UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S.S. BENEDETTO XV – “SACRA PROPEDIEM”

Breve ma densa di contenuti cattolici, questa bella lettera Enciclica del Santo Padre Benedettpo XV,  racchiude gli insegnamenti di s. Francesco nella costituzione del terzo ordine francescano, del quale si festeggiava il centenario. Accenniamo brevemente a qualche passaggio oggi più che mai utile per affrontare questi tempi di apostasia religiosa e di paganesimo sociale in cui il Cristianesimo autentico è comatoso e come quasi in agonia:  « … a ciò si aggiunga quell’interno travaglio che agita le nazioni — dovuto al lungo oblìo e al disprezzo dei princìpi cristiani — per cui le varie classi sociali si contendono il possesso dei beni terreni con tanto accanimento da far temere una universale catastrofe … » – « … quell’accordo fra gli Stati e le varie classi civili che può essere escogitato dagli uomini, non può infatti durare né avere forza di vera pace se non ha la sua base nella tranquillità degli animi; la quale esiste a sua volta solo a patto che siano tenute a freno le passioni, fomentatrici di ogni genere di discordie. « E donde le guerre e le liti tra voi, si domanda l’Apostolo Giacomo, se non di qui? dalle vostre concupiscenze le quali militano nelle vostre membra? … ». Espressioni chiare e forti di grande attualità nel mondo presente che ha completamente smarrito ogni lume cristiano, in ciò precipitato dall’opera di una sinagoga demoniaca che si spaccia per Chiesa cattolica e che, diretta dai vicari dell’anticristo dal 26 ottobre del 1958, sta trascinando popoli e continenti all’estrema rovina materiale e quel che è peggio, alla dannazione eterna di Nazioni anche un tempo cristiane. Adottiamo lo stile di vita francescano dei terziari che ci viene additato dal Sommo Pontefice, resistendo ai falsi lumi di filosofie e dottrine atee di matrice gnostico-massonica, nonché ai falsi profeti in veste di santità che giustificano tutte le aberrazioni morali e dell’abominevole costume sociale con l’allegra misericordia a buon mercato che non richiede pentimento né emendazione, né penitenza, portando così verso l’eterno stagno di fuoco. Resistiamo nella certezza assoluta che … le porte del male non prevarranno sulla santa Chiesa, e che il soffio della bocca del Signore Nostro Gesù Cristo distruggerà in un attimo l’anticristo ed i suoi adepti e metterà i propri nemici a sgabello dei suoi piedi.

LETTERA ENCICLICA
SACRA PROPEDIEM
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XV
 AI PATRIARCHI, PRIMATI,
ARCIVESCOVI, VESCOVI
ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,
IN OCCASIONE DEL SETTIMO CENTENARIO
DELLA FONDAZIONE DEL TERZ’ORDINE FRANCESCANO

Venerabili Fratelli,
salute e Apostolica Benedizione.

Noi riteniamo assai opportuna la prossima celebrazione del settimo centenario del Terzo Ordine della Penitenza. A raccomandarla a tutto il mondo cattolico con la Nostra autorità apostolica, Ci induce innanzi tutto la certezza che essa riuscirà di grande vantaggio al popolo cristiano, ma c’è anche qualcosa che Ci riguarda personalmente. Infatti nell’anno 1882, quando fra il plauso commosso dei buoni fu celebrato solennemente il centenario della nascita del Santo di Assisi, Ci ricordammo con soddisfazione che anche Noi volemmo essere iscritti fra i discepoli del grande Patriarca, e nella insigne basilica di Santa Maria di Ara Cœli, officiata dai Frati Minori, vestimmo regolarmente l’abito dei Terziari Francescani. Pertanto, ora che per volontà divina siamo stati assunti alla cattedra del Principe degli Apostoli, ben volentieri, anche per la Nostra devozione verso San Francesco, cogliamo l’occasione che Ci viene offerta per esortare i fedeli della Chiesa di tutto il mondo ad iscriversi espressamente — o, se già iscritti, ad operare con impegno — a questa istituzione del santissimo uomo, la quale ancor oggi risponde meravigliosamente ai bisogni della società. – Innanzi tutto conviene che ognuno abbia un’idea esatta della figura di San Francesco, in quanto taluni, secondo l’invenzione dei modernisti, presentano l’uomo di Assisi poco obbediente a questa Cattedra apostolica, come il campione di una vaga e vana religiosità, tanto che egli non può essere correttamente chiamato né Francesco d’Assisi né santo. – In verità, le rilevantissime e imperiture benemerenze di Francesco verso il Cristianesimo — per le quali egli a ragione fu definito quale sostegno fornito da Dio alla Chiesa in un’età delle più burrascose — trovarono il loro coronamento nel Terz’Ordine, il quale, meglio di qualunque sua altra impresa, mette in luce la grandezza e l’intensità del suo ardore nel propagare ovunque la gloria di Gesù Cristo. Egli infatti, considerando i mali da cui era allora travagliata la Chiesa, fu preso da un desiderio immenso di innovare tutto secondo i princìpi cristiani; e a tale scopo fondò una duplice Famiglia religiosa, una di frati e l’altra di suore, che, professando i voti solenni, dovevano seguire l’umiltà della Croce; ma non potendo accogliere nei chiostri tutti coloro che a lui da ogni parte affluivano per mettersi sotto la sua disciplina, pensò di fornire anche a coloro che vivevano nel turbinio del mondo un modo di raggiungere la perfezione cristiana. Pertanto, istituì un vero Ordine, quello dei Terziari, non vincolato da voti religiosi come i due precedenti, ma similmente conformati a semplicità di costumi ed a spirito di penitenza. Così egli per primo concepì e felicemente attuò, col divino aiuto, ciò che nessun fondatore di famiglie regolari aveva in precedenza escogitato: cioè di rendere comune a tutti il tenore della vita religiosa. – Di lui va ricordato quanto egregiamente dice Tommaso da Celano: « Artefice veramente esimio, sotto la cui formazione religiosa, con lode degna di essere esaltata, si rinnova nell’uno e nell’altro sesso la Chiesa di Cristo, e trionfa una triplice schiera di gente che vuole salvarsi ». Dalla testimonianza di un uomo così autorevole e contemporaneo del Santo, si comprende con facilità quanto profondamente Francesco, con questa Istituzione, abbia scosso le moltitudini, e quale salutare rinnovamento abbia tra esse operato. Pertanto, come non si può dubitare che Francesco sia stato il vero fondatore del Terz’Ordine, allo stesso modo che lo era stato del primo e del secondo, così senza dubbio egli ne fu il sapientissimo legislatore. In ciò grandemente lo aiutò, come è noto, il Cardinale Ugolino, quello stesso che poi, col nome di Gregorio IX, illustrò questa Apostolica Sede, e che dopo la morte del Patriarca d’Assisi, del quale, finché visse, fu grande amico, innalzò sul sepolcro di lui un tempio di tanta bellezza e magnificenza. Nessuno ignora che successivamente la Regola dei Terziari è stata solennemente sancita ed approvata dal Nostro Antecessore Nicolò IV. – Ma non è il caso di dilungarsi su tali cose, Venerabili Fratelli, poiché il Nostro principale proposito è di dimostrare il carattere e l’intimo spirito di questo Istituto, dal quale, come ai tempi di Francesco, così in questa età, tanto contraria alla virtù ed alla fede, la Chiesa si ripromette grandi vantaggi per il popolo cristiano. Quel profondo conoscitore dei nostri tempi, che fu il Nostro Predecessore di felice memoria, Leone XIII, per rendere la disciplina dei Terziari più accessibile ad ogni grado di persone, molto saggiamente con la Costituzione « Misericors Dei Filius » dell’anno 1883, mitigò la loro regola, « secondo le presenti circostanze della società », variando alcune cose di minore importanza, che non parevano consentanee con i nostri costumi. « Con questo però, egli dice, non bisogna credere che sia stato tolto all’Ordine alcunché di essenziale, volendo Noi che la sua natura si conservi integra ed immutata ». Perciò ogni cambiamento fu soltanto estrinseco, e non toccò per nulla la sostanza di essa, la quale continua ad essere tale quale la volle lo stesso Santo fondatore. È Nostra convinzione che lo spirito del Terz’Ordine, tutto pervaso di sapienza evangelica, molto contribuirà al miglioramento dei costumi privati e pubblici, purché rifiorisca nuovamente, come quando Francesco, con la parola e con l’esempio, predicava per ogni dove il regno di Dio. – Infatti, egli volle innanzi tutto che nei suoi Terziari rifulga in modo speciale la carità fraterna, autrice di concordia e di pace. Ben comprendendo che questo è il principale precetto di Gesù Cristo, quale sintesi di tutta la legge cristiana, rivolse ogni sua cura ad informarne gli animi dei suoi seguaci: e con ciò stesso egli ottenne che il Terz’Ordine riuscisse utile di per sé all’umana società. – Francesco era talmente infiammato di ardore serafico per Dio e per gli uomini, da non riuscire a contenerlo nel suo cuore, ma avvertiva la necessità di portarlo all’esterno, a favore di quanti più potesse. Pertanto, avendo cominciato a riformare la vita privata e domestica dei suoi fratelli, indirizzandoli all’acquisto della virtù, quasi non mirasse ad altro, pensò di non doversi fermare qui, ma di servirsi di questa riforma individuale come di uno strumento per recare in seno alla società un soffio di vita cristiana, e così guadagnare tutti a Gesù Cristo. Conseguentemente, il pensiero che animò Francesco a fare dei Terziari altrettanti araldi e apostoli di pace in mezzo alle aspre contese e ai civili rivolgimenti del suo tempo, fu pure il pensiero Nostro quando pressoché tutto il mondo ardeva dell’orribile guerra, e tale è tuttora, mentre non è spento del tutto il vasto incendio, che fumiga ancora qua e là e in qualche punto manda guizzi di fiamme. A ciò si aggiunga quell’interno travaglio che agita le nazioni — dovuto al lungo oblìo e al disprezzo dei princìpi cristiani — per cui le varie classi sociali si contendono il possesso dei beni terreni con tanto accanimento da far temere una universale catastrofe. – Perciò in questo campo così immenso in cui Noi, come rappresentanti del Re Pacifico, abbiamo prodigato le Nostre più affettuose premure, aspettiamo da tutti i figli della pace cristiana il concorso della loro solerzia, ma specialmente dai Terziari, i quali mirabilmente gioveranno a questa riconciliazione degli animi, se oltre a crescere ovunque di numero intensificheranno il loro zelo operoso. È da augurarsi pertanto che non vi sia città, paese, villaggio in cui non si riscontri buon numero di confratelli, che non siano però inerti o che si appaghino soltanto del nome di Terziari, ma attivi e solleciti della salvezza propria e dell’altrui. E perché poi le varie Associazioni cattoliche di giovani, di operai, di donne, che fioriscono quasi per ogni dove non potrebbero ascriversi al Terz’Ordine della Penitenza, per continuare a lavorare alla gloria di Gesù Cristo e a vantaggio della Chiesa con quello spirito di carità e di pace da cui era animato Francesco? – Infatti, la pace che è tanto invocata dai popoli non è quella faticosamente elaborata con le arti della politica, ma quella che ci fu recata da Cristo, il quale disse: «Vi dò la mia pace: non come la dà il mondo, io la dò a voi ». Quell’accordo fra gli Stati e le varie classi civili che può essere escogitato dagli uomini, non può infatti durare né avere forza di vera pace se non ha la sua base nella tranquillità degli animi; la quale esiste a sua volta solo a patto che siano tenute a freno le passioni, fomentatrici di ogni genere di discordie. « E donde le guerre e le liti tra voi, si domanda l’Apostolo Giacomo, se non di qui? dalle vostre concupiscenze le quali militano nelle vostre membra? ». – Orbene, ordinare l’uomo internamente, in modo che egli non sia schiavo ma padrone delle proprie passioni, obbediente a sua volta e soggetto alla volontà divina, nel quale ordinamento si fonda la pace comune, questo è effetto della sola virtù di Cristo, che si dimostra mirabilmente efficace nella famiglia dei Terziari Francescani. Dal momento, infatti, che quest’Ordine si propone, come dicemmo, di guidare alla perfezione cristiana i suoi membri, quantunque impegnati nelle cure del secolo — perché nessuno stato di vita è incompatibile con la santità — quando siano molti a vivere in conformità di questa regola, ne consegue che essi siano d’incitamento a tutti gli altri fra i quali vivono, non solo a compiere interamente il loro dovere, ma anche a tendere ad una perfezione maggiore di quella prescritta dalla legge ordinaria. Perciò quella lode che fu data dal Signore ai suoi discepoli che gli erano più devoti, quando disse: « Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo », giustamente la stessa lode va attribuita a quei figli di Francesco che, osservando con vero spirito i consigli evangelici, per quanto loro è dato nel secolo, possono dire di sé con l’Apostolo: «Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio ». Perciò, tenendosi lontani il più possibile dallo spirito del mondo, cercheranno di far penetrare nella vita comune, ad ogni occasione, lo spirito di Gesù Cristo. Per la verità, due sono oggi le passioni predominanti in questa incredibile perversità di costumi, l’amore sconfinato delle ricchezze e un’insaziabile sete di piaceri. Da qui la vergogna e il disonore del nostro secolo, il quale, mentre fa continui progressi in ciò che appartiene ai comodi ed ai conforti della vita, per quanto riguarda il dovere di vivere onestamente — il che ben più importa — pare che voglia ritornare a gran passi verso la corruzione del paganesimo. In realtà, quanto più gli uomini perdono di vista i beni eterni che sono loro preparati nei cieli, tanto più sono attratti verso i caduchi; e una volta che si siano vilmente incurvati verso la terra, facilmente si intorpidisce in essi ogni virtù: così che nauseati di tutto ciò che sa di spirituale, non agognano che l’ebbrezza dei volgari piaceri. Perciò, Noi vediamo in generale che mentre da un lato non si ha alcun ritegno ad accumulare ricchezze, manca dall’altro la rassegnazione d’un tempo nel sopportare quei disagi che sogliono accompagnare la povertà e la miseria; e mentre fra i proletari ed i ricchi già esiste quella lotta accanita che abbiamo detto, ad acuire l’avversione dei non abbienti s’aggiunge il lusso smodato di molti, congiunto a impudente dissolutezza. Al qual proposito non possiamo deplorare abbastanza la cecità di tante donne di ogni età e condizione, le quali, infatuate dall’ambizione di piacere non vedono quanto sia stolta certa foggia di vestire, con cui non solo suscitano la disapprovazione degli onesti, ma, ciò che è più grave, recano offesa a Dio. E in tale abbigliamento — che esse stesse in passato avrebbero respinto con orrore come troppo disdicevole alla modestia cristiana — non si limitano a presentarsi soltanto in pubblico, ma neppure si vergognano di entrare così indecentemente nelle chiese, di assistere alle sacre funzioni e di recare persino alla stessa mensa Eucaristica (nella quale si va a ricevere il divino Autore della purezza) i lenocini delle turpi passioni. Tralasciamo poi di parlare di quei balli esotici e barbari, uno peggiore dell’altro, venuti ora di moda nel gran mondo elegante; non si potrebbe trovare un mezzo più adatto per togliere ogni resto di pudore. – Se i Terziari porranno bene attenzione a quanto abbiamo detto, facilmente comprenderanno ciò che da essi, in quanto seguaci di Francesco, richiede l’ora che volge. È necessario cioè che essi si specchino nella vita del loro Padre; considerino quale perfetto imitatore egli fu di Gesù Cristo, specialmente con la rinuncia agli agi della vita e con la pazienza nei dolori, fino a meritarsi il titolo di poverello e a ricevere nel suo corpo le stimmate del Crocifisso; e per non mostrarsi figlioli degeneri, abbraccino almeno in spirito la povertà e portino con abnegazione, ciascuno, la propria croce. Per ciò poi che riguarda in modo speciale le Terziarie, sia nel vestire come in tutto il loro contegno esteriore, siano esempio di santa pudicizia alle giovani e alle madri; e non credano di poter meglio meritare della Chiesa e della società che cooperando all’emendamento dei corrotti costumi. – E i membri di quest’Ordine, che per soccorrere gli indigenti hanno dato vita a molteplici opere di beneficenza, non vorranno certamente mancare di amorevole aiuto ai loro fratelli in bisogni ben più gravi dei materiali. E qui Ci viene in mente quel detto dell’Apostolo Pietro che, volendo esortare i primi Cristiani ad offrire ai Gentili l’esempio di una vita veramente santa, diceva: «Vedendo le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio ». Similmente i Terziari Francescani devono diffondere il buon odore di Cristo con l’integrità della fede, con l’innocenza della vita e con l’operosità dello zelo, che siano esortazione ed invito per i traviati fratelli a ritornare sul retto sentiero; questo da loro esige, questo si attende la Chiesa. – Noi pertanto nutriamo fiducia che i prossimi festeggiamenti centenari segneranno un felice risveglio del Terz’Ordine; e non dubitiamo che voi, Venerabili Fratelli, insieme con gli altri pastori di anime, avrete ogni cura perché i sodalizi dei Terziari rinvigoriscano ove sono languenti, si moltiplichino ovunque per quanto è possibile, e tutti abbiano a fiorire nell’osservanza della disciplina non meno che nel numero di iscritti. Infatti, si tratta di questo: di preparare con schiere numerose di credenti, attraverso l’imitazione di Francesco, la via e il ritorno a Cristo, nel qual ritorno è riposta ogni speranza di comune salvezza. Quello infatti che di sé dice Paolo: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo », può con tutta ragione ripetere di sé Francesco, il quale, imitando Gesù Cristo, diventò di lui fedelissima copia e immagine. – Per rendere più fruttuose le celebrazioni centenarie, su richiesta dei Ministri Generali delle tre Famiglie francescane, Noi concediamo, dal tesoro della Santa Chiesa, quanto segue:

1. Che in tutte le chiese, dove esiste il Sodalizio del Terz’Ordine, canonicamente eretto, celebrandovi entro un anno, a cominciare dal 16 aprile prossimo, un sacro triduo per solennizzare questo Centenario, i Terziari possano acquistare l’indulgenza plenaria, alle solite condizioni, in ciascuno dei tre giorni, e gli altri una volta soltanto; coloro poi che, pentiti dei propri peccati, visiteranno nelle suddette chiese il Santissimo Sacramento, lucreranno l’indulgenza di 7 anni ogni volta;

2. Che nei detti giorni tutti gli altari di tali chiese siano « privilegiati »; e che in quel triduo ogni sacerdote possa celebrare la Messa di San Francesco, come « votiva pro re gravi et publica simul causa », osservando le rubriche generali del Messale Romano, come vengono proposte nell’ultima edizione vaticana;

3. Che tutti i Sacerdoti addetti a dette chiese possano, in quei giorni, benedire Rosari, medaglie e simili oggetti sacri, applicando ad essi le indulgenze apostoliche, come pure benedire i Rosari dei Crocigeri e di Santa Brigida. – Quale auspicio dei celesti favori e a testimonianza della Nostra benevolenza, impartiamo affettuosamente a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i membri del Terz’Ordine l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno dell’Epifania del Signore 1921, nell’anno settimo del Nostro Pontificato.

 BENEDICTUS PP. XV 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “CARITATIS PROVIDENTIÆQUE”

« … Opporsi, invece, ai … precetti e ricusare la guida della Chiesa, è lo stesso che opporsi alla volontà divina e ripudiare un insigne beneficio; giacché veramente nulla nello Stato rimane prospero e onesto, tutto scivola nella confusione, sia i reggitori sia i popoli vengono assaliti dall’ansioso timore di calamità. » È un significativo passaggio di questa lettera Enciclica indirizzata ai Vescovi polacchi, lettera ricca di spunti ed indicazioni pratiche per la vita sociale e religiosa di quel popolo. Sono raccomandazioni ancor più utili oggi, che gli uomini di Stato ed i reggitori dei popoli dovrebbero fare proprie ed attuare per il bene di popoli e Nazioni. Senza Dio e la sua Chiesa, ogni popolo – specie se apostata della fede – è votato alla distruzione, alla gran sofferenza, fino alla dissoluzione e alla rigenerazione, cioè, come si dice con termine tristemente attuale, al reset delle strutture sociali, economiche, spirituali. Tutto è stato anticipato e profetizzato nel Magistero ecclesiastico, non facciamoci trovare impreparati. Corriamo ai ripari con l’ingresso nella vera Chiesa cattolica, seppur solo di desiderio, con la preghiera fervorosa, la penitenza e la carità zelante … chissà che Dio non si impietosisca e faccia come a Ninive che, avvertita e mossa a conversione dalla predicazione di Giona, fu risparmiata da una fine imminente … come la nostra vecchia Europa ed il mondo un tempo cristiano…. ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta… Copriamoci di cenere e di sacco e facciamo penitenza.

