QUARE ERGO RUBRUM EST INDUMENTUM TUUM, ET VESTIMENTA TUA SICUT CALCANTIUM IN TORCULARI? … ET ASPERSUS EST SANGUIS EORUM SUPER VESTIMENTA MEA, ET OMNIA VESTIMENTA MEA INQUINAVI . – Gestito dall'Associazione Cristo Re Rex Regum"Questo blog è un'iniziativa privata di un’associazione di Cattolici laici: per il momento purtroppo non è stato possibile reperire un esperto teologo cattolico che conosca bene l'italiano, in grado di fare da censore per questo blog. Secondo il credo e la comprensione del redattore, tutti gli articoli e gli scritti sono conformi all'insegnamento della Chiesa Cattolica, ma se tu (membro della Chiesa Cattolica) dovessi trovare un errore, ti prego di segnalarlo tramite il contatto (cristore.rexregum@libero.it – exsurgat.deus@libero.it), onde verificare l’errore presunto. Dopo aver verificato l’errore supposto e riconosciuto come tale, esso verrà eliminato o corretto. Nota: i membri della setta apostata del Novus Ordo o gli scismatici ed eretici sedevacantisti o fallibilisti, o i "cani sciolti" autoreferenti falsi profeti,non hanno alcun diritto nè titolo per giudicare i contenuti di questo blog. "
Il Santo Padre S. PIO X affronta anche in questa lettera enciclica, la questione sociale ed operaia. Questa è la giusta occasione per ricordare come in tutti i temi, compresi quelli sociali, la Chiesa abbia soluzioni eque per tutti nei problemi che si prospettano nella vita dei singoli e della società. Ecco l’invito rivolto a tutti i fedeli operai cattolici tedeschi, ed ovviamente di tutti gli altri Paesi, ad attenersi scrupolosamente al Magistero Apostolico assoggettandosi alle decisioni della Chiesa, guidata dal Sommo Pontefice, e localmente dei Vescovi in unione con il Papa. Questo per i tempi era quanto veniva suggerito ai lavoratori ed ai Cristiani tutti, suggerimenti che sono ancora oggi validi e risolutivi ma che in assenza di una Chiesa libera e con un Sommo Pontefice impedito, sono puntualmente elusi da una classe politica e da una sinagoga di satana – che finge di essere Chiesa Cattolica praticando al massimo « una specie di Cristianesimo vago e non definito, che si suol chiamare interconfessionale, e che si diffonde sotto la falsa etichetta di comunità cristiana, mentre evidentemente nulla vi è di più contrario alla predicazione di Gesù Cristo » – entità tenenrose dirette congiuntamente dalle conventicole mondiali di diversa obbedienza, ma di uguale asservimento ai poteri demoniaci, con le conseguenze devastanti per singoli e Stati, che tutti possiamo osservare, anche se malamente occultate dai mezzi di informazione, tutti asserviti alle logge.
S. S. San PIO X
Singulari quadam
Lettera Enciclica
24 settembre 1912
Uno speciale affetto e benevolenza verso i Cattolici di Germania, i quali, uniti a questa Sede Apostolica da un grande spirito di fede e di obbedienza, sogliono combattere con generosità e con forza in favore della Chiesa, ci ha spinto, venerabili fratelli, a rivolgere tutto il nostro zelo e la nostra cura all’esame della controversia sulle associazioni operaie, che tra di essi si agita; sulla quale controversia, in questi ultimi anni, già più volte ci avevano dato informazioni, oltre alla maggior parte di voi, anche prudenti e autorevoli persone di entrambe le tendenze. E con tanto zelo ci siamo dedicati a questa cosa, in quanto, nella coscienza dell’apostolico ufficio, comprendiamo che è Nostro sacro dovere sforzarci di far sì che questi Nostri carissimi figli conservino la dottrina cattolica nella sua purezza e integrità, e di non permettere in alcun modo che la stessa loro fede sia messa in pericolo. È chiaro infatti che, se non vengono tempestivamente esortati a vigilare, c’è pericolo che essi, a poco a poco e quasi senza accorgersene, si adattino a una specie di Cristianesimo vago e non definito, che si suol chiamare interconfessionale, e che si diffonde sotto la falsa etichetta di comunità cristiana, mentre evidentemente nulla vi è di più contrario alla predicazione di Gesù Cristo. E inoltre, essendo Nostro sommo desiderio di favorire e rafforzare la concordia tra i Cattolici, vogliamo rimuovere qualsiasi causa di dissensi, che, disperdendo le forze dei buoni, non possono giovare se non agli avversari della Religione; ché anzi desideriamo vivamente che i nostri anche con i loro concittadini che non professano la Religione Cattolica coltivino quella pace che è indispensabile al governo dell’umana società e alla prosperità dello stato. – Sebbene poi, come abbiamo detto, ci fosse noto lo stato della questione, abbiamo tuttavia voluto, prima di darne un giudizio, chiedere il parere di ciascuno di voi, venerabili fratelli, e ognuno di voi ha risposto alla Nostra richiesta con quella diligenza e con quella prontezza che la gravità della questione richiedeva. – In primo luogo dunque proclamiamo che è dovere di tutti i Cattolici – dovere che va scrupolosamente e completamente adempiuto tanto nella vita privata quanto nella vita sociale e pubblica – di mantenere fermamente e di professare senza timidezza i principi della verità cristiana, insegnati dal Magistero della Chiesa Cattolica, soprattutto quelli che il Nostro predecessore ha formulato con tanta sapienza nell’enciclica Rerum novarum; i quali principi sappiamo essere stati seguiti sopra ogni altro dai Vescovi di Prussia, riuniti a Fulda nel 1900, ed essere stati esposti sommariamente da voi stessi, quando Ci avete risposto che cosa pensate intorno alla presente controversia. – E precisamente qualunque cosa un Cristiano faccia, anche se nell’ordine delle cose terrene, non gli è lecito trascurare i beni soprannaturali; anzi deve, conformemente alle regole della dottrina cristiana, tutto dirigere al bene supremo come a fine ultimo. E tutte le sue azioni, in quanto moralmente buone o cattive, cioè conformi o no alla legge naturale e divina, sono soggette al giudizio e alla Giurisdizione della Chiesa. – Tutti coloro, singoli o associati, che si gloriano del nome di Cristiani, devono, se non dimenticano il proprio dovere, alimentare non le inimicizie e le rivalità tra le classi sociali, ma la pace e il mutuo amore. – La questione sociale, e le controversie che ne derivano circa il metodo e la durata del lavoro, la fissazione del salario, e lo sciopero, non sono soltanto di natura economica, e perciò non sono tali da potersi risolvere prescindendo dall’autorità della Chiesa, “essendo invece fuori dubbio che (la questione sociale) è principalmente morale e religiosa, e che per ciò va risolta principalmente secondo le leggi morali e religiose”. – Quanto poi alle associazioni operaie, sebbene il loro scopo sia di procurare agli associati dei vantaggi in questa vita, tuttavia meritano la più alta approvazione, e sono da considerare più delle altre adatte ad assicurare una vera e durevole utilità ai soci, quelle che sono state costituite prendendo come principale fondamento la Religione Cattolica, e che seguono apertamente le direttive della Chiesa; e più volte Noi lo abbiamo dichiarato, quando se ne è offerta l’occasione in un Paese o in un altro. Da ciò discende che si devono costituire e con ogni mezzo aiutare tali associazioni confessionali cattoliche, non solo nei Paesi cattolici, ma anche in tutti gli altri, dovunque si ritenga possibile venire incontro per mezzo di esse ai bisogni dei soci. Se poi si tratta di associazioni che direttamente o indirettamente toccano la Religione o la morale, non sarebbe in alcun modo da approvare che nei suddetti Paesi si volessero favorire e diffondere le associazioni miste, ossia composte di Cattolici e non cattolici. Infatti se non altro, a causa di tali associazioni, a non piccoli pericoli si espongono, o almeno si possono trovare esposti, sia l’integrità della fede dei nostri fedeli, sia la dovuta obbedienza alle leggi e ai precetti della Chiesa Cattolica; pericoli del resto, che abbiamo visto espressamente messi in rilievo, venerabili fratelli, nella maggior parte delle vostre risposte su questo punto. – Perciò facciamo molto volentieri ogni elogio a tutte le associazioni operaie puramente cattoliche esistenti in Germania, desideriamo che ogni loro iniziativa in favore delle masse operaie abbia successo, e auguriamo ad esse sviluppi sempre più felici. Con questo tuttavia non intendiamo negare che sia lecito ai Cattolici lavorare, con cautela, insieme con gli acattolici, per procurare all’operaio una sorte migliore e per una più equa retribuzione e condizione di lavoro, o per qualunque altro fine utile e onesto: ma preferiamo che per tale scopo le Associazioni Cattoliche e non cattoliche si uniscano per mezzo di quel genere di patto opportunamente escogitato che si chiama Cartello. – A questo proposito, venerabili fratelli, non pochi di voi Ci domandano che Noi vi permettiamo di tollerare i cosiddetti sindacati cristiani, come sono ora costituiti nelle vostre diocesi, dato che essi abbracciano un numero di operai molto maggiore di quello delle associazioni puramente cattoliche e che molti inconvenienti ne verrebbero se tale tolleranza non fosse permessa. In considerazione della speciale situazione del Cattolicesimo in Germania, Noi riteniamo di dover accogliere tale richiesta, e dichiariamo che si può tollerare e permettere che i Cattolici facciano parte anche di quelle associazioni miste, che esistono nelle vostre diocesi, fino a che per nuove circostanze tale tolleranza non cessi di essere opportuna o lecita; purché, tuttavia, si prendano le precauzioni necessarie per evitare i pericoli che, come abbiamo detto, sono inerenti a tal genere di associazioni. – Prima di tutto si deve curare che gli operai cattolici che fanno parte di questi sindacati, siano anche iscritti alle associazioni di operai cattolici denominate Arbeitervereine. Che se per questo essi devono fare qualche sacrificio, soprattutto pecuniario, siamo certi che, nel loro zelo per la conservazione della loro Fede non lo faranno malvolentieri. Fortunatamente infatti accade che queste Associazioni Cattoliche, sotto l’impulso del clero, che con la sua guida e vigilanza le dirige, molto contribuiscono a tutelare nei loro membri la purezza della fede e l’integrità dei costumi, e ad alimentare il loro spirito religioso con molteplici esercizi di pietà. Senza dubbio perciò i dirigenti di queste associazioni, ben conoscendo i nostri tempi, vorranno insegnare agli operai quei precetti e quelle norme, soprattutto circa i doveri di giustizia e di carità, che ad essi è necessario e utile ben conoscere, per potersi comportare, nei sindacati, in modo retto e conforme ai principi della dottrina cattolica. Inoltre, perché i sindacati siano tali che i Cattolici vi si possano iscrivere, è necessario che si astengano da qualsiasi manifestazione teorica o pratica, contrastante con la dottrina e i precetti della Chiesa e dell’autorità ecclesiastica competente; e parimenti che nulla di men che accettabile sotto questo aspetto vi sia nei loro scritti, discorsi, o attività. Considerino perciò i Vescovi uno dei più sacri doveri osservare diligentemente come si comportino queste associazioni, e vigilare che i Cattolici non soffrano alcun danno dai loro rapporti con esse. E i Cattolici stessi, iscritti ai sindacati, non permettano mai che i sindacati anche come tali, nel curare gl’interessi temporali dei membri, professino o facciano cose che in qualsiasi modo contrastino con i principi insegnati dal supremo Magistero della Chiesa, con quelli specialmente che abbiamo sopra richiamato. A tale scopo, ogni qualvolta si agitino questioni relative a materie che toccano i costumi, e cioè alla giustizia e alla carità, i Vescovi vigileranno con la massima attenzione affinché i fedeli non trascurino la morale cattolica, né da essa menomamente si allontanino. – Siamo d’altronde sicuri, venerabili fratelli, che voi curerete che sia scrupolosamente e completamente osservato quanto nella presente vi abbiamo ordinato e che, data l’importanza della cosa, Ci terrete spesso e accuratamente informati. Poiché però abbiamo avocato a Noi questa cosa, e spetta a Noi, sentito il parere dei Vescovi, darne un giudizio, comandiamo a tutti i buoni Cattolici di astenersi d’ora in poi da qualunque discussione tra di loro su questa materia; e Ci piace sperare che essi, in spirito di fraterna carità e pienamente sottoposti all’Autorità Nostra e dei loro Pastori, faranno in modo completo e leale quello che comandiamo. Che se sorgesse in essi qualche difficoltà, essi hanno a loro disposizione il modo di risolverla; consultino i loro Vescovi, e questi deferiranno la questione al giudizio di questa Sede Apostolica. Resta ora da dire – si deduce facilmente da quanto abbiamo esposto – che come da una parte a nessuno sarebbe lecito accusare di fede sospetta e combattere a questo titolo coloro che, costanti nella difesa della dottrina e dei diritti della Chiesa, vogliono tuttavia, con retta intenzione, appartenere, e realmente appartengono, ai sindacati misti, dove l’autorità ecclesiastica, secondo le circostanze del luogo, ha ritenuto opportuno di permettere l’esistenza di tali sindacati; così d’altra parte, sarebbe altamente da riprovare che si svolgesse attività ostile contro le Associazioni puramente cattoliche – mentre si deve con ogni mezzo aiutare e favorire tal genere di associazioni – e che si volesse seguire e quasi imporre un tipo interconfessionale,anche se sotto il pretesto di ridurre a un modello uniforme tutte le Associazioni di Cattolici esistenti in ciascuna diocesi. Frattanto, mentre facciamo voti perché
la Germania cattolica progredisca sia nel campo religioso che in quello
politico, imploriamo per questo caro popolo il particolare aiuto di Dio
onnipotente e la protezione della vergine Madre di Dio, che è anche la Regina
della pace; e, come pegno dei doni divini e testimonianza della Nostra speciale
benevolenza, impartiamo di tutto cuore l’apostolica benedizione a voi diletto
Nostro figlio e venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo.
Roma, presso San Pietro, il 24
settembre 1912, anno decimo del Nostro pontificato.
« … se la Vostra giustizia non supererà quella degli Scismatici ed Eretici, nessuno dei quali osa prendere un nome Maomettano, non entrerete nel Regno dei Cieli…» Questa è la sentenza del Sommo Pontefice Benedetto XIV, nei riguardi di coloro che nella regione balcanica, a forte presenza musulmana, assumevano nomi non Cristiani per non incorrere in sanzioni economiche o nella perdita di benefici materiali. Erano in effetti dei marrani all’inverso, ugualmente odiosi anche da un punto di vista umano, esattamente come i marrani storici, o ipocriti, di ogni tempo, marrani che persistono attualmente soprattutto fingendo di appartenere alla “Chiesa Cattolica”, alimentando però vigorosamente la sinagoga di satana. Non a caso, ad esempio nella falsa chiesa dell’uomo, il c. d. “Novus ordo”, ma pure tra tanti scismatici pseudo-tradizionalisti, ci sono tanti marrani appositamente addestrati, fin da giovanissimi, a dissimulare fedi eretiche e pagane, pratiche abominevoli sataniche, gnostiche, esoteriche, sotto la compiacente gestione o favoritismi dei servi di lucifero collocati nei “seggi” ecclesiastici che contano. Ma se i marrani, finti maomettani, hanno ricevuto una condanna così pesante dal parte della massima Autorità della Chiesa, non possiamo nemmeno immaginare quale sia la posizione spirituale nei riguardi del sommo Giudice dei marrani infiltrati nella Chiesa Cattolica, e che tante anime trascinano negli inferi insieme a loro. Per ciò che riguarda poi i nomi dei Cristiani, o presunti tali, mentre gli abitanti dei Balcani potevano accampare qualche motivo, oggi si impongono a bella posta a bambini di aree un tempo cattoliche, nomi che nulla hanno a che vedere con gli usi cristiani, e si preferisce appioppar loro nomi di matrice pagana, di divinità (cioè di demoni) orientali o nordiche, di personaggi fittizi mutuati da fumettoni, cartoni animati e perfino da culti esoterici. Non andiamo oltre. preghiamo per questi sventurati perché non siano tra coloro che “non entreranno nel regno dei cieli”, e leggiamo la lettera Enciclica del Santo Padre.
