papi a proclamare e difendere in questo mondo il primato dello spirito sulla materia, dell’anima sul corpo, quello della moralità sull’interesse, quello del diritto sul potere, quello della giustizia sull’acquiescenza. A chi può sfuggire il fatto che nel rispetto di queste verità, la vita umana, sociale e collettiva, come pure quella personale, sia diventato il primo fattore culturale dell’umanità?

b) A causa delle grida di aiuto che l’umanità lancia nella sua sfrenata ricerca delle fallacie delle idee sbagliate, abbiamo conosciuto il valore culturale del Pontificato nella propagazione della verità. Tutti i progetti, i desideri e l’essere dell’uomo antico erano strettamente uniti al soprannaturale. L’uomo moderno ha voluto rompere i legami di questa unione, ha creduto di essere autosufficiente e di potersi redimere da solo. Tuttavia, dopo incessanti sconvolgimenti sociali e continue rivoluzioni, oggi sta di nuovo riconoscendo che anche per il giusto ordinamento della vita naturale e terrena, l’unica solida garanzia è l’umile sottomissione all’ordine soprannaturale. Solo la concezione del mondo, proclamata dai Papi fin da mille e novecento anni fa, può appianare i contrasti e porre fine alle incertezze, e dare risposte soddisfacenti ai molteplici problemi della vita. Se i Papi non avessero fatto altro che innalzare la fiaccola della verità, solo questo sarebbe bastato per considerarli i più grandi benefattori dell’umanità.

C) Ma si sono anche guadagnati meriti illustri nella difesa del diritto.

a) Raffaello, il grande pittore famoso in tutto il mondo, ha lasciato, tra i suoi affreschi in Vaticano, uno splendido sull’incontro tra Attila e Papa Leone I. L’esercito devastante degli Unni sta avanzando da Venezia verso Roma e minaccia di travolgere l’intero mondo civilizzato. In una situazione di urgenza, Papa Leone va ad incontrare Attila per chiedergli un po’ di pietà. Questo incontro di alto profilo si svolse a Mantova nell’anno 452. Nell’affresco di Raffaello, si vede un vecchio dai capelli grigi (San Pietro) accanto al Papa, che minaccia il principe distruttore con una spada sguainata in un’immagine simbolica, che ben illustra l’incrollabile coraggio con cui i Papi hanno sempre alzato la voce in difesa del diritto. Questa difesa del diritto era certamente ciò che pensava  il famoso Veuillot, pubblicista francese, quando scrisse: “Privando il mondo di Pietro, verrà la notte, una notte in cui si formerà, crescerà e salirà sul trono …. Nerone”. – I Papi non solo pubblicarono la dottrina di San Paolo, Paolo, secondo il quale il potere legale dello Stato è mantenuto dalla grazia di Dio (Rm XIII,1), ma si sforzarono di pubblicarla di fronte agli eccessi dello Stato. I Papi condannarono, da un lato, quella forma di sovranità popolare che che deriva tutto il potere dal popolo; ma condannarono anche la dottrina dell’onnipotenza statale, che fa derivare tutto il potere dallo Stato. I Papi non hanno mai smesso di insegnare la relazione tra diritto e morale, impedendo così che le questioni giuridiche si trasformassero in questioni di potere. Il diritto è ciò che è giusto; ma ciò che è giusto è prescritto dalle leggi eterne di Dio e non dal capriccio umano. Pertanto, chi ama Dio rispetterà anche la legge; l’uomo religioso è, quindi, il miglior cittadino. Proclamando e difendendo questo modo di pensare, il Papa rendeva un importante servizio al diritto. Nelle più grandi crisi della vita dei popoli, i Papi non trascurarono di alzare la voce in difesa di un’autorità superiore, dell’autorità sociale, dei doveri sociali e dell’ordine giuridico, gettando le basi di una vita sociale degna dell’uomo. “Nel Medioevo dice il noto storico Leo Henkik, – che non è cattolico (Geschichte des Mittelalters, II, 19 – Storia del Medioevo) – i veri baluardi della libertà politica erano i Papi”. Eppure, questa fiera posizione è costata loro così tanti sacrifici e sofferenze che quasi tutti i Papi avrebbero potuto dire ciò che Gregorio VII disse prima di morire: “Ho amato la verità e odiato l’iniquità; perciò muoio in esilio”. Pertanto, se Gregorovius, il famoso storico di Roma, che non è un cattolico, ha potuto scrivere: “La religione cristiana è stata l’unico baluardo contro il quale si è schiantata la marea dei popoli barbari”, non sarà certo difficile comprendere quest’altra sua affermazione: “Il rispetto che i popoli del Medioevo mostravano nei confronti della città di Roma era illimitato”. Sì, era illimitato perché l’umanità trovava nel Pontefice la migliore garanzia di un giudizio sereno e giusto.

b) Anche oggi ci sono molti che attaccano il Papa: perché? Sono feriti dalla fede cristiana? No. Lo attaccano perché il Pontificato è il principale rappresentante dei principi dell’autorità. Questo è sempre stato il motivo principale degli attacchi al Papa. – Le scuole di pensiero dissolute sono state ben consapevoli che il pontificato stesso è l’unico baluardo che debba essere seriamente preso in considerazione. – Per capire bene cosa significhi il Papato per la cultura e per l’umanità, bisogna considerare dove saremmo arrivati senza il suo aiuto, che ne sarebbe stato dell’Europa se fosse mancata questa potente difesa della cultura, della verità e del diritto? Se fosse mancato questo araldo del primato dello spirito e questo più vigoroso rappresentante del rispetto dell’autorità? Non sono io ad affermarlo, ma il famoso discepolo di Kant, Herder, che nel suo libro intitolato “Ideen zur Philosophie Geschichte der Menschheit”, “Ideas zur Philosophie Geschichte der Menschheit”, “Idee per la filosofia della storia dell’umanità”, scrive: “Il fatto che gli Unni, i Saraceni, i Tartari, i Turchi e i Mongoli non abbiano inghiottita per sempre l’Europa, è opera del Pontificato. Senza la gerarchia romana, l’Europa sarebbe probabilmente diventata preda dei despoti, teatro di continui litigi, o un deserto mongolo”.

* * *

Permettetemi, amati lettori, di ripetere alla domanda: dobbiamo vergognarci se uomini incolti ci chiamano sprezzantemente “papisti”? “È forse motivo di vergogna per noi che la nostra fede poggi sulla roccia di un’istituzione così incomparabile? O è piuttosto fonte di vergogna che alcuni non siano nemmeno a conoscenza dei fatti storici, che sono per sempre memorabili, per i quali il Pontificato si è guadagnato l’eterna gratitudine del di ogni uomo colto?

Sarebbe difficile riassumere ciò che l’umanità deve al Pontificato. Gli deve il fatto che la fede di Cristo sia giunta a noi indenne, intatta. Deve ad esso il fatto che la morale cristiana sia proclamata nella sua interezza ed incolume. Deve ad esso l’estensione del regno di Cristo. Gli deve tutta la cultura cristiana, le arti e le scienze. Gli deve gratitudine per la sua vigilanza e la sua tenacia nel custodire i tesori più preziosi, che sono la sua ricchezza ed il suo ornamento: la vita familiare, l’educazione, la giustizia reciproca. È proprio negli ultimi decenni che gli occhi dell’umanità si sono spesso rivolti a Roma: nel fiume di sangue della guerra e nel mare di miseria del dopoguerra. Come una roccia sopra le onde, il Trono pontificio si erge in alto, rafforzato da un’autorità raddoppiata, in mezzo ad una autorità, in mezzo ad un mondo in cui i troni secolari sono stati frantumati in schegge e sembra avviarsi a perire in assenza di autorità o per il dispotismo dei forti. La tiara papale brilla, quando accanto ad essa decine di corone reali sono cadute nella polvere.

E se l’umanità è così sciocca da continuare a suicidarsi e ad inseguire il fuoco fatuo delle filosofie seducenti e delle monete fallaci, continua a dissipare follemente i migliori tesori e i valori spirituali raccolti nell’antichità, anche così, in mezzo alle macerie caotiche di una società e di culture in disfacimento, l’istituzione del Pontificato resterà in piedi e svetterà, così come le piramidi d’Egitto si ergono e si stagliano ancora sull’Egitto, sugli strati di sabbia con cui i secoli le hanno ricoperte una dopo l’altra.

* * *

Amico lettore: ringraziamo il Signore che siamo “papisti”… anche noi!

Ave, Santa Roma!

La città eterna attira i pellegrini con un’attrazione incessante. Non si può visitare Roma senza incontrare pellegrini provenienti da tutto il mondo. Al di fuori della Terra Santa, calpestata dalle divine suole di Gesù Cristo, e al di fuori della patria in cui sono sepolti i nostri antenati, non c’è luogo in tutto il mondo così caro ai Cristiani come questa città santa. Ma ciò che amiamo non è la capitale di un antico impero mondiale. Né amiamo la città, museo di tesori artistici incomparabili. Ciò che amiamo è la “pietra” di Roma, la roccia su cui Cristo ha costruito la sua Chiesa. Amiamo il cuore che vi batte e che trasmette il sangue della vita cristiana a tutti i membri della Chiesa universale, che si estende in tutto il mondo. Amiamo il capo che comanda e e ordina a Roma e che proclama la dottrina di Cristo. Amiamo la mano paterna che si leva a Roma per benedire il mondo intero. In questo sta il fascino misterioso e attraente della “Roma eterna”.

“Ave, Ave, Santa Roma”, gridavano entusiasti i pellegrini nell’anno 1300, durante il Giubileo del primo Anno Santo, dopo una lunga e faticosa marcia, quando, finalmente, sotto i raggi del sole al tramonto, intravidero dal sole al tramonto, la città santa dall’alto del monte Mario. Ave, Roma santa”, esclama oggi ogni credente che medita su ciò che le anime cristiane devono a Roma. La caratteristica dei fedeli Cattolici è sempre stata, in tutto il mondo, il loro fervente e amorevole attaccamento alla Città Eterna. Questo è un fatto così noto che non è necessario soffermarsi su di esso. Sarà invece più istruttivo studiare le cause di tale fatto e porsi questa domanda. Perché ci chiamiamo Cattolici romani, cioè perché amiamo la Città Eterna? Ovvero, perché amiamo Roma con tanto fervore? La nostra risposta sarà duplice: in primo luogo, amiamo Roma perché è lì che batte il cuore della Chiesa e, in secondo luogo, perché è lì che vive il capo della Chiesa.

La Chiesa vive lì!

A Roma batte il cuore della Chiesa

Diciamo, innanzitutto, che siamo Cattolici romani e che amiamo Roma perché lì batte il cuore della Chiesa; perché: a) come questa città è stata lo scenario del glorioso passato del Cristianesimo, così b) in modo analogo, rimane oggi il luogo di culto del Cristianesimo.

A) Il passato glorioso del Cristianesimo era indissolubilmente legato al nome di Roma.

a) L’antica Roma pagana doveva anche essere bella; ma quanto era misera l’anima umana lì! I Romani illustri vivevano in palazzi di marmo ornati d’oro. d’oro: leggevano Omero, Orazio, Virgilio. Nel Foro la vita traboccava di febbri d’agitazione; un tempio si scontrava con l’altro…: ma anche le porte del Colosseo si aprirono, e l’imperatore, il politico, il guerriero, lo scrittore, il poeta, il sacerdote e le vestali guardavano con l’avidità di occhi che saltavano fuori dalle orbite per la lotta tra la vita e la morte dei gladiatori. E la folla – circa 90.000 uomini – riunita nel Colosseo ululava e ruggiva. Il Colosseo ululava e ruggiva di indignazione quando i gladiatori si trattavano con delicatezza o finivano di combattere rapidamente. Quegli spettatori volevano vedere sangue, sangue umano che colava a lungo. Loro, i sacerdoti, le sacerdotesse! Loro, i grandi statisti! E se il vincitore guardava verso il palco imperiale implorando la vita del suo avversario, che rotolava a terra, pieno di ferite mortali, il pollice della mano dell’imperatore si girava verso il basso, con un gesto sanguinario: nessuna pietà, uccidetelo, uccidetelo, uccidetelo!

Questa era la Roma pagana.

b) Ma un giorno un pescatore di Betsaida venne a Roma per una delle strade magnifiche; il suo nome antico era Simone, ma a quel tempo si chiamava Pietro. Su un’altra strada regale i soldati romani conducevano un prigioniero inviato da Festo, procuratore della Giudea; il suo nome era Paolo di Tarso. E mentre Pietro e Paolo varcavano le porte della grande città pagana, la storia la storia del mondo si capovolse. La Roma che un tempo era stata un nido e un semenzaio di sensualismo, di giochi gladiatori, di idoli pagani, divenne da quel momento in poi il punto di partenza e il propagatore di una nuova cultura, nobile e santa come lo era e lo è lo spiritualismo cristiano: Roma fu da allora in poi il cuore della Chiesa. E poiché tutto il sangue va al cuore, il mondo intero iniziò il suo pellegrinaggio a Roma. È la città più antica che ha visto la gente affluire a frotte quando ancora non si parlava di traffico turistico. Era il cuore della Chiesa! Per questo motivo Roma è diventata la “Città eterna”. Sì, è eterna. Ma ciò che è eterno in essa è solo quello che proviene da Pietro e Paolo. Da allora Roma è stata un luogo sacro per noi. Migliaia e migliaia di compagni Cristiane sono morte nel suo Colosseo, dilaniati dai denti di leoni, tigri, pantere e orsi. Migliaia di Sacerdoti, Vescovi, madri, fanciulle, bambini e vecchi sono morti per la vittoria della croce, per la causa di Cristo. Dalle loro tombe la nuova Roma, la Roma santa, la Roma eterna.

B) Roma è stata la scena dei primi secoli del Cristianesimo. è la fonte più abbondante delle energie che sono all’origine della sua attuale fioritura.

a) L’Italia, e all’interno dell’Italia Roma, hanno esercitato per secoli una forza attrattiva su popoli e individui. È possibile che i Cimbri, i Teutoni e i Celti siano stati attratti dalla loro patria settentrionale, nebbiosa e fredda, solo dal calore del cielo del sud pieno di sole; ed è possibile che molti viaggiatori moderni visitino l’Italia per i suoi tesori artistici. Ma è possibile affermare che la maggior parte dei treni espressi e dei lunghi convogli di pellegrini che si precipitano a Roma non vanno nella Città Eterna per godere del suo sole ed ammirare i suoi tesori artistici, ma, piuttosto, proprio come nell’antichità, la gente veniva a Roma per ricevere norme giuridiche, politiche, artistiche ed economiche, per poi tornare nella loro patria lontana con un nuovo spirito di lavoro, in un modo simile a quello di Roma, che è il centro della cristianità, così che, in modo simile, i Cristiani di oggi si recano a Roma in modo che, risvegliati spiritualmente dal cuore della Chiesa, possano poi tornare con nuova energia alle faccende e alle lotte quotidiane della vita! – Si dice che Goethe, quando fece il suo famoso viaggio in Italia, andò a Roma in fretta, quasi senza fermarsi. In realtà non si trattava di un viaggio, ma di una fuga; fuggire dall’atmosfera angusta e meschina, carica di nebbie dell’incertezza, verso la luce di una concezione risoluta e ampia del mondo. – Questo è ciò che sente il pellegrino romano. Sente come sia ringiovanito spiritualmente; come la sua anima si riempia di pensieri grandiosi ed edificanti quando contempla da vicino i valori e le misure assolute di eterna validità. I fedeli non vanno a Roma come turisti, ma come pellegrini pentiti, come pellegrini assetati, come esseri deboli in cerca di un rafforzamento spirituale. Perché chi andasse a Roma solo per vedere l’arte, andrebbe con gli occhi bendati e vagherebbe con l’anima chiusa. Cosa significano i tesori deperibili di una Roma artistica rispetto ai problemi eterni dell’esistenza, ai quali l’altra Roma dà risposte, la Roma santa, la Roma eterna?

b) Non è possibile descrivere, bisogna vivere le sensazioni che lì si impadroniscono della nostra anima. Siete davanti alla tomba di colui che che ha parlato con Gesù Cristo. Siete nella città dove il Vangelo è stato predicato incessantemente da quando il primo Papa vi ha messo piede. Vi trovate nella Roma cristiana, fondata non da Romolo e Remo, come si dice della Roma pagana, ma da Pietro e Paolo. Lì si respira l’aria di Cristo e si è impregnati dell’azione vivificante del Vangelo, il lievito divino che ha reso cristiana l’anima pagana, come ha trasformato il pantheon degli dei in un tempio dei martiri, in Santa Maria sopra Minerva. il tempio pagano di Minerva, ed in Santa Sabina il tempio pagano di Diana.

c) E a questo punto vorrei sottolineare un pensiero: Roma è diventata la madre comune di tutti i Cristiani, senza che nessuno di loro debba rinnegare la propria nazione.

Sì, perché quando andiamo a Roma, non andiamo con l’intenzione di visitare la capitale d’Italia, ma per raggiungere il cuore del mondo cristiano. Questo è l’unico modo per capire che i pellegrini che si trovano a Roma, lungi dal dimenticare la propria patria, da nessuna parte pensano ad essa con tanta pietà, e in nessun luogo cantano il loro inno nazionale con più fuoco come lì, nella città santa ed eterna della cristianità.

Sottoscriviamo, dunque, tutte le parole del grande scrittore francese De Maistre, che mette questo paragrafo nel suo libro intitolato Du Pape, Del Papa: “O santa Chiesa romana! Finché potrò fare uso della mia lingua, Dio ti salvi, madre immortale della scienza e della santità, e madre immortale di, salve magna parens! Tu hai diffuso la luce fino agli estremi confini della terra, dove ogni potere ostinato non ha posto alcun ostacolo alla tua influenza, e spesso anche a dispetto di esso. Sei stato Tu a porre fine ai sacrifici umani, alle usanze barbare ed ignominiose, alla notte dell’ignoranza; e dove i tuoi inviati non sono riusciti a giungere, là manca la cultura umana. I vostri sono gli uomini eccelsi. I vostri insegnamenti purificano la scienza dal veleno dell’indipendenza e dell’orgoglio, che la rendono sempre pericolosa e spesso dannosa. I tuoi Papi saranno presto riconosciuti come i primi fattori della cultura umana, i creatori della cultura umana, i creatori della cultura umana, i creatori della cultura umana creatori della monarchia e dell’unità europea, guardiani dell’unità europea, guardiani della monarchia e dell’unità europea, guardiani delle arti, fondatori e difensori nati della libertà civica, distruttori della schiavitù, nemici della tirannia, benefattori del genere umano”.

A Roma vive il Capo della Chiesa

Amiamo Roma non solo perché in essa batte il cuore della cristianità, ma anche perché in essa vive il Capo della Chiesa; in essa vive: A), il Papa; B), il nostro Santo Padre.

A) Amiamo Roma perché a Roma vive il Papa.

a) E chi è il Papa? Cosa pensa di lui la Chiesa cattolica? Perché quello che il mondo pensa di lui lo vediamo ad ogni elezione del Papa. La stampa di tutto il mondo pubblica grandi articoli, fa delle combinazioni per indovinare chi sarà il nuovo Papa, cosa ci si possa aspettare da lui, quale orientamento politico seguirà… Questo è ciò che pensa il mondo. E la Chiesa?

Ordina una messa speciale da celebrare al momento dell’elezione:

Missa pro eligendo Summo Pontifice“, “Messa per l’elezione del Sommo Pontefice”; e la preghiera di questa santa Messa dimostra in modo magnifico ciò che la Chiesa si aspetta dal Papa. Rivediamo questa preghiera: che Papa chiede la Chiesa? Uno spirito ardente di artista, un grande costruttore, un grande politico, un diplomatico? Un grande politico, un diplomatico? Nessuno di questi, ma un Papa che, attraverso la sua fervente sollecitudine per le nostre anime – “pio in nos studio” – sia sempre accettabile agli occhi della divina deferenza e degno di rispetto agli occhi del popolo. È così che la Chiesa prega per il Papa. E abbiamo imparato questa preghiera da Gesù Cristo stesso, che una volta disse a San Pietro: “Simone, Simone! ecco, satana ti insegue per vagliarti come il grano”. Ma Io ho pregato per te, affinché la tua fede non perisca; e tu, quando ti sarai convertito, rafforza i tuoi fratelli.” (Lc XXII,31-32). – Che parole incomparabili, Cristo ha pregato per Pietro! Cristo prega per il Papa, perché conosce il suo immenso valore: il destino eterno di milioni e milioni di anime immortali dipende dalla sua infallibilità, dalla sua fede incrollabile. Da Cristo i fedeli cristiani hanno imparato a pregare anche per il Papa.. Si racconta che, quando Pietro soffriva in prigione, la Chiesa incessantemente Dio per lui (Atti XII, 5).

b) Ma dalle parole di Cristo ricaviamo un’altra cosa: l’obbedienza al Papa, incomparabilmente più sottomessa e traboccante di pietà filiale, che ha sempre caratterizzato i popoli in cui c’è una vita veramente cristiana. Infatti, se Cristo ha incaricato il Papa di confermare i suoi fratelli nella fede, è giusto che a noi venga comandato di essere figli obbedienti del Papa, la cui missione divina è quella di guidarci ed orientarci nella nostra fede.

Che “obbediamo ciecamente al Papa“? Sì, signore! Così così come ogni uomo che non è pazzo è abituato ad obbedire ciecamente alla sua testa, e non alla sua mano o alla sua lingua. Perché le mani, i piedi e il corpo della Chiesa siamo noi, i fedeli. Il Capo è Cristo e il suo Vicario è il Papa. – Rivedete ciò che la Lettera agli Efesini dice di Gesù Cristo: ” Tutto infatti (il Padre) ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa,la quale è il suo corpo,la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.” (Efesini 1, 22-23). Chi non sa che il Capo della Chiesa è Cristo e che il Vicario di Gesù Cristo in terra è il Papa? Noi amiamo Roma perché in essa abita il Papa, il Vicario di Gesù Cristo.

