Un’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “INEFFABILIS DEUS”

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Ancora una volta la Santa Madre Chiesa Cattolica, Maestra dei cuori e dei popoli, ci offre la gioia di inebriarci della parola di Dio espressa dalla voce del Vicario di Cristo, Sapienza, Via di salvezza, e Verità incarnata. In questo giorno meraviglioso, nel quale commossi ed esultanti festeggiamo la nostra Mamma celeste, vogliamo solo gustare e meditare le parole di S. S. Pio IX, che tutto esprimono circa l’immensa portata salvifica della Concezione Immacolata della Vergine Maria, Madre di Dio.

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ENCICLICA

“INEFFABILIS DEUS”

DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX

“SULL’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA SANTISSIMA”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE, PACE E COMUNIONE

PIO PP. IX, SERVO DEI SERVI DI DIO

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VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l’ultimo confine dell’universo e regge ogni cosa con dolcezza, previde fin da tutta l’eternità la tristissima rovina dell’intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l’opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo – l’incarnazione del Verbo – affinché l’uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d’amore, e affinché venisse recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall’inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendoLa a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, La ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell’abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all’infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente. Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull’antico serpente. Dio Padre dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a Sé, e che ama come Se stesso, in modo tale che fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale Egli stesso procede. – La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo – è il basilare fondamento della verità, considerando come dottrina rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste rivelazione, questa innocenza originale dell’augusta Vergine unitamente alla sua mirabile santità, in perfetta armonia con l’eccelsa dignità di Madre di Dio, non ha mai cessato di presentarLa, proporLa e sostenerLa con molteplici argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la Chiesa, non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine al pubblico culto e alla venerazione dei fedeli, ha offerto un’inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai tempi più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva mirabilmente diffusa dall’impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo cattolico. Con questo atto significativo mise in evidenza che la Concezione della Vergine doveva essere venerata in modo singolare, straordinario e di gran lunga superiore a quello degli altri uomini: pienamente santo, dal momento che la Chiesa celebra solamente le feste dei Santi. Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e nella sacra Liturgia, riferendole anche alle origini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare della Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché entrambe erano state preordinate nell’unico e identico decreto dell’Incarnazione della Divina Sapienza. Sebbene tutte queste cose, condivise quasi ovunque dai fedeli, dimostrino con quanta cura la stessa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese, abbia seguito la dottrina dell’Immacolata Concezione della Vergine, tuttavia meritano di essere elencati, uno per uno, gli atti più importanti della Chiesa in questa materia, perché assai grandi sono la sua dignità e la sua autorità, quali si addicono ad una simile Chiesa: è lei il centro della verità cattolica e dell’unità; in lei sola fu custodita fedelmente la religione; da lei tutte le altre Chiese devono attingere la tradizione della fede. Dunque, questa stessa Chiesa Romana ritenne che non potesse esserci niente di più meritevole che affermare, tutelare, propagandare e difendere, con ogni più eloquente mezzo, l’Immacolata Concezione della Vergine, il suo culto e la sua dottrina. Tutto questo è testimoniato e messo in evidenza, in modo assolutamente inequivocabile, da innumerevoli e straordinari, atti dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, ai quali, nella persona del Principe degli Apostoli, fu affidato, per volere divino, dallo stesso Cristo Signore il supremo compito e il potere di pascere gli agnelli e le pecore, di confermare nella fede i fratelli, di reggere e governare tutta la Chiesa. – I Nostri Predecessori infatti si vantarono grandemente, avvalendosi della loro autorità Apostolica, di avere istituito nella Chiesa Romana la festa della Concezione con Ufficio e Messa proprii, per mezzo dei quali veniva affermato, con la massima chiarezza, il privilegio dell’immunità dalla macchia originale; di aver rafforzato, circondato di ogni onore, promosso e accresciuto con ogni mezzo il culto già stabilito, sia con la concessione di Indulgenze, sia accordando alle città, alle province e ai regni la facoltà di scegliere come Patrona la Madre di Dio sotto il titolo dell’Immacolata Concezione, sia con l’approvazione di Confraternite, di Congregazioni e di Famiglie religiose, costituite per onorare l’Immacolata Concezione, sia con il tributare lodi alla pietà di coloro che avevano eretto monasteri, ospizi, altari e templi dedicati all’Immacolata Concezione, oppure si erano impegnati, con un solenne giuramento, a difendere strenuamente l’Immacolata Concezione della Madre di Dio. Provarono anche l’immensa gioia di decretare che la festa della Concezione dovesse essere considerata da tutta la Chiesa, con la stessa dignità e importanza della Natività; inoltre, che fosse celebrata ovunque come solennità insignita di ottava e da tutti santificata come festa di precetto, e che ogni anno si tenesse nella Nostra Patriarcale Basilica Liberiana una Cappella Papale nel giorno santo dell’Immacolata Concezione. – Spinti dal desiderio di rafforzare, ogni giorno di più, nell’animo dei fedeli questa dottrina dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio e di stimolare la loro pietà al culto e alla venerazione della Vergine concepita senza peccato originale, furono lietissimi di concedere la facoltà che venisse pronunciata ad alta voce la Concezione Immacolata della Vergine nelle Litanie Lauretane e nello stesso Prefazio della Messa, affinché i dettami della fede trovassero conferma nelle norme della preghiera. Noi quindi, seguendo le orme di Predecessori così illustri, non solo abbiamo approvato e accolto tutto ciò che è stato da loro deciso con tanta devozione e con tanta saggezza, ma, memori di ciò che aveva disposto Sisto IV, abbiamo confermato, con la Nostra autorità, l’Ufficio proprio dell’Immacolata Concezione e, con sensi di profonda gioia, ne abbiamo concesso l’uso a tutta la Chiesa. – Ma poiché tutto ciò che si riferisce al culto è strettamente connesso con il suo oggetto e non può rimanere stabile e duraturo se questo oggetto è incerto e non ben definito, i Romani Pontefici Nostri Predecessori, mentre impiegavano tutta la loro sollecitudine per accrescere il culto della Concezione, si preoccuparono anche di chiarirne e di inculcarne con ogni mezzo l’oggetto e la dottrina. Insegnarono infatti, in modo chiaro ed inequivocabile, che si celebrasse la festa della Concezione della Vergine e respinsero quindi, come falsa e assolutamente contraria al pensiero della Chiesa, l’opinione di coloro che ritenevano ed affermavano che da parte della Chiesa non si onorava la Concezione ma la santificazione di Maria. – Né ritennero che si potesse procedere con minore decisione contro coloro che, al fine di sminuire la dottrina sull’Immacolata Concezione della Vergine, avendo escogitato una distinzione fra il primo istante e il secondo momento della Concezione, affermavano che si celebrava sì la Concezione, ma non quella del primo iniziale momento. – Gli stessi Nostri Predecessori stimarono loro preciso dovere difendere e sostenere, con tutto l’impegno, sia la festa della Concezione della Beatissima Vergine, sia la Concezione dal suo primo istante come vero oggetto del culto. Di qui le parole assolutamente decisive, con le quali Alessandro VII, Nostro Predecessore, mise in evidenza il vero pensiero della Chiesa. Egli si espresse in questi termini: “È sicuramente di antica data la particolare devozione verso la Beatissima Madre, la Vergine Maria, da parte dei fedeli: infatti erano convinti che la sua anima – fin dal primo istante della sua creazione e della sua infusione nel corpo – fosse stata preservata immune dalla macchia del peccato originale per una speciale grazia e per un singolare privilegio di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Figlio suo e Redentore del genere umano. Animati da tale persuasione, circondavano di onore e celebravano la festa della Concezione con un rito solenne” [ALEXANDER VII, Const. Sollicitudo omnium Ecclesiarum, 8 decembris 1661] . – E fu proprio impegno primario dei Nostri Predecessori custodire con ogni cura, zelo e sforzo, perfettamente integra la dottrina dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio. Infatti non solo non tollerarono mai che la stessa dottrina venisse in qualche modo biasimata e travisata da chicchessia, ma, spingendosi ben oltre, asserirono, con chiare e reiterate dichiarazioni, che la dottrina, con la quale professiamo l’Immacolata Concezione della Vergine, era e doveva essere considerata a pieno titolo assolutamente conforme al culto della Chiesa; era antica e quasi universalmente riconosciuta, tale da essere fatta propria dalla Chiesa Romana, con l’intento di assecondarla e custodirla, e del tutto degna di aver parte nella stessa Sacra Liturgia e nelle preghiere più solenni. – Non contenti di ciò, affinché la dottrina dell’Immacolato Concepimento della Vergine si mantenesse integra, vietarono, con la più grande severità, che ogni opinione contraria a questa dottrina potesse essere sostenuta sia in pubblico che in privato e la vollero colpita a morte. A queste ripetute e chiarissime dichiarazioni, perché non risultassero vane, aggiunsero delle sanzioni. Tutto questo è stato riassunto dal Nostro venerato Predecessore Alessandro VII con le seguenti parole: “Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione dell’Intemerata e sempre Vergine Maria, e che, al riguardo, ha un tempo composto un Ufficio proprio e specifico in ossequio alla pia, devota e lodevole disposizione emanata dal Nostro Predecessore Sisto IV; volendo Noi pure favorire, sull’esempio dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, questa lodevole e pia devozione, questa festa e questo culto, prestato conformemente a quella direttiva e che dalla sua istituzione non ha subito, nella Chiesa Romana, alcun mutamento; volendo anche salvaguardare questa particolare forma di pietà e di devozione nel rendere onore e nel celebrare la Beatissima Vergine preservata dal peccato originale con un atto preventivo della grazia dello Spirito Santo; desiderando inoltre conservare nel gregge di Cristo l’unità dello spirito nel vincolo della pace, dopo aver placato i motivi di scontro e le dispute e aver rimosso gli scandali; accogliendo le istanze e le suppliche a Noi rivolte dai Vescovi sopra ricordati, unitamente ai Capitoli delle loro Chiese, dal Re Filippo e dai suoi Regni; rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti emanati dai Romani Pontefici Nostri Predecessori, soprattutto da Sisto IV, da Paolo V e da Gregorio XV, per avvalorare l’affermazione intesa a sostenere che l’anima della Beata Vergine Maria, nella sua creazione e nell’infusione nel corpo, ebbe il dono della grazia dello Spirito Santo e fu preservata dal peccato originale; per favorire la festa e il culto della stessa Concezione della Vergine Madre di Dio, in linea con la pia proposizione suesposta, decretiamo che tali Costituzioni e Decreti siano osservati, sotto pena d’incorrere nelle censure e nelle altre sanzioni previste nelle Costituzioni stesse. “Decretiamo che quanti ardiranno interpretare le Costituzioni e i Decreti citati in modo da vanificare il favore reso, per mezzo loro, alla sunnominata affermazione, alla festa e al culto prestato nel rispetto della stessa; avranno osato mettere in discussione questa affermazione, questa festa e questo culto, o prendere posizione contro di essa in qualunque modo, direttamente o indirettamente, ricorrendo a qualsivoglia pretesto, sia pure con l’intento di esaminarne la sua definibilità e di spiegare e di interpretare, al riguardo, la Sacra Scrittura, i Santi Padri, e i Dottori; o ancora farsi forti di ogni altro possibile pretesto od occasione e poter quindi esprimere, dichiarare, trattare, disputare a voce e per iscritto, precisando, affermando e adducendo qualche argomentazione contro di essa, senza portarla a compimento; dissertare infine contro di essa in qualsiasi altro modo, addirittura fuori dell’immaginabile; [decretiamo] che siano privati anche della facoltà di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico; di aver voce attiva e passiva in ogni tipo di elezioni, senza bisogno di alcuna dichiarazione. Incorreranno dunque, ipso facto, nella pena della perpetua interdizione di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico.“Da queste pene essi potranno essere assolti o dispensati solamente da Noi o dai Romani Pontefici Nostri Successori. Intendiamo anche sottoporli, ed effettivamente con la presente li sottoponiamo, ad altre pene da infliggere a Nostro insindacabile giudizio e dei Romani Pontefici Nostri Successori, mentre rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti di Paolo V e di Gregorio XV sopra ricordati. “Dichiariamo inaccettabili, e le sottoponiamo alle pene e alle censure contenute nell’Indice dei libri proibiti, le pubblicazioni nelle quali vengono messi in dubbio quella affermazione, la festa e il culto approvato; viene scritto, o vi si possa leggere, alcunché di contrario a ciò che è stato sopra riportato; trovino spazio discorsi, prediche, trattati, dissertazioni che ne avversano il contenuto. Ordiniamo e decretiamo che siffatti libri siano, ipso facto, da considerare espressamente proibiti, senza attendere una specifica dichiarazione”. D’altra parte tutti sanno con quanto zelo questa dottrina dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio sia stata tramandata, sostenuta e difesa dalle più illustri Famiglie religiose, dalle più celebri Accademie teologiche e dai Dottori più versati nella scienza delle cose divine. Tutti parimenti conoscono quanto siano stati solleciti i Vescovi nel sostenere in pubblico, anche nelle assemblee ecclesiastiche, che la santissima Vergine Maria, Madre di Dio, in previsione dei meriti del Redentore Gesù Cristo, non fu mai soggetta al peccato ma, del tutto preservata dalla colpa originale, fu redenta in una maniera più sublime.A tutto ciò si aggiunge il fatto, decisamente assai rilevante e del massimo peso, che lo stesso concilio di Trento, quando promulgò il decreto dogmatico sul peccato originale, nel quale, sulla scorta delle testimonianze della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei più autorevoli Concili, stabilì e definì che tutti gli uomini nascono affetti dal peccato originale, dichiarò tuttavia solennemente che non era sua intenzione comprendere in quel decreto, e nell’ambito di una definizione così generale, la Beata ed Immacolata Vergine Maria Madre di Dio. Con tale dichiarazione infatti i Padri Tridentini indicarono con sufficiente chiarezza, tenendo conto della situazione del tempo, che la Beatissima Vergine fu esente dalla colpa originale. Indicarono perciò apertamente che dalle divine Scritture, dalla tradizione, dall’autorità dei Padri, niente poteva essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa della Vergine.Per la verità, illustri monumenti di veneranda antichità della Chiesa orientale ed occidentale testimoniano con assoluta certezza che questa dottrina dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, che, giorno dopo giorno, è stata magnificamente illustrata, proclamata e confermata dall’autorevolissimo sentimento, dal magistero, dallo zelo, dalla scienza e dalla saggezza della Chiesa e si è diffusa in modo tanto prodigioso presso tutti i popoli e le nazioni del mondo cattolico, è da sempre esistita nella Chiesa stessa come ricevuta dagli antenati e contraddistinta dalle caratteristiche della dottrina rivelata. Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell’ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato. In verità, i Padri e gli scrittori ecclesiastici, ammaestrati dalle parole divine – nei libri elaborati con cura per spiegare la Scrittura, per difendere i dogmi e per istruire i fedeli – non trovarono niente di più meritevole di attenzione del celebrare ed esaltare, nei modi più diversi ed ammirevoli, l’eccelsa santità, la dignità e l’immunità della Vergine da ogni macchia di peccato e la sua vittoria sul terribile nemico del genere umano. Per tale motivo, mentre commentavano le parole con le quali Dio, fin dalle origini del mondo, annunciando i rimedi della sua misericordia approntati per la rigenerazione degli uomini, rintuzzò l’audacia del serpente ingannatore e rialzò mirabilmente le speranze del genere umano: “Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe“, essi insegnarono che con questa divina profezia fu chiaramente e apertamente indicato il misericordioso Redentore del genere umano, cioè il Figliuolo Unigenito di Dio, Gesù Cristo; fu anche designata la sua beatissima Madre, la Vergine Maria, e, nello stesso tempo, fu nettamente espressa l’inimicizia dell’uno e dell’altra contro il demonio. Ne conseguì che, come Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, assunta la natura umana, annientò il decreto di condanna esistente contro di noi, inchiodandolo da trionfatore sulla Croce, così la santissima Vergine, unita con Lui da un legame strettissimo ed indissolubile, poté esprimere, con Lui e per mezzo di Lui, un’eterna inimicizia contro il velenoso serpente e, riportando nei suoi confronti una nettissima vittoria, gli schiacciò la testa con il suo piede immacolato. Di questo nobile e singolare trionfo della Vergine, della sua straordinaria innocenza, purezza e santità, della sua immunità da ogni macchia di peccato, della sua ineffabile abbondanza di tutte le grazie divine, di tutte le virtù e di tutti i privilegi a Lei donati, gli stessi Padri videro una figura sia nell’Arca di Noè che, voluta per ordine di Dio, scampò del tutto indenne al diluvio universale; sia in quella scala che Giacobbe vide ergersi da terra fino al cielo, e lungo la quale salivano e scendevano gli angeli di Dio e alla cui sommità stava il Signore stesso; sia in quel roveto che Mosè vide nel luogo santo avvolto completamente dalle fiamme e, pur immerso in un fuoco crepitante, non si consumava né pativa alcun danno ma continuava ad essere verde e fiorito; sia in quella torre inespugnabile, eretta di fronte al nemico, dalla quale pendono mille scudi e tutte le armature dei forti; sia in quell’orto chiuso che non può essere violato né devastato da alcun assalto insidioso; sia in quella splendente città di Dio che ha le sue fondamenta sui monti santi; sia in quell’eccelso tempio di Dio che, rifulgendo degli splendori divini, è ricolmo della gloria del Signore; sia in tutti gli altri innumerevoli segni dello stesso genere che, secondo il pensiero dei Padri, preannunciavano cose straordinarie sulla dignità della Madre di Dio, sulla sua illibata innocenza e sulla sua santità, mai soggetta ad alcuna macchia. Per descrivere debitamente quest’insieme di doni celesti e l’innocenza originale della Vergine dalla quale è nato Gesù, i Padri ricorsero alle parole dei Profeti ed esaltarono questa divina, santa Vergine, come una pura colomba, come una Santa Gerusalemme, come un eccelso trono di Dio, come un’arca della santificazione, come la casa che l’eterna Sapienza si è edificata, come quella Regina straordinaria che, ricolma di delizie e appoggiata al suo Diletto, uscì dalla bocca dell’Altissimo assolutamente perfetta e bella, carissima a Dio e mai contaminata da alcuna macchia di peccato. – Siccome poi gli stessi Padri e gli scrittori ecclesiastici erano pienamente convinti che l’Angelo Gabriele, nel dare alla beatissima Vergine l’annuncio dell’altissima dignità di Madre di Dio, l’aveva chiamata, in nome e per comando di Dio stesso, piena di grazia, insegnarono che con questo singolare e solenne saluto, mai udito prima di allora, si proclamava che la Madre di Dio era la sede di tutte le grazie divine, era ornata di tutti i carismi dello Spirito Santo, anzi era un tesoro quasi infinito e un abisso inesauribile di quegli stessi doni divini, a tal punto che, non essendo mai stata soggetta a maledizione ma partecipe, insieme con il suo Figlio, di eterna benedizione, meritò di essere chiamata da Elisabetta, mossa dallo Spirito di Dio: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno“. Da tutto ciò derivò il loro concorde e ben documentato pensiero che, in forza di tutti questi doni divini, la gloriosissima Vergine, per la quale “grandi cose ha fatto colui che è potente“, rifulse di tale pienezza di grazia e di tale innocenza da diventare l’ineffabile miracolo di Dio, anzi il culmine di tutti i miracoli e quindi degna Madre di Dio, la più vicina a Dio, nella misura in cui ciò è possibile ad una creatura, superiore a tutte le lodi angeliche ed umane. Per questo motivo, con l’intento di dimostrare l’innocenza e la giustizia originale della Madre di Dio, i Padri non solo la paragonarono spessissimo ad Eva ancora vergine, innocente, non corrotta e non ancora caduta nei lacci delle mortali insidie del serpente ingannatore, ma La anteposero a lei con una meravigliosa varietà di parole e di espressioni. Eva infatti, avendo dato ascolto disgraziatamente al serpente, decadde dall’innocenza originale e divenne sua schiava, mentre la beatissima Vergine accrebbe continuamente il primitivo dono e, senza mai ascoltare il serpente, con la forza ricevuta da Dio ne annientò la violenza e il potere. Perciò non si stancarono mai di proclamarLa giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata, verginale, illibata, immacolata, sempre benedetta e libera da ogni contagio di peccato, dalla quale è stato formato il nuovo Adamo; giardino delle delizie piantato da Dio stesso, senza difetti, splendido, abbondantemente ornato di innocenza e di immortalità e protetto da tutte le insidie del velenoso serpente; legno immarcescibile che il tarlo del peccato mai poté intaccare; fonte sempre limpida e segnata dalla potenza dello Spirito Santo; tempio esclusivo di Dio; tesoro di immortalità; unica e sola figlia, non della morte, ma della vita; germoglio di grazia e non d’ira che, per uno speciale intervento della provvidenza divina, è spuntato, sempre verde e ammantato di fiori, da una radice corrotta e contaminata. Ma come se tutte queste espressioni non bastassero, pur essendo straordinarie, i Padri formularono specifiche e stringenti argomentazioni per affermare che, parlando del peccato, non poteva in alcun modo essere chiamata in causa la santa Vergine Maria, perché a Lei era stata elargita la grazia in misura superiore per vincere ogni specie di peccato. Asserirono quindi che la gloriosissima Vergine fu la riparatrice dei progenitori, la fonte della vita per i posteri. Scelta e preparata dall’Altissimo da tutta l’eternità e da Lui preannunciata quando disse al serpente: “Porrò inimicizia fra te e la donna“, schiacciò veramente la testa di quel velenoso serpente. Sostennero dunque che la beatissima Vergine fu, per grazia, immune da ogni macchia di peccato ed esente da qualsivoglia contaminazione del corpo, dell’anima e della mente. Unita in un intimo rapporto e congiunta da un eterno patto di alleanza con Dio, non fu mai preda delle tenebre, ma fruì di una luce perenne e risultò degnissima dimora di Cristo, non per le qualità del corpo, ma per lo stato originale di grazia. – Parlando della Concezione della Vergine, i Padri aggiunsero espressioni assai significative, con le quali attestarono che la natura cedette il passo alla grazia e si trovò incapace a svolgere il suo compito. Non poteva infatti accadere che la Vergine Madre di Dio potesse essere concepita da Anna, prima che la grazia sortisse il suo effetto. Così doveva essere concepita la primogenita, dalla quale doveva poi essere concepito il Primogenito di ogni creatura. Proclamarono che la carne della Vergine, derivata da Adamo, non ne contrasse le macchie, e che la beatissima Vergine fu quindi il tabernacolo creato da Dio stesso, formato dallo Spirito Santo, capolavoro di autentica porpora, al quale diede ornamento quel nuovo Beseleel ricamandolo variamente in oro. Fu a buon diritto esaltata come il primo vero capolavoro di Dio: sfuggita ai dardi infuocati del maligno, entrò nel mondo, bella per natura e assolutamente estranea al peccato nella sua Concezione Immacolata, come l’aurora che spande tutt’intorno la sua luce. Non era infatti conveniente che quel vaso di elezione fosse colpito dal comune disonore, perché assai diverso da tutti gli altri, di cui condivide la natura ma non la colpa. Al contrario era assolutamente conveniente che come l’Unigenito aveva in cielo un Padre, che i Cherubini esaltano tre volte santo, avesse sulla terra una Madre mai priva dello splendore della santità. Proprio questa dottrina era a tal punto radicata nella mente e nell’animo degli antenati, che divenne abituale l’uso di uno speciale e straordinario linguaggio. Lo impiegarono spessissimo per chiamare la Madre di Dio Immacolata, del tutto Immacolata; innocente, anzi innocentissima; illibata nel modo più eccelso; santa e assolutamente estranea al peccato; tutta pura, tutta intemerata, anzi l’esemplare della purezza e dell’innocenza; più bella della bellezza; più leggiadra della grazia; più santa della santità; la sola santa, purissima nell’anima e nel corpo, che si spinse oltre la purezza e la verginità; la sola che diventò, senza riserve, la dimora di tutte le grazie dello Spirito Santo, e che si innalzò al di sopra di tutti, con l’eccezione di Dio: per natura, più bella, più graziosa e più santa degli stessi Cherubini e Serafini e di tutte le schiere degli Angeli. Nessun linguaggio, né del cielo né della terra, può bastare per tesserne le lodi. Nessuno ignora che la celebrazione di Lei fu, con tutta naturalezza, introdotta nelle memorie della santa Liturgia e negli Uffici ecclesiastici. Tutti li pervade e li domina per larghi tratti. La Madre di Dio vi è invocata ed esaltata come incorrotta colomba di bellezza, rosa sempre fresca. Essendo purissima sotto ogni aspetto, eternamente immacolata e beata, viene celebrata come l’innocenza stessa, che non fu mai violata, e come la nuova Eva che ha generato l’Emmanuele. – Non vi è dunque niente di straordinario se i Pastori della Chiesa e i popoli fedeli si sono compiaciuti, ogni giorno di più, di professare con tanta pietà, con tanta devozione e con tanto amore la dottrina dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio, che, a giudizio dei Padri, è stata inserita nella Sacra Scrittura, è stata trasmessa dalle loro numerose e importantissime testimonianze, è stata manifestata e celebrata con tanti insigni monumenti del venerando tempo antico, è stata proposta e confermata dal più alto e autorevole magistero della Chiesa. Pastori e popolo niente ebbero di più dolce e di più caro che onorare, venerare, invocare ed esaltare ovunque, con tutto l’ardore del cuore, la Vergine Madre di Dio concepita senza peccato originale. Per questo già dai tempi antichi i Vescovi, gli uomini di Chiesa, gli Ordini regolari, gli stessi Imperatori e Re chiesero, con insistenza, che questa Sede Apostolica definisse l’Immacolata Concezione della Madre di Dio come dogma della fede cattolica. Queste richieste sono state nuovamente ripetute nei tempi più recenti, specialmente al Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, e sono state rivolte anche a Noi dai Vescovi, dal Clero secolare, da Famiglie religiose, da Sovrani e da popoli fedeli. Poiché dunque, con straordinaria gioia del Nostro cuore, avevamo piena conoscenza di tutto ciò e ne comprendevamo l’importanza, non appena siamo stati innalzati, sebbene immeritevoli, per un misterioso disegno della divina Provvidenza, a questa sublime Cattedra di Pietro, ed assumemmo il governo di tutta la Chiesa, abbiamo ritenuto che non ci fosse niente di più importante, sorretti anche dalla profonda devozione, pietà e amore nutriti fin dalla fanciullezza per la santissima Vergine Maria Madre di Dio, del portare a compimento tutto ciò che poteva ancora essere nelle aspettative della Chiesa, per accrescere il tributo di onore alla beatissima Vergine e per metterne ancora più in luce le prerogative. Volendo tuttavia procedere con grande prudenza, abbiamo costituito una speciale Congregazione di Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per la pietà, per la competenza e per la conoscenza delle cose divine; abbiamo pure scelto uomini del Clero secolare e regolare, particolarmente versati nelle discipline teologiche, perché esaminassero con ogni cura tutto ciò che riguarda l’Immacolata Concezione della Vergine e presentassero a Noi le loro conclusioni. Quantunque già dalle istanze, da Noi ricevute per patrocinare l’eventuale definizione dell’Immacolata Concezione della Vergine, risultasse chiaro il pensiero di molti Vescovi, tuttavia abbiamo inviato ai Venerabili Fratelli Vescovi di tutto il mondo cattolico una Lettera Enciclica, scritta a Gaeta il 2 febbraio 1849, perché, dopo aver rivolto preghiere a Dio, Ci comunicassero per iscritto quali fossero la pietà e la devozione dei loro fedeli nei confronti dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio e, soprattutto, quale fosse il loro personale pensiero sulla proposta di questa definizione e quali fossero i loro auspici, al fine di poter esprimere il Nostro decisivo giudizio nel modo più autorevole possibile. Non è certo stata di poco peso la consolazione che abbiamo provato, quando Ci pervennero le risposte di quei Venerabili Fratelli. Infatti nelle loro lettere, pervase da incredibile compiacimento, gioia ed entusiasmo, Ci confermarono nuovamente, non solo la straordinaria pietà e i sentimenti che essi stessi, il loro Clero e il popolo fedele nutrivano verso l’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, ma Ci supplicarono anche, con voto pressoché unanime, che l’Immacolata Concezione della Vergine venisse definita con un atto decisivo del Nostro ufficio e della Nostra autorità. Nel frattempo abbiamo gustato una gioia non certo minore, quando i Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, della speciale Congregazione sopra ricordata, e i citati teologi da Noi scelti come esperti, dopo aver proceduto con tutta l’attenzione ad un impegnativo e meticoloso esame della questione, Ci chiesero con insistenza la definizione dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio. – Dopo queste premesse, seguendo le prestigiose orme dei Nostri Predecessori, desiderando procedere nel rispetto delle norme canoniche, abbiamo tenuto un Concistoro, nel quale abbiamo parlato ai Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, e, con la più grande consolazione del Nostro animo, li abbiamo uditi rivolgerci l’insistente richiesta perché decidessimo di emanare la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio. Essendo quindi fermamente convinti nel Signore che fossero maturati i tempi per definire l’Immacolata Concezione della santissima Vergine Maria Madre di Dio, che la Sacra Scrittura, la veneranda Tradizione, il costante sentimento della Chiesa, il singolare consenso dei Vescovi e dei fedeli, gli atti memorabili e le Costituzioni dei Nostri Predecessori mirabilmente illustrano e spiegano; dopo aver soppesato con cura ogni cosa e aver innalzato a Dio incessanti e fervide preghiere; ritenemmo che non si potesse più in alcun modo indugiare a ratificare e a definire, con il Nostro supremo giudizio, l’Immacolata Concezione della Vergine, e così soddisfare le sacrosante richieste del mondo cattolico, appagare la Nostra devozione verso la santissima Vergine e, nello stesso tempo, glorificare sempre più in Lei il suo Figlio Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo, perché ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio. – Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell’umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l’assistenza dell’intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli. Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall’unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto. – La Nostra bocca è veramente piena di gioia e la Nostra lingua di esultanza. Innalziamo dunque a Gesù Cristo Signore Nostro i più umili e sentiti ringraziamenti perché, pur non avendone i meriti, Ci ha concesso, per una grazia particolare, di offrire e di decretare questo onore e questo tributo di gloria alla sua santissima Madre. Fondiamo senz’altro le nostre attese su un fatto di sicura speranza e di pieno convincimento. La stessa beatissima Vergine che, tutta bella e immacolata, schiacciò la testa velenosa del crudelissimo serpente e recò al mondo la salvezza; la Vergine, che è gloria dei Profeti e degli Apostoli, onore dei Martiri, gioia e corona di tutti i Santi, sicurissimo rifugio e fedelissimo aiuto di chiunque è in pericolo, potentissima mediatrice e avvocata di tutto il mondo presso il suo Unigenito Figlio, fulgido e straordinario ornamento della santa Chiesa, incrollabile presidio che ha sempre schiacciato le eresie, ha liberato le genti e i popoli fedeli da ogni sorta di disgrazie e ha sottratto Noi stessi ai numerosi pericoli che Ci sovrastavano, voglia, con il suo efficacissimo patrocinio, portare aiuto alla santa Madre, la Chiesa Cattolica, perché, rimosse tutte le difficoltà, sconfitti tutti gli errori, essa possa, ogni giorno di più, prosperare e fiorire presso tutti i popoli e in tutti i luoghi, “dall’uno all’altro mare, e dal fiume fino agli estremi confini della terra“, e possa godere pienamente della pace, della tranquillità e della libertà. Voglia inoltre intercedere perché i colpevoli ottengano il perdono, gli ammalati il rimedio, i pusillanimi la forza, gli afflitti la consolazione, i pericolanti l’aiuto, e tutti gli erranti, rimossa la caligine della mente, possano far ritorno alla via della verità e della giustizia, e si faccia un solo ovile e un solo pastore.Ascoltino queste Nostre parole tutti i carissimi figli della Chiesa Cattolica e, con un ancor più convinto desiderio di pietà, di devozione e di amore, continuino ad onorare, ad invocare e a supplicare la beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, concepita senza peccato originale, e si rifugino, con piena fiducia, presso questa dolcissima Madre di misericordia e di grazia in ogni momento di pericolo, di difficoltà, di bisogno e di trepidazione. Sotto la sua guida, la sua protezione, la sua benevolenza, il suo patrocinio, non vi può essere motivo né di paura, né di disperazione, perché, nutrendo per noi un profondo sentimento materno e avendo a cuore la nostra salvezza, abbraccia con il suo amore tutto il genere umano.Essendo stata costituita dal Signore Regina del Cielo e della terra, e innalzata al di sopra di tutti i Cori degli Angeli e delle schiere dei Santi, sta alla destra del suo Figlio Unigenito, Signore Nostro Gesù Cristo e intercede con tutta l’efficacia delle sue materne preghiere: ottiene ciò che chiede e non può restare inascoltata. Da ultimo, perché questa Nostra definizione dell’Immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria possa essere portata a conoscenza di tutta la Chiesa, decidiamo che la presente Nostra Lettera Apostolica resti a perenne ricordo, e ordiniamo che a tutte le trascrizioni, o copie, anche stampate, sottoscritte per mano di qualche pubblico notaio e munita del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe alla presente se fosse esibita o mostrata.Nessuno pertanto si permetta di violare il contenuto di questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o abbia l’ardire temerario di avversarlo e di trasgredirlo. Se qualcuno, poi, osasse tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.pio-ix-tiara

Dato a Roma, presso San Pietro, nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1854, il giorno 8 dicembre, nell’annonono del Nostro Pontificato.

