UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO X – “SINGULARI QUIDAM”

Il Santo Padre S. PIO X affronta anche in questa lettera enciclica, la questione sociale ed operaia. Questa è la giusta occasione per ricordare come in tutti i temi, compresi quelli sociali, la Chiesa abbia soluzioni eque per tutti nei problemi che si prospettano nella vita dei singoli e della società. Ecco l’invito rivolto a tutti i fedeli operai cattolici tedeschi, ed ovviamente di tutti gli altri Paesi, ad attenersi scrupolosamente al Magistero Apostolico assoggettandosi alle decisioni della Chiesa, guidata dal Sommo Pontefice, e localmente dei Vescovi in unione con il Papa. Questo per i tempi era quanto veniva suggerito ai lavoratori ed ai Cristiani tutti, suggerimenti che sono ancora oggi validi e risolutivi ma che in assenza di una Chiesa libera e con un Sommo Pontefice impedito, sono puntualmente elusi da una classe politica e da una sinagoga di satana – che finge di essere Chiesa Cattolica praticando al massimo «  una specie di Cristianesimo vago e non definito, che si suol chiamare interconfessionale, e che si diffonde sotto la falsa etichetta di comunità cristiana, mentre evidentemente nulla vi è di più contrario alla predicazione di Gesù Cristo » – entità tenenrose dirette congiuntamente dalle conventicole mondiali di diversa obbedienza, ma di uguale asservimento ai poteri demoniaci, con le conseguenze devastanti per singoli e Stati, che tutti possiamo osservare, anche se malamente occultate dai mezzi di informazione, tutti asserviti alle logge.

S. S. San PIO X

Singulari quadam

Lettera Enciclica

24 settembre 1912

Uno speciale affetto e benevolenza verso i Cattolici di Germania, i quali, uniti a questa Sede Apostolica da un grande spirito di fede e di obbedienza, sogliono combattere con generosità e con forza in favore della Chiesa, ci ha spinto, venerabili fratelli, a rivolgere tutto il nostro zelo e la nostra cura all’esame della controversia sulle associazioni operaie, che tra di essi si agita; sulla quale controversia, in questi ultimi anni, già più volte ci avevano dato informazioni, oltre alla maggior parte di voi, anche prudenti e autorevoli persone di entrambe le tendenze. E con tanto zelo ci siamo dedicati a questa cosa, in quanto, nella coscienza dell’apostolico ufficio, comprendiamo che è Nostro sacro dovere sforzarci di far sì che questi Nostri carissimi figli conservino la dottrina cattolica nella sua purezza e integrità, e di non permettere in alcun modo che la stessa loro fede sia messa in pericolo. È chiaro infatti che, se non vengono tempestivamente esortati a vigilare, c’è pericolo che essi, a poco a poco e quasi senza accorgersene, si adattino a una specie di Cristianesimo vago e non definito, che si suol chiamare interconfessionale, e che si diffonde sotto la falsa etichetta di comunità cristiana, mentre evidentemente nulla vi è di più contrario alla predicazione di Gesù Cristo. E inoltre, essendo Nostro sommo desiderio di favorire e rafforzare la concordia tra i Cattolici, vogliamo rimuovere qualsiasi causa di dissensi, che, disperdendo le forze dei buoni, non possono giovare se non agli avversari della Religione; ché anzi desideriamo vivamente che i nostri anche con i loro concittadini che non professano la Religione Cattolica coltivino quella pace che è indispensabile al governo dell’umana società e alla prosperità dello stato. – Sebbene poi, come abbiamo detto, ci fosse noto lo stato della questione, abbiamo tuttavia voluto, prima di darne un giudizio, chiedere il parere di ciascuno di voi, venerabili fratelli, e ognuno di voi ha risposto alla Nostra richiesta con quella diligenza e con quella prontezza che la gravità della questione richiedeva. – In primo luogo dunque proclamiamo che è dovere di tutti i Cattolici – dovere che va scrupolosamente e completamente adempiuto tanto nella vita privata quanto nella vita sociale e pubblica – di mantenere fermamente e di professare senza timidezza i principi della verità cristiana, insegnati dal Magistero della Chiesa Cattolica, soprattutto quelli che il Nostro predecessore ha formulato con tanta sapienza nell’enciclica Rerum novarum; i quali principi sappiamo essere stati seguiti sopra ogni altro dai Vescovi di Prussia, riuniti a Fulda nel 1900, ed essere stati esposti sommariamente da voi stessi, quando Ci avete risposto che cosa pensate intorno alla presente controversia. – E precisamente qualunque cosa un Cristiano faccia, anche se nell’ordine delle cose terrene, non gli è lecito trascurare i beni soprannaturali; anzi deve, conformemente alle regole della dottrina cristiana, tutto dirigere al bene supremo come a fine ultimo. E tutte le sue azioni, in quanto moralmente buone o cattive, cioè conformi o no alla legge naturale e divina, sono soggette al giudizio e alla Giurisdizione della Chiesa. – Tutti coloro, singoli o associati, che si gloriano del nome di Cristiani, devono, se non dimenticano il proprio dovere, alimentare non le inimicizie e le rivalità tra le classi sociali, ma la pace e il mutuo amore. – La questione sociale, e le controversie che ne derivano circa il metodo e la durata del lavoro, la fissazione del salario, e lo sciopero, non sono soltanto di natura economica, e perciò non sono tali da potersi risolvere prescindendo dall’autorità della Chiesa, “essendo invece fuori dubbio che (la questione sociale) è principalmente morale e religiosa, e che per ciò va risolta principalmente secondo le leggi morali e religiose”. – Quanto poi alle associazioni operaie, sebbene il loro scopo sia di procurare agli associati dei vantaggi in questa vita, tuttavia meritano la più alta approvazione, e sono da considerare più delle altre adatte ad assicurare una vera e durevole utilità ai soci, quelle che sono state costituite prendendo come principale fondamento la Religione Cattolica, e che seguono apertamente le direttive della Chiesa; e più volte Noi lo abbiamo dichiarato, quando se ne è offerta l’occasione in un Paese o in un altro. Da ciò discende che si devono costituire e con ogni mezzo aiutare tali associazioni confessionali cattoliche, non solo nei Paesi cattolici, ma anche in tutti gli altri, dovunque si ritenga possibile venire incontro per mezzo di esse ai bisogni dei soci. Se poi si tratta di associazioni che direttamente o indirettamente toccano la Religione o la morale, non sarebbe in alcun modo da approvare che nei suddetti Paesi si volessero favorire e diffondere le associazioni miste, ossia composte di Cattolici e non cattolici. Infatti se non altro, a causa di tali associazioni, a non piccoli pericoli si espongono, o almeno si possono trovare esposti, sia l’integrità della fede dei nostri fedeli, sia la dovuta obbedienza alle leggi e ai precetti della Chiesa Cattolica; pericoli del resto, che abbiamo visto espressamente messi in rilievo, venerabili fratelli, nella maggior parte delle vostre risposte su questo punto. – Perciò facciamo molto volentieri ogni elogio a tutte le associazioni operaie puramente cattoliche esistenti in Germania, desideriamo che ogni loro iniziativa in favore delle masse operaie abbia successo, e auguriamo ad esse sviluppi sempre più felici. Con questo tuttavia non intendiamo negare che sia lecito ai Cattolici lavorare, con cautela, insieme con gli acattolici, per procurare all’operaio una sorte migliore e per una più equa retribuzione e condizione di lavoro, o per qualunque altro fine utile e onesto: ma preferiamo che per tale scopo le Associazioni Cattoliche e non cattoliche si uniscano per mezzo di quel genere di patto opportunamente escogitato che si chiama Cartello. – A questo proposito, venerabili fratelli, non pochi di voi Ci domandano che Noi vi permettiamo di tollerare i cosiddetti sindacati cristiani, come sono ora costituiti nelle vostre diocesi, dato che essi abbracciano un numero di operai molto maggiore di quello delle associazioni puramente cattoliche e che molti inconvenienti ne verrebbero se tale tolleranza non fosse permessa. In considerazione della speciale situazione del Cattolicesimo in Germania, Noi riteniamo di dover accogliere tale richiesta, e dichiariamo che si può tollerare e permettere che i Cattolici facciano parte anche di quelle associazioni miste, che esistono nelle vostre diocesi, fino a che per nuove circostanze tale tolleranza non cessi di essere opportuna o lecita; purché, tuttavia, si prendano le precauzioni necessarie per evitare i pericoli che, come abbiamo detto, sono inerenti a tal genere di associazioni. – Prima di tutto si deve curare che gli operai cattolici che fanno parte di questi sindacati, siano anche iscritti alle associazioni di operai cattolici denominate Arbeitervereine. Che se per questo essi devono fare qualche sacrificio, soprattutto pecuniario, siamo certi che, nel loro zelo per la conservazione della loro Fede non lo faranno malvolentieri. Fortunatamente infatti accade che queste Associazioni Cattoliche, sotto l’impulso del clero, che con la sua guida e vigilanza le dirige, molto contribuiscono a tutelare nei loro membri la purezza della fede e l’integrità dei costumi, e ad alimentare il loro spirito religioso con molteplici esercizi di pietà. Senza dubbio perciò i dirigenti di queste associazioni, ben conoscendo i nostri tempi, vorranno insegnare agli operai quei precetti e quelle norme, soprattutto circa i doveri di giustizia e di carità, che ad essi è necessario e utile ben conoscere, per potersi comportare, nei sindacati, in modo retto e conforme ai principi della dottrina cattolica. Inoltre, perché i sindacati siano tali che i Cattolici vi si possano iscrivere, è necessario che si astengano da qualsiasi manifestazione teorica o pratica, contrastante con la dottrina e i precetti della Chiesa e dell’autorità ecclesiastica competente; e parimenti che nulla di men che accettabile sotto questo aspetto vi sia nei loro scritti, discorsi, o attività. Considerino perciò i Vescovi uno dei più sacri doveri osservare diligentemente come si comportino queste associazioni, e vigilare che i Cattolici non soffrano alcun danno dai loro rapporti con esse. E i Cattolici stessi, iscritti ai sindacati, non permettano mai che i sindacati anche come tali, nel curare gl’interessi temporali dei membri, professino o facciano cose che in qualsiasi modo contrastino con i principi insegnati dal supremo Magistero della Chiesa, con quelli specialmente che abbiamo sopra richiamato. A tale scopo, ogni qualvolta si agitino questioni relative a materie che toccano i costumi, e cioè alla giustizia e alla carità, i Vescovi vigileranno con la massima attenzione affinché i fedeli non trascurino la morale cattolica, né da essa menomamente si allontanino. – Siamo d’altronde sicuri, venerabili fratelli, che voi curerete che sia scrupolosamente e completamente osservato quanto nella presente vi abbiamo ordinato e che, data l’importanza della cosa, Ci terrete spesso e accuratamente informati. Poiché però abbiamo avocato a Noi questa cosa, e spetta a Noi, sentito il parere dei Vescovi, darne un giudizio, comandiamo a tutti i buoni Cattolici di astenersi d’ora in poi da qualunque discussione tra di loro su questa materia; e Ci piace sperare che essi, in spirito di fraterna carità e pienamente sottoposti all’Autorità Nostra e dei loro Pastori, faranno in modo completo e leale quello che comandiamo. Che se sorgesse in essi qualche difficoltà, essi hanno a loro disposizione il modo di risolverla; consultino i loro Vescovi, e questi deferiranno la questione al giudizio di questa Sede Apostolica. Resta ora da dire – si deduce facilmente da quanto abbiamo esposto – che come da una parte a nessuno sarebbe lecito accusare di fede sospetta e combattere a questo titolo coloro che, costanti nella difesa della dottrina e dei diritti della Chiesa, vogliono tuttavia, con retta intenzione, appartenere, e realmente appartengono, ai sindacati misti, dove l’autorità ecclesiastica, secondo le circostanze del luogo, ha ritenuto opportuno di permettere l’esistenza di tali sindacati; così d’altra parte, sarebbe altamente da riprovare che si svolgesse attività ostile contro le Associazioni puramente cattoliche – mentre si deve con ogni mezzo aiutare e favorire tal genere di associazioni – e che si volesse seguire e quasi imporre un tipo interconfessionale,anche se sotto il pretesto di ridurre a un modello uniforme tutte le Associazioni di Cattolici esistenti in ciascuna diocesi. Frattanto, mentre facciamo voti perché la Germania cattolica progredisca sia nel campo religioso che in quello politico, imploriamo per questo caro popolo il particolare aiuto di Dio onnipotente e la protezione della vergine Madre di Dio, che è anche la Regina della pace; e, come pegno dei doni divini e testimonianza della Nostra speciale benevolenza, impartiamo di tutto cuore l’apostolica benedizione a voi diletto Nostro figlio e venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo.

Roma, presso San Pietro, il 24 settembre 1912, anno decimo del Nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XIV – “QUOD PROVINCIALE”

« … se la Vostra giustizia non supererà quella degli Scismatici ed Eretici, nessuno dei quali osa prendere un nome Maomettano, non entrerete nel Regno dei Cieli…» Questa è la sentenza del Sommo Pontefice Benedetto XIV, nei riguardi di coloro che nella regione balcanica, a forte presenza musulmana, assumevano nomi non Cristiani per non incorrere in sanzioni economiche o nella perdita di benefici materiali. Erano in effetti dei marrani all’inverso, ugualmente odiosi anche da un punto di vista umano, esattamente come i marrani storici, o ipocriti, di ogni tempo, marrani che persistono attualmente soprattutto fingendo di appartenere alla “Chiesa Cattolica”, alimentando però vigorosamente la sinagoga di satana. Non a caso, ad esempio nella falsa chiesa dell’uomo, il c. d. “Novus ordo”, ma pure tra tanti scismatici pseudo-tradizionalisti, ci sono tanti marrani appositamente addestrati, fin da giovanissimi, a dissimulare fedi eretiche e pagane, pratiche abominevoli sataniche, gnostiche, esoteriche, sotto la compiacente gestione o favoritismi dei servi di lucifero collocati nei “seggi” ecclesiastici che contano. Ma se i marrani, finti maomettani, hanno ricevuto una condanna così pesante dal parte della massima Autorità della Chiesa, non possiamo nemmeno immaginare quale sia la posizione spirituale nei riguardi del sommo Giudice dei marrani infiltrati nella Chiesa Cattolica, e che tante anime trascinano negli inferi insieme a loro. Per ciò che riguarda poi i nomi dei Cristiani, o presunti tali, mentre gli abitanti dei Balcani potevano accampare qualche motivo, oggi si impongono a bella posta a bambini di aree un tempo cattoliche, nomi che nulla hanno a che vedere con gli usi cristiani, e si preferisce appioppar loro nomi di matrice pagana, di divinità (cioè di demoni) orientali o nordiche, di personaggi fittizi mutuati da fumettoni, cartoni animati e perfino da culti esoterici. Non andiamo oltre. preghiamo per questi sventurati perché non siano tra coloro che  “non entreranno nel regno dei cieli”, e leggiamo la lettera Enciclica del Santo Padre.

Benedetto XIV

Quod provinciale

Il Concilio Provinciale della vostra Provincia di Albania, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, celebrato l’anno 1703 sotto il Papa Clemente XI di felice memoria, nostro Predecessore, aveva santissimamente stabilito, fra le altre cose, al canone terzo, che nel Battesimo non fossero imposti né ai bambini né agli adulti nomi Turchi o Maomettani, e che i Cristiani non tollerassero di essere chiamati con nomi Turchi o Maomettani che mai erano stati loro imposti, per qualunque esenzione da tributi o immunità, o per facilitazioni nel commerciare liberamente, o per evitare pene. Raccomandando anche Noi le stesse cose, le confermammo, e comandammo di osservarle nella nostra Lettera Enciclica che inizia con le parole Inter omnigenas, edita per il Regno di Serbia e regioni vicine, su diversi punti di Religione e di disciplina, il giorno 11 febbraio 1744, anno quarto del Nostro Pontificato. – Quanto fu stabilito con sapienza e religione dai vostri Predecessori fu veramente provvidenziale e salutare, esempio luminoso della Fede Cattolica e della Vostra sincera pietà Cristiana, da essere indicato ad esempio agli altri e da Noi prescritto perché sia rigorosamente osservato, a maggior gloria e prestigio della Vostra Provincia e a maggiore utilità per conseguire l’eterna salvezza delle anime: tanto che se per caso capitasse che venisse trascurato, ridonderebbe a maggior disonore della vostra stessa Provincia e ad aperto danno delle anime.

1. Quindi Noi, che nella predetta nostra Lettera proclamammo quell’abuso una turpe occultazione della Fede cristiana, somigliante all’infedeltà, abbiamo appreso, col più grande dolore del nostro animo Pontificale, che moltissimi di codesta Provincia, trascurato il pensiero dell’eterna salvezza, continuano ad adoperare i medesimi nomi Turchi o Maomettani, non solo per essere considerati immuni e liberi da quei tributi e oneri che furono imposti ai Cristiani, ma anche con lo scopo che non si creda che essi stessi o i loro parenti abbiano apostatato dalla religione Maomettana, e non siano puniti con le pene inflitte in questi casi. Infatti tutte queste cose, anche se la Fede di Cristo viene conservata nel cuore, non si possono fare, senza la simulazione degli errori di Maometto, contraria alla sincerità Cristiana; questa simulazione comporta una menzogna in materia gravissima, e comprende una virtuale negazione della Fede con grandissima offesa a Dio e scandalo al prossimo: per cui si offre ai Turchi stessi l’occasione propizia di considerare tutti i Cristiani ipocriti e ingannatori, tali che vanno a buon diritto e giustamente perseguitati.

2. Si aggiunge inoltre ad aumentare sempre più il nostro dispiacere e dolore, che alcuni di Voi stessi, Venerabili Fratelli, e anche alcuni di Voi, diletti figli Parroci e Missionari, non badando affatto ad una simulazione tanto malvagia e detestabile, ma anzi conniventi, e spinti da motivazioni che non sono sufficienti a scusare i peccati, non hanno timore di ammettere alla partecipazione ai Sacramenti, senza nessun travaglio di coscienza e con pubblica offesa dei buoni Cristiani, quei fedeli affidati alle vostre cure che assumono i suddetti nomi Turchi o Maomettani e procurano di farsi chiamare così.

3. Ne consegue che Noi, che (per la sollecitudine di tutte le Chiese a Noi imposta, e per la soprintendenza suprema del Sacrosanto Apostolato), siamo obbligati a ricondurre tutti i Cristiani sulla via della salvezza e a presentarli a Dio puri, sinceri, procedenti in spirito e verità e senza macchia, dopo avere ascoltato su questo argomento i nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa Inquisitori generali contro la malvagità eretica, col loro consiglio, rinnovando dapprima il lodato Canone del Concilio Albanese della vostra Provincia, colla nostra Apostolica autorità, a tenore della presente Lettera lo confermiamo, e comandiamo che sia osservato rigorosamente. Colla stessa autorità e tenore estendiamo anche alla Vostra Provincia, e comandiamo che siano ugualmente osservati, i decreti della ricordata nostra Lettera. Quindi proibiamo rigorosamente che qualunque Cristiano, per qualunque motivo o pretesto o in qualsivoglia immaginabile circostanza, osi assumere i medesimi nomi Turchi o Maomettani per farsi credere Maomettano.

4. Inoltre, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, vi preghiamo ed esortiamo nel Signore affinché, considerando seriamente il vostro ministero e i conti severi che dovrete rendere al Supremo Principe dei Pastori ed Eterno Giudice Gesù Cristo sulle pecore affidate a ciascuno di Voi, Voi stessi curiate di assicurare la vostra elezione colle vostre buone opere, e non omettiate (la qual cosa non può avvenire senza gravissima Vostra colpa di incuria e negligenza) di rimproverare, scongiurare e sgridare con ogni pazienza e dottrina i medesimi Cristiani della vostra Provincia affinché, tenendo un buon comportamento fra i Pagani, in ogni cosa si mostrino esempio di buone opere, perché coloro che sono avversari, si vergognino, non avendo niente di male da dire su di loro, quasi fossero malfattori: essi, che per turpe guadagno parlano diversamente da come pensano. Se alcuni poi non ubbidiscono alle vostre esortazioni e ai nostri ordini, secondo la norma della disciplina Apostolica, devono essere obbligati con le maniere forti: su di loro devono essere applicate interamente le sanzioni e le pene del vostro Sinodo Albanese e della suddetta nostra Lettera, e sia loro dichiarato che non potranno ricevere, in vita, i Sacramenti, e dopo la morte, se saranno deceduti senza ravvedersi, i suffragi. Quelle pene Noi rinnoviamo e infliggiamo di nuovo, per quanto ce n’è bisogno, e vogliamo e ordiniamo che siano mandate a debita esecuzione da Voi. Questo poi non deve sembrare odioso a nessuno di voi, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, poiché se la Vostra giustizia non supererà quella degli Scismatici ed Eretici, nessuno dei quali osa prendere un nome Maomettano, non entrerete nel Regno dei Cieli.

5. Infine, coloro che si sono fatti Cristiani dal Maomettanesimo, o che sono figli di convertiti, nel caso in cui diffidino della propria costanza nella Fede e abbiano timore di incorrere nelle pene dei loro Governanti se lasciano i nomi Turchi, e abbiano paura di subirle, esortateli seriamente ad abbandonare di nascosto quelle regioni e a venire a rifugiarsi nelle terre dei Cristiani, nelle quali non mancheranno ad essi né Dio che dà il cibo ad ogni vivente, né la carità dei fedeli, specialmente se saranno muniti di lettere di raccomandazione dei Vescovi.

