UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: SPIRITUS PARACLITUS di S.S. BENEDETTO XV

Spiritus Paraclitus, è una delle lettere Encicliche più belle e significative di tutto il Magistero ecclesiastico. Prendendo spunto dalla esaltazione della straordinaria figura di San Girolamo, della quale si celebrava il XV centenario della morte, il Santo Padre Benedetto XV, traccia un sentiero di vera e nobile spiritualità tutta incentrata sulla Sacra Scrittura. Lunga è invero la lettera, ma si legge come … il cervo assetato in terra arida [terra arida = modernismo eretico, protestantesimo, massonismo, ateismo e paganesimo imperante ed imposto, etc.] che va alla fonte di acqua pura per dissetarsi e rivivere. Numerosi sono gli spunti di riflessione ed i rilievi dottrinali che si susseguono in sequenza strettamente logica, brillante e “vera” sotto tutti punti di vista. Assoluta è la considerazione della Santa Scrittura in ogni sua asserzione ed in ogni ambito anche laddove, da un certo periodo [cioè dal rinascimento del paganesimo] da empi e falsissimi pretesi scienziati e sapienti, si è tentato di trovare elementi che mettessero la Bibbia in “difficoltà” o addirittura capace di errori, falsità, sviste, manipolazioni. Giusto per fare un esempio breve, guardiamo alla storia della teoria eliocentrica, rimasuglio di un culto gnostico-cabalistico ereditato da conventicole “accademiche” e che oggi, nonostante i grandi mezzi economici dispiegati [che troverebbero migliore impiego nel sollevare gli indigenti], viene messa in ridicolo e sbeffeggiata pure da un bambino dalle normali facoltà mentali, capace di fare due semplici operazioni aritmetiche, con una buona vista, armato semplicemente di un banale cannocchiale [ognuno può vedere una terra ed un mare perfettamente piatti, soppiantando la teoria delle “palle che girano” – sembra di rivivere la favola del Re nudo!]. Quindi il Santo Padre, ricordando i decreti tridentini, e la “Providentissimus Deus” di Leone XIII, ci rafferma nella convinzione che unica guida di Verità per l’essere umano è solo la Sacra Scrittura, rettamente interpretata dalla Chiesa Cattolica Romana [e San Girolamo è appunto uno dei Padri Occidentali della Chiesa], e dal Magistero della stessa garantito dall’infallibilità del Sommo Pontefice [quello vero, naturalmente!]. Inutile dilungarsi oltre, è tutto contenuto mirabilmente nella lettera. Leggiamo e fissiamo indelebilmente nella mente: Spiritus Paraclitus cum genus humanum, ut arcanis divinitatis …

S. S. Benedetto XV

“Spiritus Paraclitus”

Lettera Enciclica

Lo Spirito Santo, che diede al genere umano, per iniziarlo ai misteri della divinità, il tesoro delle Lettere Sante, ha con immensa provvidenza fatto sorgere nel corso dei secoli numerosi esegeti, notevoli per santità e per dottrina, i quali, non contenti di non lasciare infecondo questo Celeste tesoro (Conc. Trid., s. V. decr. di riforma, c. I), dovevano far ampiamente gustare attraverso i loro studi e le loro opere, ai fedeli cristiani, “la consolazione delle Scritture“. – E’ universalmente riconosciuto l’eccelso posto tenuto da San Gerolamo, nel quale la Chiesa Cattolica riconosce e venera il più gran Dottore di cui il Cielo le abbia fatto dono per l’interpretazione delle Sacre Scritture. – Invero, poiché fra pochi giorni dobbiamo commemorare il quindicesimo centenario della sua morte, Noi non vogliamo, Venerabili Fratelli, lasciar passare un’occasione così favorevole per intrattenervi a bell’agio sulla gloria che San Gerolamo ha acquistata e sui servizi che egli ha reso con la sua sapienza nelle Sacre Scritture. – La coscienza del Nostro ufficio Apostolico e il desiderio di dare incremento allo studio nobilissimo delle Scritture, Ci incitano da un lato a proporre come esempio da imitarsi questo grande genio, e dall’altro a confermare con la Nostra Apostolica autorità ed a meglio adattare ai tempi che oggi la Chiesa attraversa le preziosissime direttive e le prescrizioni date in questa materia dai Nostri Predecessori di santa memoria: Leone XIII e Pio X. Infatti San Gerolamo, “spirito grandemente impregnato di senso cattolico e molto versato nella conoscenza della legge santa(Sulp. Sev., Dial., 1, 7), maestro dei cristiani” (Cass., De inc. VII, 26), “modello di virtù e luce del mondo intero” (San Prospero, Carmen de ingratis, V, 57), ha esposto meravigliosamente e validamente difeso la dottrina cattolica intorno ai Libri Santi; e a questo proposito Ci fornisce un insieme di insegnamenti di altissimo valore, di cui Noi Ci valiamo per esortare tutti i figli della Chiesa, e specialmente i membri del clero, al rispetto, alla lettura devota e all’assidua meditazione delle Scritture Divine. Come sapete, Venerabili Fratelli, San Gerolamo, nato a Stridone, città “un tempo di confine tra la Dalmazia e la Pannonia”, (De viris ill., 135), allevato fin dalla più tenera infanzia al Cattolicesimo (Ep. LXXX, 11, 2), dopo che col Battesimo ebbe preso qui in Roma stessa l’abito di Cristo (Ep. XV, 1, 1; XVI, 11, 1), fino alla fine della sua lunghissima vita consacrò tutte le sue forze allo studio, alla esplicazione e alla difesa dei Libri Sacri. – Istruitosi in lettere latine e greche, appena uscito dalla scuola dei rètori, ancora adolescente, si sforzava di commentare il profeta Abdia; questo Saggio “della sua prima gioventù” (Abd. praef.) fece crescere a tal punto il suo amore per le Scritture, che, seguendo la parabola del Vangelo, egli decise di dover sacrificare al tesoro che aveva scoperto “tutti i vantaggi di questo mondo” (Matth. XIII, 44). – Perciò, sfidando tutte le difficoltà di una simile decisione, abbandonò la sua casa, i genitori, la sorella, i parenti, rinunziò all’abitudine di una lauta mensa e partì per i luoghi santi dell’Oriente, allo scopo di procurarsi con maggior. abbondanza le ricchezze di Cristo e la conoscenza del Salvatore, con la lettura e lo studio dei Libri Santi (Ep. XXII, XXX, 1). Più volte egli stesso ci descrive come si sia dedicato a questa impresa, senza risparmiare fatica: “Una meravigliosa sete di sapere mi spingeva ad istruirmi e non fui affatto, come alcuni pensano, il maestro di me stesso. Ad Antiochia ascoltai spesso le lezioni di Apollinare di Laodicea (1), che frequentavo; ma benché fossi suo discepolo nelle Sacre Scritture, non ho però mai adottato il suo dogmatismo ostinato in materia di senso” (Ep. LXXXIV, 111, 1). – San Gerolamo dalla Palestina si ritirò nel deserto della Calcide, in Siria; e al fine di penetrare più profondamente il senso della parola divina e per frenare nello stesso tempo, con accanito travaglio, gli ardori della giovinezza, si mise alla scuola di un ebreo convertito, dal quale ebbe anche modo di apprendere la lingua ebraica e quella caldea.

“Quali pene tutto ciò mi sia costato, quali difficoltà abbia dovuto vincere, quali scoraggiamenti soffrire, quante volte abbia abbandonato questo studio, per poi riprenderlo più tardi, stimolato dalla mia passione per la scienza, io solo, che l’ho provato, potrei dirlo, e con me coloro che mi vivevano accanto. E benedico Iddio per i dolci frutti che mi ha arrecati l’amaro seme dello studio delle lingue” (Ep. CXXV, 12). – San Gerolamo, fuggendo le bande di eretici che venivano a turbarlo perfino nella solitudine del deserto, si recò a Costantinopoli. Il Vescovo di questa città era allora San Gregorio il Teologo (2) celebre per la fama e la gloria universali della sua scienza. Gerolamo lo prese per quasi tre anni a guida e a maestro nell’interpretazione delle Sacre Lettere. In quest’epoca egli tradusse in latino le Omelie di Origene sui Profeti e la Cronaca di Eusebio (3) e commentò la visione dei Serafini in Isaia (4). – Ritornato a Roma, per le difficoltà che la Cristianità attraversava, vi fu accolto paternamente dal Papa Damaso (5), che egli assistette nel governo della Chiesa (Ep. CXXIII, IX, al., 10; Ep. CXXVII, VII, 1). Sebbene assorbito in ogni senso dalle preoccupazioni di questa carica, tuttavia mai trascurò sia di dedicarsi ai Libri Santi (Ep. CXXVII, VII, 1 e segg.) e di trascrivere e di esaminare i codici (Ep. XXXVI, 2; Ep. XXXII, 1), sia di risolvere le difficoltà che gli venivano sottoposte e di iniziare i discepoli d’ambo i sessi alla conoscenza delle Scritture (Ep. XLV, 2; CXXVI, 3; CXXVII, 7). – Il Papa gli aveva affidato l’importantissimo compito di rivedere la versione latina del Nuovo Testamento: egli rivelò in quest’impresa una tale penetrazione e una tale finezza di giudizio, che la sua opera è sempre più stimata e ammirata dagli stessi esegeti moderni. Ma tutti i suoi pensieri, tutti i suoi desideri l’attiravano verso i luoghi della Palestina. Fu così che, alla morte di Damaso, Gerolamo si ritirò a Betlemme; ivi, fondato un monastero presso la culla di Gesù, si consacrò tutto a Dio, dedicando tutto il tempo che la preghiera gli lasciava libero allo studio e all’insegnamento delle Scritture. – “Già – così egli ci riferisce – il mio capo s’incanutiva e avevo ormai l’aspetto più di un maestro che di un discepolo; ciò nonostante mi recai ad Alessandria e mi misi alla scuola di Didimo (6). Molto a lui io devo: mi insegnò quello che ignoravo, e ciò che già sapevo mi rivelò sotto diversa forma. Sembrava che non avessi più nulla da imparare, e ora, a Gerusalemme e a Betlemme, a prezzo di quali fatiche e di quali sforzi ho io seguito ancora durante la notte le lezioni di Baranina! Egli temeva gli Ebrei e mi faceva l’effetto di un secondo Niccodemo” (Ep. LXXXIV, 111, 1 e segg.). – Lungi dall’accontentarsi delle lezioni e dell’autorità di quei maestri – e non solo di questi – egli si valse, per raggiungere nuovi progressi, di fonti di documentazione d’ogni genere: dopo di essersi procurato fin dall’inizio i migliori manoscritti e commentari delle Scritture, studiò i libri delle sinagoghe e le opere della biblioteca di Cesarea, fondata da Origene e da Eusebio; il confronto di questi testi con quelli che già possedeva, doveva metterlo in grado di fissare la forma autentica e il vero senso del testo biblico. – Per meglio raggiungere il suo scopo, visitò la Palestina in tutta la sua estensione, fermamente convinto del vantaggio che ne avrebbe tratto, come faceva notare nella sua lettera a Domnione e a Rogaziano: “La Sacra Scrittura sarà molto più penetrabile per colui che ha visto con i suoi occhi la Giudea, che ha ritrovato i resti delle antiche città, ed appreso i nomi rimasti identici o trasformatisi delle varie località. Questo è il pensiero che ci guidava quando ci siamo imposta la fatica di percorrere, insieme ai più grandi eruditi ebrei, la regione il cui nome risuona in tutte le chiese di Cristo” (Ad Domnionem et Rogatianum in I. Paral. Prefaz.). Ecco dunque San Gerolamo nutrire senza posa il suo spirito di questa manna Celeste, commentare le Lettere di San Paolo, correggere, secondo i testi greci, i codici latini dell’Antico Testamento, tradurre di nuovo in latino dall’originale ebraico quasi tutti i Libri Sacri, spiegare ogni giorno le Sacre Scritture ai fedeli insieme riuniti, rispondere alle lettere che da ogni parte gli giungevano per sottoporgli difficoltà esegetiche da risolvere, confutare vigorosamente i detrattori dell’unità e della fede cattolica, e – tanto grande era l’energia che gli infondeva l’amore per le Scritture – non smettere dallo scrivere e dal dettare, finché la morte non ebbe irrigidito la sua mano e spento la sua voce. – Così, non risparmiando né fatiche, né veglie, né spese, mai, fino all’estrema vecchiaia, cessò di meditare giorno e notte, presso il Santo Presepio, sulla legge del Signore, rendendo maggiori servigi al nome cattolico, dal fondo della sua solitudine, con l’esempio della sua vita e con i suoi scritti, di quelli che avrebbe potuto rendere se fosse vissuto a Roma, centro del mondo. – Dopo questo rapido esame della vita e delle opere di San Gerolamo, vediamo ora, Venerabili Fratelli, quale fu il suo insegnamento sulla dignità divina e l’assoluta veracità delle Sacre Scritture. A questo proposito, si analizzino gli scritti del grande Dottore: non v’è pagina in cui non sia reso evidente come egli abbia fermamente e invariabilmente affermato, in armonia con l’intera Chiesa Cattolica, che i Libri Santi sono stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, che autore di essi va ritenuto Dio stesso e che come tali la Chiesa li ha ricevuti (Conc. Vat. I. III, Const. de fide cath. cap. II). I Libri della Santa Scrittura – egli afferma sono stati composti sotto l’ispirazione o la suggestione o anche la diretta dettatura dello Spirito Santo; ed è per di più questo stesso Spirito che li ha composti e divulgati. D’altronde però San Gerolamo non dubita minimamente che ogni autore di questi libri abbia secondo la propria possibilità e il proprio genio, dato libero contributo all’ispirazione divina. Non solo dunque egli afferma senza riserve l’elemento comune a tutti gli scrittori di cose sacre – sarebbe a dire il fatto che la loro penna è guidata dallo Spirito divino, a tal punto che Dio stesso deve essere considerato causa principe e determinante di ogni espressione della Scrittura – ma anche distingue accuratamente e pone in rilievo ciò che in un singolo scrittore vi è particolarmente caratteristico. Sotto diversi punti di vista, secondo cioè l’ordinamento del materiale, secondo l’uso dei vocaboli, la qualità e la forma dello stile, egli dimostra. come ciascuno abbia messo a profitto le proprie facoltà e le proprie capacità personali; giunge in tal modo a fissare e a ben delineare il carattere singolo, le impronte, per così dire, e la fisionomia di ogni autore, soprattutto riguardo ai Profeti e all’Apostolo San Paolo. Per meglio porre in rilievo questa collaborazione di Dio e dell’uomo alla stessa opera, San Gerolamo adduce l’esempio dell’operaio, che si serve, nella costruzione di un oggetto qualsiasi, di uno strumento o di un utensile; infatti tutto quello che gli scrittori sacri dicono “altro non è che la parola stessa di Dio e non la loro parola, e parlando per mezzo della loro bocca, Dio volle servirsi come d’uno strumento (Tract. de Ps., LXXXVIII). – Se noi cerchiamo inoltre di comprendere come bisogna interpretare questa influenza di Dio sullo scrittore di sacri argomenti e l’azione che Egli come causa principale esercitò, noi vedremo che l’opinione di San Gerolamo è in perfetta armonia con la dottrina comune della Chiesa Cattolica: Dio – egli afferma – con un dono della Sua grazia illumina lo spirito dello scrittore, riguardo alla verità che questo deve trasmettere agli uomini “per ordine divino“. Egli suscita in lui la volontà e lo costringe a scrivere; gli conferisce un’assistenza speciale fino al compimento del libro. E’ principalmente su questo punto del concorso divino, che il nostro Santo fonda l’eccellenza e la dignità incomparabili delle Scritture, la cui scienza paragona al “tesoro prezioso (Matth. XIII, 44; Tract. de Ps. LXXII) e alla “splendida perla(Matth. XIII, 45 e segg.) e in cui assicura si trovano “le ricchezze di Cristo” (Quaest. in Gen., Prefaz.) e “l’argento che orna la casa di Dio” (Agg. II, 1 e segg.; cfr. Gal. 11, 10 ecc.). – Proclamava eloquentemente, sia con le parole che con i fatti, l’autorità sovrana della Scrittura. Non appena si sollevava una controversia, egli ricorreva alla Bibbia come alla più autorevole fonte per dedurne testimonianze, argomenti molto saldi e assolutamente inconfutabili al fine di dimostrare apertamente gli errori degli avversari. – Così San Gerolamo rispose, con massima schiettezza e semplicità, a Elvidio (7), che negava la perpetua verginità della Madre di Dio: Se ammettiamo tutto ciò che dice la Scrittura, neghiamo logicamente ciò che essa non dice. Noi crediamo che Dio sia nato da una vergine, appunto perché lo leggiamo nella Scrittura; e neghiamo che Maria non sia rimasta vergine dopo il parto, perché la Scrittura non lo riporta assolutamente (Adv. Helv., 19). Si ripromette, servendosi di queste stesse armi, di difendere con la massima vigoria, contro Gioviniano (8), la dottrina cattolica sullo stato di verginità di Maria, sulla perseveranza, l’astinenza e il merito delle buone opere: “Io farò ogni sforzo per opporre, a ciascuna delle sue asserzioni, i testi delle Scritture: eviterò così che egli vada ovunque lamentandosi che io l’ho vinto più con la mia eloquenza che con la forza della verità” (Adv. Iovin., 1, 4). – Nella difesa delle sue opere contro lo stesso eretico, aggiunge: “Sembrerebbe che l’abbiano supplicato di cedere davanti a me, mentre egli non s’è lasciato prendere che a malincuore, dibattendosi nei lacci della verità (Ep. XLIX, al. XLVIII, 14, 1). – Sull’insieme della Sacra Scrittura, leggiamo ancora nel suo commentario su Geremia, che la morte gli impedì di condurre a termine: “Non bisogna seguire l’errore dei genitori né quello degli antenati, bensì l’autorità delle Scritture e la volontà di Dio maestro” (Ier. IX, 12 e segg.). Ecco come descrive a Fabiola il metodo e l’arte per combattere il nemico: “Una volta che sarai erudito nelle Sacre Scritture, armato delle loro leggi e delle loro testimonianze, che sono i vincoli della verità, tu andrai contro i tuoi nemici, li domerai, li incatenerai e li riporterai prigionieri; e di questi avversari e prigionieri di ieri, tu farai tanti figli di Dio (Ep. LXXVIII, XXX, al. 78, mansio). – Per altro San Gerolamo insegna che l’ispirazione divina dei Libri Santi e la loro sovrana autorità comportano, quale conseguenza necessaria, l’immunità e l’assenza di ogni errore e di ogni inganno: tale principio egli aveva appreso nelle più celebri scuole d’Occidente e d’Oriente, come tramandato dai Padri e accettato dall’opinione comune. – E invero, dopo che egli ebbe intrapreso, per ordine del Papa Damaso, la revisione del Nuovo Testamento, alcuni “spiriti meschini gli rimproverarono amaramente di aver tentato “contro l’autorità degli antichi e l’opinione di tutto il mondo, di fare alcuni ritocchi ai Vangeli”; San Gerolamo si accontentò di rispondere che non era abbastanza semplice di spirito, né così estremamente ingenuo, per pensare che la più piccola parte delle parole del Signore avesse bisogno d’essere corretta, o per ritenere che non fosse divinamente ispirata (Ep. XXVII, 1, 1 e segg.). Nel commento alla prima visione dì Ezechiele intorno ai quattro Evangeli, fa notare: “Non troverà strani tutto quel corpo e quei dorsi disseminati d’occhi, chi si è reso conto come dal più piccolo particolare del Vangelo si sprigiona una luce che illumina col suo raggio il mondo intero: ed anche la cosa che è apparentemente la più trascurabile brilla di tutto il maestoso splendore dello Spirito Santo (Ex. I, 15 e segg.). Ora, questo privilegio, che egli qui rivendica per il Vangelo, lo reclama poi in ognuno dei suoi commentari per tutte le altre “parole del Signore, e ne fa la legge e la base dell’interpretazione cattolica; questo è d’altra parte il criterio di cui San Gerolamo si vale per distinguere il vero profeta dal falso (Mich. II, II e segg.; III, 5 e segg.). Poiché: “la parola del Signore è verità, e per Lui dire significa realizzare” (Mich. IV, 1 e segg.). Pertanto “la Scrittura non può mentire” (Ier. XXXI, 35 e segg.) e non è permesso accusarla di menzogna (Nah. 1, 9) e neppure ammettere nelle sue parole anche un solo errore di nome (Ep. LVII, VII, 4). Del resto, il Santo Dottore aggiunge che egli “non pone sullo stesso piano gli Apostoli e gli altri scrittori, cioè gli autori profani; “quelli dicono sempre la verità, mentre questi, come capita agli uomini, si ingannano su alcuni punti” (Ep. LXXXII, VII, 2); molte affermazioni della Scrittura, che a prima vista possono sembrare incredibili, sono tuttavia vere (Ep. LXXII, II, 2), e in questa “parola dì verità” non è possibile scoprire nessuna contraddizione, nessuna discordanza, nessuna incompatibilità (Ep. XVIII, VII, 4; cfr. Ep. XLVI, VI, 2); per conseguenza “se la Scrittura contenesse due dati che sembrassero escludersi, entrambi” resterebbero “veri, quantunque diversi” (Ep. XXXVI, XI, 2). – Sempre fedele a questo principio, se gli capitava di incontrare nei Libri Sacri apparenti contraddizioni, San Gerolamo concentrava tutte le sue cure e tutti gli sforzi del suo spirito per risolvere la difficoltà; e se giudicava la soluzione ancora poco soddisfacente, riprendeva, non appena si presentasse l’occasione, senza perdere coraggio, l’esame del problema, anche se talora non giungeva a risolverlo completamente. – Mai tuttavia egli incolpò gli scrittori sacri della minima falsità: “Lascio fare ciò agli empi, come Celso, Porfirio, Giuliano(Ep. LVII, IX, 1). In ciò era perfettamente d’accordo con Sant’Agostino: questi – leggiamo in una delle sue lettere allo stesso San Gerolamo – aveva per i Libri Sacri una venerazione così piena di rispetto, da credere molto fermamente che nessun errore fosse sfuggito alla penna di uno solo di tali autori; perciò, se incontrava nelle Lettere Sante un punto che sembrava in contrasto con la verità, lungi dal credere ad una menzogna, ne attribuiva la colpa a un’alterazione del manoscritto, a un errore di traduzione, o a una totale inintelligenza da parte sua. Al che aggiungeva: “Io so, fratello, che tu non pensi diversamente: voglio dire che non m’immagino affatto che tu desideri vedere le tue opere, lette nella stessa disposizione di spirito in cui vengono lette le opere dei Profeti e degli Apostoli; dubitare che esse siano prive di ogni errore, sarebbe un delitto (Sant’Ag. a San Gerol., tra le lettere di San Gerol. CXVI, 3). – Questa dottrina formulata da San Gerolamo conferma dunque splendidamente e nello stesso tempo spiega la dichiarazione del Nostro Predecessore di santa memoria, Leone XIII, in cui era precisata la credenza antica e costante della Chiesa sulla perfetta immunità che mette la Scrittura al riparo d’ogni errore: “E’ tanto assurdo che l’ispirazione divina incorra il pericolo di errare, che non solo il minimo errore ne è essenzialmente escluso, ma anche che questa esclusione e questa impossibilità sono tanto necessarie, quanto è necessario che Dio, sovrana verità, non sia l’autore di alcun errore, anche il più lieve“. – Dopo aver riferito le conclusioni dei Concili di Firenze e di Trento, confermate dal Sinodo in Vaticano, Leone XIII prosegue: “La questione assolutamente non cambia per il fatto che lo Spirito Santo s’è servito di uomini come di strumenti per scrivere, come se qualche errore avesse potuto sfuggire non certo all’autore principale, ma agli scrittori che da Lui erano ispirati. Poiché Egli stesso li ha con la sua azione soprannaturale eccitati e spinti lino a che si ponessero a scrivere; li ha poi assistiti nel corso della loro opera a tal punto che essi pensavano secondo assoluta giustizia, volevano riportare fedelmente e perfettamente esprimevano, con esattezza infallibile, tutto quello che Egli ordinava loro di scrivere, e solo questo riportavano: diversamente non potrebbe essere lo Spirito Santo l’autore di tutta la Sacra Scrittura” (Lett. Encicl. Providentissimus Deus). Queste parole del Nostro Predecessore non lasciavano adito ad alcun dubbio, né ad alcuna esitazione. Ma, ahimè!, Venerabili Fratelli, non mancarono tuttavia, non solo fra gli estranei, ma anche tra i figli della Chiesa Cattolica e – strazio ancor più grande per il Nostro cuore – perfino fra il clero e i maestri delle Scienze sacre, spiriti che con fiducia orgogliosa nel proprio criterio di giudizio, – apertamente rifiutarono o attaccarono subdolamente su questo punto il magistero della Chiesa. Certamente noi approviamo l’intenzione di coloro che, desiderosi per sé e per gli altri di liberare il Testo Sacro dalle sue difficoltà, ricercano, con l’appoggio di tutti i dati della scienza e della critica, nuovi modi e nuovi metodi per risolverle; ma essi falliranno miseramente nella loro impresa, se trascureranno le direttive del Nostro Predecessore e se oltrepasseranno i limiti precisi indicati dai Santi Padri. – Ora l’opinione di alcuni moderni non si preoccupa affatto di queste prescrizioni e di questi limiti: distinguendo nella Sacra Scrittura un duplice elemento, uno principale o religioso, e uno secondario o profano, essi accettano, si, il fatto che l’ispirazione si riveli in tutte le proposizioni ed anche in tutte le parole della Bibbia, ma ne restringono e ne limitano gli effetti, a partire dall’immunità dall’errore e dall’assoluta veracità, limitata al solo elemento principale o religioso. Secondo loro, Dio non si preoccupa e non insegna personalmente nella Scrittura se non ciò che riguarda la religione: il resto ha rapporto con le scienze profane e non ha altra utilità, per la dottrina rivelata, che quella di servire da involucro esteriore alla verità divina. Dio soltanto permette che esso vi sia e l’abbandona alle deboli facoltà dello scrittore. Perciò non vi è nulla di strano se la Bibbia presenta, nelle questioni fisiche, storiche e in altre di simile argomento, passaggi piuttosto frequenti che non è possibile conciliare con gli attuali progressi delle Scienze. – Alcuni sostengono che queste opinioni erronee non sono affatto in contrasto con le prescrizioni del Nostro Predecessore: non ha forse Egli dichiarato che, in materia di fenomeni naturali, l’autore sacro ha parlato secondo le apparenze esteriori, suscettibili quindi d’inganno? Quanto questa affermazione sia temeraria e menzognera, lo provano manifestamente i termini stessi del documento Pontificio. – L’apparenza esteriore delle cose – ha dichiarato molto saggiamente Leone XIII, seguendo Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino – deve essere tenuta in una certa considerazione; ma questo principio non può suscitare il minimo sospetto di errore nella Sacra Scrittura: poiché la sana filosofia asserisce come cosa sicura che i sensi, nella percezione immediata delle cose, oggetto vero di conoscenza, non si ingannano affatto. Inoltre il Nostro Predecessore, dopo aver negato ogni distinzione e ogni possibilità di equivoco tra quello che è l’elemento principale è l’elemento secondario, dimostra chiaramente il gravissimo errore di coloro i quali ritengono che “per giudicare della verità delle proposizioni bisogna senza dubbio ricercare ciò che Dio ha detto, ma più ancora valutare il motivo che lo ha indotto a parlare“. Leone XIII precisa ancora che l’ispirazione divina è presente in tutte le parti della Bibbia, senza selezione né distinzione alcuna, e che è impossibile che anche il minimo errore si sia introdotto nel testo ispirato: “Sarebbe un errore molto grave restringere l’ispirazione divina solo a determinate parti della Sacra Scrittura, o ammettere che l’autore sacro stesso abbia potuto ingannarsi“. – E non sono meno discordi dalla dottrina della Chiesa, confermata dall’autorità di San Gerolamo e degli altri Padri, quelli che ritengono che le parti storiche delle Scritture si appoggiano non sulla verità “assoluta” dei fatti, ma soltanto sulla loro “verità relativa“, come essi la chiamano, e sul modo volgarmente comune di pensare. Per sostenere questa teoria, essi non temono di richiamarsi alle stesse parole del Papa Leone XIII, il quale avrebbe affermato che i principi ammessi in materia di fenomeni naturali possono essere portati in campo storico. Come nell’ordine fisico gli scrittori sacri hanno parlato seguendo le apparenze, cosi – essi pretendono – quando si trattava di riportare avvenimenti non perfettamente noti, li hanno riferiti come apparivano fissati secondo l’opinione comune del popolo o le relazioni inesatte di altri testimoni; inoltre essi non hanno citato le fonti delle loro informazioni, e non hanno garantito personalmente le narrazioni attinte da altri autori. – A che confutare più a lungo una teoria veramente ingiuriosa per il Nostro Predecessore e nello stesso tempo falsa e piena di errore? Quale rapporto, infatti, vi è tra i fenomeni naturali e la storia? Le scienze fisiche si occupano di oggetti che colpiscono i sensi e devono quindi concordare con i fenomeni come essi appaiono; la storia invece, narrazione di fatti, deve – ed è questa la sua legge principale – coincidere con questi fatti, come realmente si sono verificati. Se si accettasse la teoria di costoro, come sarebbe possibile conservare alla narrazione sacra quella verità, immune da ogni falsità, che come il Nostro Predecessore dichiara in tutto il contesto della sua Enciclica, non si deve affatto menomare? – Che anzi, quando egli afferma che v’è interesse a trasportare nella storia e nelle scienze affini i principi che valgono per le scienze fisiche, non intende stabilire una legge generale e assoluta, ma indicare semplicemente un metodo uniforme da seguire, per confutare le obiezioni fallaci degli avversari e difendere contro i loro attacchi la verità storica della Sacra Scrittura. – Se almeno i partigiani di queste teorie si fermassero a ciò! Ma non giungono invece fino al punto d’invocare il Dottore dalmata per difendere la loro opinione? San Gerolamo, a credere in loro, avrebbe dichiarato che bisogna mantenere l’esattezza e l’ordine dei fatti storici nella Bibbia “prendendo per regola non la realtà obiettiva ma l’opinione dei contemporanei“, che, veniva cosi a costituire la vera legge della storia (Ier. XXIII, 15 e segg.; Matth. XIV, 8; Adv. Helv. 4). – Come sono abili a trasformare in loro favore le parole di San Gerolamo! Ma non è possibile avere dubbi sul suo esatto pensiero: egli non afferma che nell’esposizione dei fatti lo scrittore sacro si appropria di una falsa credenza popolare a proposito di dati che ignora, ma dice soltanto che nella designazione delle persone e degli oggetti egli usa il linguaggio corrente. Cosi quando uno scrittore chiama San Giuseppe padre di Gesù, indica chiaramente in tutto il corso della sua narrazione come intenda questo nome di padre. – Secondo San Gerolamo, “la vera legge della storia” richiede che nell’impiego delle denominazioni lo scrittore si attenga, dopo aver eliminato ogni pericolo d’errore, al modo generale d’esprimersi; poiché l’uso è l’arbitro e il regolatore del linguaggio. E che? Forse che il nostro Dottore non pone sullo stesso piano i fatti riportati dalla Bibbia e i dogmi nei quali è necessario credere, se si vuol raggiungere la salvezza eterna? Ecco infatti ciò che leggiamo nel suo commentario sull’Epistola a Filemone: “In quanto a me, ecco ciò che penso: uno crede in Dio Creatore: ciò non gli sarebbe possibile se non credesse alla verità di tutto quello che Scrittura riporta riguardo ai suoi Santi“. E compila una lunghissima serie di citazioni tratte dall’Antico Testamento, concludendo: “Chiunque rifiuti di prestar fede a tutti questi fatti e a tutti gli altri, senza eccezione alcuna, riguardanti i Santi, non potrà credere al Dio dei Santi” (Philem. 4). – San Gerolamo si trova quindi in perfetto accordo con Sant’Agostino, il quale, interprete del sentimento comune di tutta l’antichità, così scriveva: “Noi crediamo tutto ciò che la Sacra Scrittura, posta al supremo culmine dell’autorità dalle testimonianze sicure e venerabili della verità, ci attesta riguardo ad Enoch, ad Elia e a Mosè… Così, se noi crediamo che il Verbo è nato dalla Vergine Maria, non è per il fatto che Egli non avrebbe potuto trovare altro mezzo per assumere una forma realmente incarnata, e per manifestarsi agli uomini (come pretendeva sostenere Fausto), ma perché così è detto in quella Scrittura, alla quale dobbiamo prestar fede, se vogliamo rimanere cristiani e salvarci” (San Aug. Contra Faustum, XXVI, 3 e segg., 6 e segg.). Vi è poi un altro gruppo di denigratori della Sacra Scrittura: intendiamo parlare di coloro che, abusando di certi principi, giusti del resto se si trattengono entro determinati limiti, giungono a distruggere la base della veridicità delle Scritture, e a denigrare la dottrina cattolica trasmessa dai Padri. – Se ancora vivesse, certamente San Gerolamo lancerebbe acuminati strali contro questi imprudenti che, disprezzando il sentimento e il giudizio della Chiesa, ricorrono con troppa facilità a quel sistema da essi definito “delle citazioni implicite” o delle narrazioni che sono storiche soltanto apparentemente; i quali pretendono di scoprire nei Libri Sacri procedimenti letterari inconciliabili con l’assoluta e perfetta veracità della parola divina, e professano sull’origine della Bibbia un’opinione che tende unicamente a scuoterne l’autorità o addirittura ad annullarla. E che pensare di coloro che, nella interpretazione del Vangelo, ne attaccano l’autorità, sia umana che divina, diminuendo quella e distruggendo questa? Delle parole, delle opere di Nostro Signor Gesù Cristo, nulla ci è pervenuto, secondo costoro, nella sua integrità e senza alterazioni, malgrado le testimonianze di coloro che hanno riportato con religiosa cura ciò che avevano visto ed udito; essi non vi vedono – soprattutto per ciò che concerne il IV Vangelo – che una compilazione costituita da un lato dalle aggiunte considerevoli dovute all’immaginazione degli Evangelisti, e dall’altro dal racconto di fedeli di altra epoca; queste correnti perciò, sgorganti da dubbia fonte, hanno oggi cosi ben confuse le acque nello stesso letto, che non è possibile assolutamente avere un criterio sicuro per distinguerle. . – Non è così che Gerolamo, Agostino e gli altri Dottori della Chiesa hanno compreso il valore storico dei Vangeli, nei quali: “Chi ha visto ha reso testimonianza, e la sua testimonianza è vera. Ed egli sa di dire il vero, affinché anche voi lo crediate” (Ioan. XIX, 35); San Gerolamo, dopo aver rimproverato agli eretici, autori di Vangeli apocrifi, di “aver tentato più di ordinare la narrazione che di stabilire la verità(Matth. Prol.) aggiunge al contrario, a proposito dei Libri Canonici: “Nessuno ha il diritto di mettere in dubbio la realtà di quello che è scritto” (Ep. LXXVIII, 1, 1; cfr. Marc. 1, 13-31). Su questo punto è nuovamente d’accordo con Sant’Agostino, il quale in modo eccellente diceva, a proposito del Vangelo: “Queste cose vere sono state scritte con tutta fedeltà e veridicità a suo riguardo, affinché chiunque crede nel suo Vangelo, sia nutrito di verità, e non sia ingannato da menzogne (San Aug., C. Faustum, XXVI, 8). – Vedete quindi, Venerabili Fratelli, con quale ardore dovete consigliare ai figli della Chiesa di fuggire questa folle libertà d’opinione, con la stessa cura che avevano i Padri. Le vostre esortazioni saranno più facilmente ascoltate se convincerete il clero e i fedeli, affidati alla vostra custodia dallo Spirito Santo, che San Gerolamo e gli altri Padri della Chiesa hanno attinto questa dottrina riguardante i Libri Sacri alla scuola stessa del Divin Maestro Gesù Cristo. Infatti, leggiamo noi forse che Nostro Signore abbia avuto una diversa concezione della Scrittura? – Le parole: “E’ scritto“, e “Bisogna che la Scrittura s’avveri” sono sulle Sue labbra un argomento senza eccezioni, tale da escludere ogni possibile controversia. – Ma insistiamo con maggior agio su questa questione. Chi non sa e non ricorda come nei Suoi discorsi al popolo, sia sulla montagna prossima al lago di Genezareth, sia nella sinagoga di Nazareth e nella Sua città di Cafarnao, Gesù Nostro Signore traeva i punti principali e le prove della Sua dottrina dal testo sacro? Non è da esso che Egli attingeva armi invincibili per le discussioni con i Farisei e i Sadducei? Sia che insegni o discuta, Egli riporta affermazioni ed esempi tolti da ogni parte della Scrittura; così, ad esempio, si riferisce indistintamente a Giona, agli abitanti di Ninive, alla regina di Saba e a Salomone, a Elia e ad Eliseo, a Davide, a Noè, a Loth, agli abitanti di Sodoma e alla moglie stessa di Loth (Matth. XII, 3, 39-47; Luc. XVII, 26-29, 32, ecc.). Egli rende una grande testimonianza alla verità dei Santi Padri con la solenne dichiarazione: “Non passerà un solo iota o un solo tratto della legge, finché tutto non sia adempiuto(Matth. V, 18); e ancora: “La Scrittura non può essere annullata” (Ioan. X, 35); perciò: “Colui che avrà violato anche il più lieve di questi comandamenti e insegnato agli uomini a fare altrettanto, sarà il più trascurabile per il regno dei Cieli” (Matth. V, 19). Prima di raggiungere il Padre Suo in Cielo, Egli volle donare questa dottrina agli Apostoli, che ben presto doveva abbandonare sulla terra: “Aprì loro gli spiriti, affinché comprendessero le Scritture, dicendo: così è scritto, e così bisognava che Cristo soffrisse e che risuscitasse da morte il terzo giorno” (Luc. XXIV, 45 e segg.). – La dottrina di San Gerolamo sull’eccellenza e la verità della Scrittura è dunque, per esprimerCi brevemente, la dottrina di Cristo stesso. Perciò Noi esortiamo vivissimamente tutti i figli della Chiesa, e in particolar modo coloro che insegnano la Sacra Scrittura agli studenti ecclesiastici, a seguire senza posa la via tracciata dal Dottore di Stridone; ne risulterà certamente che essi avranno per le Scritture la sua stessa profonda stima, e che il possesso di questo tesoro procurerà loro godimenti sublimi. – Non solo i grandi vantaggi, che già abbiamo ricordato, verranno dal prendere il grande Dottore come guida e maestro, ma molti altri ancora ne scaturiranno e considerevoli: Ci piace, Venerabili Fratelli, ricordarveli sia pur brevemente.

