QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
In questa breve lettera, il Santo Padre, denuncia abusi e violenze che furono perpetrati nei confronti del clero prussiano, vessato da leggI ingiuste e crudeli che impedivano l’esercizio delle loro funzioni e dei compiti sacri, oltre che impedire ai fedeli l’esercizio del culto cattolico. È uno dei tanti episodi che hanno coinvolto l’Europa ed il mondo Cristiano nella lotta senza quartiere che il demonio scatenato cominciava a portare con veemenza contro la Chiesa di Cristo, servendosi delle logge e conventicole massoniche e di loschi e facinorosi individui legati ai culti satanici. È la medesima lotta che ha raggiunto oggi apici inauditi, lotta condotta frontalmente, ed ancor più dall’interno dei sacri palazzi, in mano ad apostati e spesso fasulli chierici corrotti, che hanno in pratica usurpato tutti i luoghi sacri della cristianità mondiale, lasciando alla Chiesa Cattolica caverne, anfratti, sotterranei, catacombe moderne, ove esercitare “eclissati” i santi Misteri cristiani. I poteri civili, forti o deboli che siano, finanziari, politici, economici, pseudoreligiosi, sono tutti ben coesi in questa lotta portata contro il Cristo e la sua Chiesa, esattamente come il salmo II la descriveva con largo anticipo già millenni orsono … Astiterunt reges terrae, et principes convenerunt in unum adversus Dominum, et adversus Christum ejus. Dirumpamus vincula eorum, et projiciamus a nobis jugum ipsorum. – Ma se il Signore lo permette, come pure scrive il Santo Padre qui, darà anche la possibilità ai pochi suoi residui seguaci, il pusillus grex, di resistere, perseverare ed infine trionfare con Dio stesso che avrà un giorno non lontano pieno potere su questi ribaldi e temerari falsi adoratori e fedeli paganizzati autoproclamantesi cattolici modernizzati (leggi: satanizzati). Ancora lo stesso salmo ci incoraggia a non temere perchè Iddio si riderà di questi nemici accaniti, indomiti, corrotti e dominati da passioni sozze che già furono bruciate in un attimo a Sodoma e a Gomorra … Qui habitat in cælis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos,Tunc loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos. Con animo di fedeli pronti al martirio, pur di difendere la causa del Signore nostro Gesù Cristo, leggiamo questo breve documento ed ampliandolo negli effetti nefasti che già coinvolgono il Corpo mistico e visibile (se pur oggi sotterraneo) di Cristo; facciamolo nostro nella preghiera perché il Signore voglia abbreviare il tempo che ci separerà dalla sua seconda venuta, per distruggere, con il soffio della sua bocca, l’anticristo con l’esercito dei suoi adepti. E come allora il Santo Padre ci ammoniva, temano i pseudochierici – di destra (fallibilisti lefebvriani e cani sciolti della galassia sedevacantista) e di sinistra (i settari del novus ordo e della chiesa dell’uomo) – ed i loro colpevoli fedeli, le parole di Pio IX: “… Anzi dichiariamo che codesti uomini insani e quanti altri in avvenire si inserissero con tale atto criminoso nel governo della Chiesa, sono incorsi e incorrono nella scomunica maggiore di diritto e di fatto, a norma dei sacri canoni; esortiamo i devoti fedeli a non partecipare ai loro riti, a non ricevere da loro i Sacramenti e ad astenersi saggiamente dall’entrare in rapporto con essi, affinché il malvagio fermento non corrompa le masse incontaminate”. Et IPSA conteret caput tuum … ed alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!
Pio IX
Quod nunquam
Quello che ritenevano non sarebbe mai successo, considerando ciò che nel 1821 era stato stabilito con decisione comune tra questa Sede Apostolica e il supremo potere di Prussia a favore dell’incolumità e del bene della cattolicità, purtroppo abbiamo visto accadere in questi tempi in codeste vostre regioni, o Venerabili Fratelli, dove alla tranquillità di cui godeva la Chiesa è subentrata una crudele e inattesa tempesta. Infatti, alle leggi che non molto tempo fa furono promulgate contro i diritti della Chiesa e che colpirono molti ecclesiastici e molti fedeli rigorosi nell’adempiere al loro dovere, ne sono state aggiunte altre che sovvertono radicalmente la divina costituzione della Chiesa e violano i sacri diritti dei Vescovi. – Invero con queste leggi si concede ai giudici laici il potere di privare della loro dignità e della loro funzione i Vescovi e l’altro clero preposto alla cura delle anime; vengono frapposti molti e gravi intralci a coloro che dovrebbero esercitare la legittima giurisdizione in sostituzione dei Pastori assenti; si ordina ai Capitoli Cattedrali di designare i Vicari quando la sede vescovile, secondo i canoni, non è ancora vacante; infine, per dirla in breve, è concessa facoltà ai prefetti delle province di nominare individui, anche acattolici che sostituiscano i Vescovi e che in loro vece e con pari diritto presiedano, nelle Diocesi, all’amministrazione dei beni temporali, siano questi destinati a persone sacre o ad uso ecclesiastico. Voi ben sapete, Venerabili Fratelli, quali danni e vessazioni siano derivati da tutte queste leggi e dalla loro severa applicazione. Di proposito tralasciamo tutto ciò per non accrescere il comune dolore con luttuosi ricordi; ma non possiamo tacere la tragedia delle Diocesi di Gnesna, di Posnania e di Paderborn: tradotti in carcere i Venerabili Fratelli Miecislao, Arcivescovo di Gnesna e Posnania, e Corrado, Vescovo di Paderborn; emessa contro di loro una sentenza che con somma ingiuria li dichiara decaduti dalla loro sede vescovile e dalla loro autorità; le suddette Diocesi, private del sostegno dei loro eminenti pastori, sono state miseramente travolte da un cumulo di gravi difficoltà e di sventure. – I predetti Venerabili Fratelli non Ci sembrano da compiangere, ma da ammirare e da colmare di gratitudine perché memori della divina parola: “Sarete beati quando gli uomini vi odieranno, vi segregheranno e vi ripudieranno e rifiuteranno il vostro nome come un abominio, a causa del Figlio dell’Uomo” (Lc. VI,22), non solo non si sono lasciati atterrire dall’incombente pericolo, e dalle sanzioni legali, nel custodire i diritti e le disposizioni della Chiesa in ossequio alla importanza del loro ministero; ma anzi ritennero motivo di onore e di gloria (come pure altri degnissimi Vescovi di codesta regione) l’aver subito per la giustizia una immeritata condanna e le pene riservate ai malfattori, dimostrando una eccelsa virtù che ricade a edificazione di tutta la Chiesa. Ma sebbene ad essi sia dovuto l’onore di una lode piuttosto che le lacrime della commiserazione, tuttavia il disprezzo della dignità vescovile, la violazione della libertà e dei diritti della Chiesa, le vessazioni che affliggono non solo le diocesi suddette ma anche le altre del Regno di Prussia, esigono che Noi, in virtù dell’ufficio apostolico che Dio Ci ha affidato sebbene immeritevoli, eleviamo le Nostre proteste contro quelle leggi da cui derivano tanti mali (e ne paventiamo altri ancora) e rivendichiamo la libertà della Chiesa, calpestata con iniqua violenza, ricorrendo a tutta la forza della ragione e alla santa autorità del diritto divino. Quindi con questa lettera intendiamo adempiere al Nostro dovere rendendo aperta testimonianza a tutti coloro che sono coinvolti in tale vicenda e a tutto il mondo cattolico che quelle leggi sono nulle in quanto si oppongono radicalmente alla divina costituzione della Chiesa. Infatti il Signore non ha messo a capo dei sacerdoti i potenti di questo secolo, per quanto riguarda il Sacro Ministero, ma il beato Pietro, al quale diede l’incarico di pascolare non solo i suoi agnelli ma anche le pecore (Gv XVI, 16-17); ; perciò nessun potere mondano, per quanto eccelso, può privare della potestà episcopale coloro “che lo Spirito Santo ha posto come Vescovi al governo della Chiesa di Dio” (At XX, 29). – A ciò si aggiunga un fatto del tutto indegno di gente civile, e che come tale crediamo sarà riconosciuto anche dagli acattolici che non siano faziosi; il fatto cioè che quelle leggi, irte di severe sanzioni che comminano aspre condanne a coloro che non le rispettano, e che dispongono di una forza militare per farle eseguire, pongono pacifici e inermi cittadini (giustamente contrari ad esse per un imperativo della loro coscienza: circostanza che gli stessi legislatori non potevano né ignorare né disprezzare) nella condizione di uomini miseri e afflitti, premuti e oppressi da una forza maggiore contro la quale non c’è difesa. Perciò quelle leggi non sembrano rivolte ad ottenere un ragionevole ossequio da liberi cittadini, ma quasi imposte a schiavi, per estorcere con la forza del terrore una obbedienza coatta. Tuttavia non vogliamo che la Nostra parola sia interpretata come giustificazione di coloro che per paura preferirono ubbidire agli uomini piuttosto che a Dio: e ancor meno che possano impunemente sottrarsi al giudizio divino quei malvagi, se ve ne sono, che, sorretti dal consenso della sola autorità civile, sfrontatamente occuparono le Chiese parrocchiali e in esse osarono esercitare le sacre funzioni. Anzi dichiariamo che codesti uomini insani e quanti altri in avvenire si inserissero con tale atto criminoso nel governo della Chiesa, sono incorsi e incorrono nella scomunica maggiore di diritto e di fatto, a norma dei sacri canoni; esortiamo i devoti fedeli a non partecipare ai loro riti, a non ricevere da loro i Sacramenti e ad astenersi saggiamente dall’entrare in rapporto con essi, affinché il malvagio fermento non corrompa le masse incontaminate. – In mezzo a queste calamità, valsero a lenire il nostro dolore il coraggio e la tenacia vostra che senza dubbio, Venerabili Fratelli, nel sostenere l’aspra battaglia trascorsa, furono emulati a gara dal resto del Clero e dai fedeli, i quali dimostrarono tanta forza d’animo nell’adempiere i doveri cattolici, tanto lodevolmente si comportarono da attirare su di sé gli sguardi e l’ammirazione di tutti, anche dei più lontani. Né poteva accadere diversamente; infatti “quanto è dannosa la caduta di chi precede nel provocare la caduta di chi segue, altrettanto invece è utile e salutare che il Vescovo si offra ai fratelli come esempio da imitare per fermezza di fede” (At V, 29). – Volesse il cielo che fossimo in grado di recarvi qualche conforto fra tante angustie! Ferma restando nel frattempo questa Nostra protesta finché tutto ciò si opporrà alla divina costituzione della Chiesa e alle sue leggi e finché durerà la violenza che ingiustamente vi è inflitta, non vi faremo mancare certamente i nostri consigli e gli opportuni ammonimenti, secondo le circostanze. – Sappiano poi, coloro che Vi sono ostili, che se Voi rifiutate di dare a Cesare ciò che appartiene a Dio, non recherete nessuna offesa all’autorità regia e nulla toglierete ad essa, poiché sta scritto: “È doveroso ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” (Ap II,3). E sappiano anche che ognuno di Voi è pronto a dare a Cesare il tributo e l’ossequio che sono dovuti al potere e all’autorità civile (non in seguito a minacce, ma per legge di coscienza). – Pertanto, compiendo con zelo l’uno e l’altro dovere, e obbedendo ai decreti di Dio, siate alacri d’animo e proseguite come avete cominciato. Infatti avete fatto un guadagno non piccolo se avete pazienza e se avete sopportato ogni prova in nome di Gesù e non avete disertato . Alzate lo sguardo a Colui che Vi ha preceduto soffrendo tormenti più gravi: “andò incontro a pena di morte ignominiosa, affinché le sue membra imparassero a fuggire le ambizioni mondane, a non temere affatto i terrori, ad amare le avversità in nome della verità, a rifiutare con spavento la prosperità” . Colui che Vi ha sospinti in questa battaglia, Vi darà forze adeguate ad essa. “In Lui è la speranza, a Lui sottomettiamoci e chiediamo misericordia” . Già vedete che è accaduto ciò che Egli aveva profetizzato: dunque abbiate fiducia che senza dubbio Egli manterrà la sua promessa. Egli disse: “Nel mondo sarete oppressi, ma abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo” (Gv XVI, 33). – Pertanto, fiduciosi in questa vittoria, imploriamo supplichevoli la pace e la grazia dallo Spirito Santo e come testimonianza del Nostro particolare affetto, a Voi, a tutto il Clero e ai Fedeli affidati alla Vostra vigilanza impartiamo con amore l’Apostolica Benedizione.
Dato a
Roma, presso San Pietro, il 5 febbraio 1875, anno ventinovesimo del Nostro
Pontificato.
Con questa “robusta” lettera Enciclica, il Santo Padre, appena insediato sulla Cattedra di Pietro, inaugura la lunga serie delle sue sollecitazioni, avvisi, consigli, tentativi riparativi, esortazioni pastorali, morali, teologiche ed altro contenute nei suoi numerosissimi, opportuni e fondamentali documenti, che lo annoverano tra i Papi più prolifici – da un punto di vista dottrinale – di ogni tempo, a difesa dei diritti della Sacrosanta Sede Apostolica, della Santa Chiesa di Dio, cioè dell’unica e vera Chiesa fondata da Cristo-Dio, cioè la Chiesa Cattolica Romana, dei popoli Cristiani, ed in definitiva dei diritti di Dio, diritti ai quali ogni uomo, volente o nolente, istruito o non edotto, giusto o peccatore, così come tutti i popoli del pianeta, sono tenuti ad essere soggetti e devono osservare strettamente in vista della salute eterna dell’anima e del benessere sociale e civile delle Nazioni. Vengono tracciate subito le linee di un Pontificato energico e di grandissimo vigore, in difesa di Dio e della Chiesa, e soprattutto del Pontificato che è la “vera” PIETRA, sulla quale si fonda tutta l’opera di Dio e del Figlio suo Unigenito Gesù-Cristo. Questa è la PIETRA di scandalo che il demonio, con i suoi adepti, ha sempre tentato di infrangere, con il risultato già dal Divin Maestro annunciato nella sua evangelica predicazione, di vedersi sfracellati e miseramente tramortiti, come è già successo a persecutori armati, principi, re, imperatori, ad eresiarchi e scismatici vari in ogni epoca. Ogni qual volta ci si è accaniti contro la Sede Apostolica ed il Vicario di Cristo, il risultato è stato sempre il medesimo: la distruzione totale e la sparizione dalla faccia della terra di quelli che si sono prestati all’opera temeraria e fallace, oltre al premio eterno che sicuramente satana riserva ai suoi più “fedeli” adepti. Oggi siamo nella situazione peggiore di sempre, oggi che le forze del male stanno attuando una strategia nuova, di azione distruttiva interna nella Chiesa, oltre che di dissolvimento sociale e civile mediante le conventicole massoniche disseminate in ogni ambito. Ma la vera strategia, apparentemente vincente, la stanno attuando i falsi prelati e i finti religiosi della quinta colonna, gestita dalle logge degli “Illuminati” che, una volta modificata e ribaltata la dottrina di Cristo, stanno propinando un falso culto agli ignari, ma colpevolmente ignoranti, fedeli a-cattolici dalle roccaforti della setta del Novus Ordo e della falsa chiesa dell’uomo – di “montiniana” fattura – da un lato, ma scaltramente pure da scismatici ed eretici pseudo-tradizionalisti tra i quali, guarda caso, occupano il primo posto i “fallibilisti” lefebvriani, e l’arcipelago delle sette sedevacantiste, che giungono addirittura a negare, con una sfacciataggine che ha dell’inverosimile, una verità di fede espressamente affermata e riaffermata da Gesù-Cristo e dalla sua Chiesa in diverse occasioni, dai Concili, dal Magistero, da tutta la Teologia dogmatica, dai Dottori e dai Padri della Chiesa, dalla Tradizione apostolica, da ogni fedele che abbia un minimo di sale nella zucca: che la Sede Apostolica è vacante da ben oltre sessanta anni, e la cui rioccupazione è demandata a … data da destinarsi. Sappiamo che lo scisma (delle sette sedevacantiste, come di quelle dei “classici” protestanti occidentali e degli scismatici orientali e bizantini), costituisce un peccato grave, oltre che eresia condannata con diverse censure, peccato oltretutto contro la Carità [come tutti i manuali di teologia morale insegnano], e San Paolo ci assicura che se non si ha la carità sono inutili i miracoli, i carismi anche i più straordinari, l’immolazione del proprio corpo dato alle fiamme, tutte le opere umane, etc. … come si legge nella prima lettera ai Corinti al ben noto capitolo XIII. Ma questo accecamento umanamente inspiegabile perché mai? Esso veramente è l’opera di satana volta contro il Vicario di Cristo, di cui oggi si nega perfino l’esistenza, o se ne ammette uno ( … o udite, udite, che orrore! …) … anzi due contemporaneamente reggenti, che sono eretici ed insegnano l’errore! Veramente questo è l’attacco più vergognoso e grave che mai sia stato sferrato contro il Papa, contro la Sede Apostolica e contro la Chiesa di Cristo. Ma ancora una volta, il “pusillus grex” Cattolico, ostinatamente stretto, mediante la Dottrina, a Gesù-Cristo, ha piena fiducia nel suo Capo celeste (… non prævalebunt!), nel suo Vangelo e, pur sapendo che lo aspetta un doloroso martirio, attende con fiducia che i nemici di Cristo siano sbaragliati rovinosamente e la sua Chiesa rifulga dello splendore che solo la Sposa Immacolata di Cristo può avere, e che sempre avrà fino alla fine dei tempi ( et IPSA conteret …). Facciamo quindi nostre le parole del Santo Padre Leone XIII, così profeticamente lungimiranti e conserviamole nel cuore e nella mente, in attesa della novella manifestazione dell’Opera di Dio (della quale l’“opus Dei” è una parodia luciferina), una volta cessata l’Eclissi della Chiesa, preannunciata a La Salette dalla Madre di Cristo e nostra, la Vergine Maria, alla quale il divin Figlio ci ha affidato a nostra protezione e salvezza, ed …. Ella sola schiaccerà il capo del serpente maledetto … non dubitiamo, e ricordiamo che “ … Qui mange le Pape, meurt”.