B) Ma il nostro amore ha radici molto più profonde. Non solo il Papa è il capo visibile della Chiesa, il suo governatore, ma anche il Padre amoroso di tutta la cristianità, il nostro Santo Padre; ed è proprio questa espressione che spiega appieno tutto il nostro tenero amore che i fedeli ferventi fedeli hanno sempre professato per Roma.

a) Gli stessi Cattolici sono pervasi da un profondo rispetto e da un’emozione del tutto particolare quando incontrano il Santo Padre in udienza. Quanti hanno vissuto un’esperienza simile a quella del potente ministro di Luigi Filippo re di Francia, Thiers, che durante la sua permanenza a Roma a Roma chiese un’udienza al Papa, ma a condizione che, essendo un protestante, non dovesse inginocchiarsi davanti al Pontefice e baciargli la mano. Quando questa richiesta fu comunicata a Gregorio XVI, questi rispose sorridendo: “Fate come piace a Thiers”. Il presidente del Consiglio dei ministri francese entrò e, trovandosi di fronte al Papa, sentì un forte richiamo, un sentimento forte e indefinibile invadere la sua anima. Si inginocchiò davanti a lui e gli baciò il piede. Il Papa gli chiese in tono di grande dolcezza: “Signor Ministro, è inciampato in qualcosa?”. E il ministro francese rispose con grande arguzia: “Veramente, siamo tutti ad inciampare nella grandezza del Papato”. Questo è ciò che provano anche i non Cattolici quando si trovano faccia a faccia con il Papa.

b) Cosa devono provare i fedeli quando pronunciano queste parole: “Nostro Santissimo Padre”? “Che nome sublime e piissimo! Quante cose dicono queste tre parole: “Padre nostro santissimo”! Prima di tutto, sono parole di fiducia. Tu sei è la roccia su cui poggia la nostra fede. Tu sei il fondamento su cui è costruita la nostra casa familiare, la Chiesa cattolica. Tu sei l’uomo su cui poggia la nostra Chiesa, l’arco della Chiesa universale. Tu sei il pastore che guida il cammino della nostra anima. Tu sei il cuore che batte in noi. Ma queste parole sono anche un segno di profondo amore. Tu sei il capo della grande famiglia, e tutti noi ci sentiamo a casa con te. Tu sei il padre, e i tuoi figli vengono da te da tutto il mondo. Accanto a te c’è “la patria delle anime”, come Sienkiewtcz chiamava Roma. Non c’è stato nessun altro regno al mondo con una tale varietà di lingue e una storia così ricca; i cui membri erano così diversi sia esteriormente che nella loro formazione culturale interiore, come la Chiesa cattolica. E tutta questa varietà è mirabilmente unita in un unico punto centrale della Chiesa: il Papa. Egli è il supremo legislatore, la guida, la roccia, il fondamento, il centro, il Vicario di Cristo!

c) Leggiamo la descrizione di quella visione sublime di cui al capitolo LX del profeta Isaia: Alzati Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. (Is LX,1-4) Sembra di assistere alla scena di un’udienza generale dei pellegrini che il Santo Padre concede in occasione di un Anno Santo. Come se i colori vividi di Isaia fossero stati ispirati da essa! Migliaia e migliaia di persone riempiono con nervosa attesa le magnifiche sale secolari del Vaticano; persone provenienti da tutti gli angoli della Chiesa universale, e come fratelli in Gesù Cristo, con le loro anime immerse nella preghiera, sono fianco a fianco e attendono il Padre comune di tutti, il Papa. Bianchi e gialli, europei, asiatici, Egiziani, pellegrini dell’India orientale, tutti insieme. La loro lingua è diversa, il loro vestito, diversa è la forma dei loro occhi, diversa è la cultura, ma una è la loro fede, uno è il loro Cristo, e uno è il loro Vicario, che sta già venendo nella sua veste bianca, che già risplende da lontano…; tutti si inginocchiano e baciano la mano del padre che benedice; non c’è quasi nessuno che non abbia le lacrime agli occhi. Ora tutti sentono la gioia di essere Cattolici. Che orgoglio santo appartenere a questa Chiesa universale! Che serenità sapere che la mia fede poggia sulla Chiesa universale, sulla “pietra”, su quella pietra sulla quale Gesù Cristo ha posto le fondamenta della sua Chiesa e ha promesso che “le potenze dell’inferno non prevarranno mai contro di essa”!

* * *

Una delle strade più famose di Roma si chiama Via Appia. È una strada triste, fiancheggiata da tombe che sorgono sotto pini e cipressi. Ad un incrocio, una piccola cappella segna il luogo in cui, secondo la tradizione, Pietro, fuggito da un’isola, si sarebbe rifugiato. Pietro, che era fuggito dalla prigione mamertina e intendeva lasciare Roma, incontrò il Signore Gesù Cristo macchiato di sangue e gli chiese, con l’animo commosso: Quo vadis, Domine, “Dove vai, Signore?”. Al che Gesù Cristo rispose queste bellissime e indimenticabili parole: “Vado a Roma, per farmi crocifiggere una seconda volta”. Pietro allora capì Gesù Cristo e tornò in città e, disprezzando la morte, lavorò per Cristo, fino al giorno in cui fu crocifisso il 29 giugno dell’anno 67, con la testa rivolta verso il basso, nel circo di Nerone, non lontano dalla sua tomba attuale, nella Basilica del suo nome. Il primo Papa diede la vita per Cristo nella città di Roma. A Roma vive ancora oggi il 263° successore di Pietro. E da allora, ubi Petrus, ibi Ecclesia; ubi Ecclesia, ibi Vita aeterna, “dove c’è Pietro, c’è la Chiesa, e dove c’è la Chiesa, c’è la vita eterna”. Queste parole sempre belle del grande vescovo di Milano, Sant’Ambrogio, non solo risplendono sulla cupola del Duomo di Milano, iscritte in lettere d’oro, ma vivono anche in lettere d’oro, ma vivono anche, in modo prodigioso e indelebile, in tutte le anime cristiane. Come non capire perché una tale moltitudine di pellegrini cristiani affluisca a Roma e perché, al primo sguardo sulla cupola della grande Basilica di San Pietro, scoppiano in questo grido entusiasta: “Ave, santa Roma“? Ave, Roma santa! Sotto il tuo pavimento attraversano i corridoi sotterranei, le catacombe sotterranee, le catacombe che custodiscono le tombe dei martiri cristiani che hanno dato la loro vita per Gesù Cristo. Santi sono questi corridoi, perché proclamano forte e chiaro con le loro immagini bibliche e le loro scene liturgiche, dipinte con linee crude, primitive e spigolose, che la nostra fede è la stessa di quella del popolo cristiano, che la nostra fede è la stessa di quei martiri e di quei primi fedeli, e perché è in questi corridoi, intrisi di sangue di martiri, che la nostra religione affonda le sue radici. Ave, Roma santa! In te sorge, sopra la tomba di San Pietro, la sua Basilica.

Ave, Roma santa! In te c’è la Basilica di San Giovanni con l’iscrizione cattolica sulla facciata. L’iscrizione cattolica sulla sua facciata: “Madre e capo di tutte le chiese.”.

Ave, Roma santa! In te si erge l’enorme obelisco di Piazza San Pietro, che proclama al mondo intero: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat“, “Cristo vince, Cristo regna, Cristo regna”.

Ave, Roma santa! In te batte il cuore della Chiesa e in te vive il capo di questa stessa Chiesa. Ecco perché dal profondo della nostra anima scaturisce sempre la preghiera, che sulle ali di una melodia che inviamo al cielo: “Dove giace la tomba di San Pietro e dove batte il cuore di Roma, da mille labbra, su mille lingue, dolcemente e fervidamente una preghiera: Custodisci, o Signore, il nostro santo Padre, il Vicario di Gesù Cristo”.

VIVA IL SANTO PADRE IMPEDITO!!

TU SEI PIETRO (3)

Monsignor Tihamér Tóth

VESCOVO DI VESZPRÉM

“Tu sei Pietro”

STORIA E ATTUALITÀ DEL PONTEFICE ROMANO (III)

1956

CENSURA ECLESIASTICA

Nihil obstat: Dr. Vicente Serrano Censore eccl.

IMPRIMATUR: † JOSE MARIA. Ob. Ausiliario e Vicario Generale Madrid, 2 marzo 1956

Capitolo III

LA CORONA DI SPINE DEL PAPA

Quanto sono misteriose e profonde le parole con cui Gesù Cristo ha voluto mostrare il futuro a Pietro, il primo Papa! “In verità, in verità, in verità io ti dico che quando eri più giovane, ti cingevi le vesti e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi.” (Gv XXI, 18). Che strano e misterioso! Pietro le ha capite? Allora è probabile che non le abbia capite. Non aveva ancora visto la croce che, il 29 giugno 67, sarebbe stata eretta sul colle del Vaticano, e sulla quale lui, il primo Papa, sarebbe stato eretto, a testa bassa, con la testa rivolta in giù, per suggellare con la vita la sua fedeltà a Gesù Cristo. Ma il Signore ci stava pensando. Pensava al martirio del primo Papa e di tutti gli altri. San Giovanni Evangelista non ha mancato di riportarlo: “Disse questo per indicare con quale tipo di morte Pietro avrebbe glorificato Dio” (Gv. XXI,19). Gesù Cristo vide molto bene che, nel corso dei secoli, i suoi nemici mortali avrebbero attaccato con accanimento proprio quell’istituzione dalla cui esistenza dipende il destino della Chiesa. Egli vide molto bene che la triplice corona, la tiara dei Papi, non sarebbe stata, in realtà, una corona reale, ma una triplice corona di spine, che insanguinava la fronte dei suoi Vicari. Studiando, dunque, in questa serie di capitoli, l’istituzione del Papato, il presente capitolo, che tratterà la seguente tesi, non sarà superfluo.

“La sollecitudine di tutte le Chiese” (2 Corinzi XI:28).

La prima corona di spine è l’accumulo di fatiche e doveri che il Papa deve compiere per la causa di Cristo, e che San Paolo esprime con queste parole: “…la cura di tutte le chiese” (2 Corinzi XI, 28).

A) Si sentono qua e là commenti infantili ed ingenui sulla vita del Papa: ha centinaia di stanze in Vaticano, può andare in giro per il suo Vaticano, può andarsene in giro come vuole, mangia e beve come vuole, tutti si inchinano a lui, lui è un “signore sorprendentemente grande”. Chi non ha mai visto il Papa lo immagina così.

Invece, coloro che conoscono i suoi orari, i suoi doveri ed il suo lavoro sovrumano;

chi sa come si alza presto e come lavora incessantemente fino a tarda notte; quelli che sanno che dal primo gennaio al 31 dicembre, giorno dopo giorno, riceve 3.000 interpellanze ed invia altrettante risposte; chi sa che concede costantemente innumerevoli udienze a visitatori che arrivano da tutto il mondo, dai più modesti ai più illustri. Chi sa a quanti consigli e riunioni partecipi e come non solo guidi la vita spirituale dei 460 milioni di fedeli cattolici, ma anche come spiani la strada per la conversione dei non credenti. Chi sa tutte queste cose non invidierà ingenuamente questa “grande signoria” del Papa, ma guarderanno a lui con rispetto e ammirazione, in quanto primo operatore della causa di Gesù Cristo. Vedranno nel Papa il “servo dei servi di Dio”, al quale si possono applicare, in senso stretto, le parole di San Paolo, secondo cui su di lui pesa “la sollecitudine di tutte le Chiese”.

B) E quanto è ammirevole: i compiti e i doveri si moltiplicano ai nostri giorni. Il fatto è che la sua autorità stia crescendo sempre più in tutto il mondo. Notiamo con particolare gratitudine alla divina Provvidenza, che quando nel caos che ha seguito la guerra mondiale, grandi imperi scomparvero, diversi troni crollarono, e la fiducia che gli uomini avevano riposto nelle monete, nelle scuole e nelle filosofie andò in frantumi, fu proprio allora che la voce delle trombe d’argento che risuonava nella Basilica di San Pietro, si fece più penetrante e robusta; e, giorno dopo giorno andò crescendo il numero di uomini, popoli e Paesi, la cui attenzione, speranza, aspettativa ed omaggio sono rivolti verso il Vaticano, da dove giunge ovunque il suono trionfale delle trombe: Tu sei Pietro e… su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt XVI, 18).

È con gioia e quasi con orgoglio che vediamo come, soprattutto dal dopoguerra, sia cresciuta in modo costante e al massimo grado, l’autorità del Papa agli occhi del mondo. Quante milioni di persone guardano a Roma ed ascoltano la parola del Papa!

Non dobbiamo dimenticare, in mezzo al nostro mondo, quanti milioni di persone guardano a Roma e ascoltano la parola del Papa, e come l’enorme compito del Papa di guidare il mondo intero sia in costante crescita.

Il lavoro del Papa di guidare il mondo intero.

Chi è malato, perché io non sia malato con lui?

(2 Corinzi XI, 29)

La seconda corona di spine – più pesante e dolorosa della prima – è l’accumulo di ansie e di preoccupazioni, e le innumerevoli pene e dolori causati dalla persecuzione contro il Signore. “Chi è malato, che io non sia malato con lui?”. -Il Papa potrebbe ripetere con San Paolo: “Chi si scandalizza che io non sia addolorato?” (2 Cor XI, 29). A volte incontriamo esseri stanchi, privi di umorismo, che si lamentano tristemente: “Come sono stanco? Non ce la faccio più, ho tante fatiche, tanti dolori, tante responsabilità sulle mie spalle! Ebbene, cosa deve provare il Papa che deve gestire non una scuola, non una banca, non un ministero, non un Paese, ma la più grande comunità universale, che conta i suoi membri non a migliaia, non a centinaia di migliaia, ma a centinaia di milioni, e il cui campo d’azione non si limita ad un villaggio o ad un paese, a una provincia, a una regione o a un Paese, ma si estende a tutto il mondo, da Est a Ovest, da Sud a Nord? Ogni giorno giungono al Papa notizie sullo stato della Chiesa in tutto il mondo e sulle sorti, prospere o avverse, della stessa, ovunque. Ognuna di queste notizie ha una risonanza speciale nel suo cuore paterno. Tutte le lamentele, tutti i dolori e tutte le disgrazie di tutti i Paesi, isole e continenti e persino delle regioni polari, hanno un’eco nel suo cuore paterno. Quando si dichiara guerra ai principii cristiani, quando si vuole estirparli dalle anime degli uomini e delle donne, con la religiosità di un popolo con astuzia e furbizia, su chi sferrano i colpi più terribili, se non sul Papa? Come si può calcolare l’immenso dolore che deve aver riempito il cuore del Papa a causa dell’inumana persecuzione religiosa del Soviet russo e la sanguinosa persecuzione della Chiesa in Spagna e in Messico? Osserviamolo mentre quando riceve i pellegrini di un paese: quale ansia, quale compassione, quale amore vibra nelle sue parole! Lui che conosce tutte queste cose, cerca di mitigare tanto dolore; perché è giusto che i figli vogliano mitigare le preoccupazioni dei genitori. Come possiamo addolcire le pene del Papa? a) Innanzitutto con le nostre preghiere. Preghiamo per l’intenzione del Papa. Che bella abitudine inserire nelle nostre preghiere i mille dolori, le ansie, e dolori di colui che è il Capo di tutta la cristianità, “affinché perché Dio lo custodisca e non lo consegni nelle mani dei suoi nemici”!

b) I fedeli possono anche mitigare le pene del Papa con un contributo materiale. So che questo suona strano in mezzo alle difficoltà moderne. So quanto sia difficile la vita oggi in tutto il mondo. Eppure, da ogni parte del mondo il denaro di San Pietro viene inviato al Santo Padre. Questo nome non è già molto significativo? Il denaro di San Pietro! Non “denaro di Benedetto”, non “denaro di Pio”, ma denaro di San Pietro. L’obolo di Pietro. Questa è la fonte delle grandi somme di denaro che il Papa investe… In cosa? Nella sua cucina, nella sua casa, nei suoi vestiti…? Ah, no. Non ne ha bisogno,

perché vive come un modesto religioso. La somma esorbitante con cui il Papa è solito aiutare i poveri di tutto il mondo, quelli che soffrono la miseria, gli sfortunati ed i missionari. Per questo motivo, ovunque ci sia un amore un po’ vivo per il Padre comune del Cristianesimo, si cerca almeno di aiutarlo con un modesto contributo, perché si vede che su di lui grava la sollecitudine di tutte le Chiese. E non c’è da temere per il cambio della propria Nazione a causa di questi oboli. Non mancano coloro che ci accusano che questi oboli diminuiscano il valore della propria moneta. Mi sembra che basti rispondere con una sola frase. Non so esattamente a quanto ammonti ogni anno il denaro di San Pietro. Ma una cosa la so: che non è nemmeno un decimo di quello che noi ungheresi permettiamo di mandare all’estero, per esempio, per comprare le arance o altri prodotti di cui il nostro mercato interno è carente.

La persecuzione del Papa.

Il Papa ha anche una terza e dolorosissima corona di spine: l’odio e la persecuzione costante a cui il Papato è esposto da mille e novecento anni, che non è altro che il compimento di tre profezie di Gesù Cristo.

Tre profezie di Gesù Cristo.

Di quali profezie si tratta?

29

A) La prima: Un altro vi cingerà e vi condurrà dove voi non volete (Gv XXI, 18).

Come si è adempiuta, parola per parola, in tutta la storia della Chiesa! – Ripercorriamo la serie dei Papi. Nei primi secoli, essere Papa equivaleva ad essere un martire. Fino a Costantino il Grande ci sono stati 32 Papi; 30 di loro morirono da martiri e gli altri due finirono la loro vita in esilio. Dov’è la dinastia che ha iniziato il suo regno con trenta martiri? La maggior parte di loro non raggiunse nemmeno i trenta monarchi. Ma anche dopo Costantino, quali sofferenze accompagnarono la va del Pontefice! Basterà citare alcuni fatti. Innocenzo I e San Leone Magno sono assediati da Alarico e dai Vandali. Giovanni I muore in prigione. Agapito muore in esilio. Silverio viene portato su un’isola, dove muore di fame. Vigilio viene bandito. Martino I deve portare le sue catene fino al Mar Nero. Sergio I vive per sette anni in esilio. Stefano III è costretto a ricorrere all’aiuto dei principi franchi. Leone III viene maltrattato. Leone V muore in prigione. Giovanni X viene strangolato a morte. Benedetto VI, nel castello di Sant’Angelo. Giovanni XIV muore di fame in prigione. Gregorio V viene bandito da Roma. Silvestro II, avvelenato. Gregorio VII muore in esilio a Salerno. Pasquale II, a Benevento, di pura miseria. Innocenzo II viene catturato da Rogerio, principe di Sicilia. Lucio II viene ferito in una ribellione. Alessandro II deve fuggire dal Barbarossa. Lucio III muore in esilio. Gregorio IX deve assistere alla distruzione dei templi di Roma da parte dei Saraceni. I Saraceni distruggono i templi di Roma. Innocenzo IV fugge da Federico II. Alessandro IV muore in esilio a Viterbo. Bonifacio VIII si ritrova nelle mani di di Filippo il Bello. Clemente V inizia la prigionia di Avignone, che dura settant’anni. Urbano VI deve assistere al grande scisma. E poi seguono i dolori della Riforma! Sotto Urbano VIII, scoppia il giansenismo; sotto Alessandro VII, il gallicanesimo; sotto Innocenzo VII, il Re Sole; Clemente XI e Clemente XII hanno dovuto sopportare le offese dei monarchi di Napoli, Madrid, Parigi e Vienna. Benedetto XIV (il Papa più saggio) deve subire il sarcasmo di Voltaire. Clemente XIII e XIV dovettero assistere alla persecuzione dei gesuiti. Pio VI fu costretto a fuggire a Venezia. Pio VII, a Fontainebleau. Pio IX, a Gaeta. Durante il pontificato di Leone XIII il Kulturkampf, la “guerra culturale” tedesca, si scatena. San Pio X muore rattristato

dall’infedeltà della Francia e dal modernismo. Pio XI vive nell’amarezza dalla persecuzione della Chiesa in Russia, Messico e Spagna… Gregorio XVII, appena eletto viene impedito nel suo operato e vive da recluso nel palazzo di Genova (ndr. -) … un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi andare…. Come si sono realizzate le parole del Signore!

B) E si compì anche un’altra profezia: Simone, Simone, ecco, satana ti insegue per vagliarti come il grano (Lc XXII, 31).

Quando Satana vide che il trono del Pescatore era saldo anche in mezzo ai mari di sangue che minacciavano di straripare, e che stava in piedi anche dopo le rivoluzioni, le eresie e i bandi, cambiò la sua tattica per una molto più pericolosa: si spinse fino alla roccia stessa del Papato quando, nel IX e X secolo, sulla sede di Pietro sedevano uomini che non erano certo i più adatti a far fiorire la Chiesa con con fiori di santità e slancio di vita. L’istituzione del Papato avrebbe dovuto crollare con la forza, non in mezzo a ondate di sangue, né tra il fragore delle eresie, ma nella calma corrosiva di quei secoli. Questa roccia granitica non fu nemmeno smossa.

satana vi insegue per vagliarvi come grano“. Diverse volte nella storia si è ripetuta la scena più triste della Santa Passione: il tradimento di uno degli apostoli. Qualsiasi altra istituzione sarebbe crollata irrimediabilmente. Ma questa, se non è stata creata da Dio il giorno della creazione, è stata chiamata a vivere dalla parola specialissima e creativa del Figlio di Dio: “Tu sei Pietro…”.

satana vi insegue per vagliarvi come il grano“. La storia della Chiesa è una lotta continua di terribili persecuzioni, interrotte da brevi intervalli di pace. Il monarca più potente d’Europa, Federico Barbarossa, assedia Roma, e non sembra che abbia intenzione davvero di farla finita con il Papato, privo di aiuti umani e senza possibilità di salvezza. Ma ecco, i formidabili accampamenti che circondano Roma… Che cosa è successo, intendono forse incendiare la città? No. La peste imperversa nell’accampamento, e stanno bruciando i cadaveri di migliaia e migliaia di soldati. I falò non bastano più e i morti vengono portati a migliaia sulla riva del mare e gettati in acqua. Poco dopo Federico Barbarossa arriva a piedi nudi per fare penitenza… Il sultano Saladillo invia a Pio II il seguente messaggio: “Vengo a Roma; intendo trasformare la Basilica di San Pietro in una moschea”. Il Papa rispose: “La nave può essere sballottata dalla tempesta, ma non affonda”. E non affondò! Queste lezioni sono servite alle generazioni successive? No. Napoleone disprezzò le minacce del Papa, deridendo Pio VII ed esclamando altezzosamente: “Il Papa crede davvero che questa scomunica farà cadere le armi dei miei soldati?” Ma arrivarono fuoco…, neve…, ghiaccio…, carestia…, e le armi, nel senso più reale del termine, caddero dalle mani morte dei soldati, che stavano morendo di freddo. E poi vennero Waterloo e Sant’Elena. Solo rimane nelle pagine della storia, come qualcosa che non doveva più essere, il ricordo di quell’imperatore. Il papato, invece, è ancora in piedi, e il Papa porta ancora in testa la sua triplice corona di spine,

C) Sta in piedi perché il Signore ha fatto una terza promessa, e anche questa si è realizzata: E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt XVI,18).