Innanzi tutto, poiché prima d’ogni altro si presenta al Nostro spirito, rileviamo l’appassionato amore per la Bibbia, testimoniato in San Gerolamo da ogni atto della sua vita e dalle sue parole, tutte infervorate dallo Spirito di Dio, amore che egli ha cercato di destare sempre più nelle anime dei fedeli: “Ama la Sacra Scrittura – sembra voler dire a tutti quando si rivolge alla vergine Demetria – e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini” (Ep. CXXX, 20). La lettura assidua della Scrittura, lo studio profondo e diligente di ogni libro, anzi di ogni proposizione e di ogni parola, gli hanno permesso di familiarizzarsi col Testo Sacro, più di ogni altro scrittore dell’antichità ecclesiastica. – Se la Versione Vulgata, compilata dal Nostro Dottore, lascia, secondo il parere di tutti i critici imparziali, molto dietro di sé le altre versioni antiche, perché si giudica essa renda l’originale con maggior esattezza ed eleganza, ciò è dovuto alla conoscenza che San Gerolamo aveva della Bibbia, conoscenza unita in lui ad uno spirito di fine sensibilità. Questa Versione Vulgata, che il Concilio di Trento ha deciso di considerare autentica e di seguire nell’insegnamento e nella liturgia, “essendo consacrata dal lungo uso che ne ha fatto, la Chiesa per tanti secoli“, è Nostro vivo desiderio vedere corretta e resa alla sua purezza primitiva, secondo l’antico testo dei manoscritti, se Dio nella sua infinita bontà vorrà concederCi vita sufficiente; compito arduo e grandissimo, affidato, con felice decisione, ai Benedettini dal Nostro Predecessore Pio X di santa memoria, che costituisce, Noi ne siamo sicuri, nuove fonti autorevoli per la comprensione delle Scritture. Questo amore di San Gerolamo per la Sacra Scrittura si rileva in modo del tutto particolare nelle sue lettere, si che esse sembrano una trama di citazioni tratte dai Libri Santi; così come San Bernardo trovava insignificante ogni pagina che non racchiudesse il dolcissimo nome di Gesù, San Gerolamo non gustava nessuno scritto che non splendesse della luce delle Sacre Scritture. Con tutta semplicità poteva egli scrivere in una lettera a San Paolino, un tempo brillante senatore e console, e da poco convertito alla fede di Cristo: “Se tu avessi questo terreno d’appoggio (voglio dire la scienza delle Sacre Scritture), le tue opere nulla avrebbero da perdere, ma acquisterebbero anzi una certa finitezza, e non cederebbero a nessun’altra per l’eleganza, per la scienza e per la finezza della forma… Unisci a questa dotta eloquenza il gusto o la comprensione delle Scritture, e presto ti vedrò posto nelle prime file dei nostri scrittori” (Ep. LVIII, IX, 2; XI, 2). – Ma quale via e quale metodo seguire per cercare con lieta speranza di scoprire quel prezioso tesoro che il Padre Celeste ha donato ai suoi figli quale consolazione durante il loro esilio? San Gerolamo stesso ce lo indica col suo esempio. Ci esorta innanzi tutto ad intraprendere lo studio della Scrittura con accurata preparazione e con animo ben disposto. – Osserviamo lo stesso San Gerolamo, dopo che ebbe ricevuto il Battesimo: per superare tutti gli ostacoli esteriori che potevano opporsi al suo santo desiderio, imitando il personaggio del Vangelo che, dopo aver trovato un tesoro, “nella sua gioia, se ne va, vende tutto ciò che possiede ed acquista quel campo” (Matth. XIII, 44), egli dice addio ai piaceri effimeri e frivoli di questo mondo, desidera ardentemente la solitudine ed abbraccia una vita austera con tanto maggior ardore quanto più si è reso conto del pericolo che fino allora aveva corso la sua salvezza in mezzo alle seduzioni del vizio. – Superati questi ostacoli, egli doveva ancora d’altra parte disporre il suo spirito ad acquistare la scienza di Gesù Cristo e a rivestirsi di Colui che è “dolce ed umile di cuore“; aveva in realtà provato quella stessa ripugnanza che Sant’Agostino confessava di aver sofferto quando s’era accinto allo studio delle Sante Lettere. Dopo essersi dedicato durante la sua giovinezza alla lettura di Cicerone e degli altri autori profani, quando vuole rivolgere il suo spirito alla Scrittura Sacra, così si pronunzia: “Mi parve indegna d’essere paragonata alla bellezza della prosa ciceroniana. La mia enfasi aveva orrore della sua semplicità e la mia intelligenza non penetrava nel senso suo più profondo; si riesce a penetrarla sempre meglio, quanto più ci si fa piccini, ma io disdegnavo di farmi piccolo, e la boria m’ingigantiva dinanzi ai miei stessi occhi” (S. Aug. Conf. III, 5; Cfr. VIII, 12). – Non altrimenti San Gerolamo, anche nella sua solitudine, gustava a tal punto la letteratura profana, che la povertà di stile delle Scritture gli impediva ancora di riconoscere in esse Cristo nella Sua umiltà. “Così – egli dice – la mia follia mi portava al punto di digiunare per leggere Cicerone. Dopo aver passato moltissime notti insonni, dopo aver versato molte lagrime. che il ricordo delle colpe passate faceva scaturire dal fondo del mio cuore, prendevo in mano Plauto. E quando, ritornato in me stesso, intraprendevo la lettura dei Profeti, il loro barbaro stile mi inorridiva, e quando i miei occhi ciechi restavano chiusi alla luce, io non accusavo di ciò gli stessi miei occhi, ma il sole” (Ep. XXII, XXX, 2). Ma ben presto amò con tale ardore la follia della Croce, da rimanere la prova vivente di quanto un animo umile e pio contribuisca alla comprensione della Bibbia. – Cosciente, come egli era, che “nell’interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo” (Mich. 1, 10, 15) e che per la lettura e la comprensione dei Libri Santi dobbiamo attenerci “al senso che lo Spirito Santo intendeva avere al momento in cui furono scritti” (Gal. V, 19 e segg.), questo santissimo uomo invocava con le sue suppliche, rafforzate dalle preghiere dei suoi amici, il soccorso di Dio e il lume dello Spirito Santo. Si racconta anche che, iniziando i commentari dei Libri Santi, egli volle raccomandarli alla grazia di Dio e alle preghiere dei confratelli, alle quali attribuì il successo, dopo che l’opera fu compiuta. – Oltre che alla grazia divina, egli si rimette all’autorità della tradizione così pienamente da affermare di aver appreso “tutto quello che non sapeva, non da lui stesso, cioè alla scuola di quel cattivo maestro che è l’orgoglio, ma dagli illustri Dottori della Chiesa” (Ep. CVIII, XXVI, 2). – Confessa infatti “di non essersi mai fidato delle proprie forze per ciò che concerne la Sacra Scrittura” (Ad Domnionem et Rogatìanum in I. Par. Prefaz.), e in una lettera a Teofilo, Vescovo d’Alessandria, egli cosi formula la regola secondo la quale aveva ordinato la sua vita e le sue sante fatiche: “Sappi dunque che nulla ci sta più a cuore che salvaguardare i diritti del Cristianesimo, non cambiar nulla al linguaggio dei Padri e non perdere mai di vista questa Romana fede, di cui l’Apostolo fece l’elogio” (Ep. LXIII, 2). – E alla Chiesa, sovrana padrona nella persona dei Pontefici Romani, Gerolamo si sottomette con tutto il suo spirito di devozione. – Dal deserto di Siria, ove era esposto alle fazioni degli eretici, in questi termini scrive a Papa Damaso, volendo sottoporre alla Santa Sede, perché la risolvesse, la controversia degli Orientali sul mistero della Santissima Trinità: “Ho creduto bene di consultare la Cattedra di San Pietro e la fede glorificata dalla parola dell’Apostolo, per chiedere oggi il nutrimento all’anima mia, laddove un tempo ho ricevuto i paramenti di Cristo. Poiché voglio che Egli sia per me unica guida, mi tengo in stretto legame con la Tua Beatitudine, cioè con la Cattedra di San Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa… Decidete, ve ne prego; se così stabilite non esiterò ad ammettere tre ipostasi; se voi l’ordinate, io accetterò che una nuova fede sostituisca quella di Nicea e che noi, ortodossi, ci serviamo delle stesse formule che usano gli ariani” (Ep. XV, I, 2, 4). Infine, nell’epistola seguente, egli rinnova questa notevolissima confessione della sua fede: “Nell’attesa, grido a tutti i venti: Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di San Pietro” (Ep. XVI, 11, 2). Sempre fedele, nello studio della Scrittura, a questa regola di fede, egli si valse di questo solo argomento per confutare un’interpretazione falsa del Testo Sacro: “Ma la Chiesa di Dio non ammette affatto questa opinione” (Dan. III, 37), e con queste sole parole rifiuta un libro apocrifo, contro di lui sostenuto dall’eretico Vigilanzio: “Questo libro non l’ho mai letto. Che bisogno dunque abbiamo di ricorrere a ciò che la Chiesa non riconosce?” (Adv. Vigil. 6). Uno zelo così ardente nel salvaguardare l’integrità della fede, lo trascinava in polemiche molto dibattute contro i figli ribelli della Chiesa, che egli considerava come nemici personali: “Mi basterà di rispondere che non ho mai risparmiato gli eretici e che ho impiegato tutto il mio zelo per fare dei nemici della Chiesa i miei personali nemici” (Dial. c. Pelag., Prolog., 2); e in una lettera a Rufino così scrive: Vi è un punto sul quale non potrò essere d’accordo con te: risparmiare gli eretici e non mostrarmi cattolico” (Contra Ruf., III, 43). Tuttavia, rattristato per la loro defezione, li supplicava di ritornare alla loro Madre addolorata, fonte unica di salvezza (Mich. I, 10 e segg.), e in favore di coloro che erano usciti dalla Chiesa e avevano abbandonato la dottrina dello Spirito Santo “per seguire il proprio criterio“, invocava con tutto il cuore la grazia che ritornassero a Dio (Is. l. VI, cap. XVI, 1-5). – Venerabili Fratelli, se fu mai necessario che tutto il clero e tutti i fedeli s’imbevessero dello spirito del grande Dottore, questo è soprattutto nella nostra epoca, quando numerosi spiriti insorgono con orgogliosa testardaggine contro l’autorità sovrana della rivelazione divina e del magistero della Chiesa. Voi sapete infatti che Leone XIII già ci aveva ammonito “quali uomini si accaniscano in questa lotta e a quali artifici o a quali armi essi ricorrano“. Quale categorico dovere si impone dunque a voi, di suscitare per questa sacra causa i difensori più numerosi e più competenti che possibile: essi dovranno combattere non solo coloro che, negando ogni ordine soprannaturale, non riconoscono né la rivelazione né l’ispirazione divina, ma anche dovranno misurarsi con coloro che assetati di novità profane, osano interpretare le Lettere Sacre come un libro puramente umano, e rifiutano le opinioni accolte dalla Chiesa fin dalla più vetusta antichità, o spingono il loro disprezzo verso il Suo magistero fino al punto di disdegnare, di passar sotto silenzio o persino di cambiare secondo il proprio interesse, alterandole sia subdolamente, sia con sfrontatezza, le Costituzioni della Santa Sede e i decreti della Commissione Pontificale per gli studi biblici. Sia possibile almeno a Noi vedere tutti i cattolici seguire l’aurea regola del Santo Dottore, e docili agli ordini della loro Madre, avere la modestia di non oltrepassare i limiti tradizionali fissati dai Padri e approvati dalla Chiesa! – Ma ritorniamo al nostro soggetto. Armati gli spiriti di pietà e d’umiltà, Gerolamo li invita allo studio della Bibbia. E dapprima raccomanda instancabilmente a tutti la lettura quotidiana della parola divina: “Liberiamo il nostro corpo dal peccato e l’anima nostra si aprirà alla saggezza; coltiviamo la nostra intelligenza con la lettura dei Libri Santi, e la nostra anima vi trovi ogni giorno il suo nutrimento” (Tit. III, 9). – Nel suo commento dell’Epistola agli Efesi, scrive: “Noi dobbiamo dunque con tutto l’ardore leggere le Scritture, e meditare giorno e notte la legge del Signore: potremo cosi, come abili cambiavalute, distinguere le monete buone da quelle false” (Eph. IV, 31). Egli non esclude da questo obbligo comune le matrone e le vergini. Alla matrona romana Leta dà, fra gli altri, questi consigli sull’educazione della figlia: “Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura… Che invece dei gioielli e delle sete essa ami i Libri Divini… Ella dovrà dapprima imparare il Salterio, distrarsi con questi canti e attingere una regola di vita dai proverbi di Salomone. L’Ecclesiaste le insegnerà a calpestare, sotto i piedi, i beni di questo mondo; Giobbe le darà un modello di forza e pazienza. Passerà poi ai Vangeli che dovrà avere sempre tra le mani. Dovrà assimilare avidamente gli Atti degli Apostoli e le Epistole. Dopo aver arricchito di questi tesori il mistico scrigno della sua anima, imparerà a memoria i Profeti, l’Eptateuco, i libri dei Re e dei Paralipomeni, per finire senza pericolo col Cantico dei Cantici” (Ep. CVII, IX, 12). – Le stesse direttive San Gerolamo traccia alla vergine Eustochio (9): “Sii molto assidua alla lettura e allo studio, quanto più ti è possibile. Che il sonno ti colga con il libro in mano e che la pagina sacra riceva il tuo capo caduto per la fatica” (Ep. XXII, XVII, 2; cfr. Ibid. XXIX, 2).

Ed aggiungeva ancora: “Rileverò un particolare che sembrerà forse incredibile ai suoi emuli: ella volle imparare l’ebraico, che io stesso in parte studiai fin dalla mia giovinezza al prezzo di molte fatiche e di molti sudori, e che continuo ad approfondire con incessante lavoro per non dimenticarlo; essa arrivò ad avere una tale padronanza di questa lingua, da cantare i salmi in ebraico e da parlarlo senza il minimo accento latino. E questo si ripete ancora oggi nella sua santa figlia Eustochio” (Ep. CVIII, 26). Né tralascia di ricordare Santa Marcella, ugualmente molto versata nella scienza delle Scritture (Ep. CXXVII, 7). – Chi non vede quali vantaggi e quali godimenti riserva agli spiriti ben disposti la pia lettura dei Libri Santi? Chiunque prenda contatto con la Bibbia con sentimenti di pietà, di salda fede, di umiltà, e col desiderio di perfezionarsi, vi troverà e vi potrà gustare il pane sceso dal Cielo e in lui si verificherà la parola di Davide: “Mi hai rivelato i segreti e i misteri della tua saggezza” (Psal. L, 8); su questa tavola della parola divina si trova infatti veramente “la dottrina santa; essa insegna la vera fede, solleva il velo (del Santuario), e conduce con fermezza fino al Sancta Sanctorum” (Imit. Chr. IV, XI, 4). – Per quanto sta in Noi, Venerabili Fratelli, non cesseremo mai, sull’esempio di San Gerolamo, di esortare tutti i Cristiani a leggere quotidianamente e intensamente soprattutto i Santissimi Vangeli di Nostro Signore, ed inoltre gli Atti degli Apostoli e le Epistole, in modo da assimilarli completamente. Pertanto, nell’occasione di questo centenario, si presenta al Nostro pensiero il piacevole ricordo della Società detta di San Gerolamo, ricordo tanto più caro in quanto abbiamo preso parte Noi stessi agli inizi e all’organizzazione definitiva di quest’opera; felici di aver potuto constatare i suoi passati sviluppi, con animo lieto altri ancora Ce ne auguriamo per l’avvenire. – Voi conoscete, Venerabili Fratelli, lo scopo di questa Società: estendere la diffusione dei Quattro Vangeli e degli Atti degli Apostoli, in modo che questi libri trovino finalmente il loro posto in ogni famiglia cristiana e che ognuno prenda l’abitudine di leggerli e meditarli ogni giorno. Noi desideriamo vivamente vedere che quest’opera, che tanto amiamo per averne constatata l’utilità, si propaghi e si sviluppi dovunque, con la fondazione, in ognuna delle vostre diocesi, di Società aventi lo stesso nome e lo stesso scopo, tutte collegate con la casa madre di Roma. – Nello stesso ordine di idee i più preziosi servigi sono resi alla causa cattolica da coloro che in diversi paesi hanno offerto, ed offrono ancora, tutto il loro zelo, per pubblicare, in formato comodo e attraente, e per diffondere tutti i libri del Nuovo Testamento e una scelta dei libri dell’Antico. E’ certo che questo apostolato è stato singolarmente fecondo per la Chiesa di Dio, poiché, grazie a quest’opera, un gran numero di anime si avvicinano ormai a questa tavola della dottrina Celeste, che il Nostro Signore ha preparato all’universo cristiano per mezzo dei suoi Profeti, dei suoi Apostoli e dei suoi Dottori (Imit. Chr. IV, XI, 4). Invero questo dovere di studiare il Testo Sacro, Gerolamo lo inculca a tutti i fedeli, ma lo impone in modo particolare a coloro che “hanno piegato il collo al giogo di Cristo” ed hanno la Celeste vocazione di predicare la parola di Dio. – Ecco l’esortazione che, nella persona del monaco Rustico, Gerolamo volge a tutto il clero: “Fino a che sei nella tua patria, fa’ della tua celletta un paradiso, cogli i diversi frutti delle Scritture, godi delle delizie di questi Libri e della loro intimità… Abbi sempre la Bibbia in mano e sotto gli occhi, impara parola per parola il Salterio, e fa’ in modo che la tua preghiera sia incessante e il tuo cuore costantemente vigile e chiuso ai pensieri vani” (Ep. CXXV, VII, 3; XI, 1). – Al prete Nepoziano (10) dà questo consiglio: “Leggi con molta frequenza le Divine Scritture ed anzi che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare. Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la santa dottrina e confutare coloro che la contraddicono” (Ep. LII, VII, 1). – Dopo aver ricordato a San Paolino (11) i precetti impartiti da San Paolo ai suoi discepoli Timoteo e Tito, riguardanti la scienza delle Scritture, San Gerolamo aggiunge: “La santità senza la scienza non giova che a se stessa; e quanto essa edifica la Chiesa di Cristo per mezzo di una vita virtuosa, tanto le nuoce se non respinge gli attacchi dei suoi nemici. Il profeta Malachia, o piuttosto il Signore stesso per la bocca sua, diceva: “Consulta i sacerdoti sulla legge”. Data da allora il dovere che ha un sacerdote di dare ragguagli sulla legge a coloro che l’interrogano. Leggiamo inoltre nel Deuteronomio: “Domanda a tuo padre, ed egli te lo indicherà, ai tuoi sacerdoti, ed essi te lo diranno”. Daniele, alla fine della sua santissima visione, dice che i giusti brillano come stelle, e gli intelligenti cioè i sapienti – come il firmamento. Vedi tu quale distanza separa la santità senza scienza dalla scienza rivestita di santità? La prima ci rende simili alle stelle, la seconda simili allo stesso Cielo” (Ep. LIII, 3 e segg.). In altra circostanza, in una lettera a Marcella, egli motteggia ironicamente “la virtù senza scienza” di altri chierici: “Questa ignoranza tiene luogo per loro di santità, ed essi si dichiarano discepoli dei pescatori, come se quelli facessero consistere la loro santità nel non saper niente” (Ep. XXVII, 1, 1). Ma questi ignoranti non sono i soli – rilevava San Gerolamo – a commettere l’errore di non conoscere le Scritture; questo è anche il caso di alcuni chierici istruiti; ed egli impiega i termini più severi per raccomandare ai preti la pratica assidua dei Libri Santi. – Venerabili Fratelli, dovete cercare con tutto il vostro zelo di imprimere questi insegnamenti del santissimo esegeta, il più profondamente possibile, nello spirito del vostro clero e dei vostri fedeli; uno dei vostri primi doveri è infatti quello di riportare, con somma diligenza, la loro attenzione su ciò che la missione divina loro affidatagli richiede, se essi non vogliono mostrarsene indegni: “Poiché le labbra del sacerdote saranno i custodi della scienza, e dalla sua bocca si richiederà l’insegnamento, perché egli è l’Angelo del Signore degli eserciti” (Mal. II, 7). Essi sappiano dunque che non devono né trascurare lo studio delle Scritture, né dedicarvisi con uno spirito diverso da quello che Leone XIII ha espressamente imposto nella sua Lettera Enciclica Providentissimus Deus.  – Otterranno sicuramente risultati migliori se frequenteranno l’Istituto Biblico che il Nostro immediato Predecessore, realizzando il desiderio di Leone XIII, ha fondato per il più grande bene della Chiesa, come chiaramente dimostra l’esperienza degli ultimi dieci anni. La maggior parte non ne ha la possibilità: quindi è desiderabile, Venerabili Fratelli, che per vostra iniziativa e sotto i vostri auspici, i membri scelti dell’uno e dell’altro clero di tutto il mondo vengano a Roma, per dedicarsi agli studi biblici nel Nostro Istituto. Gli studenti che risponderanno a questo appello avranno molti motivi per seguire le lezioni di quest’Istituto. Gli uni – e questo è lo scopo principale dell’Istituto – approfondiranno le scienze bibliche “per essere a loro volta in grado di insegnarle, privatamente o in pubblico, con la penna o con la parola, e per sostenerne l’onore sia come professori, nelle scuole cattoliche, sia come scrittori, esponenti della verità cattolica” (Pio X, Lett. Ap. Vinea electa, 7 maggio 1909); gli altri poi, già iniziati al santo mistero, potranno accrescere le cognizioni acquisite durante i loro studi teologici, sulla Santa Scrittura, sulle autorità esegetiche, sulle cronologie e sulle topografie bibliche; questo perfezionamento avrà soprattutto il vantaggio di fare di loro ministri perfetti della parola divina e di prepararli ad ogni forma di bene (II Tim. III, 17). – Venerabili Fratelli, l’esempio e le autorevoli dichiarazioni di San Gerolamo ci hanno indicato le virtù necessarie per leggere e studiare la Bibbia. Ora ascoltiamolo indicarci ove deve tendere la conoscenza delle Lettere Sacre e quale deve esserne lo scopo. – Ciò che bisogna innanzi tutto cercare nella Scrittura è il nutrimento che alimenti la nostra vita spirituale e la faccia procedere sulla via della perfezione: è con questo scopo che San Gerolamo s’abituò a meditare giorno e notte la legge del Signore e a nutrirsi, nelle Sacre Scritture, del pane disceso dal Cielo e della manna Celeste, che raduna in sé tutte le delizie (Tract. de Ps. CXLVII). – In qual modo la nostra anima potrà fare a meno di questo cibo? E come il sacerdote potrà indicare agli altri la via della salvezza, se trascura egli stesso di istruirsi attraverso la meditazione della Scrittura? E con quale diritto confiderà nel suo sacro ministero “d’essere la guida dei ciechi, la luce di coloro che sono nelle tenebre, il dottore degli ignoranti, il maestro dei fanciulli, colui che ha, nella legge, la regola della scienza e della verità” (Rom. II, 19 e segg.), se rifiuterà di scrutare questa scienza della legge e chiuderà la sua anima alla luce che viene dall’alto? Ahimè! Quanti sono i ministri consacrati, che, per aver trascurato la lettura della Bibbia, muoiono essi stessi di fame e lasciano morire un così gran numero di altre anime, secondo quanto sta scritto: “I piccoli domandano pane, e non v’è nessuno che lo doni loro” (Thren. IV, 4). “Tutta la terra è desolata perché non v’è nessuno che mediti in cuor suo” (Ger. XII, 11). – In secondo luogo è necessario ricercare, come il bisogno richiede, nelle Scritture gli argomenti per rischiarare, rafforzare e difendere i dogmi della fede. Questo meravigliosamente ha fatto San Gerolamo combattendo contro gli eretici del suo tempo; quando voleva confonderli, quali armi ben pungenti e solide egli abbia trovato nei testi delle Scritture, lo dimostrano chiaramente tutte le sue opere! Se gli esegeti d’oggi imitassero il suo esempio, ne risulterebbe senza alcun dubbio questo vantaggio: “risultato necessario e infinitamente desiderabile – diceva il Nostro Predecessore nella sua Enciclica Providentissimus Deus – che l’uso della Sacra Scrittura influirà su tutta la scienza teologica e ne sarà, in un certo senso, l’anima“. – Infine la Scrittura servirà in modo speciale a santificare e fecondare il ministero della parola divina. A questo punto Ci è particolarmente grato poter confermare, con la testimonianza del grande Dottore, le direttive che Noi stessi abbiamo tracciato sulla predicazione sacra nella Nostra Lettera Enciclica Humani generis. Invero, se l’illustre commentatore consiglia così vivamente e con tanta frequenza ai sacerdoti l’assidua lettura dei Libri Santi, è soprattutto perché essi adempiano degnamente il loro ministero d’insegnamento e di predicazione. La loro parola, infatti, perderebbe ogni influenza e ogni autorità, come anche ogni efficacia per la formazione delle anime, se non si ispirasse alla Sacra Scrittura e non vi attingesse forza e vigore. “La lettura dei Libri Santi sarà come il condimento alla parola del sacerdote” (Ep. LII, VIII, 1). Infatti “ogni parola della Santa Scrittura è come una tromba che fa risuonare agli orecchi dei credenti la sua grande voce minacciosa” (Amos III, 3 e segg.); e “nulla suscita tanta impressione come un esempio tratto dalla Sacra Scrittura” (Zach. IX, 15 e segg.). – In quanto agli insegnamenti del santo Dottore sulle regole da osservarsi nell’uso della Bibbia, sebbene rivolti principalmente agli esegeti, tuttavia non devono essere persi di vista dai sacerdoti nella predicazione della parola divina. – Dapprima ci insegna che noi dobbiamo, con un esame molto attento delle parole stesse della Scrittura, assicurarci, senza alcuna possibilità di dubbio, di ciò che l’autore sacro ha scritto. Nessuno infatti ignora che San Gerolamo era solito ricorrere, in caso di bisogno, al testo originale, confrontare tra loro le differenti interpretazioni, valutare la portata delle lezioni e, se scopriva un errore, ricercarne la causa, in modo da scartare dal testo ogni incertezza. Allora, insegna il nostro Dottore, “è necessario ricercare il senso e il concetto che si nascondono sotto le parole, poiché per discutere sulla Sacra Scrittura ha maggior importanza il significato che la parola” (Ep. XXIX, 1, 3). – In questa ricerca di penetrare il significato, Noi lo riconosciamo senza alcuna difficoltà, San Gerolamo, seguendo l’esempio dei Dottori latini e di alcuni Dottori greci del periodo anteriore, ha forse concesso alle interpretazioni allegoriche più di quanto fosse esatto concedere. Ma il suo amore per i Libri Santi, il suo sforzo costante per identificarli e comprenderli a fondo, gli permisero di fare ogni giorno un nuovo progresso nel giusto apprezzamento del senso letterale e di formulare su questo punto validi principi. Noi li riassumeremo brevemente, poiché essi costituiscono ancora oggi la via sicura che tutti devono seguire per trarre dai Libri Santi il vero significato. E’ dunque necessario volgere il nostro animo alla ricerca del senso letterale o storico: “Io do sempre ai lettori prudenti il consiglio di non accettare interpretazioni superstiziose, che isolano brani del testo secondo il capriccio della fantasia, ma di ben esaminare ciò che succede, ciò che accompagna e ciò che segue il punto in questione, sì da stabilire un collegamento fra tutti i brani” (Matth. XXV, 13). – Tutti gli altri metodi per interpretare le Scritture – egli aggiunge – si basano sul senso letterale (Cfr. Ez. XXXVIII, 1 e segg.; XLI, 23 e segg.; XLII, 13 e segg.; Marc. I, 13-31; Ep. CXXIX, VI, 1 ecc.), e non v’è ragione di credere, che questo manchi quando s’incontra una espressione figurata, poiché “spesso la storia è intessuta di metafore ed usa uno stile ricco di immagini” (Hab. III, 14 e segg.). Alcuni pretendono sostenere che il nostro Dottore ha dichiarato che non si rileva in certi passi delle Scritture un senso storico; egli stesso ribatte loro: “Senza negare il senso storico, noi adottiamo di preferenza quello spirituale” (Marc. IX, 1-7; cfr. Ez. XL, 24-27). – Stabilito con certezza il senso letterale o storico, San Gerolamo ricerca i sensi meno ovvi e più profondi, per nutrire il proprio spirito d’un alimento più eletto. Egli insegna infatti a proposito dei libri dei Proverbi, e consiglia più volte riguardo ad altri libri della Scrittura, di non fermarsi al puro senso letterale, “ma di penetrare più a fondo per scorgervi il senso divino, così come si cerca l’oro nel seno della terra, il nocciolo sotto la scorza, il frutto che si nasconde sotto il riccio della castagna” (Eccl. XII, 9 e segg). Perciò, egli diceva indicando a San Paolino “la via da seguire nello studio delle Sacre Scritture“, “tutto ciò che leggiamo nei libri divini splende invero nella sua scorza fulgida e brillante, ma è ancor più dolce nel midollo. Chi vuol gustare il frutto, rompa il guscio” (Ep. LVIII, IX, 1). – San Gerolamo fa inoltre osservare la necessità di usare, nella ricerca del senso nascosto, una certa discrezione, “affinché il desiderio della ricchezza del senso spirituale non sembri farci disprezzare la povertà del senso storico” (Eccl. II, 24 e segg.). – Pertanto egli rimprovera a molte interpretazioni mistiche di antichi scrittori di aver completamente trascurato di appoggiarsi al senso letterale: “Non bisogna ridurre tutte le promesse che i libri dei santi profeti hanno cantato, nel loro senso letterale, a non essere altro che forme vuote e termini estrinseci di una semplice figura di retorica; esse devono, al contrario, posare su un terreno ben fermo, che è quello di stabilirle su basi storiche, perché possano poi elevarsi alla cima più eccelsa del significato mistico” (Amos IX, 6). – Osserva saggiamente, a questo proposito, che non dobbiamo allontanarci dal metodo di Cristo e degli Apostoli, i quali, sebbene l’Antico Testamento non sia ai loro occhi che la preparazione e quasi l’ombra del Nuovo Trattato e, per conseguenza, essi interpretino secondo il senso figurato un gran numero di passi, tuttavia non riducono ad immagini tutto il complesso del testo. A sostegno di questa tesi, spesso San Gerolamo riporta l’esempio dell’Apostolo San Paolo, che, per citare un caso, “descrivendo le figure spirituali di Adamo ed Eva, non negava che esse erano state create, ma, improntando l’interpretazione mistica sulla base storica, scriveva: – Per questo l’uomo abbandonerà… ” (Is. VI, 1-7).

I commentatori delle Sacre Scritture e i predicatori della parola di Dio, seguendo l’esempio di Cristo e degli Apostoli e le direttive tracciate da Leone XIII, “non devono trascurare le trasposizioni allegoriche od altre dello stesso genere fatte dagli stessi Padri di alcuni passi, soprattutto se esse si allontanano dal senso letterale e sono sostenute dall’autorità di un Padre di gran nome“; infine, prendendo per base il senso letterale, devono giungere, con misura e discrezione, ad interpretazioni più elevate; essi coglieranno con San Gerolamo la verità profonda del detto dell’Apostolo: “Tutta la Scrittura è ispirata dallo Spirito di Dio ed è utile per insegnare, per persuadere, per correggere, per formare (le menti) alla giustizia” (II Tim. III, 16), e il tesoro inesauribile delle Scritture fornirà loro un grande appoggio di fatti e di idee atti ad orientare, con forza di persuasione, verso la santità la vita e i costumi dei fedeli.

Quanto a ciò che si riferisce all’esposizione e all’espressione, poiché quello che si richiede nei divulgatori dei misteri di Dio è la versione fedele del testo originale, San Gerolamo sostiene principalmente che è necessario attenersi innanzi tutto “all’esatta interpretazione” e che “il dovere del commentatore non è quello di esporre idee personali, bensì quelle dell’autore che viene commentato” (Ep. XLIX, al. 48, 17, 7); d’altra parte, egli aggiunge, “l’oratore sacro è esposto al grave pericolo un giorno o l’altro, per via di un’interpretazione errata, di fare del Vangelo di Cristo il Vangelo dell’uomo” (Gal. I, 11 e segg.). In secondo luogo “nella spiegazione delle Sante Scritture non è da ricercare lo stile ornato e fiorito di retorica, ma il valore scientifico e la semplicità della verità” (Amos, Prefaz. in l. III). – Uniformatosi a questa regola nella compilazione delle sue opere, San Gerolamo dichiara, nei Commentari, che il suo scopo non era quello di “ottenere un plauso” alle sue parole, ma “di far comprendere in esse il vero senso delle parole degli altri” (Gal., Pref. in l. III); l’esposizione della parola divina, egli dice, richiede uno stile che “non sappia di elucubrazioni, ma che riveli l’idea oggettiva, che ne tratti minutamente il significato, che chiarifichi i punti oscuri e che non si impigli in effetti fioriti di linguaggio” (Ep. XXXVI, XIV, 2; cfr. Ep. CXL, 1, 2). – Sarebbe bene riportare a questo punto alcuni passi di San Gerolamo, che chiaramente dimostrano come egli avesse orrore dell’eloquenza propria dei rètori, i quali nell’enfasi della declamazione e nell’eloquio vertiginoso delle parole vuote non hanno di mira che i vani applausi. “Non diventare – consiglia al prete Nepoziano – un declamatore e un inesauribile mulino di parole; ma procura di familiarizzarti col senso nascosto e penetra a fondo i misteri del tuo Dio. Ampliare la forma espressiva e farsi valere per l’agilità dello stile agli occhi del volgo ignorante, è proprio degli stolti” (Ep. LII, VIII, 1). “Tutti gli spiriti dotti al giorno d’oggi non si preoccupano di assimilare il nocciolo delle Scritture, ma di lusingare gli orecchi della folla coi fiori di retorica” (Dial. e Lucif. II). “Non voglio parlare di coloro che, come io stesso un tempo, se giungono a contatto con le Sacre Scritture dopo aver praticato la letteratura profana e ricreato l’orecchio della folla con lo stile fiorito, ritengono che ogni loro parola sia la legge di Dio e non si degnano di vedere quello che hanno inteso dire i Profeti e gli Apostoli, ma adattano al loro punto di vista testimonianze che non vi si riferiscono affatto; come se fosse eloquenza di grande valore, e non invece la peggiore che esista, quella di falsificare i testi e di allontanare abusivamente la Scrittura dal suo tracciato” (Ep. LIII, VII, 2). “Poiché senza l’autorità delle Scritture questi chiacchieroni perderebbero ogni forza persuasiva, e non sembrerebbe più che essi rafforzino coi testi sacri la falsità delle loro dottrine” (Tit. 1, 10 e segg.). Ora questa chiacchiera eloquente e questa eloquente ignoranza “non hanno nulla di incisivo, di vivo, di vitale, ma non sono che un tutto fiacco, sterile ed inconsistente che produce solo umili piante ed erbe ben presto avvizzite e giacenti al suolo“; al contrario, la dottrina del Vangelo, fatta di semplicità, “produce qualcosa di meglio di umili pianticelle” e, come il piccolissimo grano di senape, “si trasforma in albero, sì che gli uccelli del cielo… vengono a posarsi tra i suoi rami” (Matth. XIII, 32). – Perciò San Gerolamo ricercava ovunque questa santa semplicità di linguaggio, che non esclude per altro uno splendore e una bellezza tutt’affatto naturali: “Che gli altri siano pure eloquenti e ricevano il plauso tanto desiderato e declamino con voce enfatica e fiumi di parole; quanto a me, mi accontento di farmi capire e, trattando le Scritture, di imitare la loro stessa semplicità” (Ep. XXXVI, XIV, 2). Pertanto “l’esegesi cattolica, senza rinunciare al pregio di un bello, stile, deve occultarlo ed evitarlo per rivolgersi non a vane scuole di filosofi e a pochi discepoli, ma a tutto il genere umano” (Ep. XLVIII, al. 49, 4, 3). Se i giovani sacerdoti metteranno veramente a profitto questi consigli e queste norme, se i preti più anziani non li perderanno mai di vista, Noi siamo sicuri che il loro santo ministero sarà di gran lunga giovevole alle anime dei fedeli. – Ci rimane, Venerabili Fratelli, da commemorare i dolci frutti” che San Gerolamo ha colto “dall’amaro seme delle Sacre Lettere“, nella speranza che il suo esempio infiammerà lo spirito dei sacerdoti e dei fedeli affidati alle vostre cure, suscitando in loro il desiderio di conoscere e di partecipare anch’essi alla salutare virtù del Testo Sacro. – Ma tutte queste soavi delizie spirituali che pervadono l’animo del pio anacoreta, preferiamo che voi le apprendiate per cosi dire dalla sua stessa bocca, piuttosto che da Noi. Ascoltate dunque in quali termini egli parla di questa scienza sacra a Paolino, suo “confratello, compagno ed amico“: “Io ti chiedo, fratello carissimo: vivere in mezzo a questi misteri, meditarli, null’altro conoscere e null’altro sapere, non ti sembra che tutto ciò sia già il paradiso in terra?” (Ep. LIII, X, 1). “Dimmi un po’, domanda San Gerolamo alla sua allieva Paola, che vi è di più santo di questo mistero? Che cosa di più attraente di questo piacere? Quale alimento, quale miele più dolce di quello di conoscere i disegni di Dio, d’essere ammesso nel suo santuario, di penetrare il pensiero del Creatore e le parole del tuo Signore, che i dotti di questo mondo deridono e che sono piene di sapienza spirituale? Lasciamo che gli altri godano delle loro ricchezze, bevano in una coppa ornata di pietre preziose, indossino sete splendenti, si cibino dei plausi della folla, senza che la varietà dei piaceri riesca ad esaurire i loro tesori: le nostre delizie invece consisteranno nel meditare giorno e notte sulla legge del Signore, nel bussare a una porta in attesa che s’apra, nel ricevere la mistica elemosina del pane della Trinità, nel camminare, guidati dal Signore, sui flutti della vita” (Ep. XXX, 13). Ed ancora a Paola ed a sua figlia Eustochio, San Gerolamo scrive nel suo commentario sull’Epistola agli Efesi: “Se qualcosa vi è, Paola ed Eustochio, che trattiene quaggiù nella saggezza e che in mezzo alle tribolazioni e ai turbini di questo mondo mantiene l’equilibrio dell’anima, io credo che questo sia innanzi tutto la meditazione e la scienza delle Scritture” (Eph. Prol.). Ed è ricorrendo ad esse, che egli, afflitto nell’intimo da profondi dolori e colpito nel corpo dalla malattia, poteva godere ancora della consolazione della pace e della gioia del cuore: questa gioia egli non si limitava a gustarla in una vana oziosità, ma il frutto della carità si trasformava in carità attiva al servizio della Chiesa di Dio, cui il Signore ha affidato la custodia della parola divina. In realtà ogni pagina delle Sante Lettere dei due Testamenti era per lui la glorificazione della Chiesa di Dio. Quasi tutte le donne celebri e virtuose, cui nell’Antico Testamento è tributato onore, non sono forse l’immagine di questa Sposa mistica di Cristo? Il sacerdozio e i sacrifici, i riti e le solennità, quasi tutti i fatti riportati nell’Antico Testamento non ne costituiscono forse l’ombra? E il fatto che si trova divinamente realizzato nella Chiesa un così gran numero di promesse dei Salmi e dei Profeti? Ed egli stesso, infine, non conosceva forse, per l’annuncio che ne avevano fatto Nostro Signore e gli Apostoli, gli insigni privilegi di questa Chiesa? E come è possibile dunque che la scienza delle Scritture non abbia infiammato il cuore di San Gerolamo d’un amore ogni giorno più ardente per la Sposa di Cristo?

Noi già sappiamo, Venerabili Fratelli, quale profondo rispetto, quale amore entusiasta egli nutriva per la Chiesa Romana e per la Cattedra di San Pietro; sappiamo con quale vigore egli combattesse contro i nemici della Chiesa. Così scriveva, esprimendo il suo compiacimento ad Agostino, suo giovane compagno d’armi, che sosteneva le medesime battaglie e si rallegrava d’essersi come lui attirato l’ira degli eretici: “Evviva il tuo valore! Il mondo intero ha gli occhi su di te. I cattolici venerano e riconoscono in te il restauratore della fede dei primi tempi del Cristianesimo e, indice ancor più glorioso, tutti gli eretici ti maledicono e con te mi perseguitano d’uno stesso odio, per potere, dato che il loro gladio non ne ha la forza, ucciderci col desiderio” (Ep. CXLI, 2; cfr. Ep. CXXIV, 1). Questa testimonianza si trova egregiamente confermata nel “Sulpizio Severo” di Postumiano: “Una lotta continua e un duello ininterrotto contro i malvagi hanno concentrato su San Gerolamo l’odio dei perversi. In lui gli eretici odiano colui che non cessa di attaccarli, e i chierici colui che rimprovera la loro vita e le loro colpe. Ma tutti gli uomini virtuosi, senza eccezione alcuna, l’amano e l’ammirano” (Postumianus apud Sulp. Sev., Dial. 1, 9).

Quest’odio degli eretici e dei malvagi fece soffrire a Gerolamo molte asperrime pene, soprattutto quando i Pelagiani irruppero sul monastero di Betlemme e lo saccheggiarono; ma egli sopportò di buon animo tutte le offese e tutti gli oltraggi e mai perdette il coraggio, come colui che non esita a morire in difesa della fede cristiana: “La mia gioia, egli scrive ad Apronio, è quella d’apprendere che i miei figli combattono per Cristo e che Colui, nel quale crediamo, rafforza in noi lo zelo ed il coraggio, affinché possiamo essere pronti a versare il nostro sangue per la Sua fede… Le persecuzioni degli eretici hanno rovinato da cima a fondo il nostro monastero quanto alle sue ricchezze materiali, ma la bontà di Cristo lo ha colmato di ricchezze spirituali. E’ meglio non avere pane da mangiare, che perdere la fede” (Ep. CXXXIX). E se non ha mai permesso all’errore di diffondersi impunemente, non ha impiegato minor zelo ad erigersi in termini energici contro i corrotti costumi, volendo, per quanto le sue forze glielo permettevano, “presentare” a Cristo “una Chiesa gloriosa, senza macchie né rughe, né nulla di simile, ma santa e immacolata” (Eph. V, 27). M- Quale vigore nei rimproveri che San Gerolamo rivolge a coloro che profanano con una vita colpevole la dignità sacerdotale! Con quale eloquenza egli investe i costumi pagani che pervadono in gran parte la città stessa di Roma! Per arginare a qualunque costo questa invasione di tutti i vizi e di tutte le colpe, egli vi oppone l’eccellenza e la bontà delle virtù cristiane, giustamente convinto che nulla vale di più contro il male dell’amore delle cose purissime; egli richiede insistentemente per la gioventù un’educazione informata a senso religioso e ad onestà, esorta con severi consigli gli sposi a condurre una vita pura e santa, suscita nelle anime più delicate il culto della verginità, non trova abbastanza elogi per la severa ma dolce austerità della vita dello spirito, richiama, con tutte le sue forze, il primo precetto della religione cristiana – il comandamento della carità unita al lavoro – la cui osservanza doveva sottrarre la società umana ai turbamenti e restituirle la tranquillità dell’ordine. – Ricordiamo questa bella frase, ch’egli rivolgeva a San Paolino a proposito della carità: “Il vero tempio di Cristo è l’anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?” (Ep. LVIII, VII, 1). Quanto al dovere del lavoro, egli lo ricorda a tutti con un tale ardore, nei suoi scritti e più ancora negli esempi di tutta la sua vita, che Postumiano, dopo un soggiorno di sei mesi a Betlemme insieme a San Gerolamo, gli ha reso questa testimonianza nel “Sulpizio Severo”: “Lo si trova senza posa tutto occupato nella lettura, tutto immerso nei libri: né il giorno né la notte riposa, ma sempre legge o scrive” (Postum. apud Sulp. Sev., Dial. 1, 9). – Del resto, il suo ardente amore per la Chiesa si rileva dai suoi Commentari, dove egli non tralascia nessuna occasione per celebrare la Sposa di Cristo. Citiamo, per esempio, questo passo del Commentario del profeta Aggeo: “Accorse il fior fiore di tutte le nazioni e la gloria ha riempito la casa del Signore, cioè la Chiesa di Dio vivente, colonna e fondamento della verità… Questi metalli preziosi donano più splendore alla Chiesa del Salvatore di quanto non ne donassero un tempo alla Sinagoga; di queste vive pietre è costruita la casa di Cristo ed essa si corona d’una pace eterna” (Agg. II, 1 e segg.). E in un altro passo, commentando Michea, dice: “Venite, saliamo alla casa del Signore: è necessario salire se si vuol giungere fino a Cristo e alla casa del Dio di Giacobbe, la Chiesa, casa di Dio, colonna e fondamento della verità” (Mich. IV, 1 e segg.).

Nella prefazione al Commentario di San Matteo, leggiamo: “La Chiesa è stata costruita su una pietra da una parola del Signore; è questa che il Re ha fatto introdurre nella sua camera ed è a lei che attraverso l’apertura segreta ha teso la mano” (Matth., Prol.).

Come risulta da questi ultimi passi che abbiamo citato, cosi più volte il nostro Dottore esalta l’unione intima del Signore con la Chiesa. Poiché non è possibile separare la testa dal suo corpo mistico, l’amore per la Chiesa porta necessariamente con sé l’amore per Cristo, che deve essere considerato il frutto principale e dolcissimo della scienza delle Scritture. Gerolamo, infatti, era a tal punto convinto che questa conoscenza del Testo Sacro è la via esatta che conduce alla conoscenza e all’amore di Nostro Signore, che non esitava ad affermare: “Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo stesso” (Is. Prol.; cfr. Tract. de Ps. LXXVII). Con lo stesso intendimento scrive a Santa Paola: “Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali sì impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?” (Ep. XXX, 7). E’ verso Cristo infatti che convergono, come al loro punto centrale, tutte le pagine dei due Testamenti; e nel commento al passo dell’Apocalisse, dove è la questione del fiume e dell’albero della vita, San Gerolamo in particolare scrive: “Non vi è che un fiume che sgorga dal trono di Dio, ed è la grazia dello Spirito Santo, e questa grazia dello Spirito Santo è racchiusa nelle Sante Scritture, cioè in questo fiume delle Scritture. Il quale fiume tuttavia scorre tra due rive, che sono l’Antico e il Nuovo Testamento, e su ogni lato sorge un albero, che è Cristo stesso” (Tract. de Ps. I). – Nulla di strano dunque se Gerolamo nelle sue pie meditazioni era solito riferire a Cristo tutto quello che leggeva nei Libri Santi: “Quando io leggo il Vangelo e mi trovo di fronte a testimonianze sulla legge e sui profeti, io non penso che a Cristo: se ho studiato Mosè, se ho studiato i profeti, è stato solo per comprendere quello che essi dicevano di Cristo. Quando un giorno io sarò giunto dinanzi allo splendore di Cristo, quando la sua fulgida luce come quella del sole abbagliante splenderà ai miei occhi, io non potrò più vedere il lume d’una lampada. Se accenderai una lampada in pieno giorno, farà essa luce? Quando splende il sole, la luce di questa lampada svanisce: così, alla presenza di Cristo, la legge e i profeti scompaiono. Nulla io voglio togliere alla gloria della legge e dei profeti: al contrario, li lodo quali annunciatori di Cristo. Se mi accingo alla lettura della legge e dei profeti, il mio scopo non è quello di fermarmi ad essi, ma di giungere, attraverso essi, fino a Cristo” (Marc. IX, 1, 7). – Così noi lo vediamo elevarsi meravigliosamente, per mezzo dei Commentari alle Scritture, all’amore e alla conoscenza di Gesù Nostro Signore, e trovarvi la perla preziosa di cui parla il Vangelo: “Non vi è fra tutte che una sola pietra preziosa, ed è la conoscenza del Salvatore, il mistero della Sua passione e l’arcano segreto della Sua risurrezione” (Matth. XIII, 45 e segg.). – L’amore ardente per Cristo lo portava, povero ed umile insieme a Lui, a liberarsi completamente da ogni legame di preoccupazione terrestre, a non cercare che Cristo, a penetrare nel Suo spirito; a vivere con Lui nella più stretta unione, a foggiare la propria vita secondo l’immagine di Cristo sofferente, a non avere desideri più intensi che soffrire con Cristo e per Cristo. Perciò, al momento di imbarcarsi, allorché, essendo morto Damaso, perfidi nemici con le loro vessazioni lo fecero allontanare da Roma, così scriveva: “Alcuni possono considerarmi un criminale, cacciato sotto il peso di tutte le sue colpe, ma questo non è ancora nulla in confronto ai miei peccati; tu puoi tuttavia credere nel tuo intimo a una virtù dei peccatori… Io rendo grazie a Dio di meritare l’odio del mondo. Quale parte di sofferenze ho patito, io, il soldato della croce? La calunnia mi ha coperto del marchio d’un delitto: ma io so che con la cattiva come con la buona fama si arriva al regno dei Cieli” (Ep. XLV, 1,6). – Così esortava la pietosa vergine Eustochio a sopportare coraggiosamente per amore di Cristo le pene della vita presente: “Grande è la sofferenza, ma grande è la ricompensa ad imitare i martiri, gli apostoli, ad imitare Cristo. Tutte queste pene che vengo enumerando sembrerebbero intollerabili a chi non ama Cristo; ma, al contrario, chi considera tutta la pompa della vita terrena come un fango immondo, per cui tutto è vano sotto la luce del sole, chi non vuole arricchirsi che di Cristo, chi si unisce alla morte e alla resurrezione del suo Signore e chi uccide la propria carne con tutti i suoi vizi e tutte le sue brame, costui potrà liberamente gridare: Chi mi potrà separare dalla carità di Cristo?” (Ep. XXII, 38 e segg.).