Frattanto a Voi, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, doniamo affettuosamente la Benedizione Apostolica, la quale vogliamo che sia data a Nostro nome ai Cristiani di retta fede da ogni Venerabile Fratello Vescovo nella sua Diocesi.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 1° agosto 1754, anno quattordicesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “LEVATE”

« … Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. … Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati … » Se il Santo Padre S. S. Pio IX, fosse ancora vivo ed operante, oggi scriverebbe le stesse identiche cose nei confronti dei governanti italiani, che dal suo tempo non sono affatto migliorati, anzi sono sempre più coinvolti nel giogo di satana e delle conventicole luciferine anticattoliche che li guidano con feroce scaltrezza. Ma la loggia più funesta, soprattutto per l’anima, si trova oggi nel luogo – un tempo – santo, ove ha posto la sua cattedra di pestilenza eclissando la vera Chiesa Cattolica e riducendo il Santo Padre impedito in una vita di catacomba, come nei tempi passati. Ma come allora questo farà risplendere ancor più la gloria del Signore e del Cuore Immacolato di Maria che ci ha già da tempo predetto il suo trionfo. Analoga situazione di persecuzione, anche se più grossolana ed evidente, è quella che ugualmente si verificava nella Russia e perdura oggi nei Paesi comunisti un tempo cattolici. Ma la fede avrà modo di risplendere più brillantemente in coloro che impavidi saranno forti e perseveranti fino alla fine. Tremino i nemici del Cristo, laici, finti prelati, atei e nemici dell’uomo, il loro tempo è oramai prossimo, e quando sembrerà loro di aver tutto conquistato, saranno ribaltati in un attimo dal soffio della bocca di Cristo, così come nella Pasqua di 2000 anni or sono.

Pio IX
Levate

Venerabili Fratelli, levate in giro i vostri occhi e vedrete, e insieme con Noi sentirete grandissimo dolore per le pessime abominazioni dalle quali oggi questa misera Italia è specialmente funestata. Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. Da ciò originano tutte le iniquità, i mali e i danni che con sommo dolore dell’animo Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. – Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati, Venerabili Fratelli. Questi uomini, animati da spirito veramente diabolico, vogliono collocare la bandiera della menzogna in questa Nostra alma città, accanto alla Cattedra di Pietro, che è il centro della verità e dell’unità cattolica. I reggitori del Governo piemontese, che dovrebbero frenare tali uomini, non arrossiscono di favorirli in ogni modo, di procurare loro le armi e tutte le cose, e di rendere loro sicuro l’ingresso a questa città. Ma tutti questi uomini, benché costituiti nel grado e nel posto supremo del potere civile, tremino, perché con questo modo veramente iniquo di procedere si tirano addosso nuove pene ecclesiastiche e censure. Benché però nell’umiltà del Nostro cuore non cessiamo di pregare caldamente e di scongiurare Dio ricco di misericordia, perché si degni di richiamare a salutare penitenza sul retto sentiero della giustizia, della religione, della pietà tutti questi miserabilissimi uomini, tuttavia non possiamo tacere i gravissimi pericoli a cui in quest’ora delle tenebre siamo esposti. Noi con animo veramente tranquillo aspettiamo gli eventi, qualunque essi siano, benché eccitati con nefande frodi, calunnie, insidie, bugie, avendo posto ogni Nostra speranza in Dio, Nostra salute, che è Nostro aiuto e forza in tutte le Nostre tribolazioni. Egli non permette che rimangano confusi coloro che sperano in Lui, e disperde le insidie degli empi e spezza le cervici dei peccatori. Intanto non possiamo fare a meno di denunziare a voi principalmente, Venerabili Fratelli, ed a tutti i fedeli affidati alla vostra cura la tristissima condizione ed i gravissimi pericoli in cui Ci troviamo per opera specialmente del Governo piemontese. Infatti, quantunque siamo difesi dal valore e dalla devozione del fedelissimo Nostro esercito, il quale con gloriose imprese diede prove di un valore quasi eroico, tuttavia è chiaro che esso non può resistere a lungo contro il numero assai maggiore degli ingiustissimi aggressori. Benché non sia piccola la Nostra consolazione per la filiale pietà, verso di Noi, dei Nostri sudditi ridotti a pochi dagli scellerati usurpatori, tuttavia siamo costretti a dolerci grandemente, mentre essi non possono non sentire i gravissimi pericoli che loro sovrastano per parte delle feroci bande d’uomini iniqui, i quali continuamente con ogni sorta di minacce li spogliano ed in ogni modo li tormentano. Ma abbiamo da lamentare altri mali non mai abbastanza deplorati, Venerabili Fratelli. Specialmente dalla Nostra Allocuzione nel Concistoro del 29 ottobre dell’anno scorso e poi dall’esposizione corredata da documenti e stampata, avete benissimo appreso da quante sciagure la Chiesa Cattolica ed i suoi figli nell’Impero di Russia e nel Regno di Polonia siano, in modo miserando, vessati e lacerati. Infatti i Vescovi Cattolici, gli ecclesiastici, i laici fedeli sono cacciati in esilio, incarcerati, tormentati in ogni maniera, spogliati dei loro beni, travagliati ed oppressi da severissime pene; i canoni e le leggi della Chiesa sono interamente calpestati. Non contento di ciò, il Governo russo continuò, secondo l’antico suo proposito, a violare la disciplina della Chiesa, a rompere i vincoli dell’unione e della comunione di quei fedeli con Noi e con questa Santa Sede, e ad adoperare ogni mezzo ed ogni sforzo per potere in quegli Stati rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica, strappare quei fedeli dal seno della Chiesa e trascinarli nel funestissimo scisma. Con Nostro incredibile dolore vi comunichiamo che, dopo l’ultima Nostra Allocuzione, da quel Governo furono pubblicati due decreti. Col decreto del 22 del mese di maggio ultimo scorso, con orrendo attentato, fu soppressa la diocesi di Podlachia nel Regno di Polonia, insieme con quel Capitolo di Canonici, col Concistoro generale e col Seminario diocesano; il Vescovo della diocesi medesima, strappato al suo gregge, fu costretto ad uscire immantinente dai confini della diocesi. Un simile decreto fu pubblicato il 3 giugno dell’anno scorso; di esso non potemmo fare menzione perché non era giunto a Nostra conoscenza. Con quel decreto lo stesso Governo non esitò di proprio arbitrio ed autorità a sopprimere la diocesi di Kameniek e a disperdere il Capitolo dei Canonici, il Concistoro, il Seminario, e a cacciare violentemente il Vescovo dalla sua diocesi. – Essendoci poi chiusa ogni via e soppresso ogni mezzo per comunicare con quei fedeli, ed anche per non esporre nessuno al carcere, all’esilio ed alle altre pene, fummo costretti a pubblicare nel Nostro giornale l’atto con cui credemmo in proposito di provvedere all’esercizio della legittima giurisdizione ed ai bisogni dei fedeli, affinché per mezzo della stampa giungesse colà la notizia del provvedimento da Noi adottato. Ognuno facilmente capisce con quale animo e con quale scopo tali decreti sono pubblicati dal Governo russo, facendo sì che all’assenza di molti Vescovi si congiunga la soppressione di molte diocesi. – Ma ciò che aumenta la Nostra amarezza, Venerabili Fratelli, è l’altro decreto pubblicato dallo stesso governo il 22 del passato mese di maggio, con cui a Pietroburgo venne costituito un Collegio chiamato ecclesiastico cattolico romano, a cui presiede l’Arcivescovo di Mohilow. Cioè: tutte le domande, anche relative alle cose di fede e di coscienza che dai Vescovi, dal Clero e dal Popolo della Russia e della Polonia sono dirette a Noi ed a questa Sede Apostolica, si debbano prima trasmettere a quel Collegio, il quale deve esaminarle e decidere se le domande oltrepassino le facoltà dei Vescovi, ed in tal caso possa procurare che siano a Noi trasmesse. Dopo che colà sarà giunta la Nostra decisione, il presidente del detto Collegio è obbligato a mandarla al ministro dell’Interno, il quale esaminerà se in essa si contenga qualche cosa di contrario alle leggi dello Stato ed ai diritti del Sovrano; qualora ciò non esista, a suo arbitrio, sia eseguita. – Vedete certamente, Venerabili Fratelli, quanto sia da riprovarsi e condannarsi un tale decreto emanato da un potere laico e scismatico, con cui viene distrutta la divina costituzione della Chiesa Cattolica, si rovescia la disciplina ecclesiastica, e si fa alla Nostra suprema potestà ed autorità pontificia, e di questa Santa Sede e dei Vescovi, la massima ingiuria; s’impedisce la libertà del sommo Pastore di tutti i fedeli, ed i fedeli sono spinti ad un funestissimo scisma; viene violato e conculcato lo stesso diritto naturale riguardo alle cose che concernono la fede e la coscienza – Inoltre, l’Accademia cattolica di Varsavia è stata chiusa; ed è imminente la trista rovina della diocesi rutena di Chelma e Belz. E, ciò che è maggiormente doloroso, si rinvenne un certo prete Voicichi, uomo di fede sospetta, il quale, disprezzate tutte le censure e le pene ecclesiastiche, senza tener conto del terribile giudizio di Dio, non ebbe in orrore di ricevere da quella civile potestà il governo e la cura della medesima diocesi, e di emanare già diverse ordinanze, le quali, mentre si oppongono alla disciplina ecclesiastica, favoriscono il funestissimo scisma. – In mezzo a tante calamità ed angustie Nostre e della Chiesa, non essendovi altri che pugni per Noi se non il Nostro Iddio, con quanta forza abbiamo vivamente vi scongiuriamo dunque, Venerabili Fratelli, che, per il singolare amore e zelo per la causa cattolica e per la egregia vostra pietà a Nostro riguardo, vogliate unire alle Nostre le fervide vostre preghiere, e insieme al vostro Clero e al Popolo fedele pregare Iddio senza tregua e scongiurarlo che, memore delle Sue eterne misericordie, allontani da Noi la Sua indignazione, salvi la Santa Chiesa e Noi da tanti mali, protegga e conforti con la Sua virtù tanti figli a Noi carissimi della stessa Chiesa, sparsi in quasi tutti i paesi, e specialmente in Italia, nell’Impero russo e nel Regno di Polonia, ed esposti a tante insidie; li corrobori, li confermi, li conservi sempre più nella professione della fede cattolica e della sua salutare dottrina; disperda tutti gli empi consigli dei nemici degli uomini, li richiami dal baratro dell’iniquità alla via della salvezza, e li guidi sul sentiero dei Suoi comandamenti. – Vogliamo pertanto che entro sei mesi per le diocesi di qua dal mare, ed entro un anno nelle diocesi di là dal mare, sia intimato un triduo di pubbliche preghiere, da stabilirsi da Voi. Affinché i fedeli con maggiore impegno intervengano a queste pubbliche preci e preghino il Signore, concediamo misericordiosamente nel Signore una plenaria indulgenza di tutti i loro peccati, a quanti fedeli d’ambo i sessi interverranno a questo triduo pregando per le presenti necessità della Chiesa, secondo la Nostra intenzione, purché, espiati i peccati nella confessione sacramentale, si accostino alla sacra Eucaristia. A coloro poi i quali, per lo meno contriti, avranno in ciascuno dei predetti giorni compiuto le opere prescritte, condoniamo sette anni ed altrettante quarantene delle pene loro ingiunte od in qualsiasi altro modo da essi dovute nella consueta forma della Chiesa. Concediamo ancora nel Signore che tutte e singole le indulgenze, le remissioni di peccati e i condoni delle penitenze siano applicabili alle anime dei fedeli defunti nella carità di Dio. Nulla ostando ogni altra disposizione in contrario. – Infine, nulla certo per Noi è più gradito che valerci con sommo piacere di questa occasione per manifestarvi e nuovamente confermarvi la speciale benevolenza con la quale vi abbracciamo nel Signore. Come pegno certissimo di essa accettate l’Apostolica Benedizione che, con effusione di cuore, amorevolmente impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai laici fedeli affidati in qualsiasi modo alle vostre cure.

Dato in Roma, presso San Pietro, il 27 ottobre 1867, anno ventiduesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XIV – “VIX PERVENIT”

La Giustizia eleva la gente, il peccato rende miseri i popoli“. Da questa sentenza biblica il Santo Padre Benedetto XIV, imperniava la sua lettera enciclica sul vergognoso vizio dell’usura, la forma più esplicita dell’avarizia. Già a quell’epoca l’usura procurava mali a uomini e popoli, perché violava non solo le leggi canoniche, ma pure quelle del diritto naturale e divino. Questo è il motivo perché oggi uomini, ma soprattutto popoli ed organismi sopranazionali sono e stanno precipitando nell’abisso della miseria e della rovina spirituale, oltre che materiale. Il sistema dell’usura oggi è legge assoluta – nuovo tragico idolo demoniaco – imposto dalle banche nazionali e da organismi più o meno occulti supranazionali, nelle quali operano soggetti senza scrupoli, avidi non solo di guadagni, ma affascinati dal gusto del male nel vedere anche popoli interi nella miseria e nella disperazione. Questa infatti è una delle armi più potenti che satana ha inventato per assoggettare sia avidi speculatori, sia popoli che gli si rivolgono voltando le spalle al Cristo, perché attratti da facili guadagni e da un benessere fittizio, trappole mortali per il vero onesto benessere materiale, e soprattutto per indurre al peccato ed alla perdita dell’anima. Sciocchi sono così i popoli che hanno affidato finanza e fortuna economico-monetaria a  lupi rapaci e malefici che hanno inventato prima il sistema della cambiali e poi quello della carta moneta, o meglio carta-straccia, carta senza alcun corrispettivo ma che, prestata ai governi dei Paesi, vuolsi che si renda con capitali di beni veri caricati da interessi astronomici, fuori da possibilità concrete di solvibilità, e quindi mezzo di schiavitù e ricatti sociali vergognosi. A tutto questo la Chiesa ha cercato di porre limiti e regolamentazione, argini oggi totalmente infranti con la conquista dei poteri finanziari-usurai della finta chiesa-sinagoga di satana che si spaccia per Chiesa Cattolica e che anzi per prima, è titolare di banche e di traffici sospetti (per usure un eufemismo). Leggiamo quindi quanto ci suggerisce il Sommo Pontefice e che oggi rappresenterebbe un momento chiave nella lotta alle combriccole luciferine che governano il mondo e la falsa chiesa, imponendo quanto di più malefico possibile in tutti gli ambiti, semplicemente sulla base dell’usura di cui alcuni popoli in particolare, sono maestri e dominatori.

S. S. Benedetto XIV
Vix pervenit

Non appena pervenne alle nostre orecchie che a cagione di una nuova controversia (precisamente se un certo contratto si debba giudicare valido) si venivano diffondendo per l’Italia alcune opinioni che non sembravano conformi ad una saggia dottrina, ritenemmo immediatamente che spettasse alla Nostra Apostolica carica apportare un rimedio efficace ad impedire che questo guaio, con l’andar del tempo e in silenzio, acquistasse forze maggiori; e bloccargli la strada perché non si estendesse serpeggiando a corrompere le città d’Italia ancora immuni.

1. Perciò, prendemmo la decisione di seguire la procedura della quale sempre fu solita servirsi la Sede Apostolica: cioè, abbiamo spiegato tutta la materia ad alcuni Nostri Venerabili Fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa, che sono molto lodati per la loro profonda dottrina in fatto di Sacra Teologia e di Disciplina Canonica; abbiamo interpellato anche parecchi Regolari coltissimi nell’una e nell’altra materia, scegliendoli, alcuni fra i Monaci, altri nell’Ordine dei Mendicanti, altri ancora fra i Chierici Regolari; abbiamo aggiunto anche un Prelato laureato in utroque jure e dotato di lunga pratica del Foro. Stabilimmo che il giorno 4 del luglio scorso si riunissero tutti alla Nostra presenza e chiarimmo loro i termini della questione. Apprendemmo che già essi ne avevano notizia e la conoscevano a fondo.

2. Successivamente abbiamo ordinato che, liberi da qualsiasi parzialità e avidità, esaminassero accuratamente tutta la materia ed esprimessero per iscritto le loro opinioni; tuttavia non abbiamo chiesto che giudicassero il tipo di contratto che aveva motivato la controversia, perché mancavano parecchi documenti indispensabili, ma che fissassero, a proposito delle usure, un criterio definitivo, al quale sembrava recassero un danno non indifferente quelle idee che da un po’ di tempo cominciavano a diffondersi fra la gente. Tutti ubbidirono. Infatti, comunicarono le loro opinioni in due Congregazioni, delle quali la prima fu tenuta in Nostra presenza il 18 luglio, l’altra il primo agosto scorsi; alla fine tutti consegnarono le proprie relazioni scritte al Segretario della Congregazione.

3. All’unanimità hanno approvato quanto segue:

I. Quel genere di peccato che si chiama usura, e che nell’accordo di prestito ha una sua propria collocazione e un suo proprio posto, consiste in questo: ognuno esige che del prestito (che per sua propria natura chiede soltanto che sia restituito quanto fu prestato) gli sia reso più di ciò che fu ricevuto; e quindi pretende che, oltre al capitale, gli sia dovuto un certo guadagno, in ragione del prestito stesso. Perciò ogni siffatto guadagno che superi il capitale è illecito ed ha carattere usuraio.

II. Per togliere tale macchia non si potrà ricevere alcun aiuto dal fatto che tale guadagno non è eccessivo ma moderato, non grande ma esiguo; o dal fatto che colui dal quale, solo a causa del prestito, si reclama tale guadagno, non è povero, ma ricco; né ha intenzione di lasciare inoperosa la somma che gli è stata data in prestito, ma di impiegarla molto vantaggiosamente per aumentare le sue fortune, o acquistando nuove proprietà, o trattando affari lucrosi. Infatti agisce contro la legge del prestito (la quale necessariamente vuole che ci sia eguaglianza fra il prestato e il restituito) colui che, in forza del mutuo, non si vergogna di pretendere più di quanto è stato prestato, nonostante fosse stato convenuta inizialmente la restituzione di una somma eguale a quella prestata. Pertanto, colui che ha ricevuto, sarà obbligato, in forza della norma di giustizia che chiamano commutativa (la quale prevede che nei contratti umani si debba mantenere l’eguaglianza propria di ognuno) a rimediare e a riparare quanto non ha esattamente mantenuto.

III. Detto questo, non si nega che talvolta nel contratto di prestito possano intervenire alcuni altri cosiddetti titoli, non del tutto connaturati ed intrinseci, in generale, alla stessa natura del prestito; e che da questi derivi una ragione del tutto giusta e legittima di esigere qualcosa in più del capitale dovuto per il prestito. E neppure si nega che spesso qualcuno può collocare e impiegare accortamente il suo danaro mediante altri contratti di natura totalmente diversa dal prestito, sia per procacciarsi rendite annue, sia anche per esercitare un lecito commercio, e proprio da questo trarre onesti proventi.

IV. Come in tanti diversi generi di contratti, se non è rispettata la parità di ciascuno, è noto che quanto si percepisce oltre il giusto ha a che vedere se non con l’usura (in quanto non vi è prestito, né palese né mascherato), certamente con qualche altra iniquità, che impone parimenti l’obbligo della restituzione. Se si conducono gli affari con rettitudine, e li si giudica con la bilancia della Giustizia, non c’è da dubitare che in quei medesimi contratti possano intervenire molti modi e leciti criteri per conservare e rendere numerosi i traffici umani e persino lucroso il commercio. Pertanto, sia lungi dall’animo dei Cristiani la convinzione che, con l’usura, o con simili ingiustizie inflitte agli altri possano fiorire lucrosi commerci; invece abbiamo appreso dallo stesso Divino Oracolo che “La Giustizia eleva la gente, il peccato rende miseri i popoli“.

V. Ma occorre dedicare la massima attenzione a quanto segue: ciascuno si convincerà a torto e in modo sconsiderato che si trovino sempre e in ogni dove altri titoli legittimi accanto al prestito, o, anche escludendo il prestito, altri giusti contratti, col supporto dei quali sia lecito ricavare un modesto guadagno (oltre al capitale integro e salvo) ogni volta che si consegna a chiunque del danaro o frumento o altra merce di altro genere. Se alcuno sarà di questa opinione, avverserà non solo i divini documenti e il giudizio della Chiesa Cattolica sull’usura, ma anche l’umano senso comune e la ragione naturale. A nessuno infatti può sfuggire che in molti casi l’uomo è tenuto a soccorrere il suo prossimo con un prestito puro e semplice, come insegna soprattutto Cristo Signore: “Non respingere colui che vuole un prestito da te“. Del pari, in molte circostanze, non vi è posto per nessun altro giusto contratto, eccetto il solo prestito. Bisogna dunque che chiunque voglia seguire la voce della propria coscienza, si accerti prima attentamente se davvero insieme con il prestito non si presenti un altro giusto titolo e se non si tratti invece di un altro contratto diverso dal mutuo, in grazia del quale sia reso puro e immune da ogni macchia il guadagno ottenuto.

4. In queste parole riassumono e spiegano le loro opinioni i Cardinali, i Teologi e Uomini espertissimi di Canoni, il parere dei quali abbiamo sollecitato su questa gravissima questione. Anche Noi non abbiamo tralasciato di dedicare il nostro privato impegno alla stessa questione, prima che si riunissero le Congregazioni, e durante i loro lavori e quando già li avevano conclusi. Infatti con estrema attenzione abbiamo seguito le opinioni (già da Noi ricordate) di quegli uomini prestigiosi. E a questo punto confermiamo e approviamo tutto ciò che è contenuto nelle Sentenze esposte più sopra, in quanto è chiaro che tutti gli scrittori, i professori di Teologia e dei Canoni, numerose testimonianze delle Sacre Lettere, decreti dei Pontefici Nostri Predecessori, l’autorità dei Concili e dei Sacerdoti sembrano quasi cospirare per un’approvazione unanime delle medesime Sentenze. Inoltre abbiamo conosciuto chiaramente gli autori ai quali devono essere attribuite opinioni contrarie; e così pure coloro che le incoraggiano e le proteggono, o che sembrano offrire ad essi un appiglio o un’occasione. E non ignoriamo con quanta severa dottrina abbiano assunto la difesa della verità i Teologi vicini a quei territori in cui hanno avuto origine tali controversie.

5. Perciò abbiamo inviato questa Lettera Enciclica a tutti gli Arcivescovi, Vescovi e Ordinari d’Italia, in modo che essa fosse nota a Te, Venerabile Fratello, e a tutti gli altri; e ogni qual volta avverrà di celebrare Sinodi, di parlare al popolo, di istruirlo nelle sacre dottrine, non si pronunci parola che sia contraria a quelle Sentenze che più sopra abbiamo esaminato. Inoltre vi esortiamo vivamente a impedire con tutto il vostro zelo che qualcuno osi con Lettere o Sermoni insegnare il contrario nelle Vostre Diocesi; se poi qualcuno rifiutasse di obbedire, lo dichiariamo colpevole e soggetto alle pene stabilite nei Sacri Canoni contro coloro che abbiano disprezzato e violato i doveri apostolici.