PIO PP. IX

 

Precetto dell’astinenza e del digiuno.

 Precetto dell’astinenza e del digiuno.

[Er. Ione O.F.M. Capp. – Compendio di teologia morale – Marietti ed. – p. 320-327]

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I . Giorni di astinenza e di digiuno.

I ° Giorni di sola astinenza (o di magro) sono tutti i venerdì (can. 1252, § 1).

Giorni di digiuno e di astinenza insieme sono: il mercoledì delle Ceneri, tutti i venerdì e sabati di quaresima, i giorni delle Quattro Tempora, le Vigilie di Natale, di Pentecoste, dell’Immacolata Concezione di Maria (can. 1252, § 2, AAS, XLIX , 1957 p. 638). Alla sera della vigilia di Natale, secondo una consuetudine generale, è permesso il doppio di quanto è lecito negli altri giorni di digiuno (jejunium gaudiosum). – Nel rito ambrosiano la quaresima inizia dalla prima Domenica dopo le Ceneri. Con l’abolizione della vigilia di Ognissanti è tolto pure l’obbligo dell’astinenza e del digiuno in tal giorno (Ephem. Lit. LXXI, p. 54).

Giorni di solo digiuno sono tutti i giorni di quaresima (can. 1252, § 3). Con Decreto della S. C. del Concilio del 28 gennaio 1949 (AAS, XLI, 1949, p. 32-33) venne stabilito che fino a nuova disposizione tutti i fedeli di rito latino, anche appartenenti ad Ordini e Congregazioni religiose, osservino l’astinenza in tutti i venerdì; l’astinenza e il digiuno, invece, il mercoledì delle Ceneri, il Venerdì Santo, la Vigilia dell’Assunta (successivamente trasferita alla vigilia dell’Immacolata Concezione di Maria), e la vigilia di Natale, permettendo anche l’uso delle uova e dei latticini ovunque, tanto a mezzogiorno che alla sera.

Indulti pontifici. – La Chiesa, secondo lo spirito del suo Maestro, sa e vuole adattare le sue leggi alle varie condizioni sociali e individuali di fervore, di salute, di località e di climi diversi. Attraverso i tempi la disciplina del digiuno fu molto rigida, ma fu sempre opportunamente contemperata alle varie esigenze; anche prima del Codice si aveva una disciplina piuttosto stretta. Ma per renderla osservabile, da secoli s’era andato introducendo l’uso su vasta scala di « indulti » e di « privilegi » in materia, con la proseguente dispensa almeno parziale dalla legge o la permissione di cibi che per diritto comune erano esclusi. Basta pensare alla « Bulla Crociata » e agli indulti ampi concessi per le regioni fredde (nordiche). Come vedremo subito, il Codice temperò molto la disciplina dell’astinenza e del digiuno; ciò nonostante l’uso degli indulti continua. – Ma mentre in altre regioni gli indulti sono di solito generali e magari nazionali, in ITALIA ciascun vescovo deve pensare per la propria diocesi a chiedere annualmente od ogni cinque anni l’indulto. Il tenore di questi indulti varia da diocesi a diocesi; perciò ciascuno deve stare alle consuetudini, alle prescrizioni ed alle dichiarazioni dei singoli vescovi. Dopo il Codice, in generale i vescovi in caso di salute pubblica precaria chiedono di volta in volta la dispensa dalla legge; e dove le condizioni lo consiglino, chiedono l’indulto di poter usare al mattino e alla sera, nei giorni d’astinenza, uova e latticini. – In SVIZZERA per indulto: a) sono giorni obbligatori di astinenza tutti i venerdì dell’anno; — sono giorni di astinenza e di digiuno insieme, il mercoledì delle Ceneri, tutti i venerdì di Quaresima, i venerdì delle Quattro Tempora, le vigilie di Pentecoste, dell’ Immacolata Concezione di Maria e di Natale. — Non vi sono giorni di solo digiuno.

II. Oggetto del precetto dell’astinenza e del digiuno.

I ° Il precetto del digiuno permette soltanto una refezione completa una volta al giorno; non vieta che si abbia a prendere qualche «frustulum» o piccolo spuntino la mattina e una refezioncella la sera. In materia si devono osservare circa la qualità e la quantità i 1odevoli usi locali (can. 1251, § 1). – Il digiuno importa pure l’astinenza alla colazioncina e alla refezioncella, salvi gli indulti particolari e le consuetudini locali. Pertanto nei giorni di solo digiuno al pranzo è lecito mangiare ogni qualità di cibo; ma per la colazioncina e la refezioncella le consuetudini diocesane e spesso locali fissano la qualità. In generale, sono leciti i latticini e le uova; in poche diocesi invece i latticini e le uova sono vietati o permessi solo per indulto. Alcuni vescovi anzi esigono per es. nel giorno delle Ceneri e il Venerdì Santo lo « stretto olio ». Pertanto ciascuno veda le consuetudini e prescrizioni diocesane. — Chi per qualsiasi motivo non è obbligato al digiuno, può lecitamente mangiare nei giorni di solo digiuno carne e ogni cibo tanto quanto desidera. — Non è più vietato mangiare contemporaneamente cibi di carne e di pesce nel medesimo pasto; similmente mutare la refezioncella serotina con il pranzo o pasto principale (can. 1251, § 2). Per motivo giusto è pure lecito scambiare la colazioncina del mattino con la refezioncella della sera. – È lecita una interruzione del pasto principale senza motivo quando non dura oltre mezz’ora; in caso di maggiore interruzione si commette peccato veniale; — se l’interruzione oltrepassa l’ora, anche peccato mortale. Per un motivo proporzionatamente grave (per es. il dovere di soccorrere un moribondo) è lecito interrompere il pasto principale anche più ore. — Nel determinare la quantità che uno può lecitamente prendere alla colazioncina e alla refezioncella, si deve tener conto della costituzione corporale, della qualità del lavoro, della durata del digiuno e della rigidità della regione. In generale si può dire che a ciascuno è lecito prendere quel tanto che è necessario per preservare la sua salute da notevole danno e per assolvere convenientemente il proprio dovere. Può darsi, perciò, che qualcuno si trovi in tali condizioni da essere praticamente scusato dall’osservare il digiuno. Nel tempo che intercorre fra i tre pasti citati, non è lecito prendere nessun nutrimento, bensì bevande che non nutrono (per es. acqua, vino, birra, ecc.; non brodo, cioccolata, latte, e simili). Affinché la bevanda non faccia male, è lecito mangiare insieme qualche cosetta. – Se alcuno, avvertitamente o inavvertitamente, in un giorno di digiuno prende due volte un pasto intero, gli diviene impossibile digiunare in detto giorno; quindi gli è lecito mangiare a sazietà altre volte.

Il precetto dell’astinenza vieta l’uso della carne e del brodo di carne; non delle uova, del latte e di qualsiasi condimento, anche se di grasso animale (can. 1250). – Tuttavia è proibita soltanto la carne degli animali mammiferi e dei volatili (animali di sangue caldo); come pure il loro lardo, il sangue, il midollo delle ossa, il cervello, il cuore, il fegato ecc. — È permessa, invece, la carne e derivati degli animali di sangue freddo: pesci, rane, tartarughe, lumache, conchiglie, ostriche, gamberi ecc. — Quando di alcuni animali si disputa, si può stare al giudizio corrente dei fedeli e alla consuetudine dei luoghi. – Come condimento è lecito usare i grassi animali (lardo, strutto) fusi, non solo per preparare i cibi, ma anche per spalmarne il pane. È lecito l’uso della « pancetta » come condimento, non come companatico. Sono permessi i residui di lardo o grasso fuso (ciccioli o siccioli), che rimangono nel condimento. — Leciti sono pure: il burro artificiale (margarina), il brodo « Maggi » e certi estratti di carne, che non hanno più il sapore di carne o di brodo di carne (gelatina, pepsina, peptoni). — Non sono permessi, invece, i dadi da minestra « Liebig » e simili, i quali realmente sono composti in buona parte di carne di animali proibiti. – Chi in un giorno di astinenza ha mangiato, anche inavvertitamente di grasso, è ancora obbligato a osservare il magro in detto giorno, trattandosi di obbligazione negativa.

III. Soggetti del precetto dell’astinenza e del digiuno.- I° Tutti coloro che hanno compiuto il 21° anno di età e non ancora iniziato il 60° sono obbligati a digiunare (Can.1254 § 2).

Gravità dell’obbligazione. I precetti del digiuno e dell’astinenza per sé obbligano sub gravi. Ammettono però parvità di materia, quando si trasgrediscono in quantità insignificante. Chi in giorno di digiuno fuori dei pasti mangia ancora 6o gr. di pane, non commette certamente peccato grave; con 120 gr. abbiamo materia grave, tanto se presi in una volta sola, quanto in diverse riprese. — Così non pecca mortalmente chi in giorno di astinenza mangia 20 gr. di carne; pecca mortalmente, invece, se ne mangia 60 gr.Tuttavia le piccole trasgressioni ripetute del precetto dell’astinenza non si assommano a formare materia grave, a meno che si abbia già avuta l’intenzione fin dall’inizio di prenderne una grande quantità.

Cessazione dell’obbligo. — I° Disposizione del diritto comune. Tanto il precetto dell’astinenza quanto quello del digiuno cessano nelle domeniche e nei giorni festivi di precetto. Si eccettuano i giorni festivi che cadono in quaresima (festa di S. Giuseppe, 19 marzo), nei quali rimangono in vigore i due precetti. Le vigilie non vengono anticipate (can. 1252, § 4). Secondo il decreto del 16 nov. 1955, l’astinenza e il digiuno, prescritti per il tempo di Quaresima, cessano non più al mezzogiorno, ma alla mezzanotte del Sabato Santo (AAS, XLVII, 1955, p. 841). – Perciò, fuori di quaresima, per diritto comune, i giorni di digiuno e di astinenza (per es. la vigilia di Natale), che cadono in domenica, non si anticipano. – In SVIZZERA il precetto dell’astinenza e del digiuno del venerdì cessa, sottinteso fuori di quaresima, se i n detto giorno si celebra in un luogo determinato una festa di uso locale solennizzata da tutti. — I n ITALIA non esiste tale privilegio; eventualmente può provvedere il vescovo con la dispensa.

2° Dispensa.

a) Generale.

La S. Sede può dispensare tutti i luoghi, le singole diocesi, ecc.; e realmente durante i l periodo bellico e postbellico ha concesso amplissime dispense; in casi di epidemie o di condizioni precarie di salute diffuse, ad istanza del vescovo, dispensa intere diocesi. — In merito a indulti generali e abituali cfr. supra. – Per l’ITALIA non si danno altri indulti generali. – In SVIZZERA: — è permesso l’uso della carne tutto l’anno, escluso il Venerdì Santo, « a tutti coloro i quali, trovandosi, per motivi giusti e gravi, lontani dalla propria economia domestica, prendono i pasti o in comune, o all’albergo, o in una pensione ». I n pratica sono: chi si trova in viaggio, i militari, i poveri che vivono d’elemosina, le persone di servizio, gli operai, quanti per qualche tempo vivono in casa altrui, impossibilitati a scegliere il cibo, data la condizione di ospiti; i boscaioli, i ferrovieri, ecc., che non mangiano nè prendono il vitto a casa propria, le persone che vanno sui mercati fuori di paese e che mangiano sul posto; i venditori ambulanti . — In ITALIA tali categorie possono ritenersi qualche volta scusate dall’osservanza. — Sono considerati dispensati dall’obbligo del digiuno e dell’astinenza coloro che fanno parte delle Forze Armate Italiane e le persone che convivono negli stabilimenti militari e prendono i pasti in comune. L’Ordinariato Militare, però, inculca l’osservanza dell’astinenza almeno in alcune ricorrenze più importanti, come per es. nel mercoledì delle Ceneri, nel Venerdì Santo ecc.

b) Dal precetto dell’astinenza e del digiuno, supposta la causa ragionevole, i parroci possono dispensare nei singoli casi tanto i singoli fedeli quanto le singole famiglie (ma non tutta la parrocchia cumulativamente ad modum unius). Eguale potestà hanno i superiori di un istituto religioso clericale esente riguardo ai religiosi professi, ai novizi, ai domestici, ospiti, ecc., i quali si trovano in convento giorno e notte: (can. 1245).

I Confessori per sé non hanno nessuna facoltà, fuori di quella di dichiarare la cessazione della legge. In molte diocesi, però, essi pure (sovente anche in foro extra sacramentale) godono di facoltà speciali. — I parroci e i predetti superiori possono dispensare anche se stessi (cfr. can. 201 § 3); ma ciò non può essere fatto dai confessori, quando la facoltà di dispensare solo in foro sacramentale.

3° Cause scusanti.

a) Dal digiuno per causa di impossibilità fisica o morale sono scusati:

a) Gli ammalati, i convalescenti, le persone malaticce, i sofferenti eccessivamente di nervi, quanti digiunando soffrono forti emicranie o non riescono a riposare; le donne nel tempo mestruo se dovessero soffrire; i poveri o quelli che non hanno spesso neppure quel tanto necessario per sfamarsi; quanti devono sostenere mestieri pesanti, come i contadini durante i lavori, i fabbri ferrai, i cavapietre, i fonditori, i minatori, i muratori, i facchini, ecc., supposto che lavorino di fatto la maggior parte del giorno. Costoro inoltre sono scusati anche se per un giorno o due non compiono lavori pesanti. Similmente i professori, gli insegnanti, i predicatori, i confessori, gli studenti, i giudici, i medici, gli avvocati, ecc., quando digiunando non potessero convenientemente disimpegnare i loro doveri professionali; — coloro che fanno un viaggio faticoso a piedi o in carretto per necessità. Chi viaggia in ferrovia può d’ordinario essere scusato soltanto per il motivo che non può avere cibo sufficiente nel tempo dei pasti. — Non è però lecito addossarsi lavori pesanti con la intenzione di rendersi con ciò impossibile il digiuno. – Siccome la legge del digiuno importa l’astinenza dai cibi grasso alla colazioncina e alla refezioncella, quanti si trovano nella impossibilità di osservare l’astinenza, sono scusati pure dalla legge del digiuno.

b) Dalla legge dell’astinenza sono scusati:

Gli ammalati, i convalescenti, le donne gravide, quando l’uso della carne è loro necessario. Alcuni autori permettono alle donne gravide uno o due bocconi di carne, quando ne sentono grande voglia. Anche alle donne allattanti può essere talvolta necessario l’uso della carne. Gli operai che attendono a lavori particolarmente difficili, specialmente a quelli che tolgono l’appetito, per es. i lavori ai forni o in fonderia, nelle miniere. I poteri che non possono avere altri cibi sufficienti; le spose, i figli, le persone di servizio, quando il capo di famiglia non permette nessun’altra vivanda. Però le persone di servizio in tal caso, potendo, dovrebbero cercarsi un altro padrone; salvo che non prevedano di andare incontro a pericoli morali maggiori. — Chi viene invitato a un pranzo, in cui prevede di dover mangiare di grasso, per sé non può accettare l’invito; gli può essere lecito, se con ragione può temere che non accettandolo, ne avrà danno rilevante o causerà forti attriti ed offenderà gravemente gli altri. Lo stesso deve dirsi di chi in un convito si vede inaspettatamente servire vivande vietate. — Essendo stati per errore preparati cibi di grasso in giorno di magro, non si possono mangiare se è facile apparecchiare altri cibi esuriali e conservare i cibi di grasso senza prave scapito per il giorno seguente. Se però si tratta soltanto di una piccola quantità di carne, che non è affatto proibita sub gravi, la circostanza che tali cibi sono stati preparerai inavvertitamente, scusa già per se stessa dal peccato veniale. Se il capo di famiglia o altro membro è scusato o dispensato dall’astinenza, per sé non lo sono gli altri familiari, a meno che sia moralmente impossibile preparare due pasti differenti; in tale supposizione tutta la famiglia sarà scusata dall’astinenza. —

Nota.

Per diritto di consuetudine permangono vietati i divertimenti pubblici durante l’Avvento e la Quaresima (cfr. n. 46). Nel determinare la gravità della mancanza si deve tener presente il tempo (per es. i primi giorni dell’Avvento, il giorno delle Ceneri, il Venerdì Santo), la qualità dei divertimenti, il giudizio che ne danno i fedeli di sano sentimento religioso, l’eventuale scandalo, i vari luoghi (città o paesi agricoli), le disposizioni dei vescovi.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: TAMETSI FUTURA

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S. S. LEONE XIII

Diceva qualcuno, che tutto ciò che procura piacere: o è proibito, o fa male alla salute, o è peccato. Si sbagliava di grosso … c’è un piacere che non incorre in queste censure, è lo studio del Magistero della Chiesa. Un esempio lampante ci viene offerto da questa Enciclica che oggi proponiamo all’attenzione del lettore, “Tametsi futura” di S. S. Leone XIII, un nettare di pura dottrina cattolica, così lontano dal letame modernista delle elucubrazioni demenziali edulcorate dalla demagogia populista che copre il veleno gnostico-satanico di recenti allucinati documenti spacciati spudoratamente come cattolici da false e sacrileghe pseudo-autorità. Qui, ancora una volta si ricorda opportunamente che per accedere alla vita eterna sono indispensabili due condizioni imprescindibili: la Fede in Gesù, Cristo, e l’appartenenza alla Chiesa Cattolica, quella “vera” … Una, Santa, Cattolica ed Apostolica. Eccone un passaggio chiave: “ … quindi chiunque presume di giungere alla salvezza al di fuori della Chiesa percorre una via sbagliata, e si sforza invano …”. E questo vale non solo per la salvezza dell’anima, ma pure per la sopravvivenza ed il benessere dei popoli, che dipendono ugualmente dal “vero”: “… dunque, se si cerca il vero, l’umana ragione obbedisca anzitutto a Gesù Cristo e sicura riposi nel suo Magistero poiché per bocca di Cristo è la Verità stessa che parla”. Perché un popolo possa prosperare e vivere felice serenamente e liberarsi dei vari Barabba che lo opprimono, non serve che si affidi a scarabocchi su pezzi di carta con matite cancellabili, ma le piena accettazione della Regalità di Cristo! – Un colpo duro va pure, con senso profetico illuminato, ai falsi cristiani odierni e ai falsi prelati chi li guidano [… ciechi alla guida di ciechi] poiché: “… si propongono un cristianesimo secondo i loro gusti”, e che invece di parlare solo dei “diritti dell’uomo” … “si parli loro anche dei diritti di Dio”. Ma non roviniamo il piacere della lettura e dello studio, si sappia solo che questo piacere: 1) fa bene al corpo e all’anima, 2) non è proibito, se non dai giudeo-massoni, dagli atei neo-pagani, dai modernisti, e 3) non è peccato, anzi serve a prevenirlo e a combatterlo. Ci si abbeveri allora del nettare di Dio, alla fonte della vera Sapienza e della Verità! “Tametsi futura prospicientibus, vacuo a sollecitudine animo

 

Leone XIII

Tametsi futura

“De Jesu Christo redemptore”

[Gesù Cristo Redentore]