Leone XIII
Caritatis providentiæque

Lettera Enciclica

19 marzo 1894

La particolare testimonianza della Nostra carità e previdenza che abbiamo offerto di tempo in tempo ad altri popoli cattolici nel senso di impartire con la consegna ai loro Vescovi di una specifica lettera insegnamenti d’esortazione apostolica, il poter similmente procurare a voi, secondo opportunità, tale servizio, era da lungo tempo un ingente Nostro desiderio. In verità Noi abbracciamo e sosteniamo codesto popolo, vario per stirpe, lingua, rito religioso – ciò che altra volta esprimemmo – tutt’insieme con un solo e medesimo affetto e non pensiamo mai ad esso se non con grande gioia: di esso aleggia da una parte l’illustre ricordo delle imprese, dall’altra costatammo ininterrottamente, congiunta con la fiducia, la grande devozione verso di Noi. – Tra le altre glorie, infatti, meritatamente perdura lo straordinario vanto di quei vostri padri, che, resa tremante l’Europa per gli assalti dei potentissimi nemici del nome cristiano, tra i primi opposero con insigni battaglie la protezione dei loro petti, [divenendo] essi fervidissimi garanti e fedelissimi custodi della Religione e del culto civile. Questi meriti sono stati da Noi con gioia non molti mesi fa apertamente ricordati, nella circostanza, cioè, in cui alcuni di voi, venerabili fratelli, conduceste a Noi in pellegrinaggio pie schiere di fedeli per salutarci e felicitarsi con Noi; questa bellissima testimonianza di fede fu occasione graditissima che Noi, a Nostra volta, Ci felicitassimo con la Polonia per il vivido decoro dell’avita Religione [rimasto] integro attraverso molte e difficili circostanze. – Ora poi se, per quanto Noi potevamo, non desistemmo affatto in passato di essere di giovamento alle sue cause sacre, desideriamo poterlo essere ancora più ampiamente ed è Nostra intenzione ora di farlo: per il motivo, certo, che appaia più chiara davanti alla Chiesa la manifestazione della Nostra sollecitudine per voi e che anche gli animi di voi tutti, rinvigorita la virtù, aumentati gli aiuti, vengano confermati ed eccellano nei doveri della professione cattolica. Abbiamo poi stabilito di fare questo con speranza chiaramente più fervida per il motivo che abbiamo riconosciuto e intravisto con quale solerzia voi, venerabili fratelli, siete soliti essere interpreti ed esecutori della Nostra volontà e con quale fermezza vi affatichiate nel difendere e accrescere i sommi beni dei vostri greggi. Quei frutti eccellenti, poi, che in essi desideriamo, Dio che spinge a parlare, li assecondi Egli stesso benigno. – Il beneficio della divina verità e grazia che con la sua Religione Cristo Signore recò al genere umano, è di utilità così grande ed eccellente tanto che nessun altro [beneficio] in nessuna maniera può essere con esso neppure paragonato e ad esso eguagliato. La forza di questo beneficio [che], come tutti sanno [è] molteplice e saluberrima, fluisce in modo mirabile nei singoli e nell’insieme di tutti, nella società domestica e in quella civile, a giovamento della prosperità della vita transeunte e per acquistare la felicità della vita immortale. Da ciò appare chiaramente che i popoli a cui è stata donata la Religione cattolica, giacché con essa godono del massimo di tutti i beni, così sono vincolati dal dovere, massimo fra tutti, di promuovere e amare la medesima. Contemporaneamente, poi, appare che essa non è cosa di tal genere che o i singoli o gli stati possano presumere di rettamente garantirla ad arbitrio proprio di ognuno di essi, ma solo in quel modo, con quella disciplina, quell’ordine che definì e comandò lo stesso divin Autore della Religione: cioè col Magistero e la guida della Chiesa, che è stata stabilita da lui come “colonna e base della verità” (1Tm 3,15) e fu in vigore con la singolare assistenza di lui per tutti i tempi, e sarà in vigore in perpetuo essendo stata pronunciata la promessa: “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine dei secoli” (Mt XXVIII, 20). – Giustamente, quindi, il vostro popolo a partire dagli avi e dagli antenati ritenne tanto illustre l’onore della religione così che sempre aderì con somma fede alla madre Chiesa e persistette sempre irremovibile in un eguale ossequio ai romani Pontefici e nell’obbedienza ai sacri Vescovi che essi, secondo il loro potere, avessero designato. Quanti vantaggi e risorse siano a voi da ciò profluiti, quanti efficaci sollievi abbiate avuto in circostanze di trepidezza, quanti aiuti abbiate anche ora, voi stessi lo conservate nei vostri grati animi, lo professate con gratitudine. – Ogni giorno è manifesto quali circostanze di gravissime realtà stiano subentrando nei popoli e nei territori, venendo la Chiesa cattolica o rispettata e mantenuta in degna posizione o danneggiata con ingiuria o disprezzo. Essendo contenuti, infatti, nella dottrina e legge del Vangelo quegli elementi che sono sempre giovevoli alla salvezza e alla perfezione dell’uomo, sia nella fede e nella conoscenza, sia nell’impiego e nell’operare della vita, e potendo la Chiesa per diritto divino [ricevuto] da Cristo trasmettere e sancire con la Religione questa dottrina e legge, essa è quindi, per servizio divino, efficace come grande forza moderatrice dell’umana società, nella quale essa è sia fautrice di generosa virtù sia realizzatrice di beni sceltissimi. – La Chiesa, poi, alla quale presiede per diritto divino il romano Pontefice, è tanto lontana dall’arrogarsi per via di così grande ampiezza d’autorità qualcosa dell’altrui diritto o dall’indulgere alle brame ambigue di qualcuno, che essa spesso piuttosto, cedendo, rinuncia al suo diritto; e, provvedendo con sapiente equità ai più elevati e agli infimi, offre se stessa per tutti quale solertissima reggitrice e madre. Perciò agiscono ingiustamente coloro che anche in questo si adoperano per riportare in luce antiche calunnie contro di essa, già tante volte refutate e chiaramente consunte, composte con una nuova specie di vituperio. Ne sono meno riprovevoli coloro che per lo stesso motivo nutrono sfiducia per la Chiesa e le attizzano il sospetto presso i reggitori degli stati e nelle pubbliche assemblee dei legislatori, dai quali, invece, ad essa è dovuta grande lode e ringraziamento. Infatti, essa nulla affatto insegna o comanda che in qualche modo sia nocivo o avverso alla maestà dei principi, all’incolumità e al progresso dei popoli; piuttosto dalla sapienza cristiana fa assiduamente crescere molte cose di loro comune utilità chiaramente quanto mai vantaggiose. Tra di esse sono degne di essere ricordate queste: che coloro che reggono un principato rappresentano per gli uomini un’immagine del potere e della provvidenza divina; che il loro dominio deve essere giusto e imitare quello divino, temperato dalla bontà paterna, e che i guadagni spettano unicamente allo Stato; che essi dovranno un giorno rendere ragione a Dio giudice e che questa per il posto più eccelso di dignità [sarà] più pesante: coloro che poi sono sotto il [loro] potere, debbono costantemente mantenere per i principi riverenza e fedeltà, come a Dio che esercita il dominio attraverso gli uomini, e obbedire ai medesimi “non solo per motivo dell’ira, ma anche per motivo di coscienza” (Rm XIII, 5), presentare per essi “implorazioni, orazioni, richieste, ringraziamenti” (1 Tm II, 1-2); che debbono osservare la santa disciplina dello Stato, astenersi dalle macchinazioni degli improbi e dalle sette, né fare qualcosa in modo sedizioso; concorrere con tutto per mantenere la tranquillità della pace nella giustizia. – Codesti e simili precetti e disposizioni evangelici, che dalla Chiesa vengono insegnati con tanto impegno, là dove sono in onore e di fatto valgono, colà non cessano di portare frutti eccellentissimi e li portano più copiosi in quei popoli nei quali la Chiesa usufruisce di più libera facoltà nel suo compito. Opporsi, invece, ai medesimi precetti e ricusare la guida della Chiesa, è lo stesso che opporsi alla volontà divina e ripudiare un insigne beneficio; giacché veramente nulla nello Stato rimane prospero e onesto, tutto scivola nella confusione, sia i reggitori sia i popoli vengono assaliti dall’ansioso timore di calamità. – In verità, venerabili fratelli, circa queste tematiche avete prescrizioni già trasmesse da Noi all’occasione più diffusamente: tuttavia Ci è parso di dover richiamare sommariamente le medesime cose, affinché la vostra premurosità, quasi poggiandosi al nuovo segnale della Nostra autorità, si adoperi con più ardore e più successo in ciò medesimo. Certamente sarà ottimo e di utilità per i vostri greggi, se si starà in guardia dai discorsi delle persone turbolente che con pessime arti non osano nulla ormai [che non sia] in maniera oltremodo scellerata per abbattere, distruggere il potere; se nessuna parte dei doveri che sono dei buoni cittadini verrà meno, se dalla fede a Dio dovuta e sacra fiorirà la fedeltà verso la cosa pubblica e i principi. – Parimenti accentrate la diligenza sulla società domestica, l’educazione della gioventù e dell’Ordine sacro, gli ottimi modi di trattare della carità cristiana. – L’integrità e l’onestà della convivenza domestica, da cui profluisce in modo precipuo la sanità nelle vene della società civile, va attinta innanzitutto dalla santità del matrimonio, che venga contratto secondo i precetti di Dio e della Chiesa unico e indissolubile. Poi è necessario che i diritti e i doveri tra i coniugi siano inviolati e vengano espletati con quanta massima concordia e carità possibile; che i genitori provvedano alla protezione e al profitto della prole, soprattutto all’educazione; che essi antecedano col loro esempio di vita, del quale nulla è più eccellente né più efficace. Alla retta e proba educazione dei figli, tuttavia, giammai essi penseranno di potere, come conviene, provvedere, se non vigilando con estrema attenzione. Infatti, essi non devono solo evitare scuole e licei dove vengano con attenta opera mescolate con l’insegnamento falsità circa la Religione o dove quasi domini l’empietà, ma anche quelle in cui non c’è alcun insegnamento né disciplina circa le istituzioni e i costumi cristiani quasi elementi importuni. Infatti, quanti vengono educati nelle lettere e nelle arti, è pure chiaramente necessario che i loro ingegni vengano ammaestrati nella conoscenza e nel culto delle realtà divine, come persone che, per esortazione e comando della natura stessa, non meno che allo stato, molto più debbano a Dio, e come persone perciò che sono state accolte nella luce, affinché servendo allo Stato, dirigano il loro cammino alla patria del cielo che rimarrà e [lo] portino a termine con zelo. Non si dovrà poi affatto cessare in ciò, facendo progressi con la loro età la cultura civile; al contrario si dovrà con più intensità insistervi sia perché la gioventù, come ora particolarmente vengono condotti gli studi, ogni giorno è spinta con più ardore dal desiderio di sapere, sia perché ad essa ogni giorno sovrastano maggiori pericoli circa la fede per via delle grandi perdite già deplorate in così importante realtà. Ciò poi che concerne il modo di trasmettere la sacra dottrina, l’onestà e la competenza dei maestri, la scelta dei libri, quali cautele la Chiesa giudichi rivendicare a sé, quali modi predeterminare, ciò lo fa chiaramente di suo diritto; ne non lo può non fare a favore di quanto è tenuta a provvedere per gravissimo dovere, affinché mai si insinui qualcosa di alieno dall’integrità della fede e dei costumi che nuoccia al popolo cristiano. – D’altra parte confermi e porti a compimento l’educazione sacra che viene impartita nelle scuole, quella che in certi tempi e con certe prescrizioni si ha nelle curie e nei templi, dove i germi della medesima fede e carità, come nel loro suolo, vengono nutriti e crescono più abbondantemente. – Queste cose avvertono a sufficienza per se stesse che è necessaria singolare diligenza e azione per formare l’Ordine clericale che, per detto divino, deve crescere in modo tale e mantenere in modo tale il sacro proposito, da essere ritenuto “sale della terra” e “luce del mondo”. Entrambe le lodi, che esprimono specificatamente la sana dottrina e la santità di vita, debbono essere particolarmente curate nel clero adolescente, né tuttavia devono essere custodite e promosse di meno nel clero adulto, a cui più da vicino sovrasta “l’apprestamento dei santi nell’opera del ministero, nell’edificazione del corpo di Cristo” (Ef. IV,12). – Circa i sacri seminari dei chierici è a Noi ben noto, venerabili fratelli, che non manca affatto la vostra cura; come, al contrario che muovervi esortazioni, si addica attestare approvazione sia a voi sia a tutti coloro della cui assidua fatica nell’amministrazione e nell’insegnamento essi si allietano. Chiaramente nei tempi tanto nocivi alla Chiesa che sono sopravvenuti, quando i nemici della verità prendono vigore, quando la peste delle seduzioni non serpeggia più occulta, ma avanza senza pudore in tutto, se si deve aspettare più di prima sollievi e rimedi dall’Ordine sacerdotale, esso naturalmente deve venir preparato con cura ed esercizio maggiore di prima alla buona battaglia della fede e all’eguale dignità di ogni virtù. Ben sapete quali norme circa il modo di dirigere gli studi siano state da Noi a più riprese in passato stabilite, soprattutto in ambito filosofico, teologico, biblico: insistete su di esse, affinché i maestri si dispongano con grandissima diligenza, né tralascino alcune delle altre scienze che sono di ornamento a quelle più importanti e aggiungono affidamento alle cariche sacerdotali. Similmente sotto la vostra istanza i superiori disciplinari e spirituali (uomini che devono essere di provatissima esperienza per integrità e prudenza), temperino il modo della vita comune in modo tale, formino ed esercitino gli animi degli alunni in modo tale che risplendano in essi progressi quotidiani delle appropriate virtù: e si miri anche al fatto che imparino e si rivestano con maturità di ogni prudenza nel contatto con quanto è di potestà civile. In questo modo chiaramente da quei sacri [luoghi], come da palestre e accampamenti, ininterrottamente uscirà ottimamente addestrata la nuova milizia, che verrà in soccorso a quanti lavorano nella polvere e al sole e sostituirà, [ancora] intatta, gli stanchi e gli emeritati. In verità facilmente vedete quanto pericolo nello stesso adempimento dei compiti sacri incontri anche la solida virtù, e quanto sia umano intiepidire nei propositi e venire meno ad essi. Perciò le vostre preoccupazioni che offriate ai Sacerdoti come convenientemente possano ricoltivare e accrescere gli studi della dottrina, riguardino contemporaneamente innanzitutto come essi possano in modo più fervido, recuperate nel frattempo le forze d’animo, sia occuparsi della loro perfezione, sia giovare alla salvezza eterna degli altri. – Se voi, venerabili fratelli, avrete un tale clero, giustamente formato e riconosciuto all’altezza ai vostri occhi, sentirete certamente non solo alleviarsi per voi il compito pastorale, ma anche abbondare i frutti desiderati nel gregge: dei quali è lecito sperare abbondanza soprattutto dall’esempio del clero e dall’operosa carità. – Il precetto della medesima carità, che è “grande” in Cristo, sia oltremodo raccomandato a tutti di qualsiasi Ordine, e i singoli si applichino a realizzarlo nel modo in cui Giovanni apostolo esorta: “con opera e verità”; con nessun altro vincolo o sostegno, infatti, le famiglie e gli stati possono mantenere la saldezza, né – ciò che vale di più – acquistare i meriti della dignità cristiana. Noi ciò considerando e deplorando i tanto numerosi e acerbi mali che, posposto o abbandonato questo precetto, sono conseguiti pubblicamente e privatamente, abbiamo spesso sul medesimo tema espresso la voce apostolica: lo facemmo specificatamente attraverso la lettera enciclica Rerum Novarum, in cui esponemmo i princìpi più adatti a dirimere la questione sulla condizione degli operai partendo dalla verità e giustizia evangelica. Ora, con rinnovata esortazione, inculchiamo gli stessi principi: essendo movente e guida la santa carità, è manifesto dall’esperienza quanta forza ed eccellenza abbiano le istituzioni cattoliche, i sodalizi di quanti esercitano le arti, le associazioni di quanti si sovvengono mutuamente, e [di] questa sorta più realtà o per alleviare le fatiche dei più deboli o per istruire rettamente l’infima plebe: coloro poi che forniscono consiglio o autorità, denaro o opera a cedeste realtà, nelle quali è in gioco la salvezza anche eterna di molti, essi in modo verissimo si rendono egregiamente meritevoli nei confronti della Religione e dei propri cittadini. – A queste cose dette universalmente al popolo della Polonia, [Ci] è gradito aggiungerne certe che riteniamo che saranno di vantaggio specificatamente secondo la condizione dei luoghi nei quali vi trovate: e in tal modo di questi stessi moniti che abbiamo dati Ci aggrada imprimerne alcuni tanto più profondamente nei vostri animi. – Innanzitutto. affidiamo un’esortazione a voi, come i più di numero, che sottostate al dominio russo, [e che] è di diritto che lodiamo con il nome della professione cattolica. È punto principale della Nostra esortazione che manteniate e promuoviate energicamente codesto animo di costanza nel coltivare la santa fede, nella quale avete quel bene che è il principio e la fonte – come dicemmo – dei massimi beni. È assolutamente necessario che il cuore cristiano anteponga di gran lunga questo a tutte le altre realtà; questo stesso, come sono i comandi divini e gli splendidi fatti degli uomini santi, non lo abbandoni affaticato da nessuna difficoltà e lo custodisca con somme forze e fatiche e, sorretto dalla virtù del medesimo, attenda consolazione e forza, qualunque evento le cose umane adducano, sia sicurissimamente sia pazientemente da Dio che si ricorda [dell’uomo]. Per ciò che concerne Noi, abbiamo in verità, secondo il Nostro compito, appreso quale sia la condizione delle vostre cose; e [Ci] diletta molto codesta grande fiducia che a guisa di figli ponete in Noi. Così, perciò, [vi] esortiamo che rigettiate del tutto le menzogne che iniquamente vengono seminate contro la Nostra benevolenza e sollecitudine per voi; siate del tutto persuasi che Noi per nulla meno dei Pontefici predecessori abbiamo accolto e abbiamo rivolto le Nostre cure come per gli altri vostri compatrioti, così per voi; che, invece, per sostenere la vostra fiducia, siamo pronti in tutto a laboriosamente adoperarci e confidentemente perseguire. Giova richiamare alla memoria che Noi già dagli inizi del pontificato, pensando alla realtà cattolica da ristabilire costì, abbiamo opportunamente interposto gli uffici presso il Consiglio Imperiale, per raggiungere quanto sia la dignità di questa sede apostolica, sia il patrocinio delle vostre cause sembrassero richiedere. Da questi uffici è risultato che nell’anno 1882 sono stati stabiliti con esso certi accordi: tra questi che ai vescovi sarebbe stata concessa libera facoltà di reggere i seminari dei chierici secondo le leggi canoniche; poi che l’Accademia Ecclesiastica Metropolitana, che è aperta anche agli alunni polacchi, dovesse venir affidata pienamente alla giurisdizione dell’Arcivescovo di Mohilev e venir migliorata per più estesa utilità del clero e della Religione cattolica: [fu] fatta, inoltre, la promessa che quanto prima andassero abrogate o mitigate quelle leggi specifiche che il vostro clero lamentava per sé più severe. Da quel tempo giammai Noi, presa o ricercata l’occasione, cessammo di richiedere [il mantenimento] dei patti convenuti. Anzi [Ci] aggradò di portare le medesime richieste allo stesso potentissimo Imperatore, del quale abbiamo sia sperimentato l’atteggiamento d’amicizia verso di Noi, sia supplicato con gagliardia l’eccelso amore della giustizia nella vostra causa: né cessiamo di presentare richieste allo stesso di tempo in tempo, affidandole soprattutto a Dio, giacché “il cuore del re [è] nella mano del Signore” (Prov. XXI,1). Voi, poi, venerabili fratelli, continuate a difendere con Noi la dignità e i sacrosanti diritti della Religione cattolica: essa potrà veramente essere salda nel suo proposito e recare i benefici che deve, quando, padrona della giusta sicurezza e libertà, sarà fornita di idonei sostegni, per quanto sia necessario, per l’esecuzione della [sua] azione. Giacché poi voi stessi vedete quale opera abbiamo dedicato appunto alla raccomandazione e al mantenimento nei popoli della tranquillità dell’ordine pubblico, voi stessi non cessate di agire affinché il rispetto dei poteri più elevati e l’ottemperanza alla pubblica disciplina sia fermamente salda nel clero e parimenti negli altri: e così, allontanata totalmente ogni causa di offesa o di biasimo e mutata ogni specie di imputazione in riverenza, rimanga e cresca al nome cattolico la sua lode. – Parimenti sia vostra incombenza far sì che non manchi nulla circa la somma salvezza dei fedeli, né nell’amministrazione delle curie, né nell’impartire il pascolo della parola divina, né nell’alimentare lo spirito della Religione; che i fanciulli e gli adolescenti, soprattutto nelle scuole, vengano diligentemente impregnati di sacra catechesi e ciò, per quanto può essere fatto, ad opera di Sacerdoti, ai quali ciò venga da voi legittimamente demandato; che si accordino pienamente col culto divino sia il decoro degli edifici sacri sia lo splendore festivo delle solennità, donde la fede attinge buoni incrementi. Avrete agito, poi, molto bene mettendo in anticipo in guardia da discriminazioni, se per caso sembra che ne esista qualcuna in queste cose; per questa causa non dubitate di fare appello, pur se con gravità e prudenza, alle stesse convenzioni ratificate con questa Sede Apostolica. Certo, deve essere gradito e desiderabile non solo ai polacchi, ma a tutti coloro che sono guidati da sincera carità per lo Stato, sia che non ci siano tali discriminazioni, sia che vengano conferiti i beni confacenti. La Chiesa cattolica, infatti – ciò che all’inizio abbiamo insegnato e ogni giorno si segnala -, è nata ed è stata istituita così che sicuramente giammai partorisca agli Stati e ai popoli nulla di dannoso, ma felicemente molteplici splendide utilità, anche nell’ambito delle cose mortali. – Voi, poi, che siete nel dominio dell’inclita casa degli Asburgo, considerate negli animi quanto dobbiate all’augusto Imperatore, zelantissimo dell’avita Religione. Perciò si apra da parte vostra verso di lui la giusta fiducia e il grato ossequio più eccellentemente di giorno in giorno: si apra zelo non dissimile di ottenere tutte quelle cose che o sono già state ottimamente costituite o i tempi e le circostanze persuadano a provvidamente costituire per l’incolumità e il decoro della Religione cattolica. – Desideriamo fermamente che l’Università di Cracovia, antica e nobile sede delle scienze, venga difesa nella sua integrità e prestanza, e che pure emuli le glorie di tali accademie che, non poche, l’insigne cura di Vescovi o la liberalità di privati, col Nostro favore, promosse in questi nostri tempi. Come in quelle, così nella vostra, sotto la direzione della solerzia del diletto Nostro figlio il Cardinal Vescovo, tutte le importantissime scienze, armonizzando con la fede con patto amico e presentando tanto di sostegno per la sua difesa quanto da essa di luce e di fermezza prendono in prestito, magari siano sempre più in tutti gli aspetti di giovamento alla gioventù dilettissima. – Parimenti deve molto importare alle vostre cose, certo alle Nostre importa massimamente ,che presso di voi gli Ordini dei religiosi siano in rigoglio nella stima di tutti: essi, incaricati della perfezione della virtù che cercano di conseguire e di molteplice insegnamento e del lavoro fruttuoso nel guadagnare gli animi, sono come ricchezze più abbondanti a disposizione della Chiesa e non di meno le cittadinanze in ogni tempo hanno usato di essi come ottimi aiutanti per ogni onestissima iniziativa. E particolarmente, volgendo lo sguardo alla Galizia, ricordiamo con somma propensione l’antichissimo ordine basiliano, nel ristabilire il quale Noi stessi tempo fa demmo alcuni peculiari consigli e cure. Infatti, veramente cogliamo frutto non insignificante di letizia per il motivo che esso, assecondando con vivace religiosità la Nostra aspettativa, si rifaccia in piena misura alla gloria dei tempi anteriori allorché fu in molti modi salutare alla chiesa rutena: con la vigilanza dei Vescovi e l’operosità dei curatori i segnali di salvezza del medesimo cominciano già da esso a brillare più luminosi di giorno in giorno. – Qui però, giacché cadde la menzione sui Ruteni, permettete che ripetiamo l’esortazione che voi con essi, sebbene si interponga la differenza delle origini e dei riti, associate le volontà più strettamente e amantemente, come si addice a coloro che la comunione di territorio, cittadinanza e massimamente di fede associa. Come infatti la Chiesa li ha e li ama come benemeriti figli e permette loro con sapiente consiglio legittime consuetudini e riti propri, non diversamente voi, a cominciare dal clero, abbiateli e curateli così come fratelli dei quali sia un cuore solo e un’anima sola, a ciò in fin dei conti aspirando: che aumenti all’unico Dio e Signore la gloria e insieme vengano moltiplicati i frutti di ogni giustizia “nella bellezza della pace”. – Parimenti con animo gradito volgiamo la parola a voi che abitate la provincia di Gnesen e Posnania. Seppure tra le altre cose, [Ci] è grato ricordare come tra i vostri stessi cittadini, come era desiderio di tutti, innalzammo all’illustre sede di S. Adalberto un uomo insigne per pietà, prudenza e carità. Più grato è poi vedere con quale obbedienza, con quale amore siate unanimi favorevoli alla sua mite e operosa guida: da ciò veramente [c’è] da sperare che la condizione della Religione cattolica si allieterà presso di voi ogni giorno più di buoni incrementi. Al fine poi che la medesima speranza si confermi maggiormente e risponda più pienamente ai desideri, non senza causa comandiamo che voi confidiate nella magnanima giustizia del serenissimo Imperatore; del quale, tra l’altro, non una volta sola abbiamo conosciuto come testimoni la mente propensa e benevola verso di voi, che sarà per voi chiaramente di aiuto se persevererete nella verecondia delle leggi, in ogni gloria cristiana delle cose rettamente compiute. – Venerabili fratelli, vogliamo che ognuno annunzi queste prescrizioni ed esortazioni ai vostri greggi di modo che anche le vostre opere risultino più fruttuose. In questo riconoscano così i figli carissimi da quanto grande affetto di carità a loro stesso favore siamo spinti; questo poi essi stessi, come Noi fortemente desideriamo, [lo] accolgano con eguale rispetto e pietà. Se, infatti, coltiveranno queste cose diligentemente e costantemente – ciò che riteniamo per certo – potranno sicuramente sia allontanare i pericoli alla fede derivanti dalla gravezza del tempo, sia custodire le memorabili magnificenze dei padri, rinnovarne gli atteggiamenti e gli esempi, diffondendosi da ciò vantaggi quanto mai ottimi a sollievo anche di questa vita. – Vi chiediamo, poi, di implorare assieme a Noi con ardore favorevole abbondanza d’aiuto divino, presi per intercessori la gloriosissima Vergine Maria, Giuseppe santissimo, della cui solennità oggi il popolo cristiano si allieta, e i santi celesti patroni della Polonia. – Come auspicio di ciò e come testimonianza della Nostra particolare benevolenza impartiamo amantissimamente nel Signore a voi e al clero e a tutto il popolo affidato alla vostra vigilanza la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, 19 marzo 1894, anno XVII del Nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – CATTOLICÆ ECCLESIÆ.

Questa breve lettera Enciclica è l’ennesimo documento del Magistero ecclesiastico che condanna l’abominio della schiavitù umana, della sottomissione forzata alla volontà altrui, del disprezzo della morale evangelica che condanna senza eccezioni qualsiasi forma di assoggettamento umano alla legge del più forte e del più potente a discapito dei fratelli deboli, liberati dal Cristo da ogni forma di schiavitù, spirituale essenzialmente, ma anche fisica e morale. All’epoca la questione riguardava principalmente l’Africa, da dove venivano schiavizzati tanti esseri umani onde essere rivenduti come animali ad individui senza scrupoli né timori, che li utilizzavano per massacranti lavori manuali o per soddisfare voglie innominabili. Quella schiavitù, un tempo legata essenzialmente a regioni geografiche localizzate, è oggi pratica “pandemica” comune anche in Paesi cosiddetti civili, o addirittura in Nazioni un tempo cristiane, sotto forma di lavori disumani e disumanizzanti, di prostituzione, di impiego criminale, di vendita di infanti e fanciulli utilizzati per essere impiegati in vergognosi ed innominabili eventi, dalle pratiche sado-masochiste, alla pedofilia, ai rituali infernali e magici, ai trapianti di organi, allo sfruttamento di ogni tipo … vergogne della “moderna civiltà”, o meglio della nuova barbarie pagana sostenuta dalle organizzazioni dei marrani-kazari, cioè da quegli uomini infami che odiano Dio, il suo Cristo, la sua unica vera Chiesa ed in definitiva tutti gli uomini, compresi se stessi. Il tutto naturalmente senza una denuncia o protesta efficace di stati, organismi e soprattutto di istituzioni pseudo religiose – le cosiddette controchiese -, per arginare il triste fenomeno, anzi favorendolo sotto coperture apparentemente filantropiche. Ecco perché il progetto del cosiddetto Reset del nuovo ordine, sta andando avanti rapidamente e procederà con sempre maggiore potenza, permesso da Dio per rinnovare una umanità corrotta, lontana dalla dimensione dello spirito, dedita ai piaceri sensuali e all’avidità insaziabile di beni materiali, alla schiavitù di satanasso, la cui testa sarà infine schiacciata dal calcagno della SS. Vergine Maria.

Leone XIII
CatholicæEcclesiæ

La Chiesa cattolica, che abbraccia tutti gli uomini con carità di madre, quasi nulla ebbe più a cuore, fin dalle sue origini, come tu sai, Venerabile Fratello, che di vedere abolita e totalmente eliminata la schiavitù, che sotto un giogo crudele teneva moltissimi fra i mortali. Infatti, diligente custode della dottrina del suo Fondatore, che personalmente e con la parola degli Apostoli aveva insegnato agli uomini la fratellanza che li stringe tutti insieme, come coloro che hanno una medesima origine, sono redenti con lo stesso prezzo, e sono chiamati alla medesima eterna beatitudine, la Chiesa prese nelle proprie mani la causa negletta degli schiavi, e fu la garante imperterrita della libertà, sebbene, come richiedevano le circostanze e i tempi, si impegnasse nel suo scopo gradualmente e con moderazione. Cioè, procedeva con prudenza e discrezione, domandando costantemente ciò che desiderava nel nome della religione, della giustizia e della umanità; con ciò fu grandemente benemerita della prosperità e della civiltà delle nazioni. – Nel corso dei secoli non rallentò mai la sollecitudine della Chiesa nel ridonare la libertà agli schiavi; anzi, quanto più fruttuosa era di giorno in giorno la sua azione, tanto più aumentava nel suo zelo. Lo attestano documenti inconfutabili della storia, la quale per tale motivo designò all’ammirazione dei posteri parecchi Nostri antecessori, fra i quali primeggiano San Gregorio Magno, Adriano I, Alessandro III, Innocenzo III, Gregorio IX, Pio II, Leone X, Paolo III, Urbano VIII, Benedetto XIV, Pio VII, Gregorio XVI, i quali posero in opera ogni cura perché l’istituzione della schiavitù, dove esisteva, venisse estirpata, e là dove era stata sterminata non rivivessero più i suoi germi. – Una così gloriosa eredità, lasciataci dai Nostri predecessori, non poteva essere ripudiata da Noi, per cui non abbiamo tralasciato alcuna occasione che Ci si offrisse di biasimare apertamente e di condannare questo flagello della schiavitù; espressamente ne abbiamo trattato nella epistola scritta il 5 maggio 1888 ai Vescovi del Brasile, con la quale Ci siamo congratulati per quanto essi avevano con lodevole esempio operato pubblicamente in quel paese per la libertà degli schiavi, e insieme abbiamo dimostrato quanto la schiavitù si opponga alla religione ed alla dignità dell’uomo. – Invero, quando scrivevamo tali cose, Ci sentivamo fortemente commossi per la condizione di coloro che sono soggetti all’altrui dominio; e molto più raccapriccio provammo al racconto delle tribolazioni da cui sono oppressi tutti gli abitanti di alcune regioni del centro dell’Africa. È cosa dolorosa ed orrenda constatare, come abbiamo saputo da sicure informazioni, che quasi quattrocentomila Africani, senza distinzione di età e di sesso, ogni anno sono violentemente rapiti dai loro miseri villaggi, dai quali, legati con catene e percossi con bastoni durante il lungo viaggio, sono portati ai mercati dove, come bestie, sono messi in mostra e venduti. – Di fronte alle testimonianze di coloro che videro queste cose e alle recenti conferme di esploratori dell’Africa equatoriale, Ci siamo accesi dal vivo desiderio di venire, secondo le Nostre forze, in aiuto di quegli infelici e di recare sollievo alla loro sventura. Perciò, senza indugio, abbiamo incaricato il diletto Nostro figlio Cardinale Carlo Marziale Lavigerie, di cui Ci sono noti l’energia e lo zelo Apostolico, di andare per le principali città dell’Europa a far conoscere l’ignominia di questo turpissimo mercato e ad indurre i Principi e i cittadini a portare soccorso a quelle infelicissime popolazioni. – Noi dobbiamo rendere grazie a Cristo Signore, Redentore amantissimo di tutte le genti, il quale nella sua benignità non permise che le Nostre sollecitudini andassero perdute, ma volle che riuscissero quasi come seme affidato a suolo fecondo, che promette una copiosa raccolta. Infatti i Reggitori dei popoli e i Cattolici di tutto il mondo, e tutti coloro che rispettano i diritti delle genti e della natura, gareggiarono nell’indagare quali mezzi soprattutto siano necessari per sradicare del tutto quel commercio inumano. Un solenne Congresso tenuto testé a Bruxelles, al quale convennero i Legati dei Principi d’Europa, e una recente assemblea di privati, che col medesimo intento e con generosi propositi si radunarono a Parigi, dimostrano chiaramente che la causa dei Negri sarà difesa con quella energia e quella costanza che richiede la mole delle sciagure da cui quei miseri sono oppressi. È per questo che non vogliamo trascurare la nuova occasione che si presenta di rendere le meritate lodi e i ringraziamenti ai Principi d’Europa e agli altri personaggi di buona volontà: al sommo Dio domandiamo fervidamente che voglia dare felice riuscita ai loro disegni ed all’impianto di una così grande impresa. – Ma, oltre alla cura di difendere la libertà, un’altra cura più grave, più da vicino riguarda il Nostro ministero Apostolico, quella cioè che impone di adoperarci perché nelle regioni dell’Africa si propaghi la dottrina del Vangelo, che con la luce della verità divina illumini quelle popolazioni giacenti nelle tenebre e oppresse da cieca superstizione, affinché diventino con noi partecipi dell’eredità del regno di Dio. Questo impegno poi lo curiamo con tanto maggior zelo, in quanto quei popoli, ricevuta la luce evangelica, scuoteranno da sé il giogo della schiavitù umana. Infatti, dove sono in vigore i costumi e le leggi cristiane; dove la religione insegna agli uomini a rispettare la giustizia e a onorare la dignità umana; dove ampiamente si diffuse quello spirito di carità fraterna, che Cristo c’insegnò, quivi non può esistere né schiavitù, né ferocia, né barbarie; ma fioriscono la soavità dei costumi e la libertà cristiana accompagnata dalla civiltà. – Già parecchi uomini Apostolici, quasi avanguardia di Cristo, sono andati in quelle regioni dove, per la salute dei fratelli, diedero non solo il sudore, ma anche la vita. Tuttavia, la messe è molta, ma gli operai sono pochi; per cui è necessario che moltissimi altri, animati dallo stesso spirito di Dio, senza timore alcuno né di pericoli, né di disagi, né di fatiche, vadano in quelle regioni dove si esercita quel vergognoso commercio, per recare ai loro abitanti la dottrina di Cristo congiunta alla vera libertà. – Però un’impresa di tanta gravità domanda mezzi pari alla sua ampiezza. Infatti, non si può provvedere senza grandi disponibilità all’Istituto dei missionari, ai lunghi viaggi, alla costruzione delle residenze, alla erezione e alla dotazione delle chiese e ad altre simili cose necessarie: dovremo sostenere tali spese per alcuni anni, finché, in quei luoghi dove si saranno fissati, i predicatori del Vangelo possano provvedere autonomamente. Dio volesse che Noi avessimo i mezzi con cui poter sostenere questo peso! Ma ostando ai Nostri voti le gravi angustie nelle quali Ci troviamo, con paterna voce Ci appelliamo a te, Venerabile Fratello, a tutti gli altri Vescovi e a tutti i Cattolici, e raccomandiamo alla vostra e alla loro carità una così santa e salutare opera. Infatti, desideriamo che tutti partecipino, anche con una piccola offerta, affinché il peso, diviso fra molti, diventi più leggero e tollerabile da tutti, e perché in tutti si diffonda la grazia di Cristo, trattandosi della propagazione del suo regno, e a tutti arrechi la pace, il perdono dei peccati e qualunque dono più prezioso. – Decidiamo pertanto che ogni anno, nel giorno e dove si celebrano i misteri dell’Epifania, venga raccolto denaro come offerte a favore dell’Opera ora ricordata. Scegliamo questo giorno solenne a preferenza degli altri, perché, come bene intendi, Venerabile Fratello, in quel giorno il Figlio di Dio per la prima volta si palesò alle genti, mentre si fece conoscere ai Magi, i quali perciò da San Leone Magno, Nostro antecessore, sono appunto chiamati le primizie della nostra vocazione e della fede. Speriamo pertanto che Cristo Signore, commosso dalla carità e dalle preci dei figli, i quali ricevettero la luce della verità con la rivelazione della sua divinità, illumini pure quella infelicissima parte del genere umano e la tolga dal fango della superstizione e dalla dolorosa condizione, in cui da tanto tempo giace avvilita e trascurata. – Vogliamo poi che il denaro raccolto in detto giorno nelle chiese e nelle cappelle soggette alla tua giurisdizione, sia trasmesso a Roma alla Sacra Congregazione di Propaganda. Sarà poi compito di essa ripartire questo denaro tra le Missioni che esistono o verranno istituite nelle regioni Africane, soprattutto per estirpare la schiavitù; il riparto sarà fatto in modo che le somme di denaro provenienti dalle nazioni che hanno proprie Missioni cattoliche per redimere gli schiavi, come ricordammo, vengano assegnate a mantenere e a promuovere le stesse. La rimanente elemosina sia poi ripartita con prudente criterio fra le più bisognose dalla stessa Sacra Congregazione, la quale conosce i bisogni delle Missioni. – Non dubitiamo che Dio, ricco in misericordia, accolga benignamente i voti che formuliamo per gli infelici Africani, e che tu, Venerabile Fratello, ti adopererai spontaneamente con la volontà e con il tuo lavoro perché siano abbondantemente soddisfatti questi propositi. Confidiamo inoltre che con questo temporaneo e speciale soccorso, che i fedeli daranno per abolire la piaga del traffico disumano e per sostentare i banditori del Vangelo nei luoghi dove essa esiste, non diminuirà la liberalità con la quale si sogliono promuovere le Missioni cattoliche con l’elemosina raccolta dall’Istituto che, fondato a Lione, fu detto della Propagazione della Fede. Quest’opera salutare, che già raccomandammo ai fedeli, presentandosene l’opportunità elogiamo nuovamente, desiderando che largamente estenda i suoi benefici e fiorisca in lieta prosperità. – Intanto, Venerabile Fratello, a te, al clero e ai fedeli affidati alla tua pastorale vigilanza, affettuosissimamente impartiamo la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 novembre 1890, anno decimoterzo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XI – “RERUM ECCLESIÆ”

«… il Vicario in terra di Gesù, Principe dei Pastori, chiunque egli sia, lungi dal potersi appagare della semplice difesa e custodia del gregge divinamente affidatogli da governare, ove non voglia venir meno ad uno dei principali suoi obblighi deve altresì procurare con ogni zelo di guadagnare a Cristo quanti ne sono ancora lontani. » Giustamente il Sommo Pontefice ricorda a se stesso ed a tutti, uno dei suoi compiti principali assegnatogli dal Fondatore della Chiesa, N. Signore Gesù Cristo, e sollecita i suoi Vescovi e prelati ad adoperarsi per diffondere il culto cristiano tra i pagani, utilizzando e formando in particolare un clero indigeno. Attualmente vediamo come le cose si siano invertite, nel senso che è il clero formato in terre lontane, che viene ad evangelizzare terre e nazioni neopagane, un tempo cristiane e patria di illustri evangelizzatori in ogni continente, oggi prive di vocazioni e prive di istituzioni veramente cattoliche divenute moderniste e finanche apostate dalla fede – in linea con le direttive di falsi gerarchi e prelati usurpanti – che formano perciò solo falsi ed invalidi non-sacerdoti propaganti eresie e veleno spirituale privo di ogni grazia. Preghiamo, i residui Cattolici della Chiesa di Cristo, perché il Padrone delle messi, mandi tanti iperai che portino anime in abbondanza nel regno dei Cieli.