6. Sul contratto che ha suscitato queste nuove controversie, per ora non prendiamo decisioni; non stabiliamo nulla neppure sugli altri contratti, circa i quali i Teologi e gli Interpreti dei Canoni sono lontani tra loro in diverse sentenze. Tuttavia pensiamo di dover infiammare il religioso zelo della vostra pietà perché mandiate ad effetto tutto ciò che vi suggeriamo.

7. In primo luogo fate sapere con parole severissime che il vizio vergognoso dell’usura è aspramente riprovato dalle Lettere Divine. Esso veste varie forme e apparenze per far precipitare di nuovo nella estrema rovina i Fedeli restituiti alla libertà e alla grazia dal sangue di Cristo; perciò, se vorranno collocare il loro denaro, evitino attentamente di lasciarsi trascinare dall’avarizia che è fonte di tutti i mali, ma piuttosto chiedano consiglio a coloro che si elevano al di sopra dei più per eccellenza di dottrina e di virtù.

8. In secondo luogo, coloro che confidano tanto nelle proprie forze e nella propria sapienza, da non aver dubbi nel pronunciarsi su tali problemi (che pure esigono non poca conoscenza della Sacra Teologia e dei Canoni) si guardino bene dalle posizioni estreme che sono sempre erronee. Infatti alcuni giudicano queste questioni con tanta severità, da accusare come illecito e collegato all’usura ogni profitto ricavato dal danaro; altri invece sono talmente indulgenti e remissivi da ritenere esente da infamante usura qualunque guadagno. Non siano troppo legati alle loro opinioni, ma prima di dare un parere esaminino vari scrittori che più degli altri sono apprezzati; poscia facciano proprie quelle parti che sanno essere sicuramente attendibili sia per la dottrina, sia per l’autorità. E se nasce una disputa mentre si esamina qualche contratto, non si scaglino contumelie contro coloro che seguono una contraria Sentenza, né dichiarino che essa è da punire con severe censure, soprattutto se manca dell’opinione e delle testimonianze di uomini eminenti; poiché le ingiurie e le offese infrangono il vincolo della carità cristiana e recano gravissimo danno e scandalo al popolo.

9. In terzo luogo, coloro che vogliono restare immuni ed esenti da ogni sospetto di usura, e tuttavia vogliono dare il loro denaro ad altri in modo da trarne solo un guadagno legittimo, devono essere invitati a spiegare prima il contratto da stipulare, a chiarire le condizioni che vi sono poste e l’interesse che si pretende da quel denaro. Tali spiegazioni contribuiscono decisamente non solo a scongiurare ansie e scrupoli di coscienza, ma anche a ratificare il contratto nel foro esterno; inoltre chiudono l’adito alle dispute che spesso occorre affrontare perché si possa capire se il danaro che sembra prestato ad altri in modo lecito, contenga in realtà un’usura mascherata.

10. In quarto luogo vi esortiamo a non lasciare adito agli stolti discorsi di coloro che vanno dicendo che l’odierna questione sulle usure è tale solo di nome, perché il danaro, che per qualunque ragione si presta ad altri, procura solitamente un profitto. Quanto ciò sia falso e lontano dalla verità si comprende facilmente se ci rendiamo conto che la natura di un contratto è totalmente diversa e separata dalla natura di un altro, e che del pari molto fra di loro divergono le conseguenze di contratti tra loro diversi. In realtà una differenza molto evidente intercorre tra l’interesse che a buon diritto si trae dal danaro, e che perciò si può trattenere in sede legale e in sede morale, e il guadagno che illegalmente si ricava dal danaro e che quindi deve essere restituito, conformemente al dettato della legge e della coscienza. Risulta dunque che non è vano proporre la questione dell’usura in questi tempi e per la seguente ragione: dal denaro che si presta ad altri si riceve molto spesso qualche interesse.

11. In modo particolare abbiamo ritenuto opportuno esporvi queste cose, sperando che voi rendiate esecutivo ciò che da Noi è prescritto con questa Lettera: che ricorriate anche a opportuni rimedi, come confidiamo, se per caso e per causa di questa nuova questione delle usure si agiti la gente nella vostra Diocesi o si introducano corruttori con l’intento di alterare il candore e la purezza della sana dottrina.

Da ultimo impartiamo a Voi e al Gregge affidato alle vostre cure l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 1° novembre 1745, anno sesto del Nostro Pontificato.

UN’ENCICICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XIV – “QUEMADMODUM PRECES”

La preghiera a Dio, praticata oggi, è quanto di più blasfemo e sacrilego si possa immaginare, ed è particolarmente questo un segno distintivo del Novus Ordo degli apostati usurpanti modernisti. Ognuno, magari in buona fede, e nella totale ignoranza delle disposizioni ecclesiastiche, che sono espressioni della volontà divina, si sente in diritto di comporre preghiere fantasiose e melodie pseudo liturgiche, modellate su motivetti alla moda accompagnati da strumentacci elettronici che definire cacofonici, sarebbe un ignobile ed eufemistico complimento. Si compongono melodie sdolcinate, testi ammiccanti a capricciose passionalità, ritmate su tempi da discoteche o dancing … un vero affronto alla sacralità dei luoghi e delle funzioni nelle quali non c’è più ritegno alcuno nello scimmiottare satanismi e diavolerie varie. Eppure la preghiera liturgica, o in comune per le pubbliche calamità, è preghiera che deve rispondere a precisi criteri che solo la Chiesa può stabilire. Tutto ciò che esula da questo controllo o da regole di fede ben determinate, è solo sacrilegio e blasfemia, superstizione ed idolatria nel migliore dei casi, e quindi offesa diretta a Dio. È quello che leggiamo in questa lettera enciclica di un Santo Padre particolarmente edotto nelle pratiche liturgiche, come S. S. Benedetto XIV: « … spetta unicamente all’Autorità Ecclesiastica stabilire e prescrivere quelle preci, in quanto a nessun potere secolare è consentito decidere e stabilire per legge che si innalzino pubbliche preghiere, sia per rendere grazie a Dio per qualche beneficio ricevuto, sia per implorare il Suo aiuto in un momento di grave difficoltà » – « … il Sacro Concilio Tridentino ha diffidato dall’accogliere nella celebrazione delle Messe, preghiere “…. che non siano quelle approvate dalla Chiesa e che non siano state accolte per assidua e lodevole consuetudine” …. Basterebbe solo questa citazione per comprendere che l’attuale setta del Novus Ordo, guidata truffaldinamente dal “Gatto e la Volpe”, è la vera sinagoga di satana delle profezie dei sacri Testi biblici, la setta dalla quale viene l’anticristo, che travestito da angelo di luce, si spaccerà e si farà adorare come Dio … ma non usiamo il futuro, perché il signore dell’universo è già messo sugli altari del Novus Ordo ed adorato con l’offerta del Corpo e Sangue di Cristo, come nelle infernali agapi rosacrociane. Anche le preghiere fatte da chi si spaccia per autorità ecclesiastica senza esserlo canonicamente, sono sacrilegi orrendi ed attirano maledizioni tremende, come già Malachia ci ha avvertito nei suoi scritti: et maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis…

In attesa dell’intervento del Cristo, che con il soffio della sua bocca brucerà l’anticristo ed i suoi adepti del Novus Ordo e satelliti, leggiamo la lettera odierna:

S. S. Benedetto XIV

Quemadmodum preces

Come è sommamente giusto innalzare preghiere a Dio in favore dei Principi, così conviene che le formule delle stesse preci siano conformi a quelle che la Chiesa ha adottato; soprattutto poi se tali preghiere sono da recitare durante la celebrazione delle Messe. Inoltre spetta unicamente all’Autorità Ecclesiastica stabilire e prescrivere quelle preci, in quanto a nessun potere secolare è consentito decidere e stabilire per legge che si innalzino pubbliche preghiere, sia per rendere grazie a Dio per qualche beneficio ricevuto, sia per implorare il Suo aiuto in un momento di grave difficoltà.

1. Come Voi ben sapete, San Paolo, nella prima [lettera] a Timoteo, cap. 2, così si esprime: “Chiedo, domando, invoco, anzitutto, che le pubbliche preghiere, le orazioni, le suppliche, le azioni generose siano rivolte a pro di tutti gli uomini, a pro dei Sovrani e di tutti coloro che stanno ai vertici del potere” (1Tm 2,1-2). Che se poi è consentito a questo punto indicare la prassi che la Chiesa primeva seguiva nelle orazioni e nelle preci per offrire i Principi a Dio, hanno potuto renderla abbastanza manifesta la lettera di San Dionigi, Vescovo Alessandrino, al Governatore Emiliano; Tertulliano nel libro Ad Scapulam e nell’Apologetico; San Cipriano nell’Epistola a Demetriano;Origene nella Risposta a Celso e Atenagora nella sua ambasceria presso gl’Imperatori, in favore dei Cristiani.

2. Essi, invero, per molti versi sono d’accordo circa il modo di professare la propria fede e di pregare. Parimenti nelle celeberrime addizioni della lettera di San Celestino ai Vescovi della Gallia, cap. 11, si legge: “Rivolgiamo l’attenzione anche ai vincoli delle preghiere sacerdotali… affinché la legge della preghiera sancisca la legge della fede“.Da qui deriva che occorre adottare nelle pubbliche preghiere le formule prescritte dalla Chiesa, soprattutto se si tratta di orazioni che devono essere recitate nella Messa, come si è detto. Quindi anche il Sacro Concilio Tridentino ha diffidato dall’accogliere nella celebrazione delle Messe, preghiere “che non siano quelle approvate dalla Chiesa e che non siano state accolte per assidua e lodevole consuetudine“. Perciò nel Messale Romano esistono quasi per ogni circostanza, pie e devote orazioni, desunte opportunamente dagli antichi e venerabili testi sacri.

3. Per la verità, non pensiamo di procedere troppo oltre; anzi Noi crediamo di mantenerci sicuramente entro i giusti limiti della Nostra Autorità, quando sosteniamo che solo alla Potestà Ecclesiastica e non già a quella secolare compete la facoltà di regolare le questioni Ecclesiastiche e spirituali. Quel grande Osio, Vescovo di Cordova, in una lettera relativa a coloro che conducevano vita solitaria presso Sant’Atanasio, così scrisse all’Imperatore Costanzo circa la libertà ecclesiastica: “Non intrometterti nelle questioni ecclesiastiche né dettar legge a Noi in questa materia, ma piuttosto apprendila da Noi. A Te Dio affidò l’Impero, a Noi affidò tutto ciò che appartiene alla Chiesa… Evita di renderti colpevole di grave delitto, avocando a Te ciò che compete alla Chiesa. Sta scritto: A Cesare ciò che è di Cesare; a Dio ciò che è di Dio“.

4. Riferendoci poi a tempi più vicini e al fatto che diede occasione a questa Nostra lettera, affermiamo che lo stesso tribunale laico aveva abrogato e stracciato i Decreti di un certo magistrato con i quali erano state indette pubbliche preghiere per i Principi: esso aveva reso noto che tali Decreti erano destituiti d’ogni autorità e di ogni forza legale. Non molti anni addietro la Sacra Congregazione del Concilio, con il consenso dei Nostri Predecessori, pubblicamente revocò e rese inoperante un Editto del potere secolare con cui esso,  in seguito a una vittoria conseguita dal Principe, aveva indetto un Te Deum laudamus di ringraziamento, sebbene avesse assicurato di non voler violare il diritto ecclesiastico, mentre senza dubbio, la stessa assicurazione veniva di fatto smentita.

5. Affinché dunque si proceda rigorosamente con equità e rettitudine, Vi ammoniamo e Vi esortiamo perché sia Voi, sia altri per opera Vostra, preghiate con insistenza Dio per l’incolumità e la felicità dei vostri Principi, come anche Noi facciamo ogni giorno per i Principi cattolici. – Accogliete con animo sereno e lieto tutto ciò che i poteri secolari vi chiedono perché si recitino pubbliche preghiere per loro, e fate in modo che in esse si usi la liturgia della Chiesa e che non si recitino nella Messa nuove e inusitate orazioni.

6. Se invece (ma stentiamo a crederlo) qualche potere laicale, in forza di qualche usanza o consuetudine (che in realtà deve essere definita abuso), presume di non riconoscere per nulla la Vostra autorità, ma con atto arbitrario pretende d’indire pubbliche preghiere e anzi osa stabilire anche una pena per chi protesta, allora parlerete anche Voi come Osio parlò all’Imperatore. Usate argomenti che forse sono ignorati da chi è in errore. Spiegate ad essi che non è questo il modo di pregare Dio e di realizzare i propri voti; spiegate che essi devono rifugiarsi in Voi in quanto Voi, sebbene scelti fra gli uomini, tuttavia, a tutto vantaggio degli uomini, siete posti fra coloro che appartengono a Dio come dice l’Apostolo agli Ebrei; spiegate che all’infuori di Voi nessuno può intraprendere un’opera di tal fatta e assumere su di sé questo onore ma solo chi è chiamato da Dio come Aronne.

7. Che se poi alle vostre parole non si presta fede, né Voi giudicate che sia opportuno procedere verso di essi conforme ai dettami della disciplina ecclesiastica, a Voi tassativamente prescriviamo di renderci quanto prima edotti su tali questioni, anche trasmettendo nelle Nostre mani l’opportuna documentazione: Noi siamo infatti pronti a compiere tutti quegli atti che i Nostri insigni Predecessori erano soliti affrontare in analoghe circostanze. Non vogliamo infatti, una volta chiamati davanti al supremo tribunale di Dio, essere accusati d’aver negletto i diritti della Santa Sede. Frattanto Vi abbracciamo con paterno amore e Vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 23 marzo 1743, nell’anno terzo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO X – “TRIBUS CIRCITER”

Questa lettera enciclica di S. S. Pio X, DEL 1906, affronta il tema spinoso, per l’epoca, dei cosiddetti “mariaviti”, sacerdoti polacchi seguaci di una presunta mistica che, promuovendo un culto apparentemente cattolico, minava la sacra costituzione apostolica della Chiesa incitando alla separazione dai legittimi pastori e addirittura dalla Sede Apostolica. La vicenda andò avanti con alterne vicende, finché il Santo Padre si vide costretto ad assumere una posizione di intransigenza verso i ribelli alle legittime Autorità divinamente istituite. Quanta differenza con i comportamenti degli attuali usurpanti che, sotto un finto ed indulgete buonismo lasciano pseudo-sacerdoti ed ingannati fedeli alla mercé di lupi rapaci, falsi mistici propagatori di ancor più false rivelazioni sacrileghe, tutte a favore però – guarda caso – del modernismo della ovviamente falsa chiesa dell’anticristo o sinagoga di satana attualmente insediata nei sacri palazzi ed usurpante le diocesi di tutto l’orbe, con i risultati di scristianizzazione che tutti possiamo facilmente osservare. Qui viene ribadito il ruolo essenziale dei Vescovi nell’edificio ecclesiale, il cui fondamento portante, la pietra fondante, è il Santo Padre, il Vicario di Cristo, successore senza soluzioni di continuità del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, la cui adesione dottrinale al Magistero ordinario universale, e l’indiscussa sottomissione disciplinare è condizione “sine qua non” e garanzia di salvezza eterna dell’anima. Ma attenzione, aderire scientemente, o pure con falsa o dubbia coscienza ad un illegittimo Vescovo di Roma, come ci ha avvertito fin da quando la Chiesa ha mosso i primi passi alla conquista del mondo, San Cipriano, significa essere fuori dalla Chiesa Cattolica e quindi – senza scampo – fuori dalla via della salvezza. Ma torniamo al nostro documento apostolico, redatto in inglese, e facciamone tesoro, come per tutto il Magistero pontificio:

TRIBUS CIRCITER

ENCICLICA DI PAPA PIUS X

SUI MARIAVITI O SACERDOTI MISTICI DELLA POLONIA

AI NOSTRI VENERABILI FRATELLI, GLI ARCIVESCOVI DI VARSAVIA E I VESCOVI DI PLOTSK E DI LUBLINO

Venerabili Fratelli, Salute e Benedizione Apostolica.

Circa tre anni fa questa Sede Apostolica è stata debitamente informata che alcuni sacerdoti, soprattutto tra il clero minore delle vostre diocesi, avevano fondato, senza il permesso dei loro legittimi Superiori, una sorta di società pseudo-monastica, nota come i Mariaviti o Sacerdoti mistici, i cui membri, a poco a poco, si sono allontanati dalla retta strada e dall’obbedienza che devono ai Vescovi “che lo Spirito Santo ha posto al governo della Chiesa di Dio”, e si sono vanificati nei loro pensieri.

2. Ad una certa donna, che essi hanno proclamato « santissima, meravigliosamente dotata di doni celesti, divinamente illuminata su molte cose, e provvidenzialmente donata per la salvezza di un mondo che sta per perire », non hanno esitato ad affidarsi senza riserve, e ad obbedire ad ogni suo desiderio.

3. Basandosi su un presunto mandato di Dio, si sono posti l’obiettivo di promuovere senza discriminazioni e di propria iniziativa tra la gente, numerosi esercizi di pietà (altamente lodevoli se giustamente eseguiti), specialmente l’adorazione del Santissimo Sacramento e la pratica della Comunione frequente; ma allo stesso tempo hanno mosso le più gravi accuse contro tutti i Sacerdoti e i Vescovi che si sono avventurati ad esprimere qualche dubbio sulla santità e l’elezione divina della donna, o hanno manifestato una qualche ostilità alla società dei Mariaviti. Un tale passaparola ha fatto sì che ci fosse motivo di temere che molti fedeli, nella loro illusione, stessero per abbandonare i loro legittimi pastori.

4. Così, su consiglio dei nostri venerati fratelli, i Cardinali dell’Inquisizione generale, abbiamo fatto emettere, come sapete, un decreto, in data 4 settembre 1904, che sopprimeva la suddetta società di sacerdoti e ordinava loro di interrompere assolutamente ogni rapporto con questa donna. Ma i sacerdoti in questione, nonostante avessero firmato un documento che esprimeva la loro sottomissione all’autorità dei loro Vescovi e che, come dicono di aver fatto, interrompevano in parte i loro rapporti con la donna, non riuscivano comunque ad abbandonare l’impegno e a rinunciare sinceramente all’associazione condannata. Non solo ne condannarono poi le esortazioni e le inibizioni, non solo molti di loro firmarono dichiarazioni audaci in cui rifiutavano la comunione con i loro Vescovi, non solo in più di un luogo incitavano gli illusi a scacciare i loro legittimi pastori, ma, come nemici della Chiesa, affermarono che essa è caduta dalla verità e dalla giustizia, e quindi è stata abbandonata dallo Spirito Santo, e che solo a loro, i sacerdoti mariaviti, è stato dato divinamente l’incarico di istruire i fedeli alla vera pietà.

5. Né questo è tutto. Qualche settimana fa due di questi sacerdoti sono venuti a Roma: Romanus Prochniewsky e Joannes Kowalski, quest’ultimo riconosciuto, in virtù di una sorta di delegazione della donna citata, come loro superiore da tutti i membri della Società. Entrambi, in una petizione da loro scritta, come asseriscono, per espresso ordine di Nostro Signore Gesù Cristo, chiedono al Supremo Pastore della Chiesa, o alla Congregazione del Sant’Uffizio a suo nome, di emettere un documento concepito in questi termini: « Che Maria Francesca (la donna sopra menzionata) è stata resa santissima da Dio, che è la madre di misericordia per tutti gli uomini chiamati ed eletti alla salvezza da Dio in questi giorni; e che tutti i sacerdoti Mariaviti sono incaricati da Dio di promuovere in tutto il mondo la devozione al Santissimo Sacramento e alla Beata Vergine Maria del Perpetuo Soccorso, libera da ogni restrizione della legge o del costume ecclesiastico o umano, e da ogni potere ecclesiastico e umano. . . »

6. Da queste parole eravamo disposti a credere che i sacerdoti in questione fossero accecati non tanto dall’orgoglio consapevole, quanto dall’ignoranza e dall’illusione, come quei falsi profeti di cui Ezechiele scrive: « Vedono cose vane e preannunciano menzogne, dicendo: Il Signore dice: “Il Signore non li ha mandati, mentre il Signore non li ha mandati”. Non avete visto una visione vana e pronunciato una divinazione menzognera: e voi dite: Il Signore dice: “Il Signore dice: mentre io non ho parlato” » (Ezechiele XIII. 6, 7). Li abbiamo dunque accolti con pietà, li abbiamo esortati a mettere da parte gli inganni della vana rivelazione, a sottomettere se stessi e le loro opere alla salutare autorità dei loro Superiori, e ad affrettare il ritorno dei fedeli di Cristo sulla via sicura dell’obbedienza e della riverenza verso i loro pastori; e infine a lasciare alla vigilanza della Santa Sede e delle altre Autorità competenti il compito di confermare quelle pie consuetudini che possono sembrare più adatte per il pieno incremento della vita cristiana, in molte parrocchie della vostra diocesi, e allo stesso tempo ammonire i sacerdoti che sono stati giudicati colpevoli di parlare in modo abusivo o sprezzante di pratiche ed esercizi devoti approvati dalla Chiesa. E ci consolava vedere i due sacerdoti, commossi dalla Nostra paterna bontà, gettarsi ai Nostri piedi ed esprimere la loro ferma volontà di realizzare i Nostri desideri con la devozione dei figli. Hanno poi fatto sì che ci venisse trasmessa una dichiarazione scritta che accresceva la Nostra speranza che questi figli ingannati abbandonassero sinceramente le illusioni del passato e tornassero sulla retta strada:

7. « Noi (queste sono le loro parole), sempre pronti a compiere la volontà di Dio, che ora ci è stata resa così chiara dal suo Vicario, revochiamo con grande sincerità e gioia la nostra lettera, che abbiamo inviato il 1° febbraio di quest’anno all’Arcivescovo di Varsavia, e nella quale dichiariamo di esserci separati da lui. Inoltre, professiamo con grande sincerità e gioia che desideriamo essere sempre uniti con i nostri Vescovi, e specialmente con l’Arcivescovo di Varsavia, per quanto Vostra Santità ci ordinerà di fare. Inoltre, poiché ora agiamo in nome di tutti i Mariaviti, facciamo questa professione di tutta la nostra obbedienza e sottomissione in nome non solo di tutti i Mariaviti, ma di tutti gli Adoratori del Santissimo Sacramento. Facciamo questa professione in modo speciale a nome dei Mariaviti di Plotsk che, per la stessa causa dei Mariaviti di Varsavia, hanno consegnato al loro Vescovo una dichiarazione di separazione da lui. Perciò tutti noi, senza eccezione, ci prostriamo ai piedi di Vostra Santità, professando sempre di nuovo il nostro amore e la nostra obbedienza alla Santa Sede, e in modo speciale a Vostra Santità, chiediamo umilmente perdono per ogni dolore che abbiamo causato al Vostro cuore paterno. Infine, dichiariamo che ci metteremo subito al lavoro con tutte le nostre energie per ristabilire immediatamente la pace tra il popolo e i suoi Vescovi. Possiamo affermare che questa pace sarà veramente ristabilita molto presto ».