16, 18).

a) Si è adempiuta nel passato e b) si adempirà anche nel futuro.

Non vi ricordate la favola del leone malato? Il leone giaceva malato nella sua tana. Gli animali andarono a visitarlo uno dopo l’altro. Arrivò anche la volpe, ma si fermò all’ingresso, non volendo non volendo entrare. – Perché stai fuori? -gli chiesero. – Le impronte mi spaventano”, rispose, “vedo che molti animali sono entrati, sì, ma nessuno è tornato. Questa è la favola; ed è chiaro che l’arciduca Rodolfo vi alludeva quando, esortato ad attaccare il Papa e la Chiesa, rispose solo: “Sì, molti animali sono entrati, ma nessuno è tornato”. – L’altare di Giove della capitale è affondato per sempre, e tutto ciò che rimane è il ricordo degli imperatori e dei re che dichiararono guerra senza quartiere al Papa… Ma l’istituzione del Papato vive, fiorisce e risplende sempre di più. La tomba del pescatore di Galilea è stata, da mille e novecento anni a questa parte, una fonte di vita e di valori eterni ed inesauribili. L’ovvia verità di quell’adagio francese si è sempre avverata: “Qui mange du Pape, en meurt“, “Chi mangia dal Papa, ne muore”.

Quante cose hanno visto e vissuto i Papi in una successione infinita! Hanno visto come l’odio degli imperatori romani sia stato rivolto contro la giovane Chiesa…, e hanno visto come la maggior parte dei persecutori è stata annegata nel proprio sangue. Hanno visto sotto l’arco di trionfo di Tito le masnade germaniche, bionde e vittoriose, stupiti del fasto di Roma, che guardavano con occhi azzurri e e stupefatti…, ed hanno visto anche la morte dei capi germanici e udirono le marce funebri dei loro guerrieri, che li accompagnarono alla tomba. Hanno visto Carlo Magno risplendere di maestà imperiale ed hanno anche visto la fine dei Carolingi. Hanno visto quando hanno combattuto la Chiesa gli Hohenstaufen, e come, finalmente, hanno visto la testa bionda dell’ultimo Hohenstaufen rotolare sotto la scure del boia! Hanno visto molte dinastie sorgere e cadere sui troni d’Europa. Hanno visto sorgere i Carolingi, i Capetingi, ed i Valois. dei signori sassoni, danesi e normanni d’Inghilterra; delle famiglie dei Plantageneti, dei Lancaster, York, Tudor e Stuart. Hanno visto l’ascesa dei mongoli e degli zar di Russia; hanno visto i Romanov e i Gottorpo. Hanno visto gli Arpadi, gli Angiò, gli Asburgo, gli Orléans, gli Angulema, i Borboni. Hanno visto il Re Sole nel pieno del suo sfarzo; ma hanno anche ascoltato le parole che un grande oratore, Massillon, pronunciò sulla bara di quel monarca: “Fratelli, fratelli miei, sorelle mie, fratelli miei, solo Dio è grande! Hanno visto brillare la gloria di Napoleone e l’hanno vista spegnersi a poco a poco. E non è stata la forza delle armi a sostenere la Chiesa. Dietro non ci sono cannoni, né baionette; solo una promessa divina che aleggia sopra di essa, ed è la parola di Dio, e questa è la parola del suo Fondatore: “Le porte dell’inferno non prevarranno mai“.

(b) La promessa di Cristo si realizzerà anche in futuro.

– Verrà mai un giorno in cui il Papato perirà? … potrebbe chiederci qualcuno. Risponderemmo, con tutti coloro che sanno studiare la storia: non sembra che sia in via di estinzione. In passato ha saputo resistere a tutte le eresie, a tutti gli scismi, a tutte le rivoluzioni e agli intrighi umani; ai nostri giorni cresce ai nostri occhi e diventa sempre più forte. Quanto più spaventosamente le onde di un mare ruggente, pieno di neri presagi, sballottano il mondo, tanto più fiduciosamente sollevano il clamore del loro sguardo verso l’unico punto fermo che non vacilla, all’unica luce che ancora risplende imperterrita in mezzo al cataclisma, all’unico potere che rimane saldo. – Chi sa studiare la storia è obbligato a meditare sulla forza misteriosa che, superando tutti i calcoli di probabilità, e persino in mezzo a troni e regni in disfacimento, solleva in alto, con bellezza incontaminata e con una forza di attrazione sempre maggiore, il pontificio Trono. Se possiamo parlare di miracoli nella storia, dobbiamo chiamare un miracolo questa salda istituzione del Pontificato, che rimane quando tutto il resto soccombe e non proprio nella calma dell’Oriente, che finora ha goduto di una certa immobilità, ma in mezzo ai continui sconvolgimenti e turbamenti dello spirito europeo. Sicuramente il famoso storico anglicano MACAULAY pensava a tutte queste cose, quando scrisse le seguenti belle parole: “Quale istituzione, con l’eccezione della Chiesa cattolica, che sia stata testimone di quei tempi in cui dal Pantheon saliva ancora il fumo dei sacrifici e quando leopardi e tigri ruggivano nell’anfiteatro di Flavio? Le case reali più orgogliose risalgono a ieri, se le confrontiamo con la serie dei Papi. La repubblica di Venezia era quella che più si avvicinava al Pontificato. Ma la repubblica veneziana, molto poco in confronto al potere dei Papi, scomparve per sempre, e il Papato sussiste. E sussiste non nella decadenza o come un residuo antiquato di tempi che non sarebbero mai più tornati, ma traboccante di vita e di forza giovanile. E non c’è il minimo segnale che indichi la fine di questo lungo regno della Chiesa cattolica … Questa Chiesa ha visto l’origine di tutte le forme di governo e di istituzioni religiose che esistono oggi nel mondo, e non siamo sicuri che non sia chiamata a vederne la fine di tutte. Questa Chiesa era grande e rispettata già prima che gli Anglosassoni mettessero piede nella terra di Britannia e prima che i Franchi passassero il Reno; ed era grande e rispettata quando gli accenti dell’eloquenza classica risuonavano ancora in Grecia e nel tempio della Mecca si adoravano idoli pagani. E può anche darsi che sia ancora in piedi, con il vigore di una giovinezza intatta, quando un giorno qualche viaggiatore della Nuova Zelanda, in mezzo ad un deserto, si appoggerà ad una colonna crollata del London Bridge per disegnare le rovine del tempio di San Paolo”. – È la trasposizione nel linguaggio di uno storico di queste parole senza tempo della Sacra Scrittura: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa“. (MACAULAY: Saggi critici e storici. Lipsia, 1850. Volume IV, p. 98).

* * *

Chi può dire cosa riserva il futuro se non Dio, che conosce ogni cosa? Verrà mai un giorno in cui il Pontificato riacquisterà tutto il lustro e il potere che aveva  nel Medioevo, o verrà un tempo in cui il Papa sarà di nuovo povero, come il Papa è stato nel Medioevo, povero, povero come Pietro, e vagabondo e senza una patria dovrà predicare Cristo? Non lo sappiamo. Ma una cosa la sappiamo di sicuro:

Sappiamo che ci sarà un Papa finché ci sarà un uomo sulla terra.

Come facciamo a saperlo? Perché, molto semplicemente, finché ci sarà un uomo sulla terra, avrà un cuore umano con una fame di nobile e di bello, e avrà un’intelligenza con una fame di verità, e avrà un’anima sempre insoddisfatta, che non potrà essere placata né da radio, né da aeroplano, o qualsiasi altra meraviglia della tecnologia futura, (né dal transumanesimo distopico – ndr. -) né dalle meraviglie della tecnologia futura, ma avrà voglia di Dio … e finché ci sarà un uomo sulla terra, un uomo che anela a Dio, la Chiesa cattolica, che è l’unica scelta da Dio per comunicare con l’uomo, deve restare in piedi, ed il Pontificato, cioè la solida roccia su cui si fonda la Chiesa, deve stare in piedi. – Per mille e novecento anni i più grandi odi della storia si sono infranti contro questa solida roccia, e ci sono stati attacchi, guerre e persecuzioni incessanti; ma è essa rimasta salda, ferma ed incrollabile, vedendo la nascita e la morte nei secoli di dinastie, e l’ascesa e la caduta di Nazioni. Le sue fondamenta più profonde sono perse nel divino e non c’è nessun potere in grado di raggiungere quelle fondamenta. La mano di Dio, che la difende, è troppo alta perché la malvagità umana possa raggiungerla. La roccia si erge ancora, la Chiesa si erge ancora, salda su quella roccia. E da quella salda roccia, come un faro dell’eternità, si leva la fiaccola della luce che è tenuta dalle mani di Pietro, il pescatore. E per quanti numerosi millenni la terra possa esistere, quella fiaccola divina non cesserà mai di brillare, coronata da una triplice corona di spine pungenti, fino a quando lo splendore di quella luce non si perderà nei bagliori del grande giorno del Giudizio. Fino a quando non si perderà nel suono delle trombe angeliche, la voce di Pietro, il pescatore, risuonerà, guidando i mortali. Perché le parole di Gesù Cristo sono eterne: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa“. E le porte dell’inferno non non prevarranno contro di essa.

[Nota redazionale: Questo dovrebbero ben considerare gli usurpanti apostati che occupano truffaldinamente il Soglio di S. Pietro, e tutti i poteri mondialisti guidati dalle bestie massoniche dei kazari, tutti i governanti attuali di Nazioni schierate compatte contro la Chiesa di Cristo, Nazioni apparentemente tra loro antitetiche ma in realtà tutte unite nella unica feroce lotta contro Cristo ed il suo Vicario (si, la Cina, la Russia, l’Impero anglo-americano, l’India, tutta la Comunità europea, sono tutti diretti dallo stesso manipolo di burattinai che tirano i fili come ai pupazzi siciliani). Cosa pensate di poter fare perché Dio non vi distrugga all’improvviso e proprio quando penserete di aver raggiunto i vostri obiettivi? Credete forse di poter uccidere Dio immortale e distruggere la sua Chiesa? Se oggi avete il controllo apparente del Vicario di Cristo, relegato all’impotenza forzata e sacrilega dalla vostra malvagità, questo è solo perché Dio vi dimostrerà l’insensatezza dei vostri pensieri e … irridebit vos. … si riderà dei vostri progetti che sfumeranno in un solo attimo lasciandovi sbigottiti, ma nel contempo condannati senza appello in eterno allo stagno di fuoco ove piomberete con la bestia che avrete servito, con i falsi profeti e gli eretici apostati corruttori e millantatori, e con il dragone primordiale degli inferi! Il vostro orgoglio, come quello di Lucifero, e che vi fa paragonare a Dio, sarà miseramente schiacciato da un delicato piedino, quello della Vergine Maria, la Madre del Dio-Uomo e del Corpo mistico di Cristo di cui è parte militante la Chiesa Cattolica guidata da Pietro … et non prævalebunt, allora, oggi e sempre. Convertitevi e salvatevi, siete ancora in tempo!]

TU SEI PIETRO (4)

LA GRAN BESTIA E LA CODA (17)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (17)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XII.

LA STATUA DI NABUCODONOSOR,

GLI UOMINI TUTTI D’UN PEZZO E I FATTI COMPIUTI.

Ricordate, o giovani, quella statua colossale veduta in sogno dal re Nabucodonosor? Capo d’oro, petto e braccia d’argento, ventre e cosce di bronzo, gambe di ferro, e pie’, parte di ferro e parte di creta. Il re guardava e guardava; quand’ecco staccarsi dal monte e rotolare sino ai piè della statua un sassolino; e al primo urto ridurla in frantumi. — Oh come mai un picciol sasso struggere un sì immane colosso? — Non v’accorgete? era di più metalli mal legati fra loro. Oh fosse stato tutto d’un pezzo, il sassolino non l’atterrava di certo. – Gli è per dirvi, che gli uomini a me non piacciono, non paiono uomini veri, se non son tutti d’un pezzo, e d’un colore; cioè fermi, costanti, consentanei sempre a sé medesimi. Questi cosiffatti uomini non c’è sasso, grande o piccolo, che li faccia vacillare. Ma gli altri, che, acconciandosi a tutti i capricci della GRAN BESTIA, mutano idee, parole, fatti, come le brache e la giubba, ad ogni mutar di stagione, son come la statua sopradetta, che ogni sassolino fa crollare; son la veste d’Arlecchino, cucita a cento toppe disuguali: e la porta appunto Arlecchino, vedete! Perché è personaggio tutto da ridere. O vorreste esser uomini da ridere, essere arlecchini anche voi?… No, cari giovani; credete a me, non vi torna conto: la merce è in ribasso. Ce n’ha già tanti degli arlecchini! E son coloro, per lo più, che non solo s’inchinano ai ciarlatani che parlano e ai ciarlatani che scrivono, di che testé vi ho parlato; ma anche alle vicende dei fatti. Uomini, vo’ dire, i quali loro regola di pensare e d’operare pigliano dagli avvenimenti del giorno. Or come non v’ha cosa più incerta e mutabile degli umani avvenimenti, sarà egli a stupire ch’ei riescano arlecchini in grado superlativo? – Frutto di tal sistema è la famosa teorica, che chiamano de’ fatti compiuti, la cui scoperta doveva. Toccare a questo secolo idolatra della forza. Volete che ve ne spieghi? … Ecco: un furbo ma prepotente, un Nabucodonosor qualunque tenta una solenne bricconeria. La gli riesce? Cosa fatta capo ha: bisogna gridargli l’evviva, e tristo a chi osi zittirgli contro. – Ma a questa stregua (voi dite) dovrassi gridar viva all’assassino, anzi alla tigre che sbrana il viandante? … — Ma! Che ne so io? Dimandatene ai ciarlatani. – Io dico che questo è il peggiore degli scandali, plaudire ai tristi fatti, e che di questo scandalo, il mondo, dall’alto al basso ne è pieno. Or voi, se a cosiffatto scandalo non volete soccombere, adusatevi per tempo ad aver sempre per regola del vostro pensare ed operare, non il fatto mutabile e contingente, ma la ragione e la fede che mai non muta. Solo a tal condizione riuscirete uomini tutti d’un pezzo, da reggere, non ai sassolini soltanto, ma ad ogni grandine di sassi vi scaglino addosso gli amici della BESTIA, i ciarlatani del mondo. – Del resto il mondo, vedete, fu sempre sossopra lo stesso; umile adoratore della forza e de’ fatti compiuti. Guardate Gesù Cristo. Quando lo videro preso, condannato, inchiodato e morto su una croce, i più crollarono il capo e dissero: — Ormai siam chiari: ei non era che un uomo. — E l’inganno fu sì generale, che per poco non vi cascarono gli stessi discepoli. Quei d’Emmaus: Nos sperabamus! — Sclamavano mesti e sfiduciati; quasi volesser dire: – Fummo corbellati per bene! — Ecco i giudizi regolati sul fatto. Ma intanto che avvenne? Passavano pochi anni, e quel Cristo, a cui davan torto perché s’era lasciato crocifiggere, abbatteva l’idolatria, conquistava il mondo. – Simile accadde nei primi secoli del Cristianesimo. I Cristiani erano oppressi, perseguitati, uccisi a milioni dai Nabucodonosorri del romano impero. — Dunque han torto, dunque e’ sono una man di scellerati, dunque: morte ai Cristiani! I Cristiani alle fiere! -— urlava il popolazzo, Ecco logica del mondo! – E forsechè da que’ tempi in qua il mondo ha cambiato vezzo o natura?… Quando a’ principii del secolo ci saltò sul collo quel gran demonio di Napoleone, chi seppe tenersi dall’incensate e dagli applausi? I preti (ce l’ha detto Balbo) e co’ preti pochi altri che ricusarono curvar le ginocchia innanzi a Baal. Del resto neppur certi ingegni, neppur gli scrittori nostri, neppur. quel gran poeta che fu Vincenzo Monti stette saldo alle mosse. E me ne spiace, povero Monti! che, oltre l’alto ingegno, aveva un’anima bella, un cuor d’oro. Ma era debole, e sì lasciò spaventare dalla BESTIA, si lasciò imporre dai fatti; e così, dopo aver levato a cielo nel Pellegrino apostolico, e nella bellissima cantica in morte di Baswille, Roma cristiana e la Religione, e il Papa; si lasciò tirare a scrivere in servizio di Napoleone, certi versacci; che poi ebbe a provarne rimorso e rossore. – O vedete, giovanetti miei! Se persino i Monti cascano, che vorrà essere delle basse colline !… – Che se poi dal primo Napoleone volessi far salto al terzo, e dal terzo a questi giorni nostri … Quasi quasi mi vien voglia d’aprirvi anche una volta la mia Lanterna magica; ma la è un tantino pericolosa; lasciamola lì. E poi; e poi se la riapro dove si va a finire con questa benedetta CODA ?…. – Sicché, per far più presto e non abusare più avanti della vostra pazienza, vi dirò: cari giovani, datevi un’occhiata dattorno: che fatti si presentano al vostro sguardo? … Non vedete? In Russia i Cattolici polacchi pigliati a schioppettate, perché credono che il Papa è Papa: in Prussia Vescovi e preti spogliati, imprigionati, esigliati, perchè credono che il Papa è infallibile; in Isvizzera suppergiù le stesse delizie, e per soprassello i parroci deposti, cacciati dalle loro parrocchie: da ultimo persino al di là dei mari, nel lontano Brasile, castigarsi un Vescovo perché osò dire scomunicati i framassoni. — Ecco i fatti, ecco la forza. E i burattini, gli arlecchini, i ciarlatani, i devoti dei fatti compiuti… o cheti, o batter le mani. – Ma lode a Dio, che accanto a tanta viltà ecco levarsi maestoso l’eroismo degli uomini forti, degli uomini tutti d’un pezzo, che negano adorare lo BESTIA. Ecco i Cattolici polacchi di Dziéelow; di Dolhi, di Pratolina far siepe de’ lor petti alle lor chiese’ minacciate, e gridare agli incalzanti soldati: — tirate pure; non apostateremo giammai! — e cader morti a diecine. Ecco l’arcivescovo di Posen Ledokowski spogliato, multato, condannato, avviarsi sereno e tranquillo alla prigione d’Ostrowa fra il plauso de’ suoi Cattolici e de’ suoi Vescovi; che pubblicamente si dichiarano parati con lui in carcerem et in mortem ire. Ecco il Nunzio pontificio Lachat, e il vescovo di Ginevra Mermillod, ecco i parrochi, della libera Svizzera multati e proscritti, scuoter la polvere de’ loro calzari e pigliare animosi le vie dell’esilio: ed ecco i lor fedeli parrocchiani, il dì della festa, varcare a migliaia il confine per vedere ed ascoltare i pastori loro strappati dalla forza. Ecco il giovane Vescovo di Pernambuco, Oliveira, accoglier pentiti a’suoi piedi ben dugento franco-muratori, e lieto di tanta vittoria darsi in mano a’ suoi nemici. Ed ecco, ecco da ultimo, nel bel centro di questa cara nostra Italia, un santo e fortissimo Pontefice che a castigo dell’Infallibilità che Dio gli ha data, i potenti della terra hanno abbandonato; levarsi gigante sul mondo accasciato appié della forza, e coll’immutabile parola; coll’ammirabile esempio, ispirare a migliaia di Vescovi, di preti, dì fedeli il suo stesso eroismo. — Questi, o carissimi giovani, questi i fatti che rigenerano il mondo, questi gli esempi che dovete imitare.