Gerolamo dunque abbondantissimi frutti traeva dalla lettura dei Libri Santi: di qui egli attingeva quella luce interiore, che lo faceva sempre più avanzare nella conoscenza e nell’amore di Cristo; di qui quello spirito di preghiera, di cui così bene ha detto nei suoi scritti; qui infine acquistò quella mirabile intima comunione con Cristo, che con le sue dolcezze lo incitò a tendere senza tregua, attraverso l’aspro sentiero della croce, alla conquista della palma di vittoria. – Cosi lo slancio del suo cuore lo portava continuamente verso la Santissima Eucaristia: “Poiché nessuno è più ricco di colui che porta il corpo del Signore in un cestello di vimini e il Suo Sangue in un’ampolla” (Ep. CXXV, XX, 4); uguale venerazione nutriva San Gerolamo per la Santa Vergine di cui difende con ogni forza la perpetua verginità; e la Madre di Dio, ideale di tutte le virtù, era il modello che egli proponeva agli sposi di Cristo, perché la imitassero. – Nessuno si stupirà dunque se i luoghi della Palestina che avevano santificato il nostro Redentore e la sua Santissima Madre hanno esercitato un fascino e un’attrattiva cosi grandi su San Gerolamo. Quali fossero i suoi sentimenti su questo punto, si potrà facilmente indovinare da ciò che Paola ed Eustochio, sue discepole, scrivevano da Betlemme a Marcella: “Con quali parole noi possiamo darti un’idea della grotta in cui nacque il Divin Salvatore? Della culla che udì i suoi vagiti infantili? E’ più degno il silenzio che le nostre povere parole… Non verrà dunque il giorno in cui ci sarà dato di entrare nella grotta del Salvatore, di piangere sulla tomba del Divino Maestro accanto a una sorella, ad una madre? Di baciare il legno della Croce e sul Monte degli Ulivi di seguire in ispirito, ardenti di desiderio, Cristo nella Sua Ascensione?” (Ep. XLVI, XI, 13). – Gerolamo conduceva, lontano da Roma, una vita di mortificazione per il suo corpo, ma il richiamo dei sacri ricordi infondeva alla sua anima una tale dolcezza, da scrivere: “Ah! se Roma possedesse quello che possiede Betlemme, che è tuttavia più umile della città romana!” (Ep. LIV, XIII, 6). – Il voto del Santissimo esegeta s’è realizzato in modo diverso da quello da lui inteso, e Noi, Noi e tutti i cittadini di Roma, abbiamo motivo di rallegrarcene. Infatti i resti del grande Dottore, deposti in quella grotta che per tanto tempo aveva abitata, per cui la celebre città di Davide si gloriava un tempo di conservarli, Roma oggi ha la fortuna di custodirli nella basilica di Santa Maria Maggiore, ove riposano accanto alla Culla stessa del Salvatore. – S’è spenta la voce, la cui eco dal deserto percorreva un tempo il mondo intero; ma attraverso i suoi scritti, “che splendono su tutto l’universo come fiamme divine” (Cassian. De incarn. 7, 26), San Gerolamo parla ancora. Egli proclama l’eccellenza, l’integrità e la veracità storica delle Scritture, e i dolci frutti che la loro lettura e la loro meditazione offrono. Proclama per tutti i figli della Chiesa la necessità di ritornare a una vita degna del nome cristiano e di guardarsi dal contagio dei costumi pagani, che nella nostra epoca sembrano essersi pressoché ristabiliti. Proclama che la Cattedra di Pietro, mercè soprattutto la pietà filiale e lo zelo degli Italiani, cui il Cielo ha dato il privilegio di possederla entro i confini della loro patria, deve godere dell’onore e della libertà assolutamente indispensabili per la dignità e l’esercizio stesso della carica Apostolica. – Proclama, per le nazioni cristiane che hanno avuto la sventura di staccarsi dalla Chiesa, il dovere di ritornare alla loro Madre, ove riposa tutta la speranza della salute eterna. Voglia Dio che questo appello sia inteso soprattutto dalle Chiese Orientali, che ormai da troppo tempo sono ostili alla Cattedra di Pietro. Quando viveva in quelle regioni ed aveva per maestri Gregorio Nazianzeno e Didimo d’Alessandria, Gerolamo sintetizzava in questa formula divenuta classica la dottrina dei popoli orientali a quell’epoca: “Chiunque non si rifugia nell’arca di Noè, sarà travolto dai flutti del diluvio” (Ep. XV, 11, 1). Se Dio non arresta oggi questo flagello, non minaccia esso di distruggere tutte le istituzioni umane? Che più rimane, se viene soppresso Dio, autore e conservatore di tutte le cose? Che cosa può continuare ad esistere, una volta staccata da Cristo, fonte di vita? Ma colui che un tempo, all’appello dei suoi discepoli, calmò il mare in tempesta, può ancora rendere alla società umana travolta il preziosissimo beneficio della pace. – Possa San Gerolamo attirare questa grazia sulla Chiesa di Dio, che egli ha con tanto ardore amato e con tanto coraggio difeso contro ogni assalto dei nemici; possa il suo patrocinio ottenere per noi che tutte le discordie siano sedate secondo il desiderio di Gesù Cristo, e “che vi sia un solo gregge sotto un solo pastore“.

Comunicate senza indugio, Venerabili Fratelli, al vostro clero e ai vostri fedeli, le istruzioni che vi abbiamo dato in occasione del quindicesimo centenario della morte del grande Dottore. Noi vorremmo che tutti, secondo l’esempio e sotto il patrocinio di San Gerolamo, non soltanto rimanessero fedeli alla dottrina cattolica sotto l’ispirazione divina delle Sacre Scritture e ne prendessero la difesa, ma che osservassero anche con scrupolosa cura le prescrizioni dell’enciclica Providentissimus Deus e della presente Lettera. In attesa, formuliamo l’augurio che tutti i figli della Chiesa si lascino penetrare e fortificare dalla dolcezza delle Sante Lettere, per arrivare a una conoscenza perfetta di Gesù Cristo. – Come pegno di tale voto, e in testimonianza della Nostra paterna benevolenza, Noi impartiamo, nella somma grazia del Signore, a voi, a tutto il clero e a tutti i fedeli che vi sono affidati, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 settembre 1920, anno VII del Nostro Pontificato.

BENEDETTO PP. XV.

NOTE

(1) Due personaggi diversissimi portano questo nome: sono padre e figlio, vissuti nel IV secolo dopo Cristo e quindi contemporanei di – San Gerolamo. Il primo, detto Apollinare il vecchio, è ricordato per la sua bizzarra resistenza alla legislazione di Giuliano l’Apostata. Quando questo imperatore vietò che i maestri cristiani si valessero dei testi classici nel loro insegnamento, Apollinare si dedicò a tradurre in latino e in greco, in prosa e in versi, i libri sacri per servirsene poi di testo per l’insegnamento delle due lingue. Di queste traduzioni non resta traccia, essendo andate del tutto disperse. Il figlio, detto Apollinare il giovane, al quale si riferisce senza dubbio il ricordo di San Gerolamo, fu personaggio eminente e discusso del Cristianesimo greco. Anche delle sue opere poco o nulla è rimasto e il suo ricordo è strettamente legato agli accenni che di lui si trovano negli scritti di San Gerolamo. Nel combattere aspramente in molti scritti l’arianesimo, cadde nell’errore opposto di negare totalmente la natura umana di Cristo, riconoscendogli esclusivamente la natura divina. Ben quattro Concili lo condannarono, cosicché egli finì la sua vita fuori dal seno della Chiesa. Per molti anni, fino a tutta la prima metà del secolo, le teorie di Apollinare di Laodicea ebbero seguaci che vennero appunto chiamati “Apollinaristi”.

(2) San Gregorio il teologo – o di Nazianzo – vissuto fra il 330 e il 390. Patriarca di Costantinopoli, vi presiedette il Concilio ecumenico del 380. Lasciò il patriarcato l’anno successivo per ritirarsi in Cappadocia. Scrittore efficacissimo, combatté lo scisma ariano in quarantacinque discorsi: celeberrimo quello in morte di San Basilio. Lasciò altri scritti, in prosa e in poesia.

(3) L’Eusebio citato è quello di Cesarea, vissuto fra il 265 e il 339 o 340, vescovo di quella città. Scrittore di grande erudizione, lasciò molte opere di storia e di teologia. La Cronaca citata nell’enciclica è nota anche con il titolo di Storia ecclesiastica, che fu appunto tradotta da San Gerolamo, dal testo greco, in lingua latina.

(4) Lo scritto di San Gerolamo noto con il titolo Tractatus de Seraphin commenta il capo VI, paragrafi 2 e seguenti del libro di Isaia. Fu scoperto da Padre Ancelli a Montecassino e illustra una delle pagine più misteriose della Bibbia.

(5) Eletto dopo la morte del Pontefice Liberio e dell’antipapa Felice II, Damaso occupò la Cattedra romana in uno dei più agitati periodi della storia della Chiesa, funestato da gravi lotte politico-religiose e da molteplici eresie. San Gerolamo rientrò a Roma per il Concilio da lui indetto nel 382.

(6) Altro contemporaneo di San Gerolamo, che egli riconosce fra i suoi maestri. Cieco dall’infanzia, acquistò tuttavia una così vasta cultura da poter dirigere la scuola di Alessandria durante mezzo secolo, dal 340 al 395. Avversario tenace dell’arianesimo, non ripudiò le teorie di Origene e fu pertanto condannato. Di lui sono rimaste due opere sullo Spirito Santo e sulla Trinità.

(7) Laico romano: oltre a negare la verginità perpetua di Maria, avversò tenacemente il monachismo e impugnò l’eccellenza della verginità sul matrimonio. San Gerolamo scrisse contro le sue teorie nel 386.

(8) Gioviniano, monaco milanese vissuto alla fine del secolo IV. Lasciato il monastero, predicò una sua interpretazione eretica delle Sacre Scritture, per cui la salvezza sarebbe frutto della sola fede in Cristo. Contestò la verginità di Maria. Raccolse seguaci in una setta (giovinianisti) che dopo la condanna del suo fondatore scomparve in pochi decenni.

(9) Nell’elogio funebre che San Gerolamo inviò a Eustochio riguardante la madre sua Paola, lodava anche questa santissima donna per avere insieme alla figlia coltivato a tal punto lo studio delle Scritture, da conoscerle a fondo e ricordarle a memoria. Nel suo soggiorno romano dal 382 al 385, Gerolamo infervorò alla pratica della vita ascetica un nucleo di donne romane che si riunivano nel palazzo di Marcella sull’Aventino per dedicarsi alla lettura della Bibbia, al canto dei Salmi e alla preghiera. Di questo gruppo di devote nobildonne facevano appunto parte Eustochio e sua madre, Paola.

(10) Amico di San Gerolamo, che gli dedicò due delle sue epistole, una sui doveri dei sacerdoti cristiani e un’altra per tesserne l’elogio funebre. Da giovane Nepoziano fu militare; abbracciò poi lo stato ecclesiastico di. venendo prete, coadiutore dello zio Eliodoro, vescovo di Altino. Morì verso la fine del secolo V.

(11) San Paolino di Nola (Meropio Ponzio Paolino: 353-431), uscito da una delle più nobili famiglie romane, Insignito di alte cariche civili e fornito di immense ricchezze, abbandonò tutti i suoi beni per ritrarsi a vita monastica. Nel 409 fu eletto vescovo di Nola. Autore di carmi e panegirici, occupa un posto non trascurabile nella storia della letteratura latina cristiana.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: PROVIDENTISSIMUS DEUS di S.S. LEONE XIII

Nel percorso che ci siamo proposti nell’esaminare i documenti magisteriali riguardanti la Sacra Scrittura, leggiamo una lettera enciclica fondamentale, riferimento costante e cardine roccioso di successivi documenti e di riferimenti dottrinali di certezza assoluta. Data la lunghezza del documento, preferiamo introdurci subito alla lettura dello stesso, ove dettagliati sono gli argomenti a sostegno della ispirazione divina delle Scritture, della sua inerranza, della necessità di studi accurati delle lingue semitiche, della scelta degli insegnanti nei seminari, e i riferimenti agli errori più comuni degli avversari di Dio e della Chiesa, i protestanti e i razionalisti. Oggi poi è un’epoca in cui ogni “cretino”, ignorante e borioso, solo perchè ha spulciato qualche frammento o condivide i giudizi strampalati di censori preconcetti, derivati per lo più dalla feccia massonica e kazara [… sì, anche quella pseudo-ecclesiastica dei finti-consacrati], si sente in diritto di sindacare ed obiettare in pratica a tutta la Scrittura, senza sapere cosa dice e con argomentazioni spesso ridicole ed insulse. È pertanto indispensabile che i Cattolici si attengano rigidamente alle indicazioni dei Concili e dei Pontefici, per trovare un’ancora sicura e una certezza irremovibile nei confronti, oltre che dei noti nemici già citati, anche dei modernisti apostati della falsa chiesa dell’uomo, ecumenista, relativista e gnostica, dove per confondere al meglio lo sbigottito fedele [in pratica un infedele di fatto!], si dice tutto ed il contrario di tutto rivestendolo con la maschera di una falsa e satanica ermeneutica. Allora coraggio, occorre resistere per conservare la fede e giungere indenni alla fine della corsa, per conquistare il premio promesso dal Cristo. In ogni dubbio, si consulti il Sacro Magistero della Chiesa e la dottrina sicura da esso scaturente, senza timore di errare, e resistendo in faccia agli asini raglianti, ai cani muti, ai porci grassi, voluttuosi e libidinosi che affettano sapienza falsa e contradditoria.


Leone XIII
Providentissimus Deus

Lettera Enciclica

Il Dio provvidentissimo che, nell’ammirabile disegno del suo amore, innalzò sin dal principio il genere umano a essere partecipe della divina natura e che poi, tràttolo dalla colpa e dalla rovina comune, ristabilì nella primitiva dignità, gli conferì per questo un singolare aiuto, per manifestargli in modo soprannaturale i misteri della sua divinità, della sua sapienza e della sua misericordia. Sebbene infatti nella divina rivelazione siano comprese anche cose non inaccessibili all’umana ragione, e tuttavia rivelate agli uomini “perché si potessero da tutti conoscere con più prontezza, con ferma certezza e senza mescolanza di errori, non per questo però si può affermare che la rivelazione sia assolutamente necessaria, ma perché Dio, nella sua infinita bontà, ordinò l’uomo ad un fine soprannaturale“. Questa “rivelazione soprannaturale, secondo la fede universale della Chiesa“, è contenuta sia “nelle tradizioni non scritte“, sia anche “nei libri scritti” che vengono chiamati sacri e canonici, perché, “essendo stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati affidati alla chiesa“. Questo certamente, riguardo ai libri dell’uno e dell’altro Testamento sempre ha ritenuto e apertamente professato la Chiesa: ben noti sono gli importantissimi documenti antichi, nei quali si afferma che Dio, il quale parlò prima per mezzo dei profeti, poi Egli stesso e quindi per bocca degli Apostoli, è anche autore delle Scritture che sono chiamate canoniche, e che sono oracoli e locuzioni divine, una lettera inviata dal Padre celeste trasmessa per mezzo degli autori sacri al genere umano, peregrinante lontano dalla patria. Essendo quindi così grande l’eccellenza e la dignità delle Scritture da rivendicare quale autore lo stesso Dio, e contenendo i suoi altissimi misteri, disegni e opere sue, ne consegue che anche quella parte della sacra teologia, che riguarda la difesa e l’interpretazione dei Libri divini, è di un’eccellenza e utilità grandissima.

Parte 1

UTILITA’ MULTIFORME DELLA S. SCRITTURA E STIMA CHE SEMPRE NE EBBE LA CHIESA

Noi quindi, come curammo, non senza frutto. con l’aiuto di Dio, di far progredire, con frequenti lettere ed esortazioni, alcuni altri generi di discipline che sembravano poter molto giovare all’incremento della gloria divina e alla salvezza del genere umano, così già da lungo tempo pensavamo di spronare e raccomandare questo studio altissimo delle sacre Lettere e dirigerlo anche più conformemente alle necessità dei tempi presenti. Ci sentiamo mossi e spinti dalla sollecitudine del nostro ufficio apostolico non solo a desiderare che in modo sempre più sicuro e abbondante si renda manifesta, per l’utilità dei gregge del Signore, questa fonte della rivelazione cattolica, ma ci sentiamo anche spinti a non tollerare che venga violata in alcuna parte da coloro che con empia audacia inveiscono apertamente contro la sacra Scrittura, o tramano a suo danno ingannevoli o imprudenti innovazioni. – La Scrittura è divinamente ispirata.

Non ignoriamo, venerabili fratelli, come fra i cattolici non pochi siano gli uomini d’ingegno e di dottrina che si adoperano alacremente sia per la difesa dei Libri divini, sia per contribuire ad una più ampia cognizione e intelligenza dì essi. Mentre elogiamo grandemente la loro opera e i loro frutti, non possiamo fare a meno, tuttavia, di esortare vivamente a meritare l’elogio di così santo scopo anche tutti coloro la cui solerzia, dottrina e pietà ottimamente promettono in questo campo. Vivamente desideriamo e bramiamo che molti rettamente intraprendano e costantemente si occupino della difesa delle divine Lettere e che quelli, soprattutto, che la divina grazia chiamò al sacri ordini, si applichino ogni giorno con diligenza e solerzia sempre maggiori nel leggerle, meditarle e spiegarle, come è loro preciso dovere. – La ragione per cui tanto sembra da raccomandarsi questo studio, a parte la sua eccellenza e l’ossequio dovuto alla parola divina, sta nella molteplicità dei vantaggi che sappiamo dovranno derivarne, secondo l’infallibile promessa dello Spirito Santo: “Ogni Scrittura divinamente ispirata è utile a insegnare. a redarguire, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto e pronto ad ogni opera buona” (2Tm III, 16-17). Che le Scritture siano state date certamente da Dio agli uomini a tal fine, lo dimostrano gli esempi del Cristo Signore e degli apostoli. Gesù, infatti, che “con i miracoli si conciliò l’autorità e con l’autorità si acquistò la fede e con la fede attrasse la moltitudine“, soleva, nell’ufficio dei suo divino mandato, appellarsi alle sacre Scritture. Infatti quando gli si offre l’occasione, prova con le sacre Scritture di essere stato mandato da Dio, e si proclama Dio; da esse prende gli argomenti per ammaestrare ì suoi discepoli e per confermare la sua dottrina; da esse rivendica testimonianze contro le calunnie dei suoi denigratori e le oppone, per redarguirli, ai sadducei e ai farisei, e le ritorce anzi contro lo stesso satana che impudentemente osa tentarlo. Di esse si servi anche alla fine della sua vita, e, risuscitato, le spiegò ai discepoli, sino a che ascese alla gloria del Padre. – Ammaestrati dalla sua parola e dal suoi precetti, gli Apostoli, sebbene Gesù concedesse che “segni e prodigi si operassero per mano loro” (At XIV,3), grande efficacia traevano tuttavia dai Libri divini, per diffondere largamente tra le genti la sapienza cristiana, per infrangere la pertinacia dei giudei e per soffocare le eresie nascenti. Ciò appare apertamente dai loro stessi discorsi, primo fra tutti quello del beato Pietro, che composero quasi interamente con detti dell’Antico Testamento, come fermissima prova della nuova legge. E ciò è pure dimostrato dai vangeli di Matteo e Giovanni, e dalle lettere cosiddette cattoliche; molto chiaramente, poi, appare dalla testimonianza di colui che “si gloria di aver appreso la legge di Mosè e profeti ai piedi di Gamaliele, da poter poi, come armato di armi spirituali, fiduciosamente affermare: Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma ogni nostra potenza ci viene da Dio“.

La Scrittura e la predicazione

Per mezzo dunque degli esempi del Cristo Signore e degli apostoli, comprendiamo tutti, e specialmente i novizi della sacra milizia, quanto siano da tenersi in conto le Lettere divine, e con quale diligenza e con quale pietà debbano accedere allo studio di esse come ad un arsenale. Per coloro, infatti, che abbiano da trattare la dottrina della verità cattolica, sia presso i dotti come gli indotti, nessun altro luogo, più delle Scritture, offre numerose e più ampie testimonianze su Dio, sommo e perfettissimo bene, e sulle sue opere, che manifestano la gloria e l’amore di lui. Riguardo poi al Salvatore del genere umano, nulla vi è di più eloquente e più evidente delle testimonianze contenute in tutto il contesto della Bibbia, onde Girolamo giustamente poteva affermare che “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza del Cristo“. Dalla Scrittura, infatti, balza viva e palpitante l’immagine di lui, dal quale sì diffonde. in un modo del tutto meraviglioso, la liberazione dal male, l’incitamento alle virtù, l’invito all’amore divino. Per ciò che riguarda la chiesa, e cioè la sua istituzione, la sua natura, le sue funzioni, i suoi carismi, tanto spesso se ne fa menzione nelle Scritture, e tanto numerosi si trovano in essa gli argomenti fermi ed evidenti a suo favore, da far esclamare giustamente san Girolamo: “Colui che è corroborato da testimonianze delle sacre Scritture, questi è certamente un potente baluardo per la chiesa“. Che se poi si cercassero norme di disciplina di vita e di costumi, abbondanti e ottimi sussidi troveranno in essa gli uomini apostolici: prescrizioni piene di santità, esortazioni condite di soavità e di forza, insigni esempi per ogni genere di virtù. A tutto ciò si aggiunge un’autorevolissima promessa e una minaccia, fatte nel nome e con le Parole dello stesso Dio, di premi o di pene per l’eternità. – E questa virtù propria e singolare delle Scritture, che viene dalla divina ispirazione dello Spirito Santo, è quella che conferisce autorità all’oratore sacro, offre l’apostolica libertà di parole, dona vigorosa e vittoriosa eloquenza. Chi, infatti, nel predicare comunica lo spirito e la forza del Verbo divino, “non predica soltanto a parole, ma anche nella virtù e nello Spirito Santo e in molta pienezza” (1Ts 1,5). Si può dunque affermare che agiscono senza ordine e improvvidamente coloro che tengono prediche sulla religione ed enunciano precetti divini servendosi quasi esclusivamente di parole di scienza e di prudenza umana, appoggiandosi più su argomenti propri che non su quelli divini. Di conseguenza tali prediche, per quanto appoggiate sullo splendore dello stile, riescono fiacche e fredde, perché mancanti del fuoco della parola di Dio (Ger XXIII,29): ben lontane quindi da quella forza di cui essa è ricca: “La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace e più affilata di qualunque spada a doppio taglio e penetra fino alla divisione dell’anima e dello spirito” (Eb IV,12). Quantunque anche i più saggi debbano ammettere che si trova nelle sacre Scritture una mirabile, varia e copiosa eloquenza degna di cose grandi – cosa che sant’Agostino vide chiaramente e dimostrò eloquentemente -, tuttavia ciò è confermato anche dall’esperienza stessa dei più eccellenti oratori sacri, i quali, grati a Dio, ebbero ad affermare di dover la loro fama soprattutto all’assiduo uso e pia meditazione della Bibbia. – I santi padri, avendo sperimentato molto bene tali cose, sia speculativamente che praticamente, mai cessarono dal lodare e le divine Lettere e i loro frutti. Le chiamano, in vari loro scritti, tesoro ricchissimo delle celesti dottrine, fonti perenni di salvezza, o le presentano quali campi fertili e ameni orti, nei quali il gregge del Signore viene mirabilmente ristorato e ricreato. Viene qui opportuno ricordare le raccomandazioni di san Girolamo al chierico Nepoziano: “Leggi spesso le divine Scritture, mai, anzi, la lettura sacra venga deposta dalle tue mani; apprendi ciò che insegni… ; il parlare del prete sia condito dalla lettura delle Scritture“. E qui viene opportuna la sentenza di san Gregorio Magno, il quale descrisse più sapientemente di ogni altro i compiti dei pastori della chiesa: “E necessario“, egli dice, “che coloro che hanno l’ufficio della predicazione non tralascino mai lo studio della sacra lettura“.  – Ci piace ancora ricordare sant’Agostino che ammonisce: “E‘ vuoto quel predicatore che non sia intimo discepolo della parola di Dio“, e lo stesso Gregorio che mette in guardia gli oratori sacri “affinché nelle sacre predicazioni, prima di predicare agli altri, pensino a se stessi, perché non succeda che badando agli altri si dimentichino di sé“. Tale norma però, sull’esempio e sull’insegnamento del Cristo, che “Incominciò prima a fare e poi a insegnare” (At 1,1). già era stata ampiamente inculcata dall’apostolo, che rivolse non a Timoteo soltanto, ma a tutto l’ordine dei chierici questo precetto: “Attendi a te e all’insegnamento e persevera in queste cose, perché così facendo tu salvi te stesso e quelli che ti ascoltano” (1Tm IV,16). Nelle sacre Lettere sono veramente offerti aiuti preziosi per la salvezza e perfezione propria e altrui, illustrati più abbondantemente nel Salmi; tuttavia, per coloro che prestano alla parola divina non soltanto una mente docile e attenta, ma anche una volontà abitualmente integra e pia. Non si deve infatti stimare il valore di tali libri alla stregua degli altri: poiché essi, essendo ispirati dallo Spirito Santo, e contenendo cose importantissime, e in molti punti recondite e assai difficili, per comprenderle e spiegarle sempre “abbiamo bisogno dell’intervento” dello stesso Spirito e cioè del suo lume e della sua grazia. Tali mezzi, come con frequente insistenza ammonisce l’autorità del divino Salmista, dobbiamo implorare con umile preghiera e custodire in noi con la santità della vita. – Da tutte queste cose appare quindi egregiamente la provvidenza della chiesa, la quale, “affinché non giacesse trascurato il tesoro dei sacri Libri, che lo Spirito Santo con somma liberalità donò agli uomini“, in ogni tempo vi provvide con ottime istituzioni e leggi. Essa infatti stabilì non solo che tutti i suoi ministri avessero l’obbligo di leggerne e meditarne pia mente gran parte nell’ufficio quotidiano, ma anche che venisse spiegata e commentata, per mezzo di uomini idonei, nelle chiese cattedrali, nei monasteri, nei vari conventi degli altri regolari, nei quali possano convenientemente fiorire gli studi; e ordinò che almeno nel giorni di domenica e nelle feste solenni i fedeli venissero nutriti, in modo a loro conveniente, con le salutari parole dell’evangelo. E così si deve pure alla saggezza e sollecitudine della chiesa il culto della sacra Scrittura, vivo in ogni tempo e fecondo di grandi vantaggi.

Le antiche scuole di sacra Scrittura

Giova qui far notare, anche per confermare sempre più le nostre testimonianze e le nostre esortazioni, come sin dagli inizi della religione cristiana, tutti coloro che eccelsero per santità di vita e di opere e per scienza delle cose divine furono sempre assidui nella lettura delle sacre Lettere. Vediamo gli immediati discepoli degli apostoli, tra i quali Clemente Romano, Ignazio d’Antiochia, Policarpo; gli apologisti e nominatamente Giustino ed Ireneo, che nelle loro epistole e libri, sia che difendano sia che celebrino i dogmi cattolici, attingono specialmente dalla sacra Scrittura tutta la loro sicurezza, la forza e ogni grazia. Sorte poi le scuole catechetiche e teologiche in molte sedi episcopali, tra cui celebri l’Alessandrina e l’Antiochena, non si aveva in esse quasi altra istituzione di studi se non quelle che riguardavano la lettura, l’esposizione, la difesa della parola divina scritta. Da tali scuole vennero poi fuori molti Padri e scrittori, dei cui laboriosi studi ed egregi libri abbondarono a tal punto i tre secoli segnati, da essere a buon diritto chiamati l’età aurea dell’esegesi biblica.

Orientali e Occidentali

Tra gli Orientali tiene il primo posto Origene, mirabile per la prontezza d’ingegno e per la costanza nella fatica: dai suoi numerosi scritti e dall’immensa opera degli Esapla attinsero quasi tutti i posteri. Sono pure da annoverare coloro che ampliarono i confini di tale disciplina: tra i più eccellenti della scuola alessandrina abbiamo Clemente e Cirillo; dalla Palestina Eusebio e l’altro Cirillo; dalla Cappadocia Basilio Magno e l’uno e l’altro Gregorio, il Nazianzeno e il Nisseno; da Antiochia il famoso Giovanni Crisostomo, in cui gareggiavano grande perizia di dottrina e somma eloquenza. Non meno illustri sono gli Occidentali. Tra i molti che grandemente si segnalarono, nomi celebri sono quelli di Tertulliano e Cipriano, di Ilario e Ambrogio, di Leone Magno e Gregorio Magno; celeberrimi quelli di Agostino e Girolamo, dei quali l’uno fu sommamente acuto nel penetrare il senso della parola divina ed espertissimo nel farla servire alla verità cattolica, l’altro fu onorato dal singolare riconoscimento della chiesa col titolo di dottore massimo per la scienza dei Libri sacri e per le grandi fatiche sostenute per la conoscenza di essi. – Da questo tempo fino al secolo XI, tale genere di studi, benché non fiorisse con pari ardore e non desse i frutti di prima, tuttavia fu in auge per opera soprattutto di uomini ecclesiastici. Essi curarono infatti o di scegliere quegli insegnamenti più utili, come gli antichi li lasciarono, e, una volta convenientemente ordinati, di divulgarli con l’aggiunta di propri commenti, come fu fatto in primo luogo da Isidoro di Siviglia, da Beda, da Alcuino; o di illustrare i sacri codici con glosse, come fece Valafrido Strabone e Anselmo di Laon; o infine di salvaguardarne con rinnovata sollecitudine l’integrità, come fecero Pier Damiani e Lanfranco. – Nel secolo XII poi molti si occuparono lodevolmente dell’esposizione allegorica della Scrittura: in questo genere eccelle tra gli altri san Bernardo, i cui sermoni ridondano quasi esclusivamente delle divine Lettere.

Periodo scolastico

Ma nuovi e consolanti incrementi vennero ad aggiungersi col metodo degli Scolastici. Questi, sebbene abbiano cercato di investigare la lezione genuina della versione latina, come lo attestano chiaramente i loro Correttori biblici, tuttavia indirizzarono maggiormente i loro studi e le loro cure all’interpretazione e spiegazione delle Scritture. Furono distinti infatti, con un’arte e con una chiarezza, come non mai per l’innanzi, i vari sensi delle sacre parole, e soppesata di ognuno l’importanza nella scienza teologica; furono definite le parti dei libri, gli argomenti delle parti; furono investigati i fini degli scrittori, spiegati il nesso e i rapporti tra le varie proposizioni: considerate tali cose, è chiaro che nessuno potrebbe negare che molta luce si è fatta in tal modo sui passi oscuri. E quanto abbondante e scelta fosse la loro dottrina sulle Scritture, ce lo manifestano pure ampiamente sia i libri di teologia, sia i commenti alle medesime Scritture; e anche sotto questo riguardo ebbe tra essi il primo posto san Tommaso d’Aquino.

Le università degli studi

Dopo che Clemente V, nostro predecessore, ebbe dotato l’ateneo dell’Urbe e le più celebri università degli studi di cattedre di lettere orientali, i nostri studiosi incominciarono a lavorare molto più accuratamente sui codici originali della Bibbia e sull’esemplare latino. Con il ritorno, in seguito, tra noi dell’erudizione greca e molto più con la felice invenzione della nuova arte della stampa, grandemente si accrebbe il culto della sacra Scrittura. E’ cosa mirabile, infatti, come in sì breve tempo si siano tanto moltiplicati con la stampa i sacri testi, specialmente la Volgata, da riempire quasi l’orbe cattolico, così che, proprio nel tempo in cui i nemici della chiesa la calunniano, i divini volumi sono però onorati ed amati. – E neppure si deve passare sotto silenzio quali vantaggi nella scienza biblica abbia apportato il grande numero degli uomini dotti, appartenenti specialmente a famiglie religiose, dal concilio di Vienne al Tridentino. Essi, infatti, servendosi dei nuovi mezzi, e portando essi stessi il contributo della loro molteplice erudizione e del loro ingegno, non solo accrebbero il patrimonio accumulato dagli antichi, ma prepararono quasi la via alla preminenza del secolo seguente. che scaturì dallo stesso concilio Tridentino, allorché sembrò quasi ritornare la grande età dei Padri. Nessuno infatti ignora, e ci è gradito ricordarlo, come i nostri predecessori, da Pio IV a Clemente VIII, fossero i promotori di quelle insigni edizioni delle antiche versioni, della Volgata e dell’Alessandrina, che poi, pubblicate per ordine e con l’autorità di Sisto V e dello stesso Clemente, si trovano ancor oggi nell’uso comune. E’ noto come nello stesso tempo siano state edite con la massima diligenza sia le altre antiche versioni della Bibbia, sia la poliglotta di Anversa e quella di Parigi, adattissime per un’accurata investigazione del senso; né vi era alcun libro dell’uno e dell’altro Testamento che non vantasse ben più di un valente interprete, o qualche grave questione, attorno cui non si fossero affaticati assai proficuamente molti uomini d’ingegno, tra i quali, non pochi. soprattutto tra i più esperti studiosi dei santi Padri, acquistarono un nome illustre. Né a partire da questo tempo lasciò a desiderare la solerzia dei nostri, poiché valenti uomini, di quando in quando, ben meritarono in tali studi, difendendo le sacre Lettere contro le avverse dottrine del razionalismo, tratte dalla filologia e da altre discipline affini, con simile genere di argomenti. – Tutte queste cose provano, a chi ben le considera, come la chiesa non sia mai venuta meno al suo compito di tramandare in modo salutare le fonti della divina Scrittura ai propri figli, e come abbia conservato perennemente la sua posizione di presidio nella quale venne divinamente posta per la tutela e il decoro delle stesse e come l’abbia consolidata provvedendola di ogni genere di studi, di modo che non ebbe mai bisogno e non abbisogna di incitamenti di estranei nell’adempimento del suo compito.

Parte II

ORDINAMENTO ATTUALE DEGLI STUDI BIBLICI

Avversari ed errori

Ormai l’argomento che ci siamo proposti di trattare richiede che Noi, venerabili fratelli, vi comunichiamo tutte quelle norme che sembrano più opportune per rettamente ordinare tali studi. Ma tornerà certamente utile conoscere qui, fin dall’inizio, quale genere di avversari si accaniscano in questa lotta e in quali artifici o armi confidino. – E manifesto come la lotta dovette prima essere sostenuta con coloro che, basandosi sul proprio giudizio privato e ripudiando le tradizioni divine e il magistero della Chiesa, asserivano essere la Scrittura l’unica fonte della rivelazione e il supremo arbitro della fede. Ora la lotta è con i razionalisti, i quali, quasi figli ed eredi dei primi, basandosi parimenti sul proprio giudizio, ripudiano nel modo più assoluto persino questi stessi elementi della fede cristiana ricevuti dal padri. Essi infatti negano del tutto sia la divina rivelazione, come l’ispirazione e la sacra Scrittura, e vanno dicendo che altro non sono se non artifici e invenzioni degli uomini, che non contengono vere narrazioni di cose realmente accadute, ma inutili favole o storie menzognere; così non abbiamo in esse vaticini od oracoli, ma soltanto predizioni fatte dopo gli eventi o presagi di intuito naturale; non presentano veri e propri miracoli e manifestazioni della potenza divina, ma si tratta o di fatti meravigliosi, mai però superiori alle forze della natura, o di magie e miti. I vangeli poi e gli scritti apostolici sono certamente, dicono. da attribuirsi ad altri autori. – Siffatti gravi errori, con i quali credono di distruggere la sacrosanta verità dei Libri divini, li presentano come sentenze decisive di una certa nuova scienza libera, sentenze che riescono però così incerte a loro stessi, tanto da dover mutare e sostituire ben spesso le loro opinioni su identiche questioni. Non mancano tra questi taluni che, pur essendo e parlando tanto empiamente di Dio, del Cristo, dell’Evangelo, e del resto della sacra Scrittura, vorrebbero tuttavia passare per teologi, cristiani ed evangelici, cercando così di coprire sotto un nome specioso la temerarietà di un insolente ingegno. A costoro si aggiungono non pochi studiosi di altre discipline, che condividono le idee dei primi e li aiutano, e che la stessa intolleranza per le verità rivelate induce similmente ad avversare i Libri sacri. Non potremo mai deplorare abbastanza come questa lotta vada ogni giorno più estendendosi e facendosi sempre più accanita. Viene mossa a danno di uomini valenti ed eruditi, sebbene non trovino questi grande difficoltà a difendersene; ma soprattutto i nemici si volgono accanitamente, con ogni studio e mezzo, verso il popolo indotto. Spargono il loro veleno esiziale con libri, opuscoli e quotidiani; lo insinuano nelle adunanze, nei discorsi: hanno ormai pervaso ogni campo, e tengono nelle loro mani molte scuole di giovani, sottratte alla tutela della chiesa, in cui si corrompono miseramente le ancor credule e docili menti e si spingono al disprezzo delle Scritture, anche ricorrendo al ludibrio e agli scherzi osceni. – Questi sono i fatti, venerabili fratelli. che debbono scuotere, infiammare il nostro zelo pastorale. così che a questa che è “falsamente chiamata scienza” (1Tm VI,20) nuova, si opponga l’antica e la vera, quella che la chiesa ricevette da Cristo per mezzo degli apostoli, e sorgano in questa immane lotta idonei difensori della sacra Scrittura.

Scelta dei docenti

Sia dunque questa la prima cura, che nei seminari o accademie si impartisca l’insegnamento delle divine Lettere così come lo richiedono e l’importanza della materia stessa e la necessità dei tempi. A questo fine, nessun’altra cosa deve stare più a cuore della prudente scelta dei docenti: a questo ufficio, infatti, non si tratta di assumere qualcuno tra i molti, ma uomini tali, che un grande amore e una diuturna consuetudine con la Bibbia e un’adeguata dottrina raccomandino, all’altezza cioè di tale ufficio. Né meno tempestivamente bisogna considerare chi debba in seguito loro succedere. Gioverà perciò, ove lo si possa, che, tra gli alunni di ottime speranze, ve ne siano alcuni i quali, espletato lodevolmente il corso di teologia, si consacrino totalmente al Libri divini, e venga loro data la possibilità di dedicarsi per un certo tempo ad uno studio più profondo di essi. E così una volta scelti e formati, in qualità di dottori assumano con sicurezza l’ufficio loro affidato; e affinché in esso si trovino ottimamente e ne traggano convenienti frutti, vogliamo impartir loro più ampi ammaestramenti. – Curino pertanto di preparare le menti dei discepoli, fin dal principio degli studi, in modo da formare e coltivare in essi con grande diligenza una mentalità atta, in pari tempo, e a difendere i Libri divini e a cogliere il senso di essi. A questo mira il cosiddetto trattato di introduzione biblica, nel quale il discepolo trova un opportuno sussidio per dimostrare l’integrità e l’autorità della Bibbia, per investigare e trovarne il senso genuino, per impossessarsi delle obiezioni cavillose e stroncarle alla radice. Di quanta importanza sia l’aver fin dall’inizio trattato di queste cose ordinatamente e appositamente, col sussidio e l’aiuto della teologia, è appena necessario dirlo, dal momento che tutta la restante trattazione della Scrittura si appoggia di continuo su questi fondamenti e viene illuminata da questi principi chiarificatori. – L’opera quindi del precettore deve volgersi con molto zelo alla parte più fruttuosa di questa scienza e cioè a quella dell’interpretazione, affinché i discepoli siano ammaestrati nel modo di volgere le ricchezze della parola divina al progresso della religione e della pietà. Comprendiamo certamente l’impossibilità di esporre tutta la Scrittura nelle scuole, sia per la vastità della materia che per mancanza di tempo. Tuttavia, poiché è necessario seguire una via sicura per ottenere una fruttuosa interpretazione, sappia il saggio maestro evitare l’uno e l’altro inconveniente: sia quello di coloro che appena possono gustare di passaggio qualcosa dei singoli libri, sia quello di coloro che si fermano oltre il conveniente su una determinata parte di un libro solo. Se infatti in molte scuole non si potrà ottenere ciò che si ottiene nelle accademie maggiori, e cioè che venga esposto l’uno o l’altro libro con una certa continuità e abbondanza, bisogna però curare in ogni modo che le parti dei libri scelte per l’interpretazione abbiano una trattazione convenientemente completa, di modo che i discepoli incitati e ben ammaestrati da questo saggio, studino poi da se stessi le altre parti e vi provino gusto in ogni momento della loro vita. Il docente, inoltre, attenendosi alla costante tradizione del passato, adotterà come esemplare la versione Volgata, che il concilio Tridentino decretò doversi ritenere “autentica sia nelle pubbliche lezioni, come nelle dispute, predicazioni ed esposizioni“, e che anche la costante consuetudine della chiesa raccomanda. Dovrà tuttavia tenere anche nel debito conto le altre versioni, che la cristianità antica elogiò e di cui si servì, e specialmente i codici primitivi. Quantunque, infatti, per ciò che riguarda l’essenziale, le parole della Volgata rendano bene il senso dell’ebraico e del greco, tuttavia se un qualche punto riuscisse un po’ oscuro o fosse stato tradotto meno accuratamente, gioverà, come avverte sant’Agostino, “l’esame accurato della lingua originale“. E’ evidente, del resto, quanta perizia e accuratezza occorra in questo, essendo infatti “compito del commentatore non esporre idee personali, ma quelle dell’autore che sta interpretando“.  – Dopo aver soppesato, ove sia necessario, con ogni industria la lezione, si passerà ad esaminare e a esporre i sensi. Primo consiglio è che si osservino le prescrizioni comunemente approvate per l’interpretazione e con cura tanto più sollecita quanto più gli avversari si mostrano tenaci nel tener desta la contesa. E perciò allo studio per soppesare quale sia il valore delle parole in se stesse, cosa significhi la concatenazione delle varie realtà, la somiglianza dei luoghi e le altre considerazioni simili, si aggiunga ancora la delucidazione di elementi esterni risultante da una conveniente erudizione. Si badi però a non dedicare a siffatte questioni più tempo e fatica, che non per conoscere più a fondo i Libri divini, e non avvenga che le molte e affastellate cognizioni siano alle menti dei giovani più di ostacolo anziché di aiuto.