Benedetto XIV
Quod provinciale
Il Concilio Provinciale della vostra Provincia di Albania, Venerabili Fratelli, Diletti Figli, celebrato l’anno 1703 sotto il Papa Clemente XI di felice memoria, nostro Predecessore, aveva santissimamente stabilito, fra le altre cose, al canone terzo, che nel Battesimo non fossero imposti né ai bambini né agli adulti nomi Turchi o Maomettani, e che i Cristiani non tollerassero di essere chiamati con nomi Turchi o Maomettani che mai erano stati loro imposti, per qualunque esenzione da tributi o immunità, o per facilitazioni nel commerciare liberamente, o per evitare pene. Raccomandando anche Noi le stesse cose, le confermammo, e comandammo di osservarle nella nostra Lettera Enciclica che inizia con le parole Inter omnigenas, edita per il Regno di Serbia e regioni vicine, su diversi punti di Religione e di disciplina, il giorno 11 febbraio 1744, anno quarto del Nostro Pontificato. – Quanto fu stabilito con sapienza e religione dai vostri Predecessori fu veramente provvidenziale e salutare, esempio luminoso della Fede Cattolica e della Vostra sincera pietà Cristiana, da essere indicato ad esempio agli altri e da Noi prescritto perché sia rigorosamente osservato, a maggior gloria e prestigio della Vostra Provincia e a maggiore utilità per conseguire l’eterna salvezza delle anime: tanto che se per caso capitasse che venisse trascurato, ridonderebbe a maggior disonore della vostra stessa Provincia e ad aperto danno delle anime.
1. Quindi Noi, che nella predetta nostra
Lettera proclamammo quell’abuso
una turpe occultazione della Fede cristiana, somigliante all’infedeltà,
abbiamo appreso, col più grande dolore del nostro animo Pontificale, che
moltissimi di codesta Provincia, trascurato il pensiero dell’eterna salvezza,
continuano ad adoperare i medesimi nomi Turchi o Maomettani, non solo per
essere considerati immuni e liberi da quei tributi e oneri che furono imposti
ai Cristiani, ma anche con lo scopo che non si creda che essi stessi o i loro
parenti abbiano apostatato dalla religione Maomettana, e non siano puniti con
le pene inflitte in questi casi. Infatti tutte queste cose, anche se la Fede di
Cristo viene conservata nel cuore, non si possono fare, senza la simulazione
degli errori di Maometto, contraria alla sincerità Cristiana; questa simulazione comporta una menzogna
in materia gravissima, e comprende una virtuale negazione della Fede con
grandissima offesa a Dio e scandalo al prossimo: per cui si offre ai
Turchi stessi l’occasione propizia di considerare tutti i Cristiani ipocriti e
ingannatori, tali che vanno a buon diritto e giustamente perseguitati.
2. Si aggiunge inoltre ad aumentare
sempre più il nostro dispiacere e dolore, che alcuni di Voi stessi, Venerabili
Fratelli, e anche alcuni di Voi,
diletti figli Parroci e Missionari, non badando affatto ad una simulazione
tanto malvagia e detestabile, ma anzi conniventi, e spinti da
motivazioni che non sono sufficienti a scusare i peccati, non hanno timore di
ammettere alla partecipazione ai Sacramenti, senza nessun travaglio di
coscienza e con pubblica offesa dei buoni Cristiani, quei fedeli affidati alle
vostre cure che assumono i suddetti nomi Turchi o Maomettani e procurano di
farsi chiamare così.
3. Ne consegue che Noi, che (per la
sollecitudine di tutte le Chiese a Noi imposta, e per la soprintendenza suprema
del Sacrosanto Apostolato), siamo obbligati a ricondurre tutti i Cristiani
sulla via della salvezza e a presentarli a Dio puri, sinceri, procedenti in
spirito e verità e senza macchia, dopo avere ascoltato su questo argomento i
nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa Inquisitori
generali contro la malvagità eretica, col loro consiglio, rinnovando dapprima
il lodato Canone del Concilio Albanese della vostra Provincia, colla nostra
Apostolica autorità, a tenore della presente Lettera lo confermiamo, e
comandiamo che sia osservato rigorosamente. Colla stessa autorità e tenore
estendiamo anche alla Vostra Provincia, e comandiamo che siano ugualmente
osservati, i decreti della ricordata nostra Lettera. Quindi proibiamo rigorosamente che qualunque
Cristiano, per qualunque motivo o pretesto o in qualsivoglia immaginabile
circostanza, osi assumere i medesimi nomi Turchi o Maomettani per farsi credere
Maomettano.
4. Inoltre, Venerabili Fratelli, Diletti
Figli, vi preghiamo ed esortiamo nel Signore affinché, considerando seriamente
il vostro ministero e i conti severi che dovrete rendere al Supremo Principe
dei Pastori ed Eterno Giudice Gesù Cristo sulle pecore affidate a ciascuno di
Voi, Voi stessi curiate di assicurare la vostra elezione colle vostre buone
opere, e non omettiate (la qual cosa non può avvenire senza gravissima Vostra
colpa di incuria e negligenza) di rimproverare, scongiurare e sgridare con ogni
pazienza e dottrina i medesimi Cristiani della vostra Provincia affinché,
tenendo un buon comportamento fra i Pagani, in ogni cosa si mostrino esempio di buone opere,
perché coloro che sono avversari, si vergognino, non avendo niente di male da
dire su di loro, quasi fossero malfattori: essi, che per turpe guadagno parlano
diversamente da come pensano. Se alcuni poi non ubbidiscono alle vostre
esortazioni e ai nostri ordini, secondo la norma della disciplina Apostolica,
devono essere obbligati con le maniere forti: su di loro devono essere
applicate interamente le sanzioni e le pene del vostro Sinodo Albanese e della
suddetta nostra Lettera, e sia loro dichiarato che non potranno ricevere, in
vita, i Sacramenti, e dopo la morte, se saranno deceduti senza ravvedersi, i
suffragi. Quelle pene Noi rinnoviamo e infliggiamo di nuovo, per quanto ce n’è
bisogno, e vogliamo e ordiniamo che siano mandate a debita esecuzione da Voi.
Questo poi non deve sembrare odioso a nessuno di voi, Venerabili Fratelli,
Diletti Figli, poiché se la
Vostra giustizia non supererà quella degli Scismatici ed Eretici, nessuno dei
quali osa prendere un nome Maomettano, non entrerete nel Regno dei Cieli.
5. Infine, coloro che si sono fatti
Cristiani dal Maomettanesimo, o che sono figli di convertiti, nel caso in cui
diffidino della propria costanza nella Fede e abbiano timore di incorrere nelle
pene dei loro Governanti se lasciano i nomi Turchi, e abbiano paura di subirle,
esortateli seriamente ad abbandonare di nascosto quelle regioni e a venire a
rifugiarsi nelle terre dei Cristiani, nelle quali non mancheranno ad essi né Dio
che dà il cibo ad ogni vivente, né la carità dei fedeli, specialmente se
saranno muniti di lettere di raccomandazione dei Vescovi.
Frattanto a Voi, Venerabili Fratelli,
Diletti Figli, doniamo affettuosamente la Benedizione Apostolica, la quale
vogliamo che sia data a Nostro nome ai Cristiani di retta fede da ogni
Venerabile Fratello Vescovo nella sua Diocesi.
Dato a Roma, presso Santa Maria
Maggiore, il 1° agosto 1754, anno quattordicesimo del Nostro Pontificato.
« … Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. … Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati … » Se il Santo Padre S. S. Pio IX, fosse ancora vivo ed operante, oggi scriverebbe le stesse identiche cose nei confronti dei governanti italiani, che dal suo tempo non sono affatto migliorati, anzi sono sempre più coinvolti nel giogo di satana e delle conventicole luciferine anticattoliche che li guidano con feroce scaltrezza. Ma la loggia più funesta, soprattutto per l’anima, si trova oggi nel luogo – un tempo – santo, ove ha posto la sua cattedra di pestilenza eclissando la vera Chiesa Cattolica e riducendo il Santo Padre impedito in una vita di catacomba, come nei tempi passati. Ma come allora questo farà risplendere ancor più la gloria del Signore e del Cuore Immacolato di Maria che ci ha già da tempo predetto il suo trionfo. Analoga situazione di persecuzione, anche se più grossolana ed evidente, è quella che ugualmente si verificava nella Russia e perdura oggi nei Paesi comunisti un tempo cattolici. Ma la fede avrà modo di risplendere più brillantemente in coloro che impavidi saranno forti e perseveranti fino alla fine. Tremino i nemici del Cristo, laici, finti prelati, atei e nemici dell’uomo, il loro tempo è oramai prossimo, e quando sembrerà loro di aver tutto conquistato, saranno ribaltati in un attimo dal soffio della bocca di Cristo, così come nella Pasqua di 2000 anni or sono.
Pio IX
Levate
Venerabili Fratelli, levate in giro i vostri occhi e vedrete, e insieme con Noi sentirete grandissimo dolore per le pessime abominazioni dalle quali oggi questa misera Italia è specialmente funestata. Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. Da ciò originano tutte le iniquità, i mali e i danni che con sommo dolore dell’animo Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di Satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile. – Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati, Venerabili Fratelli. Questi uomini, animati da spirito veramente diabolico, vogliono collocare la bandiera della menzogna in questa Nostra alma città, accanto alla Cattedra di Pietro, che è il centro della verità e dell’unità cattolica. I reggitori del Governo piemontese, che dovrebbero frenare tali uomini, non arrossiscono di favorirli in ogni modo, di procurare loro le armi e tutte le cose, e di rendere loro sicuro l’ingresso a questa città. Ma tutti questi uomini, benché costituiti nel grado e nel posto supremo del potere civile, tremino, perché con questo modo veramente iniquo di procedere si tirano addosso nuove pene ecclesiastiche e censure. Benché però nell’umiltà del Nostro cuore non cessiamo di pregare caldamente e di scongiurare Dio ricco di misericordia, perché si degni di richiamare a salutare penitenza sul retto sentiero della giustizia, della religione, della pietà tutti questi miserabilissimi uomini, tuttavia non possiamo tacere i gravissimi pericoli a cui in quest’ora delle tenebre siamo esposti. Noi con animo veramente tranquillo aspettiamo gli eventi, qualunque essi siano, benché eccitati con nefande frodi, calunnie, insidie, bugie, avendo posto ogni Nostra speranza in Dio, Nostra salute, che è Nostro aiuto e forza in tutte le Nostre tribolazioni. Egli non permette che rimangano confusi coloro che sperano in Lui, e disperde le insidie degli empi e spezza le cervici dei peccatori. Intanto non possiamo fare a meno di denunziare a voi principalmente, Venerabili Fratelli, ed a tutti i fedeli affidati alla vostra cura la tristissima condizione ed i gravissimi pericoli in cui Ci troviamo per opera specialmente del Governo piemontese. Infatti, quantunque siamo difesi dal valore e dalla devozione del fedelissimo Nostro esercito, il quale con gloriose imprese diede prove di un valore quasi eroico, tuttavia è chiaro che esso non può resistere a lungo contro il numero assai maggiore degli ingiustissimi aggressori. Benché non sia piccola la Nostra consolazione per la filiale pietà, verso di Noi, dei Nostri sudditi ridotti a pochi dagli scellerati usurpatori, tuttavia siamo costretti a dolerci grandemente, mentre essi non possono non sentire i gravissimi pericoli che loro sovrastano per parte delle feroci bande d’uomini iniqui, i quali continuamente con ogni sorta di minacce li spogliano ed in ogni modo li tormentano. Ma abbiamo da lamentare altri mali non mai abbastanza deplorati, Venerabili Fratelli. Specialmente dalla Nostra Allocuzione nel Concistoro del 29 ottobre dell’anno scorso e poi dall’esposizione corredata da documenti e stampata, avete benissimo appreso da quante sciagure la Chiesa Cattolica ed i suoi figli nell’Impero di Russia e nel Regno di Polonia siano, in modo miserando, vessati e lacerati. Infatti i Vescovi Cattolici, gli ecclesiastici, i laici fedeli sono cacciati in esilio, incarcerati, tormentati in ogni maniera, spogliati dei loro beni, travagliati ed oppressi da severissime pene; i canoni e le leggi della Chiesa sono interamente calpestati. Non contento di ciò, il Governo russo continuò, secondo l’antico suo proposito, a violare la disciplina della Chiesa, a rompere i vincoli dell’unione e della comunione di quei fedeli con Noi e con questa Santa Sede, e ad adoperare ogni mezzo ed ogni sforzo per potere in quegli Stati rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica, strappare quei fedeli dal seno della Chiesa e trascinarli nel funestissimo scisma. Con Nostro incredibile dolore vi comunichiamo che, dopo l’ultima Nostra Allocuzione, da quel Governo furono pubblicati due decreti. Col decreto del 22 del mese di maggio ultimo scorso, con orrendo attentato, fu soppressa la diocesi di Podlachia nel Regno di Polonia, insieme con quel Capitolo di Canonici, col Concistoro generale e col Seminario diocesano; il Vescovo della diocesi medesima, strappato al suo gregge, fu costretto ad uscire immantinente dai confini della diocesi. Un simile decreto fu pubblicato il 3 giugno dell’anno scorso; di esso non potemmo fare menzione perché non era giunto a Nostra conoscenza. Con quel decreto lo stesso Governo non esitò di proprio arbitrio ed autorità a sopprimere la diocesi di Kameniek e a disperdere il Capitolo dei Canonici, il Concistoro, il Seminario, e a cacciare violentemente il Vescovo dalla sua diocesi. – Essendoci poi chiusa ogni via e soppresso ogni mezzo per comunicare con quei fedeli, ed anche per non esporre nessuno al carcere, all’esilio ed alle altre pene, fummo costretti a pubblicare nel Nostro giornale l’atto con cui credemmo in proposito di provvedere all’esercizio della legittima giurisdizione ed ai bisogni dei fedeli, affinché per mezzo della stampa giungesse colà la notizia del provvedimento da Noi adottato. Ognuno facilmente capisce con quale animo e con quale scopo tali decreti sono pubblicati dal Governo russo, facendo sì che all’assenza di molti Vescovi si congiunga la soppressione di molte diocesi. – Ma ciò che aumenta la Nostra amarezza, Venerabili Fratelli, è l’altro decreto pubblicato dallo stesso governo il 22 del passato mese di maggio, con cui a Pietroburgo venne costituito un Collegio chiamato ecclesiastico cattolico romano, a cui presiede l’Arcivescovo di Mohilow. Cioè: tutte le domande, anche relative alle cose di fede e di coscienza che dai Vescovi, dal Clero e dal Popolo della Russia e della Polonia sono dirette a Noi ed a questa Sede Apostolica, si debbano prima trasmettere a quel Collegio, il quale deve esaminarle e decidere se le domande oltrepassino le facoltà dei Vescovi, ed in tal caso possa procurare che siano a Noi trasmesse. Dopo che colà sarà giunta la Nostra decisione, il presidente del detto Collegio è obbligato a mandarla al ministro dell’Interno, il quale esaminerà se in essa si contenga qualche cosa di contrario alle leggi dello Stato ed ai diritti del Sovrano; qualora ciò non esista, a suo arbitrio, sia eseguita. – Vedete certamente, Venerabili Fratelli, quanto sia da riprovarsi e condannarsi un tale decreto emanato da un potere laico e scismatico, con cui viene distrutta la divina costituzione della Chiesa Cattolica, si rovescia la disciplina ecclesiastica, e si fa alla Nostra suprema potestà ed autorità pontificia, e di questa Santa Sede e dei Vescovi, la massima ingiuria; s’impedisce la libertà del sommo Pastore di tutti i fedeli, ed i fedeli sono spinti ad un funestissimo scisma; viene violato e conculcato lo stesso diritto naturale riguardo alle cose che concernono la fede e la coscienza – Inoltre, l’Accademia cattolica di Varsavia è stata chiusa; ed è imminente la trista rovina della diocesi rutena di Chelma e Belz. E, ciò che è maggiormente doloroso, si rinvenne un certo prete Voicichi, uomo di fede sospetta, il quale, disprezzate tutte le censure e le pene ecclesiastiche, senza tener conto del terribile giudizio di Dio, non ebbe in orrore di ricevere da quella civile potestà il governo e la cura della medesima diocesi, e di emanare già diverse ordinanze, le quali, mentre si oppongono alla disciplina ecclesiastica, favoriscono il funestissimo scisma. – In mezzo a tante calamità ed angustie Nostre e della Chiesa, non essendovi altri che pugni per Noi se non il Nostro Iddio, con quanta forza abbiamo vivamente vi scongiuriamo dunque, Venerabili Fratelli, che, per il singolare amore e zelo per la causa cattolica e per la egregia vostra pietà a Nostro riguardo, vogliate unire alle Nostre le fervide vostre preghiere, e insieme al vostro Clero e al Popolo fedele pregare Iddio senza tregua e scongiurarlo che, memore delle Sue eterne misericordie, allontani da Noi la Sua indignazione, salvi la Santa Chiesa e Noi da tanti mali, protegga e conforti con la Sua virtù tanti figli a Noi carissimi della stessa Chiesa, sparsi in quasi tutti i paesi, e specialmente in Italia, nell’Impero russo e nel Regno di Polonia, ed esposti a tante insidie; li corrobori, li confermi, li conservi sempre più nella professione della fede cattolica e della sua salutare dottrina; disperda tutti gli empi consigli dei nemici degli uomini, li richiami dal baratro dell’iniquità alla via della salvezza, e li guidi sul sentiero dei Suoi comandamenti. – Vogliamo pertanto che entro sei mesi per le diocesi di qua dal mare, ed entro un anno nelle diocesi di là dal mare, sia intimato un triduo di pubbliche preghiere, da stabilirsi da Voi. Affinché i fedeli con maggiore impegno intervengano a queste pubbliche preci e preghino il Signore, concediamo misericordiosamente nel Signore una plenaria indulgenza di tutti i loro peccati, a quanti fedeli d’ambo i sessi interverranno a questo triduo pregando per le presenti necessità della Chiesa, secondo la Nostra intenzione, purché, espiati i peccati nella confessione sacramentale, si accostino alla sacra Eucaristia. A coloro poi i quali, per lo meno contriti, avranno in ciascuno dei predetti giorni compiuto le opere prescritte, condoniamo sette anni ed altrettante quarantene delle pene loro ingiunte od in qualsiasi altro modo da essi dovute nella consueta forma della Chiesa. Concediamo ancora nel Signore che tutte e singole le indulgenze, le remissioni di peccati e i condoni delle penitenze siano applicabili alle anime dei fedeli defunti nella carità di Dio. Nulla ostando ogni altra disposizione in contrario. – Infine, nulla certo per Noi è più gradito che valerci con sommo piacere di questa occasione per manifestarvi e nuovamente confermarvi la speciale benevolenza con la quale vi abbracciamo nel Signore. Come pegno certissimo di essa accettate l’Apostolica Benedizione che, con effusione di cuore, amorevolmente impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai laici fedeli affidati in qualsiasi modo alle vostre cure.