LETTERA ENCICLICA
RERUM ECCLESIÆ
DEL SOMMO PONTEFICE


PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
ED AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
CHE ISTITUISCE UN MUSEO MISSIONARIO
DA ALLESTIRE NEL PALAZZO DEL LATERANO

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Esaminando con attenzione gli annali della Chiesa, a nessuno può sfuggire come, fin dai primi secoli del Cristianesimo, i Romani Pontefici rivolsero le loro principali cure e provvidenze a che si diffondessero la luce della dottrina evangelica e i benefìci della civiltà cristiana ai popoli che ancora « giacevano nelle tenebre e nell’ombra della morte », senza fermarsi mai per difficoltà incontrate o per ostacoli che si frapponessero. E veramente, altro intento non ha la Chiesa se non di rendere partecipe tutto il genere umano dei frutti della Redenzione, dilatando in tutta la terra il regno di Cristo; e il Vicario in terra di Gesù, Principe dei Pastori, chiunque egli sia, lungi dal potersi appagare della semplice difesa e custodia del gregge divinamente affidatogli da governare, ove non voglia venir meno ad uno dei principali suoi obblighi deve altresì procurare con ogni zelo di guadagnare a Cristo quanti ne sono ancora lontani. Orbene, in ogni tempo i Nostri predecessori, com’è noto, eseguirono fedelmente il loro divino mandato d’insegnare e di battezzare tutte le genti; e i sacerdoti da loro inviati, non pochi dei quali, o per esimia santità di vita o per il martirio incontrato, sono pubblicamente venerati dalla Chiesa, si adoperarono, sia pure con vario esito, ad illuminare della nostra  fede l’Europa e poscia regioni fino allora ignote man mano che venivano scoperte ed esplorate. Con varietà di successo, diciamo; perché accadde talora che dopo tanti tentativi e fatiche riuscite quasi inutili, e uccisi o cacciati i Missionari dal campo che avevano cominciato a dissodare, questo o riuscì appena a perdere un poco della sua selvatichezza, o pur essendo già stato cambiato in un giardino smaltato di fiori, in processo di tempo, abbandonato a se stesso, andò a poco a poco nuovamente ingombrandosi di spini e di rovi. Tuttavia, è motivo di consolazione il vedere come in questi ultimi anni gli Istituti, che si dedicano alle Missioni tra gli infedeli, hanno raddoppiato il lavoro ed i frutti, e che da parte dei fedeli alle aumentate opere dei Missionari si rispose con l’aumento dei sussidi. Al che certo grandemente conferì la Lettera Apostolica, che l’immediato Nostro predecessore, di s.m., indirizzò all’Episcopato il 30 novembre 1919 « sulla propagazione della fede cattolica nel mondo »; perché in essa, mentre il Pontefice ne stimolava la diligenza e lo zelo nel procurare aiuti, indicava con sapientissimi avvisi ai Vicari e ai Prefetti Apostolici gl’inconvenienti da rimuovere e le opere da praticarsi dai loro dipendenti per rendere più fruttuoso l’esercizio del sacro apostolato. – Quanto a Noi, Venerabili Fratelli, ben sapete che fino dagli inizi del Pontificato Ci siamo proposti di adoperarCi con ogni mezzo per spianare ai popoli pagani l’unica via della salute recando ogni giorno più oltre, per mezzo dei predicatori apostolici, la luce della verità evangelica. In tale proposito Ci parve di fermare il Nostro desiderio su due punti, ambedue, più che opportuni, necessarii, e l’uno strettamente unito con l’altro; vale a dire, il numero molto maggiore di operai evangelici, ben formati e corredati di svariate cognizioni, da inviarsi nelle sterminate regioni ancora prive della cultura cristiana, e la maggiore intelligenza del dovere che stringe i fedeli a cooperare ad un’Opera così santa e fruttuosa con entusiasmo e fervore, con l’assiduità delle preghiere e con la generosità. E non fu questo anche lo scopo per cui volemmo che sorgesse la Mostra Missionaria Vaticana? E, grazie alla benignità del Signore, molti cuori giovanili, come Ci fu detto, al vedersi quasi spettatori della grazia divina e della magnanimità e nobiltà umana, concepirono i primi germi della vocazione apostolica; e l’ammirazione per gli operai evangelici, da cui furono pervase tante schiere di visitatori, Ci fa fin d’ora prevedere, con buoni motivi di speranza, che essa non sarà vana né sterile di frutti. Ma perché non abbiano ad essere dimenticati o a venir meno gli insegnamenti così importanti che gli stessi oggetti delle Missioni nella eloquenza del loro silenzio impartirono, abbiamo ordinato, come già saprete, l’istituzione di un Museo dove collocare con disposizione più opportuna gli oggetti scelti fra i principali. Tale Museo sorgerà nel Nostro Palazzo del Laterano; in quel luogo, cioè, dal quale, concessa la pace alla Chiesa, dai Nostri predecessori furono poi inviati tanti uomini apostolici, mirabili per santità di vita e per lo zelo della religione, in quelle terre che sembravano « già biondeggiare di messi ». Così tutti i Missionari che, gregarii e specialmente capitani, per così dire, visiteranno il Museo, confrontando tra di loro le statistiche e i metodi di ciascuna Missione, ne trarranno ispirazione per opere migliori e più grandi; e anche i semplici fedeli; crediamo, proveranno la stessa commozione di coloro che hanno esaltato la Mostra Vaticana. Intanto, per meglio infiammare all’azione l’ardore accesosi nel popolo cristiano per le Missioni, indirizziamo a Voi, Venerabili Fratelli, il Nostro appello, implorando l’aiuto della vostra operosità. Se mai in altra impresa fu conveniente e necessario che voi vi impegnaste, la dignità del vostro ufficio ed anche il vostro affetto filiale per Noi non vi permettono di non adoperarvi in questa occasione con ogni zelo e diligenza. Certo, per parte Nostra, fino a quando la divina Provvidenza Ci manterrà in vita, questo dovere del Nostro ufficio apostolico Ci terrà in continua sollecitudine, perché ripensando sovente che i pagani sono tuttora circa un miliardo non abbiamo requie nel Nostro spirito e Ci sembra di sentirCi intimare all’orecchio «Grida, non darti posa, alza la tua voce come una tromba ». – Non occorre insistere per dimostrare quanto sarebbe alieno dalla virtù della carità, che riguarda Dio e tutti gli uomini, se coloro che appartengono all’ovile di Cristo non si dessero pensiero dei miseri i quali vanno errando lontano. Certo il debito di carità che ci stringe a Dio richiede non solo che procuriamo di accrescere il numero di coloro i quali lo conoscono e lo adorano « in spirito e verità », ma altresì che assoggettiamo al regno dell’amabilissimo Redentore quanti più possiamo, affinché riesca ogni giorno più fruttuosa « l’utilità nel sangue suo » e ci rendiamo sempre meglio accettevoli a Lui, mentre sopra ogni altra cosa a Lui torna gradito che gli uomini si salvino e giungano al riconoscimento della verità. Che se Gesù Cristo diede come carattere distintivo dei suoi seguaci l’amore vicendevole, potremmo noi forse dimostrare ai nostri prossimi carità maggiore o più insigne, che procurando di trarli dalle tenebre della superstizione e d’istruirli nella vera fede di Cristo? Anzi, questo supera qualunque altra opera o prova di carità, come l’anima è più pregevole del corpo, il cielo della terra, l’eternità del tempo; e chiunque esercita quest’opera di carità secondo le sue forze, dimostra di stimare il dono della fede quant’è giusto che lo stimi, e inoltre manifesta la sua gratitudine verso la bontà di Dio partecipando ai poveri infedeli questo stesso dono, il più prezioso di tutti, e con ciò gli altri beni che ad esso vanno uniti. Se nessun fedele può esimersi da tale dovere, potrà forse esimersene il clero, che per una mirabile scelta e vocazione partecipa del sacerdozio ed apostolato di Gesù Cristo, Nostro Signore, potrete esimervene voi, Venerabili Fratelli, che insigniti della pienezza del sacerdozio siete divinamente costituiti pastori, ciascuno per la sua parte, del clero e del popolo cristiano? Certo è che leggiamo aver Gesù Cristo ordinato, non solo a Pietro, la cui cattedra Noi occupiamo, ma a tutti gli Apostoli di cui voi siete i successori: « Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura »; dal che appare appartenere sì a Noi la cura della propagazione della fede, ma in modo che anche voi dovete partecipare con Noi a tale impresa e aiutarCi per quanto ve lo permette l’adempimento de1 vostro ufficio particolare. Non v’incresca dunque, Venerabili Fratelli, seguire volonterosamente le Nostre paterne esortazioni, sapendo che Dio ci domanderà un giorno stretto conto di così importante affare. – Anzitutto, con la parola e con gli scritti procurate di introdurre e di gradatamente estendere la santa consuetudine di pregare « il Padrone della messe, perché mandi operai alla sua messe », e d’implorare per gl’infedeli gli aiuti del lume e della grazia celeste; e a ragion veduta parliamo di consuetudine e di usanza stabile e continua, che, come ognun vede, presso la divina misericordia ha più valore ed efficacia che non preghiere indette o una volta sola o di quando in quando. E veramente i predicatori evangelici potrebbero ben affaticarsi, e versar sudori, e dare anche la vita per condurre i pagani alla religione cattolica; potrebbero usare ogni industria, ogni diligenza e ogni genere di mezzi umani; ma tutto ciò non gioverebbe a nulla, tutto cadrebbe a vuoto, se Dio con la sua grazia non toccasse i cuori degli infedeli per intenerirli e trarli a sé. Ora è facile capire che, non mancando a nessuno la possibilità della preghiera, tutti hanno in mano questo aiuto e questo quasi alimento delle Missioni; perciò farete cosa conforme ai Nostri desideri e all’indole e al sentimento dei fedeli, se ordinerete di aggiungere, per esempio, al Rosario della Beata Vergine e ad altre simili preghiere, solite a recitarsi nelle parrocchie e nelle altre chiese, qualche preghiera speciale per le Missioni e per la conversione dei pagani alla fede. A questo intento, Venerabili Fratelli, siano chiamati a cooperare e si infiammino specialmente i fanciulli e le Religiose; bramiamo cioè che negli asili, negli orfanotrofi, nelle scuole, nei collegi giovanili e nelle case e conventi di Religiose salga ogni giorno la preghiera al cielo per far discendere su tanti infelici, su tante popolose nazioni pagane la misericordia divina; ad anime pure ed innocenti che potrà mai rifiutare il Padre celeste? D’altra parte, tale usanza dà a sperare che nel tenero cuore dei giovanetti, avvezzatisi a pregare per la salute degli infedeli col primo sbocciare del fiore della carità, possa con l’aiuto di Dio insinuarsi il desiderio dell’apostolato: desiderio che, coltivato con cura, darà forse con l’andar del tempo buoni operai al ministero apostolico. – Tocchiamo qui di passaggio un argomento degno, Venerabili Fratelli, della vostra più attenta considerazione. A tutti sono noti i gravissimi danni recati alla propagazione della fede dall’ultima guerra, mentre dei Missionari gli uni, richiamati in patria, caddero nell’immane conflitto, gli altri allontanati dal campo delle loro fatiche dovettero lasciare per molto tempo il proprio terreno incolto; danni e perdite che si dovettero e si debbono tuttora riparare, né solo per far ritornare le cose allo stato di prima, ma anche per farle progredire e prosperare. – Inoltre, sia che si guardino le sterminate estensioni di luoghi non ancora aperti alla cristiana civiltà, o l’immenso numero di coloro che sono ancora privi dei benefìci della redenzione, o le necessità e le difficoltà da cui i missionari, per la scarsezza del numero, si sentono impacciati e trattenuti, è necessario che i Vescovi e tutti i Cattolici si adoperino concordemente perché il numero dei sacri legati cresca e si moltiplichi. Pertanto, se in ogni vostra diocesi vi sono giovinetti o chierici o sacerdoti, che diano segno di essere da Dio chiamati a così sublime apostolato, anziché contrastarli in alcun modo, dovete col favore e con l’autorità vostra secondarne le propensioni e i desideri. Vi sarà lecito, senza dubbio, di mettere a prova spassionatamente gli spiriti per vedere se sono da Dio, ma una volta convinti che l’ottimo proposito sia nato e vada maturando per ispirazione di Dio, non penuria di clero né necessità alcuna della diocesi devono disanimarvi e trattenervi dal dare il consenso, mentre quelli delle vostre contrade, avendo, diciamo così, sotto mano i mezzi di salute, sono molto meno lontani dalla salvezza che non siano gli infedeli, massime quelli che persistono nella loro ferocia e barbarie. Offrendosi poi l’occasione di un fatto simile, incontrate di buona voglia, per amor di Cristo e delle anime, la perdita di qualcuno dal clero, se pur perdita debba dirsi; giacché se vi priverete di qualche coadiutore e compagno delle vostre fatiche, il Divino Fondatore della Chiesa certamente supplirà o col versare più copiose grazie sulla diocesi o col suscitare nuove vocazioni al sacro ministero. Nondimeno, perché questa faccenda si leghi bene con le altre cure dell’ufficio pastorale, cercate d’istituire presso di voi l’Unione Missionaria del clero, o, se già è istituita, incitatela col consiglio, con l’esortazione, con l’autorità vostra ad un’azione sempre più viva. Tale Unione, provvidenzialmente fondata otto anni or sono dal Nostro immediato antecessore, fu arricchita di molte indulgenze e posta sotto la giurisdizione della S. Congregazione di Propaganda; diffusasi, poi, in questi ultimi anni, in molte diocesi dell’Orbe cattolico, Noi medesimi l’abbiamo onorata, non una volta sola, con testimonianze di pontificia benevolenza. Tutti i sacerdoti che ad essa appartengono e, nel modo conveniente alla loro condizione, gli alunni delle sacre discipline, secondo lo scopo dell’istituzione, chiedono essi stessi, massime nel Santo Sacrificio della Messa, e stimolano gli altri a chiedere il dono della Fede per le innumerevoli moltitudini d’infedeli; ogni volta, e dovunque per loro si possa, predicano al popolo circa l’apostolato da promuovere presso gl’infedeli, ovvero procurano che di tanto in tanto, in giorni e adunanze stabilite, se ne tratti in comune e fruttuosamente; diffondono nel popolo opuscoli di propaganda; e dove in alcuno riscontrino felicemente i semi di siffatto apostolato, gli procurano i mezzi per la debita formazione ed istruzione; in tutti i modi favoriscono entro i confini della propria diocesi l’Opera della Propagazione della Fede, e le altre due che sono ad essa sussidiarie. Quante offerte poi abbia raccolte sinora l’Unione Missionaria del Clero per aiutare queste stesse opere, quante di più in futuro ne lasci sperare — crescendo la generosità dei fedeli d’anno in anno — voi non l’ignorate, Venerabili Fratelli; parecchi di essi, ciascuno nel proprio territorio, vengono utilizzati come patroni e sollecitatori; è da desiderare tuttavia che ormai non vi sia più ecclesiastico alcuno, il quale non arda della fiamma di questa carità. Infatti, all’Opera della Propagazione della Fede, principale fra tutte le altre opere Missionarie, che (salva la gloria della piissima donna la quale ne fu la fondatrice, e della città di Lione), trasferimmo qua, con rinnovato ordinamento, dandole in certo modo la cittadinanza romana, è necessario che il popolo cristiano venga in soccorso con una liberalità pari alle molteplici necessità delle Missioni presenti e di quelle che si aggiungeranno in futuro. – Quante e quanto grandi siano tali necessità e quale sia per lo più la povertà dei banditori del Vangelo, appariva abbastanza dalla stessa Mostra Vaticana; ma forse tanti e tanti non se ne accorsero neppure, abbagliati com’erano dalla quantità, dalla novità e dalla bellezza delle cose esposte. Non abbiate vergogna, dunque, e non vi rincresca, Venerabili Fratelli, di farvi quasi mendicanti per Cristo e per la salute delle anime; con lo scritto e con l’eloquenza che scaturisce dal cuore, insistete presso i vostri fedeli perché con il proprio fervore e con munificenza moltiplichino e rendano molto più copiosa la messe che l’Opera della Propagazione della Fede raccoglie ogni anno. Siccome poi nessuno è da ritenere più bisognoso e nudo, nessuno più infermo e affamato e assetato di chi è privo della cognizione e della grazia di Dio, non v’è chi non veda che a chi usa misericordia verso uomini che sono i più miseri, non mancheranno certo la misericordia e la rimunerazione divina. – All’Opera principale della Propagazione della Fede si aggiungono, come dicemmo, altre due, le quali, poiché la Sede Apostolica le ha fatte sue, i fedeli Cristiani a preferenza di altre opere, che hanno scopi particolari, con offerte date o raccolte da ogni parte debbono aiutare e mantenere, vale a dire l’Opera intitolata della San Infanzia e l’altra di San Pietro Apostolo. Ufficio di quella è, com’è ben noto a tutti, invitare i nostri fanciulli perché si abituino a risparmiare e ad offrire tali somme specialmente per la redenzione e l’educazione cattolica dei bambini degli infedeli, nei luoghi dove si suole abbandonarli od ucciderli; compito di questa è operare con preghiere e collette affinché scelti giovani indigeni possano essere debitamente formati nei Seminari ed assunti ai sacri Ordini, affinché più facilmente coloro che appartengono alla stessa razza possano, con l’andare del tempo, venire convertiti a Cristo od essere rafforzati nella fede. – A questo sodalizio di San Pietro Apostolo, come sapete, poco tempo fa demmo per patrona celeste Teresa del Bambino Gesù, come colei che, mentre viveva quaggiù la vita claustrale, prendeva sotto la sua cura e, per dir così, adottava questo o quel missionario per aiutarlo, come soleva, con le preghiere, con le volontarie o prescritte penitenze corporali e soprattutto offrendo al Divino Sposo i veementi spasimi della malattia, di cui soffriva. E Noi, sotto gli auspici della vergine di Lisieux, Ci ripromettiamo più abbondanti frutti; ed in proposito grandemente Ci rallegriamo che Vescovi in gran numero si siano compiaciuti di farsi soci perpetui dell’Opera, che Seminari ed altre unioni di giovani Cattolici si siano impegnati a sostenere le spese del mantenimento e dell’istruzione di qualche chierico indigeno. Queste due Opere, che giustamente sono chiamate sussidiarie della principale, come dal Nostro antecessore di felice memoria Benedetto XV vennero raccomandate alla sollecitudine dei Vescovi con la Lettera Apostolica sopra ricordata, così Noi non cessiamo di raccomandarvela, fiduciosi come siamo che, per le vostre esortazioni, i fedeli cristiani non soffriranno mai d’esser vinti e superati in liberalità dagli acattolici, che con tanta larghezza soccorrono i propagandisti dei loro errori. – Ma è tempo ormai che rivolgiamo il discorso a Voi, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, i quali per avere lungamente, faticosamente e prudentemente esercitato la sacra ambasceria fra i pagani, siete stati fatti degni d’essere preposti ai Vicariati e alle Prefetture con autorità apostolica. E dapprima, per dire dei progressi in genere che le Missioni hanno conseguito in questi ultimi anni e che si debbono alla vostra carità e solerzia, Ce ne rallegriamo sommamente con Voi e con i messaggeri evangelici che Voi reggete e governate. Quali doveri principalmente v’incombessero, e quali inconvenienti si avessero ad evitare nell’adempimento di chi, l’immediato antecessore Nostro vi insegnò con tanta sapienza e magnificenza di eloquio, che non si sarebbe potuto meglio; tuttavia, Ci piace, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, farvi sapere qual è il Nostro pensiero su certi punti. – Innanzi tutto richiamiamo l’attenzione vostra su quanto importi che gl’indigeni vengano ascritti al clero: se ciò non si fa con tutte le forze, riteniamo che il vostro apostolato non solo riuscirà monco, ma troppo a lungo ne deriveranno ostacolo e ritardo allo stabilirsi e all’organizzarsi della Chiesa in codeste regioni. Volentieri confessiamo e riconosciamo che in qualche luogo si è già cominciato a riflettere e a provvedere con l’erigere Seminari, nei quali giovani indigeni di belle speranze vengono debitamente istruiti e formati per ascendere alla dignità sacerdotale e per ammaestrare nella fede cristiana persone della propria razza; nondimeno siamo ancora troppo lontani dal traguardo a cui è necessario si giunga in tal materia. Voi ricordate quel che il Nostro predecessore di felice memoria Benedetto XV lamentò a questo proposito: « Purtroppo vi sono ancora delle regioni in cui, benché la Fede cattolica vi sia penetrata da secoli, non vi si riscontra che un clero indigeno assai scadente. Parimenti vi sono parecchi popoli, che pure hanno già raggiunto un alto grado di civiltà, sì da poter presentare uomini ragguardevoli in ogni ramo dell’industria e della scienza, e tuttavia, benché da secoli sotto l’influenza del Vangelo e della Chiesa, ancora non hanno potuto avere Vescovi proprî che li governassero, né sacerdoti così influenti da guidare i loro concittadini ». – Forse non si è mai sufficientemente considerato per quale via e in qual modo il Vangelo cominciò ad essere propagato e la Chiesa di Dio a stabilirsi fra le genti. Accennando rapidamente a tale argomento mentre si chiudeva ufficialmente la Mostra Missionaria, ricordavamo che dai primi documenti letterari dell’antichità cristiana appariva manifestamente come il clero, messo a capo dagli Apostoli ad ogni nuova comunità di fedeli, non era importato di fuori, ma era preso e scelto dai nativi del paese. Per aver poi il Romano Pontefice affidato a voi e ai vostri coadiutori l’ufficio di predicare la verità cristiana alle genti pagane, non dovete credere che i sacerdoti indigeni siano fatti solo per assistere i missionari nei compiti di minor momento e per completare in qualche modo l’opera loro. A che, di grazia, debbono mirare le Sacre Missioni se non a questo, che la Chiesa di Cristo si istituisca e si stabilisca in tanta immensità di paesi? E da che cosa la Chiesa sarà formata presso i pagani, se non da tutti quegli elementi con i quali già presso di noi si formò, vale a dire dal popolo e dal clero proprio di ciascuna regione, e dai propri religiosi e religiose? Perché mai impedire al clero indigeno di coltivare il campo suo proprio e nativo, che è quanto dire di governare il suo popolo? Per poter procedere ogni giorno più spediti nel guadagnare a Cristo sempre nuovi infedeli non vi gioverà sommamente il lasciare ai Sacerdoti indigeni le stazioni, perché le custodiscano e le coltivino più vantaggiosamente? Anzi, essi riusciranno utilissimi quanto mai, e più di quanto si possa credere, nell’allargare sempre più il regno di Cristo. « Infatti il Sacerdote indigeno — per usare le parole dello stesso Nostro predecessore – avendo comuni con i suoi connazionali l’origine, l’indole, la mentalità e le aspirazioni, è meravigliosamente adatto ad instillare nei loro cuori la Fede, perché più di ogni altro conosce le vie della persuasione. Perciò accade spesso che egli giunga con tutta facilità dove non può arrivare il missionario straniero ». – Che dire poi della scarsa conoscenza della lingua per cui i missionari stranieri riescono talora così impacciati nell’esprimere il loro pensiero che ne restano molto indebolite la forza e l’efficacia della loro predicazione? E a questi si aggiungono altri inconvenienti, dei quali conviene tenere giusto conto, sebbene sembri che possono solo accadere di rado o con facilità essere allontanati. Si supponga che per una guerra o per altri avvenimenti politici nel territorio di una missione si soppianti un governo con un altro, e si chieda o si decreti l’allontanamento dei missionari stranieri di una determinata nazione; si supponga altresì — cosa certo più difficile da avvenire — che gli indigeni, raggiunto un grado più alto di civiltà e quindi una certa maturità civile, vogliano, per rendersi indipendenti, cacciare dal loro territorio governatori, soldati e missionari della nazione straniera da cui dipendono, e che ciò non possano fare se non col ricorrere alla violenza. Quale rovina, domandiamo, sovrasterebbe allora in quei paesi sulla Chiesa, se non si fosse provveduto pienamente alle necessità della popolazione convertita a Cristo disponendo come una rete di sacerdoti indigeni per tutto quel territorio? Ma inoltre — poiché alle presenti condizioni di cose conviene in pieno la sentenza di Cristo: « La messe è molta, ma gli operai sono pochi » — la stessa Europa da cui proviene la maggior parte dei missionari, abbisogna oggigiorno di clero, e tanto più ne abbisogna quanto più importa, con l’aiuto di Dio, ricondurre i fratelli dissidenti all’unità della Chiesa e strappare gli acattolici dai loro errori; e tutti sanno che se al presente non è minore di prima il numero dei giovani chiamati alla vita sacerdotale o religiosa, assai minore è il numero di coloro che ubbidiscono alla divina chiamata. – Da quanto abbiamo detto, Venerabili Fratelli e Figli Diletti, consegue essere necessario fornire i vostri territori di un numero tale di sacerdoti indigeni, che bastino da soli sia ad estendere i confini della società cristiana, sia a reggere la comunità dei fedeli della propria nazione, senza dover contare sull’aiuto del clero avventizio. E di fatto in qualche luogo, come dicevamo poc’anzi, si cominciò ad aprire Seminari per alunni indigeni, erigendoli in luoghi situati tra Missioni limitrofe appartenenti al medesimo Ordine o Congregazione, dove i singoli Vicari e i Prefetti Apostolici inviano e mantengono a proprie spese giovani scelti, per riaverli un giorno ordinati sacerdoti e pronti per il sacro ministero. Pertanto, ciò che qua e là si è da taluno incominciato, desideriamo, anzi ordiniamo, che tutti i Superiori delle Missioni cerchino parimenti di fare, in modo che non venga tenuto lontano dal sacerdozio e dall’apostolato nessun indigeno che dia buone speranze e mostri vera vocazione. Certo, quanti più saranno gli alunni che sceglierete per tale formazione — ed è assolutamente necessario che siano moltissimi — tanto maggiori saranno le vostre spese; ma non perdetevi di animo, confidando nell’amabilissimo nostro Redentore, alla cui provvidenza spetterà fare in modo che, aumentando la generosità dei Cattolici, affluiscano alla Santa Sede i mezzi con cui più largamente aiutarvi ad effettuare un’opera tanto salutare. – Se ciascuno di voi deve procurarsi il maggior numero possibile di chierici indigeni, dovete anche studiarvi di indirizzarli e formarli alla santità che si addice al grado sacerdotale e a quello spirito di apostolato congiunto allo zelo della salute dei propri fratelli, in modo che siano pronti a dare persino la vita per i membri della propria tribù e nazione. Importa tuttavia moltissimo che al medesimo tempo questi alunni ricevano una buona e profonda formazione scientifica, sacra e profana, chiara e metodica, e non con corsi troppo accelerati e sommari, ma con il solito corso di studi. Persuadetevi infatti che se nei Seminari formerete soggetti esimi per illibatezza di vita e per pietà, abili ai ministeri e assai esperti nell’insegnamento della legge divina, preparerete uomini che non solo si attireranno in patria la stima anche delle autorità e dei dotti, ma potranno un giorno esser destinati al governo delle parrocchie e delle diocesi, che verranno erette non appena a Dio così piacerà, con buona speranza di frutto. Certo sbaglierebbe chi stimasse questi indigeni come una razza inferiore e di ingegno ottuso. Infatti, una lunga esperienza dimostra che i popoli delle estreme regioni orientali ed australi talora non la cedono ai nostri e possono benissimo gareggiare con essi e tener loro fronte per acume di mente. Che se nel cuore delle terre barbare si trovano uomini di somma lentezza nell’apprendere, ciò si deve alla condizione della loro vita che, avendo esigenze ristrettissime, non li costringe a fare grande uso della loro intelligenza. Se di quanto abbiamo detto voi, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, potete essere testimoni, Noi pure possiamo far fede, avendo quasi sotto gli occhi l’esempio di quegli indigeni che, istruiti nei collegi di Roma in ogni genere di discipline, non solo pareggiano gli altri alunni in prontezza di ingegno e nell’esito degli studi, ma spesso anche li superano. Inoltre, non dovete permettere che i Sacerdoti indigeni siano ritenuti quasi di grado inferiore e quindi addetti soltanto ai più umili ministeri, come se essi non fossero insigniti dello stesso sacerdozio dei vostri missionari, o non partecipassero dello stesso apostolato; anzi abbiate delle preferenze per essi che un giorno dovranno governare le Chiese fondate col vostro sudore e con le vostre fatiche, e le future comunità cattoliche. Non vi sia perciò differenza tra Missionari europei e indigeni; si colmi ogni solco di separazione e gli uni agli altri si uniscano con vicendevole rispetto e carità. – E poiché per l’organizzazione della Chiesa nelle vostre popolazioni è necessario, come abbiamo detto, servirsi degli elementi di cui essa per divino consiglio dispone, dovete per conseguenza stimare come uno dei doveri principali del vostro ufficio l’istituzione di Congregazioni religiose indigene, maschili e femminili. E non è forse giusto che anche i novelli seguaci di Cristo possano professare i consigli evangelici, ove si sentano dalla divina ispirazione invitati e spinti a vita più perfetta? Su questo punto è bene che i Missionari e le Religiose che lavorano nel vostro campo non si lascino condizionare troppo dall’amore per la propria Congregazione, sebbene in sé giusto e legittimo, e sappiano invece guardare le cose con una certa larghezza di idee. Quindi se vi sono indigeni desiderosi di arruolarsi nelle Congregazioni antiche, non sarebbe certamente giusto sconsigliarli o impedirli, purché diano affidamento di poterne assimilare lo spirito e di riuscire a stabilire nella loro patria una prole non degenere, ma neppure dissimile da quella dell’Istituto abbracciato; ma riflettete scrupolosamente e senza motivi di particolare interesse, se non torni più vantaggioso fondare nuove Congregazioni che meglio corrispondano all’indole e alle inclinazioni degli indigeni e alle esigenze delle condizioni di quella data regione. – Né è da tacersi un altro punto importantissimo per la diffusione del Vangelo; quanto cioè giovi moltiplicare il numero dei catechisti, siano essi scelti tra gli europei o, meglio ancora, tra gli indigeni, perché aiutino i Missionari istruendo i catecumeni e preparandoli al Battesimo. Non occorre dire di quali doti essi debbano essere forniti per poter trarre a Cristo gl’infedeli più con l’esempio che con le parole; e voi, Venerabili Fratelli e Figli Diletti, proponetevi fermamente di educarli con ogni cura affinché apprendano bene la dottrina cattolica, e nel trattarla e spiegarla sappiano adattarsi all’ingegno e all’intelligenza degli uditori; a ciò riusciranno tanto più agevolmente quanto più intimamente conosceranno l’indole degli indigeni. – Abbiamo fin qui parlato della scelta e dell’arruolamento dei vostri compagni di fatica. Su questo argomento però Ci rimane ancora da esporre al vostro zelo una proposta, la quale, ove venga effettuata, crediamo gioverà non poco a una più celere diffusione della fede. Di quanta stima Noi nutriamo per la vita contemplativa fa abbondantemente fede la Costituzione Apostolica con la quale ben volentieri, due anni fa, confermammo con la Nostra autorità apostolica la riforma onde si adattò al Codice di Diritto Canonico la regola dei Certosini, regola già fin dagli inizi dell’Ordine approvata dall’autorità pontificia. Orbene, come Noi stessi esortiamo vivamente i superiori maggiori di simili Ordini contemplativi, così voi pure induceteli con ripetute istanze a che, mediante fondazioni di Cenobî, importino nel territorio delle Missioni e diffondano tale forma austera di vita contemplativa; giacché questi uomini impetreranno dal Cielo una mirabile pioggia di grazie su voi e sulle vostre opere. Né è da temere che questi monaci non trovino da voi terreno propizio, mentre gli abitanti, specialmente di alcune regioni, benché pagani la maggior parte, di natura loro tendono alla solitudine, all’orazione e alla contemplazione. A questo proposito, ricordiamo il Cenobio eretto nel Vicariato Apostolico di Pechino dai Cistercensi Riformati della Trappa, dove quasi cento monaci, in maggioranza cinesi, con l’esercizio delle virtù più perfette, con la preghiera continua, con il rigore della vita, col lavoro manuale, come placano la divina Maestà e la rendono propizia a sé e agli infedeli, così con l’efficacia dell’esempio guadagnano questi stessi a Cristo. È dunque evidente che i nostri anacoreti, pur mantenendo intatto lo spirito del loro Fondatore e senza darsi alla vita attiva, possono ognora riuscire di grande utilità al prospero successo delle Missioni. Se i Superiori di questi Ordini accoglieranno le vostre preghiere e stabiliranno case di loro sudditi dove di comune accordo si crederà meglio, faranno un’opera sommamente benefica a favore di tante moltitudini di pagani e a Noi gradita sopra ogni dire. – Ed ora, Venerabili Fratelli e Figli Diletti, passiamo a un argomento che riguarda un migliore assestamento delle Missioni. Se in tale materia l’immediato Nostro predecessore diede già simili avvisi e insegnamenti, desideriamo ripeterli, perché li crediamo giustamente di grande vantaggio per un fruttuoso esercizio dell’apostolato. – Dunque, giacché in gran parte dipende da voi l’esito dell’apostolato cattolico tra i pagani, vogliamo da voi un’organizzazione migliore che renda d’ora innanzi più facile la via alla propagazione della dottrina cristiana e l’aumento del numero di quanti sono già da essa illuminati. Procurate quindi di distribuire i Missionari in modo che nessuna parte del territorio resti senza predicazione, che di nessuna si rinvii l’evangelizzazione ad altro tempo. Perciò spingetevi più innanzi, a tappe, lasciando Missionari in qualche luogo centrale, intorno a cui stabilirete residenze minori, affidate almeno ad un catechista e dotate di una cappella, che i Missionari, di quando in quando, in dati giorni, andranno a visitare per motivi di ministero. – Ricordino inoltre i predicatori del Vangelo che agli indigeni bisogna accostarsi imitando il metodo tenuto dal divino Maestro quando trattava col popolo. Egli, prima d’insegnare alle turbe, era solito sanare gl’infermi: «Curò tutti gli ammalati; Molti lo seguirono ed egli guarì tutti; Ne sentì compassione e guarì i loro malati ». Il che ordinò pure di fare agli Apostoli, dandone loro il potere: « Ed in qualunque città entrerete … curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio; Usciti, giravano per i borghi evangelizzando e curando dappertutto ». I Missionari non dimentichino neppure come Gesù si mostrasse benigno ed amabile verso i pargoli e i fanciulli; e quando i discepoli li sgridarono, ordinò loro di non impedirli di andare a lui. E qui viene a proposito rammentare ciò che altra volta dicemmo: che cioè i Missionari che predicano agli infedeli sanno benissimo quanta benevolenza ed affetto si concili anche in quelle regioni chiunque provvede alla salute pubblica e cura gl’infermi, e mostra amore per i bambini e per i fanciulli: tanto può l’esercizio della carità nel conquistare il cuore degli uomini. – Ma per tornare al punto or ora toccato, se va bene che in quei luoghi, dove voi, Venerabili Fratelli e Figli Diletti, avete stabilito la vostra sede e il domicilio, e così pure nelle residenze più importanti per numero di anime, le chiese e gli altri edifici della Missione siano più capaci, bisogna tuttavia schivare la costruzione di templi o di edifici troppo sontuosi e dispendiosi, quasi si trattasse di allestire cattedrali ed episcopî per le diocesi future. Questo si farà a suo tempo, e con maggior vantaggio. Non è forse noto che in certe diocesi, già da tempo canonicamente erette, simili templi e palazzi si sono appena ora costruiti, se pure non sono anche adesso in costruzione? Parimenti non sarebbe giusto né utile riunire e quasi ammucchiare le istituzioni e le opere destinate al vantaggio spirituale e corporale del prossimo in qualche residenza principale o nel luogo dove voi stessi risiedete: perché se sono di grande importanza, richiederanno la presenza vostra e quella dei Missionari e ne assorbiranno talmente l’attenzione da causare il rallentamento e anche la cessazione delle visite nel resto del territorio per la propagazione del Vangelo. E giacché si è fatta menzione di tali opere, oltre gli ospedali e le sale per la cura degli infermi e la distribuzione delle medicine, oltre alle scuole elementari, che dovete aprire dappertutto, è bene che con la fondazione di altre scuole per i giovani che non si diano all’agricoltura, apriate loro la strada dell’insegnamento superiore e specialmente di arti e mestieri. E qui vi esortiamo di non lasciar da parte i maggiorenti del luogo e i loro figliuoli. È verissimo che la parola di Dio e i suoi predicatori più facilmente vengono accolti dai più umili plebei; è vero pure che Gesù affermò di se stesso: « Lo Spirito del Signore … mi ha inviato ad evangelizzare i poveri »; ma oltre che dobbiamo tener presente anche il detto di San Paolo: « Sono debitore ai saggi e agli stolti », la pratica e l’esperienza c’insegnano che una volta condotti alla religione di Cristo i capi del popolo, facilmente le classi più umili tengono loro dietro. – Infine, Venerabili Fratelli e Figli Diletti, per l’esemplare zelo che vi anima per la religione e la salvezza delle anime, accogliete docilmente e con cuore disposto a pronta ubbidienza un’ultima e importantissima raccomandazione. I territori dalla Santa Sede affidati alla cura vostra operosa perché voi li rechiate alla legge di Cristo, sono per lo più di grande estensione. Può dunque accadere che il numero dei Missionari appartenenti al vostro particolare Istituto sia di gran lunga inferiore al bisogno. In tal caso, come nelle diocesi bene stabilite sogliono venire in aiuto ai Vescovi operai appartenenti a diverse famiglie religiose, o di sacerdoti o di laici, e Suore di diverse Congregazioni, così voi, trattandosi della propagazione della fede, della educazione della gioventù indigena e di altre simili utilissime imprese, non dovete esitare ad invitare ed accogliere come compagni di lavoro religiosi e missionari, benché di altro Istituto, siano essi sacerdoti o membri di Congregazioni laicali. Va bene che gli Ordini e le Congregazioni religiose si glorino e della missione tra i pagani loro affidata e delle conquiste finora procurate al regno di Cristo; ma si ricordino che i territori delle Missioni non sono da essi posseduti in forza di un diritto esclusivo e perpetuo, ma che li posseggono a beneplacito della Santa Sede, la quale ha perciò il diritto e il dovere di provvedere che vengano rettamente e pienamente coltivati. Né il Romano Pontefice adempirebbe tale dovere se si restringesse unicamente a distribuire territori di maggiore o minore estensione a questo o a quell’altro Istituto; ma, ciò che più conta, sempre e con ogni diligenza deve procurare che questi Istituti inviino nelle regioni loro affidate tanti e soprattutto tali Missionari, che possano bastare a un lavoro efficace per illuminarle bene in tutta la loro ampiezza con la luce della verità. E poiché il Pastore divino ricercherà il suo gregge dalla Nostra mano, Noi senza esitazioni, quando apparirà necessario o più opportuno ed utile alla maggiore espansione della Chiesa Cattolica, trasferiremo i territori delle Missioni da un Istituto ad un altro, o lo divideremo e suddivideremo, e affideremo al clero indigeno o ad altre Congregazioni i nuovi Vicariati e Prefetture Apostoliche. – Altro non resta che tornare ad esortarvi, Venerabili Fratelli, quanti nel mondo cattolico partecipate con Noi delle sollecitudini e delle gioie dell’ufficio pastorale, di venire in aiuto delle Missioni, con le industrie e coi mezzi che vi abbiamo suggeriti, affinché esse, quasi animate da novello vigore, rendano per l’avvenire più copiosa raccolta. Ai comuni nostri desideri arrida con favore materno la Regina degli Apostoli Maria, la quale, avendo accolto nel suo cuore di Madre tutti gli uomini affidatile sul Calvario, ama e protegge non meno quelli che ignorano di essere stati redenti da Gesù Cristo, che quelli che della redenzione godono felicemente i frutti. – Intanto, come auspicio dei doni celesti e in segno della Nostra benevolenza paterna, a voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al vostro popolo impartiamo con ogni affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 28 febbraio 1926, anno quinto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “AU MILIEU DES SOLLICITUDES”