CONCLUSIONE

Qui fo punto, o cari giovani, non senza pena di lasciarvi di lasciarvi, ma non senza una dolce speranza che torneremo a parlarci un’altra volta. Vi ho mostrato in due libretti, quanto brutta e feroce e schifosa la GRAN BESTIA dell’umano rispetto, e vi ho incuorato a combatterla animosamente; vi ho scaltriti intorno alle difficoltà e ai pericoli di questa battaglia, vi ho additate e quasi messe in mano l’armi più acconce a riuscir vincitori; finalmente vi ho mostrato quanto vili e miserabili e schifosi coloro che alla BESTIA s’inchinano e le bruciano incensi, come al contrario quanto forti e generosi quegli altri, che riescono combattendo senza posa, ad abbattere il mostro e metterselo sotto i piedi. — Ora a voi tocca, o giovani cari, la scelta. Volete abbandonare l’onorata schiera dei valorosi e dei forti, per imbrancarvi cogli abbietti e coi vili?… No, no; eternamente no! Troppo generosa anima avete. Voi ve la terrete coi firti. Vi toccherà faticare; soffrire, combattere; ma n’avrete, certo e soprabbondante ristoro, la più bella, la più splendida delle vittorie. Udite ancora un esempio… – Quel Nabucodonosor; di cui sopra ho parlato, aveva a volte di strani e terribili capricci. Già pativa della malattia del Dio-Stato; una malattia cui van soggetti i re; specie a’ dì nostri; e com’essi de’ Cattolici che si inchinano al Papa, così egli adombrava di quegli Ebrei che osavano adorare il Dio d’Israele. — Che Dio d’Israele (disse un giorno). Qui non ci ha altro Iddio fuori di me. E detto fatto, ordinò una statua, non già quella che aveva sognato, composta di tanti metalli, ma tutta di fino oro, alta la bagatella di sessanta cubiti, che rappresentava la sua divina persona. E fattàla collocare in mezzo a una grande pianura, e convocati alla festa della dedicazione i satrapi, i principi, i prefetti, i magistrati e gli altri dignitari dell’impero, fra un’onda immensa di popolo; comandò che al suon della reale fanfara tutti dovessero prostrarsi a terra e adorarla, sotto pena di esser gettati in una ardente fornace. Demonio d’un re! Gli ordini furono appuntino eseguiti. Nella gran pianura di Dura fa eretta la statua, convennero principi e popolo, suonò la fanfara, e giù tutti colla fronte per terrra. Solo tre giovanetti ebrei (quanto mi piace pensar erano giovani!) stettero’ ritti in piedi dando in giro con occhio di compassione, e di sprezzo all’immensa pianura, tutta gremita di schiene curve, come di vili, giumenti. E ci fu chi li adocchiò in quell’atto; e acceso di un santo zelo per la gloria del dio-re, corse ad informarnelo. – Sappi, o re, che i giovinetti ebrei Anania, Azaria e Misaele non hanno adorata la tua statua. — Il re li fa chiamare: — È vero che vi ricusate d’inginocchiarvi alla mia statua? — Vero (rispondono a fronte alta e sicura); perocché noi non adoriamo che un sol Dio, il Dio d’Israele. E quanto a quella tua statua… gli è inutile che ci comandi, non l’adoreremo in eterno. — Il re monta sulle furie; ordina s’accenda la fornace sette volte più del consueto, fa prendere e legare i giovani, e così belli e vestiti com’erano, gettarveli dentro. Voi sapete il miracolo. Quel fuoco non ebbe sui giovanetti altra efficacia che di bruciar le funi che li tenevano avvinti, e così liberi e sciolti se la passeggiavano tra le fiamme stridenti come in prato di fresca verzura, lodando e benedicendo il Signore finché cavati di là entro, si trovò che il fuoco non avea bruciato loro nemmeno un capello. Di che que’gran principi e satrapi e magistrati, che poc’anzi s’erano inchinati alla statua, e lo stesso re superbissimo, dovettero inchinarsi a loro che avean ricusato inchinarsi. – E così accadrà pure di voi, miei cari giovani se terrete alta verso il cielo la fronte, negando piegarla davanti al simulacro della BESTIA. Lasciate  pure che tutti s’incurvino, lasciate che ridano di voi e della vostra ostinazione a tenervi su ritti, mentre tutti strisciano a terra; nessun male potran farvi; anzi, o tosto o tardi, saranno lor malgrado costretti a rendervi giustizia: mentre voi, operando francamente il bene, n’avrete le benedizioni di tutti gli uomini di buona volontà, e tocco il termine di vostra mortale carriera, potrete presentarvi a Dio e dirgli con santa fiducia: — Signore, non ho servito che a voi:

— Amen, amen, amen !

FINE.

VIVA CRISTO RE (21)

CRISTO-RE (21)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXVI

AVE, REX!

In quest’ultimo capitolo vorrei presentare l’immagine di “Cristo Re” come in un quadro generale. Vorrei dipingere l’immagine divina e offrirla come promemoria ai miei lettori, che potrebbero dover combattere dure battaglie nella loro vita. Perché noi Cristiani non possiamo essere deboli. Se gran parte della società dimentica completamente Cristo, dobbiamo rimanere fedeli, dobbiamo mantenere la parola data al nostro Re. Guardiamo a Lui, dunque, ancora una volta, perché da questo dipende la nostra vita. Signore, cosa pensavano di Te gli uomini durante la tua vita terrena? Signore, cosa hanno pensato di Te gli uomini durante i due millenni di storia cristiana? Signore, cosa penso io di Te? Queste sono le tre domande su cui dobbiamo meditare.

I

Se studiamo i Vangeli, vedremo, non senza stupore, che le opinioni degli uomini su Cristo erano già divise durante la vita mortale del Salvatore. Egli ha sempre avuto amici e nemici; molti ammiravano le sue parole e le sue azioni; alcuni lo seguivano con entusiasmo; altri si spingevano a dire che: Egli opera “agli ordini di satana”, che “seduce il popolo”. Quale può essere la causa di queste opinioni antagoniste? Nella persona di Gesù Cristo c’erano contrasti, in lui si univano tratti straordinari; forse per questo le opinioni sulla sua figura erano così diverse. Conosciamo già il segreto del mistero; sappiamo già che Gesù Cristo era Dio e anche uomo; lo confermano i contrasti altrimenti incomprensibili che si intrecciano nella sua vita. Ma i suoi contemporanei non lo sapevano come noi, anche se dovevano scoprirlo, perché non mancavano i mezzi per farlo. Vedevano ad ogni passo che la vita di Gesù Cristo era piena di contrasti ammirevoli. Ne citerò solo alcuni…. – Quando nasce, è così povero che nemmeno la mangiatoia in cui giace è sua. Ma, d’altra parte, una stella luminosa brilla sopra di Lui e porta i Magi ad adorarlo. È nascosto in una stalla, nessuno sa di Lui. D’altra parte, un coro di Angeli scende dal cielo e canta il Gloria al Bambino sconosciuto. Egli riesce a malapena a muovere le sue manine, tanto meno a fare del male con esse, eppure lo cercano per metterlo a morte. Ma gli Angeli lo proteggono nella sua fuga. Chi sarà mai questo Cristo, forse un semplice uomo? C’è di più: Non è andato a scuola, eppure a dodici anni insegna agli anziani del villaggio, che si stupiscono della sua saggezza. È sempre stato un figlio obbediente, eppure rimane nel tempio senza permesso; e quando i suoi genitori lo trovano, dice loro che doveva stare nella casa di suo Padre. Chi può capirlo, chi può essere questo bambino? Vive nascosto per trent’anni, pochi lo conoscono e quando inizia ad insegnare, gli bastano tre anni per provocare un tale movimento spirituale che né prima né dopo di Lui la storia ha registrato un altro simile. San Giovanni Battista predica il perdono e battezza nel deserto. Cristo va da lui e si fa battezzare, come gli altri peccatori. Ma nello stesso momento si aprono i cieli e si ode la parola del Padre celeste: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt III,17). Chi capisce queste cose? È povero, non ha nulla, non ha dove posare il capo. Eppure dice a ciascuno dei suoi apostoli: Lasciate tutto per me; abbandonate la vostra casa, vostro padre, i vostri fratelli, tutto ciò che possedete… per me. E gli uomini eseguono il suo comando senza esitare, solo per amore suo. I malati sono guariti quando sentono il tocco della Sua mano. La persona su cui posa il suo sguardo si riveste di luce. Comanda al mare agitato e questo, come un cane sottomesso, obbedisce immediatamente e si calma. Fa sentire la sua voce davanti a una tomba, e il sangue coagulato comincia a circolare e il cuore morto a battere. Trema sul Monte degli Ulivi, ma poi, con una sola parola, fa crollare a terra un intero gruppo di soldati. Muore abbandonato, deriso, e nello stesso momento il centurione pagano esclama: “Veramente questo era il Figlio di Dio” (Mt XXVII, 54). Lo mettono in un sepolcro, lo chiudono; ma il sepolcro non può contenerlo…. Lo riporta in vita. Avete mai visto un uomo simile? Ma ditemi: era una vita umana? No. Come il cielo si eleva al di sopra della terra, così la vita di Cristo supera i limiti di una semplice vita umana.

II

E se le opinioni degli uomini su Cristo erano già divergenti a quel tempo, lo stesso vale nel corso dei due millenni cristiani. Da quando la croce di Cristo è stata innalzata sulle cime del Golgota, essa si è posta come un gigantesco punto interrogativo davanti agli occhi degli uomini. Quel Cristo dalle mani trafitte ha scosso l’asse della terra dai suoi cardini, e da allora non c’è nome che risuoni nel mondo intero quanto il santo Nome di Gesù Cristo. Soffermiamoci su questo Nome mirabile: Gesù Cristo. Un Nome composto da due parole di una lingua che non si parla più. Eppure non c’è parola più conosciuta e più amata. Un fenomeno prodigioso: di Cristo non si può fare a meno; pro o contro di Lui, tutti gli uomini devono prendere posizione per Lui. Ha sempre avuto amici. Cristo è una calamita prodigiosa che attrae prodigiosamente. Egli è il centro della storia, tutto ruota intorno a Lui. I re egizi costruirono grandi piramidi I re egizi costruirono grandi piramidi; gli antichi monarchi eressero enormi edifici, e i loro nomi oggi sono solo ricordi, e le loro opere giacciono in rovina; ma Gesù Cristo rimane un segno di contraddizione. Quanti grandi uomini ci sono stati! Uomini potenti che hanno governato grandi imperi; e chi li ricorda? Quanti saggi ci sono stati! Ma poi ne sono venuti altri che li hanno superati. Di Lui solo, il Figlio dell’umile falegname, tutto il mondo parla ancora oggi, ed è l’unico che non è stato superato. – È il centro dell’universo. Non solo fa parte della storia, ma senza di Lui la storia stessa non ha senso. Con Lui gli anni cominciano ad essere contati, perché ha cambiato il mondo. Tutto passa, tutto finisce in delusioni, disillusioni, tutto invecchia…; ma la parola di Cristo non passa di moda, la figura di Cristo continua ad affascinare le anime. Nessuno odia un personaggio che non esiste più. Ma Cristo continua a suscitare nemici. Duemila anni dopo la sua morte è ancora presente; è ancora odiato e ancora amato. Non è solo uomo. Per quanto grande, buono, nobile o cattivo possa essere un uomo, poche settimane, mesi o anni dopo la sua morte, chi lo ama o lo odia ancora? Chi odia oggi l’imperatore Nerone, che ha fatto scorrere tanto sangue? Chi odia il Khan Batu, che ha invaso l’Ungheria e l’ha devastata? Chi odia ancora il sultano Solimano? Eppure sono tutti vissuti più tardi di Cristo. Non importa. Sono morti, e questa è la fine dell’odio. Oppure: chi ama ancora gli uomini più eccelsi? Aristotele, Platone, gli eroi nazionali: chi li ama ancora? Sono morti. Rendiamo omaggio alla loro memoria, ma li amiamo? Cristo è amato e odiato anche oggi. Non sentiamo forse bestemmie terribili contro Cristo? Non vediamo a volte gli occhi di un demonio riempirsi di sangue quando sente parlare di Cristo o del Cristianesimo? Non è evidente come la nostra Religione, la Religione di Cristo, sia perseguitata? Non è forse un odio satanico contro Cristo, un odio che si fa beffe della sua dottrina e vuole sterminare il suo amore nelle anime, che ribolle in migliaia e migliaia di libri, di conferenze, di giornali? Non è forse un odio contro Cristo la manifesta frivolezza moderna e pagana? Non conosciamo i misteri dell’odio che riempiono le logge massoniche? Colui che viene odiato con tale intensità anche dopo duemila anni, non è solo l’uomo. Quanti cosiddetti messia sono apparsi per cercare di allontanare Cristo dalle anime! Ma senza successo, non ci sono riusciti. Quante volte si è detto: il Cristianesimo ha cessato di esistere, la dottrina di Cristo non è più seguita… E in poco tempo la Chiesa si rinnova e torna a splendere con nuovi frutti. Cristo ha sempre avuto nemici… che non potevano prevalere contro di Lui. Cristo è sempre stato l’ideale adorabile degli uomini di ogni epoca. Grazie a Lui abbiamo conosciuto il valore di un’anima, perché ha dato se stesso per salvarla. Grazie a Cristo sappiamo di essere chiamati alla vita eterna. Se potessimo raggruppare nella nostra immaginazione tutti i discepoli di Cristo che sono esistiti in questi duemila anni di Cristianesimo e metterli in processione, che immensa processione formerebbero! Quanti bambini, giovani, fanciulle, santi, peccatori pentiti…! Gesù Cristo continua a sfidare le persone. Nessuno può rimanere indifferente a Lui. Da quando Nostro Signore Gesù Cristo è apparso sulla terra, l’umanità si è divisa in due campi. Ci sono uomini che, all’udire il Santo Nome di Gesù, chinano il capo e si inginocchiano; ci sono altri che lo rifiutano. Questo lo vedo facilmente. Ci sono uomini che, passando accanto a me, ministro di Cristo, mi salutano con rispetto: “Lode a Gesù Cristo”. Salutano me? No, non mi conoscono, salutano Cristo. E ci sono altri che, passando accanto a me, sputano con disgusto per terra. È me che odiano? No, nemmeno loro mi conoscono, odiano Cristo. Ci sono quelli che dicono che Cristo è il più grande ideale che si possa concepire; ci sono quelli che dicono: “Che me ne importa di questo Gesù, che cosa ho a che fare con Lui? Ci sono milioni di uomini che si preoccupano di Lui con un amore mai eguagliato; ci sono anche milioni di uomini che lo odiano. È un fatto strano e sorprendente, degno di essere meditato. – Anche Cristo è amato. Quanti sono coloro che ogni giorno gli dicono dal profondo del cuore: “Gesù mio, ti amo”. E quanti sono i giovani che danno la vita per Lui, lasciando tutto? Colui che, duemila anni dopo la sua morte, è ancora amato con tale fervore, non può essere solo un uomo.

III

E così arriviamo alla terza domanda, la più decisiva, la più importante: che cos’è Cristo per me? Perché la cosa più importante per me non è sapere cosa gli altri uomini hanno pensato di Cristo, ma la risposta a questa domanda: cosa penso io di Cristo? Chi è Cristo per me? Rispondo con tre parole: 1° è il mio Signore; 2° è il mio Re; 3° è il mio Dio. – Il mio Signore! Dobbiamo acconsentire e cercare di lasciare che Cristo prenda possesso della nostra anima. Gesù cercò i suoi discepoli un giorno sul lago di Gennesaret, tra gli esattori delle tasse e sulle barche da pesca. Oggi li cerca in altri luoghi: nell’officina, nella scuola, nell’ufficio, nella fabbrica, nella cucina, nelle aule. Non c’è capanna, per quanto umile, non c’è palazzo in cui Gesù non cerchi discepoli, giovani e fanciulle, uomini e donne, vecchi e bambini. TUTTI SIAMO VOLUTI… per essere suoi discepoli. Quale dovrebbe essere la mia risposta? Mio Signore! Mio Maestro! Eccomi, sono tuo! Fai di me quello che vuoi. Quando sono appesantito dalla pesante croce della vita, so pronunciare con fervore queste parole: Dolce Gesù, è per il tuo amore! Quando la tentazione mi invita a peccare, so pronunciare con decisione incrollabile queste parole: “Mio Gesù, no, non voglio peccare; resisto per amor tuo! Quando faccio fatica a fare il mio dovere, sono in grado di dire: “Gesù mio, lo faccio per Te”? So come dirlo, lo dico? Allora Lui è il mio Signore. – Cristo è anche il mio Re. Egli ha già un regno quaggiù, il regno delle anime. Ovunque ci sia un uomo che aspiri alla santità, che lotta contro il peccato; ovunque ci sia un uomo che dimentica se stesso ed esercita la carità…, lì Cristo ha il suo regno, lì è il Re. – Cristo è anche il mio Dio. È il mio Dio, che adoro. Cerco di immaginare la sacratissima umanità di Cristo. Bacio con fervore le sue ferite, che sanguinano per me. Guardo con gratitudine la sua fronte cinta da una corona di spine… Voglio riparare in qualche modo a ciò che gli ho fatto. Questo deve essere Cristo per me. Il battito del mio cuore deve stare al passo con il suo; i suoi desideri devono essere i miei desideri; devo amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Arrendersi in modo assoluto. Adorazione. Egli è il mio Dio. Cristo è il mio Dio e il mio tutto, lo credo fermamente! Che Cristo non mi rimproveri per ciò che è scritto nella cattedrale di Lubecca:

“Voi mi chiamate Maestro – eppure non mi chiedete.

“Mi chiamate luce – eppure non mi vedete.

“Mi chiamate verità – e non mi credete.

“Mi chiamate via – e non andate per questa via.

“Mi chiamate vita e non mi desiderate.

“Dite che sono saggio e non mi seguite.

“Dite che sono bello e non mi amate.

“Dite che sono ricco – e non mi chiedete.

“Dite che sono eterno e non mi cercate.

“Dite che sono misericordioso – e non vi fidate di me.

“Dite che sono nobile – e non mi servite.

“Dite che sono onnipotente e non mi onorate.

“Dite che sono giusto – e non mi temete”.

Che cos’è dunque Cristo per me? Una persona viva; una vita che continua, in cui vivo, che è in me; una vita che mi accompagna; una vita da cui non posso liberarmi. Non posso, né voglio. Egli tende le sue braccia, è con me giorno e notte; quando lavoro, mi aiuta; quando piango, piange con me. Cristo, Tu sei il mio Signore, Cristo, Tu sei il mio Re, Cristo, Tu sei il mio Dio! – Tu, mio dolce Gesù, mi hai sostenuto nelle battaglie della mia giovinezza, hai perdonato i miei peccati, mi hai nutrito con il tuo sacrosanto Corpo? Grazie, mio Dio.

“Ave, Rex!” Ave, Re divino, Nostro Signore Gesù Cristo!

[Lettera Enciclica “Quas primas” di S. S. Pio XI]

Nella prima Enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. – Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile; nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. – Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la sua Chiesa, che sola può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie dell’obbedienza.

L’Anno Santo e il Regno di Cristo

E tutto quello che accadde e si fece, nel corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro supremo Re e Signore? – Infatti, la Mostra Missionaria Vaticana quanto non colpì la mente e il cuore degli uomini, sia facendo conoscere il diuturno lavoro della Chiesa per la maggiore dilatazione del Regno del suo Sposo nei continenti e nelle più lontane isole dell’Oceano; sia il grande numero di regioni conquistate al cattolicesimo col sudore e col sangue dai fortissimi e invitti Missionari; sia infine col far conoscere quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere al soave e salutare impero del nostro Re. E quelle moltitudini che, durante questo Anno giubilare, vennero da ogni parte della terra nella città santa, sotto la guida dei loro Vescovi e sacerdoti, che altro avevano in cuore, purificate le loro anime, se non proclamarsi presso il sepolcro degli Apostoli, davanti a Noi, sudditi fedeli di Cristo per il presente e per il futuro? – E questo Regno di Cristo sembrò quasi pervaso di nuova luce allorquando Noi, provata l’eroica virtù di sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento esclamò: Tu Rex gloriæ, Christe!  – Poiché, mentre gli uomini e le Nazioni, lontani da Dio, per l’odio vicendevole e per le discordie intestine si avviano alla rovina ed alla morte, la Chiesa di Dio, continuando a porgere al genere umano il cibo della vita spirituale, crea e forma generazioni di santi e di sante a Gesù Cristo, il quale non cessa di chiamare alla beatitudine del Regno celeste coloro che ebbe sudditi fedeli e obbedienti nel regno terreno. – Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare, il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo, inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non avrà mai fine», proclamò la dignità regale di Cristo. – Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. – Questa cosa Ci reca tanta gioia che Ci spinge, Venerabili Fratelli, a farvene parola; voi poi, procurerete di adattare ciò che Noi diremo intorno al culto di Gesù Cristo Re, all’intelligenza del popolo e di spiegarne il senso in modo che da questa annua solennità ne derivino sempre copiosi frutti.

Gesù Cristo è Re

Gesù Cristo Re delle menti, delle volontà e dei cuori

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovreminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana (Supereminentem scientiæ caritatem) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

La Regalità di Cristo nei libri dell’Antico Testamento.

E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe,, eche dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra. Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro di rettitudine è il tuo scettro reale». – E per tralasciare molte altre testimonianze consimili, in un altro luogo per lumeggiare più chiaramente i caratteri del Cristo, si preannunzia che il suo Regno sarà senza confini ed arricchito coi doni della giustizia e della pace: «Fiorirà ai suoi giorni la Giustizia e somma pace… Dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino alla estremità della terra». A questa testimonianza si aggiungono in modo più ampio gli oracoli dei Profeti e anzitutto quello notissimo di Isaia: «Ci è nato un bimbo, ci fu dato un figlio: e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile, Consigliere, Dio forte, Padre del secolo venturo, Principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da ora ed in perpetuo». E gli altri Profeti non discordano da Isaia: così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide «regnerà e sarà sapiente e farà valere il diritto e la giustizia sulla terra»; così Daniele che preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo, regno che «non sarà mai in eterno distrutto… ed esso durerà in eterno» e continua: «Io stavo ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto». E gli scrittori dei santi Vangeli non accettano e riconoscono come avvenuto quanto è predetto da Zaccaria intorno al Re mansueto il quale «cavalcando sopra un’asina col suo piccolo asinello» era per entrare in Gerusalemme, qual giusto e salvatore fra le acclamazioni delle turbe?

Gesù Cristo si è proclamato Re

Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re, che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il suo Regno non avrebbe avuto fine  vediamo che Cristo stesso dà testimonianza del suo impero: infatti, sia nel suo ultimo discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti, colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re, e pubblicamente confermò di essere Re  e annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo e in terra. E con queste parole che altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e l’estensione immensa del suo Regno? – Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni «Principe dei Re della terra», porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti». Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale, è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici. – Da questa dottrina dei sacri libri venne per conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto; come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che «le norme della preghiera fissano i principi della fede». Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza»; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. – Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato». Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo.

Natura e valore del Regno di Cristo

Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. – Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire. – I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità . Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio». Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.

Regno principalmente spirituale

Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. – In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”. – Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio?

Regno universale e sociale

D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli». Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». – Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini». – Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali».

Regno benefico

Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. – In questo senso l’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini». Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. – In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. – Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri”» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?». – Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».

La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Il “laicismo”

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. – I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina. – Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità. – Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

La preparazione storica della festa di Cristo Re

E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore. – Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo. – A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali. – E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione. – Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano. – In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

L’istituzione della festa di Cristo Re

Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente. – In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quest’Anno Santo. – E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. – Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione. – Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

I vantaggi della festa di Cristo Re

Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. – Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio. – Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti. – La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi. – Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di codeste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana. – Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.

Conclusione

Cristo regni!

È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia”  offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione. – Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria. – Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

[Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto del Nostro Pontificato.]

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (16)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (16)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

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XI

I MAESTRI.