Dato in Roma, presso San Pietro,
il 27 ottobre 1867, anno ventiduesimo del Nostro Pontificato.
“La Giustizia eleva la
gente, il peccato rende miseri i popoli“. Da questa sentenza biblica il Santo Padre Benedetto XIV, imperniava la
sua lettera enciclica sul vergognoso vizio dell’usura, la forma più esplicita
dell’avarizia. Già a quell’epoca l’usura procurava mali a uomini e popoli, perché
violava non solo le leggi canoniche, ma pure quelle del diritto naturale e
divino. Questo è il motivo perché oggi uomini, ma soprattutto popoli ed
organismi sopranazionali sono e stanno precipitando nell’abisso della miseria e
della rovina spirituale, oltre che materiale. Il sistema dell’usura oggi è
legge assoluta – nuovo tragico idolo demoniaco – imposto dalle banche nazionali
e da organismi più o meno occulti supranazionali, nelle quali operano soggetti
senza scrupoli, avidi non solo di guadagni, ma affascinati dal gusto del male
nel vedere anche popoli interi nella miseria e nella disperazione. Questa
infatti è una delle armi più potenti che satana ha inventato per assoggettare
sia avidi speculatori, sia popoli che gli si rivolgono voltando le spalle al
Cristo, perché attratti da facili guadagni e da un benessere fittizio, trappole
mortali per il vero onesto benessere materiale, e soprattutto per indurre al
peccato ed alla perdita dell’anima. Sciocchi sono così i popoli che hanno
affidato finanza e fortuna economico-monetaria a lupi rapaci e malefici che hanno inventato prima
il sistema della cambiali e poi quello della carta moneta, o meglio
carta-straccia, carta senza alcun corrispettivo ma che, prestata ai governi dei
Paesi, vuolsi che si renda con capitali di beni veri caricati da interessi
astronomici, fuori da possibilità concrete di solvibilità, e quindi mezzo di
schiavitù e ricatti sociali vergognosi. A tutto questo la Chiesa ha cercato di
porre limiti e regolamentazione, argini oggi totalmente infranti con la
conquista dei poteri finanziari-usurai della finta chiesa-sinagoga di satana
che si spaccia per Chiesa Cattolica e che anzi per prima, è titolare di banche
e di traffici sospetti (per usure un eufemismo). Leggiamo quindi quanto ci
suggerisce il Sommo Pontefice e che oggi rappresenterebbe un momento chiave
nella lotta alle combriccole luciferine che governano il mondo e la falsa
chiesa, imponendo quanto di più malefico possibile in tutti gli ambiti,
semplicemente sulla base dell’usura di cui alcuni popoli in particolare, sono
maestri e dominatori.
S. S. Benedetto XIV Vix pervenit
Non appena pervenne alle nostre orecchie
che a cagione di una nuova controversia (precisamente se un certo contratto si
debba giudicare valido) si venivano diffondendo per l’Italia alcune opinioni
che non sembravano conformi ad una saggia dottrina, ritenemmo immediatamente
che spettasse alla Nostra Apostolica carica apportare un rimedio efficace ad
impedire che questo guaio, con l’andar del tempo e in silenzio, acquistasse
forze maggiori; e bloccargli la strada perché non si estendesse serpeggiando a
corrompere le città d’Italia ancora immuni.
1. Perciò, prendemmo la decisione di
seguire la procedura della quale sempre fu solita servirsi la Sede Apostolica:
cioè, abbiamo spiegato tutta la materia ad alcuni Nostri Venerabili Fratelli
Cardinali della Santa Romana Chiesa, che sono molto lodati per la loro profonda
dottrina in fatto di Sacra Teologia e di Disciplina Canonica; abbiamo
interpellato anche parecchi Regolari coltissimi nell’una e nell’altra materia,
scegliendoli, alcuni fra i Monaci, altri nell’Ordine dei Mendicanti, altri
ancora fra i Chierici Regolari; abbiamo aggiunto anche un Prelato laureato in utroque
jure e dotato di lunga pratica del Foro. Stabilimmo che il giorno 4 del
luglio scorso si riunissero tutti alla Nostra presenza e chiarimmo loro i
termini della questione. Apprendemmo che già essi ne avevano notizia e la
conoscevano a fondo.
2. Successivamente abbiamo ordinato che,
liberi da qualsiasi parzialità e avidità, esaminassero accuratamente tutta la
materia ed esprimessero per iscritto le loro opinioni; tuttavia non abbiamo
chiesto che giudicassero il tipo di contratto che aveva motivato la
controversia, perché mancavano parecchi documenti indispensabili, ma che
fissassero, a proposito delle usure, un criterio definitivo, al quale sembrava
recassero un danno non indifferente quelle idee che da un po’ di tempo
cominciavano a diffondersi fra la gente. Tutti ubbidirono. Infatti,
comunicarono le loro opinioni in due Congregazioni, delle quali la prima fu
tenuta in Nostra presenza il 18 luglio, l’altra il primo agosto scorsi; alla
fine tutti consegnarono le proprie relazioni scritte al Segretario della
Congregazione.
3. All’unanimità hanno approvato quanto
segue:
I. Quel genere di peccato che si chiama
usura, e che nell’accordo di prestito ha una sua propria collocazione e un suo
proprio posto, consiste in questo: ognuno esige che del prestito (che per sua
propria natura chiede soltanto che sia restituito quanto fu prestato) gli sia
reso più di ciò che fu ricevuto; e quindi pretende che, oltre al capitale, gli
sia dovuto un certo guadagno, in ragione del prestito stesso. Perciò ogni siffatto guadagno
che superi il capitale è illecito ed ha carattere usuraio.
II. Per togliere tale macchia non si
potrà ricevere alcun aiuto dal fatto che tale guadagno non è eccessivo ma moderato, non grande ma
esiguo; o dal fatto che colui dal quale, solo a causa del prestito, si reclama
tale guadagno, non è povero, ma ricco; né ha intenzione di lasciare inoperosa
la somma che gli è stata data in prestito, ma di impiegarla molto
vantaggiosamente per aumentare le sue fortune, o acquistando nuove proprietà, o
trattando affari lucrosi. Infatti
agisce contro la legge del prestito (la quale necessariamente vuole che ci sia
eguaglianza fra il prestato e il restituito) colui che, in forza del mutuo, non
si vergogna di pretendere più di quanto è stato prestato, nonostante
fosse stato convenuta inizialmente la restituzione di una somma eguale a quella
prestata. Pertanto, colui che ha ricevuto, sarà obbligato, in forza della norma
di giustizia che chiamano commutativa (la quale prevede che nei contratti umani
si debba mantenere l’eguaglianza propria di ognuno) a rimediare e a riparare
quanto non ha esattamente mantenuto.
III. Detto questo, non si nega che
talvolta nel contratto di prestito possano intervenire alcuni altri cosiddetti
titoli, non del tutto connaturati ed intrinseci, in generale, alla stessa
natura del prestito; e che da questi derivi una ragione del tutto giusta e
legittima di esigere qualcosa in più del capitale dovuto per il prestito. E
neppure si nega che spesso qualcuno può collocare e impiegare accortamente il
suo danaro mediante altri contratti di natura totalmente diversa dal prestito,
sia per procacciarsi rendite annue, sia anche per esercitare un lecito commercio,
e proprio da questo trarre onesti proventi.
IV. Come in tanti diversi generi di
contratti, se non è rispettata la parità di ciascuno, è noto che quanto si
percepisce oltre il giusto ha a che vedere se non con l’usura (in quanto non vi
è prestito, né palese né mascherato), certamente con qualche altra iniquità,
che impone parimenti l’obbligo della restituzione. Se si conducono gli affari
con rettitudine, e li si giudica con la bilancia della Giustizia, non c’è da
dubitare che in quei medesimi contratti possano intervenire molti modi e leciti
criteri per conservare e rendere numerosi i traffici umani e persino lucroso il
commercio. Pertanto, sia lungi dall’animo dei Cristiani la convinzione che, con
l’usura, o con simili ingiustizie inflitte agli altri possano fiorire lucrosi
commerci; invece abbiamo appreso dallo stesso Divino Oracolo che “La Giustizia eleva la
gente, il peccato rende miseri i popoli“.
V. Ma occorre dedicare la massima
attenzione a quanto segue: ciascuno si convincerà a torto e in modo
sconsiderato che si trovino sempre e in ogni dove altri titoli legittimi
accanto al prestito, o, anche escludendo il prestito, altri giusti contratti,
col supporto dei quali sia lecito ricavare un modesto guadagno (oltre al
capitale integro e salvo) ogni volta che si consegna a chiunque del danaro o
frumento o altra merce di altro genere. Se alcuno sarà di questa opinione, avverserà non solo i
divini documenti e il giudizio della Chiesa Cattolica sull’usura, ma anche
l’umano senso comune e la ragione naturale. A nessuno infatti può
sfuggire che in molti casi l’uomo è tenuto a soccorrere il suo prossimo con un
prestito puro e semplice, come insegna soprattutto Cristo Signore: “Non
respingere colui che vuole un prestito da te“. Del pari, in molte
circostanze, non vi è posto per nessun altro giusto contratto, eccetto il solo
prestito. Bisogna dunque che chiunque voglia seguire la voce della propria
coscienza, si accerti prima attentamente se davvero insieme con il prestito non
si presenti un altro giusto titolo e se non si tratti invece di un altro
contratto diverso dal mutuo, in grazia del quale sia reso puro e immune da ogni
macchia il guadagno ottenuto.
4. In queste parole riassumono e
spiegano le loro opinioni i Cardinali, i Teologi e Uomini espertissimi di
Canoni, il parere dei quali abbiamo sollecitato su questa gravissima questione.
Anche Noi non abbiamo tralasciato di dedicare il nostro privato impegno alla
stessa questione, prima che si riunissero le Congregazioni, e durante i loro
lavori e quando già li avevano conclusi. Infatti con estrema attenzione abbiamo
seguito le opinioni (già da Noi ricordate) di quegli uomini prestigiosi. E a
questo punto confermiamo e approviamo tutto ciò che è contenuto nelle Sentenze
esposte più sopra, in quanto è chiaro che tutti gli scrittori, i professori di
Teologia e dei Canoni, numerose testimonianze delle Sacre Lettere, decreti dei
Pontefici Nostri Predecessori, l’autorità dei Concili e dei Sacerdoti sembrano
quasi cospirare per un’approvazione unanime delle medesime Sentenze. Inoltre
abbiamo conosciuto chiaramente gli autori ai quali devono essere attribuite
opinioni contrarie; e così pure coloro che le incoraggiano e le proteggono, o
che sembrano offrire ad essi un appiglio o un’occasione. E non ignoriamo con
quanta severa dottrina abbiano assunto la difesa della verità i Teologi vicini
a quei territori in cui hanno avuto origine tali controversie.
5. Perciò abbiamo inviato questa Lettera
Enciclica a tutti gli Arcivescovi, Vescovi e Ordinari d’Italia, in modo che
essa fosse nota a Te, Venerabile Fratello, e a tutti gli altri; e ogni qual
volta avverrà di celebrare Sinodi, di parlare al popolo, di istruirlo nelle
sacre dottrine, non si pronunci parola che sia contraria a quelle Sentenze che
più sopra abbiamo esaminato. Inoltre vi esortiamo vivamente a impedire con
tutto il vostro zelo che qualcuno osi con Lettere o Sermoni insegnare il
contrario nelle Vostre Diocesi; se poi qualcuno rifiutasse di obbedire, lo dichiariamo colpevole e
soggetto alle pene stabilite nei Sacri Canoni contro coloro che abbiano
disprezzato e violato i doveri apostolici.
6. Sul contratto che ha suscitato queste
nuove controversie, per ora non prendiamo decisioni; non stabiliamo nulla
neppure sugli altri contratti, circa i quali i Teologi e gli Interpreti dei
Canoni sono lontani tra loro in diverse sentenze. Tuttavia pensiamo di dover
infiammare il religioso zelo della vostra pietà perché mandiate ad effetto
tutto ciò che vi suggeriamo.
7. In primo luogo fate sapere con parole severissime che il
vizio vergognoso dell’usura è aspramente riprovato dalle Lettere Divine. Esso
veste varie forme e apparenze per far precipitare di nuovo nella estrema rovina
i Fedeli restituiti alla libertà e alla grazia dal sangue di Cristo; perciò, se
vorranno collocare il loro denaro, evitino attentamente di lasciarsi trascinare
dall’avarizia che è fonte di tutti i mali, ma piuttosto chiedano consiglio a
coloro che si elevano al di sopra dei più per eccellenza di dottrina e di virtù.