Lettera Enciclica

1 novembre 1900

Sebbene non sia possibile guardare all’avvenire con l’animo scevro da inquietudine, e diano anzi non poco a temere le molte e inveterate cause di mali di ordine privato e pubblico, tuttavia per divino favore, questi ultimi anni secolo sembra abbiano emesso qualche raggio di speranza e di conforto, perché non si deve credere che non conferisca al bene comune la rinascente cura degli interessi dell’anima, il ravvivarsi della fede e della cristiana pietà; e che tali virtù vadano effettivamente rinverdendo e riprendendo vigore presso molti, appare da segni assai manifesti. Anche in mezzo alle lusinghe del mondo e nonostante gli ostacoli che la pietà trova intorno a sé da ogni lato, ecco che, ad un solo cenno del Papa, convengono da ogni parte a Roma, alle soglie dei santi Apostoli, folte schiere: cittadini e forestieri uniti adempiono pubblicamente le pratiche religiose, e fidenti nell’indulgenza offerta dalla Chiesa, ricercano più diligentemente i mezzi di salvezza eterna. E non è inoltre commovente questa pietà particolarmente fervida, come da tutti si può vedere, verso il Salvatore del genere umano? Senza dubbio sarà giudicato degno dei migliori tempi cristiani questo fervore, che dall’alba al tramonto infiamma migliaia di anime, in consonanza di volontà e pensiero, ad acclamare ed esaltare il Nome e le glorie di Gesù Cristo. E piaccia al cielo che queste fiamme erompenti di rinnovato fervore della Religione avita divampino in un vasto incendio, e che l’edificante esempio di molti attragga tutti gli altri. Il ritorno completo della società allo spirito cristiano e alle antiche virtù non è forse il maggior bisogno dei tempi moderni? Vi sono altri, troppi, che tengono chiuse le orecchie e non vogliono udire l’ammonimento di questo risveglio religioso, Ma, “se conoscessero il dono di Dio”, se pensassero, che non vi è disgrazia più grande che l’aver abbandonalo il Salvatore del mondo, e l’aver deviato dai costumi e dagli insegnamenti cristiani, certo si scuoterebbero anch’essi e si affretterebbero tornando sui loro passi, ad evitare una sicura rovina. – Orbene, custodire e dilatare sulla terra il regno del Figlio di Dio, e adoperarsi con tutte le forze per condurre a salvezza l’umanità mediante la partecipazione ai benefici divini, è compito della Chiesa, compito così grande e così proprio di lei, che a questo principalmente è ordinata tutta la sua autorità e il suo potere. A tale scopo Ci sembra di aver fino ad oggi indirizzate le maggiori cure possibili nell’arduo e travagliato esercizio del sommo pontificato; e quanto a voi, venerabili fratelli, è certo che Ci secondano in questo, di continuo, le sollecitudini del vostro zelo vigile e operoso. Ma dobbiamo, Noi e voi, data la condizione dei tempi, sforzarci di fare di più, e specialmente ora, che ce ne offre l’opportunità l’anno santo, diffondere più largamente la conoscenza e l’amore di Gesù Cristo, ammaestrando, persuadendo, esortando. Possa la nostra voce essere ascoltata, non tanto, diciamo, da coloro che sono soliti porgere docile orecchio agli insegnamenti cristiani, quanto da tutti gli altri, immensamente infelici, che conservano il nome di cristiani, ma conducono una vita senza fede, senza amore per Cristo. Di questi soprattutto Noi sentiamo compassione; questi singolarmente vorremmo che riflettessero a quello che fanno, e a ciò che li attende, se non si ravvedono. – Non aver mai, in alcun modo, conosciuto Gesù Cristo è somma infelicità, tuttavia non è perfidia né ingratitudine: ma ripudiarLo o dimenticarLo dopo averLo conosciuto, questo è un delitto tanto spaventoso e insano da sembrare appena credibile possa avverarsi in un uomo. Cristo infatti è il principio e l’origine di tutti i beni: e come non era possibile riscattare il genere umano senza l’opera benefica di Lui così non è possibile conservarlo nel bene senza il concorso della sua grazia: “Non c’è in nessun altro salvezza, E non c’è altro nome sotto il cielo dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci” (At IV,12). – Quale sia la vita umana dove manca Gesù, “virtù di Dio e sapienza di Dio”, quali siano i costumi, a quale disperato termine si arrivi, non ce lo mostrano abbastanza col loro esempio i popoli privi della luce cristiana? Basta richiamare un poco alla mente l’Immagine, che di loro ha tratteggiata Paolo (cf. Rm I): cecità d’intelletto, peccati contro natura, mostruose forme di superstizioni e libidini, perché ognuno si senta subito ripieno di compassione e insieme di orrore. – Le cose che qui ricordiamo sono conosciute da tutti, ma non da tutti meditate e considerate. Non sarebbe altrimenti così grande il numero degli sviati dalla superbia o dei rattrappiti dall’indolenza, se più universalmente si coltivasse la memoria dei divini benefici e si meditasse più spesso da dove Cristo ha tratto l’uomo e fin dove lo ha innalzato, Diseredata ed esule già da lunghi secoli, l’umanità precipitava in perdizione ogni giorno, immersa in quei spaventosi guai e in altri mali causati dal peccato dei progenitori, e nessuna potenza umana avrebbe potuto sanarli, dopo comparve Cristo Signore, il Liberatore inviato dal cielo, Dio medesimo Lo aveva promesso fin dal principio del mondo, come Colui che avrebbe un giorno vinto e domato il “serpente”; per questo alla sua venuta erano rivolte le ansiose brame dei secoli che seguirono. I vaticini dei profeti avevano per lungo tempo e chiaramente predetto che in Lui era riposta ogni speranza; ed anzi le vane vicende di un popolo eletto, le sue imprese, le istituzioni, le leggi, le cerimonie, i sacrifici avevano con precisione e chiarezza preannunciato che in Lui il genere umano avrebbe trovato piena e intera salvezza, in Lui che era predetto sacerdote e insieme vittima espiatoria, restauratore della libertà umana, principe della pace, maestro di tutte le genti, fondatore di un regno che non avrebbe mai avuto fine. Sotto questi titoli, immagini e vaticini, vari nella forma, ma concordi nell’oggetto, era designato unicamente Colui, che, per l’eccessiva sua carità con cui ci amò, si sarebbe un giorno immolato per la nostra salvezza, Infatti, quando giunse il tempo da Dio prestabilito, l’unigenito Figlio di Dio, fatto uomo, soddisfece, per gli uomini, col proprio sangue, in maniera sovrabbondante, la maestà offesa del Padre, e fece così proprietà sua il genere umano riscattato a così alto prezzo, “Non a prezzo di cose corruttibili, oro o argento, siete stati riscattati;… ma col sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e senza difetto” (1Pt I, 18-19). E così fece nuovamente suoi, con pieno diritto, per averli veramente e propriamente redenti, tutti gli uomini che già erano soggetti alla sua potestà e al suo impero, poiché Egli è di tutti Creatore e Conservatore. “Non appartenete a voi stessi; infatti siete stati comprati a caro prezzo” (1Cor VI, 19-20). Per questo tutte le cose sono state instaurate da Dio in Cristo. “Il mistero della sua volontà, secondo il disegno che si era proposto e da eseguire nella pienezza dei tempi, di ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef I, 9-10), Non appena Gesù ebbe tolto il chirografo del decreto della nostra condanna, affiggendolo alla croce, subito si placò l’ira divina; furono sciolti i vincoli dell’antica schiavitù all’umanità confusa ed errante, Dio fu riconciliato, restituita la grazia, riaperto l’adito all’eterna beatitudine, conferito il diritto e offerti i mezzi per conseguirla. Allora, come risvegliato da un lungo e mortale letargo, l’uomo scorse il lume della verità desiderata per tanti secoli e invano cercata; allora conobbe, principalmente, di essere nato per destini molto più alti e molto più degni di quanto non siano le cose sensibili, fragili e caduche, alle quali fino allora aveva indirizzato unicamente i suoi pensieri e i suoi desideri; e riconobbe che questo è il carattere costitutivo della vita umana, questa la legge suprema, e che il fine a cui tutto deve essere indirizzato è in questa direzione, perché da Dio usciti, a Dio dobbiamo un giorno ritornare. Suscitata da questo principio e fondamento, si ridestò la coscienza della dignità umana; i cuori accolsero il sentimento della fratellanza comune, e, come naturale conseguenza, doveri e diritti furono in parte perfezionati, in parte rinnovati e nello stesso tempo si ebbe un fiorire di tali virtù, quali nessuna delle antiche filosofie avrebbe potuto immaginare. Per questo presero altro indirizzo i pensieri, le azioni e i costumi; una volta diffusa l’ampia conoscenza del Redentore, una volta immessa nelle intime vene della società la virtù di lui, vincitrice dell’ignoranza e degli antichi vizi, ne seguì quel capovolgimento di cose che diede vita alla civiltà cristiana e trasformò completamente la faccia della terra. – A tali ricordi, venerabili fratelli, si sente nell’animo una immensa consolazione, e insieme un vivo senso di dover rendere grazie con tutta l’anima, per quanto ci è possibile, al divino Salvatore. Siamo lontani dalle origini e dai primordi della redenzione, ma che importa se è perenne la sua efficacia e imperituri e perpetui ne rimangono i benefici? Colui che una volta operò la salvezza dell’umana natura perduta per il peccato, è lo stesso che la salva e la salverà in eterno: “Diede se stesso in redenzione per tutti” (1Tm II, 6), “Tutti saranno vivificati in Cristo” (1Cor XV, 22), “E il suo regno non avrà mai fine” (Lc I, 33). Dunque, secondo l’eterno consiglio di Dio, in Cristo Gesù è posta la salvezza sia degli individui sia di tutta l’umanità. Quelli che Lo abbandonano corrono, per ciò stesso, alla propria rovina con cieco furore, e nello stesso tempo, per quanto sta da loro fanno sì che l’umanità, flagellata da immane tempesta, ripiombi in quell’abisso di mali e di calamità da cui il Redentore l’aveva pietosamente tolta. – Tutti quelli che si mettono fuori della diritta via vagano alla cieca e si allontanano dalla meta desiderata. Similmente se si rigetta la luce pura e sincera del vero, sottentrano perniciosi errori e inevitabilmente le tenebre oscureranno la mente e il cuore intristisce. Infatti che speranza di sanità può restare a chi abbandona il Principio e la Fonte della vita? Ora la via, la verità e la vita è soltanto Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv XI,6); così che, abbandonato Cristo, vengono a mancare quei tre principi necessari per ogni salvezza. – È forse necessario dimostrare ciò che l’esperienza continuamente prova, e che ognuno, anche quando si trova nell’abbondanza di beni terreni, sente profondamente dentro di sé, e cioè che non vi è nulla all’infuori di Dio che possa assolutamente e totalmente appagare il desiderio umano? Fine dell’uomo è Dio e tutto questo tempo che si trascorre sulla terra non è che una specie di pellegrinaggio. Ma Cristo è la nostra “via”, perché in questo viaggio mortale così difficile e pieno di pericoli, non possiamo in alcun modo giungere al sommo e ultimo bene, Dio, senza l’opera e la guida di Cristo, “Nessuno viene al Padre, se non per me” (Gv XIV, 6), Che cosa significa questo? Significa che, principalmente e prima di tutto, non si può andare al Padre se non mediante la grazia di Gesù, la quale tuttavia resterebbe nell’uomo infruttuosa, se si trascurasse l’osservanza dei precetti e delle leggi di Lui, Come era conveniente, Gesù Cristo, operata la redenzione, pose a custodia e tutela del genere umano la sua legge, perché, da essa governati, gli uomini potessero convertirsi da una vita non buona e sicuri rivolgersi verso il loro Dio. “Andate e ammaestrate tutte le genti;… insegnando loro a osservare tutte le cose che vi ho comandate…” (Mt XXVIII, 19-20). “Osservate i miei comandamenti” (Gv XIV, 5), Da ciò bisogna dedurre che, nella professione cristiana, l’atto fondamentale e necessario è sottomettersi con docilità ai precetti di Gesù Cristo, e a Lui, quale Padrone e Re supremo, assoggettare devotamente in tutto la volontà, cosa grande questa e che esige spesso sacrificio non lieve, duro sforzo e costanza. Poiché, quantunque la natura umana sia stata risanata dall’opera benefica del Redentore, rimane tuttavia in ciascuno di noi come una qualche malattia, una infermità, una tendenza al male. Cupidigie diverse trascinano 1’uomo ora in una direzione ora in un altra, e le attrattive delle cose sensibili facilmente piegano la volontà, e ci portano a fare quello che piace, non quello che Cristo comanda. Ma è indispensabile resistere e combattere con tutte le forze le passioni, “in ossequio a Cristo” (2Cor X, 5); le passioni, se non obbediscono alla ragione, prendono il sopravvento, e sviando tutto l’uomo dalla sottomissione a Cristo, lo rendono loro schiavo, “Gli uomini corrotti di mente e guasti nella fede non possono liberarsi dalla schiavitù, … sono anzi schiavi di tre passioni: la voluttà, la superbia, il mettersi in mostra“. E in questa lotta bisogna che ognuno sia disposto ad accettare volentieri sofferenze e fatiche per amore di Cristo. È difficile respingere cose tanto allettanti e attraenti; è duro e penoso disprezzare ciò che è considerato bene del corpo e ricchezza, e fare ciò per volontà e comando di Cristo Signore; ma, pazienza e fortezza sono assolutamente necessarie al cristiano che voglia vivere in conformità alla sua professione. Abbiamo forse dimenticato di quale corpo e di quale Capo siamo membra? Colui che ci comanda di rinnegare noi stessi è quello stesso che, propostosi il gaudio, sopportò la croce. E da quella disposizione d’animo, cui abbiamo accennato, dipende la dignità medesima della natura umana. Poiché comandare a se stesso, far sì che la parte inferiore di noi obbedisca alla superiore, non è viltà di un animo fiacco, ma piuttosto. come anche i saggi dell’antichità non di rado compresero, è virtù generosa, mirabilmente conforme alla ragione e in sommo grado degna dell’uomo. – Del resto sopportare e patire molto è condizione umana. L’uomo non può distruggere la volontà del suo divino Creatore, il Quale volle che restassero perpetue le conseguenze della prima colpa; similmente non può costruirsi una vita completamente scevra da ogni dolore e piena di ogni felicità, è quindi ragionevole non ripromettersi quaggiù la fine del dolore, ma piuttosto fortificare l’animo a sopportare il dolore, il quale appunto ci insegna a sperare, con certezza di avere i beni supremi. Cristo infatti non ha promesso la beatitudine eterna del cielo alle ricchezze o alla vita comoda, ne agli onori e alla potenza, bensì alla pazienza e alle lacrime, all’amore della giustizia e alla purezza del cuore. Di qui facilmente appare che cosa si debba sperare dall’orrore e dalla superbia di coloro che, disprezzata la sovranità del Redentore, pongono l’uomo al di sopra di tutte le cose, e vogliono il regno assoluto e universale della natura umana; sebbene in pratica poi non possano conseguire questo regno, anzi neppure sappiano ben definire in che cosa esso consista. Il regno di Gesù Cristo prende forma e consistenza dalla divina carità: l’amore santo e ordinato ne è fondamento e compendio. Da questo necessariamente scaturiscono i seguenti principi; bisogna fare bene il proprio dovere, non bisogna fare nessun torto al prossimo, bisogna stimare le cose terrene come inferiori a quelle celesti, bisogna amare Dio sopra tutte le cose. Ben diverso è quel dominio dell’uomo, che apertamente respinge Cristo o che trascura di conoscerLo, si fonda tutto sull’egoismo, che non conosce la carità, né lo spirito di sacrificio. Secondo l’insegnamento di Gesù è anche lecito all’uomo imperare, ma lo deve egli fare alla sola condizione possibile, ossia prima di tutto deve servire lui a Dio, e deve attingere dalla legge di Dio le norme e la guida della propria vita. – Quando diciamo legge di Cristo non intendiamo solo i precetti naturali, o solo quelli che gli antichi ricevettero da Dio, precetti che Gesù Cristo completò col dichiararli, interpretarli e sancirli, ma intendiamo anche tutto il resto della sua dottrina, e tutte espressamente le cose da Lui istituite. Di esse la principale, senza dubbio, è la Chiesa: che vi è infatti fra ciò che Cristo ha istituito, che essa non abbracci, che non contenga pienamente? Certo Egli volle che, mediante il ministero della Chiesa da Lui stesso così mirabilmente costituita, fosse perpetuata la missione affidatagli dal Padre. E avendola fatta depositarla di tutti i mezzi di salvezza per l’uomo, dispose solennemente che gli uomini a Lei prestassero obbedienza come a Lui stesso, e da Lei si lasciassero sempre condurre come da guida sicura, “Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me” (Lc X, 16), Per cui solo nella Chiesa bisogna cercare la legge di Cristo; infatti via dell’uomo è Cristo, e ugualmente lo è la Chiesa: egli per sé e per propria natura, essa per ufficio affidatole e per comunicazione di poteri. Quindi chiunque presume di giungere alla salvezza al di fuori della Chiesa percorre una via sbagliata, e si sforza invano. – Né molto dissimile dal destino degli individui è quello degli stati; anche questi corrono verso la loro perdizione se si allontanano dalla “via”, “il Figlio di Dio, Creatore e Redentore dell’umana natura, è Re, è padrone di tutta la terra ed ha suprema potestà sugli uomini, sia presi singolarmente, sia raccolti in civile società. “Diede a lui potestà, onore, e regno e tutti i popoli, tribù e lingue lo serviranno” (Dn VII,14). “Io poi sono stato da lui costituito re… Io ti darò in eredità le genti, in tuo dominio gli ultimi confini del mondo” (Sal II,6.8), Dunque anche nel convivere umano e nella civile società deve imperare la legge di Cristo, così che non solo nella vita privata, ma anche in quella pubblica essa sia guida e maestra. Or poiché questo è il decreto di Dio, e nessuno può impunemente trasgredirlo mal si provvede alla cosa pubblica se le cristiane istituzioni non si tengano nel conto dovuto. Allontanandosi da Gesù rimane abbandonata a se stessa ragione umana, privata dell’aiuto più valido e del lume più prezioso; e allora con tutta facilità si perde di vista il fine stesso stabilito da Dio nell’istituire il consorzio civile: e questo fine consiste formalmente nell’aiutare i cittadini a conseguire il benessere naturale; ma in un modo che si armonizzi del tutto col conseguimento di quel sommo, perfettissimo e sempiterno bene, che trascende tutti gli ordini della natura, Perdere di vista tali idee conduce fuori strada sia i reggitori sia i sudditi, per difetto d’indirizzo sicuro e di un sicuro punto d’appoggio. Se lacrimevole causa di sventure è il fuorviare dal retto sentiero, lo è similmente l’abbandono della verità. Ora la prima, assoluta ed essenziale verità è Cristo, poiché è Verbo di Dio, consustanziale e coeterno al Padre, una cosa stessa col Padre. “Io sono la via e, la verità”. Dunque, se si cerca il vero, l’umana ragione obbedisca anzitutto su Gesù Cristo e sicura riposi nel suo magistero poiché per bocca di Cristo è la verità stessa che parla. – Innumerevoli sono le materie in cui l’ingegno umano può liberamente spaziare investigando e contemplare come in fertilissimo campo, e campo proprio, e questo è non solo consentito, ma espressamente voluto dalla natura. E invece cosa illecita e contraria alla natura, non voler contenere la mente dentro i suoi confini, e, abbandonata la necessaria moderazione, deprezzare l’autorità di Cristo che insegna. Quella dottrina dalla quale dipende la salvezza di tutti noi, quasi tutta tratta di Dio e delle cose che specialmente riguardano la divinità: essa non è prodotto di umana sapienza, ma il Figlio di Dio l’attinse e la ricevette tutta dal suo stesso Padre; “Le parole che hai dato a me le ho date a loro” (Gv XVII, 8), E questo necessariamente comprende molte cose, che non ripugnano alla ragione, il che non può essere in alcun modo, ma delle quali non possiamo raggiungere la profondità con la nostra ragione, come non possiamo con essa comprendere la divina essenza. Ma se vi sono tante cose oscure e dalla natura stessa avvolte nell’arcano, che non possono essere spiegate dall’uomo, ma delle quali tuttavia nessuno sano di mente oserebbe dubitare, è certo uno strano abuso di libertà negare poi l’esistenza di altre cose molto superiori alla natura, solo perché non é possibile comprenderne l’intima essenza. Rifiutare i dogmi equivale a rigettare completamente tutta la religione cristiana. E’ doveroso invece piegare la mente con umiltà e senza riserva “in ossequio a Cristo”, fino al punto che essa stia sottomessa al suo divino impero; “Assoggettiamo ogni intelletto all’obbedienza di Cristo” (2Cor X, 5). Tale è l’ossequio che Cristo esige; e lo esige con pieno diritto; egli infatti è Dio e perciò ha somma potestà sulla volontà dell’uomo come sulla sua intelligenza, Ma sottomettendo la propria intelligenza a Cristo Signore l’uomo non agisce servilmente, bensì in modo convenientissimo sia alla ragione, sia alla sua originale dignità. Infatti non assoggetta la propria volontà ad un uomo qualsiasi, ma al suo Creatore, Signore di tutte le cose, Dio, cui è sottomesso per legge di natura, e non si lega alle opinioni di un maestro umano, ma all’eterna e immutabile Verità, In tal modo egli raggiunge il bene naturale dell’intelletto e consegue insieme la libertà. Infatti la verità, che procede dal magistero di Cristo, pone apertamente in luce l’essenza e il valore di ogni cosa, per cui l’uomo illuminato da questa conoscenza, se darà ascolto alla Verità conosciuta, non dovrà soggiacere alle cose, ma le cose a lui saranno soggette, né la sua ragione soggiacerà alla passione, bensì la passione sarà regolata dalla ragione, e l’uomo, liberato dalla più grande schiavitù dell’errore e del peccato, sarà confermato nella più preziosa libertà: “Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” (Gv VIII,32). – E’ chiaro quindi che coloro che ricusano l’impero di Cristo, con pervicace volontà si ribellano a Dio. Emancipatisi dalla divina potestà, non saranno per questo più indipendenti, poiché cadranno sotto qualche potestà umana, eleggendosi, come suole accadere, qualche loro simile, che ascolteranno, obbediranno e seguiranno come loro maestro. Inoltre costoro, impedendo alla loro mente di comunicare con le cose divine, restringono il campo dello scibile, e vengono a trovarsi anche meno preparati a progredire nelle scienze puramente naturali, perché vi sono nella natura molte cose, alla cui comprensione e chiarificazione giova assai la luce della dottrina rivelata. E non raramente, a castigo della loro superbia, Dio permette che costoro non discernano il vero, così che sono puniti nel campo stesso del loro peccato. Per l’uno e l’altro motivo, spesso si vedono uomini di grande ingegno e di non comune erudizione, perdersi, anche nello studio stesso della natura, in assurdità inaudite, che non hanno precedenti. – Sia dunque chiaro, che chi fa professione di vita cristiana deve sottomettere la sua intelligenza totalmente e pienamente alla divina autorità. E se in questa sottomissione della ragione all’autorità si mortifica e si reprime quell’amor proprio che è così forte in noi, proprio da ciò si deve dedurre la necessità assoluta per ogni cristiano di mortificare non solo la volontà, ma anche l’intelletto. E vorremmo che ciò ricordassero coloro che si propongono un cristianesimo secondo i loro gusti, governato, nell’ordine intellettivo e nell’ordine pratico, da leggi più miti e maggiormente indulgenti alla natura umana, così da imporle nessuna o poche mortificazioni. Essi non comprendono abbastanza l’esigenza della fede e dei precetti cristiani; non vedono come da ogni parte ci si presenti la “Croce”, esempio di vita e vessillo perpetuo di tutti coloro che vogliono essere, non soltanto di nome, ma nella realtà e con le opere, seguaci di Cristo. – Dio solo è la vita. Tutti gli altri esseri sono partecipi della vita, ma non sono la “vita”, Da tutta l’eternità, invece, e per sua propria natura, Cristo è la vita, allo stesso modo che è verità, perché è Dio da Dio. Da Lui, come da primo e augustissimo Principio, fluì nel mondo Ogni vita e fluirà perpetuamente, Tutto ciò che esiste, esiste per Lui; tutto ciò che vive, vive per Lui, perché “tutte le cose” per mezzo del Verbo “sono state fatte, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto” (Giov. I). Questo quanto alla vita naturale. Ma abbiamo sopra accennato ad una vita assai migliore e infinitamente più preziosa, generata dall’opera benefica di Cristo stesso, ossia la “Vita della Grazia”, il cui fine beatissimo è la “Vita di gloria”, alla quale debbono essere ordinati pensieri e azioni. In ciò consiste tutta la forza della dottrina e delle leggi cristiane, che “morti al peccato, viviamo per la giustizia“, cioè per la virtù e la santità e in ciò consiste la vita morale degli uomini con la sicura speranza della beatitudine eterna. Ma la giustizia, veramente e propriamente in un modo efficace per la salute, di nient’altro si alimenta se non della fede cristiana: “Il giusto vive di fede” (Gal III,11), “Senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Eb XI, 6). Ecco perché Gesù Cristo Autore, Padre e sostegno della fede, è pure Colui che conserva e alimenta in noi la vita morale, e questo fa soprattutto mediante il ministero della Chiesa, Ad essa, infatti, con benigno e provvidentissimo consiglio, ha affidato l’amministrazione di quei mezzi, che generano la vita di cui noi parliamo, generata la conservano, e la rinnovano qualora si sia estinta. Perciò, se si separa la morale dalla fede divina, viene ad essere distrutta in radice la forza che genera e conserva le virtù salutari, Quelli che vogliono formare ad onestà i costumi mediante i dettami della sola ragione, spogliano l’uomo della sua massima dignità e, con sua grande perdita, dalla vita soprannaturale lo retrocedono alla vita puramente naturale, Con la retta ragione l’uomo può bensì conoscere e praticare molti precetti naturali, ma anche se li conoscesse tutti e tutti li praticasse senza alcuna imperfezione per tutta la vita – cosa del resto impossibile senza la Grazia del Redentore – invano spererebbe di salvarsi eternamente, se non ha la fede. “Chi non rimane in me sarà gettato via come tralcio e seccherà e, raccolto, sarà gettato nel fuoco a bruciare” (Gv XV,6), “Chi non avrà creduto sarà condannato” (Mc XVI, 16). E poi, quanto valga e quali frutti produca questa onestà noncurante della fede, ne abbiamo troppe prove sotto gli occhi. Come mai nonostante il tanto impegno di stabilire e accrescere la pubblica prosperità ogni giorno più soffrono gli stati in punti di capitale importanza e appaiono come infermi? Si asserisce, è vero, che la società civile basta a se stessa; che è capace di fiorire egregiamente senza il concorso delle istituzioni cristiane, e con le sole proprie forze conseguire il proprio fine. Quindi negli ordini amministrativi si vuole laicizzare tutto; nella disciplina civile e nella vita pubblica dei popoli si vede dileguare a mano a mano le vestigia della Religione dei padri. Ma non si riflette abbastanza dove conducano questi principi. Poiché, tolta di mezzo l’idea della sovranità di Dio giudice e retributore del bene e del male, è inevitabile che perdano la loro più valida autorità le leggi, e che venga meno la giustizia; eppure sono questi i due più necessari e saldi legami della società civile. Similmente, estinta la speranza e l’attesa dei beni eterni, s’accende necessariamente nei cuori la sete irrefrenabile dei beni terreni, e ciascuno cercherà, con tutte le sue forze, di accaparrarne quanto più può. Quindi gare, invidie, odii; poi biechi propositi: aspirare all’abolizione di ogni potere, minacciare ovunque folli rovine. Non tranquillità fuori, non sicurezza dentro, sconvolta da delitti la convivenza civile. – In tanto contrasto di passioni e tra sì gravi pericoli, non c’è via di mezzo: o aspettarsi le peggiori catastrofi, o cercare senza indugio un valido rimedio. Reprimere i delinquenti, ingentilire i1 costume delle plebi, e in ogni modo prevenire i mali mediante provvide leggi, è cosa buona e necessaria; ma non sta tutto qui. Più in alto bisogna cercare il risanamento dei popoli: conviene chiamare in soccorso una forza superiore a quella umana, la quale tocchi direttamente le anime e, rigenerandole alla coscienza del dovere, le renda migliori, vogliamo dire quella forza medesima che da ben più disperate condizioni trasse altra volta in salvo la famiglia umana. Fate sì che in grembo al civile consorzio rifiorisca lo spirito cristiano, dategli agio di svilupparsi libero da ostacoli, e il civile consorzio ne sarà ristorato. Taceranno le lotte di classe, e il rispetto reciproco sarà garanzia a ciascuna dei propri diritti. Se ascoltano Cristo, osserveranno pure il loro dovere sia i ricchi sia i poveri; quelli comprenderanno che debbono cercare la salute nella giustizia e nella carità, questi nella temperanza e nella moderazione. Perfetto sarà l’ordinamento della società domestica, quando sia governata dal salutare timore di Dio, suo legislatore supremo. E per lo stesso motivo parleranno forte al cuore dei popoli quei precetti morali, inculcati pur dalla natura: rispettare i poteri legittimi, obbedire alle leggi, non ordire sedizioni né partecipare a cospirazioni settarie. E così, dove regna sovrana la legge di Cristo, vige inalterato l’ordine stabilito dalla divina provvidenza donde germogliano incolumità e benessere. È questo dunque il grido della comune salvezza: ritorni la universale comunanza civile, e anche ognuno in particolare, là donde conveniva non allontanarsi mai, a Colui, cioè, che è via e verità e vita, Bisogna reintegrare nel suo dominio Cristo Signore, e far si che quella vita, di cui Egli è fonte, rifluisca ad irrigare copiosamente e rinsanguare tutte le parti dell’organismo sociale, i dettati delle leggi, le istituzioni nazionali, le università, la famiglia e il diritto matrimoniale, le corti dei grandi, 1e officine degli operai. E si ponga ben mente che da ciò sommamente dipende quella civiltà delle nazioni che con tanto ardore si cerca, poiché essa si alimenta e matura non tanto di quelle cose che s’attengono alla materia, come le comodità della vita e l’abbondanza dei beni terreni, ma piuttosto di quelle, che sono proprie dell’anima, i lodevoli costumi e il culto della virtù. – Molti sono lontani da Gesù Cristo per ignoranza, più che per cattiva volontà; molti sono infatti coloro che si dedicano a studiare l’uomo, a studiare il mondo, ma pochissimi sono coloro che cercano di conoscere il Figlio di Dio. Prima di tutto, dunque, si vinca l’ignoranza con la conoscenza, così che non si ripudi né si disprezzi Uno che non si conosce. Noi scongiuriamo tutti i cristiani, quanti e dovunque sono, di fare il possibile per conoscere il loro Redentore, quale veramente Egli è. Quando avranno fissato in Lui con sincerità e senza preconcetti lo sguardo, subito vedranno chiaro, che non può esservi nulla più salutare della sua legge, né più divino della sua dottrina. Per raggiungere questo scopo riuscirà particolarmente efficace l’autorità e l’opera vostra, venerabili fratelli, come pure lo zelo e la sollecitudine di tutto il Clero. Ritenete come parte essenziale del vostro ufficio, scolpire nelle menti dei popoli il concetto vero, la nitida immagine di Gesù Cristo, e far bene conoscere la sua carità, i suoi benefici, i suoi insegnamenti con gli scritti, con la parola, nelle scuole elementari e nelle superiori, nella predicazione, ovunque se ne presenti l’occasione. Molto si è parlato alle folle circa quelli che sono definiti “i diritti dell’uomo”; si parli loro anche dei diritti di Dio. Che questo sia il tempo propizio per fare ciò, ne è prova l’amore del bene ridestatosi in molti, come dicemmo, e, specialmente questa pietà verso il Redentore, manifestatasi in tante forme: pietà che, quale auspicio di tempi migliori, stiamo per consegnare in eredità, se piace a Dio, al secolo che sta per sorgere. Ma poiché si tratta di cosa che possiamo sperare soltanto dalla grazia divina, congiunti nello zelo comune e nella preghiera, supplichiamo Dio Onnipotente che voglia piegarsi a misericordia. Non permetta che periscano coloro, che Egli stesso ha liberato, con l’effusione del suo Sangue, Guardi propizio a questo secolo che, è vero, molto peccò, ma molto anche sofferse in espiazione dei suoi errori; e, abbracciando amorosamente gli uomini di ogni nazione e di ogni stirpe, si ricordi della sua parola: “E io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me” (Gv XII, 32). – Quale auspicio dei divini favori, e come espressione della Nostra paterna benevolenza, a voi, venerabili fratelli, al Clero e al popolo vostro, di tutto cuore, impartiamo nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1900, anno XXIII del Nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “QUANTO CONFICIAMUR”

Una bolla al giorno, toglie il modernista-eretico di torno:

pio IX

QUANTO CONFICIAMUR

Proseguendo nella ricerca di una boccata d’aria per ritemprare con “ossigeno” cattolico il nostro cuore avvilito e la mente attossicata da tante idiozie moderniste, sbandierate spudoratamente dai carnevaleschi falsi ed eretici non-prelati, ci imbattiamo in una enciclica di S. S. Pio IX: “Quanto conficiamur” del 10 agosto del 1863. Sembra quasi che il Santo Padre l’abbia scritta stamane, tanto è attuale nella condanna di false tesi anti-cattoliche, un tempo partorite da larve dalle menti corrotte dal tarlo massonico-protestante, oggi considerate banale normalità in ambienti che si millantano cattolici, ma che sono, come purtroppo ormai sappiamo, vetrine di lugubri teorie gnostico-cabaliste, ferocemente a-cattoliche. Particolarmente, per tanti allocchi colpevolmente ignoranti, sembrerà eresia antimodernista la condanna senza appello che: “fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza per NESSUNO!” Oggi questa è una sentenza inaudita e respinta dai falsi teologi e dal bianco clown e dalla corte della sinagoga di satana insediatasi nella Chiesa e nei sacri palazzi. Siamo al ribaltone conciliare, che ha invertito addirittura dogmi cattolici inamovibili e abbattuto i saldi pilastri della fede in Cristo e nel suo Vangelo. Ed allora curiamo lo stato venefico dell’asma spirituale con una boccata di aria pura dell’alta montagna: il Magistero Cattolico. Silenzio, si respiri a polmoni pieni e ci si disintossichi! Signori, togliete il cappello: parla un Papa vero!

S. S. Pio IX

Lettera Enciclica “QUANTO CONFICIAMUR”

 “Quanto conficiamur moerore ob sævissimum sacrilegumque bellum….