E non solo scrittori di libri e di giornali ti schizzano addosso il veleno, ma anche talvolta…. ho a dirlo?…. anche talvolta i maestri. Così è, purtroppo! giovani cari; e’ ci ha maestri frammassoni; maestri atei, maestri rotti al vizio, maestri sboccati e villani, maestri i quali, più ché insegnare le lettere e le scienze che debbono, mirano a corrompere nella mente e nel cuore i miseri giovanetti fidati a lor mani. Ahi povere colombe raccomandate alla pietà dello sparviero!… E non son favole che vi conto: oh così fossero!…. Io so d’un ginnasio dove insegnava un toscano, uso per ogni nonnulla a scaraventare sugli esterrefatti scolari maledizioni e bestemmie che tracan foco: ed ebbi ad accapigliarmi con un cotale che il difendeva, perché bestemmiava in pura lingua toscana! So di un altro che a tutte l’ore fa la commedia sul Papa e sui preti. Ricordo di un terzo che in piena scuola diceva cose orribili della Vergine Santissima, spiegando ai giovani misteri ben diversi da quei della Santa Religione. E un quarto, che posta la mira a quelli tra suoi giovani discepoli che ancora usavano a Chiesa, li bersagliava a ogni tratto senza misericordia. Come poi li conciasse all’esame, lascio a voi il pensarlo. — Poveri giovani, poveri giovani! e quando uno di cosiffatti maestri, tocchi, per somma sventura, a voi… poveri giovani, saprete star saldi? saprete combattere; vincere ogni umano rispetto? E ci ha delle città che li tollerano, e delle città che no. In questo secondo caso; sapete come s’usa per lo più? Quando l’indignazione del pubblico trabocca, ed i buoni si lamentano, ed i parenti levano le grida, son rimossi di lì e mandati ad occupare forse miglior posto altrove, certo a corrompere altri giovani sventurati. E pensare chi li paga! Dio, Dio! Che perfidia, che tradimento a giovanetti innocenti! Domandavano un pane da sfamarsi, e voi avete dato loro un serpente che: li, morda e li attossichi. — Ah guai a chi Scandalizza fosse pur un solo di questi piccioli! Meglio con una macina al collo sia sommerso nel profondo del mare! Terribile sentenza! É di Gesù Cristo, non mia. Io domando perdono ai maestri buoni (che sono ancor tanti, grazie a Dio !) di queste gravi e’ sdegnose parole. Ma come non sdegnarsi quando, per lo strazio che si fa dell’anime innocenti ti sanguina il cuore? Anche Gesù benedetto lo vide questo strazio, e, mansuetissimo qual era, non si terne dallo sfolgorarne gli autori. D’altra parte la considerazione del danno ci stimolerà a volerlo riparare, raddoppiando di zelo, di sollecitudini, di fatiche intorno alle care pianticelle affidate alla nostra coltura. O, crescano, crescano sotto i nostri occhi, sempre diritte al cielo; e ci mostrino, dopo il verde delle tenere frondi, tal vaghezza di fiori, e tal abbondanza di frutti, da consolarsene ad un tempo e la Religione e la Patria. – A voi tornando, giovani cari, scolpitevi in cuore questa gran massima del Vangelo: —;, Uno è il maestro nostro Gesù Cristo. — Chi insegna contro a ciò ch’Egli ha insegnato, non è maestro, è corruttore. E non badate se per caso egli abbia scienza, ingegno, eloquenza ed altri somiglianti qualità: dacché le adopera a servizio della menzogna, a rovina dell’anime, è corruttore, non altro che corruttore; è ladro, è assassino delle anime vostre: fur est et latro. Ora venite un poco con me; voglio conosciate a prova, e come a dire, cogli occhi vostri, l’indegnità di cui ho parlato. – Vedete in quella sala, su quella cattedra, quel professorone in abito nero che disserta con tanta gravità? E vedete bell’udienza di gioventù l’assiepa intorno e l’ascolta senza batter palpebra?… Volete sapere chi è e che insegna di bello? È un uomo venutoci d’in Tedescheria, chiamato e largamente pagato del nostro denaro, perché levi i giovani italiani all’altezza de’ tempi, insegnando loro, ch’ei son bestie, e null’altro che bestie. E ci ha degli italiani che gli batton le mani!!! Qui bisogna che mi permettiate un furterello. Dite, cari giovani: conoscete voi Don MENTORE? Quel buon vecchietto tutto cuore pe’ giovani, che li regala ogni anno d’ un libricino a mo’ di strenna?… Bene, gli è appunto d’una di queste strenne che io vo’ diventar ladro, facendole il piccolo furto che ho detto. Benché né ladro io son, né furto è il mio, potrei dire colla Sofronia del Tasso, ed invero, tra D. Mentore e me corre tale intimità da poter chiamarci cor unum et anima una; cosicché io piglio del suo come a pigliar del mio ed egli piglia del mio come a pigliare del suo. Sentite dunque, si tratta d’un bell’esempio intitolato: Buon coraggio. « Taddeo ha la debolezza di passare una mezz’ora al caffè; ci va per qualche ritrovo, o leggere i giornali (ma non i giornalacci, veh!) o a pigliare un rinfresco, che so io! — Meglio non ci praticasse, direte voi. Anzi meglio ci bazzichi un pochino, rispondo io  perché, giovine franco qual è, (vuol dire che non teme la bestia) gli è toccato più volte dare certe lezioncine che…. m’intendo io!  Ci si trovava un giorno con una serqua di bellimbusti dell’università, i quali, adocchiato il Paoletto entrarono per fargli dispetto in certi discorsi da far accapponare la pelle. Figuratevi che Dio, eternità, inferno, paradiso, chiamavano ubbie da medio evo, e levavano a cielo (state attenti: ci siamo) i Magni professori. B e M. i quali avendo dimostrato (asserivano) che nell’ uomo tutto è materia, avevano tolti via una volta gli spauracchi del genere umano. Mentre così trionfalmente la discorrevano, Taddeo stringeva i denti e corrugava la fronte, studiando 1a opportunità d’una risposta; quando a caso capita a passare davanti al caffè un bel vecchietto di prete (era Don Mentore) e Taddeo a fargli tanto di cappello. Alla qual vista i bellimbusti, stringendoglisi attorno incominciarono a sbertarlo di mala grazia, dandogli tutti quei nomi onde sogliono onorare i sedicenti liberali (in ciò non liberali solo ma prodighi) quanti han conservato ancora il buon senso antico e la coscienza cristiana; e conchiudendo tutti ad una voce che un vile era Taddeo, che inchinavasi a un prete. A. quest’insulto Taddeo non seppe contenersi, e fattosi bello d’una santa ira che scintillavagli dagli occhi e gli si dipingeva sulle guance infiammate, rispose agli impudenti così: — Sapete chi è il prete che ho salutato? Quel prete è un uomo che non ha mai offeso né amareggiato persona, neppure i suoi più accaniti nemici; un uomo che la sua vita ha speso e spende tuttavia al sollievo de’ poveri e al bene della gioventù; un uomo che mi ha istruito e educato dalla fanciullezza con senno da filosofo ed affetto di padre… — E che t’ha insegnato quel prete? — l’interruppero i bellimbusti. E Taddeo coll’istessa foga: — Che mi ha insegnato quel prete?… Quel prete mi ha insegnato che c’è un Dio in cielo e che l’uomo è la sua più nobile creatura sulla terra; mi ha insegnato ch’io non sono tutto fango, tutto bestia, come voi; mi ha insegnato che dentro questo fango brilla, qual gemma, un’anima immortale. Ed ecco perché a questo prete cosiffatto io mi inchino, come voi v’ inchinate ai vostri B. e ai vostri M., con questa differenza però, che dal mio inchino io mi rizzo col santo orgoglio d’un figlio di Dio; voi, curvato una volta il dorso davanti a quegli idoli vostri, non potete più rizzarvi, siete bestie e non più. Che vi pare? Sta dalla mia parte o dalla vostra la viltà? — Bravissimo! ben detto! — s’ udirono gridar più voci da ogni parte della sala; e i bellimbusti, mutato discorso, poco dopo se la svignarono di cheto. » E buon viaggio a loro signori! noi, mandata loro dopo le spalle una buona salva di fischi, ci terrem saldi pur qui: che la verità è una; che di questa verità maestro autorevole, perché divino è Cristo, maestra da lui deputata, la Chiesa. A Cristo, alla Chiesa, a quanti insegnano con Cristo e colla Chiesa, c’inchineremo rispettosi; a chi sta contro Cristo, contro la Chiesa, contro la nostra coscienza, no mai! Sarebbe lo stesso che inchinarsi alla GRAN BESTIA, alla quale abbiam giurato guerra mortale, e ai portavoce che le fanno corteo.

LA GRAN BESTIA E LA CODA (17)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (15)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (15)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

X.

ALTRO GENERE DI TROMBE: I LIBRI.

E basti questo breve saggio d’un giornalaccio, con quel poco panegirico che vi ho recitato dei cosiffatti, per farvi persuasi, miei cari giovani, che se vi sta a cuore il bell’ingegno e la bellissima anima che Dio dato, non dovete bere, e spero non berrete mai a fonti sì avvelenate e fangose. — Sta bene; leggeremo libri, non giornali — parmi sentirvi a dire. Buona risoluzione! Ma anche qui, cari giovani, se mi andate colla testa nel sacco, potreste capitar male. Sentite. Io era fanciullo fra i tredici ed i quattordici anni. Già entrato in quella che allora chiamavasi prima Rettorica,e ghiottissimo di leggere, sentii corrermi l’acquolina in bocca a dir cose mirabili, che diceva un mio

compagno, delle poesie di Leopardi. Prima però di procacciarmele volli pigliar mie precauzioni. Un libro nuovo in casa, a dir vero, non mi sarei attentato di portarcelo; ché stavami ancor fitta nella mente una scena, vista da bambino, del babbo, che, trovato un giorno per casa non so che romanzo, n’andò sulle furie, stracciò il libro e ne gittò le pagine al fuoco, dicendo: — I libri che entrano in casa mia gli ho da veder io, gli ho da vedere. Guai a chi ne porta il secondo! — E quel quai fece gelare il sangue nelle vene, non che a’ miei fratelli maggiori, persino a me che non ne capivo nulla; e così fin da quell’età incominciai a quardar certi libri con sospetto. Ora poi, trattandosi di questo che mi veniva tanto lodato, prima di comperarlo o farmelo imprestare, pensai ben fatto

andarne a trovare il mio buon maestro, e: — dica, signor maestro, le poesie del Leopardi son elle proibite? — Proibite (mi rispose) le poesie veramente no, ma…. ma posso leggerle? Certo sì, potresti: ma… ma… ci ho questo benedetto ma, che per amor tuo mi inquieta un tantino. — E guardavami fisso negli occhi. — Oh via! la me lo dica dunque questo ma: la non dubiti; son disposto ad acconciarmi al suo consiglio. — Com’è così, senti, Cecchino mio; a dirtela, quelle poesie son cose belle, nol nego: ma

ora… ti guasterebbero l’umore. Vedi, gli è come se su un bel ciel sereno si stendesse una nuvola scura scura … Stattene colla tua pace, colla tua giocondità giovanile; più tardi leggerai quelle e dell’altre ancora. Ora hai Tasso, hai Monti, hai Dante; Dante, il gran babbo di tutti i poeti, questo sì che ti farà il buon pro! E poi non dimenticare i prosatori, specie del trecento, il Cavalca, il Passavanti, fra Bartolomeo… questi, questi gli scrittori su’ quali devi formarti!… Tenni il consiglio del buon maestro; e più tardi, quando lessi le poesie di quello sventurato poeta, capii quel ma, e ne mandai al mio maestro mille benedizioni. – Queste cose di me vi racconto, o cari giovani, perché  vorrei ispirarvi una gran diffidenza anche dei libri, specie se romanzi, specie se forestieri; e che non vi lasciate tirare alla curiosità, adescare all’eleganza dell’edizione, alle gaie vignette, al buon prezzo… Ahi povera Eva, povera Eva! Perché vagheggiar tanto quel pomo bianco e rosato, ed aspirarne con avidità le soavi esalazioni, e lasciarsi adescare alle melate parole del serpente?… Pareva così ragionevole al parlare! Pareva così dolce a vedere quel frutto! Eppure e’ c’era dentro veleno di morte. – Così siam fatti un poco anche noi, figli pur troppo di madre temeraria e leggera. Si fissa curioso, avido lo sguardo su tutto che è proibito; tant’è, l’ha detto il poeta: nitimur in vetitum; e dietro il guardo vola il cuore; dietro il cuore la mano….Deh! non fermarti a guardare il vino (avverte lo Spirito Santo) quando rosseggia spumando nel bicchiere…Or simili a questo vin traditore, simili al pomo avvelenato di Eva, sono appunto, giovani cari, certe stampe e certi libri messi lì in bella mostra sotto i tersi cristalli delle ricche vetrine a far pompa di sé, a trarre com’esca gli uccelli, l’incauta gioventù. Voi non fidatevi, non fidatevi di ciò che non conoscete; e prima di stender la mano a un libro sospetto, fate capo a un buon consigliere. Il miglior consigliere sarebbe il babbo, se avesse la prudenza e la vigilanza del mio. Ma quanti ci abbadano ai libri? Eppure, se è tempo d’aprire gli occhi, gli è questo nostro per l’appunto. – A quei tempi d’insopportabile schiavitù, come tutti sanno, di cattivi libri o non ce n’era o non se ne vedeva punto. I librai arrossivano a venderli, i tipografi non osavano stamparli, perché…. perché…. lo sapete il perché? È c’era il castigamatti,vo’ dire, il governo che lo scandaloso traffico non permetteva, e a’ librai che cogliesse in flagrante, non solo sequestrava la merce, ma azzeccava, se d’uopo, una buona multa per giunta. In que’ tempi là ragionavasi alla buona così: — Inuna ben regolata società la vendita de’ veleni va proibita. Or veleni cen’ha di due sorta, altri che al corpo, altri che all’anima dan morte; dunque se ha a vietarsi lo spaccio dei primi (che nessuno ne dubita) e molto più de’ secondi. — Ora poi che è venuto il progresso, la sì discorre diversamente: — Chi avvelena i corpi, la forca; chi l’anime, s’accomodi pure. — Con che guadagno del buon senso e della logica, un orbo il vede. Sicché vedete, cari giovani, se vi conviene star desti! Oh sapeste male che può farvi, e all’anima e al corpo, un pessimo libro! Si, cari giovani, anche al corpo, alla sanità, alla vita; e ne ho veduti io degli esempi da far fremere i sassi. Ricordate quellodi: Bertino; aveva cominciato da un libro!..; E se uno non basta, togliete questi altri: sono due giovani stati miei scolari, de’ quali potrei farvi nome, cognome, e parentela; ma bisogna me n’astenga. per compassione di loro famiglie. L’uno …. suo padre andava pazzo per la pesca e per la caccia, e curavasi dei figliuoli come voi del terzo piè che non avete; la madre, una vanarella tutta vezzi e moine e smancerie; i figli (specie quel di cui parlo, ch’era il primo e perciò il più guastato) piena libertà e denaro a’ lor comandi. Costui dunque, che aveva la passione del leggere, comperò e lesse d’ogni sorta libri, romanzacci il più, s’intende: pure con tanto leggere che faceva mantenne sempre in classe il suo posto, ch’era quello del ciuco. Io lo vedevo che non aveva nessun amore allo studio, alla scuola, a’ compagni, e veniva su lungo, pallido; allampanato, con du’ occhi tondi, stupidi, cerchiati di paonazzo; e sospettato quel che era, l’ebbi a me, l’interrogai; l’ammonii, lo carezzai, lo supplicai persino… Chiuse il cuore e non volle ascoltarmi; infelice!….. Più tardi, datosi al militare, fatto fiasco all’esame di ufficiale, veduto promosso un fratello minore, che aveva letto meno di lui, sapete che fece?….. Un colpo di pistola nelle tempia e buona notte! L’altro, pur rovinato cogli stessi veleni, a quattordici anni portava l’occhialino e fumava il sigaro, a quindici bestemmiava come un turco, passava le nottate al gioco, e vi perdeva fin la giubba, a diciotto, non ostante la sua asinaggine, riusciva a forza di protezioni, ad arraffare un impieguzzo dal governo, a ventitrè languiva tisico spacciato in un letto, bistrattava quanti gli venivano d’attorno, e non voleva saperne di morire. – Pregato dall’infelice sua madre a visitarlo e rammollirlo alquanto, vi andai, ma col cuore serrato, che non mi diceva nulla di bene. La buona mamma, m’accolse a mani giunte come fossi stato un Angelo, e: l’abbia la bontà di aspettare un tantino; vado a disporlo, ad avvertirlo ché è lei. — Aspettai più d’un quarto d’ora; quand’ecco la madre, tra sgomentata e piangente, e farmi le scuse. Non c’era stato verso che l’infelice giovane s’inducesse a ricever la mia visita. Due mesi dopo, o in quel torno, moriva. Un buon frate, chiamato nel serra serra dell’ultime agonie; l’acconciò dell’anima..- Dio sa come! Ah giovani; giovani! Perché non voler credere? Non voler ascoltare chi v’ama? Perché tanta paura, tanto rispetto d’un mondo, che tenta strapparvi al prete? Ah il prete! L’hanno ben schernito, in nome della santa libertà, questo povero prete! Ma badate, o giovani: il mondo, che, gettatoci addosso tanto del suo fango vi grida: alla larga dal prete! vedete: com’ egli, è sozzo! — questo mondo, dico, mira nulla. meno che a strapparvi dal cuore i due tesori più preziosi: fede e buon costume, che è quanto dire, chiudervi il cielo sul capo, e aprirvi sotto i piedi l’abisso. E il prete?…. Il prete freme, piange e prega, e darebbe tutto il suo sangue per la pace e per la serenità delle belle e care anime vostre.

VIVA CRISTO RE (20)

CRISTO-RE (20)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXV

CHI È IL CRISTO PER NOI?

Nell’anno 1880 si tenne a Roma una grande assemblea. Uno degli oratori tenne un discorso solenne in onore di lucifero, capo degli spiriti ribelli. E nel mezzo del discorso si udì questo grido: “Evviva satana!” “Viva satana!” E cinquemila gole ripeterono il grido: “Dio è morto, viva satana!”. Siamo inorriditi da questa incredibile rozzezza spirituale, da questa adorazione del diavolo; eppure le migliaia di peccati che si commettono oggi, cos’altro sono se non idolatria infernale? – Quante cose ha fatto l’umanità contro Dio! La Rivoluzione francese ha voluto distruggere Dio; ha fatto un manifesto in cui diceva che Dio non serviva più. Ci meravigliamo di questa follia? Eppure cosa sono gli innumerevoli orrori della nostra epoca se non la realizzazione del decreto rivoluzionario e la sua promulgazione a tutta l’umanità? E la rivoluzione contro Dio continua. Ricordiamo quei giorni tristi in cui gli studenti di Vienna cantavano: “Non sono cristiano, sono socialista!”. Quante cose ha provato l’umanità contro Dio…, e tutte invano. Per questo, il Papa, Sua Santità Pio XI, ci ha ammonito: Uomini, rivolgetevi a Cristo, al quale Dio ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome: “nessun altro Nome sotto il cielo è stato dato tra gli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (At. IV,12). Individui, rivolgetevi a Cristo! Società, rivolgetevi a Cristo! Nazioni, rivolgetevi a Cristo! Famiglia, politici, economisti, pensatori, rivolgetevi a Cristo! Stampa, spettacolo, letteratura, affari, banche, industria, finanza, rivolgetevi a Cristo! Uomini, perirete se non avete Gesù Cristo come vostro Re! – Questi sono i pensieri che spieghiamo in tutte le pagine di questo libro. Negli ultimi due capitoli voglio riassumere quanto detto e allo stesso tempo delineare i tratti caratteristici e definitivi di Cristo Re. Solo chi lo conosce può amarlo in tutta verità e rimanergli fedele in ogni momento della vita, e quanto più lo conosce, tanto più lo amerà!…. – In questo capitolo cercheremo di conoscerlo meglio! Sfoglieremo il Vangelo, affinché il Signore stesso ci risponda a queste domande: Chi sei? Cosa ci dici di Te?