Scrittura e teologia

Da questo punto, sicuro sarà il passaggio all’uso della divina Scrittura in teologia. Occorre a questo proposito tenere presente che, oltre alle altre cause di difficoltà che per lo più s’incontrano nell’interpretazione di qualsiasi libro antico, qui se ne aggiungono alcune proprie dei Libri sacri. Trattandosi infatti di libri il cui autore è lo Spirito Santo, molte cose vi sono in essi che superano di gran lunga la forza e l’acume della ragione umana, i divini misteri cioè, e molte altre cose contenute insieme con questi, e per di più talvolta con un senso ben più ampio e recondito di quanto non sembri esprimere la parola o indicare le leggi dell’ermeneutica, e certamente lo stesso senso letterale richiama poi altri sensi, sia per illustrare i dogmi, sia per raccomandare precetti di vita pratica. Non bisogna perciò negare che i sacri Libri non siano avvolti da una certa religiosa oscurità, per cui nessuno può accedere ad essi senza una qualche guida: avendo così provvidamente disposto Dio, secondo l’opinione comune dei santi padri, affinché gli uomini si sentissero spronati a studiarli con maggior desiderio e diligenza e perché si imprimessero poi più profondamente nelle loro menti e nei loro animi quelle verità tanto laboriosamente acquistate, e perché comprendessero soprattutto che Dio affidò le Scritture alla chiesa, della quale debbono servirsi come di sicurissima guida e maestra nel leggere e trattare le sue parole. Infatti già s. Ireneo insegnava che si deve apprendere la verità là, ove sono posti i carismi del Signore, e che senza alcun pericolo vengono esposte le Scritture da coloro presso cui si trova la successione apostolica. Il concilio Vaticano abbracciò certamente la dottrina di questo e degli altri Padri quando, rinnovando il decreto tridentino riguardo l’interpretazione della parola divina scritta, “dichiarò essere tale il suo giudizio che nelle cose riguardanti la fede e i costumi appartenenti all’edificazione della dottrina cristiana, sia da ritenersi quale autentico senso della sacra Scrittura quello che tenne e tiene la santa Madre Chiesa, cui spetta giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sante Scritture; e che perciò non è permesso ad alcuno interpretare la stessa sacra Scrittura contro questo senso o anche contro l’unanime consenso dei Padri“.

Investigazione e interpretazione biblica

Con questa legge piena di sapienza la chiesa non intende in alcun modo ritardare o proibire l’investigazione della scienza biblica, anzi la preserva immune da errore e contribuisce grandemente al suo vero progresso. Un grande campo si apre infatti ad ogni maestro privato, in cui con passo sicuro potrà con la sua arte di interprete cimentarsi egregiamente e con utilità per la chiesa. Nei passi della divina Scrittura, ove si desidera ancora una interpretazione certa e definitiva, può in tal modo avvenire che, per un soave disegno del provvidente Dio, data la piena preparazione nel diligente studio, maturi il giudizio della chiesa. Nei passi poi già definiti il maestro privato può egualmente dare un contributo esponendoli più dettagliatamente al popolo fedele e più altamente ai dotti, o confutando brillantemente gli avversari. Per la qual cosa, sia principale e sacrosanto dovere dell’interprete cattolico. trattandosi di passi scritturali il cui senso è autenticamente dichiarato o per mezzo dei sacri autori, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, come in molti luoghi del Nuovo Testamento, o per mezzo della Chiesa, assistita dal medesimo Spirito Santo, “sia con solenne giudizio, o per il magistero ordinario e universale“, di interpretarli allo stesso modo e di cercare di convincere, mediante gli aiuti della propria dottrina, che secondo le leggi di una sana ermeneutica si può rettamente approvare soltanto quella interpretazione. Negli altri casi si deve seguire l’analogia della fede e attenersi, come a norma suprema, alla dottrina cattolica, quale la si riceve dall’autorità della chiesa. Essendo infatti lo stesso Dio autore dei sacri Libri come della dottrina, la cui depositaria è la chiesa, non è certamente possibile che provenga da legittima interpretazione il senso di un qualche passo scritturale che sia in qualche modo discordante dalla chiesa. Ne segue che è da rigettarsi come inetta e falsa quella interpretazione che faccia apparire gli autori ispirati in qualche modo in opposizione tra loro, o sia contraria alla dottrina della Chiesa.

Scrittura e santi Padri

Bisogna quindi che il maestro di questa scienza eccella pure in questo aspetto e cioè che possegga egregiamente la teologia e sia versato nei commentari dei santi padri, dei dottori e degli interpreti insigni. Questo inculca del resto san Girolamo e pure vivamente sant’Agostino che, giustamente rammaricandosi, diceva: “Se qualsiasi disciplina, per quanto da poco e facile, richiede, per essere compresa, un dottore o un maestro, che vi è di più temerario e di orgoglioso quanto il ricusare l’aiuto degli interpreti nello studio dei libri dei divini misteri!“. Questo ritennero e confermarono con l’esempio gli altri padri i quali “ricercavano l’intelligenza delle sacre Scritture non basandosi sulla propria presunzione, ma sugli scritti e sull’autorità di quei grandi, dei quali constasse che avevano ricevuto e accettato le norme di interpretazione indicate dalla successione apostolica“.  – Somma è invero l’autorità dei santi padri, per mezzo dei quali “la Chiesa, dopo gli Apostoli, ebbe incremento, come da piantatori, irrigatori, edificatori, pastori ed educatori“, ogni volta che all’umanità interpretano con uguale senso una qualche testimonianza biblica, riguardante la dottrina della fede o dei costumi. Dal loro unanime consenso, infatti, appare chiaramente che così sia stato tramandato dagli Apostoli secondo la fede cattolica. Il pensiero dei padri è pure da tenersi in gran conto quando essi esercitino il loro ufficio di dottore quasi in forma privata, poiché non è solo la scienza delle cose rivelate e la cognizione di molte notizie utili alla conoscenza dei libri apostolici che li rende fidati, ma certamente Dio stesso aiutò con più valido soccorso della sua luce questi uomini insigni per santità di vita e per la diligente ricerca della verità. Sappia quindi l’interprete che è suo dovere il seguire riverentemente i loro passi e l’usufruire delle loro fatiche con intelligente scelta. – Non pensi però che gli venga per questo preclusa la via per cui, intervenendo una giusta causa, egli potrà anche procedere oltre nella ricerca e nel l’interpretazione, purché si mantenga religiosamente ossequioso al precetto sapientemente dato da sant’Agostino, e cioè di non allontanarsi per nulla dal senso letterale e ovvio, se non vi sia una qualche ragione che non permetta di tenerlo, o una necessità che imponga di lasciarlo: prescrizione questa a cui fa d’uopo attenersi con tanta più fermezza quanto maggiore, in così grande smania di novità e libertà di opinioni, sovrasta il pericolo di sviarsi. Si guardi parimenti lo studioso dal trascurare quei passi che furono volti dagli stessi Padri a un senso allegorico o simile, soprattutto quando partono dal senso letterale e sono sostenuti dall’autorità di molti. Tale modo di interpretare, infatti, la chiesa lo ricevette dagli apostoli, e lo approvò essa stessa, come appare dalla liturgia, col proprio esempio; non che i padri si studiassero per mezzo di esso di dimostrare per sé ì dogmi dì fede, ma perché conoscevano per esperienza quanto valesse ad alimentare la virtù e la pietà. – Minore è certamente l’autorità degli altri interpreti cattolici; tuttavia, poiché gli studi biblici hanno sempre goduto nella Chiesa di un continuo progresso, è doveroso rendere il debito onore parimenti ai loro commenti, dai quali assai opportunamente si possono prendere molti argomenti per confutare sentenze contrarie e per risolvere punti difficili. Ma è davvero cosa troppo sconveniente che taluni, quasi ignorando o disprezzando opere lasciateci in buon numero dai nostri, preferiscano libri eterodossi e vadano a cercare da essi, con presente pericolo per la sana dottrina e non di rado con detrimento della fede, spiegazioni di passi nel quali i cattolici, già da tempo, vi spesero con buoni frutti ingegno e fatiche. Sebbene, infatti, l’interprete cattolico possa talvolta giovarsi degli studi degli eterodossi, usandoli, con la debita prudenza, ricordi, tuttavia, che anche secondo numerosi documenti degli antichi non si può affatto trovare, fuori della chiesa, il senso incorrotto delle sacre Lettere, e che neppure può essere tramandato da coloro che, privi come sono della vera fede, non possono della Scrittura raggiungere il midollo, ma soltanto è dato loro di roderne la corteccia.

La Scrittura anima della teologia

E’ poi grandemente desiderabile e necessario che l’uso della divina Scrittura domini in tutta la scienza teologica e ne sia quasi l’anima. Questo affermarono in ogni età i padri e i più insigni teologi e questo procurarono di fare. Essi infatti cercarono di stabilire e assodare le verità che sono oggetto di fede, come pure le altre che ne derivano, soprattutto per mezzo delle divine Lettere, e per mezzo di esse, come parimenti per mezzo della divina tradizione, cercarono di confutare i commenti innovatori degli eretici, di investigare la ragione, l’essenza, la correlazione dei dogmi cattolici. Nessuno dovrebbe meravigliarsi di ciò, se si pensa che, tra le fonti della rivelazione, è così insigne il luogo dovuto ai Libri divini che, senza uno studio e un uso assiduo di essi, non si può trattare di teologia in modo retto e secondo la sua dignità. Sebbene sia cosa giusta che nelle accademie e nelle scuole i giovani vengano esercitati specialmente nell’acquisto della conoscenza e scienza dei dogmi così che, posta l’argomentazione degli articoli di fede, si arrivi da questi alla conclusione di altri, seguendo le norme di una provata e solida filosofia, tuttavia un grave e dotto teologo non dovrà mai trascurare la stessa dimostrazione dei dogmi dedotta dall’autorità della Bibbia: “Infatti (la teologia) non riceve i suoi principi da altre scienze, ma immediatamente da Dio per mezzo della rivelazione. E perciò non riceve dalle altre scienze come fossero superiori, ma si serve di esse come inferiori e ancelle“. Questo modo di insegnare la dottrina sacra ha quale maestro e auspice il principe dei teologi, l’Aquinate, il quale, partendo da questa chiara comprensione dell’indole della teologia cristiana, insegnò in che modo il teologo possa difendere i suoi stessi principi, caso mai qualcuno li impugnasse: “Per mezzo dell’argomentazione rigorosa se l’avversario ammette qualcosa di ciò che si ha per divina rivelazione; come quando per mezzo dei testi autorevoli della sacra Scrittura disputiamo contro gli eretici, e per mezzo di un articolo ammesso disputiamo contro coloro che ne negano un altro. Se poi l’avversario non crede ad alcuna delle cose divinamente rivelate, non rimane la possibilità di provare gli articoli di fede per mezzo di argomentazioni, ma solo si possono in tal caso sciogliere le obiezioni, se l’avversario ne adduce, contro la fede“. – Bisogna dunque provvedere affinché i giovani intraprendano gli studi biblici convenientemente preparati e agguerriti, perché non venga frustrata la giusta speranza che riponiamo in essi e perché, ciò che sarebbe maggior male, presi dagli inganni dei razionalisti e dall’apparenza di erudizione, non corrano incautamente il pericolo di sviarsi. Saranno ottimamente preparati, se avranno religiosamente coltivato e profondamente compreso la disciplina della filosofia e della teologia, secondo la guida dello stesso san Tommaso, seguendo quella via che additammo e prescrivemmo. Così cammineranno rettamente, sia nella scienza biblica come in quella parte di teologia cosiddetta positiva, e faranno in ambedue felicissimi progressi.

Parte III

DIFESA DELLA S. SCRITTURA CONTRO GLI ERRORI MODERNI

Integrità dei libri sacri

E’ certamente già gran cosa che la dottrina cattolica sia stata provata, esposta, illustrata con la legittima e solerte interpretazione dei Libri sacri; rimane tuttavia un’altra parte da farsi e di ben grande importanza, come pure di grande lavoro e cioè che si sostenga il più validamente possibile l’integra autorità degli stessi Libri sacri. Intento che in nessun altro modo potrà universalmente e pienamente conseguirsi se non per mezzo del vivo e legittimo magistero della Chiesa, la quale, “per se stessa e cioè per la sua ammirabile propagazione, per l’esimia sua santità e inesauribile fecondità in ogni opera buona, per la sua cattolica unità e invitta stabilità è un grande e perpetuo motivo di credibilità e testimonio irrefragabile del suo divino mandato“. Poiché il divino e infallibile magistero della chiesa poggia anche sull’autorità della sacra Scrittura, bisogna perciò in primo luogo sostenere e rivendicare a questa una fede almeno umana: e da questi libri, come da testimoni veraci a tutta prova dell’antichità, si mettano in evidenza e al sicuro la divinità e la missione del Cristo Signore, l’istituzione della chiesa gerarchica, il primato conferito a Pietro e ai suoi successori. Gioverà assai a questo scopo se vi saranno molti ben preparati tra gli insigniti del sacro ordine, i quali anche in questo campo combattono per la fede e respingono gli assalti ostili, rivestiti soprattutto dell'”armatura di Dio” (Ef 6,13 ss.), come ci avverte l’apostolo, e quindi non impreparati alle nuove armi e battaglie dei nemici. Ecco come egregiamente esprime ciò il Crisostomo parlando dei doveri sacerdotali: “Occorre molto studio, affinché “il verbo del Cristo abiti abbondantemente in noi” (cf. Col III,16): non dobbiamo infatti essere preparati ad un solo genere di lotta, essendo molteplice la battaglia e vari i nemici, i quali per di più non si servono tutti delle stesse armi, né usano un’unica tattica per scendere in lotta contro di noi. Per questo è necessario che colui che dovrà combattere con ogni sorta di nemici abbia profonda conoscenza di tutti gli strumenti e arti degli avversari, da essere così nello stesso tempo e arciere e fromboliere, tribuno e condottiero, duce e soldato, fante e cavaliere, perito di guerre navali e di città assediate: se infatti egli non conoscerà tutte le arti del combattere, ben saprà il diavolo, qualora anche una sola parte venisse lasciata indifesa, far penetrare per quella i suoi predoni e dilaniare il gregge“. Abbiamo sopra accennato agli inganni, alle arti di cui i nemici si servono per combattere in questo campo: ora vi indicheremo quali siano i mezzi di cui dovrete valervi per la difesa.

Lo studio delle lingue orientali

Il primo mezzo è lo studio delle antiche lingue orientali e della cosiddetta arte critica. Essendo oggi tenuta in grande conto e onore la conoscenza di entrambe le discipline, ne consegue che il clero che ne sia fornito. con una scienza più o meno profonda secondo i luoghi e gli uomini con cui abbia a che fare, meglio potrà sostenere il suo prestigio e il suo ufficio, dovendo egli “farsi tutto a tutti” (1Cor IX, 22), sempre pronto a “dar soddisfazione a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui” (1Pt III,15). E’ dunque necessario per i docenti di sacra Scrittura e conviene ai teologi la conoscenza profonda delle lingue nelle quali i libri canonici furono originariamente composti dagli agiografi. Sarà pure ottima cosa se i discepoli della Chiesa coltiveranno tali lingue, specialmente coloro che aspirano ai gradi accademici in teologia. Occorre anche curare che nelle accademie, cosa che lodevolmente si fa già in molte di esse, si impartiscano lezioni anche di altre lingue antiche, specialmente semitiche, e di quelle materie che con esse hanno relazione, soprattutto per coloro che vengono designati per l’insegnamento delle sacre Lettere. – Questi poi, per lo stesso motivo, dovranno essere più dotti e più esercitati nella vera scienza dell’arte critica. Ingiustamente infatti, e con danno della religione, si introdusse l’artificio coonestato dal nome di alta critica, secondo la quale, in base a sole ragioni interne, come essi dicono, dovrebbero scaturire l’origine, l’integrità, l’autorità di ogni libro. E’ chiaro, invece, che nelle questioni storiche, come sono l’origine e la conservazione dei libri, valgono sopra tutte le testimonianze storiche, e che queste soprattutto debbono essere raccolte e investigate con la maggior diligenza possibile; mentre le ragioni interne, il più delle volte, non sono poi di così grande importanza da poter essere chiamate in causa, se non per una certa conferma delle altre. Agendo diversamente ne conseguiranno di certo grandi inconvenienti. I nemici della religione, infatti, prenderanno sempre più ardire nell’assalire e combattere l’autenticità dei Libri sacri: quello stesso genere di critica più sublime ch’essi praticano, si ridurrà infine a tal punto da lasciare che ognuno segua, nell’interpretazione, la propria propensione, la propria opinione pregiudicata. Di qui ne viene che non si otterrà né il lume richiesto per l’intelligenza delle sacre Scritture, né alcun vantaggio per la dottrina, ma al contrario apparirà quel sicuro contrassegno di errore, che è la varietà e la dissomiglianza dei modi di pensare, come già ne fanno fede gli stessi principali assertori di questa nuova scienza. Di qui pure ne verrà che, essendo i più impregnati di una vana filosofia e delle dottrine del razionalismo, non esiteranno a rimuovere dai sacri Libri profezie, miracoli, e tutto ciò che supera l’ordine naturale.

Scrittura e scienze naturali

Bisogna combattere in secondo luogo coloro che, abusando della propria scienza di fisici, indagano in ogni modo i Libri sacri, per rimproverare agli autori la loro imperizia in tali cose, e trovano da ridire sugli stessi scritti. Queste accuse, riguardando le cose oggetto dei sensi, diventano perciò stesso più pericolose, diffuse tra il popolo, e soprattutto tra i giovani studenti, i quali, una volta perso il rispetto riguardo a qualche punto della divina rivelazione, perderanno facilmente ogni fede in ogni punto di essa. E’ ben manifesto quanto le scienze naturali siano atte a far comprendere la gloria dell’Artefice impressa nelle cose create, purché vengano rettamente proposte, come pure quale grande potere abbiano nello svellere gli elementi di una sana filosofa e nella corruzione dei costumi, se perversamente infuse nei giovani animi. La cognizione perciò delle cose naturali sarà un valido sussidio per il dottore di sacra Scrittura, per scoprire più facilmente e confutare anche siffatti cavilli addotti contro i Libri divini. – Nessuna vera contraddizione potrà interporsi tra il teologo e lo studioso delle scienze naturali, finché l’uno e l’altro si manterranno nel propri confini, guardandosi bene, secondo il monito di sant’Agostino di “non asserire nulla temerariamente, né di presentare una cosa certa come incerta“. Se poi vi fosse qualche dissenso, lo stesso santo dà sommariamente le regole del come debba comportarsi in tali casi il teologo: “Tutto ciò che i fisici, riguardo alla natura delle cose, potranno dimostrare con documenti certi, è nostro compito provare non essere nemmeno contrario alle nostre Lettere; ciò che poi presentassero nei loro scritti di contrario alle nostre Lettere e cioè contrario alla fede cattolica, o dimostriamo con qualche argomento essere falso ciò che asseriscono o crediamolo falso senza alcuna esitazione“. Per comprendere quanto sia giusta questa regola, notiamo in primo luogo che gli scrittori sacri, o più giustamente “lo Spirito di Dio che parlava per mezzo di essi, non intendeva ammaestrare gli uomini su queste cose (cioè sull’intima costituzione degli oggetti visibili), che non hanno importanza alcuna per la salvezza eterna“, per cui essi più che attendere direttamente all’investigazione della natura, descrivevano e rappresentavano talvolta le cose con una qualche locuzione metaforica, o come lo comportava il modo comune di parlare di quei tempi ed ancora oggi si usa, riguardo a molte cose, nella vita quotidiana, anche tra uomini molto colti. Dato che nel comune linguaggio viene espresso in primo luogo e propriamente ciò che cade sotto i sensi, così anche lo scrittore sacro (e come ci avverte anche il dottore angelico) “si attenne a ciò che appare ai sensi“, ossia a ciò che Dio stesso, parlando agli uomini, espresse in modo umano per farsi comprendere da essi. – Dicendo che la difesa della sacra Scrittura deve essere condotta strenuamente, non ne segue che si debbano ugualmente sostenere tutte le sentenze che i singoli padri e successivamente gli interpreti affermano nello spiegarla, in quanto essi, date le opinioni del tempo, nell’interpretare i passi in cui si tratta di cose fisiche non sempre forse giudicarono secondo la verità oggettiva, di modo che alcune interpretazioni allora proposte, ora sono meno accettabili. Occorre perciò distinguere diligentemente quali siano di fatto le interpretazioni che essi tramandarono come spettanti alle cose di fede o strettamente connesse con essa; quali poi siano state tramandate con unanime consenso, poiché infatti “nelle cose che non sono di necessità di fede fu lecito ai santi, come anche a noi, pensare in modo diverso“, secondo la sentenza di san Tommaso. Il quale in altro luogo molto prudentemente avverte: “Mi sembra cosa più sicura riguardo alle opinioni comunemente ammesse dai filosofi e che non ripugnano alla nostra fede, non asserirle come dogma di fede, anche se introdotte talvolta sotto il nome dei filosofi, ma neppure negarle come contrarie alla fede, per dar occasione ai sapienti di questo mondo di disprezzare la dottrina della fede“. Quantunque sia certamente compito dell’interprete dimostrare che le cose proposte come certe per mezzo di argomenti certi dagli studiosi di scienze naturali non contraddicono affatto le Scritture, se rettamente spiegate, non deve tuttavia sfuggire all’interprete questo fatto e cioè che talora avvenne che alcune cose date come certe furono poi poste in dubbio e quindi ripudiate. Che, se poi gli scrittori di scienze naturali, oltrepassati i confini della propria disciplina, invadessero con errate opinioni il campo della filosofia, l’interprete teologo domandi ai filosofi di confutarle.

Scrittura e inerranza

Queste stesse cose gioverà applicarle anche alle altre scienze affini, specialmente alla storia. E’ da deplorarsi, infatti, come vi siano molti che investigano e portano a conoscenza, anche con grandi fatiche, monumenti dell’antichità, costumi e istituzioni di gente antica e altre testimonianze del genere. ma il più delle volte con l’intento di scoprire errori nel Libri sacri, per riuscire ad infirmarne e a scuoterne l’autorità. E ciò taluni fanno con animo accanitamente ostile e con giudizio non abbastanza equo, poiché, trattandosi di libri profani e di antichi monumenti, tale è la fiducia che vi prestano, da escludersi persino ogni sospetto di errore. mentre negano una almeno pari fiducia alle sacre Scritture, anche per una sola parvenza di errore, neppure debitamente provata. E certamente possibile che nella trascrizione dei codici qualcosa abbia potuto essere riportata meno rettamente, il che è da giudicarsi con ponderatezza e non da ammettersi tanto facilmente, se non in quei passi ove ciò sia stato debitamente dimostrato. E’ anche possibile che rimanga ancora incerto il senso preciso di qualche passo, e per delucidarlo saranno di grande aiuto le migliori regole dell’interpretazione. Ma non è assolutamente permesso o restringere l’ispirazione soltanto ad alcune parti della sacra Scrittura, o ammettere che lo stesso autore sacro abbia errato. Infatti non è ammissibile il metodo di coloro che risolvono queste difficoltà non esitando a concedere che l’ispirazione divina si estenda alle cose riguardanti la fede e i costumi, e nulla più, stimando erratamente che, trattandosi del vero senso dei passi scritturali, non tanto sia da ricercarsi quali cose abbia detto Dio, quanto piuttosto il soppesare il motivo per cui le abbia dette. Infatti tutti i libri e nella loro integrità, che la chiesa riceve come sacri e canonici, con tutte le loro parti, furono scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ed è perciò tanto impossibile che la divina ispirazione possa contenere alcun errore, che essa, per sua natura, non solo esclude anche il minimo errore, ma lo esclude e rigetta così necessariamente, come necessariamente Dio, somma verità, non può essere nel modo più assoluto autore di alcun errore. – Tale è l’antica e costante fede della Chiesa, definita anche con solenne sentenza dai concili Fiorentino e Tridentino, e confermata infine e dichiarata più espressamente nel concilio Vaticano che in modo assoluto così decretò: “Bisogna ritenere come sacri e canonici i libri interi dell’Antico e del Nuovo Testamento con tutte le loro parti, come vengono recensiti dal decreto dello stesso concilio [Tridentino] e quali si hanno nell’antica edizione volgata latina. E la Chiesa li ritiene come sacri e canonici, non per il motivo che, composti dal solo ingegno umano, siano poi stati approvati dalla sua autorità, e neppure per il semplice fatto che contengono la rivelazione senza errore, ma perché, essendo stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore“. Perciò non ha qui valore il dire che lo Spirito Santo abbia preso degli uomini come strumenti per scrivere, come se qualche errore sia potuto sfuggire non certamente all’Autore principale, ma agli scrittori ispirati. Infatti Egli stesso così li stimolò e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li assisté mentre scrivevano, di modo che tutte quelle cose e quelle sole che Egli voleva, le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di scrivere fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità: diversamente non sarebbe egli stesso l’autore di tutta la sacra Scrittura. Questo sempre ritennero i santi padri: “Dunque – dice sant’Agostino -, dal momento che essi scrissero ciò che Egli mostrava e diceva, in nessun modo può dirsi che non sia stato lui a scrivere, quando le sue membra operano ciò che conobbero sotto la parola del capo“. E san Gregorio Magno dice: “E’ davvero vano il voler cercare chi abbia scritto tali cose, quando fedelmente si creda che autore del libro è lo Spirito Santo. Scrisse dunque tali cose chi le dettò perché si scrivessero; scrisse colui che anche nell’opera di quello, fu l’ispiratore“. Ne viene di conseguenza che coloro che ammettessero che nei luoghi autentici dei sacri Libri possa trovarsi alcun errore, costoro certamente o pervertono la nozione cattolica della divina ispirazione o fanno Dio stesso autore dell’errore. Tutti i padri e dottori erano talmente persuasi che le divine Lettere, quali furono composte dagli agiografi, sono assolutamente immuni da ogni errore, che non pochi di quei passi che sembrano presentare qualcosa di contrario e di dissimile (e cioè quasi i medesimi che ora vengono proposti come obiezioni sotto il nome della nuova scienza) cercarono non meno sottilmente che religiosamente di comporli e conciliarli tra loro, professando all’umanità che quei libri, sia interi sia nelle loro singole parti, erano in pari grado divinamente ispirati e che Dio stesso, che parlò per mezzo dei sacri autori, non poté affatto ispirare alcunché di alieno dalla verità. Valga per tutti ciò che lo stesso Agostino scriveva a Girolamo: “Io, infatti, confesso alla tua benevolenza che soltanto al libri delle Scritture, che già vengono chiamati canonici, ho imparato a prestare una tale venerazione e onore, da credere fermissimamente che nessuno dei loro autori abbia commesso errore alcuno nello scrivere. Qualora poi, mi imbattessi in essi in qualche cosa che sembrasse contrario alla verità, non avrò il minimo dubbio che ciò dipenda o dal codice difettoso, o dal traduttore che non ha interpretato rettamente ciò che fu scritto, o che la mia mente non è arrivata a capire“.

CONCLUSIONE

Impegno nel leggere e diffondere la Scrittura

E invero lottare pienamente e perfettamente, con ogni mezzo offerto dalle più serie discipline, per la santità della Bibbia, è cosa ben più grande i quanto non sia lecito aspettarsi dalla sola diligenza degli interpreti e dei teologi. Per questo è da desiderarsi che si uniscano e lavorino a questo fine anche quelli, tra gli studiosi cattolici, che si siano acquistata una certa autorità e fama nelle varie scienze profane. Se mai, per il passato, mancò alla chiesa il sostegno di questi ingegni, neppure ora, per grazia di Dio, è venuto a mancare, e voglia il cielo che aumenti sempre più a sussidio della fede. Nulla, infatti, stimiamo più necessario di questo e cioè che la verità acquisti più validi propugnatori, fidi quanto non lo siano gli avversari. Né vi è alcun mezzo che maggiormente possa indurre il popolo all’ossequio della verità, quanto il vederla liberamente professata da coloro che godono di autorità in qualche stimata disciplina. Che, anzi, sarà facile in questo caso che desistano dal loro odio anche gli stessi detrattori, o almeno non osino più asserire così impudentemente che la fede è contraria alla scienza, allorché vedranno illustri scienziati rendere sommo onore e riverenza alla fede. – Dal momento dunque che così grande vantaggio possono recare alla religione coloro cui benignamente Dio elargì, con la grazia della professione cattolica, anche il dono di un felice ingegno, si scelga perciò ciascuno, in questo effervescente movimento di studi che toccano in qualche modo le Scritture, un genere di disciplina più adatto per sé, nel quale, una volta divenuto esperto, possa, non senza gloria, respingere le accuse lanciate in nome della falsa scienza contro le sacre Scritture.

Elogio ad alcuni Cattolici

Qui ci torna grato elogiare, secondo il merito, l’operato di alcuni Cattolici, i quali, per poter somministrare ai dotti ciò che è loro necessario per trattare a fondo e far progredire con abbondanza di ogni mezzo siffatti studi, dopo aver fondato delle associazioni, elargiscono abbondanti offerte in denaro. Ottimo certamente e molto opportuno per i nostri tempi tale uso dei mezzi pecuniari. Quanto meno hanno i Cattolici da sperare nei loro studi dall’aiuto pubblico, tanto più è conveniente che si offra loro una più pronta e abbondante liberalità dei privati, di modo che coloro ai quali Dio elargì ricchezze vogliano convertirle in mezzi di difesa del tesoro della stessa dottrina rivelata.

Norme da seguire

Affinché poi tali pratiche giovino davvero alla scienza biblica, occorre che i dotti stiano ben ancorati a quelle norme da noi sopra stabilite come principi, e che fedelmente ritengano che Dio, creatore e rettore di tutte le cose, è lo stesso autore delle Scritture, e che perciò nulla può ricavarsi dalla natura delle cose, nulla dai documenti della storia che realmente sia in contraddizione con le Scritture. Che, se qualche cosa sembrasse inaccettabile, bisogna diligentemente chiarirla, sia servendosi del sapiente giudizio dei teologi e degli interpreti sul significato più preciso o verosimile del passo della Scrittura in discussione, sia vagliando con più diligenza la forza degli argomenti addotti contro tale passo. Né bisogna desistere dalla ricerca fino a che rimanga ancora una qualche apparenza di opposizione. Infatti, non potendo in alcun modo la verità contraddire la verità, siamo certi che ciò avviene perché si è incorsi in errore o nell’interpretazione delle sacre parole o in qualche parte della disputa. Se nessuna delle due cose appare ancor chiaramente, bisognerà frattanto tener sospeso il giudizio. Molte cose infatti di ogni ramo delle scienze che per lungo tempo furono oggetto di grande opposizione contro la Scrittura, ora sono cadute come vuote; parimenti non poche cose di certi passi scritturali, non riguardanti precisamente la fede e i costumi, furono un tempo proposte nell’interpretazione, di cui poi più rettamente poté giudicare una più acuta investigazione. Il tempo infatti cancella sì i commenti delle varie opinioni, ma “la verità rimane e conserva il suo valore in eterno” (3Esd 4,38). E perciò, come non vi è alcuno che possa vantare di conoscere nel preciso senso tutte le Scritture, nelle quali lo stesso sant’Agostino confessava essere più le cose che non conosceva di quelle che conosceva, così se qualcuno si imbatterà in qualche passo troppo difficile per essere chiaramente spiegato, prenda come norma quella circospetta moderazione dello stesso dottore: “E’ meglio lasciarsi avvicinare da incognite ma salutari parole che, volendo inutilmente interpretarle, liberare la testa dal giogo di servitù per incatenarla tra i lacci dell’errore“. – Tutti coloro quindi che si dedicheranno a tali studi sussidiari. se seguiranno rettamente e rispettosamente i nostri consigli e ordini, e nello scrivere e nell’insegnare indirizzeranno il profitto dei loro studi a redarguire i nemici della verità e ad impedire i danni della fede nella gioventù, allora finalmente potranno rallegrarsi di rendere servizio con degne opere alle sacre Lettere e di apportare alla causa cattolica quell’aiuto che la chiesa, con diritto, si ripromette dalla pietà e dalla dottrina dei suoi figli.

Ultimo motivo e benedizione

Queste sono le direttive, venerabili fratelli, che abbiamo stimato, sotto l’ispirazione di Dio, doversi, secondo l’opportunità, consigliare e comandare riguardo allo studio delle sacre Scritture. Sia ormai vostra sollecitudine il curare che tali direttive vengano custodite e osservate, come si conviene, con grande diligenza, così che più chiara risalti la riconoscenza dovuta a Dio, per aver comunicato al genere umano le parole della sua sapienza, e perché ne provengano i tanto desiderati vantaggi, specialmente per la formazione della gioventù ecclesiastica oggetto della nostra assillante cura e speranza della chiesa. Adoperatevi quindi alacremente con la vostra autorità ed esortazione, affinché nei seminari e nelle accademie che si trovano sotto la vostra giurisdizione tali studi siano tenuti nel dovuto onore e rinvigoriscano. Integramente e felicemente rinvigoriscano sotto la guida della chiesa, secondo le salutari norme dei documenti e degli esempi dei santi padri e la lodata consuetudine degli antichi, e ricevano tali impulsi, col passar del tempo, che davvero siano di presidio e gloria della verità cattolica, divinamente sorta per la perenne salvezza dei popoli. – Esortiamo infine con paterna carità tutti i discepoli e i ministri della Chiesa ad accedere alle sacre Scritture sempre con sommo affetto, fatto di rispetto e di devozione, poiché l’intelligenza salutare delle stesse non potrà mai essere elargita com’è necessario, se non sarà rimossa l’arroganza della scienza terrena, e se non si dedicheranno santamente allo studio fervente di quella sapienza che è al di sopra della terrena (cf. Gc III,15-17). Una volta che la mente si sia introdotta in tale studio e venga quindi illuminata e fortificata, avrà poi la mirabile capacità di discernere quali siano gli inganni della scienza umana ed evitarli, di raccogliere i veri frutti della scienza e riferirli ai beni eterni, e quindi con animo sempre più ardente, tenderà con maggiore e più gagliardo spirito alla virtù e al divino amore: “Beati coloro che scrutano le sue testimonianze, lo cercano con tutto il cuore” (Sal. CXVIII, 2). – Fondati sulla speranza dell’aiuto divino e confidando nella vostra pastorale sollecitudine, auspice dei celesti favori e testimone della Nostra singolare benevolenza, a voi tutti e a tutto il clero e al popolo affidato a ciascuno, con effusione di cuore impartiamo l’apostolica benedizione nel Signore.

Roma, presso S. Pietro, 18 novembre 1893, anno XVI del Nostro pontificato.

LEONE PP. XIII

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE I MODERNISTI APOSTATI DI TORNO … E NON SOLO: “SACROSANTA ŒCUMENICA”

La Sacra Scrittura – il Santo Vangelo e la Sacra Bibbia – è stata da sempre l’oggetto, da parte dei nemici della Chiesa Cattolica, cioè di coloro che odiano Dio e tutti gli uomini, di manipolazione, riduzioni, sforbiciate, riduzioni arbitrarie, aggiunte non autorizzate, false interpretazioni e pretese nuove “illuminazioni” o “chiarimenti” da parte di strampalati e folkloristici pseudostudiosi, il cui vero intento è quello di mettere in confusione il fedele e portarlo alle porte degli inferi, per introdurlo poi ivi con tutta facilità. È successo tantissime volte: fin dall’inizio della vita della Chiesa, c’è stato sempre qualche giudaizzante interprete di una Bibbia monca e adattata già alla sinagoga gnostico-cabalistica, Bibbia già anatemizzata dagli stessi giudei, all’atto della compilazione della Bibbia dei Settanta, tradotta in greco perché l’ebraico biblico era oramai sconosciuto ai Giudei della diaspora. Poi sono apparsi di tanto in tanto neo-esegeti, ritrovatori di frammenti ammuffiti nelle grotte ove venivano gettate le copie errate degli scribi, e fatte passare come frammenti autentici [esempio classico sono i frammenti attribuiti alla setta degli Esseni, già di per sé eretici eredi della gnosi babilonese ed adoratori del dio-sole in agapi di “eletti” ben occultati. Sorvolando sui pittoreschi personaggi che di volta in volta si sono proposti [ed ancora ce ne sono tantissimi in giro!], come portatori della parola biblica, giungiamo alle aberrazioni dei protestanti, sempre più lontane dalla verità nella loro manipolazione, traduzione, interpretazione fino all’assurdo ed irreale “libero esame” che ancora oggi continua  a generare sette eretiche ed assolutamente improbabili, che mescolano elementi cristiani, gnostici, cabalistici e soprattutto fantasiosi, evidentemente prodotti dai fumi dell’alcool e delle droghe che infarciscono predicatori fanatici ed irresponsabili. Predicatori allucinati ed autoreferenziati sono oggi diffusi in ogni setta e derivati, e brulicano, oltre ai pretesi ignoranti (per vero o per inganno) professori delle conventicole massoniche, anche tra i settari del “novus ordo” e degli pseudo-tradizionalisti scismatici. Ma non è il caso di perdere tempo con ciarlatani ed imbonitori, oggi più che mai virulenti ed in salsa informatica. Noi Cattolici abbiamo una guida sicura, unico criterio di discernimento tra verità e cialtroneria: il Magistero della Chiesa Cattolica. Oggi iniziamo con il ricordare la sessione IV del Sacrosanto Concilio di Trento, per continuare poi con le principali Encicliche Pontificali riguardanti l’argomento: SACRE SCRITTURE.

CONCILIO DI TRENTO

“Sacrosanta Œcumenica”

SESSIONE IV (8 aprile 1546)

-S.S. Paolo III-

Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.

Il sacrosanto, ecumenico e generale Concilio Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito Santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della Sede Apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella Chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante, il signore nostro Gesú Cristo, figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi. – E poiché il Sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte – che raccolte dagli Apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, tramandate quasi di mano in mano, sono giunte fino a noi, – seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, – Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito Santo, e conservate con successione continua nella Chiesa Cattolica. – E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso Sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto l’elenco.

Dell’Antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni; il primo e il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, primo e secondo. Del Nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli Apostoli, scritti dall’evangelista Luca; le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; due dell’apostolo Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.

Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella Chiesa Cattolica e come si trovano nell’edizione antica della Volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema.

Sappiano quindi tutti, con quali argomenti lo stesso Sinodo, posto il fondamento della confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi nella Chiesa.

Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia e si prescrive il modo ai interpretare la sacra Scrittura ecc.

Lo stesso sacrosanto Sinodo, considerando, inoltre, che la Chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione Volgata, approvata nella Chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto. – Inoltre, per reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina cristiana, piegando la Sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa madre Chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate. Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.

Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli editori, i quali, ormai, senza alcun criterio – credendo che sia loro lecito tutto quello che loro piace – stampano, senza il permesso dei superiori ecclesiastici, i libri della Sacra Scrittura con note e commenti di chiunque indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso nascondendolo con uno pseudonimo, e – cosa ancor piú grave, – senza il nome dell’autore, e pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri stampati, il Concilio prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la Sacra Scrittura – specialmente questa antica volgata edizione, sia stampata nel modo piú corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare libri di soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal canone dell’ultimo Concilio Lateranense.

Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione, siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.

Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi libri venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, cosí che le cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.

Volendo infine reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni della Sacra Scrittura vengono adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose, vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici, divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il Concilio comanda ed ordina per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della Sacra Scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della Parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione dei Vescovi stessi.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI APOSTATI MODERNISTI DI TORNO: QUAM RELIGIOSA

In questa breve Enciclica, S.S. Leone XIII prende posizione netta ed irrevocabile sull’introduzione della legge sul matrimonio civile in Perù. Il Santo Padre espone brevemente, ma con fermezza, il concetto che il Matrimonio, essendo stato innalzato da Gesù Cristo alla dignità Sacramentale, non è “affare” da gestirsi da una qualsiasi autorità che non sia la Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica, se non limitatamente agli effetti puramente civili. Non si tratta quindi di nessuna novità dottrinale particolare [come potrebbe del resto un Papa “vero” modificare la dottrina che scaturisce dal deposito della fede? … solo un’antipapa potrebbe farlo!], ma semplicemente un richiamo elementare alla legge divina ed ecclesiastica. – Questo deve essere per noi occasione di meditazione sulle leggi attualmente promulgate in tutti gli Stati cosiddetti “civili” [tutto l’Occidente ed in buona parte pure l’Oriente europeo, il continente americano nella quasi totalità, ed oggi anche le nazioni asiatiche ed africane modernamente massonizzate], in realtà “gulag” gestiti imperiosamente da entità più o meno invisibili dedite tutte ai culti satanici ed adoratori del baphomet-lucifero gnostico-massonico. La cosa che dovrebbe poi stupire gli attuali “sedicenti” cattolici, cioè gli aderenti alla setta neo-gnostica modernista del “novus ordo” vaticano, è come questi esponenti della “quinta colonna” usurpanti i sacri palazzi, abbiano completamente modificato il loro orientamento rispetto alla dottrina insegnata da Cristo e dalla sua Chiesa, in tutti i luoghi teologici, giungendo a eliminare ogni “impedimento”, rendendo il legame rapidamente solubile con pronta riammissione ai sacramenti [per fortuna falsi ed affidati a mai-preti e non-vescovi giammai consacrati secondo le norme canoniche da sempre vigenti], addirittura sventolando il “divorzio cattolico breve”, più breve pure di quello laico-massonico, ed aprendo addirittura, in modo blasfemo e beffardo, agli abomini del matrimonio omosessuale, avendo preventivamente abolito, con un colpo di spugna netto, il “peccato che grida vendetta agli occhi di Dio”: la sodomia conclamata e praticata, benedetta invece come pratica di amore, e … non giudicabile ?! Ora ci chiediamo: ma cosa deve farvi vedere di più il Signore, per farvi capire l’inganno in cui siamo tutti coinvolti, inganno che ci porterà inesorabilmente al fuoco eterno … anche questo ripulito con un colpo di spugna ignifuga? Cosa deve farvi vedere di più il Crocifisso Risorto per convincervi che il tempo dell’anticristo, attraverso i suoi “illuminati” vicari, è già in piena opera, visto che il paolino “kathecon” è impedito ed “in vincoli”, sorvegliato a vista da carcerieri crudeli? E allora diciamola tutta: anche a noi tutti fa comodo essere “modernizzati”, poter fare le porcate di ogni tipo che Gesù e la sua Chiesa ha sempre condannato, anche a noi tutti fa comodo chiudere gli occhi per non essere additati come retrogradi e trogloditi, solo perché amiamo il Cristo e la sua legge, avendo poi la coscienza ripulita dalla partecipazione ai falsi sacramenti sacrileghi ed al rito del baphomet festivo, in cui il Sacrificio di Cristo viene spudoratamente offerto al signore dell’universo, cioè al lucifero delle logge massoniche. E ai “novissimi” nessuno ci pensa più, anzi … ma che so’ i “novissimi”, abiti alla moda lanciati da qualche sarto satanista … come tutti gli altri? Ma a breve [chi prima, chi dopo … ma è questione di anni, visto che nessuno è materialmente immortale] tutti saremo giudicati dal Tribunale di quel Cristo che abbiamo abiurato, dal quale abbiamo apostatato, che abbiamo bestemmiato in tutti i modi, con blasfemie e sacrilegi mai apparsi sotto la luce del sole … neanche quelli del culto di Mitra e dell’eliocentrismo fantascientifico! … Quam ob causam increpa illos dure, ut sani sint in fide, non intendentes judaicis fabulis, et mandatis hominum, aversantium se a veritate. [Tit. I, 13-14].