8. In secondo luogo, coloro che confidano
tanto nelle proprie forze e nella propria sapienza, da non aver dubbi nel
pronunciarsi su tali problemi (che pure esigono non poca conoscenza della Sacra
Teologia e dei Canoni) si guardino bene dalle posizioni estreme che sono sempre
erronee. Infatti alcuni giudicano queste questioni con tanta severità, da
accusare come illecito e collegato all’usura ogni profitto ricavato dal danaro;
altri invece sono talmente indulgenti e remissivi da ritenere esente da
infamante usura qualunque guadagno. Non siano troppo legati alle loro opinioni,
ma prima di dare un parere esaminino vari scrittori che più degli altri sono
apprezzati; poscia facciano proprie quelle parti che sanno essere sicuramente
attendibili sia per la dottrina, sia per l’autorità. E se nasce una disputa
mentre si esamina qualche contratto, non si scaglino contumelie contro coloro
che seguono una contraria Sentenza, né dichiarino che essa è da punire con
severe censure, soprattutto se manca dell’opinione e delle testimonianze di
uomini eminenti; poiché le ingiurie e le offese infrangono il vincolo della
carità cristiana e recano gravissimo danno e scandalo al popolo.
9. In terzo luogo, coloro che vogliono
restare immuni ed esenti da ogni sospetto di usura, e tuttavia vogliono dare il
loro denaro ad altri in modo da trarne solo un guadagno legittimo, devono
essere invitati a spiegare prima il contratto da stipulare, a chiarire le
condizioni che vi sono poste e l’interesse che si pretende da quel denaro. Tali
spiegazioni contribuiscono decisamente non solo a scongiurare ansie e scrupoli
di coscienza, ma anche a ratificare il contratto nel foro esterno; inoltre
chiudono l’adito alle dispute che spesso occorre affrontare perché si possa
capire se il danaro che sembra prestato ad altri in modo lecito, contenga in
realtà un’usura mascherata.
10. In quarto luogo vi esortiamo a non
lasciare adito agli stolti discorsi di coloro che vanno dicendo che l’odierna
questione sulle usure è tale solo di nome, perché il danaro, che per qualunque
ragione si presta ad altri, procura solitamente un profitto. Quanto ciò sia
falso e lontano dalla verità si comprende facilmente se ci rendiamo conto che
la natura di un contratto è totalmente diversa e separata dalla natura di un
altro, e che del pari molto fra di loro divergono le conseguenze di contratti
tra loro diversi. In realtà una differenza molto evidente intercorre tra
l’interesse che a buon diritto si trae dal danaro, e che perciò si può
trattenere in sede legale e in sede morale, e il guadagno che illegalmente si
ricava dal danaro e che quindi deve essere restituito, conformemente al dettato
della legge e della coscienza. Risulta dunque che non è vano proporre la
questione dell’usura in questi tempi e per la seguente ragione: dal denaro che
si presta ad altri si riceve molto spesso qualche interesse.
11. In modo particolare abbiamo ritenuto
opportuno esporvi queste cose, sperando che voi rendiate esecutivo ciò che da
Noi è prescritto con questa Lettera: che ricorriate anche a opportuni rimedi,
come confidiamo, se per caso e per causa di questa nuova questione delle usure
si agiti la gente nella vostra Diocesi o si introducano corruttori con
l’intento di alterare il candore e la purezza della sana dottrina.
Da ultimo impartiamo a Voi e al Gregge
affidato alle vostre cure l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso Santa Maria
Maggiore, il 1° novembre 1745, anno sesto del Nostro Pontificato.
La preghiera a Dio, praticata oggi, è quanto di più blasfemo e sacrilego si possa immaginare, ed è particolarmente questo un segno distintivo del Novus Ordo degli apostati usurpanti modernisti. Ognuno, magari in buona fede, e nella totale ignoranza delle disposizioni ecclesiastiche, che sono espressioni della volontà divina, si sente in diritto di comporre preghiere fantasiose e melodie pseudo liturgiche, modellate su motivetti alla moda accompagnati da strumentacci elettronici che definire cacofonici, sarebbe un ignobile ed eufemistico complimento. Si compongono melodie sdolcinate, testi ammiccanti a capricciose passionalità, ritmate su tempi da discoteche o dancing … un vero affronto alla sacralità dei luoghi e delle funzioni nelle quali non c’è più ritegno alcuno nello scimmiottare satanismi e diavolerie varie. Eppure la preghiera liturgica, o in comune per le pubbliche calamità, è preghiera che deve rispondere a precisi criteri che solo la Chiesa può stabilire. Tutto ciò che esula da questo controllo o da regole di fede ben determinate, è solo sacrilegio e blasfemia, superstizione ed idolatria nel migliore dei casi, e quindi offesa diretta a Dio. È quello che leggiamo in questa lettera enciclica di un Santo Padre particolarmente edotto nelle pratiche liturgiche, come S. S. Benedetto XIV: « … spetta unicamente all’Autorità Ecclesiastica stabilire e prescrivere quelle preci, in quanto a nessun potere secolare è consentito decidere e stabilire per legge che si innalzino pubbliche preghiere, sia per rendere grazie a Dio per qualche beneficio ricevuto, sia per implorare il Suo aiuto in un momento di grave difficoltà » – « … il Sacro Concilio Tridentino ha diffidato dall’accogliere nella celebrazione delle Messe, preghiere “…. che non siano quelle approvate dalla Chiesa e che non siano state accolte per assidua e lodevole consuetudine” …. Basterebbe solo questa citazione per comprendere che l’attuale setta del Novus Ordo, guidata truffaldinamente dal “Gatto e la Volpe”, è la vera sinagoga di satana delle profezie dei sacri Testi biblici, la setta dalla quale viene l’anticristo, che travestito da angelo di luce, si spaccerà e si farà adorare come Dio … ma non usiamo il futuro, perché il signore dell’universo è già messo sugli altari del Novus Ordo ed adorato con l’offerta del Corpo e Sangue di Cristo, come nelle infernali agapi rosacrociane. Anche le preghiere fatte da chi si spaccia per autorità ecclesiastica senza esserlo canonicamente, sono sacrilegi orrendi ed attirano maledizioni tremende, come già Malachia ci ha avvertito nei suoi scritti: et maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis…
In attesa dell’intervento del Cristo, che con il soffio della sua bocca brucerà l’anticristo ed i suoi adepti del Novus Ordo e satelliti, leggiamo la lettera odierna:
S. S. Benedetto XIV
Quemadmodum preces
Come è sommamente giusto innalzare
preghiere a Dio in favore dei Principi, così conviene che le formule delle
stesse preci siano conformi a quelle che la Chiesa ha adottato; soprattutto poi
se tali preghiere sono da recitare durante la celebrazione delle Messe. Inoltre spetta unicamente
all’Autorità Ecclesiastica stabilire e prescrivere quelle preci, in quanto a
nessun potere secolare è consentito decidere e stabilire per legge che si
innalzino pubbliche preghiere, sia per rendere grazie a Dio per qualche
beneficio ricevuto, sia per implorare il Suo aiuto in un momento di grave
difficoltà.
1. Come Voi ben sapete, San Paolo, nella
prima [lettera] a Timoteo, cap. 2, così si esprime: “Chiedo, domando,
invoco, anzitutto, che le pubbliche preghiere, le orazioni, le suppliche, le
azioni generose siano rivolte a pro di tutti gli uomini, a pro dei Sovrani e di
tutti coloro che stanno ai vertici del potere” (1Tm 2,1-2). Che se poi
è consentito a questo punto indicare la prassi che la Chiesa primeva seguiva
nelle orazioni e nelle preci per offrire i Principi a Dio, hanno potuto
renderla abbastanza manifesta la lettera di San Dionigi, Vescovo Alessandrino,
al Governatore Emiliano; Tertulliano nel libro Ad Scapulam e nell’Apologetico;
San Cipriano nell’Epistola a Demetriano;Origene nella Risposta
a Celso e Atenagora nella sua ambasceria presso gl’Imperatori, in favore
dei Cristiani.
2. Essi, invero, per molti versi sono d’accordo circa il modo di professare la propria fede e di pregare. Parimenti nelle celeberrime addizioni della lettera di San Celestino ai Vescovi della Gallia, cap. 11, si legge: “Rivolgiamo l’attenzione anche ai vincoli delle preghiere sacerdotali… affinché la legge della preghiera sancisca la legge della fede“.Da qui deriva che occorre adottare nelle pubbliche preghiere le formule prescritte dalla Chiesa, soprattutto se si tratta di orazioni che devono essere recitate nella Messa, come si è detto. Quindi anche il Sacro Concilio Tridentino ha diffidato dall’accogliere nella celebrazione delle Messe, preghiere “che non siano quelle approvate dalla Chiesa e che non siano state accolte per assidua e lodevole consuetudine“. Perciò nel Messale Romano esistono quasi per ogni circostanza, pie e devote orazioni, desunte opportunamente dagli antichi e venerabili testi sacri.
3. Per la verità, non pensiamo di
procedere troppo oltre; anzi Noi crediamo di mantenerci sicuramente entro i
giusti limiti della Nostra Autorità, quando sosteniamo che solo alla Potestà Ecclesiastica
e non già a quella secolare compete la facoltà di regolare le questioni
Ecclesiastiche e spirituali. Quel grande Osio, Vescovo di Cordova, in una
lettera relativa a coloro che conducevano vita solitaria presso Sant’Atanasio,
così scrisse all’Imperatore Costanzo circa la libertà ecclesiastica: “Non
intrometterti nelle questioni ecclesiastiche né dettar legge a Noi in questa materia,
ma piuttosto apprendila da Noi. A Te Dio affidò l’Impero, a Noi affidò tutto
ciò che appartiene alla Chiesa… Evita di renderti colpevole di grave delitto,
avocando a Te ciò che compete alla Chiesa. Sta scritto: A Cesare ciò che è di
Cesare; a Dio ciò che è di Dio“.
4. Riferendoci poi a tempi più vicini e
al fatto che diede occasione a questa Nostra lettera, affermiamo che lo stesso
tribunale laico aveva abrogato e stracciato i Decreti di un certo magistrato
con i quali erano state indette pubbliche preghiere per i Principi: esso aveva
reso noto che tali Decreti erano destituiti d’ogni autorità e di ogni forza
legale. Non molti anni addietro la Sacra Congregazione del Concilio, con il
consenso dei Nostri Predecessori, pubblicamente revocò e rese inoperante un
Editto del potere secolare con cui esso, in seguito a una vittoria conseguita dal
Principe, aveva indetto un Te Deum
laudamus di ringraziamento, sebbene avesse assicurato di non voler
violare il diritto ecclesiastico, mentre senza dubbio, la stessa assicurazione
veniva di fatto smentita.
5. Affinché dunque si proceda
rigorosamente con equità e rettitudine, Vi ammoniamo e Vi esortiamo perché sia
Voi, sia altri per opera Vostra, preghiate con insistenza Dio per l’incolumità
e la felicità dei vostri Principi, come anche Noi facciamo ogni giorno per i
Principi cattolici. – Accogliete con animo sereno e lieto tutto ciò che i
poteri secolari vi chiedono perché si recitino pubbliche preghiere per loro, e
fate in modo che in esse si usi la liturgia della Chiesa e che non si recitino
nella Messa nuove e inusitate orazioni.
6. Se invece (ma stentiamo a crederlo)
qualche potere laicale, in forza di qualche usanza o consuetudine (che in
realtà deve essere definita abuso), presume di non riconoscere per nulla la
Vostra autorità, ma con atto arbitrario pretende d’indire pubbliche preghiere e
anzi osa stabilire anche una pena per chi protesta, allora parlerete anche Voi
come Osio parlò all’Imperatore. Usate argomenti che forse sono ignorati da chi
è in errore. Spiegate ad essi che non è questo il modo di pregare Dio e di
realizzare i propri voti; spiegate che essi devono rifugiarsi in Voi in quanto
Voi, sebbene scelti fra gli uomini, tuttavia, a tutto vantaggio degli uomini,
siete posti fra coloro che appartengono a Dio come dice l’Apostolo agli Ebrei;
spiegate che all’infuori di Voi nessuno può intraprendere un’opera di tal fatta
e assumere su di sé questo onore ma solo chi è chiamato da Dio come Aronne.
7. Che se poi alle vostre parole non si
presta fede, né Voi giudicate che sia opportuno procedere verso di essi
conforme ai dettami della disciplina ecclesiastica, a Voi tassativamente
prescriviamo di renderci quanto prima edotti su tali questioni, anche
trasmettendo nelle Nostre mani l’opportuna documentazione: Noi siamo infatti
pronti a compiere tutti quegli atti che i Nostri insigni Predecessori erano
soliti affrontare in analoghe circostanze. Non vogliamo infatti, una volta
chiamati davanti al supremo tribunale di Dio, essere accusati d’aver negletto i
diritti della Santa Sede. Frattanto Vi abbracciamo con paterno amore e Vi
impartiamo l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso Santa Maria
Maggiore, il 23 marzo 1743, nell’anno terzo del Nostro Pontificato.
Questa lettera enciclica di S. S. Pio X, DEL 1906, affronta il tema spinoso, per l’epoca, dei cosiddetti “mariaviti”, sacerdoti polacchi seguaci di una presunta mistica che, promuovendo un culto apparentemente cattolico, minava la sacra costituzione apostolica della Chiesa incitando alla separazione dai legittimi pastori e addirittura dalla Sede Apostolica. La vicenda andò avanti con alterne vicende, finché il Santo Padre si vide costretto ad assumere una posizione di intransigenza verso i ribelli alle legittime Autorità divinamente istituite. Quanta differenza con i comportamenti degli attuali usurpanti che, sotto un finto ed indulgete buonismo lasciano pseudo-sacerdoti ed ingannati fedeli alla mercé di lupi rapaci, falsi mistici propagatori di ancor più false rivelazioni sacrileghe, tutte a favore però – guarda caso – del modernismo della ovviamente falsa chiesa dell’anticristo o sinagoga di satana attualmente insediata nei sacri palazzi ed usurpante le diocesi di tutto l’orbe, con i risultati di scristianizzazione che tutti possiamo facilmente osservare. Qui viene ribadito il ruolo essenziale dei Vescovi nell’edificio ecclesiale, il cui fondamento portante, la pietra fondante, è il Santo Padre, il Vicario di Cristo, successore senza soluzioni di continuità del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, la cui adesione dottrinale al Magistero ordinario universale, e l’indiscussa sottomissione disciplinare è condizione “sine qua non” e garanzia di salvezza eterna dell’anima. Ma attenzione, aderire scientemente, o pure con falsa o dubbia coscienza ad un illegittimo Vescovo di Roma, come ci ha avvertito fin da quando la Chiesa ha mosso i primi passi alla conquista del mondo, San Cipriano, significa essere fuori dalla Chiesa Cattolica e quindi – senza scampo – fuori dalla via della salvezza. Ma torniamo al nostro documento apostolico, redatto in inglese, e facciamone tesoro, come per tutto il Magistero pontificio:
TRIBUS CIRCITER
ENCICLICA DI
PAPA PIUS X
SUI MARIAVITI O SACERDOTI
MISTICI DELLA POLONIA
AI NOSTRI VENERABILI FRATELLI, GLI ARCIVESCOVI DI VARSAVIA E I VESCOVI DI PLOTSK E DI LUBLINO
Venerabili Fratelli, Salute e
Benedizione Apostolica.
Circa tre anni fa questa Sede Apostolica
è stata debitamente informata che alcuni sacerdoti, soprattutto tra il clero
minore delle vostre diocesi, avevano fondato, senza il permesso dei loro
legittimi Superiori, una sorta di società pseudo-monastica, nota come i
Mariaviti o Sacerdoti mistici, i cui membri, a poco a poco, si sono allontanati
dalla retta strada e dall’obbedienza che devono ai Vescovi “che lo Spirito
Santo ha posto al governo della Chiesa di Dio”, e si sono vanificati nei
loro pensieri.
2. Ad una certa donna, che essi hanno
proclamato « santissima, meravigliosamente dotata di doni celesti, divinamente
illuminata su molte cose, e provvidenzialmente donata per la salvezza di un
mondo che sta per perire », non hanno esitato ad affidarsi senza riserve, e ad
obbedire ad ogni suo desiderio.
3. Basandosi su un presunto mandato di
Dio, si sono posti l’obiettivo di promuovere senza discriminazioni e di propria
iniziativa tra la gente, numerosi esercizi di pietà (altamente lodevoli se
giustamente eseguiti), specialmente l’adorazione del Santissimo Sacramento e la
pratica della Comunione frequente; ma allo stesso tempo hanno mosso le più
gravi accuse contro tutti i Sacerdoti e i Vescovi che si sono avventurati ad
esprimere qualche dubbio sulla santità e l’elezione divina della donna, o hanno
manifestato una qualche ostilità alla società dei Mariaviti. Un tale
passaparola ha fatto sì che ci fosse motivo di temere che molti fedeli, nella
loro illusione, stessero per abbandonare i loro legittimi pastori.