* * *

Apro il Vangelo secondo Giovanni e leggo ciò che il Signore dice in un passo: “Io sono la porta. Chi entra attraverso di me sarà salvato” (Gv X, 9). Gesù Cristo è la porta e io non posso essere salvato se non entro attraverso di Lui. “Attraverso di Lui”, cioè se guardo il mondo con i suoi occhi, se penso al mondo con il suo spirito, se ciò che Lui considera importante è importante per me, se non lego il mio cuore a ciò che per Lui era una cosa secondaria. Guardare il mondo con gli occhi di Cristo! Quale utile lezione di vita è contenuta in questa frase apparentemente semplice! Perché Nostro Signore Gesù Cristo è sceso sulla terra? Per formare un nuovo tipo di uomo: l’uomo che lotta per la vita eterna. Tutto in Gesù Cristo serve a questo piano: la sua vita, le sue parole, la sua passione, la sua morte, la fondazione della Chiesa. Cristo era onnisciente; eppure non ha promulgato una sola verità di tipo scientifico, perché non la riteneva di importanza decisiva. Cristo è onnipotente, eppure non ha voluto lasciare alla tecnica, all’industria, alcuna linea guida che ne moltiplicasse l’efficienza. Cristo era bellezza eterna, e non ha fatto un solo quadro, una sola statua, una sola poesia, una sola composizione musicale. Cristo era l’amore eterno, e non ha insegnato come curare la tubercolosi o il cancro, o come eseguire operazioni chirurgiche. Cristo amava il bambino al massimo, eppure non ha lasciato in eredità ai posteri un metodo pedagogico a beneficio dei più piccoli. Perché? Perché non considerava tutte queste cose di importanza decisiva! Cosa era importante per Lui, allora? Credere in Dio, pregare, obbedire ai genitori, dire la verità, mantenere puro il proprio cuore; in altre parole, guardare il mondo alla luce dei suoi insegnamenti. Lui è la porta e solo chi entra attraverso di Lui sarà salvato. Continuiamo a chiedere: Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore ci risponde in un altro passo: “Io sono il buon pastore” (Gv X,11). Cristo è il mio pastore, che non mi abbandona mai, che non fugge all’arrivo del nemico, che dà la vita per le pecore. È lecito per me avvilirmi, abbattermi, disperarmi, se so che Cristo è il Pastore che si prende teneramente cura di me? Ah, se il vento soffia, lo specchio liscio del lago trema, la mia fronte si corruga, è naturale, ma non è lecito per me disperarmi! Non è lecito piangere? Oh, sì, ma non ribellarsi! Anche il fiore piega il suo calice pieno di lacrime quando l’uragano scatenato passa su di lui. Come la sua rugiada cade sulla madre terra, così è lecito per me piangere; ma non in modo disperato, non rotto e spezzato, ma con la piena certezza che le mie lacrime cadono nelle mani amorevoli del Buon Pastore! E il pensiero del Buon Pastore non solo mi consola nelle disgrazie, ma mi dà anche forza nelle tentazioni. Quale forza acquisterei in tutte le tentazioni, se ricordassi questa grande verità in questi momenti! Questo Cristo che mi ha tanto amato, che ha dato la sua vita per me, questo Buon Pastore, ora mi chiede questo o quello, o mi proibisce questo o quello! È lecito per me disperare, dubitare come un uomo di poca fede, quando Cristo mi parla attraverso le circostanze? Perché Cristo ha dato se stesso per me fino alla morte; Cristo, il Buon Pastore. – E ancora chiediamo: Dimmi, Signore, chi sei? E Lui ci risponde così: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi è unito a me e Io a lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in Me sarà scacciato come un tralcio che non porta frutto, appassirà e si seccherà, sarà preso e gettato nel fuoco e bruciato” (Gv XV, 5-6). Queste sono le parole di GESÙ CRISTO. Cristo è la vite e io sono il tralcio: che grave avvertimento, ma allo stesso tempo che grande onore! Il tralcio vive solo finché la linfa vitale della vite circola in esso. Anche la mia anima vivrà solo finché la forza di Cristo circolerà in me, finché il Cuore di Cristo batterà in me, cioè finché sarò fratello di Gesù Cristo. L’edera ha bisogno della roccia; se può arrampicarsi sulla roccia, fiorisce, ma se striscia per terra, ha una vita stentata. Il sempreverde ha bisogno della quercia; se può abbracciarla, riceve i raggi del sole vivificante; senza la quercia, non ha vita. Anch’io sono edera; Cristo è la mia roccia. Anch’io sono un sempreverde; Cristo è la mia quercia. Se mi aggrappo a Lui, volerò con gioia piena al di sopra di questa vita terrena, così piena di pantano, di dolore e di amarezza. Il buon Cristiano gode così della vita. I divertimenti legittimi e puri sono destinati a lui. Il buon Cristiano non deve mai essere triste, imbronciato, amareggiato – per niente! Al contrario. Chi ha l’anima in grazia, chi è unito al Signore, deve avere una pace e una gioia traboccanti. Il tralcio che ha una comunicazione vitale con la vite, trabocca di vigore e rigoglio. La più bella fioritura della vita cristiana mostra proprio agli uomini che, per godere della vera gioia, non è necessario peccare, né vivere in modo frivolo, né sprofondare nella dissolutezza dell’immoralità. Un Cristiano può essere duro con se stesso, mortificato come San Francesco d’Assisi, eppure sentire la sua anima inondata di grande felicità, come lo era l’anima di questo Santo, che parlava agli uccelli dell’aria, che predicava ai pesci e accarezzava il lupo della foresta. Per vivere così non devo mai dimenticare che Cristo è la vite e io sono il tralcio, cioè sono fratello di Cristo. Sono fratello di Cristo, quindi… vado a testa alta! Sono fratello di Cristo; perciò i miei occhi devono essere puri. Sono un fratello di Cristo, perciò tutte le mie parole devono essere espressione di verità. Sono un fratello di Cristo, quindi tutte le mie azioni devono essere giuste e corrette. Sono un fratello di Cristo, quindi la mia vita deve essere degna del Signore. Devo irradiare la luce che brilla in me; non ho altra scelta. La mia vita, le mie opere, le mie parole devono essere luminose. Sono fratello di Cristo; perciò non devo pensare, parlare, fare, amare nulla che Cristo stesso non possa pensare, dire, fare e amare. Perché Lui è la vite e io sono il tralcio. – Dimmi, Signore, chi sei? E CRISTO ci risponde: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv VIII,12). Mi sembra di sentire l’obiezione: “Cosa? Cristo è la luce del mondo? Ci sono milioni di persone che non si interessano a Lui, che gli passano accanto senza nemmeno guardarlo! Milioni di persone che non sono cristiane! È vero che ancora oggi molti vivono lontani da Cristo. Ma questi o non hanno ancora sentito la Buona Novella di Cristo, o non vogliono più saperne di Lui. Questi ultimi proclamano, senza saperlo, la grandezza di Cristo; infatti, da duemila anni combattono contro di Lui e non sono riusciti a strappargli le sue pecore. Gli altri, quelli che non lo hanno ancora conosciuto, con quale gioia ascoltano quando qualcuno parla loro della vita e delle parole di Cristo! Infatti, che cos’è, in confronto alla luce di Cristo, la dottrina del Buddha, che viene dal nulla e ritorna al nulla? Che cos’è Maometto, accanto alla Luce del mondo? Maometto ha cercato di attingere l’acqua dai torrenti che sgorgano da Cristo; ne ha attinta ben poca, sta nella bacinella della sua mano. La sua luce è presa in prestito, esigua e impura. Cosa sarebbe il mondo senza la luce di Cristo? Non possiamo immaginare in quale abisso di tenebre scenderemmo. Che ne sarebbe del mondo se la terra inghiottisse intere città e paesi, se i grandi oceani scomparissero? Il mondo ci sarebbe ancora. Cosa ne sarebbe se tutte le gradi invenzioni tecnologiche che abbiamo, cessassero di esistere? Il mondo non cesserebbe ancora di esistere. Cosa sarebbe la storia del mondo senza i grandi scienziati, senza i più importanti filosofi? Potremmo fare a meno di loro. Ma cosa sarebbe l’umanità senza Cristo? Mancherebbe la sua anima e ciò che resterebbe non sarebbe altro che un cumulo di macerie in un’oscurità spaventosa. Cristo è la luce del mondo. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai fame e chi crede in me non avrà mai sete” (Gv XIV: 6). In effetti, Cristo è il pane della vita, perché senza di Lui non potremmo vivere. Se non avessimo Cristo, quale speranza resterebbe all’uomo peccatore? Se non avessimo Cristo, chi si prenderebbe cura dei poveri? Se non avessimo Cristo, chi frenerebbe gli eccessi dei forti, chi solleverebbe gli spiriti dei deboli? Se non avessimo Cristo, chi difenderebbe i non nati? Se non avessimo Cristo, a chi si rivolgerebbe l’uomo nella tentazione? Se non avessimo Cristo, a chi si rivolgerebbe il povero malato? Sì, Signore; sappiamo, sentiamo, sperimentiamo ad ogni passo che Tu sei il pane della vita e che chi viene a Te non avrà più fame e chi crede in Te non avrà più sete. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv XIV, 6). Molti hanno voluto essere le guide dell’umanità, ma nessuno più di Cristo ha osato affermare che “Io sono la via”, che dobbiamo essere come Lui, che dobbiamo imitarlo in tutto. L’umanità ha avuto molti maestri, ma nessuno ha osato affermare come Cristo: “Io sono la verità”. Molte promesse sono state fatte e vengono fatte nel nostro tempo, ma non ci viene detto: “Io sono la vita”. Se Cristo è la via, chi si allontana da Lui si smarrisce. Se Cristo è la verità, chi lo nega o si vanta di non conoscerlo cade nell’errore. E se Cristo è la vita, chi rifiuta di ricevere la sua linfa sarà come un albero secco. E questo principio non vale solo per la vita dei singoli, ma anche per la vita della società, degli Stati stessi, dell’Umanità. Se le vie e le leggi sono contrarie alle vie e alle leggi di Cristo, la rovina è certa, sia degli individui che delle collettività. È vero che Cristo non ci esenta dalle difficoltà della vita; ma ci dà la forza, il coraggio, la libertà interiore, la maturità spirituale per sopportarle. L’individuo che segue Cristo sarà onorato nella sua condotta, meriterà la fiducia degli altri, avrà un grande spirito di sacrificio, amerà il prossimo. Oggi più che mai l’umanità ha bisogno di vivere questo spirito cristiano. Perché viviamo in un mondo competitivo, dove la cosa principale è il profitto e l’efficienza. Perché l’egoismo è all’ordine del giorno, perché i conflitti di interesse si moltiplicano, perché i Paesi ricchi cercano di conquistare il mondo, perché siamo padroni di molte materie, ma non di noi stessi. Cristo è la via, la verità e la vita. Vita non solo dell’individuo, ma anche della famiglia e della società. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv IX, 25). Queste parole del Signore ci incoraggiano e ci danno speranza. La mia vita ha un senso, non finisce con la morte. Il Signore è in grado di riportare in vita una persona morta? Sì. Lo ha fatto diverse volte durante la sua vita terrena. Ma non ci crediamo del tutto? Ha calmato la tempesta sul lago di Gennesaret… Ma a cosa mi serve sapere”, obietterà il marinaio che lotta contro l’uragano, “se poi vengo inghiottito dagli abissi?”. L’orlo della sua veste curò una volta il malato…. “Ma a cosa mi serve”, si lamenta un giovane gravemente malato, “se sono malato da anni e non sono guarito?”. Gesù ha risuscitato i morti… Ma a che mi serve”, dice la vedova, “se mio marito è morto e i miei figli sono morti? Quanti sono quelli che si lamentano così, ma senza motivo! Gesù Cristo, nella sua vita terrena, non ha voluto calmare tutte le tempeste, guarire tutti i malati, risuscitare tutti i morti!0 Perché non è venuto per questo. Se ha mandato al mare, alla malattia, alla morte, lo ha fatto per dimostrare che davvero “a Lui è data ogni autorità in cielo e in terra”, anche su tutte le disgrazie, anche sui morti! Sulla morte stessa, è il suo potere, e che Egli “è la risurrezione e la vita, e chi crede in Lui, anche se muore, vivrà”. Se lo volesse, potrebbe salvare, anche oggi, tutti i naufraghi. Se Lui volesse, potrebbe guarire tutti i nostri malati. Ma non è questo che Egli vuole. Allora cosa vuole? Ci dice: “Rimanete nel mio amore”. “Chi mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e Noi verremo a lui e prenderemo dimora in lui”. Vale a dire, instaurate nella vostra anima e nel mondo intero il regno di Dio: il regno della fiducia ancorata a Dio, il regno dell’amore di Dio, in Dio e per Dio. Lavorate perché il mio amore abbracci tutta la terra…. Morirete…, ma un giorno verrò di nuovo e spazzerò via ogni miseria e cancellerò ogni lacrima…. “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”.

* * *

Ecco, mentre sfoglio il Vangelo, il volto santo e divino di Nostro Signore Gesù Cristo diventa ad ogni pagina più bello, più radioso, più caldo, più soggiogante, più chiaro. Chi conosce Gesù Cristo sa tutto, chi lo ignora non sa nulla.

Signore, Tu sei la porta; attraverso di Te fammi entrare una volta per tutte.

Signore, Tu sei il Buon Pastore; fammi diventare una pecora docile del Tuo gregge.

Signore, Tu sei la vite; fa’ di me un tralcio vivo nutrito dalla Tua linfa.

Signore, Tu sei la luce del mondo; fa’ che la tua luce illumini tutta la mia vita.

Signore, Tu sei il pane della vita; nutriti per me.

Signore, Tu sei la via, la verità e la vita; guidami sulla via della verità verso la vita divina.

Signore, Tu sei la risurrezione e la vita; credo che un giorno risorgerò per vivere con Te in cielo.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (14)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (14)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

IX.

LE TROMBE DEL CIARLATANO E PRIMA I GIORNALI.

Voi dunque dovete guardarvi dalle dottrine che spaccia il gran ciarlatano il mondo: e. ciò non solo nei punti, che ho toccato del suicidio e del duello, ma in tutto che dice ed insegna, perché il mondo, per vostra regola, oltr’essere, un gran ciarlatano, è anche un gran pazzo: non basta; ma di ciarlatani e di pazzi ai suoi servigi ne mantiene una baraonda senza fine, che d’ogni parte vi assiepano, vi circonvengono, vi stordiscono, v’intronano … Carro vuoto (dice bene quel proverbio) fu maggior fracasso. E col fracasso appunto, col vociare alto e sonoro, col piglio di gran baccalari, e’ s’ingegnano supplire alla buona ragione che lor manca. Chi ha la ragione dalla sua non ha mestieri di gridar tanto alto: pur pure in mezzo a questo gran buscherio che ci fanno d’attorno, non disdirà anche a noi alzar un tantino la voce, come si fa in una conversazione, quando un qualche trombone ci assorda; che se vogliamo farci intendere, ci è forza anche noi, date le spalle a monna creanza, alzar un tantino il corista. E di tromboni e di trombe il gran ciarlatano ne ha a dovizia, dalle qual v’è d’uopo guardarvi, se no, ne avreste sì intronate le orecchie, che vi ne verrebbe il capogiro. – Prima tromba, cari giovani, sono i giornali; parlo de’ cattivi, s’intende cioè, per nostra disgrazia, dei più e vi domando; lo sapete voi che di venti e più anni questi sono un flagello, una piaga del nostro bel paese, peggiore di tutte insieme le dieci piaghe d’Egitto? Oh potessi dirvi l’un cento del male che fanno a furia di ciarlatanesche strombazzate. –  Platone che dalla sua repubblica volea cacciati i poeti, fu tacciato di soverchio rigore; ma se i poeti d’allora erano come i nostri giornalisti d’adesso, credo che ogni onesto gli batterebbe le mani. A ogni modo togliete pur via i giornali, e statevi tranquilli, che la repubblica letteraria non avrà a patirne detrimento. Ora frattanto, mentre che ci sono, e’ bisogna guardarcene come dal contagio, e voi, miei giovani, se ascoltate il mio consiglio, non li leggerete, non li guarderete nemmeno. Ei vi pervertirebbero in poco d’ora le idee, il giudizio, il buon senso, le idee, il giudizio, il buon gusto … Sì, anche il buon gusto. E che avreste a impararci, in grazia, da quello scrivere contorto, smanioso, barbaresco che fanno i più dei giornalisti, che hanno sempre Italia sulla punta della penna, e non sanno rabberciare a garbo un periodo, esprimere italianamente un concetto, e questo dolcissimo idioma che Dio ci ha dato, che pare un’emanazione del nostro bel cielo, lo sformano, lo snaturano, l’imbrattano a tutto pasto, infarcendolo di solecismi e di barbarismi da spiritarne cani? O povera nostra, lingua; a che mani ci sei venuta! – Per carità, giovani cari, se punto vi cale de’ vostri studi, del buon giudizio, del buon gusto, e sapere scrivere due righe d’italiano, leggete, non osa sì, che fate bene; ma! intendiamoci; buoni libri, si: giornalacci, poi, no, no mai! – E questo che ho detto, notate, è che non ancora il men male. Se dalla lingua passiamo al pensiero, dallo stile ai concetti, dalla scorza al midollo, Dio mio! che idee stravolte! che granchi! che bestialità!… E non è mica sempre facile, ad un giovane specialmente, di accorgersene; perchè in difetto d’altre cose, questi, cosiffatti. Scribacchini hanno sì bene appresa l’arte di falsar le idee, le parole, i nomi stessi delle cose, che uno più non ci si raccappezza. Togliete ad esempio Libertà; chi ne capisce più nulla?… Tolleranza; la levano a cielo, ma poi guai a chi non pensa e dice e fa come loro. Indipendenza; ed essi per primi si danno devotissimi servi alla GRAN BESTIA, e non restano dal lisciarle, la coda.; Amor di patria; eh via! L’udimmo tanto menare e rimenare da certe bocche questo nome così sacro, che ormai un uomo one non osa più proferirlo. – Che se poi, non paghi alla politica, e’ t’entrano, come suol dirsi, in sacrestia, apriti cielo!. spacciano di quelle che non hanno vabbo nè mamma. — Ma e chi son dunque costoro, che ci appestano l’aria? Italiani? Che volete vi risponda?.., In Italia, almeno la maggior parte, sì, pur troppo! ci son nati: ma italiani non oserei dirli davvero; anzi né italiani né Cristiani, che si putono di barbaro e di volteriano a mille miglia. Giovani, il più, di primo pelo, teste intronate che suonano a fesso come le campane rotte, saggiati appena i primi studi, odorato alla larga un po’ d’enciclopedia alla moderna, letto un buon dato di robaccia forestiera, imparati certi paroloni e frasi sonanti da tener a bada il popolino, ecco che s’impancano a maestri d’Italia, anzi di tutto quanto il genere umano: essi gli organi della pubblica opinione, essi gli educatori delle plebi; questo, se nol sapete, il loro apostolato, questa la loro missione. Boom!.. E chi glie ne diede, in grazia? Il gatto ?…. E così, con sì bei titoli e santissimi fini, s’accomodano coraggiosamente nascosti dietro il nome d’un paltoniere qualunque a frecciare non visti il terzo ed il quarto, lanciar la pietra e nasconder la mano, gettare del loro fango su tutto e su tutti…. Giù lo maschera, vigliacchi! Uscite dalla macchia e combattete a viso aperto, se ne avete il cuore!…. Oh quante vergogne di meno, se ci calasse dal cielo un buon governo che avesse coscienza e coraggio di intimar loro: — Volete parlare al pubblico? E voi mostrategli il viso. Ciarlatani,. pazienza; ma ciarlatani camuffati da eroi, non ne vogliamo, non ne vogliamo. — Recatomi un giorno da un amico e non trovatolo in casa, mentre stava aspettandolo, mi misi, così per far ora, a leggere su un giornaluzzo che trovai li, quello che chiamano elegantemente, l’articolo di fondo. Lo scrittore parla solla gravità d’un Catone in Utica, in persona prima plurale, come i grandi personaggi fanno, e trinciava a dritto ed a rovescio, non sol di politica, ma e di filosofia, di teologia; di storia, e di non so quante altre cose: strafalcioni che Dio vel dica! Tornato l’amico: – chi è (l’inchiesi) che scrive di queste babbuassaggini? — Il tal di tale, mi risponde. Non potei tener le risa. Era il più gran lasagnone di questa terra, un giovinastro sciupato che io, anni avanti, aveva avuto scolaro, e so quanto pesava! Ché senza fargli torto, è sempre stato il più asino tra gli asini. Oh vedete, giovani miei, come anche gli asini in questa nostra felicissima età, possono impennar l’ali e volarsene alle stelle! Tant’è; Sic itur ad astra. E mi sovvenne la nota favoletta d’Esopo. —L’asino, coperto d’una pelle di leone, andava attorno spaventando eli animali: e veduta la volpe, volle provarsi a farle una grossa paura anche a lei. Ma la volpe che è volpe: — ti conosco al raglio — e se ne rise, Or di cosiffatti asini, vo? sappiate, miei cari giovani, che ce n’ha un buon dato. Ma io mi starò contento a dirvi di uno che conosco assai bene, camuffato, non da leone, ma da cittadino; il quale, udito ch’era uscito il libretto della Gran Bestia, tratto senza dubbio da simpatia di razza, volle vederlo; ma trovatovi cose che forse non pensava, cioè, che della BESTIA ne dico corna ad ogni pagina, volle pigliarne una sua vendetta. — O quale? Sentite. Mi stampò contro un articoluzzo di poche righe, intitolandolo: Risum teneatis, che vuol dire: si tenga dal ridere chi può. E fece bene a darne avviso al lettore, perché davvero son tutti da ridere gli argomenti che mi sfodera contro. Ne volete sentire?… Sì, ve li copierò tali e quali: è bene che pigliate un’idea della sodezza con che ragionano certi giornali. Attenti.

Argomento. Mi chiama un tal reverendo, non sappiam bene, aggiunge (ehi, sentite plurale? Cavatevi la berretta e zitti!) non sappiamo bene se prete o frate … Balordo! Bastava leggere il frontespizio per saperlo.

Argomento. — Ignoriamo (bravo! È proprio il verbo dell’asino, e messo così al plurale, ha certa maestà!) ignoriamo se il rev. Autore abbia relazione col rev. anonimo che propaga lunari e libri ascetici editi da una società di corvi e gufi per istruire il popolo. — Non vi spaventate, cari giovani, di quei corvi e gufi: son parole e non più; parole d’effetto magico… pei gonzi. Quanto alla sostanza; lo ‘scrittore ignora. Ebbene io gli lascerò la sua ignoranza che gli sta tanto bene, e gli dirò: — Confutate il libro, se vi basta la vista, poi parleremo delle relazioni e dell’anonimo.

Argomento. — Dice che riporta un brano dell’opuscoletto (ahi! Perché sbranarmelo così il poverino!) come prezioso saggio dell’istruzione fornita dagli affigliati (eleganza di moda) della società di s. Vincenzo. — Brrrr!…. libera nos Domine! Ma come il sa egli che sono affigliato, se ignora persino chi io mi sia?

Argomento. — Reca quel tratto o brano del capo XIII, dove: mostro colla Scrittura, coi Padri e cogli interpreti alla mano; che la colpa di Adamo fu in gran parte effetto della stolta condiscendenza d’Adamo alla donna; per indi dedurre che non piccola parte ebbe in essa, e nelle miserie che ne conseguitarono, l’umano rispetto; e finite quelle mie parole, conchiude secco secco così: — O sei un gran pazzo, o un gran citrullo: punto e basta. E grazie del complimento! Che ne dite, cari giovani? Non son proprio le carezze dell’asino? E così avete un’idea delle valide ragioni, o meglio dei raglioni sonori, con cui, in prima persona plurale, con pochi paroloni di civiltà moderna, e con meno fatica, si può confutare, nel secolo decimonono, un buon libro qualunque. Che ne pensate? C’è egli da spaventarsi o da ridere? … Per me, questa volta almeno, do tutte le ragioni alla volpe.

VIVA CRISTO RE! (19)

CRISTO-RE (19)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXIII

CRISTO, RE DELLE MADRI.