Leone XIII

Quam religiosa

Lettera Enciclica

La legge del matrimonio civile in Perù
16 agosto 1898

Con quanta religiosa fermezza nel conservare la fede cattolica si raccomandi l’illustre nazione del Perù, con quale ossequio, con quale identica volontà sia congiunta con Noi e con la sede apostolica, questo certamente lo hanno fatto conoscere parecchi segni, fra i quali giova qui ricordare le preghiere a Noi rivolte, affinché mandassimo nelle vastissime regioni di questo paese dei presbiteri per intraprendere sacre missioni e dei membri di congregazioni religiose, per l’attività e la solerzia dei quali si alimentasse la religione e la pietà e di giorno in giorno continuamente crescesse. E non è disgiunto da gioia il ricordo di quell’affollatissimo convegno cattolico che, due anni fa, si è tenuto nella città principale di questo paese, con uomini provenienti da ogni parte della regione, illustrissimi per dottrina, virtù, posizione, patrimonio, convegno dal quale scaturì un rinnovato e gradito ardore degli animi. Costoro infatti non ebbero il minimo dubbio di proclamare con pubbliche dichiarazioni, con quale zelo desiderassero fare progredire la religione dei padri, con quale ossequio e amore avrebbero seguito con costanza questa cattedra di Pietro. Noi poi, venerabili fratelli, non abbiamo mai tralasciato l’occasione di testimoniare la Nostra singolare benevolenza verso questa popolazione cattolica, con l’aggiunta di esortazioni, e con la presentazione di testimonianze certamente non oscure della Nostra assai grata disposizione dell’animo. Fra quelle certamente di maggior valore, non vogliamo tralasciare il fatto che, dagli onori e privilegi particolari concessi dalla sede apostolica al suo presidente, allo stato peruviano stesso ne è venuta una grande autorità e dignità. Questi onori poi, davano a Noi la sicura speranza che, come i vostri antenati per meritarseli operarono in modo insigne, così in seguito coloro che avessero governato la nazione non avrebbero usato un impegno minore per conservarli, e con la propria fermezza nella difesa della fede cattolica avrebbero comprovato che tutte quelle cose erano state loro conferite giustamente. È con dolore quindi che abbiamo appreso che in questa nazione è stata di recente promulgata una legge che, con il pretesto di regolare i matrimoni fra non cattolici, di fatto introduce il matrimonio cosiddetto “civile”, anche se questa legge non riguarda tutte le categorie di cittadini. E inoltre, messa da parte l’autorità della Chiesa, tale modalità civile è permessa per i matrimoni misti, anche quando la Sede Apostolica, per motivi gravissimi e per la salvezza eterna della famiglia cristiana, non abbia ritenuto opportuno dispensare in qualche caso dalla legge che vieta il matrimonio per disparità di culto. – Gravemente colpiti da queste cose che sono state compiute contro il rispetto dovuta alla Nostra dignità e contro il potere da Dio conferito al Nostro supremo ministero, eleviamo la voce apostolica, venerabili fratelli, e sproniamo il vostro zelo, affinché, provvedendo alla sicurezza dei fedeli del Perù, facciate in modo che la dottrina cattolica del matrimonio sia conservata integra e incorrotta. – Noi poi, preoccupati di tutto il popolo cristiano, come lo richiede la logica del dovere apostolico, non abbiamo mai trascurato di insegnare spesso e di prescrivere molte cose riguardanti la santità del matrimonio: non si può separare dalla religione e ridurre al rango delle cose profane una funzione naturale trasformata in sacramento da Cristo, autore della nuova alleanza; preceduta dal sacro rito, la vita dei coniugi è più tranquilla e felice; la concordia domestica è rafforzata; i figli sono meglio educati; si provvede in modo più conveniente alla stessa sicurezza dello stato. Abbiamo trattato tutto questo argomento più diffusamente e con ogni diligenza, nella lettera apostolica Arcanum divinae sapientiae consilium, dove abbiamo anche cercato di richiamare alla memoria dei fedeli cristiani sia la vigile sollecitudine che la Chiesa, la migliore custode e protettrice del genere umano, ha usato per custodire l’onore e la santità del matrimonio, sia quali siano, in questo ambito, le cose che possono a buon diritto stabilire e giudicare coloro che governano lo stato. Non intendiamo a questo punto, e non è necessario, riferire tutti gli insegnamenti che sono già a vostra conoscenza. Non riteniamo fuori luogo però, ricordare ancora una volta che coloro che governano lo stato hanno potere sulle questioni umane che derivano dal matrimonio e che sono di ordine civile; ma che sopra il matrimonio cristiano in se stesso, il loro diritto e la loro autorità sono nulle. Devono quindi accettare che sia sottomessa alla giurisdizione della Chiesa una cosa che non è stata posta in essere da una autorità umana. Una volta che il contratto nuziale sia compiuto in modo legittimo, cioè come Cristo lo ha istituito, allora ad essi sarà permesso di considerare se ne consegue qualcosa che interessa il diritto civile. È infatti dottrina cattolica, dalla quale nessuno può recedere senza la perdita della fede, che al matrimonio dei cristiani è sopravvenuta la dignità di Sacramento. – Quindi da nessun’altra autorità che non sia la divina autorità della Chiesa può essere governato e regolato, e nessuna unione coniugale può essere ritenuta valida e fondata, se non è stata contratta secondo la sua legge e la sua disciplina. Da questo si comprende facilmente che, dove è stata nel modo dovuto promulgata la legge Tridentina del capitolo Tametsi (Denzinger 1813-1816) qui debbono ritenersi invalidi i matrimoni conclusi contro le sue prescrizioni. Nello stato del Perù, quella legge Tridentina non solo è stata promulgata, ma ha avuto a lungo vigore nell’uso ed è stata osservata in modo fedelissimo fino a questi ultimi tempi. – Non vi è quindi nessun motivo perché la Sede Apostolica fortissimamente non voglia che sia legittimamente mantenuta la disciplina introdotta. – Queste cose, venerabili fratelli, insegnando al gregge a voi affidato, esponetele nel modo più ampio e più chiaro, affinché non sfugga a loro nulla di questa cosa gravissima, che interessa moltissimo la loro salvezza eterna. Desideriamo anche che voi, con autorità e con saggezza, siate talmente efficaci presso coloro che in questo stato sono preposti alla formazione delle leggi, ed entriate così nelle loro grazie, che questi si persuadano, ad esempio per la popolazione cattolica, nella cui mente si trovano gli illustri esempi di virtù dei beati Turibio e Rosa, a modificare pubblicamente il loro pensiero e la loro volontà. – Per cui risulti necessario che mai si allontanino nel formulare le leggi dai precetti della chiesa, osservati a buon diritto i quali, si produce anche la stessa felicità naturale dei popoli. E si impegnino così ad operare affinché il recente decreto sia emendato al più presto ed eliminato, e affinché le leggi civili sul matrimonio non presentino nulla di discorde dalla dottrina e dalle istituzioni della Chiesa. – Nel frattempo, fiduciosi nella speranza dell’aiuto divino e confidando nel vostro zelo e nella vostra solerzia, a voi, venerabili fratelli, a tutto il clero e al popolo a ciascuno affidato, impartiamo con grande amore nel Signore l’apostolica benedizione, auspice dei doni celesti e testimone della Nostra benevolenza.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE I MODERNISTI APOSTATI DI TORNO: SINGULARI QUIDEM, PIO IX

Questa lettera enciclica, “Singulari quidem” è rivolta all’Episcopato austriaco dell’epoca, ma è rivolta in realtà, come tutta la parola di Dio, trasmessa dal Magistero apostolico, a tutti noi, oggi e sempre. C’è l’invito a tutti noi, in primis i chierici responsabili, con giurisdizione e missione canonica in unione con il Santo Padre, Gregorio XVIII, di vigilare contro due pesti moderniste, oggi più che mai in voga nella nostra corrotta società massonizzata e sdoganate dagli aderenti alla antichiesa dell’uomo, la vera sinagoga di satana del novus ordo, affiliata alle logge del b’nai b’rith: l’indifferentismo religioso ed il razionalismo pseudo-scientifico, gemelli nati da uno gnostico parto distocico. Qui poi è da condividere con orrore il dolore di Papa Mastai, per l’infedeltà del clero e del popolo un tempo cristiano, oggi apostata gaudente, autoassoltosi con il miraggio luciferino della “misericordia” senza pentimento e senza penitenza. Poveri noi, dove siamo finiti per non aver osservato in tempo e fatte nostre le sollecitazioni dei Sommi Pontefici fino a Pio XII. Poveri noi, quando, baldanzosi, andremo dal Giudice divino a raccogliere i frutti che credevamo buoni, anche se prodotti dalla “melma” e dallo “sterco” modernista, e ci sentiremo respingere con le terribili parole nella eterna sentenza: “… andate via da me, voi tutti, operatori di iniquità!”. Cerchiamo, finché siamo in tempo, di raddrizzare il timone della barca che sta precipitando nel lago di fuoco della eterna dannazione, ripariamo, con la dottrina e con la penitenza, alle nostre opere delle tenebre, e ricordiamo, come è ben affermato pure in questo scritto di “vita eterna” che: “all’infuori della Chiesa Cattolica Romana [la Vera Chiesa di Cristo, da non confondere con il satanico “novus ordo” usurpante, né con i fiancheggiatori dei falsi “tradizionalisti”], non si trova né la vera fede né la salute eterna, in quanto non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre e assurdamente confida di appartenere alla Chiesa colui che abbandona la Cattedra di Pietro sulla quale è fondata la Chiesa!” Viva Gesù-Cristo, viva la Chiesa Cattolica, viva il Santo Padre GREGORIO XVIII!

S. S. Pio IX
“Singulari quidem”

Abbiamo appreso con gioia particolare dell’animo Nostro, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, che – solleciti nell’assecondare con grande fervore i desideri espressi quasi contemporaneamente a ciascuno di Voi da Noi stessi e dal Nostro carissimo Figlio in Cristo, l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe – per ispirazione della fede che vi distingue e del vostro zelo pastorale, avete deciso di riunirvi in codesta città imperiale e regia di Vienna per discutere e conferire tra di Voi, in modo che possano essere perfezionate tutte le cose che furono sancite da Noi con lo stesso carissimo in Cristo Figlio Nostro in quella Convenzione che lo stesso preclaro e religiosissimo Principe ha avuto cura di concludere con Noi con somma Nostra consolazione, ad immortale gloria del suo nome, restituendo alla Chiesa i suoi diritti usurpati, recando letizia a tutti gli uomini onesti. Quindi con Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, Ci congratuliamo vivamente per il lodevole zelo che mostrate verso la Chiesa convocando codesta assemblea, né possiamo astenerci in questa circostanza dal parlarvi con grande amore, dal mostrarvi i sentimenti intimi del Nostro cuore e farvi così comprendere quanto è grande l’affetto che nutriamo verso di Voi e verso tutti i popoli fedeli di codesto vastissimo Impero affidato alla vostra cura. – Anzitutto, per ciò che concerne l’esecuzione della convenzione predetta, sappiate bene che essa contiene molti articoli che Voi soprattutto dovrete applicare, perciò desideriamo vivamente che circa il modo di dar loro esecuzione, Voi vogliate seguire una stessa sicura via e lo stesso metodo, avendo cura tuttavia di prendere con prudenza e attenzione tutte le precauzioni che potranno richiedere le usanze delle diverse province aggregate al vastissimo Impero d’Austria. Se alcuni articoli danno adito a dubbi, se sorgono difficoltà (cosa che non crediamo), Vi saremo grati se Ce lo riferirete in modo che, confrontati i pareri tra Noi e sua Maestà Cesarea Apostolica, così come è stato previsto dall’articolo trentacinquesimo della stessa Convenzione, possiamo darvi le opportune delucidazioni. – Ora, l’ardente carità che Ci fa abbracciare in un unico sentimento d’amore tutto il gregge del Signore, divinamente affidatoci da Gesù Cristo medesimo, e il gravoso incarico del Nostro Ministero Apostolico per cui dobbiamo provvedere con ogni Nostra forza alla salvezza di tutte le nazioni e di tutti i popoli, Ci sospingono, Nostri Diletti Figli e Venerabili Fratelli, a sollecitare sempre più, con tutta l’energia di cui siamo capaci, la vostra insigne pietà e la vigile virtù episcopale perché continuiate ad adempiere con zelo sempre più ardente e con la più premurosa diligenza tutte le funzioni del vostro ufficio episcopale, senza risparmiare né affanni, né consigli, né fatiche per conservare intatto e inviolabile nelle vostre Diocesi il patrimonio della nostra santissima fede. Vegliate sulla incolumità del vostro gregge, preservatelo da tutte le frodi e le insidie dei nemici. Infatti Voi conoscete bene gli infami artifici, le numerose macchinazioni e le mostruose invenzioni di ogni genere di opinioni con cui astuti architetti di dogmi perversi tentano di deviare dal sentiero della verità e della giustizia e di trascinare nell’errore e nella perdizione gli improvvidi e soprattutto gli sprovveduti. E neppure ignorate, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, che tra i tanti e mai abbastanza deplorati mali che turbano e sconvolgono la società ecclesiastica e civile, ora ne emergono in particolare due, che si possono considerare a buon diritto come l’origine di tutti gli altri. A Voi infatti sono anzitutto noti gli innumerevoli e funestissimi danni che sulla società cristiana e civile si riversano dal fetido errore dell’indifferentismo. Da qui la grave negligenza in tutti i doveri verso Dio in cui viviamo, ci muoviamo e siamo; da qui trascurata la santissima Religione; da qui scosse e quasi sconvolte le fondamenta di ogni diritto, della giustizia e della virtù. Da questa ignobile forma d’indifferentismo non molto si scosta la teoria, eruttata dalle tenebre, dell’indifferenza delle religioni per cui uomini estranei alla verità, avversari del vero credo religioso e immemori della loro salute, docenti di principi contraddittori e sprovvisti di solido convincimento, non ammettono alcuna differenza tra le professioni di fede più divergenti, vivono in pace con tutti, e pretendono che a tutti, a qualunque religione appartengano, sia aperto l’ingresso alla vita eterna. Infatti nulla importa loro, sebbene di diverse tendenze, pur di cospirare alla rovina dell’unica verità . – Voi vedete, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di quale vigilanza occorre dar prova per impedire che il contagio di una peste tanto funesta infetti e distrugga miseramente le vostre pecore. Pertanto non rinunciate a premunire con zelo da questi esiziali errori i popoli a Voi affidati; a istruirli ogni giorno più intimamente nella dottrina della verità cattolica; a insegnare loro che, come vi è un solo Dio Padre, un solo Cristo Figlio di Lui, un solo Spirito Santo, così vi è una sola verità divinamente rivelata, una sola fede divina, principio d’umana salvezza, fondamento di ogni normativa per la quale il giusto vive, e senza la quale è impossibile piacere a Dio e pervenire alla comunione dei suoi figli (cf. Rm I,16-17; Eb XI,5); ; non vi è che una vera, santa, cattolica, Apostolica, Romana Chiesa e una sola Cattedra fondata dalla voce del Signore su Pietro, e all’infuori di essa non si trova né la vera fede né la salute eterna, in quanto non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come madre e assurdamente confida di appartenere alla Chiesa colui che abbandona la Cattedra di Pietro sulla quale è fondata la Chiesa. Infatti non vi può essere maggior delitto e nessuna macchia più ripugnante che essersi posto contro Cristo; aver operato per la distruzione della Chiesa, generata e assicurata dal Suo sangue divino; aver lottato con il furore di ostile discordia contro l’unanime e concorde popolo di Dio, avendo dimenticato l’amore evangelico. Invero, il culto divino si compone di questi due elementi: di pie dottrine e di buone azioni; né la dottrina senza opere buone è gradita a Dio, né Dio accoglie le opere distinte dai dogmi religiosi; non nella sola pratica delle virtù o nella sola osservanza dei precetti, ma anche nel cammino della fede si trova l’angusta e ardua via che conduce alla vita . Quindi non desistete di ammonire e incitare continuamente i vostri popoli fedeli, in modo che non solo persistano irremovibili, ogni giorno di più, nella professione della Religione Cattolica, ma si adoperino anche di rendere salda la loro vocazione e la loro scelta attraverso le buone opere. Mentre poi Vi impegnate ad assicurare la salvezza del vostro gregge, non trascurate di richiamare con tanta bontà, tanta pazienza, tanta dottrina, i poveri erranti all’unico ovile di Cristo e di ricondurli all’unità cattolica soprattutto con queste parole di Agostino: “Venite, Fratelli, se volete essere innestati sulla vite. È doloroso vedervi giacere in terra così recisi; contate soltanto sui sacerdoti provenienti dalla Sede di Pietro e considerate come su quel soglio dei nostri padri l’uno successe all’altro; quella è la pietra che non può esser vinta dalle superbe porte degl’inferi . Chiunque mangerà l’agnello fuori di questa casa, è un empio; se qualcuno non sarà nell’arca di Noè, perirà nel momento del diluvio.- Invero un’altra malattia non meno perniciosa ora infierisce, e ad essa, dalla tracotanza e da un certo orgoglio della ragione, è stato dato il nome di razionalismo. La Chiesa non disapprova certamente gli sforzi di coloro che perseguono la verità poiché Dio stesso attribuì all’uomo una ardente inclinazione alla conquista del vero, né biasima un retto e sano metodo di studi che coltivino la mente, investighino la natura, e portino in piena luce ogni suo più riposto arcano. La Chiesa, madre piissima, sa e ritiene con certezza che fra i doni celesti è soprattutto ragguardevole quello che consiste nella ragione per la quale, innalzandoci al di sopra di ciò che è soggetto ai nostri sensi, rechiamo in noi stessi una certa luminosa immagine di Dio. Essa ben sa che bisogna cercare fin quando troverai, e credere in ciò che hai trovato, in modo che tu ti persuada che non vi è nulla in cui credere, nulla da ricercare, una volta che tu abbia trovato e creduto in ciò che Cristo ha istituito, poiché Cristo ti ordina di cercare soltanto ciò che ha stabilito. – Che cosa dunque la Chiesa non tollera, non permette; che cosa essa biasima e condanna senza remissione, in linea con lo stretto dovere di tutelare il deposito divino? La Chiesa respinge con veemenza, sempre condannò e condanna il comportamento di coloro che, abusando della ragione, non arrossiscono né temono di opporla e di anteporla, con empia stoltezza, all’autorità della parola di Dio e mentre con arroganza si esaltano, accecati dalla propria superba presunzione, perdono il lume della verità, disprezzano con supremo orgoglio la fede in cui sta scritto che chi non crede sarà condannato (Mc 16,16) e confidando in sé stessi , negano di dover credere allo stesso Dio e di dover rispettare ciò ch’Egli di sé offerse alla nostra intelligenza. È a costoro che la Chiesa, con fermezza, obietta che è giusto , avendo cognizione del divino, credere in Dio stesso, a cui appartiene tutto quanto di Lui crediamo, poiché, come è logico, Dio non poteva essere conosciuto dall’uomo se Dio non lo avesse dotato della salvifica cognizione di sé. Sono costoro che la Chiesa cerca di richiamare alla sanità della mente con queste parole: che cosa vi è di più contrario alla ragione che cercare di elevarsi con la ragione al di sopra della ragione? E che cosa vi è di più contrario alla fede che rifiutare di credere in ciò che la ragione non può disvelare? La Chiesa non desiste dall’insegnare ad essi che la fede non è fondata sulla ragione, ma sull’autorità; infatti non conveniva che Dio, parlando all’uomo, confermasse le sue parole con argomenti, come se non avesse fede in lui, ma, come era logico, Dio ha parlato come supremo arbitro di tutte le cose: a Lui non si addice l’argomentare ma l’affermare. Ad essi esplicitamente dichiara che la sola speranza dell’uomo e la sua sola salvezza sono poste nella fede cristiana (che, insegnando la verità, e con la divina sua luce dissipando le tenebre dell’umana ignoranza, opera per amore) e nella Chiesa Cattolica, depositaria del vero culto, stabile dimora della stessa fede e tempio di Dio, fuori del quale, fatta salva la scusa di una invincibile ignoranza, chiunque resta escluso dalla speranza di vita e di salvezza. – Essa li ammonisce severamente e insegna che la scienza umana, se talora affronta i sacri testi, non deve avocare a sé, con arroganza, il diritto d’interpretarli ma, come un’ancella alla padrona, servirli con devoto ossequio, in modo che non erri spingendosi innanzi e, nel seguire i significati superficiali delle parole, non perda il lume della virtù e il retto sentiero della verità . Né si deve pensare che nella Chiesa di Cristo la Religione non abbia fatto alcun progresso; infatti ha progredito assai, purché il vero progresso stia nella fede e non nell’alterarla. Occorre dunque che crescano e progrediscano sensibilmente, nel corso delle età e dei secoli, l’intelligenza, la scienza, la saggezza sia dei singoli che di tutti, dell’uomo singolo e di tutta la Chiesa, in modo che sia compreso chiaramente ciò che prima era creduto oscuramente; in modo che la posterità si compiaccia di capire ciò che gli antichi veneravano senza averne conoscenza; in modo che siano estratte le preziose gemme della divina dottrina, che siano incastonate e adornate con perizia, splendano di luce, di grazia e di bellezza senza tradire tuttavia il dogma, il senso, il pensiero, in modo che siano esposte in modo nuovo ma senza introdurre novità alcuna.- Noi crediamo, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, che nessuno tra Voi si meravigli se, in ragione del Nostro primato e della Nostra autorità in materia di fede, abbiamo insistito su questi esiziali e funesti errori che riguardano la religione e la società, e se abbiamo deliberato di sollecitare la vostra straordinaria vigilanza al fine di sconfiggerli. Poiché il nemico non desiste dal seminare zizzania in mezzo al grano e poiché Noi, per disposto della Divina Provvidenza, presiediamo alla coltivazione del campo del Signore, e come servi fedeli e prudenti siamo stati posti a capo della famiglia del Signore , dobbiamo adempiere quei doveri inseparabili dal Nostro ufficio Apostolico. – Ora Noi chiediamo alla vostra pietà e alla vostra saggezza che in codesto congresso possiate raggiungere tra di Voi quelle provvide e sapienti decisioni che avrete giudicato atte a promuovere la maggior gloria di Dio nelle regioni di codesto vastissimo Impero e l’eterna salute degli uomini. È pur vero che Noi ci allietiamo ardentemente nel Signore quando sappiamo che vi sono molti ecclesiastici, molti laici che, egregiamente animati dallo spirito della fede e della carità cristiana, diffondono il soave profumo di Cristo; tuttavia siamo afflitti da non lieve pena quando veniamo a sapere che in certi luoghi alcuni sacerdoti, dimentichi della dignità del loro magistero, non procedono affatto conformemente a quella vocazione cui sono stati chiamati, e che il popolo cristiano, poco istruito nei santissimi precetti della nostra divina religione ed esposto ai più gravi pericoli, si astiene per sua disgrazia dalle opere di pietà e dalla frequentazione dei Sacramenti e deflette dalla onestà dei costumi, dalle regole di vita cristiana e corre verso la perdizione. Siamo intimamente persuasi che Voi, con la vostra ammirevole premura episcopale, consacrerete ogni cura e pensiero per eliminare del tutto i mali che abbiamo ricordato. E poiché Voi sapete benissimo, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, quanto potere abbiano i Concili Provinciali (sapientemente prescritti dalle regole canoniche e sempre frequentati dai santi Prelati per il supremo bene della Chiesa) al fine di restaurare la disciplina dell’Ordine ecclesiastico, di correggere i costumi dei popoli e di stornare i mali che ne derivano, desideriamo ardentemente che Voi celebriate i Sinodi Provinciali secondo le regole dei sacri canoni, in modo da applicare opportuni ed efficaci rimedi ai mali comuni di ogni provincia ecclesiastica di codesto Impero. E siccome Voi dovrete trattare in codesti Sinodi Provinciali questioni numerose e gravi, facciamo voto che grazie alla Vostra saggezza, in codesta assemblea Viennese, con animi concordi adottiate quelle risoluzioni in cui possiate raggiungere l’unanimità, sia soprattutto sulle questioni principali che nei Sinodi Provinciali dovrete trattare e decidere, sia su quelle che vorrete affrontare con lo stesso impegno unitario, affinché in tutte le province di codesto Impero la divina nostra religione e la sua dottrina salvifica ogni giorno di più si affermino, fioriscano, prevalgano e i popoli fedeli, allontanandosi dal male e operando il bene, procedano come figli della luce nella bontà, nella giustizia e nella verità. – Di tutti i mezzi che possono efficacemente condurre gli altri alla virtù, alla pietà e all’amore di Dio, nessuno è più valido della vita e dell’esempio di coloro che si dedicarono al divino ministero; perciò non tralasciate di adottare tra Voi, con tutto il vostro zelo, quei provvedimenti che restaurino la disciplina del Clero, ove si sia rilassata, e che la promuovano con cura dove sarà necessario. Di conseguenza, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, messi in comune e congiunti i vostri pareri e i vostri impegni, fate in modo, con tutto il vostro zelo, che gli ecclesiastici, sempre memori della dignità del loro ufficio, evitino tutto ciò che è vietato al Clero e che non gli si addice; ornati di tutte le più fulgide virtù, siano di esempio ai fedeli nelle parole, nei rapporti sociali, nella carità, nella fede, nella castità; recitino le ore canoniche quotidiane con l’attenzione che si conviene e con sentimento di devozione; si esercitino nella santa preghiera e insistano nella meditazione sui beni celesti; amino il decoro della casa del Signore; adempiano alle sante funzioni e alle cerimonie secondo il Pontificale e il Rituale Romano e svolgano con impegno, con sapienza e con santità l’incarico del proprio ministero; non interrompano mai lo studio delle sacre discipline e operino assiduamente per l’eterna salvezza degli uomini. – Con uguale cura provvedete che tutti i Metropolitani, i Canonici della Cattedrale e della Chiesa collegiale e gli altri Beneficiari addetti al coro, per severità di costumi, per integrità di vita e per pratica di pietà cerchino di splendere ovunque, come ardenti lucerne di un candelabro posto nel tempio del Signore, e adempiano con zelo a tutti i doveri del loro ministero, osservino l’obbligo di residenza, curino la magnificenza del culto divino, innalzino nelle veglie assidue le divine lodi del Signore con zelo, secondo il rito, con religiosa devozione e non, invece, con animo distratto, con occhi vaganti, con indecoroso atteggiamento della persona; non dimentichino mai che accedono al coro non solo per tributare a Dio un rito di adorazione, ma anche per invocare da Dio ogni bene per sé e per gli altri. Ognuno di Voi sa perfettamente quanto servano a proteggere e ad alimentare lo spirito ecclesiastico, e a preservare una salutare coerenza, gli esercizi spirituali che i Pontefici Romani Nostri Predecessori hanno arricchito di innumerevoli indulgenze. Perciò non cessate di raccomandare e di convincere tutti i vostri ecclesiastici a ritirarsi spesso in qualche luogo opportuno, in certi giorni determinati, dove – deposta ogni mondana cura – riflettano severamente su ogni loro azione, parola, pensiero al cospetto di Dio, abbiano in mente con assidua meditazione gli anni eterni, ricordino i sommi benefici ottenuti da Dio; cerchino di detergere la lordura tratta dalla polvere mondana, di risuscitare la grazia che su di essi è scesa per l’imposizione delle mani; si spoglino del vecchio uomo e delle sue azioni e si vestano del nuovo che è stato creato nella giustizia e nella santità. – Poiché le labbra dei sacerdoti debbono custodire il sapere che li mette in grado di rispondere a coloro che dalla loro bocca vogliono conoscere la legge, e di confutare i contraddittori, ne consegue, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, la necessità di rivolgere ogni vostra cura alla retta e accurata formazione del Clero. Con sommo impegno compite dunque ogni sforzo affinché, soprattutto nei vostri Seminari, s’imponga un ottimo e cattolico ordine di studi per cui i Chierici adolescenti, o fin dalla prima fanciullezza, siano plasmati alla pietà, ad ogni virtù e allo spirito ecclesiastico da apprezzati maestri, e siano educati alla conoscenza della lingua latina, alle lettere umane e alle discipline filosofiche, sottratte tuttavia ad ogni pericolo di errore. In primo luogo vigilate assiduamente affinché apprendano la teologia dogmatica e morale dai libri divini, dalla tradizione dei santi Padri, dall’infallibile autorità della Chiesa, e contemporaneamente acquisiscano una solida preparazione sulla letteratura sacra, sui sacri canoni, sulla storia della Chiesa, sulla liturgia. Dovete soprattutto evitare che nella scelta dei libri, in mezzo a tanta alluvione di perniciosi errori, gli adolescenti seminaristi abbandonino temerariamente la retta via della sana dottrina; in particolare Voi sapete che uomini dotti, ma in disaccordo con Noi in materia di religione e staccati dalla Chiesa, hanno pubblicato sia i libri divini che le opere dei santi Padri in traduzione elegante, ma spesso (e ce ne duole assai) viziata e distorta dalla verità nei commenti arbitrari. Nessuno di Voi ignora quanto la Chiesa abbia bisogno, soprattutto in questi tempi, di ministri capaci, prestigiosi per santità di vita e per fama di salutare dottrina, influenti negli atti e nei discorsi, che siano in grado di difendere strenuamente la causa di Dio e della sua Santa Chiesa, e di edificare una casa fedele al Signore. Nulla dunque si può lasciare d’intentato nell’educare alla santità e alla dottrina i giovani Chierici fin dalla tenera età, dato che non pochi di essi, debitamente istruiti, possono diventare utili ministri della Chiesa. Ora, allo scopo di giungere più facilmente e ogni giorno di più (grazie alla vostra insigne religiosità e alla vostra sollecitudine pastorale) ad un’accurata educazione del Clero, da cui in tanta parte dipendono il bene della Chiesa e la salute dei popoli, non Vi dispiaccia esortare, pregare gli insigni ecclesiastici delle vostre Diocesi, i laici più dotati di ricchezze e ben disposti verso il Cattolicesimo, di seguire il vostro esempio e di offrire di buon cuore una qualche somma di danaro perché possiate costruire nuovi seminari e fornire una congrua dote con la quale educare i Chierici adolescenti o fin dalla prima età. – Né con minore impegno, Diletti Figli e Venerabili Fratelli, cercate di adottare tutte le misure atte ad educare in senso cattolico, ogni giorno di più, la gioventù delle vostre Diocesi, di entrambi i sessi e di qualunque condizione. Perciò tendete l’arco della vostra vigilanza episcopale, così che la gioventù, anzitutto penetrata a fondo dal timore di Dio e nutrita del latte della pietà, sia educata non solo negli articoli di fede, ma anche nella più completa conoscenza della nostra santissima Religione; si conformi alla virtù, all’onestà dei costumi e al concetto di vita cristiana; sia infine tenuta lontano da tutte le seduzioni e dagli scogli della perversione e della corruzione. Con uguale sollecitudine, non desistete mai dal sospingere – nei modi più opportuni – i popoli fedeli a Voi affidati verso la religione e la pietà. Pertanto fate del vostro meglio per ottenere che i popoli fedeli, ogni giorno di più nutriti di salutare e verace dottrina cattolica, amino Dio con tutto il cuore, osservino anzitutto i suoi precetti, frequentino spesso e devotamente il suo Santuario, santifichino le sue feste, assistano con il rispetto e la pietà dovuta alla celebrazione del divino sacrificio, si accostino ai Sacramenti della Penitenza e della Eucarestia, e con particolare devozione seguano e adorino la Santissima Madre di Dio Immacolata Vergine Maria e, perseverando nella preghiera e in uno spirito di reciproca e costante carità, procedano degnamente in Dio, piacendo a Lui sotto ogni aspetto e fruttificando in ogni opera buona. E poiché le sacre Missioni officiate da persone capaci sono quanto mai idonee a risvegliare lo spirito religioso nei popoli e a richiamarli sul sentiero della virtù e della salvezza, vivamente desideriamo che esse siano organizzate spesso nelle vostre Diocesi. E concediamo meritate e somme lodi a tutti coloro che per vostro ordine hanno già introdotto nelle loro Diocesi questa opera, tanto salutare, delle sacre Missioni, dalle quali siamo lieti che siano stati raccolti copiosi frutti, sotto l’influsso della grazia divina. – Occorre che in codesto vostro convegno abbiate davanti agli occhi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, l’impegno comune di risanare i mali comuni. Infatti per riparare i guasti più gravi subiti da ogni vostra Diocesi e per promuovere la loro prosperità, Voi ben capite che non vi è nulla di più efficace delle frequenti visite nelle Diocesi e della celebrazione del Sinodo Diocesano. Nessuno di Voi ignora che il Concilio di Trento ha raccomandato e prescritto queste due pratiche pie. Perciò, data la vostra ammirevole sollecitudine e carità verso il gregge a Voi affidato, non abbiate nulla di più caro che visitare le vostre Diocesi con il più grande zelo, in conformità alle leggi canoniche, e compiere con cura tutto ciò che può conseguire l’esito fruttuoso della visita pastorale. Nell’adempiere tale dovere Vi stia soprattutto a cuore svellere dalle radici, con somma cura e specialmente con paterni consigli, con discorsi convincenti e con altri idonei mezzi, gli errori, la corruzione e i vizi che si annidano nel gregge; porgere a tutti gli insegnamenti della salvezza; vigilare che la disciplina del clero sia conservata integra; aiutare e fortificare i fedeli con tutti i soccorsi spirituali e guadagnarli a Cristo. Dedicate la stessa diligenza nel celebrare i Sinodi Diocesani, fissando quelle regole che nella vostra saggezza riterrete più adatte a conseguire il bene maggiore di ciascuna vostra Diocesi. Perché non accada che tra i sacerdoti (che devono applicarsi allo studio e all’insegnamento e che sono gravati dall’incarico d’istruire il popolo in ciò che tutti debbono sapere per la propria salvezza e di somministrare i Sacramenti) si estinguano o languiscano lo zelo e lo studio delle sacre discipline, è per Noi sommamente desiderabile che, dove è possibile, Voi promuoviate con le opportune regole i congressi in tutte le regioni delle vostre Diocesi, per trattare soprattutto di Teologia morale e dei sacri Riti, con l’auspicata partecipazione di tutti i preti che al congresso dovranno presentare una risposta scritta alle domande da Voi poste e, nel tempo che Voi vorrete determinare, dovranno discutere soprattutto di Teologia morale e sulle regole liturgiche, dopo che uno dei preti avrà pronunciato un discorso sui doveri sacerdotali. E, invero, i Parroci prima di tutti Vi presteranno aiuto e soccorso nella cura del vostro gregge in quanto Voi li avete messi al corrente della vostra sollecitudine e li avrete collaboratori nell’affrontare un’attività tra tutte le più degna; non tralasciate dunque, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, d’infiammare con ogni impegno il loro zelo perché adempiano al loro dovere con diligenza pari alla devozione. Dite loro che non cessino mai di pascere il popolo cristiano loro affidato con la predicazione del verbo divino, con la somministrazione dei Sacramenti e della multiforme grazia di Dio; di istruire con amore e pazienza gli ignoranti e soprattutto i fanciulli nei misteri della fede e nelle testimonianze della nostra religione; di ricondurre gli erranti sul cammino della salvezza; di impegnarsi con ogni sforzo a sradicare odi, rivalità, inimicizie, discordie e scandali; di incoraggiare i pusillanimi; di visitare gli infermi, procurando ad essi soprattutto ogni spirituale soccorso; di consolare i miseri, gli afflitti e i tribolati; di incitare tutti a una sana dottrina; di ammonirli a rendere devotamente a Dio ciò che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare; di insegnare che tutti, non solo per il timore del castigo ma per coscienza, devono essere sudditi e obbedire ai Principi e alle autorità in tutto ciò che non è contrario alle leggi di Dio e della Chiesa. – Inoltre continuate, come fate sempre, con somma lode del vostro nome, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, ad inviare alla Nostra Congregazione del Concilio la relazione sulle vostre Diocesi nei tempi stabiliti, e a tenerci al corrente, con zelo, delle questioni che riguardano le stesse Diocesi, in modo che sia possibile da parte Nostra procurare il maggior vantaggio vostro e delle stesse Diocesi. Siamo poi informati che in talune Diocesi del territorio germanico sono invalse alcune consuetudini, circa la sistemazione delle parrocchie e che alcuni di Voi desiderano che tali consuetudini siano conservate. Noi invero siamo disposti a usare indulgenza al riguardo, ma soltanto dopo aver sottoposto a un attento esame le stesse consuetudini esposte da ciascuno di Voi con particolare diligenza, in modo che da Noi siano autorizzate entro quei limiti che la necessità e le principali caratteristiche delle province avranno suggerito; infatti, per obbligo del Nostro Apostolico ministero dobbiamo fare osservare scrupolosamente le prescrizioni canoniche. – Prima di concludere questa Nostra Lettera, con cui siamo assai lieti di intrattenere Voi tutti, Prelati dell’Impero Austriaco, rivolgiamo il nostro discorso soprattutto a Voi, Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi che dimorate nello stesso nobilissimo Impero e siete solidali con Noi nella vera fede e nella unità cattolica, e aderite a questa Cattedra di Pietro e praticate i riti e le lodevoli consuetudini della Chiesa Orientale, approvate e consentite da questa Santa Sede. Voi avete appreso, voi sapete in quale pregio questa Apostolica Sede abbia sempre tenuto i vostri riti: ne ha inculcato assiduamente il rispetto, come dimostrano splendidamente i decreti e le Costituzioni di tanti Romani Pontefici Nostri Predecessori; fra queste è sufficiente ricordare la Lettera di Benedetto XIV, Predecessore Nostro, del 26 luglio 1755, che comincia con “Allatae” e la Nostra Lettera del 6 gennaio 1848, inviata a tutti gli Orientali, che comincia con “In suprema Petri Apostoli Sede“. Pertanto esortiamo cordialmente anche Voi affinché adempiate al vostro ministero secondo la vostra segnalata religiosità e sollecitudine episcopale; abbiate davanti agli occhi tutte le questioni che abbiamo trattato; dedichiate ogni vostra cura, attività e vigilanza in modo che il vostro Clero, ornato di ogni virtù e specialmente di ottime, sacre discipline, si applichi con tutte le forze a procurare l’eterna salute dei fedeli; in modo che i popoli fedeli seguano la strada che conduce alla vita, che ogni giorno di più si accresca e si estenda l’unità della Religione Cattolica, e che siano amministrati i Sacramenti e celebrate le funzioni divine secondo le vostre regole, tuttavia adottando i libri liturgici che furono approvati dalla Santa Sede. E poiché non vi è nulla per Noi di più desiderabile che venire in aiuto vostro e dei vostri fedeli indigenti, non trascurate di ricorrere a Noi, e a Noi esporre i problemi delle vostre Diocesi e di inviarne relazione ogni quattro anni alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide. – Infine, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, Vi supplichiamo di impegnarvi, col massimo zelo e ogni giorno di più, a conservare, favorire e accrescere la pace e la concordia tra tutto il Clero di tutte codeste Diocesi, sia di rito latino, sia di rito greco-cattolico, così che tutti coloro che militano negli accampamenti del Signore, per mutuo sentimento di fraterna carità, si adoperino nel vicendevole rispetto e con unanime ardore siano al servizio della gloria di Dio e della salvezza delle anime. – Ecco a Voi quanto, nel Nostro grande amore per Voi e per i popoli fedeli di codesto vastissimo Impero, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, Noi giudicammo fosse doveroso annunciarvi; abbiamo per certo che Voi, ispirati dalla vostra eminente virtù, dalla religione, dalla pietà, dalla provata fede e dall’ossequio verso di Noi e verso questa Cattedra di Pietro, rispetterete con trasporto questi Nostri paterni desideri. E non dubitiamo affatto che Voi tutti, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, contemplando sempre Cristo Gesù, Principe dei pastori, che si è mostrato umile e mite di cuore e che ha donato la sua anima per le sue pecore, lasciando a noi un esempio che ci invita a seguire le Sue vestigia, vi sforzerete con ogni energia di prenderlo a modello, di obbedire ai Suoi insegnamenti, di vegliare assiduamente sul gregge affidato alle vostre cure, di occuparvi di ogni cosa, di adempiere al vostro ministero, e di cercare non ciò che piace a Voi ma ciò che piace a Gesù Cristo; non vi mostrerete come dominatori tra il Clero, ma come Pastori, anzi come Padri amorosi e, fatti nell’animo a immagine del gregge, non troverete nulla di così penoso, di così difficile, di così arduo che Voi non possiate affrontare e risolvere con pazienza, con mansuetudine, con dolcezza, con prudenza, per la salvezza delle vostre pecore. Noi intanto, in umiltà di cuore, non omettiamo di elevare assidue fervide preghiere al clementissimo Padre di luce e di misericordia, al Dio di ogni consolazione, affinché effonda sempre propizio i copiosi doni della Sua bontà su di Voi e anche sulle dilette pecore a Voi affidate. Come auspicio di questo divino soccorso e come testimonianza della Nostra affettuosa e zelante disposizione d’animo verso di Voi, Noi impartiamo con amore l’Apostolica Benedizione, che viene dal profondo del cuore, a ciascuno di Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e a tutti i Chierici e ai fedeli Laici di codeste Chiese.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 marzo 1856, nel decimo anno del Nostro Pontificato.

[Grassetto e colore, sono redazionali]

UN’ENCICLICA AL GIONO TOGLIE GLI APOSTATI DI TORNO: DILECTISSIMA NOBIS di SS. PIO XI

La strategia del Kazaro-massonismo nel tempo, è stata sempre la medesima, anche se trasfigurata ed occultata da maschere diverse, in certi casi apparentemente contrastanti: manifestare l’odio verso Dio, il suo Cristo, la sua Santa Chiesa Cattolica Romana, e soprattutto verso il Vicario dell’Uomo-Dio. Oggi “impero”, domani “regno dispotico”, indi “repubblica del terrore”, poi “nazi-fascismo”, o ancora “socialcomunismo”; attualmente: “mondialismo globalizzante pseudo-democratico”, [… i simboli, a ben guardare però, sono comuni], l’elemento chiave è sempre la libertà apparente, la fratellanza, la tolleranza verso tutti tranne che … verso i Cristiani, i Cattolici Romani, sempre oppressi e bersaglio di ogni tipo di vessazioni e persecuzioni, senza giustificazioni apparenti, prive di qualsiasi logica giuridica, anzi, proprio di principio, ingiuste e repressive. Questa volta, siamo nel 1933, la barbarie massonica, la violenza anticlericale, o meglio quella dell’anti-Cristo, coinvolge una delle Nazioni difesa e colonna stabile della Chiesa, la Spagna, patria di Santi di prim’ordine, di Ordini Religiosi che hanno fatto la storia del Culto divino e della stessa intera umanità [pensiamo ad esempio, solo ai Domenicani ed ai Gesuiti]. Il Santo Padre S. S. Pio XI, che già aveva alzato la sua voce in difesa della Chiesa di Cristo per le atrocità messicane, deve ora intervenire con durezza verso le deliranti decisioni dei governanti spagnoli tutti di estrazione massonica, tutti impegnati nella demolizione della colonna spagnola della Cattedrale Cattolica, quella stessa che aveva resistito con successo e piena di trionfi, alla barbarie islamica prima e dei marrani giudeo-kazari dopo. Veementi sono le proteste del Sommo Pontefice, il quale coglie anche con precisione il vero intento dei “mostri” adoratori del lucifero-baphomet, il demone precipitato che pretende di porsi al posto di Dio. In particolare egli denuncia l’attacco all’Autorità Pontificia [chiodo fisso dei templari, dei rosa-croce, dei massoni di ogni obbedienza, degli astrologi maghi alchimisti eliocentristi, autoproclamati scienziati, ma senza mai provare nulla di vero, etc.], « … quasi che l’autorità del Pontefice, conferitagli dal Divino Redentore, possa dirsi estranea a qualsivoglia parte del mondo; quasi che il riconoscimento dell’autorità divina di Gesù Cristo possa impedire o menomare il riconoscimento delle legittime autorità umane, oppure il potere spirituale e soprannaturale sia in contrasto con quello dello Stato. … Nessun contrasto può sussistere, se non per la malizia di coloro, i quali lo desiderano e lo vogliono, perché sanno che senza il Pastore le pecorelle andrebbero smarrite e più facilmente diverrebbero preda dei falsi pastori. » La storia si ripete sempre con dinamiche simili, anche se adattate ai tempi ed ai luoghi (“si colpisce il Pastore per disperdere le pecore” …), ma la parola del Cristo … “non prævalebunt”, in ogni caso trionfa alla fine di ogni attacco: solo gli adoratori del sole-lucifero, gli gnostici, i manichei, i templari, i rosacroce, i massoni, i comunisti, i banchieri usurai globalisti, i liberisti pseudo-democratici, i settari chierico-modernisti, non riescono a convincersene e regolarmente da sempre, finiscono [ … e finiranno] inghiottiti nel baratro dell’eterno lago di fuoco. Fermiamoci però a leggere questa lettera e cerchiamo di trarne gli insegnamenti a noi più utili per affrontare i nostri tempi, tempi in cui il Cattolicesimo subisce attacchi ben più aggressivi di quelli della Spagna, soprattutto spirituali, con danno immenso per la salvezza delle anime, anche perché oggi c’è un Santo Padre in esilio imbavagliato ed impedito, che non può protestare, ed al suo posto c’è il Patriarca degli Illuminati con il suo ridicolo eretico Giullare-clown, due kazaro-marrani che non hanno ancora imparato la lezione: “Non prævalebunt” … ma oramai un’età ce l’hanno e la verità non tarderà molto a manifestarsi … almeno a loro!