4. Così, su consiglio dei nostri
venerati fratelli, i Cardinali dell’Inquisizione generale, abbiamo fatto
emettere, come sapete, un decreto, in data 4 settembre 1904, che sopprimeva la
suddetta società di sacerdoti e ordinava loro di interrompere assolutamente
ogni rapporto con questa donna. Ma i sacerdoti in questione, nonostante
avessero firmato un documento che esprimeva la loro sottomissione all’autorità
dei loro Vescovi e che, come dicono di aver fatto, interrompevano in parte i
loro rapporti con la donna, non riuscivano comunque ad abbandonare l’impegno e
a rinunciare sinceramente all’associazione condannata. Non solo ne condannarono
poi le esortazioni e le inibizioni, non solo molti di loro firmarono
dichiarazioni audaci in cui rifiutavano la comunione con i loro Vescovi, non
solo in più di un luogo incitavano gli illusi a scacciare i loro legittimi
pastori, ma, come nemici della Chiesa, affermarono che essa è caduta dalla
verità e dalla giustizia, e quindi è stata abbandonata dallo Spirito Santo, e
che solo a loro, i sacerdoti mariaviti, è stato dato divinamente l’incarico di
istruire i fedeli alla vera pietà.
5. Né questo è tutto. Qualche settimana
fa due di questi sacerdoti sono venuti a Roma: Romanus Prochniewsky e Joannes
Kowalski, quest’ultimo riconosciuto, in virtù di una sorta di delegazione della
donna citata, come loro superiore da tutti i membri della Società. Entrambi, in
una petizione da loro scritta, come asseriscono, per espresso ordine di Nostro
Signore Gesù Cristo, chiedono al Supremo Pastore della Chiesa, o alla
Congregazione del Sant’Uffizio a suo nome, di emettere un documento concepito
in questi termini: « Che Maria Francesca (la donna sopra menzionata) è stata
resa santissima da Dio, che è la madre di misericordia per tutti gli uomini
chiamati ed eletti alla salvezza da Dio in questi giorni; e che tutti i
sacerdoti Mariaviti sono incaricati da Dio di promuovere in tutto il mondo la
devozione al Santissimo Sacramento e alla Beata Vergine Maria del Perpetuo
Soccorso, libera da ogni restrizione della legge o del costume ecclesiastico o
umano, e da ogni potere ecclesiastico e umano. . . »
6. Da queste parole eravamo disposti a
credere che i sacerdoti in questione fossero accecati non tanto dall’orgoglio
consapevole, quanto dall’ignoranza e dall’illusione, come quei falsi profeti di
cui Ezechiele scrive: « Vedono cose vane e preannunciano menzogne, dicendo: Il
Signore dice: “Il Signore non li ha mandati, mentre il Signore non li ha
mandati”. Non avete visto una visione vana e pronunciato una divinazione
menzognera: e voi dite: Il Signore dice: “Il Signore dice: mentre io non
ho parlato” » (Ezechiele XIII. 6, 7). Li abbiamo dunque accolti con pietà,
li abbiamo esortati a mettere da parte gli inganni della vana rivelazione, a
sottomettere se stessi e le loro opere alla salutare autorità dei loro Superiori,
e ad affrettare il ritorno dei fedeli di Cristo sulla via sicura
dell’obbedienza e della riverenza verso i loro pastori; e infine a lasciare
alla vigilanza della Santa Sede e delle altre Autorità competenti il compito di
confermare quelle pie consuetudini che possono sembrare più adatte per il pieno
incremento della vita cristiana, in molte parrocchie della vostra diocesi, e
allo stesso tempo ammonire i sacerdoti che sono stati giudicati colpevoli di
parlare in modo abusivo o sprezzante di pratiche ed esercizi devoti approvati
dalla Chiesa. E ci consolava vedere i due sacerdoti, commossi dalla Nostra
paterna bontà, gettarsi ai Nostri piedi ed esprimere la loro ferma volontà di
realizzare i Nostri desideri con la devozione dei figli. Hanno poi fatto sì che
ci venisse trasmessa una dichiarazione scritta che accresceva la Nostra
speranza che questi figli ingannati abbandonassero sinceramente le illusioni
del passato e tornassero sulla retta strada:
7. « Noi (queste sono le loro parole),
sempre pronti a compiere la volontà di Dio, che ora ci è stata resa così chiara
dal suo Vicario, revochiamo con grande sincerità e gioia la nostra lettera, che
abbiamo inviato il 1° febbraio di quest’anno all’Arcivescovo di Varsavia, e
nella quale dichiariamo di esserci separati da lui. Inoltre, professiamo con
grande sincerità e gioia che desideriamo essere sempre uniti con i nostri
Vescovi, e specialmente con l’Arcivescovo di Varsavia, per quanto Vostra
Santità ci ordinerà di fare. Inoltre, poiché ora agiamo in nome di tutti i
Mariaviti, facciamo questa professione di tutta la nostra obbedienza e
sottomissione in nome non solo di tutti i Mariaviti, ma di tutti gli Adoratori
del Santissimo Sacramento. Facciamo questa professione in modo speciale a nome
dei Mariaviti di Plotsk che, per la stessa causa dei Mariaviti di Varsavia,
hanno consegnato al loro Vescovo una dichiarazione di separazione da lui.
Perciò tutti noi, senza eccezione, ci prostriamo ai piedi di Vostra Santità,
professando sempre di nuovo il nostro amore e la nostra obbedienza alla Santa
Sede, e in modo speciale a Vostra Santità, chiediamo umilmente perdono per ogni
dolore che abbiamo causato al Vostro cuore paterno. Infine, dichiariamo che ci
metteremo subito al lavoro con tutte le nostre energie per ristabilire
immediatamente la pace tra il popolo e i suoi Vescovi. Possiamo affermare che
questa pace sarà veramente ristabilita molto presto ».
8. E’ stato quindi di grande piacere
molto per Noi il poter credere che questi nostri figli, così graziati, al loro
ritorno in Polonia, avesseero subito dato attuazione alle loro promesse, e per
questo ci siamo affrettati a consigliare a voi, Venerabili Fratelli, di
accogliere loro e i loro compagni, ora che hanno professato tutta l’obbedienza
alla vostra autorità, con eguale misericordia, e di ristabilirli legalmente, se
i loro atti corrispondevano alle loro promesse, alle loro facoltà per
l’esercizio delle loro funzioni sacerdotali.
– Ma gli eventi hanno ingannato le Nostre speranze, perché abbiamo
appreso da recenti documenti che essi hanno di nuovo aperto le loro menti a
rivelazioni false, e che dal loro ritorno in Polonia, non solo non hanno ancora
mostrato a voi, Venerabili Fratelli, il rispetto e l’obbedienza che avevano
promesso, ma che hanno scritto ai loro compagni una lettera del tutto contraria
alla verità e all’obbedienza genuina.
9. Ma la loro professione di fedeltà al
Vicario di Cristo è vana in coloro che, di fatto, non cessano di violare
l’autorità dei loro Vescovi. Infatti « la parte di gran lunga più augusta della
Chiesa è costituita dai Vescovi (come scriveva il Nostro Predecessore Leone
XIII di santa memoria nella sua lettera del 17 dicembre 1888 all’Arcivescovo),
in quanto questa parte, per diritto divino, insegna e governa gli uomini; quindi,
chi resiste o rifiuta loro pertinentemente l’obbedienza, si separa distingue
dalla Chiesa. D’altra parte, giudicare o rimproverare gli atti dei Vescovi non
appartiene affatto ai privati – cosa che compete per giurisdizione solo a quelli
più alti in autorità e soprattutto al Sovrano Pontefice, perché a lui Cristo ha
affidato l’incarico di nutrire non solo i suoi agnelli, ma anche le sue pecore
di tutto il mondo. Al massimo, in questioni di grave lamentela, è consentito
riferire l’intero caso al Romano Pontefice, e questo con prudenza e moderazione,
come richiede lo zelo per il bene comune, non con clamore o fraudolentemente,
perché in questo modo si allevano, o certamente aumentano, i dissensi e le ostilità.
10. Oziosa e ingannevole è anche
l’esortazione del sacerdote Johannes Kowalski ai suoi compagni in errore a
favore della pace, mentre egli persiste nei suoi discorsi stolti e negli
incitamenti alla ribellione contro i pastori legittimi e nella sfacciata
violazione dei comandi episcopali.
11. Per questo motivo, affinché i fedeli
di Cristo e tutti i cosiddetti sacerdoti mariaviti che sono in buona fede, non
siano più traviati dalle illusioni della suddetta donna e del sacerdote
Johannes Kowalski, confermiamo ancora una volta il decreto per cui la società
dei mariaviti, fondata illegittimamente e invalidamente, è interamente
soppressa, e Noi la dichiariamo soppressa e condannata, e proclamiamo che è
ancora in vigore il decreto che vieta a tutti i sacerdoti, ad eccezione di
quello che il Vescovo di Plotsk, nella sua prudenza, sostituirà come suo
confessore, di avere qualsiasi cosa a che fare con la citata donna con
qualsiasi pretesto.
12. Voi, Venerabili Fratelli, Vi
esortiamo vivamente ad abbracciare con paterna carità i sacerdoti che avendo sbagliato,
immediatamente e sinceramente si pentono, e a non rifiutarsi di richiamarli di
nuovo, sotto la vostra direzione, ai loro doveri sacerdotali, quando si saranno
stati debitamente dimostrati degni. Ma se essi, che Dio non voglia, dovessero
rifiutare le vostre esortazioni e perseverare nella loro contumacia, sarà
Nostra premura che siano trattati con severità. Studiate di ricondurre sulla
retta via i fedeli di Cristo che ora si trovano ad operare sotto un’illusione
che può essere perdonata; e promuovete nelle vostre diocesi quelle pratiche di
pietà, recentemente o da tempo approvate in numerosi documenti della Sede
Apostolica, e fatelo con tanta più alacrità ora che, con la benedizione di Dio,
i sacerdoti tra di voi sono messi in grado di esercitare il loro ministero e i
fedeli di emulare l’esempio di pietà dei loro padri.
13. Intanto, come pegno di favori
celesti e come prova della Nostra paterna buona volontà, concediamo
amorevolmente nel Signore la Benedizione Apostolica a voi, Venerabili Fratelli,
e a tutto il clero e a tutto il popolo affidato alle vostre cure e alla vostra
vigilanza.
Dato a Roma, a San Pietro, il quinto giorno di
aprile, MDCCCCVI, nel terzo anno del Nostro Pontificato.
Ancora e
sempre il nemico infernale viene snidato dal Santo Padre, Pio IX, anche in
questa parte del Nuovo Mondo, ove il serpente diabolico si era rifugiato ed
annidato onde attaccare celato ai più, e portare colpi alla santa Chiesa di
Cristo. In effetti la Massoneria ha trovato da subito ampi spazi nel continente
americano, ove ha potuto sperimentare forme di azione lontano dalle società europee
ove era già abbastanza nota, detestata ed in qualche modo combattuta. Non a
caso è nelle Americhe che hanno potuto sferrare colpi mortali i personaggi più
corrotti e malefici in assoluto della storia, mascherati da presidenti, reali, alti
dignitari, ministri, “eroi nazionali”, etc. etc., aderenti alle logge di obbedienze
varie, ma tutte guidate dai nemici del genere umano, i c. d. “superiori
sconosciuti”, assoggettati a Lucifero, come – a mo’ di esempio – i nostri
Garibaldi, Mazzini, e via discorrendo, fino agli attuali finti gesuiti dei
Paesi caldi che hanno in tutta tranquillità potuto “generare” figure
abominevoli, e così sferrare un colpo mortale alla già oltremodo saccheggiata
Chiesa Cattolica. Il Santo Padre Pio IX ancora una volta ricorda le scomuniche
riservate alla Sede Apostolica che sia i suoi predecessori, lui stessi ed i
suoi successori hanno poi confermato e che tutta sono in vigore a dannazione di
aderenti iscritti, sostenitori a qualunque titolo, in qualsiasi ambito, a
qualunque livello, sia pure come votanti alle elezioni politiche ove si
sostengono canditati di chiara estrazione massonica, ed oggi intrufolati pure
nelle strutture ecclesiastiche di tutto l’orbe. Il loro vero obiettivo, nell’infiltrare
tutta la società civile, politica, finanziaria ed ecclesiastica, è la
distruzione della Chiesa Cattolica, in particolare nella persona del Vicario di
Cristo, onde poggiare la “corona-lucifero” sul capo dell’anticristo e dei suoi
adepti infernali, gli uomini che vogliono sottomettere le bestie-cristiane e
portarle, per disposizione demoniaca, al fuoco dell’eterna perdizione. Ma come
sempre, anche questa volta, benché il piano sia stato più scaltro ed articolato
del solito, per la contraffazione della Chiesa di cui è rimasta una vuota
conchiglia, e si è trasformata nell’apparenza in una vera e propria sinagoga
satanica, guidata da mostri abominevoli e sacrileghi, il loro piano si
incepperà e “Dio … irredebit eos”
e la Vergine Immacolata … conteret
capita eorum, .. aspettare per credere, oramai ci siamo!
EXORTÆ IN ISTA
– Epistola de massonica secta –
Forte richiamo a vigilare contro le insidie delle sette e della massoneria inparticolare. Rinnova il divieto di aggregarsi a questa sotto pena di scomunica maggiore riservata al Romano Pontefice.