Leone XIII Inscrutabili Dei consilio
Ad Patriarchas, Primates, Archiepiscopos
et Episcopos universos Catholic Orbus
gratiam et
communionem
cum Apostolica Sede habentes
Lettera Enciclica
Non appena, per arcano consiglio di Dio, fummo, sebbene immeritevoli, innalzati al vertice dell’Apostolica dignità, sentimmo vivissimo il desiderio e quasi il bisogno di rivolgerci a Voi non solo per esprimervi i sensi dell’intimo Nostro affetto, ma anche per soddisfare all’ufficio divinamente affidatoci di rafforzare Voi, che siete chiamati a partecipare della Nostra sollecitudine, a sostenere insieme con Noi l’odierna lotta per la Chiesa di Dio e per la salute delle anime. – Infatti fino dai primordi del Nostro Pontificato si presenta al Nostro sguardo il triste spettacolo dei mali che da ogni parte affliggono il genere umano: questo così universale sovvertimento dei principi dai quali, come da fondamento, è sorretto l’ordine sociale; la pervicacia degl’ingegni intollerante di ogni legittima autorità; il perenne stimolo alle discordie, da cui le contese intestine e le guerre crudeli e sanguinose; il disprezzo delle leggi che proteggono costumi e giustizia; l’insaziabile cupidigia dei beni caduchi e la noncuranza degli eterni, spinta fino al pazzo furore che induce così spesso tanti infelici a darsi la morte; la improvvida amministrazione, lo sperpero, la malversazione delle pubbliche sostanze, come pure l’impudenza di coloro che con perfido inganno vogliono essere creduti difensori della patria, della libertà e di ogni diritto; infine quella letale peste che serpeggia per le più riposte fibre della società umana, la rende inquieta, e minaccia di travolgerla in una spaventosa catastrofe. – La causa principale di tanti mali è riposta, ne siamo convinti, nel disprezzo e nel rifiuto di quella santa ed augustissima autorità della Chiesa, che in nome di Dio presiede al genere umano, ed è garante e sostegno di ogni legittimo potere. I nemici dell’ordine pubblico avendo conosciuto ciò, non ravvisarono mezzo più acconcio per scalzare le fondamenta della società che quello di aggredire costantemente la Chiesa di Dio, e con ingiuriose calunnie presentarla impopolare, e odiosa, quasi si opponesse alla vera civiltà; indebolirne ogni giorno con nuove ferite l’autorità e la forza, per abbattere il supremo potere del Romano Pontefice, custode e vindice sulla terra degli eterni ed immutabili principi di moralità e di giustizia. Di qua ebbero origine le leggi contro la divina costituzione della Chiesa Cattolica, che con immenso dolore vediamo pubblicate in molti Stati; di qua il disprezzo dell’Autorità Episcopale, e gli ostacoli all’esercizio del ministero ecclesiastico; la dispersione delle famiglie religiose, la confisca dei beni destinati al sostentamento dei ministri della Chiesa e dei poveri; la sottrazione dei pubblici istituti di carità e beneficenza dalla salutare direzione della Chiesa; la sfrenata libertà del pubblico insegnamento e della stampa, mentre in tutti i modi si calpesta e si opprime il diritto della Chiesa all’istruzione e all’educazione della gioventù. – Né ad altro mira l’usurpazione del civile Principato, che la divina Provvidenza ha concesso da tanti secoli al Romano Pontefice perché potesse esercitare liberamente e senza impaccio la potestà conferitagli da Cristo per l’eterna salute dei popoli. – Abbiamo voluto, Venerabili Fratelli, ricordarvi questo cumulo funesto di mali, non già per aumentare in Voi la tristezza che questa lacrimevole condizione di cose V’infonde nell’animo, ma perché Vi sia appieno palese a quale gravissima condizione siano condotte le cose che debbono essere l’oggetto del nostro ministero e del nostro zelo, e con quanto impegno sia necessario adoperarci per difendere e tutelare come possiamo la Chiesa di Cristo e la dignità di questa Sede Apostolica, assalita specialmente in questi tempi calamitosi con indegne calunnie. – È chiaro, Venerabili Fratelli, che la vera civiltà manca di solide basi, se non è fondata sugli eterni principi di verità e sulle immutabili norme della rettitudine e della giustizia, e se una sincera carità non lega fra loro gli animi di tutti e ne regola soavemente gli scambievoli uffici. Ora, chi oserà negare essere la Chiesa quella che, diffuso fra le nazioni il Vangelo, portò la luce della verità in mezzo a popoli barbari e superstiziosi, e li mosse alla conoscenza del divino Creatore e alla considerazione di se stessi; che abolendo la schiavitù richiamò l’uomo alla nobiltà primitiva di sua natura; che spiegato in ogni angolo della terra il vessillo della redenzione, introdotte o protette le scienze e le arti, fondati e presi in sua tutela gl’istituti di carità destinati al sollievo di qualunque miseria, ingentilì il genere umano nella società e nella famiglia, lo sollevò dallo squallore, e con ogni diligenza lo foggiò conforme alla dignità e ai destini della sua natura? Se un confronto si facesse fra l’età presente, decisamente nemica della religione e della Chiesa di Cristo, e quei fortunatissimi tempi nei quali la Chiesa era venerata come madre, si scorgerebbe con evidenza che l’età nostra, tutta sconvolgimenti e rovine, corre dritta al precipizio, e che al contrario quei tempi tanto più fiorirono per ottime istituzioni, per vita tranquilla, ricchezze e ogni bene, quanto più i popoli si mostrarono ossequienti al governo e alle leggi della Chiesa. Pertanto se i moltissimi beni, che testé ricordammo come derivati dal ministero e dal benefico influsso della Chiesa, sono opere e splendore di vera civiltà, tanto è lungi dalla Chiesa il volerla schivare od osteggiare, ché anzi a buon diritto se ne vanta nutrice, Maestra e Madre. – Anzi, una civiltà che si trovasse in contrasto con le sante dottrine e le leggi della Chiesa, della civiltà non avrebbe che l’apparenza e il nome. Ne sono manifesta prova quei popoli cui non rifulse la luce del Vangelo, presso i quali poté talvolta ammirarsi una esteriore lustra di civiltà, ma giammai i veraci ed inestimabili suoi beni. – No, non è perfezionamento civile lo sfacciato disprezzo d’ogni legittimo potere; non è libertà quella che attraverso modi disonesti e deplorevoli si fa strada con la sfrenata diffusione degli errori, con lo sfogo di ogni rea cupidigia, con l’impunità dei delitti e delle scelleratezze, con l’oppressione dei migliori cittadini. Essendo tali cose false, inique ed assurde, non possono certamente condurre l’umana famiglia a perfetto stato e a prospera fortuna, perché “il peccato immiserisce i popoli” (Pr XIV, 34): ne consegue che, avendoli corrotti nella mente e nel cuore, con il loro peso li trascinano a rovina, sconvolgono ogni ordine ben costituito, e così, presto o tardi, conducono a gravissimo rischio la condizione e la tranquillità della pubblica cosa. – Qualora poi si volga lo sguardo alle opere del Pontificato Romano, qual cosa può esservi di più iniquo che il negare quanto bene i Pontefici Romani abbiano meritato di tutta la società civile? Certamente i Nostri Predecessori, al fine di procacciare il bene dei popoli, non esitarono ad intraprendere lotte di ogni genere, sostenere gravi fatiche, affrontare spinose difficoltà; e con gli occhi fissi al cielo, non curvarono mai la fronte alle minacce degli empi, né vollero con degeneri consensi tradire per lusinghe e promesse la loro missione. Fu questa Sede Apostolica che raccolse e cementò gli avanzi della vecchia società cadente; fu essa la benigna fiaccola che fece risplendere la civiltà dei tempi cristiani; fu essa, l’ancora di salvezza tra le fierissime tempeste che sbatterono l’umanità; il sacro vincolo di concordia che strinse fra loro nazioni lontane e diverse per costumi; fu infine il centro comune di religione e di fede, di azione e di pace. Che più? È vanto dei Pontefici Massimi l’essersi costantemente opposti quale muro e baluardo, perché la società umana non ricadesse nella superstizione e nell’antica barbarie. – Oh, se questa così salutare autorità non fosse stata mai disprezzata e ripudiata! Sicuramente il Principato civile non avrebbe perduto quel carattere solenne e sacro che la Religione gli aveva impresso, e che all’uomo sembra la sola condizione degna e nobile perché ubbidisca; né sarebbero scoppiate tante sedizioni e tante guerre a riempire di calamità e di stragi la terra; né regni, una volta floridissimi, sarebbero precipitati dal sommo della grandezza al fondo, sotto il peso di tante sciagure. Ne abbiamo l’esempio anche nei popoli di Oriente: rotti i soavi legami che li stringevano a questa Sede, perdettero lo splendore dell’antica grandezza, il prestigio delle scienze e delle arti, e la dignità dell’impero. – Benefìci tanto insigni, che derivarono dalla Sede Apostolica ad ogni parte della terra, come attestano illustri monumenti di ogni età, furono specialmente sentiti da questa regione Italiana, la quale essendo più vicina ad essa per condizione di luogo, ne colse più ubertosi frutti. Sì, l’Italia in gran parte va debitrice ai Romani Pontefici della sua vera gloria e grandezza, per le quali si levò al disopra delle altre nazioni. La loro autorità e la loro sollecitudine paterna più volte la protessero dagli assalti nemici, e le porsero sollievo ed aiuto perché la fede cattolica si mantenesse sempre incorrotta nel cuore degli Italiani. – Per tacere dei meriti degli altri Nostri Predecessori, citiamo particolarmente i tempi di San Leone Magno, di Alessandro III, di Innocenzo III, di San Pio V, di Leone X e di altri Pontefici, nei quali per opera o protezione di quei sommi, l’Italia scampò alla suprema rovina minacciatale dai barbari, salvò incorrotta l’antica sua fede, e tra le tenebre e lo squallore di un’epoca decadente nutrì e conservò vivo il fuoco delle scienze e lo splendore delle arti. Lo attesta questa Nostra alma Città, sede dei Pontefici, la quale trasse da essi tale singolarissimo vantaggio da divenire non solo rocca inespugnabile della fede, ma anche asilo delle belle arti, domicilio di sapienza, meraviglia e modello di tutto il mondo. Ricordato lo splendore di queste cose, affidato ad imperituri monumenti, si comprende facilmente che solo per astio e per indegna calunnia, al fine d’ingannare le moltitudini, si poté a voce e per iscritto insinuare che la Sede Apostolica sia un ostacolo alla civiltà dei popoli e alla felicità dell’Italia. – Quindi se le speranze dell’Italia e del mondo sono tutte riposte nella benefica influenza della Sede Apostolica, a comune vantaggio e nella unione intima di tutti i fedeli con il Romano Pontefice, ragione vuole che Noi Ci adoperiamo con la cura più solerte a conservare intatta la dignità della Cattedra Romana, e a rafforzare sempre più l’unione delle membra col Capo, dei figli col Padre. – Pertanto a tutelare innanzi tutto, nel miglior modo che Ci è dato, i diritti e la libertà della Santa Sede, non cesseremo mai di esigere che la Nostra autorità sia rispettata, che il Nostro ministero e la Nostra potestà siano pienamente liberi e indipendenti, e Ci sia restituita la posizione nella quale la Sapienza divina da gran tempo aveva collocato i Pontefici Romani. – Non è per vano desiderio di signoria o di dominio che Ci muoviamo, Venerabili Fratelli, per questa restituzione; Noi la reclamiamo perché lo esigono i Nostri doveri e i solenni giuramenti da Noi prestati; e perché non solo il Principato è necessario alla tutela e alla conservazione della piena libertà del potere spirituale, ma anche perché risulta evidente che quando si tratta del Dominio temporale della Sede Apostolica, si tratta altresì del bene e della salvezza di tutta l’umana famiglia. Quindi Noi, per ragione dell’ufficio che Ci impegna a difendere i diritti di Santa Chiesa, non possiamo affatto dispensarci dal rinnovare e confermare con questa Nostra lettera tutte le dichiarazioni e le proteste che il Nostro Predecessore Pio IX di santa memoria fece ripetutamente, sia contro l’occupazione del Principato civile, sia contro la violazione dei diritti della Chiesa Romana. Contemporaneamente Ci rivolgiamo ai Principi e ai supremi Reggitori dei popoli scongiurandoli, nel nome augusto dell’Altissimo Iddio, a non voler rifiutare in momenti così perigliosi il sostegno che loro offre la Chiesa; e ad unirsi concordi e volonterosi intorno a questa fonte di autorità e di salute, e a stringere vieppiù con essa intimi rapporti di rispetto e di amore. Faccia Iddio che essi, convinti di queste verità, e riflettendo che la dottrina di Cristo, come diceva Agostino, “se viene seguita, è sommamente salutare alla Repubblica” , e che nella incolumità e nell’ossequio alla Chiesa sono riposte anche la pubblica pace e la prosperità, rivolgano tutte le loro cure e i loro pensieri a migliorare le sorti della Chiesa e del visibile suo Capo, preparando in tal modo ai loro popoli, avviati per il sentiero della giustizia e della pace, una felice era di prosperità e di gloria. – Affinché poi ogni giorno più si faccia salda l’unione del gregge cattolico col Supremo Pastore, ora Ci rivolgiamo, con affetto tutto speciale, a Voi, Venerabili Fratelli, impegnando il Vostro zelo sacerdotale e la Vostra pastorale sollecitudine, affinché destiate nei fedeli a Voi affidati il santo fuoco di Religione che li muova a stringersi più fortemente a questa Cattedra di verità e di giustizia, a riceverne con sincera docilità di mente e di cuore tutte le dottrine, e a rigettare interamente le opinioni, anche le più diffuse, che conoscono essere contrarie agl’insegnamenti della Chiesa. A questo proposito i Romani Pontefici Nostri Predecessori, e da ultimo Pio IX di santa memoria specialmente nel Concilio Vaticano, avendo dinanzi agli occhi le parole di Paolo: “Badate che qualcuno non vi seduca per mezzo di filosofia inutile ed ingannatrice, secondo la tradizione degli uomini, secondo i principi del mondo, e non secondo Cristo” (Col II, 8), non omisero di condannare, quando fu necessario, gli errori correnti, e di colpirli con l’Apostolica censura. E Noi, sulle orme dei Nostri Predecessori, da questa Apostolica Cattedra di verità confermiamo e rinnoviamo tutte queste condanne; e nel tempo stesso insistentemente preghiamo il Padre dei lumi che tutti i fedeli, con un solo animo e con una sola mente, pensino e parlino come Noi. Spetta però a Voi, Venerabili Fratelli, di adoperarvi a tutt’uomo affinché il seme delle celesti dottrine sia con larga mano sparso nel campo del Signore, e fino dai teneri anni s’infondano nell’animo dei fedeli gl’insegnamenti della fede cattolica, vi gettino profonde radici, e siano preservati dal contagio dell’errore. Quanto più i nemici della Religione si affannano ad insegnare agli ignoranti, e specialmente alla gioventù, dottrine che offuscano la mente e guastano il cuore, tanto maggiore deve essere l’impegno, perché non solo il metodo d’insegnamento sia ragionevole e serio, ma molto più perché lo stesso insegnamento sia sano e pienamente conforme alla fede cattolica, vuoi nelle lettere, vuoi nelle scienze, ma in modo particolare nella filosofia, dalla quale dipende in gran parte il buon andamento delle altre scienze, e che non deve mirare ad abbattere la divina rivelazione, ma anzi a spianarle la via, a difenderla da chi la combatte, come ci hanno insegnato con l’esempio e con gli scritti il grande Agostino, l’Angelico Dottore, e gli altri maestri di sapienza cristiana. – Ma la buona educazione della gioventù, perché valga a tutelarne la fede, la religione ed i costumi, deve incominciare fin dagli anni più teneri nella stessa famiglia, la quale ai giorni nostri è miseramente sconvolta e non può essere restituita alla sua dignità se non si assoggetta alle leggi con cui fu istituita nella Chiesa dal suo divino Autore. Il quale, avendo elevato alla dignità di Sacramento il matrimonio, simbolo della unione sua con la Chiesa, non solo santificò il nuziale contratto, ma apprestò altresì ai genitori e ai figli efficacissimi aiuti per conseguire più facilmente, nell’adempimento dei vicendevoli uffici, la felicità temporale e quella eterna. Ma poiché leggi inique, disconosciuto il carattere religioso del Sacramento, lo ridussero alla condizione di un contratto puramente civile, ne derivò che, avvilita la nobiltà del cristiano connubio, i coniugi vivano invece in un legale concubinato, che non curino la fedeltà scambievolmente giurata, che i figli ricusino ai genitori l’obbedienza e il rispetto, s’indeboliscano gli affetti domestici e – quel che è di pessimo esempio e assai dannoso per il pubblico costume – che spessissimo ad un pazzo amore tengano dietro lamentevoli e funeste separazioni. Disordini tanto deplorevoli e gravi debbono, Venerabili Fratelli, eccitare il Vostro zelo ad ammonire con premurosa insistenza i fedeli affidati alle Vostre cure, affinché prestino docile orecchio agl’insegnamenti che toccano la santità del Matrimonio Cristiano, obbediscano alle leggi con cui la Chiesa regola i doveri dei coniugi e della loro prole. – Si otterrà con ciò anche un altro effetto desideratissimo, cioè il miglioramento e la riforma degli individui, poiché come da un tronco viziato derivano rami peggiori e frutti malaugurati, così la corruzione che contamina le famiglie giunge ad ammorbare e ad infettare anche i singoli cittadini. Al contrario, in una famiglia ordinata a vita cristiana, le singole membra pian piano si avvezzeranno ad amare la religione e la pietà, ad aborrire le false e perniciose dottrine, a seguire la virtù, a rispettare i superiori e a frenare quel sentimento di egoismo che tanto degrada e snerva la natura umana. A tal fine molto gioverà regolare e incoraggiare le pie associazioni, che principalmente ai giorni nostri, con grandissimo vantaggio degl’interessi cattolici, sono state fondate. – Grandi e superiori alle forze dell’uomo, Venerabili Fratelli, sono queste cose, oggetto delle Nostre speranze e dei Nostri voti: ma avendo Iddio fatte sanabili le nazioni della terra, e avendo istituito la Chiesa per la salvezza delle genti, promettendole la propria assistenza fino alla consumazione dei secoli, abbiamo ferma speranza che, grazie alle Vostre fatiche, l’umanità, ammaestrata da tanti mali e da tante sciagure, finalmente verrà a chiedere salute e felicità alla Chiesa, e all’infallibile Magistero della Cattedra Apostolica. – Intanto, Venerabili Fratelli, non possiamo porre termine allo scrivere senza manifestare la gioia che proviamo per la mirabile unione e concordia che legano gli animi Vostri fra loro e con questa Sede Apostolica. Riteniamo che esse non solo siano il più forte baluardo contro gli assalti dei nemici, ma anche fausto e lietissimo augurio di migliore avvenire per la Chiesa. Mentre tutto questo è d’indicibile conforto alla Nostra debolezza, Ci dà pure coraggio a sostenere virilmente, nell’arduo ufficio che abbiamo assunto, ogni lotta a vantaggio della Chiesa. – Dai motivi di speranza e di gaudio che Vi abbiamo manifestati, non possiamo separare le dimostrazioni di amore e di riverenza che in questo inizio del Nostro Pontificato Voi, Venerabili Fratelli, e insieme con Voi diedero alla Nostra umile persona moltissimi sacerdoti e laici, i quali con lettere, con offerte, con pellegrinaggi e con altre pie attestazioni Ci fecero palese che l’affetto e la devozione portati al Nostro degnissimo Predecessore durano nei loro cuori egualmente saldi, stabili ed interi per la persona di un Successore tanto disuguale. Per questi splendidissimi attestati di cattolica pietà, umilmente diamo lode al Signore per la sua benigna clemenza; e a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i diletti Figli da cui li ricevemmo, professiamo dall’intimo del cuore e pubblicamente i sensi della Nostra vivissima gratitudine, pienamente fiduciosi che in questa angustia di cose e difficoltà di tempi non Ci verranno mai meno la devozione e l’affetto Vostro e di tutti i fedeli. Né dubitiamo che questi splendidi esempi di filiale pietà e di cristiana virtù varranno moltissimo per muovere il cuore del clementissimo Dio a riguardare propizio il suo gregge e a dare alla Chiesa pace e vittoria. E poiché speriamo che Ci siano più presto e più facilmente concesse questa pace e questa vittoria se i fedeli esprimeranno costantemente i loro voti e le loro preghiere per ottenerle, Vi esortiamo, Venerabili Fratelli, ad impegnarli e ad infervorarli a tal fine, invocando quale mediatrice presso Dio l’Immacolata Regina dei Cieli, e per intercessori San Giuseppe, Patrono celeste della Chiesa, i Santi Principi degli Apostoli Pietro e Paolo, al potente patrocinio dei quali raccomandiamo supplichevoli l’umile Nostra persona, tutta la Gerarchia della Chiesa e tutto il gregge del Signore. – Del resto vivamente desideriamo che questi giorni, nei quali solennemente ricordiamo la risurrezione di Gesù Cristo, siano per Voi, Venerabili Fratelli, e per tutta la famiglia cattolica, felici, salutari e pieni di santa allegrezza; e preghiamo il benignissimo Dio che col sangue dell’Agnello immacolato, con cui fu cancellato il chirografo della nostra condanna, siano lavate le colpe contratte, e sia benignamente mitigato il giudizio a cui per quelle sottostiamo. “La grazia del Signore Nostro Gesù Cristo, la carità di Dio, e la partecipazione dello Spirito Santo siano con tutti Voi”, Venerabili Fratelli, ai quali tutti e singoli, come pure ai diletti Figli, clero e popolo delle Vostre Chiese, in pegno di speciale benevolenza e quale augurio del celeste aiuto impartiamo con tutto l’affetto l’Apostolica Benedizione.
Dato a
Roma, presso San Pietro, nel giorno solenne di Pasqua, il 21 aprile 1878, anno
primo del Nostro Pontificato.
Obsecro autem eos, qui hunc librum lecturi sunt, ne abhorrescant propter adversos casus, sed reputent ea quae acciderunt, non ad interitum, sed ad correptionem esse generis nostri. Obsecro autem eos, qui hunc librum lecturi sunt, ne abhorrescant propter adversos casus, sed reputent ea quae acciderunt, non ad interitum, sed ad correptionem esse generis nostri. Questa lettera enciclica di S. S. Leone XIII ha un carattere del tutto particolare, ispirata com’è alle celebrazioni per la scoperta dell’America che in quell’anno ricordava appunto il quarto centenario della sua scoperta. Naturalmente si sottolinea l’aspetto legato alla Chiesa Cattolica ed alla sua diffusione nel nuovo continente che ha dato effettivamente frutti copiosissimi per la salvezza di tante anime destinate altrimenti all’eterna dannazione. Naturalmente questi aspetti oggi sono completamente negletti, anzi si tende alla diffusione, attraverso il mondialismo politico-finanziario, del credo massonico dell’ecumenismo indifferentista, oggi tanto di moda nelle sette protestanti storiche, ed in gran spolvero in quella del baphomettiano “Novus Ordo” dei marrani antipapi, che fingendosi Chiesa di Cristo, è impegnata, a colpi pure di false e scandalose canonizzazioni, a demolire dalle fondamenta (… si fieri potest) quel che resta in piedi dell’edificio cattolico “esteriore”. Il Nuovo Mondo ed il cosiddetto odierno Terzo Mondo, sono stati, e lo sono sempre più, infarciti di ideologia anticristiana, con il rifiuto palese di ogni dogma definito e conosciuto, prendendo a pretesto una libertà sfrenata non soggetta alle leggi divine, e spesso neppure alle naturali ed umane, per il godimento dei pretesi “diritti dell’uomo” contro quelli di Dio, ed a vantaggio delle “jene usuraie” planetarie, adepte del satanismo praticato nelle conventicole “illuminate”. Ma, sempre fiduciosi nell’opera di Dio, che dal male sa trarre il bene in modo imprevisto all’uomo, [… Obsecro autem eos, qui hunc librum lecturi sunt, ne abhorrescant propter adversos casus, sed reputent ea quae acciderunt, non ad interitum, sed ad correptionem esse generis nostri – II Macc. VI, 12], e a dispetto dei malvagi, dei facinorosi, dei violenti, dei peccatori, dei “congregati contro Dio ed il suo Cristo”, restiamo ben saldi alla navicella di Pietro, ora più che mai battuta dai marosi e nella quale si grida da più parti: “Domine, perimus, … exsurge Domine, quare abdormis?”, fiduciosi che al momento inatteso dagli uomini, il Signore Gesù calmi i venti e faccia tornare la bonaccia buttando nel contempo in mare “… carri e cavalieri”, e con tutta calma, scorriamo il testo così edificante dell’Enciclica … Quarto abeunte ….