8. E’ stato quindi di grande piacere molto per Noi il poter credere che questi nostri figli, così graziati, al loro ritorno in Polonia, avesseero subito dato attuazione alle loro promesse, e per questo ci siamo affrettati a consigliare a voi, Venerabili Fratelli, di accogliere loro e i loro compagni, ora che hanno professato tutta l’obbedienza alla vostra autorità, con eguale misericordia, e di ristabilirli legalmente, se i loro atti corrispondevano alle loro promesse, alle loro facoltà per l’esercizio delle loro funzioni sacerdotali.  – Ma gli eventi hanno ingannato le Nostre speranze, perché abbiamo appreso da recenti documenti che essi hanno di nuovo aperto le loro menti a rivelazioni false, e che dal loro ritorno in Polonia, non solo non hanno ancora mostrato a voi, Venerabili Fratelli, il rispetto e l’obbedienza che avevano promesso, ma che hanno scritto ai loro compagni una lettera del tutto contraria alla verità e all’obbedienza genuina.

9. Ma la loro professione di fedeltà al Vicario di Cristo è vana in coloro che, di fatto, non cessano di violare l’autorità dei loro Vescovi. Infatti « la parte di gran lunga più augusta della Chiesa è costituita dai Vescovi (come scriveva il Nostro Predecessore Leone XIII di santa memoria nella sua lettera del 17 dicembre 1888 all’Arcivescovo), in quanto questa parte, per diritto divino, insegna e governa gli uomini; quindi, chi resiste o rifiuta loro pertinentemente l’obbedienza, si separa distingue dalla Chiesa. D’altra parte, giudicare o rimproverare gli atti dei Vescovi non appartiene affatto ai privati – cosa che compete per giurisdizione solo a quelli più alti in autorità e soprattutto al Sovrano Pontefice, perché a lui Cristo ha affidato l’incarico di nutrire non solo i suoi agnelli, ma anche le sue pecore di tutto il mondo. Al massimo, in questioni di grave lamentela, è consentito riferire l’intero caso al Romano Pontefice, e questo con prudenza e moderazione, come richiede lo zelo per il bene comune, non con clamore o fraudolentemente, perché in questo modo si allevano, o certamente aumentano, i dissensi e le ostilità.

10. Oziosa e ingannevole è anche l’esortazione del sacerdote Johannes Kowalski ai suoi compagni in errore a favore della pace, mentre egli persiste nei suoi discorsi stolti e negli incitamenti alla ribellione contro i pastori legittimi e nella sfacciata violazione dei comandi episcopali.

11. Per questo motivo, affinché i fedeli di Cristo e tutti i cosiddetti sacerdoti mariaviti che sono in buona fede, non siano più traviati dalle illusioni della suddetta donna e del sacerdote Johannes Kowalski, confermiamo ancora una volta il decreto per cui la società dei mariaviti, fondata illegittimamente e invalidamente, è interamente soppressa, e Noi la dichiariamo soppressa e condannata, e proclamiamo che è ancora in vigore il decreto che vieta a tutti i sacerdoti, ad eccezione di quello che il Vescovo di Plotsk, nella sua prudenza, sostituirà come suo confessore, di avere qualsiasi cosa a che fare con la citata donna con qualsiasi pretesto.

12. Voi, Venerabili Fratelli, Vi esortiamo vivamente ad abbracciare con paterna carità i sacerdoti che avendo sbagliato, immediatamente e sinceramente si pentono, e a non rifiutarsi di richiamarli di nuovo, sotto la vostra direzione, ai loro doveri sacerdotali, quando si saranno stati debitamente dimostrati degni. Ma se essi, che Dio non voglia, dovessero rifiutare le vostre esortazioni e perseverare nella loro contumacia, sarà Nostra premura che siano trattati con severità. Studiate di ricondurre sulla retta via i fedeli di Cristo che ora si trovano ad operare sotto un’illusione che può essere perdonata; e promuovete nelle vostre diocesi quelle pratiche di pietà, recentemente o da tempo approvate in numerosi documenti della Sede Apostolica, e fatelo con tanta più alacrità ora che, con la benedizione di Dio, i sacerdoti tra di voi sono messi in grado di esercitare il loro ministero e i fedeli di emulare l’esempio di pietà dei loro padri.

13. Intanto, come pegno di favori celesti e come prova della Nostra paterna buona volontà, concediamo amorevolmente nel Signore la Benedizione Apostolica a voi, Venerabili Fratelli, e a tutto il clero e a tutto il popolo affidato alle vostre cure e alla vostra vigilanza.

Dato a Roma, a San Pietro, il quinto giorno di aprile, MDCCCCVI, nel terzo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI (ANCHE CON CAZZUOLA E GREMBIULINO) DI TORNO: S. S. PIO IX – “EXORTÆ IN ISTA”

Ancora e sempre il nemico infernale viene snidato dal Santo Padre, Pio IX, anche in questa parte del Nuovo Mondo, ove il serpente diabolico si era rifugiato ed annidato onde attaccare celato ai più, e portare colpi alla santa Chiesa di Cristo. In effetti la Massoneria ha trovato da subito ampi spazi nel continente americano, ove ha potuto sperimentare forme di azione lontano dalle società europee ove era già abbastanza nota, detestata ed in qualche modo combattuta. Non a caso è nelle Americhe che hanno potuto sferrare colpi mortali i personaggi più corrotti e malefici in assoluto della storia, mascherati da presidenti, reali, alti dignitari, ministri, “eroi nazionali”, etc. etc., aderenti alle logge di obbedienze varie, ma tutte guidate dai nemici del genere umano, i c. d. “superiori sconosciuti”, assoggettati a Lucifero, come – a mo’ di esempio – i nostri Garibaldi, Mazzini, e via discorrendo, fino agli attuali finti gesuiti dei Paesi caldi che hanno in tutta tranquillità potuto “generare” figure abominevoli, e così sferrare un colpo mortale alla già oltremodo saccheggiata Chiesa Cattolica. Il Santo Padre Pio IX ancora una volta ricorda le scomuniche riservate alla Sede Apostolica che sia i suoi predecessori, lui stessi ed i suoi successori hanno poi confermato e che tutta sono in vigore a dannazione di aderenti iscritti, sostenitori a qualunque titolo, in qualsiasi ambito, a qualunque livello, sia pure come votanti alle elezioni politiche ove si sostengono canditati di chiara estrazione massonica, ed oggi intrufolati pure nelle strutture ecclesiastiche di tutto l’orbe. Il loro vero obiettivo, nell’infiltrare tutta la società civile, politica, finanziaria ed ecclesiastica, è la distruzione della Chiesa Cattolica, in particolare nella persona del Vicario di Cristo, onde poggiare la “corona-lucifero” sul capo dell’anticristo e dei suoi adepti infernali, gli uomini che vogliono sottomettere le bestie-cristiane e portarle, per disposizione demoniaca, al fuoco dell’eterna perdizione. Ma come sempre, anche questa volta, benché il piano sia stato più scaltro ed articolato del solito, per la contraffazione della Chiesa di cui è rimasta una vuota conchiglia, e si è trasformata nell’apparenza in una vera e propria sinagoga satanica, guidata da mostri abominevoli e sacrileghi, il loro piano si incepperà e “Dio … irredebit eos” e la Vergine Immacolata … conteret capita eorum, .. aspettare per credere, oramai ci siamo!

S. S. PIO IX

EXORTÆ IN ISTA

– Epistola de massonica secta

Forte richiamo a vigilare contro le insidie delle sette e della massoneria inparticolare. Rinnova il divieto di aggregarsi a questa sotto pena di scomunica maggiore riservata al Romano Pontefice.

[Pii. IX, 29 aprilis 1876, P. M. Acta, I/7. Pp. 210-214; ASS 9(1876), PP. 338-342]

Venerabilibus fratribus Episcopis Brasilianæ regionibus

I disordini originati in questa giurisdizione negli anni scorsi da persone che, benché adepte della setta massonica, si introdussero nelle comunità dei pii cristiani, come condussero voi, venerabili fratelli, soprattutto nelle diocesi di Olinda e Belem do Para, a un grave tormento, così, come sapete, riuscirono molto moleste e dolorose al nostro animo. Infatti non potevamo considerare senza dolore il fatto che la peste letale, di quella setta si era diffusa fino a corrompere le predette comunità, e di conseguenza le istituzioni disposte per rinforzare lo spirito sincero della fede e della pietà, dopo che vi era stata sparsa sopra la funesta messe della zizzania, erano precipitate in una misera condizione. Noi perciò, richiamati dal Nostro dovere apostolico e sotto lo sprone della paterna carità, con la quale seguiamo questa parte del gregge di Dio, ritenemmo di dover affrontare senza esitazione questo male e con la lettera del 29 maggio 1873 facemmo giungere a te, venerabile fratello di Olinda, la nostra voce contro questo deplorevole pervertimento entrato dentro le comunità cristiane, osservando tuttavia un criterio di indulgenza e clemenza verso quanti erano diventati seguaci della setta massonica perché ingannati e illusi, quello cioè di sospendere per un tempo congruo la riserva delle censure nelle quali essi erano incorsi, volendo che essi approfittassero della nostra benignità per esecrare i loro errori e abbandonare, condannandole, le associazioni in cui erano entrati. Ti incaricammo inoltre, venerabile fratello di Olinda, di sopprimere e di dichiarare soppresse le predette comunità se, trascorso quel periodo di tempo, non si fossero ravvedute e di ricostituirle integralmente con le modalità che avevano all’origine, inserendo nuovi membri immuni da ogni contaminazione con la massoneria. Noi inoltre, desiderando mettere in guardia – come è nostro dovere – tutti i fedeli contro le astuzie e le insidie dei membri delle sette, nella lettera enciclica indirizzata ai vescovi di tutta la cattolicità il 21 novembre 1873, richiamammo con chiarezza in quella occasione alla memoria dei fedeli le disposizioni pontificie emanate contro le corrotte società degli aderenti alle sette e proclamammo che nelle costituzioni venivano colpite non solo le associazioni massoniche costituite in Europa, ma anche tutte quelle che si trovano in America e nelle altre regioni di tutto il mondo. Non potemmo quindi non stupirci vivamente del fatto che, essendo state tolte con la Nostra autorità e con decisioni miranti alla salvezza dei peccatori gli interdetti a cui in queste regioni erano state sottoposte alcune chiese e comunità composte in gran parte da seguaci della massoneria, fu tratta da ciò l’occasione per diffondere tra la gente la convinzione che la società massonica presente in queste regioni era esclusa dalle condanne delle regioni apostoliche e quindi che le stesse persone aderenti alla setta potevano tranquillamente fare parte delle comunità dei pii Cristiani. Ma quanto queste opinioni siano lontane dalla verità e dal nostro modo di sentire, è dimostrato con chiarezza sia dagli atti che abbiamo ricordato prima, sia dalla stessa lettera scritta al serenissimo imperatore di codeste regioni il 9 febbraio 1875 nella quale, mentre garantivamo che sarebbe stata revocata l’interdizione gravante su alcune chiese di codeste diocesi se voi, venerabili fratelli, tenuti ingiustamente in carcere a Para e a Olinda, foste stati rimessi in libertà, aggiungemmo tuttavia una riserva e una precisa condizione, cioè che i seguaci della massoneria fossero rimossi dagli incarichi che occupano nelle comunità. E questa condotta suggerita dalla Nostra prudenza non ebbe e non avrebbe potuto avere altro proposito se non che, esauditi da parte Nostra i desideri dell’imperatore e ripristinata la tranquillità degli animi, offrissimo al governo imperiale l’opportunità di restituire all’antica condizione le pie comunità togliendone l’inquinamento portato dalla massoneria e nello stesso tempo far sì che gli uomini della setta condannata, mossi dalla Nostra clemenza verso di loro, procurassero di sottrarsi alla via della perdizione. E affinché in una questione così grave non possa restare alcun dubbio né alcuna possibilità di inganno, non tralasciamo di dichiarare nuovamente in questa occasione che tutte le società massoniche, sia di queste regioni sia esistenti altrove, delle quali da parte di molti, o tratti in inganno o traenti essi in inganno, si dice che mirino soltanto all’utilità e al progresso sociale e alla pratica dell’aiuto reciproco, sono vietate e colpite dalle costituzioni e dalle condanne apostoliche, e che quanti malauguratamente si sono iscritti alle medesime sette incorrono per questo solo fatto nel più grave provvedimento della scomunica riservato al Romano Pontefice. Né con minore sollecitudine raccomandiamo al vostro zelo che in queste regioni la dottrina religiosa venga trasmessa diligentemente al popolo cristiano con la predicazione della parola di Dio e gli opportuni insegnamenti; sapete infatti quale utilità deriva al gregge di Cristo da questa parte del ministero se viene esercitata bene, quali danni gravissimi se viene trascurata. – Ma oltre agli argomenti trattati qui, siamo costretti a deplorare l’abuso di potere da parte di coloro che presiedono le già ricordate comunità, i quali, come appunto ci è stato riferito, revocando ogni cosa secondo il loro arbitrio, pretendono di attribuirsi una illegittima autorità sui beni e le persone sacre e sulle cose spirituali, in modo tale che gli ecclesiastici e gli stessi parroci sono completamente assoggettati al potere di quelli nel compimento dei doveri del loro ministero. Questo comportamento è affatto contrario non solo alle leggi ecclesiastiche, ma allo stesso ordine costituito da Cristo Signore nella sua Chiesa; infatti i laici non sono stati posti a capo del governo ecclesiastico, ma per loro utilità e per la loro salvezza devono essere sottoposti ai legittimi Pastori ed è loro compito offrirsi come aiutanti del clero per le singole situazioni, mentre non devono intromettersi in quelle cose che sono state affidate da Cristo ai sacri pastori. Perciò non conosciamo niente di più necessario del fatto che gli statuti delle predette comunità siano redatti secondo il retto ordine e quanto in essi è fuori dalla norma e incongruo per qualche aspetto venga reso perfettamente conforme alle regole della Chiesa e alla disciplina canonica. Per raggiungere questo fine, venerabili fratelli, Noi, considerate le relazioni che intercorrono tra le comunità stesse e il potere civile, in ciò che concerne la loro costituzione e il loro ordinamento nelle cose temporali abbiamo già dato al nostro Cardinale Segretario di Stato gli opportuni mandati per agire insieme col governo imperiale e concertare con lo stesso gli sforzi utili per ottenere i risultati desiderati. Confidiamo che l’autorità civile unirà al Nostro il suo sollecito interessamento per questo e preghiamo con ogni Nostra forza Dio, dal quale provengono tutte le cose buone, perché si degni di accompagnare e sostenere con la sua grazia quest’opera attinente alla tranquillità della Religione e della società civile. Anche voi, venerabili fratelli, unite le vostre preghiere alla Nostre, perché questi desideri si realizzino e in pegno del Nostro sincero amore ricevete l’apostolica benedizione, che a voi e al clero e ai fedeli affidati alla cura di ciascuno di voi, impartiamo di cuore nel Signore.

Roma, presso San Pietro, 29 aprile 1876, anno XXX del Nostro pontificato.

PIO PP. IX

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VI – “ADEO NOTA”

L’Adeo nota, è una delle encicliche che il Santo Padre Pio VI scrive in occasione dei moti rivoluzionari francesi che miravano, sotto la direzione degli Illuminati e delle logge sataniche, a colpire la società francese, ma soprattutto la Chiesa e la Religione Cattolica. In realtà tutte le rivoluzioni dei tempi moderni del neopaganesimo risorgimentale hanno mirato unicamente, sotto coperture politiche o sociali, a destabilizzare il Regno di Cristo ed affermare il motto luciferino: “Non serviam”. Qui alla Santa Sede viene sottratto il territorio di Avignone e del contado annesso, ma le cose vanno ben oltre, nel senso che si mira allo scisma ed alla distruzione della giurisdizione gerarchica in seno alla Chiesa francese. Nulla di dissimile oggi, quando le forze della sovversione – mascherate da finta democrazia asservita alle logge e, attraverso di loro, a coloro che odiano Dio, la Chiesa di Cristo e tutti gli uomini – oltre ad aver posto il dominio su tutto l’ambito politico e finanziario internazionale, agiscono fomentando scismi a catena dalla vera Chiesa Cattolica, oggi eclissata e ridotta in anfratti e sottoscala. Cosa sono infatti i falsi vescovi delle sette scismatiche lefebvriane o sedevacantiste che non hanno alcuna missione canonica, né uno straccio di giurisdizione, sovrapponendosi fraudolentemente ad autorità anch’esse invalide perché non in comunione col vero Vicario di Cristo, perseguitato ed in cattività. È una epidemia di scismi ed eresie pronunciate in nome di una pseudo-tradizione che però si sgancia da ogni regola dottrinale circa la gerarchia ecclesiastica (oggi, visto il traballare delle prime linee, si sono chiamati a resistere alla vera Chiesa, anche – ridicoli – triari!!). Si è costituito un mondo totalmente sacrilego – quanti Malieri in giro – ed ancor più tenebroso del Novus ordo, chiaramente divenuto tentacolo della piovra oggi incoronata dal Kether Malkhuth, come ci fanno sapere i mass media satanico-mondialisti che ci propinano i successi nefasti e terrorizzanti della “Corona” luciferina (chi ha intelletto comprenda!). Abbiamo qui in questa lettera, la cronaca dolorosa del primo attacco frontale delle forze delle tenebre verso la Chiesa, attacco che poi è stato portato dall’interno di essa dalla quinta colonna gestita dalle logge Ecclesia & C. Il Santo Padre Pio VI, che avrebbe poi personalmente provato sulla propria pelle la violenza dei satanisti organizzati, protesta vibratamente contro le decisioni del direttorio insediato dagli Illuminati. Oggi una voce simile è stata silenziata e sostituita da quella di un fantoccio partorito dalle sette d’oltreoceano. Ma nessun problema, il Cattolico sa che, come Cristo, sarà perseguitato e martirizzato, e sa che tutto questo sarà di gran merito per lui, per cui noi del pusillus grex, ringrazieremo di cuore chi ci farà soffrire nel corpo e nell’anima, perché ci darà l’occasione di testimoniare il Nome del Redentore e così conquistare la vita eterna, come promesso infallibilmente dal Salvatore Gesù.

Pio VI
Adeo nota

1. Sono così noti e divulgati presso le Nazioni i delitti perpetrati contro le leggi del santuario sia ad Avignone sia nel Contado Venesino di Nostra giurisdizione, e contro i diritti di sovranità, tanto che non hanno bisogno di lunga e particolareggiata descrizione. – Gravemente infatti si è peccato contro di Noi da parte di ambedue i popoli; ma la defezione del popolo avignonese è assai peggiore di quella del popolo del Contado. Gli Avignonesi infatti, per nulla preoccupati d’aver seguito la malvagità di pochi uomini che, per Nostra clemenza, erano sfuggiti alle pene dovute per i loro delitti, come se avessero impugnato con le loro mani il vessillo della ribellione, hanno tanto progredito in prepotenza, da indurre quelli del Contado, anche a mano armata, a formare con loro una nefanda società e a costringere a seguire il loro partito sia quelli del Contado sia gli Avignonesi che si fossero opposti, convincendoli con ogni genere di minacce, di stragi e di supplizi.

2. Ma di codesto delitto, come di altri, non parleremo; possono essere di validissima prova i rispettabili cittadini e gli uomini di Chiesa rapiti a morte, la città di Chalon sur S. occupata con la forza e saccheggiata, le irruzioni ostili nella città di Carpentras, ed altri generi di sfrenata violenza, che macchieranno gli scellerati autori di eterna ignominia e d’infamia. Essi infatti, imitando la crudeltà di Giasone, nemico delle patrie leggi e di Dio, come le sacre pagine di lui attestano, al fine di allontanare i cittadini e quelli del contado dalle leggi della patria e di Dio, non risparmiarono di stragi i loro concittadini, né pensarono che la prosperità acquisita contro gli amici fosse il massimo dei mali, come se essi catturassero trofei di nemici, non dei concittadini: degni perciò che essi, non diversamente come fu di Giasone (II Macc. capp. IV-V), fossero dichiarati a tutti odiosi, dissacratori delle leggi e traditori della patria.

3. Fra il popolo cominciarono a diffondersi la causa e il peso di quelle ribellioni, dalle quali il popolo era oppresso sempre di più. Ma quando a ciascuno parve chiaro che la motivazione di tutto ciò era assolutamente fittizia e piena di calunnia, in quanto gli Avignonesi e il popolo del Contado, oppressi da nessun genere di tasse, usufruivano di un regime tanto leggero e temperato che le altre Nazioni invidiavano, non senza motivo, la loro felicità, apparve evidente che l’unica vera causa era il desiderio di una sfrenata libertà: per raggiungere la quale si dichiarò essere necessaria l’integrale Costituzione dell’Assemblea Francese che s’impegna tanto nelle materie politiche quanto in quelle ecclesiastiche e religiose, e porta ad una maggiore e più duratura felicità, e conseguentemente i popoli di Avignone e del Contado passassero sotto la sovranità francese.