[Pii. IX, 29 aprilis 1876,
P. M. Acta, I/7. Pp. 210-214; ASS 9(1876), PP. 338-342]
Venerabilibus fratribus Episcopis
Brasilianæ regionibus
I disordini originati in questa giurisdizione
negli anni scorsi da persone che, benché adepte della setta massonica, si
introdussero nelle comunità dei pii cristiani, come condussero voi, venerabili
fratelli, soprattutto nelle diocesi di Olinda e Belem do Para, a un grave
tormento, così, come sapete, riuscirono molto moleste e dolorose al nostro
animo. Infatti non potevamo considerare senza dolore il fatto che la peste
letale, di quella setta si era diffusa fino a corrompere le predette comunità, e
di conseguenza le istituzioni disposte per rinforzare lo spirito sincero della
fede e della pietà, dopo che vi era stata sparsa sopra la funesta messe della zizzania,
erano precipitate in una misera condizione. Noi perciò, richiamati dal Nostro
dovere apostolico e sotto lo sprone della paterna carità, con la quale seguiamo
questa parte del gregge di Dio, ritenemmo di dover affrontare senza esitazione
questo male e con la lettera del 29 maggio 1873 facemmo giungere a te,
venerabile fratello di Olinda, la nostra voce contro questo deplorevole
pervertimento entrato dentro le comunità cristiane, osservando tuttavia un
criterio di indulgenza e clemenza verso quanti erano diventati seguaci della
setta massonica perché ingannati e illusi, quello cioè di sospendere per un tempo
congruo la riserva delle censure nelle quali essi erano incorsi, volendo che
essi approfittassero della nostra benignità per esecrare i loro errori e abbandonare,
condannandole, le associazioni in cui erano entrati. Ti incaricammo inoltre, venerabile
fratello di Olinda, di sopprimere e di dichiarare soppresse le predette comunità
se, trascorso quel periodo di tempo, non si fossero ravvedute e di ricostituirle
integralmente con le modalità che avevano all’origine, inserendo nuovi membri
immuni da ogni contaminazione con la massoneria. Noi inoltre, desiderando
mettere in guardia – come è nostro dovere – tutti i fedeli contro le astuzie e
le insidie dei membri delle sette, nella lettera enciclica indirizzata ai vescovi
di tutta la cattolicità il 21 novembre 1873, richiamammo con chiarezza in
quella occasione alla memoria dei fedeli le disposizioni pontificie emanate contro
le corrotte società degli aderenti alle sette e proclamammo che nelle
costituzioni venivano colpite non solo le associazioni massoniche costituite in
Europa, ma anche tutte quelle che si trovano in America e nelle altre regioni
di tutto il mondo. Non potemmo quindi non stupirci vivamente del fatto che, essendo
state tolte con la Nostra autorità e con decisioni miranti alla salvezza dei
peccatori gli interdetti a cui in queste regioni erano state sottoposte alcune
chiese e comunità composte in gran parte da seguaci della massoneria, fu tratta
da ciò l’occasione per diffondere tra la gente la convinzione che la società massonica
presente in queste regioni era esclusa dalle condanne delle regioni apostoliche
e quindi che le stesse persone aderenti alla setta potevano tranquillamente
fare parte delle comunità dei pii Cristiani. Ma quanto queste opinioni siano lontane
dalla verità e dal nostro modo di sentire, è dimostrato con chiarezza sia dagli
atti che abbiamo ricordato prima, sia dalla stessa lettera scritta al serenissimo
imperatore di codeste regioni il 9 febbraio 1875 nella quale, mentre
garantivamo che sarebbe stata revocata l’interdizione gravante su alcune chiese
di codeste diocesi se voi, venerabili fratelli, tenuti ingiustamente in carcere
a Para e a Olinda, foste stati rimessi in libertà, aggiungemmo tuttavia una
riserva e una precisa condizione, cioè che i seguaci della massoneria fossero
rimossi dagli incarichi che occupano nelle comunità. E questa condotta
suggerita dalla Nostra prudenza non ebbe e non avrebbe potuto avere altro proposito
se non che, esauditi da parte Nostra i desideri dell’imperatore e ripristinata
la tranquillità degli animi, offrissimo al governo imperiale l’opportunità di restituire
all’antica condizione le pie comunità togliendone l’inquinamento portato dalla
massoneria e nello stesso tempo far sì che gli uomini della setta condannata,
mossi dalla Nostra clemenza verso di loro, procurassero di sottrarsi alla via della
perdizione. E affinché in una questione così grave non possa restare alcun
dubbio né alcuna possibilità di inganno, non tralasciamo di dichiarare
nuovamente in questa occasione che tutte le società massoniche, sia di queste
regioni sia esistenti altrove, delle quali da parte di molti, o tratti in
inganno o traenti essi in inganno, si dice che mirino soltanto all’utilità e al
progresso sociale e alla pratica dell’aiuto reciproco, sono vietate e colpite
dalle costituzioni e dalle condanne apostoliche, e che quanti malauguratamente
si sono iscritti alle medesime sette incorrono per questo solo fatto nel più
grave provvedimento della scomunica riservato al Romano Pontefice. Né con minore
sollecitudine raccomandiamo al vostro zelo che in queste regioni la dottrina
religiosa venga trasmessa diligentemente al popolo cristiano con la
predicazione della parola di Dio e gli opportuni insegnamenti; sapete infatti
quale utilità deriva al gregge di Cristo da questa parte del ministero se viene
esercitata bene, quali danni gravissimi se viene trascurata. – Ma oltre agli argomenti
trattati qui, siamo costretti a deplorare l’abuso di potere da parte di coloro
che presiedono le già ricordate comunità, i quali, come appunto ci è stato
riferito, revocando ogni cosa secondo il loro arbitrio, pretendono di
attribuirsi una illegittima autorità sui beni e le persone sacre e sulle cose
spirituali, in modo tale che gli ecclesiastici e gli stessi parroci sono
completamente assoggettati al potere di quelli nel compimento dei doveri del
loro ministero. Questo comportamento è affatto contrario non solo alle leggi
ecclesiastiche, ma allo stesso ordine costituito da Cristo Signore nella sua
Chiesa; infatti i laici non sono stati posti a capo del governo ecclesiastico, ma
per loro utilità e per la loro salvezza devono essere sottoposti ai legittimi Pastori
ed è loro compito offrirsi come aiutanti del clero per le singole situazioni, mentre
non devono intromettersi in quelle cose che sono state affidate da Cristo ai sacri
pastori. Perciò non conosciamo niente di più necessario del fatto che gli
statuti delle predette comunità siano redatti secondo il retto ordine e quanto
in essi è fuori dalla norma e incongruo per qualche aspetto venga reso
perfettamente conforme alle regole della Chiesa e alla disciplina canonica. Per
raggiungere questo fine, venerabili fratelli, Noi, considerate le relazioni che
intercorrono tra le comunità stesse e il potere civile, in ciò che concerne la
loro costituzione e il loro ordinamento nelle cose temporali abbiamo già dato
al nostro Cardinale Segretario di Stato gli opportuni mandati per agire insieme
col governo imperiale e concertare con lo stesso gli sforzi utili per ottenere
i risultati desiderati. Confidiamo che l’autorità civile unirà al Nostro il suo
sollecito interessamento per questo e preghiamo con ogni Nostra forza Dio, dal
quale provengono tutte le cose buone, perché si degni di accompagnare e sostenere
con la sua grazia quest’opera attinente alla tranquillità della Religione e
della società civile. Anche voi, venerabili fratelli, unite le vostre preghiere
alla Nostre, perché questi desideri si realizzino e in pegno del Nostro sincero
amore ricevete l’apostolica benedizione, che a voi e al clero e ai fedeli
affidati alla cura di ciascuno di voi, impartiamo di cuore nel Signore.
Roma, presso San Pietro, 29
aprile 1876, anno XXX del Nostro pontificato.
L’Adeo nota, è una delle encicliche che il Santo Padre Pio VI scrive in occasione dei moti rivoluzionari francesi che miravano, sotto la direzione degli Illuminati e delle logge sataniche, a colpire la società francese, ma soprattutto la Chiesa e la Religione Cattolica. In realtà tutte le rivoluzioni dei tempi moderni del neopaganesimo risorgimentale hanno mirato unicamente, sotto coperture politiche o sociali, a destabilizzare il Regno di Cristo ed affermare il motto luciferino: “Non serviam”. Qui alla Santa Sede viene sottratto il territorio di Avignone e del contado annesso, ma le cose vanno ben oltre, nel senso che si mira allo scisma ed alla distruzione della giurisdizione gerarchica in seno alla Chiesa francese. Nulla di dissimile oggi, quando le forze della sovversione – mascherate da finta democrazia asservita alle logge e, attraverso di loro, a coloro che odiano Dio, la Chiesa di Cristo e tutti gli uomini – oltre ad aver posto il dominio su tutto l’ambito politico e finanziario internazionale, agiscono fomentando scismi a catena dalla vera Chiesa Cattolica, oggi eclissata e ridotta in anfratti e sottoscala. Cosa sono infatti i falsi vescovi delle sette scismatiche lefebvriane o sedevacantiste che non hanno alcuna missione canonica, né uno straccio di giurisdizione, sovrapponendosi fraudolentemente ad autorità anch’esse invalide perché non in comunione col vero Vicario di Cristo, perseguitato ed in cattività. È una epidemia di scismi ed eresie pronunciate in nome di una pseudo-tradizione che però si sgancia da ogni regola dottrinale circa la gerarchia ecclesiastica (oggi, visto il traballare delle prime linee, si sono chiamati a resistere alla vera Chiesa, anche – ridicoli – triari!!). Si è costituito un mondo totalmente sacrilego – quanti Malieri in giro – ed ancor più tenebroso del Novus ordo, chiaramente divenuto tentacolo della piovra oggi incoronata dal Kether Malkhuth, come ci fanno sapere i mass media satanico-mondialisti che ci propinano i successi nefasti e terrorizzanti della “Corona” luciferina (chi ha intelletto comprenda!). Abbiamo qui in questa lettera, la cronaca dolorosa del primo attacco frontale delle forze delle tenebre verso la Chiesa, attacco che poi è stato portato dall’interno di essa dalla quinta colonna gestita dalle logge Ecclesia & C. Il Santo Padre Pio VI, che avrebbe poi personalmente provato sulla propria pelle la violenza dei satanisti organizzati, protesta vibratamente contro le decisioni del direttorio insediato dagli Illuminati. Oggi una voce simile è stata silenziata e sostituita da quella di un fantoccio partorito dalle sette d’oltreoceano. Ma nessun problema, il Cattolico sa che, come Cristo, sarà perseguitato e martirizzato, e sa che tutto questo sarà di gran merito per lui, per cui noi del pusillus grex, ringrazieremo di cuore chi ci farà soffrire nel corpo e nell’anima, perché ci darà l’occasione di testimoniare il Nome del Redentore e così conquistare la vita eterna, come promesso infallibilmente dal Salvatore Gesù.
Pio VI
Adeo nota
1. Sono così noti e divulgati presso le Nazioni i delitti perpetrati contro le leggi del santuario sia ad Avignone sia nel Contado Venesino di Nostra giurisdizione, e contro i diritti di sovranità, tanto che non hanno bisogno di lunga e particolareggiata descrizione. – Gravemente infatti si è peccato contro di Noi da parte di ambedue i popoli; ma la defezione del popolo avignonese è assai peggiore di quella del popolo del Contado. Gli Avignonesi infatti, per nulla preoccupati d’aver seguito la malvagità di pochi uomini che, per Nostra clemenza, erano sfuggiti alle pene dovute per i loro delitti, come se avessero impugnato con le loro mani il vessillo della ribellione, hanno tanto progredito in prepotenza, da indurre quelli del Contado, anche a mano armata, a formare con loro una nefanda società e a costringere a seguire il loro partito sia quelli del Contado sia gli Avignonesi che si fossero opposti, convincendoli con ogni genere di minacce, di stragi e di supplizi.
2. Ma di codesto delitto, come di altri, non parleremo; possono essere di validissima prova i rispettabili cittadini e gli uomini di Chiesa rapiti a morte, la città di Chalon sur S. occupata con la forza e saccheggiata, le irruzioni ostili nella città di Carpentras, ed altri generi di sfrenata violenza, che macchieranno gli scellerati autori di eterna ignominia e d’infamia. Essi infatti, imitando la crudeltà di Giasone, nemico delle patrie leggi e di Dio, come le sacre pagine di lui attestano, al fine di allontanare i cittadini e quelli del contado dalle leggi della patria e di Dio, non risparmiarono di stragi i loro concittadini, né pensarono che la prosperità acquisita contro gli amici fosse il massimo dei mali, come se essi catturassero trofei di nemici, non dei concittadini: degni perciò che essi, non diversamente come fu di Giasone (II Macc. capp. IV-V), fossero dichiarati a tutti odiosi, dissacratori delle leggi e traditori della patria.
3. Fra il popolo cominciarono a
diffondersi la causa e il peso di quelle ribellioni, dalle quali il popolo era
oppresso sempre di più. Ma quando a ciascuno parve chiaro che la motivazione di
tutto ciò era assolutamente fittizia e piena di calunnia, in quanto gli Avignonesi
e il popolo del Contado, oppressi da nessun genere di tasse, usufruivano di un
regime tanto leggero e temperato che le altre Nazioni invidiavano, non senza
motivo, la loro felicità, apparve evidente che l’unica vera causa era il
desiderio di una sfrenata libertà: per raggiungere la quale si dichiarò essere
necessaria l’integrale Costituzione dell’Assemblea Francese che s’impegna tanto
nelle materie politiche quanto in quelle ecclesiastiche e religiose, e porta ad
una maggiore e più duratura felicità, e conseguentemente i popoli di Avignone e
del Contado passassero sotto la sovranità francese.
4. Fra queste scellerate perversità non
abbiamo cessato di manifestare all’uno e all’altro popolo quanta e quale sia la
Nostra benevolenza di padre e di sovrano verso gl’ingrati. Fu infatti Nostra
cura, non senza rilevante dispendio dell’erario pontificio, liberare tali
popoli dagl’impegni incombenti con grande carità; e li abbiamo paternamente
ammoniti di guardarsi dalle insidie occulte, che si offrivano loro, alla Religione
e anche alla pubblica utilità sotto la chimera della libertà. Se tuttavia per
la stessa varietà dei tempi, od anche per l’umana prevaricazione, fosse insorta
qualche trasgressione contro le leggi, o si fosse introdotto qualche abuso
particolare, abbiamo apertamente dichiarato che Noi, ascoltate le Comunità,
avremmo prestato la Nostra opera e l’aiuto perché tutto ritornasse, con la
debita correzione, al retto ordine. E affinché nessuno dubitasse che per quanto
era in Nostro potere saremmo intervenuti con la Nostra autorità, abbiamo
immediatamente deliberato di inviare costà il diletto figlio Giovanni
Celestini, uomo ben noto a molti ad Avignone, gestore di affari del Contado
Venesino, affinché al più presto raggiungesse Avignone e Carpentras, ed ivi, col
Nostro pro-legato e con i più esperti e prudenti cittadini trattasse di quei
capitoli, cioè di quei punti che soprattutto si desiderava conoscere, affinché
con voti unanimi potessimo assecondare la determinazione di quelle cose che
fossero giudicate convenienti ed opportune. In tal senso si espressero due
Nostre lettere in forma di Breve, l’una scritta il 21 aprile dell’anno scorso
ai diletti figli nobili e al popolo della Nostra città di Avignone, l’altra
scritta il 24 febbraio dello stesso anno al Venerabile Fratello il Vescovo di
Carpentras, e ai diletti figli designati dai comizi generali della stessa
città.
5. Ma del tutto inutili furono i Nostri
benefici, inutili le paterne ammonizioni, inutile il viaggio del delegato.
Infatti, i cittadini di Avignone, costretti poco legalmente ad intervenire ad
una riunione per sostenere quei decreti che avevano estorto al Nostro
pro-legato, e che da Noi erano già stati dichiarati nulli e irriti, gli
Avignonesi, diciamo, costretti alla riunione rifiutarono di accogliere il
delegato e minacciarono persino che l’avrebbero ritenuto un perturbatore
pubblico se avesse messo piede in città o nel territorio. Inoltre cercarono il
modo di esautorare il diletto figlio Filippo Casoni, pro-legato, e gli altri
Nostri ministri, fra i quali non mancò chi, per le insidie subite, fu costretto
a darsi alla fuga; infine presero la decisione di sottomettersi alla
giurisdizione e al comando del carissimo in Cristo figlio Nostro il
cristianissimo Re delle Gallie, e a questo fine furono mandati deputati allo
stesso Re e all’Assemblea Francese. Da questo momento per mezzo della
Municipalità fu ordinato allo stesso pro-legato di allontanarsi da Avignone; ed
effettivamente egli partì il 12 giugno 1790, avendo prima espresso le proteste
del caso sia a voce davanti agli stessi ufficiali della Municipalità, che gli
avevano ordinato di andarsene, sia con uno scritto davanti a testimoni, poiché
ad Avignone non si trovò alcun notaio che registrasse quelle proteste. Pertanto
lo stesso pro-legato, partito per Carpentras, rinnovò tosto le proteste il 16 e
il 21 del medesimo mese davanti al notaio Oliveiro, cancelliere della Rettorìa,
e ordinò che esse fossero conservate fra gli atti della Segreteria, affinché
non morisse mai il ricordo di tale evento. Nello stesso tempo da parte
dell’Assemblea di Avignone fu pensato all’adeguamento delle materie politiche
ed ecclesiastiche con la Costituzione generale dell’Assemblea Francese, e per
far questo rapidamente si operò con tale e tanto furore da ogni parte, che
nulla di simile nessuno vide neppure nei comizi Gallicani.