« … la Religione, e solamente essa, è capace di creare il vincolo sociale; solo la Religione può tenere ancorata la pace di una nazione a solide fondamenta… » Dovrebbe essere questo lo slogan di ogni Stato che voglia progredire e di ogni popolo che voglia sopravvivere tranquillamente. In questa lettera Enciclica, scritta ai Vescovi, ai prelati ed ai fedeli cattolici nella loro lingua – giusto per non rischiare traduzioni manipolate –  c’è un programma di direzione sociale che adottato da una qualsiasi forza politica (di quelle ove c’è posto per tutti tranne che per Cristo-Re), risolverebbe rapidamente tutti i problemi di nazioni e popoli oggi completamente destabilizzati in ogni loro componente pubblica e privata. Una volta queste cose almeno ce le ricordavano i Sommi Pontefici, che oggi sono stati “silenziati” e confinati nelle catacombe fin dall’ormai lontano 1958, perché possa essere realizzato il progetto demoniaco del ritorno del paganesimo pratico e spinto su tutta la terra, progetto fatto proprio ed attuato in modo più o meno coperto, dalle “conventicole di perdizione” di ogni obbedienza, obbedienze apparentemente diverse, ma uniche nel loro oggetto: il baphomet-lucifero che, già insediato nelle pseudomesse del Novus ordo come “signore dell’universo”, si è introdotto nella Chiesa di Cristo, parassitandola e svuotandola come conchiglia morta, fino a far credere che non esista più e che debba essere sostituita da una pseudo-religione unica mondiale, panteista ed ecumenica, che esalti l’uomo ed i suoi bisogni materiali come proprio fine ultimo, cacciandone progressivamente il Cristo Re e Redentore ed ogni riferimento al soprannaturale. Al piccolo gregge ricordiamo le parole del Dio-Uomo: nolite timere pusillus grex (Luc. XII, 32)… sed confidite, ego vici mundum (Joan. XVI, 33) … Io ho vinto il mondo, e poi la solenne promessa profetica: … et IPSA conteret caput dragonis!

AU MILIEU DES SOLLICITUDES

LETTERA ENCICLICA DI
S.S. LEONE XIII

Ai Nostri Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi, al clero e a tutti i cattolici di Francia.
Il Papa Leone XIII. Venerabili Fratelli, carissimi Figli.

Molte volte nel corso del Nostro Pontificato, pur essendo presi dagl’impegni incessanti della Chiesa universale, Ci siamo compiaciuti di esprimere il Nostro affetto per la Francia e per il suo nobile popolo. Al riguardo abbiamo voluto manifestare solennemente, con una Nostra Enciclica ancora presente nella memoria di tutti, i più profondi sentimenti del Nostro cuore. È proprio questo sentimento di affetto che Ci ha costantemente indotti a seguire, e quindi a meditare, l’insieme degli avvenimenti, talora tristi e talora consolanti, che da molti anni si stanno verificando tra voi. – Anche oggi, mentre cerchiamo di renderci conto della portata di quel vasto complotto, che alcune persone hanno ordito per annientare in Francia il Cristianesimo, e dell’accanimento con cui perseguono il loro intento, calpestando le più elementari nozioni di libertà e di giustizia, a cui si ispira la maggior parte della Nazione e su cui si fonda il rispetto per gli inalienabili diritti della Chiesa Cattolica, come non potremmo non sentirci colpiti da un profondo dolore? E quando vediamo prendere corpo, una dopo l’altra, le conseguenze disastrose di questi colpevoli attacchi che mirano alla rovina dei costumi, della religione e degli stessi interessi politici rettamente intesi, come esprimere l’amarezza che Ci invade e le preoccupazioni che Ci assalgono? – D’altro canto, è grande la Nostra consolazione nel vedere che questo stesso popolo francese raddoppia l’amore e la dedizione verso la Santa Sede, ogniqualvolta la vede più trascurata o, per meglio dire, più osteggiata sulla terra. A più riprese, mossi da un profondo sentimento di religione e di vero amore di patria, i rappresentanti di tutte le classi sociali sono accorsi dalla Francia fino a Noi, lieti di sovvenire alle incessanti necessità della Chiesa, desiderosi di chiederCi lumi e consigli per avere la certezza, in mezzo alle attuali tribolazioni, di non scostarsi in alcun modo dagli insegnamenti del Capo dei credenti. Noi abbiamo loro risposto, sia per iscritto, sia a viva voce, palesando chiaramente ai Nostri figli ciò che potevano pretendere dal loro Padre. Lungi, quindi, dal favorire il loro scoraggiamento, li abbiamo caldamente esortati a raddoppiare il loro amore e il loro sforzo nella difesa della fede cattolica e, nello stesso tempo, della loro patria: sono questi, infatti, due doveri di primaria importanza, ai quali nessun uomo, in questa vita, può sottrarsi. – Ancora una volta oggi riteniamo opportuno, anzi necessario, alzare la voce per esortare insistentemente non solo i Cattolici, ma tutti i francesi onesti e di buon senso, perché respingano lontano tutti i germi del dissenso politico e indirizzino tutte le loro forze a pacificare la loro patria. Tutti riconoscono l’importanza di questa pace e sempre più la invocano. E Noi, che l’auspichiamo più di ogni altro, perché rappresentiamo sulla terra il Dio della pace, chiamiamo a raccolta, con questa Lettera, tutte le anime rette, tutti i cuori generosi, perché Ci aiutino a renderla stabile e ricca di frutti. – Prendiamo anzitutto come punto di partenza una verità ben nota, accettata da ogni persona sensata e solennemente proclamata dalla storia di tutti i popoli: la Religione, e solamente essa, è capace di creare il vincolo sociale; solo la Religione può tenere ancorata la pace di una nazione a solide fondamenta. Quando diverse famiglie, senza rinunciare ai diritti e ai doveri della società domestica, e seguendo l’ispirazione della natura, si uniscono per diventare parte di una famiglia più vasta chiamata società civile, non si ripromettono solo di trovarvi i mezzi per provvedere al proprio benessere materiale, ma di trarne in primo luogo un beneficio per il loro perfezionamento morale. In caso contrario la società sopravanzerebbe di poco l’aggregazione di esseri senza ragione, la vita dei quali è tutta rivolta alla soddisfazione degli istinti sensuali. Ma c’è di più. Senza questo perfezionamento morale, sarebbe difficile dimostrare che la società civile, lungi dal costituire un vantaggio, non tornerebbe a danno dell’uomo in quanto tale. – La morale, infatti, per il fatto stesso che deve creare nell’uomo una armonia fra diritti e doveri diversi, poiché partecipa ad ogni atto umano postula necessariamente Dio e, con Dio, la Religione, questo sacro vincolo che ha il privilegio di unire a Dio, prima di dar vita a qualsivoglia altro legame. Infatti, il concetto di moralità comporta anzitutto un rapporto di dipendenza dal vero, che è luce dello spirito, e dal bene, che indirizza la volontà. In assenza del vero e del bene non esiste una morale degna di questo nome. Ma qual è la verità prima ed essenziale da cui ogni altra deriva? È Dio. Qual è ancora la bontà suprema dalla quale procede ogni altro bene? È Dio. Chi è infine colui che crea e conserva la nostra intelligenza, la nostra volontà, l’intero nostro essere ed è, nello stesso tempo, il fine della nostra vita? È sempre Dio. Poiché dunque la Religione è l’espressione, interiore ed esteriore, di questa dipendenza che dobbiamo a Dio a titolo di giustizia, ne deriva un impegno tassativo. Tutti i cittadini sono tenuti ad unirsi per conservare nella nazione il vero senso religioso e anche per difenderlo, qualora una scuola atea, in contrasto con le attestazioni della natura e della storia, si proponesse di estromettere Dio dalla società, ben sapendo di poter annientare, in questo modo, lo stesso senso della morale nel più profondo della coscienza. Su questo punto, fra gli uomini che non hanno perso il concetto dell’onestà, non può esserci alcun dissenso. – Nei Cattolici francesi il sentimento religioso deve guadagnare in profondità e in universalità, perché hanno la fortuna di appartenere alla vera Religione. Se dunque le credenze religiose sono state considerate, sempre e in ogni luogo, come fondamento della moralità degli atti umani e dell’esistenza di ogni società rettamente costituita, è evidente che la Religione cattolica, per il fatto stesso che è la vera Chiesa di Gesù Cristo, ha in se stessa, più di ogni altra, l’intrinseca efficacia per ben disporre la vita nella società come nell’individuo. È necessaria al riguardo una prova convincente? È la Francia stessa ad offrirla. Nella misura in cui essa progrediva nella fede cristiana, era possibile vederla ergersi a quella grandezza morale che raggiunse come potenza politica e militare. Si era dunque verificato che, alla naturale generosità del suo cuore, la carità cristiana aveva aggiunto un’abbondante fonte di nuove energie, e che la sua meravigliosa attività si era incontrata con quella fede cristiana che operando contemporaneamente come sprone, guida luminosa e indefettibile punto di riferimento, per mano della Francia, aveva saputo scrivere negli annali del genere umano pagine di autentica gloria. E in questi nostri tempi, la sua fede non continua forse ad aggiungere nuova gloria a quella del passato? La si può vedere, ricolma di inventiva e di risorse, moltiplicare sulla propria terra le opere di carità; la si può ammirare in partenza per regioni lontane, dove con le sue ricchezze e con le fatiche dei suoi missionari, che non esitano a dare la loro vita, diffonde, d’un solo colpo, la rinomanza della Francia e i benefìci della Religione cattolica. Nessun francese, quali che siano le sue convinzioni, potrebbe rinunciare a questa gloria, perché sarebbe come rinnegare la patria.  – Ora è la storia di un popolo che rivela, in modo inequivocabile, ciò che genera e mantiene inalterata la sua grandezza morale. Se dunque viene meno questo fondamento, non sarà l’abbondanza delle ricchezze né la potenza delle armi a salvarlo dalla decadenza morale e, forse, dalla dissoluzione. Chi non comprende oggi che, per tutti i Francesi che professano la Religione cattolica, il maggiore impegno deve essere quello di assicurarle la sopravvivenza con la massima dedizione, dal momento che operano al loro interno delle sètte che fanno del Cristianesimo l’oggetto degli attacchi più virulenti? In questa situazione essi non possono permettersi né di operare con indolenza, né di dividersi in fazioni. Nel primo caso si renderebbero colpevoli di una viltà indegna del Cristiano e, nel secondo, sarebbero causa di una debolezza disastrosa. – A questo punto, prima di procedere oltre, è necessario segnalare una calunnia, diffusa ad arte per dar credito ad odiose imputazioni contro i Cattolici e contro la stessa Santa Sede. Si vuol dare ad intendere che l’accordo e il vigore dell’azione inculcati nei Cattolici per difendere la loro fede hanno come movente segreto, non la decisa salvaguardia degli interessi religiosi, ma l’ambizione di procurare alla Chiesa il dominio politico sullo Stato. Si tratta in verità di voler resuscitare una calunnia assai antica, che è stata ideata dai primi nemici del Cristianesimo. Non fu già formulata prima di tutto contro l’adorabile persona del Redentore? È risaputo. Lo accusavano di perseguire mire politiche, quando illuminava gli animi con la sua predicazione e recava sollievo alle pene corporali e spirituali degli sventurati con i tesori della sua bontà divina. “Abbiamo trovato quest’uomo che sobillava il nostro popolo, impediva di dare i tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re … Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque, infatti, si fa re, si mette contro Cesare … Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare” . Furono queste calunnie minacciose che strapparono a Pilato la sentenza di morte contro Colui che, a più riprese, aveva dichiarato innocente. Gli autori di queste e di altre menzogne dello stesso tenore, con l’aiuto dei loro emissari, non tralasciarono nulla per farle giungere lontano. Di tutto questo, San Giustino martire incolpava i giudei del suo tempo: “Lungi dal pentirvi, quando siete venuti a conoscenza della sua resurrezione dai morti, avete spedito da Gerusalemme degli uomini, scelti con cura, per annunciare che erano nate un’eresia e un’empia setta ad opera di un certo seduttore, chiamato Gesù di Galilea”. – Con questa audace diffamazione del Cristianesimo, i suoi nemici erano ben consapevoli di quanto facevano. Il loro piano si proponeva di suscitare un formidabile avversario alla sua propagazione: l’Impero Romano. La calunnia sortì il suo effetto, e i pagani, vittime della propria credulità, chiamavano a gara i primi Cristiani “esseri inutili, cittadini pericolosi e faziosi, nemici dell’Impero e degli Imperatori”. A nulla valse che gli Apologisti del Cristianesimo con i loro scritti, e i Cristiani con il loro retto comportamento, s’impegnassero a dimostrare l’assurdo e malvagio contenuto di queste affermazioni: non si degnavano nemmeno di ascoltarli. Il solo nome procurava loro una dichiarazione di guerra, e i Cristiani, per il solo fatto di essere tali e per nessun altro motivo, venivano posti con violenza di fronte a questo dilemma: l’apostasia o il martirio. Le stesse accuse e lo stesso rigore si rinnovarono, pressoché simili, nei secoli successivi, ogni qualvolta si incontrarono governi esageratamente gelosi del loro potere e animati da propositi malevoli contro la Chiesa. Riuscirono sempre a rendere plausibile, presso il pubblico, una presunta interferenza della Chiesa nello Stato, al fine di procurare allo Stato una parvenza di diritto per le sue usurpazioni e le sue prevaricazioni ai danni della Religione cattolica. – Abbiamo voluto richiamare sommariamente il passato, affinché i Cattolici non nutrano motivo di sconcerto per il presente. La lotta è sostanzialmente sempre la stessa: Gesù Cristo è perennemente fatto segno delle contraddizioni del mondo. I mezzi impiegati dagli attuali nemici del Cristianesimo sono sempre gli stessi, assai antichi nella sostanza anche se appena modificati nella forma. Ma sono parimenti identici i mezzi di difesa, già chiaramente indicati ai Cristiani del nostro tempo dai nostri Apologisti, Dottori e Martiri. Ciò che essi hanno fatto, spetta pure a noi di farlo. Mettiamo dunque al primo posto la gloria di Dio e della sua Chiesa; lavoriamo per lei con impegno costante e sincero, e lasciamo il compito di determinare l’esito a Gesù Cristo, che annuncia: “Nel mondo voi sarete oppressi, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo”. Per raggiungere questo scopo, l’abbiamo già sottolineato, è necessaria una grande unità e, se si desidera riuscire nell’intento, è indispensabile accantonare ogni preoccupazione che ne indebolisca la forza e l’efficacia. Intendiamo riferirCi soprattutto alle diverse opinioni politiche dei Francesi circa il comportamento da tenere nei confronti della Repubblica attuale. È una questione che vogliamo affrontare con la chiarezza richiesta dalla gravità del caso, partendo dai princìpi per giungere alle conseguenze pratiche. – In Francia, nel corso di questo secolo, si sono succeduti Governi politici di tipo diverso, ciascuno con la sua specifica forma: Imperi, Monarchie, Repubbliche. Affidandoci a disquisizioni di pura teoria, sarebbe possibile arrivare a definire la migliore di queste forme, considerate in se stesse, e si potrebbe anche riconoscere, senz’ombra di dubbio, che ognuna di esse è buona, sempreché sappia procedere dritto al suo scopo, che è il bene comune, per il quale l’Autorità sociale è stata istituita. È tuttavia opportuno precisare che, da un punto di vista relativo, una forma di governo può essere preferibile rispetto ad un’altra, perché meglio si adatta alle caratteristiche e ai costumi di un certo tipo di nazione. In teoria quindi, i Cattolici, come ogni altro cittadino, sono pienamente liberi di preferire una forma di governo piuttosto che un’altra, per il semplice fatto che nessuna compagine sociale si oppone, per se stessa, né ai dettami della retta ragione, né ai precetti della dottrina cristiana. Queste argomentazioni sono più che sufficienti per farsi una ragione della sapienza della Chiesa quando, nelle sue relazioni con i poteri politici, non tiene conto delle forme che li differenziano e tratta con essi dei grandi interessi religiosi dei popoli, ben sapendo di dover anteporre la loro tutela ad ogni altro interesse. Le Nostre precedenti Encicliche hanno già esposto questi princìpi, ma ritenevamo necessario richiamarli per sviluppare il tema che Ci interessa in questo momento. – Se si scende dai concetti astratti e si entra nel contesto della realtà, occorre ben guardarsi dal rinnegare i princìpi appena definiti: questi restano inoppugnabili. Solo incarnandosi nella realtà assumono un aspetto contingente, in forza delle circostanze che li rendono operativi. In altre parole, se ogni forma politica è buona in se stessa e può essere applicata per governare i popoli, nella realtà il potere politico non si presenta nella stessa forma presso tutti i popoli, ma ciascuno ne possiede una specifica. Questa forma è originata dall’insieme delle circostanze storiche o nazionali, ma sempre umane, che, in una nazione, danno vita alle sue leggi tradizionali e anche fondamentali. Sono queste leggi che determinano una certa specifica forma di governo e un particolare modo di trasmettere i supremi poteri.  – È superfluo ricordare che tutti gli individui sono tenuti ad accettare questi governi e a non prendere iniziative per rovesciarli o per mutarne la forma. È per questo che la Chiesa, custode del più vero e più alto concetto della sovranità politica, perché la fa discendere da Dio, ha sempre riprovato le teorie e ha sempre condannato gli uomini ribelli all’autorità legittima. E questo anche quando i depositari del potere lo usavano indebitamente contro di lei, privandosi così del più valido sostegno accordato alla loro autorità e del mezzo più efficace per ottenere dal popolo l’ossequio alle loro leggi. A questo proposito, non si potranno mai meditare a sufficienza le celebri raccomandazioni che il Principe degli Apostoli, proprio durante le persecuzioni, rivolgeva ai primi cristiani: “Rispettate tutti, amate i fratelli, temete Dio e rendete onore al re[6]; come pure quelle di San Paolo: “Vi scongiuro anzitutto di adoperarvi perché si facciano suppliche, preghiere, istanze e azioni di grazia per tutti gli uomini: per i re e per tutti coloro che sono costituiti in dignità, perché possiamo condurre una vita tranquilla in tutta pietà e rettitudine: questo infatti è buono e gradito a Dio nostro Salvatore” . – Occorre anche evidenziare ancora una volta con ogni cura che, qualunque sia la forma dei poteri civili di una nazione, non è possibile considerarla a tal punto definitiva da non essere soggetta a mutamenti, anche se questo era il proposito di chi, in origine, le ha dato vita. La sola Chiesa di Gesù Cristo ha potuto conservare, e la conserverà sicuramente fino alla fine dei tempi, la sua forma di governo. Fondata da Colui che era, che è e che sarà nei secoli, ha ricevuto da Lui, fin dall’inizio, tutto ciò che le è necessario per adempiere la sua missione divina in mezzo al mutevole oceano delle vicende umane. E come non ha bisogno di trasformare l’essenza della sua costituzione, sa anche di non avere il potere di rinunciare alle condizioni di piena libertà e di sovrana indipendenza, che ha ricevuto in dote dalla Provvidenza nell’interesse generale delle anime. Ma parlando delle società esclusivamente umane, come emerge infinite volte nella storia, è il tempo, grande trasformatore della realtà terrena, che opera grandi mutamenti all’interno delle loro situazioni politiche. Qualche volta esso si limita ad apportare lievi modifiche alle forme di governo costituito; altre volte arriva a sostituire le forme primitive con altre totalmente differenti, intaccando addirittura la stessa trasmissione del potere sovrano. – Ma come si generano questi mutamenti politici di cui stiamo parlando? A volte sono le conseguenze di crisi violente, troppo spesso cruenti, che travolgono e annientano i governi preesistenti. Prende allora il sopravvento l’anarchia, e l’ordine pubblico viene in breve tempo sconvolto fin dalle fondamenta. A questo punto si impone alla nazione una necessità sociale ineludibile: deve, quanto prima, provvedere a se stessa. Come potrebbe non avere il diritto, anzi il dovere, di difendersi da una situazione che la sconvolge così in profondità, e ristabilire la pace pubblica nella tranquillità dell’ordine? Questo stato di necessità sociale giustifica la creazione e l’esistenza di nuovi governi, qualunque sia la forma assunta, proprio perché, nell’ipotesi da Noi formulata, questi nuovi governi sono postulati da un’esigenza di ordine pubblico, che non potrebbe esistere senza un governo. Ne consegue che, in una situazione del genere, ogni novità riguarda la forma politica dei poteri civili o il loro modo di trasmissione, ma non altera minimamente la natura del potere. Questa continua ad essere immutabile e, quindi, degna di rispetto, perché, se si presta attenzione ad essa, trova la sua ragion d’essere e la sua forza nel provvedere al bene comune, fine ultimo ed elemento costitutivo della società umana. In altre parole, in qualunque ipotesi, il potere civile, per sua natura, discende sempre e solo da Dio, “perché non vi è potere se non da Dio”.  Pertanto, quando questi nuovi governi, espressione dell’immutabile potere, si costituiscono, non solo è consentito ma è doveroso accettarli e vederli addirittura imposti dalla necessità del bene sociale, che li ha generati e li mantiene in vita. Si deve anche considerare che un’insurrezione attizza l’odio fra i cittadini, genera guerre civili e può far ripiombare la nazione nel caos dell’anarchia. Dunque questo dovere di rispetto e di sottomissione dovrà durare finché le esigenze del bene comune lo richiederanno, perché questo, dopo Dio, rappresenta nella società la legge prima ed ultima.  – A questo punto si rivela da sola la sapienza della Chiesa, dal momento che ha mantenuto le relazioni con i numerosi governi che, in meno di un secolo, si sono succeduti in Francia non senza aver causato violenti e profondi sconvolgimenti. Quest’atteggiamento costituisce la più sicura e la più utile linea di condotta per tutti i Francesi nei rapporti civili con la Repubblica, che è l’attuale governo della loro Nazione. Debbono perciò eliminare le divergenze politiche che li dividono, e unire tutti gli sforzi per conservare o per far crescere la grandezza morale della loro patria. – Ma si presenta una difficoltà. “Questa Repubblica, sottolinea qualcuno, è animata da sentimenti così anticristiani che le persone oneste, e ancor più i Cattolici, non potrebbero accettarla senza compromettere la loro coscienza”. Ecco ciò che soprattutto ha dato origine ai dissensi e li ha accentuati. Sarebbe stato possibile evitare questi spiacevoli dissensi, se si fosse tenuta nel dovuto conto la distinzione fondamentale che separa il Potere costituito dalla Legislazione. Vi è infatti un tale abisso fra la legislazione, i poteri politici e la loro forma che, sotto il regime caratterizzato dalla forma più perfetta, la legislazione può risultare inaccettabile, mentre, al contrario, sotto un regime dalla forma più imperfetta, ci si può imbattere in un’ottima legislazione. Provare, storia alla mano, questa verità, sarebbe facile, ma perché farlo? Tutti ne sono convinti. E chi può essere in grado di farlo meglio della Chiesa, dal momento che si è sempre sforzata di mantenere abituali relazioni con tutti i regimi politici? Di sicuro potrebbe riferire, più di ogni altra potenza, tutta una serie di consolazioni o di dolori che le hanno procurato le leggi emanate da molti governi che, a partire dall’Impero Romano fino ai nostri giorni, hanno retto successivamente i popoli. – Se la distinzione testé definita riveste la più grande importanza, ha pure in sé la ragione evidente che la giustifica. La legislazione, infatti, è opera degli uomini investiti del potere e che, di fatto, governano la nazione. Ne deriva, in concreto, che la qualità delle leggi dipende più dalla qualità di questi uomini investiti del potere, che dalla forma del potere. Le leggi, quindi, risulteranno buone o cattive a seconda che i legislatori saranno imbevuti di buoni o di cattivi princìpi e si lasceranno guidare o dalla prudenza politica o dalla passione.  Il fatto che in Francia, da parecchi anni a questa parte, molte decisioni importanti della legislazione siano state formulate con intenti ostili alla Religione, e quindi contrari agli interessi della Nazione, è ammesso da tutti ed è sfortunatamente provato dall’evidenza dei fatti. Noi stessi, obbedendo ad un sacro dovere, rivolgemmo le più vive lagnanze a chi era allora a capo della Repubblica, ma questa linea di condotta non è venuta meno e il male si è aggravato. Non può certo destare meraviglia che i membri dell’Episcopato francese, posti dallo Spirito Santo a reggere le numerose ed illustri Chiese, abbiano sentito, anche in tempi recenti, come un preciso dovere manifestare pubblicamente il loro dolore, parlando della situazione creata in Francia ai danni della Religione cattolica. Povera Francia! Solo Dio può misurare l’abisso dei mali, dove finirebbe per precipitare, se questa legislazione, invece di migliorare, si ostinasse in quel perverso indirizzo che porterebbe allo sradicamento dall’anima e dal cuore dei Francesi della Religione, che li ha resi così grandi. – Ecco delineato l’ambito dove, accantonato ogni dissenso politico, le persone rette debbono ritrovarsi unite come un sol uomo, per combattere, con tutti gli strumenti legali e onesti, gli abusi legislativi sempre più pesanti. Il rispetto dovuto ai poteri costituiti non ha ragioni per impedirlo, né l’ossequio, né ancor meno l’obbedienza incondizionata a qualsivoglia misura legislativa, emanata da questi stessi poteri, possono essere vincolanti. Non si deve mai dimenticare che la legge è una disposizione formulata nel rispetto della ragione, e promulgata per il bene della società da parte di chi ha ricevuto in affidamento il potere di attuarlo. Ne deriva dunque, che non si potranno mai approvare interventi legislativi avversi alla Religione e a Dio, e che anzi è un dovere disapprovarli. È quanto il grande Vescovo di Ippona Sant’Agostino ha saputo illustrare con chiarezza in un ragionamento pieno di eloquenza: “Qualche volta le potenze terrene sono buone e temono Dio, altre volte non lo temono. Giuliano era un Imperatore che aveva rinnegato Dio, un apostata, un perverso e un idolatra. I soldati cristiani servirono questo Imperatore senza fede. Ma quando si trattava della causa di Gesù Cristo, non riconoscevano che Colui che è nei cieli. Giuliano ingiungeva loro di rendere culto agli idoli e di incensarli; essi mettevano Dio al di sopra del principe. Se invece intimava loro di mettersi in assetto di guerra per marciare contro una nazione nemica, erano pronti all’obbedienza. Sapevano dunque fare una scelta fra il Signore eterno e quello temporale, e per riguardo al Signore eterno, si sottomettevano anche all’indegno signore temporale”. Noi sappiamo che l’ateo, per un deplorevole uso della ragione, e ancor più della volontà, nega questi princìpi. Ma l’ateismo è in definitiva un errore a tal punto mostruoso da non potere in alcun modo cancellare (e ciò sia detto a vanto dell’umanità) la coscienza dei diritti di Dio per sostituirvi l’idolatria dello Stato. – Essendo stati così definiti i princìpi che debbono regolare la nostra condotta nei confronti di Dio e dei governi umani, nessun uomo imparziale potrà accusare i Cattolici francesi se, accollandosi fatiche e sacrifici, lavorano per conservare alla loro patria ciò che rappresenta un elemento basilare di salvezza, ciò che riassume una lunga teoria di gloriose tradizioni, registrate dalla storia, e che tutti i Francesi hanno l’obbligo di non dimenticare. – Prima di terminare la Nostra Lettera, vogliamo accennare ad altri due punti connessi fra loro e che, riguardando più da vicino gl’interessi religiosi, possono aver causato disaccordo fra i Cattolici. Uno di essi è il Concordato che, nel corso di tanti anni, ha facilitato, in Francia, l’armonia fra il Governo della Chiesa e quello dello Stato. Circa il mantenimento di questo Patto solenne e bilaterale, sempre scrupolosamente osservato dalla Santa Sede, non vi è accordo fra gli stessi avversari della Religione cattolica. I più violenti ne pretendono l’abolizione, per consentire allo Stato la piena libertà di angariare la Chiesa di Gesù Cristo. Altri, al contrario, più astuti, sono del parere, o danno ad intendere, di volere mantenerlo in vita, non perché attribuiscano allo Stato l’obbligo di adempiere agl’impegni sottoscritti con la Chiesa, ma unicamente per permettergli di approfittare delle concessioni accordate dalla Chiesa. Come se fosse possibile separare, a piacimento, gl’impegni presi dalle concessioni ottenute, quando le due cose sono elementi costitutivi del tutto. Per questi ultimi, il Concordato rimarrebbe solo un’ottima catena per intralciare la libertà della Chiesa, questa santa libertà che le è dovuta per un diritto divino ed inalienabile. Quale di questi due intendimenti avrà il sopravvento? Non lo sappiamo. Abbiamo voluto farne menzione, unicamente per raccomandare ai Cattolici di non provocare movimenti di opinione divergenti su un argomento che è di esclusiva competenza della Santa Sede. – Non useremo lo stesso linguaggio sul secondo punto, relativo al principio della separazione dello Stato dalla Chiesa, che altro non significa se non separare la legislazione umana da quella cristiana e divina. Non intendiamo soffermarCi, in questa sede, per dimostrare quanto di assurdo racchiuda la teoria di tale separazione. Ognuno potrà rendersene conto personalmente. Da quando lo Stato rifiuta di dare a Dio ciò che è di Dio, è necessariamente costretto a non dare ai cittadini ciò a cui hanno diritto come uomini, perché lo si voglia o no, i veri diritti dell’uomo nascono proprio dai suoi doveri verso Dio. Ne consegue che lo Stato, venendo meno in questo campo al primo scopo della sua istituzione, finisce col rinnegare se stesso e con lo smentire la ragione della sua esistenza. Queste supreme verità sono proclamate con tanta chiarezza dalla stessa voce della ragione naturale, da imporsi ad ogni uomo che non sia accecato dalla violenza della passione. I Cattolici, quindi, si guardino con somma cura dal sostenere questa separazione. Volere che lo Stato si separi dalla Chiesa, altro non sarebbe, per logica conseguenza, che costringere la Chiesa ad accettare una libertà di vita regolata secondo il diritto comune a tutti i cittadini. Questo stato di cose, occorre riconoscerlo, è un dato di fatto in certi paesi. Un’esistenza di questo tipo presenta, accanto a numerosi e gravi inconvenienti, anche alcuni vantaggi, soprattutto quando il legislatore, per una fortunata incongruenza, non tralascia di ispirarsi ai princìpi cristiani. Questi vantaggi, anche se non possono giustificare la separazione né consentire di difenderla, rendono tuttavia tollerabile una situazione che non è, in concreto, la peggiore di tutte.  – Ma in Francia, nazione cattolica per le sue tradizioni e per la fede presente nella grande maggioranza dei suoi figli, la Chiesa non può essere messa nella condizione precaria che ha dovuto accettare presso altri popoli. I Cattolici sono tenuti ancor più a disapprovare la separazione, dal momento che conoscono a fondo le intenzioni dei nemici che la desiderano. Per quest’ultimi (lo affermano con sufficiente chiarezza), questa separazione consiste nella piena indipendenza della legislazione politica da quella religiosa. C’è di più. Si ripromettono l’assoluta indifferenza del Potere verso gli interessi della società cristiana, cioè della Chiesa, e la negazione stessa della sua esistenza. Avanzano inoltre un diritto di rivalsa, che può essere espresso in questo modo: quando la Chiesa, avvalendosi delle opportunità che il diritto comune concede anche ai Francesi del ceto più basso, sarà riuscita, raddoppiando gli sforzi della sua innata operosità, a far prosperare la sua opera, subito l’intervento dello Stato potrà, e dovrà, estromettere i Cattolici francesi dallo stesso diritto comune. In una parola, l’ideale di questi uomini sarebbe il ritorno al paganesimo, dove lo Stato non riconosce la Chiesa se non quando trova conveniente perseguitarla. – Abbiamo spiegato, Venerabili Fratelli, in modo succinto ma preciso, se non tutti, almeno i principali punti sui quali i Cattolici francesi, e tutte le persone sensate, debbono costruire l’unione e la concordia, per rimediare, quando è ancora possibile, ai mali che affliggono la Francia, e anche per risollevare la sua grandezza morale. Questi punti sono la Religione e la Patria, i poteri politici e la legislazione, il comportamento da tenere nei confronti di questi poteri e di questa legislazione, il Concordato, la separazione fra lo Stato e la Chiesa. Noi nutriamo la speranza e la fiducia che l’aver chiarito questi punti dissiperà i pregiudizi di molte persone in buona fede; faciliterà la pacificazione degli spiriti e, per suo tramite, la piena unione di tutti i cattolici per sostenere la grande causa del Cristo, che ama i Franchi.  – Quale consolazione per il Nostro cuore incoraggiarvi su questa strada e vedere voi tutti rispondere docilmente al Nostro appello! Voi, Venerabili Fratelli, con la vostra autorità, e con la dedizione tanto evidente per la Chiesa e per la Patria che vi distingue, darete un grande contributo a quest’opera pacificatrice. Siamo pure animati dalla speranza che, quanti detengono il potere, vorranno apprezzare le Nostre parole, che mirano alla prosperità e al benessere della Francia. – Nel frattempo, come pegno del Nostro paterno affetto, impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, al vostro Clero e a tutti i Cattolici di Francia, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma il 16 febbraio 1892, quattordicesimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “PERGRATA NOBIS”