4. Fra queste scellerate perversità non abbiamo cessato di manifestare all’uno e all’altro popolo quanta e quale sia la Nostra benevolenza di padre e di sovrano verso gl’ingrati. Fu infatti Nostra cura, non senza rilevante dispendio dell’erario pontificio, liberare tali popoli dagl’impegni incombenti con grande carità; e li abbiamo paternamente ammoniti di guardarsi dalle insidie occulte, che si offrivano loro, alla Religione e anche alla pubblica utilità sotto la chimera della libertà. Se tuttavia per la stessa varietà dei tempi, od anche per l’umana prevaricazione, fosse insorta qualche trasgressione contro le leggi, o si fosse introdotto qualche abuso particolare, abbiamo apertamente dichiarato che Noi, ascoltate le Comunità, avremmo prestato la Nostra opera e l’aiuto perché tutto ritornasse, con la debita correzione, al retto ordine. E affinché nessuno dubitasse che per quanto era in Nostro potere saremmo intervenuti con la Nostra autorità, abbiamo immediatamente deliberato di inviare costà il diletto figlio Giovanni Celestini, uomo ben noto a molti ad Avignone, gestore di affari del Contado Venesino, affinché al più presto raggiungesse Avignone e Carpentras, ed ivi, col Nostro pro-legato e con i più esperti e prudenti cittadini trattasse di quei capitoli, cioè di quei punti che soprattutto si desiderava conoscere, affinché con voti unanimi potessimo assecondare la determinazione di quelle cose che fossero giudicate convenienti ed opportune. In tal senso si espressero due Nostre lettere in forma di Breve, l’una scritta il 21 aprile dell’anno scorso ai diletti figli nobili e al popolo della Nostra città di Avignone, l’altra scritta il 24 febbraio dello stesso anno al Venerabile Fratello il Vescovo di Carpentras, e ai diletti figli designati dai comizi generali della stessa città.

5. Ma del tutto inutili furono i Nostri benefici, inutili le paterne ammonizioni, inutile il viaggio del delegato. Infatti, i cittadini di Avignone, costretti poco legalmente ad intervenire ad una riunione per sostenere quei decreti che avevano estorto al Nostro pro-legato, e che da Noi erano già stati dichiarati nulli e irriti, gli Avignonesi, diciamo, costretti alla riunione rifiutarono di accogliere il delegato e minacciarono persino che l’avrebbero ritenuto un perturbatore pubblico se avesse messo piede in città o nel territorio. Inoltre cercarono il modo di esautorare il diletto figlio Filippo Casoni, pro-legato, e gli altri Nostri ministri, fra i quali non mancò chi, per le insidie subite, fu costretto a darsi alla fuga; infine presero la decisione di sottomettersi alla giurisdizione e al comando del carissimo in Cristo figlio Nostro il cristianissimo Re delle Gallie, e a questo fine furono mandati deputati allo stesso Re e all’Assemblea Francese. Da questo momento per mezzo della Municipalità fu ordinato allo stesso pro-legato di allontanarsi da Avignone; ed effettivamente egli partì il 12 giugno 1790, avendo prima espresso le proteste del caso sia a voce davanti agli stessi ufficiali della Municipalità, che gli avevano ordinato di andarsene, sia con uno scritto davanti a testimoni, poiché ad Avignone non si trovò alcun notaio che registrasse quelle proteste. Pertanto lo stesso pro-legato, partito per Carpentras, rinnovò tosto le proteste il 16 e il 21 del medesimo mese davanti al notaio Oliveiro, cancelliere della Rettorìa, e ordinò che esse fossero conservate fra gli atti della Segreteria, affinché non morisse mai il ricordo di tale evento. Nello stesso tempo da parte dell’Assemblea di Avignone fu pensato all’adeguamento delle materie politiche ed ecclesiastiche con la Costituzione generale dell’Assemblea Francese, e per far questo rapidamente si operò con tale e tanto furore da ogni parte, che nulla di simile nessuno vide neppure nei comizi Gallicani.

6. Da questo derivò che da una parte al legittimo ed antico principato subentrò un misero stato di anarchia, e dall’altra furono tolte dai canoni leggi secolari, sì da sovvertire la sacra gerarchia, l’autorità della Chiesa e la stessa Religione Cattolica. Infatti le Chiese furono spogliate dei loro beni; le suppellettili d’argento furono rubate; i sacri vasi sottratti da mani sacrileghe e trasportati a Marsiglia col ricavo di ingenti somme di danaro; infranti i recinti dei monasteri; maltrattate le sacre vergini e costrette a bussare ad altri monasteri o a ritornare ai patrii lari. Inoltre con pubblico editto del 30 novembre dello scorso anno, sia al Venerabile Fratello Arcivescovo di Avignone, che si era ritirato a Villanova, località della sua Diocesi, sia a tutti i parroci e a tutti gli uomini di Chiesa si ordinava che nel più breve spazio di tempo si portassero ad Avignone ed ivi si vincolassero con giuramento alla civica religione: giuramento dal quale nacque la causa maggiore di tutti i mali. Se fosse stato altrimenti, tutti avrebbero dovuto ritenersi decaduti dal loro grado e le loro Chiese ugualmente, come se mancassero del loro Pastore. – Questo atto Ci richiama alla mente quello scellerato editto contro i buoni e legittimi Pastori emanato dall’imperatore Costante su consiglio e per iniziativa degli Ariani: il che tutti gli scrittori hanno condannato con giustificato orrore. Infatti, anche questo editto, mentre praticamente chiedeva un impegno dagli ecclesiastici, al contempo formulava minacce concepite con queste parole: “O firmate, o vi allontanate dalle Chiese“.

7. Alle minacce contenute nell’editto risponde un episodio pieno di profana scelleratezza e traboccante immane sacrilegio. – Infatti il 26 febbraio di quest’anno entrò nella Chiesa cattedrale un ufficiale municipale, di nome Duprazio, abile nell’uso delle armi, con la spada nella mano destra, seguito da un ingente reparto di soldati del Comitato. Egli osò costringere i Canonici della Chiesa, che stavano uscendo dal coro, ad entrare nella sala capitolare per eleggere, in nome della Municipalità, un Vicario capitolare, col pretesto che, secondo i decreti dell’Assemblea Gallicana adottati dagli Avignonesi, dovevano ritenere l’Arcivescovo civilmente morto e la sua Chiesa priva del pastore perché egli da qualche tempo non si trovava ad Avignone e non aveva prestato il giuramento civico.

8. I Canonici negarono di poter eseguire quell’ordine, contrario a tutte le regole della Chiesa, ma l’ufficiale minacciò che non li avrebbe lasciati muovere piede da lì finché non avessero eletto il Vicario. Allora i Canonici chiesero che si facesse venire un notaio, il quale recasse la testimonianza della violenza loro inferta. Ma, rifiutata la loro richiesta, l’ufficiale presentò loro una carta nella quale erano scritti otto nomi di uomini, fra i quali dovevano scegliere il Vicario, e nello stesso tempo fece chiamare ed introdurre il notaio Poncezio e il segretario della Municipalità Escuierio, affinché presenziassero alla elezione. Invano i Canonici si opposero nuovamente, ma, costretti a dare il proprio voto, le cose si svolsero in modo tale che nessuno potesse dirsi regolarmente eletto. Infatti, dei dieci Canonici presenti in capitolo, il Canonico della Cattedrale Malierio ebbe soltanto quattro voti, l’altro Canonico della Cattedrale Depretis due voti e altrettanti Messangeanio, Canonico della Collegiata di San Genesio; gli altri cinque nessun voto. Tuttavia Duprazio volle che siffatta elezione di Malierio, per il quale non la maggior parte del capitolo, com’è prescritto, ma solo quattro avevano votato, fosse ritenuta valida; volle inoltre che i canonici, sebbene contrari e riluttanti, la sottoscrivessero con la loro firma; e con la minaccia di gravi pene vietò ai notai della città, tanto ai presenti quanto agli assenti, di registrare nei loro atti qualsiasi protesta dei Canonici.

9. Quando l’ufficiale ebbe estorto ai Canonici questa fittizia elezione che i voti e i consigli della Municipalità chiedevano, simulò di non ricordare affatto se il civico giuramento fosse stato prestato dagli stessi Canonici. Pertanto si adoperò affinché lo prestassero. Ma rifiutando i Canonici di volersi vincolare con quel tipo di giuramento, come egli stesso aveva previsto, tosto, in nome della Municipalità, dichiarò che il Capitolo era estinto e che d’ora in poi i Canonici non potevano svolgere nessun ufficio nella Chiesa e in alcun modo formare un solo corpo e riunirsi.

10. Benedetto Francesco Malierio era così avanzato in età da somigliare ad Eleazaro, illustre vecchio della storia sacra: poteva anch’egli lasciare alla gioventù e a tutto il popolo un glorioso esempio, cercando di imitarlo mediante importantissime e santissime leggi. Ma egli si comportò molto diversamente da Eleazaro, il quale, reputando nel suo animo che più dell’età, della veneranda vecchiaia, della nobile canizie era preferibile una gloriosissima morte, piuttosto che abbracciare una vita odiosa, decise di non fare cose illecite per un breve tempo di vita corruttibile. -Invece Malierio, non solo davanti ai soldati presenti nell’aula capitolare non rifiutò l’ufficio di Vicario capitolare, che, essendo ancora vivo il suo Arcivescovo, le leggi della Chiesa e quelle più sante di Dio vietavano potesse essere trasferito a chicchessia, ma lasciato totalmente libero ringraziò pubblicamente la Municipalità, e il 6 marzo – dopo la Messa celebrata dal sacerdote dell’Oratorio, Mouvansio vestito dell’insegna municipale sopra i sacri paramenti – non esitò ad iniziare in Cattedrale, con un rito più solenne, l’ufficio che gli era stato affidato e a prenderne possesso in mezzo ai soldati. Inoltre non disdegnò ricevere gli elogi che gli venivano fatti, come se fosse la colonna della rivolta, sia da Ricarzio, prefetto della città, sia da Vinaio, sostituto procuratore della stessa; infine non tardò ad aggiungere a tutte queste cose un’altra scelleratezza. Infatti davanti a tutti si vincolò con il civico giuramento verso la Nazione, le leggi e il Re della Francia, usando tali parole che neppure i più sfrontati usavano in Francia, e promise di rispettare anzitutto la civile Costituzione del clero, qualsiasi ostacolo si frapponesse e qualsiasi critica venisse mormorata contro di lui, sia dai nemici che lo guardavano di traverso, sia dagli amici dai quali si vedeva abbandonato.

11. Per confermare ciò ancor più coi fatti, lo stesso giorno comandò che si facesse pervenire ai parroci un certo scritto in cui parlava di sede vacante, ed osava sciogliere il vincolo del precetto quaresimale. Il giorno 9 dello stesso mese, con un altro scritto simile, interdisse dai loro uffici tutti coloro che in qualsiasi modo presiedevano ai seminari, perché avevano rifiutato di prestare giuramento; eliminò due seminari; e infine con tanta temerarietà, quanta nessuno a stento possa credere, con lettera del 5 dello stesso mese Ci informò della sua elezione, pregandoci di non disapprovarla affatto. Che le cose stiano così nessuno dubiterà, senza che egli cerchi di attribuire la vergogna e il giuramento alla propria vecchiaia.

12. La città di Avignone si è comportata con Noi secondo codesto criterio. Per quanto riguarda la città di Carpentras e le altre comunità del Contado, Ci arrideva la speranza che sarebbero tornate in breve tempo ai loro doveri. Esse infatti, costrette ad un’assemblea rappresentativa, non solo accolsero il pro-legato espulso da Avignone e Giovanni Celestini mandato da Roma, ma il 27 maggio dell’anno scorso dichiararono apertamente che avrebbero abbracciato la Costituzione Francese solo in ciò che conveniva ai loro interessi, al loro paese e alle circostanze, e che potesse accordarsi con l’ossequio a Noi dovuto, ed affermarono di voler rimanere sempre sotto il Nostro governo e la Nostra giurisdizione. Ma poi, a seguito di violenze o di allettamenti o di insidie dei rivoltosi di Avignone, esse mostrarono apertamente che veneravano il Sommo Pontefice e onoravano i suoi ministri soltanto formalmente, ma in realtà i loro consigli a null’altro miravano se non che il Pontefice e i suoi ministri approvassero, sancissero ed eseguissero tutta la Costituzione Francese sia per gli affari ecclesiastici, sia per quelli politici.

13. Senza dire con inutili parole tutte le deliberazioni prese dall’Assemblea del Contado, basterà citare quei diciassette articoli dove i diritti dell’uomo erano pressappoco accolti come erano stati spiegati e proposti nei decreti dell’Assemblea Francese, ossia quei diritti che erano contrari alla Religione e alla società; essi venivano accolti come fossero base e fondamento della nuova Costituzione. Altrettanto basterà ricordare gli altri diciannove articoli, che erano i primi elementi della nuova Costituzione, presi e attinti dalla stessa fonte della Costituzione Francese. Pertanto, poiché non poteva assolutamente accadere che Noi sancissimo tali deliberazioni e che i Nostri ministri, dovunque fossero, le osservassero, avvenne che l’Assemblea rappresentativa tosto manifestasse quel furioso ardore di ribellione per il quale già da tempo combatteva e che fino ad oggi aveva nascosto.

14. Perciò, presa dall’odio nei confronti del Nostro pro-legato perché non aveva accolto le sue richieste né aveva prestato il giuramento civico, l’Assemblea lo spogliò di qualsiasi potere giurisdizionale e dichiarò che non poteva più considerarlo come Nostro ministro. Né diversamente si agì nei confronti del diletto figlio Cristoforo Pieracchi, rettore di Carpentras, e di tutti gli altri ministri pontefici. Poscia in luogo del pro-legato fu istituito un nuovo tribunale, furono nominati tre conservatori di stato, e furono mandati a Noi due deputati preparati secondo un preciso ordine pieno d’arroganza e d’insulti, indice di aperta defezione: questa la ragione per cui abbiamo negato qualsiasi udienza a deputati siffatti. – Esautorati così i Nostri ministri, Giovanni Celestini dovette ritornare a Roma, e gli altri delegati pontifici, allontanatisi di là, giunsero prima ad Aubignano, luogo vicino a Carpentras, poscia a Bucheto, vicino ai confini del Contado Venesino, quindi, crescendo il tumulto, a Montelimarzio, nel Delfinato, e infine a Camberiaco, ove il 5 marzo di quest’anno rinnovarono le opportune proteste, curando di farle inserire negli atti della cancelleria vescovile.

15. Chi mai avrebbe creduto che questa partenza dei Nostri ministri, determinata da nessun’altra causa se non che essi erano stati spogliati di ogni giurisdizione e vedevano la loro vita in pericolo, come dimostrano le loro ripetute e frequenti proteste, che questa partenza – ripetiamo – sarebbe stato l’appiglio per il Consiglio municipale di Carpentras e per altre comunità di raccontare e ripetere alla gente che i popoli erano stati abbandonati dal loro Principe? – Sciolti pertanto dal giuramento di fedeltà, potevano, se volevano, sottomettersi al Re cristianissimo, come in realtà essi decretarono di fare. – Il popolo Avignonese e del Contado si sottrasse alla Nostra sovranità osando violare le leggi umane e divine. Ma Noi mai pensammo di abbandonare quei popoli, e pertanto presteremo la Nostra opera e daremo il Nostro aiuto in futuro, come in passato, affinché ritornino a Noi. Per questa ragione a coloro che si fossero allontanati da Noi abbiamo perdonato, senza alcuna condizione. Ma questo singolare atto della Nostra clemenza, sia ad Avignone sia a Carpentras, fu accolto con sfrenata arroganza e furono anche adottate dall’una e dall’altra parte deliberazioni indegne, che è meglio passare sotto silenzio e coprire con le tenebre, piuttosto che metterle in luce.

16. Ma non per questo il Nostro amore venne meno. Non ignoriamo infatti, Venerabili Fratelli, che non v’è nessuno fra voi che non detesti con grande orrore i delitti fin qui commessi e da essi non si allontani, per meglio adempire al suo ufficio di pastore. Sappiamo anche che fra voi, diletti figli, canonici, parroci, ed ecclesiastici di Avignone e del Contado vi sono molte persone eccellenti per virtù, accese di fervore religioso, pronte per ciò a sopportare qualsiasi sacrificio per difendere la causa di Dio, della Chiesa e della Patria. Sappiamo infine, diletti figli, che nel vostro nobile e civico rango si trovano molti dotati di apprezzabile devozione verso la Chiesa e di ottimo animo verso di Noi, sia ad Avignone, sia molto di più nel Contado, dove intere comunità conservano intatte ed intemerate la Religione e la fedeltà. Da qui, ammaestrati dalla divina sapienza, deduciamo che abbiano ragione i probi e i giusti; conseguentemente sopportiamo con mansuetudine i cattivi. E quantunque scorgendo tanti delitti siamo afflitti da grandissimo dolore, vogliamo tuttavia parlare paternamente agli uni e agli altri, affinché i buoni perseverino nel proposito di bene, e i cattivi vi ritornino e, con la penitenza, purghino le loro colpe. Inoltre, giacché scriviamo per questo tempo, nulla è più santo di ciò che porta con sé il giorno della riconciliazione e della pace. – Non siamo pertanto inorriditi per le cose contrarie che sono avvenute sia costà che nel regno dei Galli, come se Dio Ci avesse abbandonato. Ma pensiamo e reputiamo che le cose siano accadute sia per i Nostri peccati, sia per quelli del popolo, e non per la morte, ma per la correzione della Nostra stirpe. Pertanto confidiamo che in futuro il Dio ottimo e massimo, davanti al quale tanto spesso Ci siamo prostrati per chiedere perdono a favore del popolo affidato alla Nostra cura, si riconcili con i suoi servi, non allontani mai la sua misericordia da Noi, ma, abbracciando nelle disgrazie il suo popolo, non lo abbandoni: chi è abbandonato nell’ira di Dio onnipotente, di nuovo sarà esaltato nella riconciliazione del grande Signore.

17. Ascoltate, Venerabili Fratelli e diletti Figli, le Nostre paterne parole, che, seguendo il consiglio dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali Santa Romana Chiesa, vi rivolgiamo come pastore universale e vostro principe sul divario delle cose ecclesiastiche e politiche. Per quanto riguarda il regime ecclesiastico, nei confronti di coloro che con giuramento lo abbracciarono e seguirono, o mai abbracceranno e seguiranno costì la Costituzione civile del clero, agiremo con la stessa benignità con la quale abbiamo agito nei confronti di coloro che fecero lo stesso nelle Gallie, ove nacque la medesima Costituzione, in parte eretica, in parte scismatica, e nel complesso lontana dalle regole e avversa alla disciplina ecclesiastica; così è Nostro proposito di non fare altro che comminare ed estendere le stesse pene canoniche che reca la Nostra lettera del giorno 13 di questo mese, mandata ai diletti Nostri figli i Cardinali di Santa Romana Chiesa e ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi, ai diletti figli del capitolo, al clero e al popolo del regno delle Gallie. Di questa lettera mandiamo a voi molte altre copie, Venerabili Fratelli, affinché le facciate pervenire alle mani dei capitoli, del clero e dei popoli di codesta Nostra giurisdizione.

18. Pertanto, con la Nostra Autorità Apostolica, dichiariamo irriti, illegittimi e sacrileghi tutti gli atti che con qualsiasi nome, sia ad Avignone, sia a Carpentras, sia altrove siano stati compiuti per fare abbracciare o seguire, sia tacitamente, sia esplicitamente, tutta la Costituzione civile del clero od anche soltanto una parte, e tutti questi atti che diamo per espressi li condanniamo, respingiamo ed aboliamo.

19. Soprattutto annulliamo ed aboliamo l’editto dell’8 ottobre 1790, col quale il Consiglio municipale di Avignone, non solo temerariamente, ma anche empiamente, tentò di costringere il Venerabile Fratello Arcivescovo di quella città, i canonici, i parroci e gli altri ministri ecclesiastici ad unirsi a sé con civico giuramento, essendo proprio di qualsiasi indegno uomo cattolico, una volta promulgata la dichiarazione, considerare vacanti la sede arcivescovile, le parrocchie e tutti gli altri uffici se non viene espresso un giuramento di tal fatta: tale editto perciò è invalido, sacrilego, e per sua natura idoneo a favorire lo scisma.

20. Parimenti condanniamo ed annulliamo l’elezione di Malierio a vicario capitolare, e la dichiariamo empia, violenta, irrita e sacrilega poiché è del tutto ignorato nella Chiesa di Dio che si possa togliere al pastore legittimo ancora vivente il governo del suo gregge, se non per cause canoniche, previste dalla stessa Chiesa o da questa Santa Sede; e poiché manca dei necessari suffragi ed è priva di ogni libertà, così l’elezione non può essere considerata né canonica, né ecclesiastica, ma un atto militare ed ostile. Infatti la forza militare estorse i suffragi; con la forza militare avvenne che codesta fittizia elezione venisse presentata al popolo fra le giuste proteste dei canonici che precedettero e seguirono l’atto profano; si deve perciò ritenere che lo stesso possesso dell’eletto sia stato accreditato con la forza militare. – A questa vicenda si possono dunque applicare le parole che furono scritte dal Sinodo di Alessandria nella lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica, quando Sant’Atanasio fu cacciato dalla sua sede nel conciliabolo di Tiro: “Quando il capo presiedeva, quando il capo parlava, gli altri stavano in silenzio, o piuttosto prestavano ossequio al capo; ciò che comunemente piaceva ai Vescovi, da lui era impedito; egli usava il comando, noi eravamo guidati dai soldati“. Ottimamente il Sinodo affermò che siffatta degradazione era da considerare “intrigo di comandanti, non atto sinodale“.Ugualmente si confanno le parole dette da San Giulio, quando al posto dello stesso Atanasio i Vescovi Ariani sostennero il dissipatore Giorgio, e lo mandarono ad Alessandria protetto dal braccio militare. – Egregiamente il Santo Pontefice scriveva che Giorgio era entrato in Chiesa “non con i sacerdoti e i diaconi della città, ma con i soldati… credetemi, carissimi, poiché parliamo con verità come se fosse presente Dio: codesto non è un fatto pio, né giusto, né ecclesiastico“.