6. Da questo derivò che da una parte al legittimo ed antico principato subentrò un misero stato di anarchia, e dall’altra furono tolte dai canoni leggi secolari, sì da sovvertire la sacra gerarchia, l’autorità della Chiesa e la stessa Religione Cattolica. Infatti le Chiese furono spogliate dei loro beni; le suppellettili d’argento furono rubate; i sacri vasi sottratti da mani sacrileghe e trasportati a Marsiglia col ricavo di ingenti somme di danaro; infranti i recinti dei monasteri; maltrattate le sacre vergini e costrette a bussare ad altri monasteri o a ritornare ai patrii lari. Inoltre con pubblico editto del 30 novembre dello scorso anno, sia al Venerabile Fratello Arcivescovo di Avignone, che si era ritirato a Villanova, località della sua Diocesi, sia a tutti i parroci e a tutti gli uomini di Chiesa si ordinava che nel più breve spazio di tempo si portassero ad Avignone ed ivi si vincolassero con giuramento alla civica religione: giuramento dal quale nacque la causa maggiore di tutti i mali. Se fosse stato altrimenti, tutti avrebbero dovuto ritenersi decaduti dal loro grado e le loro Chiese ugualmente, come se mancassero del loro Pastore. – Questo atto Ci richiama alla mente quello scellerato editto contro i buoni e legittimi Pastori emanato dall’imperatore Costante su consiglio e per iniziativa degli Ariani: il che tutti gli scrittori hanno condannato con giustificato orrore. Infatti, anche questo editto, mentre praticamente chiedeva un impegno dagli ecclesiastici, al contempo formulava minacce concepite con queste parole: “O firmate, o vi allontanate dalle Chiese“.
7. Alle minacce contenute nell’editto risponde un episodio pieno di profana scelleratezza e traboccante immane sacrilegio. – Infatti il 26 febbraio di quest’anno entrò nella Chiesa cattedrale un ufficiale municipale, di nome Duprazio, abile nell’uso delle armi, con la spada nella mano destra, seguito da un ingente reparto di soldati del Comitato. Egli osò costringere i Canonici della Chiesa, che stavano uscendo dal coro, ad entrare nella sala capitolare per eleggere, in nome della Municipalità, un Vicario capitolare, col pretesto che, secondo i decreti dell’Assemblea Gallicana adottati dagli Avignonesi, dovevano ritenere l’Arcivescovo civilmente morto e la sua Chiesa priva del pastore perché egli da qualche tempo non si trovava ad Avignone e non aveva prestato il giuramento civico.
8. I Canonici negarono di poter eseguire quell’ordine, contrario a tutte le regole della Chiesa, ma l’ufficiale minacciò che non li avrebbe lasciati muovere piede da lì finché non avessero eletto il Vicario. Allora i Canonici chiesero che si facesse venire un notaio, il quale recasse la testimonianza della violenza loro inferta. Ma, rifiutata la loro richiesta, l’ufficiale
presentò loro una carta nella quale erano scritti otto nomi di uomini, fra i
quali dovevano scegliere il Vicario, e nello stesso tempo fece chiamare ed
introdurre il notaio Poncezio e il segretario della Municipalità Escuierio,
affinché presenziassero alla elezione. Invano i Canonici si opposero
nuovamente, ma, costretti a dare il proprio voto, le cose si svolsero in modo
tale che nessuno potesse dirsi regolarmente eletto. Infatti, dei dieci Canonici
presenti in capitolo, il Canonico della Cattedrale Malierio ebbe soltanto
quattro voti, l’altro Canonico della Cattedrale Depretis due voti e altrettanti
Messangeanio, Canonico della Collegiata di San Genesio; gli altri cinque nessun
voto. Tuttavia Duprazio volle che siffatta elezione di Malierio, per il quale
non la maggior parte del capitolo, com’è prescritto, ma solo quattro avevano
votato, fosse ritenuta valida; volle inoltre che i canonici, sebbene contrari e
riluttanti, la sottoscrivessero con la loro firma; e con la minaccia di gravi
pene vietò ai notai della città, tanto ai presenti quanto agli assenti, di
registrare nei loro atti qualsiasi protesta dei Canonici.
9. Quando l’ufficiale ebbe estorto ai
Canonici questa fittizia elezione che i voti e i consigli della Municipalità
chiedevano, simulò di non ricordare affatto se il civico giuramento fosse stato
prestato dagli stessi Canonici. Pertanto si adoperò affinché lo prestassero. Ma
rifiutando i Canonici di volersi vincolare con quel tipo di giuramento, come
egli stesso aveva previsto, tosto, in nome della Municipalità, dichiarò che il
Capitolo era estinto e che d’ora in poi i Canonici non potevano svolgere nessun
ufficio nella Chiesa e in alcun modo formare un solo corpo e riunirsi.
10. Benedetto Francesco Malierio era così avanzato in età da somigliare ad Eleazaro, illustre vecchio della storia sacra: poteva anch’egli lasciare alla gioventù e a tutto il popolo un glorioso esempio, cercando di imitarlo mediante importantissime e santissime leggi. Ma egli si comportò molto diversamente da Eleazaro, il quale, reputando nel suo animo che più dell’età, della veneranda vecchiaia, della nobile canizie era preferibile una gloriosissima morte, piuttosto che abbracciare una vita odiosa, decise di non fare cose illecite per un breve tempo di vita corruttibile. -Invece Malierio, non solo davanti ai
soldati presenti nell’aula capitolare non rifiutò l’ufficio di Vicario
capitolare, che, essendo ancora vivo il suo Arcivescovo, le leggi della Chiesa
e quelle più sante di Dio vietavano potesse essere trasferito a chicchessia, ma
lasciato totalmente libero ringraziò pubblicamente la Municipalità, e il 6
marzo – dopo la Messa celebrata dal sacerdote dell’Oratorio, Mouvansio vestito
dell’insegna municipale sopra i sacri paramenti – non esitò ad iniziare in
Cattedrale, con un rito più solenne, l’ufficio che gli era stato affidato e a
prenderne possesso in mezzo ai soldati. Inoltre non disdegnò ricevere gli elogi
che gli venivano fatti, come se fosse la colonna della rivolta, sia da
Ricarzio, prefetto della città, sia da Vinaio, sostituto procuratore della
stessa; infine non tardò ad aggiungere a tutte queste cose un’altra
scelleratezza. Infatti davanti a tutti si vincolò con il civico giuramento
verso la Nazione, le leggi e il Re della Francia, usando tali parole che neppure
i più sfrontati usavano in Francia, e promise di rispettare anzitutto la civile
Costituzione del clero, qualsiasi ostacolo si frapponesse e qualsiasi critica
venisse mormorata contro di lui, sia dai nemici che lo guardavano di traverso,
sia dagli amici dai quali si vedeva abbandonato.
11. Per confermare ciò ancor più coi
fatti, lo stesso giorno comandò che si facesse pervenire ai parroci un certo
scritto in cui parlava di sede vacante, ed osava sciogliere il vincolo del
precetto quaresimale. Il giorno 9 dello stesso mese, con un altro scritto
simile, interdisse dai loro uffici tutti coloro che in qualsiasi modo
presiedevano ai seminari, perché avevano rifiutato di prestare giuramento;
eliminò due seminari; e infine con tanta temerarietà, quanta nessuno a stento
possa credere, con lettera del 5 dello stesso mese Ci informò della sua
elezione, pregandoci di non disapprovarla affatto. Che le cose stiano così
nessuno dubiterà, senza che egli cerchi di attribuire la vergogna e il
giuramento alla propria vecchiaia.
12. La città di Avignone si è comportata
con Noi secondo codesto criterio. Per quanto riguarda la città di Carpentras e
le altre comunità del Contado, Ci arrideva la speranza che sarebbero tornate in
breve tempo ai loro doveri. Esse infatti, costrette ad un’assemblea
rappresentativa, non solo accolsero il pro-legato espulso da Avignone e
Giovanni Celestini mandato da Roma, ma il 27 maggio dell’anno scorso
dichiararono apertamente che avrebbero abbracciato la Costituzione Francese
solo in ciò che conveniva ai loro interessi, al loro paese e alle circostanze,
e che potesse accordarsi con l’ossequio a Noi dovuto, ed affermarono di voler
rimanere sempre sotto il Nostro governo e la Nostra giurisdizione. Ma poi, a
seguito di violenze o di allettamenti o di insidie dei rivoltosi di Avignone,
esse mostrarono apertamente che veneravano il Sommo Pontefice e onoravano i
suoi ministri soltanto formalmente, ma in realtà i loro consigli a null’altro
miravano se non che il Pontefice e i suoi ministri approvassero, sancissero ed
eseguissero tutta la Costituzione Francese sia per gli affari ecclesiastici,
sia per quelli politici.
13. Senza dire con inutili parole tutte
le deliberazioni prese dall’Assemblea del Contado, basterà citare quei
diciassette articoli dove i diritti dell’uomo erano pressappoco accolti come
erano stati spiegati e proposti nei decreti dell’Assemblea Francese, ossia quei
diritti che erano contrari alla Religione e alla società; essi venivano accolti
come fossero base e fondamento della nuova Costituzione. Altrettanto basterà
ricordare gli altri diciannove articoli, che erano i primi elementi della nuova
Costituzione, presi e attinti dalla stessa fonte della Costituzione Francese.
Pertanto, poiché non poteva assolutamente accadere che Noi sancissimo tali
deliberazioni e che i Nostri ministri, dovunque fossero, le osservassero,
avvenne che l’Assemblea rappresentativa tosto manifestasse quel furioso ardore
di ribellione per il quale già da tempo combatteva e che fino ad oggi aveva
nascosto.
14. Perciò, presa dall’odio nei confronti del Nostro pro-legato perché non aveva accolto le sue richieste né aveva prestato il giuramento civico, l’Assemblea lo spogliò di qualsiasi potere giurisdizionale e dichiarò che non poteva più considerarlo come Nostro ministro. Né diversamente si agì nei confronti del diletto figlio Cristoforo Pieracchi, rettore di Carpentras, e di tutti gli altri ministri pontefici. Poscia in luogo del pro-legato fu istituito un nuovo tribunale, furono nominati tre conservatori di stato, e furono mandati a Noi due deputati preparati secondo un preciso ordine pieno d’arroganza e d’insulti, indice di aperta defezione: questa la ragione per cui abbiamo negato qualsiasi udienza a deputati siffatti. – Esautorati così i Nostri ministri, Giovanni Celestini dovette ritornare a Roma, e gli altri delegati pontifici, allontanatisi di là, giunsero prima ad Aubignano, luogo vicino a Carpentras, poscia a Bucheto, vicino ai confini del Contado Venesino, quindi, crescendo il tumulto, a Montelimarzio, nel Delfinato, e infine a Camberiaco, ove il 5 marzo di quest’anno rinnovarono le opportune proteste, curando di farle inserire negli atti della cancelleria vescovile.
15. Chi mai avrebbe creduto che questa partenza dei Nostri ministri, determinata da nessun’altra causa se non che essi erano stati spogliati di ogni giurisdizione e vedevano la loro vita in pericolo, come dimostrano le loro ripetute e frequenti proteste, che questa partenza – ripetiamo – sarebbe stato l’appiglio per il Consiglio municipale di Carpentras e per altre comunità di raccontare e ripetere alla gente che i popoli erano stati abbandonati dal loro Principe? – Sciolti pertanto dal giuramento di fedeltà, potevano, se volevano, sottomettersi al Re cristianissimo, come in realtà essi decretarono di fare. – Il popolo Avignonese e del Contado si sottrasse alla Nostra sovranità osando violare le leggi umane e divine. Ma Noi mai pensammo di abbandonare quei popoli, e pertanto presteremo la Nostra opera e daremo il Nostro aiuto in futuro, come in passato, affinché ritornino a Noi. Per questa ragione a coloro che si fossero allontanati da Noi abbiamo perdonato, senza alcuna condizione. Ma questo singolare atto della Nostra clemenza, sia ad Avignone sia a Carpentras, fu accolto con sfrenata arroganza e furono anche adottate dall’una e dall’altra parte deliberazioni indegne, che è meglio passare sotto silenzio e coprire con le tenebre, piuttosto che metterle in luce.
16. Ma non per questo il Nostro amore venne meno. Non
ignoriamo infatti, Venerabili Fratelli, che non v’è nessuno fra voi che
non detesti con grande orrore i delitti fin qui commessi e da essi non si
allontani, per meglio adempire al suo ufficio di pastore. Sappiamo anche che
fra voi, diletti figli, canonici, parroci, ed ecclesiastici di Avignone e del
Contado vi sono molte persone eccellenti per virtù, accese di fervore
religioso, pronte per ciò a sopportare qualsiasi sacrificio per difendere la
causa di Dio, della Chiesa e della Patria. Sappiamo infine, diletti figli, che
nel vostro nobile e civico rango si trovano molti dotati di apprezzabile
devozione verso la Chiesa e di ottimo animo verso di Noi, sia ad Avignone, sia
molto di più nel Contado, dove intere comunità conservano intatte ed intemerate
la Religione e la fedeltà. Da qui, ammaestrati dalla divina sapienza, deduciamo
che abbiano ragione i probi e i giusti; conseguentemente sopportiamo con
mansuetudine i cattivi. E quantunque scorgendo tanti delitti siamo afflitti da
grandissimo dolore, vogliamo tuttavia parlare paternamente agli uni e agli
altri, affinché i buoni perseverino nel proposito di bene, e i cattivi vi
ritornino e, con la penitenza, purghino le loro colpe. Inoltre, giacché
scriviamo per questo tempo, nulla è più santo di ciò che porta con sé il giorno
della riconciliazione e della pace. – Non siamo pertanto inorriditi per le cose
contrarie che sono avvenute sia costà che nel regno dei Galli, come se Dio Ci
avesse abbandonato. Ma
pensiamo e reputiamo che le cose siano accadute sia per i Nostri peccati, sia
per quelli del popolo, e non per la morte, ma per la correzione della Nostra
stirpe. Pertanto confidiamo che in futuro il Dio ottimo e massimo,
davanti al quale tanto spesso Ci siamo prostrati per chiedere perdono a favore
del popolo affidato alla Nostra cura, si riconcili con i suoi servi, non
allontani mai la sua misericordia da Noi, ma, abbracciando nelle disgrazie il
suo popolo, non lo abbandoni: chi è abbandonato nell’ira di Dio onnipotente, di
nuovo sarà esaltato nella riconciliazione del grande Signore.
17. Ascoltate, Venerabili Fratelli e
diletti Figli, le Nostre paterne parole, che, seguendo il consiglio dei Nostri
Venerabili Fratelli Cardinali Santa Romana Chiesa, vi rivolgiamo come pastore
universale e vostro principe sul divario delle cose ecclesiastiche e politiche.
Per quanto riguarda il regime ecclesiastico, nei confronti di coloro che con
giuramento lo abbracciarono e seguirono, o mai abbracceranno e seguiranno costì
la Costituzione civile del clero, agiremo con la stessa benignità con la quale
abbiamo agito nei confronti di coloro che fecero lo stesso nelle Gallie, ove
nacque la medesima Costituzione, in parte eretica, in parte scismatica, e nel
complesso lontana dalle regole e avversa alla disciplina ecclesiastica; così è
Nostro proposito di non fare altro che comminare ed estendere le stesse pene
canoniche che reca la Nostra lettera del giorno 13 di questo mese, mandata ai
diletti Nostri figli i Cardinali di Santa Romana Chiesa e ai Venerabili
Fratelli Arcivescovi e Vescovi, ai diletti figli del capitolo, al clero e al
popolo del regno delle Gallie. Di questa lettera mandiamo a voi molte altre
copie, Venerabili Fratelli, affinché le facciate pervenire alle mani dei
capitoli, del clero e dei popoli di codesta Nostra giurisdizione.
18. Pertanto, con la Nostra Autorità Apostolica, dichiariamo
irriti, illegittimi e sacrileghi tutti gli atti che con qualsiasi nome, sia ad
Avignone, sia a Carpentras, sia altrove siano stati compiuti per fare
abbracciare o seguire, sia tacitamente, sia esplicitamente, tutta la
Costituzione civile del clero od anche soltanto una parte, e tutti questi atti
che diamo per espressi li condanniamo, respingiamo ed aboliamo.
19. Soprattutto annulliamo ed aboliamo
l’editto dell’8 ottobre 1790, col quale il Consiglio municipale di Avignone,
non solo temerariamente, ma anche empiamente, tentò di costringere il
Venerabile Fratello Arcivescovo di quella città, i canonici, i parroci e gli
altri ministri ecclesiastici ad unirsi a sé con civico giuramento, essendo
proprio di qualsiasi indegno uomo cattolico, una volta promulgata la
dichiarazione, considerare vacanti la sede arcivescovile, le parrocchie e tutti
gli altri uffici se non viene espresso un giuramento di tal fatta: tale editto perciò è invalido,
sacrilego, e per sua natura idoneo a favorire lo scisma.