Questa bella lettera Enciclica fu indirizzata dal Santo Padre S.S. Leone XIII ai Vescovi e religiosi portoghesi in occasione degli accordi stabiliti tra la Santa Sede ed il Regno del Portogallo. Oltre ai convenevoli cordiali, e gli accenni all’impegno secolare dei regnanti locali in difesa del credo apostolico romano, il Santo Padre sottolinea la necessità di un’azione profonda del clero cattolico sui costumi del popolo e sulla pacifica convivenza degli ideali politici civilmente contrastanti. A tale scopo ricorda quanto già scritto ai Vescovi ungheresi sulla scelta e la formazione dei novelli Sacerdoti istruiti nei seminari diocesani. Ben sapeva il Santo Padre che i destini della Religione e la pace del popolo dipendevano da questo chiavistello in grado di aprire o chiudere non solo la porta della salvezza dell’anima, ma pure la concordia e l’unità civile e la pacifica convivenza delle genti. Questo stesso principio venne sfruttato, in senso opposto, dai marrani e dai nemici settari infiltrati in particolare nei Seminari della Chiesa di Cristo per demolirla – se possibile – dall’interno così da scardinare anche l’ordine e la morale delle popolazioni non più nutrite dal cibo della dottrina e dall’esempio delle virtù cristiane dei Sacerdoti. Questa fu infatti l’assalto della quinta colonna nella Chiesa, assalto progressivo e silente che poi si concretizzò nell’obbrobrio del conciliabolo roncallo-montiniano tra l’indifferenza ed il mutismo assordante di prelati e religiosi ormai corrotti nelle midolla, mele bacate dal verme dell’indifferentismo ipocrita e del modernismo dottrinale pagano anticristiano, per non parlare delle presenze di alto grado delle logge e dei sedicenti illuminati. Oggi ne vediamo i risultati nei popoli un tempo cristiani che stanno già pagando, e pagheranno sempre più, un conto salatissimo all’idolatria umanista ed alla follia orgogliosa liberista che agita mortalmente nazioni e continenti. Ma non præsvalebunt. Dio si riderà di loro, anzi vede già arrivare la loro ora ormai prossima. Anche tutti noi soffriremo, ma alla fine, … in Cielo si sa … gode bene chi gode ultimo … e Dio non si farà beffare da quattro avidi kazari che accumulano beni e danaro roso dalle tarme e dalla ruggine, né tanto meno dai due falsi profeti che uccidono anime … per loro è pronto da sempre lo stagno di fuoco ove arderanno in eterno….   

Leone XIII
Pergrata nobis

Lettera Enciclica

Ci è giunta molto gradita la vostra lettera comune, che abbiamo ricevuta il mese scorso e che testimoniava soprattutto che Voi e i vostri concittadini avete appreso con piacere dei recentissimi accordi stabiliti tra la Sede Apostolica e il regno del Portogallo, e che vi siete rallegrati di essi come di cosa ben fatta e che gioverà non poco in futuro al bene generale. – In sostanza, come avete compreso, per Noi in tutto questo affare il proposito fu di conservare alla dignità dell’impero quelle cose che i Pontefici Romani avevano destinato ai vostri sovrani, meritevoli del titolo di Cattolici, e che allo stesso tempo si provvedesse a una migliore organizzazione e a vantaggio della cristianità degli Indi. Certamente sembra che questo proposito in parte sia stato raggiunto; confidiamo di conseguire l’altra parte con la grazia e la benevolenza di Dio. – Perciò chi ha a cuore l’auspicato esito di cui parliamo può scorgerlo nell’avvenire, non solo augurarlo; può nutrire la speranza certa che il nome Cristiano nel vostro Portogallo continuerà a prosperare per il bene di tutti, e conseguirà ogni giorno maggiori sviluppi. Affinché il risultato risponda in pieno a questa speranza, Noi certamente per primi – Dio si mostri benigno! – Ci adopreremo. Senza dubbio troveremo moltissimo aiuto nella vostra saggezza e nella sollecitudine episcopale, nello zelo e nella virtù del Clero, nella volontà del popolo del Portogallo. Anzi, in una causa tanto nobile e fruttuosa non mancherà il contributo degli uomini che governano lo Stato; riguardo ad essi, non dubitiamo che anche in futuro vorranno dimostrare la loro saggezza e la loro equità, come recentemente hanno dimostrato, tanto più che la cura della fede cattolica e la consuetudine di essere benemeriti della Chiesa non sono insolite o recenti presso i Portoghesi, ma antichissime e in onore da lungo tempo. – Infatti, nonostante il Portogallo sia posto quasi all’estremità della penisola Iberica, e sia delimitato da confini assai ristretti, tuttavia i vostri sovrani – merito che non è piccolo – estesero i confini dell’impero in Africa, in Asia, in Oceania, in modo che il Portogallo non fosse inferiore a nessuna delle potenze maggiori, e anzi ne superasse molte. – Ma dove si deve pensare che abbiano cercato di procurarsi la virtù adatta alla grandezza di queste imprese? Certamente, se si vuole ben giudicare, dall’amore e dal sentimento religioso. Infatti, in quelle difficili e pericolose spedizioni verso popolazioni sconosciute e barbare, risulta che essi erano prevalentemente orientati a servire Cristo Signore prima che l’utilità personale o la gloria; più desiderosi di diffondere il nome di Cristo che di estendere il proprio potere. Insieme con la chiara immagine delle ferite di Gesù Cristo – che era il vessillo popolare della nazione – i vostri antenati, devoti e allo stesso tempo fiduciosi, in battaglia erano soliti porre sulle triremi la sacrosanta Croce, in modo che sembrava avessero ottenuto le splendenti vittorie, di cui è rimasta la gloria, non tanto con la forza delle armi, quanto in virtù della stessa Croce. – Questo sentimento religioso risplendette massimamente quando i sovrani del Portogallo si adoperavano di far arrivare, scegliendoli anche fra popolazioni straniere, uomini apostolici che seguissero le orme di Francesco Saverio: uomini insigniti non una sola volta, dai Pontefici Romani, dell’autorità di Nunzi Apostolici. Questa gloria dei vostri antenati fu del tutto speciale né mai perirà, per il fatto che essi hanno portato la luce della fede cristiana tra popolazioni remotissime, tanto che per questa singolare prestazione si sono resi sommamente benemeriti della Sede Apostolica. – Né mai i Nostri Predecessori smisero di manifestare la loro gratitudine al vostro popolo; di ciò sono chiarissima prova i particolari onori conferiti ai sovrani. – Per quanto riguarda Noi, ogni volta in cui consideriamo le grandi cose compiute da un popolo non tanto grande, l’animo è molto lieto di proporre i Portoghesi quale esempio della forza della religione e della devozione; allo stesso tempo la Nostra benevolenza è animata più intensamente da sentimenti di ammirazione. – È proprio così: come Ci sembra provato recentemente con il Nostro paterno amore verso di voi allorché, nel dirimere la questione relativa alle Indie Orientali, proprio Noi, per quanto la natura del Nostro ministero lo permetteva, Ci siamo comportati generosamente e benignamente con il Portogallo. E dal momento che è giusto ricevere e rendere reciprocamente prove di buona volontà, Noi Ci attendiamo moltissimo dall’impegno e dalla condiscendenza dei reggitori dello Stato. Certamente confidiamo che in futuro non solo rivolgeranno una grandissima cura verso le cose che sono state pattuite, ma di buon grado indirizzeranno il loro sforzo, parimenti insieme a Noi e a voi, per riparare quei mali che la Chiesa ha patito costà. – Queste cose, in verità, non sono di poco conto, soprattutto se si osserva la condizione del vostro Clero e degli Ordini religiosi. La rovina di questi si riversa non solo sulla Chiesa, ma sulla stessa popolazione, la quale sente che le vengono sottratti collaboratori avveduti e operosi, l’opera dei quali nel formare i costumi del popolo, nell’educare la gioventù, nel creare anche nelle stesse colonie istituti ispirati ai principi cristiani, avrebbe potuto essere di non modesta utilità, soprattutto oggi che scorgiamo nell’Africa più interna un campo così ampiamente aperto alle sacre missioni. – Se poi consideriamo le origini stesse dei mali, riteniamo che il desiderio sfrenato di immoralità, che così grandemente s’impose nel secolo passato, non sia stato né l’unica, né la causa principale. Certamente esso pervase anche gli animi dei vostri, come il contagio di una malattia, e nella sua diffusione determinò molte disgrazie. Nondimeno sembra che non si allontanino molto dal vero coloro che pensano che un danno maggiore sia stato recato dalle fazioni dei partiti politici, dalle discordie interne, dalle agitazioni delle rivolte popolari. In realtà nessuna forza ha potuto spegnere, nessun intrigo ha potuto far vacillare il sentimento religioso e l’antica fede dei Portoghesi nei confronti del Pontificato romano. Anche negli stessi sconvolgimenti pubblici, l’opinione del popolo fu sempre che il patto e la concordia dello Stato con la Chiesa fossero il supremo principio secondo il quale si devono governare le società cristiane. Per questo motivo il sacro vincolo dell’unità religiosa non solo è rimasto intatto, ma ha rappresentato, insieme all’autorità e al potere delle leggi, il fondamento della costituzione politica. Queste cose, così gradite e piacevoli a ricordarsi, mostrano che la condizione del Cattolicesimo, adottati i rimedi adatti, senza difficoltà può diventare di gran lunga migliore. Esistono infatti i buoni semi; se questi si svilupperanno nella fermezza degli animi e nella concordia delle intenzioni, produrranno l’abbondanza dei frutti desiderati. – In verità coloro che governano con il potere – e la loro opera è tanto necessaria per riparare i mali della Chiesa – facilmente capiranno che, come il nome del popolo portoghese è giunto ad una tale altezza di gloria per la virtù e il beneficio della Religione Cattolica, così esiste una sola via per cancellare le cause dei mali, se la cosa pubblica sarà amministrata invariabilmente secondo i principi e l’ispirazione della Religione stessa. Conseguentemente il governo dello Stato sarà in armonia con la natura, i costumi e la volontà del popolo. Infatti, la professione cattolica costituisce la religione pubblica e legittima del regno del Portogallo; per questo è del tutto naturale che essa sia stata salvaguardata con la tutela delle leggi e con l’autorità dei magistrati, e ufficialmente dotata di tutte le difese per la sua integrità, stabilità e dignità. – Nello stesso modo, sia la libertà sia l’azione propria appartengono legittimamente all’autorità politica e a quella ecclesiastica; tutti siamo persuasi di ciò che la stessa esperienza conferma con prove di ogni giorno, cioè che la Chiesa è tanto lontana dall’opporsi con odiosa rivalità al potere civile, che procura a questo moltissimi e grandissimi aiuti per il bene dei cittadini e la quiete pubblica. – D’altra parte, coloro che sono influenti in quanto investiti di sacra autorità, devono fare in modo – qualsiasi cosa facciano in veste ufficiale – che i governanti della popolazione possano e debbano fidarsi completamente di loro e non pensino che sia stata forse trascurata da loro qualsiasi occasione di difendere quelle leggi che alla Chiesa non importa siano difese. La contesa delle parti politiche offre per lo più motivo di sospetto e di diffidenza: e questo voi avete sufficientemente conosciuto per diretta esperienza. Senza dubbio è primo e supremo dovere dei Cattolici, ed espressamente del Clero, non riverire mai, né riconoscere col pensiero ciò che sia lontano dall’obbedienza e dalla fede nella Chiesa, o sia incompatibile con la conservazione dei suoi diritti. Quantunque poi sia lecito a ciascuno difendere onestamente e legittimamente la propria opinione sulle cose meramente politiche, purché non si opponga alla Religione e alla giustizia, tuttavia voi vedete, Venerabili Fratelli, quanto sia rovinoso l’errore di coloro – se pur ve ne sono – che non distinguono sufficientemente la cosa sacra da quella civile, e utilizzano la religione a difesa delle parti politiche. – Pertanto, usando la prudenza e la moderazione, non solo non si darà alcun luogo ai sospetti, ma ancor più saldamente si affermerà quell’accordo dei Cattolici da Noi così vivamente desiderato. Se nel passato fu assai difficile conseguire ciò, il motivo è dovuto al fatto che molti, forse saldamente legati alle proprie opinioni più di quanto fosse conveniente, mai e per nessun motivo ritennero di allontanarsi dall’interesse delle loro parti. Certamente, questi interessi, benché entro certi limiti non si possano disapprovare, tuttavia, impediscono grandemente il conseguimento di quella più alta e desideratissima concordia. – Conseguentemente sarà vostro compito, Venerabili Fratelli, indirizzare su tale terreno tutta la forza della vostra operosità e della vostra sollecitudine affinché, accortamente tenuto lontano tutto ciò che sembra essere d’ostacolo, possiate realizzare l’unione salutare degli animi. E questo avverrà più agevolmente, secondo i desideri, se in un’impresa di così grande valore, procederete non separatamente, ma unendo gli sforzi. – Da principio, perciò, sembrano opportune la comunicazione e la partecipazione tra voi delle decisioni, affinché esista uno stesso modo nell’agire. Invero, quale scelta delle decisioni si debba fare, che cosa giovi in modo più adatto al proposito, non lo scoprirete faticosamente se terrete presente – davanti agli occhi – come regola, quanto ripetutamente è stato dichiarato e prescritto dalla Sede Apostolica riguardo a questioni di questo genere, soprattutto poi la Nostra lettera Enciclica sulla organizzazione cristiana dello Stato. – Tuttavia, non Ci occuperemo ad una ad una di tutte le cose che richiedono un rimedio adatto, specialmente perché sono più conosciute a voi, Venerabili Fratelli, a voi che la forza dei disagi angustia più da vicino e più degli altri. Analogamente non elencheremo quelle cose che richiedono un intervento tempestivo del potere civile, affinché si provveda, nel modo che è giusto, agl’interessi cattolici. Infatti, non potendo dubitare del Nostro animo paterno, né del vostro rispetto delle leggi civili, è lecito sperare che i governanti valuteranno con equanime criterio l’inclinazione della Nostra e parimenti della vostra volontà, e cercheranno di restituire la Chiesa, afflitta per molti motivi, al giusto grado di libertà e di dignità. Per parte Nostra, come è proprio delle Nostre funzioni, saremo sempre prontissimi a trattare e a decidere di comune accordo ciò che sembra più opportuno per gli affari ecclesiastici e ad accettare volentieri condizioni oneste ed eque. – D’altra parte, ci sono certe cose, anche di non scarsa importanza, alle quali espressamente deve provvedere la vostra operosità, Venerabili Fratelli. Fra queste, in primo luogo, lo scarso numero di Sacerdoti, determinato soprattutto dal fatto che in moltissimi luoghi, né per breve tempo, sono mancati gli stessi Seminari per la formazione dei chierici. Per questo motivo spesso si è provveduto a stento e con fatica all’educazione del popolo cristiano, o all’amministrazione dei Sacramenti. Ora invero, poiché per grazia della Divina Provvidenza in ogni Diocesi ci sono i Seminari per il Clero, e dove ancora non sono stati ricostruiti, tra breve, come speriamo e desideriamo, lo saranno, è ragionevole ritenere che tutto sia pronto per ricostituire la disponibilità dei Sacerdoti, posto che la preparazione dei seminaristi è stata opportunamente disciplinata come si deve. Pertanto, confidiamo nella vostra prudenza e nella vostra saggezza, a Noi ben note. Tuttavia, affinché non vi manchi un Nostro consiglio in questa materia, riflettete su quanto abbiamo scritto recentemente ai Venerabili Confratelli Vescovi d’Ungheria per una simile situazione. “Per formare un chierico sono assolutamente necessarie due cose: la dottrina per la cultura della mente, e la virtù per la perfezione dell’anima. Alle discipline umanistiche sulle quali è solitamente basata l’educazione dell’adolescente, vanno aggiunte le discipline sacre e quelle canoniche, dopo essersi assicurati che la dottrina di tali materie sia sana, assolutamente incorrotta, interamente in accordo con i documenti della Chiesa (soprattutto di questi tempi) e ricca di forza e di argomenti, affinché sia in grado di esortare… e confutare coloro che contraddicono”. – “La santità della vita, senza la quale la scienza è solo vento e non costruisce, racchiude non soltanto i costumi probi ed onesti, ma anche l’insieme delle virtù sacerdotali donde deriva la somiglianza con Gesù Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, che è la caratteristica dei buoni preti… (Nei Seminari) le vostre preoccupazioni e i vostri pensieri siano concentrati soprattutto su questi obiettivi; procurate che all’insegnamento delle lettere e delle scienze siano posti uomini di valore, nei quali l’esattezza della dottrina sia unita all’innocenza dei costumi, affinché a buon diritto possiate fidarvi di loro in un settore così importante. Scegliete i responsabili della cultura e i maestri di religiosità fra coloro che eccellono per prudenza, saggezza ed esperienza; la regola della vita comune venga temperata dalla vostra autorità in modo che gli alunni non solo non compiano qualcosa di contrario alla pietà, ma anzi abbondino di tutti quegli strumenti con i quali si alimenta la fede: con opportuni esercizi siano stimolati al quotidiano miglioramento delle virtù sacerdotali”. – Inoltre, per la verità, la vostra sollecitudine deve essere massima e particolare verso i Sacerdoti: quanto più si riduce il numero degli operai, tanto più prontamente si dedichino a coltivare la vigna del Signore. Queste parole del Vangelo “certamente la messe è molta” sembrano potersi applicare appieno a voi, perché sempre le popolazioni del Portogallo sono state solite amare molto la Religione e l’hanno sostenuta volentieri e ardentemente quando hanno riconosciuto che nei Sacerdoti, loro maestri, erano presenti gli ornamenti delle virtù e il pregio della dottrina. Pertanto, l’opera del Clero, dedicata degnamente e con amore nell’istruire il popolo, soprattutto i giovani, sarà meravigliosa. Ma per ispirare e alimentare negli uomini l’amore per la virtù, è provato che sono efficaci soprattutto gli esempi. Perciò tutti coloro ai quali sono affidati incarichi sacerdotali s’impegnino non solo a che non si trovi in essi qualcosa contrario al loro ufficio e al loro ministero, ma si sforzino di risplendere per santità di costumi e di vita, come “la lucerna sopra il candelabro, perché faccia luce a tutti coloro che sono nella casa”. – Infine il terzo punto, al quale è necessario che le vostre cure siano rivolte con assiduità, riguarda quelle cose che ogni giorno o in momenti determinati sono destinate alla pubblicazione. Voi conoscete i tempi, Venerabili Fratelli: da una parte gli uomini sono presi da un insaziabile desiderio di leggere; dall’altra si diffonde una grande quantità di scritti licenziosi; per questi motivi a malapena si può dire quale grande sventura penda ogni giorno sopra l’onestà dei costumi, quale grande guasto sull’integrità della Religione. Pertanto, con l’esortazione, con l’ammonimento, perseverate, utilizzando ogni mezzo e ogni metodo di cui disponete, nel proposito di richiamare gli uomini da fonti corrotte di tal fatta e di accompagnarli a sorgenti salubri. Gioverà moltissimo se, a vostra cura e sotto la vostra guida, verranno pubblicati dei giornali che rimedino opportunamente ai veleni diffusi ovunque, sostenendo la verità, la virtù e la Religione. Quanto a coloro che in un nobilissimo e santissimo proposito uniscono l’arte dello scrivere con l’amore e la devozione agl’interessi cattolici, se veramente vogliono che le loro fatiche siano fruttuose e sempre lodabili, ricordino costantemente che cosa si richiede a chi lotta per la causa migliore. Occorre cioè che nello scrivere usino con somma cura moderazione, prudenza e soprattutto la carità, che è madre e compagna di tutte le altre virtù. Invero vedete quanto sia contraria alla carità fraterna la leggerezza nel sospettare, la temerità nell’accusare. Da questo si comprende che agiranno erroneamente e ingiustamente coloro che, al fine di favorire una parte politica, non esitano ad attribuire ad altri una sospetta fede cattolica, unicamente perché sono dall’altra parte, come se l’onore della professione cattolica fosse necessariamente unito a questa o a quella parte politica. – Le cose che finora abbiamo raccomandato e prescritto, siano affidate alla vostra autorità, verso la quale certamente è necessario che abbiano rispetto e sottomissione tutti coloro ai quali siete preposti, soprattutto poi i Sacerdoti che in tutta la loro vita, sia privata sia pubblica, sia che adempiano ad incarichi dell’ordine sacro, sia che insegnino nei Licei, non cessano mai di essere sottoposti all’autorità dei Vescovi. Gli stessi devono anche, con il loro esempio, richiamare gli altri a praticare ogni forma di virtù ed a prestare l’obbedienza e l’ossequio dovuti all’autorità episcopale. – Affinché poi tutto riesca felicemente come desiderato, invochiamo con insistenza l’aiuto celeste; anzitutto supplichiamo la perenne fonte di divina grazia, il Cuore santissimo del Salvatore nostro Gesù Cristo, il culto del quale presso di voi è vivamente praticato da molto tempo. Imploriamo i patrocinii dell’Immacolata Maria, Madre di Dio, della cui particolare tutela il regno del Portogallo si onora, nonché della santa di tutte le regine, la vostra Elisabetta, e dei santi martiri, che fin dai primi tempi della Chiesa, versando il sangue, hanno dato vita e alimentato il Cristianesimo in Portogallo. – Intanto, a testimonianza della Nostra benevolenza e come pegno dei doni celesti, impartiamo molto amorevolmente nel Signore la Benedizione Apostolica a Voi, al Clero e a tutto il vostro popolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 14 settembre 1886, anno nono del Nostro Pontificato.