21. La dichiarata nullità dell’elezione porta con sé la nullità di tutti gli atti compiuti da Malierio fin dall’inizio, senza giurisdizione, contro i rettori del seminario, contro i buoni pastori, contro i religiosi privati dei loro uffici per nessun’altra causa, se non perché rifiutarono di prestare il giuramento di osservare una Costituzione assolutamente acattolica.

A proposito della nostra questione, ancora San Giulio esclama: “Gli atti compiuti da Giorgio nel suo ingresso, mostrano quale sia stata la regola nella sua ordinazione; preti… indegnamente fatti… rapiti i sacri misteri per costringere con la forza alcuni ad approvare la costituzione di Giorgio. Queste cose ed altre simili dimostrano chi siano i prevaricatori dei canoni. Infatti… neanche con la prevaricazione della legge avrebbe costretto ad ubbidire coloro che legittimamente ubbidivano ad essa“.

22. Pertanto, quantunque siano gravi e molti i delitti commessi da Malierio, tuttavia, volendo lasciargli tempo e possibilità di ritirarsi e di purgare le sue colpe con pubblica e opportuna riparazione, Ci asteniamo dall’imporgli le pene canoniche più gravi e gli comminiamo la pena più mite di tutte, dichiarandolo sospeso dall’Ordine sacerdotale e colpevole d’irregolarità se osasse esercitare il predetto Ordine.

23. Ordiniamo inoltre al predetto Malierio, sotto pena di sospensione, di non osare da qui in poi di chiamarsi Vicario capitolare né di esercitare alcun ufficio inerente in qualche modo a questa dignità, alla quale è giunto né per diritto né canonicamente. Soprattutto vogliamo che gli sia interdetto mandare lettere dimissorie a coloro che si apprestano a ricevere gli ordini, e che non siano da lui nominati in alcun modo parroci, rettori di seminari, funzionari ed altri ministri ecclesiastici di qualsiasi genere, anche se eletti dal popolo, dichiarando nulli ed irriti tutti i provvedimenti e gli incarichi che fino a questo momento fossero stati disposti, con tutte le relative conseguenze, e qualsiasi altro atto che osasse fare in seguito.

24. Comminiamo la stessa pena della sospensione dall’esercizio dell’Ordine al predetto Mouvansio, prete dell’Oratorio, che celebrò la Messa quando lo pseudo-Vicario Malierio prese possesso, e per somma temerità aggiunse le insegne della Municipalità alle vesti sacerdotali che indossava.

25. Rivolgendoci a voi, diletti figli, canonici, ecclesiastici e cittadini tutti di Avignone, vi preghiamo nel Signore di non accogliere il predetto Vicario capitolare, o qualsiasi altro ministro che per vie tortuose e sotterrane e tentasse di occupare incarichi ecclesiastici; al contrario vi raccomandiamo di ubbidire anzitutto all’Arcivescovo ed ai vostri legittimi parroci; questi infatti saranno sempre i vostri pastori, anche se costretti ad allontanarsi contro la loro volontà; ciò anche se, con orribile sacrilegio, fosse eletto e consacrato un altro Arcivescovo o si designassero altri parroci. – Questo tipo di sacrilegio è stato da Noi denunciato e condannato con Nostra lettera ai Vescovi delle Gallie trasmessa anche a voi. -Sarà quindi compito dell’Arcivescovo guidare le sue pecore, e dei buoni parroci offrire aiuti spirituali al proprio popolo come meglio potranno. Ricordatevi che senza il giudizio canonico della Chiesa non potete, anche in condizioni di violenza e di necessità, sottrarvi o liberarvi da quel vincolo d’obbedienza con il quale siete legati all’Arcivescovo ed ai vostri parroci, come fu riconosciuto e dichiarato il 25 febbraio nel convegno straordinario tenutosi presso la celebre Università della Sorbona.

26. A questo punto riteniamo opportuno difendere sia il vostro Arcivescovo sia gli altri funzionari dalle accuse con le quali erano stati colpiti ingiustamente nell’editto del Consiglio municipale, come se gli stessi non potessero essere lontani da Avignone senza contravvenire a quanto prescritto dai canoni. Effettivamente, secondo i canoni, non possono essere senza colpa né l’Arcivescovo né gli altri ministri assenti, che per l’esercizio del loro dovere sono obbligati ad essere presenti alla Chiesa, sia quando l’Arcivescovo, per giusti e razionali motivi inderogabili, si reca fuori diocesi e quivi si ferma oltre il tempo consentito, sia quando gli altri ministri ecclesiastici si allontanano dal servizio della Chiesa cui sono addetti. Ma se ciò accadesse, gli autori dell’editto non devono affatto ignorare che a norma degli stessi canoni non è permesso ai laici sentenziare contro gli ecclesiastici e castigarli con l’estrema pena della privazione: ma devono essere lasciati alla Chiesa il libero diritto e la facoltà di trattare nei loro riguardi con gradualità e con diverse pene, o privandoli dei redditi dei benefici, o castigandoli con pene spirituali, o privandoli infine degli stessi benefici. Così come se si trattasse del Metropolitano assente, “il Vescovo residente più anziano, sotto pena dell’interdetto da incorrere immediatamente, è tenuto a denunciare entro tre mesi, per lettera o per mezzo di un ambasciatore, al Romano Pontefice, il quale, secondo la maggiore o la minore contumacia, con l’autorità della sua Sede suprema potrà riprendere gli assenti e provvedere le Chiese stesse di pastori più utili, così come riterrà più salutare nel Signore e come è stabilito con le stesse parole dal Concilio Tridentino“.

27. Per la verità sono conosciute da tutti quelle grandi masse, costì eccitate, che costrinsero i nobili e gli ecclesiastici ad abbandonare la patria e il domicilio per evitare di giurare o per sfuggire a quei danni che altri probi uomini miseramente subirono; quei danni ai quali non poterono essere sottratti neppure i loro patrimoni, come avvenne per la casa arcivescovile e per gli altri beni dell’Arcivescovo. Si giunse a questo ancorché l’Arcivescovo non avesse mai mosso un piede fuori della sua Diocesi; infatti Villanova, dove egli ha dimorato e tuttora dimora, si trova entro i confini della sua stessa Diocesi; così che per questo non si può dire che egli si sia scostato dalla disposizione Tridentina, che ordina ai Metropolitani di risiedere nella Chiesa arcivescovile o nella Diocesi. Del resto a Noi, cui spetta il giudizio su queste cose, consta per certo che niente più ardentemente desiderava l’Arcivescovo che ritornare costì e sarebbe già tornato da voi, anche con rischio della sua vita, se non avesse temuto che la sua morte, più che di utilità alle sue pecore, fosse di danno e detrimento in questi infelicissimi tempi.

28. Le cose che abbiamo detto al clero e al popolo di Avignone sull’ubbidienza dovuta all’Arcivescovo e ai pastori, ripetiamo anche a voi, diletti figli, canonici, ecclesiastici, e genti delle altre Chiese del Contado. State lontani da coloro che invasero le Chiese altrui o che tentano ancora di invaderle, evitateli, guardateli con orrore: amate invece i vostri legittimi Vescovi e Parroci, ossequiateli ed ascoltateli.

29. Tutti gli abitanti di Avignone e del Contado formino unità di animi e volontà quando si tratta di argomenti religiosi: rivolgete sempre gli occhi alle leggi divine, alle leggi ecclesiastiche e a quelle di questa Sede Apostolica. La Chiesa infatti e la Sede Apostolica sono mosse dallo Spirito di Dio. Se così vi comporterete, come confidando sulla vostra pietà speriamo per il futuro, l’ira di Dio si convertirà in misericordia e da questo riporterete trionfo; coloro che combattono contro la Religione saranno costretti a dire di voi ciò che i nemici dei Giudei dicevano dei Maccabei, cioè che i Giudei avevano Dio quale protettore e per Lui erano invulnerabili perché osservavano le leggi da Lui stabilite.

30. Passando ora dal governo ecclesiastico a quello civile non possiamo comportarci con voi nello stesso modo con il quale Ci comportammo con i Galli. A questi, infatti, non abbiamo voluto parlare della nuova legge relativa alle cose civili approntata dalle Assemblee Generali e sancita dal Re per competenza. Al contrario non possiamo tacere con voi che da molti secoli siete sotto la Sede Apostolica, sotto il governo dei Sommi Pontefici, e che senza la Nostra suprema autorizzazione non potete cambiare la forma del regime temporale: ciò richiedono sia le leggi umane, sia quelle divine.

31. Perciò, usando la Nostra suprema e legittima potestà, in qualità di Principe, annulliamo tutti e i singoli atti compiuti contro i diritti del Nostro Principato sia ad Avignone, sia a Carpentras, sia in qualunque parte del Contado, e riproviamo innanzi tutto e annulliamo, in quanto irrite, le delibere piene di violenza e di sedizione adottate costà con il proposito di sottrarvi dalla Nostra sovranità per trasferirvi a quella Francese; delibere – diciamo – che il carissimo Nostro figlio in Cristo il cristianissimo Re insieme alla sua inclita Nazione non può approvare e neppure mettere in discussione senza ledere i sacrosanti diritti delle genti, come abbiamo specificato allo stesso Re con ripetute rimostranze.

32. Disapproviamo parimenti ed annulliamo le delibere ugualmente assurde e sediziose di vivere costì con ordinamento repubblicano; riproviamo e annulliamo anche le delibere con le quali per somma pazzia si accolgono le leggi civili straniere, sia emanate sia da emanare, e con le quali si antepongono leggi nuove, pericolose e incerte, alla Costituzione antica, domestica e legittima, sotto la quale voi ed i vostri antenati siete vissuti tranquillamente ed in pace per tanti secoli.

33. E, tralasciando altre innovazioni compiute in massima parte senza il Nostro consenso, nell’eccitazione degli animi e nello stesso calore della sedizione, per cui si debbono ritenere illecite come se a questo punto le avessimo ricordate singolarmente, annulliamo soprattutto gli indegnissimi atti di violenza, per i quali il Nostro pro-legato, il rettore e gli altri ministri sono stati prima esautorati e poscia costretti ad allontanarsi dai nuovi ufficiali e dai tribunali subentrati. E affinché non si possa mai dubitare che Noi conserviamo intatto ed integro il Nostro antico possedimento e custodiamo tutti i Nostri antichi, legittimi e tutelati diritti, con queste parole e nel modo più solenne possibile, con diritto confermiamo non solo le proteste sopra ricordate, spesso rinnovate per mezzo del Nostro pro-legato e che qui vogliamo siano ricordate come se fossero scritte parola per parola, ma anche i reclami che, seguendo l’esempio dei Nostri predecessori, e imitando il costume di altri principi, abbiamo curato di mandare al Re delle Gallie e ad altre assemblee cattoliche con l’intento e la volontà, se sarà necessario, di ricorrere a rimedi più forti, che sono in Nostro potere, per vincere la sempre più insistente pervicacia.

34. Ciò premesso, vi ammoniamo paternamente e vi esortiamo, Venerabili Fratelli e diletti figli che siete rimasti fedeli, affinché non solo con l’esempio, ma anche con la parola esortiate coloro che tanto ed in tanti modi si allontanarono, ad abbandonare quella sedizione, nella quale si sono miseramente avviluppati e a ritornare a Noi, che li abbiamo sempre portati nell’animo, in modo tale che, abbracciandoli nuovamente, non possiamo non accoglierli in seno. – Si ricordino che per il precetto stabilito da Dio, e che le sacre pagine tanto spesso ripetono, i sudditi devono ubbidire al loro Principe, e debbono eseguire le patrie leggi che da lui furono emanate. – Si guardino diligentemente dalla ricerca di cose nuove, che quantunque in apparenza sembrino utili, sono sempre collegate ad un sommo pericolo. Se nelle patrie leggi entrò qualche abuso (già altre volte abbiamo dichiarato e ancora dichiariamo) siamo pronti a sradicarlo e a toglierlo di mezzo, ascoltando, per quanto starà in Noi, i vostri desideri. – Cessino le fazioni e le discordie fra i cittadini; le cose tornino al loro posto; agli animi siano restituite la carità, la giustizia e la pace. Infatti sarete felici ovunque se, osservando le leggi di Dio, della Chiesa e del vostro Sovrano, godrete della pace, dal momento che il Dio della pace e dell’amore sarà con voi, come promise l’apostolo Paolo ai suoi fedeli. – Noi intanto, in pegno di quella pace che per tutti invochiamo dal Signore, a voi, Venerabili Fratelli, e a voi, diletti figli, impartiamo con affetto la Nostra Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 23 aprile 1791, anno diciassettesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. Pio VI, “DUM NOS”

La lettera enciclica “Dum Nos” di Papa Pio VI, inviata ai prelati e fedeli francesi, si inserisce nella feroce lotta dei rivoluzionari francesi e dei loro falsi usurpanti governanti contro la Chiesa Cattolica, vero bersaglio di questi scellerati servi del demonio orchestrati ad arte dagli “illuminati” e dai cabalisti delle logge massoniche. Il Santo Padre protesta ancora una volta vibratamente contro abusi, violenze, appropriazioni indebite di facinorosi ed empi personaggi che, sostituendosi ai legittimi governanti ed in certi casi persino ad esponenti della gerarchia ecclesiastica, pretendevano di sovvertire l’ordine civile, morale e religioso di un’intera nazione. La barbarie della rivoluzione francese, in nome di una libertà assoggettata ad esponenti del cabalismo mondiale, giungeva all’epoca a sottrarre alla Santa Sede territori e strutture di legittima proprietà, come d’altra parte la barbarie demoniaca ha sempre fatto. La lettera elogia coloro che hanno resistito ed ancora resisteranno impavidi alla violenza sanguinaria di scellerati ed improvvisati giudici e governanti pilotati da passioni abominevoli ed esecrande « … soggetti a tutte quelle persecuzioni che dall’empietà, dallo scisma e dall’eresia poterono mai essere escogitate, così che ai Nostri occhi appare già vicino il momento nel quale ci sarà un nuovo e più crudele pericolo per la vostra religiosità e per la vostra fede », ed ancora: «… non è sufficiente sopportare per un certo tempo le ingiurie soltanto con animo forte, ma è necessario perseverare con la stessa costanza fino alla fine e, se è necessario, sacrificare la propria vita. Infatti, non chi ha incominciato ma “colui che avrà perseverato fino in fondo sarà salvo” » (Mt X,32). La Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica e perseguitata in ogni tempo, d’altra parte si gloria per la volontà di rendere almeno in parte quanto deve al suo fondatore e Capo, che ha portato il suo sacrificio fino alla morte, ed alla morte di croce. La Chiesa non troverà pace finché non abbia reso almeno parzialmente la sofferenza e la persecuzione che per Essa sopportò con amore il suo Fondatore, suo Capo e Sposo divino, e nemmeno la morte o la sepoltura potrà mai fermarla, sapendo che così si compiranno i patimenti del Cristo nel suo Corpo mistico, non meno che nel corpo mortale dell’Uomo-Dio. Questa è pure l’idea che la “vera” Chiesa Cattolica attuale persegue, per cui, lungi dal respingere la violenta persecuzione attuata con stratagemma finemente spirituale, da una falsa chiesa, sinagoga di satana, e dalle satelliti sette lefebvriane e sedevacantiste, abbraccia ed abbraccerà fino alla fine, compreso l’eventuale martirio, tutte le sofferenze e le persecuzioni, alle quale sarà ancor più sottoposta. Ma il premio che ci attende, non ha prezzo, vale ogni sacrificio, ogni rinuncia, ogni supplizio, perché è una felicità eterna ed inimmaginabile, che scaturisce dalla diretta visione e godimento di Dio. Chiediamo solo, “pusillus grex” cattolico, di essere sostenuti dal nostro Redentore fino alla morte, e consolati dalla nostra Mamma celeste, alla quale il divin Maestro ci ha affidato dall’alto della croce. Ausilium Chriastianorum, ora pro nobis! Il Cuore di Gesù ci procuri la grazia della perseveranza finale.

Dum nos

Pio VI

All’Arcivescovo di Avignone e i Vescovi di Carpentras, Cavaillon e Vaison, e ai diletti Figli del Capitolo, del Clero e del Popolo della città di Avignone e del Contado Venesino.

1. Mentre Vi scriviamo questa nuova lettera apostolica come pastore universale e vostro sovrano, pensiamo che non vi sia occasione più opportuna e più valida perché Noi possiamo continuare a lodare coloro che fedeli a Dio e al loro sovrano sono accusati e condannati dall’attuale Assemblea Nazionale francese; al contrario, mentre di nuovo ammoniamo ed esortiamo alla penitenza coloro che sono ribelli a Dio e al loro sovrano, la stessa Assemblea francese li esalta con tante lodi, fra l’incredibile stupore di tutte le genti.

2. Dio, dal quale le Nostre colpe e quelle dei popoli sono punite attraverso le tribolazioni, ma che non abbandona mai nessuno di coloro che difendono particolarmente la sua causa, in verità Ci ha consolato con una non trascurabile soddisfazione. Infatti, per opera divina è accaduto che la Nostra precedente lettera ammonitrice che Vi abbiamo inviato il 23 aprile dello scorso 1791 (non per usare la prepotenza o qualche altra difesa propria di quest’epoca, delle quali si avvalgono i potenti del mondo, ma in nome del Signore Dio Nostro) e che Voi, Venerabili Fratelli, guidati da uno spirito non dissimile di bontà, Vi preoccupaste di diffondere, ebbe presso i capitoli, i parroci, il clero, i magistrati e la gente, e anche presso molti fautori della Costituzione francese, tale e tanta forza che a tutto il mese di febbraio di quest’anno furono vani quasi tutti gl’iniqui tentativi degli avversari, tante volte esperiti e con il decreto del 14 settembre dello scorso anno nuovamente ripetuti con i quali l’Assemblea Nazionale – essendo inutilmente riluttante e contraria una gran parte, la più sana, del popolo – tolti di mezzo altri quattro decreti speciali da essa stessa emessi, e cancellato e annullato un altro decreto generale approvato in precedenza che vietava l’occupazione della proprietà altrui, e poste in non cale tutte le leggi umane e divine, nonostante l’indignazione di tutti i sovrani d’Europa osò invadere con la violenza il Nostro territorio di Avignone e del Contado Venesino ed annetterlo al regno di Francia.

3. A comprovare l’ottimo esito che le Nostre precedenti esortazioni avevano conseguito contro tentativi tanto indegni, potremmo enumerare con opportuna orazione le nobili imprese con le quali Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, avete onorato soprattutto la vostra Religione, che Ci sta particolarmente a cuore, e successivamente la Vostra fedeltà verso di Noi, sopportando, con ammirevole costanza, taluni la perdita dei beni e delle fortune, altri l’esilio, altri le ingiurie e le persecuzioni, altri il carcere, e altri infine lo sterminio e la morte stessa. Da questo derivò che pochi ecclesiastici e laici seguirono Benedetto Francesco Malierio, pseudo-vicario capitolare della Chiesa di Avignone, che Noi già sospendemmo con precedente lettera dall’esercizio dell’ordine. Si tratta di persone non molto dissimili dai suoi costumi e dalla sua indole, abbastanza noti per la gravità dei delitti compiuti. Egli dovette utilizzare i predetti sia nell’adempimento dei compiti della Chiesa, come si deduce chiaramente dall’editto in lingua volgare pubblicato il 10 giugno 1791, con il quale fu indetta da lui una Supplica per le feste del Corpus Domini, sia delegando alcuni pseudo-parroci, che la maggior parte della popolazione religiosamente e pubblicamente rifiutò di riconoscere, tanto che disprezzò sia il delegante sia i delegati.

4. Sarebbe facile per Noi citare pubblicamente molti altri esempi della vostra religiosità e della vostra fedeltà a maggiore vostra gloria ed onore, ma Ci asteniamo deliberatamente dal ricordarli in quanto uomini assolutamente insospettabili (cioè coloro che chiamano “Comitati delle petizioni e di sorveglianza“) li hanno raccolti in una relazione presentata all’Assemblea francese durante la sessione dell’11 febbraio scorso dedicata alla situazione di Avignone e del Contado Venesino. Dato che la relazione è stata stampata e diffusa largamente, nessuno ignora che lo spirito pubblico è tanto mutato ad Avignone, e molto di più a Carpentras e in altre località del Contado, essendo pochi, e apertamente disprezzati, coloro che sostenevano la Costituzione Gallicana e che i relatori Gallici ricolmano di tante lodi. Per contro è ingente il numero di coloro che essi chiamano sediziosi e seduttori, cioè di coloro che fra gli ecclesiastici, fra i magistrati e fra i laici brillavano per il culto a Dio e per la fedeltà al loro sovrano, tanto che sarebbe prossimo, e non potrebbe assolutamente essere evitato, il ritorno a quello stato nel quale erano prima della ribellione.

5. Rallegratevi ed esultate, Venerabili Fratelli, che allora vi segnalaste per zelo, pietà, carità, e particolarmente tu, Vescovo di Carpentras, che per i tuoi meriti eccezionali ti sei meritato un maggiore elogio. Nello stesso tempo rallegratevi anche voi, diletti Figli, che uniti ai vostri legittimi pastori forniste straordinari motivi della vostra pietà; rallegratevi tutti, diciamo, per le ingiurie che vi vengono indirizzate in quella relazione e che si volgono a vostro onore e decoro, e ricordatevi con Sant’Agostino che “anche il Signore Gesù Cristo fu chiamato seduttore, a conforto dei suoi servi, quando sono detti seduttori“.