Leone XIII Quarto abeunte sæculo
Lettera Enciclica
Cristoforo
Colombo
1892
Allo spirare del quarto secolo dal dì che, auspice Iddio, l’intrepido ligure approdò, primo fra tutti, oltre l’Oceano Atlantico a sconosciuti lidi, sono lieti i popoli di celebrare con sentimenti di gratitudine la memoria di quel fatto e di esaltarne l’autore. E certo non si saprebbe agevolmente trovar cagione d’infervorare gli animi e destar entusiasmo più degna di questa, Poiché il fatto è in sé stesso il più grande e meraviglioso di quanti mai se ne videro nell’ordine delle cose umane; e l’uomo che lo portò a compimento non è paragonabile che a pochi di quanti furono grandi per tempra d’animo e altezza d’ingegno. – Per opera sua dall’inesplorato grembo dell’oceano venne alla luce un nuovo mondo; milioni di creature ragionevoli vennero dall’oblio e dalle tenebre a integrare la famiglia umana; da barbare, fatte mansuete e civili; e quel che infinitamente più importa, da perdute che erano, rigenerate alla speranza della vita eterna, grazie alla partecipazione dei beni soprannaturali, recati in terra da Gesù Cristo. – L’Europa, percossa allora di meraviglia alla novità e grandezza del subitaneo portento, fece poi giusta stima di quanto essa deve a Colombo, man mano che le colonie stabilite in America, le comunicazioni incessanti, la reciprocità di amichevoli uffizi, e l’esplicarsi del commercio marittimo diedero impulso poderosissimo alle scienze naturali, alla possanza e alle ricchezze nazionali, con incalcolabile incremento del nome europeo. – Laonde fra sì varie manifestazioni onorifiche, e in questoconserto di gratulazioni, non vuole rimaner muta la chiesa cattolica, usa com’è a raccogliere volenterosa e promuovere secondo quanto è in suo potere ogni onesta e lodevole cosa. Vero è che i sovrani suoi onori la chiesa li serba all’eroismo delle virtù morali in quanto ordinate alla vita eterna; ma non per questo misconosce ne tiene in poco conto gli altri eroismi: che anzi si compiace ognora di far plauso e onore ai benemeriti della comunità civile, e a quanti vivono gloriosi nella memoria dei posteri, Perché Dio è certo mirabile soprattutto nei Santi suoi; ma l’orma del divino valore rifulge a meraviglia anche negli uomini di genio, giacché il genio è pur esso un dono gratuito di Dio creatore e padre nostro. – Ma oltre a queste ragioni di ordine generico, abbiamo motivi del tutto particolari di voler commemorare, con gratitudine, l’immortale impresa. Imperocché Colombo è l’uomo della chiesa, Per poco che si rifletta al precipuo scopo onde si condusse ad esplorare il mar tenebroso, e al modo che tenne, è fuor di dubbio che nel disegno e nella esecuzione dell’ardua impresa ebbe parte principalissima la fede cattolica: cosicché anche per questo titolo tutta l’umanità ha obbligo non lieve alla chiesa cattolica. – Impavidi e perseveranti esploratori di terre sconosciute e di più sconosciuti mari, e prima e dopo di Colombo, se ne conta parecchi, Ed è ragione che la fama, memore delle opere benefiche, celebri perennemente il nome loro, in quanto riuscirono ad allargare i confini delle scienze e della civiltà, a sviluppare il pubblico benessere: e ciò non a lieve costo, ma a prezzo di fatiche immani, e sovente di rischi gravissimi. – Ma pure da essi a Colombo c’è gran divario. La nota caratteristica di Colombo sta in questo, che nel solcare e risolcare gli spazi immensi dell’oceano, egli aveva la mira a maggior segno che gli altri non avessero. Non già che nulla potesse in lui la compiacenza nobilissima di avanzar nel sapere, di ben meritare dell’umana famiglia: non che disprezzasse la gloria, i cui stimoli chi è più grande più sente, o che disprezzasse affatto la speranza dei materiali vantaggi: ma sopra tutte queste ragioni umane campeggiò in lui il sentimento della religione dei padri suoi, dalla quale egli prese senza dubbio l’ispirazione del gran disegno, e sovente nell’ardua opera di eseguirlo ne trasse argomenti di fermezza e conforto, Imperocché è dimostrato che egli intese e volle massimamente questo: aprire la strada all’evangelo attraverso nuove terre e nuovi mari. – La qual cosa può parere meno verosimile a chi, riducendo ogni pensiero e ogni cura entro i confini del mondo sensibile, ricusa di sollevare l’occhio più in alto. Al contrario a meta più eccelsa amano per lo più aspirare le anime veramente grandi, perché sono le meglio disposte ai santi entusiasmi della fede, Colombo, unendo lo studio della natura allo zelo della pietà, aveva mente e cuore profondamente formati alle credenze cattoliche. Perciò, persuaso per argomenti astronomici e antiche tradizioni che al di la del mondo conosciuto dovevano pure estendersi dalla parte d’occidente gran tratti di paese non ancora esplorati, la fede rappresentavagli allo spirito popolazioni sterminate, avvolte in tenebre deplorevoli, perdute dietro cerimonie folli e superstizioni idolatriche. Infelicità grande, agli occhi suoi, condurre la vita in assuetudini selvagge e costumi ferigni: ma incomparabilmente più grande l’ignorare cose di capitale importanza, e non avere pur sentore dell’unico vero Dio. Onde, pieno di tali pensieri, si prefisse più che altro di estendere in occidente il nome cristiano, i benefici della cristiana carità, come risulta evidentemente da tutta la storia della scoperta, Infatti, quando ai re di Spagna Ferdinando e Isabella, propose la prima volta di voler assumere l’impresa, ne chiarisce lo scopo col soggiungere che “la gloria delle loro maestà vivrebbe imperitura, ove consentissero di recare in sì remote contrade il nome e la dottrina di Gesù Cristo”. E non molto dopo, ottenuto quel che voleva, affida allo scritto ch’egli domanda al Signore di far sì con la divina sua grazia che i re (di Spagna) siano perseveranti nella volontà di propagare a nuove regioni e nuovi lidi la santa religione cristiana. – Tutto premuroso d’implorare missionari da papa Alessandro VI, gli scrive; “spero bene, con l’aiuto di Dio, di poter ormai spargere in tutto il mondo il santo nome e l’evangelo di Gesù Cristo”. E crediamo dovesse sovrabbondare di giubilo, allorché, reduce dal primo viaggio, scriveva da Lisbona a Raffaele Sandiez: “doversi rendere a Dio grazie immortali per avergli largito sì prospero successo. Che Gesù Cristo s’allieti e trionfi qui sulla terra, come s’allieta e trionfa nei cieli, prossima essendo la salvezza di tanti popoli, il cui retaggio sino ad ora fu la perdizione”. Se a Ferdinando e Isabella egli suggerisce di permettere solo a cristiani cattolici di navigare verso il nuovo mondo e piantare traffichi nelle nuove contrade, la ragione è che il disegno e l’esecuzione della sua impresa non ebbe altro scopo che l’incremento e l’onore della religione cristiana. E ciò conobbe appieno Isabella, essa che assai meglio d’ogni altro seppe leggere nella mente del grande: è anzi fuor di dubbio che quella piissima principessa, di mente virile e di animo eccelso, non ebbe ella medesima altro scopo. Scriveva infatti di Colombo, che egli affronterebbe coraggiosamente il vasto oceano “a fine di compiere un’impresa di grande importanza per la gloria di Dio”, E a Colombo medesimo, reduce dal secondo viaggio, scriveva che “erano egregiamente impiegate le spese ch’ella aveva fatte e che farebbe ancora per la Spedizione delle Indie, in quanto ne seguirebbe la diffusione del cattolicismo”. – Dall’altro canto, se si prescinde da un motivo superiore, donde avrebbe potuto egli attingere perseveranza e forza pari alle dure prove, che egli dovette affrontare e sostenere sino all’ultimo? Intendiamo l’opposizione dei dotti contemporanei, le repulse da parte dei prìncipi, i rischi del mare in tempesta, le veglie incessanti, sino a smarrirne più d’una volta la vista: aggiungasi le fiere lotte coi selvaggi, i tradimenti di amici e compagni, le scellerate congiure, le perfidie degli invidiosi, le calunnie dei malevoli, le immeritate catene All’enorme peso di tante sofferenze egli doveva senz’altro soccombere, se non lo avesse sostenuto la coscienza dell’impresa nobilissima, feconda di gloria alla cristianità, di salute a milioni di anime. – Impresa, intorno alla quale fa luce la situazione di quel tempo. Infatti Colombo Svelò l’America, mentre una grave procella veniva addensandosi sulla chiesa: sicché per quanto è lecito a mente umana di congetturare dagli eventi le Vie misteriose della Provvidenza l’opera di quest’uomo, ornamento della Liguria, sembra fosse particolarmente ordinata da Dio a ristoro dei danni, che la santa fede avrebbe poco dopo patito in Europa. – Chiamare gli indi al Cristianesimo, era senz’altro opera e compito della chiesa. Essa fin dai primordi della scoperta, pose mano a fare il suo dovere e proseguì e prosegue sempre a farlo col medesimo zelo, inoltratasi, non molti anni fa, sino all’estrema Patagonia. – Nondimeno persuaso di dover percorrere e spianare la via all’evangelizzazione delle nuove contrade e tutto compreso da questo pensiero, ogni suo atto coordinò Colombo a tal fine, nulla quasi operando se non ispirandosi alla religione e alla pietà. – Rammentiamo cose a tutti note, ma preziose a chi voglia penetrare ben addentro nella mente e nel cuore di lui. Forzato di abbandonare, senza aver nulla concluso, il Portogallo e Genova, e voltosi alla Spagna, all’ombra di un cenobio egli viene maturando l’alto disegno, confortatovi da un monaco francescano suo fido. Dopo sette anni, spuntato finalmente il giorno di far vela per l’Oceano, s’accosta ai divini sacramenti: supplica la Regina del cielo che voglia proteggere l’impresa e guidare la rotta: e non comanda di levare le ancore se non dopo invocata la Santissima Trinità, Avanzatesi quindi in cammino, fra l’infuriare dei marosi e il tumultuare dell’equipaggio, mantiene inalterata la serenità della sua fermezza, mercé la fiducia in Dio, Parlano del suo intendimento persino i nomi nuovamente imposti alle nuove isole: a ciascuna delle quali, appena postovi piede, adora supplichevole Dio onnipotente, e non ne prende possesso che in nome di Gesù Cristo. Dovunque approdi, il primo suo atto è di piantare sulla spiaggia la Croce: e dopo aver tante volte, al rombo dei flutti mugghianti, inneggiato in alto mare al nome santissimo del Redentore, lo fa risuonare egli per primo nelle isole da lui scoperte; per questo alla Spagnola il primo edificio è una chiesa, la prima festa popolare una solennità religiosa, – Ecco dunque ciò che intese, ciò che volle Colombo nell’avventurarsi per tanto spazio di terra e di mare all’esplorazione di contrade ignorate sino a quel tempo e incolte: le quali peraltro in fatto di civiltà, d’influenza, di forza, salirono poi velocemente a quel grado di altezza, che ognuno vede. La grandezza dell’avvenimento e la incommensurabile importanza degli effetti che ne seguirono, rendono doverosa la memoria e la glorificazione dell’eroe. Ma si deve innanzitutto riconoscere e venerare singolarmente gli alti decreti di quella mente eterna, alla quale ubbidì, consapevole strumento, il rivelatore del nuovo mondo. – A celebrare degnamente e in armonia con la verità storicale solennità colombiane, è dunque necessario che allo splendore delle pompe civili si accompagni la santità della religione. Onde come già al primo annunzio della scoperta furono rese a Dio immortale, providentissimo, pubbliche grazie, primo a darne l’esempio il pontefice; così ora nel festeggiare la memoria dell’auspicatissimo evento stimiamo doversi fare lo stesso. – Disponiamo perciò, che il giorno 12 ottobre, o la domenicasuccessiva, se così giudicherà opportuno l’ordinario del luogo, nelle chiese cattedrali e collegiate di Spagna, d’Italia, e delle Americhe, dopo l’Ufficio del giorno, sia cantata solennemente la Messa della Santissima Trinità. – Oltre alle regioni sopra indicate, confidiamo che per iniziativa dei vescovi la stessa cosa si faccia nelle altre, essendo conveniente che tutti concorrano a celebrare con pietà e riconoscenza un avvenimento che tornò profittevole a tutti. Intanto come auspicio dei divini favori e pegno della Nostra patema benevolenza a voi, venerabili fratelli, e al clero e popolo vostro impartiamo affettuosamente la benedizione apostolica,
Roma,
presso S. Pietro, 16 luglio 1892, anno decimoquinto del Nostro pontificato.
L’intento del Sommo Pontefice, in questa Lettera Enciclica, è quello di estendere il Nome ed il Regno di Cristo in ogni parte del pianeta non ancora convertito all’unico e vero Dio, e che non appartiene al suo vero gregge, cioè alla sua unica e vera Chiesa, la Chiesa Cattolica Romana, fuori dalla quale non c’è speranza assoluta di salvezza … extra quam nullus omnino salvatur! La conoscenza della vera fede, della retta dottrina scaturita dalla Tradizione Apostolica in primo luogo, e poi dalla Scrittura Sacra sapientemente interpretata dai Padri e dai Dottori orientali ed occidentali, e a seguire dal Magistero infallibile della Chiesa divinamente istituita, e guidata dal Santo Padre, è pilastro sul quale poggia tutta l’impalcatura del nostro edificio salvifico. Da qui l’assoluta preminenza dell’impegno di tutti, i prelati dell’intera Gerarchia, di tutti i pastori, anche i più umili e lontani, nonché di tutti i fedeli di ogni condizione, a concorrere con ogni mezzo, spirituale ed anche materiale ed economico, nell’assecondare gli auspici di Papa Leone XIII per l’opera di Propagazione della Fede, di quella fede cattolica foriera di benessere, innanzitutto spirituale per l’eterna salvezza dell’anima, e fonte pure limpida di vero progresso e di giustizia sociale, senza i quali non può esservi né pace né stabilità tra i popoli. Oggi un appello del genere non troverebbe naturalmente alcun seguito, anzi procurerebbe una violenta levata di scudi da parte degli operatori del nemico maligno, compresi gli apostati del “novus ordo” con le stampelle maldestre delle “fraternità” e degli scismatici sedevacantisti, oltre che dei soliti avversari storici di Cristo, i kazari innanzitutto, gli gnostici occulti o palesi, con il codazzo delle obbedienze massoniche più o meno “illuminate”, degli atei increduli e dei filosofastri-scienziati azzeccagarbugli e prezzolati vari, dei mondialisti della finanza usuraia, tutti uniti come recita il salmo II “… Astiterunt reges terras, et principes convenerunt in unum: adversus Dominum, et adversus Christum ejus …”, che però subito aggiunge: “… Qui habitat in cœlis, irridebit eos: et Dominus subsannabit eos. Tunc loquetur ad eos in ira sua: et infurore suo conturbabit eos” …. (chi ha intelletto comprenda, chi non ce l’ha… si arrangi!!).
CHRISTI NOMEN
L’Opera della Propagazione della Fede
Qua institutum “a Propagatione fideis fovetur et commendatur,
Ad Patriarchas,
Primates, Archiepiscopos,
Episcopos aliosque locorum Ordinarios,
pacem et
communionem cum Apostolica Sede habentes.
Portare il nome ed estendere ogni giorno più il regno di Cristo tra le nazioni, condurre e ricondurre nel seno della Chiesa coloro che ne sono separati e le sono divenuti ostili, certamente, nessuno lo mette in dubbio, è uno degli obblighi fra tutti gli altri sacrosanti del sublime ministero a Noi affidato e ispirato dalla apostolica carità. Noi ne abbiamo fatto da lungo tempo l’oggetto delle Nostre preoccupazioni e della Nostra sollecitudine Quindi non abbiamo mai cessato di favorire e moltiplicare le tante missioni che spandono il lume della sapienza cristiana fra gli erranti e le opere che le sostengono coi sussidi raccolti fra i popoli cattolici. Lo abbiamo fatto specialmente nel terzo anno del Nostro pontificato con l’enciclica “Sancta Dei Civitas”, che aveva lo scopo di accrescere l’amore e la generosità dei Cattolici per l’Opera illustre della «Propagazione delle Fede». Ci piacque allora esaltare con le Nostre raccomandazioni un’opera, i cui umili inizi erano stati seguiti da sviluppi tanto rapidi e meravigliosi, e che i nostri illustri predecessori, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX, avevano colmato di elogi e di spirituali favori; un’opera che aveva offerto alle missioni di tutto il mondo un aiuto tanto efficace e che permetteva per l’avvenire soccorsi ancor più copiosi. E a Dio piacendo, le Nostre parole ottennero un felice risultato: le elargizioni dei fedeli corrisposero ai calorosi appelli dei Vescovi, e l’opera tanto benemerita fece in questi ultimi anni considerevoli progressi. Or ecco, nondimeno, che più stringenti bisogni richiedono dai Cattolici un nuovo slancio di zelo e di generosità; da voi, venerabili fratelli, tutta la vostra sagace operosità.- Voi lo sapete, con la Nostra lettera apostolica “Præclara” dello scorso giugno, Noi abbiamo creduto obbedire alla divina provvidenza, chiamando instantemente i popoli di tutto l’universo all’unità della fede cristiana; infatti Noi conseguiremmo il pieno adempimento di Nostri voti, se ci fosse dato di affrettare l’arrivo di quel tempo da Dio promesso nel quale «non vi sarà più che un solo ovile e un solo pastore» (Gv. X, 16). – Con quale particolare affetto Noi pensiamo all’Oriente e alle sue chiese illustri e venerande, ve l’ha indicato abbastanza la Nostra lettera apostolica sulla necessità di conservare e difendere la disciplina degli orientali. Lo avete egualmente compreso dalle disposizioni che abbiamo adottate per raggiungere il medesimo intento, dopo averne conferito coi patriarchi di quelle nazioni. Non ci nascondiamo, tuttavia, le grandi difficoltà di tale impresa e la Nostra impotenza a trionfarne; quindi riponiamo con invincibile fiducia in Dio tutta la Nostra speranza ed il successo dei Nostri sforzi. La sua sapienza Ce ne ha ispirato il pensiero e fatto iniziare l’esecuzione; la sua suprema bontà ci darà la forza e i mezzi di compierla. Le Nostre fervide preghiere non cessano d’implorare da Lui questa grazia, e Noi esortiamo insistentemente i fedeli a unire nella medesima intenzione le loro suppliche alle Nostre. Ma all’aiuto dall’alto che noi invochiamo con fiducia, è d’uopo aggiungere i mezzi umani, e Noi non dobbiamo trascurare nulla per cercare e indiare i passi buoni a condurci alla bramata mèta. – Per ricondurre all’unica Chiesa tutti gli orientali, quali che siano, che se ne sono separati, voi lo sentite, venerabili fratelli, nulla è più essenziale che reclutare anzitutto un numeroso clero di mezzo ad essi stessi, un clero encomiabile per dottrina e pietà e capace d’ispirare agli altri il desiderio dell’unione; poi, moltiplicare quanto più si può gli istituti ove la scienza e la disciplina cattolica verranno insegnate e armonizzate col particolare genio della nazione. È perciò opportunissimo aprire, dovunque sia vantaggioso, case speciali per l’educazione della gioventù, collegi in numero proporzionato alla densità della popolazione, affinché ogni rito possa esercitarsi con dignità, e affinché la diffusione dei loro migliori libri introduca tutti i fedeli alla conoscenza della verità religiosa. Il compimento di questo e altri simili disegni richiederà, lo intendete facilmente, grandi spese, e le chiese orientali non possono sopperire da sole a tante e così gravi esigenze, né Ci è possibile, nei calamitosi tempi che attraversiamo, concorrervi Noi stessi nella misura di quanto vorremmo. – Non ci resta perciò che domandare, nei limiti della moderazione, la maggior parte dei necessari sussidi all’Opera che raccomandiamo e il cui scopo si accorda perfettamente con quello che ci sta a cuore. Soltanto, per non recare alcun pregiudizio alle missioni apostoliche privandole d’una parte dei mezzi onde vivono, non si può mai abbastanza insistere presso i fedeli, affinché le loro elargizioni verso quest’opera si accrescano in proporzione dei nostri bisogni. È giusto raccomandare altresì l’opera consimile e tanto utile nelle «Scuole d’Oriente», i cui direttori hanno ugualmente preso impegno di applicare all’intento la più larga parte possibile delle elemosine che raccoglieranno. – Per tutti questi motivi, venerabili fratelli, Noi domandiamo specialmente il vostro concorso, e non dubitiamo che voi, i quali con zelo così costante sostenete con Noi e con ogni mezzo cercate di promuovere la causa della Religione e della Chiesa, Ci accorderete efficace soccorso. Fate, dunque, ogni sforzo, acciocché tra i fedeli affidati alle vostre cure l’Associazione della « Propagazione della fede » abbia il più grande sviluppo possibile. Siamo certi, infatti, che un numero assai più considerevole di fedeli darà volenteroso il proprio nome e recherà più generose offerte, se, da voi istruito, vedrà chiaramente quanto nobile sia quest’opera, quanto copiose ricchezze spirituali essa procuri, e quanti vantaggi possa giustamente sperarne per il tempo presente la causa cristiana. E certo i cattolici si sentiranno profondamente commossi, quando udranno come nulla possa essere più gradito a Noi e utile alla Chiesa che il loro rivaleggiare di zelo nel raccogliere i mezzi necessari per condurre a buon fine i disegni che Noi abbiamo formulati per il bene delle chiese orientali. Dio, alla cui gloria mira la propagazione del nome cristiano e l’unità della fede e del governo spirituale, si degni nella sua bontà di benedire i Nostri desideri, di favorire la Nostra impresa e come pegno dei più preziosi favori celesti, accordiamo affettuosamente la benedizione apostolica a voi tutti, venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo.
Roma,
presso San Pietro, 24 dicembre 1894, anno XVII del Nostro Pontificato.
In questa breve lettera il Santo Padre esorta all’unità disciplinare i religiosi della comunità orientali greco-melchite, di rito arabo-bizantino affinché risolvano i dissidi interni ricorrendo all’autorità del loro Patriarca antiocheno e, se necessario, presentandoli al giudizio dell’Autorità Apostolica del Santo Padre, unico detentore della Cattedra del Beato Pietro, nominato Vicario di Cristo dallo stesso Fondatore della Chiesa Cattolica, l’unica Chiesa istituita da Gesù a salvezza dell’umanità redenta. Anche in questo caso viene indicata, come Autorità suprema, capace di dirimere ogni questione religiosa, il Vescovo di Roma, assistito dallo Spirito Santo, e depositario della Fede immutabile, infallibile, e della eterna Dottrina rivelata da Gesù Cristo ed affidata alla sua unica vera Chiesa, Sposa incontaminata di Cristo, sulla quale nulla possono le porte degli inferi, sia che la attacchino frontalmente dall’esterno, sia che la infiltrino dall’interno attraverso l’opera dei marrani di ogni risma, degli operatori delle sette infernali o degli aderenti alla sinagoga di satana. È chiaro quindi anche da questo documento, come l’obbedienza, dottrinale e disciplinare, di ogni Cristiano, chierico della Gerarchia o semplice fedele, debba essere assoluta al Romano Pontefice, “condicio sine qua non”, onde appartenere alla Chiesa Cattolica, ed ottenere così la salvezza eterna … « … extra Ecclesiam nullus omnino salvatur! » Facciamo quindi ogni sforzo, alla luce della dottrina e dei Canoni ecclesiastici (C. J. C. Pio-benedettino del 1917), e non delle apparenze mediatico-massoniche, per comprendere la vera essenza del Papato e delle “vere” funzioni del Papa, e se non riusciamo a scorgerle tra gli improbabili figuri propinati dalla falsa chiesa dell’uomo, crediamo comunque alla parola di Gesù e del Concilio Vaticano “… il Beato Pietro avrà una serie ininterrotta di successori” … ripeto: ininterrotta! Perché sempre così è stato e sempre così sarà, fino alla “soluzione finale”, … se ne facciano tutti una ragione, il contrario sarebbe una orribile bestemmia: “… Gesù, l’Uomo-Dio ci ha mentito” o, ancora peggio: “… non è riuscito a mantenere la sua parola”.
Leone XIII
Lettera Enciclica
Omnibus compertum
I dissensi nati nella chiesa greco-melchita 21 luglio
1900
È a tutti noto e
comprovato, venerabili fratelli, che Noi, fin dall’inizio del Nostro
pontificato, abbiamo rivolto lo sguardo con grande amore alle nazioni cristiane
dell’oriente, pubblicati inoltre non pochi atti. soprattutto la costituzione
Orientalium, molte cose sono state da parte Nostra opportunamente dichiarate e
decretate per mantenere stretta la loro unione con la cattedra di Pietro e per
favorire la riconciliazione dei separati. – Abbiamo trovato in seguito con
piacere altre occasioni per attestare la nostra operosa benevolenza verso i
cattolici orientali, e, conservati uniti gli animi alla sede apostolica, non
abbiamo certamente avuto nulla di più caro, nulla di più santo che stimolare in
loro l’ardore e la fecondità della fede, al punto da tendere, con rinnovati
esempi, all’eccellenza e alla fama degli antenati. – Fra tutte le chiese
orientali, abbiamo seguito e seguiamo con una benevolenza del tutto
particolare, l’illustre nazione e il patriarcato antiocheno greco-melchita. E
infatti, per ricordare soltanto poche cose, voi sapete perfettamente,
venerabili fratelli, che Noi fin dal 1882 abbiamo allestito nella città di
Gerusalemme un seminario per i greco-melchiti, e vi abbiamo messo a capo i
Missionari algerini. Inoltre, a Nostre spese, abbiamo cura che siano formati a
Roma, nel Collegio atanasiano, parecchi alunni della stessa nazione
greco-melchita, affinché attingano proprio alla fonte la verità cattolica, e si
abituino a venerare apertamente e ad amare appassionatamente il centro
dell’unità, che da Dio è stato istituito nella sede apostolica. Infine, nel
1894, come si ricava dalla stessa costituzione Orientalium, abbiamo attribuito
al patriarca greco-melchita la giurisdizione anche su tutti i fedeli dello
steso rito che vivono dentro i confini dell’impero turco. – Volentieri
attestiamo che a questa benevolenza verso la nazione greco-melchita, ha
risposto in modo adeguato la religiosa attività del vostro ordine, sia per lo
zelo con cui, chiamati a prendere parte alla Nostra sollecitudine, cercate di
compiere il vostro ministero, sia per l’operosità con la quale provvedete
all’incolumità del gregge affidatovi. In verità, anche se ricordiamo tutte
queste cose non senza la lode del vostro Ordine, non possiamo tuttavia
dissimulare la tristezza dalla quale fummo colpiti, quando venimmo a sapore
delle discordie che da non molto tempo erano sorte tra voi. Abbiamo potuto
comporre tale dissidio con il favore e l’assistenza della grazia di Dio, quando
molti di voi, che il mese scorso erano venuti a Roma, si sono sottomessi
lodevolmente alle Nostre esortazioni, e subito si è ristabilita la pace e la
concordia. Ora, per consolidare questo accordo degli animi, abbiamo deciso di
dichiarare in modo particolare tre cose per mezzo di questa lettera.
I. Per quanto
riguarda i diritti patriarcali, i privilegi, le funzioni, le prerogative, vogliamo
che nulla sia sottratto o diminuito; tuttavia, nello stesso tempo, con tutte le
nostre forze preghiamo il venerabile fratello Nostro, il patriarca antiocheno
greco-melchita, affinché accolga con la dovuta riverenza e abbracci con
fraterna carità i vescovi della stessa nazione, “che lo Spirito santo ha
posto a reggere la chiesa di Dio”, secondo il precetto del beato Pietro il
primo degli apostoli: “Non spadroneggiando sulle persone a voi affidate,
ma facendovi modelli del gregge” (1 Pt V, 3); con cui si accordano le
bellissime parole di Bernardo: “Operi la carità più che il potere”.
II.
Raccomandiamo inoltre a tutti i vescovi della stessa nazione, di onorare e
rispettare il sullodato patriarca come legittimo presule, e di prestare la
dovuta obbedienza. Qualora sorga fra loro qualche controversia, la sottopongano
umilmente in primo luogo al giudizio del patriarca; se poi succede che la cosa
non venga risolta, la si porti in modo riverente alla sede apostolica.
III. Per evitare
le future contestazioni sui diritti, sarà di ottimo aiuto la celebrazione del
sinodo nazionale. A questo riguardo, come già altre volte vi abbiamo
raccomandato, così ora, con la presente lettera, prescriviamo che tale sinodo
venga convocato al più presto. In questo si tratti dei diritti dei patriarchi e
dei vescovi, della giusta amministrazione dei fedeli, della disciplina del
clero, delle istituzioni monastiche e delle altre pie istituzioni, delle
necessità delle missioni, del decoro del culto divino, della sacra liturgia, e
delle altre cose dello stesso genere, che con diligenza e con grande cautela
debbono essere prese in considerazione per procurare la maggiore gloria di Dio
e per accrescere lo splendore della chiesa greco-melchita. Come presso le altre
chiese orientali la celebrazione del sinodo nazionale si è realizzata con
vantaggio in ordine alla composizione dei problemi e al rinnovamento della
disciplina ecclesiastica, così Noi a buon diritto ci ripromettiamo che dalla
elaborazione e dalla promulgazione di leggi scritte si otterranno per la vostra
Chiesa bellissimi frutti. Ora Invero, prima di porre fine alla presente
lettera, con l’intimo affetto del nostro Cuore vi esortiamo e scongiuriamo
affinché, avvinti strettamente ogni giorno di più da un fortissimo patto di
carità, “cerchiate di conservare con ogni umiltà e mansuetudine l’unità
dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. Nessuno di voi infatti
ignora quale importanza abbia per il bene di tutta la chiesa e per favorire la
riconciliazione dei separati, la concordia degli animi, delle volontà e dei
pensieri. Per questo Noi abbiamo la certa speranza, venerabili fratelli, che
voi, assecondando di tutto cuore queste paterne ammonizioni, desideri,
richieste, vogliate eliminare radicalmente i germi dei dissensi, e così portare
a compimento la Nostra gioia, e farvi carico di tutte le funzioni del vostro
gravissimo ufficio per il perfezionamento dei santi e per l’edificazione del
corpo di Cristo. Siate certi che Noi abbiamo deciso di compiere tutte quelle
cose che verremo a conoscere come utili per il maggiore vantaggio della chiesa
greco-melchita. Nel frattempo, nell’umiltà del Nostro cuore, preghiamo e
supplichiamo Dio affinché vi elargisca propizio una grande abbondanza dei
celesti carismi. Auspice della divina assistenza e testimone di quella
ardentissima carità con cui vi abbracciamo nel Signore, impartiamo con grande
amore a voi, venerabili fratelli, e a tutti i chierici e ai fedeli laici
greco-melchiti, la benedizione apostolica.