UB’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XV – “HUMANI GENERIS REDEMPTIONEM”

Questa stupenda lettera Enciclica di S.S. Benedetto XV, è dedicata ai predicatori della parola di Dio. Pieno di citazioni scritturali ha da essere solo letta, tanto ogni commento risulti inutile. Si traccia la figura del predicatore, le sue caratteristiche, i suoi doveri e le sue responsabilità gravi verso il Signore Gesù di cui deve essere copia fedele nell’indirizzare anime al cielo e dar gloria all’Eterno Padre. Qual differenza siamo oggi costretti  a vedere in tanti che si spacciano per illuminati portatori della parola di Cristo, ma questo in verità dovrebbe farci subito capire con chi abbiamo a che fare, uomini senza missione canonica, senza giurisdizione perché scismatici e “una cum” false autorità apicali usurpanti indebitamente cattedre ed incarichi vari, dal parrocchiale, al curiale, e dal 1958, perfino la cattedra di S. Pietro. Come non meravigliarsi allora dei frutti marci e maleodoranti di insulse false predicazioni il cui intento, più o meno dichiarato, è la perdita delle anime? Come non meravigliarci di una società, un tempo cristiana, nella quale trionfa un paganesimo pratico con l’idea del soprannaturale totalmente estranea alla vita di strati sociali indirizzati come “pecore matte” alla dannazione eterna? I pochi resistenti del pusillus grex abbiano però fede ed abbandono in Dio che interverrà al momento più opportuno per distruggere col soffio della sua bocca (2 Tess, II, 8) l’uomo iniquo della perdizione con i suoi adepti e i falsi profeti … il dragone soccomberà … Et Ipsa conteret caput tuum … Intanto ci consoliamo con questo prezioso magistrale stupendo documento.

Benedetto XV
Humani generis redemptionem

Lettera Enciclica

I. L’ANNUNCIO DELLA PAROLA

La predicazione prosegue l’opera della redenzione.

Avendo Gesù Cristo nostro Signore col morire sull’altare della Croce compiuta la Redenzione del genere umano, e volendo indurre gli uomini mercé l’osservanza de’ suoi comandamenti a guadagnarsi la vita eterna, non ricorse ad altro mezzo che alla voce de’ suoi predicatori, commettendo loro di annunziare al mondo le cose necessarie a credere o ad operare per la salute. “Piacque a Dio di salvare i credenti per mezzo della stoltezza della predicazione” (1Cor 1,21). Elesse egli quindi gli Apostoli, ed avendo loro infusi con lo Spirito Santo i doni appropriati a sì alto ufficio: “Andate – disse – per tutto il mondo e predicate l’Evangelio” (Mc XVI, 15). Ed è questa predicazione appunto che rinnovò la faccia della terra. Poiché se la Fede cristiana convertì le menti degli uomini da molteplici errori alla conoscenza della verità, e le anime loro dall’indegnità dei vizi all’eccellenza di ogni virtù, non per altra via le convertì se non per via della predicazione: “La Fede dall’udito, l’udito poi per la parola di Cristo” (Rm X, 17). Laonde, siccome per divina disposizione, sogliono le cose conservarsi per quelle medesime cause che le hanno generate, egli è manifestato essere legge divina che l’opera dell’eterna salute si continui per la predicazione della cristiana sapienza; a buon diritto venir questa annoverata tra le cose di suprema importanza, e meritare perciò tutte le nostre cure e sollecitudini, massime se ci fosse ragion di credere ch’ella, perdendo in efficacia, fosse in qualche modo venuta meno alla sua nativa integrità. – Ed è questo appunto che s’aggiunge ai tanti mali, che Noi sopra ogni altro affliggono in questi miseri tempi. Se miriamo quanti sono coloro che attendono alla predicazione, li ritroviamo in sì gran numero che forse mai non fu il maggiore. Ma se al tempo stesso consideriamo a che sono ridotti i costumi pubblici e privati e le leggi onde si reggono i popoli, vediamo crescere ogni giorno il disprezzo e la dimenticanza d’ogni concetto soprannaturale; vediamo illanguidire il vigore severo della virtù cristiana, con obbrobrioso e rapido ritorno all’indegnità della vita pagana. – Di tanti mali molte certamente e varie sono le cagioni: non si può negare però che purtroppo insufficiente sia il rimedio che i ministri della divina parola vi dovrebbero apportare. Forse che la parola di Dio non è più quella che l’Apostolo chiamava viva ed efficace e penetrante più d’una spada a due tagli? Forse col tempo e coll’uso la spada s’è spuntata? Certo ella è colpa dei ministri, che non sanno maneggiarla, s’essa perde spesso della sua forza. Né davvero si può dire che gli Apostoli incontrassero tempi migliori dei nostri, come se allora il mondo fosse più docile al Vangelo o meno riottoso alla legge di Dio. – Gli è perciò che consci del dovere che l’Ufficio apostolico c’impone e mossi dall’esempio dei due nostri immediati Predecessori, abbiamo creduto, in un affare di tanta importanza, di dover porre ogni diligenza per chiamare la predicazione della divina parola alla norma data da Cristo e dalle leggi ecclesiastiche.

II. CAUSE DI INEFFICACIA

Non si deve predicare senza mandato

Nel che, o Venerabili Fratelli, importa ricercare anzitutto quali siano le cagioni che fanno tralignare dalla retta via. Ora siffatte cagioni possono ridursi a tre: o perché viene commessa la predicazione a chi non si dovrebbe; o perché non ci si apporta la dovuta intenzione; o ancora non si predica nel modo che si conviene. – Infatti, secondo che insegna il Concilio di Trento, l’ufficio di predicare spetta ai Vescovi principalmente. E gli Apostoli, ai quali succedettero i Vescovi, quello soprattutto ritennero che loro appartenesse. Così Paolo: “Non mi ha mandato Cristo a battezzare, ma a predicare il Vangelo” (1Cor I, 17). E gli altri Apostoli similmente: “Non è giusto che noi tralasciamo la parola di Dio per servire alle mense” (At VI, 2). – Però sebbene quest’ufficio appartenga ai Vescovi in proprio, tuttavia essendo essi occupati da molti altri pensieri nel governo delle loro Chiese, né potendo perciò sempre né in ogni caso adempirlo di per sé, è necessario che vi soddisfacciano anche per mezzo di altri. Laonde chiunque, oltre i Vescovi, esercita quest’ufficio, lo esercita senza dubbio come un incarico episcopale. Questo adunque rimanga anzitutto bene stabilito: a nessuno essere lecito d’intraprendere da sé l’ufficio di predicare, essere anzi a ciò necessaria la legittima missione, che nessuno può dare, dal Vescovo in fuori: “Quomodo praedicabunt nisi mittantur? – Come predicheranno se non sono mandati?” (Rm X, 15). Quindi mandati furono gli Apostoli, e mandati da Colui che è Pastore supremo e Vescovo delle anime nostre (cf. 1Pt II, 25), mandati i settantadue discepoli; e lo stesso Paolo, quantunque costituito già da Cristo vaso di elezione per portare il nome di Lui dinanzi alle genti ed ai re (cf. At IX, 15), non iniziò il suo apostolato fino a quando i seniori, ubbidendo al comando dello Spirito Santo: “Mettetemi da parte Saulo per l’impresa” (del Vangelo) (At XIII, 2), impostegli le mani, non lo licenziarono. La qual cosa nei primi tempi della Chiesa fu consuetudine costante. Tanto che tutti, anche i più insigni nel semplice ordine sacerdotale, come Origene, e quelli che dappoi furono innalzati alla dignità episcopale, come Cirillo di Gerusalemme e gli altri antichi Dottori della Chiesa, tutti, autorizzati ciascuno dal proprio Vescovo, intrapresero l’opera della predicazione. – Oggi all’incontro, o Venerabili Fratelli, si direbbe sia invalsa un’usanza ben differente. Non sono rari, tra i sacri oratori, tali di cui si potrebbe ripetere con verità quello onde si lagna Iddio presso Geremia: “Io non li avevo mandati quei profeti, eppure correvano da sé” (Ger XXIII, 21). Basta infatti che alcuno o per naturale inclinazione o per altro motivo qualunque s’invogli di darsi al ministero della parola, perché facilmente gli si apra l’accesso al pergamo, quasi palestra da esercitarvisi ognuno a suo talento. Tocca dunque a voi, o Venerabili Fratelli, riparare a tanto disordine; e poiché ben sapete come dovrete un giorno rendere conto a Dio ed alla Chiesa del pascolo che avrete fornito alle vostre greggi, non vogliate permettere che alcuno, senza il vostro consenso, s’introduca nell’ovile e quivi a suo piacimento pasca le pecorelle di Cristo. Nessuno, pertanto, nelle vostre diocesi d’ora innanzi dovrà predicare se non sia stato da voi stessi chiamato ed approvato. – Vorremmo perciò, su questo proposito, che con ogni vigilanza consideriate a quali persone affidate incarico così santo e rilevante. Il decreto del Concilio Tridentino, infatti, questo solo permette ai Vescovi, che scelgano uomini idonei, cioè dire che siano capaci di adempiere salutarmente il dovere della predicazione. Salutarmente, dice – notate bene la parola che esprime la norma in questo affare – non dice con eloquenza, non già con plauso degli uditori, ma con frutto delle anime, che è il fine proprio del ministero della divina parola. Che se desiderate intendere da Noi anche più precisamente quali veramente si debbano reputare idonei, diremo senz’altro che sono quelli appunto ne’ quali riscontrate i segni della vocazione divina. Imperocché quei requisiti stessi che si domandano acciocché alcuno sia ammesso al sacerdozio: “Nessuno si appropria da sé tale onore ma chi è chiamato da Dio” (Eb V, 4), sono pure necessari perché egli sia giudicato atto alla predicazione.

Chi può essere ammesso a predicare

Vocazione questa non difficile ad intendere. Poiché allorquando Cristo, Maestro e Signor nostro, stava per salire al cielo, non disse già agli Apostoli che, spargendosi pel mondo, subito principiassero a predicare, ma “trattenetevi in città sino a tanto che siate rivestiti di virtù dall’alto” (Lc XXIV, 4). Sicché questo è l’indizio d’essere alcuno da Dio chiamato a tale ufficio, s’egli sia dall’alto rivestito di virtù. Il che come sia, Venerabili Fratelli, lo possiamo raccogliere dall’esempio degli Apostoli, tostoché ricevettero virtù dal cielo. Era su di loro disceso appena lo Spirito Santo, che lasciando stare i mirabili carismi loro conferiti essi, di rozzi e fiacchi uomini che erano, ad un tratto diventarono dotti e perfetti. Così se un Sacerdote sia fornito di conveniente dottrina e di virtù purché egli abbia tanto in doni di natura da non tentare Iddio giustamente si potrà giudicarlo chiamato al ministero della predicazione, né vi sarà ragione che il Vescovo non lo possa ammettere. Ed è quello stesso che intende il Concilio di Trento, quando stabilisce che il Vescovo non permetta di predicare ad alcuno che non sia ben provato per costumi e per dottrina. È quindi dovere del Vescovo assicurarsi per via di lunga ed accurata esperienza quanta sia la scienza e la virtù di coloro, ch’egli pensa d’incaricare dell’ufficio di predicare. E s’egli in ciò si dimostrasse troppo facile e trascurato, mancherebbe ad un suo gravissimo dovere, e sul suo capo ricadrebbe la colpa e degli errori profferiti dal predicatore ignorante e dello scandalo e mal esempio del malvagio. – Ma per facilitarvi l’adempimento dell’obbligo vostro in questo genere, o Venerabili Fratelli, ordiniamo che d’ora innanzi tutti coloro che domandano la facoltà di predicare abbiano a sostenere un doppio e severo giudizio, dei costumi e della scienza loro, così appunto come si suole per la facoltà di ascoltare le confessioni. E chiunque o per l’uno o per l’altro conto sia ritrovato manchevole, senza nessun riguardo, come inetto venga escluso da tale ufficio. Lo esige la dignità vostra, perché, come abbiamo detto, i predicatori fanno le vostre veci: lo esige il bene della santa Chiesa, nella quale, se altri mai dev’essere sale della terra e luce del mondo, ciò spetta a colui che è occupato nel ministero della parola (Mt V, 13-14).

Il fine e le forme della predicazione

Ben considerate queste cose, può sembrare superfluo il procedere a spiegare qual debba essere il fine e il modo della sacra predicazione. Giacché ove la scelta dei sacri oratori si faccia secondo la mentovata regola, che dubbio c’è che quelli, i quali sono adorni delle richieste qualità, si proporranno nel predicare una degna causa e si atterranno a una degna maniera? Tuttavia, giova lumeggiare questi due capi, affinché tanto meglio apparisca perché mai talvolta venga a mancare in alcuni l’ideale del buon predicatore. Che cosa i predicatori nell’adempiere al loro ufficio abbiano da avere innanzi agli occhi, si rileva da questo, che essi possono e debbono dire di sé quel di San Paolo: “Facciamo le veci di ambasciatori per Cristo” (2Cor V, 20). Se dunque sono ambasciatori di Cristo, nel compiere la loro ambasceria debbono volere quello stesso che Cristo intese nel darla loro: anzi quello che Egli stesso si propose, mentre visse sulla terra. Giacché gli Apostoli, e dopo gli Apostoli i predicatori, non ebbero missione diversa da quella di Cristo: “Come mandò me il Padre, anch’io mando voi” (Gv XX, 21). E sappiamo per che cosa Cristo discese dal cielo, avendo egli apertamente dichiarato: “Io a questo fine son venuto nel mondo, di rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). “Io son venuto perché abbiano vita” (Gv X,10). – Quelli dunque che esercitano la sacra predicazione debbono mirare all’una e all’altra cosa, cioè a diffondere la verità da Dio rivelata, e a destare ed alimentare la vita soprannaturale in coloro che li ascoltano; in una parola, a promuovere la gloria di Dio, coll’attendere alla salute delle anime. Laonde, come a torto si direbbe medico chi non esercitò la medicina, o maestro di un’arte qualsiasi chi quell’arte non insegni, così chi predicando non si cura di condurre gli uomini a una più piena cognizione di Dio e sulla via dell’eterna salute, potremo dirlo un vano declamatore, non un predicatore evangelico. E così non ve ne fossero di siffatti declamatori!

Intenzioni dei falsi predicatori

E che cosa è poi quello da cui si lasciano soprattutto trasportare? Alcuni dalla cupidigia della gloria umana, per soddisfare alla quale “si studiano di dir cose più alte che adatte, ingenerando nelle deboli intelligenze stupore di sé, non operando la loro salute. Si vergognano di dir cose umili e piane, per non sembrar di saper solo queste… Si vergognano di allattare i pargoli” . E mentre il Signore Gesù dall’umiltà degli uditori voleva s’intendesse essere Egli colui che si aspettava: “Si annunzia ai poveri il Vangelo” (Mt II, 5), quanto non brigano costoro per acquistarsi rinomanza dalla predicazione nelle grandi città e sui pulpiti primarii? E poiché nelle cose rivelate da Dio ve n’ha di quelle che spaventano la debolezza della corrotta natura umana, e che perciò non sono adatte ad adunare moltitudini, da esse cautamente si astengono e prendono a trattare argomenti ne’ quali, salvo la natura del luogo, niente v’ha di sacro. E non raro avviene, che nel trattar di verità eterne discendono alla politica, massime se qualche cosa di questo genere occupi fortemente gli animi degli uditori. Questo solo sembra essere il loro studio, di piacere agli uditori e imitar quelli che San Paolo dice lusingatori delle orecchie (2 Tm IV, 3). Di qui quel gesto non pacato e grave, ma da scena e da comizio; di qui quelle patetiche modulazioni di voci o tragiche impetuosità; di qui quel modo di parlare proprio dei giornali; di qui quella copia di sentenze attinte dagli scrittori empii ed acattolici, non dalle divine Lettere né dai Santi Padri; di qui finalmente quella vertiginosità di parola che nei più d’essi si riscontra e che serve sì a ottundere le orecchie e a far stupire gli uditori, ma che non reca ad essi niente di buono da riportare a casa. Ora è incredibile di che inganno siano vittime cotali predicatori. Conseguano pure quel plauso degli stolti che essi cercano con tanta fatica e non senza profanazione: ma vale la spesa, quando con ciò essi vanno incontro al biasimo degli uomini savii, e, quel che è peggio, al tremendo giudizio severissimo di Cristo? – Se non che, Venerabili Fratelli, non tutti i predicatori che si allontanano dalle buone regole cercano, nel predicare, unicamente gli applausi. Il più delle volte quelli che si procurano siffatte manifestazioni lo fanno per giovarsene ad altro scopo anche meno onesto. Giacché dimenticando il detto di San Gregorio: “Il sacerdote non predica per mangiare, ma perciò deve mangiare perché predichi”, non sono rari coloro i quali, sentendo di non esser fatti per altri uffici, dove vivere con decoro, si sono dati alla predicazione, non per esercitare debitamente questo santissimo ministero, ma per fare i loro interessi. Vediamo quindi tutte le sollecitudini di costoro essere volte non a cercare dove si possa sperare un maggior frutto nelle anime, ma dove predicando v’è da guadagnare di più. – Ora da uomini siffatti non potendosi aspettar altro che danno e disonore per la Chiesa, dovete, Venerabili Fratelli, vigilare con ogni diligenza affinché, scoprendo qualcuno che faccia servire la predicazione alla sua vanità o all’interesse, lo rimoviate senza indugio dall’ufficio di predicare. Giacché chi non si perita di profanare cosa sì santa, non avrà certo ritegno di discendere ad ogni bassezza, spargendo una macchia d’ignominia non solo sopra di sé, ma anche sullo stesso sacro ministero, che così indegnamente egli compie. – E dovrà usarsi la stessa severità contro coloro che non predicano come si deve, per aver trascurati i necessari requisiti a compiere bene questo ministero. E quali siano questi, lo insegna coll’esempio suo colui che dalla Chiesa fu denominato il Predicatore della verità, Paolo Apostolo; ed oh se, per beneficio di Dio, avessimo molto maggior numero di predicatori simili a lui!

III. CONDIZIONI PER PREDICARE

La scienza necessaria

La prima cosa, dunque, che apprendiamo da San Paolo si è con che preparazione e dottrina egli intraprese a predicare. Né qui intendiamo degli studi ai quali egli aveva diligentemente atteso sotto il magistero di Gamaliele. Giacché la scienza in lui infusa per rivelazione, oscurava e quasi sopraffaceva quella che egli da sé si era procacciata: benché anche questa non gli giovò poco, come dalle sue Lettere si ricava. La scienza è affatto necessaria al predicatore, come dicemmo; della cui luce chi è privo facilmente erra, secondo la verissima sentenza del Concilio Lateranense IV: “L’ignoranza è la madre di tutti gli errori”. Tuttavia ciò non vuole intendersi di qualsiasi scienza, ma di quella che è propria del Sacerdote e che si restringe, per dir tutto in poco, alla cognizione di sé, di Dio e dei doveri: di sé, diciamo, perché ognuno metta da parte i propri vantaggi; di Dio, perché conduca tutti a conoscerlo e ad amarlo; dei doveri, perché li osservi e insegni ad osservarli. La scienza delle altre cose, se manchi questa, gonfia e nulla giova.

Disponibilità senza condizioni

Ma vediamo qual fu nell’Apostolo la preparazione interiore. Nel che tre cose debbono massimamente tenersi sotto gli occhi. La prima, che San Paolo si abbandonò tutto alla divina volontà. Non appena infatti, mentr’era in cammino verso Damasco, fu tocco dalla virtù del Signore Gesù, egli proruppe in quella esclamazione, degna d’un Apostolo: “Signore, che vuoi tu che io faccia?” (At IX, 6). Per amor di Cristo, cominciò subito ad essergli indifferente, come gli fu poi sempre in appresso, il lavorare e il riposare, la penuria e l’abbondanza, la lode e il disprezzo, il vivere e il morire. Non è da dubitare che perciò egli profittasse tanto nell’apostolato, perché si sottomise con pieno ossequio alla volontà di Dio. Al modo stesso quindi innanzi tutto serva a Dio ogni predicatore che s’affatica alla salute delle anime: in maniera che non si dia alcun pensiero degli uditori, del successo, dei frutti, che sarà per avere: che cerchi, infine, non sé, ma Dio solo. – Questo studio poi così grande di prestare ossequio a Dio richiede un animo sì disposto a patire, che non si sottragga a nessuna fatica o incomodo. La qual cosa in Paolo fu insigne. Giacché avendo il Signore detto di lui: “Io gli farò vedere quanto debba egli patire per il nome mio” (At IX, 16), egli da allora abbracciò tutti i travagli sì volenterosamente da scrivere: “Sono inondato dall’allegrezza in mezzo a tutte le nostre tribolazioni” (2Cor VII, 4). Ora questa tolleranza della fatica se nel predicatore sia segnalata, purificandolo da quel che in lui v’è di umano, e conciliandogli la grazia di Dio necessaria per far frutto, è incredibile quanto renda commendevole la sua opera agli occhi del popolo cristiano. Al contrario poco riescono a muover gli animi, quelli che dovunque vanno, cercano comodità più del giusto, e fuori delle loro prediche, non toccano quasi altro del sacro ministero; sì da apparire che essi badino più alla propria sanità, che al vantaggio delle anime. – In terzo luogo, finalmente, dall’Apostolo s’impara che al predicatore è necessario quello che si dice lo spirito di orazione: egli infatti come prima fu chiamato all’apostolato, cominciò a pregar Dio: “Ei già fa orazione” (At IX,11). E la ragione è perché non coll’abbondanza del dire, né col discutere sottilmente o col caldamente perorare si ottiene la salute delle anime: un predicatore che si fermi qui non è altro che “un bronzo sonante o un cembalo squillante” (1Cor XIII,1). Ciò che dà vigore alle parole dell’uomo e le fa mirabilmente efficaci a salute, è la divina grazia: “Dio diede il crescere” (1Cor III, 6). Or la grazia di Dio non si ottiene con lo studio e coll’arte, ma s’impetra con la preghiera. Onde chi poco o niente è dedito all’orazione, indarno spende la sua opera e la sua diligenza nella predicazione, perché innanzi a Dio non caverà nessun profitto né per sé né per gli uditori.

Dottrina e pietà

Pertanto, a restringere in poco quanto siamo venuti dicendo fin qui, ci serviamo di queste parole di San Pietro Damiano: “Al predicatore due cose sono sommamente necessarie, cioè dire, che sovrabbondi di sentenze della dottrina sacra e fiammeggi dello splendore di religiosa vita. Che dove un sacerdote non riesca ad unire in sé le due cose, di guisa che sia esemplare di vita e copioso dei doni di dottrina, è meglio senza dubbio la vita che la dottrina… Più vale la chiarezza della vita per l’esempio, che l’eloquenza e l’accurata eleganza dei discorsi… È necessario che il sacerdote, che esercita l’ufficio della predicazione, versi piogge di dottrina spirituale ed irraggi lume di vita religiosa: a maniera di quell’Angelo, il quale annunziando ai pastori il nato Signore, balenò d’uno splendore di chiarezza, ed espresse con parole ciò che era venuto ad evangelizzare” .