6. Se questa è la situazione di Avignone e del Contado Venesino alla data dello scorso febbraio, a buon diritto speriamo che quei pochi che perseverano nell’errore e nell’infedeltà si convertano e seguano la maggioranza, ma non possiamo assolutamente ignorare il nuovo genere di delitto compiuto dall’Assemblea Nazionale con il decreto del 3 marzo scorso. Infatti, con questo decreto essa si è arrogata il diritto di dividere il Nostro territorio di Avignone e del Contado Venesino in due distretti, e di sottometterli al duplice distretto del Rodano e della Druma, che i Francesi chiamano Dipartimento, e al contempo di stabilire che tutte le leggi dell’Impero francese siano valide senza indugi anche nel Nostro territorio, e che le singole Municipalità siano rinnovate. Inoltre, con nuovi decreti subito emessi l’Assemblea comandò che venisse revocata la formazione de la marck, e che ad essa fossero assegnati altri soldati; ché, anzi, fra gli stessi rabbrividenti popoli di Parigi, e con loro meraviglia, giunse al punto di comandare di liberare dalle carceri quei mostri che il 16 ottobre dell’anno scorso si macchiarono di un delitto tanto indegno e tanto volgare; e ciò ordinò per nessuna altra ragione se non perché nei grandi rivolgimenti delle cose non si possono considerare delitti le scelleratezze più gravi che persino le genti barbare e incolte detestano e ne inorridiscono.

7. È tale il furore di cui ardono e da cui sono presi i nemici, che Noi, con immenso dolore del Nostro animo, già vediamo Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, soggetti a tutte quelle persecuzioni che dall’empietà, dallo scisma e dall’eresia poterono mai essere escogitate, così che ai Nostri occhi appare già vicino il momento nel quale ci sarà un nuovo e più crudele pericolo per la vostra religiosità e per la vostra fede. Ci è già stata riferita la voce di una nuova persecuzione non solo contro gli uomini ma – ciò che non si può ascoltare senza orrore e che rivela i criminali intendimenti dei persecutori – anche contro le sacre immagini. In questo momento decisivo è necessario che vi sia riferito il Nostro parere.

8. Per quanto riguarda la Religione, non Vi sfugge che non è sufficiente sopportare per un certo tempo le ingiurie soltanto con animo forte, ma è necessario perseverare con la stessa costanza fino alla fine e, se è necessario, sacrificare la propria vita. Infatti, non chi ha incominciato ma “colui che avrà perseverato fino in fondo sarà salvo” (Mt X,32). Quella costanza che finora avete dimostrato Ci spinge a sperare che sarete egualmente costanti in futuro contro qualunque rischio della sorte e anche della vita: il che sarà certamente condiviso da Noi che, sebbene assenti, porteremo i vostri tormenti come fossero Nostri.

9. Affinché, poi, i buoni vengano maggiormente confermati nel loro proposito e sia concesso ai cattivi un nuovo spazio della Nostra benignità per la loro resipiscenza, come già ritenemmo che fosse da estendere ai popoli del Nostro territorio Avignonese e del Contado Venesino la Nostra precedente lettera ammonitrice del 13 aprile 1791 da Noi indirizzata ai diletti Nostri Figli i Cardinali di Santa Romana Chiesa e ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi e ai diletti Figli del Capitolo, del Clero e del popolo del regno di Francia, così ora estendiamo agli stessi popoli la nuova lettera ammonitrice del 19 marzo scorso, indirizzata agli stessi Arcivescovi, Vescovi, Capitoli, Clero e popolo del regno di Francia, con la quale viene fissato lo spazio di sessanta giorni dalla data di essa per la seconda ammonizione, e di altri sessanta giorni per la terza. Ciò è riferito soprattutto a Benedetto Francesco Malierio, pseudo-vicario capitolare della Chiesa Avignonese, ai parroci, ai vicari e agli altri preti che, non delegati dai legittimi pastori, si sono impadroniti della direzione spirituale, e a tutti gli altri ecclesiastici che l’avevano occupata anche in forza della tentata divisione dei Nostri territori, secondo le diverse classi distintamente e chiaramente espresse nell’ultima Nostra lettera della quale, Venerabili Fratelli, vi abbiamo spedito molte copie affinché esse, unite a questa lettera, secondo le vostre possibilità siano mandate in giro ai Capitoli, al Clero e al popolo di Avignone e del Contado. Frattanto sarà Nostra cura provvedere affinché le stesse siano diffuse non solo in codeste regioni, ma anche in quelle vicine, in modo che nessuno le ignori.

10. Guardando la travagliata condizione delle cose francesi, con altra lettera dello stesso 19 marzo Noi concedemmo agli Arcivescovi, ai Vescovi ed agli Amministratori delle diocesi del regno di Francia particolari facoltà in forza delle quali potessero provvedere al bene spirituale della gente. Poiché non meno travagliata è la condizione di Avignone e del Contado Venesino, estendiamo anche a Voi, Venerabili Fratelli, le stesse facoltà, con le stesse condizioni comprese nell’indulto, del quale troverete diverse copie allegate a questa lettera.

11. Queste sono le provvidenze che servono a tenere la Religione riparata e protetta, e a renderne più spedite le norme e le procedure. Per quanto riguarda la fedeltà che Ci spetta quale legittimo sovrano, non ignorate, Venerabili Fratelli e diletti Figli, come in gran parte dimostrano le cose da Voi compiute, da quale stretto vincolo siate tenuti ad osservarla, dal momento che ciascuno è obbligato dal divino precetto “ad ubbidire ai legittimi poteri” (Rm XIII,1; Eb XIII,17), e ciò è richiesto dallo stesso giuramento che Voi, non diversamente dai vostri antenati, avete prestato a questa Sede Apostolica, così che i buoni e i cattivi, secondo le loro possibilità, non debbano omettere nulla di quelle cose che possono sostenere i primi nella fedeltà, e ricondurre i secondi a quella obbedienza dalla quale si distaccarono: ciò per liberare Noi dalla necessità di mettere in uso rimedi più energici e di porre mano alle dovute pene.

12. Abbiamo trattato con gli stessi ribelli come se fossero figli, e nel colmo della sfida abbiamo dato considerevoli aiuti agli uni e agli altri. Sappiamo che l’antico governo di questa Santa Sede, libero ed esente da ogni dazio, suscitò l’invidia di tutti i popoli; assai spesso abbiamo dichiarato che se alcuni, a Nostra insaputa, fossero caduti costà in abusi, immediatamente si sarebbe provveduto da Noi ad allontanarli e a castigarli; non si possono sovvertire gl’imperi ad arbitrio dei popoli e introdurre con leggerezza nuove forme di governo. Perciò nulla è stato tralasciato da parte Nostra, tanto che possiamo sperare per il futuro che gli stessi ribelli, quando si sia calmata un po’ la passione del fanatismo, debbano riconoscere l’orrore dei propri crimini, il peso di nuovi balzelli e servitù, e di tanti altri gravi mali che finora non ebbero ed ai quali, sotto l’aspetto di una simulata e fittizia libertà, saranno senza dubbio contrari, non senza rovina della loro patria se non si ritireranno subito dalla lotta nella quale furono trascinati già da due anni per disobbedienza, corruzione e per ogni genere di violenza.

13. Noi peraltro, restando in quel modo d’agire paterno che abbiamo usato finora con Voi, e nella trasparente giustizia della Nostra causa che con Nostra gioia riconobbero i principi, tutti i re e l’universo mondo, non pensando minimamente di rinunciare in qualunque modo ai Nostri diritti o di trattare qualsiasi compensazione per il principato che i primi decreti dell’Assemblea Nazionale rivendicano da Noi, e che pertanto Ci confermano che il possesso di oltre cinque secoli è titolo legittimo e indiscutibile, Noi qui non solo dichiariamo valido il Nostro chirografo del 5 novembre 1791 con il quale, aderendo alle precedenti proteste ed essendo oltremodo manifesto a tutti la falsità e la calunnia di quegli argomenti che pretendevano di giustificare l’iniqua occupazione, dichiarammo nullo il decreto del 14 settembre dello stesso anno, ma inoltre dichiariamo invalido, irrito e di nessun valore e merito il nuovo decreto del 3 marzo, e tutto ciò che decisero o forse decideranno a danno del Nostro principato, unitamente a tutti gli atti che con temerario ardimento siano già stati perpetrati o verranno perpetrati. Disponiamo e comandiamo che questa Nostra lettera, unitamente a quella del 23 aprile 1791, sia allegata al predetto chirografo e sia conservata a perpetua memoria nell’archivio segreto della Nostra camera.

14. È tanto il Vostro zelo, Venerabili Fratelli e diletti Figli, che riteniamo inutile aggiungere nuove esortazioni. Convertitevi con Noi, confidando con indubbia speranza in Dio; pregatelo incessantemente, così come anche Noi lo preghiamo, perché tenga lontano il rigore della sua giustizia, e con quella misericordia di cui è fornito illumini le menti dei ribelli e dei loro sostenitori, e renda le loro anime ferventi nell’ossequio e nella venerazione verso la sua santa Religione e nello zelo e nello spirito di obbedienza verso questa Sede Apostolica. Accesi da questi desideri, a Voi, Venerabili Fratelli, e a Voi, diletti Figli, impartiamo con grande amore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 19 aprile 1792, nel diciottesimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VI – “NOVÆ HÆ LITTERÆ”

« … Poiché è sempre stato tipico degli eretici e degli scismatici servirsi della simulazione, così anche questi intrusi non hanno nulla di più tradizionale che indurre le genti in errore mediante l’inganno, mentre coprono quasi tutte le loro azioni con il manto della carità … » queste parole, perfette oltremodo per descrivere gli attuali usurpanti delle cariche ecclesiastiche, sono la chiave per comprendere le turbolenze della Chiesa vissute nel corso dei secoli, ricordate dal Sommo Pontefice Pio VI nella sua lettera Enciclica diretta al clero francese coinvolto nei funesti accadimenti immediatamente successivi alla massonica Rivoluzione francese che, con leggi inique oltre ogni intendimento, voleva distruggere la fede dei Cattolici di Francia alimentando uno scisma che coinvolgeva naturalmente i prelati di sana fede, “affiancati” da falsi e sacrileghi preti e addirittura finti-vescovi, come la storia (quella vera, non gestita da coloro che odiano Dio e tutti gli uomini) ci ricorda opportunamente nella descrizione della feroce persecuzione sferrata contro la Chiesa Cattolica, nella persona di religiosi, prelati e fedeli. Quante analogie con la situazione presente, epoca di scismi plurimi, di pseudo-consacrazioni prive di ogni Giurisdizione o mandati canonici, senza alcuna missione, auto-giustificate da situazioni contingenti di necessità opportunamente create, da presunte rimembranze ed “offerte” della tradizione truffaldinamente manipolata ed adattata alle esigenze dei padroni occulti, dai burattinai che tengono tra le mani i fili delle marionette “moderniste” e di quelle “tradizionaliste” (Lienart-Lefebvriani, sedevacantisti obnubilati ed apocalittici … nel loro cervello) che fanno apparentemente tra loro azzuffare, come i “pupi” siciliani che combattono fragorosamente tra le risate sghignazzanti degli spettatori. Squallida era allora la situazione sociale ed ecclesiale, ma non paragonabile nemmeno lontanamente all’attuale marasma nel quale non c’è nemmeno la consolazione del “martirio” che produce immediatamente santi e beati in Paradiso, mentre oggi la stragrande maggioranza delle anime, eretiche, scismatiche, in aperta apostasia, sono irrimediabilmente avviate all’eterna perdizione « …. siamo costretti ad esclamare che nulla mai di simile è accaduto alla Chiesa di Dio! ».  Veramente quel che oggi vediamo nella Conchiglia vaticana e nel panorama dell’arcipelago “tradizionalista”, non è mai accaduto, forse si sta compiendo quanto profetizzavano S. Giovanni nell’Apocalisse e San Paolo nella lettera ai suoi fedeli di Tessalonica! – Ma il Santo Padre confortava i fedeli dell’epoca e assicura quelli di oggi scrivendo: « …. ringraziamo Dio e speriamo fortemente di esultare in futuro, dacché abbiamo riscontrato che la Fraternità Cattolica è arricchita da un tale spirito di Fede che nessuna tentazione eretica potrà indebolire in alcun modo i vostri cuori… Sebbene dunque grandi spazi fisici Ci dividano, siamo tuttavia uniti con voi nella Fede… ». La comunità cattolica è ridotta ad un numero veramente esiguo di anime, ma c’è, ed al Signore bastano per poter umanamente agire e vincere, come già successo al condottiero Gedeone al quale furono sufficienti solo trecento soldati, dalle migliaia di cui disponeva, per sbaragliare l’esercito nemico. Il “Pusillus grex” è unito nella fede e non è sollecitato da tentazioni eretiche.

Pio VI
Novæ hæ litteræ

1. Questa nuova lettera che vi indirizziamo vi renderà testimonianza di quanto il Nostro animo da una parte gioisca e dall’altra sia rattristato per il diverso esito delle Nostre ammonizioni, contenute nella lettera emanata il 13 aprile dell’anno scorso; per altro, quali fossero queste ammonizioni, vi è ben noto, così come non l’ignora alcun Vescovo del mondo cattolico.

Per quanto concerne la gioia, Voi per primi, diletti Figli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa, e Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi, Ce ne date abbondantissimo motivo. Confermati infatti dalle Nostre paterne voci, sempre più avete fatto risplendere la lodevole vostra costanza; alcuni fra voi, tollerando con animo invitto l’esilio fuori dalle vostre chiese e fuori dallo stesso regno; altri schiavizzati nelle stesse chiese dalle ingiurie e dalle persecuzioni degli avversari; altri ancora sopportando persino lo squallore del carcere, come in particolare abbiamo capito dalla tua lettera essere toccato a Te, venerabile fratello Vescovo di Senez, degno perciò del maggiore elogio. Quasi tutti (se si eccettuano quattro infelicissimi pastori) sia presenti, sia assenti, si sono impegnati al massimo per diffondere la Nostra lettera, affinché i fedeli di tutte le Diocesi si attenessero alle nostre ammonizioni.

2. Perciò, Noi, assieme a San Leone, “ringraziamo Dio e speriamo fortemente di esultare in futuro, dacché abbiamo riscontrato che la Fraternità Cattolica è arricchita da un tale spirito di Fede che nessuna tentazione eretica potrà indebolire in alcun modo i vostri cuori… Sebbene dunque grandi spazi fisici Ci dividano, siamo tuttavia uniti con voi nella Fede…, e rendiamo grazie per la concordia della vostra professione: purché la vostra concordia perseveri, con l’aiuto di Dio, secondo le parole dell’Apostolo: A voi è stato fatto dono della grazia in nome di Cristo, non soltanto perché crediate in Lui, ma anche perché soffriate nel Suo nome” Le vostre pene sono anche le Nostre. “Soffriamo infatti – come dicevano i Padri di Sardica al tempo della persecuzione Ariana – con i nostri fratelli che soffrono, e facciamo nostri i loro patimenti, ed abbiamo mischiato le nostre lacrime con le vostre.

3. Anche voi avete consolato il Nostro animo, diletti figli Canonici e Parroci degni di singolare lode, e voi professori universitari, in particolare della Sorbona, eminenti per sapienza e rigorosi per comportamento in questa delicata vicissitudine della Religione; voi, Rettori dei Seminari, Ecclesiastici di qualunque altro genere, Vergini consacrate ed anche Laici, che – attenendovi alle Nostre esortazioni – vi siete mantenuti costanti nella Fede ed avete fatto fronte ai vostri doveri in modo tale che, sull’esempio dei vostri Pastori, molti di voi hanno affrontato con grande virtù ingiurie, esilio, carcere ed altre vessazioni. Non pochi infatti, tra il clero dello stesso vostro secondo Ordine, deputati all’Assemblea nazionale francese, uomini egregi e famosi per la loro cultura e l’impegno in difesa della buona causa, si sono onorati di far presenti a Noi i sensi della loro costanza, del loro ossequio e della loro osservanza, a mezzo di lettere mandateci sei mesi fa; lo stesso fecero altri Ecclesiastici del secondo Ordine, insieme al venerabile fratello Francesco, vescovo di Clairmont, con una lettera inviataci il 22 gennaio; altri ancora il 17 febbraio di quest’anno. Perciò in questa sede li ricordiamo e li lodiamo.

4. Maggior consolazione Ci avete arrecato voi, diletti figli del secondo Ordine Ecclesiastico, che – appena uditi il Nostro parere e le Nostre ammonizioni – avete imitato l’illustre esempio di alcuni antichi Vescovi della Gallia. Quelli infatti, dopo aver approvato insieme con i Vescovi orientali l’erronea formula del Concilio di Rimini, rendendosi conto che la loro semplicità era stata ingannata, ritrattarono tutto ciò che per ignoranza avevano approvato, respingendo quei sacerdoti apostati che, per ignoranza o empietà di alcuni, erano stati collocati al posto di fratelli indegnamente mandati in esilio; così anche voi solleciti disdiceste quell’empio giuramento che vi era stato estorto con la paura, con l’ignoranza, con l’inganno, detestando gli errori contenuti nel giuramento, allontanandovi da quegli intrusi e ricongiungendovi infine per vostra volontà ai legittimi pastori dai quali vi eravate allontanati. Le ritrattazioni di tal fatta furono talmente tante che ogni giorno ne recava delle nuove; di conseguenza, coloro che – completamente accecati – preferirono restare nell’errore, sono rimasti gravemente disonorati presso tutti gli Ordini e sono decaduti dalla stima anche di coloro che li avevano spinti sulla strada dell’apostasia, come Ci è stato riferito da molti Vescovi.

5. Perciò non è da stupirsi se il Nostro gaudio sarà, grazie a voi, tanto più grande e comune a tutta la Chiesa; per cui riteniamo che sia da seguire con voi la stessa benevola condotta che San Leone adottò con alcuni vescovi orientali che avevano avuto parte nella cacciata di San Flaviano dalla sede di Costantinopoli. Così infatti egli scrisse ad Anatolio, Vescovo di Costantinopoli: “Quanto poi a quei fratelli che abbiamo saputo essere desiderosi della comunione con Noi, poiché si pentono di non essere rimasti saldi contro il potere e il terrore e di avere offerto consenso all’altrui scelleratezza; dal momento che la paura li aveva così ottenebrati da farli partecipare con trepido ossequio alla condanna di un Vescovo cattolico innocente ed all’accoglimento di orribili malvagità, vogliamo che costoro si rallegrino della comunione e della pace con Noi ogni volta che condannano in piena consapevolezza le malvage azioni e preferiscono accusarsi piuttosto che difendersi. E la Nostra benignità non può in alcun modo essere condannata, poiché accogliamo penitenti coloro che ci dispiacque veder ingannati“.

6. Ci consola ancora la notizia che l’intruso di Roven abbia lasciato la sede che aveva occupato e che altri intrusi abbiano preso la fuga. Ascoltando dunque queste notizie abbiamo considerato quel che di buono deriva dalla loro abdicazione e dalla loro fuga. Infatti, abdicazioni e fughe di questo tipo danno chiaramente ai Fedeli la misura di come gli intrusi si rendessero conto del disonore intrapreso e da quali stimoli di coscienza fossero animati allorché – sotto maschera dell’episcopato – più di tutti gli altri alimentavano e fomentavano lo scisma. D’altra parte la Nostra gioia in questa circostanza non può essere completa. Non ci sfugge infatti che l’intruso di Roven, proprio nel momento in cui abdica l’incarico, anziché ritrattare il sacramento e detestare l’errore, ha nuovamente esibito la propria pervicacia; ed anche gli altri che hanno preso la fuga hanno dato prove non equivoche della loro pertinacia, cosicché si rende necessario che tanto questi – quanto altri che imitassero il loro esempio – rendano piena soddisfazione alla Chiesa. Diversamente non potranno giovarsi della comunione né con Noi né con la Chiesa, poiché “tale grazia non deve essere né rigidamente negata né sconsideratamente elargita“, come insegna San Leone.

7. Fin qui per quanto riguarda la gioia. Ora parliamo del dolore. Ci addolora infatti profondamente che molti membri del secondo Ordine Ecclesiastico ed una gran parte dei Laici, nonostante le Nostre ammonizioni, si siano tuttavia confermati nell’errore. Ma Ci addolora ancora di più che nello stesso errore abbiano perseverato sia il Vescovo di Autun, principale causa dello scisma, sia l’Arcivescovo di Sens e i Vescovi di Viviers e d’Orléans, i quali, essendo legittimi pastori, non potevano assolutamente ignorare né i doveri né i ruoli del ministero, né la gravità delle offese che recavano a tutto il corpo della Chiesa francese, senza contare che in virtù del loro titolo erano vincolati più strettamente ad ottemperare alle Nostre disposizioni. Inoltre richiamavano su di sé e facevano proprie le colpe dei Popoli loro soggetti. In effetti, perché ai pastori siano attribuiti i peccati degli inferiori, basta soltanto la negligenza, come insegna, San Leone, “dal momento che le colpe degli ordini inferiori a nessuno sono da imputare meglio che ai Rettori trascurati e negligenti, che spesso nutrono la pestilenza che s’è insinuata, rinviando l’adozione della medicina necessaria“. Allo stesso modo, tanto più condannabili saranno quegli infelici Vescovi che, anziché porgere le mani salvifiche ai traviati dall’errore, col loro esempio hanno spinto al male anche i buoni.

8. In verità Ci duole profondissimamente la stessa espansione di questo scisma, per descrivere la quale non potranno mai essere trovate parole sufficientemente gravi. Mentre infatti, al tempo della Nostra prima lettera, non Ci risultavano che otto Vescovi sacrileghi consacrati ed empiamente intrusi in altrettante Chiese, poco dopo Ci giunse la terribile notizia che le mani erano state illecitamente imposte a così tanti che nel breve volgere di giorni quasi tutte le Chiese di codesto Regno erano state occupate da intrusi.

9. Se Sant’Atanasio per l’invasione di una sola Chiesa in Alessandria (quella che Giorgio aveva occupato sulla base dell’editto del Principe contro la disposizione dei Canoni Ecclesiastici) a buon diritto e giustamente proruppe in queste parole: “In tutta la terra non s’è mai udito nulla di simile; ora tutta la Chiesa è stata offesa, il Santuario è trattato ignominiosamente e, quel ch’è peggio, la pietà patisce persecuzione dall’empietà… Infatti, se un solo membro soffre, tutte le altre parti si dolgono insieme con lui“, con quanto maggior diritto Noi, di fronte all’improvvisa occupazione di quasi tutte le Chiese di fiorentissimo Regno, siamo costretti ad esclamare che nulla mai di simile è accaduto alla Chiesa di Dio!