LETTERA ENCICLICA

DILECTISSIMA NOBIS

AGLI EMINENTISSIMI PADRI
CARDINALE FRANCESCO VIDAL E BARRAQUER,
ARCIVESCOVO DI TARRAGONA,
CARDINALE EUSTACHIO ILUNDAIN E ESTEBAN,
ARCIVESCOVO DI HISPALIS,
ED AGLI ALTRI REVERENDI PADRI
ARCIVESCOVI E VESCOVI,
E A TUTTO IL CLERO E AL POPOLO DI SPAGNA:
SULL’OPPRESSIONE DELLA CHIESA IN SPAGNA.
PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

La nobile Nazione Spagnola Ci fu sempre sommamente cara per le sue insigni benemerenze verso la fede cattolica e la civiltà cristiana, per la tradizionale ardentissima devozione a questa Sede Apostolica e per le sue grandi istituzioni ed opere di apostolato, essendo madre feconda di Santi, di Missionari e di Fondatori d’incliti Ordini religiosi, vanto e sostegno della Chiesa di Dio.  – E appunto perché la gloria della Spagna è così intimamente connessa con la Religione Cattolica, Noi ci sentiamo doppiamente afflitti nell’assistere ai deplorevoli tentativi che da tempo si vanno ripetendo per togliere alla diletta Nazione, con la fede tradizionale, i più bei titoli di civile grandezza. Non mancammo — come il Nostro cuore paterno Ci dettava — di far spesse volte presente agli attuali governanti di Spagna quanto era falsa la via che essi seguivano e di ricordar loro come non è col ferire l’anima del popolo nei suoi più profondi e cari sentimenti che si può raggiungere quella concordia di spiriti la quale è indispensabile per la prosperità di una Nazione.  – Ciò facemmo per mezzo del Nostro Rappresentante tutte le volte che si affacciava il pericolo di qualche nuova legge lesiva dei sacrosanti diritti di Dio e delle anime. Né mancammo di far giungere anche pubblicamente la Nostra paterna parola ai diletti figli del clero e del laicato di Spagna perché sapessero che il Nostro cuore era a loro più vicino nei momenti del dolore. Ma ora non possiamo non levare nuovamente la voce contro la legge, testé approvata, « intorno alle confessioni e Congregazioni religiose », costituendo essa una nuova e più grave offesa non solo alla religione e alla Chiesa, ma anche a quegli asseriti princìpi di libertà civile sui quali dichiara basarsi il nuovo Regime Spagnolo. Né si creda che la Nostra parola sia ispirata da sentimenti di avversione alla nuova forma di governo o agli altri cambiamenti prettamente politici avvenuti recentemente in Spagna. È a tutti noto, infatti, che la Chiesa Cattolica, per nulla legata ad una forma di governo piuttosto che ad un’altra, purché restino salvi i diritti di Dio e della coscienza cristiana, non trova difficoltà ad accordarsi con le varie civili istituzioni, siano esse monarchiche o repubblicane, aristocratiche o democratiche. – Ne sono prova manifesta, per non parlare che di fatti recenti, i numerosi « Concordati » e accordi stipulati in questi ultimi anni e le relazioni diplomatiche annodate dalla Sede Apostolica con diversi Stati, nei quali, dopo l’ultima grande guerra, a governi monarchici sono subentrati governi repubblicani.  – Né queste nuove Repubbliche hanno mai avuto a soffrire nelle loro istituzioni e nelle loro giuste aspirazioni verso la grandezza ed il benessere nazionale per effetto dei loro amichevoli rapporti con questa Sede Apostolica od a causa della loro disposizione a concludere, con spirito di reciproca fiducia, sulle materie che interessano la Chiesa e lo Stato, convenzioni corrispondenti alle mutate condizioni dei tempi.  – Anzi, possiamo con sicurezza affermare che da queste fiduciose intese con la Chiesa gli Stati stessi hanno tratto notevoli vantaggi. Infatti, è comunemente risaputo come al dilagare del disordine sociale non si opponga diga più valida della Chiesa, la quale, educatrice massima dei popoli, ha sempre saputo unire in accordo fecondo il principio della legittima libertà con quello dell’autorità, le esigenze della giustizia col bene della pace.  – Tutto ciò non ignorava il Governo della nuova Repubblica di Spagna, il quale, anzi, era a conoscenza delle buone disposizioni Nostre e dell’Episcopato Spagnolo di concorrere a mantenere l’ordine e la tranquillità sociale. – E con Noi e con l’Episcopato fu concorde l’immensa moltitudine, non solamente del clero secolare e regolare, ma altresì del laicato cattolico, ossia della grande maggioranza del popolo spagnolo; il quale, nonostante le personali opinioni, nonostante le provocazioni e le vessazioni degli avversari della Chiesa, si tenne lontano dalle violenze e dalle rappresaglie, nella tranquilla soggezione al potere costituito, senza dar luogo a disordini e molto meno a guerre civili. Né ad altra causa certamente, che a questa disciplina e soggezione, ispirata dall’insegnamento e dallo spirito cattolico, si potrebbe attribuire con maggiore diritto quanto si è potuto mantenere di quella pace e tranquillità pubblica che le turbolenze dei partiti e le passioni dei rivoluzionari lavoravano a sovvertire, sospingendo la Nazione verso l’abisso dell’anarchia. – Ci ha quindi recato somma meraviglia e vivo cordoglio l’apprendere che da taluni, quasi per giustificare gli iniqui procedimenti contro la Chiesa, se ne adducesse pubblicamente la necessità di difendere la nuova Repubblica. Da quanto abbiamo esposto appare così evidente l’insussistenza del motivo addotto, da poterne concludere che la lotta mossa alla Chiesa nella Spagna, più che a incomprensione della Fede Cattolica e delle sue benefiche istituzioni, si debba imputare all’odio che « contro il Signore e il suo Cristo » nutrono sette sovvertitrici di ogni ordine religioso e sociale, come purtroppo vediamo avvenire nel Messico e nella Russia. – Ma, tornando alla deplorevole « legge intorno alle confessioni e congregazioni religiose », abbiamo constatato con vivo rammarico che in essa fin dal principio viene apertamente dichiarato che lo Stato non ha religione ufficiale, riaffermando così quella separazione dello Stato dalla Chiesa che fu purtroppo sancita nella nuova Costituzione Spagnola.  – Non ci indugiamo qui a ripetere quale gravissimo errore sia l’affermare lecita e buona la separazione in se stessa, specialmente in una Nazione che nella quasi totalità è cattolica. La separazione, chi bene addentro la consideri, non è che una funesta conseguenza (come tante volte dichiarammo, specialmente nell’Enciclica Quas primas) del laicismo, ossia dell’apostasia dell’odierna società che pretende estraniarsi da Dio e quindi dalla Chiesa. Ma se per qualsiasi popolo, oltre che empia, è assurda la pretesa di voler escluso dalla vita pubblica Iddio Creatore e provvido Reggitore della stessa società, in modo particolare ripugna una tale esclusione di Dio e della Chiesa dalla vita della Nazione Spagnola, nella quale la Chiesa ebbe sempre e meritamente la parte più importante e più beneficamente attiva nelle leggi, nelle scuole e in tutte le altre private e pubbliche istituzioni.  – Se un tale attentato torna a danno irreparabile della coscienza cristiana del paese (della gioventù specialmente, che si vuole educare senza Religione, e della famiglia profanata nei suoi più sacri princìpi) non minore è il danno che ricade sulla stessa autorità civile, la quale, perduto l’appoggio che la raccomanda e la sostiene presso le coscienze dei popoli, vale a dire, venuta meno la persuasione della sua origine, dipendenza e sanzione divina, viene a perdere insieme la sua più grande forza di obbligazione e il più alto titolo di osservanza e di rispetto.  – Che questi danni conseguano inevitabilmente dal regime di separazione, viene attestato dalle non poche Nazioni che, dopo averlo introdotto nei loro ordinamenti, ben presto compresero la necessità di rimediare all’errore, sia modificando, almeno nella loro interpretazione ed applicazione, le leggi persecutrici della Chiesa, sia procurando, malgrado la separazione, di venire ad una pacifica coesistenza e cooperazione con la Chiesa. – I nuovi legislatori Spagnoli, invece, noncuranti di queste lezioni della storia, vollero una forma di separazione ostile alla fede professata dalla stragrande maggioranza dei cittadini, una separazione tanto più penosa ed ingiusta, in quanto viene deliberata in nome della libertà stessa che si promette e si assicura a tutti indistintamente. Si è voluto così assoggettare la Chiesa e i suoi ministri a misure di eccezione, che tentano di metterla alla mercé del potere civile. -Infatti, in forza della « Costituzione » e delle successive leggi emanate, mentre tutte le opinioni, anche le più erronee, hanno largo campo di manifestarsi, la sola Religione Cattolica, che è quella della quasi totalità dei cittadini, vede odiosamente vigilato l’insegnamento, inceppate le scuole e le altre sue istituzioni tanto benemerite della scienza e della cultura spagnola. Lo stesso esercizio del culto cattolico, anche nelle sue più essenziali e più tradizionali manifestazioni, non va esente da limitazioni, come l’assistenza religiosa negli istituti dipendenti dallo Stato; le stesse processioni religiose, le quali vengono sottoposte a speciali facoltà da concedersi dal Governo e a clausole e restrizioni, e perfino l’amministrazione dei Sacramenti ai moribondi e le esequie ai defunti. – Più manifesta ancora è la contraddizione per quanto riguarda la proprietà. La « Costituzione » riconosce a tutti i cittadini la legittima facoltà di possedere, e, come è proprio di tutte le legislazioni nei paesi civili, garantisce e tutela l’esercizio di così importante diritto derivante dalla stessa natura. Eppure anche su questo punto si è voluta creare una eccezione ai danni della Chiesa Cattolica, spogliandola con palese ingiustizia di tutti i suoi beni. Non si è avuto riguardo alla volontà degli oblatori; non si è tenuto conto del fine spirituale e santo, cui quei beni erano destinati; non si sono voluti in alcun modo rispettare diritti da lungo tempo acquisiti e fondati su indiscutibili titoli giuridici. Tutti gli edifici, vescovadi, case canoniche, seminari, monasteri, non sono più riconosciuti come libera proprietà della Chiesa Cattolica, ma sono dichiarati — con parole che malamente celano la natura dell’usurpazione — proprietà pubblica e nazionale. Anzi, mentre tali edifici — legittima proprietà dei vari enti ecclesiastici — vengono dalla legge lasciati in solo uso alla Chiesa Cattolica ed ai suoi ministri perché siano adibiti secondo il loro fine di culto, si giunge però a stabilire che gli edifici medesimi debbono essere sottomessi ai tributi inerenti all’uso degli immobili, costringendo così la Chiesa Cattolica a pagare tributi su ciò che violentemente le è stato tolto. In tal modo il potere civile ha preparato la via per rendere impossibile alla Chiesa Cattolica anche l’uso precario dei suoi beni; infatti, essa, spogliata di tutto, privata di ogni sussidio, inceppata in tutte le sue attività, come potrà pagare i tributi imposti? – Né si dica che per il futuro la legge lascia alla Chiesa Cattolica una certa facoltà di possedere, almeno a titolo di proprietà privata, perché anche un così ridotto riconoscimento è reso poi quasi nullo dal principio, subito dopo enunziato, che tali beni « potranno soltanto essere conservati nella quantità necessaria per il servizio religioso ». – In tal modo si costringe la Chiesa a sottoporre all’esame del potere civile le sue necessità per il compimento della sua divina missione, e si erige lo Stato a giudice assoluto di quanto occorre per funzioni meramente spirituali. È quindi da temersi che un tal giudizio sarà consono agli intenti laicizzatori della legge e dei suoi autori. – E l’usurpazione non si è arrestata agli immobili. Anche i beni mobili — con particolarissima enumerazione elencati, perché nulla sfuggisse — ossia anche i paramenti, le immagini, i quadri, i vasi, le gioie e simili oggetti destinati espressamente e permanentemente al culto cattolico, al suo splendore e alle necessità che hanno diretta relazione con esso, sono stati dichiarati pubblica proprietà. – E mentre si nega alla Chiesa il diritto di liberamente disporre di ciò che è suo, perché legittimamente acquistato o da pii fedeli ad essa donato, allo Stato e solamente ad esso si attribuisce il potere di disporre per un altro fine, e senza limitazione alcuna, di oggetti sacri, anche di quelli con speciale consacrazione sottratti ad ogni uso profano, escludendo perfino ogni dovere dello Stato di corrispondere, in tale deprecato caso, qualsiasi compenso alla Chiesa. – Né tutto ciò è stato sufficiente ad appagare le mire antireligiose degli attuali legislatori. Neppure i templi sono stati risparmiati; i templi, splendore di arte, monumenti esimi di una storia gloriosa, decoro e vanto della Nazione Spagnola; i templi, casa di Dio e di orazione, su cui sempre aveva goduto il pieno diritto di proprietà la Chiesa Cattolica, la quale — magnifico titolo di particolare benemerenza — li aveva sempre conservati, abbelliti, adornati con cura amorosa. Anche i templi — non pochi dei quali distrusse (e nuovamente lo deploriamo) l’empia mania incendiaria — sono stati dichiarati proprietà della Nazione e sottoposti al controllo delle autorità civili, che oggi guidano, senza alcun rispetto verso il sentimento religioso del popolo di Spagna, le pubbliche sorti. – È dunque ben triste, Venerabili Fratelli e diletti Figli, la condizione creata alla Chiesa Cattolica presso di voi. Il Clero già è stato privato, con gesto totalmente contrario all’indole generosa del cavalleresco popolo spagnolo, dei suoi assegni, violando un impegno preso con un patto concordatario e ledendo la più stretta giustizia, perché lo Stato, che aveva fissato gli assegni, non l’aveva fatto per concessione gratuita ma a titolo di indennità per i beni già sottratti alla Chiesa.- Anche le Congregazioni Religiose sono ora in modo inumano colpite dalla infausta legge. Si è gettato su di esse l’ingiurioso sospetto che possano esercitare un’attività politica pericolosa per la sicurezza dello Stato, stimolando così le passioni ad esse ostili con ogni sorta di denunce e di persecuzioni: aperta e facile via per giungere a più gravi provvedimenti. – Esse sono sottoposte a tali e tante relazioni, registrazioni ed ispezioni, che costituiscono moleste forme di fiscale oppressione. Infine, dopo averle private del diritto di insegnare e di esercitare qualsiasi altra attività da cui trarre onesto sostentamento, sono state sottomesse alle leggi tributarie, pur sapendo che, private di tutto, non potranno soddisfare al pagamento delle imposte: altra coperta maniera di rendere loro impossibile l’esistenza. – Ma con simili disposizioni si viene a colpire, in verità, non i religiosi soltanto, bensì il popolo Spagnolo, rendendo impossibili quelle grandi opere di carità e beneficenza a favore dei poveri, che hanno sempre formato una gloria magnifica delle Congregazioni Religiose e della Spagna Cattolica.- Tuttavia, nelle penose strettezze a cui si trova ridotto nella Spagna il Clero secolare e regolare, Ci conforta il pensiero che il generoso popolo Spagnolo, anche nella presente crisi economica, saprà degnamente riparare a così dolorosa situazione, rendendo meno disagevole ai sacerdoti la povertà vera che li colpisce, affinché possano con rinnovate energie provvedere al culto divino e al ministero pastorale. – Ma se ci addolora questa grave ingiustizia, Noi, e con Noi Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, sentiamo anche più vivamente l’offesa recata alla Divina Maestà. Non fu forse espressione di animo profondamente ostile a Dio e alla Religione Cattolica l’aver sciolto quegli Ordini Religiosi che fanno voto di ubbidienza ad autorità differente da quella legittima dello Stato? – In questo modo si volle togliere di mezzo la Compagnia di Gesù, che può ben gloriarsi di essere uno dei più saldi sostegni della Cattedra di Pietro, con la speranza forse di potere poi, con minore difficoltà, abbattere in un prossimo avvenire la fede e la morale cattolica nel cuore della Nazione Spagnola, che diede alla Chiesa la grande e gloriosa figura di Ignazio di Loyola. Ma con ciò si volle colpire in pieno — come già altra volta pubblicamente dichiarammo — la stessa Autorità Suprema della Chiesa Cattolica. Non si osò, è vero, nominare esplicitamente la persona del Romano Pontefice; di fatto però si definì autorità estranea alla Nazione Spagnola quella del Vicario di Gesù Cristo: quasi che l’autorità del Pontefice, conferitagli dal Divino Redentore, possa dirsi estranea a qualsivoglia parte del mondo; quasi che il riconoscimento dell’autorità divina di Gesù Cristo possa impedire o menomare il riconoscimento delle legittime autorità umane, oppure il potere spirituale e soprannaturale sia in contrasto con quello dello Stato. Nessun contrasto può sussistere, se non per la malizia di coloro, i quali lo desiderano e lo vogliono, perché sanno che senza il Pastore le pecorelle andrebbero smarrite e più facilmente diverrebbero preda dei falsi pastori. – Se l’offesa voluta infliggere all’autorità del Romano Pontefice ferì profondamente il Nostro cuore paterno, nemmeno un istante dubitammo che essa potesse, anche minimamente, scuotere la tradizionale devozione del popolo Spagnolo alla Cattedra di Pietro. Anzi, come hanno sempre insegnato l’esperienza e la storia fino a questi ultimi anni, quanto maggiormente i nemici della Chiesa cercano di allontanare i popoli dal Vicario di Cristo, tanto più affettuosamente questi — per provvidenziale disposizione di Dio, che dal male sa trarre il bene — a lui si stringono, proclamando che da lui solo s’irradia quella luce che illumina la via ottenebrata da tanti perturbamenti, da lui solo, come da Cristo, risuonano le « parole di vita eterna » [1]. – Né si appagarono di aver tanto infierito contro la grande e benemerita Compagnia di Gesù, ma hanno voluto con una recente legge dare un altro gravissimo colpo a tutti gli Ordini e Congregazioni Religiose proibendo ad essi l’insegnamento. Si è compiuta così un’opera di deplorevole ingratitudine e di palese ingiustizia. Perché, infatti, la libertà — che a tutti è accordata — di poter esercitare l’insegnamento vien tolta ad una classe di cittadini, rei soltanto di avere abbracciato una vita di rinuncia e di perfezione? Si vorrà forse dire che l’essere religiosi, cioè l’aver tutto lasciato e sacrificato per dedicarsi proprio all’insegnamento e all’educazione della gioventù come ad una missione di apostolato, costituisca un titolo di incapacità o di inferiorità all’insegnamento medesimo? Eppure l’esperienza sta a dimostrare con quanta cura e con quanta competenza i Religiosi abbiano sempre compiuto il loro dovere, quali magnifici risultati per l’istruzione dell’intelletto, nonché per l’educazione del cuore, abbiano coronato il loro paziente lavoro. Lo comprova luminosamente il numero di persone veramente insigni in tutti i campi delle umane scienze ed insieme esemplarmente cattoliche uscite dalle scuole dei Religiosi; lo dimostra il grande incremento che nella Spagna tali scuole hanno fortunatamente raggiunto, nonché la consolante affluenza degli studenti. Lo conferma infine la fiducia di cui godevano presso i genitori, i quali, avendo da Dio ricevuto il diritto ed il dovere di educare i propri figliuoli, hanno pure la sacrosanta libertà di scegliere coloro che nell’opera educativa debbono efficacemente coadiuvarli.- Ma neppure nei riguardi degli Ordini e delle Congregazioni Religiose è bastato loro questo gravissimo atto. Si sono altresì conculcati indiscutibili diritti di proprietà, si è violata apertamente la libera volontà dei fondatori e dei benefattori per impossessarsi degli edifici al fine di creare scuole laiche, cioè senza Dio, proprio dove i generosi oblatori avevano disposto che fosse impartita una educazione schiettamente cattolica. – Da tutto ciò appare purtroppo chiaro lo scopo che si intende raggiungere con simili disposizioni, quello cioè di educare le nuove generazioni ad uno spirito di indifferenza religiosa, se non di anticlericalismo, strappare dalle anime dei giovani i tradizionali sentimenti cattolici così profondamente radicati nel popolo di Spagna. Si vuol così laicizzare tutto l’insegnamento finora ispirato alla religione ed alla morale cristiana. – Di fronte a una legge tanto lesiva dei diritti e delle libertà ecclesiastiche, diritti che dobbiamo difendere e conservare integri, crediamo preciso dovere del Nostro Apostolico ministero di riprovarla e condannarla. Noi quindi protestiamo solennemente e con tutte le nostre forze contro la legge stessa, dichiarando che essa non potrà essere mai invocata contro i diritti imprescrittibili della Chiesa. – E vogliamo qui riaffermare la Nostra viva fiducia che i Nostri diletti figli della Spagna, compresi della ingiustizia e del danno di tali provvedimenti, si varranno di tutti i mezzi legittimi che per diritto di natura e per disposizione di legge restano in loro potere, in modo da indurre gli stessi legislatori a riformare disposizioni così contrarie ai diritti di ogni cittadino e così ostili alla Chiesa, sostituendole con altre conciliabili con la coscienza cattolica. Intanto però Noi, con tutto l’animo e il cuore di Padre e di Pastore, esortiamo vivamente i Vescovi, i Sacerdoti e tutti coloro che in qualche modo intendono dedicarsi all’educazione della gioventù, a promuovere più intensamente con tutte le forze e con ogni mezzo l’insegnamento religioso e la pratica della vita cristiana. E ciò è tanto più necessario in quanto la nuova legislazione spagnola, con la deleteria introduzione del divorzio, osa profanare il santuario della famiglia, ponendo così — con la tentata dissoluzione della società domestica — i germi delle più dolorose rovine per il civile consorzio. – Dinanzi alla minaccia di così enormi danni raccomandiamo nuovamente e vivamente ai cattolici tutti di Spagna che, messi da parte lamenti e recriminazioni, subordinando anzi al bene comune della patria e della Religione ogni altro ideale, tutti si uniscano disciplinati per la difesa della fede e per allontanare i pericoli che minacciano lo stesso civile consorzio. – In modo speciale invitiamo tutti i fedeli ad unirsi nell’Azione Cattolica tante volte da Noi raccomandata; essa, pur non costituendo un partito, anzi dovendo porsi al di fuori e al di sopra di tutti i partiti politici, servirà a formare la coscienza dei cattolici, illuminandola e corroborandola nella difesa della fede contro ogni insidia. – Ed ora, Venerabili Fratelli e Figli dilettissimi, non sapremmo come meglio concludere questa Nostra lettera, se non ripetendovi che, più che negli aiuti degli uomini, dobbiamo aver fiducia nell’indefettibile assistenza promessa da Dio alla sua Chiesa e nell’immensa bontà del Signore verso coloro che lo amano. Perciò, considerando quanto è avvenuto presso di voi, e addolorati sopra ogni altra cosa per le gravi offese che sono state fatte alla Divina Maestà, con le numerose violazioni dei suoi sacrosanti diritti e con tante trasgressioni delle sue leggi, Noi rivolgiamo al cielo fervide preghiere, domandando a Dio il perdono per le offese a Lui recate. Egli, che tutto può, illumini le menti, raddrizzi le volontà, volga i cuori dei governanti a migliori consigli. A noi arride serena fiducia che la voce supplichevole di tanti buoni figli uniti a Noi nelle preghiera, soprattutto in questo Anno Santo della Redenzione, sarà benignamente accolta dalla clemenza del Padre celeste. – In tale fiducia, anche per propiziare su voi, Venerabili Fratelli e Diletti Figli, e su tutta la Nazione Spagnola, a Noi tanta cara, l’abbondanza dei celesti favori, vi impartiamo con tutta l’effusione dell’animo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 giugno 1933, duodecimo del Nostro Pontificato.

PIUS PP.XI

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI APOSTATI (novusordisti e finto-tradizionalisi) DI TORNO: FIRMISSIMAN CONSTANTIAM DI PIO XI

Firmissimam Constantiam è la terza Enciclica che il Santo Padre Pio XI indirizza alla Chiesa messicana vittima di violenze, persecuzioni ed ogni genere di nefandezze. In questa lettera, il Sommo Pontefice, oltre alle esortazioni, agli apprezzamenti per l’opera del clero e dei fedeli laici, nonché agli incoraggiamenti opportuni, si sofferma sul ruolo dei Chierici coadiuvati da laici ben istruiti nella ricostruzione del tessuto sociale e religioso del Paese sconvolto da lunghi anni di vessazioni masso-comuniste. Egli inizia dalla formazione dei Sacerdoti:  “… noi vi indirizziamo questa lettera, e ne prendiamo occasione per ricordarvi come, nelle presenti circostanze e difficoltà, i mezzi più efficaci per una restaurazione cristiana sono anche tra voi anzitutto la santità dei Sacerdoti e in secondo luogo l’accurata formazione dei laici ….”  perché, nota più avanti “… la formazione spirituale e la vita interiore, che fomentate in questi vostri collaboratori, li metteranno in guardia dai pericoli e dalle possibili deviazioni.” Quindi si raccomanda innanzitutto la formazione del clero e del laicato impegnato [si ricorda il ruolo fondamentale dell’Azione Cattolica], che sono la chiave di volta per fuggire gli inganni del “lupo travestito”, resistere alle bestie intrufolati nell’ovile, e portare a buon fine l’opera di Redenzione del Salvatore per la salvezza delle anime. Le raccomandazioni ovviamente riguardano anche la vita sociale del Paese martoriato, e qui il pensiero del Pontefice è quanto mai chiaro, conciso ed efficace: “… non si cessi dal proclamare che soltanto la dottrina e l’opera della Chiesa, assistita com’è dal divino suo Fondatore, può portare rimedio ai gravissimi mali che travagliano l’umanità …”. Ecco il rimedio sovrano a tutti i problemi ed ai guai di ogni società comunque impostata; rimedio che va somministrato innanzitutto alle giovani generazioni “… le speciali condizioni della vostra Patria ci obbligano a richiamarvi la necessaria, doverosa, imprescindibile cura dei fanciulli, la cui innocenza è insidiata, la cui educazione e formazione cristiana sono messe a così dura prova …” e poi deve camminare con ordine, secondo gli insegnamenti del Divino Maestro e del suo Corpo Mistico, la Chiesa Cattolica Romana, unica arca di salvezza guidata dall’eterno Nocchiero. Ed i due capisaldi di questa ricostruzione ordinata ai fini materiali e spirituali, ad ogni livello, devono essere: “… la retta intenzione e l’obbedienza, sempre e dappertutto,” esse infatti  “… sono le condizioni indispensabili per attirare le benedizioni divine sul ministero pastorale e sull’Azione Cattolica e a determinare quell’unità d’indirizzo e quella fusione di energie che sono un presupposto indispensabile alla fecondità dell’apostolato.” Questa ricetta andava bene per i mali del Paese latino-americano, ma sarebbe oggi ancor più efficace per noi sparuti Cristiani Cattolici del “pusillus grex”, ricetta da diffondere con ogni mezzo, iniziando da se stessi praticandolla con la maggiore esattezza possibile. È questo che dovrebbero capire soprattutto i tanti analisti sociali, definiti “complottisti” da coloro che si sentono attaccati e smascherati: essi infatti, oltre all’analisi dei fatti più o meno esaurienti, non offrono alcuna soluzione pratica ai problemi così bene evidenziati, e alla fine sono solo Cassandre non risolutive, anzi inducenti ancor più scoraggiamento e debilitazione morale. Ed allora, noi che crediamo nell’azione regale pratica e spirituale del Cristo-Dio Redentore, abbiamo l’unica vera possibilità di far comprendere e di poter indicare la via ed il modo per superare ostacoli e difficoltà di ogni genere, perché là dove noi siamo oggettivamente impotenti, come piccoli “Davide” che affrontano il mastodontico Golia “atomico”, possiamo avere forza e coraggio da Colui che ci sostiene e ci illumina, dandoci la possibilità di sconfiggere qualunque “mostro” di tutto punto armato, mostro … economico, finanziario, pseudo-scientifico, filosofico, teologico proposto dalle false religioni degli apostati e marrani, con una semplice fionda e due sassolini levigati di fiume. Se torniamo al Signore Gesù-Cristo, già il Re-Profeta ci garantiva, con l’Autorità dello Spirito Santo:  “ … si populus meus audisset me, Israel si in viis meis ambulasset, pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam. pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam. Inimici Domini mentiti sunt ei, et erit tempus eorum in sæcula. [… se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie! Subito piegherei i suoi nemici e contro i suoi avversari porterei la mia mano. I nemici del Signore gli sarebbero sottomessi e la loro sorte sarebbe segnata per sempre] (Ps. LXXX) – Animati da questa fiducia irriducibile nell’azione del Capo Celeste della Chiesa e del suo Vicario in terra, benché esiliato e prigionero, godiamoci questa fruttuosa lettura dell’Enciclica.

LETTERA ENCICLICA
FIRMISSIMAM CONSTANTIAM
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI ARCIVESCOVI,
VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
DEL MESSICO
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

È a Noi ben nota, Venerabili Fratelli, e per il Nostro cuore paterno gran motivo di consolazione, la costanza vostra, dei vostri sacerdoti, della maggior parte dei fedeli messicani, nel professare ardentemente la Fede Cattolica e nel resistere alle imposizioni di coloro che, ignorando la divina eccellenza della religione di Gesù Cristo e conoscendola solo attraverso le calunnie dei suoi nemici, si illudono di non poter compiere riforme a bene del popolo se non combattendo la Religione della grande maggioranza.  – Senonché i nemici di Dio e del suo Cristo sono purtroppo riusciti anche ad avvincere molti tiepidi o pavidi; i quali, pur adorando Iddio nell’intimo della loro coscienza, tuttavia, sia per rispetto umano, sia per timore di mali terreni, si rendono, almeno materialmente, partecipi della scristianizzazione di un popolo che alla Religione deve le sue più belle glorie.  – Di fronte a tali apostasie o debolezze, che profondamente Ci affliggono, anche più lodevole e meritoria Ci appare la resistenza al male, la pratica della vita cristiana e la franca professione di Fede di quei numerosissimi fedeli che voi, Venerabili Fratelli, e con voi il vostro Clero, illuminate e guidate con la sollecitudine pastorale non meno che con lo splendido esempio della vita. Questo Ci conforta nelle nostre amarezze e Ci dà affidamento a bene sperare per l’avvenire della Chiesa messicana; la quale, rinvigorita da tanto eroismo e sostenuta dalle preghiere e dalle sofferenze di tante anime elette, non può perire; dovrà anzi rifiorire più vegeta e più rigogliosa.  – Ora, appunto per ravvivare la vostra fiducia nell’aiuto divino e per incoraggiarvi a continuare nella pratica di una vita cristiana e fervorosa, Noi vi indirizziamo questa lettera, e ne prendiamo occasione per ricordarvi come, nelle presenti circostanze e difficoltà, i mezzi più efficaci per una restaurazione cristiana sono anche tra voi anzitutto la santità dei sacerdoti e in secondo luogo l’accurata formazione dei laici, tale da poterli associare nella valida cooperazione all’apostolato gerarchico, tanto più necessaria nel Messico e per la vastità del territorio e per le altre condizioni a tutti note.  – Il Nostro pensiero pertanto corre in primo luogo a quelli che devono essere la luce che illumina, il sale che conserva, il buon fermento che penetra tutta la massa dei fedeli, cioè ai vostri sacerdoti. Veramente Noi sappiamo già con quanta tenacia ed a costo di quali sacrifici voi curate, Venerabili Fratelli, la cernita e l’incremento delle vocazioni sacerdotali, in mezzo a difficoltà di ogni sorta, ben persuasi, come siete, di provvedere così ad un problema vitale, anzi al più vitale problema per l’avvenire di codesta Chiesa. Così, di fronte alla impossibilità quasi assoluta di avere oggi nella vostra patria Seminari ben ordinati e tranquilli, voi avete trovato in quest’Alma Città, per i vostri chierici, un rifugio largo e affettuoso nel Collegio Pio Latino Americano, il quale ha formato già e va formando alla scienza e alla virtù tanti benemeriti sacerdoti e che per la sua opera preziosa è a Noi particolarmente caro. Ma non essendo in moltissimi casi possibile inviare i vostri alunni fino a Roma, vi siete opportunamente adoperati per trovare un asilo nella ospitalità di una grande nazione vicina. – Nel congratularCi con voi per la lodevole impresa, che sta diventando una consolante realtà, esprimiamo di nuovo la Nostra riconoscenza a tutti coloro che sono stati larghi con voi di ospitalità e di aiuto.  – E con paterna insistenza ricordiamo ancora in quest’occasione il Nostro preciso volere che sia illustrata e spiegata convenientemente, non solo ai chierici ma a tutti i sacerdoti, la Nostra Enciclica “Ad Catholici Sacerdotii”, la quale espone il Nostro pensiero su questo, che è il più grave e il più importante fra i gravi ed importanti argomenti da Noi trattati.  – Formati così i Sacerdoti messicani, secondo il cuore di Cristo, essi sentiranno che nelle attuali condizioni della loro Patria — già ricordate nella Lettera Apostolica Paterna sane sollicitudo del 2 febbraio 1926 e che sono così simili a quelle dei primi tempi della Chiesa, quando gli Apostoli facevano appello alla collaborazione dei laici — ben ardua cosa sarebbe guadagnare a Dio tante anime senza l’ausilio provvidenziale che prestano i laici mediante l’Azione Cattolica. Tanto più che in essa la Grazia prepara non di rado anime generose, pronte alla più preziosa attività, quando trovino in un clero dotto e santo una conveniente comprensione e guida.  – Pertanto ai Sacerdoti messicani, che hanno dedicato tutta la loro vita a servizio di Gesù Cristo, della sua Chiesa e delle anime, rivolgiamo il primo e più caldo appello, affinché vogliano generosamente assecondare le Nostre e vostre sollecitudini per il progresso dell’Azione Cattolica, dedicando ad essa le migliori loro forze e le diligenze più opportune.  – I metodi di una efficace collaborazione dei laici all’azione vostra ed all’apostolato non verranno mai a scarseggiare, se i Sacerdoti si daranno premura di coltivare il popolo cristiano con una saggia direzione spirituale e con una accurata istruzione religiosa, non diluita in vani discorsi, ma nutrita di sana dottrina attinta alle Sacre Scritture e piena di forza e di pietà.  – È vero che non tutti comprendono appieno la necessità di questo santo apostolato del laicato cattolico, sebbene fin dalla prima Nostra Enciclica “Ubi arcano Dei” Noi abbiamo dichiarato che essa appartiene innegabilmente al ministero pastorale ed alla vita cristiana.  – Ma poiché, come già accennammo, Ci dirigiamo a Pastori che debbono riconquistare un gregge così provato e talvolta disperso, più che mai vi raccomandiamo di servirvi di quei laici ai quali, come a pietra viva della santa Casa di Dio, San Pietro attribuiva una arcana dignità, che li fa in qualche modo partecipi di un sacerdozio santo e regale [1]. – Ogni Cristiano, infatti, che comprende la sua dignità e sente la sua responsabilità di figlio della Chiesa e di membro del Corpo mistico di Gesù Cristo — « pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri » [2] — non può non riconoscere che fra tutte le membra di questo Corpo deve esistere una comunicazione reciproca di vita e solidarietà di interessi.  – Di qui il dovere di ciascuno in ordine alla vita ed all’incremento di tutto l’organismo, « al fine di edificare il Corpo di Cristo »; di qui ancora l’efficace contributo di ciascun membro alla glorificazione del Capo e del suo Corpo mistico [3].  – Da questi chiari e semplici princìpi, quali consolanti deduzioni, quali luminose direttive non scaturiscono per molte anime, ancora incerte e diffidenti, ma desiderose di orientare il loro ardore! quali incitamenti a contribuire alla diffusione del Regno di Cristo e alla salvezza delle anime!  – È evidente per altro che l’apostolato così compreso non proviene da un impulso puramente naturale all’azione, ma è frutto di una solida formazione interiore: è la necessaria espansione di un amore intenso a Gesù Cristo e alle anime, redente dal suo Sangue prezioso, che si attua nello studio di imitarne la vita di preghiere, di sacrificio, di zelo inestinguibile.  – Questa imitazione di Cristo susciterà molteplici forme di apostolato in tutti i campi, dovunque le anime sono in pericolo o sono compromessi i diritti del Re divino. Si estenderà pertanto questa Azione Cattolica a tutte le opere di apostolato che in qualsiasi modo rientrino nella divina missione della Chiesa, e quindi penetrerà, come nell’animo degli individui, così nel santuario della famiglia, nella scuola e nella stessa vita pubblica.  – Né la vastità del compito dovrà farvi ricercare maggiormente il numero che non la qualità dei collaboratori. Secondo l’esempio del Divin Maestro, che volle premettere a pochi suoi anni di lavoro apostolico una lunga preparazione, e si limitò a formare nel Collegio Apostolico non molti ma scelti strumenti per la successiva conquista del mondo, così anche voi, Venerabili Fratelli, curerete in primo luogo la formazione soprannaturale dei vostri dirigenti e propagandisti, senza troppo impensierirvi né affliggervi se saranno da principio un « piccolo gregge » [4].  – E poiché sappiamo che voi già state lavorando in questo senso, vi esprimiamo il Nostro compiacimento per avere già scrupolosamente scelto e premurosamente formato buoni collaboratori, che porteranno con la parola e con l’esempio il fervore della vita e dell’apostolato cristiano nelle diocesi e nelle parrocchie.  – Codesto vostro lavoro riuscirà certo solido e profondo, alieno dalla pubblicità, dal rumore, da forme clamorose, operante nel silenzio, anche senza frutti molto appariscenti od immediati: a guisa del seme, che nell’apparente riposo sotterra prepara la nuova pianta rigogliosa.  D’altra parte la formazione spirituale e la vita interiore, che fomentate in questi vostri collaboratori, li metteranno in guardia dai pericoli e dalle possibili deviazioni. Tenendo presente il fine ultimo dell’Azione Cattolica, che è la santificazione delle anime, secondo il precetto evangelico: «Cercate anzitutto il regno di Dio » [5] non si correrà il rischio di sacrificare i princìpi a fini immediati e secondari e non si dimenticherà mai che a quel fine supremo si debbono subordinare anche le opere sociali ed economiche e le iniziative caritatevoli.  – Il Signor Nostro Gesù Cristo ce lo insegnò con l’esempio: perché anche quando, nella ineffabile tenerezza del suo Cuore divino che gli faceva esclamare: « Sento compassione di questa folla … Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via » [6], guariva le infermità del corpo e sovveniva ai bisogni temporali, aveva sempre di mira il fine supremo della sua missione, cioè la gloria del Padre suo, e la salute eterna delle anime.  – Non sfuggono pertanto all’attività dell’Azione Cattolica le cosiddette opere sociali, in quanto mirano ad attuare i princìpi della giustizia e della carità e in quanto sono mezzi per avvicinare le moltitudini; giacché spesso non si giunge alle anime se non mediante il sollievo delle miserie corporali e delle necessità economiche. Il che Noi stessi, come già il Nostro Predecessore di s. m. Leone XIII, raccomandammo più volte. Ma è pur vero che, se l’Azione Cattolica ha il dovere di preparare uomini adatti per dirigere tali opere e di segnarne i princìpi che devono guidare con le norme e le direttive attinte alle genuine fonti delle Encicliche, non deve tuttavia assumerne la responsabilità in quella parte puramente tecnica, finanziaria, economica, che sta fuori dalle sue competenze e dalle sue finalità.  – Di fronte alle frequenti accuse fatte alla Chiesa di essere indifferente ai problemi sociali, o inetta a risolverli, non si cessi dal proclamare che soltanto la dottrina e l’opera della Chiesa, assistita com’è dal divino suo Fondatore, può portare rimedio ai gravissimi mali che travagliano l’umanità.  – A voi dunque (come già avete dimostrato di volere fare) spetta attingere a questi princìpi fecondi le norme sicure, per risolvere le gravi questioni sociali nelle quali oggi si dibatte la vostra Patria, quali sono ad esempio il problema agrario, la riduzione dei latifondi, il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie.  – Così, pur mettendo sempre in salvo l’essenza dei diritti primari e fondamentali, quali, ad esempio, il diritto di proprietà, ricorderete come talvolta il bene comune imponga restrizioni a tali diritti e un ricorso, più frequente che in passato, alle applicazioni della giustizia sociale.  – A tutela della dignità della persona umana può occorrere talvolta denunciare e biasimare arditamente condizioni di vita ingiuste e indegne; nello stesso tempo però bisognerà guardarsi, sia dal legittimare la violenza col pretesto di portare rimedio ai mali del popolo, sia dall’ammettere e favorire quelle rapide e violente mutazioni di condizioni secolari della società, che possono portare a effetti più funesti del male stesso al quale si voleva porre riparo.  – Questo intervento nella questione sociale vi porterà altresì ad occuparvi con zelo particolare della sorte di tanti poveri operai, che troppo facilmente divengono preda di una propaganda scristianizzatrice, col miraggio di vantaggi economici presentati alle loro menti quasi mercede della loro apostasia da Dio e dalla sua Chiesa.  – Se amate veramente l’operaio (e dovete amarlo perché le sue condizioni di vita maggiormente si avvicinano a quelle del divino Maestro) dovete assisterlo materialmente e religiosamente. Materialmente, procurando che sia a suo favore praticata non solo la giustizia commutativa ma anche la giustizia sociale, cioè tutte quelle provvidenze che mirano a sollevarne la condizione di proletario; religiosamente poi, ridandogli i conforti religiosi, senza i quali egli si dibatterà in un materialismo che lo abbrutisce e lo degrada.  – Non meno grave né meno urgente è un altro dovere; quello della assistenza religiosa ed economica dei « campesinos » ed in genere di quella parte non piccola di vostri figli che formano la popolazione, per lo più agricola, degli Indii. Sono milioni di anime, pur esse redente da Cristo, da Lui affidate alle vostre cure e di cui vi chiederà conto un giorno: sono milioni di individui spesso in così tristi e miserevoli condizioni di vita, da non avere nemmeno quel minimo di benessere indispensabile per tutelare la stessa dignità umana. Vi scongiuriamo, Venerabili Fratelli, nelle viscere della carità di Cristo, ad aver cura particolare di cotesti figli, ad incoraggiare il vostro clero a dedicarsi con sempre crescente zelo alla loro assistenza, e ad interessare tutta l’Azione Cattolica Messicana a quest’opera di redenzione morale e materiale.  – Né possiamo qui omettere un cenno a un dovere che in questi ultimi anni va sempre crescendo d’importanza: l’assistenza ai Messicani emigrati all’estero, i quali, sradicati dalla loro terra e dalle loro tradizioni, più facilmente divengono preda della insidiosa propaganda di emissari, che cercano di indurli ad apostatare dalla loro Fede. Un accordo con i vostri zelanti confratelli degli Stati Uniti d’America procurerà una cura più diligente ed organizzata da parte del clero locale, ed assicurerà agli emigrati messicani quelle provvidenze economiche e sociali che sono così sviluppate nella Chiesa Nord americana.  – Se l’Azione Cattolica non può trascurare le classi più umili e più bisognose degli operai, dei contadini, degli emigrati, ha in altri campi non meno gravi ed imprescindibili doveri. Fra l’altro essa deve con sollecitudine tutta particolare occuparsi degli studenti, che un giorno avranno, come professionisti, una grande influenza nella società e forse anche copriranno cariche pubbliche. Alla pratica della religione cristiana, alla formazione dell’indole e della coscienza cattolica, che sono elementi fondamentali per tutti i fedeli, dovete associare una speciale ed accurata educazione e preparazione intellettuale, appoggiata alla filosofia cristiana, quella cioè che con tanta verità fu detta filosofia perenne. Oggi, infatti, una solida ed adeguata istruzione religiosa sembra ancora più necessaria che in altri tempi, data la contraria tendenza sempre più generale della vita moderna alle esteriorità, la riluttanza e difficoltà alla riflessione e al raccoglimento, anzi la propensione, anche nella vita religiosa, a lasciarsi guidare più dal sentimento che dalla ragione.  – Quello che lodevolmente fa l’Azione Cattolica in altri paesi per la formazione culturale e per ottenere che l’istruzione religiosa abbia il primato intellettuale fra gli studenti e laureati cattolici, desideriamo ardentemente che si faccia, nella misura del possibile, anche tra di voi, adattando l’istruzione alle particolari condizioni, necessità e possibilità della vostra Patria.  – Ci dànno molta fiducia per un migliore avvenire del Messico gli universitari che militano nell’Azione Cattolica, e non dubitiamo che essi corrisponderanno alle Nostre speranze. È evidente che essi sono parte, e parte importante, di questa Azione Cattolica che Ci sta così a cuore, quali siano le sue forme organizzative, che dipendono in gran parte da condizioni e circostanze locali, varianti da paese a paese. Questi universitari, anzi, non solo ci assicurano, come dicemmo, le più valide speranze di un domani migliore, ma oggi stesso possono rendere effettivi servizi alla Chiesa e alla Patria, sia con l’apostolato che compiono tra i loro compagni, sia dando ai vari rami e alle varie organizzazioni dell’Azione Cattolica capaci e illuminati dirigenti.  – Le speciali condizioni della vostra Patria ci obbligano a richiamarvi la necessaria, doverosa, imprescindibile cura dei fanciulli, la cui innocenza è insidiata, la cui educazione e formazione cristiana sono messe a così dura prova.  – A tutti i Cattolici messicani si impongono due gravi precetti: l’uno negativo, che è di tenere quanto è possibile lontani i fanciulli dalla scuola empia e corruttrice; l’altro positivo, che è di procurare ad essi una conveniente, accurata assistenza ed istruzione religiosa. Sul primo punto, così grave e delicato, abbiamo già avuto, anche recentemente, occasione di farvi conoscere il Nostro pensiero. Per quanto poi riguarda l’istruzione religiosa, sebbene conosciamo con quanta insistenza voi stessi l’abbiate raccomandata ai vostri sacerdoti e ai vostri fedeli, pur vi ripetiamo che, essendo questo uno fra i più importanti e capitali problemi di oggi per la Chiesa messicana, è necessario che quanto si fa già lodevolmente in alcune diocesi si estenda a tutte le altre, in modo che i sacerdoti e i militi dell’Azione Cattolica si applichino con ogni ardore e senza badare ad alcun sacrificio a conservare a Dio e alla Chiesa questi piccoli, per i quali il divino Salvatore ha mostrato tanta predilezione. – L’avvenire di queste giovani generazioni — ve lo ripetiamo con tutta l’angoscia del Nostro cuore paterno — desta in Noi le più vive sollecitudini e le più gravi ansietà. Sappiamo a quali pericoli sono esposte oggi più che mai la fanciullezza e la gioventù, dappertutto, ma in particolar modo nel Messico, dove una stampa immorale e antireligiosa pone nei loro cuori i germi della loro apostasia da Gesù Cristo. Per rimediare a tanta iattura e premunire i vostri giovani da siffatti pericoli, occorre che tutti gli espedienti legali e tutte le forme organizzative siano posti in atto, come, per esempio, le Leghe di Padri di famiglia, i Comitati di moralità e di vigilanza sulle pubblicazioni e di censura dei cinematografi.  – Per quello che riguarda la difesa individuale dei singoli, Noi ben sappiamo, per testimonianza che Ci perviene da tutto il mondo, che il militare nelle file dell’Azione Cattolica costituisce il presidio migliore contro le insidie del male, la più bella scuola di virtù e di purezza, la più efficace palestra di fortezza cristiana. Proprio questi giovani, rapiti dalla bellezza dell’ideale cristiano, sostenuti dall’aiuto divino che si assicurano con la preghiera e con i sacramenti, si dedicheranno con ardore e con gioia alla conquista delle anime dei loro compagni, raccogliendo consolante messe di bene. – In ciò abbiamo un’altra prova che, di fronte ai bisogni così grandi del Messico, l’Azione Cattolica non si può dire opera di secondaria importanza. Qualora dunque essa, che è educatrice delle coscienze e formatrice delle doti morali, venisse comunque posposta ad altra opera estrinseca di qualsiasi specie, anche se si trattasse di sorgere a difesa delle necessarie libertà religiose e civili, si commetterebbe un ben doloroso abbaglio; perché la salute del Messico, come di ogni altra società umana, è posta anzitutto nella eterna, immutabile dottrina evangelica e nella pratica sincera della morale cristiana.  – Stabilita questa graduazione di valori e di attività, deve peraltro ammettersi che la vita cristiana, per svolgersi, ha bisogno pure di ricorrere a mezzi esterni e sensibili; che la Chiesa, essendo una società di uomini, richiede, rispetto alla naturale esigenza della vita e del suo necessario incremento, una legittima libertà d’azione, e che i suoi fedeli hanno diritto di trovare nella società civile possibilità di vivere in conformità ai dettami della loro coscienza.  – È quindi naturale che, quando le più elementari libertà religiose e civili vengono impugnate, i cittadini Cattolici non si rassegnino senz’altro a rinunziarvi. Tuttavia la rivendicazione anche di questi diritti e di queste libertà potrà essere più o meno opportuna, più o meno energica, a seconda delle circostanze.  – Voi avete più di una volta ricordato ai vostri fedeli che la Chiesa è fautrice di ordine e di pace, anche a costo di gravi sacrifici, e che condanna ogni ingiusta insurrezione e violenza contro i poteri costituiti. D’altra parte fra di voi si è pure detto che, qualora questi poteri insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell’autorità, non si vedrebbe come dover condannare quei cittadini che si unissero per difendere con mezzi leciti ed idonei se stessi e la Nazione, contro chi si vale del potere per trarne a rovina la cosa pubblica.  – Se la soluzione pratica dipende dalle circostanze concrete, dobbiamo tuttavia da parte Nostra ricordarvi alcuni princìpi generali, da tener sempre presenti, e cioè:

1) che queste rivendicazioni hanno ragione di mezzo, o di fine relativo, non di fine ultimo ed assoluto;

2) che, in ragione di mezzo, devono essere azioni lecite e non intrinsecamente cattive;

3) che, se vogliono essere mezzi proporzionati al fine, devono usarsi solo nella misura in cui servono ad ottenere o rendere possibile, in tutto o in parte, il fine, ed in modo da non recare alla comunità danni maggiori di quelli che si vorrebbero riparare;

4) che l’uso di tali mezzi e l’esercizio dei diritti civici e politici nella loro pienezza, abbracciando anche problemi di ordine puramente materiale e tecnico, o di difesa violenta, non entrano in alcun modo nei compiti del clero e dell’Azione Cattolica come tali, benché ad essi appartenga preparare i cattolici a far retto uso dei loro diritti ed a propugnarli per tutte le vie legittime, secondo l’esigenza del bene comune;

5) Il clero e l’Azione Cattolica — essendo per la loro missione di pace e di amore consacrati ad unire tutti gli uomini « nel vincolo della pace » [7] — devono contribuire alla prosperità della Nazione, specialmente fomentando l’unione dei cittadini e delle classi e collaborando a tutte le iniziative sociali, che non siano in contrasto con il dogma o la legge morale cristiana.  – Del resto, questa stessa attività civile dei cattolici messicani, svolta con uno spirito così nobile ed elevato, otterrà risultati tanto più efficaci quanto più i cattolici stessi avranno quella visione soprannaturale della vita, quella educazione religiosa e morale e quello zelo ardente per la dilatazione del Regno di Cristo che l’Azione Cattolica si propone di dare.  – Di fronte a una felice coalizione di coscienze che non intendono rinunziare alla libertà rivendicata loro da Cristo [8], quale potere o forza umana potrebbe aggiogarle al peccato? Quali pericoli, quali persecuzioni, quali prove potrebbero separare anime così temprate dalla carità di Cristo? [9].  – Questa retta formazione del perfetto cristiano e cittadino, in cui il soprannaturale nobilita tutte le doti e le azioni e le esalta, contiene anche, come è naturale, il compimento dei doveri civili e sociali. Di fronte agli avversari della Chiesa, Sant’Agostino proclamava a lode dei suoi fedeli: «Datemi tali padri di famiglia, tali figli, tali padroni, tali sudditi, tali mariti, tali spose, tali uomini di governo, tali cittadini, come quelli che forma la dottrina cristiana, e se non potete darli, confessate che questa dottrina cristiana, se si pratica, è la salvezza dello Stato » [10].  – Così, un Cattolico si guarderà, ad esempio, di trascurare il suo diritto di voto quando viene a repentaglio il bene della Chiesa o della Patria. Né potrà darsi il pericolo di vedere Cattolici che per l’esercizio delle attività civiche e politiche si organizzano in gruppi particolari, talvolta contrastanti tra di loro od anche contrari alle direttive dell’autorità ecclesiastica. Ciò sarebbe un accrescere la confusione e un disperdere le forze, a tutto detrimento sia dello sviluppo dell’Azione Cattolica sia della causa stessa che si vorrebbe difendere.  – Già abbiamo accennato ad attività che, sebbene non contrastanti, sono certo al di fuori dell’Azione Cattolica, come sarebbero quelle di partito politico o quelle prettamente economico-sociali. Ma esistono molte altre benefiche attività — come le Leghe di Padri di Famiglia, per la difesa delle libertà scolastiche e dell’insegnamento religioso, l’Unione di cittadini per la difesa della famiglia e della santità del matrimonio, e della pubblica moralità — che si possono riordinare attorno al nucleo centrale della Azione Cattolica. Essa infatti non si irrigidisce in schemi fissi; coordina anzi, come attorno ad un centro irradiatore di luce e di calore, altre iniziative ed istituzioni ausiliarie che pur godendo di una giusta autonomia e di una opportuna libertà di azione, necessarie per il raggiungimento dei loro fini specifici, sentono però il bisogno di seguirne le direttive programmatiche.  – Ciò vale soprattutto per la vostra così estesa Nazione ove la varietà dei bisogni e delle condizioni locali può richiedere che, pur sulla base di princìpi comuni, si usino diversi metodi di organizzazione e si abbiano anche diverse soluzioni pratiche, ma egualmente giuste, di uno stesso problema. – Spetterà a voi, Venerabili Fratelli, collocati dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio, dare l’ultima decisione pratica in questi casi, alla quale i fedeli presteranno docilità e fedeltà secondo le vostre direttive. Il che Ci sta sommamente a cuore, perché la retta intenzione e l’obbedienza, sempre e dappertutto, sono le condizioni indispensabili per attirare le benedizioni divine sul ministero pastorale e sull’Azione Cattolica e a determinare quell’unità d’indirizzo e quella fusione di energie che sono un presupposto indispensabile alla fecondità dell’apostolato. Scongiuriamo pertanto con tutto l’animo Nostro i buoni Cattolici Messicani ad aver cara l’obbedienza e la disciplina. «Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi. Essi vegliano su di voi, come chi ha da renderne conto ». E sia l’obbedienza piena di gioia e stimolatrice delle migliori energie, « affinché facciano questo con gioia e non gemendo » [11]. Chi obbedisce solo a malincuore e come per forza, sfogando l’interno risentimento in amare critiche contro i superiori ed i compagni di lavoro, contro tutto ciò che non è secondo il proprio modo di vedere, allontana le benedizioni divine, infrange il nerbo della disciplina e distrugge là dove si dovrebbe costruire.  – Insieme con l’obbedienza e la disciplina Ci piace ricordare quegli altri doveri di carità universale che Ci vengono suggeriti da San Paolo in quello stesso cap. IV della Lettera agli Efesini, che abbiamo già citato e che dovrebbe essere la norma fondamentale di tutti quelli che lavorano nella Azione Cattolica: «Vi esorto dunque, io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna… con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito » [12].  – Ai Nostri carissimi figli messicani, che sono tanta parte delle cure e delle sollecitudini affettuose del Nostro Pontificato, rinnoviamo l’appello alla unità, alla carità, alla pace, nel lavoro apostolico dell’Azione Cattolica, che dovrà ridonare Cristo al Messico e restituirvi la pace e la prosperità anche temporale.  – I Nostri voti e le Nostre preghiere deponiamo ai piedi della vostra celeste Patrona invocata sotto il titolo di Nostra Signora di Guadalupe, che nel suo Santuario suscita tuttora l’amore e la venerazione di ogni Messicano. A Lei, che sotto questo titolo è venerata e benedetta anche in quest’Alma Città, dove anzi Noi stessi erigemmo una Parrocchia dedicata in suo onore, chiediamo ardentemente che esaudisca i Nostri e vostri voti, per il prospero avvenire del Messico, della pace di Cristo nel Regno di Cristo. Con questi voti e con questi sentimenti impartiamo di tutto cuore a voi, ai vostri sacerdoti, all’Azione Cattolica Messicana, a tutti i diletti figli del Messico, a tutta la nobile Nazione messicana una specialissima Apostolica Benedizione. – Sia questa Nostra Lettera un pegno di risurrezione spirituale pel vostro paese: abbiamo voluto datarla per la Pasqua di Risurrezione, quale paterno auspicio che, come siete stati così vivamente partecipi dei patimenti di Cristo, così sarete del pari partecipi della sua risurrezione.

Dato a Roma, presso San Pietro, nella festa della Pasqua di Risurrezione, il 28 marzo 1937, anno XVI del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

[1] I Petr., II, 9.

[2] Rom., XII, 5.

[3] Ephes., IV, 12-16.

[4] Luc., XII, 32.

[5] Luc., XII, 31.

[6] Marc., VIII, 2-3.

[7] Ephes., IV, 3.

[8] Gal., IV, 31.

[9] Rom., VIII, 35.

[10] Epist. 138 ad Marcellinum, c. 2, n. 15.

[11] Hebr., XIII, 17.

[12] Ephes., IV, 1-4.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE LA SETTA APOSTATA DI TORNO: S. S. PIO XI, ACERBA ANIMI

A sei anni dalla “Iniquis Afflictisque”, S. S. Pio XI  scrive questa nuova lettera Enciclica sulla persecuzione messicana attuata per conto dei “nemici di Dio e di tutti gli uomini” dai “servi sciocchi” masso-comunisti, insediatesi al governo di quella nobile Nazione con il preciso intento di distruggere la Chiesa Cattolica [si fieri potest!], ed iniziare le prove del regno dell’anticristo, oltre che provvedere alla loro eterna dannazione. Le persecuzioni dell’epoca sono state ripetute in tante altre nazioni, anche in tempi recenti, ove le comunità cristiane sono state bersagliate da ogni genere di attacchi, compresa l’arma atomica sganciata sulle città Cattoliche giapponesi. Le angherie dei servi di lucifero sono e saranno sempre le stesse, e continueranno fino al ritorno glorioso del Figlio di Dio, come Egli stesso ci ha assicurato. Oggi la situazione, soprattutto quella spirituale, è ben peggiore e foriera di morte dell’anima, perché la Chiesa Cattolica è letteralmente nelle catacombe, così la Gerarchia, così il Santo Padre, in esilio e prigioniero ben custodito da apparenti “segretari”. I Sacramenti veri e validi sono amministrati da sparuti Sacerdoti in sotterranei ed anfratti vari, esposti a pericoli ed insidie di natura diversa. La persecuzione poi, è occultata da una falsa e sacrilega chiesa dell’uomo, (l’asteroide verminoso e putrido eclissante, la sinagoga di satana usurpante) insediata con un colpo di mano nei Sacri Palazzi dell’Urbe e dell’orbe che invece, guarda caso, gode di onori, coperture giudiziarie e bancarie, prebende e protezioni dei noti kazari servi di lucifero, compreso il vicario e il sub-vicario dell’anticristo! Nulla di nuovo sotto il sole, d’altra parte il Signore Nostro Gesù Cristo non lo ha mai nascosto a chi volesse seguirlo fino in fondo, tutt’altro. La Chiesa Cattolica ed i suoi fedeli devono seguire parimenti il destino del Divino Maestro, fino alla morte ed al sepolcro, se necessario, per essere sicuri della Resurrezione gloriosa, della posizione alla destra del Giudice Redentore, del governo eterno con Lui. E allora, conclusa la lettura, con cuore unanime gridiamo: “Non vi temiamo, non ci fate paura, dannata razza di vipere maledette, uccidete pure il nostro corpo destinato alla polvere, ma l’anima no, non ve la concediamo, restiamo con Gesù: Viva Cristo-Re! … a voi lasciamo le fiamme e l’eterno … pianto e stridor di denti.

LETTERA ENCICLICA

 ACERBA ANIMI

AI VENERABILI FRATELLI
ARCIVESCOVI E VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
DEGLI STATI FEDERATI DEL MESSICO
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
SULLA PERSECUZIONE DELLA CHIESA
IN MESSICO.


PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

La dolorosa ansietà per le tristissime condizioni presenti di tutta la società umana non attenua la Nostra particolare sollecitudine per i diletti figli della Nazione Messicana e specialmente per voi, Venerabili Fratelli, tanto più meritevoli delle Nostre premure paterne in quanto vi trovate da così lungo tempo vessati da gravissime persecuzioni.  – Già all’inizio del Nostro Pontificato, seguendo l’esempio del venerato Nostro Predecessore, Ci adoperammo con ogni sforzo per allontanare la temuta applicazione di quelle disposizioni cosiddette « costituzionali » che la Santa Sede era stata più volte costretta a condannare come gravemente lesive dei diritti più elementari e inalienabili della Chiesa e dei fedeli; e a tale intento procurammo altresì che un Nostro Rappresentante risiedesse in cotesta Repubblica.  – Ma mentre altri Governi in questi ultimi tempi gareggiavano nel riannodare accordi con la Santa Sede, quello del Messico precludeva ogni via ad intese, anzi nel modo più inaspettato veniva meno alle promesse poco prima fatte per iscritto, e bandiva ripetutamente i Nostri Rappresentanti, mostrando con ciò quali fossero le sue intenzioni verso la Chiesa. Così si giunse alla più rigorosa applicazione dell’art. 130 della « Costituzione », contro la quale, perché estremamente ostile alla Chiesa, come risulta dalla Nostra Enciclica « Iniquis afflictisque » del 18 novembre 1926, la Santa Sede aveva dovuto protestare nel modo più solenne.  – Furono quindi promulgate gravi pene contro i trasgressori dell’articolo deplorato; e, con nuova offesa contro la Gerarchia della Chiesa, si procurò che ogni Stato della Confederazione determinasse il numero dei sacerdoti, ai quali sarebbe permesso l’esercizio del sacro ministero sia in pubblico come in privato.  – Di fronte a così ingiuste e intolleranti ingiunzioni, che avrebbero assoggettato la Chiesa Messicana all’arbitrio dello Stato e del Governo ostili alla Religione Cattolica, voi, Venerabili Fratelli, deliberaste di sospendere il culto in pubblico; e nello stesso tempo invitaste i fedeli a protestare efficacemente contro l’ingiusta imposizione del Governo. Voi, per la vostra apostolica fermezza foste quasi tutti espulsi dalla Repubblica, e doveste assistere dalla terra d’esilio alle lotte e al martirio dei vostri sacerdoti e del vostro gregge; mentre quei pochissimi di voi, che quasi miracolosamente poterono rimanere nascosti nelle proprie diocesi, riuscirono di efficace incoraggiamento ai fedeli con il loro nobilissimo esempio di invitta fermezza.  – Di queste cose Noi già parlammo in solenni allocuzioni, in pubblici discorsi e più diffusamente nella citata Enciclica « Iniquis afflictisque », confortati dalla grande ammirazione destata in tutto il mondo dal nobile coraggio dimostrato dal clero nell’amministrare i Sacramenti ai fedeli, fra mille pericoli, anche della stessa vita, e dal non minore eroismo di numerosi fedeli i quali, a costo di inaudite sofferenze e incontrando ingenti danni, coadiuvarono volenterosamente i loro sacerdoti.  – Noi intanto non mancammo di incoraggiare con parole e consigli la legittima cristiana resistenza dei sacerdoti e dei fedeli, esortandoli a placare, con la penitenza e la preghiera, la giustizia di Dio, affinché la Sua misericordiosa Provvidenza abbreviasse la prova. In pari tempo invitammo ad unirsi alle Nostre preghiere per i fratelli messicani i Nostri figli di tutto il mondo; i quali, con ardore ammirabile, corrisposero pienamente al Nostro invito.  – Né tralasciammo di ricorrere altresì a quei mezzi umani, che erano a Nostra disposizione, per venire in sollievo ai nostri diletti figli; e mentre lanciavamo un appello al Mondo Cattolico, perché desse soccorso, anche con generose oblazioni, ai fratelli messicani perseguitati, insistemmo presso i Governi, con i quali siamo in relazioni diplomatiche, perché considerassero l’anormale e grave condizione di tanti fedeli.  – Di fronte alla ferma e generosa resistenza degli oppressi, il Governo cominciò a far intendere in diversi modi che non sarebbe stato alieno dal venire a intese, pur di uscire da una condizione di cose ch’esso non poteva modificare in suo favore. A questo punto, benché ammaestrati da una dolorosa esperienza a non fare affidamento su simili promesse, dovemmo tuttavia domandarCi se fosse conveniente al bene delle anime che si continuasse nella sospensione del culto in pubblico. Tale sospensione, se era riuscita efficace protesta contro gli arbitrii del Governo, tuttavia, ove si fosse ancora prolungata, avrebbe potuto portare gravi danni sia all’ordinamento civile, sia a quello religioso. Quel che più conta, tale sospensione, secondo gravissime notizie che Ci pervenivano da fonti varie ed ineccepibili, portava serio nocumento per i fedeli; i quali, privati di molti aiuti spirituali necessari alla vita cristiana, e non di rado costretti ad omettere i propri doveri religiosi, correvano il rischio di rimanere prima lontani, poi come avulsi dal sacerdozio, e quindi dalle sorgenti stesse della vita soprannaturale. Si aggiunga che la prolungata assenza di quasi tutti i Vescovi dalle loro Diocesi non poteva non essere causa di rilassamento della disciplina ecclesiastica, specialmente in momenti di tanta tribolazione per la Chiesa Messicana, quando cioè il clero ed i fedeli abbisognavano maggiormente della guida di coloro « che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio » [1]. – Quando perciò, nel 1929, il Magistrato Supremo del Messico pubblicamente dichiarò che il Governo, con l’applicazione delle note leggi, non intendeva distruggere « l’identità della Chiesa » né misconoscere la Gerarchia Ecclesiastica, Noi, avendo unicamente di mira la salute delle anime, credemmo opportuno di non lasciar passare questa occasione, che sembrava offrire una possibilità di riconoscimento dei diritti della Gerarchia. Quindi, vedendo tornare qualche speranza di rimediare ai mali maggiori, e sembrando che venissero meno i principali motivi che avevano indotto l’Episcopato a sospendere il culto in pubblico, Ci domandammo se non fosse il caso di ordinarne la ripresa. Con ciò non si intendeva certamente accettare le leggi messicane circa il culto, né ritirare le proteste fatte contro le leggi medesime, e tanto meno desistere dalla lotta contro di esse: si trattava soltanto, di fronte alle mutate dichiarazioni del Governo, di abbandonare (prima che potesse tornar nocivo ai fedeli) uno dei mezzi di resistenza, ricorrendo invece ad altri che fossero ritenuti più opportuni.  – Ma purtroppo, come tutti sanno, ai Nostri desideri e voti non corrisposero la sospirata pace e l’auspicato accomodamento. Si continuò invece a punire e ad imprigionare Vescovi, Sacerdoti e fedeli, contro lo spirito col quale si era concluso il « modus vivendi ». Con somma afflizione vedemmo che non solo non si richiamarono dall’esilio tutti i Vescovi, ma anzi qualche altro fu espulso oltre confine, senza neppure l’apparenza di legalità; in alcune diocesi non si restituirono né chiese né seminari, né episcòpi, né altri edifici sacri; nonostante le esplicite promesse, furono abbandonati alle più crudeli vendette degli avversari sacerdoti e laici che con fermezza avevano difeso la fede.  – Inoltre, appena revocata la sospensione del culto, si notò ben presto un inasprimento della campagna della stampa contro il Clero, la Chiesa e contro Dio stesso; ed è risaputo come la Santa Sede abbia dovuto riprovare e proscrivere una di tali pubblicazioni che, per immoralità sacrilega e per l’aperto scopo di propaganda irreligiosa e calunniatrice, aveva superato ogni misura.  – A ciò si aggiunga che non solo nelle scuole primarie è proibito per legge l’insegnamento religioso, ma non di rado si tenta di spingere coloro che devono concorrere ad educare le future generazioni, perché si facciano banditori di dottrine irreligiose e immorali, costringendo così i genitori a gravi sacrifici per tutelare l’innocenza della loro prole. A tale proposito, mentre benediciamo di cuore questi genitori cristiani e tutti i buoni maestri che li coadiuvano, torniamo a raccomandare caldamente a voi, Venerabili Fratelli, al clero secolare e regolare, a tutti i fedeli, di seguire con ogni sforzo la questione scolastica e la formazione della gioventù, specialmente di quella del popolo, più bisognosa perché maggiormente esposta ai pericoli della propaganda atea, massonica e comunista; persuadendovi che la vostra patria sarà quale voi la formerete nei vostri giovani.  – Ma un punto ancora più vitale della Chiesa si è cercato di colpire: l’esistenza cioè del Clero e della Gerarchia Cattolica, col tentativo di eliminarla gradatamente dalla Repubblica. Così la Costituzione Messicana, come abbiamo più volte deplorato, mentre proclama la libertà di pensiero e di coscienza, prescrive, con la più manifesta contraddizione, che ogni Stato della Repubblica Federale debba determinare il numero dei sacerdoti, ai quali si permette l’esercizio del sacro ministero, non solo nelle pubbliche chiese, ma persino tra le pareti domestiche. Tale enormità viene ancora aggravata dai modi con cui si procede all’applicazione della legge.  – Infatti, se la Costituzione vuole che si determini il numero dei sacerdoti, dispone tuttavia che tale determinazione debba corrispondere alle necessità religiose dei fedeli e del luogo; né prescrive che si debba in ciò trascurare la Gerarchia ecclesiastica; come, del resto, fu esplicitamente riconosciuto nelle dichiarazioni del « modus vivendi ». Orbene, nello Stato di Michoacan, fu stabilito un sacerdote per ogni 33.000 fedeli; nello Stato di Chihuahua, uno per ogni 45.000; nello Stato di Chiapas uno per ogni 60.000, mentre in quello di Vera Cruz dovrebbe esercitare il ministero un solo sacerdote per ogni centomila abitanti. Ognuno vede se con siffatte restrizioni sia possibile attendere all’amministrazione dei Sacramenti a così numerosi fedeli, sparsi per lo più in uno sterminato territorio. Eppure i persecutori, quasi pentiti di aver soverchiamente largheggiato, imposero ulteriori limitazioni; e alcuni Governi ordinarono la chiusura di non pochi Seminari, la confisca delle canoniche, e in altri luoghi determinarono altresì i sacri templi e il territorio, dove soltanto sarebbe consentito al Sacerdote approvato di esercitare il ministero.  – Il fatto nondimeno che più manifestamente scopre l’intenzione di voler distruggere la stessa Chiesa Cattolica, è l’esplicita dichiarazione, pubblicata in alcuni Stati, che l’Autorità civile, nel concedere la licenza di esercizio, non riconosce nessuna Gerarchia, esclude anzi positivamente dalla possibilità di esercitare il ministero sacro tutti i Gerarchi, cioè i Vescovi e persino coloro che avessero esercitato l’ufficio di Delegati Apostolici.  – Abbiamo voluto brevemente riepilogare i punti principali della grave condizione imposta alla Chiesa del Messico, perché quanti amano l’ordine e la pace dei popoli, vedendo come una così inaudita persecuzione non sia molto dissimile, specialmente in alcuni Stati, da quella scatenatasi nelle infelici regioni della Russia, traggano, da questa iniqua coincidenza d’intenti, nuovo ardore per arginare la fiumana sovvertitrice di ogni ordine sociale.  – In pari tempo intendiamo dare una nuova prova a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i diletti figli del Messico, della paterna sollecitudine con la quale vi seguiamo nella vostra tribolazione: sollecitudine che Ci ispirò le istruzioni impartitevi nel gennaio scorso per mezzo del Nostro Cardinale Segretario di Stato, e comunicatevi poi dal Nostro Delegato apostolico. Infatti, trattandosi di questioni strettamente connesse con la religione, è senza dubbio Nostro dovere e Nostro diritto stabilire le ragioni e le norme, alle quali tutti coloro che si gloriano del nome cattolico hanno l’obbligo di ottemperare. E qui Ci preme ricordare come, dettando tali istruzioni, abbiamo tenuto nella debita considerazione tutte le notizie e le indicazioni che Ci venivano sia dai fedeli, sia dalla Gerarchia; e diciamo tutte, fino a quelle che sembravano invocare il ritorno, come nel 1926, ad una norma di condotta più severa con la totale sospensione del culto pubblico in tutta la Repubblica.  – Pertanto, in merito alla pratica da seguire, non essendo il numero dei sacerdoti ugualmente ristretto in ogni Stato, né essendo ugualmente offesi i diritti della Gerarchia ecclesiastica, ne consegue che, secondo la diversità dell’applicazione degli infausti decreti, debba altresì essere diverso l’atteggiamento della Chiesa e dei Cattolici. A questo proposito Ci sembra giusto tributare speciali lodi a quei Vescovi Messicani che, secondo le notizie pervenuteCi, hanno sapientemente interpretato le istruzioni che abbiamo ripetutamente inculcato. E ciò vogliamo dichiarare, perché se taluno, spinto più dall’ardore della difesa della propria fede che non dalla prudenza, necessaria soprattutto in momenti così delicati, dal diverso modo di agire nelle diverse circostanze, avesse supposto nei Vescovi intendimenti contraddittori, si persuada ora che tale accusa è del tutto infondata. Tuttavia, poiché qualsivoglia restrizione del numero dei sacerdoti è pur sempre una grave violazione dei diritti divini, occorrerà che i Vescovi, il clero e gli stessi cattolici continuino a protestate con ogni loro energia contro tale violazione, usando di tutti i mezzi legittimi; anche se queste proteste non avranno efficacia sugli uomini del Governo, varranno a persuadere i fedeli, e specialmente i meno istruiti, che lo Stato, così operando, offende le libertà della Chiesa, alle quali questa non potrà mai rinunciare, nemmeno innanzi alla violenza dei persecutori.  – Quindi, come con grande soddisfazione abbiamo letto le diverse proteste recentemente sollevate dai Vescovi e dai Sacerdoti delle diocesi colpite dalle deplorate disposizioni governative, così Noi stessi torniamo ad aggiungervi le Nostre al cospetto del mondo intero, ed in modo particolare innanzi ai Governi di tutte le Nazioni, affinché considerino che la persecuzione del Messico, oltre che offesa a Dio, alla sua Chiesa e alla coscienza di una popolazione cattolica, è anche un incentivo al sovvertimento sociale, a cui mirano le associazioni dei negatori di Dio.  – Intanto, allo scopo di porre qualche rimedio alle calamitose circostanze che affliggono la Chiesa nel Messico, dobbiamo valerCi di quei mezzi che ancora restano in Nostra mano, perché, conservandosi in ogni luogo, per quanto si può, l’esercizio del culto divino in pubblico, la luce della fede e il sacro fuoco della carità non restino estinti in quelle povere popolazioni. Sono inique certamente le leggi, sono empie, come abbiamo già detto, e condannate da Dio, per tutto quello che perfidamente ed empiamente sottraggono ai diritti di Dio e della Chiesa nel governo delle anime; tuttavia sarebbe senza dubbio mosso da vano e infondato timore colui che credesse di cooperare alle inique disposizioni legislative qualora, subendone la vessazione, domandasse al Governo, che ciò impone, di potere esercitare il culto; e quindi ritenesse esser proprio dovere astenersi assolutamente da simile richiesta. Tale erronea opinione e tale condotta, portando ad una totale sospensione del culto, arrecherebbero senza dubbio un grandissimo danno a tutto il gregge dei fedeli.  – È da osservare, infatti, che approvare tale iniqua legge o dare ad essa spontaneamente una vera e propria cooperazione, è senza dubbio illecito e sacrilego; ma è assolutamente diverso il caso di chi soggiace a tali ingiuste prescrizioni soltanto contro la propria volontà e protesta; anzi fa di tutto, da parte propria, per diminuire i disastrosi effetti dell’infausta legge. Infatti il sacerdote si trova costretto a chiedere quel permesso senza il quale gli sarebbe impossibile esercitare il sacro ministero per il bene delle anime; tale imposizione egli forzatamente subisce soltanto per evitare un male maggiore. La sua condotta quindi non è molto differente da quella di colui, il quale, essendo spogliato delle sue cose, si vede costretto a domandare all’ingiusto spogliatore che gli consenta almeno l’uso di esse. – Ed invero, il pericolo di una « formale cooperazione », anzi di una qualsivoglia approvazione della citata legge, viene, in quanto è necessario, rimosso dalle proteste anzidette, energicamente espresse da questa Sede Apostolica, da tutto l’Episcopato e dal Popolo Messicano. A queste poi si aggiungono le cautele del Sacerdote stesso, il quale, benché già canonicamente istituito al sacro ministero dal proprio Vescovo, è costretto a chiedere al Governo la possibilità di esercitare il culto, e ben lungi dall’approvare la legge, che ingiustamente impone tale richiesta, vi si assoggetta materialmente — come suol dirsi — soltanto per eliminare un ostacolo all’esercizio del sacro ministero: ostacolo che condurrebbe, come si è detto, alla totale cessazione del culto e quindi a un danno estremo per tante anime. – In modo non molto dissimile i primi fedeli e i sacri ministri, come è riferito dalla storia, chiedevano, offrendo anche qualche compenso, il permesso di visitare e confortare i martiri detenuti nelle carceri e di amministrare i Sacramenti, senza che alcuno avesse mai potuto pensare che essi, con ciò, in qualche modo approvassero o condividessero la condotta dei persecutori.  – Tale è, certa e sicura, la dottrina della Chiesa; se però l’attuazione di essa riuscisse di scandalo ad alcuni fedeli, sarà vostro dovere, Venerabili Fratelli, illuminarli accuratamente e diligentemente. Se poi, anche dopo che voi avrete fatto questa opera di chiarimento e di persuasione, esponendo questa Nostra direttiva, qualcuno rimarrà ostinatamente nella propria falsa opinione, sappia che in tal modo difficilmente può sfuggire alla taccia di disubbidiente e di ostinato.  – Continuino dunque tutti in quella unità di intenti e di ubbidienza, già altra volta da Noi ampiamente e con viva soddisfazione lodata nel clero; e rimosse le incertezze e i timori, spiegabili nei primi momenti della persecuzione, i sacerdoti, con il già provato spirito di abnegazione, rendano sempre più intenso il loro sacro ministero, particolarmente fra la gioventù e il popolo, procurando di far opera di persuasione e di carità, soprattutto fra gli avversari della Chiesa, che la combattono perché la ignorano.  – A tale proposito nuovamente raccomandiamo un punto che Ci sta grandemente a cuore; la necessità cioè di istituire e di dare sempre maggiore incremento all’Azione Cattolica [2], secondo le direttive impartite, per Nostro mandato, dal Nostro Delegato apostolico; lavoro, questo, senza dubbio difficile negli inizi e specialmente nelle presenti circostanze, lavoro talora lento nel produrre i desiderati effetti, ma necessario e ben più efficace di qualsiasi altro mezzo, come dimostra l’esperienza di tutte le Nazioni, passate esse pure attraverso la prova delle persecuzioni religiose.  – Ai Nostri diletti figli messicani raccomandiamo di tutto cuore l’unione più intima con la Chiesa e la sua Gerarchia, da prestare con la docilità agli insegnamenti e alle direttive di essa. Non tralascino occasione di ricorrere ai Sacramenti, fonti di grazia e di virtù; s’istruiscano nelle verità religiose; implorino da Dio misericordia per la loro sventurata Nazione e sentano l’obbligo e l’onore di cooperare all’apostolato sacerdotale nelle file dell’Azione Cattolica.  – Un elogio tutto particolare vogliamo tributare a coloro che, sia del clero secolare e regolare, sia del laicato cattolico, mossi da ardente zelo della religione e mantenendosi del tutto obbedienti a questa Sede Apostolica, hanno scritto pagine gloriose nella recente storia della Chiesa del Messico; in pari tempo li esortiamo vivamente nel Signore a voler continuare a difendere i sacrosanti diritti della Chiesa, con quella generosa abnegazione di cui hanno dato sì nobili esempi e secondo le norme da questa Sede Apostolica loro indicate.  – Ma non possiamo terminare questa Enciclica senza volgerCi particolarmente a voi, Venerabili Fratelli, fedeli interpreti del Nostro pensiero, per dirvi che Ci sentiamo tanto più strettamente uniti a voi, quanto maggiori sono le pene che incontrate nel vostro apostolico ministero; sicuri che sapendovi vicini al cuore del Vicario di Gesù Cristo, ne proverete conforto ed incitamento a perseverare nella santa ed ardua impresa di condurre a salvamento il gregge affidatovi. Ed affinché la grazia di Dio sempre vi assista e la Sua Misericordia vi sorregga, con ogni paterno affetto a voi e ai diletti figli, così duramente provati, impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 settembre, dedicazione di San Michele Arcangelo, dell’anno 1932, undecimo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI APOSTATI DI TORNO: INIQUIS AFFLICTISQUE di S. S. PIO XI

Questa è una delle Lettere Encicliche che il Santo Padre Pio XI scrisse per denunciare gli obbrobri, le feroci ingiustizie che il satanico masso-comunismo messicano, perpetrava ai danni della comunità tutta dei Cristiani, dalle cariche gerarchiche più alte, fino all’ultimo giovanissimo fedele. La storia di queste orribili torture, di queste persecuzione ignobili, si comincia oggi a ben delineare, ben occultata dagli eredi dei comunisti messicani di allora, gli sciocchi servi dei “padroni occulti” i soliti che “odiano Dio e tutti gli uomini”. Ma essi stessi, cosa ne hanno ricavato? Degrado, miseria, morte, dannazione eterna. È la solita storia che si ripete: lucifero ed i suoi corifei attaccano Cristo, la Chiesa, il suo Capo visibile e tutti i fedeli. Questa situazione, allora denunciata per il Messico, non è forse quella stessa che viene attuata oggi, ove cruentemente, ove mediaticamente, dappertutto spiritualmente? Chi appena ha ancora la capacità di cogliere un barlume spirituale, comprende molto bene che la Chiesa di oggi è la Cristianità è messa molto peggio di quella messicana dell’epoca: la Chiesa “eclissata” e sostituita da una falsa sinagoga (falsa anche come Sinagoga), il Santo Padre, quello “vero” costretto all’esilio, prigioniero e controllato in ogni suo respiro, la Gerarchia costretta all’immobilità, i fedeli sparuti, sperduti, e radunati in catacombe improvvisate ed in luoghi sotterranei. E non sono forse anche attuali le parole dell’Enciclica: …  “non accadde forse mai e in nessun luogo che, conculcando e violando i diritti di Dio e della Chiesa, un ristretto numero di uomini, senz’alcun riguardo alle glorie avite, senza sentimento di pietà verso i propri concittadini, soffocasse in ogni modo la libertà della maggioranza con arti così meditate, aggiungendovi una parvenza di legislazione per mascherare l’arbitrio”, oppure: “… (le leggi promulgate) sono oltre ogni dire contrari ai diritti della Chiesa e assai più dannosi ai Cattolici di quella nazione”, e non valgono forse le stesse parole rivolte ai burattini attuali, quelli in giacca e cravatta dei parlamenti nazionali o continentali … a quelli in grembiulino e pendaglio delle conventicole adoratrici di satana … a quelli in talare e beretta che occupano i palazzi sacri di un tempo inondandoli di immondizia sacrilega con gli osanna al signore dell’universo, il baphomet lucifero “… nella loro superbia e demenza credettero di potere scalzare e sgretolare la « casa del Signore, solidamente costruita e fortemente poggiata sulla viva pietra ». Come allora “… Chiunque veneri, come ne ha obbligo, Iddio, Creatore e Redentore nostro amatissimo; chiunque voglia ubbidire ai precetti di Santa Madre Chiesa, costui, costui diciamo, sarà reputato colpevole e malfattore, costui meriterà di esser privato dei diritti civili, costui dovrà essere cacciato in prigione insieme con gli scellerati? Come giustamente si applicano agli autorı di tali enormità le parole dette dal Signor Nostro Gesù Cristo ai prìncipi dei giudei: «Questa è l’ora vostra e l’impero delle tenebre! » E ci toccherà ancora, come allora, e come ai tempi delle persecuzioni imperiali, ascoltare che “… alcuni di quegli adolescenti e di quei giovani, e nel dirlo appena possiamo trattenere le lagrime, con in mano la corona e sul labbro le invocazioni a Cristo Re hanno incontrato volentieri la morte; alle nostre vergini, chiuse in carcere, sono stati recati i più indegni oltraggi, e ciò di proposito si è divulgato per intimidire le altre e farle venir meno al proprio dovere … Ma al Cristiano vero la morte non fa paura, anzi morire per la causa di Cristo e della sua Chiesa è un onore incomparabile, perché oltretutto sappiamo bene “… che verrà finalmente un giorno in cui la Chiesa Messicana [e Universale] riposerà da questa procella di odii, perché, giusta i divini oracoli, « non c’è sapienza, non c’è prudenza, non c’è consiglio contro il Signore », e « le porte del’inferno non prevarranno » contro la Immacolata Sposa di Cristo. Ci conforta infine il Sommo Pontefice con il ricordare le parole di Sant’Ilario: « è proprio della Chiesa vincere quando è perseguitata, rifulgere alle intelligenze quando viene contestata, fare delle conquiste quando è abbandonata ». E allora gridiamo unanimi: viva Cristo-Re !!! Viva la Chiesa di Cristo!!!