“Ognuno di Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, può facilmente capire in quale dolore versiamo a causa della guerra crudele e sacrilega mossa, in questi tempi terribili, contro la Chiesa cattolica in quasi tutte le regioni della terra e soprattutto a causa di quella che, nell’infelice Italia, sotto i Nostri occhi, è stata dichiarata da diversi anni dal Governo Subalpino e che, di giorno in giorno, infuria sempre più. Invero, pur tra le Nostre così gravi afflizioni, quando a Voi volgiamo lo sguardo, proviamo un profondo e consolante sollievo. Nonostante siate dolorosamente tormentati da ogni sorta d’ingiustizie e di violenze, strappati dal vostro gregge, mandati in esilio, perfino gettati in carcere, tuttavia, armati della forza che viene dall’alto, non avete mai cessato, con la parola e con salvifici scritti, di difendere coraggiosamente la causa, i diritti, la dottrina del Signore, della Sua Chiesa e di questa Apostolica Sede, e di provvedere alla incolumità del vostro gregge. Dal profondo dell’animo Ci felicitiamo con Voi per la letizia con cui sopportate l’oltraggio in nome di Gesù, e Noi vi rivolgiamo le lodi che meritate con le parole del Nostro Santissimo Predecessore Leone: “Quantunque condivida con tutto il mio cuore le afflizioni che avete sopportato per la difesa della fede cattolica e consideri ciò che avete sofferto non altrimenti che se io stesso avessi patito, tuttavia sento che vi è più motivo di gaudio che di lamento nel fatto che Voi, confortandovi in Nostro Signore Gesù Cristo, siate rimasti invincibili nella dottrina evangelica ed apostolica e che, cacciati dalle vostre Chiese ad opera dei nemici della fede cristiana, abbiate preferito soffrire i dolori dell’esilio piuttosto che insudiciarvi al contatto con la loro empietà” . – Voglia il cielo che Noi possiamo annunciarvi la fine di così grandi calamità! Ma la corruzione dei costumi, mai abbastanza deplorata, che si propaga in ogni parte, continuamente alimentata da scritti empi, infami, osceni, da rappresentazioni teatrali, da postriboli aperti pressoché ovunque e da altri perversi artifici; gli errori più mostruosi ed orribili disseminati ovunque; il crescente e abominevole straripare di tutti i vizi e di tutte le scelleratezze; il mortale veleno dell’incredulità e dell’indifferentismo largamente diffuso; la noncuranza e il disprezzo per il potere ecclesiastico, per le cose e le leggi sacre; l’ingiusto e violento saccheggio dei beni della Chiesa; la ferocissima e continua persecuzione contro i Ministri sacri, contro gli Alunni delle Famiglie Religiose, contro le Vergini consacrate a Dio; l’odio davvero diabolico contro Cristo, la Sua Chiesa, la Sua dottrina e contro questa Sede Apostolica; infine gli altri eccessi, pressoché innumerabili, commessi dagli accanitissimi nemici di quanto è cattolico e sui quali siamo costretti a versare quotidiane lacrime, sembrano rimandare e allontanare il tanto desiderato momento in cui sarà concesso veder il pieno trionfo della nostra santissima Religione, della giustizia e della verità. – Questo trionfo certamente non potrà mancare, benché non ci sia dato conoscere il tempo ad esso destinato da Dio Onnipotente, che regola e governa tutte le cose con la Sua mirabile provvidenza e le volge a nostro vantaggio. Anche se il Padre celeste permette che la Sua santa Chiesa, militante in questo miserrimo e mortale pellegrinaggio, sia afflitta da dolori e tormentata da calamità, nondimeno, essendo stata fondata da Cristo Signore su di una pietra immobile e solidissima, non soltanto non può mai essere divelta né fatta vacillare da alcuna forza e da alcuna violenza ma anzi “non si indebolisce ma si accresce con le persecuzioni; e il campo del Signore si riveste di una messe sempre più abbondante, mentre i grani che cadono ad uno ad uno nascono moltiplicati” . Ecco, Nostri Diletti e Venerabili Fratelli, ciò che vediamo accadere in questi tempi deplorevoli, per un beneficio speciale di Dio. Infatti, sebbene la Sposa immacolata di Cristo sia vivamente afflitta dalle presenti malefatte degli empi, Essa trionfa tuttavia dei suoi nemici. Effettivamente Essa trionfa sui suoi nemici, mentre risplende in modo mirabile per la fede vostra e di altri Venerabili Fratelli di tutto il mondo cattolico e dei sacri Vescovi verso Noi e questa Cattedra di Pietro; risplende per l’amore, l’obbedienza e la costante difesa dell’unità cattolica, mentre si moltiplicano di giorno in giorno, con l’aiuto di Dio, le opere pie di religione e di carità cristiana che, grazie alla luce della santissima fede, si diffondono quotidianamente in tutte le regioni; risplende per questo ardente amore e zelo dei Cattolici verso la Chiesa, verso Noi e verso questa Santa Sede, e per l’insigne e immortale gloria del martirio. Sapete infatti che nel Tonchino e in Cocincina i Vescovi, i Preti, i laici e persino le deboli donne, gli adolescenti e le fanciulle, imitando gli esempi degli antichi martiri, sfidano, con un coraggio invincibile, con eroica virtù, i tormenti più atroci ed esultano nel donare la loro vita per Cristo. Tutte queste cose devono essere, per Noi come per Voi, di grande consolazione pur tra le afflizioni crudeli che ci opprimono. – Invero le funzioni del Nostro Ministero Apostolico esigono assolutamente che difendiamo con tutta la cura e lo zelo possibili la causa della Chiesa che Ci è stata affidata dallo stesso Cristo Signore, e che condanniamo tutti coloro che non temono di combattere e calpestare la Chiesa, i suoi sacri diritti, i suoi Ministri e questa Sede Apostolica. Con questa Lettera confermiamo, dichiariamo e condanniamo di nuovo, in generale e in particolare, tutto ciò che in diverse Allocuzioni concistoriali ed in altre Nostre Lettere, con grande rammarico del Nostro animo, fummo costretti a deplorare, a segnalare, a condannare. E a questo punto, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, ancora dobbiamo ricordare e biasimare il gravissimo errore in cui sono miseramente caduti alcuni cattolici. Credono infatti che, vivendo nell’errore, lontani dalla vera fede e dall’unità cattolica, possano pervenire alla vita eterna. Ciò è radicalmente contrario alla dottrina cattolica. A Noi ed a Voi è noto che coloro che versano in una invincibile ignoranza circa la nostra santissima Religione, ma che osservano con cura la legge naturale ed i suoi precetti, da Dio scolpiti nei cuori di tutti; che sono disposti ad obbedire a Dio e che conducono una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della grazia divina, conseguire la vita eterna. Dio infatti vede perfettamente, scruta, conosce gli spiriti, le anime, i pensieri, le abitudini di tutti e nella sua suprema bontà, nella sua infinita clemenza non permette che qualcuno soffra i castighi eterni senza essere colpevole di qualche volontario peccato. Parimenti è notissimo il dogma cattolico secondo il quale fuori dalla Chiesa Cattolica nessuno può salvarsi e chi è ribelle all’autorità e alle decisioni della Chiesa, chi è ostinatamente separato dalla unità della Chiesa stessa e dal Romano Pontefice, Successore di Pietro, cui è stata affidata dal Salvatore la custodia della vigna, non può ottenere la salvezza eterna. Infatti le parole di Cristo Nostro Signore sono perfettamente chiare: “Chi non ascolta la Chiesa, sia per te come un pagano o come un pubblicano (Mt XVIII,17). Chi ascolta voi ascolta me; chi disprezza voi disprezza me, e chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato (Lc X,16). Colui che non mi crederà sarà condannato (Mc XVI,16). Colui che non crede è già giudicato (Gv III,18). Colui che non è con me è contro di me, e colui che non accumula con me, dissipa” (Lc XI,23). Allo stesso modo l’Apostolo Paolo dice che questi uomini sono “corrotti e condannati dal loro proprio giudizio” (Tt III,11) e il Principe degli Apostoli li dice “maestri mendaci che introducono sette di perdizione, rinnegano il Signore, attirano su di sé una rapida rovina” . – Non sia mai che i figli della Chiesa Cattolica siano nemici di coloro che non sono uniti a Noi dagli stessi legami di fede e di carità; devono al contrario prodigarsi nel render loro tutti i servizi della carità cristiana, nella loro povertà, nelle loro malattie, in tutte le altre disgrazie da cui sono afflitti; devono fare in modo di aiutarli sempre e soprattutto di trascinarli fuori dalle tenebre di errori in cui miseramente versano, di ricondurli alla verità cattolica e alla Chiesa, Madre amatissima, che non cessa mai di tender loro affettuosamente le sue mani materne, di aprir loro le braccia, per rafforzarli nella fede, speranza e carità, per farli fruttificare in ogni genere di buone opere e per far loro ottenere la salute eterna. – Ora, Figli Diletti e Venerabili Fratelli Nostri, non possiamo passare sotto silenzio un altro errore, un altro male dei più funesti che seduce miseramente in questi nostri infelici tempi, che turba le menti e gli animi. Parliamo di questo amor proprio, di questo ardore sfrenato e nocivo che porta molti uomini a curare e a ricercare esclusivamente i loro interessi e i loro vantaggi, senza degnare di alcuna attenzione il loro prossimo; parliamo di questo insaziabile desiderio di dominare e di possedere che li spinge ad ammassare ricchezze avidamente e con ogni mezzo, disprezzando ogni regola di onestà e di giustizia. Unicamente preoccupati soltanto dei beni terreni, dimentichi di Dio, della religione e della loro anima, miserabilmente pongono tutta la loro felicità nell’accumulare ricchezze e somme di danaro. Ricordino questi uomini e meditino seriamente su queste gravi parole di Cristo Signore: “Che cosa serve all’uomo guadagnare il mondo, se perde l’anima?“(Mt XVI,26). Ripensino con animo attento ciò che insegna l’Apostolo Paolo: “Coloro che vogliono arricchirsi cadono nella tentazione e nella rete del diavolo, ed in desideri inutili e nocivi che gettano gli uomini nella rovina e nella perdizione. Radice di tutti i mali, infatti, è la cupidigia e chi le ha ceduto ha deviato dalla fede, è penetrato in una selva di dolori” (1Tm VI,9-10). – Gli uomini, secondo la propria e personale condizione, devono certamente fare in modo di procurarsi le risorse necessarie alla vita, sia coltivando le lettere e le scienze, sia esercitando le arti liberali o professionali, sia adempiendo a funzioni private o pubbliche, sia dedicandosi al commercio; ma è assolutamente necessario che agiscano con onestà, con giustizia, con probità, con carità; che abbiano sempre Dio davanti agli occhi; che osservino i suoi comandamenti e i suoi precetti con assoluta diligenza. – Ma non possiamo dissimulare che proviamo un dolore amaro nel vedere in Italia non pochi membri dell’uno e dell’altro Clero, tanto dimentichi della loro santa vocazione che non si vergognano di diffondere false dottrine anche con scritti esiziali; di eccitare gli animi dei popoli contro di Noi e contro questa Sede Apostolica; di attaccare il Nostro potere temporale e quello della Santa Sede; di favorire impudentemente, con ardore e con ogni mezzo i perfidi nemici della Chiesa Cattolica e di questa Sede. Questi ecclesiastici, allontanandosi dai Vescovi, da Noi e da questa Santa Sede, facendosi forti della protezione del Governo Subalpino e dei suoi Amministratori, spinsero la temerarietà fino al punto di disprezzare apertamente le censure e le pene ecclesiastiche e di sottovalutare certe Società, del tutto condannabili, che vanno sotto il nome di Clerico-liberali, di Mutuo Soccorso, di Emancipatrice del Clero Italiano (così comunemente chiamate) e altre ancora, animate dallo stesso spirito perverso. Sebbene i Vescovi abbiano giustamente proibito loro di esercitare il sacro ministero, non temono, come intrusi, di esercitare illecitamente le funzioni in diverse Chiese. Per cui riproviamo e condanniamo queste detestabili Società e la condotta colpevole di tali ecclesiastici. Nello stesso tempo avvertiamo ed esortiamo più e più volte questi sventurati ecclesiastici di ravvedersi, di ritornare in se stessi, di vegliare sulla loro salvezza, considerando con serietà il fatto che “Dio non prova dispiaceri maggiori di quando vede dei sacerdoti incaricati di correggere gli altri, dare loro stessi il cattivo esempio” , e infine meditando attentamente sul conto rigoroso che dovremo rendere un giorno al tribunale di Cristo. Piaccia a Dio che accogliendo i Nostri paterni avvertimenti, questi poveri ecclesiastici vogliano darci la consolazione che riceviamo dai membri dei due Cleri allorché, miseramente ingannati ed indotti in errore, ritornano a Noi ogni giorno in veste di penitenti, implorando ardentemente e con voce supplicante il perdono del loro smarrimento e l’assoluzione dalle censure ecclesiastiche. – Voi conoscete perfettamente, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, gli scritti empi di ogni genere usciti dalle tenebre, traboccanti di ipocrisie, di menzogne, di calunnie e di bestemmie, le Scuole affidate a maestri acattolici, i templi destinati al culto acattolico e le molteplici altre insidie davvero diaboliche, le astuzie, gli sforzi che impiegano questi nemici di Dio e degli uomini, nella infelice Italia, per sovvertire sin dalle fondamenta (se mai ciò potesse accadere) la Chiesa Cattolica, per depravare, per corrompere ogni giorno i popoli e specialmente la gioventù, per strappare da tutti i cuori la nostra santissima fede e la religione. Pertanto non dubitiamo che Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, fortificati dalla grazia di Nostro Signore Gesù Cristo e per la nobile ispirazione del vostro zelo episcopale, continuerete, come avete fatto fino ad ora con la massima lode per il vostro nome, ad opporre costantemente (di comune accordo e con raddoppiato ardore) un muro intorno alla casa d’Israele; continuerete a combattere la buona battaglia della fede, a difendere dalle insidie dei nemici i fedeli affidati alla vostra sorveglianza, ad avvertirli e ad esortarli senza sosta a conservare con costanza questa santissima fede (senza la quale è impossibile piacere a Dio), che la Chiesa Cattolica ha ricevuto da Cristo Signore per il tramite degli Apostoli e che Essa continua a insegnare; a restare fermi e incrollabili nella nostra divina religione, la sola vera, la sola che prepara la salvezza eterna, che salva e rende prospera la società civile. Non cessate, dunque, soprattutto con l’aiuto dei parroci e degli altri ecclesiastici stimati per l’integrità della loro vita, per la gravità dei loro costumi, per una dottrina santa e solida, di predicare la divina parola, di catechizzare i popoli affidati alla vostra cura, di insegnare loro continuamente e con zelo i misteri, la dottrina, i precetti e la disciplina della nostra augusta religione. Infatti sapete bene che una grande parte dei mali deriva prevalentemente dall’ignoranza delle verità divine necessarie alla salvezza e, di conseguenza, comprendete perfettamente che non si devono trascurare né cure né sforzi per allontanare dai popoli una tale iattura. – Prima di terminare questa Nostra Lettera non possiamo astenerci dall’attribuire meritati elogi al Clero d’Italia che, in grande maggioranza aderendo a Noi, a questa Cattedra di Pietro e ai suoi Prelati, mai ha abbandonato il retto cammino, ma – seguendo gli illustri esempi dei suoi Superiori e superando pazientemente le prove più ardue – adempie ammirevolmente al suo dovere. In verità Ci sostiene la speranza che, con l’aiuto della grazia divina, questo stesso Clero, procedendo degnamente nella vocazione alla quale fu chiamato, si impegnerà a fornire prove sempre più luminose della sua pietà e della sua virtù. – Elogi ugualmente meritati vanno a tante vergini consacrate a Dio: strappate violentemente dai loro Monasteri, spogliate dei loro redditi e ridotte alla mendicità, non hanno per questo rinnegato la fede che avevano giurato allo Sposo, ma sopportando con tutta la costanza possibile la loro tristissima condizione, non cessano con preghiere diurne e notturne di levare le loro mani, di pregare Dio per la salvezza di tutti e anche dei loro persecutori, e di attendere pazientemente la misericordia del Signore. Siamo lieti di tessere anche meritate lodi per i popoli d’Italia che altamente animati di sentimenti cattolici, detestano le tante empie congiure contro la Chiesa, si gloriano vivamente di pagare un tributo di pietà filiale, di rispetto e obbedienza a Noi, a questa Santa Sede e ai loro Vescovi; benché impediti da difficoltà e pericoli assai gravi, tuttavia non desistono dal manifestare quotidianamente in ogni modo l’incomparabile amore e la devozione che nutrono verso di Noi, e dall’alleviare, sia con doni raccolti per ogni dove, sia con altre oblazioni, le grandissime angustie in cui versiamo Noi e questa Apostolica Sede. – Fra tante amarezze e in una così violenta tempesta scatenata contro la Chiesa, non perdiamoci mai d’animo, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, “essendo Cristo il nostro consiglio e la nostra fortezza: senza Lui non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto; Egli infatti, confermando i predicatori del Vangelo e i Ministri dei Sacramenti disse: Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli” , e sappiamo anche con certezza che le porte dell’inferno non prevarranno mai sulla Chiesa, la quale sempre è stata e starà salda, sotto la custodia e sotto la protezione di Gesù Cristo Nostro Signore, che l’ha edificata e che fu “ieri e oggi e nei secoli” (Eb XIII,8). – Non cessiamo dunque, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di offrire giorno e notte, con uno zelo sempre più ardente e nell’umiltà del nostro cuore, le suppliche e le preghiere: domandiamo a Dio, tramite Gesù Cristo, di allontanare questo terribile uragano, di permettere che la sua Santa Chiesa respiri dopo tante calamità; che gioisca, in ogni angolo della terra, della pace tanto desiderata e della libertà; che riporti sui suoi nemici nuovi e splendidi trionfi, in modo che tutti coloro che sono smarriti siano illuminati dalla divina luce della sua grazia, ritornino dall’errore al cammino della verità e della giustizia, e producendo degni frutti di penitenza abbiano perpetuo amore e timore del suo santo nome. E per ottenere che nella sua immensa misericordia Dio esaudisca più facilmente le nostre ardenti preghiere, invochiamo il patrocinio potentissimo dell’Immacolata e Santissima Vergine Maria Madre di Dio, e chiediamo i suffragi dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Beati Celesti perché, attraverso le loro valide suppliche rivolte a Dio, implorino per tutti misericordia e grazia per un tempestivo aiuto affinché allontanino efficacemente tutte le calamità e i pericoli da cui la Chiesa è ovunque afflitta, specialmente in Italia. – Infine, come sicura testimonianza della Nostra particolare benevolenza verso di Voi, dal fondo del cuore impartiamo affettuosamente la Benedizione Apostolica a Voi stessi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e al gregge affidato alle vostre cure”.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 Agosto 1863, anno decimo ottavo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “QUI PLURIBUS”

In questa bella giornata di novembre, si ha tanta voglia di respirare aria pura, per ripulire dai veleni dell’aria i polmoni e le vie respiratorie, purificare il sangue, far affluire ossigeno puro al cervello, al cuore e a tutto il corpo. A maggior ragione si sente la necessità di purificare l’anima, lo spirito da tanto smog spirituale, dalle venefiche esalazioni del novus ordo, dal tanfo sulfureo che proviene dalle chiese una volta cattoliche ed oggi usurpate dai modernisti, dagli abominevoli e pestilenziali odori dello sterco massonico! Noi cattolici abbiamo bisogno di respirare a pieni polmoni, con la mente, l’intelletto e la memoria, l’ossigeno purissimo del Magistero cattolico, parola stessa di Dio, infallibile ed irreformabile. Oggi vogliamo deliziarci con una Enciclica, la prima scritta dal Santo Padre da poco insediato, S. S. Pio IX, del novembre del 1846, un giorno probabilmente simile all’odierno. Notiamo come è respinto con vigore tutto quanto oggi propugnato da false, idolatre e paganeggianti false pseudo-autorità religiose. Respiriamo quindi l’ossigeno purissimo, profumato di santità, dell’Enciclica “Qui pluribus”. All’epoca il Pontefice vedeva addensarsi le nubi minacciose dell’apostasia, oggi purtroppo siamo in piena tempesta ma, dopo i tre giorni di buio profetizzati, aspettiamo che torni il sereno ed il rinnovato splendore per la Chiesa di Cristo, e per il suo Capo visibile, il vero successore di S. Pietro. Nessun altro commento: leggiamo con devozione e somma gratitudine a Dio! “Qui pluribus iam abhinc annis una Vobiscum …. “

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S. S. Pio IX:

“Qui pluribus”