10. Un antichissimo Sinodo romano, che i Vescovi francesi avevano consultato, oltre che su altri punti, anche sul fatto che parecchi Vescovi di altre Diocesi avevano precipitosamente invaso le loro, impartendovi Ordinazioni irregolari e svolgendovi altri atti contro la giurisdizione, rispose loro gravemente: “Se qualcuno avrà invaso scientemente i confini altrui, sarà giudicato reo di violenza. Perché si corre? Perché ci si affretta a conculcare le regole della Chiesa? Le leggi umane vengono rispettate ed i precetti divini sono disprezzati; si temono la spada presente e la pena temporale, e si trascura la punizione divina, che ha le fiamme eterne della Geenna. Vedrete a cosa avrà portato la presunzione: perciò se qualcuno avrà osato fare Ordinazioni in una Diocesi altrui e vorrà sostenerle, sappia che vacilla dal suo stato proprio colui che avrà invaso la Chiesa non sua. Qui non si tratta di affari civili; queste non sono promozioni mondane“. Se, come dicevamo, il predetto Sinodo condannò in tal modo quei Vescovi che avevano occupato soltanto parti delle Diocesi altrui, quanta maggior riprovazione meriteranno non soltanto tutti gli pseudo-vescovi (che, scelti contro le norme ed ordinati in modo sacrilego, hanno invaso – senza missione canonica – Sedi Episcopali che avevano i loro legittimi Pastori, occupando così per intero le Diocesi) ma anche quattro Pastori legittimi: tre di loro, conformandosi ai decreti dell’Assemblea Nazionale, occuparono una parte delle Diocesi altrui ed abbandonarono una parte delle loro; l’altro poi, consacrando per primo gli intrusi, con l’aiuto di due Vescovi assistenti, ha finito col diventare il “padre” degli pseudo-vescovi, dando motivo a che le altre Sedi fossero invase e, abbandonando la propria, consentendo l’avvento di un intruso.

11. Di sicuro non può accadere “che si compia con esito favorevole ciò che ha avuto un cattivo principio“. Sarebbe lungo e troppo triste riferire qui dello stato della Chiesa francese, sconvolta in ogni sua parte, e dei gravissimi danni che sono stati recati alla Religione dagli intrusi. Basti riflettere sul fatto che un regime profano e sacrilego ha sostituito quello sacro e legittimo. Infatti costoro che si gloriano d’essere chiamati “Vescovi costituzionali” danno prova di capir bene che non sono “Vescovi cattolici“; perciò rifuggono dai sacri ministeri e ne allontanano anche coloro che, sulla base delle norme Ecclesiastiche, possono essere definiti i soli pastori legittimi, e lo sono. Quando essi si sono introdotti abusivamente nelle Sedi Episcopali, hanno inserito nel governo delle Parrocchie altri loro simili, che la Chiesa avversa e respinge, e che soltanto la Costituzione riconosce ed approva: gente che corrompe i Sacri Ordini e l’amministrazione dei Sacramenti e che, per dirla con poche parole, sottomette al potere temporale la Chiesa e la sua autorità di matrice divina; sostituisce alla verità l’errore; l’empietà alla pietà, secondo la schietta interpretazione della predetta Costituzione.

12. Poiché è sempre stato tipico degli eretici e degli scismatici servirsi della simulazione, così anche questi intrusi non hanno nulla di più tradizionale che indurre le genti in errore mediante l’inganno, mentre coprono quasi tutte le loro azioni con il manto della carità; proteggono e lodano le riforme costituzionali come se fossero su misura per la più antica e la più pura disciplina ecclesiastica; si vantano di esser in sincera comunione con la Chiesa e con questa Sede Apostolica. A questo soltanto mirano le lettere “nunciatorie” che, seguendo l’esempio dei primi intrusi, Ci hanno mandato anche altri in seguito; a questo mirano anche le “esortazioni” alle preghiere da recitare per la Nostra salute e la Nostra conservazione.

13. Ma questo stile di contestazione e di preghiera si riconosce derivato, chiaro come da un archetipo, dalle empie scuole degli scismatici e degli eretici. Infatti leggiamo che Fozio scrisse al Santo Pontefice Niccolò, Lutero a Leone X, Pietro Paolo Vergerio il giovane a Giulio III; e tutti, mentre fingevano obbedienza e sintonia con la Sede Apostolica, si lamentavano della malvagità con la quale era giudicata la loro dottrina, insultavano contemporaneamente la Santa Sede e disseminavano i loro cattivi errori.

14. Così anche gli odierni Vescovi intrusi hanno di recente pubblicato un’opera nella quale hanno raccolto tutti i pensieri erronei, scismatici ed eretici, spesso contestati e rifiutati, dei quali sono pieni parecchie loro Lettere Pastorali ed alcuni libelli, non senza grave offesa alla storia della Chiesa. A quest’opera hanno premesso l’insidioso titolo “Accord de vrais principes de l’Eglise, de la morale et de la raison, sur la Constitution Civile du Clergé de France par les Evêques des départements membres de l’Assemblée Nationale Constituant. A Paris 1791“, aggiungendo alla fine di quest’opera iniqua, per meglio ingannare il popolo, una falsa lettera, presentata come se fosse stata a Noi spedita. Ma, per istruzione dei buoni e per consolidare la loro perseveranza, non smetteremo di render noto il pestilenziale veleno che emana da ogni parte di quell’opera indegna.

15. Frattanto non possiamo tacere il doppio inganno, uno peggiore dell’altro, che i Vescovi intrusi divulgano imperterriti per distogliere il popolo dall’obbedienza dovuta ai Nostri Ammonimenti Apostolici. Il primo inganno concerne la negata autenticità delle Nostre lettere; non c’è nessun commento più congruo se non che ciò si attaglia perfettamente alla fonte dalla quale proviene. Con quale buona fede, infatti, si può dubitare della verità delle Nostre lettere, che, firmate di Nostro pugno, sono state mandate ai Metropolitani francesi e che, per Nostro ordine, furono edite presso la Stamperia Romana e fatte circolare non soltanto nel Regno di Francia ma in tutte le parti del mondo cattolico, così come accadrà anche per questa Nostra? Come dunque può essere definito apocrifo quel documento che è Nostro, che deriva unicamente da Noi, che è stato divulgato con tanta solennità da non lasciare spazio ad alcun dubbio; che, in definitiva, è tale che con poca fatica chiunque può distinguerlo dagli altri documenti, falsi e corrotti, che i Refrattari fecero circolare fra il popolo a Nostro nome, con somma audacia e manifesta calunnia, per procurare approvazione alla Costituzione Civile del Clero, che Noi avevamo rifiutato sin dall’inizio con sommo orrore?

16. L’altro fraudolento, raggirante inganno degl’Intrusi riguarda la mancanza di una certa forma “civile” nella pubblicazione delle Nostre lettere. Infatti essi certamente non ignorano, e a nessun altro può sfuggire, che allo stato attuale delle cose in Francia una forma di questo tipo non poteva essere adottata; cosicché coloro che utilizzano tale forma null’altro hanno in mente se non facilitare la crescita impunita dello scisma e dell’intrusione. Non sfugge infatti che questa forma “civile” non è necessaria, soprattutto quando si tratta di “causa maggiore“, che compete a Noi e che è stata resa nota attraverso i Vescovi. Proprio questo tutti i Cattolici riconoscono, e Valentiniano Augusto affermò con chiare parole nella “Novella” che segue la lettera di San Leone Magno ai Vescovi della provincia viennese: “Questa stessa sentenza [di San Leone] avrebbe dovuto aver valore in Francia anche senza la sanzione imperiale. Che cosa infatti non dovrebbe essere consentito nelle Chiese all’autorità di un Pontefice tanto grande?“. Lo stesso clero francese lo riconobbe quando si trattò di divulgare le lettere encicliche del Nostro predecessore Pio VI: “Non avete alcun bisogno dell’approvazione regia per divulgare come Regola la risposta della Santa Sede Apostolica su un tema esclusivamente spirituale“.

17. Quel che abbiamo detto fin qui sul lacrimevole stato dello scisma, al quale gli Intrusi si dedicano in modo ammirevole, è percepibile da chiunque lo esamini attentamente; perciò a buon diritto possiamo esclamare con Sant’Atanasio: “Non avete ancora capito che il Cristianesimo viene distrutto e che il Demonio, cerca, con l’inganno e sotto altre fattezze, di sconfiggere la Chiesa?“.

18. In tanto grave perturbazione delle vicende della Chiesa francese ed in altrettanta gravità e notorietà del crimine, Noi avremmo potuto fin da ora procedere contro i contumaci, con la comminata pena della scomunica, dal momento che per oltre undici mesi dal giorno dei Nostri Ammonimenti, da parte loro non giunse alcun segno di pentimento. Nondimeno, poiché abbiamo visto che il Nostro Ammonimento ha avuto esito non inutile presso molti, e avendo ritenuto di dover aspettare un certo tempo perché anche altri si adeguassero; tenendo soprattutto presente la grande bontà di Dio, il quale tollera i peccatori con molta pazienza e non vuole portarli alla perdizione, ma indurli alla penitenza; dopo aver ascoltato il parere di una scelta Congregazione dei venerabili Nostri fratelli, i Cardinali di Santa Romana Chiesa, riunitasi davanti a Noi il 19 gennaio di quest’anno, abbiamo ritenuto di dover agire fin qui con benignità nei confronti dei contumaci, per vedere se ritornino in sé e si rivolgano a Dio. Infatti non ci siamo ancora spogliati della misericordia paterna nei loro confronti ed in un certo senso, “come una madre non può dimenticarsi del suo bambino, per non dover avere pietà del figlio del suo ventre“, così la Santa Romana Chiesa non può dimenticarsi dei suoi figli, per quanto ribelli ed ostinati, e nei loro confronti è mossa più da pietà che da rabbia. Per questo motivo Noi, non senza gran pianto e lamento, temendo la frammentazione delle Nostre viscere, Ci asteniamo per ora dal comminare la sentenza di scomunica, accettando anche di differire più oltre la pena, affinché possa aver luogo il pentimento. Rimane tuttavia confermata la pena di sospensione inflitta con la Nostra lettera del 13 aprile.

19. Perciò abbiamo deciso di presentare questa nuova e perentoria Ammonizione, da valere anche come seconda e come terza, in base alla quale, contando sessanta giorni dalla data di questa Lettera per la seconda, ed altri successivi sessanta per la terza, disponiamo quanto segue:

20. Per primi ammoniamo, come è giusto, sollecitandoli al doveroso pentimento, i sacrileghi consacratori dei Vescovi intrusi e gli assistenti (Carlo Maurizio Vescovo di Autun; Giovanni Battista Vescovo di Babilonia e Giovanni Giuseppe Vescovo di Lidda), i quali in certo modo sono gli autori del funestissimo scisma, poiché con le prime azioni che osarono compiere, cioè le consacrazioni degli pseudo-Vescovi, precedettero tutti gli altri nell’atrocità del crimine.

21. Ammoniamo inoltre tutti gli pseudo-Vescovi intrusi che, senza elezione, ordinazione o missione legittima, hanno invaso le Sedi Episcopali – sia quelle antiche, sia quelle di recente ed illegittima costituzione – la maggior parte delle quali era retta dai legittimi Presuli, mentre quelle che erano vacanti erano rette dai Vicari capitolari, secondo le leggi prescritte dal Concilio di Trento.

22. Ammoniamo anche l’Arcivescovo di Sens, il Vescovo di Orléans, il Vescovo di Viviers e Pier Francesco Martello, coadiutore dell’Arcivescovo di Sens. Di costoro, i primi tre, quantunque abbiano ricevuto correttamente il vescovado, hanno tuttavia osato invadere parti di altre Diocesi e rinunciare a porzioni delle proprie, attenendosi ai decreti dell’Assemblea nazionale; tutti, poi, allo stesso modo dei Vescovi consacratori, degli assistenti e di tutti i Vescovi intrusi, non si sono vergognati di sottomettersi alla Costituzione civile del clero, prestando puramente e semplicemente quel giuramento civico che Noi avevamo definito “fonte ed origine di tutti gli avvelenati errori” nella Nostra lettera del 13 aprile.

23. Ammoniamo i Parroci e coloro che con qualunque nome esercitano in titolo la cura delle anime, i quali, oltre ad imbrattarsi con quel giuramento sacrilego, hanno invaso intere Parrocchie, sia vecchie sia di recente ed illegittima istituzione, oppure ne hanno invaso delle parti, per istituzione ricevuta (per altro senza valore) dai Vescovi intrusi o dall’Arcivescovo di Sens o dai Vescovi d’Orléans e di Viviers (legittimi, in verità, ma legati col giuramento civico) che hanno operato al di fuori dei confini delle rispettive Diocesi, anche se alcuni di loro in precedenza avevano correttamente ricevuta l’investitura delle Parrocchie.

24. Infine ammoniamo anche tutti i Vicari e gli altri Preti, con qualunque nome chiamati, delegati all’esercizio della giurisdizione ed allo svolgimento degl’incarichi ecclesiastici dai Vescovi intrusi, i quali non possono trasferire ad altri un diritto che essi stessi non possiedono.

25. Avendo tutti così ammoniti, se a Noi non risulterà che, nell’arco di tempo precedentemente assegnato, ciascuno abbia fatto, in favore della Chiesa, la penitenza dovuta per i suoi peccati, allora certamente “ci addoloreremo, ci rattristeremo, piangeremo e ci sentiremo le viscere lacerate, come se fossimo spogliati delle nostre stesse membra“; tuttavia non Ci dorremo in modo da non procedere, in una vicenda così grave, secondo la gravità dei delitti, la moltitudine dei delinquenti e la pericolosità del contagio, da non comportarci come richiedono il ministero apostolico e le norme canoniche, scagliando cioè la sentenza di scomunica, notificandola pubblicamente ed indicando costoro come allontanati dalla comunione con la Chiesa, da considerarsi scismatici pervicaci e perciò da evitare.

26. Ancor oggi Noi rivolgiamo quest’ultima ammonizione canonica, piena di sollecitudine paterna e di moderazione, ai Vescovi consacratori, agli Assistenti, ai Vescovi intrusi ed ai loro Vicari, ai Vescovi che han prestato giuramento, ai Parroci parimenti intrusi; ai Vicari ed ai Sacerdoti delegati o approvati dai Vescovi intrusi; dal momento che il loro crimine è di gran lunga più grave e pericoloso, sia per la natura stessa del peccato, sia per la dignità ed autorevolezza della persona che lo compie; fattori, entrambi, che contribuiscono moltissimo a corrompere gli altri, insieme con l’esempio e l’uso della giurisdizione usurpata. Nondimeno vogliamo che si considerino ammoniti anche gli altri: gli autori e i fautori della Costituzione pubblicata, tutti quelli che hanno giurato, specialmente gli Ecclesiastici e soprattutto i Parroci, i Superiori ed i Rettori dei Seminari, i Professori ed i Presidi di Università e Collegi, perché non pensino di schivare a suo tempo analoga pena, se persisteranno ostinati e contumaci nel loro delitto.

27. Mentre diciamo queste cose, mentre Ci affidiamo a queste minacce, chiamiamo Dio a testimone di quanto non vorremmo esser costretti ad usare queste armi spirituali, se potessimo farne a meno. Con animo ben disposto abbiamo sempre dato spazio alla moderazione e alla misericordia, facendo ricorso alla severità malvolentieri e soltanto se costretti dalla necessità. Proprio per questo ancora una volta e con il massimo vigore, nel nome delle viscere di Gesù Cristo, preghiamo coloro che in qualunque modo hanno avuto parte in questo scisma, ed in particolare i sacri Ministri, e li scongiuriamo affinché riflettano su quanto sia indegno, perverso e miserrimo, per i Fedeli, specialmente Ecclesiastici, favorire ed assecondare questo scisma pestilenziale; esso è nato per l’iniquo consiglio dei filosofi innovatori che costituivano la maggior parte dell’Assemblea Nazionale, e si sarebbe quasi estinto sul nascere se i Fedeli e gli Ecclesiastici l’avessero contrastato. Inorridiscano dunque meditando quanto l’attesa d’un terribile giudizio, simile ad un fuoco, consumerà coloro per colpa dei quali lo scisma (che col loro ravvedimento potrebbe cessare) perdura ancora e si espande e cresce nelle fiorentissime regioni francesi.

28. Mancano forse famosi “eccitamenti dei francesi” per ritrattare il giuramento civico? Eppure è noto che molti fra i più illustri intellettuali francesi si dimostrarono docili nel detestare gli errori precedentemente propugnati. Infatti, già all’inizio del V secolo il monaco Leporio pubblicò la ritrattazione dei suoi errori, che fu letta nel quinto Sinodo africano e fu inviata ai Vescovi francesi; il sacerdote Lucidio ne indirizzò un’altra al Sinodo di Arles; non diversamente si comportò Giovanni Gerson, che formulò la sua ritrattazione basandosi sugli insegnamenti dei libri di San Bonaventura. A questi sono seguiti Pietro de Marca e Francesco Fénelon, Arcivescovo di Cambrai, meritevole del più elogiativo ricordo, e molti altri scrittori francesi, al cospetto dei quali chi potrà arrossire e ancora ostinatamente rifiutare di imitarli, loro che seppero trasformare il loro errore in gloria e vanto singolari? Una convinta speranza ci induce a ritenere che la mano di Dio non si arresterà sopra gli intrusi e gli scismatici; che i loro animi traviati saranno richiamati sulla via della salvezza, e, sollecitati dagli esempi di antenati così famosi, con la ritrattazione dell’empio giuramento condanneranno le consacrazioni sacrileghe, rinunceranno agli incarichi sacerdotali precedentemente occupati e riconosceranno i legittimi pastori.

29. Voi intanto, Venerabili Fratelli, che – udito l’ultimo ammonimento di questa Nostra lettera – Ci pare di vedere agitati e tremanti per la salvezza del Vostro gregge e Ci par di udire esclamare con San Paolo “Chi di voi cadrà infermo, senza che questo indebolisca anche me? Chi sarà scandalizzato senza che anch’io mi senta avvampare?“; Voi, dicevamo, mentre renderete pubblica questa Nostra lettera, aggiungete le vostre alla Nostra preoccupazione, levando preghiere più fervide a Dio Ottimo e Massimo, ripetendo le esortazioni ed i vostri consigli, affinché – in tanta crudezza dei tempi ed in tanta confusione degli animi – possiate consolidare la fermezza dei fedeli che sono rimasti tali e recare aiuto alla debolezza di coloro che sono caduti. Ma soprattutto mettete sotto gli occhi di coloro che sono caduti che niente servirà tanto alla loro salvezza eterna, niente alla loro vera gloria, niente alla gioia dell’intera Chiesa, niente sarà così gradito quanto questo sacrificio di obbedienza, al quale li invitiamo, li preghiamo, li scongiuriamo per le viscere del nostro Dio e per l’avvento del Signore Nostro Gesù Cristo. Facendo queste cose, continuerete ad essere quel che già siete, cioè “buoni ministri di Gesù Cristo, cresciuti nelle parole della Fede e della corretta dottrina che avete sempre seguito“.

30. Voi pure, diletti Figli Canonici di rispettabili Capitoli, Parroci, Sacerdoti, altri ministri del clero francese, infine, Fedeli tutti abitanti nel Regno francese, che vi siete distinti dagli altri per la costanza e l’impegno religioso, unite le vostre preghiere alle Nostre ed a quelle dei vostri Pastori, ed implorate nella cenere, nell’orazione, nel digiuno, “Perdona, o Dio, il Tuo popolo“. Poiché Dio è buono e misericordioso, quando vedrà il pianto dei Sacerdoti e dei cittadini, di certo sarà compassionevole ed avrà pietà. Perciò sopportate con pazienza gli infortuni che vi sono capitati e che forse ancora vi accadranno, “fintanto che la destra di Dio onnipotente distruggerà tutte le armi del demonio, al quale perciò si permette di tentare arditamente qualcosa, perché poi sia sconfitto con maggior gloria dei fedeli di Cristo; poiché dove la verità è maestra non vengono mai meno, fratelli carissimi, i conforti divini“.

31. Soprattutto vi raccomandiamo e v’ingiungiamo di mantenervi sempre strettamente a contatto con i vostri Pastori, affinché non comunichiate in alcun modo, e men che meno nelle cose divine, con gli intrusi ed i refrattari, con qualunque nome vengano chiamati; allo stesso modo guardatevi dallo scellerato opuscolo di cui si diceva prima, il capzioso “Accord des vrais principes“, dalle lettere pastorali e “nunciatorie“e da qualunque genere di scritto diffuso od in via di diffusione da parte di coloro che, mentre difendono la Costituzione civile del clero, in realtà danno vigore allo scisma. Allo stesso modo che nelle Nostre precedenti lettere già avevamo contestato e condannato tale Costituzione, così ancora con questa Lettera riproviamo, rigettiamo e condanniamo la predetta opera, le lettere pastorali e “nunciatorie” e tutti gli altri scritti, sulla base del supremo ufficio Apostolico del quale siamo rivestiti.

32. Nell’immensità della Sua benevolenza, Dio voglia dar forza alle Nostre cure pastorali, affinché coloro che fra voi sono rimasti fedeli si rafforzino, e coloro che sono caduti si rialzino. Questo chiediamo a Dio, implorandolo ed inginocchiandoci – per usare le parole dell’apostolo Paolo agli Efesini – davanti al Padre Signore nostro Gesù Cristo “affinché vi conceda di fortificarvi nella virtù secondo le ricchezze della sua gloria, per mezzo del suo spirito che scende nel cuore dell’uomo, e di fare abitare Gesù Cristo nei vostri cuori, radicati e consolidati nella carità. Come pegno di questi doni celesti, diletti Figli, Venerabili Fratelli e diletti Figli, Noi vi impartiamo dal più profondo del cuore, paternamente e con amore, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 19 marzo 1792, anno diciottesimo del Nostro Pontificato.