Roma, presso San Pietro, 21 luglio 1900, anno XXIII
del Nostro pontificato.
La lettera enciclica che proponiamo all’attenzione dei lettori, è una delle più importanti nella storia della Chiesa, e uno degli ultimi documenti di un Papa Cattolico, libero di esprimersi, prima della falce massonica e della ruspa liturgico-teologica che hanno determinato un macello putrido tra le anime, ed un cumulo di macerie nella Chiesa di Cristo, alterandone i connotati ideologici, filosofici, teologici, liturgici, con il ribaltone del falso pseudo-concilio c. d. Vaticano II, mediante il quale gli infiltrati marrani della “quinta colonna” si sono appropriati, usurpandoli, di tutti i posti chiave all’interno della struttura ecclesiastica, approfittando sia dei cani guardiani dormienti, sia dei pastori distratti dalla vanità, dai bagordi, dalle passioni sodomitiche, dall’amore dei beni del mondo e dall’amor proprio, novelli Giuda che, per un pugno di denari, dal vessillo di Cristo, sono passati sotto lo stendardo del nemico infernale, determinano la perdita di un numero incalcolabile di anime, comprese le loro. In questo vero syllabus degli errori del neo-ultra-modernismo, viene riaffermato il ruolo di assoluta importanza del Magistero Pontificio, sintesi ed elaborazione infallibile della Tradizione e della Sacra Scrittura, della quale è l’unica interprete autorizzata per diritto divino, e della filosofia e teologia scolastica, il cui apice è ovviamente il Dottore Angelico, proprio quello rigettato dalla blasfema, eretica, gnostica, satanica, la cosiddetta “nouvelle Theologie”, capace di moltiplicare all’infinito i bubboni pestiferi del modernismo già ampiamente condannati, ma mai sopiti e recidivati con virulenza maligna e metastatizzati tra le menti bacate di pseudo-teologi tutti accreditati nella falsa “chiesa dell’uomo”, la meretrice e la degna concubina del “signore dell’universo”, cioè dell’angelo decaduto e sprofondato negli inferi, concubina grottesca, mascherata obbrobriosamente da Sposa di Cristo. Ma senza andare oltre conviene effettivamente attenersi alla lucidissima analisi di S. S. Pio XII, ben coadiuvato nella stesura del documento pontificio da teologi illuminati (… non di Baviera!) ancora fedeli alla Chiesa, alla sua dottrina ed al suo Magistero; tra questi ci piace annoverare il futuro Papa Gregorio XVII, il Cardinal Giuseppe Siri, accanito ed irriducibile difensore della Chiesa, guardiano fedele della Dottrina, della filosofia e della teologia speculativa nonché dei testi canonici, dei quali era indiscussa autorità ai livelli assoluti. Godiamoci allora queste pagine che costituiranno pure una bella rinfrescata di memoria per chi ricorda appena concetti filosofici astrusi e falsi, propagandati ancora oggi dalla cultura laico-massonica (falsamente)progressista, e annichiliti dalla esposizione magistrale del Pontefice Massimo.
ENCICLICA
“HUMANI GENERIS”
DI S. S. PIO XII
“CIRCA ALCUNE FALSE OPINIONI CHE MINACCIANO DI SOVVERTIRE I FONDAMENTI DELLA DOTTRINA CATTOLICA”
AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE
PIO PP. XII
SERVO DEI SERVI
DI DIO
VENERABILI
FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
Introduzione
I dissensi e gli errori degli uomini in
materia religiosa e morale, per tutti gli onesti, soprattutto dei i sinceri e
fedeli figli della Chiesa, sono sempre stati origine e causa di fortissimo
dolore, ma specialmente oggi, quando vediamo come da ogni parte vengano offesi
gli stessi principi della cultura cristiana. – Veramente non c’è da meravigliarsi,
se fuori dell’ovile di Cristo sempre vi sono stati questi dissensi ed errori.
Benché la ragione umana, assolutamente parlando, con le sue forze e con la sua
luce naturale possa effettivamente arrivare alla conoscenza, vera e certa, di
Dio unico e personale, che con la sua Provvidenza sostiene e governa il mondo,
e anche alla conoscenza della legge naturale impressa dal Creatore nelle nostre
anime, tuttavia non pochi sono gli ostacoli che impediscono alla nostra ragione
di servirsi con efficacia e con frutto di questo suo naturale potere. Le verità
che riguardano Dio e le relazioni tra gli uomini e Dio trascendono del tutto
l’ordine delle cose sensibili; quando poi si fanno entrare nella pratica della
vita e la informano, allora richiedono sacrificio e abnegazione. Nel
raggiungere tali verità, l’intelletto umano incontra ostacoli della fantasia,
sia per le cattive passioni provenienti dal peccato originale. Avviene che gli
uomini in queste cose volentieri si persuadono che sia falso, o almeno dubbio,
ciò che essi “non vogliono che sia vero”. Per questi motivi si deve
dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità
che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano
da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore.
(Conc. Vat. D. B. 1876, Cost. “De fide
Cath.”, cap. II,
De revelatione). – Anzi la mente umana qualche volta può trovare difficoltà
anche nel formarsi un giudizio certo di credibilità circa la fede cattolica,
benché da Dio siano stati disposti tanti e mirabili segni esterni, per cui anche
con la sola luce naturale della ragione si può provare con certezza l’origine
divina della Religione cristiana. L’uomo infatti, sia perché guidato da
pregiudizi, sia perché istigato da passioni e da cattiva volontà, non solo può
negare la chiara evidenza dei segni esterni, ma anche resistere alle
ispirazioni che Dio infonde nelle nostre anime. Chiunque osservi il mondo
odierno, che è fuori dell’ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le
principali vie per le quali i dotti si sono incamminati. Alcuni, senza prudenza
né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il
sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel
campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l’ipotesi
monistica e panteistica dell’universo soggetto a continua evoluzione. Di quest’ipotesi
volentieri si servono i fautori del comunismo per farsi difensori e propagandisti
del loro materialismo dialettico e togliere dalle menti ogni nozione di Dio. – Le
false affermazioni di siffatto evoluzionismo, per cui viene ripudiato quanto vi
è di assoluto, fermo ed immutabile, hanno preparato la strada alle aberrazioni
di una nuova filosofia che, facendo concorrenza all’idealismo, all’immanentismo
e al pragmatismo, ha preso il nome di “esistenzialismo” perché, ripudiate
le essenze immutabili delle cose, si preoccupa solo della “esistenza”
dei singoli individui. Si aggiunge a ciò un falso “storicismo” che si
attiene solo agli eventi della vita umana e rovina le fondamenta di qualsiasi
verità e legge assoluta sia nel campo della filosofia, sia in quello dei dogmi
cristiani. In tanta confusione di opinioni, Ci reca un po’ di consolazione il
vedere coloro che un tempo erano stati educati nei principî del razionalismo,
ritornare oggi, non di rado, alle sorgenti della verità rivelata, e riconoscere
e professare la parola di Dio, conservata nella Sacra Scrittura, come
fondamento della Teologia. – Nello stesso tempo però reca dispiacere il fatto
che non pochi di essi, quanto più fermamente aderiscono alla parola di Dio,
tanto più sminuiscono il valore della ragione umana, e quanto più volentieri innalzano
l’autorità di Dio Rivelatore, tanto più aspramente disprezzano il Magistero
della Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire e interpretare le
verità rivelate da Dio. Questo disprezzo non solo è in aperta contraddizione
con la Sacra Scrittura, ma si manifesta falso anche con la stessa esperienza.
Poiché frequentemente gli stessi “dissidenti” si lamentano in
pubblico della discordia che regna fra di loro nel campo dogmatico, cosicché,
pur senza volerlo, riconoscono la necessità di un vivo Magistero. – Ora queste
tendenze, che più o meno deviano dalla retta strada, non possono essere
ignorate o trascurate dai filosofi e dai teologi cattolici, che hanno il grave
compito di difendere le verità divine ed umane e di farle penetrare nelle menti
degli uomini. Anzi, essi devono conoscere bene queste opinioni, sia perché le
malattie non si possono curare se prima non sono bene conosciute, sia perché
qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po’ di verità, sia
infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a
scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche che teologiche. Se i
nostri cultori di filosofia e di teologia da queste dottrine, esaminate con
cautela, cercassero solo di cogliere i detti frutti, non vi sarebbe motivo
perché il Magistero della Chiesa avesse a interloquire. Ma, benché Noi sappiamo
bene che gli insegnanti e i dotti cattolici in genere si guardano da tali
errori, è noto però che non mancano nemmeno oggi, come ai tempi apostolici,
coloro che, amanti più del conveniente delle novità e timorosi di essere
ritenuti ignoranti delle scoperte fatte dalla scienza in quest’epoca di
progresso, cercano di sottrarsi alla direzione del sacro Magistero e perciò
sono nel pericolo di allontanarsi insensibilmente dalle verità Rivelate e di trarre
in errore anche gli altri. Si nota poi un altro pericolo, e tanto più grave,
perché si copre maggiormente con l’apparenza della virtù. – Molti, deplorando
la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, mossi da uno zelo imprudente
e spinti da uno slancio e da un grande desiderio di rompere i confini con cui
sono fra loro divisi i buoni e gli onesti; essi abbracciano perciò una specie
di “irenismo” che, omesse le questioni che dividono gli uomini, non
cerca solamente di ricacciare, con unità di forze, l’irrompente ateismo, ma anche
di conciliare le opposte posizioni nel campo stesso dogmatico. E come un tempo
vi furono coloro che si domandavano se l’apologetica tradizionale della Chiesa
costituisse più un ostacolo che un aiuto per guadagnare le anime a Cristo, cosi
oggi non mancano coloro che osano arrivare fino al punto di proporre seriamente
la questione, se la teologia e il suo metodo, come sono in uso nelle scuole con
l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, non solo debbano essere perfezionate,
ma anche completamente riformate, affinché si possa propagare con più efficacia
il regno di Cristo in tutto il mondo, fra gli uomini di qualsiasi cultura o di
qualsiasi opinione religiosa. Se essi non avessero altro intento che quello di
rendere, con qualche innovazione, la scienza ecclesiastica e il suo metodo più
adatti alle odierne condizioni e necessità, non ci sarebbe quasi motivo di
temere; ma alcuni, infuocati da un imprudente “irenismo”, sembrano
ritenere un ostacolo al ristabilimento dell’unità fraterna, quanto si fonda
sulle leggi e sui principî stessi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui
fondate, o quanto costituisce la difesa e il sostegno dell’integrità della fede, crollate le quali,
tutto viene sì unificato, ma soltanto nella comune rovina. Queste
opinioni, provenienti da deplorevole desiderio di novità o anche da lodevoli
motivi, non sempre vengono proposte con la medesima gradazione, con la medesima
chiarezza o con i medesimi termini, né sempre i sostenitori di esse sono pienamente
d’accordo fra loro; ciò che viene oggi insegnato da qualcuno più copertamente
con alcune cautele e distinzioni, domani da altri, più audaci, viene proposto pubblicamente
e senza limitazioni, con scandalo di molti, specialmente del giovane clero, e
con detrimento dell’autorità ecclesiastica. Se di solito si usa più cautela nelle
pubblicazioni stampate, di questi argomenti si tratta con maggiore libertà
negli opuscoli distribuiti in privato, nelle lezioni dattilografate e nelle
adunanze. Queste opinioni non vengono divulgate solo fra i membri del clero
secolare e regolare, nei seminari e negli istituti religiosi, ma anche fra i
laici, specialmente fra quelli che si dedicano all’educazione e all’istruzione
della gioventù.
I
Per
quanto riguarda la Teologia, certuni intendono ridurre al massimo il significato
dei dogmi; liberare lo stesso dogma dal modo di esprimersi, già da tempo
usato nella Chiesa, e dai concetti filosofici in vigore presso i dottori
cattolici, per ritornare nell’esporre la dottrina cattolica, alle espressioni
usate dalla Sacra Scrittura e dai Santi Padri. Essi così sperano che il dogma,
spogliato degli elementi estrinseci, come essi dicono, alla divina rivelazione,
possa venire con frutto paragonato alle opinioni dogmatiche di coloro che sono
separati dalla Chiesa e in questo modo si possa pian piano arrivare
all’assimilazione del dogma con le opinioni dei dissidenti. Inoltre, ridotta in
tali condizioni la dottrina cattolica, pensano di aprire cosi la via attraverso
la quale arrivare, dando soddisfazione alle odierne necessità, a poter esprimere i dogmi con le
categorie della filosofia odierna, sia dell’immanentismo, sia dell’idealismo, sia
dell’esistenzialismo o di qualsiasi altro sistema. – E perciò taluni,
più audaci, sostengono che ciò possa, anzi debba farsi, perché i misteri della
fede, essi affermano, non possono mai esprimersi con concetti adeguatamente
veri, ma solo con concetti approssimativi e sempre mutevoli, con i quali la
verità viene in un certo qual modo manifestata, ma necessariamente anche
deformata. Perciò ritengono non assurdo, ma del tutto necessario che la
teologia, in conformità ai vari sistemi filosofici di cui essa nel corso dei
tempi si serve come strumenti, sostituisca nuovi concetti agli antichi;
cosicché in modi diversi, e sotto certi aspetti anche opposti, ma come essi dicono
equivalenti, esponga al modo umano le medesime verità divine. Aggiungono poi
che la storia dei dogmi consiste nell’esporre le varie forme di cui si è
rivestita successivamente la verità rivelata, secondo le diverse dottrine e le
diverse opinioni che sono sorte nel corso dei secoli. – Da quanto abbiamo detto
è chiaro che queste tendenze non
solo conducono al relativismo dogmatico, ma di fatto già lo contengono;
questo relativismo e poi fin troppo favorito dal disprezzo verso la dottrina tradizionale
e verso i termini con cui essa si esprime. Tutti sanno che le espressioni di
tali concetti, usate sia nelle scuole sia dal Magistero della Chiesa, possono
venir migliorate e perfezionate; è inoltre noto che la Chiesa non è stata
sempre costante nell’uso di quelle medesime parole. È chiaro pure che la Chiesa non può essere legata
ad un qualunque effimero sistema filosofico; ma quelle nozioni e quei
termini, che con generale consenso furono composti attraverso parecchi secoli
dai dottori cattolici per arrivare a qualche conoscenza e comprensione del
dogma, senza dubbio non poggiano su di un fondamento così caduco. Si appoggiano
invece a principî e nozioni dedotte da una vera conoscenza del creato; e nel
dedurre queste conoscenze, la verità rivelata, come una stella, ha illuminato
per mezzo della Chiesa la mente umana. Perciò non c’è da meravigliarsi se qualcuna
di queste nozioni non solo sia stata adoperata in Concili Ecumenici, ma vi abbia
ricevuto tale sanzione per cui non ci è lecito allontanarcene. Per tali
ragioni, è massima imprudenza il trascurare o respingere o privare del loro
valore i concetti e le espressioni che da persone di non comune ingegno e santità,
sotto la vigilanza del sacro Magistero e non senza illuminazione e guida dello
Spirito Santo, sono state più volte con lavoro secolare trovate e perfezionate
per esprimere sempre più accuratamente le verità della fede, e sostituirvi
nozioni ipotetiche ed espressioni fluttuanti e vaghe della nuova filosofia, le
quali, a somiglianza dell’erba dei campi, oggi vi sono e domani seccano; a
questo modo si rende lo stesso dogma simile a una canna agitata dal vento. Il
disprezzo delle parole e delle nozioni usate dai teologi scolastici, di per sé
conduce all’indebolimento della teologia speculativa, che essi ritengono priva
di una vera certezza in quanto si fonda sulle ragioni teologiche. Purtroppo questi amatori delle
novità facilmente passano dal disprezzo della teologia scolastica allo spregio
verso lo stesso Magistero della Chiesa che ha dato, con la sua autorità, una
cosi notevole approvazione a quella teologia. Questo Magistero viene da
costoro fatto apparire come un impedimento al progresso e un ostacolo per la
scienza; da alcuni acattolici poi viene considerato come un freno, ormai ingiusto,
con cui alcuni teologi più colti verrebbero trattenuti dal rinnovare la loro
scienza. E benché questo sacro Magistero debba essere per qualsiasi teologo, in
materia di fede e di costumi, la norma prossima e universale di verità (in
quanto ad esso Cristo Signore ha affidato il deposito della fede – cioè la
Sacra Scrittura e la Tradizione divina – per essere custodito, difeso ed
interpretato, tuttavia viene alle volte ignorato, come se non esistesse, il
dovere che hanno i fedeli di rifuggire pure da quegli errori che in maggiore o
minore misura s’avvicinano all’eresia, e quindi “di osservare anche le
costituzioni e i decreti. con cui queste false opinioni vengono dalla Santa
Sede proscritte e proibite” (Corp. Jur. Can., can. 1324; Cfr. Conc. Vat.
D. B. 1820, Cost. “De fide cath.”, cap. 4, De fide et
ratione, post canones). – Quanto viene esposto nelle Encicliche dei Sommi
Pontefici circa il carattere e la costituzione della Chiesa, viene da certuni,
di proposito e abitualmente, trascurato con lo scopo di far prevalere un
concetto vago che essi dicono preso dagli antichi Padri, specialmente greci. I
Pontefici infatti – essi vanno dicendo – non intendono dare un giudizio sulle
questioni che sono oggetto di disputa tra i teologi; è quindi necessario
ritornare alle fonti primitive, e con gli scritti degli antichi si devono
spiegare le costituzioni e i decreti del Magistero. Queste affermazioni vengono
fatte forse con eleganza di stile; però esse non mancano di falsità. Infatti è vero che generalmente i Pontefici lasciano
liberi i teologi in quelle questioni che, in vario senso, sono soggette a
discussioni fra i dotti di miglior fama; però la storia insegna che parecchie
questioni, che prima erano oggetto di libera disputa, in seguito non potevano
più essere discusse. Né si
deve ritenere che gli insegnamenti delle Encicliche non richiedano, per sé, il
nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del
loro Magistero Supremo. Infatti questi insegnamenti sono del Magistero
ordinario, di cui valgono poi le parole: “Chi ascolta voi, ascolta
me” (Luc. X, 16); e per lo più, quanto viene proposto e inculcato
nelle Encicliche, è già per altre
ragioni patrimonio della dottrina
cattolica. Se poi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposito una
sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione,
secondo l’intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più
costituire oggetto di libera discussione fra i teologi. È vero pure che i
teologi devono sempre ritornare alle fonti della Rivelazione divina: è infatti
loro compito indicare come gli insegnamenti del vivo Magistero “si trovino
sia esplicitamente sia implicitamente” nella Sacra Scrittura o nella
divina tradizione. Inoltre si aggiunga che ambedue le fonti della Rivelazione
contengono tali e tanti tesori di verità da non potersi mai, di fatto,
esaurire. Le scienze sacre con lo studio delle sacre fonti ringiovaniscono
sempre; al contrario, diventa sterile, come sappiamo dall’esperienza, la
speculazione che trascura la ricerca del sacro deposito. Ma per questo motivo la
teologia, anche quella positiva, non può essere equiparata ad una scienza solamente
storica. Dio insieme a queste sacre fonti ha dato alla sua Chiesa il vivo
Magistero, anche per illustrare e svolgere quelle verità che sono contenute nel
deposito della fede soltanto oscuramente e come implicitamente. E il divin Redentore non ha mai
dato questo deposito, per l’autentica interpretazione, né ai singoli fedeli, né
agli stessi teologi, ma solo al Magistero della Chiesa. Se poi la Chiesa
esercita questo suo officio (come nel corso dei secoli è spesso avvenuto) con
l’esercizio sia ordinario che straordinario di questo medesimo officio, è
evidente che è del tutto falso il metodo con cui si vorrebbe spiegare le cose
chiare con quelle oscure; anzi è necessario che tutti seguano l’ordine inverso.
Perciò il Nostro Predecessore di imperitura memoria Pio IX, mentre insegnava
che è compito nobilissimo della teologia quello di mostrare come una dottrina
definita dalla Chiesa è contenuta nelle fonti, non senza grave motivo
aggiungeva le seguenti parole: “in quello stesso senso, con cui è stata
definita dalla Chiesa”.
II
Ritorniamo ora alle teorie nuove, di cui
abbiamo parlato prima: da
alcuni vengono proposte o istillate nella mente diverse opinioni che
sminuiscono l’autorità divina della Sacra Scrittura. Con audacia alcuni pervertono
il senso delle parole del Concilio Vaticano con cui si definisce che Dio è
l’Autore della Sacra Scrittura, e rinnovano la sentenza, già più volte
condannata, secondo cui l’inerranza della Sacra Scrittura si estenderebbe
soltanto a ciò che riguarda Dio stesso o la religione e la morale. Anzi
falsamente parlano di un senso umano della Bibbia, sotto il quale sarebbe
nascosto il senso divino, che è, come essi dichiarano, il solo infallibile.
Nell’interpretazione della Sacra Scrittura essi non vogliono tener conto
dell’analogia della fede e della tradizione della Chiesa; in modo che la
dottrina dei Santi Padri e del Magistero dovrebbe essere misurata con quella
della Sacra Scrittura, spiegata, però, dagli esegeti in modo puramente umano; e
non piuttosto la Sacra Scrittura esposta secondo la mente della Chiesa, che da
Cristo Signore è stata costituita custode e interprete di tutto il deposito
delle verità rivelate. Inoltre il senso letterale della Sacra Scrittura e la
sua spiegazione elaborata, sotto la vigilanza della Chiesa, da tali e tanti
esegeti, dovrebbe, secondo le loro false opinioni, cedere il posto ad una nuova
esegesi, chiamata simbolica e spirituale; secondo quest’esegesi i libri del
Vecchio Testamento, che oggi nella Chiesa sono una fonte chiusa e nascosta,
verrebbero finalmente aperti a tutti. In questo modo – essi affermano –
svaniscono tutte le difficoltà alle quali vanno incontro soltanto coloro che si
attengono al senso letterale delle Scritture. – Tutti vedono quanto tutte
queste opinioni si allontanino dai principi e dalle norme ermeneutiche
giustamente stabilite dai Nostri Predecessori di felice memoria: da Leone XIII
nell’Enciclica “ProvidentissimusDeus“, da Benedetto XV
nell’Enciclica “Spiritus Paraclitus“, come pure da Noi stessi
nell’Enciclica “Divino afflante Spiritu“. Non deve recare
meraviglia che tali novità in quasi tutte le parti della teologia abbiano
prodotto i loro velenosi frutti. Si mette in dubbio che la ragione umana, senza
l’aiuto della divina Rivelazione e della grazia, possa dimostrare con argomenti
dedotti dalle cose create, l’esistenza di un Dio personale; si afferma che il
mondo non ha avuto inizio e che la creazione del mondo è necessaria, perché
procede dalla necessaria liberalità del divino amore; così pure si afferma che
Dio non ha prescienza eterna ed infallibile delle libere azioni dell’uomo:
tutte opinioni contrarie alle dichiarazioni del Concilio Vaticano (Cfr. Conc.
Vat. Cost. “De fide cath.”, cap. 1: De Deo
rerum omnium creatore). Da alcuni poi si mette in discussione se gli Angeli
siano persone; se vi sia una differenza essenziale fra la materia e lo spirito.