Predicare tutta la verità e tutti i precetti

Ma per ritornare a San Paolo, se esaminiamo di quali cose fosse solito trattare predicando, egli compendia tutto così: “Non mi credetti di sapere altra cosa tra di noi, se non Gesù Cristo, e questo crocifisso” (1Cor II, 2). Fare che gli uomini conoscessero sempre più Gesù Cristo, e d’una cognizione che giovasse a vivere e non a credere soltanto, ecco quello a che egli s’affaticò con tutto il vigore del suo petto. E però predicava tutti i dommi o precetti di Cristo anche i più severi senza nessuna reticenza o temperamento, intorno all’umiltà, all’abnegazione di sé, alla castità, al disprezzo delle cose terrene, all’obbedienza, al perdono dei nemici o simili. Né mostrava alcuna timidezza nel proclamare: che si scelga tra Dio e Belial, perché non si può servire ad entrambi; che tutti, appena escono di questa vita, hanno a presentarsi a un tremendo giudizio; che con Dio non c’è luogo a transazioni; che o è da sperare la vita eterna, se si osserva tutta la legge, o, se per secondare le passioni si trascura il dovere, è da aspettarsi il fuoco eterno. Né mai il Predicatore della verità stimò di astenersi da siffatti argomenti per la ragione che, data la corruzione dei tempi, sembrassero troppo duri a coloro ai quali parlava. Apparisce chiaro dunque come non siano da approvare quei predicatori, che non osano toccare certi capi di dottrina cristiana, per non riuscir molestie all’uditorio. Forse che il medico darà rimedii inutili all’infermo, se questi per caso abborrisca dagli utili? E poi qui si parrà la virtù e l’abilità dell’oratore, se egli le cose ingrate avrà col suo dire rese grate.

Non serve la sapienza del mondo

Gli argomenti poi che aveva preso a trattare in che modo l’Apostolo li esponeva? “Non nelle persuasive dell’umana sapienza” (1Cor II, 4). Quanto importa, Venerabili Fratelli, che ciò sia da tutti sommamente ritenuto, mentre vediamo non pochi oratori sacri che predicano mettendo da parte la Sacra Scrittura, i Padri e i Dottori della Chiesa e gli argomenti della sacra teologia, e non parlano se non quasi solo il linguaggio della ragione. Ed è, senza dubbio, uno sbaglio: giacché nell’ordine soprannaturale non si riesce a nulla coi soli amminicoli umani. – Ma si oppone: al predicatore il quale si fondi troppo sulle verità rivelate, non si presta fede. – È proprio vero? Ammettiamo pure che ciò avvenga presso gli acattolici: sebbene, quando i Greci cercavano la sapienza, s’intende, di questo mondo, l’Apostolo predicava Gesù Crocifisso. Ma, se volgiamo gli occhi alle popolazioni cattoliche, in esse coloro che sono alieni da noi, ritengono per lo più la radice della Fede: le menti infatti sono accecate perché son corrotti gli animi. – Finalmente con quale spirito predicava San Paolo? Non per piacere agli uomini, ma a Cristo: “Se piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Gal I,10). Con un’anima tutt’accesa della carità di Cristo, non altro cercava se non la gloria di Cristo. O se quanti s’affaticano nel ministero della parola, amassero tutti davvero Gesù Cristo, e potessero far proprie l’espressioni di San Paolo: “Per causa di cui (Gesù Cristo) ho giudicato un discapito tutte le cose” (Fil III, 8); e “Il mio vivere è Cristo” (Fil III, 8). Tanto quelli che ardono d’amore, sanno infiammare gli altri. Onde San Bernardo così ammonisce il predicatore: “Se tu bene intendi, cerca d’esser conca e non canale”; cioè di quel che dici sii pieno tu stesso, e non ti basti solo trasfonderlo negli altri. “Ma – come lo stesso Dottore soggiunge – oggi nella Chiesa abbiamo molti canali e pochissime conche”. – Affinché ciò non accada in avvenire, dobbiamo rivolgere tutti i nostri sforzi, o Venerabili Fratelli: a noi spetta, respingendo gl’indegni, e incoraggiando, formando, guidando gl’idonei, fare che di predicatori, secondo il cuore di Dio, ne sorgano quanti più si può. . Pieghi poi lo sguardo sul suo gregge il misericordioso Pastore eterno, Gesù Cristo, anche per le preghiere della Vergine Santissima, Madre augusta dello stesso Verbo incarnato e Regina degli Apostoli; e rinfocolando lo spirito dell’apostolato nel Clero, faccia che siano numerosi quelli che cerchino “di comparir degni d’approvazione davanti a Dio, operai non mai svergognati, che rettamente maneggino la parola di verità” (2Tm II,15). – Auspice dei doni divini e in attestato della nostra benevolenza, a voi, o Venerabili Fratelli, e al vostro Clero e popolo impartiamo con ogni affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma presso San Pietro, il 15 giugno, festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, dell’anno 1917, terzo del nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “CUM SANCTA MATER”

Il Santo Pontefice scrive questa lettera per promuovere, indire e sollecitare, presso i suoi Vescovi, le preghiere dei fedeli per invocare dal Dio della pace, la pace tra i popoli cristiani allora minacciata da conflittuali eventi storici. Questa è la pratica che tutti i fedeli cristiani hanno avuto nei secoli passati per evitare o almeno attenuare l’animosità di popoli e nazioni agitate dalle forze del male che spingevano al confronto bellico. Oggi questa voce è ancora più opportuna, dal momento che all’orizzonte si prospettano eventi terrificanti indotti da personaggi chiaramente gestiti e manipolati da sette satanico-esoteriche che trovano ogni pretesto per scardinare l’ordine costituito della civiltà cristiana fondata dall’opera redentiva del Figlio di Dio fatto uomo nel seno della Vergine Maria. La ricerca della pace per mezzo del ricorso a Dio elargitore della pace nei cuori e nei popoli, è l’unica possibilità che l’uomo ha per evitare cataclismi e rovine inimmaginabili con gli odierni arsenali militari. Ma tutti si affannano a cercare soluzioni politiche, finanziarie, diplomatiche … tutto inutile se non si ricorre prima a Dio. Anzi, scriveva Geremia: maledetto l’uomo he confida nell’uomo… Tutti siamo maledetti se confidiamo nell’uomo, qualunque costume indossi, senza rivolgerci a Dio, non solo con le labbra ed il cuore, ma con i comportamenti morali ed il recupero degli autentici valori cristiani. Inganno moderno sono le elezioni politiche e la democrazia fondata su disvalori laici, atei, pagani … maledetti saremo da Dio, e le preghiere che saranno costretti a dire come uomini spinti dal terrore di perdite materiali e fisiche, suoneranno come orribili sacrilegi respinti da Dio…

Pio IX

Cum Sancta Mater

In questi sacri giorni di festa, Venerabili Fratelli, la Santa Madre Chiesa celebra con solennità l’annuale ricorrenza del Mistero Pasquale, effondendo il suo gaudio in tutto il mondo, e richiama alla memoria di tutti i suoi fedeli quelle lietissime parole di soavissima pace che l’Unigenito Figlio di Dio Cristo Gesù, Nostro Signore, annunciò frequentemente e amorosamente ai suoi Apostoli e Discepoli, risorgendo dopo aver vinto la morte e debellato la tirannia del demonio. Ma ecco si leva un ben triste clamore di guerra fra nazioni cattoliche, e risuona nelle orecchie di tutti. – Pertanto, Noi, che, pure immeritevoli, continuiamo l’opera vicaria di Colui che, nascendo dalla Immacolata Vergine, annunziò per mezzo degli Angeli la pace agli uomini di buona volontà e, risorgendo da morte e ascendendo al cielo per assidersi alla destra del Padre, lasciò la pace ai suoi Discepoli, non possiamo non invocare e proclamare sempre e ripetutamente la pace, per quella paterna carità che Ci spinge particolarmente verso i popoli cattolici. Cercando di inculcare in tutti, con il massimo sforzo del Nostro animo, le parole del Nostro Divin Redentore, ripetiamo incessantemente: Pace a Voi! La Pace sia con Voi! E con queste parole di pace, parliamo a Voi con tanto affetto, Venerabili Fratelli, che siete stati chiamati a partecipare alla Nostra sollecitudine, affinché esortiate i fedeli affidati alla vostra vigilanza e li sproniate con ogni cura e zelo con tutta la vostra esimia pietà a ricorrere con le preghiere al Dio Ottimo e Massimo affinché elargisca a tutti la sua desideratissima pace. Per questa ragione e per quanto riguarda il Nostro Ufficio pastorale, non abbiamo omesso di ordinare che in tutto il territorio della Nostra Pontificia giurisdizione, si offrano pubbliche preghiere al clementissimo Padre di ogni misericordia. E seguendo le vestigia e gli esempi illustri dei Nostri Predecessori, abbiamo stabilito di ricorrere e rifugiarci nelle preghiere vostre e di tutta la Chiesa. – Pertanto con questa Lettera, Venerabili Fratelli, Vi chiediamo, per la vostra esimia devozione, di indire al più presto nelle vostre Diocesi come vorrete, per i fedeli a Voi affidati, pubbliche preghiere con le quali, implorando il patrocinio dell’Immacolata e Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, preghino e supplichino il nostro Dio, ricco di misericordia, di rimuovere da noi la sua indignazione, per i meriti del suo Unigenito Figlio, il Signore Nostro Gesù Cristo. Allontani così le guerre fino agli estremi confini della terra, e illumini la mente di tutti con la sua divina grazia; infiammi il cuore di tutti all’amore della pace cristiana; e faccia sì con la sua Onnipotenza che, radicati e fondati nella fede e nella carità, osservino fedelissimamente i Suoi comandamenti; implorino umilmente e col cuore contrito il perdono dei loro peccati; e distaccandosi dal male e facendo il bene, possano camminare nei sentieri della giustizia; esprimano fra di loro un continuo amore, vi si esercitino, e così possano conseguire una pace salutare con Dio, con se stessi e con tutti gli uomini. – Non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che per l’ossequio e la obbedienza già sperimentata verso Noi e questa Sede Apostolica, Voi cercherete di assecondare con molta diligenza questi Nostri desideri e voti. Affinché, poi, i fedeli si dedichino con ardente diligenza e con sempre maggior frutto alle preghiere che Voi stabilirete, abbiamo deciso di mettere a disposizione e di erogare i tesori delle celesti grazie la cui competenza è stata a Noi conferita dall’Altissimo. Pertanto, concediamo ai fedeli trecento giorni di indulgenza nella forma consueta della Chiesa, ogni volta che essi interverranno devotamente alla recita di tali preghiere per la pace e le ripeteranno. Inoltre durante il tempo della recita di tali preghiere concediamo agli stessi fedeli l’Indulgenza Plenaria da lucrarsi una volta al mese, allorché purificati e assolti dalla Confessione sacramentale e nutriti della santissima Eucaristia, visitino devotamente una Chiesa e qui recitino preghiere a Dio per lo stesso scopo. – Infine niente è a Noi più gradito di poter usufruire di questa occasione per testimoniare ancora una volta, Venerabili Fratelli, la Nostra benevolenza verso Voi tutti. E di questo grande affetto verso di Voi sia pegno la Benedizione Apostolica che dal profondo del cuore impartiamo con amore a Voi stessi, Venerabili Fratelli, e a tutti i Chierici e fedeli Laici affidati alla vostra fede.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 27 aprile 1859, anno tredicesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S, LEONE XIII – “PASTORALIS VIGILANTIÆ”

non esiste un rimedio più sicuro e più valido della Dottrina cattolica contro i mali che affliggono il nostro tempo e i pericoli che incombono, sempreché essa sia accettata completa ed integra, e gli uomini uniformino il loro modo di vivere alle norme che la stessa propone … Questo è il suggerimento che S.S, Leone XIII impartiva in questa lettera Enciclica diretta ai Vescovi e prelati portoghesi avvertendoli della pericolosità dei tempi e delle azioni più o meno occulte delle forze anticristiane operanti in particolare dalle conventicole infernali di perdizione per minare e distruggere, se possibile, la società cristiana e portare le anime dei fedeli, riscattate dal Sangue preziosissimo di Cristo, nelle vie della dannazione e dello stagno di fuoco eterno. Ancora oggi questa ci sembra l’unica vera barriera da opporre ai mali devastanti della nostra società mondialista in cui trionfano ideologie corrotte al massimo grado, soprattutto nell’ambito spirituale sostenute fa falsi religiosi, mai validamente né  canonicamente eletti, che trascinano un numero incalcolabile di anime con loro nel fuoco eterno, facendo credere che una falsa misericordia, accordata senza pentimento, emendazione e riforma della vita, li conduca addirittura alla beatitudine celeste, e purtroppo sono tantissimi gli ingannati ciechi ignoranti, presuntuosi, paganeggianti gaudenti, che felici corrono a sprofondarsi nel baratro ove già furono condannati gli angeli ribelli che li illudono in vesti talari e atteggiamenti di ipocrita devozione. Purtroppo sembra però che solo pochissimi ascoltino gli ammonimenti della sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa, della retta teologia tomistica, del Magistero della Chiesa, e tutto sembra procedere, come scrive San Giovanni nella sua Apocalisse, verso gli ultimi tempi, in cui solo l’intervento del Giudice divino ripristinerà le condizioni di una vita cristiana ormai dimenticata, osteggiata e violata in tutte le sue componenti, sociali, politiche, spirituali. Vieni Signore Gesù, invoca la parte finale dell’Apocalisse, e questo facciamo pure noi, invitando il pusillus grex cattolico a fare altrettanto.

Leone XIII


Pastoralis vigilantiæ

Lettera Enciclica

La Lettera, oltremodo gradita, che annunciava la felice conclusione del nobile Convegno svoltosi di recente a Braga, a Noi inviata da quanti, tra voi, vi hanno presenziato, Ci ha procurato una nuova e significativa testimonianza dello zelo pastorale con il quale vi impegnate nel difendere e nel promuovere la religione. Durante la lettura siamo stati pervasi da sentimenti di gioia, sia per lo zelo e la dedizione del Pastore della città che ha accolto i membri del Convegno e ha assunto in prima persona il compito di organizzarlo e di gestirlo in modo da poterne trarre gli auspicati frutti, sia per l’impegno e la pietà dei Vescovi che l’affiancarono, o che inviarono al loro posto uomini degni di stima che li rappresentassero al Convegno, sia infine per l’imponente affluenza di uomini tra i più rappresentativi del clero e del popolo fedele, segnalati per la dottrina, per la virtù e per il prestigio. Codesto Convegno Ci tornò ancor più gradito, perché vi ha preso forma un mirabile accordo su decisioni particolarmente utili alla grandezza della Chiesa e al successo del Cattolicesimo. Né vogliamo passare sotto silenzio il fatto che, tra le altre cose opportunamente approvate con voto unanime, tenendo conto della condizione del tempo e del luogo, Ci hanno procurato conforto quei capitoli che attestavano la piena deferenza dei convenuti verso questa Sede Apostolica, e il loro ardente desiderio di vederla onorata come richiede la sua dignità e per nulla sminuita nel suo onore e nei suoi diritti. – Nutriamo senz’altro la lieta speranza che quanto è stato deliberato e definito in codesta sede, se sarà attuato con impegno e costanza, produrrà una grande abbondanza di frutti salutari, senza tuttavia dimenticare che resta ancora un vasto terreno che rivendica la vostra attenzione e la vostra operosità. – Per questo motivo, anche se in una lettera a voi inviata poco tempo fa vi abbiamo parlato della situazione religiosa nel regno del Portogallo e della linea di condotta da adottare per potervi opportunamente far fronte, Ci torna tuttavia gradito aggiungere al contenuto di quella lettera alcune cose che vale la pena di farvi sapere, anche perché, essendosi presentata un’occasione per scrivervi, non corriamo il rischio di essere venuti meno, per pigrizia al Nostro dovere. – Non vi sfugge certo, diletti Figli e Venerabili Fratelli, come nel Convegno di Braga sia emerso, in tutta chiarezza, che si è giunti al punto in cui la fede stessa è messa in pericolo presso molti, e s’impone quindi l’obbligo di impedire, per quanto è possibile, che l’ignoranza e la rilassatezza la estirpino dagli animi o la lascino illanguidire, ma occorre impegnarsi perché resti ben fissa nei cuori e dia vita ad una consolante quantità di opere buone e di perfetta virtù, nonché alla dolcezza dei frutti più eccelsi. Ci si deve opporre ai tentativi dei nemici della verità, perché non abbia a diffondersi il malefico contagio che si sprigiona dai loro cattivi esempi e dalle loro idee disseminate per ogni dove. Ci sono da sanare molte ferite che il loro nefasto operare e la malvagità dei tempi hanno inferto nei greggi affidati alle vostre cure; molte sono le cose che giacciono inerti da far rivivere; molti sono ancora i bisogni che assillano le anime e che, se non possono essere del tutto rimossi, occorre almeno lenire. – Tutto questo che reclama, come abbiamo ricordato, le vostre cure e la vostra sollecitudine, potrà essere attuato con maggiore efficacia e con più facilità se la concordia tra i Vescovi diventerà ogni giorno più profonda e se questi, di comune intesa, opereranno per scoprire i bisogni del clero e dei fedeli, per proporre suggerimenti e prendere, con le decisioni, che tutti insieme vedranno meglio accordarsi con le situazioni delle singole diocesi, anche quelle di più ampia portata e di maggior peso per provvedere alla prosperità e alla salvezza dell’intero popolo. L’opportunità di un più stretto raccordo tra i Vescovi non sfuggì alla saggezza di chi si riunì a Braga. Trovano quindi la Nostra piena approvazione le decisioni prese in quel nobile Convegno con il proposito di favorire quest’unità di intenti, capace di garantire al popolo cristiano i più importanti e duraturi benefìci che si ripromette dai suoi Presuli, che sono le sue guide e i suoi pastori. – Ma per rendere veramente stabile questo rapporto, non vi è mezzo più efficace del ricorso alla consolidata prassi, già recepita in altre regioni, di tenere ogni anno, in aggiunta alle riunioni che prevedono la presenza anche dei laici (di tal fatta era il Convegno di Braga), speciali adunanze di Vescovi. È un’usanza che sta prendendo piede anche presso di voi; un’usanza che vi sta a cuore e che Noi auspichiamo con tutte le forze perché, come testimoniano le numerose e documentate esperienze, è possibile trarne benefìci per la Religione. – Di sicuro, con la frequente convocazione di tali assemblee prende anzitutto forma, come abbiamo ricordato, il più rilevante e unanime concorso di energie che può garantire esiti positivi alle iniziative intraprese, ma ravviva anche l’entusiasmo ad agire dei Vescovi convenuti, rafforza la fiducia e illumina le menti con il confronto delle idee e con lo scambio vicendevole del frutto della saggezza. Con queste assemblee si apre come una strada sia per tenere Sinodi diocesani e provinciali, sia per riunire un Convegno nazionale, la celebrazione del quale – notiamo con grande gioia – fa parte dei vostri desideri. La ripetuta esperienza dei vantaggi derivati da Convegni similari già svolti, li consiglia con forza, e le disposizioni dei Sacri Canoni le raccomandano con sincera convinzione. Inoltre, alle menzionate assemblee annuali dei Vescovi farà seguito un evento di somma importanza. I laici, infatti, spinti da nuovi stimoli, si sforzeranno di proseguire con più decisione sulla strada intrapresa; si riuniranno a loro volta in assemblee; confronteranno le loro idee e, facendo leva sulle energie collegate, si adopereranno per difendere la comune causa della Religione e, seguendo le indicazioni dei loro Pastori, metteranno in pratica gl’insegnamenti e gl’incoraggiamenti ricevuti. – Per la verità, nelle riunioni annuali che farete non mancheranno i problemi ai quali dedicare il vostro zelo e le vostre energie. Infatti, oltre i problemi specifici che eventualmente riguarderanno le singole diocesi e che potranno essere più adeguatamente risolti con l’apporto chiarificatore della comune esperienza, sarà oggetto del vostro prudente esame un vasto campo di decisioni e di deliberazioni relative ai mezzi maggiormente idonei per dar vigore all’impegno dei sacerdoti che già lavorano nella vigna del Signore, per educare i giovani che un giorno dovranno risplendere nella casa di Dio per la luce di una solida dottrina, per il merito di uno schietto spirito ecclesiastico e per il corredo di tutte le virtù sacerdotali. – La vostra paterna vigilanza si farà anche carico di una meticolosa ricerca su tutto ciò che è sommamente utile per trasmettere correttamente al popolo i rudimenti della fede, per correggerne i costumi, per divulgare scritti atti a seminare la sana dottrina e a inculcare i principi della virtù, per dar vita ad istituzioni che diffondano i benefìci della carità e per rendere ancor più fiorenti quelle già istituite. – Un ultimo importantissimo punto, che dovrà essere oggetto delle vostre decisioni, vi sarà offerto dall’opportunità di fondare e di accogliere nel Regno del Portogallo delle Congregazioni religiose. Al riguardo abbiamo notato con gioia quanto fosse forte l’impegno di tutti i presenti al Convegno di Braga. – Queste Congregazioni, infatti, non solo potranno offrire al clero, che nelle vostre diocesi si è votato alla sacra milizia di Cristo, delle forze per così dire, ausiliarie, ma saranno anche in grado, ed è ciò che più conta, di preparare uomini animati da spirito apostolico che si faranno carico del ministero missionario nelle regioni d’oltremare soggette al dominio portoghese. L’assolvimento di questo compito, mentre contribuirà all’ampliamento del Regno di Cristo sulla terra, darà anche lustro e onore al Portogallo. Si sono veramente procurati una gloria imperitura i vostri Principi e i vostri antenati quando, con l’aiuto e il favore della Sede Apostolica, portarono la luce della dottrina evangelica e una forma di vita più civile in tutte le vostre terre scoperte. – Occorre dunque, per mantenere vive la natura e la forza delle iniziative intraprese e per non lasciarle decadere dal primitivo stato di persistente floridezza, far leva sulla costante vigilanza e sulle virtù di uomini pienamente affidabili che, mentre si oppongono, pieni di spirito divino, agli ostili attacchi degli acattolici, indirizzino tutta la loro attenzione e la loro energia a far sì che i beni giunti dal Portogallo in quelle contrade non vadano completamente perduti, ma riprendano vita come per nuovo vigore. – Sarà compito di questi uomini che, chi già crede in Dio, sia confermato nella fede, e chi vi è ben ancorato possa anche distinguersi per l’onestà dei costumi, per la pratica della Religione, per la scrupolosa osservanza dei doveri, affinché chi è ancora nelle tenebre si disponga ad accogliere la luce del Vangelo. – Le Congregazioni religiose potranno senz’altro offrire molti di questi uomini ardenti di santo zelo, poiché i loro membri, sulla scorta del giudizio di persone assennate confermato da testimonianze di tutti i tempi, seppero sempre svolgere questo compito con impegno ed efficacia. Infatti, il sistema e la disciplina delle Congregazioni in cui sono inseriti, nonché la pratica costante della virtù che ognuno si impone, li rendono più adatti di ogni altro a svolgere un così importante lavoro. – Siamo pienamente convinti che il Governo del Portogallo, accogliendo con favore le vostre proposte e attribuendo grande valore a quei beni che sopravanzano gli altri, si deciderà anche a rimuovere gli ostacoli che intralciano la libertà dei Sodalizi religiosi e, con la sua autorità, favorirà i vostri propositi che mirano a restituire il pieno vigore e a far rifiorire doviziosamente, con la gloria degli antenati, la Religione cattolica in Portogallo e in tutti i paesi sottoposti al suo dominio. – Questa Nostra convinzione è resa più forte dal fatto che nessuno ormai ignora, e anche voi ne avete piena coscienza, quali siano al riguardo i Nostri sentimenti e i Nostri auspici, che sono sicuramente rivolti al bene della Religione, ma si propongono anche la piena prosperità del popolo portoghese. Sono questi il compito e la funzione che il Divino Fondatore ha assegnato alla Chiesa: porsi nel cuore della società umana come vincolo di pace e garanzia di salvezza. – La Chiesa non toglie nulla all’autorità di chi è posto a capo dello Stato e ne detiene il potere, anzi lo difende e lo rafforza, affiancando alle leggi emanate l’obbligo religioso dell’osservanza, riconducendo il dovere di sottostare alle pubbliche autorità nell’ambito degli obblighi voluti da Dio, esortando i cittadini a tenersi lontano dai moti sediziosi e da ogni altra forma di sovvertimento dello Stato, insegnando a tutti di coltivare la virtù e di assolvere con cura tutto ciò che richiede il proprio stato e la propria condizione. – La Chiesa è dunque il migliore censore dei costumi; la sua salutare disciplina prepara uomini retti, onesti, devoti verso la patria, fedeli e pienamente solidali con i principi, tali cioè da costituire un solido sostegno del pubblico ordinamento degli Stati, in grado di mettere a loro disposizione indomite energie per affrontare imprese ardue e gloriose. È per questo motivo che si provvede in modo saggio e accorto al bene dello Stato quando si permette alla Chiesa di avvalersi di quella libertà d’azione che essa rivendica a buon diritto, e le si apre benevolmente la strada perché possa ampiamente far valere la sua benefica influenza e mettere a disposizione del bene comune tutti i mezzi di cui è dotata. – Anche se un simile assunto riguarda tutte le genti, esso si rivela particolarmente indicato per il popolo portoghese, presso il quale la Religione cattolica svolse un ruolo di primaria importanza nel plasmare, da molto tempo, i costumi e le menti degli uomini, nel promuovere gli studi delle scienze, delle lettere e delle arti, nell’infiammare gli animi a compiere ogni sorta di imprese memorabili in pace e in guerra, quasi da sembrare la madre e la nutrice, donata dal cielo, per generare e far crescere tutto ciò che di splendido prese forma, in tale popolo, nel campo della civiltà, della dignità e della gloria. – Ci siamo intrattenuti più diffusamente con voi su questo argomento nella citata Lettera enciclica che vi abbiamo recentemente indirizzata. Ora però è bene ricordare questa sola cosa: la forza e il valore della Religione non possono in alcun modo venir meno, perché i principi dottrinali che essa trasmette, in quanto voluti da Dio, non sono condizionati dalle leggi del tempo e dello spazio, ma sono rivolti alla salvezza e al conforto di tutti i popoli. Per questo motivo, allo scopo di favorire il benessere e la prosperità della vostra nobilissima gente, la Religione è ancora in grado di fornire quegli straordinari benefìci e quei validi aiuti che mise a disposizione in passato. Specialmente in questo tempo malvagio, nel quale la debolezza e il turbamento degli animi si sono fatti così grandi che i fondamentali principi che garantiscono l’ordine e la pace della società umana non solo vengono messi in dubbio, ma sono apertamente avversati, non vi è nessuno che non comprenda la necessità di far ricorso all’aiuto della Religione e ai suoi sacri precetti e insegnamenti. Tutte le persone assennate ed oneste sono infatti concordi nel riconoscere che non esiste un rimedio più sicuro e più valido della dottrina cattolica contro i mali che affliggono il nostro tempo e i pericoli che incombono, sempreché essa sia accettata completa ed integra, e gli uomini uniformino il loro modo di vivere alle norme che la stessa propone. – Per tutto questo, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, non dubitiamo che, in forza dello zelo pastorale che vi distingue, vi affretterete, con animo deciso e con impegno costante, all’opera che vi abbiamo raccomandato. Sarà per voi, dediti al lavoro, un titolo di sommo onore e di meritata riconoscenza, l’aver potuto conseguire altissime benemerenze verso la religione, che assorbe tutto il vostro interesse, verso la patria e verso il vostro popolo, per il quale auspicate, con un’intensità non inferiore alla Nostra, una stabile pace e un futuro rispondente alle attese. – Mentre eleviamo la Nostra supplica a Dio perché vi colmi dei suoi doni e assecondi le vostre iniziative, impartiamo, con sincero affetto nel Signore, la Benedizione Apostolica, testimonianza del Nostro paterno amore, a voi, al clero e ai fedeli affidati alle vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 giugno 1891, quattordicesimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNE: S. S. LEONE XIII – “EXEUNTE JAM ANNO”

«Niente può stare a fronte della Chiesa… Quanti la combatterono, altrettanti perirono. La Chiesa trascende i cieli. La sua grandezza è tale che, combattuta, vince; insidiata, supera gli agguati… lotta e non è abbattuta, si azzuffa nel pugilato e non è mai superata ». Queste parole della parte finale di questa magistrale Lettera Enciclica danno conforto a tutti i veri tenaci Cristiani che in ogni tempo e soprattutto oggi cercano di barcamenarsi impavidi tra errori dottrinali, corruzione estrema dei costumi, paganesimo luciferino, martirio spirituale e in molti casi anche corporale. Il nemico si è così ben insediato in ogni luogo di potere, soprattutto spirituale, per poter colpire occultamente o apertamente le anime di quanti gli resistono. Inutile dire che il nemico si sta servendo di falsi chierici, di false strutture religiose, di false autorità che fingono di essere Vicario di Cristo (come il duo famigerato del gatto e la volpe attuali che portano i loro sparuti ignoranti fedeli – sempre però più perplessi – nel regno dei balocchi infernali allontanandoli dal regno dei cieli), da spettacoli orripilanti proposti nelle “discoteche vaticane” o addirittura nei prestigiosi templi ove un tempo si sacrificava degnamente e maestosamente il Sacrificio redentivo di Cristo… Leone XIII, che pure nella sua celebre visione del 1888 aveva contemplato la discesa dei demoni che si impossessavano di S. Pietro e del Vaticano, dando vita ad una parodia satanica della Chiesa di Cristo, avrebbe orrore ed una paralisi totale nel constatare come la sua visione si sia materializzata nel modo peggiore immaginabile. Ma la lettera, e soprattutto le parole succitate, che sono la versione aggiornata del non praevalebunt evangelico, ci danno conforto e speranza come gli ultimi capitoli dell’Apocalisse biblica. Dopo l’arrivo del Signore, le bestie, i falsi profeti ed il dragone saranno scaraventati nello stagno di fuoco ove soffriranno in eterno, ed i fedeli di Cristo, del suo vero Vicario e della sua vera unica Chiesa, saranno accolti nella Gerusalemme celeste a godere l’eterna visione beatifica.