De huius temporis erroribus

Erano già molti anni da quando, insieme con Voi, Venerabili Fratelli, Ci affaticavamo secondo le Nostre forze di adempiere l’ufficio episcopale, sovraccarico di tante sollecitudini, e di pascere nei monti, nei rivi e nei pascoli ubertosi d’Israele la porzione del gregge cristiano affidata alle Nostre cure, quand’ecco, per la morte dell’illustre Predecessore Nostro Gregorio XVI (del quale ammireranno certamente i posteri la memoria e le gesta gloriose registrate con auree note nei fasti della Chiesa), subitamente e fuor d’ogni Nostra previsione fummo innalzati per arcano consiglio della divina Provvidenza al supremo Pontificato, non senza grandissimo turbamento e trepidazione dell’animo Nostro. Infatti, se il peso del ministero apostolico fu sempre giustamente reputato gravissimo e pericoloso, assai più terribile riesce in questi tempi difficilissimi per la società cristiana. – Noi, conoscendo appieno la Nostra debolezza, nel considerare i gravissimi uffici del supremo Apostolato, massimamente in mezzo a tante vicissitudini, Ci saremmo abbandonati alla mestizia e al pianto se non confidassimo in Dio, che è Nostra salvezza, che non abbandona mai chi pone in Lui la sua speranza, e che, per manifestare la virtù della sua potenza, a reggere la sua Chiesa sceglie sovente chi è più debole, affinché tutti sempre più conoscano essere la Chiesa da Lui solo governata e difesa con ammirabile provvidenza. Grandemente ancora Ci conforta la consolazione che abbiamo da Voi, Venerabili Fratelli, da Voi che siete compagni e coadiutori Nostri nel procurare la salvezza delle anime e che, chiamati a partecipare delle Nostre sollecitudini, con ogni cura e con ogni studio attendete all’adempimento del vostro ministero e alle opere della santa milizia. – Allorché dunque Ci fummo assisi, benché immeritevoli, in questa sublime Cattedra del Principe degli Apostoli, e nella persona del Beato Pietro ricevemmo dallo stesso eterno Principe dei Pastori il gravissimo ufficio di pascere e governare non solo gli agnelli, cioè l’universo Popolo cristiano, ma anche le pecore, cioè i Vescovi, niente certamente desiderammo più che d’indirizzare a Voi tutti una parola che Vi dimostrasse l’intimo affetto di carità che Ci stringe a Voi. Pertanto, dopo aver preso, secondo il costume e l’istituto dei Nostri Predecessori, nella Basilica Lateranense il possesso del sommo Pontificato, senza frapporre indugio, con questa lettera eccitiamo la Vostra esimia pietà, affinché con sempre maggiore alacrità e diligenza vegliate sul gregge affidatovi e, combattendo il nemico dell’uman genere con vigore e costanza episcopali (come conviene a buoni soldati di Gesù Cristo), stiate saldi per la difesa della casa d’Israele. – Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto acerba e terribile guerra muovano, in questa nostra età, contro la Chiesa cattolica uomini congiunti fra loro in empia unione, avversari della sana dottrina, disdegnosi della verità, intenti a tirare fuori dalle tenebre ogni mostro di opinioni, e con tutte le forze accumulare, divulgare e disseminare gli errori presso il popolo. Con orrore certamente e con dolore acerbissimo ripensiamo tutte le mostruosità erronee e le nocive arti e le insidie con le quali si sforzano questi odiatori della verità e della luce, peritissimi artefici di frodi, di estinguere ogni amore di giustizia e di onestà negli animi degli uomini; di corrompere i costumi; di sconvolgere i diritti umani e divini; di scuotere e, se pur potessero, di rovesciare dalle fondamenta la Religione cattolica e la società civile. – Sapete, Venerabili Fratelli, che questi fierissimi nemici del nome cristiano, miseramente tratti da un cieco impeto di folle empietà, sono giunti a tale temerità di opinioni che “aprendo la bocca a bestemmiare Iddio” (Ap 13,6) con inaudita audacia, non si vergognano d’insegnare apertamente che i sacrosanti misteri della nostra Religione sono invenzioni umane; accusano la dottrina della Chiesa cattolica di contraddire al bene ed ai vantaggi della società umana; né temono di rinnegare la divinità di Cristo medesimo. E per potere più facilmente sedurre i popoli ed ingannare gl’incauti e gl’inesperti, si vantano che solo a loro siano note le vie della prosperità umana; né dubitano di arrogarsi il nome di filosofi, quasi che la filosofia, che si aggira tutta nella investigazione delle verità naturali, debba rifiutare quelle che lo stesso supremo e clementissimo Autore della natura, Iddio, per singolare beneficio e misericordia si è degnato di manifestare agli uomini, affinché conseguano vera felicità e salvezza. Quindi con fallace e confuso argomento non cessano mai di magnificare la forza e l’eccellenza della ragione umana contro la fede santissima di Cristo, e audacemente blaterano che la medesima ripugna alla ragione umana. Del che niente si può pensare od immaginare né di più stolto, né di più empio, né di più ripugnante alla ragione medesima. Sebbene infatti la fede sia al di sopra della ragione, pur tuttavia fra di esse non si può trovare nessuna vera discordanza e nessun dissidio, quando ambedue prendono origine da una stessa fonte d’immutabile ed eterna verità, da Dio Ottimo Massimo; e per tale motivo vicendevolmente si aiutano, di modo che la retta ragione dimostra e difende la verità della fede, e la fede libera la ragione da ogni errore e mirabilmente la illustra, la rafforza e la perfeziona con la cognizione delle cose divine. – Né con minore fallacia certamente, Venerabili Fratelli, questi nemici della divina rivelazione, con somme lodi esaltando il progresso umano, vorrebbero con temerario e sacrilego ardimento introdurlo perfino nella Religione cattolica; come se essa non fosse opera di Dio, ma degli uomini, ovvero invenzione dei filosofi, da potersi con modi umani perfezionare. – Contro siffatto delirare possiamo ben ridire la parola con cui Tertulliano rimproverava i filosofi della sua età, “che fecero il Cristianesimo Stoico, o Platonico, o Dialettico” . E certamente poiché non è la nostra santissima Religione un risultato della ragione umana, ma fu da Dio clementissimamente manifestata agli uomini, ognuno intende facilmente che dall’autorità di Dio medesimo essa acquista ogni sua forza, né la ragione umana può mutarla o perfezionarla. – Bensì alla umana ragione appartiene il cercare con ogni diligenza il fatto della rivelazione, affinché non sia ingannata ed erri in una cosa di tanta importanza, e per rendere a Dio un ossequio ragionevole, come sapientissimamente insegna l’Apostolo, quando sia certa che Iddio le ha parlato. – Chi infatti ignora o può ignorare che a Dio che parla si debba prestare ogni fede, e che alla ragione medesima niente sia più conforme che l’acquietarsi e l’aderire fermamente alle cose che si conoscano rivelate da Dio il quale non può essere né ingannato né ingannatore? – Ma quanti meravigliosi e splendidi argomenti esistono per convincere l’umana ragione che la Religione di Cristo sia divina e che “ogni principio dei nostri dogmi venga dal Signore dei Cieli” ; e però della nostra fede niente sia più certo, più sicuro, più santo ed edificato sopra più soldi fondamenti! Questa fede, maestra della vita, guida della salvezza, liberatrice di tutti i vizi, feconda madre e nutrice di virtù, fu sigillata con la nascita, la vita, la morte, la resurrezione, la sapienza, i prodigi, le predizioni del suo autore e perfezionatore Gesù Cristo. Sfolgoreggiante da ogni parte di una luce di soprannaturale dottrina; arricchita dei tesori delle celesti dovizie; ampiamente illustre ed insigne per i vaticini dei profeti, per lo splendore di tanti miracoli, per la costanza di tanti martiri, per la gloria di tutti i santi; questa fede vivificata dalle salutari leggi di Cristo, ritraendo sempre nuova vita dalle stesse crudelissime persecuzioni, con il solo vessillo della Croce percorse l’orbe universo e per terra e per mare, dal luogo ove nasce sin dove muore il sole. Dileguata la fallacia degli idoli, sgombrata la caligine degli errori, trionfando di ogni sorta di nemici, illuminò con la luce delle dottrine e assoggettò al soavissimo giogo di Cristo medesimo popoli, genti, nazioni quantunque barbare per ferocia, e diverse d’indole, di costumi, di leggi, d’istituti, annunziando a tutti la pace, annunziando beni. Le quali cose certamente risplendono da ogni parte di tanta luce, di sapienza e di potenza divina, che la mente ed il pensiero di ciascuno facilmente intendono che la fede di Cristo è opera di Dio. – Pertanto la ragione umana, conoscendo chiaramente per siffatti argomenti splendidissimi e fermissimi, che Dio è l’autore della fede, non può sospingersi più oltre, ma, tolta ogni difficoltà e rimosso ogni dubbio, conviene che presti ossequio alla fede medesima, tenendo per cosa data da Dio tutto ciò che essa propone da credere e da fare. – E di qui si vede chiaro quanto errino coloro che, abusando della ragione e stimando opera umana la parola di Dio, a loro arbitrio osano spiegarla ed interpretarla, quando Iddio medesimo ha costituito una viva autorità, la quale insegni e stabilisca il vero e legittimo senso della sua celeste rivelazione, e con infallibile giudizio definisca ogni controversia di fede e di costumi, affinché i fedeli non siano raggirati da ogni turbinio di dottrina, né siano per umana nequizia indotti in errore. La quale viva ed infallibile autorità è in quella sola Chiesa che da Cristo Signore fu edificata sopra Pietro, Capo, Principe e Pastore della Chiesa universale, la cui fede, per divina promessa, non verrà mai meno, ma sempre e senza intermissione durerà nei legittimi Pontefici i quali, discendendo dallo stesso Pietro ed essendo collocati nella sua Cattedra, sono anche eredi e difensori della sua medesima dottrina, della dignità, dell’onore e della sua potestà. E poiché “ove è Pietro ivi è la Chiesa” , e “Pietro parla per bocca del Romano Pontefice” , e “sempre vive nei suoi successori, e giudica” , e “appresta la verità della fede a coloro che la cercano” , perciò le divine parole sono da interpretare nel senso che ha tenuto e tiene questa Romana Cattedra del beatissimo Pietro; “la quale, madre di tutte le Chiese e maestra” , sempre serbò la fede consegnatale da Cristo Signore integra ed inviolata, ed in quella ammaestrò i fedeli, mostrando a tutti la via della salute e la dottrina dell’incorrotta verità. Ed è questa appunto la “principale Chiesa donde nacque l’unità sacerdotale” ; questa la metropoli della pietà “nella quale è intera e perfetta la solidità della Religione cristiana” , “nella quale sempre fiorì il principato della Cattedra Apostolica” , “cui a motivo del suo primato è necessario che si stringa ogni altra Chiesa, cioè dovunque sono i fedeli” , “perché chi non raccoglie con lei, disperde” . – Noi dunque, che per imperscrutabile giudizio di Dio siamo collocati in questa Cattedra di verità, eccitiamo grandemente nel Signore la Vostra egregia pietà, Venerabili Fratelli, affinché con ogni sollecitudine e con ogni studio vogliate assiduamente ammonire ed esortare i fedeli affidati alla Vostra cura che, aderendo fermamente a questi principi, non si lascino mai ingannare da coloro che, sotto specie dell’umano progresso ma con abominevole intenzione, vogliono distruggere la fede ed assoggettarla empiamente alla ragione, e manomettere la parola del Signore, con grandissima ingiuria a Dio medesimo che, mediante la sua celeste Religione, con tanta clemenza provvide al bene ed alla salute degli uomini. – Conoscete ancora, Venerabili Fratelli, altre mostruosità di errori ed altre frodi, con cui i figli del secolo acerbamente impugnano la divina autorità e le leggi della Chiesa, per conculcare insieme i diritti della potestà civile e di quella sacra. A questo mirano inique macchinazioni contro questa Romana Cattedra del Beatissimo Pietro, nella quale Cristo pose l’inespugnabile fondamento della sua Chiesa. A questo mirano altresì quelle sette segrete che occultamente sorsero dalle tenebre per corrompere gli ordini civili e religiosi, e che dai Romani Pontefici Nostri Predecessori più volte furono condannate con lettere apostoliche che Noi, con la pienezza della Nostra Potestà Apostolica, confermiamo e ordiniamo che siano diligentissimamente osservate. Questo vogliono le scaltrissime società Bibliche mentre, rinnovando le vecchie arti degli eretici, senza badare a spese non si peritano di spargere fra gli uomini anche più rozzi i libri delle divine Scritture, volgarizzati contro le santissime regole della Chiesa e sovente corrotti con perverse spiegazioni, affinché, abbandonate la divina tradizione, la dottrina dei Padri e l’autorità della Chiesa cattolica, tutti interpretino la parola del Signore secondo il loro privato giudizio e, guastandone il senso, cadano in errori gravissimi. – Gregorio XVI di santa memoria, al quale seppure con minori meriti siamo succeduti, emulando gli esempi dei suoi Predecessori, con sua lettera apostolica riprovò tali società , e Noi parimenti le vogliamo condannate. Altrettanto diciamo di quel sistema che ripugna allo stesso lume della ragione naturale, che è l’indifferenza della Religione, con il quale costoro, tolta ogni distinzione fra virtù e vizio, fra verità ed errore, fra onestà e turpitudine, insegnano che qualsivoglia religione sia ugualmente buona per conseguire la salute eterna, come se fra la giustizia e le passioni, fra la luce e le tenebre, fra Cristo e Belial potesse mai essere accordo o comunanza. Mira al medesimo fine la turpe cospirazione contro il sacro celibato dei Chierici, fomentata, oh che dolore!, anche da alcuni uomini di Chiesa, miseramente dimentichi della propria dignità, e cedevoli agli allettamenti della voluttà. A questo tende altresì la perversa istituzione di ammaestrare nelle discipline filosofiche, con le quali si corrompe l’incauta gioventù, propinandole il fiele del drago nel calice di Babilonia. – A questo punta la nefanda dottrina del Comunismo, come dicono, massimamente avversa allo stesso diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo. A questo aspirano le tenebrose insidie di coloro che, in vesti di agnelli, ma con animo di lupi, s’insinuano con mentite apparenze di più pura pietà e di più severa virtù e disciplina: dolcemente sorprendono, mollemente stringono, occultamente uccidono; distolgono gli uomini dalla osservanza di ogni religione, e fanno scempio del gregge del Signore. – Che diremo infine, per tralasciare molte altre cose a Voi notissime, del terribile contagio di tanti volumi e libercoli che volano da ogni parte ed insegnano a peccare, artificiosamente composti, pieni di fallacia, con immensa spesa disseminati per ogni luogo a divulgare pestifere dottrine, a depravare le menti e gli animi degli incauti con gravissimo detrimento della Religione? Da questa colluvie di errori e da questa sfrenata licenza di pensiero, di parole e di scritture, avviene poi che si peggiorino i costumi, che sia dispregiata la santissima Religione di Cristo e vituperata la maestà del culto divino, che sia travagliata la potestà di questa Sede Apostolica, combattuta e ridotta in turpe schiavitù l’autorità della Chiesa, conculcati i diritti dei Vescovi, violata la santità del matrimonio, scosso il governo d’ogni autorità, oltre tanti altri danni della società cristiana e civile, che insieme con Voi, Venerabili Fratelli, siamo costretti a lamentare. – In tante vicende dunque di cose e di tempi, angustiati nel profondo del cuore per la salvezza del gregge a Noi divinamente affidato, niente lasceremo intentato, niente non provato secondo il dovere del Nostro apostolico ministero, per provvedere con tutte le forze al bene della famiglia cristiana. Ma la Vostra illustre pietà, la Vostra virtù, la Vostra prudenza, Venerabili Fratelli, Noi eccitiamo nel Signore, affinché mediante il celeste aiuto, insieme con Noi, difendiate coraggiosamente la causa di Dio e della Chiesa, come domandano il luogo in cui sedete e la dignità di cui siete rivestiti. Con quanto ardore dobbiate combattere, bene intendete vedendo le ferite della intemerata Sposa di Cristo e l’impeto acerbissimo dei suoi nemici. E primieramente ben sapete essere Vostro compito difendere con episcopale vigore la fede cattolica e vegliare con ogni studio affinché il gregge a Voi consegnato rimanga stabile ed immobile nella fede: chi “non l’avrà serbata integra ed inviolata, senza dubbio perirà in eterno” . A difendere pertanto ed a conservare questa fede ponete ogni diligenza, non cessando mai d’insegnarla a tutti, raffermando gl’incerti, convincendo i contraddittori, confortando i deboli, nulla dissimulando o tollerando che possa in alcun modo ottenebrare la purezza della fede medesima. Né con minore forza d’animo fomenterete in tutti l’unione con la Chiesa cattolica, fuori della quale non vi è salvezza, e l’obbedienza verso questa Cattedra di Pietro alla quale, come a fermissimo fondamento, tutto l’edificio della Nostra santissima Religione sta appoggiato. Con pari costanza però abbiate cura di custodire le santissime leggi della Chiesa, per le quali fioriscono e s’invigoriscono la virtù e la Religione. – Essendo poi “gran pietà l’aprire i nascondigli degli empi e debellare in essi il demonio a cui servono” , per quanto è in Noi Vi preghiamo che scopriate al popolo fedele le svariate insidie, le frodi, gli errori dei nemici; e lo allontaniate diligentemente dai libri pestiferi; e lo esortiate assiduamente affinché fuggendo le sette e le società degli empi come la faccia del serpente, eviti con la massima cura tutte quelle cose che avversano l’integrità della fede, della Religione e dei costumi. – Perciò non sia mai che Voi cessiate di predicare il Vangelo, in modo che il popolo cristiano ogni giorno cresca più erudito nei santi precetti della legge cristiana e nella scienza di Dio, si allontani dal male, faccia il bene e cammini nelle vie del Signore. E poiché Voi sapete che siete ambasciatori di Cristo, che si protestò di essere mansueto ed umile di cuore, e che non venne per chiamare i giusti ma i peccatori, lasciando a noi esempio affinché seguissimo le sue orme, non stancatevi se alcuni troverete erranti, fuori della via della verità e della giustizia, di richiamarli e di rimproverarli con animo dolce e mansueto e con paterne ammonizioni, e di riprenderli ed ammonirli con ogni bontà, pazienza e dottrina, “quando spesso verso i malvagi possa più la benevolenza della severità e delle minacce, più la carità della forza” . – Procurate ancora con ogni efficacia, Venerabili Fratelli, di far sì che i fedeli seguano la carità, cerchino la pace ed adempiano attentamente le opere della carità e della pace, in modo che deposte le inimicizie, composte le discordie, tutti si amino con vicendevole carità, siano perfetti nell’unità del sentire e del volere, ed abbiano una medesima parola e siano unanimi in Gesù Cristo Signor Nostro. Inculcate nel popolo cristiano l’obbedienza e la soggezione dovuta ai Principi ed alle potestà, insegnando secondo la dottrina dell’Apostolo che “non è potestà se non da Dio” (Rm XII,1.2), e che coloro che resistono alla potestà resistono al volere di Dio e quindi si acquistano la dannazione; mai da nessuno possa essere violato senza colpa il precetto di ubbidire alla stessa potestà, a meno che non sia comandata qualche cosa che contrasti alle leggi di Dio e della Chiesa. – Ma poiché “niente serve ad istruire gli altri nella pietà e nel culto del Signore, quanto la vita e l’esempio di coloro che si dedicarono al divino ministero” , e poiché tale suole essere per lo più il popolo, quali sono i sacerdoti, nella Vostra singolare sapienza vedete chiaramente, Venerabili Fratelli, che dovete Voi con sommo studio lavorare affinché il Clero sia ornato di serietà di costumi, integrità di vita, santità e dottrina, affinché sia diligentissimamente mantenuta la disciplina ecclesiastica secondo le norme dei sacri canoni, ed ove fosse caduta si restituisca nell’antico splendore. Per questo ben sapete quanto dobbiate guardarvi, per comando dell’Apostolo, d’imporre inconsideratamente le mani, ma vorrete iniziare nei sacri ordini e destinare a trattare i santi misteri soltanto coloro che per diligente indagine conoscerete degni di onorare le Vostre diocesi con la virtù e la sapienza, fuggendo tutto ciò che ai chierici è vietato, attendendo alla lettura, alle esortazioni, alla dottrina, “facendosi esempio dei fedeli nelle parole, nella conversazione, nella carità, nella fede, nella castità” (1Tm IV,12), per meritarsi la venerazione di tutti ed infiammare il popolo negli esercizi della Religione cristiana. Meglio è certamente, come sapientissimamente ammonisce l’immortale Benedetto XIV Nostro Predecessore, “meglio è avere minor numero di ministri, ma buoni, idonei ed utili anziché molti, i quali poi nulla valgano nella edificazione del corpo di Cristo, che è la Chiesa” .

Né ignorate di dovere con maggior diligenza investigare principalmente i costumi e la scienza di coloro ai quali si commette la cura ed il reggimento delle anime, affinché, come fedeli dispensatori della multiforme grazia di Dio, procurino continuamente di pascere e aiutare il popolo a loro affidato con l’amministrazione dei sacramenti, con la predicazione della divina parola, con l’esempio delle buone opere, e conformarlo ai precetti, agli istituti ed agli insegnamenti della Religione per condurlo nelle vie della salvezza. Voi comprendete chiaramente che se i Parroci ignorano o trascurano il loro ufficio, ne segue tosto che i costumi dei popoli si corrompano, si rilassi la disciplina cristiana, si rallenti e si scuota il culto della Religione, e nella Chiesa si introducano facilmente tutti i vizi e le corruttele. Affinché poi la parola di Dio che “viva, efficace e più penetrante di una spada a doppio taglio” (Eb IV,12) ci è stata data in salute delle anime, per colpa dei ministri non divenga infruttuosa, non cessate giammai, Venerabili Fratelli, di ammonire i sacri oratori che, ben valutando la gravità del loro ufficio, esercitino religiosissimamente il ministero evangelico, non già con gli argomenti della persuasione umana, né con ambizioso e vuoto apparato di umana eloquenza, ma con la manifestazione dello spirito e della virtù, in modo che trattando rettamente la parola della verità, e non predicando se stessi, ma Cristo Crocifisso, apertamente e chiaramente con grave e limpido linguaggio, secondo la dottrina della Chiesa cattolica e dei Padri annunzino ai popoli i dogmi ed i precetti della nostra santissima Religione, spieghino accuratamente i particolari doveri di ciascuno, ispirino in tutti l’orrore della colpa, infiammino alla pietà, affinché i fedeli, salutevolmente ristorati con la parola di Dio, evitino i vizi, seguano le virtù, fuggano le pene eterne, e siano fatti capaci di conseguire la gloria celeste. – Con la Vostra pastorale sollecitudine e prudenza avvertite, eccitate sempre gli ecclesiastici tutti a meditare quale ministero abbiano ricevuto nel Signore, così che tutti adempiano diligentissimamente il proprio ufficio, amino soprattutto il decoro della Casa di Dio, e con intimo senso di pietà e senza interruzione preghino fervidamente, e secondo il precetto della Chiesa recitino le ore canoniche, con le quali possono impetrare per sé divini aiuti che li soccorrano nelle gravi incombenze del loro ufficio, e possano ancora rendere Dio placato e propizio al popolo cristiano. – Siccome poi, Venerabili Fratelli, alla Vostra sapienza non sfugge che la Chiesa non può avere idonei ministri se non da Chierici ottimamente cresciuti ed istruiti e che dalla loro istruzione per gran parte dipende tutto il corso del rimanente della loro vita, così tutto il nerbo del Vostro zelo episcopale sia principalmente indirizzato a questo: a che i giovani Chierici fin dai teneri anni siano correttamente ammaestrati nella pietà, nella solida virtù, nelle lettere e nelle più severe discipline, soprattutto nelle sacre. Per la qual cosa niente avrete più a cuore di procurare con ogni mezzo la istituzione dei seminari, secondo le prescrizioni dei Padri Tridentini, dove ancora non esistono; dove già sono istituiti vorrete, se sia necessario, ampliarli e fornirli di ottimi rettori e di maestri, e con attentissimo e continuo studio vegliare affinché i giovani Chierici vi siano santamente e religiosamente educati nel timore di Dio, nella disciplina ecclesiastica, nelle scienze sacre secondo la dottrina cattolica, scevre da ogni errore, nelle tradizioni della Chiesa, negli scritti dei Santi Padri, nelle sacre cerimonie, nei riti; così potrete avere forti ed industriosi operai i quali, di animo veramente sacerdotale rettamente avviati negli studi, abbiano forza di coltivare diligentemente nella calamità il campo del Signore, e di combatterne strenuamente le battaglie. – Oltre a questo, conoscendo quanto valga a conservare la dignità e la santità dell’ordine ecclesiastico il pio istituto degli esercizi spirituali, il Vostro zelo episcopale curerà sommamente questa salutare opera, né tralascerete di ammonire e di esortare tutti coloro che sono chiamati al servizio divino, affinché spesso si ritraggano in santa solitudine per deporre le cure esteriori e, con la meditazione delle cose eterne e divine, si purifichino dalle macchie contratte tra la polvere mondana, e possano rinnovare lo spirito ecclesiastico e, spogliato l’uomo vecchio, con le sue opere rivestire il nuovo che è creato in giustizia e santità. – Né Vi rincresca se alquanto più lungamente Ci siamo intrattenuti intorno alla educazione ed alla disciplina del Clero. Non ignorate, infatti, che vi sono molti i quali, infastiditi per la incostanza e mutabile varietà degli errori, sentono la necessità di professare la nostra Religione santissima, e tanto più facilmente saranno condotti con l’aiuto di Dio ad abbracciarne la dottrina, i precetti, i consigli, quanto più vedranno risplendere la pietà e l’integrità del Clero, congiunte alla sapienza ed ai virtuosi esempi. – Del resto non dubitiamo, carissimi Fratelli, che Voi tutti, accesi d’ardente carità verso Dio e verso gli uomini, infiammati di sommo amore per la Chiesa, forniti di virtù quasi angeliche, armati di zelo episcopale e di prudenza, congiunti in un medesimo desiderio di santa volontà, seguiterete le orme degli Apostoli ed imiterete, come a Vescovi si conviene, Gesù Cristo, esempio di tutti i Pastori, del quale siete ambasciatori. – Per confermare a Voi medesimi gli animi del Vostro gregge, illuminare con lo splendore della Vostra santità il Clero ed il popolo fedele, vorrete mostrarvi ricchi di misericordia, e compatendo coloro che ignorano ed errano, cercherete con amore le pecore che si smarriscono, secondo l’esempio del Pastore evangelico e, ponendole con paterno affetto sulle Vostre spalle, le ricondurrete all’ovile, non cedendo a cura o fatica, perché verso tutte le anime a Noi care, redente col sangue preziosissimo di Cristo, e raccomandate alle Vostre cure religiosissimamente, adempiate tutti gli uffici della dignità pastorale col difenderle dall’impeto e dalle insidie dei lupi rapaci, con il ritrarle dai pascoli avvelenati, con l’avviarle a quelli salubri e sicuri, con il sospingerle tutte mediante le opere Vostre, con la parola e con l’esempio nel porto della salvezza eterna. – Attendete dunque virilmente, Venerabili Fratelli, a procurare la gloria di Dio e della Chiesa, e con ogni alacrità, sollecitudine, vigilanza, in questa opera tutti insieme adoperatevi affinché, banditi completamente gli errori e divelti i vizi dalle radici, la fede, la Religione, la pietà e la virtù prendano sempre maggiore incremento, e tutti i fedeli, rifiutando le opere delle tenebre, come figli della luce camminino degnamente piacendo a Dio in tutte le cose, e fruttificando di ogni opera buona. Fra le massime angustie, le difficoltà, i pericoli che non possono specialmente in questi tempi mancare al Vostro gravissimo ministero episcopale, non vogliate spaventarvi, ma prendete conforto nel Signore e nella potenza della virtù di Colui “che riguardandoci dall’alto intenti alla difesa del suo nome, rafforza i volenterosi, aiuta i combattenti, corona i vincitori” . Siccome poi non può esservi cosa a Noi più gradita né più desiderabile che l’aiutare con ogni affetto, opera e consiglio Voi che amiamo nelle viscere di Gesù Cristo, ed insieme con Voi difendere e propagare la gloria di Dio e la fede cattolica, e far salve le anime per le quali siamo pronti, se sia necessario, a dare la vita stessa, venite Fratelli, ve ne preghiamo e ve ne scongiuriamo, venite con grande animo e con grande fiducia a questa Sede del Beatissimo Principe degli Apostoli, centro della Unità Cattolica, fonte ed apice dell’Episcopato e di tutta la sua autorità; venite a Noi in qualunque momento avrete bisogno dell’aiuto, del conforto e dell’appoggio dell’autorità Nostra e della medesima Santa Sede. Noi Ci confortiamo nella speranza che i Principi, carissimi figli Nostri in Gesù Cristo, per la loro pietà e Religione ricorderanno come la “Regia potestà è a loro conferita non solamente per governare il mondo, ma specialmente quale sostegno della Chiesa” , e che Noi “trattando la causa della Chiesa trattiamo quella del loro regno e della prosperità e della pace delle loro Province” . Sicché confidiamo che mediante l’aiuto e l’autorità loro assecondino i comuni Nostri voti, consigli e premure, e difendano la libertà e l’incolumità della Chiesa medesima “affinché il loro Potere sia difeso con la destra di Cristo” . – Affinché tutte queste cose avvengano felicemente e prosperamente secondo la Nostra attesa, accostiamoci con fiducia, Venerabili Fratelli, al trono della grazia, e con fervorose preghiere senza intermissione scongiuriamo nella umiltà del Nostro cuore il Padre delle misericordie, ed il Dio di ogni consolazione, che per i meriti dell’Unigenito suo Figlio si degni confortare, con l’abbondante copia dei celestiali favori, la Nostra debolezza, e con la Sua onnipotente virtù riduca in pace coloro che Ci combattono, e dovunque accresca la fede, la pietà, la devozione, la concordia; con che la santa sua Chiesa, eliminati interamente le avversità e gli errori, goda la sospirata tranquillità e sia un solo ovile ed un solo Pastore. – Perché poi il clementissimo Signore più facilmente ascolti le Nostre preghiere ed esaudisca i Nostri voti, poniamo sempre per intermediaria presso di Lui la Santissima Madre di Dio, l’Immacolata Vergine Maria, che di noi tutti è madre dolcissima, mediatrice, avvocata, speranza sicurissima e fedelissima, del cui patrocinio nessuna cosa è presso Dio più valida e pronta. Invochiamo ancora il Principe degli Apostoli, al quale lo stesso Cristo consegnò le chiavi del Regno dei Cieli, e che stabilì pietra della sua Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non potranno prevalere giammai; invochiamo insieme a lui il coapostolo Paolo, e tutti i Santi del Cielo che, già coronati, posseggono la palma, affinché ottengano la desiderata abbondanza della divina grazia a tutto il popolo cristiano. – Infine, ad auspicio di tutti i doni celesti e a testimonianza del Nostro principalissimo affetto verso Voi, ricevete l’Apostolica Benedizione che dall’intimo del Nostro cuore, Venerabili Fratelli, diamo a Voi, a tutto il Clero ed ai fedeli affidati alla Vostra cura.

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Dato in Roma il 9 novembre 1846, anno primo del Nostro Pontificato

Rapporti con gli acattolici

Essendo oggi i Cattolici romani [quelli “veri”, in comunione con Gregorio XVIII e la gerarchia in esilio] nella nuova situazione, per la quale si trovano ad essere circondati dalla quasi totalità di a-cattolici del “novus ordo” e di settari eretico-scismatici di varie fogge (fraternità non-sacerdotali, istituti e chiesuole varie), è bene istruirsi sul modo di comportarsi con essi [spesso anche amici e familiari] riferendosi a quanto la Santa Madre Chiesa ha sempre disposto per la salute delle anime, affinché conservino la vera fede cattolica e possano così sperare degnamente nella vita eterna che, come è certo, solo si conquista con la fede in Gesù-Cristo e l’appartenenza all’unica Chiesa di Cristo (Extra Ecclesia nulla salus!). Lo scritto riportato è di Eriberto Ione O.F.M. Capp., ed è tratto da: “Compendio di Teologia Morale”, 5° ediz. – Marietti ed., 1961, un testo classico di riferimento accreditato, con “imprimatur” e “nihil obstat”, dalla dottrina sicura ed approvata dalla Chiesa Cattolica!

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I rapporti con gli acattolici.

Il contatto con gli acattolici può avvenire nella vita civile (communicatio civilis) oppure in atti di culto (communicatio in sacris).

La comunicazione civile con persone di altra fede è permessa fino a tanto che non ne derivino pericoli per la fede. – A causa dei pericoli per la fede, può essere proibito di restare in servizio presso persone di fede diversa, o di far parte di determinate società o di frequentare scuole acattoliche (cfr. n. 202). – Sono proibite le dispute o conferenze con acattolici su argomenti religiosi, specialmente se pubbliche, quando si tenessero senza l’autorizzazione della S. Sede o, nei casi urgenti, dell’Ordinario del luogo (can. 1325, § 3), perché nascondono in sé dei pericoli. – E pure vietata la partecipazione a riunioni, congressi, conferenze o società, aventi lo scopo di riunire in una sola alleanza religiosa tutti quelli che si chiamano cristiani; anzi è proibito persino promuovere tali iniziative (S. Uff., 8 luglio 1927, AAS, X I X , 1927, p. 278). – Sono proibite anche le cosiddette conferenze ecumeniche (S. Uff., 5 giugno 1948, AAS, X L , 1948, p. 257); in questa proibizione rientrano tutte le conversazioni e riunioni, sia pubbliche sia private, tanto se svolte con vasta partecipazione quanto se ristrette a pochi individui (S. Uff., 20 die. 1949, AAS, XL IL 1950, p. 142-147). Si presuppone tuttavia che tali adunanze avvengano dietro accordo, allo scopo preciso che la parte cattolica e quella acattolica, equiparate nella posizione dei vari problemi, trattino questioni riguardanti la fede e i costumi, esponendo ciascuna la dottrina del proprio credo come sua concezione personale. — Ai vescovi non di meno si suole concedere per un triennio la facoltà di permettere simili riunioni e conversazioni di indole locale, con le opportune cautele: per es. resta sempre proibita ogni « communicatio in sacris »; tuttavia non è proibito che all’apertura e alla chiusure delle adunanze si reciti in comune il Pater noster o altra preghiera approvata dalla Chiesa cattolica. — Per conferenze, invece, e riunioni interdiocesane. nazionali e internazionali si esige sempre, in ogni singolo caso, il previo consenso della S. Sede. A tali riunioni il vescovo della diocesi curerà di inviare soltanto sacerdoti veramente competenti in materia, i quali siano in grado di esporre e di difendere la dottrina cattolica in forma chiara e convincente. I fedeli non possono prendere parte a queste adunanze e conversazioni, se non avranno prima ottenuto il permesso speciale dall’autorità ecclesiastica, che lo concederà soltanto a coloro che siano bene istruiti nella dottrina cattolica e saldi nella fede. – Nei territori di religione mista viene concessa in genere la facoltà di permettere simili conversazioni fra teologi cattolici e acattolici; competente per tale permesso è il vescovo della diocesi in cui si tengono queste conversazioni, oppure il vescovo delegato, di comune accordo, dagli altri vescovi a dirigerle. – Non sono proibite le dispute casuali, che per es. avvengono durante un viaggio, e neppure sono vietate le conferenze apologetiche, anche con contradditorio, in modo che i partecipanti possano presentare obiezioni e difficoltà. — Tanto meno dall’Istruzione del S. Ufficio del 20 dic. 1949 sono proibite quelle adunanze miste di cattolici e di acattolici, in cui non si trattano affatto argomenti circa la fede e i costumi, ma i loro partecipanti, unendo le forze, si consultano sul modo di difendere i principi di diritto naturale e il patrimonio della fede e della moralità cristiana contro gli attuali nemici di Dio; oppure quando in esse si tratta della ricostruzione di un sano ordinamento sociale e di simili questioni. È evidente che in queste riunioni ai cattolici non è lecito approvare o ammettere teorie che siano in contrasto con la rivelazione divina o con l’insegnamento della Chiesa, benché riguardanti soltanto questioni sociali.

La comunicazione in atti di culto ha luogo quando i cattolici partecipano agli atti di culto degli acattolici o permettono che gli acattolici partecipino agli atti di culto cattolico.

La partecipazione dei cattolici agli atti di culto degli acattolici può essere attiva o passiva.

a) La partecipazione attiva agli atti di culto degli acattolici è assolutamente proibita (can. 1258, § 1).

Se si tratta di partecipazione ad atti di culto che sono eretici in sè, la partecipazione è proibita già dalla legge naturale. Riguardo ad atti di culto che gli eretici hanno comuni con i cattolici, la partecipazione, anche se non ne deriva alcuno scandalo, è proibita almeno dalla legge ecclesiastica. È, quindi, illecito chiedere ad un eretico di amministrare il battesimo, e ad un cattolico fare da padrino al battesimo di eretici (anche per procuratore). Inoltre, è proibito fare da testimonio in uno sposalizio davanti al ministro di religione acattolica; ricevere la Comunione dalle mani di uno scismatico. — In pericolo di morte, però, è lecito farsi amministrare un sacramento da un ministro acattolico, se non vi sia nessun cattolico che possa somministrarlo, e non ne derivi scandalo o pericolo di perversione. Similmente, è permesso, ottenutane la dispensa, farsi amministrare il sacramento del matrimonio da parte acattolica in un matrimonio misto e di amministrarglielo; non è mai lecito, però, che si faccia davanti al ministro del culto acattolico. – È pure proibito cantare insieme nelle funzioni religiose degli acattolici, suonarvi l’organo o altri strumenti.

— Invece, non è proibito recitare privatamente con eretici preghiere scevre d’errori o di cantare canzoncine buone, se non si ha da temere che ne derivi scandalo.