Nel presente capitolo esamineremo la più alta missione che Dio abbia dato alla donna: la missione della maternità. Dio ha fissato una missione peculiare per ogni essere di questo mondo. Qual è la missione primaria, la più peculiare, la più importante della donna? La missione di essere madre. E non solo in senso fisico, ma anche in senso spirituale. È questo il punto che vorrei sottolineare in modo particolare a quelle ragazze addolorate che, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non sono riuscite a sposarsi. Devono rendersi conto che, nonostante tutto, questo non impedisce loro di aspirare alla maternità, anche se solo in senso spirituale. Infatti, è lo stesso spirito che spinge una donna a esercitare il suo ruolo di madre curando ed educando i figli, così come quello che opera in un’infermiera, in un’insegnante, in una religiosa, in una catechista per svolgere il suo compito. – Se nelle pagine precedenti ho mostrato quanto la donna, in generale, debba a Cristo, permettetemi ora di sottolineare quanto debba a Lui come moglie e madre. – La nascita di Nostro Signore Gesù Cristo segna l’ora della redenzione per la sposa e l’ora della gloria per la madre. Ora di redenzione, perché il Signore ha restaurato l’unità, la santità e l’indissolubilità del matrimonio. Le sue parole sono per sempre memorabili: “Non avete letto che Colui che all’inizio creò il genere umano creò un solo uomo e una sola donna e disse loro: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”? Ciò che dunque Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 4-5.6). E in un’altra occasione il Signore dice: “Chiunque divorzia dalla propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chiunque sposa colei che è divorziata dal marito commette adulterio” (Lc XVI:18). Donne, madri, non sentite quanto amore per voi emana da queste parole del Signore? Ma c’è di più: sapete chi ha promulgato il primo decreto in difesa delle donne? GESÙ CRISTO stesso, quando pronunciò le seguenti parole: “Avete udito che fu detto ai vostri anziani: “Non commetterete adulterio”. Ma io vi dico che chiunque guardi una donna con desiderio cattivo di lei ha già commesso adulterio nel suo cuore” (Mt V,27-28). Donne, non sentite l’immensa gratitudine che dovete a Gesù Cristo? – Cosa deve una donna a Cristo? Innanzitutto, gli deve l’indissolubilità del matrimonio. Quanto sarebbe triste la situazione delle donne ancora oggi se un marito potesse divorziare dalla moglie quando vuole! Una donna sacrifica tutto al servizio del marito e dei figli: la sua bellezza, la sua forza, la sua giovinezza; ebbene, è lecito divorziare quando la sua bellezza è svanita? E quanti lo farebbero se fosse possibile! Spesso la Chiesa deve subire rimproveri rabbiosi da parte di donne divorziate civilmente che vorrebbero risposarsi: “La Religione cattolica è crudele, antiquata, non ha cuore, non mi permette di sposarmi! – Ma donna, non ti rendi conto che la Chiesa ti sta difendendo, non vedi che sta difendendo la tua dignità specifica, la tua condizione di compagna, non di serva, dell’uomo? Madre, devi mostrare una gratitudine speciale al Signore. Devi essergli grata perché non è più lecito che il marito prenda il bambino dal tuo seno e lo abbandoni, condannandolo a morire di fame. È merito di Gesù Cristo! Gesù Cristo, che ha steso la mano per benedire i piccoli di entrambi i sessi e ha detto: “Chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me” (Mt XVIII, 5). – Quali sono i benefici che le madri devono a Cristo? Ecco il primo: la Vergine Maria, la cui figura esaltata dice a tutti gli uomini con quale alta considerazione dobbiamo trattare le madri. Tutto ciò che di sublime la Chiesa ha saputo creare nell’arte e nella liturgia, nelle immagini, nelle statue, nelle pietre preziose, nella musica, nel canto, nella poesia, lo ha posto ai piedi della Vergine Madre; e questo culto della Donna Benedetta, radicato in tutto il mondo, sta proclamando a gran voce il grande rispetto dovuto alle madri, soprattutto alle madri cristiane. “Madre cristiana!” Mentre scrivo questa parola un mare di sentimenti si agita in me. “Madre cristiana!” Mentre la scrivo, penso a tutti i dolori e alle fatiche di una vita piena di sacrifici. “Madre cristiana!” L’amore più grande che possa entrare in un cuore umano. Quanto l’umanità deve ai sacrifici delle madri! Non ci sono parole per descriverlo. Guardate il famoso scienziato, che è diventato tale grazie alle cure prodigategli dalla madre! Guardate il Sacerdote, come lo ha preparato l’amore di sua madre! Guardate la madre che veglia di notte al capezzale del figlio malato; guardate la preghiera delle madri, che sale incessantemente al cielo! Quanti altri esempi potremmo fare…! Considerate tutte queste cose e forse arriverete a capire cosa significhi l’amore di una madre cristiana. – In verità, tra i doni che Dio ci ha concesso, non ce n’è uno più eccelso di questo: aver avuto una madre fervente e cristiana. Donna che hai il titolo di madre, sii veramente una madre cristiana! Una madre è stata sepolta. La figlia sedicenne si precipitò verso la bara gridando: “Madre mia, portami con te!” Che lode per una madre! Che conforto ricordare una madre così!

II

Abbiamo visto a quale altezza Cristo abbia innalzato la dignità di una madre; studiamo ora come essa si sgretoli, come tale dignità perisca se si rinuncia a Cristo. Contempliamo una bella immagine della Vergine con il Bambino Gesù in braccio. Se dovessimo fare una statistica per sapere quale soggetto è stato più trattato dai pittori, credo che non potrebbe essere altro che quello della Vergine con Cristo, diverso da quello della Vergine con il Bambino in braccio. È la maternità, il compito più importante del mondo! Ma oggi viviamo in un mondo in cui si cerca in tutti i modi di privare la donna della sua più alta dignità. Oggi è di moda evitare la maternità, persino vergognarsi della maternità. Un simile peccato non è nuovo tra gli uomini; ma non è mai stato così diffuso come oggi, diventando addirittura uno stile di vita, un modo di pensare, un’intera mentalità anti-vita o contraccettiva. Come canta l’allodola nelle mattine di primavera; come gorgheggia l’usignolo; come cinguettano gioiosi gli uccelli canori di Dio! Perché, perché tutto questo? Per amore dei “piccoli”. Ogni canto, ogni nido, tutta la poesia della vita è per loro, per i pulcini. Anche il lupo più feroce, o la leonessa più feroce, rabbrividiscono di tenerezza quando si prendono cura dei loro piccoli nella giungla. Ma nella specie umana non è lo stesso, ci sono madri che guardano con orrore e persino con odio l’arrivo di una nuova prole, per chiudere la strada prima che i poveri piccoli abbiano avuto la possibilità di nascere. La bestia selvaggia si lascia uccidere per difendere i suoi cuccioli; la donna moderna fa il contrario, fa di tutto perché il suo bambino non venga concepito e, se viene concepito, che non nasca… con una freddezza spaventosa, per puro egoismo, perché non disturbi minimamente il suo benessere? Ecco quanto si abbassa la madre quando l’umanità si separa da Cristo. Essere madre ha sempre significato molta abnegazione, molta mortificazione, molti sacrifici; ma oggi significa non di rado avere un eroismo da martire! Se, in questi tempi, la moglie vuole essere madre, deve essere pronta a subire gli attacchi più duri. Il marito, l’amica, la vicina di casa, la portinaia, la sarta, la manicure…; tutti cercheranno, prima in modo cauto e subdolo, poi in modo palese, di farle capire che ciò che desidera è una temerarietà, una vera e propria barbarie, che i tempi non lo permettono. Madri, volete un pensiero che vi consoli in questi tempi? Pensate al severo rimprovero che Nostro Signore Gesù Cristo rivolse al fico sterile. Pensate alla Beata Vergine che, apprendendo per rivelazione dal cielo i misteri della sua divina maternità, scoppiò in un canto di gioia santa e traboccante: “L’anima mia glorifica il Signore… perché Colui che è potente ha fatto in me grandi cose…” (Lc 1, 46.49). Alzate gli occhi verso questa Madre Santissima, che ci mostra tra le sue braccia il Figlio amato, invitandoci a essere vere madri! Pensate all’umanità, perché siete il suo sostegno. E pensate anche alla patria eterna, che non potrete certo conquistare con i divertimenti, gli studi o il prestigio umano…, ma con l’alta missione a cui Dio vi ha chiamate, la buona educazione dei figli, come vi avverte l’Apostolo (I Tim II, 15), e compiendo fedelmente i vostri doveri di moglie e di madre.

* * *

Vorrei concludere queste righe con il caso tragico e sublime narrato nel libro II (capitolo XXI) dei Re dell’Antico Testamento. Saul, re degli Israeliti, aveva punito molto severamente i Gabaoniti; questi si vendicarono crudelmente crocifiggendo i suoi due figli e cinque nipoti sulla cima di un monte e, per rendere più dura la punizione, non permisero che fossero sepolti. Ed ora arriva una scena agghiacciante: Resfa, la moglie di Saul, appare e fa la guardia ai sette cadaveri per tutta la notte… per evitare che vengano fatti a pezzi dagli sciacalli. A tal fine, accende un fuoco e inizia a gridare per spaventare le bestie selvagge e farle fuggire… Sorge il giorno: i rapaci affamati si posano sui morti… e la donna lancia pietre contro di loro per tutto il giorno, affinché non si avvicinino… E così trascorre giorni e settimane, sempre di guardia accanto ai cadaveri dei suoi figli e nipoti. Per sei mesi! Alla fine i gibeoniti hanno pietà della madre e le permettono di seppellirli…. Che testimonianza del cuore di una madre! Eppure, in questo caso, la madre stava solo difendendo i cadaveri dei suoi figli morti. Voi, madri cristiane, difendete le anime vive e immortali dei vostri figli! Donne, siate orgogliose della vostra maternità, proprio ora che è così screditata. Prendete Nostro Signore Gesù Cristo come vostro Re, quando tanti Lo rifiutano. Madri: la vita familiare è malata, voi potete curarla! Madri, la vita sociale è malata e voi potete curarla! Madri, l’umanità intera è malata e voi potete curarla! Che il Signore del cielo faccia conoscere alle donne la grande missione a cui le chiama. Solo così il futuro della società e della Chiesa sarà sicuro.

CAPITOLO XXIV

CRISTO, RE DELLA MORTE

Cristo è Re non solo della vita, ma anche della morte.

La Chiesa dedica un mese intero, il mese di novembre, soprattutto ai defunti, e con questo ci dice di tenere sempre ben presente la morte. Dobbiamo dare sollievo ai nostri cari defunti, ma dobbiamo anche ricordare sempre la morte, in modo da acquisire la forza d’animo e la serenità che deriva dalla consapevolezza che siamo solo di passaggio. La Chiesa sembra indifferente quando ci grida: “Uomini! Ricordatevi dei vostri cari morti; ancor più: ricordatevi anche della vostra morte”. Ma ci parla della morte non per spaventarci, ma per incoraggiarci. I cimiteri ci annunciano la verità, anche se ci addolora; e per non farci disperare, la croce sta sopra le tombe. Cristo, re della morte, ci porta la resurrezione. Ma cosa ci predica la Chiesa nel ricordarci la morte? Ci predica una grande verità, una verità spaventosa: la vita dell’uomo su questa terra dura pochi decenni, e poi è finita. Tutti dobbiamo morire: io come voi. “Perché pensarci, perché rovinare il nostro buon umore”, si dice. E ci sono davvero molti che non vogliono pensare alla morte, in questo grave momento. Vivono come se dovessero vivere sempre in questo mondo, ma come si ingannano! Che si pensi o meno alla morte, ci si avvicina ad essa di momento in momento; la differenza tra l’uno e l’altro è che l’uomo che pensa spesso alla morte cessa di temerla. La morte è senza dubbio un potere spaventoso. Andate nei cimiteri…, cosa leggete sulle tombe? Che il bambino, l’uomo adulto, il vecchio, il potente come il debole, il povero come il ricco, tutti devono morire.

Ave, Cesare, morituri te salutant! Ti salutiamo, Cesare, noi che stiamo per morire. Questo è il grande grido che l’umanità grida incessantemente al passaggio della morte…; ma questo Cesare non lo perdona mai. Alza la mano per farci morire, non per esercitare la misericordia. Siamo condannati a morire dalla nascita. Il sonno, il cibo, i vestiti, il riposo, non sono che tentativi di sopprimere la morte. Alla fine essa vince! Quante cose ci dicono quei morti silenziosi: “Io ero come te, tu sarai come me”! Che ci si pensi o che lo si dimentichi, poco importa. “Vegliate, perché nell’ora che meno ve lo aspettate, il Figlio dell’uomo verrà”, dice il Signore. TALLEYRAND, il famoso politico francese, aveva molta paura della morte. La parola “morte” non poteva essere pronunciata in sua presenza. Non osavano dirgli della morte dei suoi migliori amici, tanto che non sapeva nemmeno che alcuni di loro fossero morti. Ma invano vegliava, invano si difendeva: un giorno si ammalò anche lui. Supplica il suo medico: “Le darò un milione di franchi per ogni mese che riuscirò a prolungare la mia vita”. Invano… Quando arrivò la sua ora, morì anche lui… “Quando venne la sua ora…” Come faccio a sapere che tra un anno non sarà arrivata anche la mia ora! “Chissà quando arriverà”, dice qualcuno per consolarsi? Sì, anch’io dico la stessa cosa, ma con un tono diverso: “Chi sa quando arriverà? Stiamo tutti in guardia, per evitare di fare la fine del maggiordomo di Re Salomone. È una vecchia leggenda. Si racconta che la morte bussò una mattina alla porta dell’intendente di Salomone e lo guardò in modo così strano, con tale sorpresa, che il potente cortigiano si sentì gelare il sangue nelle vene. Corse dal re: “Mio signore, grande re”, disse, “sono sempre stato un tuo fedele vassallo, non negarmi ora una richiesta: dammi il tuo destriero più veloce”. Il re non poteva rifiutare una simile richiesta e l’accolse. L’intendente saltò in sella al cavallo e…. Avanti, per fuggire in ogni caso!…. Per tutto il giorno spronò il suo cavallo ansimante…; voleva andare lontano… il più lontano possibile, per sfuggire alla morte… Quando scese la notte, cavaliere e cavallo si fermarono esausti per riposare un po’, lontano, sul ciglio della strada. Quando l’intendente salta, quasi senza forze, fuori dalla sella, mio Dio, cosa vede lì? Chi è seduto sul ciglio della strada, a guardare il cavaliere stanco? La morte. Il maggiordomo, esausto, si arrende al suo destino e dice: “Vedo che non posso scappare da te; eccomi, prendimi. Ma prima rispondi a una sola domanda: “Stamattina, quando sei entrato nella mia stanza, perché mi hai guardato con tanta sorpresa? – Perché avevo ricevuto l’ordine di prenderti al tramonto, qui, su questa strada. Sono rimasto sorpreso e mi sono detto: sarà una cosa difficile, quel posto è così lontano. Ma vedo che comunque sei venuto…”. La morte stava portando via l’amministratore. Cosa avverte il Signore… “Vegliate, perché il Figlio dell’uomo viene nell’ora che non vi aspettate” (Mt 24,42). La morte parla anche dell’orrore del peccato. La morte fa paura, perché? Perché la morte dell’uomo non faceva parte del piano originale di Dio, quindi cos’è il peccato agli occhi di Dio quando lo punisce con la morte? I nostri primi genitori, mangiando il frutto proibito, hanno mangiato anche la morte. Il piano originale di Dio prevedeva che anche il nostro corpo fosse immortale. Ma dopo il peccato, questo corpo è diventato fragile come un vaso di terracotta (è la stessa Sacra Scrittura a dirlo). E ancora più fragile: un vaso, se non viene danneggiato, può durare secoli. Ma la vita di un uomo è di circa “settant’anni, o forse ottanta”; in ogni caso, per quanto possa essere conservata, si risolve in un pugno di cenere. Che cosa sarà dunque il peccato, quando una tale punizione è stata meritata da Dio? Alla luce di questi principi, possiamo ancora avere un concetto frivolo della vita? I trappisti si salutano spesso in questo modo: Memento mori, “Pensa alla morte”. Anche noi dobbiamo meditare spesso su di essa. Soprattutto nelle ore di tentazione. – Lo specchio di NUMA POMPILIO, l’antico re romano, aveva un teschio come cornice con questa iscrizione: Hoc speculum non fallit: “Questo specchio non inganna”. Anche il pensiero della morte non inganna: sotto il suo suo influsso si dissipano molte tentazioni di peccato. Perché vivere da cristiano è talvolta difficile, e morire da Cristiano è facile: la morte, invece, è difficile per coloro per i quali la vita è stata facile. E la morte sottolinea la vanità del mondo. Essa proclama a gran voce la grande verità: non temere quando soffri, non fidarti troppo quando tutto va bene. – HORMIDA, un illustre persiano, si recò una volta a Roma, a quel tempo capitale del mondo. Al momento di congedarsi, l’imperatore romano gli chiese: “Cosa ne pensi di Roma? Non vorresti rimanere qui?” “Mio signore”, rispose il persiano, “in nessuna parte del mondo ho visto bellezze così ammirevoli. Ma se posso parlare sinceramente, vi dirò che queste bellezze non mi hanno abbagliato. Infatti, tra colonne, archi di trionfo, palazzi e templi magnifici, ho visto anche delle tombe; quindi gli uomini muoiono a Roma come in Persia? Quando ho scoperto questa verità, la bellezza più luminosa si è oscurata davanti ai miei occhi”. Questo persiano aveva proprio ragione. Anche io sono colpito da un pensiero ogni volta che mi trovo in un cimitero: “Se tutti questi morti, che riposano qui a migliaia, venissero ora resuscitati con il permesso di vivere, per esempio, per un anno, cosa accadrebbe? Vivrebbero con la stessa frivolezza, commetterebbero lo stesso numero di peccati della loro prima vita? Avrebbero una così bassa considerazione dei precetti divini? Sanno già che la bellezza, la ricchezza, la vanità, tutto, tutto passa”. Ma questo non è che un sogno di fantasia: i morti non possono tornare, non è più dato loro di riparare a ciò che hanno fatto. Ma si può ancora riparare. Pensate! Non avete forse offeso il vostro vicino, con il quale avreste dovuto fare pace? Non possedete denaro, oggetti di valore, che avete acquisito illegittimamente e che dovreste restituire? Non c’è nessuno a cui dovreste dire: “Oh, non fare, non fare quello che hai imparato da me? Potete ancora riparare a tutto. Non rimandate, non dite: lo farò. Non c’è potere al mondo capace di trattenere nel corpo l’anima che sta prendendo il volo: né le medicine, né le migliori cure prodigate ai malati, né i singhiozzi dei presenti; per quanto atroci siano le sofferenze che torturano il malato, egli non può morire prima, e per quanto possa ancora desiderare di vivere, non può vivere più a lungo di quanto la misteriosa legge di Dio gli permetta. Confessate, dunque, che è una follia pensare costantemente al corpo e trascurare l’anima! Non vedete come gli uomini dimenticano rapidamente i morti e come vanno facilmente a divertirsi quando lasciano il cimitero? Non capite come crolla rapidamente l’opera principale della vostra vita? Non pensate come coloro che non si sono mai stancati di lodarvi in vita vi dimenticheranno dopo la morte? Considerate, dunque, quanto sia pericoloso cercare il favore degli uomini e non cercare l’approvazione del Dio eterno. Per le stesse ragioni, la morte rende più importante la vita terrena. La morte non è la fine di tutto. Quando l’uomo muore, arriva il giudizio. “È tutto finito”, singhiozza la vedova mentre il marito morente esala l’ultimo respiro. Ah, non è così. Perché se fosse tutto finito… Ma non è finita. Al contrario: proprio morendo, siamo all’inizio: all’inizio della vita eterna. E tutto dipende da questo: come ho vissuto, in che stato sono morto. Spesso nei necrologi leggiamo queste parole: “Morto inaspettatamente”. Inaspettatamente? Ma quasi tutti noi non moriamo “inaspettatamente”? Non solo chi muore di infarto, ma anche la persona più gravemente malata, perché…. non si aspettava ancora la morte”. Tutti sappiamo che moriremo; ma tutti crediamo che non moriremo adesso. Pertanto, dobbiamo aspettarla, dobbiamo essere preparati. Non sapete dove vi aspetta la morte: aspettatela ovunque.