Altri snaturano il concetto della gratuità dell’ordine sovrannaturale, quando
sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli
alla visione beatifica. Né basta; poiché, messe da parte le definizioni del
Concilio di Trento, viene distrutto il vero concetto di peccato originale e
insieme quello di peccato in genere, in quanto offesa di Dio, come pure quello
di soddisfazione data per noi da Cristo. Né mancano coloro che sostengono che
la dottrina della transustanziazione, in quanto fondata su un concetto
antiquato di sostanza, deve essere corretta in modo da ridurre la presenza
reale di Cristo nell’Eucaristia ad un simbolismo, per cui le specie consacrate
non sarebbero altro che segni efficaci della presenza di Cristo e della sua intima
unione nel Corpo mistico con i membri fedeli. Certuni non si ritengono legati
alla dottrina che Noi abbiamo esposta in una Nostra Enciclica e che è fondata
sulle fonti della Rivelazione, secondo cui il Corpo mistico di Cristo e la
Chiesa cattolica romana sono una sola identica cosa. Alcuni riducono ad una vana formula la necessità
di appartenere alla vera Chiesa per ottenere l’eterna salute. Altri
infine non ammettono il carattere razionale dei segni di credibilità della fede
cristiana. È noto che questi errori, ed altri del genere, serpeggiano in mezzo
ad alcuni Nostri figli, tratti in inganno da uno zelo imprudente o da una
scienza di falso conio; e a questi figli sono costretti a ripetere, con animo addolorato,
verità notissime ed errori manifesti, indicando loro con ansietà i pericoli
dell’errore.
III
Tutti sanno quanto la Chiesa apprezzi il
valore della ragione umana, alla quale spetta il compito di dimostrare con
certezza l’esistenza di un solo Dio personale, di dimostrare invincibilmente per
mezzo dei segni divini i fondamenti della stessa fede cristiana; di porre
inoltre rettamente in luce la legge che il Creatore ha impressa nelle anime
degli uomini; ed infine il compito di raggiungere una conoscenza limitata, ma
utilissima, dei misteri (Cfr. Conc. Vat. D. B. 1796). Ma questo compito potrà
essere assolto convenientemente e con sicurezza, se la ragione sarà debitamente
coltivata: se cioè essa verrà nutrita di quella sana filosofia che è come un
patrimonio ereditato dalle precedenti età cristiane e che possiede una più alta
autorità, perché lo stesso Magistero della Chiesa ha messo al confronto con la
verità rivelata i suoi principî e le sue principali asserzioni, messe in luce e
fissate lentamente attraverso i tempi da uomini di grande ingegno. Questa
stessa filosofia, confermata e comunemente ammessa dalla Chiesa, difende il
genuino valore della cognizione umana, gli incrollabili principî della
metafisica cioè di ragion sufficiente, di causalità e di finalità ed infine
sostiene che si può raggiungere la verità certa ed immutabile. In questa filosofia vi sono
certamente parecchie cose che non riguardano la fede e i costumi, né
direttamente né indirettamente, e che perciò la Chiesa lascia alla libera
discussione dei competenti in materia; ma non vi è la medesima libertà riguardo
a parecchie altre, specialmente riguardo ai principî ed alle principali
asserzioni di cui già parlammo. Anche in tali questioni essenziali si
può dare alla filosofia una veste più conveniente e più ricca; si può rafforzare
la stessa filosofia con espressioni più efficaci, spogliarla di certi mezzi
scolastici meno adatti, arricchirla anche – però con prudenza – di certi
elementi che sono frutto del progressivo lavoro della mente umana; però non si
deve mai sovvertirla o contaminarla con falsi principî, né stimarla solo come
un grande monumento, sì, ma archeologico. La verità in ogni sua manifestazione
filosofica non può essere soggetta a quotidiani mutamenti specialmente trattandosi
dei principî per sé noti della ragione umana o di quelle asserzioni che
poggiano tanto sulla sapienza dei secoli che sul consenso e sul fondamento
anche della Rivelazione divina. Qualsiasi verità la mente umana con sincera
ricerca ha potuto scoprire, non può essere in contrasto con la verità già
acquisita; perché Dio, Somma Verità, ha creato e regge l’intelletto umano non
affinché alle verità rettamente acquisite ogni giorno esso ne contrapponga
altre nuove; ma affinché,, rimossi gli errori che eventualmente vi si fossero
insinuati, aggiunga verità a verità nel medesimo ordine e con la medesima organicità
con cui vediamo costituita la natura stessa delle cose da cui la verità si
attinge. Per tale ragione
il Cristiano, sia egli filosofo o teologo, non abbraccia con precipitazione e
leggerezza tutte le novità che ogni giorno vengono escogitate, ma le deve
esaminare con la massima diligenza e le deve porre su una giusta bilancia per
non perdere la verità già conquistata o corromperla, certamente con pericolo e
danno della fede stessa. – Se si considera bene quanto sopra è stato
esposto, facilmente apparirà chiaro il motivo per cui la Chiesa esige che i
futuri sacerdoti siano istruiti nelle scienze filosofiche “secondo il
metodo, la dottrina e i principi del Dottor Angelico” (Corp. Jur. Can.,
can. 1366, 2), giacché, come ben sappiamo dall’esperienza di parecchi secoli,
il metodo dell’Aquinate si distingue per singolare superiorità tanto
nell’ammaestrare gli animi che nella ricerca della verità; la sua dottrina poi
è in armonia con la Rivelazione divina ed è molto efficace per mettere al sicuro
i fondamenti della fede come pure per cogliere con utilità e sicurezza i frutti
di un sano progresso (A. A. S. vol. XXXVIII, 1946, p. 387). Perciò è quanto mai
da deplorarsi che oggi la filosofia confermata ed ammessa dalla Chiesa sia
oggetto di disprezzo da parte di certuni, talché essi con imprudenza la
dichiarano antiquata per la forma e razionalistica per il processo di pensiero.
Vanno dicendo che questa nostra filosofia difende erroneamente l’opinione che
si possa dare una metafisica vera in modo assoluto; mentre al contrario essi
sostengono che le verità, specialmente quelle trascendenti, non possono venire
espresse più convenientemente che per mezzo di dottrine disparate che si
completano tra loro, benché siano in certo modo l’una all’altra opposte. Perciò
la filosofia scolastica con la sua lucida esposizione e soluzione delle
questioni, con la sua accurata determinazione dei concetti e le sue chiare
distinzioni, può essere utile – essi concedono – come preparazione allo studio
della teologia scolastica, molto bene adattata alla mentalità degli uomini medievali;
ma non può darci – aggiungono – un metodo ed un indirizzo filosofico che
risponda alle necessità della nostra cultura moderna. Oppongono, inoltre, che
la filosofia perenne non è che la filosofia delle essenze immutabili, mentre la
mentalità moderna deve interessarsi della “esistenza” dei singoli
individui e della vita sempre in divenire.
Però, mentre disprezzano questa
filosofia, esaltano le altre, sia antiche che recenti, sia di popoli orientali che
di quelli occidentali, in modo che sembrano voler insinuare che tutte le
filosofie o opinioni, con l’aggiunta – se necessario – di qualche correzione o
di qualche complemento, si possono conciliare con il dogma cattolico. Ma nessun
cattolico può mettere in dubbio quanto tutto ciò sia falso, specialmente quando
si tratti di sistemi come l’immanentismo, l’idealismo, il materialismo, sia
storico che dialettico, o anche come l’esistenzialismo, quando esso professa
l’ateismo o quando nega il valore del ragionamento nel campo della metafisica. Infine
alla filosofia delle nostre scuole essi fanno questo rimprovero: che essa nel
processo del pensiero bada solo all’intelletto e trascura la funzione della
volontà e del sentimento. Ciò non corrisponde a verità. La filosofia cristiana
non ha mai negato l’utilità e l’efficacia che hanno le buone disposizioni di
tutta l’anima per conoscere ed abbracciare le verità religiose e morali; anzi,
ha sempre insegnato che la mancanza di tali disposizioni può essere la causa
per cui l’intelletto, sotto l’influsso delle passioni e della cattiva volontà,
venga cosi oscurato da non poter rettamente vedere. Di più, il Dottor Comune ritiene
che l’intelletto possa in qualche modo percepire i beni di grado superiore
dell’ordine morale sia naturale che soprannaturale, in quanto esso esperimenta
nell’ultimo una certa “connaturalità” sia essa naturale, sia frutto
della grazia, con i medesimi beni (Cfr. S. Thom., Summa Theol. IIa IIæ,
quæst. I, art. 4 ad 3; et quæst. 45, art. 2, in c.); ed è chiaro quanto questa,
sia pur subcosciente, conoscenza possa essere di aiuto alla ragione nelle sue
ricerche. Ma altro è riconoscere il potere che hanno la volontà e le disposizioni
dell’animo di aiutare la ragione a raggiungere una conoscenza più certa e più
salda delle verità morali, ed altro in quanto vanno sostenendo quei tali
novatori: cioè che la volontà e il sentimento hanno un certo potere intuitivo e
che l’uomo, non potendo col ragionamento discernere con certezza ciò che
dovrebbe abbracciare come vero, si volge alla volontà, per cui egli possa
compiere una libera risoluzione ed elezione fra opposte opinioni, mescolando
malamente così la conoscenza e l’atto della volontà. Non c’è da meravigliarsi
che con queste nuove opinioni siano messe in pericolo le due scienze filosofiche che, per
natura loro, sono strettamente collegate con gli insegnamenti della fede, cioè
la teodicea e l’etica; essi ritengono che la funzione di queste non sia
quella di dimostrare con certezza qualche verità riguardante Dio o altro ente
trascendente, ma piuttosto quella di mostrare come siano perfettamente coerenti
con le necessità della vita le verità che la fede insegna riguardo a Dio, Essere
personale, e ai suoi precetti, e che perciò devono essere accettate da tutti
per evitare la disperazione e per ottener l’eterna salvezza. Tutte queste
affermazioni e opinioni sono apertamente contrarie ai documenti dei Nostri Predecessori
Leone XIII e Pio X, e sono inconciliabili con i decreti del Concilio Vaticano.
– Sarebbe veramente inutile deplorare queste aberrazioni, se tutti, anche nel
campo filosofico, fossero ossequienti con la debita venerazione verso il
Magistero della Chiesa, che per istituzione divina ha la missione non solo di
custodire e interpretare il deposito della Rivelazione, ma anche di vigilare
sulle stesse scienze filosofiche perché i dogmi cattolici non abbiano a ricevere
alcun danno da opinioni non rette.
IV
Rimane ora da parlare di quelle
questioni che, pur appartenendo alle scienze positive, sono più o meno connesse
con le verità della fede cristiana. Non pochi chiedono instantemente che la
Religione Cattolica tenga massimo conto di quelle scienze. Il che è senza
dubbio cosa lodevole, quando si tratta di fatti realmente dimostrati; ma
bisogna andar cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo
fondate scientificamente, nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella
Sacra Scrittura o anche nella tradizione. Se tali ipotesi vanno direttamente o
indirettamente contro la dottrina rivelata, non possono ammettersi in alcun
modo. – Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità
dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di
discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina
dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo
umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci
obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente sia Dio). Però
questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè
di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e
giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti
a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l’ufficio
di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della
fede (Cfr. Allocuzione Pont. ai membri dell’Accademia delle Scienze, 30 novembre
1941; A. A. S. Vol. , p. 506). Però alcuni oltrepassano questa libertà di
discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la
stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi
di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi;
e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga
in questa materia la più grande moderazione e cautela. Però quando si tratta
dell’altra ipotesi, cioè del poligenismo,
allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I
fedeli non possono abbracciare quell’opinione i cui assertori insegnano che
dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto
origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti
gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti progenitori; non
appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto
le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano
circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da
Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per
generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (cfr. Rom. V, 12-19; Conc. Trident., sess. V, can. 1-4).
V
Come
nelle scienze biologiche ed antropologiche, cosi pure in quelle storiche vi
sono coloro che audacemente oltrepassano i limiti e le cautele stabilite dalla
Chiesa. In modo particolare si deve deplorare un certo sistema di
interpretazione troppo libera dei libri storici del Vecchio Testamento; i fautori di questo
sistema, per difendere le loro idee, a torto si riferiscono alla Lettera che
non molto tempo fa è stata inviata all’arcivescovo di Parigi dalla Pontificia
Commissione per gli Studi Biblici (16 gennaio 1948; A. A. S., vol. XL, pp.
45-48). Questa Lettera infatti fa notare che gli undici primi capitoli del
Genesi, benché propriamente parlando non concordino con il metodo storico usato
dai migliori autori greci e latini o dai competenti del nostro tempo, tuttavia
appartengono al genere storico in un vero senso, che però deve essere
maggiormente studiato e determinato dagli esegeti; i medesimi capitoli – fa ancora
notare la Lettera – con parlare semplice e metaforico, adatto alla mentalità di
un popolo poco civile, riferiscono sia le principali verità che sono
fondamentali per la nostra salvezza, sia anche una narrazione popolare dell’origine
del genere umano e del popolo eletto. Se qualche cosa gli antichi agiografi
hanno preso da narrazioni popolari (il che può essere concesso), non bisogna
mai dimenticare che hanno fatto questo con l’aiuto dell’ispirazione divina, che
nella scelta e nella valutazione di quei documenti li ha premuniti da ogni
errore. Quindi le narrazioni popolari inserite nelle Sacre Scritture non
possono affatto essere poste sullo stesso piano delle mitologie o simili, le
quali sono frutto più di un’accesa fantasia che di quell’amore alla verità e
alla semplicità che risalta talmente nei Libri Sacri, anche del Vecchio
Testamento, da dover affermare che i nostri agiografi son palesemente superiori
agli antichi scrittori profani. Veramente Noi sappiamo che la maggioranza dei
dottori cattolici, dei cui studi raccolgono i frutti gli Atenei, i Seminari e i
Collegi dei religiosi, sono lontani da quegli errori che apertamente o di
nascosto oggi vengono divulgati, sia per smania di novità, sia anche per una
non moderata intenzione di apostolato. – Ma sappiamo anche che queste nuove
opinioni possono fai presa tra le persone imprudenti; quindi preferiamo porvi
rimedio sugli inizi, piuttosto che somministrare la medicina quando la malattia
è ormai invecchiata. Per questo motivo, dopo matura riflessione e considerazione,
per non venir meno al Nostro sacro dovere, ordiniamo ai Vescovi e ai Superiori
Generali degli Ordini e Congregazioni religiose, onerata in maniera gravissima
la loro coscienza, di curare con ogni diligenza che opinioni di tal genere non
siano sostenute nelle scuole o nelle adunanze e conferenze, né con scritti di
qualsiasi genere e nemmeno siano insegnate, in qualsivoglia maniera, ai
chierici o ai fedeli. Gli insegnanti degli Istituti ecclesiastici sappiano che essi non possono
esercitare con tranquilla coscienza l’ufficio di insegnare che è stato loro
affidato, se non accettano religiosamente le norme che abbiamo stabilite e non
le osservano esattamente nell’insegnamento delle loro materie. Quella
doverosa venerazione ed obbedienza che nel loro assiduo lavoro devono professare
verso il Magistero della Chiesa le infondano anche nella mente e nell’anima dei
loro scolari.
Conclusione
Cerchiamo con ogni sforzo e con passione
di concorrere al progresso delle scienze che insegnano; ma si guardino anche
dall’oltrepassare i confini da Noi stabiliti per la difesa della fede e della
dottrina cattolica. Alle nuove questioni, che la cultura moderna e il progresso
hanno fatto diventare di attualità, diano l’apporto delle loro accuratissime
ricerche, ma con la conveniente prudenza e cautela; infine, non abbiano a
credere, per un falso “irenismo”, che si possa ottenere un felice
ritorno nel seno della Chiesa dei dissidenti e degli erranti, se non si insegna
a tutti, sinceramente, tutta la verità in vigore nella Chiesa, senza alcuna
corruzione e senza alcuna diminuzione. Fondati su questa speranza, che sarà
aumentata dalla vostra pastorale solerzia, come auspicio dei celesti doni e
segno della Nostra paterna benevolenza, impartiamo di gran cuore a voi tutti
singolarmente, come al clero e al popolo vostri, l’apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro,
il giorno 22 del mese di Agosto dell’anno 1950, XII del Nostro Pontificato.
Pubblichiamo questa Lettera Apostolica con la quale il Papa Pio IX, all’occasione della convocazione del Concilio Vaticano, invitava i “fratelli separati” a rientrare nella Chiesa Cattolica. In questo importante documento, molti spunti interessanti mettono in rilievo, qualora ancora ce ne fosse bisogno, per gli ipovedenti neo-pagani, le contraddizioni delle nuove dottrine del satanico Concilio c. d. Vaticano II – scomunicato anzitempo dalla bolla Execrabilis di S. S. Pio II – e dell’ancor più luciferino post-concilio, con il Magistero perenne della Chiesa. – Innanzitutto Pio IX mostra quello che è sempre stato lo scopo di un Concilio Ecumenico, e per cui gli è garantita l’assistenza divina, cioè la condanna degli errori e la diffusione della fede. Notevole poi l’appello accorato a tutti coloro che si trovano in comunità pseudo-religiose fuori della Chiesa, per spingerli alla conversione e a rientrare nell’ovile di Cristo, al di fuori del quale non c’è salvezza … extra Ecclesiam nulla salus! Il Papa afferma chiaramente che in nessuna di quelle società religiose, sette scismatiche ed eretiche (tra le quali oggi annoveriamo pure il neomassonico “Nuvus ordo” dei modernisti ecumenisti-adoratori del “signore dell’universo” [cioè il baphomet-lucifero], nonché i gallicani fallibilisti eredi ed emuli del “cavaliere kadosh” Lienart, le varie sette dell’arcipelago dei “cani sciolti”, cioè i liberi sedevacantisti e tesisti vari …), si può identificare la Chiesa di Gesù Cristo che è soltanto la Chiesa Cattolica. Il Pontefice sottolinea poi come il diffondersi delle sette produca gravi danni anche per la società civile (dopo un secolo e mezzo vediamo che aveva perfettamente ragione … come al solito!), e se ne deduce quindi che esse non abbiano nessun diritto a non essere impedite di diffondersi pubblicamente, come vuole il diktat mondialista massonico-ecumenista. Il Papa termina la lettera mostrando come il motivo di questo appello sia dettato dal suo preciso dovere di fare tutto il possibile per la salvezza delle anime e per il bene della società cristiana. .. IAM VOS OMNES noveritis, Nos licet immerentes ad hanc Petri Cathedram evectos …
Pio IX
Iam vos omnes
Tutti voi sarete
senz’altro a conoscenza che Noi, innalzati, pur senza alcun merito, a questa
Cattedra di Pietro e posti quindi a capo del supremo governo e della cura
dell’intera Chiesa Cattolica dallo stesso Signore Nostro Gesù Cristo, abbiamo
ritenuto opportuno convocare presso di Noi i Venerabili Fratelli Vescovi di
tutto il mondo e di riunirli, nel prossimo anno, in Concilio Ecumenico, per
approntare, con gli stessi Venerabili Fratelli chiamati a condividere la Nostra
sollecitudine pastorale, quei provvedimenti che risulteranno più idonei e più
incisivi sia a dissipare le tenebre di tanti pestiferi errori che ovunque, con
sommo danno delle anime, ogni giorno più si affermano e trionfano, sia a dare
sempre più consistenza e a diffondere nei popoli cristiani, affidati alla
Nostra vigilanza, il regno della vera fede, della giustizia e dell’autentica
pace di Dio. – Riponendo piena fiducia nello strettissimo e amabilissimo patto
di unione che in modo mirabile lega a Noi e a questa Sede gli stessi Venerabili
Fratelli, come testimoniano le inequivocabili prove di fedeltà, di amore e di
ossequio verso di Noi e verso questa Nostra Sede, che mai tralasciarono di
offrire nel corso di tutto il Nostro Supremo Pontificato, nutriamo la speranza
che, come avvenne nei secoli scorsi per gli altri Concili Generali, così, nel
presente secolo, il Concilio Ecumenico da Noi convocato possa produrre, con il
favore della grazia divina, frutti copiosi e lietissimi per la maggior gloria
di Dio e per la salvezza eterna degli uomini. – Sostenuti dunque da questa
speranza, sollecitati e spinti dalla carità di Nostro Signore Gesù Cristo, che
offrì la sua vita per la salvezza di tutto il genere umano, non possiamo
lasciarci sfuggire l’occasione del futuro Concilio senza rivolgere le Nostre
paterne e Apostoliche parole anche a tutti coloro che, quantunque riconoscano
lo stesso Gesù Cristo come Redentore e si vantino del nome di Cristiani, non
professano tuttavia la vera fede di Cristo e non seguono la comunione della
Chiesa Cattolica. Così facendo, Ci proponiamo con ogni zelo e carità di
ammonirli, di esortarli e di pregarli perché considerino seriamente e
riflettano se la via da essi seguita sia quella indicata dallo stesso Cristo
Signore: quella che conduce alla vita eterna. – Nessuno potrà sicuramente
mettere in dubbio e negare che lo stesso Gesù Cristo, al fine di applicare a
tutte le umane generazioni i frutti della sua redenzione, abbia edificato qui in terra,
sopra Pietro, l’unica Chiesa, che è una, santa, cattolica e apostolica e che a
lei abbia conferito il potere necessario per conservare integro ed inviolato il
deposito della fede; per tramandare la stessa fede a tutti i popoli, a
tutte le genti e a tutte le nazioni; per tradurre ad unità nel suo mistico Corpo,
tramite il Battesimo, tutti gli uomini con il proposito di conservare in essi,
e di perfezionare, quella nuova vita di grazia senza la quale nessuno può meritare
e conseguire la vita eterna; perché la stessa Chiesa, che costituisce il suo
mistico Corpo, potesse persistere e prosperare nella sua propria natura stabile
ed indefettibile fino alla
fine dei secoli, e offrire a tutti i suoi figli gli strumenti della salvezza.
– Chiunque poi fissi la propria attenzione e rifletta sulla situazione in cui
versano le varie società religiose, in discordia fra loro e separate dalla
Chiesa Cattolica, la quale, senza interruzione, dal tempo di Cristo Signore e
dei suoi Apostoli, per mezzo dei legittimi suoi sacri Pastori ha sempre
esercitato, ed esercita tuttora, il divino potere a lei conferito dallo stesso
Signore, dovrà facilmente convincersi che in nessuna di quelle società, e
neppure nel loro insieme, possa essere ravvisata in alcun modo quell’unica e
cattolica Chiesa che Cristo Signore edificò, costituì e volle che esistesse. Né
si potrà mai dire che siano membra e parte di quella Chiesa fino a quando
resteranno visibilmente separate dall’unità cattolica. Ne consegue che tali
società, mancando di quella viva autorità, stabilita da Dio, che ammaestra gli
uomini nelle cose della fede e nella disciplina dei costumi, li indirizza e li
governa in tutto ciò che concerne la salvezza eterna, mutano continuamente
nelle loro dottrine senza che la mobilità e l’instabilità trovino una fine.
Ognuno può quindi facilmente comprendere e rendersi pienamente conto che ciò è
assolutamente in contrasto con la Chiesa istituita da Cristo Signore, nella
quale la verità deve restare sempre stabile e mai soggetta a qualsiasi
mutamento, come un deposito a lei affidato da custodire perfettamente integro:
a questo scopo, ha ricevuto la promessa della presenza e dell’aiuto dello
Spirito Santo in perpetuo. Nessuno poi ignora che da questi dissidi nelle dottrine
e nelle opinioni derivano divisioni sociali, traggono origine innumerevoli
comunioni e sette che sempre più si diffondono con gravi danni per la società
cristiana e civile. – Pertanto, chi riconosce la Religione come fondamento
della società umana, dovrà prendere atto e confessare quale grande violenza
abbiano esercitato sulla società civile la discrepanza dei principi e la
divisione delle società religiose in lotta fra loro, e con quanta forza il
rifiuto dell’autorità voluta da Dio per governare le convinzioni
dell’intelletto umano e per indirizzare le azioni degli uomini, tanto nella
vita privata che in quella sociale, abbia suscitato, promosso ed alimentato i
lacrimevoli sconvolgimenti delle cose e dei tempi che agitano e affliggono in
modo compassionevole quasi tutti i popoli. – È per questo motivo che quanti non
condividono “la comunione e la verità della Chiesa Cattolica”
debbono approfittare dell’occasione del Concilio, per mezzo del quale la Chiesa
Cattolica, che accoglieva nel suo seno i loro Antenati, propone un’ulteriore
dimostrazione di profonda unità e di incrollabile forza vitale; prestando
orecchio alle esigenze del loro cuore, essi debbono impegnarsi per uscire da uno stato che non
garantisce loro la sicurezza della salvezza. Non smettano di innalzare
al Signore misericordioso fervidissime preghiere perché abbatta il muro della
divisione, dissipi la caligine degli errori e li riconduca in seno alla santa
Madre Chiesa, dove i loro Antenati trovarono salutari pascoli di vita; dove, in
modo esclusivo, si conserva e si trasmette integra la dottrina di Gesù Cristo e
si dispensano i misteri della grazia celeste. – È dunque in forza del doveroso
Nostro supremo ministero Apostolico, a Noi affidato dallo stesso Cristo
Signore, che, dovendo espletare con sommo impegno tutte le mansioni del buon Pastore
e seguire ed abbracciare con paterno amore tutti gli uomini del mondo, inviamo
questa Nostra Lettera a tutti i Cristiani da Noi separati, con la quale li
esortiamo caldamente e li scongiuriamo con insistenza ad affrettarsi a
ritornare nell’unico ovile di Cristo; desideriamo infatti dal più profondo del
cuore la loro salvezza in Cristo Gesù, e temiamo di doverne rendere conto un
giorno a Lui, Nostro Giudice, se, per quanto Ci è possibile, non avremo loro additato
e preparato la via per raggiungere l’eterna salvezza. In ogni Nostra preghiera
e supplica, con rendimento di grazie, giorno e notte non tralasciamo mai di
chiedere per loro, con umile insistenza, all’eterno Pastore delle anime
l’abbondanza dei beni e delle grazie celesti. E poiché, se pure
immeritevolmente, adempiamo sulla terra all’ufficio di Suo vicario, con tutto
il cuore attendiamo a braccia aperte il ritorno dei figli erranti alla Chiesa Cattolica,
per accoglierli con infinita amorevolezza nella casa del Padre celeste e per
poterli arricchire con i Suoi tesori inesauribili. Proprio da questo
desideratissimo ritorno alla verità e alla comunione con la Chiesa Cattolica
dipende non solo la salvezza di ciascuno di loro, ma soprattutto anche quella
di tutta la società cristiana: il mondo intero infatti non può godere della
vera pace se non si fa un solo ovile e un solo pastore.