Chi, contro le disposizioni del can. 1258, partecipa agli atti di culto degli eretici, è sospetto di eresia (can. 2316).

b) La partecipazione passiva ad atti di culto degli acattolici è permessa, quando la consigliano gravi ragioni d’ufficio o di cortesia e ne è escluso il pericolo di perversione o di scandalo (can. 1258, § 2). – Nella nozione di assistenza passiva s’include il non pregare e il non cantare insieme, ecc. – Con tali restrizioni, quindi, è lecito assistere al battesimo amministrato da un eretico, o a un matrimonio contratto davanti a ministro acattolico, o a un funerale. Si può anche lecitamente visitare un tempio acattolico. Se, in una regione, esiste da lungo tempo l’eresia, può anche essere talvolta permesso assistere alle funzioni religiose per pura curiosità. —

Similmente, può un domestico o una domestica, dietro richiesta, accompagnare i padroni alle funzioni religiose acattoliche. Quando i soldati o i prigionieri vengono comandati di andare alle funzioni religiose acattoliche, possono ubbidire, se il comando non fu dato in odio della fede, ma solo per ragione di disciplina. — Ascoltare prediche acattoliche può essere spesso proibito a motivo dello scandalo che ne deriva o del pericolo per la fede. Tale pericolo si verifica pure ascoltando le prediche solo per radio, specialmente se ciò accade spesso.

2 ° La partecipazione degli acattolici ad atti di culto cattolico può essere parimenti attiva e passiva.

a) La partecipazione attiva degli acattolici a funzioni religiose cattoliche è proibita, in quanto può indurre qualcuno nella persuasione che la fede cattolica non sia essenzialmente diversa da quelle acattoliche e in quanto promuove l’indifferentismo. È proibito che gli eretici facciano da padrini nel battesimo di un cattolico; e in quanto appartengono a una setta, non possono neppur validamente fare da padrini (can. 765). Per un grave motivo, però, possono fare da testimoni nel matrimonio, purché non ne risulti scandalo alcuno.

— Circa l’amministrazione dei sacramenti in pericolo di morte a coloro che sono in buona fede, cfr. n. 566 e 637. [Confessione ed estrema unzione –ndr.-]

— Non è neppure lecito amministrare loro pubblicamente i Sacramentali. Perciò, è vietato dare loro le candele benedette il giorno della Purificazione, le Sacre Ceneri il giorno delle Ceneri, le Palme benedette la Domenica delle Palme. Mentre non è vietato dare loro privatamente dell’acqua santa o una medaglia benedetta, ecc., oppure dare loro delle benedizioni per impetrare ad essi la luce della fede e contemporaneamente la salute del corpo (can. 1149). (Cfr. n. 791).

— È pure proibito far loro portare i lumi durante le funzioni liturgiche, recitare alternativamente con essi l’Ufficio divino corale, farli partecipare ai canti liturgici. Per circostanze eccezionali, è stato permesso dal S. Ufficio che fanciulle scismatiche cantassero con quelle cattoliche durante le funzioni liturgiche. — Se non si può avere alcun organista cattolico, si può temporaneamente valersi di uno acattolico, quando non ne risulti scandalo. — Il sacerdote cattolico non può accompagnare alla sepoltura ufficialmente la salma di un eretico. Per gravi ragioni, e presupposto che non ne derivi scandalo alcuno, potrebbe come persona privata seguire il feretro e recitare alcune preghiere sulla tomba.

  1. b) Passivamente si possono far partecipare gli acattolici alle funzioni sacre. È lecito anche invitarli alle nostre prediche.

Nota.

.1° Circa la prossima o remota cooperazione ad atti di culto, cfr. n. 150.

.2° L’accettazione di un acattolico nella Chiesa cattolica si compie ottimamente nella seguente forma: a) Istruire profondamente nella fede cattolica; – b) Investigare sulla validità del precedente battesimo acattolico; cfr. n. 475. – c) Riferire il caso all’Ordinario: cfr. form, n. 810. In tale relazione si chiede, a nome del convertito, che sia accettato nella Chiesa. Quando un adulto debba essere battezzato sotto condizione, di solito si chiede contemporaneamente la facoltà di poter amministrare il battesimo senza le cerimonie solenni, se non si abbia tale facoltà per diritto consuetudinario o per disposizioni generali del vescovo. Nel caso di persone che abbiano compiuto i sette anni, per sé si debbono usare le cerimonie del battesimo degli adulti; cfr. n. 488.

d) L’atto dell’accettazione: questo varia secondo che il convertito debba essere battezzato in modo assoluto o sotto condizione o non lo debba affatto. – Nella maggioranza dei casi, spetterà al vescovo giudicare se e come debba essere amministrato il battesimo; solo quando non esiste assolutamente alcun dubbio in merito, il sacerdote stesso può decidere. Quando le ricerche siano impossibili, si può conferire il battesimo sotto condizione. – α) Se il battesimo si amministra in forma assoluta, non si richiede nient’altro che il battesimo. – Quindi non si richiede l’abiura e neppure l’assoluzione dalle censure e dai peccati. Il sacerdote stia comunque attento che il battezzando abbia il dolore dei peccati personali.

β) Se il battesimo viene amministrato sotto condizione, dopo le preghiere indicate nel rituale diocesano, si emette innanzi tutto la professione di fede, segue il battesimo sotto condizione, indi la confessione e l’assoluzione condizionata. – Il formulario per la professione di fede viene dato ordinariamente dalla Curia o si trova nel Rituale diocesano. Per ciò che riguarda la emissione della professione di fede, si stende un protocollo che viene sottoscritto dal convertito, da due testimoni e dal sacerdote delegato (cfr. formulario n. 817). Alcune Curie diocesane ordinano anche l’assoluzione condizionata dall’eresia. — L’accusa dei peccati può anche precedere il battesimo condizionato, affinché il convertito venga meglio disposto al pentimento; ma l’assoluzione condizionata dei peccati deve seguire il battesimo. Poiché, però, un convertito sovente non si confessa dal sacerdote che lo battezza, quest’ordine di cose sarà spesso impossibile.

β) Se non è necessario il battesimo, dopo la professione di fede segue prima in foro esterno l’assoluzione dalla scomunica incorsa, poi la confessione sacramentale.

L’assoluzione dalla scomunica per causa dell’eresia data in foro esterno, vale anche per il foro interno (can. 2251). – Se il formulario non è contenuto nel Rituale diocesano, di solito viene trasmesso dalla Curia vescovile. — Per la validità del resto non è prescritta formula alcuna determinata. Chi non ha compiuto il 14° anno d’età, non è incorso nella censura, e perciò non ha bisogno di esserne assolto.

e) Dopo l’accettazione, un adulto ha da assistere subito alla Messa e in essa comunicarsi, eccetto che vi si oppongano gravi e urgenti motivi (can. 735, § 2 ) . L’espressione « subito » può essere presa moralmente. Un motivo ragionevole basta, affinché la cosa non debba avvenire immediatamente. — Poi, a tempo stabilito, segue la cresima. In caso di matrimoni divenuti per tal modo interamente cattolici, si potrebbe anche riprendere la benedizione nuziale e la « Missa pro sponsis ».

— In pericolo di morte, quando la cosa urge, basta registrare su protocollo, possibilmente dinanzi a due testimoni, la petizione di ammissione nella Chiesa; a ciò segue la professione di fede, la quale si può ottenere facendo opportune domande. — Ogni sacerdote ha la facoltà di assolvere in pericolo di morte da ogni censura e peccato (cfr. n. 433, 587). Per evitare difficoltà, in caso di sepoltura, si comunica la conversione al ministro acattolico (cosa che più opportunamente faranno i parenti). In fine si manda alla Curia vescovile una accurata relazione di tutto.

 

La CHIESA CATTOLICA condanna e vieta espressamente la CREMAZIONE .

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L’obbrobrio della cremazione viene oggi fatto passare come pratica approvata dalla Chiesa Cattolica. Innanzitutto, ciò che viene sbandierato dai media di regime massonico, non è di fede cattolica, ma di fede marrano-modernista appannaggio della falsa chiesa conciliare, o meglio del tempio masso-liberista, sinagoga di satana. Ma poiché molti non sanno, non capiscono, o non voglio capire, ci intratteniamo con questo scritto, sull’ennesimo abominio modernista anticattolico, quindi ulteriore via per finire dritti nel fuoco eterno preparato per gli angeli ribelli e per coloro che lottano contro Cristo e la sua Chiesa [anche se inconsapevolmente … colpevolemente però!]. Per chiarire le idee a tanti inebetiti allocchi colpevolmente ignoranti, ricorriamo, come al solito, alla Enciclopedia Cattolica, l’ultima opera cattolica edita in Vaticano nel 1950 [oggi uno dei centri “direzionali” della Massoneria mondiale], coll. 838-841 del vol. IV, voce: CREMAZIONE., redatta addirittura da mons. Pietro Palazzini, quando ancora era nella Chiesa Cattolica, prima di essere nominato  non-Cardinale della falsa chiesa del novus ordo, dall’anti-Papa Montini [i cui atti sono quindi tutti invalidi, comprese le nomine cardinalizie].

CREMAZIONE

[Enciclop. Cattolica, C. d. V. 1950]

La voce crem. (dal lat. Crematici = abbruciamento) è stata riservata dall’uso all’atto dell’abbruciamento del cadavere umano. Il quale atto, com’è praticato oggi nei nostri paesi, è una combustione del cadavere pronta, completa e secondo la tecnica scientifica, mentre presso i popoli meno civili è un incinerimento più o meno completo con speciale cerimoniale religioso, com’era presso gli antichi. Secondo una simbologia, piuttosto convenzionale, l’incinerimento sembra voler significare che i corpi sono per sempre risoluti e dispersi, mentre il rito contrario dell’inumazione accompagna l’idea della morte equiparata a sonno, ed esprime con più aderenza la fede cristiana nella finale risurrezione. Ciò come espressione simbolica, non come realtà. In via assoluta infatti la crem. non è contraria a nessuna verità naturale o rivelata; molto meno è tale da costituire un ostacolo all’onnipotenza di Dio per la resurrezione dei corpi. E neppure può dirsi che leda in qualche modo i diritti della persona umana. Il cadavere non è più persona e quindi non è più per sé ed in sé essenzialmente inviolabile. Di fatto però la crem. è ripugnante alla disciplina della Chiesa fin dai suoi primi inizi, contraria agli squisiti sensi di pietà cristiana verso i defunti; mentre il rito contrario, l’inumazione, per unanime, ininterrotto, tradizionale insegnamento, è assurto ad una aderente significazione dell’immortalità dell’anima, della fede nella risurrezione della carne; ad un richiamo palese di avvenimenti ed insegnamenti biblici, già operanti nella tradizione giudaica, come dell’idea del corposeme ( Cor. XV, 36-44), della terra madre (Ger. III, 19; Iob. I, 2 1 ; Eccli. XL, 1), della morte-riposo e sonno (Dan. XII, 2 ; Io. XI, 11-39). Un pagano del II sec. diceva dei cristiani « execrantur rogos, et damnant ignium sepulturas » (Minucio Felice, Octavius, cap. 11: PL 3, 267). E ne faceva noto anche il motivo: la fede nella risurrezione della carne. Non si tratta dunque di una semplice consuetudine, contraria ai roghi, ma di una esecrazione, di una condanna fatta per principio religioso e così aperta da essere nota anche ai pagani. I quali, appunto per fare insulto alle convinzioni cristiane, non raramente si accanivano contro le martoriate spoglie dei martiri, incinerendole (Eusebio, Hist. eccl., V, capp. 1 e 2, PG 20, 433). – I cristiani si ritenevano gravemente ingiuriati per lo scempio fatto ai cadaveri dei loro fratelli e gli apologisti protestavano, pur facendo capire di non aver nulla a temere per la resurrezione. – Sono state tuttavia rinvenute in cimiteri cristiani urne cinerarie c resti combusti; ma il luogo di invenzione, spesso sotto cimiteri pagani, e le iscrizioni, nessuna delle quali finora è stata riscontrata cristiana, ci autorizzino senz’altro a ritenere che le dette urne cinerarie provengano per frane dai soprastanti monumenti funerari pagani (cf. O. Marucchi, Manuale di archeologia cristiana, Roma 1933. P- 201). – Materialismo, superstizione, incongruenze ridicole, tutto concorreva ad alienare l’animo dei cristiani dalla crem., oltre gli inutili maltrattamenti, a cui era sottoposto il cadavere. La consuetudine cristiana dell’inumazione, già in uso tra gli Ebrei, prende piede anche nel mondo pagano contro la pratica del rogo, proporzionalmente al diffondersi della fede cristiana e si estende ad ogni qualità di persone, anche le più alte, che avessero abbracciato il cristianesimo. I convertiti al cristianesimo, anche se di nobile casato, al fasto del rogo preferivano i loculi cimiteriali cristiani, mentre la liturgia della Chiesa si orientava tutta al rito dell’inumazione, riecheggiando gli alti significati che la tradizione ha dato alla deposizione del cadavere sotterra. – Con la vittoria della Chiesa tra la fine del IV e l’inizio del V sec, cessa la crem. nell’Impero romano. – La stessa rarità o quasi assenza della documentazione canonica in materia, è indice della assenza di abusi. Le testimonianze indirette dei concili, che legiferano in materia funeraria ci documentano la consuetudine universale di inumare i cadaveri (C. 28, C. XIII , q. 2 ). – Anche fuori dell’Impero romano i roghi sono scomparsi generalmente in ogni paese, ove è penetrato il cristianesimo. – I Sassoni renitenti ad abbandonare la crem., ne sono pressati da un capitolare di Carlo Magno del 789 (ed. Boretius, I , 69). Prima di loro avevano abbandonato la crem. i Turingi e dopo gli Scandinavi, i Norvegesi, gli Svedesi, i Danesi (1205) ed i Prussiani (1245). – Dopo il mille una strana usanza funebre si era andata diffondendo in Europa, che in qualche maniera aveva punti di contatto con la crem. Si scarnificavano artificialmente i cadaveri, previa cottura, perché più facilmente le ossa ripulite potessero essere trasferite da un luogo ad altro. Simile trattamento fu applicato al figlio dell’imperatore Conrado, all’arcivescovo di Colonia, Rainaldo (1162), a Federico I , il Barbarossa (1167) e ad alcuni suoi dignitari, a S. Luigi IX di Francia (1270) a Teobaldo, re di Navarra, Isabella d’Aragona, Filippo IV di Francia, e ad altri (Aimoino, De gestis Francorum, V, Parigi 1514, cap. 55). Una decretale di Bonifacio VIII (1299) colpisce di scomunica « latae sententiae », riservata alla S. Sede, i.mandanti e gli esecutori di tale operazione; privando insieme il corpo, così trattato, di sepoltura ecclesiastica (c. 1, De sepulturis, III, 6, in « Extravag. Comm.). La decretale nel suo testo e contesto è anche una condanna implicita della crem. – La condanna ottenne i l suo effetto, perché per secoli non si hanno più tracce di nuovi abusi. Sarà l’atteggiamento decisamente anticristiano dei cremazionisti odierni e dei loro sodalizi pro-crem. che susciterà per un fatto, in sé non strettamente legato con la dottrina, l’avversione dei credenti e le esplicite condanne della Chiesa. – Le origini del moderno movimento per la crem. si vogliono ricollegare con la Rivoluzione del sec. XVIII. Vi fu infatti un progetto di legge al Consiglio dei Cinquecento (11 nov. 1797), per ottenere che fosse resa facoltativa la crem., ma la cosa fu respinta. I tentativi saranno però ripresi più tardi nei vari Stati europei e con un certo successo. La massoneria ha molte responsabilità al riguardo. Pur non potendosi, per insufficenza di prove, imputarle la genesi di tale movimento, è certo che lo ha favorito in tutti i modi per spirito soprattutto anticlericale, curando di dargli quel carattere di indipendenza e di spirito di libertà di pensiero, di svincolamento da tradizioni religiose che è stata la causa principale delle condanne della Chiesa. Il vero lancio dell’idea cremazionista si ebbe in Italia nel 1857 ad opera di Ferdinando Coletti, un medico che fu seguito da vari colleghi; e nel 1867 formava oggetto di una proposta parlamentare non ammessa però alla lettura, ad iniziativa dell’on. Salvatore Morella celebre divorzista. Ma le proposte ripetute ebbero successo col decreto del 1874, il cui art. 67 permette la crem. come cosa, tuttavia eccezionale: da cosa eccezionale, grazie alla propaganda ed alle pressioni di una trentina di società cremazioniste, sorte nel frattempo, passava ad essere facoltativa con decreto del 1892. – Dopo il suo quarto d’ora di fortuna nel secolo scorso la c. è oggi in regresso in Italia. [Oggi le logge massoniche del Vaticano post-conciliare, in combutta con le logge a prevalenza giudaica, l’hanno riportata in auge – ndr. -]. Negli altri paesi gli inizi della campagna cremazionista si ebbero pure nel secolo scorso, e quasi dappertutto risulta il carattere storicamente antireligioso della crem. La crem. trovò traccia anche nelle altre legislazioni: fu ammessa in Francia (1887), in Belgio (1932), nella Spagna rossa (1932), nel Portogallo (1910), i n Danimarca (1892), in Cecoslovacchia (1919), in Inghilterra (1904), Finlandia (1926), Austria (1922), in molti degli Stati dell’America del nord, nell’Argentina (1886) ecc. All’avanguardia della prassi cremazionista sta forse la Svezia seguita dalla Norvegia, Svizzera (dove la legge in proposito è cantonale) e Germania. La Chiesa protestante si è mostrata in proposito molto conciliante, avversa invece la chiesa ortodossa e più di tutte la Chiesa cattolica. Ma non già per partito preso. -Difatti proprio in questo secolo la Chiesa dava prova di tolleranza in materia con i neofiti dell’India, permettendo ai suoi ministri di rimanere passivi, pur senza approvare, di fronte a casi di crem. di cadaveri di cristiani, promossa da parenti pagani per ragioni di prestigio di casta. E ciò per non porre ostacoli alla loro conversione (Collectanea S. Congr. de Propaganda Fide, n. 1626-27 sett. 1884). Intransigente invece si mostrò per opposte ragioni di fronte ai cremazionisti dei paesi cattolici nei quali era evidente il proposito di scristianizzare. Nel I° documento che è della S. Congregazione del S. Uffizio in data 19 maggio 1886 la Chiesa condanna la crem. come un detestabile abuso, proibisce di destinare per testamento o convenzione con le società di crem., o comunque, il proprio cadavere alla crem. o di far cremare quello degli altri; proibisce di appartenere a società cremazioniste, che, se affiliate alla massoneria, soggiacciono alle pene ecclesiastiche comminate contro quest’ultima (Acta Sanctae Sedis 19 [1886], p. 46). Il 15 dic. dello stesso anno usciva un altro decreto della medesima Congregazione, che interdiceva ai sacerdoti l’accesso al forno crematorio per compiervi i riti sacri, pur permettendoli, nella, casa del defunto o in Chiesa, qualora la c. avesse luogo per volontà dei superstiti. Che, se la c. avviene per destinazione del defunto, mantenuta fino alla morte, egli è privato della sepoltura ecclesiastica.Sorgevano in seguito a questi decreti molte questioni morali relative ai Sacramenti, ai suffragi ed alla cooperazione; questioni che venivano affrontate nel decreto del S. Uffizio del 27 luglio 1892. Con questo si interdiceva di amministrare i Sacramenti ai fedeli che senza essere massoni, avevano optato per la crem. e non volevano ritrattarla anche in seguito ad ammonizione; e si proibiva di applicare per loro pubblicamente la Messa in caso di decesso; si dichiarava illecita, pena l’interdizione dei Sacramenti, la cooperazione alla crem., fatta con l’animo da trasgredire il precetto ecclesiastico, pur tollerandosi la cooperazione materiale, qualora venisse tolto dalle cerimonie per la c. qualsiasi segno di aderenza alla setta massonica o di ostilità alla Chiesa (Collectanea S. Congr. De Propaganda Fide, n. 1808).Coerente a questi principi sulla cooperazione è l’istruzione del S. Uffizio del 3 ag. 1897, con cui rispondendosi alla superiora delle suore « a Matre Dolorosa », si tollerava, se eseguito dietro ordine espresso del medico, l’incenerimento di membra amputate, pur raccomandandosi, se possibile, la sepoltura in luogo benedetto (Acta Sanctae Sedis, 30 [1897] p. 630). Il codice di diritto canonico ritiene i principi e le istruzioni dei predetti decreti, ed alla loro luce vanno interpretati i canoni relativi. Il can. 1203 § 1 prescrive il seppellimento dei cadaveri, riprova la crem. e dichiara irrita la volontà del defunto, che avesse lasciato mandato in qualsiasi maniera per la crem. del suo cadavere, interdicendo la cooperazione alla crem. stessa a norma del decreto del 1892. È questa irritazione della volontà del defunto l’unico elemento nuovo della legislazione canonica. – La pena per chi, in qualunque modo, abbia dato disposizione che venga cremato il proprio cadavere, e non l’abbia ritrattata, è a norma del can. 2291 n. 5 e 1240 § 1 e 5, la privazione della sepoltura ecclesiastica, e quindi, a norma del can. 1204, dell’accompagnamento alla Chiesa, delle esequie e della deposizione in luogo sacro.- Conseguentemente il defunto sarà privato di qualunque messa esequiale, anche anniversaria (can. 1241). – La privazione della sepoltura ecclesiastica rimane in vigore come pena, anche se la crem. di fatto non sia eseguita, qualora risulti che il defunto abbia perseverato fino alla morte nel suo proposito di crem. Qualora sia dubbia questa volontà la sepoltura ecclesiastica non viene interdetta. Cosi non viene proibita, se la crem. è eseguita contro la ritrattazione dell’autore o senz’altro contro qualsiasi precedente volontà del defunto; ma occorre allora prevenire lo scandalo, il che potrà ottenersi anche rendendo pubblica la vera volontà del defunto, e occorre ancora seppellire le ceneri, a modo di inumazione di cadavere. L’accompagnamento di un cadavere al forno crematorio può riguardarsi non come un atto di religione, ma come un dovere di civili onoranze e sotto questo aspetto, anche se ci fosse il ministro acattolico, a norma del can. 1258 § 2 sarà lecito. Se negata la sepoltura ecclesiastica, si è chiamato un ministro acattolico, chi lo ha fatto è sospetto di eresia e non può essere ammesso ai Sacramenti, se non dopo aver riparato lo scandalo (risposta del S. Uffizio al vescovo di Linz, 25 febbr. 1926; AAS, 18 [1926], p. 282). – Le società di crem. sono certamente proibite, ma non sub censura a meno che non siano affiliazioni della massoneria. Anche gli acattolici, a norma del c. 12, sono tenuti ad osservare le leggi della Chiesa sulla crem. – Nel giugno del 1926 un’istruzione del S. Uffizio gettava l’allarme su una ripresa della crem., richiamando quasi letteralmente i decreti del 1886 e ribadendo ancora una volta la dottrina della Chiesa. È opportuno però rilevare, a scanso di equivoci, che nel campo puramente disciplinare e rituale: se le circostanze lo richiedessero, la Chiesa potrebbe, senza contraddirsi, cambiare disposizioni. E anche oggi non trova nulla a ridire, qualora la crem. sia richiesta in circostanze straordinarie, come guerra, epidemie ecc. per una certa e grave ragione di bene pubblico, come non trovò nulla a ridire in passato contro la pena di morte, applicata per crem. – Oltre i motivi religiosi, contro la crem., sta un grave argomento di indole sociale, tratto dalla medicina legale, che ha tra i suoi oggetti di studio, il cadavere umano, anche per qualche tempo dopo il suo seppellimento, in seguito ad una morte, che possa apparire violenta o delittuosa. Ora la crem. distrugge con il cadavere una delle eventuali prove del delitto; è dunque anche socialmente pericolosa per una maggiore sicurezza data al delitto.

BIBL.: B. Biondelli, La c. dei cadaveri umani esaminata nella sua ragione morale, religiosa e politica, Milano 1874; J . Matteucci, La crem. dei cadaveri, combattuta nei suoi rapporti storici, chimici, e religiosi, Bologna 1875; A. Guidini, La crem. dei cadaveri nei rapporti igienici e morali, Milano 1875; A. Cadet, Hygiène, inumation, crémation ou incénération des corps, Parigi 1878; A. Rota, È ammissibile la crem. dei cadaveri? Scritti contro la crem., Venezia 1882; A. Chollet, La crémation, in Revue des sciences ecclésiastiques, 54 (1886), pp. 981 sgg. ; A. Besi, Inumazione e c. dei cadaveri, Padova 1886; E. Valton, s. v., in DThC, III, coll. 2310-23; J . Besson, Incinération, in DAFC, II, coll. 628-44; H. Leclercq, Incinération, in DACL, VII, coll. 502-508; E. P. Regatillo, Crematio cadaverum, in Sal Terrae, 17 (1928), pp. 706-13; C. S . , De crematione corporis humani, in Periodica de re mor. can. lit., 18 (1929), pp. 62-82; E. Voosen, De inhumatione, in Collationes Namurcenses, 26 (1932), pp. 349-62; V. Dalpiaz, De cadaverum crematione, in Apollinaris, 17 (1934), pp. 246-54; F. Abba, La crem, Torino 1936; N . lung, Crémation, in DDC, IV coli. 757-62; E. Righi-Lambertini, De vetita cadaverum crematione…, Venegono inf. 1948. –

Pietro Palazzini

MEDICINA . – A favore della crem. sono portati, dai fautori, argomenti d’indole storica, tecnica, igienica, sociale, politica e religiosa. In particolare: 1) L’aggravarsi del problema della sistemazione dei cadaveri nelle sempre più vaste necropoli annesse alle città, crescenti per il fenomeno dell’urbanesimo: così, p. es., mentre nel 1870 il cimitero del Verano a Roma occupava un superfice di 15 ettari, attualmente le aree cimiteriali complessive della città (Verano, Flaminio) e del suburbio coprono ca. 100 ettari. 2) La difficoltà pratica di sistemare il camposanto in condizioni di ubicazione e orientazione tali da riuscire veramente non dannoso alla falda idrica sotterranea per le infiltrazioni nel sottosuolo o in rapporto alla direzione delle correnti atmosferiche dominanti, destinate a convogliare in direzione opposta all’abitato le esalazioni miasmatiche. Quantunque i competenti abbiano chiaramente dimostrato che un cimitero impiantato con tutte le regole dell’igiene non porta alcun danno al vicino abitato, bisogna riconoscere che praticamente non è facile risolvere il problema in maniera soddisfacente e son ben pochi i cimiteri non criticabili dal punto di vista igienico. Però, sia le ragioni addotte dal punto di vista dell’ingombro spaziale sia quelle d’indole igienica, se possono apparire a prima vista di notevole importanza, praticamente si rivelano non preoccupanti. Gli stessi cimiteri hanno una loro vita relativamente breve; pochi anni, al massimo una diecina, compiono nei morti quell’incenerimento che la fiamma produrrebbe in pochi istanti; la vita prepotentemente avanza e mentre la storia mostra che molte città sorsero e molti nuovi fertili campi furono conquistati dall’aratro, dove già i nostri avi trovarono pietosa sepoltura, non ha mai parlato di necropoli che soffocarono o inghiottirono città di viventi. Dal punto di vista igienico è dimostrato l’ottimo potere filtrante esercitato dalla terra sui germi patogeni più pericolosi (vaiolo, colera, tifo, ecc.); è dato d’osservazione che, ogni qualvolta scoppia un’epidemia, le fonti del contagio e della diffusione partono dai vivi e non dai morti; che non si assiste mai a risvegli di vecchie epidemie quando, nel periodo di sviluppo urbanistico del sec. XIX, i vecchi cimiteri furono travolti dal sorgere e dal dilatarsi dei nuovi abitati.

BIBL.: Documentation catholique, 23 (1930, 1), coli. 1363-1406; L . Maccone, Storia documentata della c. presso i popoli antichi e moderni, con speciale riferimento all’igiene, Bergamo 1931; E. Righi-Lambertini, Crem. o inumazione?, in La scuola cattolica, 1946, II , p. 132 sgg.; n i , p. 205 sgg.; 1947, 1, p. 28 sgg. Giuseppe de Ninno.

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Da questo scritto dell’Enciclopedia Cattolica si evince chiaramente che la cremazione è una pratica considerata abominio dalla Chiesa Cattolica, e pertanto proibita, tranne in caso di pubbliche calamità, con pene canoniche come si legge appunto nel Codice Canonico. Giova qui ricordare ai soliti “finti tonti”, gli ignobili e sacrileghi novatori del “conciliabolo roncallo-montiniano”, che il Codex Juris Canon. Pio-Benedettino del 1917 è parte integrante del Magistero della Chiesa Cattolica, quindi irreformabile ed eterno, essendo parte della Lettera Enciclica di S.S. Benedetto XV PROVIDENTISSIMA MATER – Pentecoste del 1917- [BOLLA che promulga il codex juris canonicus “… cui intendiamo attribuire validità perpetua, « promulghiamo il presente Codice, così come è stato redatto, e decretiamo e comandiamo che esso abbia d’ora in poi forza di legge per tutta la Chiesa », e lo affidiamo alla vostra salvaguardia e vigilanza.]. Codici successivi, promulgati da invalide pseudo-autorità [come gli apostati marrani antipapi del Novus Ordo], sono assolutamente invalidi, sacrileghi e blasfemi, parto distocico di lucifero. Pensare quindi semplicemente di essere cremato, costituisce peccato mortale degno del fuoco eterno; la cremazione impedisce addirittura la sepoltura ecclesiastica o in edifici sacri, indice quindi di estromissione dalla Chiesa cattolica, e pertanto sigillo sicuro di dannazione eterna. E chi afferma il contrario, anche se carnevalescamente addobbato con talare di colore porpora, rossa, nera o addirittura bianca, è un eretico, come tale estromesso dalla comunione della Chiesa Cattolica, quindi candidato certo all’eterna cremazione!