II

Le tombe ci ricordano la nostra morte! È qualcosa che ci rattrista, che ci toglie lo spirito. E cosa annuncia la croce sulle nostre tombe? Ci dice che c’è vita nell’aldilà, che Cristo è il Re sulla morte, perché Cristo è risorto dai morti e ha vinto la morte. Il cimitero è un terreno sacro, è il grande campo coltivato da Dio. I semi, le persone, sono stati seminati in esso affinché un giorno germoglino e si diffondano nella vita eterna. C’è una vita oltre la morte! Sì, chi vive per Cristo non teme la morte. – Il grande missionario SAN FRANCESCO SAVERIO morì consumato dalla febbre lontano dalla sua patria, su una piccola isola al largo della Cina, pronunciando queste parole: “Signore, in Te ho sperato; non sarò mai confuso”. – SAN CARLO in tutta la sua vita non fece altro che vivere per Cristo, ma guardò a Lui; così poté dire sul letto di morte: “Eccomi, vengo”. – SAN VINCENZO DI PAOLO morì con queste parole: “Che Egli stesso compia in me la sua santa volontà”. – SAN ANDREA AVELLINO sentì il colpo della morte sull’altare quando pronunciò queste parole, Introibo ad altare Dei: “Mi accosterò all’altare del Signore”. Durante le persecuzioni, un diacono in Africa stava giustamente cantando l’Alleluia pasquale dal pulpito, quando una freccia gli trapassò la gola e dovette finire l’Alleluia davanti al trono di Dio. Non importa… Cristo è il Re della morte! – Nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna, c’è un monumento tombale che affascina. In groppa a un destriero agitato, un giovane principe in cotta di maglia sale su una collina fiorita. Ai piedi della collina si trova una fontana. Dietro di essa si nasconde la perfida Morte; la sua falce è nascosta dai bellissimi fiori. Il cavaliere si china verso la fontana; i riccioli dei suoi capelli gli cadono sul viso; nello specchio limpido dell’acqua, la volta azzurra del cielo. Si alza in piedi. La morte è su di lui. Nessuno è ancora riuscito a sfuggire a un simile colpo… E trecento anni fa, un cavallo tornò indietro senza il suo cavaliere, e il suo proprietario fu sepolto in quella chiesa. Oggi mi fermo davanti al monumento. L’iscrizione è stata cancellata dal tempo e non posso nemmeno chiedergli: “Bel cavaliere, come ti chiamavi? Nel fiore degli anni sei stato colpito dalla morte!”. Ma la sua anima vive! Facciamo un passo avanti. Un ampio sarcofago di pietra nella Chiesa. Molto tempo fa le spoglie del potente re, dominatore del mondo, davanti al quale si prostrarono migliaia di vassalli, si ridussero in polvere; ora anche lui è polvere. Non ci fermiamo nemmeno davanti al suo monumento, perché altri ricordi ci chiamano. Le pareti sono piene di lapidi di marmo con iscrizioni dorate. Corona, trionfo, sfarzo, benessere, bellezza, giovinezza, potenza…; queste sono le parole che ci è ancora permesso leggere sulle lastre consumate dal tempo, e da esse scaturisce la lezione: tutto questo splendore, tutta questa gloria, appartengono ormai al passato. Ma le loro anime continuano a vivere! Premo la mia fronte ardente contro il marmo freddo e grido alle profondità delle tombe: “Tu, eroico capitano; tu, nobile giovane; tu, principessa dal bel viso; tu, re sovrano; tutti voi che siete qui ridotti in cenere, avete pensato alla morte durante la vostra vita? Se lo avete fatto, ora sarete contenti di averlo fatto…”. Nessuno risponde, non sento altro che il battito del mio cuore. E nel momento in cui il pensiero schiacciante della morte mi opprime, sull’altare maggiore si sente il Vangelo della Messa per i morti: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv XI, 25-26). Parole consolanti! …. La Santa Messa continua e risuona il mirabile prefazio: “È veramente giusto e necessario, è nostro dovere e nostra salvezza renderti grazie sempre e dovunque, o Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Nel quale rifulse per noi la speranza della felice risurrezione, affinché noi, che siamo rattristati dalla certezza della morte, fossimo confortati dalla promessa della futura immortalità. Perché per i tuoi fedeli, Signore, la vita non si spegne, ma solo si trasforma, e mentre la nostra casa terrena si sgretola, acquistiamo una dimora eterna in cielo…”. Cristo è la risurrezione e la vita. La nostra vita non si spegne, ma viene solo trasformata e ci viene preparata una dimora eterna in cielo. Cristo, nostro Signore Gesù Cristo! Tu sei anche il Re della morte!

* * *

Il momento della morte è difficile. Nessuno, per quanto vicino, può aiutarci a superarlo. Dobbiamo intraprendere da soli il cammino più difficile della nostra vita. Tuttavia… c’è una mano a cui possiamo aggrapparci. Una mano che è stata trafitta sulla croce. Una mano che ha teso la mano della misericordia al ladrone crocifisso. Una mano che si è posata nel perdono sul capo della Maddalena pentita…. La morte è una cosa terribile. Ma coloro che sono guidati da Cristo lungo il difficile cammino della vita non saranno oppressi; la prova non sarà difficile per loro. Come faccio a saperlo? Me l’ha detto una bambina. Una bambina malata. Uno dei miei colleghi Sacerdoti fu chiamato a confessare una bambina che stava morendo. La bambina era malata da tempo; sapeva che la morte si stava avvicinando; ma era così tranquilla che il Sacerdote le chiese: “Non hai paura della morte, bambina mia?” “Prima la temevo, ma da quando è successa quella cosa della vespa, non la temo più”. “Della vespa?” “Beh, sì. Ero seduto in giardino e all’improvviso è arrivata una grossa vespa che ronzava, ronzava e io avevo paura che mi pungesse…; ho gridato: Mamma! E mia madre mi ha sorriso e mi ha abbracciato, coprendomi completamente, e mi ha detto: Non avere paura, piccolo mio. E la vespa svolazzò… e ronzò…, salì sul braccio di mia madre e la punse…, e mia madre continuò a sorridermi: “Non ti fa male, vero? Guarda, sarà così anche con la morte, non ti farà male, perché il suo pungiglione è stato spezzato prima nel Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo. Da allora non ho più paura della morte!”. – Che Nostro Signore Gesù Cristo ci conforti quando arriva la nostra ora e ci faccia vivere il pensiero che il pungiglione della morte è stato spezzato nel Suo Cuore…, nel Suo Sacro Cuore.

VIVA CRISTO RE (20)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (13)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (13)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

VII.

IL GRAN CIARLATANO.

Giovani miei, già incomincio a sospettare che la Coda voglia riuscirmi più lunga della BESTIA. A dir vero, gli è un argomento quel che ho a mano, che dà luogo ad esempi ed applicazioni senza numero. D’altra parte vi confesserò una mia debolezza: quando parlo o scrivo a’ giovani….. non so… mi pare anch’io ringiovanire, mi s’allarga il cuore, mi s’affollano le idee, e le parole, v’assicuro, non si fanno tirare. Ma bisogna che mi moderi, che rifletta, che non mi lasci trascinare. Mi proverò tutto quel che posso. –  Vi parlai nel precedente libretto del mondo che a taluni fa tanta paura, e dietro la scorta d’un predicatore alla buona, vi ricordate a che l’abbiamo ridotto. Ora aggiungerò: ciò che il rende imponente e pauroso agli animi volgari, sapete che è? La serietà, la franchezza, la prosopopea magistrale con che divulga ed espone i suoi dettami e le sue massime. Vedete quel ciarlatano sulla piazza; quanta gente gli s’accalca d’attorno! – E vedete come tutti stanno fissi, attenti, colla bocca aperta, e vevono  e bevono… che cosa ? un fiume di ciance e d’imposture.. — Ma possibile; tanto allocchi … Che volete? e’ le sballa con tanta franchezza! … – Così è il mondo, e vi bisogna star bene all’erta; miei cari giovani: quelle  ch’egli spaccia con maggior solennità sono per lo più le più solenni castronerie. Qui più che mal fa mestieri discendere alla pratica. – Vi ricordate. ancora di. Quel giovanottino infelice, che vi feci vedere  nella mia lanterna magica battersi con quel villan barbuto e lasciarci misero! la vita?… Ebbene, chi gli ebbe imposto in sì giovane e bella età un sì duro sacrificio? Il gran ciarlatano; il mondo. E che dicevagli il mondo? Che il battersi così era da generoso e da forte; ricusarsi., da vigliacco. Dio buono! che. stravolgimento!…. Ma prima di credere e lasciarvi imporre di sì bestiali dottrine… l’avete voi la ragione? Ebbene adoperateci un po’ su la ragione, e vedrete. Forse che il sangue umano è tal liquido, che lavi le macchie dell’onore?…. O non è anzi vero che il contaminarsene le mani è la maggior dell’infamie?… Va là, omicida; mi metti orrore! che per una parola, per l’insulto d’un momento, che solo fossi un po’ filosofo, ti saria stato “Come l’insulto di villana ‘auretta.;, d’abbronzato guerriero in sulla guancia”, non hai dubitato piantar una lama nel cuore del fratello. Orrore; orrore! Viassù! pasciti nella vista dell’infelice tua vittima; or che l’hai atterrata a’ tuoi piedi. Vedi come caldo sbocca da larga ferita il sangue! Bevi, saziatene, omicida!… guata quel volto pallido, quelle chiome arrovesciate, quello sguardo errante, quel lento boccheggiare; quel rantolo…. Ma sta; sentesi uno strido., un urlo prolungato… Dio; Dio! è una madre, una sposa; son bamboli innocenti che gridano vendetta… Tu fuggi? Ah lo senti ora, disgraziato! lo senti che se’ diventato un Caino!…. Or va e credi al mondo.  Pure il mondo per sì poco non si sbigottisce, e dopo tanti fiumi di sangue che ha fatto spargere colle stolte sue massime, freddo e tranquillo pur ripete: chi non si batte infame. – Vo’ smentirlo con un bell’esempio, che lessi, non ha molto, nella strenna d’ogni mese, che si pubblica a Firenze da un bravo e valente amico de’giovani La sera del dì 15 settembre 1846 in un casino di campagna presso Santiago di Cuba, cenavano allegramente col capitano inglese Starldey parecchi americani e spagnoli, che dovevano partire al domani con lui per la Giamaica; e come il capitano recava a quel viaggio parecchi negri da lui fatti liberi, cosa che quegli americani, fautori della schiavitù, vedevano di mal occhio, vennero con lui a tal questione; che presto degenerò in animatissimo alterco; a mezzo quale certo il De Pastro avendo lanciata una villana ingiuria contro lai Regina d’Inghilterra che vieta la tratta de’ negri, il capitano Starkley non poté più contenersi, e levatosi in furia e dato di piglio ad un bicchiere, l’avventò contro il De Pastro, dicendogli: Sciagurato! così parli della mia regina?…. Tutti si levarono in tumulto; il De Pastro faceva sangue dal viso: ma più che quella ferita gli cuoceva l’ingiuria; di che pensando satisfare all’onor suo, sfidò a duello il capitano. – Quella sfida parve a tutti (amici e devoti quali erano della BESTIA) la cosa più naturale del mondo, e non che opporsi, mostrando apertamente d’approvarla, chi si esibiva padrino, chi proponeva l’ora, il giorno, il luogo, fin l’armi. Anzi (a proposito dell’armi) vi fu lo zelante, che tratte fuori due pistole belle nuove e lucenti, le mise sulla tavola sotto gli occhi del signor Starkley. Il quale, mostrato il suo dispiacere d’avere in quell’impeto subitaneo ferito il De Pastro, e chiestogli scusa del suo trasporto: Quantoal duello, soggiunse, non posso accettare, perchè… perchè lo stimo, un delitto. — Perchè sei un vile! — gli ripicchiò furibondo l’avversario. A quest’insulto il capitano sentì come una vampa di fuoco salirgli alla testa, gli si oscurò un tratto la vista, e tremava come una foglia. Pur si contenne, e per quella sera non ne fu altro. Al domani egli era pronto sul suo vascello; il Nettuno, ad accogliere i passeggeri. Gli sfilavano davanti i commensali della sera innanzi e il guardavano con cert’aria di compassione. Il capitano dissimulava. Ma allorchè passando il De Pastro gli lanciò contro la seconda volta la parola vile, il capitano afferrollo pel braccio e con voce alta e concitata, che tutti e passeggieri e marinai poterono intendere: — Signor De Pastro (gl’intimò), vi prego a ricordarvi che qui son capitano; o rispettate la mia autorità, o vi metto agli arresti. – Di lì a poco dava il comando di salpare. Sul legno tutto era in ordine, regolarità, disciplina perfetta: il capitano era esperto del suo mestiere, e uso da lungo tempo a farsi obbedire. E già dopo pochi giorni di prospera navigazione, s‘avvicinavano all’ isola di Giamaica; quando di nottetempo, mentre i passeggeri tranquillamente dormivano, s’ode un grido: al fuoco! Al fuoco! — Tutti si levano in sussulto, salgono sulla tolda, veggono con spavento con ispavento levarsi da poppa globi di fumo misti a scintille; quindi un urlo prolungato, e pianto di femmine, e strillar di bambini, e correre qua e là, e chiedere l’un altro e cercarsi e urtarsi e chiamarsi. a vicenda … Ma ecco in buon punto farsi avanti il capitano Starkley, e con voce stantorea:— Fermi tutti; sentite. Il mozzo ubriaco appiccò il fuoco all’alcool; la stiva è in fiamme, né v’ha speranza d’estinguerlo; bisogna salvarci prima che il fuoco: giunca alle polveri. Qui un nuovo urlo di terrore. I marinai si slanciano alla scialuppa per fuggire. — Fermi, ho detto (ripiglia con voce tuonante il capitano); chi primo osa infrangere i miei ordini, una palla di piombo. — E mostrò la bocca della pistola: l’argomento fu efficace; i marinai tornarono al dovere. — Ora s’allestisca la scialuppa grande, ripigliò il capitano. E come fu pronta, piantatosi al luogo della calata con a foanco quattro de’ più robusti marinai: – vengano prime le donne, i vecchi ed i fanciulli. — I chiamati s’affollarono e mentre scendevano uno dopo l’altro n vietato nella scialuppa, s’ode in fondo al vascello un sordo scoppio e levarsi come lampo le fiamme. Tutti i passeggeri per un moto istintivo si precipitano verso la scala, il De Pastro tra i primi, che malamente urtando una fanciulla per poco non la trabalza nel mare. Il capitano lo respinse di forza con ambe le mani, e: — indietro, signor De Pastro! indietro tutti!…. Marinai, il primo che muove gettatelo in mare. – Così tornato l’ordine, aiuta a discendere le donne, e come la scialuppa fu piena: — tagliate la corda e andate al nome di Dio, voi siete salvi. Presto, l’altra scialuppa. — La scialuppa fu tosto pronta. — Vengano gli altri passeggieri. Signor De Pastro; venite pure, ora è la vostra volta. Il De Pastro gli passò davanti umiliato e confuso; i compagni che la sera avanti avean preso le sue parti, ora sfilavano davanti all’intrepido Starkley, quale stringendogli la mano, quale rallegrandosi con lui: — bravo, signor capitano! così va fatto. Voi siete un uomo! Ed egli: — non è tempo di complimenti. Lesti, scendete. E come vide piena e in salvo la seconda scialuppa: — Ora a noi (disse volto a’ marinai); è pronto lo schifo? — Pronto. — Scendete. Lo schifo era piccolo, i marinai vi capivano a stento. Potete ricevere ancora una persona? chiede loro il capitano. I marinai credendo dicesse di sé, benché lo schifo minacciasse far acqua: — Si, venga, signor capitano. — A queste parole Starkley si china, piglia di peso, come fosse un sacco, il mozzo briaco e addormentato che aveva appiccato il fuoco e porgendolo a’ marinai: — Giacché c’è posto, pigliate ancora questo disgraziato. — Consegnatolo; tira un respirone e: — Lodato Dio! tutti salvi. — E lei, signor capitano?…. gli chiedono i marinai impazienti di sferrare. — Basta; il mio peso vi farebbe pericolar tutti. Lesti, partite; e se incontrate qualche barca, avvertitela che qui ci ha ancor una vita da salvare. Lo schifo partì: il capitano rimase a guardar le fiamme che si levavano stridenti e vorticose all’altezza dell’albero, e sempre avanzandosi s’appressavano alla polveriera. S’aspettava da un istante all’altro il terribile scoppio, e raccomandavasi a Dio. Ma Dio vegliava sulla vita. del prode. Una barca che da lontano aveva scorto l’incendio giungeva in tempo a salvare l’intrepido capitano, che marinai passeggieri ed isolani accolsero con grida frenetiche alla spiaggia, come fosse un Dio salvatore. In quel momento certo non venne in mente a nessuno (neanche al De Pastro, ci scommetto) che il capitano Starkley fosse un vile. E voi, cari giovani, che ne pensate?

VII

DOPO IL DUELLO IL SUICIDIO.

Ora dirò d’un altro duello accaduto anni Domini in una città d’Italia nostra, che per dengi rispetti non si nomina.  Trovavansi a ciaramellare parecchi giovinotti in un caffè. Un bizzoso, di nome Federico, punto da non so che celia di Martino, lo sfida a duello, e Martino: — Accetto, risponde. Si fissa il dimani, ora, luogo, padrini… E l’armi? — L’armi, tocca a me la scelta (risponde Martino): le porterò dimani sul luogo. — Così intesi, si separano. Al dimani alle dieci del mattino in un pratello remoto chiuso di folti alberi all’intorno, irrigato da un canaletto d’acque limpide e freschissime, Martino se la passeggiava su e giù col padrino, aspettando il rivale; e novellavano tra loro di non so che, così lieti e spensierati, che nessuno avrebbe detto: son li per un duello. Di lì a poco arrivano parecchi compagni, anch’essi allegri e ridenti. Martino gli accoglie con festa li fa entrare in un folto di roveri li presso, e: — cheti (lor dice); appena vedrete rosseggiare «il primo sangue… siamo intesi. — Gli amici rispondono che sì, e s’appiattano. Martino si rifà daccapo a misurare passeggiando il campo, e non avea dato ancora due volte, che sì vide comparire, con al fianco il suo bravo, padrino, Federico; vestito a nero, con guanti bianchi, viso pallido, capelli rabuffati, occhi stravolti…. Poveraccio! ei non aveva chiuso occhio tutta la notte; agitato dal pensiero del duello, occupato a scriver lettere, ordinar suoi affarucci, stendere una specie di testamento e (cosa più ghiotta) certa letterina profumata…. che diceva così: — Un villano insulto da vendicare mi strascina a duello. Se soccombo, ricorda il tuo Federico, e che per non rendersi indegno di te, ha sacrificato all’onore la vita. — Giunto dunque sul luogo, e abboccatosi col rivale: — suvvia, l’armi! dimanda con feroce cipiglio. E Martino: — eccole!… e trae dalle tasche due salami lunghi un braccio. E come l’altro mostravasene scorrucciato; quasi di scherno: — Se queste non accetti (entra a mezzo il padrin di Martino) non potrai rifiutare quest’altre…. E presenta due bottiglie di Madera: — Oppure queste! Sottentra l’altro padrino, ch’era anche lui della cricca; e ne mette fuori due altre di Sciampagna. Federico, al vedersi così assalito, tradito dal suo stesso padrino, rimane allocco. I compagni nascosti, visto il segno del sangue, cioè il vino, saltano dalla macchia, traggono fuori anch’essi alla lor volta, chi pane, chi frutta, chi cacio, chi un bell’arrosto; e tutti dattorno all’eroe trasognato, si mettono a fare un diavoleto, che, volere o no, gli fu forza accettare quella nuova maniera di sfida; e così tutto finì con un’allegra merenda, sdraiati sull’erba, al rezzo delle piante, al canto degli uccelletti, al mormorar del ruscello… Che cosa volete di più poetico? non sarebbe proprio da farci un sonetto?… Provatevi; io ripiglio il mio discorso e dico che di certe massime storte la miglior cosa è farne commedia; e quanto più il mondo mostra spacciarle sul serio, più farsi animo a ridergliene sul muso. E quel che ho detto del duello s’ha ad intendere (chi ne dubita?) di quell’altra barbarie del suicidio, divenuta anch’essa, in questo che chiamano civilissimo secolo, purtroppo comune. E non dico già che l’umano rispetto ne sia la sola cagione: e c’entra senza dubbio e il bollimento delle passioni e la frenesia del godere, e il contagio dell’esempio, e l’estinguersi della fede… Che volete faccia, al sopravvenirgli di grave sventura, un miserabile, ché tenendosi bestia senz’anima immortale, aveva posto ogni sua beatitudine ne’ godimenti della vita? Davvero, dacché è infelice, o sel crede, non ha più ragione d’esistere costui: quindi padrone d’andarsene, la commedia è finita per lui. Ma il mondo in questo spaventoso moltiplicarsi di suicidi ci ha anch’egli la sua parte; che, oltre al predicar che fa: beati i ricchi! beati i godenti! e favorire le nuove dottrine che ci pareggiano al ciacco, applaude per lo più o il men che sia, scusa assai facilmente i vigliacchi che fan getto della vita. E apposta li chiamo vigliacchi, che non hanno coraggio a sostenere il peso della sventura; e li metto con que’ soldati che disertano il campo quando più ferve la battaglia, e incalza il pericolo. Questi soldati cosiffatti come li chiamate? vigliacchi e infami, non è vero? E infame e vigliacco è dunque il suicida. Domandatene a Virgilio, che addisse ad eterni cruciati coloro … Qui sibi lethum …. peperere mani, lucemque perosi, Proiecere animas. Domandatene. Dante che creava un cerchio del suo Inferno apposta per quelle anime feroci che da se stesse sî divelgono dal corpo, e le puniva incarcerandole in arbusti spinosi. Così la pensano i savi, così, d’ogni saviezza maestra, la Chiesa, che al suicida volontario, come a chi muore in duello, nega i pubblici suffragi e l’ecclesiastica sepoltura. Sebbene; quanto a Dante, se in leggendolo siete giunti almeno al principio del Purgatorio, vi avrà scandalizzato non poco, come accadde a me da ragazzo, quell’abbattervi nel suicida Catone, posto, lì dal poeta, quasi a guardia e custode del sacro monte. Ma non confondiamoci, giovani miei; l’idea che ha Dante dei suicidi si par chiara abbastanza dall’averli messi a dirittura tra’ dannati. Quanto a Catone, ci sta qui, non come persona reale, ma com’essere allegorico; convien quindi spiegarlo in conformità all’allegoria del poema; quell’allegoria, dico, cui Dante stesso accenna nella sua famosa lettera a Can Grande della Scala, quella che seguirono fedelmente gli antichi commentatori; ed è schiettamente religiosa e morale. Or secondo questa (ponete mente) Dante che, smarritosi nella selva selvaggia e aspra e forte n’esce con Virgilio a visitar l’inferno, ci significa l’uomo vizioso e peccatore, che atterrito alle funeste conseguenze del vizio, fa sforzo di levarsene per avviarsi al sentiero della virtù. Questo sforzo, il più bello e per avventura il più penoso che uom possa fare, ci è figurato in Dante medesimo, che tocco il basso fondo dell’inferno, s’appiglia alle vellute coste dell’immane Lucifero, e scende con Virgilio, … di vello in vello tra il folto pelo e le gelate croste; finché giunto all’anche del mostro, che rispondono al centro della terra quivi (vedete fatica di chi spogliasi il vizio e mutasi in altro uomo) … con pena e con angoscia, Volge la testa dove avea le zanche; e pur seguitando a salir pelo pelo, riesce all’emisfero di là, dove sorge il monte del Purgatorio, simbolo del cammino della virtù. Qui appunto a guardia del sacro monte, trova Catone, quel Catone, che, udita la vittoria di Cesare; né volendo soggiacergli, per amor di libertà si sciolse volontario dai legami del corpo. Di che potete facilmente scorgere, come questo suicidio catoniano ci sta qui, non propriamente per suicidio, ma come simbolo espressivo di quel nobile sforzo che ho detto, per cui l’uomo, dianzi vizioso, si libera dalla schiavitù del corpo e delle passioni, per volgersi a virtù e rivendicar. lo. spirito immortale alla vera libertà dei figli di Dio. – Menatemi buona questa digressione letteraria, a cui so io perché mi son lasciato andare, e mi rimetto tosto in careggiata.