Datum Romæ, apud S. Petrum, die XIII Septembris anno
1868, Pontificatus Nostri anno vigesimotertio.
Siamo giunti al termine di questa stupenda catechesi di S. S. Pio XII, contenuta nella Mystici corporis, a sigillo dell’insegnamento del Magistero pontificio infallibile ed irreformabile, giusto prima che nella Chiesa di Cristo si verificasse l’introduzione dei ladri e dei briganti a perdizione eterna delle anime. È vero che tutto era già profetizzato da millenni circa l’apostasia degli occupanti apparenti (… o meglio usurpanti) di cattedre ed uffici ecclesiastici vari, e delle abominevoli inversioni dottrinali dei modernisti novatori – basta rileggere i Vangeli, le Lettere di s. Paolo, S. Pietro (… Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato .. 2 S. Pietro, cap. II) e san Giovanni, l’Apocalisse dell’Apostolo che Gesù amava, nonché alcuni profeti del vecchio testamento (Daniele, Zaccaria etc.) – ma starci dentro, magari in modo inconsapevole, da ciechi o ipovedenti non conoscitori o indifferenti alla dottrina, ai luoghi teologici cattolici di sempre, ed aprire gli occhi guidati da documenti infallibili, perché garantiti dal Vicario di Cristo, scritti a disposizione di chiunque abbia un minimo di interesse nel salvare la propria anima, fa un certo effetto sempre pensando al rischio che si corre nell’eterna salvezza. Ecco che a noi derelitti Cattolici, oggi perseguitati non con gli aculei, le grate roventi, le belve nei circhi, le mannaie, i roghi o le spade, ma ancor peggio con le eresie sottili e gli scismi, i falsi e sacrileghi sacramenti di lupi rapaci dal ghigno cortese che ci spingono “misericordiosi” con sorrisi bonari all’eterno supplizio, non resta altra difesa che la preghiera e l’approfondimento minuzioso della dottrina Cattolica, vera fonte di vita anche per riconoscere, oggi più che mai, il “fur et latro”, il ladro e brigante che ci inganna e ci porge sacramenti e riti sacrileghi a nostra perdizione. Allora inforchiamo gli occhiali, se necessario, e non perdiamo una sola parola di questo documento preziosissimo per la nostra eterna salvezza.
(5)
ESORTAZIONE PER
AMARE LA CHIESA
Ora
che, Venerabili Fratelli, nell’accurata spiegazione di questo mistero che
riassume l’arcana unione di tutti noi con Cristo, nella nostra qualità di
Maestro della Chiesa universale, abbiamo irradiate le menti con la luce della
verità, riteniamo conforme al Nostro pastorale ufficio aggiungere anche uno
sprone agli animi, affinché un tale Corpo mistico venga amato con quell’ardore
di carità che non si limita ai pensieri e alle parole, ma che prorompe in
attività di opere. Poiché, se i seguaci dell’antica legge poterono così cantare
della loro Città terrestre: “Se mi dovessi dimenticare di te, o
Gerusalemme, cada in oblio la mia destra; resti attaccata al palato la mia
lingua se non mi ricordo di te, se non colloco Gerusalemme al disopra di ogni
mia gioia” (Psal. CXXXVI, 5-6), con quanta maggior gloria e più ampio
gaudio, abbiamo noi il dovere di esultare appunto per questo che siamo
cittadini di una Città costruita sul monte santo con vive e scelte pietre e
della quale è “pietra angolare Gesù Cristo” (Eph. II, 20; I Petr.
II, 4-5). Giacché niente si può immaginare di più glorioso, niente di più
nobile, niente senza dubbio di più onorifico, che appartenere alla santa,
cattolica, apostolica e romana Chiesa, per la quale diventiamo membra di un
unico e così venerando Corpo, siamo guidati da un unico e così eccelso Capo,
siamo ripieni di un unico e divino Spirito, siam nutriti in questo terrestre
esilio da una sola dottrina e da uno stesso Pane angelico, finché ci
ritroveremo a godere di un’unica sempiterna beatitudine nei cieli.
Sia un amore solido
Ma,
per non essere ingannati dall’angelo delle tenebre che suol trasfigurarsi in
angelo di luce (cfr. II Cor. XI, 14), sia norma suprema del nostro amore
l’amare la Sposa di Cristo quale Cristo stesso la volle, conquistandola con il
sangue. Quindi non solo ci devono stare sommamente a cuore i Sacramenti con i
quali la Madre nostra Chiesa amorosamente ci nutre; non solo devono esserci
carissime le grandi feste che celebra a nostra consolazione e gioia, e i sacri
cantici e i riti liturgici, con i quali innalza le nostre menti alle cose
celesti; ma dobbiamo anche avere in gran conto quelli che si chiamano
sacramentali, come pure tutte le pratiche di pietà con le quali la Chiesa
stessa mira a pervadere soavemente dello Spirito di Cristo gli animi dei
fedeli, per loro consolazione. Né soltanto è nostro dovere il ricambiare come
conviene a figli la materna pietà della Chiesa verso di noi, ma dobbiamo anche
professarle riverenza per l’autorità conferitale da Cristo, in modo tale da
sottometterle pienamente il nostro giudizio, in ossequio a Cristo stesso (cfr.
II Cor. X, 5). Onde siamo tenuti ad obbedire alle sue leggi e ai suoi
precetti in fatto di costumi, anche se talvolta ciò riesca abbastanza duro alla
nostra natura, decaduta qual è dallo stato dell’innocenza originale. Così pure
dobbiamo reprimere con volontarie penitenze la nostra carne ribelle, ci viene
anzi inculcato di saper talvolta rinunziare a cose piacevoli, anche se non
siano nocive. Né dobbiamo limitarci ad amare questo Corpo mistico perché
insigne per la divinità del suo Capo e per le sue doti celesti, ma dobbiamo
amarlo con amore operoso anche quale si manifesta in questa nostra carne
mortale, composta talvolta di membra che hanno tutte le debolezze dell’umana
natura, anche se esse siano meno degne del posto che occupano in quel venerando
Corpo.
Col quale vediamo Cristo nella Chiesa
Ad
ottenere poi che un tal pienissimo amore regni negli animi nostri e di giorno
in giorno aumenti, è necessario assuefarsi a riconoscere nella Chiesa lo stesso
Cristo. È infatti Cristo che nella sua Chiesa vive, che per mezzo di lei
insegna, governa, comunica la santità; è Cristo che in molteplici forme si
manifesta nelle varie membra della Sua società. Se tutti i Cristiani si daranno
con impegno a vivere di un così vigoroso spirito di Fede, allora non solo essi
tributeranno il debito ossequio d’onore alle più eccelse membra di questo
mistico Corpo e specialmente a quelle che per mandato del divin Capo un giorno
dovranno render conto delle anime nostre (cfr. Hebr. XIII, 17); ma
avranno a cuore anche quelle membra verso le quali il Salvator nostro dimostrò
un amore di preferenza: i deboli, i feriti e i malati bisognosi o di medicina
materiale o di medicina soprannaturale, i fanciulli la cui innocenza si trova
oggi esposta a tanti pericoli e la cui tenera anima è plasmabile come cera, i
poveri infine, nei quali, mentre li soccorriamo, dobbiamo ravvisare la persona
stessa di Gesù Cristo. – Ben a ragione l’Apostolo ci avverte: “Le membra
del corpo che paiono più deboli sono molto più necessarie, e quelle che
stimiamo di minor pregio, noi le circondiamo di onore maggiore” (I Cor.
XII, 22-23). Tale gravissima sentenza Noi, consapevoli della altissima
responsabilità che Ci vincola, riteniamo doveroso ripetere al giorno d’oggi,
mentre con profonda afflizione vediamo che ai deformi di corpo, ai deficienti
ed agli affetti di malattie ereditarie vien talora tolta la vita, come se
costituissero un molesto peso per la società. Peggio ancora, tale espediente da
certuni si esalta come una trovata dell’umano progresso, quanto mai giovevole
al comune benessere. Ma chi mai, se abbia senno, non vede che ciò ripugna non
soltanto alla legge naturale e divina (cfr. Decr. S. Offic., 2 Dec. 1940: A. A.
S. 1940, p. 553), impressa nell’animo di ciascuno, ma è violenta offesa contro
i nobili sensi di umanità? Il sangue di tali sventurati, al nostro Redentore
tanto più cari quanto più degni di commiserazione, “grida a Dio dalla
terra” (cfr. Gen. IV, 10).
Imitiamo l’amore di Cristo verso la Chiesa
Affinché
poi quella sincera carità, per la quale nella Chiesa e nelle sue membra
dobbiamo riguardare il nostro Salvatore, non vada a poco a poco
illanguidendosi, è di somma opportunità che teniamo di mira lo stesso Gesù come
insuperabile modello di amore verso la Chiesa.
a) Con larghezza di amore
Anzitutto,
cerchiamo d’imitare l’estensione di tale amore. Unica è la Sposa di Cristo, e
questa è la Chiesa: eppure l’amore dello Sposo divino ha tale ampiezza che,
senza escludere alcuno, nella sua Sposa abbraccia tutto il genere umano. La
causa infatti per cui il Salvator nostro sparse il Suo sangue, fu appunto per
riconciliare con Dio nella Croce tutti gli uomini, per quanto diversi di
nazione e di stirpe, e farli congiungere in un unico Capo. Il vero amore della
Chiesa esige quindi non solo che siamo vicendevolmente solleciti l’uno
dell’altro (cfr. Rom. XII, 5; I Cor. XII, 25), come membri dello
stesso Corpo, che godono della gloria degli altri membri e soffrono dell’altrui
dolore (cfr. I Cor. XII, 26), ma che altresì negli altri uomini, sebbene
non ancora a noi congiunti nel Corpo della Chiesa, riconosciamo fratelli di
Cristo secondo la carne, chiamati insieme con noi alla medesima eterna
salvezza.
Purtroppo,
specialmente oggigiorno, non mancano coloro che nella loro superbia esaltano
l’avversione, l’odio, il livore come qualcosa che elevi e nobiliti la dignità e
il valore umano. Noi però, mentre vediamo con dolore i funesti frutti di tale
dottrina, seguiamo il nostro pacifico Re, che ci insegnò ad amare non solo
quelli che non sono della nostra nazione e della nostra stirpe (cfr. Luc.
X 33-37), ma persino i nemici (cfr. Luc. VI, 27-35; Matth. V,
44-48). Noi, con l’animo penetrato del soavissimo sentimento dell’Apostolo
delle genti, con lui esaltiamo quale e quanta sia la lunghezza, la larghezza,
l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo (cfr. Eph. III, 18);
quell’amore, cioè, che nessuna diversità d’origine e di costumi può fiaccare,
che neppure l’immensa distesa dell’oceano può attenuare; e che finalmente
neppure le guerre, siano esse intraprese per causa giusta o ingiusta, potranno
mai distruggere. – In quest’ora così
grave, Venerabili Fratelli, mentre tanti corpi sono dolorosamente straziati e
tante anime oppresse di tristezza, è necessario richiamar tutti a questi sensi
di suprema carità, affinché nello sforzo collettivo di tutti i buoni si sovvenga
a così immani necessità spirituali e materiali, in una meravigliosa gara
d’amore e di commiserazione: il Nostro pensiero va particolarmente agli
appartenenti a qualsiasi di quelle organizzazioni che esplicano opere di
soccorso. Per tal modo, la generosità piena di zelo del Corpo mistico di Gesù
Cristo e la sua inesausta fecondità diffonderanno i loro splendori in tutto il
mondo.
b) Con assidua operosità
Dato poi che all’ampiezza della carità onde Cristo amò la sua Chiesa corrisponde la Sua amorosa costanza di opere, di questa stessa carità noi tutti, con assidua e zelante volontà, dobbiamo amare il Corpo mistico di Cristo. Ed invero non è possibile trovare nella vita del nostro Redentore un’ora sola in cui non abbia lavorato fino a spossarsi di fatica, benché fosse Figlio di Dio, per fondare la sua Chiesa o per renderla stabile: dalla Sua Incarnazione, allorché gettò la prima base della Chiesa, fino al termine del Suo corso mortale, con gli esempi della più fulgida santità, con la predicazione, con la conversazione, col radunar le turbe, con l’insegnare. È Nostro desiderio adunque che tutti, quanti riconoscono la Chiesa per madre, ponderino con diligenza che non solo ai sacri Ministri od a coloro soltanto che han fatto oblazione di sé a Dio nella vita religiosa, ma anche agli altri membri del mistico Corpo di Cristo, per ciascuno in ragione della propria possibilità, incombe il dovere di affaticarsi con ogni impegno e diligenza alla costruzione ed all’incremento del medesimo Corpo. In modo speciale desideriamo che a ciò pongano mente (come del resto già lodevolmente fanno) coloro che, arruolati nelle schiere dell’Azione Cattolica, cooperano all’apostolato dei Vescovi e dei Sacerdoti nella loro attività apostolica; come pure coloro che, riuniti in pii sodalizi, collaborano allo stesso fine. Non c’è chi non veda come la solerte attività di tutti costoro sia di somma importanza e di massima gravità nelle attuali circostanze. – Né possiamo astenerci dal dire una parola ai padri e alle madri di famiglia, cui il Redentore nostro affidò le membra più delicate del suo mistico Corpo. Li scongiuriamo quindi ardentemente che, per amore di Cristo e della Chiesa, provvedano con tutta sollecitudine alla prole data loro in consegna, affinché si guardi da ogni sorta di insidie con le quali oggi viene con tanta facilità adescata.
c) Senza tralasciare le preghiere
In
particolar modo il Redentore nostro manifestò il suo ardentissimo amore per la
Chiesa con le supplici preghiere innalzate per essa al suo celeste Padre.
Giacché (per citar solo qualche esempio) è noto a tutti, Venerabili Fratelli,
come Egli mentr’era per salire sul patibolo della Croce, elevò accesissime
preghiere per Pietro (cfr. Luc. XXII, 32), per gli altri Apostoli (cfr. Jo.
XVII, 9-19), e finalmente per tutti coloro che, alla predicazione della divina
parola, avrebbero creduto in Lui (cfr. Jo. XVII, 20-23).
Per
i membri della Chiesa
Ad esempio di Cristo, anche noi dobbiamo chiedere ogni giorno che il Signore voglia inviare operai alla sua messe (cfr. Matth. IX, 38; Luc.X,2); ogni giorno la comune preghiera deve salire al cielo per raccomandare tutte le membra del mistico Corpo di Gesù Cristo. In primo luogo i sacri Presuli, alla cui particolare sollecitudine è affidata la propria Diocesi; poi i Sacerdoti e infine i Religiosi e le Religiose che, seguendo la chiamata di Dio, sia in patria che in paesi infedeli difendono, accrescono, promuovono il Regno del Redentore divino. Nessuno dei membri di questo venerando Corpo dev’essere dimenticato nella comune preghiera; ma specialmente si abbiano presenti quelli che o sono oppressi dalle sofferenze o dalle angosce di questa terra o, compiuto il corso mortale, vengono purificati nelle fiamme espiatrici. E neppure debbono essere trascurati coloro che si stanno istruendo nella dottrina cristiana, affinché si possano al più presto mondare nel lavacro delle acque battesimali. – Bramiamo altresì fortemente che le comuni preghiere abbraccino nella stessa ardente carità sia coloro che non ancora illuminati dalla verità evangelica, non sono al sicuro nell’ovile della Chiesa, sia coloro che, a causa di una miserevole scissione dell’unità della Fede, si sono separati da Noi che, pur immeritevoli, rappresentiamo in terra la Persona di Gesù Cristo. Per questo ripetiamo l’orazione divina del nostro Salvatore al Padre Celeste: “Che tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te, così anch’essi siano in noi una cosa sola; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jo. XVII, 21).
Per
coloro che ancora non sono membri
Anche questi che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, li affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che dietro l’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. “Summi Pontificatus“). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi “del grande e glorioso Corpo di Cristo” (Iren. Adv. Hær., IV, 33, 7; Migne, P. G., VII, 1076): con animo straripante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi al loro stato in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX “Jam nos omnes“, 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., VII, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, vengano con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. XIV: Migne, P. L., LIX, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna. – Però, mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte di tutto il Corpo mistico affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo che è assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Jo. Ev. tract., XXVI, 2: Migne, P. L., XXX, 1607). Se alcuni, non credenti, vengono di fatto spinti ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad appressarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la Fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. XI, 6), deve esser libero “ossequio dell’intelletto e della volontà” (Conc. Vat., De Fide cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: “Immortale Dei“), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica, Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è perciò necessario che vengano attratti con efficacia alla verità dal Padre dei lumi per opera dello Spirito del Suo diletto Figlio. – Che ancora molti, purtroppo, errano lontani dalla cattolica verità e non piegano l’animo all’afflato della grazia divina, ciò avviene perché né essi (cfr. August., ibidem), né i fedeli Cristiani innalzano a Dio più ferventi preghiere a tal fine. Noi quindi vivamente e insistentemente esortiamo tutti coloro che sentono amore per la Chiesa, affinché, seguendo l’esempio del divin Redentore, non cessino mai di elevare tali suppliche.
Per
i Governanti
E
del pari, soprattutto nel momento attuale, Ci sembra non solo opportuno ma
necessario che vengano innalzate ardenti suppliche per i re, per i principi e
per tutti coloro che, attendendo al governo dei popoli, possono con la loro
tutela esterna recar aiuto alla Chiesa, affinché, riordinata rettamente la
società, “la pace, opera di giustizia” (Is. XXXII, 17), al
soffio della divina carità arrida al genere umano tormentato dai terrificanti
flutti di questa tempesta, e la Santa Madre Chiesa possa condurre vita quieta e
tranquilla nella pietà e nella castità (cfr. I Tim. II, 2). Dobbiamo
chiedere con insistenza a Dio che tutti coloro che sono al governo dei popoli
amino la sapienza (cfr. Sap. VI, 23) in modo che questa gravissima
sentenza dello Spirito Santo non ricada mai su di essi: “L’Altissimo
esaminerà le vostre opere e scruterà i pensieri; perché, ministri del suo
regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge di
giustizia, né secondo il volere di Dio aver te camminato. Terribile e veloce
piomberà su voi, ché rigorosissimo giudizio sarà fatto di quei che stanno in
alto. Al misero invero si usa misericordia, ma i potenti saranno potentemente
puniti! Non indietreggerà dinanzi a persona il Signore di tutti, né avrà
soggezione della grandezza di nessuno; ché il grande e il piccolo Egli ha
creato, ed ha cura ugualmente di tutti. Ma ai potenti sovrasta più rigoroso giudizio;
a voi pertanto o re, son rivolte le mie parole perché impariate la sapienza e
non cadiate” (Ibidem, VI, 4-10).
d) Compiendo ciò che manca nella passione di Cristo
Inoltre, non solo faticando senza posa e pregando ininterrottamente Cristo Signore palesò il Suo amore verso la Sua Sposa incontaminata, ma anche per mezzo dei dolori e delle angosce sopportate volentieri e con amore per essa: “Avendo egli amato i suoi… li amò sino alla fine” (Jo. XIII, 1). Anzi non acquistò la Chiesa che per mezzo del proprio sangue (cfr. Act. XX, 28). Adunque, su queste orme cruente del nostro Re, come esige la nostra salvezza da mettere al sicuro, intraprendiamo volonterosi il nostro cammino: “Poiché se siamo stati innestati alla somiglianza della Sua morte, lo saremo anche a quella della Resurrezione” (Rom. VI, 5), e “se siamo insieme morti, con lui anche vivremo” (II Tim. II, 11). Ciò è richiesto anche dalla vera ed operosa carità sia verso la Chiesa, sia verso quelle anime che la medesima Chiesa genera allo stesso Cristo. Sebbene infatti il Salvator nostro con le sue durissime pene e la sua acerba morte abbia meritato alla sua Chiesa un tesoro addirittura infinito di grazie, per disposizione però della provvidenza di Dio esse solo partitamente ci vengono distribuite, e la loro minore o maggior dovizia non poco dipende anche dalle nostre buone opere, dalle quali una tale pioggia di celesti doni volontariamente largita da Dio, viene attirata sulle anime umane. Tale pioggia di grazie celesti sarà certamente sovrabbondante, se non solo faremo uso di fervorose preghiere a Dio, specialmente col prendere parte anche ogni giorno, se si può e con pietà, al Sacrificio eucaristico; se non solo faremo del nostro meglio per alleggerire la sofferenza di tanti bisognosi con servizi di cristiana carità, ma se ameremo i beni imperituri a preferenza di quelli caduchi di questa vita; se con volontarie mortificazioni terremo a freno questo corpo mortale, negandogli ciò che è illecito e imponendogli invece ciò che gli è sgradito e arduo; e se finalmente accetteremo con sottomissione come dalla mano di Dio le fatiche e i travagli della presente vita. In tal modo, secondo l’Apostolo “diamo compimento nella nostra carne, a quello che rimane dei patimenti di Cristo, a pro del Corpo di Lui che è la Chiesa” (cfr. Col. I, 24). – Mentre così scriviamo Ci si svolge, purtroppo, dinanzi allo sguardo una moltitudine sterminata di miseri, che con dolore compiangiamo: infermi, poveri, mutilati, vedove e orfani, e moltissimi che per le proprie sventure o per quelle dei loro cari giacciono talvolta in un vero languore mortale. Tutti coloro dunque che per qualsiasi motivo giacciono nella tristezza e nell’angoscia con cuore paterno vivamente esortiamo affinché, pieni di fiducia, levino gli occhi al cielo, offrano le loro pene a quel Dio che un giorno renderà loro una copiosa mercede. Ed abbian tutti presente che il loro dolore non è vano, ma è oltremodo fecondo di bene per essi e per la Chiesa, se mirando a tal fine sapranno sopportarlo con pazienza. A meglio conseguire tal proposito, giova moltissimo la quotidiana e devota oblazione di se stesso a Dio, quale usano fare i membri di quella associazione che prende il nome dell’Apostolato della preghiera: associazione che in questa occasione, come a Dio gratissima, Ci sta a cuore di raccomandare nel modo più vivo. – Se ci fu mai un tempo in cui, per conseguire la salvezza delle anime, dobbiamo unire i nostri dolori agli strazi del divin Redentore, oggi specialmente, Venerabili Fratelli, tale è il dovere di tutti, mentre una guerra immane avvolge nelle sue fiamme quasi tutto l’orbe terrestre, generando tante morti, tante miserie, tante sventure. E particolarmente oggi è doveroso per tutti l’astenersi dai vizi, dagli allettamenti del mondo, dagli sregolati piaceri del senso, come pure da quelle cose terrene, futili e vane che non hanno alcuna relazione né con la cristiana formazione dell’animo, né con il conseguimento del cielo. Dobbiamo, piuttosto, ribadire nelle nostre menti la gravissima sentenza del Nostro Predecessore Leone Magno, il quale afferma che noi, col Battesimo, siam fatti carne del Crocifisso (cfr. Serm. LXIII, 6; LXVI, 3; Migne, P. L., LIV, 357 et 366) e quella bellissima preghiera di S. Ambrogio: “Portami, o Cristo, sulla Croce, che è salvezza agli erranti, nella quale soltanto è riposo agli affaticati, nella quale soltanto avranno la vita coloro che muoiono” (In Psal. 118, XXII, 30: Migne, P. L., XV, 15, 1). – Prima di por fine a questo scritto, non possiamo trattenerCi dal tornare ad insistere nell’esortare vivamente tutti ad amare la santa Madre Chiesa con un amore zelante e operoso. Per la sua incolumità, per il suo più fecondo ed ubertoso incremento, dobbiamo ogni giorno offrire all’eterno Padre le nostre preghiere, le fatiche, le angosce nostre, se davvero ci sta a cuore la salvezza della universale famiglia umana, redenta col suo sangue divino. E mentre nubi minacciose offuscano il cielo, e pericoli e minacce incombono in questo consorzio umano e sulla stessa Chiesa, affidiamo le nostre persone e tutto ciò che ci appartiene al Padre delle misericordie, supplicandolo: “Volgi, ti preghiamo, o Signore, uno sguardo su questa Tua famiglia, per la quale il Signore nostro Gesù Cristo non esitò a consegnarsi ai suoi carnefici ed a subire il tormento della Croce” (Off. Major. Hebd.).