Leone XIII
Exeunte iam anno

Lettera Enciclica

Sul declinare dell’anno in cui, per singolare dono e beneficio di Dio, abbiamo celebrato sani e salvi il cinquantesimo anniversario di sacerdozio, l’animo Nostro naturalmente ripercorre col pensiero i mesi trascorsi, e nel ricordo di tutto questo tempo grandemente si diletta. – E n’ha ben donde: infatti un avvenimento che Ci riguardava solo personalmente, e che non era né grande per se stesso, né meraviglioso per la novità, suscitò tuttavia negli animi un insolito entusiasmo, venendo celebrato con tante e così luminose manifestazioni di esultanza e di congratulazione che non si poteva desiderare di più. La qual cosa certamente Ci tornò sommamente gradita ed amabile: ma ciò che soprattutto in essa apprezziamo è il significato delle dimostrazioni e la costanza nella fede apertamente professata. La concorde acclamazione, con la quale venimmo salutati da ogni parte, diceva chiaro ed aperto che da tutte le regioni le menti e i cuori sono rivolti al Vicario di Gesù Cristo; che, fra tanti mali dai quali siamo oppressi, gli uomini rivolgono fiduciosi gli sguardi alla Sede Apostolica, come ad una perenne e incontaminata fonte di salvezza; e che dovunque vige il nome cattolico, si rispetta e si venera, com’è doveroso, con ardente amore e somma concordia la Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese. – Per queste ragioni nei trascorsi mesi più d’una volta levammo gli occhi al cielo, ringraziando Iddio ottimo ed immortale, che Ci aveva benignamente concesso una lunga vita e quel conforto delle Nostre pene, che più sopra abbiamo ricordato. Nello stesso tempo, appena Ci si offerse l’occasione, dichiarammo a chi di dovere la Nostra riconoscenza. Ora poi la chiusura dell’anno e del giubileo C’invita a rinnovare la memoria del beneficio ricevuto; e Ci torna molto gradito che la Chiesa tutta si unisca con Noi nel rinnovare il ringraziamento a Dio. Il Nostro cuore contemporaneamente domanda che attestiamo pubblicamente – e lo facciamo con la presente lettera – che come Ci furono di non lieve lenimento alle cure e ai travagli Nostri le molte prove di ossequio, di urbanità e di amore ricevute, così pure ne vivranno perenni in Noi la memoria e la riconoscenza. – Ma un più grave e santo dovere ancora Ci rimane. In questo trasporto di animi, esultanti nel rendere con inusitato ardore riverenza e onore al Romano Pontefice, Noi ravvisiamo la potenza e la volontà di Colui che suole spesso, e che solo può, trarre da minime cose il principio di grandi beni. Sembra infatti che il provvidentissimo Iddio abbia voluto, in mezzo a tanto traviamento d’idee, ravvivare la fede e offrirci insieme l’opportunità di richiamare il popolo cristiano all’amore di una vita migliore. Pertanto non resta che metter mano all’opera, affinché il seguito corrisponda al felice inizio, e attivarsi al massimo affinché i disegni di Dio vengano compresi ed attuati. Allora finalmente l’ossequio verso la Sede Apostolica sarà pieno e perfetto in ogni sua parte, quando, associato all’ornamento delle virtù cristiane, valga a condurre gli uomini alla salvezza: risultato che è il solo desiderabile e duraturo in eterno. Dall’alto del ministero apostolico, in cui la bontà di Dio Ci ha collocati, prendemmo spesso il patrocinio della verità, e Ci studiammo di esporre principalmente quei punti della dottrina che Ci sembravano più adatti alla necessità, e più proficui al pubblico bene, affinché, conosciuta la verità, ognuno, vegliando e cautelandosi, fuggisse il soffio nefasto degli errori. Ora poi, quale padre amantissimo verso i suoi figliuoli, Noi vogliamo parlare a tutti i Cristiani e con familiare discorso esortare ognuno di loro a intraprendere un tenore di vita cristiana. Infatti, per ben meritare il nome di Cristiano, oltre alla professione della fede occorre l’esercizio delle virtù cristiane, dalle quali non solo dipende l’eterna salvezza dell’anima, ma anche la vera prosperità sociale e la tranquillità del consorzio civile. – Se si esamina lo svolgersi della vita, non vi è chi non veda quanto i costumi pubblici e privati siano discrepanti dai precetti evangelici. Si adatta troppo bene alla nostra età quella sentenza dell’Apostolo Giovanni: “Tutto ciò che è nel mondo, è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita” (1Gv II,16). I più, infatti, dimenticando il principio per cui nacquero ed il fine a cui sono chiamati, fissano tutti i loro pensieri e le loro sollecitudini nei vani e caduchi beni della terra; violentando la natura e scompigliando l’ordine stabilito, si rendono volontariamente schiavi di quelle cose che l’uomo dovrebbe, secondo ragione, dominare. – È poi naturale che con l’amore degli agi e dei piaceri si accoppî la cupidigia delle cose idonee a comprarli. Di qui quella sfrenata avidità di denaro che rende ciechi quanti invase, e corre tutto fuoco e a briglia sciolta a scapricciarsi, senza distinguere spesso il giusto dall’ingiusto, e non di rado con ributtante insulto alla miseria altrui. E così moltissimi, la cui vita nuota nell’oro, vantano a parole una fratellanza col popolo, che poi nell’intimo del cuore superbamente disprezzano. Allo stesso modo l’animo preso dalla superbia tenta di scuotere il giogo di ogni legge, calpesta ogni autorità, chiama libertà l’egoismo. “Come il puledro dell’onagro, ritiene di essere nato libero” (Gb, 11,12). – Gl’incentivi del vizio e i fatali allettamenti al peccato avanzano: intendiamo dire le licenziose ed empie rappresentazioni teatrali; i libri e i giornali scritti per fare apparire onesto il vizio e sfatare la virtù; le stesse arti, già inventate per le comodità della vita e l’onesto sollievo dell’animo, sono utilizzate quale esca per infiammare le passioni umane. Né possiamo spingere lo sguardo nel futuro senza tremare, vedendo i novelli germi dei mali che vengono di continuo deposti e accumulati in seno alla adolescente generazione. Vi è noto l’andamento delle pubbliche scuole: in esse non si dà luogo all’autorità ecclesiastica; e proprio nel tempo in cui sarebbe sommamente necessario informare con la più solerte cura gli animi ancor giovani alla pratica dei doveri cristiani, tacciono il più delle volte gl’insegnamenti della Religione. Gli adolescenti poi vanno incontro ad un pericolo maggiore, qual è una viziata dottrina; la quale sovente è tale che, più che ad istruire con la nozione del vero, serve ad infatuare la gioventù con i sofismi dell’errore. Infatti, nell’insegnamento delle scienze, moltissimi, trascurata la fede divina, amano filosofare col solo magistero della ragione; per cui, rimossi il solido fondamento e lo smagliante lume della fede, sono incerti in molte cose, e non distinguono il vero. Tale è il credere che quanto è nel mondo, tutto sia materiale; che gli uomini e gli animali abbiano identità d’origine e di natura; né mancano taluni che stanno in forse se vi sia, o no, un sommo Artefice del mondo e dominatore delle cose, Iddio; ovvero errano grandemente, a mo’ dei pagani, intorno alla sua natura. Donde è necessario che vengano alterati anche il concetto e la forma della virtù, del diritto e del dovere. E così mentre essi boriosamente vantano grandemente la supremazia della ragione e magnificano oltre misura l’acume dell’ingegno, scontano con l’ignoranza d’importantissime verità la pena dovuta alla loro superbia. Col pervertimento delle idee, si infiltra fin nelle vene e nel midollo delle ossa la corruzione dei costumi, e questa in tale gente non può venire sanata che con grandissima difficoltà: poiché da un lato i falsi principi alterano il giudizio dell’onestà, e dall’altro manca la luce della fede cristiana, che è principio e fondamento di ogni giustizia. – Per queste ragioni vediamo ogni giorno in qualche modo coi nostri occhi da quanti mali sia travagliata la società umana. Il veleno delle dottrine rapidamente invase la vita pubblica e privata: il razionalismo, il materialismo, e l’ateismo partorirono il socialismo, il comunismo, il nichilismo: atre e funeste pestilenze, le quali dovevano logicamente e inevitabilmente scaturire da quei principi. In verità, se si può rigettare impunemente la Religione cattolica, la cui divina origine è chiara per segni tanto evidenti, perché non si dovrebbero respingere le altre forme di culto, che certamente mancano di tali prove di credibilità? Se l’anima non è per sua natura distinta dal corpo, e per conseguenza, se nella morte del corpo nessuna speranza ci resta di un’eternità beata, perché dovremo noi sobbarcarlo a fatiche e a travagli al fine di sottomettere il talento alla ragione? Il sommo bene dell’uomo sarà riposto nel godimento degli agi e dei piaceri della vita. E poiché non v’è alcuno che per istinto e impulso di natura non tenda alla felicità, a buon diritto ognuno spoglierebbe gli altri, secondo le sue possibilità, per procacciarsi con le cose altrui il godimento della felicità. Né vi sarebbe potere al mondo che avesse così poderosi freni da imbrigliare le impetuose passioni; conseguentemente ove venga ripudiata la somma ed eterna legge di Dio, è inevitabile che il vigore delle leggi s’infranga, e ogni autorità si svigorisca. Ne consegue necessariamente che la società civile si sconvolga fin dal profondo, e che i singoli membri siano spinti a perpetua lotta dalla loro insaziabile cupidigia, affannandosi gli uni a raggiungere gli agognati beni, e gli altri a conservarli. Tale è certamente la tendenza dell’età nostra. Tuttavia, vi è di che consolarci alla vista dei mali presenti, e sollevare l’animo a liete speranze per l’avvenire. Infatti “Dio creò tutte le cose perché esistessero, e fece sanabili le nazioni di tutto l’orbe” (Sap 1,14). Ma come questo mondo non può essere conservato se non dalla volontà e dalla provvidenza di Colui che l’ha creato, così pure gli uomini non possono essere risanati che dalla sola virtù di Colui che li ha redenti. Infatti, Gesù Cristo a prezzo del suo sangue riscattò una volta sola il genere umano, ma perenne e perpetua è l’efficacia di tanta opera e di sì gran beneficio: “e non c’è salvezza fuori di Lui” (At IV,12). Pertanto, quanti si affaticano per estinguere, a forza di leggi, la crescente fiamma delle passioni popolari, essi si affaticano sì per la giustizia, ma si debbono anche persuadere che con nessuno o con scarsissimo risultato consumeranno la fatica, ove persistano a ripudiare la forza del Vangelo e a non volere la cooperazione della Chiesa. La guarigione dei mali è riposta in questo che, mutato indirizzo, gl’individui e la società ritornino a Gesù Cristo e al retto cammino della vita cristiana. – Ora la sostanza e il perno della vita cristiana consistono nel non assecondare i corrotti costumi del secolo, ma nell’osteggiarli con virile fermezza. Questo ci insegnano le parole e i fatti, le leggi e le istituzioni, la vita e la morte di Gesù, “autore e perfezionatore della fede”. Dunque, per quanto il guasto della natura e dei costumi ci attiri altrove, lontano dalla meta, occorre che noi corriamo “alla tenzone che ci aspetta”, agguerriti e pronti con quel coraggio e con quelle armi con le quali Egli, “propostosi il gaudio, sostenne la croce” (Eb XII, 1-2). – Gli uomini vedano pertanto e comprendano quanto sia lontano dalla professione della fede cristiana il seguire – come si fa oggi – ogni sorta di piaceri e rifuggire le fatiche, compagne della virtù e nulla rifiutare a se stesso di quanto piacevolmente e delicatamente alletta i sensi. “Coloro che sono di Cristo hanno crocifisso coi vizi e le concupiscenze la propria carne” (Gal V, 24): dal che si rileva che non sono di Cristo coloro i quali non si esercitano né si abituano a patire, disprezzando le mollezze e la voluttà. L’uomo, mercé l’infinita bontà di Dio, fu restituito alla speranza dei beni immortali dai quali era precipitato; ma non può conseguirli, se non cercando di calcare le orme di Cristo, meditandone gli esempi, conformando a Lui il cuore e i costumi. Pertanto, non è consiglio, ma dovere, né solamente per quelli che abbracciarono un genere di vita più perfetto, ma per tutti, “il portare nel corpo la mortificazione della carne” (2 Cor IV, 10). Come potrebbe altrimenti rimanere salda la stessa legge di natura, la quale comanda all’uomo di vivere virtuosamente? Infatti, col santo Battesimo si cancella la colpa che si contrasse nascendo, ma non per questo vengono recisi i rei germogli innestati dal peccato. Quella parte dell’uomo che è irragionevole, ancorché non possa nuocere a chi, mercé la grazia di Cristo, si oppone virilmente, tuttavia contrasta con il regno della ragione, turba la pace dell’animo e tirannicamente trascina la volontà lontano dalla virtù con tanta forza che, senza una lotta quotidiana, non possiamo né fuggire il vizio né compiere i nostri doveri. “Il santo Concilio riconosce e dichiara che nei battezzati rimane la concupiscenza, o stimolo, che, lasciata all’uomo per la battaglia, non può nuocere a chi non si arrende, ma anzi la respinge virilmente con la grazia di Gesù Cristo; chi debitamente combatterà, verrà coronato” . In questa battaglia vi è un grado di forza a cui non perviene che una virtù eccellente, cioè quella di coloro i quali, combattendo i moti contrari alla ragione, si avvantaggiarono a tal punto che sembrano condurre in terra una vita quasi celeste. – Per quanto sia di pochi una così rilevante perfezione, tuttavia, come la stessa antica filosofia insegnava, nessuno deve lasciare senza freno le proprie passioni, soprattutto coloro che utilizzando ogni giorno le cose terrene sono più esposti ai pericoli del vizio, a meno che qualcuno non pensi stoltamente che deve essere minore la vigilanza dove è più imminente il pericolo, o abbiano meno bisogno della medicina coloro che sono più gravemente ammalati. Quanto poi alla fatica che viene sostenuta in tale lotta, essa viene compensata, oltre che dai beni celesti e immortali, anche da altri grandi vantaggi, il primo dei quali è che, riordinati gli appetiti dell’uomo, moltissimo si rende alla natura della sua dignità primitiva. Infatti, con questa legge e con quest’ordine l’uomo venne creato affinché l’anima dominasse il corpo, e la cupidigia fosse governata dalla ragione e dal buon senso: da ciò deriva che il non darsi in preda alle tiranniche passioni sia la più sublime e desiderabile libertà. – Inoltre, senza quella disposizione di animo, non si vede che cosa ci si possa aspettare di bene nella stessa società umana. Potrà, per ventura, essere propenso a beneficare gli altri chi è abituato a prendere norma e misura di quanto deve fare, o fuggire, dall’amore di se stesso? Nessuno, che non sappia dominare se medesimo, e disprezzare per amore della virtù tutte le cose umane, può mai essere né magnanimo, né benefico, né misericordioso, né disinteressato. Non taceremo nemmeno che gli uomini – come è deciso dalla volontà divina – non possono raggiungere la salvezza senza fatica e senza pena. Infatti, se Dio concedette all’uomo la liberazione dalla colpa e il perdono dei peccati, glieli accordò con questa legge: che il suo Unigenito ne portasse la giusta e dovuta pena. E Gesù Cristo, pur potendo per altre vie soddisfare alla giustizia divina, volle piuttosto soddisfarla a prezzo di sommi tormenti, col dono della vita. E ai discepoli e seguaci impose questa legge suggellata col suo sangue: che la loro vita fosse una continua battaglia coi vizi dei costumi e dei tempi. Che cosa formò invitti gli Apostoli nell’addottrinare con la verità il mondo, e rinvigorì innumerevoli martiri nel dare testimonianza alla fede cristiana con la prova suprema del sangue, se non la disposizione dell’animo ossequiente senza timore a detta legge? Non scelsero di andare per altra via quanti ebbero a cuore di vivere cristianamente e di procacciare con la virtù il proprio bene; né per altra dobbiamo incamminarci noi, se vogliamo provvedere alla nostra e alla comune salvezza. – Pertanto, in mezzo a questa spudorata e dominante licenza, è necessario che ciascuno virilmente si difenda dagli allettamenti della lussuria; e poiché è tanto sfrontata l’ostentazione che si suol fare di una vita agiata ed opulenta, è anche necessario premunire l’animo contro il fascino del lusso e delle ricchezze, affinché il cuore, desiderando quelle cose che si dicono beni ma che non possono sfamarlo e sono fugaci, non venga a perdere un tesoro immarcescibile in cielo. Da ultimo, è altresì da deplorare che massime ed esempi dannosi abbiano avuto tanta forza da effeminare gli animi a tal punto che moltissimi oggi arrossiscono del nome e della vita cristiana, il che è proprio o di una profonda corruzione, o di una grande insipienza. Entrambe detestabili, entrambe tali che non può capitare all’uomo un male peggiore. Infatti, quale scampo rimarrebbe agli uomini, o in che cosa appoggerebbero essi la loro speranza, se tralasciassero di gloriarsi del nome di Gesù Cristo e ricusassero di comportarsi a viso aperto e con fermezza secondo i precetti evangelici? È comune lamento che la nostra età è infeconda di uomini forti. Si richiamino in vigore i costumi cristiani, e con ciò saranno restituite fermezza e costanza alle umane capacità. – Ma a tanta grandezza e varietà di doveri la virtù dell’uomo non può bastare da sola. Quindi conviene che, come si domanda a Dio il pane quotidiano per alimento del corpo, così pure da Lui s’implorino la forza e il vigore per l’anima, affinché questa si consolidi nella pratica della virtù. Per cui, quella comune legge e condizione della vita, che dicemmo consistere in un perpetuo combattimento, va sempre congiunta con la necessità della preghiera, poiché, come con verità e grazia dice Agostino, la pia orazione trascende gli spazi del mondo e fa scendere dal cielo la misericordia divina. Contro gli assalti delle torbide passioni e contro le insidie del demonio dobbiamo, per non essere irretiti dalle sue frodi, chiedere i conforti e gli aiuti celesti, secondo il divino oracolo: “Pregate per non cadere in tentazione” (Mt XXVI, 41). Quanto maggiormente ne abbiamo bisogno, se in più vogliamo procurare la salvezza agli altri! Cristo Signore, l’Unigenito Figlio di Dio, fonte d’ogni grazia e virtù, ci comandò con le parole quanto per primo ci dimostrò con l’esempio, “trascorrendo le notti nella preghiera a Dio” (Lc VI, 12), e vicino al sacrificio “pregava più intensamente” (Lc XXII, 43). – Per la verità assai meno sarebbe da temere la fragilità della natura, né i costumi si pervertirebbero nell’ozio e nell’infingardaggine, se questo divino precetto non fosse così spesso per negligenza o per stanchezza trascurato. Infatti, Dio è placabile con la preghiera; Egli vuole beneficiare gli uomini, e ha chiaramente promesso che a larga mano darà dovizia di grazie a chi gliene chiederà. Ché anzi Egli stesso ci invita, e quasi ci provoca con amorevolissime parole: “Io vi dico, chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi verrà aperto” (Lc XI, 9). E affinché non temiamo di pregarlo con fiducia e familiarità, tempera la sua divina maestà con l’immagine e la somiglianza di un tenerissimo padre a cui nulla è più caro dell’amore dei figli: “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a coloro che gliele domandano?” (Mt VII, 11). – Chi avrà meditato queste cose, non si meraviglierà se a Giovanni Crisostomo la preghiera sembra tanto efficace da reputarla paragonabile alla stessa potenza di Dio. Infatti, nello stesso modo in cui Dio con una parola creò l’universo, l’uomo con la preghiera ottiene da Lui ciò che vuole. Niente è più efficace per ottenere grazie, quanto le buone orazioni, poiché esse contengono quei motivi dai quali Iddio si lascia più facilmente placare e intenerire. Nell’orazione noi storniamo l’animo dalle cose terrene e, attratti col pensiero nella contemplazione del solo Dio, abbiamo coscienza dell’umana debolezza: pertanto riposiamo nella bontà e nell’amplesso di nostro Padre, e cerchiamo rifugio nella potenza del Creatore. Noi ci presentiamo con insistenza all’Autore di tutti i beni, come per mostrargli l’anima nostra inferma, le forze fiacche e la nostra indigenza; pieni di speranza imploriamo tutela e soccorso da Colui che solo può somministrare il rimedio alle nostre infermità e offrire conforto alla nostra miseria e alla nostra debolezza. Grazie a questa umile e modesta disposizione d’animo, necessaria da parte del credente, meravigliosamente Iddio si piega a clemenza; perché, come resiste ai superbi, “così dà grazia agli umili” (1Pt V, 5). – Sia dunque sacra a tutti la pratica dell’orazione: preghino la mente, l’anima, la voce, e concordi il vivere con il pregare; affinché la nostra vita, mercé l’osservanza delle leggi divine, appaia un continuo volo dell’anima a Dio. Come tutte le altre virtù, così anche questa di cui parliamo venne generata e sorretta dalla fede divina. Infatti, Dio è Colui che ci dà a intendere quali siano i veri e desiderabili beni; e ci fa conoscere la sua infinita bontà e i meriti di Gesù Redentore. Ma niente vien meglio in aiuto ad alimentare e crescere la fede quanto la pia pratica dell’orazione. Appare chiaro quanto sia stringente il bisogno di tale virtù, che in molti è rilassata e in altri addirittura spenta. Infatti, da essa deve specialmente attendersi non solo la correzione dei costumi privati, ma anche la norma per giudicare di quelle cose, il cui conflitto non lascia gli Stati tranquilli e sicuri. Se il popolo è tormentato da una sete ardente di libertà, se dappertutto scoppiano minacciosi i fremiti dei proletari, se la snaturata ingordigia dei più ricchi non dice mai basta, e se vi sono altri sconci di tal fatta, a questo certamente non si può recare, come altra volta più diffusamente dimostrammo, un rimedio migliore e più sicuro della fede cristiana. – Qui cade in proposito rivolgere il pensiero e la parola a voi tutti, che Dio elesse a suoi cooperatori nell’amministrazione dei misteri e investì del suo divino potere. Ove si ricerchino le cause della privata e pubblica salute, non v’ha dubbio che, sia per il bene, sia per il male, influiscono assai la vita e i costumi degli ecclesiastici. Si ricordino dunque di essere da Cristo chiamati “luce del mondo”; poiché “come la luce che irraggia tutto l’orbe, conviene che splenda l’anima del sacerdote” . Si ricerca nel sacerdote un lume non comune della dottrina, dato che è suo compito infondere negli altri la sapienza, estirpare gli errori, essere guida del popolo per gli sdrucciolevoli e incerti sentieri della vita. La dottrina poi vuole innanzi tutto avere per compagna l’innocenza della vita; massime perché nella riforma degli uomini si ottiene più con gli esempi che con la parola: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone” (Mt V, 16). Questa sentenza divina significa che nei sacerdoti la perfezione e la raffinatezza della loro virtù devono essere tali da servire da specchio a chi li osserva. “Nulla meglio ammaestra gli altri nella pietà e nel culto di Dio, come la vita e l’esempio di coloro che si dedicarono al divino ministero, poiché, essendo essi esposti agli sguardi in luogo più alto e sovrastante le cose del mondo, tutti si specchiano in loro, e da loro prendono il modello da imitare” . Per la qual cosa se tutti gli uomini debbono accuratamente guardarsi di cadere nei pericoli dei vizi, e di non correre con smodato amore dietro le cose caduche, appare ben chiaro con quanta più ragione debbano fare ciò con ogni scrupolosa cura e con costanza i Sacerdoti. – Ma non è sufficiente non servire alle passioni: la santità del loro sublime grado domanda in più che si abituino a padroneggiare virilmente se stessi e a sottomettere a Cristo tutte le forze dell’anima, specialmente l’intelletto e la volontà, che sulle altre dominano. “Tu che ti prepari ad abbandonare tutto, ricordati che tra le cose da lasciare vi è l’amore di te stesso, anzi, sopra tutto rinnega te stesso”. Quando essi abbiano sciolto e liberato da ogni cupidigia il cuore, allora finalmente concepiranno un alacre e generoso zelo per l’altrui salute, senza neppure provvedere abbastanza alla propria: “Un solo guadagno, un solo vanto, una sola gioia essi debbono cercare nei loro fedeli, ed è di studiarsi di preparare in essi un popolo perfetto. A questo fine tutti debbono adoperarsi, mortificando anche la carne e il cuore, e non badando a fatiche e pene, a fame e sete, a freddo e nudità”. Codesta impavida e sempre desta virtù, che si prodiga per il bene del prossimo in ardue imprese, viene mirabilmente alimentata e rinvigorita dalla frequente contemplazione delle cose celesti, e quanto più ad essa si dedicheranno, tanto meglio comprenderanno la grandezza e la santità del ministero sacerdotale. Comprenderanno quanto sia deplorevole cosa che tanti, redenti da Gesù Cristo, piombino nell’eterna rovina: con la meditazione dell’essere divino ecciteranno maggiormente se stessi e gli altri all’amore di Dio. Ecco la via sicurissima della salvezza pubblica. Però bisogna stare molto attenti che nessuno si abbatta per la grandezza delle difficoltà o disperi della guarigione per la permanenza dei mali. L’imparziale ed immutabile giustizia di Dio riserba il premio alle buone opere, la pena alle malvagie: ma quanto alle nazioni, che non possono propagarsi oltre la cerchia del tempo, conviene che esse abbiano la loro retribuzione su questa terra. Non è cosa nuova, è vero, che prosperi successi allietino una nazione peccatrice, e ciò per giusta disposizione di Dio, il quale, non essendovi popolo al mondo che sia privo di ogni onestà, con siffatti premi talora ricompensa le lodevoli azioni; come successe al popolo romano secondo Agostino. Nondimeno è legge stabilita che il più delle volte alla prospera fortuna giovi il pubblico culto della virtù, massime di quella che è madre di tutte le altre, cioè la giustizia. “La giustizia solleva, il peccato deprime e immiserisce i popoli” (Pr 14,34). Non vale qui rivolgere l’attenzione alla trionfante ingiustizia, né ricercare se vi siano regni i quali, correndo prospera la cosa pubblica e secondo i loro desideri, covino tuttavia nelle intime viscere il germe dei mali. Questo solo vogliamo che s’intenda, e di questi esempi è ricca la storia: doversi presto o tardi pagare il fio delle ingiustizie, e tanto più severamente quanto furono più durevoli i misfatti. – Quanto a Noi, Ci è di gran conforto la sentenza dell’Apostolo Paolo: “Tutte le cose sono vostre; voi siete di Cristo; Cristo è di Dio” (1Cor III, 22-23). Il che significa che per arcana disposizione della provvidenza divina il corso delle cose mortali viene retto e governato in modo che quanto succede agli uomini è subordinato alla gloria di Dio, e parimenti portano alla salvezza le opere di coloro che seguono Gesù Cristo sinceramente e di cuore. – Di questi è madre e nutrice, guida e custode la Chiesa, la quale, come con intima e immutabile carità è unita a Cristo, suo Sposo, così si associa con Lui nelle lotte e partecipa della vittoria. Non siamo dunque né possiamo essere inquieti per la causa della Chiesa: ma temiamo vivamente per la salvezza di moltissimi, i quali, voltate superbamente le spalle alla Chiesa, errando per vie diverse, precipitano nella dannazione, e Ci angosciamo altresì per quegli Stati che siamo costretti a vedere lontani da Dio, e con stupida sicurezza addormentati sull’orlo del precipizio. “Niente può stare a fronte della Chiesa… Quanti la combatterono, altrettanti perirono. La Chiesa trascende i cieli. La sua grandezza è tale che, combattuta, vince; insidiata, supera gli agguati… lotta e non è abbattuta, si azzuffa nel pugilato e non è mai superata”. – Né soltanto non è mai superata, ma conserva intera quella virtù riformatrice della natura, principio di salute ch’ella perennemente attinge e deriva da Dio: resta immutabile pur nel mutare dei tempi. Se già divinamente rigenerò il mondo invecchiato nei vizi e perduto nelle superstizioni, perché non potrà richiamarlo, traviato, sul retto sentiero? Tacciano una buona volta i sospetti e gli odii: e la Chiesa, tolti di mezzo gli ostacoli, sia ovunque padrona dei propri diritti, poiché ad essa spetta conservare e diffondere i benefici procurati da Gesù Cristo. Allora si potrà conoscere, attraverso l’esperienza, fin dove giunga il potere illuminante del Vangelo, e quanto possa la virtù di Cristo redentore. – Questo stesso anno prossimo a finire ha mostrato, come dicemmo all’inizio, non pochi indizi che la fede torna a rivivere nei cuori. Voglia Dio che questa piccola scintilla cresca in gran fiamma, la quale, distrutte le radici dei vizi, sgombri sollecitamente la via al rinnovamento dei costumi e ad opere salutari. Noi, preposti al governo della mistica nave della Chiesa in tempi così burrascosi, fissiamo la mente e il cuore nel divino Pilota che siede invisibile a poppa, governandone il timone. Tu vedi, o Signore, come da ogni parte erompano impetuosi i venti ed il mare si arruffi, levando altissimi flutti. Deh, Tu che solo lo puoi, comanda ai venti e al mare. Rendi all’umana famiglia la vera pace, che il mondo non può dare, e la tranquillità dell’ordine. Cioè gli uomini, mercé la tua grazia e il tuo impulso, facciano ritorno all’ordine dovuto, restaurando nei loro cuori la necessaria pietà verso Dio, la giustizia e la carità verso il prossimo e la temperanza verso se stessi, con pieno dominio della ragione sull’ingordigia. Venga il tuo regno; e quelli stessi che lontano da Te si affaticano invano nella ricerca della verità e della salute, intendano che è indispensabile che a Te si assoggettino e Ti servano. Sono connaturate nelle tue leggi la giustizia e una soavità paterna: e Tu stesso spontaneamente ci doni, mercé la tua grazia, la possibilità di osservarle. La vita dell’uomo sulla terra è combattimento, ma Tu stesso “sei spettatore della battaglia, aiuti l’uomo a vincere, se è scorato lo rinfranchi, e se è vincitore lo coroni” . Con l’animo sollevato da queste considerazioni verso una lieta e salda speranza, Noi amorosamente nel Signore impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e a tutto il popolo cattolico l’Apostolica Benedizione, auspice dei celesti doni e testimone della Nostra benevolenza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno del Natale di Nostro Signore Gesù dell’anno 1888, undecimo del Nostro Pontificato.