 

Scomunica e censura: nota da meditare attentamente!

Scomunica [da: Enciclopedia cattolica]

Il CIC definisce la scomunica (sc.) [2257, par.1]: “la censura che esclude il punito dalla comunione dei fedeli e che produce gli effetti elencati nei canoni seguenti” (cann. 2258 – 67). Ma la separazione dello scomunicato dalla comunione dei fedeli è più un ricordo del passato che una realtà effettiva: il vescovo scomunicato, ad es., continua ad essere il capo della propria diocesi con tutti i diritti inerenti.

Scomunica: Effetti. – Neppure è esatto che la scomunica produce effetti inseparabili e che essi vengono elencati nei cann. 2258-67. Gli effetti della scomunica sono molteplici e vengono sanciti in numerosi canoni, che non fanno parte del diritto penale. Essi poi sono più o meno gravi, secondo che la scomunica sia semplicemente incorsa, divenga notoria, sia inflitta o dichiarata con sentenza o decreto penale; gravissimi se lo scomunicato viene dichiarato « vitando ». A qualsiasi scomunicato è vietato di: a) ricevere i Sacramenti; b) fare e amministrare i Sacramenti e i sacramentali; c) assistere agli Uffici divini; d) porre gli atti legittimi ecclesiastici, di cui al can. 2256, n. 2°; e) esercitare le funzioni inerenti ad un ufficio o incarico ecclesiastico;) usufruire di un privilegio ecclesiastico; g) eleggere, presentare, nominare; h) conseguire dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi nella Chiesa;

1) porre atti di giurisdizione ecclesiastica. Egli non partecipa delle indulgenze, suffragi e preghiere pubbliche della Chiesa. Se viola la censura, ponendo un atto di ordine, riservato ai chierici in sacris, diviene irregolare (can. 985, n. 70 ) . Se poi persiste per un anno intero nella contumacia, è sospetto di eresia (can. 2340 §1), a tutti gli effetti di legge. Se il fedele è notoriamente incorso nella s. non può lecitamente fungere da padrino nel Battesimo (can. 766, n. 20) e nella Cresima (can. 796, n. 30 combinato col can. 766, n. 2°); inoltre non può essere scusato dall’osservanza della censura per evitare l’infamia (can. 2232 §1, ultimo comma ) , né assolto dal semplice confessore, nei casi urgenti, dalla censura, se riservata, a norma del can. 2254 §1, primo comma; infine gli deve essere impedita l’assistenza attiva agli Uffici divini (can. 2259 § 2, ultimo comma) . Se poi è stato scomunicato o dichiarato tale con sentenza o precetto penale non può lecitamente ricevere neppure i sacramentali (can. 2260 §1, secondo comma); validamente fungere da padrino nel Battesimo o nella Cresima, essere nominato arbitro ( can. 1931, primo comma) , esercitare il diritto di elettorato attivo, presentazione o designazione, porre atti di giurisdizione (can. 2264, secondo comma), ottenere una grazia pontificia, se nel rescritto non viene fatta menzione della s.: perde la capacità di conseguire dignità, uffici, benefici ed incarichi nelle Chiese, di ottenere pensioni ecclesiastiche (can. 2265 § 1, 2° combinato col § 2 ), e di acquistare il diritto di patronato (can. 1453 § 1, ultimo comma ). Inoltre egli rimane privato dei frutti della dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi, se ne abbia precedentemente conseguito qualcuno (can. 2266). Personalmente può stare in giudizio solo per impugnare la giustizia o la legittimità della s. inflittagli; per mezzo di un procuratore per scongiurare un pericolo che sovrasti al bene della sua anima; nel resto è privo della capacità processuale (can. 1654,§ 1) . Se muore, senza aver dato segni di penitenza, gli deve essere negata la sepoltura ecclesiastica (can. 1240 § 1, 2°) con tutte le conseguenze di legge (can. 1241). E se, nonostante tale divieto, egli viene seppellito nel luogo sacro, questo rimane profanato (can. 1172 §1, 4° e 1207). Allo scomunicato « vitando » infine, cioè a colui che sia stato dichiarato tale in una sentenza o decreto di condanna, pronunciati dalla S. Sede e pubblicati nelle forme stabilite dalla legge, e al reo di ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2258 § 2), deve essere impedito di assistere alla sacre funzioni, e se riesce impossibile allontanarlo, queste ordinariamente non possono aver luogo o essere continuate (can. 2259, § 2, I comma). – Egli rimane privato non solo dei frutti, ma delle stesse dignità, benefici, uffici o incarichi ecclesiastici (can. 2266, ultimo comma) . È permesso aver relazioni con lui nelle cose di ordine temporale solo ai genitori, al coniuge, ai figli, ai dipendenti e a coloro che abbiano un giusto motivo di farlo (can. 2267). Gravi pene sono comminate ai suoi correi, complici, e ai chierici, che lo ammettono alle sacre funzioni (can. 2338 § 2) .

2 . Comparazioni con le altre censure. — È facile cogliere le profonde differenze tra la scomunica e le altre censure: l’interdetto e la sospensione. La prima esclude il punito dalla comunione dei fedeli, sia pure nei limiti indicati di sopra; il secondo invece vieta soltanto alcuni atti della comunione, i quali sono diversi a seconda della specie dell’interdetto; la sospensione poi, i cui effetti sono separabili e quasi sempre separati, proibisce soltanto l’esercizio della potestà ecclesiastica, inerente all’ufficio o beneficio. Inoltre la s. è sempre censura, mentre l’interdetto e la sospensione possono essere anche pena vendicativa (v .). Infine la s. può colpire soltanto le persone fisiche, pertanto se viene inflitta ad un corpo morale soltanto i singoli colpevoli sono tenuti a sottostare ad essa. Invece la sospensione può colpire sia una persona fisica che morale collegiale e l’interdetto anche un luogo (can. 2255 § p. 2) .

  1. Riserva e assoluzione della scomunicaNel CIC sono comminate 37 scomuniche, di esse sono riservate alla S. Sede 4 “specialissimo modo”, 11 “speciali modo”, 11 simpliciter, all’Ordinario 6 e 5 non sono riservate. – Le prime colpiscono i seguenti gravissimi delitti: 1) profanazione delle Sacre Specie (can. 2320); 2) ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2343 § 1°); 3) assoluzione del complice nel peccato d’impudicizia semplice o qualificata (can. 2367); 4) violazione diretta del sigillo sacramentale (can. 2369 § 1, comma 1). Le seconde ordinariamente sono comminate ai rei di delitti contro la fede o che comunque fanno presumere la mancanza di fede nel colpevole, e in specie dei seguenti: 1) apostasia, eresia e scisma (can. 2314); 2) edizione, difesa, ritenzione e lettura dei libri che propugnano l’apostasia o lo scisma (can. 2318 §1); 3) simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote (can. 2322, n. 1°); 4) ricorso al concilio universale avverso leggi, decreti e ordini del Sommo Pontefice [in “Execrabilis” –ndr.-] (can. 2332 ); 5) ricorso al potere secolare per impedire l’emanazione, la promulgazione o l’esecuzione di atti della S. Sede o dei suoi legati (can. 2333); 6) emanazione di leggi, ordini o decreti lesivi della libertà o dei diritti della Chiesa; l’impedire, facendo ricorso al potere secolare, l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica (can. 2334); 7) il convenire davanti ad un giudice laico un cardinale, un legato della S. Sede, un ufficiale maggiore della Curia Romana (assessori, segretari, sottosegretari o sostituti delle SS. Congregazioni ed altri prelati ad essi equiparati) per atti del loro ufficio, e il proprio Ordinario (can. 2341,1 comma); 8) ingiuria reale sulla persona di un cardinale o di un legato del Sommo Pontefice (can. 2343 § 2, 1°); 9) usurpazione o detenzione di beni o di diritti della Chiesa Romana (can. 2345); 10) contraffazione o alterazione di lettere, decreti o rescritti della S. Sede ed uso doloso di essi (can. 2360 § 1 ) ; 11) calunniosa denunzia ai superiori di un confessore per sollecitazione (can. 2363).

Le simpliciter riservate colpiscono i seguenti delitti: 1) traffico sacrilego delle indulgenze (can. 2327); 2) iscrizioni alla massoneria o ad associazioni affini [es. Rotary e Lion etc. –ndr.- ) (can. 2335); 3) assoluzione, data con dolo senza la necessaria facoltà, di una scomunica riservata specialissimo o speciali modo alla S. Sede (can. 2338 § 1) ; 4) correità o complicità in un delitto per cui uno viene dichiarato scomunicato « vitando », sua ammissione a prendere parte agli uffici divini o comunicazione in divinis con lui, consapevole e spontanea da parte di un chierico (can. 2338 § 2) ; 5) il convenire davanti ad un giudice laico un vescovo che non sia il proprio Ordinario, un abate o prelato nullius, o un superiore generale di un istituto religioso di diritto pontificio (can. 2341, comma 11); 6 ) violazione della clausura delle monache o dei regolari e illegittima uscita delle prime dal monastero (can. 2342, nn. 1 °, 2 °, 30); 7) usurpazione o distrazione di beni ecclesiastici (can. 2346) ; 8) duello (c a n. 2351 § 1); 9) Matrimonio attentato da chierici in sacris (vescovi, sacerdoti, diaconi, suddiaconi), e da regolari o monache che abbiano emesso la professione solenne (can. 2388 § 1); 10) simonia circa gli uffici, i benefici e le dignità ecclesiastici (can. 2392, n. 1°); 11) sottrazione, distruzione, occultamento o alterazione di un documento appartenente alla Curia vescovile (can. 2405). – Sono riservate all’Ordinario le scomuniche comminate contro i seguenti delitti: 1) celebrazione del matrimonio misto davanti ad un ministro acattolico, patto concluso nell’unirsi in matrimonio di educare la prole fuori della Chiesa, di far battezzare i figli da ministri a cattolici, e di educarli nella religione acattolica (can. 2319, nn. 1°- 4°); 2) fabbricazione, vendita, distribuzione ed esposizione alla pubblica venerazione di false reliquie (can. 2326); 3) ingiuria reale sulla persona di un chierico o di un religioso, non costituito in una delle dignità, di cui ai §§ 1-3. Certo ci vuole un po’ di pazienza per districarsi tra i canoni, ma chi vuole vedere, ne ha abbastanza per farsi un’idea chiara di censure e scomuniche.

– Ecco che allora i sedicenti “tradizionalisti” scismatici, eretici gallicani e sedevacantisti, rientrano nella categoria « riservate “speciali modo”», sia per scisma ed eresia, [p. 1], sia [p. 3] per “simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote [come i non-preti lefebvriani e sedevacantisti, che non hanno alcun mandato canonico, non sono mai stati ordinati validamente da “non-vescovi” senza giurisdizione e senza mandato pontificio], i non-fedeli scismatici perché partecipanti ad un falso culto! Per i modernisti ecumenisti della “chiesa dell’uomo, ugualmente c’è scomunica per eresia manifesta o anche apostasia, e per il punto 4), che scomunica tutti gli aderenti al falso concilio c.d. Vaticano II secondo la bolla “Execrabilis”. Tutti coloro che rientrano in queste categorie di scomunicati, sono formalmente fuori dalla Chiesa Cattolica, e per salvarsi in eterno hanno bisogno in assoluto della rimozione delle censure, cosa che, tranne che in “articulo mortis”, può essere ottenuto solo dal Santo Padre (Gregorio XVIII) o da un suo delegato. Questi sono i canoni e le leggi della Chiesa cattolica, piaccia o meno. Chi vuole salvare l’anima in eterno deve attenersi scrupolosamente ad essi, entrare o rientrare ad ogni costo nella Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, nella quale solo c’è salvezza.

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Haec est fides catholica, quam nisi quisque fideliter firmiterque crediderit, salvus esse non poterit” – “ Quam nisi quisque integram inviolatamque servaverit, absque dubio in æternum peribit”. [Symbol. di S. Atanasio] e per chi fa finta di non conoscere il latino: “Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccerà fedelmente e fermamente” – “colui che non la conserva integra ed inviolata, perirà senza dubbio in eterno”.

Ragazzi, svegliatevi prima che giunga il Padrone della casa, altrimenti sarete buttati fuori al buio e li … sarà pianto e stridor di denti!

Enciclica MIRARI VOS: una boccata di Cattolicesimo puro.

Il Magistero della Chiesa è l’unica fonte di verità per questi nostri funesti tempi di spirituale sovversione. I falsi pastori attuali, hanno abiurato ed apostatato vergognosamente professando dottrine e novità deliranti, dal conciliabolo detto Vaticano II in poi, con perdite innumerevoli di anime, sprofondate così nel fuoco eterno della perdizione. Oggi che si respira tanfo abominevole di eresia come il gas di scarico del traffico cittadino dell’ora di punta, e proprio nei templi una volta popolati da Ministri cattolici, abbiamo bisogno di respirare aria pura di montagna, spiritualmente parlando. L’unico contenitore di questa aria pura spirituale, salutare “bombola” di ossigeno con maschera antigas, oltre alla Scrittura divina correttamente interpretata dai Padri della Chiesa, è il Sacro Magistero dei Sommi Pontefici e dei XX Concili ecumenici radunati sotto la guida di un Papa vero e legittimo. Tra gli scritti magisteriali abbiamo tratto dal tesoro della Chiesa, una “perla” di inestimabile valore per l’anima di un cristiano e per la salvezza eterna, la lettera Enciclica “Mirari vos” di S. S. Gregorio XVI, Mauro Cappellari, del 15 agosto dell’anno 1832. Rileggendola si vede come l’attuale ideologia modernista è esattamente agli antipodi del contenuto dell’enciclica, il che fa capire chiaramente come sul trono di Pietro ci sia il vicario del “truffaldino menzognero”, il servo del “cornuto”. Quel che stupisce è la totale ignoranza dei sedicenti cattolici-modernisti di ogni livello, realizzando così le profezie di Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro”[Is. V, 20] e … “Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito”[Is. VI, 9-10] – Siamo proprio giunti nel tempo in cui … “… il Signore ha versato su di voi uno spirito di torpore, ha chiuso i vostri occhi, ha velato i vostri capi” [Is. XXIX-10]. E allora si rallegri la nostra anima alla lettura della parola del Vicario di Cristo, essa che è PAROLA DI DIO infallibile ed irreformabile. – Tra le idiozie ed i deliri modernisti attualmente sbandierati, si condanna apertamente e senza appello l’indifferentismo, la libertà di coscienza, la libertà di stampare ogni bestialità, il libero pensiero senza controllo del tasso alcoolemico, la libertà di culti eretici, falsi, idolatri e pagani, il disprezzo delle cose sacre, l’autorità della Chiesa contestata, il mutamento della dottrina eterna, l’aggiornamento alle esigenze attuali, la perversione matrimoniale, la salvezza fuori dalla Chiesa cattolica, … ma d’altra parte oggi la religione è gestita da non-vescovi, non-preti, non-papi, mai validamente consacrati o eletti, da burattini senza sigillo sacerdotale nell’anima … cosa potremmo mai aspettarci? Solo il castigo oramai incombente ci potrà liberare da questi servi di beliaal. Intanto, tra una prece e l’altra, godiamoci questa ventata di aria pura, una boccata di santo Cattolicesimo. Buona lettura.

ENCICLICA

”MIRARI VOS”

DI S. S. GREGORIO XVI

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AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

GREGORIO PP. XVI SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Non riteniamo che voi vi meravigliate perché, da quando è stato imposto alla Nostra pochezza l’incarico del governo di tutta la Chiesa, non vi abbiamo ancora indirizzato Nostre lettere, secondo la consuetudine introdotta fin dai primi tempi e come la benevolenza Nostra verso di voi avrebbe richiesto. Era questo per la verità uno dei Nostri più vivi desideri: dilatare senza indugio sopra di voi il Nostro cuore, e parlarvi in comunione di spirito con quella voce con la quale nella persona del Beato Pietro fu divinamente ingiunto a Noi di confermare i fratelli (Lc XXII,32). Ma voi ben sapete per quale procella di mali e di calamità fin dai primi momenti del Nostro Pontificato fummo d’improvviso balzati in un mare così tempestoso, che se la destra del Signore non avesse testimoniato la propria virtù, avreste dovuto per la più perversa cospirazione degli empi compiangere il Nostro fatale sommergimento. L’animo rifugge dal rinnovare con l’amara esposizione di tanti infortuni il dolore vivissimo che ne provammo; e piuttosto Ci piace innalzare riconoscenti benedizioni al Padre di ogni consolazione, il quale con la dispersione dei ribelli Ci trasse dall’imminente pericolo e sedata la furiosa tempesta Ci fece respirare. Noi Ci proponemmo immediatamente di comunicarvi le Nostre idee relative al risanamento delle piaghe di Israele: ma la grave mole di cure che sopraggiunse per conciliare il ristabilimento dell’ordine pubblico pose un ostacolo alla realizzazione del Nostro proposito. – Un nuovo motivo per tenerci silenziosi giunse dalla insolenza dei faziosi, che tentarono di alzare nuovamente il vessillo della fellonia. Vero è che, vedendo Noi che la lunga impunità e la costante Nostra benigna indulgenza, anziché ammansire, alimentavano piuttosto lo sfrenato furore dei ribelli, dovemmo infine, sebbene con acerbissimo dispiacere, ricorrere alle armi spirituali (1Cor IV, 21) per frenare tanta loro pervicacia, valendoci dell’autorità conferitaci a tal fine da Dio: ma da questo appunto potete agevolmente comprendere quanto più laboriosa e pressante sia resa la Nostra quotidiana sollecitudine. – Ma giunti finalmente, secondo il costume dei Predecessori, a prendere nella Nostra Basilica Lateranense quel possesso che per le citate ragioni avevamo dovuto differire, troncato ogni indugio Ci rivolgiamo sollecitamente a voi, Venerabili Fratelli, e quale testimonianza della Nostra volontà vi indirizziamo questa Lettera fra l’esultanza di questo giorno lietissimo, in cui festeggiamo il trionfo della Vergine Assunta in Cielo, onde Ella, che fra le più dolorose calamità Noi sperimentammo sempre Avvocata e Liberatrice, tale pure Ci assista propizia nello scrivere a voi, e con la sua celeste ispirazione fecondi la Nostra mente di quei consigli che siano sommamente salutari per il gregge cristiano. – Dolenti invero, e col cuore sopraffatto dall’amarezza, veniamo a voi, Venerabili Fratelli, che, atteso il vostro zelo ed il vostro attaccamento alla Religione, ben sappiamo essere sommamente angustiati per l’acerbità dei tempi in cui essa versa miseramente, poiché davvero potremmo dire che questa è l’ora delle tenebre per vagliare come grano i figli di elezione (Lc 22,53). A ragione si può ripetere con Isaia: “Pianse, e la terra avvelenata dai suoi abitanti scomparve, perché avevano mutato il diritto, avevano rotto il patto sempiterno” (Is XXIV,5). – Venerabili Fratelli, diciamo cose che voi pure avete di continuo sotto i vostri occhi e che deploriamo perciò con pianto comune. Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza, licenziosa la sfrontatezza. – Viene disprezzata la santità delle cose sacre: e l’augusta maestà del culto divino, che pur tanto possiede di forza e di necessità sul cuore umano, viene indegnamente contaminata da uomini ribaldi, riprovata, messa a ludibrio. Quindi si stravolge e perverte la sana dottrina, ed errori d’ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline, anche le più sante, sono al sicuro di fronte all’ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. Bersaglio di incessanti, durissime vessazioni è fatta questa Nostra Romana Sede del Beatissimo Pietro, nella quale Gesù Cristo stabilì la base della Chiesa; i vincoli dell’unità di giorno in giorno maggiormente s’indeboliscono e si sciolgono. La divina autorità della Chiesa viene contestata e, calpestati i suoi diritti, si vuole assoggettarla a ragioni terrene; con suprema ingiustizia si vuole renderla odiosa ai popoli e ridurla ad ignominiosa servitù. Intanto s’infrange l’obbedienza dovuta ai Vescovi, e viene conculcata la loro autorità. Le Accademie e le Scuole echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni, con le quali non più segretamente e per vie sotterranee si attacca la Fede cattolica, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti le si muove un’orribile e nefanda guerra. Infatti, corrotti gli animi dei giovani allievi per gl’insegnamenti viziosi e per i pravi esempi dei Precettori, si sono dilatati ampiamente il guasto della Religione ed il funestassimo pervertimento dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della santissima Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si mantengono ferme la forza e l’autorità di ogni dominazione, si vedono aumentare la sovversione dell’ordine pubblico, la decadenza dei Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. Ma una congerie così enorme di disavventure si deve in particolare attribuire alla cospirazione di quelle Società nelle quali sembra essersi raccolto, come in sozza sentina, quanto v’ha di sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sette più scellerate. – Queste cose, Venerabili Fratelli, ed altre forse più gravi che al presente sarebbe troppo lungo annoverare e che voi ben conoscete Ci addolorano, di un dolore tanto più acerbo e continuo in quanto, posti sulla cattedra del Principe degli Apostoli, Ci sentiamo obbligati a tormentarci più di ogni altro dallo zelo per tutta la Casa di Dio. Ma scorgendoci collocati in una sede ove non basta piangere soltanto queste innumerabili sciagure, ma occorre compiere ogni sforzo per procurarne l’estirpamento, ricorriamo a tal fine al sussidio della vostra Fede, ed eccitiamo la vostra sollecitudine per la salvezza del gregge cattolico, Venerabili Fratelli, la cui specchiata virtù, religione, prudenza ed assiduità Ci danno coraggio, ed in mezzo all’afflizione che Ci cagionano circostanze così disastrose, dolcemente Ci confortano e consolano. – È Nostro obbligo, infatti, alzare la voce e tentare ogni prova, perché né il cinghiale della selva devasti la vigna, né i lupi rapaci piombino a fare strage del gregge. A Noi spetta guidare le pecore soltanto a quei pascoli che siano per esse salubri, e scevri d’ogni anche lieve sospetto d’essere dannosi. Dio non voglia, o carissimi, che mentre premono tanti mali e tanti pericoli sovrastano, manchino al proprio ufficio i Pastori che, colpiti da sbigottimento, trascurino le pecore o, deposta la cura del gregge, si abbandonino all’ozio ed alla pigrizia. Trattiamo anzi, perciò, nell’unità dello spirito la comune causa Nostra, o per meglio dire la causa di Dio, e contro i comuni nemici si abbiano per la salute di tutto il popolo la medesima vigilanza in tutti e il medesimo impegno. – Ciò poi adempirete felicemente se, come esige la ragione del vostro incarico, attenderete indefessamente a voi stessi e alla dottrina, richiamando spesso al pensiero che “la Chiesa Universale riceve l’urto di ogni novità” ( S. Celstino Papa, Ep. 21 ad Episc. Galline) e che, secondo il parere del Pontefice Sant’Agatone, “delle cose che furono regolarmente definite, nessuna dovessi diminuire, nessuna mutare, nessuna aggiungere, ma tali esse debbono essere custodite intatte nelle parole e nei significati” (S. Agatone papa, Ep. ad Imp.). Integra rimarrà così la fermezza di quella unità che ha il proprio fondamento e si esprime in questa Cattedra di Pietro, donde appunto derivano su tutte le Chiese i diritti della veneranda comunione e dove tutte “possono rinvenire muro di difesa e sicurezza, porto protetto dai flutti e tesoro d’innumerevoli beni” (S. Innocenzo Papa, Ep. II). A rintuzzare pertanto la temerità di coloro i quali adoperano tutti i mezzi o per abbattere i diritti di questa Santa Sede, o per sciogliere il rapporto delle Chiese con la stessa (rapporto in forza del quale esse hanno fermezza, solidità e vigore), inculcate il massimo impegno di fedeltà e di venerazione sincera verso la stessa Sede, facendo chiaramente intendere con San Cipriano che “falsamente confida di essere nella Chiesa chi abbandona la Cattedra di Pietro, sopra la quale è fondata la Chiesa” (San Cipriano, De unitate Ecclesiae). – A tale obiettivo debbono perciò tendere i vostri travagli, le vostre cure sollecite e l’assidua vostra vigilanza, affinché gelosamente sia custodito il santo deposito della Fede in mezzo all’infernale cospirazione degli empi, che con Nostro estremo cordoglio vediamo intenta a derubarlo e a perderlo. Si ricordino tutti che il giudizio intorno alla sana dottrina da insegnare ai popoli, non meno che il governo ed il giurisdizionale reggimento della Chiesa sono presso il Romano Pontefice, “a cui fu conferita da Gesù Cristo la piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale” (Conc. Flor., sess. 25) come dichiararono solennemente i Padri del Concilio di Firenze . È poi obbligo di ogni Vescovo tenersi fedelissimamente attaccato alla cattedra di Pietro, custodire santamente e scrupolosamente il deposito della Fede, e pascere il gregge di Dio affidatogli. I Sacerdoti debbono stare soggetti ai Vescovi i quali, avverte San Girolamo [S. Girolamo, Ep. 2 ad Nepot. a. I, 24], devono essere considerati dagli stessi come “padri della loro anima“: né si dimentichino mai che anche dagli antichi Canoni è loro vietato d’intraprendere azione alcuna nel sacro Ministero, e di assumersi l’ufficio d’insegnare e di predicare “senza il consenso del Vescovo a cui il popolo fu affidato ed al quale si domanderà conto delle anime“(Ex can. ap. 38). Infine si tenga presente quale regola certa e sicura che tutti coloro che osassero macchinare qualche cosa contro questo ordine così stabilito perturberebbero lo stato della Chiesa. – Sarebbe poi cosa troppo nefanda ed assolutamente aliena da quell’affetto di venerazione con cui si debbono rispettare le leggi della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a capriccio, permettendo a qualcuno di disapprovare, o di accusare come contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole e imperfetta e dipendente dalla civile autorità quella sacra disciplina che la Chiesa fissò per l’esercizio del culto divino, per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti, e per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri. – Essendo inoltre massima irrefragabile, per valerci delle parole dei Padri Tridentini, che “la Chiesa fu erudita da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli, e che viene ammaestrata dallo Spirito Santo, il quale di giorno in giorno le suggerisce ogni verità“, appare chiaramente assurdo ed oltremodo ingiurioso per la Chiesa proporsi una certa “restaurazione e rigenerazione“, come necessaria per provvedere alla sua salvezza ed al suo incremento, quasi che la si potesse ritenere soggetta a difetto, o ad oscuramento o ad altri inconvenienti di simil genere: tutte macchinazioni e trame dirette dai novatori al malaugurato loro fine di gettare le “fondamenta di un recente umano stabilimento” onde avvenga quello che era tanto condannato da San Cipriano, “che la Chiesa divenisse cosa umana” (S. Cipriano, Ep. 52), quando, al contrario, è cosa tutta divina. Ma coloro che vanno meditando siffatti disegni considerino che per testimonianza di San Leone, al solo Romano Pontefice “è affidata la disciplina dei Canoni” e che a lui solo appartiene, e non a privato uomo chicchessia, i1 definire sulle regole “delle paterne sanzioni“, e, come scrive San Gelasio [S. Gelasio, papa, Ep. ad Episcopum Lucaniae] “bilanciare in tal maniera i decreti dei Canoni e commisurare in tal modo i precetti dei Predecessori: dopo diligenti riflessioni si dia un conveniente temperamento a quelle cose che la necessità dei tempi richiede di dover moderare prudentemente per il bene delle Chiese“. – E qui vogliamo eccitare sempre più la vostra costanza a favore della Religione, affinché vi opponiate all’immonda congiura contro il celibato clericale: congiura che, come sapete, si accende ogni dì più estesamente, unendo ai tentativi dei più sciagurati filosofi dell’età nostra anche alcuni dello stesso ceto ecclesiastico: di persone che, dimentiche della loro dignità e del loro ministero, trascinate dal lusinghiero torrente delle voluttà, proruppero in tale eccesso di licenziosa impudenza che non ristettero dal presentare in più luoghi pubbliche reiterate domande ai Governi, onde venisse abrogato ed annientato questo santissimo punto di disciplina. Ma troppo C’incresce di trattenervi lungamente sopra questi turpi attentati, e piuttosto con fiducia incarichiamo la religione vostra affinché impieghiate ogni vostro zelo per mantenere sempre, secondo quanto prescritto dai Sacri Canoni, intatta, custodita, ferma e difesa una legge di tanto rilievo, contro la quale da ogni parte si scagliano gli strali degli impudichi. Inoltre, l’onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni premure affinché in esso, chiamato da San Paolo “Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa” (Eb 13,4), nulla s’introduca o si tenti introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua santità o leda l’indissolubilità del suo vincolo. Vi aveva già raccomandato insistentemente questo nelle sue lettere il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria: ma continuano a moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati dell’empietà. È perciò necessario istruire accuratamente i popoli che il matrimonio, una volta legittimamente contratto, non può più sciogliersi, e che Dio ha ingiunto ai coniugati una perpetua unione di vita ed un tal legame che solo con la morte può rompersi. Rammentando che il matrimonio si annovera fra le cose sacre, e che per questo è soggetto alla Chiesa, essi abbiano di continuo presenti le leggi da questa stabilite in materia, e quelle adempiano santamente ed esattamente come prescrizioni, dalla cui osservanza fedele dipendono la forza, la validità e la giustizia del medesimo. Si astenga ognuno dal commettere per qualsivoglia motivo atti che siano contrari alle canoniche disposizioni e ai decreti dei Concilii che lo riguardano, ben conoscendosi che esito in felicissimo sogliono avere quei matrimoni che o contro la disciplina della Chiesa o senza che sia stata implorata prima la benedizione del Cielo, o per solo bollore di cieca passione vengono celebrati senza che gli sposi si prendano alcun pensiero della santità del Sacramento e dei misteri che vi si nascondono. Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo, ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato dall’Apostolo che esiste “un solo Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo” (Ef IV,5), temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell’eterna felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore “essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo” (Lc XI, 23), e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi “senza dubbio periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed inviolata” (Symbol. S. Athanasii). – Ascoltino San Girolamo il quale – trovandosi la Chiesa divisa in tre parti a causa dello scisma – racconta che, tenace come egli era del santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo partito, egli rispondeva costantemente ad alta voce: “Chi sta unito alla Cattedra di Pietro, quegli è mio” (S. Girolamo, Ep. 58). A torto poi qualcuno, fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti, oserebbe trarre ragione di tranquillizzante lusinga per essere anche lui rigenerato nell’acqua di salute; poiché gli risponderebbe opportunamente Sant’Agostino: “Anche il ramoscello reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la forma se non vive della radice?“(S. Agostino, Salmo contro part. Donat.). – Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. “Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?” esclamava Sant’Agostino (Ep. 166). Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il “pozzo d’abisso” (Ap IX, 3), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante: in una parola, la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità andarono infelicemente in rovina. – A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita “libertà della stampa” nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. – Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti, piccoli certamente di mole, ma grandissimi per malizia, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ad inondare tutta la faccia della terra. Eppure(ahi, doloroso riflesso!) vi sono taluni che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondantemente compensato da qualche opera che in mezzo a tanta tempesta di pravità si mette in luce per difesa della Religione e della verità. Nefanda cosa è certamente, e da ogni legge riprovata, compiere a bella posta un male certo e più grave, perché vi è lusinga di poterne trarre qualche bene. Ma potrà mai dirsi da chi sia sano di mente che si debba liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare, anzi tracannare ancora il veleno, perché esiste un certo rimedio, usando il quale avviene che qualcuno scampa alla morte? – Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di tali libri (At XIX,19). Basti leggere le disposizioni date a tale proposito nel Concilio Lateranense V, e la Costituzione che pubblicò Leone X di felice memoria, Nostro Predecessore, appunto perché “quella stampa che fu salutarmente scoperta per l’aumento della Fede e per la propagazione delle buone arti, non venisse rivolta a fini contrari e recasse danno e pregiudizio alla salute dei fedeli di Cristo” (Act. Conc. Lateran. V, sess. X). Ciò stette parimenti a cuore dei Padri Tridentini al punto che per applicare opportuno rimedio ad un inconveniente così dannoso, emisero quell’utilissimo decreto sulla formazione dell’Indice dei libri nei quali fossero contenute malsane dottrine (Conc. Trid., sess. 18 e 25). Clemente XIII, Nostro Predecessore di felice memoria, nella sua enciclica sulla proscrizione dei libri nocivi afferma che “si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi impuri di pravità non periscano bruciati” (Christianae reipublicae, 25 novembre 1766). Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del retto diritto e osano negare alla Chiesa l’autorità di ordinarla e di eseguirla. – Avendo poi rilevato da parecchi scritti che circolano fra le mani di tutti propagarsi certe dottrine tendenti a far crollare la fedeltà e la sommissione dovuta ai Principi, e ad accendere ovunque le torce della guerra, vi esortiamo ad essere sommamente guardinghi, affinché i popoli, a seguito di tale seduzione, non si lascino miseramente rimuovere dal diritto sentiero. Riflettano tutti che, secondo l’ammonimento dell’Apostolo, “non vi è potere se non da Dio, e le cose che sono furono ordinate da Dio. Perciò chi resiste al potere, resiste all’ordinamento di Dio, e coloro che resistono si procurano da se stessi la condanna” (Rm 3,2). Il divino e l’umano diritto gridano contro coloro i quali, con infamissime trame e con macchinazioni di ostilità e di sedizioni impiegano i loro sforzi nel mancare di fede ai Principi, ed a cacciarli dal trono. – Fu appunto per non contaminarsi di tanto obbrobrioso delitto che gli antichi Cristiani, pur nel bollore delle persecuzioni, sempre bene meritarono degl’Imperatori e della salvezza dell’Impero, adoperandosi con fedeltà nell’adempiere esattamente e prontamente quanto veniva loro comandato che non fosse contrario alla Religione: impegnandosi con costanza ed anche con il sangue abbondantemente sparso in battaglie per essi. “I soldati cristiani – afferma Sant’Agostino – servirono l’Imperatore infedele; quando si toccava la causa di Cristo, non conoscevano che Colui che è nei Cieli. Distinguevano il Signore eterno dal Signore temporale, tuttavia proprio per il Signore eterno ubbidivano quali sudditi anche al Signore terreno” (Salmo CXXIV, n. 7). Tali argomenti aveva sotto gli occhi l’invitto martire San Maurizio, capo della Legione Tebana, allorché – come riferisce Sant’Eucherio – così rispose all’Imperatore: “Imperatore, noi siamo tuoi soldati, però siamo al tempo stesso servi di Dio, e lo confessiamo liberamente… Eppure, neanche questa stessa dura necessità di serbare la vita ci spinge alla ribellione: ecco, abbiamo le armi, eppure non facciamo resistenza, perché reputiamo sorte migliore il morire che l’uccidere” (S. Eucherio, apud Ruinart, Act. SS. MM. de SS. Maurit. et Soc., n. 4). Tale fedeltà degli antichi Cristiani verso i loro Principi risplende anche più luminosa se si riflette con Tertulliano che a quei tempi “non mancava ai Cristiani gran numero di armi e di armati se avessero voluto farla da nemici dichiarati. Siamo usciti da poco all’esterno, egli dice agli Imperatori, e già abbiamo riempito ogni vostro luogo, le città, le isole, i castelli, i municipi, le adunanze, gli accampamenti stessi, le tribù, le curie, il palazzo, il senato, il foro… A qual guerra non saremmo stati idonei e pronti, quando pure fossimo inferiori di numero, noi che ci lasciamo trucidare tanto volonterosamente, se dalla nostra disciplina non fosse permesso più il lasciarsi uccidere che l’uccidere? Se tanta moltitudine di persone, quale noi siamo, allontanandosi da voi, si fosse rifugiata in qualche remotissimo angolo dell’orbe, avrebbe certamente recato vergogna alla vostra potenza la perdita di tanti cittadini, quali che fossero; anzi l’avrebbe punita con lo stesso abbandono. Senza dubbio vi sareste sbigottiti di fronte a tale solitudine… e avreste cercato a chi poter comandare: vi sarebbero rimasti più nemici che cittadini, mentre ora avete minor numero di nemici, tenuto conto della moltitudine dei Cristiani” (Tertulliano, Apologet., cap. 37). – Esempi così luminosi d’inalterabile sommissione ai Principi, che necessariamente derivavano dai santissimi precetti della Religione Cristiana, condannano altamente la detestabile insolenza e slealtà di coloro che, accesi dall’insana e sfrenata brama di una libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a svellere qualunque diritto del Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto colore di libertà, il più duro servaggio. A questo scopo per verità cospirarono gli scellerati deliri e i disegni dei Valdesi, dei Beguardi, dei Wiclefiti e di altri simili figli di Belial, che furono l’ignominia e la feccia dell’uman genere, meritamente perciò tante volte colpiti dagli anatemi di questa Sede Apostolica. Né certamente per altro motivo codesti pensatori moderni sviluppano le loro forze, se non perché possano menar festa e trionfo con Lutero, e compiacersi con lui di “essere liberi da tutti“, disposti perciò decisamente ad accingersi a qualunque più riprovevole impresa per giungere con più facilità e speditezza a conseguire l’intento. Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione ed il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dagli amatori d’una impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e civile. Ma a tante e così amare cause che Ci tengono solleciti e nel comune pericolo Ci crucciano con dolore singolare, si unirono certe associazioni e determinate aggregazioni nelle quali, fatta lega con gente d’ogni religione, anche falsa e di estraneo culto, si predica libertà d’ogni genere, si suscitano turbolenze contro il sacro e il civile potere, e si conculca ogni più veneranda autorità, sotto lo specioso pretesto di pietà e di attaccamento alla religione, ma con mira in fatto di promuovere ovunque novità e sedizioni. Queste cose, Venerabili Fratelli, con animo dolentissimo, ma pieni di fiducia in Colui che comanda ai venti e porta la tranquillità, vi abbiamo scritto affinché, impugnato lo scudo della Fede, seguitiate animosi a combattere le battaglie del Signore. A voi sopra ogni altro compete stare qual muro saldo di fronte ad ogni superba potenza che si voglia alzare contro la scienza di Dio. Da voi si brandisca la spada dello Spirito, che è la parola di Dio, e siano da voi provveduti di pane coloro che hanno fame di giustizia. Chiamati ad essere coltivatori industriosi nella vigna del Signore, occupatevi di questo solo, e a questo solo volgete le comuni vostre fatiche: cioè che ogni radice di amarezza sia divelta dal campo a voi assegnato e, spento ogni seme vizioso, cresca in esso, abbondante e rigogliosa, la messe delle virtù. Abbracciando con paterno affetto coloro che si applicano agli studi filosofici, e più ancora alle sacre discipline, inculcate loro premurosamente che si guardino dal fidarsi delle sole forze del proprio ingegno per non lasciare il sentiero della verità e prendere imprudentemente quello degli empi. Si ricordino che Dio “è il duce della sapienza e il perfezionatore dei sapienti” (Sap VII,15), e che non può mai avvenire che senza Dio conosciamo Dio, il quale per mezzo del Verbo insegna agli uomini a conoscere Dio (S. Ireneo, lib. 14, cap. 10). È proprio del superbo, o piuttosto dello stolto, il volere pesare sulle umane bilance i misteri della Fede, che superano ogni nostra possibilità, e fidare sulla ragione della nostra mente, che per la condizione stessa della umana natura è troppo fiacca e malata. – Per il resto, i Nostri carissimi figli in Cristo, i Principi, assecondino questi comuni voti – per il bene della Chiesa e dello Stato – con il loro aiuto e con quell’autorità che devono considerare conferita loro non solo per il governo delle cose terrene, ma in modo speciale per sostenere la Chiesa. – Riflettano diligentemente su quanto deve essere fatto per la tranquillità dei loro Imperi e per la salvezza della Chiesa; si persuadano anzi che devono avere più a cuore la causa della Fede che quella del Regno, come ripetiamo con il Pontefice San Leone: “Al loro diadema per mano del Signore si aggiunga anche la corona della Fede“. Posti quasi come padri e tutori dei popoli, procureranno a questi quiete e tranquillità vera, costante e doviziosa, particolarmente se si adopreranno a far fiorire tra essi la Religione e la pietà verso Dio, il quale porta scritto nel femore: “Re dei Re, e Signore dei Signori“. – Ma per impetrare successi così prosperi e felici, solleviamo supplichevoli gli sguardi e le mani verso la Santissima Vergine Maria, la quale sola vinse tutte le eresie, ed è la massima Nostra fiducia, anzi la ragione tutta della Nostra speranza. Ella, la grande Avvocata, col suo patrocinio, in mezzo a tanti bisogni del gregge cristiano, implori benigna un esito fortunatissimo a favore dei Nostri propositi, sforzi ed azioni. – Tanto con umile preghiera domandiamo ancora al Principe degli Apostoli San Pietro e al suo Co-Apostolo San Paolo, affinché rimaniate tutti saldi come solido muro, e non si ponga altro fondamento diverso da quello che fu già posto. Animati da questa serena speranza, confidiamo che l’Autore e il Perfezionatore della Fede Gesù Cristo consolerà finalmente noi tutti nelle tribolazioni che troppo ci tengono bersagliati. Intanto, foriera ed auspice del celeste soccorso, a voi, Venerabili Fratelli, e a tutte le pecore affidate alla vostra cura impartiamo affettuosamente l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 15 agosto, giorno solenne dell’Assunzione della Beata Vergine Maria,