EPILOGO
LA BEATA VERGINE MARIA
Compia, Venerabili Fratelli, questi Nostri paterni voti, che sono certamente anche i vostri, e ottenga a tutti noi un verace amore per la Chiesa, la Vergine Madre di Dio, la cui anima santissima fu ripiena del divino Spirito di Gesù Cristo più che tutte le altre anime insieme: Ella che, “in rappresentanza di tutta l’umana natura”, diede il consenso affinché avesse luogo “una specie di sposalizio spirituale tra il Figlio di Dio e l’umana natura” (S. Thom., III, q. 80, a. 1). Fu Lei che con parto ammirabile dette alla luce il fonte di ogni vita celeste, Cristo Signore, fin dal suo seno verginale ornato della dignità di Capo della Chiesa; fu Lei che poté porgerlo, appena nato, come Profeta, Re e Sacerdote a coloro fra i giudei e fra i gentili che per primi accorsero ad adorarlo. Inoltre il suo Unigenito, accondiscendendo alla sua materna preghiera, in Cana di Galilea, operò quel mirabile prodigio per il quale i suoi discepoli credettero in Lui (Jo. II, 11). Ella fu che, immune da ogni macchia, sia personale sia ereditata, e sempre strettissimamente unita col Figlio suo, Lo offerse all’eterno Padre sul Golgota, facendo olocausto di ogni diritto materno e del suo materno amore, come novella Eva, per tutti i figli di Adamo contaminati dalla sua miseranda prevaricazione. Per tal modo, Colei che quanto al corpo era la madre del nostro Capo, poté divenire, quanto allo spirito, madre di tutte le sue membra, con nuovo titolo di dolore e di gloria. Ella fu che, con le sue efficacissime preghiere, impetrò che lo Spirito del divin Redentore, già dato sulla Croce, venisse infuso nel giorno di Pentecoste con doni prodigiosi alla Chiesa, da poco nata. Ella finalmente, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi immensi dolori, più che tutti i fedeli cristiani, da vera Regina dei martiri, “compì ciò che manca dei patimenti di Cristo… a pro del Corpo di lui, che è la Chiesa” (Col. I, 24). Ella, per il mistico Corpo di Cristo nato dal Cuore squarciato del nostro Salvatore (cfr. Off. SS. mi Cordis in hymno ad Vesp.),, ebbe quella stessa materna sollecitudine e premurosa carità con la quale nella culla ristorò e nutrì del suo latte il Bambino Gesù. La stessa santissima Genitrice di tutte le membra di Cristo (cfr. Pio X: Ad diem illum), al cui Cuore Immacolato abbiamo con fiducia consacrato tutti gli uomini e che ora in cielo, regnando insieme col suo Figlio, risplende nella gloria del corpo e dell’anima, si adoperi con insistenza ad ottenere da Lui che, dall’eccelso Capo, scendano senza interruzione su tutte le membra del mistico Corpo rivoli di abbondantissime grazie. Ella stessa, col suo sempre presente patrocinio, come per il passato, così oggi, protegga la Chiesa, e ad essa e a tutta la umana famiglia impetri finalmente da Dio un’era di maggiore tranquillità. – Noi, fidenti in questa superna speranza, auspice delle celesti grazie e quale attestato della Nostra particolare benevolenza, a voi tutti e singoli, Venerabili Fratelli, ed al gregge a ciascuno di voi affidato, impartiamo con effusione di cuore l’Apostolica Benedizione.
Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 29 del mese di Giugno,nella festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo,
nell’anno 1943, V del Nostro Pontificato.
Questa parte della sublime enciclica, gemma magisteriale di S. S. Pio XII, scorre sapientemente tra elementi di solida dottrina e la confutazione di errori sottili, ma proprio per questo, ancora più perniciosi. Ci conviene quindi leggere, rileggere e meditare attingendo da questa fonte di acqua cristallina alla quale abbeverarci per accendere il desiderio della salute spirituale, della eterna felicità e dell’appartenenza al regno dei Cieli.
PIO PP. XII
LETTERA ENCICLICA
MYSTICI CORPORISCHRISTI (4)
PARTE SECONDA
L’UNIONE DEI FEDELI CON CRISTO
Ci
piace ora, Venerabili Fratelli, trattare in modo particolarissimo dell’unione
nostra con Cristo nel Corpo della Chiesa. Questo argomento (come giustamente
osserva Agostino: cfr. August. Contra Faust. 21, 8; Migne, P. L., XLII,
392) è cosa grande, arcana e divina, e perciò spesso avviene che da alcuni sia
compreso e spiegato male. Anzitutto è chiaro che quest’unione è strettissima.
Infatti, nella Sacra Scrittura, vien raffigurata nel vincolo d’un casto
matrimonio e paragonata ora all’unità vitale dei tralci con la vite, ora alla
stretta compagine del nostro corpo (cfr. Eph. V, 22-23; Jo. XV,
1-5; Eph. IV, 16). Si presenta inoltre nei libri ispirati talmente
intima, che antichissimi documenti costantemente tramandati dai Padri e fondati
sul detto dell’Apostolo “Egli (Cristo) è il Capo della Chiesa” (Col.
I, 18) insegnano che il divin Redentore costituisce con il Suo Corpo sociale
una sola Persona mistica, ossia come dice Agostino: tutto Cristo (cfr. Enarr.
in Ps., XVII, 51 et XC, 11, 1: Migne, P. L., XXXVI, 154 e XXXVII, 1159). Anzi
lo stesso Salvatore nostro nella sua preghiera sacerdotale non dubitò di
paragonare tale unione con quella mirabile unità per la quale il Figlio è nel
Padre e il Padre è nel Figlio (Jo. XVII, 21-23).
Vincoli giuridici e sociali
Questa
nostra compagine in Cristo e con Cristo nasce anzitutto dal fatto che la
società cristiana, per volontà del suo Fondatore, è un Corpo sociale perfetto,
per cui in essa l’unione deve consistere nel concorso di tutte le membra allo
stesso fine. Quanto infatti è più nobile il fine cui questa cooperazione tende,
quanto più divina è la fonte dalla quale essa procede, tanto più sublime
diventa senza dubbio l’unità. Orbene, il fine è altissimo: continuare cibò la
santificazione delle membra dello stesso Corpo, per la gloria di Dio e
dell’Agnello che è stato ucciso per noi (Apoc. V, 12-1 3). La fonte è
divinissimo: il beneplacito dell’eterno Padre, l’amabile volontà del nostro
Salvatore, e specialmente l’interna ispirazione ed impulso dello Spirito Santo
negli animi nostri. Se infatti senza lo Spirito Santo non si può produrre
neppure un minimo atto che conduca alla salvezza, come possono innumerevoli
moltitudini d’ogni popolo e di ogni stirpe aspirare con lo stesso intento alla
gloria di Dio uno e trino, se non per le virtù di Colui che procede dal Padre e
dal Figlio in un solo eterno amore? – Poiché, come abbiamo detto, questo Corpo
sociale di Cristo deve essere visibile per volontà del suo Fondatore, quella
cospirazione di tutte le membra deve anch’essa manifestarsi esternamente, sia
per mezzo della professione d’una fede, sia per la comunione dei medesimi
Sacramenti, sia per la partecipazione dello stesso sacrificio, sia per
un’operosa osservanza delle stesse leggi. È poi assolutamente necessario che
sia manifestato agli occhi di tutti il Capo supremo, cioè il Vicario di Cristo,
dal quale venga efficacemente diretta la cooperazione dei membri al
conseguimento del fine proposto. Come, infatti, il divin Redentore inviò il Paraclito
Spirito di verità che per suo mandato (cfr. Jo. XIV, 16 e 26) governasse
invisibilmente la Chiesa, così ordinò a Pietro e ai suoi Successori che,
rappresentando in terra la Sua Persona visibile, governassero la società
cristiana.
Virtù teologiche
Ai
vincoli giuridici, tali in se stessi da trascendere quelli di qualsiasi altra
società umana anche suprema, è necessario aggiungere un’altra ragione di unità
proveniente da quelle tre virtù con le quali noi ci uniamo a Dio nel modo più
stretto, cioè: la fede, la speranza e la carità cristiane. – Certo, come
osserva l’Apostolo, “uno solo è il Signore, una sola la fede” (Eph.
IV, 5), quella fede cioè con la quale aderiamo a Dio e a Colui ch’Egli mandò,
Gesù Cristo (cfr. Jo. XVII, 8). Quanto intimamente restiamo congiunti a
Dio con questa fede, lo insegnano le parole del discepolo prediletto:
“Chiunque confesserà che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui
ed egli in Dio” (I Jo. IV, 15). Né siamo meno congiunti tra di noi
e col nostro Capo divino, mediante questa fede cristiana. Infatti, tutti i
credenti, “avendo il medesimo spirito di fede” (II Cor. IV,
13), siamo illuminati dalla medesima luce di Cristo, siamo nutriti al medesimo
convito di Cristo, siamo governati dalla medesima autorità e magistero di
Cristo. Ché se fiorisce in tutti il medesimo spirito di fede, tutti anche
“viviamo (la stessa vita) nella fede del Figlio che ci amò e diede Se
stesso per noi” (cfr. Gal. II, 20). E Cristo nostro Capo, che per
la viva fede abbiamo ricevuto in noi ed abita nei nostri cuori (cfr. Eph.
III, 17), come è Autore della nostra fede, così ne sarà il perfezionatore (cfr.
Hebr. XII, 2). . – Come per mezzo della fede qui in terra aderiamo a
Dio, fonte di verità, così per mezzo della speranza cristiana lo desideriamo
quale fonte di beatitudine, “attendendo quella beata speranza che è
l’apparizione gloriosa del grande Iddio” (Tit. II, 13). Per quel
comune desiderio poi del Regno celeste, per cui non vogliamo avere qui sulla
terra una dimora permanente ma cerchiamo quella futura (cfr. Hebr. XIII,
14) e aneliamo alla gloria superna, l’Apostolo delle Genti non dubitò di
asserire: “Un colpo solo, un solo spirito, come siete stati chiamati in
un’unica speranza” (Eph. IV, 4); anzi Cristo risiede in noi come la
speranza della gloria (cfr. Col. I, 27). – Ma se i vincoli della fede e
della speranza, con i quali siamo congiunti al nostro divin Redentore nel suo
Corpo mistico, sono di grandissima importanza, di non minore gravità ed
efficienza sono i vincoli della carità. Infatti, se anche in natura è cosa
eccellentissima l’amore, dal quale nasce la vera amicizia, che cosa deve dirsi
di quell’amore soprannaturale che viene infuso nei nostri cuori dallo stesso
Dio? “Dio è carità: e chi sta nella carità, sta in Dio e Dio in lui”
(I Jo. IV, 16). La quale carità, quasi per legge istituita da Dio, fa sì
che Egli, riamandoci, discenda in noi che Lo amiamo, conforme alle parole
divine: “Se uno mi ama…. anche il Padre mio l’amerà e verremo a lui e
faremo sosta presso di lui” (Jo. XIV, 23). La carità dunque, più
strettamente di qualsiasi altra virtù ci congiunge con Cristo, dal cui celeste
ardore infiammati, tanti figli della Chiesa tran gioito nel poter essere
oltraggiati per Lui e nell’affrontare sino all’estremo anelito i più ardui
sacrifici, anche l’effusione del sangue. Perciò il nostro divin Salvatore ci
esorta ardentemente con le seguenti parole: “Perseverate nel mio
amore”. E poiché la carità è una cosa inutile e del tutto vuota, se non è
attuata e manifestata dalle buone opere, soggiunge: “Se osserverete i miei
comandamenti, persevererete nel mio amore, come io stesso ho osservato i
comandamenti del Padre e rimango nel suo amore” (Jo. XV, 9-10).
Amore verso il prossimo
È
necessario però che all’amore verso Dio e verso Cristo corrisponda l’amore
verso il prossimo. Come possiamo infatti asserire di amare il divin Redentore,
se odiamo coloro ch’Egli redense col suo Sangue prezioso per farli membra del
suo Corpo mistico? Perciò così ci ammonisce l’Apostolo prediletto: “Se uno
dirà: io amo Dio e odierà il suo fratello, è mentitore. Infatti, chi non ama il
suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede? E questo comandamento
abbiamo da Dio: che chi ama Dio, ami anche il proprio fratello” (I Jo.
IV, 20-21). Anzi, bisogna anche affermare che noi saremo sempre più uniti con
Dio e con Cristo, a misura che saremo membri uno dell’altro (Rom. XII,
5) e vicendevolmente premurosi (I Cor. XII, 25); come d’altra parte,
quanto più saremo stretti a Dio e al nostro Capo divino con un ardente amore,
tanto maggiormente noi saremo compatti ed uniti mediante la carità.
Cristo ci ama con una conoscenza infinita
e una carità eterna
Il
Figlio Unigenito di Dio, già prima dell’inizio del mondo, con la sua eterna
infinita conoscenza e con un amore perpetuo, ci ha stretti a sé. E perché
potesse manifestare tale amore in modo ammirabile e del tutto visibile,
congiunse a sé la nostra natura nell’unione ipostatica donde avviene che
“in Cristo la nostra carne ami noi”, come, con candida semplicità,
osserva Massimo di Torino (Serm. XXIX; Migne, P. L., LVII, 594). – In verità,
questa amantissima conoscenza, con la quale il divin Redentore ci ha seguiti
sin dal primo istante della sua Incarnazione, supera ogni capacità della mente
umana, giacché, per quella visione beatifica di cui godeva sin dal momento in
cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, Egli ha costantemente e perfettamente
presenti tutte le membra del Corpo mistico e le abbraccia col Suo salvifico
amore. O ammirabile degnazione della divina pietà verso di noi; o inestimabile
ordine dell’immensa carità! Nel presepio, sulla Croce, nella gloria eterna del
Padre, Cristo ha presenti e congiunti a Sé tutti i membri della Chiesa in modo
molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo
figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce ed ama se stesso.
La Chiesa «pienezza» di Cristo
Da
quanto detto fin qui si vede chiaramente, Venerabili Fratelli, perché
l’Apostolo Paolo tanto frequentemente scriva che Cristo è con noi, e noi in
Cristo. Il che egli dimostra ancora con una ragione alquanto sottile. Cioè:
Cristo, come sufficientemente abbiamo detto sopra, è in noi per il Suo Spirito
che ci comunica e per mezzo del quale Egli talmente agisce in noi, da doversi
dire che qualsiasi cosa divina si operi nello Spirito Santo in noi, viene
operata anche da Cristo (cfr. S. Thom. Comm. in Ep. ad Eph., cap. II,
lect. 5).”Se uno non ha lo Spirito di Cristo (dice l’Apostolo), non è dei
suoi: se invece Cristo è in voi…, lo spirito vive per effetto della
giustificazione” (Rom. VIII, 9-10). – Per la medesima comunicazione
dello Spirito di Cristo, avviene poi che la Chiesa sia quasi la pienezza ed il
complemento del Redentore, perché tutti i doni, le virtù e i carismi che si
trovano eminentemente, abbondantemente ed efficacemente nel Capo, derivano in
tutti i membri della Chiesa e in essi si perfezionano di giorno in giorno a
seconda del posto di ciascuno nel Corpo mistico di Gesù Cristo: quindi Cristo
in certo modo e sotto ogni riguardo Si completa nella Chiesa (cfr. S. Thom., Comm.
in Ep. ad Eph., cap. I, lect. 8) Con le quali parole tocchiamo la stessa
ragione per cui, secondo il parere già accennato di Agostino, il Capo mistico,
che è Cristo, e la Chiesa, la quale rappresenta in terra la sua persona come un
altro Cristo, costituiscono un unico nuovo uomo, per il quale, nel perpetuare
l’opera salutare della Croce, si congiungono il cielo e la terra: ragione per
cui possiamo dire come in sintesi: Cristo, Capo e Corpo, tutto Cristo.
L’inabitazione dello Spirito Santo
Certo,
non ignoriamo che nel comprendere e nello spiegare questa dottrina riguardante
la nostra unione con il divin Redentore e, in modo particolare, l’inabitazione
dello Spirito Santo nelle anime, vi sono velami che l’avvolgono come caligine,
a causa della debolezza della nostra mente. Ma sappiamo anche che dalla retta
ed assidua indagine di questa materia, dal conflitto delle varie opinioni, dal
concorso delle diverse teorie, purché in tale indagine siamo diretti dall’amore
della verità e dal debito ossequio verso la Chiesa, scaturiscono e balzano
fuori preziosi lumi, per mezzo dei quali si fa un vero profitto negli studi
sacri di questo genere. Non biasimiamo quindi coloro che intraprendono diverse
vie e metodi per trattare ed illustrare con ogni sforzo l’altissimo mistero di
questa nostra unione con Cristo. Però tutti abbiano questo per certo ed indiscusso,
se non vogliono allontanarsi dalla genuina dottrina e dal retto insegnamento
della Chiesa: respingere cioè, in questa mistica unione, ogni modo con il quale
i fedeli, per qualsiasi ragione, sorpassino talmente l’ordine delle creature ed
invadano erroneamente il campo divino, che anche un solo attributo di Dio
eterno possa predicarsi di loro come proprio. Inoltre fermamente e con ogni
certezza ritengano che in queste cose tutto è comune alla Santissima Trinità,
in quanto tutto riguarda Dio quale suprema causa efficiente. – Devono anche
aver presente che in questo argomento si tratta di un mistero occulto, il
quale, in questo terrestre esilio, non può mai essere intravveduto libero da
ogni velame, né può mai essere espresso da lingua umana. Si dice che le Persone
divine inabitano, in quanto che, presenti in modo imperscrutabile negli esseri
dotati di intelletto, questi si pongono con esse in relazione mediante la
conoscenza e l’amore in un modo del tutto intimo e singolare che trascende ogni
natura creata. Per tentare di comprendere alquanto questo modo, bisogna aver
presente il metodo tanto raccomandato dal Concilio Vaticano nelle cose di tal
genere, per cui si paragonano gli stessi misteri tra di loro e col loro fine
supremo, sforzandosi di attingere quel tanto di luce che faccia almeno
intravvedere gli arcani divini. Quindi opportunamente il sapientissimo Nostro
Predecessore Leone XIII di felice memoria, parlando di questa nostra unione con
Cristo e del divin Paraclito inabitante in noi, volge gli occhi a quella beata
visione con la quale un giorno questa mistica unione otterrà il suo compimento
nel cielo; e dice: “Questa mirabile unione, detta con nome suo proprio
inabitazione, si differenzia da quella con cui Iddio abbraccia e fa beati i
celesti, soltanto per la nostra condizione (di viatori sulla terra)”. In
quella celeste visione, sarà concesso agli occhi della mente umana rinvigoriti
da luce soprannaturale di contemplare in maniera del tutto ineffabile il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo, di assistere per tutta l’eternità al procedere
delle divine Persone l’Una dall’Altra, beandosi di un gaudio molto simile a
quello con cui è beata la santissima e indivisa Trinità.- Quanto finora abbiamo
esposto di questa intima unione del Corpo mistico di Gesù Cristo col suo Capo,
ci parrebbe imperfetto, se qui non aggiungessimo almeno poche parole intorno
alla santissima Eucaristia, con la quale una siffatta unione in questa vita
mortale raggiunge il grado più alto.
L’Eucarestia segno di unità
Gesù
Cristo volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la quale
veniamo congiunti tra di noi e col divino nostro Capo, si manifestasse ai
credenti in modo speciale per mezzo del Sacrificio eucaristico. In esso infatti
i ministri dei Sacramenti non solo rappresentano il Salvatore nostro, ma anche
tutto il Corpo mistico e i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al sacerdote
nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso sacerdote offrono
all’eterno Padre, quale ostia gratissima di lode e di propiziazione per i
bisogni di tutta la Chiesa, l’Agnello immacolato, dalla voce del solo sacerdote
reso presente sull’altare. – E come il divin Redentore, morendo in Croce, offrì
all’eterno Padre Se stesso quale Capo di tutto il genere umano, così “in
quest’oblazione pura” (Mal. I, 11), non offre quale Capo della
Chiesa soltanto Se stesso, ma in Se stesso offre anche le sue mistiche membra,
poiché Egli nel Suo Cuore amantissimo tutte le racchiude, anche se deboli ed
inferme. – Il Sacramento dell’Eucaristia, vivida e mirabile immagine dell’unità
della Chiesa in quanto il pane da consacrarsi deriva da molti grani che formano
una cosa unica (cfr. Didaché, IX, 4), ci dà lo stesso Autore della
grazia santificante, affinché da Lui attingiamo quello Spirito di carità con
cui viviamo non già la nostra vita ma la vita di Cristo, e in tutti i membri
del Suo Corpo sociale amiamo lo stesso Redentore. – Se dunque, nelle
tristissime circostanze in cui ora versiamo, vi sono moltissimi i quali
aderiscono talmente a Gesù Cristo nascosto sotto i veli eucaristici da non
poter essere separati dalla sua carità né dalla tribolazione né dall’angoscia
né dalla fame né dalla nudità né dal pericolo né dalla persecuzione né dalla
spada (cfr. Rom. VIII, 35), allora senza dubbio la sacra Comunione, non
senza consiglio del provvidentissimo Iddio ritornata in questi ultimi tempi
d’uso frequente anche per i fanciulli, potrà diventare fonte di quella fortezza
che non raramente suscita e fomenta anche eroi cristiani.
PARTE TERZA
ESORTAZIONE PASTORALE
ERRORI DELLA
VISTA ASCETICA
Venerabili
Fratelli, se i Cristiani comprenderanno piamente e rettamente queste cose e
diligentemente le riterranno, più facilmente potranno guardarsi anche da quegli
errori che, con grande pericolo della fede cattolica e turbamento degli animi,
scaturiscono dall’investigazione, da alcuni arbitrariamente intrapresa, di
questa difficile materia.
Falso «misticismo»
Infatti
non mancano coloro i quali non considerano abbastanza metaforicamente e senza
distinguere (com’è assolutamente necessario) i significati particolari e propri
di corpo fisico, di corpo morale, di Corpo mistico, e quindi danno di questa
unione una spiegazione pervertita. Costoro fanno unire e fondersi in una stessa
persona fisica il divin Redentore e le membra della Chiesa: e mentre
attribuiscono agli uomini cose divine, fanno Gesù Cristo soggetto ad errori e a
debolezze umane. Dalla falsità di questa dottrina ripugnano la fede cattolica e
i precetti dei Santi Padri, rifuggono la mente e la dottrina dell’Apostolo
delle Genti, il quale, sebbene congiunga tra loro con mirabile fusione Cristo e
il Corpo mistico, tuttavia oppone l’uno all’altro come lo Sposo alla Sposa
(cfr. Eph. V, 22-23).
Falso «quietismo»
Non
meno lontano dalla verità è il pericoloso errore di coloro che dall’arcana
unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo insano
quietismo, con il quale tutta la vita spirituale dei Cristiani e il loro
progresso nella virtù vengono attribuiti unicamente all’azione del divino
Spirito, escludendo cioè e tralasciando da parte la nostra debita cooperazione.
Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica
fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna.