LETTERA ENCICLICA
INIQUIS AFFLICTISQUE
DEL SOMMO PONTEFICE


PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,

CONTRO LE PERSECUZIONI
AI DANNI DELLA CHIESA IN MESSICO

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Nel dicembre dell’anno scorso, parlando in Concistoro al Sacro Collegio dei Cardinali, notammo che ormai non si può sperare o attendere alcun sollievo alla tristezza delle ingiuste condizioni fatte alla religione cattolica nel Messico se non « dall’efficacia di qualche aiuto di Dio misericordioso », e voi non tardaste ad assecondare il Nostro pensiero e i Nostri desideri, più volte manifestati, spronando con ogni premura i fedeli affidati alle vostre cure pastorali a muovere con fervide preghiere il divino Fondatore della Chiesa perché ponesse rimedio a così grande acerbità di mali. A tanta acerbità di mali, diciamo, mentre contro i Nostri carissimi figli Messicani, altri figli, disertati dalla milizia di Cristo e ostili al Padre comune, mossero per l’addietro e muovono tuttora una spietata persecuzione. Che se nei primi secoli della Chiesa e in altri tempi successivi si trattarono i Cristiani in modo più atroce, non accadde forse mai e in nessun luogo che, conculcando e violando i diritti di Dio e della Chiesa, un ristretto numero di uomini, senz’alcun riguardo alle glorie avite, senza sentimento di pietà verso i propri concittadini, soffocasse in ogni modo la libertà della maggioranza con arti così meditate, aggiungendovi una parvenza di legislazione per mascherare l’arbitrio. Non vogliamo dunque che a voi e a tutti i fedeli manchi una solenne testimonianza della Nostra gratitudine per le suppliche private e per le pubbliche funzioni indette a tale scopo. Ma tali preghiere, come vantaggiosamente si sono cominciate a praticare, così importa moltissimo che non solo non vengano meno, ma si continuino con fervore anche più intenso. Infatti, se non è davvero in potere degli uomini regolare le vicende degli eventi e dei tempi e volgerle a vantaggio della civile società, cambiando la mente e il cuore umano, ciò è però in potere di Dio, il quale solo può assegnare un termine sicuro a simili persecuzioni. Né vi sembri, Venerabili Fratelli, di avere indetto invano tali preghiere, vedendo che il Governo messicano, per il suo odio implacabile contro la religione, ha continuato ad applicare con durezza e violenza anche maggiore gli iniqui suoi editti, perché in realtà il clero e la moltitudine di quei fedeli, sorretti da più abbondante effusione di grazia divina nella paziente loro resistenza, hanno dato tale esemplare spettacolo da meritarsi a buon diritto che Noi, con un solenne documento della Nostra Autorità Apostolica, lo rileviamo al cospetto di tutto il mondo cattolico. Nel mese scorso, in occasione della beatificazione dei molti Martiri della rivoluzione francese, il Nostro pensiero volava spontaneamente ai Cattolici messicani, che, come quelli, si mantengono fermi nel proposito di resistere pazientemente all’arbitrio e alla prepotenza altrui, pur di non separarsi dall’unità della Chiesa e dall’Ubbidienza alla Sede Apostolica. Oh, veramente illustre gloria della divina Sposa di Cristo, che sempre nel corso dei secoli poté contare su una prole nobile e generosa, pronta per la santa libertà della fede alla lotta, ai patimenti, alla morte!  – Non occorre, Venerabili Fratelli, rifarci molto addietro nel narrare le dolorose calamità della Chiesa messicana. Basti ricordare che le frequenti rivoluzioni di questi ultimi tempi sboccarono per lo più in tumulti e persecuzioni contro la Religione, come nel 1914 e nel 1915, quando uomini, che parvero risentire ancora dell’antica barbarie, inferocirono contro il clero secolare e regolare, contro le sacre vergini e contro i luoghi e gli oggetti destinati al culto in modo tanto spietato, da non risparmiare alcuna violenza. Ma, trattandosi di fatti notori, contro i quali pubblicamente alzammo la Nostra protesta e di cui la stampa giornaliera parlò diffusamente, non è qui il caso di dilungarci nel deplorare che in questi ultimi anni, senza riguardo a ragioni di giustizia, di lealtà, di umanità, dei Delegati Apostolici inviati nel Messico, uno fu cacciato dal territorio, ad un altro fu interdetto il ritorno nello Stato, dal quale era uscito per breve tempo per motivi di salute, un terzo fu non meno ostilmente trattato e costretto a ritirarsi. Tal modo di procedere, senza dire che nessuno come quegli illustri personaggi, sarebbe riuscito più adatto quale negoziatore e mediatore di pace, non è chi non veda quanto disonorevole ciò sia riuscito alla loro dignità arcivescovile e al loro onorifico ufficio, e specialmente alla Nostra autorità da essi rappresentata.

Sono fatti questi dolorosi e gravi; ma gli arbitrii che siamo per esporre, Venerabili Fratelli, sono oltre ogni dire contrari ai diritti della Chiesa e assai più dannosi ai cattolici di quella nazione.  – Esaminiamo anzitutto la legge sancita nel 1917, che va sotto il nome di Costituzione Politica degli Stati Uniti del Messico. Per quanto si attiene al nostro argomento, proclamata la separazione dello Stato dalla Chiesa, a questa, come a persona spogliata di ogni onore civile, non è più riconosciuto alcun diritto nel presente e viene interdetto acquistarne in avvenire; ai magistrati civili si dà facoltà di inframmettersi nel culto e nella disciplina esterna della Chiesa. I sacerdoti sono pareggiati ai professionisti e lavoratori, ma con questa differenza, che non solo essi debbono essere Messicani di nascita e non eccedere il numero stabilito dai legislatori dei singoli Stati, ma restano privi dei diritti politici e civili, uguagliati in ciò ai malfattori e ai delinquenti. Si prescrive inoltre che, unitamente a una Commissione di dieci cittadini, i sacerdoti debbano informare il magistrato della loro entrata in possesso di un tempio o del loro trasferimento altrove. Voti religiosi, Ordini e Congregazioni religiose nel Messico non sono più permessi. Proibito il culto pubblico, eccetto che nell’interno della Chiesa e sotto la vigilanza del Governo; le stesse Chiese decretate proprietà dello Stato; Episcopii, Canoniche, Seminari, Case religiose, Ospedali e tutti gli Istituti di beneficenza, sottratti anch’essi alla Chiesa. Questa non ha più la proprietà di nulla; quanto possedeva, al tempo dell’approvazione della legge, è stato devoluto alla Nazione con facoltà a tutti di azione per la denunzia dei beni che sembrassero dalla Chiesa posseduti per interposta persona, e basta, per legge, a dar fondamento all’azione la semplice presunzione. I sacerdoti sono incapaci di eredità testamentaria, eccetto nei casi di stretta parentela. Nessun potere è riconosciuto alla Chiesa rispetto al matrimonio dei fedeli, e questo viene giudicato valido soltanto se contratto validamente secondo il diritto civile. L’insegnamento è sì proclamato libero, ma con queste restrizioni: divieto ai sacerdoti e ai religiosi di aprire o dirigere scuole elementari; bando assoluto della religione nell’insegnamento, anche privato, che si dà ai fanciulli. Parimenti nessun effetto legale viene riconosciuto ai diplomi degli studi compiuti in Istituti diretti dalla Chiesa. Certamente, Venerabili Fratelli, coloro che idearono, approvarono e sanzionarono una legge siffatta, o ignoravano che compete per diritto divino alla Chiesa, come a società perfetta, fondata per la comune salvezza degli uomini da Cristo, Redentore e Re, la piena libertà di compiere la sua missione — benché appaia incredibile tale ignoranza, dopo venti secoli di Cristianesimo, in una Nazione cattolica e in uomini battezzati — oppure nella loro superbia e demenza credettero di potere scalzare e sgretolare la « casa del Signore, solidamente costruita e fortemente poggiata sulla viva pietra », o erano invasi dall’acre furore di nuocere con ogni mezzo alla Chiesa. Orbene, dopo la promulgazione di legge tanto odiosa, come avrebbero potuto tacere gli Arcivescovi e i Vescovi del Messico? Quindi, è che subito protestarono con lettere serene ma forti: proteste ratificate poi dall’immediato Nostro Predecessore, approvate collettivamente dall’Episcopato di alcune nazioni, individualmente dal maggior numero dei Vescovi di altre parti, e Noi stessi tali proteste confermammo il 2 febbraio di questo anno, in una lettera di conforto indirizzata ai Vescovi Messicani. Questi speravano che gli uomini del governo, dismessi i primi bollori, avrebbero compreso il non lieve danno e pericolo che sovrastava alla quasi totalità del popolo per quegli articoli della legge restrittivi della libertà religiosa, e che perciò per amore di concordia, non applicando, o quasi, quegli articoli, sarebbero venuti intanto a un modus vivendi più sopportabile. Ma nonostante l’estrema pazienza dimostrata dal clero e dal popolo, e ciò in ossequio ai Vescovi che li esortavano ala moderazione, ogni speranza di ritorno alla calma e alla pace venne a cadere. Infatti, in forza della legge promulgata dal presidente della repubblica il 2 luglio di quest’anno, quasi più nessuna libertà è rimasta o si permette alla Chiesa in quelle regioni; l’esercizio del sacro ministero è così inceppato, da venir punito, come se fosse un delitto capitale, con pene severissime. E questo così grande pervertimento nell’esercizio della pubblica autorità, Venerabili Fratelli, è incredibile quanto Ci addolora. Chiunque veneri, come ne ha obbligo, Iddio, Creatore e Redentore nostro amatissimo; chiunque voglia ubbidire ai precetti di Santa Madre Chiesa, costui, costui diciamo, sarà reputato colpevole e malfattore, costui meriterà di esser privato dei diritti civili, costui dovrà essere cacciato in prigione insieme con gli scellerati? Come giustamente si applicano agli autorı di tali enormità le parole dette dal Signor Nostro Gesù Cristo ai prìncipi dei giudei: «Questa è l’ora vostra e l’impero delle tenebre! » [1]. Fra tali leggi, quella più recente, più che interpretare, come pretendono, rende peggiore e assai più intollerabile l’altra più antica; e il presidente della repubblica e i suoi ministri dell’una e dell’altra caldeggiano l’applicazione con tale accanimento, da non tollerare che qualche governatore degli Stati federati o magistrato o comandante militare rallenti la persecuzione contro i Cattolici. E alla persecuzione si è aggiunto l’insulto; si suole metter la Chiesa in cattiva luce presso il popolo: dagli uni nei pubblici comizi con menzogne impudenti, mentre s’impedisce ai nostri coi fischi e con le ingiurie di parlare in contraddittorio; dagli altri per mezzo di giornali, nemici dichiarati della verità e dell’azione cattolica. Che se da principio i Cattolici poterono tentare sui giornali qualche difesa della Chiesa, esponendo la verità e confutando gli errori, ormai a questi cittadini, pur così sinceramente amanti della patria, non si permette più di alzare la voce, sia pure con sterile lamento, in favore della libertà della fede avita e del culto divino. Ma, mossi dalla consapevolezza del Nostro dovere apostolico, saremo Noi a gridare, Venerabili Fratelli, perché dal Padre comune tutto il Mondo Cattolico ascolti quale sia stata da una parte la sfrenata tirannide degli avversari, e quale d’altra parte l’eroica virtù e costanza dei Vescovi, dei sacerdoti, delle famiglie religiose e dei laici.

I sacerdoti e i religiosi stranieri sono cacciati; i collegi per l’istruzione cristiana dei fanciulli e delle fanciulle sono chiusi, o perché insigniti di qualche nome religioso, o perché in possesso di qualche statua od altra immagine sacra; parimenti chiusi moltissimi seminari, scuole, conventi e case annesse alle chiese. In quasi tutti gli Stati fu ristretto e fissato al minimo il numero dei sacerdoti destinati ad esercitare il sacro ministero, e questi neppure lo possono esercitare se non sono iscritti presso il magistrato, oppure da lui non ne hanno ottenuto il permesso. In alcune zone sono state poste condizioni tali all’esercizio del ministero, che, se non si trattasse di cosa tanto lagrimevole, moverebbero alle risa: come per esempio, che i sacerdoti debbono avere un’età fissa, essere uniti nel cosiddetto matrimonio civile e non battezzare se non con l’acqua corrente. In uno degli Stati della Federazione fu decretato che vi fosse un Vescovo solo dentro i confini dello stesso Stato, per cui sappiamo che due Vescovi dovettero andarsene in esilio dalle loro Diocesi. Costretti poi dalla situazione creatasi, altri Vescovi dovettero allontanarsi dalla loro propria sede; altri furono deferiti ai tribunali; parecchi furono arrestati ed altri sono sul punto di esserlo.

Inoltre, a tutti i Messicani impegnati nell’educazione dell’infanzia o della giovinezza, o in altri pubblici uffici, fu chiesto di rispondere se stessero col presidente della repubblica e se approvassero la guerra fatta alla Religione Cattolica; gli stessi furono per di più costretti, per non essere rimossi dall’ufficio, a prendere parte, insieme con i soldati e gli operai, ad un corteo indetto da quella Lega Socialista che chiamano Lega Regionale Operaia del Messico; tale corteo, sfilato per la città del Messico e per altre città in uno stesso giorno, e tenutosi fra empie concioni al popolo, mirava appunto a fare approvare con le grida e col plauso degli intervenuti, caricando di contumelie la Chiesa, l’azione dello stesso presidente.

Né qui si arrestò l’arbitrio crudele dei nemici. Uomini e donne che difendevano la causa della Religione e della Chiesa a viva voce e distribuendo fogli e giornali, furono trascinati in giudizio e posti in prigione. Così pure furono cacciati in carcere interi collegi di canonici, trasportandovi anche in lettiga i vecchi; sacerdoti e laici per le vie e per le piazze, innanzi alle chiese, furono spietatamente uccisi. Dio voglia che quanti hanno la responsabilità di tanti e così gravi delitti rientrino in sé una buona volta e ricorrano col pentimento e col pianto alla misericordia di Dio; siamo persuasi che questa è la vendetta nobilissima che i figli nostri iniquamente trucidati domandano, dinanzi a Dio, dei loro uccisori.  – Ora crediamo conveniente, Venerabili Fratelli, esporre brevemente in qual modo i Vescovi, i sacerdoti e fedeli del Messico siano insorti a resistere ed abbiano opposto una muraglia a difesa della casa di Israele e siano rimasti fermi nella lotta [2].  – Non vi poteva essere dubbio che i Vescovi messicani non tentassero unanimemente tutti i mezzi che erano in loro potere per difendere la libertà e la dignità della Chiesa. E anzitutto, diramata una lettera collettiva al popolo, dopo avere dimostrato ad evidenza che il clero si era sempre comportato con amore di pace, con prudenza e con pazienza verso i governanti della repubblica, tollerando anche con animo fin troppo remissivo le leggi poco giuste, ammonirono i fedeli, spiegando la dottrina della costituzione divina della Chiesa, che si doveva mantenere nella Religione Cattolica, in modo « da ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini » [3] ogni volta che si imponessero leggi non meno contrarie allo stesso concetto e nome di legge, che ripugnanti alla costituzione a alla vita medesima della Chiesa. Promulgata poi dal presidente della repubblica la legge nefasta, con altra lettera collettiva di protesta i Vescovi dichiararono che accettare una legge siffatta era lo stesso che asservire la Chiesa e darla schiava ai governanti dello Stato, i quali, del resto, era evidente che non avrebbero desistito perciò dal loro intento. Essi volevano piuttosto astenersi dal pubblico esercizio del sacro ministero; perciò il culto divino, che non si poteva celebrare senza l’opera dei sacerdoti, dovesse del tutto sospendersi in tutte le Chiese della loro Diocesi, cominciando dall’ultimo giorno di luglio, nel qual giorno sarebbe entrata in vigore quella legge. Avendo poi i governanti comandato che le chiese fossero affidate dappertutto in custodia a laici scelti dal capo del municipio, e in nessun modo consegnate a coloro che fossero o nominati o designati dai Vescovi o dai sacerdoti (trasferendosi così il possesso delle chiese dalle autorità ecclesiastiche alle civili), i Vescovi, quasi dappertutto, interdissero ai fedeli di accettare la elezione che di loro avesse fatta l’autorità civile, e di entrare in quei templi che avessero cessato di essere in mano della Chiesa. In qualche parte, secondo la varietà dei luoghi e delle cose, fu provveduto diversamente.  – Con tutto ciò, non crediate, Venerabili Fratelli, che i Vescovi Messicani abbiano trascurato qualsiasi opportunità e comodità che loro si desse, atta a quietare gli animi e a ricondurli alla concordia, quantunque diffidassero, o anzi piuttosto disperassero, di qualsiasi buon esito. Consta infatti che i Vescovi, che nella città di Messico fungono in certo modo da procuratori dei loro colleghi, scrissero una lettera molto cortese e rispettosa al presidente della repubblica, in favore del Vescovo di Ueputla, il quale era stato trascinato in modo indegno e con grande apparato di forza nella città chiamata Pachuca; ma non è meno noto che il presidente rispose loro in forma iraconda ed odiosa. Essendosi poi alcune egregie persone, amanti della pace, interposte spontaneamente perché il presidente stesso volesse incontrare l’Arcivescovo di Morelia e il Vescovo di Tabasco, da ambo le parti si discusse molto e a lungo, ma senza frutto. Successivamente i Vescovi discussero se chiedere alla Camera legislativa l’abrogazione di quelle leggi che si opponevano ai diritti della Chiesa, ovvero continuare, come prima, la resistenza, così detta passiva; per più ragioni, infatti, sembrava loro che a nulla avrebbe approdato il presentare una istanza del genere. Presentarono tuttavia la petizione, redatta da Cattolici assai competenti nel diritto e da loro medesimi con ogni diligenza ponderata; e a tale petizione, per cura dei soci della Federazione per la difesa della libertà religiosa, di cui diremo più appresso, si aggiunsero moltissime sottoscrizioni di cittadini d’ambo i sessi. Ma i Vescovi avevano bene previsto quello che sarebbe successo, giacché il congresso nazionale rigettò, con suffragio di tutti, salvo uno, la petizione propostagli e ciò per la ragione che i Vescovi erano privi di personalità giuridica, avevano fatto ricorso al Sommo Pontefice, e non volevano riconoscere le leggi della Nazione. Ora, che cosa restava da fare ai Vescovi se non decidere che niente si mutasse nella condotta loro e in quella del popolo, se prima non fossero state abrogate le leggi ingiuste? Così i governanti degli Stati federati, abusando del loro potere e della mirabile pazienza del popolo potranno sì minacciare al clero ed al popolo messicano anche peggiori cose; ma come superare e vincere uomini disposti a sopportare qualsiasi sofferenza, purché non si concluda un accordo che possa recare qualche danno alla causa della libertà cattolica?  – La stupenda costanza dei Vescovi fu imitata dai preti, che la ricopiarono meravigliosamente fra le incresciose vicende del conflitto, sicché i loro esempi straordinari di virtù, che furono a Noi di sommo conforto, Noi manifestiamo al cospetto di tutto il mondo cattolico e li lodiamo perché « ne sono degni » [4].  – E su questo punto, quando ripensiamo che — sebbene nel Messico siano state adoperate tutte le arti, e gli sforzi e le vessazioni usate dagli avversari mirassero soprattutto ad allontanare clero e popolo dalla Sacra Gerarchia e dalla Sede Apostolica — nondimeno fra tutti i sacerdoti, che ivi si contano a quattromila, solo uno o due tradirono miseramente il loro dovere, Ci sembra che tutto possiamo sperare dal Clero Messicano. Noi vediamo, infatti, questi sacerdoti stare fra loro unitissimi e obbedire di cuore e con rispetto agli ordini dei loro Prelati, quantunque ciò non vada per lo più senza loro grave danno; vivere del sacro ministero, ed essendo essi poveri e non avendo di che sostentare la Chiesa, sopportare la povertà e la miseria con energia; celebrare il santo Sacrificio in privato; provvedere con tutte le forze alle necessità spirituali dei fedeli e alimentare ed eccitare in tutti attorno a sé la fiamma della pietà; inoltre con l’esempio, coi consigli e con le esortazioni sollevare a più alto ideale le menti dei loro concittadini e fortificarne le volontà a perseverare nella resistenza passiva. Chi dunque si meraviglierà che l’ira e la rabbia degli avversari principalmente e innanzitutto si sia rivolta contro i sacerdoti? Questi, d’altra parte, non hanno esitato ad affrontare, quando necessario, il carcere e la stessa morte con volto sereno e animo coraggioso. Quanto poi si è saputo in questi ultimi giorni è cosa che oltrepassa le stesse inique leggi che abbiamo ricordate, e tocca il colmo dell’empietà, giacché vengono assaliti improvvisamente i sacerdoti quando celebrano, in casa propria o altrui; viene turpemente oltraggiata la santissima Eucaristia e gli stessi sacri ministri vengono condotti in prigione.

Né loderemo mai abbastanza i coraggiosi fedeli del Messico, i quali hanno ben capito di quale importanza sia per loro che quella cattolica Nazione in cose così gravi e così sante, come il culto di Dio, la libertà della Chiesa e la cura della eterna salvezza delle anime, non dipenda dall’arbitrio e dall’audacia di pochi, ma sia governata una buona volta, e per benignità di Dio, con giuste leggi conformi al diritto naturale e divino, e all’ecclesiastico.  – Un encomio del tutto singolare dobbiamo attribuire alle Associazioni Cattoliche, le quali, in questi frangenti, stanno a fianco del clero come milizie di presidio. Infatti i membri di esse, per quanto è da loro, non solo provvedono a sostentare e a soccorrere i sacerdoti, ma anche vigilano sugli edifici sacri, insegnano la Dottrina Cristiana ai fanciulli, e come sentinelle stanno di guardia, per avvertire i sacerdoti, affinché nessuno resti privo della loro assistenza. E questo vale per tutti; ma vogliamo dire qualcosa delle principali associazioni, perché ciascuna sappia di essere sommamente approvata e lodata dal Vicario di Gesù Cristo. In primo luogo la Società dei Cavalieri di Colombo, la quale, estendendosi a tutta la repubblica, si compone per buona sorte di uomini attivi ed operosi, che per la pratica delle cose, per l’aperta professione della fede e per lo zelo nell’aiutare la Chiesa, vanno grandemente segnalati; essa promuove specialmente due opere, che per i tempi sono opportune quanto mai: intendiamo il sodalizio nazionale dei padri di famiglia, il cui programma è educare cattolicamente i propri figli, e rivendicare il diritto proprio dei genitori cristiani di istruire liberamente la prole e, qualora essa frequenti le pubbliche scuole, di darle una sana e piena istruzione religiosa; intendiamo la Federazione per la libertà religiosa, finalmente istituita quando apparve più chiaro del sole che un immenso cumulo di mali minacciava la vita cattolica. Poiché tale Federazione si estese successivamente a tutta la Nazione, i soci si adoperarono concordemente e assiduamente per ordinare ed istruire tutti i Cattolici e farne come un fronte unico gagliardissimo da opporre agli avversari. Non diversamente dai Cavalieri di Colombo, furono e sono grandemente benemeriti della Chiesa e della patria altre due associazioni, le quali, secondo il proprio programma, hanno particolare cura della cosiddetta azione cattolica sociale: vale a dire la Società Cattolica della Gioventù Messicana, e quella delle Dame Messicane. Entrambi i sodalizi, infatti, oltre quello che è proprio di ciascuno, assecondano e fanno che siano da tutti assecondate in ogni luogo le iniziative della citata Federazione per la libertà religiosa. E qui, senza tener dietro ai singoli fatti, una cosa sola Ci piace, Venerabili Fratelli, farvi conoscere, ed è che tutti i soci e le socie di questi sodalizi hanno così poca paura che, lungi dal fuggire, cercano i pericoli, e godono anzi quando loro tocchi di soffrire per colpa degli avversari. Oh, spettacolo bellissimo, dato al mondo e agli Angeli e agli uomini! oh, fatti degni di eterno encomio! Giacché, come sopra accennammo, non sono pochi — o dei Cavalieri di Colombo, o dei capi della Federazione e delle Signore o dei Giovani —, che vengono ammanettati, condotti per le vie in mezzo a squadre di soldati, chiusi in immonde prigioni, trattati aspramente e puniti con pene e multe. Anzi, Venerabili Fratelli, alcuni di quegli adolescenti e di quei giovani, e nel dirlo appena possiamo trattenere le lagrime, con in mano la corona e sul labbro le invocazioni a Cristo Re hanno incontrato volentieri la morte; alle nostre vergini, chiuse in carcere, sono stati recati i più indegni oltraggi, e ciò di proposito si è divulgato per intimidire le altre e farle venir meno al proprio dovere.

Quando il benignissimo Iddio, Venerabili Fratelli, sia per imporre modo e termine a siffatte calamità, nessuno può congetturare e anche solo col pensiero prevedere; questo soltanto sappiamo: che verrà finalmente un giorno in cui la Chiesa Messicana riposerà da questa procella di odii, perché, giusta i divini oracoli, « non c’è sapienza, non c’è prudenza, non c’è consiglio contro il Signore » [5], e « le porte del’inferno non prevarranno » [6] contro la immacolata Sposa di Cristo.  – In verità la Chiesa, destinata all’immortalità, dal dì della Pentecoste, nel quale uscì, ricca dei doni e dei lumi dello Spirito Santo, dal chiuso recinto del Cenacolo all’aperto dell’umanità, che altro ha fatto per i venti secoli passati e fra le genti tutte, se non « spargere il bene dappertutto » [7] sull’esempio del suo Fondatore? Questi benefìci avrebbero dovuto conciliare alla Chiesa l’amore di tutti; ma le toccò il contrario, come del resto lo stesso Divino Maestro aveva preannunziato [8]. Perciò la navicella di Pietro ora navigò felicemente, col favore dei venti, ora apparve soverchiata dai flutti e quasi sommersa: ma non ha sempre con sé il divino Nocchiero, che può placare a tempo opportuno le ire del mare e dei venti? Se non che Cristo, che è il solo Onnipotente, fa servire a bene della Chiesa tutte le persecuzioni con cui vengono bersagliati i Cattolici; giacché come attesta Sant’Ilario « è proprio della Chiesa vincere quando è perseguitata, rifulgere alle intelligenze quando viene contestata, fare delle conquiste quando è abbandonata » [9].  – Se tutti coloro che nella Repubblica Messicana infieriscono contro i loro stessi fratelli e concittadini, rei soltanto d’osservare la legge di Dio, richiamassero alla memoria e ben considerassero spassionatamente le vicende storiche della loro patria, non potrebbero non riconoscere e confessare che tutto quanto esiste tra loro di progresso e di civiltà, di buono e di bello, ha origine indubbiamente dalla Chiesa. Nessuno, infatti, ignora che, fondata ivi la Cristianità, i sacerdoti e i religiosi segnatamente, che ora vengono con tanta ingratitudine e crudeltà perseguitati, si adoperarono, con immense fatiche e nonostante le gravi difficoltà opposte dai coloni divorati dalla febbre dell’oro da una parte, e dall’altra dagli indigeni ancora barbari, a promuovere in gran copia per quelle vaste regioni lo splendore del culto divino, i benefìci della Fede Cattolica; le opere e le istituzioni di carità, le scuole e i collegi per l’istruzione e l’educazione del popolo nelle lettere, nelle scienze sacre e profane, nelle arti e nelle industrie.  – Non ci resta, Venerabili Fratelli, che supplicare e implorare la Beatissima Nostra Signora di Guadalupe, celeste Patrona della Nazione Messicana, che voglia perdonare le ingiurie anche contro di Lei commesse, e impetrare per il suo popolo il ritorno della pace e della concordia; se poi, per arcano consiglio di Dio, dovrà essere ancora lontano questo desideratissimo giorno, voglia Ella consolare gli animi dei fedeli messicani e confortarli a sostenere la loro libertà nel professare la fede.   – Intanto, come auspicio delle grazie divine e attestazione della Nostra benevolenza paterna, a Voi, Venerabili Fratelli, a quelli specialmente che governano le Diocesi messicane, a tutto il clero e al vostro popolo, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 18 novembre 1926, anno quinto del Nostro Pontificato.

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: UBI PRIMUM di PIO IX

Questa lettera, che porta identico nome di un’altro importantissimo ocumento di Leone XII del 1824 (già riportato in questa nostra serie), è una delle prime Encicliche di Pio IX, il quale presagiva già l’infiltrazione del clero da parte di empi corruttori delle fede cattolica. Il Santo Padre cercò di porre argine con questa lettera a questo morbo infetto e mortale per le anime, facendola seguire poi da altri importanti documenti. Qui ebbe cura anche di istituire una Congregazione cardinalizia che si occupasse in modo specifico dello “stato degli ordini regolari”. Le raccomandazioni erano rivolte in particolare alla scelta ed alla cura dei giovani che desideravano intraprendere la vita religiosa. Sua Santità aveva intuito, da profondo ed ispirato conoscitore delle trame del “secolo”, che gli empi demolitori dell’opera di Cristo, erano al lavoro proprio per corrompere i costumi non solo della società civile, ma nello specifico, della gioventù che si avviava al noviziato ecclesiale. A tutti oramai è noto come questa strategia della “quinta colonna”, si sia sviluppata nei decenni successivi, onde rendere possibile il “colpo di stato” del 1958 in Vaticano, ed il “ribaltone conciliare” che ha messo sottosopra, la Chiesa cattolica, invertendone tutti i valori e gli aspetti con certosina pazienza e gradualità centellinata in modo da non dar troppo nell’occhio ad incauti ed imprudenti ignoranti colpevolmente la dottrina. Lo spettacolo odierno è sotto gli occhi di tutti, ed è proprio il caso di ribadire il consiglio divino di Gesù, che riportato dal cap. VII di S. Matteo, diceva: “… dai frutti li giudicherete”. Certo oggi assistiamo all’obbrobrio di chierici omosessuali dichiarati ed inverecondi, di pedofili pubblici da sacrestia ed oratorio, per non parlare dei seminari (falsi per fortuna), gli allegri “Gay villages” come oggi si definiscono, delle diocesi maggiori. E allora, dobbiamo dichiarare Pio IX un fallito, la sua politica pontificia perdente ed abbattuta? A giudicare dalla falsa chiesa del “Novus ordo”, sì, è così. Ma ricordiamo che il documento, come tutto il Magistero pontificio, “luogo teologico” per eccellenza, non passerà mai, come la parola del Capo fondatore Gesù Cristo ci ha assicurato, e questa lettera diventerà la pietra fondante di una nuova generazione di figure clericali, figure sante, immacolate, come le desidera il “Capo”, e sarà stampato nella memoria e nella volontà di coloro che vogliono essere sinceri collaboratori dell’opera della Chiesa cattolica, pietre vive dell’edificio eterno della nuova Sion, la Santa Chiesa Cattolica: una, santa cattolica, apostolica romana che, dopo la sua momentanea eclisse, come Gesù nel sepolcro, tornerà a risplendere quando, dichiarata morta dagli infami e dagli empi festanti “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, risorgerà per brillare luminosa fino alla fine dei tempi. … et “non praevalebunt”.

Pio IX
Ubi primum

Quando, per arcana decisione della divina Provvidenza, fummo elevati al governo di tutta la Chiesa, fra le precipue cure e sollecitudini del Nostro Ministero Apostolico nulla avemmo più a cuore che abbracciare con singolare affetto della Nostra paterna carità le vostre Religiose Famiglie, seguirle, proteggerle e difenderle con la massima attenzione, interessati a provvedere al loro sempre maggior bene e splendore. Esse, infatti, istituite – per la maggior gloria di Dio Onnipotente e per procurare la salvezza delle anime – ad opera di santissimi uomini sotto l’afflato dello Spirito Santo, e confermate da questa Sede Apostolica, con le loro molteplici caratteristiche formano quella bellissima varietà che mirabilmente abbellisce la Chiesa, e costituiscono quelle scelte milizie ausiliarie che furono sempre di grandissimo ornamento e di aiuto sia alla comunità cristiana, sia alla società civile. – Infatti i loro membri, chiamati per singolare dono divino a professare i precetti della sapienza evangelica, stimando che per loro nulla vale a confronto dell’eminente scienza di Cristo Gesù, disprezzando con animo eccelso e invitto tutti i beni della terra e guardando unicamente a quelli celesti, furono sempre visti intenti ad opere egregie e a compiere gloriose imprese con le quali hanno così grandemente meritato, sia per la Chiesa Cattolica che per la società civile. Nessuno infatti ignora né può ignorare che le Famiglie Religiose fin dalla loro prima istituzione furono celebri per la presenza di innumerevoli uomini egregi che, insigni per tante opere di dottrina e di cultura, con l’ornamento di tutte le virtù, risplendenti della gloria della santità, illustri anche per altissime cariche e ardenti di grandissimo amore verso Dio e verso gli uomini; fatti spettacolo al mondo, agli Angeli e agli uomini, non trovarono nulla di più delizioso che dedicarsi giorno e notte con ogni cura e costanza alla meditazione delle cose divine, portare sempre nel proprio corpo la mortificazione di Gesù, propagare la fede e la dottrina cristiana dal sorgere al tramontar del sole, combattere decisamente per esse, sopportando validamente amarezze, tormenti e supplizi, e dando anche la vita, per condurre popoli rudi e barbari dalle tenebre dell’errore, da costumi selvaggi e dalla abiezione del vizio alla luce della verità evangelica e alla cultura di una società civile, coltivando le lettere, le varie discipline e le arti, salvandoli dalla rovina; plasmando le tenere menti dei giovanetti e i loro ingenui cuori alla pietà e alla onestà, arricchendoli di sane dottrine e richiamando gli erranti alla salvezza. E questo non basta; infatti, rivestiti di intima misericordia, non c’è alcun genere di eroica carità che essi non abbiano esercitato, come prestare ogni genere di aiuto della cristiana beneficenza e provvidenza ai prigionieri rinchiusi nelle carceri, ai malati, ai moribondi e a tutti i miseri, ai poveri, ai colpiti da calamità per lenire il loro dolore, tergere le lacrime e provvedere alle loro necessità con ogni opera e possibile aiuto. – Da qui consegue che i Padri e i Dottori della Chiesa meritatamente e a pieno titolo hanno sempre esaltato con grandi lodi questi amanti della perfezione evangelica e hanno sempre combattuto contro i loro oppositori che temerariamente osano denunciare queste Sacre Istituzioni come inutili ed esiziali per la società. – I Pontefici Romani Nostri Predecessori, dimostrando sempre un benevolo affetto verso gli Ordini Regolari, non hanno mai desistito dal proteggerli con il patrocinio dell’Autorità Apostolica, dal difenderli e dal gratificarli con privilegi ed onori sempre maggiori, ben sapendo quali e quanti vantaggi ed utilità da questi Ordini si sono riversati in ogni tempo sull’intera Cristianità. Anzi, i Nostri Predecessori furono sempre tanto solleciti per questa così eletta porzione del gregge del Signore, che, appena sono venuti a sapere che il nemico di nascosto seminava zizzania in mezzo al buon grano e che le piccole volpi demolivano i fiorenti tralci, immediatamente si sono adoperati con ogni cura a svellere dalle radici e a distruggere qualsiasi cosa che potesse impedire i frutti copiosi e lieti della buona semente. Per questa ragione specialmente Clemente VIII, e pure Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII, Clemente IX, Innocenzo XI, e così pure Innocenzo XII, Clemente XI, Pio VII, Leone XII, Nostri Predecessori, sia prendendo salutari deliberazioni, sia emanando sapientissimi Decreti e Costituzioni non cessarono di usare tutti i mezzi della vigilanza Pontificia per rimuovere radicalmente i mali che in circostanze tristissime di eventi e di tempi si erano insinuati nelle Famiglie Religiose, onde difendere o restaurare in esse la regolare disciplina. – Noi, pertanto, per il grande amore che nutriamo per questi Ordini, emulando gli esempi illustri dei Nostri Predecessori e ispirandoci soprattutto alle sapientissime decisioni dei Padri del Concilio Tridentino, per il Nostro supremo ufficio di Apostolato abbiamo deciso di rivolgere tutte le nostre cure e i Nostri pensieri, con tutto l’affetto del cuore, alle vostre Famiglie Religiose, con lo speciale intento di consolidare ciò che fosse malfermo, di risanare ciò che fosse malato, di riannodare ciò che fosse sciolto, di recuperare ciò che fosse perduto, di rialzare ciò che fosse caduto, affinché rifioriscano l’integrità dei costumi, la santità della vita, l’osservanza della regolare disciplina, gli studi delle lettere, delle scienze, specialmente di quelle sacre, e le regole proprie di ciascun Ordine siano sempre più vigorose e fiorenti. Sebbene Ci rallegriamo nel Signore che vi siano molti membri di queste sante Famiglie che, memori della loro santa vocazione e distinguendosi nell’esempio di tutte le virtù e per la larghezza del sapere, si sforzano – seguendo santamente le vestigia dei loro Padri fondatori – di lavorare nel ministero della salvezza e di diffondere ovunque il buon profumo di Cristo, tuttavia Ci rattristiamo di trovare alcuni che, dimentichi della loro professione religiosa e della loro dignità, si sono talmente allontanati dalle Regole assunte che, non senza un grandissimo danno degli stessi Ordini e dei Fedeli, mettono in mostra soltanto una parvenza e un atteggiamento di pietà, mentre poi contraddicono con la vita e i loro costumi la santità, il nome e l’abito degli stessi Istituti che hanno abbracciato. – Inviamo quindi a Voi, Diletti Figli, che siete alla guida di codesti Ordini, questa Lettera che vi annuncia la Nostra sollecita e premurosa volontà, riguardo a Voi e ai Vostri Ordini Religiosi, e la Nostra intenzione di restaurare la regolare disciplina. Questa decisione intende soltanto raggiungere, stabilire e portare a termine, con l’aiuto di Dio, tutto quello che può contribuire a difendere l’incolumità e la prosperità di ciascuna Famiglia Religiosa, per procurare il vantaggio dei popoli, estendere il culto di Dio e accrescere sempre più la Gloria di Dio. Infatti nell’opera di rinnovamento della disciplina dei vostri Ordini, il Nostro intento e il Nostro desiderio sono di poter avere dagli stessi Ordini operai attivi e diligenti, che si distinguano non soltanto per la pietà, ma anche per la sapienza, perfetti uomini di Dio, preparati ad ogni iniziativa buona, in modo che possiamo usare della loro opera nel coltivare la vigna del Signore, nel propagare la fede cattolica, specialmente fra i popoli infedeli, e nel curare i gravissimi problemi della Chiesa e di questa Sede Apostolica. Affinché poi si realizzi prosperamente e felicemente un’impresa di tanta importanza per la religione e per gli stessi Ordini Regolari, come è grandissimo desiderio di tutti, e si raggiunga l’effetto auspicato, ripercorrendo le vestigia dei Nostri Predecessori abbiamo istituito una speciale Congregazione dei Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, che abbiamo denominata “Dello Stato degli Ordini Regolari“, affinché questi Nostri Venerabili Fratelli con la loro singolare sapienza, con la loro prudenza, con il loro consiglio e con la loro esperienza nell’operare Ci diano una mano in un’impresa tanto importante. – Ma a compartecipare a quest’opera chiamiamo anche Voi, Figli Diletti, e ardentemente Vi ammoniamo, esortiamo e scongiuriamo nel Signore di voler collaborare attivamente in questo Nostro lavoro, affinché il Vostro Ordine Religioso rifulga della pristina dignità e del primitivo splendore. Pertanto, per il posto che occupate, per l’ufficio di cui siete stati insigniti, non lasciate nulla di intentato affinché i Religiosi a Voi soggetti, meditando seriamente sulla vocazione alla quale sono stati chiamati, degnamente camminino in essa e si adoperino ad osservare sempre religiosamente quei voti che un tempo hanno fatto a Dio. – Provvedete con ogni vigilanza che essi, seguendo le vestigia insigni dei loro Maggiori, custodendo la santa disciplina, avversando completamente gli allettamenti del mondo, gli spettacoli e le occupazioni cui hanno rinunciato, si dedichino incessantemente alla preghiera, alla meditazione delle cose celesti, allo studio e alla lettura; si occupino della salvezza delle anime secondo le norme del proprio Istituto e, mortificati nella carne, ma vivificati nello spirito, si mostrino al Popolo di Dio modesti, umili, sobrii, benigni, pazienti, giusti, irreprensibili nell’integrità e nella castità, ferventi nella carità, degni di essere onorati per la sapienza, per non essere di offesa a chicchessia, ma in grado di mostrare a tutti l’esempio di buone opere, affinché chi è contrario si vergogni, non avendo nulla da dire contro di essi. Voi ben sapete di quale santità di vita e di quale ornamento di tutte le virtù devono risplendere coloro che, avendo rigettato radicalmente tutte le blandizie, le voluttà, gl’inganni e le vanità delle cose umane, hanno promesso e si sono consacrati a Dio soltanto e al culto di Dio, affinché il popolo cristiano, guardando a loro come in un nitidissimo specchio, ne tragga argomenti di pietà, di fede e di ogni virtù, onde percorrere le vie del Signore con passo sicuro. – E poiché lo stato e il decoro di ogni Religiosa Famiglia dipendono dalla oculata ammissione dei postulanti e dalla loro migliore formazione, Vi esortiamo caldamente di esaminare prima con cura l’indole, l’intelligenza, i costumi di coloro che vogliono entrare nella vostra Religiosa Famiglia e di investigare per quale deliberazione, con quale spirito e per quale ragione si sentano portati ad iniziare la vita religiosa. E allorché avrete conosciuto che essi nel disegno di abbracciare la vita religiosa non aspirano ad altro che alla gloria di Dio, all’utilità della Chiesa, alla salvezza propria ed altrui, dedicatevi con ogni cura e diligenza a quest’opera; cioè che nel tempo del probandato e noviziato siano educati piamente e santamente da ottimi Maestri, secondo le regole del proprio Ordine, e siano formati all’esercizio di ogni virtù e a vivere perfettamente la Regola di vita dell’Istituto che hanno abbracciato. E poiché fu sempre un particolare e illustre titolo di lode degli Ordini Regolari il favorire e coltivare lo studio delle lettere e illustrare la scienza delle cose divine e umane con tante opere dotte e laboriose, per questo Noi grandemente Vi invitiamo e Vi esortiamo a promuovere con la massima cura e solerzia la gestione degli studi e con ogni sforzo far sì che i vostri alunni si dedichino costantemente all’apprendimento delle lettere umanistiche e delle più severe discipline, specialmente quelle sacre, affinché essi per primi preparati nelle più sane e acute dottrine, sappiano affrontare le mansioni del proprio ufficio ed esercitare i sacri ministeri con fede e sapienza. Poiché grandemente desideriamo che tutti coloro che militano nel campo del Signore, tutti ad una sola voce rendano gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo e, perfetti nel medesimo sentimento e nel pensiero, siano solleciti nell’osservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace, Venerabili Fratelli, Noi Vi chiediamo che, uniti ai Vescovi ed al Clero secolare con strettissimo vincolo e patto di concordia e di carità, con somma unione di animi, niente Vi stia più a cuore che usare tutte le Vostre forze per l’opera del ministero, per l’edificazione del Corpo di Cristo, emulando sempre i migliori carismi. “Esistendo infatti un’unica Chiesa di Prelati Regolari e Secolari e di sudditi, sia esenti o non esenti, al di fuori della quale nessuno può salvarsi, e che hanno tutti lo stesso Signore, la stessa fede ed un unico Battesimo, è necessario che tutti coloro che appartengono allo stesso Corpo abbiano anche la stessa volontà e, come fratelli, siano sempre stretti dal vincolo della carità” . – Queste sono le esortazioni e gli ammonimenti che abbiamo voluto esprimere con questa Nostra Lettera, affinché comprendiate quanta benevolenza nutriamo per Voi e le Vostre Religiose Famiglie e con quanta sollecitudine vorremmo provvedere alla conduzione, all’utilità, alla dignità e allo splendore delle Vostre comunità. Non dubitiamo che anche Voi, per la Vostra esimia pietà, virtù, prudenza e per il grandissimo amore verso il Vostro Ordine, sarete santamente orgogliosi di rispondere pienamente ai Nostri desideri, alle Nostre cure e ai Nostri consigli. – Con questa fiducia e con questa speranza, e come testimonianza della Nostra particolarissima benevolenza e carità verso Voi e tutti i Religiosi Vostri Confratelli, impartiamo a Voi, Diletti Figli Religiosi, e ad essi, con tutto il cuore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 17 giugno 1847, anno primo del Nostro Pontificato.