dell’anno 1832, anno secondo del Nostro Pontificato.

GREGORIO PP. XVI

Festa di CRISTO RE

Festa di CRISTO RE

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Et dedit ei potestatem, et honorem, et regnum: et omnes populi, tribus, et linguae ipsi servient: potestas ejus, potestas aeterna, quae non auferetur: et regnum ejus, quod non corrumpetur. [Dan VII, 14]

 Deus, judicium tuum regi da, et justitiam tuam filio regis; judicare populum tuum in justitia, et pauperes tuos in judicio.  [3] Suscipiant montes pacem populo, et colles justitiam. [4] Judicabit pauperes populi, et salvos faciet filios pauperum, et humiliabit calumniatorem.  [5] Et permanebit cum sole, et ante lunam, in generatione et generationem. [6] Descendet sicut pluvia in vellus, et sicut stillicidia stillantia super terram. [7] Orietur in diebus ejus justitia, et abundantia pacis, donec auferatur luna.

[8] Et dominabitur a mari usque ad mare, et a flumine usque ad terminos orbis terrarum. [Ps. LXXI: 3,8]

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CRISTO RE

LETTERA ENCICLICA

QUAS PRIMAS

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI

PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI

AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE:

SULLA REGALITÀ DI CRISTO.

PIO PP. XI

VENERABILI FRATELLI

SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

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Introduzione

Nella prima Enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. – Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile; nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. – Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la sua Chiesa, che sola può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie dell’obbedienza.

L’Anno Santo e il Regno di Cristo

E tutto quello che accadde e si fece, nel corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro supremo Re e Signore? – Infatti, la Mostra Missionaria Vaticana quanto non colpì la mente e il cuore degli uomini, sia facendo conoscere il diuturno lavoro della Chiesa per la maggiore dilatazione del Regno del suo Sposo nei continenti e nelle più lontane isole dell’Oceano; sia il grande numero di regioni conquistate al cattolicesimo col sudore e col sangue dai fortissimi e invitti Missionari; sia infine col far conoscere quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere al soave e salutare impero del nostro Re. E quelle moltitudini che, durante questo Anno giubilare, vennero da ogni parte della terra nella città santa, sotto la guida dei loro Vescovi e sacerdoti, che altro avevano in cuore, purificate le loro anime, se non proclamarsi presso il sepolcro degli Apostoli, davanti a Noi, sudditi fedeli di Cristo per il presente e per il futuro? – E questo Regno di Cristo sembrò quasi pervaso di nuova luce allorquando Noi, provata l’eroica virtù di sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento esclamò: Tu Rex gloriæ, Christe!  – Poiché, mentre gli uomini e le Nazioni, lontani da Dio, per l’odio vicendevole e per le discordie intestine si avviano alla rovina ed alla morte, la Chiesa di Dio, continuando a porgere al genere umano il cibo della vita spirituale, crea e forma generazioni di santi e di sante a Gesù Cristo, il quale non cessa di chiamare alla beatitudine del Regno celeste coloro che ebbe sudditi fedeli e obbedienti nel regno terreno. – Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare, il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo, inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non avrà mai fine», proclamò la dignità regale di Cristo. – Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. – Questa cosa Ci reca tanta gioia che Ci spinge, Venerabili Fratelli, a farvene parola; voi poi, procurerete di adattare ciò che Noi diremo intorno al culto di Gesù Cristo Re, all’intelligenza del popolo e di spiegarne il senso in modo che da questa annua solennità ne derivino sempre copiosi frutti.

Gesù Cristo è Re

Gesù Cristo Re delle menti, delle volontà e dei cuori

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovreminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana (Supereminentem scientiae caritatem [1]) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo.

Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno [2], perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

La Regalità di Cristo nei libri dell’Antico Testamento.

E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe [3], e che dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra [4]. Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro di rettitudine è il tuo scettro reale» [5]. – E per tralasciare molte altre testimonianze consimili, in un altro luogo per lumeggiare più chiaramente i caratteri del Cristo, si preannunzia che il suo Regno sarà senza confini ed arricchito coi doni della giustizia e della pace: «Fiorirà ai suoi giorni la Giustizia e somma pace… Dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino alla estremità della terra» [6]. A questa testimonianza si aggiungono in modo più ampio gli oracoli dei Profeti e anzitutto quello notissimo di Isaia: «Ci è nato un bimbo, ci fu dato un figlio: e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile, Consigliere, Dio forte, Padre del secolo venturo, Principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da ora ed in perpetuo» [7]. E gli altri Profeti non discordano da Isaia: così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide «regnerà e sarà sapiente e farà valere il diritto e la giustizia sulla terra» [8]; così Daniele che preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo, regno che «non sarà mai in eterno distrutto… ed esso durerà in eterno» [9] e continua: «Io stavo ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto» [10]. E gli scrittori dei santi Vangeli non accettano e riconoscono come avvenuto quanto è predetto da Zaccaria intorno al Re mansueto il quale «cavalcando sopra un’asina col suo piccolo asinello» [11] era per entrare in Gerusalemme, qual giusto e salvatore fra le acclamazioni delle turbe?

Gesù Cristo si è proclamato Re

Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re, che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il suo Regno non avrebbe avuto fine [12] vediamo che Cristo stesso dà testimonianza del suo impero: infatti, sia nel suo ultimo discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti, colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re [13], e pubblicamente confermò di essere Re [14] e annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo e in terra [15]. E con queste parole che altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e l’estensione immensa del suo Regno?

Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni «Principe dei Re della terra» [16], porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti» [17]. Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale [18], è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici [19].

Da questa dottrina dei sacri libri venne per conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto; come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che «le norme della preghiera fissano i principi della fede». Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza» [20]; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. – Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato» [21]. Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo [22]: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo [23].

Natura e valore del Regno di Cristo

Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. – Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire [24]. – I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità [25]. Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio» [26]. Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.

Regno principalmente spirituale

Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. – In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”. – Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio?

Regno universale e sociale

D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli» [27]. Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo» [28]. – Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati» [29], è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini» [30]. – Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali» [31].

Regno benefico

Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. – In questo senso 1’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini» [32]. Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. – In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. – Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri”» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?» [33]. – Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre» [34].

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La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio [35]. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Il “laicismo”

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. – I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina. – Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità. – Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

La preparazione storica della festa di Cristo Re

E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore. – Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo. – A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali. – E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione. – Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano. – In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

L’istituzione della festa di Cristo Re

Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente. – In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quest’Anno Santo. – E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. – Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione. – Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

I vantaggi della festa di Cristo Re

Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. – Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio. – Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti. – La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi. – Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di codeste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana. – Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.

Conclusione

Cristo regni!

È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia” [36] offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione. – Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria. – Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

 [1] Ef., 3, 19.

[2] Dan., 7, 13-14.

[3] Num., 24, 19.

[4] Ps. 2, 6.

[5] Ps., 44, 6.

[6] Ps. 44, 8.

[7] Is., 9, 6-7.

[8] Jer., 23, 5.

[9] Dan., 2, 44.

[10] Dan., 7, 13-14.

[11] Zach., 9, 9.

[12] Lc., 1, 32-33.

[13] Matth., 25, 31-40.

[14] Joh., 18, 37.

[15] Matth., 28, 18.

[16] Apoc., 1, 5.

[17] Apoc. 19, 16.

[18] Hebr., 1, 1.

[19] I Cor., 15, 25.

[20] In Luc., 10.

[21] I Petr., 1, 18-19.

[22] I Cor., 6, 20.

[23] Ibid., 6, 15.

[24] Conc. Trid., Sess. VI, can. 21.

[25] Joh., 15, 10.

[26] Joh., 5, 22.

[27] Brev. Rom. Inno del Mattutino dell’Epifania.

[28]  Leone Pp. XIII, Enc. Annum Sacrum, 25. V.1899.

[29] Act., 4, 12.

[30] S. Agostino, Lettera a Macedone, III.

[31] Pio Pp. XI, Enc. Ubi arcano Dei.

[32] I Cor., 7, 23.

[33] Matth. 11, 30.

[34] Leone Pp. XIII, Enc. Annum sanctum, 25.V.1899.

[35] Sant’Agostino, De Sanctis, Serm. 47.

[36] Rom., 6, 13.

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Hymnus

Te sæculórum Príncipem, Te, Christe, Regem Géntium, Te méntium, te córdium Unum fatémur árbitrum. Scelésta turba clámitat: Regnáre Christum nólumus: Te nos ovántes ómnium Regem suprémum dícimus. O Christe, Princeps Pácifer, Mentes rebélles súbjice: Tuóque amóre dévios, Ovíle in unum cóngrega. Ad hoc cruénta ab árbore Pendes apértis bráchiis, Diráque fossum cúspide Cor igne flagrans éxhibes. Ad hoc in aris ábderis Vini dapísque imágine, Fundens salútem fíliis Transverberáto péctore. Te natiónum Praesides Honóre tollant público, Colant magístri, júdices, Leges et artes éxprimant. Submíssa regum fúlgeant Tibi dicáta insígnia: Mitíque sceptro pátriam Domósque subde cívium. Jesu tibi sit glória, Qui sceptra mundi témperas, Cum Patre, et almo Spíritu, In sempitérna saecula. Amen.

[Inno Te, Principe dei secoli, te, Cristo, Re delle Genti, te delle menti te dei cuori noi riconosciamo unico arbitro. L’empia turba grida: Non vogliam che Cristo regni: te noi festanti di tutti t’acclamiam Re sovrano. O Cristo, Principe della Pace, le menti ribelli sottometti: e col tuo amor gli sviati in un solo ovil raduna. Per questo dall’albero cruento pendi colle braccia aperte, e trafitto da lancia crudele il Cuor mostri acceso d’amore. Per questo sugli altari rimani nascosto sotto le specie del pane e del vino, diffondendo la salute ai figli dal petto squarciato. Te i Presidenti delle nazioni esaltino con pubblico onore, riveriscano i maestri e i giudici, esprimano le leggi e le arti. Sottomesse risplendano le insegne dei re a te consacrate: e al tuo mite scettro assoggetta la patria e le case dei cittadini. O Gesù, sia gloria a te, che governi gli scettri del mondo, col Padre, e collo Spirito Santo, per i secoli eterni. Amen.]

Hymnus (2)

Æterna Imago Altíssimi, Lumen, Deus, de Lumine, Tibi, Redémptor gloria, Honor, potéstas regia. Tu solus ante sæcula Spes atque centrum témporum, Cui jure sceptrum Géntium Pater supremum credidit. Tu flos pudicæ Vírginis, Nostræ caput propaginis, Lapis caducus vértice Ac mole terras occupans. Diro tyranno subdita, Damnáta stirps mortalium, Per te refregit víncula Sibique cælum víndicat. Doctor, Sacerdos, Legifer Præfers notátum sánguine In veste “Princeps príncipum Regumque Rex Altíssimus”. Tibi voléntes subdimur, Qui jure cunctis imperas: Hæc civium beátitas Tuis subesse légibus. Jesu, tibi sit gloria, Qui sceptra mundi temperas, Cum Patre et almo Spiritu, In sempiterna sæcula. Amen.

[Inno Eterna Immagine dell’Altissimo, Dio, Luce da Luce, a te, Redentore, la gloria, l’onore, la potestà regia. Tu solo prima dei secoli la speranza e il centro dei tempi; cui a buon diritto lo scettro supremo delle Nazioni il Padre ha dato. Tu il fiore della purissima Vergine, il capo della nostra schiatta, la pietra caduta dal vertice, che colla sua mole occupa la terra. Soggetta a crudele tiranno, la stirpe dannata dei mortali, per te ha spezzato le sue catene, e si appropria il cielo. Dottore, Sacerdote, Legislatore tu porti segnato col sangue sulla veste: «Principe dei principi, Altissimo Re dei re». Volenti siamo soggetti a te, che per diritto a tutti comandi: questa la felicità dei cittadini, esser soggetti alle tue leggi. O Gesù, sia gloria a te, che governi gli scettri del mondo, col Padre, e collo Spirito Santo, per i secoli eterni. Amen.]

 

Inno (3)

Vexílla Christus ínclyta – Late triúmphans éxplicat: Gentes adéste súpplices, Regíque regum pláudite. Non Ille regna cládibus: Non vi metúque súbdidit – Alto levátus stípite, Amóre traxit ómnia. O ter beáta cívitas Cui rite Christus ímperat, Quæ jussa pergit éxsequi Edícta mundo caelitus! Non arma flagrant ímpia, Pax usque firmat foedera, Arrídet et concórdia, Tutus stat ordo cívicus. Servat fides connúbia, Juvénta pubet íntegra, Pudíca florent límina Domésticis virtútibus. Optáta nobis spléndeat Lux ista, Rex dulcíssime: Te, pace adépta cándida, Adóret orbis súbditus. Jesu tibi sit glória, Qui sceptra mundi témperas, Cum Patre, et almo Spíritu, In sempitérna saecula. Amen. [Inno I fulgidi vessilli Cristo trionfante spiega largamente: Genti, prostratevi supplici, e applaudite al Re dei re. Egli non colle stragi, non colla violenza o terrore ha soggiogato i regni: sollevato sull’alto della croce, tutto a sé ha tratto coll’amore. O città beatissima, su cui debitamente Cristo impera, che continua ad eseguire le leggi intimate al mondo dal cielo! Non l’armi crudeli vi risuonano, la pace vi firma sempre i patti, vi sorride ancor la concordia, sicuro vi sta l’ordine civico. La fede vi conserva i connubi, la gioventù vi cresce integra, pudiche fioriscon le case nelle domestiche virtù. Risplenda su noi questa desiata luce, o Re dolcissimo: te, conseguita una piena pace, adori l’orbe soggetto. O Gesù, sia gloria a te, che governi gli scettri del mondo, col Padre, e collo Spirito Santo, per i secoli eterni. Amen.]

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Col I :12-20 Fratres: Grátias ágimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem ejus, remissiónem peccatórum: qui est imágo Dei invisíbilis, primogénitus omnis creatúra: quóniam in ipso cóndita sunt univérsa in cœlis et in terra, visibília et invisibília, sive Throni, sive Dominatiónes, sive Principátus, sive Potestátes: ómnia per ipsum, et in ipso creáta sunt: et ipse est ante omnes, et ómnia in ipso constant. Et ipse est caput córporis Ecclésiæ, qui est princípium, primogénitus ex mórtuis: ut sit in ómnibus ipse primátum tenens; quia in ipso complácuit omnem plenitúdinem inhabitáre; et per eum reconciliáre ómnia in ipsum, pacíficans per sánguinem crucis ejus, sive quæ in terris, sive quæ in cœlis sunt, in Christo Jesu Dómino nostro.

[Fratelli: Rendiamo grazie a Dio Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, che ci ha strappati dalla potestà delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del dilettissimo Figlio suo in cui abbiamo redenzione, mediante il sangue di Lui, e remissione dei peccati. Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primogénito di ogni creatura, poiché in Lui sono state fatte tutte le cose nel cielo e nella terra, le visibili e le invisibili, sia i troni, sia le dominazioni, sia i principati, sia le potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e per Lui. Egli è prima di tutto, e tutte le cose sussistono in Lui. Ed Egli è il capo del corpo della Chiesa: Egli è il principio, il primo a rinascere di tra i morti, onde abbia il primato in tutte le cose. Poiché fu beneplacito del Padre che in Lui abitasse ogni pienezza, e che per mezzo di Lui e per Lui fossero seco riconciliate tutte le cose, pacificando, mediante il sangue della sua croce, le cose della terra e le cose del cielo, nel Cristo Gesú nostro Signore.]

Vang. di S. Giovanni XVIII:33-37 In illo témpore: Dixit Pilátus ad Jesum: Tu es Rex Judæórum? Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Judǽus sum? Gens tua et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Jesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judǽis: nunc autem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Jesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam.

[In quel tempo: Pilato disse a Gesú: Sei tu il Re dei Giudei? Gesú gli rispose: Lo dici da te, o altri te l’hanno detto di me? Rispose Pilato: Sono forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani. Che cosa hai fatto? Rispose Gesú: Il mio regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo, i miei ministri certo si adopererebbero perché non fossi dato in potere ai Giudei: dunque il mio regno non è di quaggiú. Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei Re? Rispose Gesú: È come dici, io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chiunque sta per la verità, ascolta la mia voce.]

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ATTO DI CONSACRAZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ

Da recitare per ordine di S. S. Pio XI

nella Festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re.

Si può recitare anche in altre occasioni.

O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostrati dinanzi al vostro altare. Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per poter vivere a Voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno si consacra al vostro Sacratissimo Cuore. Molti purtroppo non Vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, Vi ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri; e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo. O Signore, siate il re non solo dei fedeli, che non si allontanarono mai da Voi, ma anche di quei figli prodighi che Vi abbandonarono; fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame. Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore, o per discordia da Voi separati; richiamateli al porto della verità e all’unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore. Siate il Re di tutti quelli che sono ancora avvolti nelle tenebre dell’idolatria o dell’islamismo; e non ricusate di trarli tutti al lume e al regno vostro. Riguardate infine con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto; scenda anche sopra di loro, lavacro di redenzione e di vita, il Sangue già sopra di essi invocato. Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra Chiesa; largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine; fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce; Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute; a Lui si canti gloria e onore nei secoli. Così sia.

 Segue la recita delle litanie del Sacro Cuore di Gesù.