Infatti, come: dice il Salmista, “il Signore largisce grazia e
gloria” (Psal. LXXXIII, 12). Ma che gli uomini perseverino costantemente
nelle opere di santità, che progrediscano alacremente nella grazia e nella
virtù, che infine non soltanto tendano strenuamente alla vetta della perfezione
cristiana, ma spingano secondo le proprie forze anche gli altri a conseguire la
medesima perfezione, tutto questo, lo Spirito celeste non vuoi compierlo se gli
stessi uomini non cooperano ogni giorno con diligenza operosa. “Infatti —
come osserva Ambrogio — i benefici divini non vengono trasmessi a chi dorme, ma
a chi veglia” (Expos. Evang. sec. Luc., IV, 49; Migne, P. L., XV, 1626).
Poiché, se nel nostro corpo mortale le membra si corroborano e si sviluppano
con ininterrotto esercizio, molto più ciò accade nel Corpo sociale di Gesù
Cristo, nel quale le singole membra godono di una propria libertà, coscienza,
azione. Perciò chi disse: “Vivo, non più io, ma vive in me Gesù” (Gal.
II, 20), quello stesso non dubitò di asserire: “La grazia di Lui, cioè di
Dio, verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non già
io, ma la grazia di Dio con me” (I Cor. XV, 10). Quindi è
chiarissimo che in queste fallaci dottrine, il mistero di cui trattiamo non
sarebbe diretto allo spirituale profitto dei fedeli, ma si volgerebbe
miseramente alla loro rovina.
Errori circa la confessione sacramentale e l’orazione
Da
tali false asserzioni proviene anche che alcuni asseriscano non doversi molto
inculcare la frequente confessione dei peccati veniali, poiché meglio si adatta
quella confessione generale che ogni giorno la Sposa di Cristo con i suoi figli
a sé congiunti nel Signore fa per mezzo dei sacerdoti sul punto di ascendere
all’altare di Dio. È vero che in molte lodevoli maniere, come voi o Venerabili
Fratelli, ben conoscete, possono espiarsi questi peccati, ma per un più spedito
progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo sommamente quel pio
uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della
confessione frequente, con cui si aumenta la retta conoscenza di se stesso,
cresce la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi, si resiste
alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si
rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si
aumenta la grazia in forza dello stesso Sacramento. Quelli dunque che fra il
giovane clero attenuano o estinguono la stima della confessione frequente,
sappiano che intraprendono cosa aliena dallo Spirito di Cristo e funestissima
al Corpo mistico del nostro Salvatore. – Vi sono inoltre alcuni i quali o
negano alle nostre preghiere ogni vera efficacia d’impetrazione, ovvero si
sforzano d’insinuare nelle menti che le suppliche rivolte a Dio in privato
bisogna ritenerle di poco valore, mentre piuttosto quelle pubbliche usate nel
nome della Chiesa realmente valgono come quelle che partono dal Corpo mistico
di Gesù Cristo. Ciò è affatto erroneo: poiché il divin Redentore non ha a Sé
strettissimamente congiunta soltanto la Sua Chiesa, quale amatissima Sposa, ma
in essa, anche gli animi dei singoli fedeli, con i quali desidera ardentemente
trattenersi in intimi colloqui, specialmente dopo che si sono accostati alla
mensa eucaristica. E benché la preghiera collettiva, come procedente dalla
Madre Chiesa, superi tutte le altre per la dignità della Sposa di Cristo, pure
tutte le preghiere, dette anche in forma privatissima, non sono prive di
dignità né di virtù e conferiscono moltissimo anche all’utilità di tutto il
Corpo mistico, in quanto che tutto ciò che si compie di bene e di retto dai
singoli membri ridonda anche in profitto di tutti, grazie alla Comunione dei
Santi. Né ai singoli uomini, appunto perché membra di questo Corpo, si vieta di
chiedere per se stessi grazie speciali anche per quanto riguarda la vita
presente, serbando tuttavia la conformità alla volontà di Dio: essi infatti
rimangono persone libere e soggette ai propri individuali bisogni (cfr. S.
Thom. II-II, q. 83, a. 5 et 6). Quanto poi debbano tutti grandemente stimare la
mediazione delle cose celesti, è comprovato non soltanto dai documenti della
Chiesa ma anche dall’uso e dall’esempio di tutti i Santi. – Certuni infine
dicono che le nostre preghiere non devono essere dirette alla stessa Persona di
Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo di Cristo, poiché
il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo Corpo mistico, dov’essere
considerato semplicemente “mediatore di Dio e degli uomini” (I Tim. II,
5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla consuetudine dei Cristiani,
ma offende anche la verità. Cristo infatti, per parlare con esatto linguaggio,
è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4, c.)
secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina e l’umana, e del resto Egli
stesso asserì solennemente: “Se mi domanderete qualche cosa in mio nome, Io lo
farò” (Jo. XIV, 14). E sebbene le preghiere sian rivolte all’eterno
Padre per mezzo del suo Unigenito di preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel
quale Cristo, essendo Egli stesso Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale
l’ufficio di conciliatore, tuttavia non poche volte e persino nello stesso
santo Sacrificio, si usano preghiere rivolte allo stesso divin Redentore,
giacché tutti i Cristiani devono conoscere e comprendere chiaramente che l’uomo
Gesù Cristo è lo stesso Figlio di Dio e il medesimo Dio. Anzi, mentre la Chiesa
militante adora e prega l’Agnello incontaminato e la sacra Ostia, sembra che in
certo modo risponda alla voce della Chiesa trionfante che canta in eterno:
“A colui che siede sul trono e all’Agnello, la benedizione e l’onore e la
gloria e il potere per i secoli dei secoli” (Apoc. V, 13).
« … mentre infatti nel corpo naturale il principio della unità congiunge le parti in modo che le singole manchino completamente della propria sussistenza, invece nel Corpo mistico la forza di mutua congiunzione, sebbene intima, unisce le membra tra loro in modo che le singole godano del tutto di una propria personalità … »: è una delle sentenze del Santo Padre Pio XII nell’illustrare mirabilmente il concetto del “Corpo mistico di Cristo” che è la Chiesa, Una, Santa, Cattolica, Apostolica. In questa parte della lettera occorre porre somma attenzione ad ogni parola che, se ben compresa e ritenuta, è fonte di vita e di salvezza eterna. Notevoli sono pure i riferimenti scritturali, in particolare alle lettere dell’Apostolo delle genti, nonché la citazione di capisaldi del Magistero Pontificio, lettere encicliche di Leone XIII e Pio XI. Immergiamoci senza indugio in questa fonte di benessere spirituale e salvifico e, con la luce dello Spirito Santo, traiamone il massimo beneficio in questi tempi di confusione dottrinale, eresie grossolane e moderniste fughe scismatiche pseudotradizionaliste, più o meno dichiarate, palesi, o comunque di fatto.
Cristo è il «Sostentatore» del Corpo
Venerabili
Fratelli, quelle cose che abbiamo sopra esposte, spiegando brevemente il modo
con cui Gesù Cristo vuole che l’abbondanza dei Suoi doni dalla propria divina
pienezza affluisca nella Chiesa affinché essa quanto più è possibile sia a Lui
somigliante Ci introducono a spiegare la terza ragione per cui il Corpo sociale
della Chiesa si fregia del nome di Cristo: ragione che consiste nel fatto che
il nostro Salvatore sostenta Egli stesso divinamente la società da lui fondata.
– Come osserva acutamente e sottilmente il Bellarmino (cfr. De Rom. Pont.,
I, 9; De Concil., II, 19), questo appellativo del Corpo di Cristo non
deve spiegarsi semplicemente col fatto che Cristo debba dirsi Capo del Suo
Corpo mistico, ma anche col fatto che Egli talmente sostenta la Chiesa e
talmente vive in certo modo nella Chiesa, che essa sussiste quasi come una
seconda Persona di Cristo. Anche il Dottore delle Genti lo afferma, quando, scrivendo
ai Corinti, senz’altra aggiunta, denota la Chiesa col nome di
“Cristo” (cfr. I Cor. XII, 12), imitando in ciò lo stesso
Maestro il quale a lui che perseguitava la Chiesa aveva gridato dall’alto:
“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. (cfr. Act. IX, 4; XXII,
7; XXVI, 14). Anzi, se crediamo al Nisseno, spesso la Chiesa vien chiamata
dall’Apostolo semplicemente “Cristo” (cfr. Greg. Nyss. De vita
Moysis; Migne P. G., XLIV, 385); né vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quel
detto di Agostino: “Cristo predica Cristo” (cfr. Serm., CCCLIV, 1;
Migne, P. L., XXXIX, 1563).
a) Per la sua nobilissima missione giuridica
Tuttavia
tale nobilissima denominazione non deve essere presa come se appartenesse
all’intera Chiesa quell’ineffabile vincolo con cui il Figlio di Dio assunse
un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore comunica
talmente con la sua Chiesa i beni Suoi propri, che questa, secondo tutto il suo
modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima
immagine di Cristo. Poiché, per quella missione giuridica con la quale il divin
Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come Egli stesso era stato mandato dal
Padre (cfr. Jo. XVII, 18; XX, 21), è proprio Lui che battezza, insegna,
governa, assolve, lega, offre, sacrifica, per mezzo della Chiesa.
b) Per lo Spirito di Cristo
Con
quell’alta donazione poi, del tutto interna e sublime che abbiamo sopra
accennata nel descrivere il modo d’influire del Capo nelle Sue membra, Gesù
Cristo fa vivere la Chiesa della sua propria superna vita, permeando con la Sua
divina virtù tutto il Corpo di lei, e alimentando e sostentando le singole
membra, secondo il posto che occupano nel Corpo, come la vite nutre e fa
fruttificare i tralci che le sono uniti (Leone XIII, Lett. Enc. “Sapientiæ
Christianæ“; “Satis cognitum“). – Che se poi
consideriamo attentamente questo divino principio di vita e di virtù dato da
Cristo, in quanto costituisce la stessa fonte di ogni dono e grazia creata,
capiremo facilmente che esso non è altro se non lo Spirito Santo, che procede
dal Padre e dal Figlio e che vien chiamato in modo proprio “Spirito di
Cristo”, ossia “Spirito del Figlio” (Rom. VIII, 9; II Cor.
III, 17; Gal. VI, 6). Per opera di questo Spirito di grazia e di verità,
il Figlio di Dio dispose la propria anima nel seno incontaminato della Vergine;
questo Spirito pone le Sue delizie nell’abitare nell’anima del Redentore come
nel suo tempio preferito; questo Spirito ci fu meritato da Cristo sulla Croce,
spargendo il proprio sangue; questo, Egli donò alla Chiesa per rimettere i
peccati, alitandolo sopra gli Apostoli (cfr. Jo. XX, 22); e mentre
soltanto Cristo ricevette questo Spirito senza misura (cfr. Jo. III,
34), alle membra del Corpo mistico vien distribuito dalla pienezza dello stesso
Cristo secondo la misura del dono di Cristo (cfr. Eph. I, 8; IV, 7).
Dopo che Cristo fu glorificato sulla Croce, il Suo Spirito vien comunicato alla
Chiesa con copiosissima effusione, affinché le sue singole membra di giorno in
giorno siano sempre più simili al Redentore. È lo Spirito di Cristo che ci ha
resi figli adottivi di Dio (cfr. Rom. VIII, 14-17; Gai. IV, 6-7),
sicché un giorno “noi tutti, mirando a faccia svelata la gloria del
Signore quasi in uno specchio, siam trasformati di gloria in gloria nella
stessa Sua immagine” (cfr. II Cor. III, 18).
c) Perché è l’anima del Corpo mistico
A
questo Spirito di Cristo, come a principio invisibile, bisogna anche attribuire
l’unione di tutte le parti del Corpo tra loro e con l’eccelso lor Capo,
risiedendo esso tutto nel Capo, tutto nel Corpo, tutto nelle singole membra: a
queste Egli è presente con la Sua assistenza in maniere diverse, secondo i loro
diversi uffici e il loro maggiore o minor grado di perfezione spirituale. Egli,
col suo celeste soffio di vita, è il principio d’ogni azione vitale ed
efficacemente salutare nelle diverse parti del mistico Corpo. Egli, sebbene sia
personalmente presente in tutte le mistiche membra e in esse divinamente
agisca, tuttavia nelle parti inferiori opera per ministero delle membra
superiori. Infine, mentre spirando la Sua grazia produce sempre nuovi
incrementi, pure non vuole abitare con la grazia santificante in quelle membra
che siano completamente separate dal Corpo. E questa presenza di attività dello
Spirito di Gesù Cristo fu con vigorosa sintesi espressa dal Nostro Predecessore
Leone XIII d’immortale memoria, nella Lettera Enciclica “Divinum
illud”, dicendo: “Basti affermare che, essendo Cristo il Capo della
Chiesa, lo Spirito Santo è l’anima di essa”. – Se poi quella forza e virtù
vitale con cui tutta la comunità dei Cristiani vien sostentata dal suo
Fondatore, la consideriamo non in se stessa, ma negli effetti creati che da lei
promanano, essa consiste nei doni celesti che, quale causa efficiente della
luce soprannaturale e della santità, il nostro Redentore insieme col Suo
Spirito dà alla Chiesa, e produce insieme allo stesso Spirito. Perciò la Chiesa
non diversamente che tutte le sante sue membra, può far sua questa grande
sentenza dell’Apostolo: “Vivo non più io, ma vive in me Cristo” (Gal.
II, 20).
Cristo è il «Salvatore» del Corpo
La
nostra esposizione intorno al “Capo mistico” (cfr. Ambros. De Elia
et jejun., 10, 36-37 et In Psalm. 118, serm. 20, 2; Migne, P. L.,
XIV, 710 et XIV, 1483) rimarrebbero certamente monchi, se non accennassimo,
almeno brevemente, ad un’altra sentenza dello stesso Apostolo: “Cristo è
Capo della Chiesa: Egli il Salvatore del Corpo di lei” (Eph. V, 23).
Con queste parole, infatti, viene indicata l’ultima ragione per cui il Corpo
della Chiesa è fregiato del nome di Cristo. Cioè Cristo è il divino Salvatore
di questo Corpo. Egli infatti a buon diritto vien proclamato dai Samaritani
“Salvatore del mondo” (Jo. IV, 42); anzi senza alcun dubbio
dev’essere chiamato “Salvatore di tutti”, sebbene con Paolo bisogna
aggiungere che lo è “specialmente dei fedeli” (cfr. I Tim. IV,
10), in quanto, a preferenza di tutti gli altri, conquistò col Suo sangue le
membra che costituiscono la Chiesa (Act. XX, 28). Avendo già detto
abbastanza sulla Chiesa nata dalla Croce, su Cristo datore della luce, causa
della santità e sostentatore del Suo Corpo mistico, non è il caso di
soffermarCi ancora su questo argomento, ma piuttosto è opportuno meditare
queste verità con animo umile e attento, rivolgendo a Dio sentimenti di
gratitudine perenne. Pertanto quello che il nostro Salvatore pendente dalla
Croce iniziò, non cessa di perpetuarlo nella beatitudine celeste: “Il
nostro Capo — dice Agostino — interpella per noi: alcune membra Egli riceve,
altre flagella, altre purifica, altre consola; altre ne crea, altre ne chiama,
altre ne corregge, altre ne rinnova” (Enarr. in Ps., LXXXV, 5; Migne, P.
L., XXXVII, 1085). Noi dobbiamo pertanto cooperare con Cristo in quest’opera
salutare, giacché “da Uno e per mezzo di Uno veniamo salvati e
salviamo” (Clem. Alex., Strom. VII, 2: Migne, P. G., IX, 413).
LA CHIESA È IL CORPO DI CRISTO «MISTICO»
Ed
ora, Venerabili Fratelli, passiamo a un altro punto nella esposizione di questa
dottrina, per spiegare cioè perché il Corpo di Cristo (che è la Chiesa) deve
chiamarsi mistico. Tale denominazione, in uso presso parecchi antichi
scrittori, è comprovata da non pochi documenti dei Sommi Pontefici.
Quest’appellativo infatti deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo
di esso si può distinguere il Corpo sociale della Chiesa, di cui Cristo è Capo
e condottiero, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che nato dalla Vergine
Madre di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra
sotto i veli eucaristici: e, ciò che maggiormente importa per gli errori
moderni, per mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque
altro corpo sia fisico sia morale.
Il corpo mistico e il corpo fisico
Mentre
infatti nel corpo naturale il principio della unità congiunge le parti in modo
che le singole manchino completamente della propria sussistenza, invece nel
Corpo mistico la forza di mutua congiunzione, sebbene intima, unisce le membra
tra loro in modo che le singole godano del tutto di una propria personalità. Se
poi consideriamo il mutuo rapporto del tutto e delle singole membra, esse in
ogni corpo fisico vivente sono in ultima istanza destinate soltanto a profitto
di tutto il composto; mentre, in una compagine sociale di uomini, nell’ordine
della finalità dell’utilità, l’ultimo scopo è il bene di tutti e di ciascun
membro, essendo essi persone. Così (per ritornare al nostro argomento), come il
Figlio dell’eterno Padre discese dal cielo per la salvezza eterna di noi tutti,
così fondò il Corpo della Chiesa e lo arricchì del divino Spirito per procurare
ed assicurare la beatitudine delle anime immortali, secondo il detto
dell’Apostolo: “Tutte le cose sono vostre; voi siete di Cristo: Cristo poi
è di Dio” (I Cor. III, 23; Pio XI, Lettera Enciclica “Divini
Redemptoris“). La Chiesa, infatti, è costituita per il bene dei fedeli
e per la gloria di Dio e di Gesù Cristo che Egli ci ha mandato.
Il corpo mistico e il corpo puramente morale
Se
poi confrontiamo il Corpo mistico con quello morale, allora bisogna notare tra
i due una differenza di somma importanza. Nel corpo morale, il principio di
unità non è altro che il fine comune e la comune cooperazione ad uno stesso
fine, mediante l’autorità sociale; invece nel Corpo mistico, di cui trattiamo,
a questa comune tendenza allo stesso fine si aggiunge un altro principio
interno, che esiste ed agisce vigorosamente nell’intera compagine e nelle
singole sue parti, ed è di tale eccellenza da superare immensamente per se
stesso tutti i vincoli di unità che compaginano sia un corpo fisico sia un
corpo morale. Ciò, come sopra abbiam detto, non è qualche cosa di ordine
naturale, ma soprannaturale, anzi in se stesso infinito ed increato, cioè lo
Spirito divino che, come dice l’Angelico, “uno e identico per numero,
riempie ed unisce tutta la Chiesa” (De Veritate, q. 29, a. 4. c.).
– Il retto significato dunque di questa voce rammenta che la Chiesa, la quale
deve ritenersi una società perfetta nel suo genere, non consta soltanto di
elementi ed argomenti sociali e giuridici. Essa è certamente molto più
eccellente di qualunque altra società umana (Leone XIII,
Lettera Enciclica “Sapientiæ Christianæ“) e le supera come la
grazia supera la natura e come le cose immortali trascendono tutte le cose
caduche (Leone XIII,
“Satis cognitum“). Certo le altre società umane, e
specialmente la società civile, van tenute in non poco conto; ma nel loro
ordinamento non vi sono tutti gli elementi della Chiesa, come nella parte
materiale del nostro corpo mortale non vi è tutto l’uomo. Sebbene, infatti, le
ragioni giuridiche sulle quali anche la Chiesa è fondata e costruita abbiano
origine dalla costituzione divina datale da Cristo e contribuiscano al
conseguimento del suo fine soprannaturale, tuttavia ciò che eleva la società
cristiana a quel grado che supera assolutamente ogni ordine naturale è lo Spirito
del nostro Redentore che, come fonte di tutte le grazie, doni e carismi,
pervade intimamente la Chiesa e opera in essa. Come la compagine del nostro
corpo mortale, benché sia opera meravigliosa del Creatore, pure dista
moltissimo dall’eccelsa dignità dell’animo nostro, così la struttura della
società cristiana, benché sia tale da mostrare la sapienza del suo divino
Architetto, tuttavia è qualche cosa di ordine del tutto inferiore se si
paragona ai doni spirituali di cui essa è dotata e con cui essa vive e con la
loro divina sorgente.
La Chiesa giuridica e la chiesa della Carità
Da
quanto finora abbiamo spiegato, Venerabili Fratelli, appare il grave errore sia
di coloro che s’immaginano arbitrariamente la Chiesa quasi nascosta e del tutto
invisibile, sia di coloro che la confondono con altre istituzioni umane fornite
di regola disciplinare e riti esterni, ma senza comunicazione di vita
soprannaturale. Invece, come Cristo, Capo ed esemplare della Chiesa, “non
è tutto il Cristo se in Lui si considera o soltanto la natura umana visibile…
O soltanto la natura divina invisibile…, ma è uno con le due nature e nelle
due nature, così il Suo Corpo mistico”. Il Verbo di Dio assunse l’umana
natura soggetta ai dolori, affinché, fondata la società visibile e consacrata
col sangue divino, “l’uomo fosse richiamato alle cose invisibili
attraverso un governo visibile” (S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4
ad 3).
Perciò compiangiamo e riproviamo anche il funesto errore di coloro che sognano una Chiesa ideale, una certa società alimentata e formata di carità, alla quale (non senza disprezzo) oppongono l’altra che chiamano giuridica. Ma erroneamente suggeriscono una tale distinzione: non avvertono infatti che il divin Redentore volle che il ceto di uomini da Lui fondato fosse anche una società perfetta nel suo genere, fornita di tutti gli elementi giuridici e sociali per perpetuare in terra l’opera salutare della Redenzione (Conc. Vat. Sess. IV, Const. dogm. de Eccl., prol.); perciò la volle arricchita dallo Spirito Santo di celesti doni e grazie. L’Eterno Padre la volle, è vero, come “regno del Figlio del suo amore” (Col. I, 13); ma un regno vero, nel quale cioè tutti i credenti gli offrissero la completa sottomissione dell’intelletto e della volontà (Conc. Vat., Sess. III, Const. de fide cath., cap. 3), e con animo umile ed obbediente si come formassero a Lui che per noi “si fece ubbidiente sino alla morte” (Phil. II, 8). Dunque, nessuna vera opposizione o ripugnanza può esistere tra la missione invisibile dello Spirito Santo e l’ufficio giuridico che i Pastori e i Dottori hanno ricevuto da Cristo. Anzi queste due realtà si completano e perfezionano a vicenda (come in noi il corpo e l’anima) e procedono da un solo identico Salvatore, il quale, quando alitò sugli Apostoli, non solo disse “Ricevete lo Spirito Santo” (Jo. XX, 22), ma comandò anche a voce alta: “Come il Padre mandò me, così anche io mando voi” (Jo. XX, 21), e “Chi ascolta voi, ascolta me” (Luc. X, 16). – Che se nella Chiesa si scorge qualche cosa che denota la debolezza della nostra condizione, ciò non deve attribuirsi alla sua costituzione giuridica, ma piuttosto alla deplorevole tendenza dei suoi singoli membri al male, tendenza che il divin Fondatore permette che esista anche nei membri più ragguardevoli del suo Corpo mistico, affinché venga messa alla prova la virtù sia delle pecorelle sia dei Pastori e in tutti si accumulino i meriti della Fede cristiana. Cristo infatti, come abbiam detto sopra, dal ceto che aveva fondato non volle che fossero esclusi i peccatori: se dunque alcuni membri soffrono malattie spirituali, non c’è motivo di diminuire il nostro amore verso la Chiesa, ma piuttosto di aumentare la nostra pietà verso le sue membra. – Sì, certamente, senza alcuna macchia risplende la pia Madre nei Sacramenti con i quali genera ed alimenta i figli, nella fede che conserva sempre incontaminata, nelle santissime leggi con le quali comanda, nei consigli evangelici con i quali ammonisce, nei celesti doni e carismi con i quali nella sua inesausta fecondità (cfr. Conc. Vat., Sess. III, Const. de fide catholica, cap. 3) genera innumerevoli eserciti di martiri, di vergini e di confessori. Ma non si può ascriverle a difetto se alcune membra languiscono inferme o ferite: in nome loro ogni giorno essa stessa prega Dio dicendo: “Rimetti a noi i nostri debiti” e nella loro cura spirituale si applica senza indugio e con forte e materno animo. – Quando dunque chiamiamo “mistico” il Corpo di Gesù Cristo, dal significato stesso di questa parola riceviamo i più gravi ammaestramenti, che risuonano in questo detto di San Leone: “Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, divenuto partecipe della natura divina, non voler con un ignobile tenor vita, ritornare all’antica bassezza. Ricordati di quale Capo e di quale Corpo sei membro” (Serm. XXI, 3; Migne, P. L., LIV, 192-193).