20. Parimenti condanniamo ed annulliamo l’elezione di Malierio a vicario capitolare, e la dichiariamo empia, violenta, irrita e sacrilega poiché è del tutto ignorato nella Chiesa di Dio che si possa togliere al pastore legittimo ancora vivente il governo del suo gregge, se non per cause canoniche, previste dalla stessa Chiesa o da questa Santa Sede; e poiché manca dei necessari suffragi ed è priva di ogni libertà, così l’elezione non può essere considerata né canonica, né ecclesiastica, ma un atto militare ed ostile. Infatti la forza militare estorse i suffragi; con la forza militare avvenne che codesta fittizia elezione venisse presentata al popolo fra le giuste proteste dei canonici che precedettero e seguirono l’atto profano; si deve perciò ritenere che lo stesso possesso dell’eletto sia stato accreditato con la forza militare. – A questa vicenda si possono dunque applicare le parole che furono scritte dal Sinodo di Alessandria nella lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica, quando Sant’Atanasio fu cacciato dalla sua sede nel conciliabolo di Tiro: “Quando il capo presiedeva, quando il capo parlava, gli altri stavano in silenzio, o piuttosto prestavano ossequio al capo; ciò che comunemente piaceva ai Vescovi, da lui era impedito; egli usava il comando, noi eravamo guidati dai soldati“. Ottimamente il Sinodo affermò che siffatta degradazione era da considerare “intrigo di comandanti, non atto sinodale“.Ugualmente si confanno le parole dette da San Giulio, quando al posto dello stesso Atanasio i Vescovi Ariani sostennero il dissipatore Giorgio, e lo mandarono ad Alessandria protetto dal braccio militare. – Egregiamente il Santo Pontefice scriveva
che Giorgio era entrato in Chiesa “non con i sacerdoti e i diaconi
della città, ma con i soldati… credetemi, carissimi, poiché parliamo con
verità come se fosse presente Dio: codesto non è un fatto pio, né giusto, né
ecclesiastico“.
21. La dichiarata nullità dell’elezione
porta con sé la nullità di tutti gli atti compiuti da Malierio fin dall’inizio,
senza giurisdizione, contro i rettori del seminario, contro i buoni pastori,
contro i religiosi privati dei loro uffici per nessun’altra causa, se non
perché rifiutarono di prestare il giuramento di osservare una Costituzione
assolutamente acattolica.
A proposito della nostra questione,
ancora San Giulio esclama: “Gli atti compiuti da Giorgio nel suo
ingresso, mostrano quale sia stata la regola nella sua ordinazione; preti…
indegnamente fatti… rapiti i sacri misteri per costringere con la forza
alcuni ad approvare la costituzione di Giorgio. Queste cose ed altre simili
dimostrano chi siano i prevaricatori dei canoni. Infatti… neanche con la
prevaricazione della legge avrebbe costretto ad ubbidire coloro che
legittimamente ubbidivano ad essa“.
22. Pertanto, quantunque siano gravi e
molti i delitti commessi da Malierio, tuttavia, volendo lasciargli tempo e
possibilità di ritirarsi e di purgare le sue colpe con pubblica e opportuna
riparazione, Ci asteniamo dall’imporgli le pene canoniche più gravi e gli
comminiamo la pena più mite di tutte, dichiarandolo sospeso dall’Ordine
sacerdotale e colpevole d’irregolarità se osasse esercitare il predetto Ordine.
23. Ordiniamo inoltre al predetto
Malierio, sotto pena di sospensione, di non osare da qui in poi di chiamarsi
Vicario capitolare né di esercitare alcun ufficio inerente in qualche modo a
questa dignità, alla quale è giunto né per diritto né canonicamente.
Soprattutto vogliamo che gli sia interdetto mandare lettere dimissorie a coloro
che si apprestano a ricevere gli ordini, e che non siano da lui nominati in
alcun modo parroci, rettori di seminari, funzionari ed altri ministri
ecclesiastici di qualsiasi genere, anche se eletti dal popolo, dichiarando
nulli ed irriti tutti i provvedimenti e gli incarichi che fino a questo momento
fossero stati disposti, con tutte le relative conseguenze, e qualsiasi altro
atto che osasse fare in seguito.
24. Comminiamo la stessa pena della
sospensione dall’esercizio dell’Ordine al predetto Mouvansio, prete
dell’Oratorio, che celebrò la Messa quando lo pseudo-Vicario Malierio prese
possesso, e per somma temerità aggiunse le insegne della Municipalità alle
vesti sacerdotali che indossava.
25. Rivolgendoci a voi, diletti figli, canonici, ecclesiastici e cittadini tutti di Avignone, vi preghiamo nel Signore di non accogliere il predetto Vicario capitolare, o qualsiasi altro ministro che per vie tortuose e sotterrane e tentasse di occupare incarichi ecclesiastici; al contrario vi raccomandiamo di ubbidire anzitutto all’Arcivescovo ed ai vostri legittimi parroci; questi infatti saranno sempre i vostri pastori, anche se costretti ad allontanarsi contro la loro volontà; ciò anche se, con orribile sacrilegio, fosse eletto e consacrato un altro Arcivescovo o si designassero altri parroci. – Questo tipo di sacrilegio è stato da Noi denunciato e condannato con Nostra lettera ai Vescovi delle Gallie trasmessa anche a voi. -Sarà quindi compito dell’Arcivescovo
guidare le sue pecore, e dei buoni parroci offrire aiuti spirituali al proprio
popolo come meglio potranno. Ricordatevi che senza il giudizio canonico della
Chiesa non potete, anche in condizioni di violenza e di necessità, sottrarvi o
liberarvi da quel vincolo d’obbedienza con il quale siete legati
all’Arcivescovo ed ai vostri parroci, come fu riconosciuto e dichiarato il 25
febbraio nel convegno straordinario tenutosi presso la celebre Università della
Sorbona.
26. A questo punto riteniamo opportuno
difendere sia il vostro Arcivescovo sia gli altri funzionari dalle accuse con
le quali erano stati colpiti ingiustamente nell’editto del Consiglio
municipale, come se gli stessi non potessero essere lontani da Avignone senza
contravvenire a quanto prescritto dai canoni. Effettivamente, secondo i canoni,
non possono essere senza colpa né l’Arcivescovo né gli altri ministri assenti,
che per l’esercizio del loro dovere sono obbligati ad essere presenti alla
Chiesa, sia quando l’Arcivescovo, per giusti e razionali motivi inderogabili,
si reca fuori diocesi e quivi si ferma oltre il tempo consentito, sia quando
gli altri ministri ecclesiastici si allontanano dal servizio della Chiesa cui
sono addetti. Ma se ciò accadesse, gli autori dell’editto non devono affatto
ignorare che a norma degli stessi canoni non è permesso ai laici sentenziare
contro gli ecclesiastici e castigarli con l’estrema pena della privazione: ma
devono essere lasciati alla Chiesa il libero diritto e la facoltà di trattare
nei loro riguardi con gradualità e con diverse pene, o privandoli dei redditi
dei benefici, o castigandoli con pene spirituali, o privandoli infine degli
stessi benefici. Così come se si trattasse del Metropolitano assente, “il
Vescovo residente più anziano, sotto pena dell’interdetto da incorrere
immediatamente, è tenuto a denunciare entro tre mesi, per lettera o per mezzo
di un ambasciatore, al Romano Pontefice, il quale, secondo la maggiore o la
minore contumacia, con l’autorità della sua Sede suprema potrà riprendere gli
assenti e provvedere le Chiese stesse di pastori più utili, così come riterrà
più salutare nel Signore e come è stabilito con le stesse parole dal Concilio
Tridentino“.
27. Per la verità sono conosciute da
tutti quelle grandi masse, costì eccitate, che costrinsero i nobili e gli
ecclesiastici ad abbandonare la patria e il domicilio per evitare di giurare o
per sfuggire a quei danni che altri probi uomini miseramente subirono; quei
danni ai quali non poterono essere sottratti neppure i loro patrimoni, come
avvenne per la casa arcivescovile e per gli altri beni dell’Arcivescovo. Si
giunse a questo ancorché l’Arcivescovo non avesse mai mosso un piede fuori
della sua Diocesi; infatti Villanova, dove egli ha dimorato e tuttora dimora,
si trova entro i confini della sua stessa Diocesi; così che per questo non si
può dire che egli si sia scostato dalla disposizione Tridentina, che ordina ai
Metropolitani di risiedere nella Chiesa arcivescovile o nella Diocesi. Del
resto a Noi, cui spetta il giudizio su queste cose, consta per certo che niente
più ardentemente desiderava l’Arcivescovo che ritornare costì e sarebbe già
tornato da voi, anche con rischio della sua vita, se non avesse temuto che la
sua morte, più che di utilità alle sue pecore, fosse di danno e detrimento in
questi infelicissimi tempi.
28. Le cose che abbiamo detto al clero e
al popolo di Avignone sull’ubbidienza dovuta all’Arcivescovo e ai pastori,
ripetiamo anche a voi, diletti figli, canonici, ecclesiastici, e genti delle
altre Chiese del Contado. State lontani da coloro che invasero le Chiese altrui
o che tentano ancora di invaderle, evitateli, guardateli con orrore: amate
invece i vostri legittimi Vescovi e Parroci, ossequiateli ed ascoltateli.
29. Tutti gli abitanti di Avignone e del
Contado formino unità di animi e volontà quando si tratta di argomenti
religiosi: rivolgete sempre gli occhi alle leggi divine, alle leggi ecclesiastiche
e a quelle di questa Sede Apostolica. La Chiesa infatti e la Sede Apostolica
sono mosse dallo Spirito di Dio. Se così vi comporterete, come confidando sulla
vostra pietà speriamo per il futuro, l’ira di Dio si convertirà in misericordia
e da questo riporterete trionfo; coloro che combattono contro la Religione
saranno costretti a dire di voi ciò che i nemici dei Giudei dicevano dei
Maccabei, cioè che i Giudei avevano Dio quale protettore e per Lui erano
invulnerabili perché osservavano le leggi da Lui stabilite.
30. Passando ora dal governo
ecclesiastico a quello civile non possiamo comportarci con voi nello stesso
modo con il quale Ci comportammo con i Galli. A questi, infatti, non abbiamo
voluto parlare della nuova legge relativa alle cose civili approntata dalle
Assemblee Generali e sancita dal Re per competenza. Al contrario non possiamo
tacere con voi che da molti secoli siete sotto la Sede Apostolica, sotto il
governo dei Sommi Pontefici, e che senza la Nostra suprema autorizzazione non potete
cambiare la forma del regime temporale: ciò richiedono sia le leggi umane, sia
quelle divine.
31. Perciò, usando la Nostra suprema e legittima potestà, in qualità di Principe, annulliamo tutti e i singoli atti compiuti contro i diritti del Nostro Principato sia ad Avignone, sia a Carpentras, sia in qualunque parte del Contado, e riproviamo innanzi tutto e annulliamo, in quanto irrite, le delibere piene di violenza e di sedizione adottate costà con il proposito di sottrarvi dalla Nostra sovranità per trasferirvi a quella Francese; delibere – diciamo – che il carissimo Nostro figlio in Cristo il cristianissimo Re insieme alla sua inclita Nazione non può approvare e neppure mettere in discussione senza ledere i sacrosanti diritti delle genti, come abbiamo specificato allo stesso Re con ripetute rimostranze.
32. Disapproviamo parimenti ed
annulliamo le delibere ugualmente assurde e sediziose di vivere costì con
ordinamento repubblicano; riproviamo e annulliamo anche le delibere con le
quali per somma pazzia si accolgono le leggi civili straniere, sia emanate sia
da emanare, e con le quali si antepongono leggi nuove, pericolose e incerte,
alla Costituzione antica, domestica e legittima, sotto la quale voi ed i vostri
antenati siete vissuti tranquillamente ed in pace per tanti secoli.
33. E, tralasciando altre innovazioni
compiute in massima parte senza il Nostro consenso, nell’eccitazione degli
animi e nello stesso calore della sedizione, per cui si debbono ritenere
illecite come se a questo punto le avessimo ricordate singolarmente, annulliamo
soprattutto gli indegnissimi atti di violenza, per i quali il Nostro
pro-legato, il rettore e gli altri ministri sono stati prima esautorati e
poscia costretti ad allontanarsi dai nuovi ufficiali e dai tribunali subentrati.
E affinché non si possa mai dubitare che Noi conserviamo intatto ed integro il
Nostro antico possedimento e custodiamo tutti i Nostri antichi, legittimi e
tutelati diritti, con queste parole e nel modo più solenne possibile, con
diritto confermiamo non solo le proteste sopra ricordate, spesso rinnovate per
mezzo del Nostro pro-legato e che qui vogliamo siano ricordate come se fossero
scritte parola per parola, ma anche i reclami che, seguendo l’esempio dei
Nostri predecessori, e imitando il costume di altri principi, abbiamo curato di
mandare al Re delle Gallie e ad altre assemblee cattoliche con l’intento e la
volontà, se sarà necessario, di ricorrere a rimedi più forti, che sono in
Nostro potere, per vincere la sempre più insistente pervicacia.
34. Ciò premesso, vi ammoniamo paternamente e vi esortiamo, Venerabili Fratelli e diletti figli che siete rimasti fedeli, affinché non solo con l’esempio, ma anche con la parola esortiate coloro che tanto ed in tanti modi si allontanarono, ad abbandonare quella sedizione, nella quale si sono miseramente avviluppati e a ritornare a Noi, che li abbiamo sempre portati nell’animo, in modo tale che, abbracciandoli nuovamente, non possiamo non accoglierli in seno. – Si ricordino che per il precetto stabilito da Dio, e che le sacre pagine tanto spesso ripetono, i sudditi devono ubbidire al loro Principe, e debbono eseguire le patrie leggi che da lui furono emanate. – Si guardino diligentemente dalla ricerca di cose nuove, che quantunque in apparenza sembrino utili, sono sempre collegate ad un sommo pericolo. Se nelle patrie leggi entrò qualche abuso (già altre volte abbiamo dichiarato e ancora dichiariamo) siamo pronti a sradicarlo e a toglierlo di mezzo, ascoltando, per quanto starà in Noi, i vostri desideri. – Cessino le fazioni e le discordie fra i cittadini; le cose tornino al loro posto; agli animi siano restituite la carità, la giustizia e la pace. Infatti sarete felici ovunque se, osservando le leggi di Dio, della Chiesa e del vostro Sovrano, godrete della pace, dal momento che il Dio della pace e dell’amore sarà con voi, come promise l’apostolo Paolo ai suoi fedeli. – Noi intanto, in pegno di quella pace che per tutti invochiamo dal Signore, a voi, Venerabili Fratelli, e a voi, diletti figli, impartiamo con affetto la Nostra Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro,
il 23 aprile 1791, anno diciassettesimo del Nostro Pontificato.
La lettera enciclica “Dum Nos” di Papa Pio VI, inviata ai prelati e fedeli francesi, si inserisce nella feroce lotta dei rivoluzionari francesi e dei loro falsi usurpanti governanti contro la Chiesa Cattolica, vero bersaglio di questi scellerati servi del demonio orchestrati ad arte dagli “illuminati” e dai cabalisti delle logge massoniche. Il Santo Padre protesta ancora una volta vibratamente contro abusi, violenze, appropriazioni indebite di facinorosi ed empi personaggi che, sostituendosi ai legittimi governanti ed in certi casi persino ad esponenti della gerarchia ecclesiastica, pretendevano di sovvertire l’ordine civile, morale e religioso di un’intera nazione. La barbarie della rivoluzione francese, in nome di una libertà assoggettata ad esponenti del cabalismo mondiale, giungeva all’epoca a sottrarre alla Santa Sede territori e strutture di legittima proprietà, come d’altra parte la barbarie demoniaca ha sempre fatto. La lettera elogia coloro che hanno resistito ed ancora resisteranno impavidi alla violenza sanguinaria di scellerati ed improvvisati giudici e governanti pilotati da passioni abominevoli ed esecrande « … soggetti a tutte quelle persecuzioni che dall’empietà, dallo scisma e dall’eresia poterono mai essere escogitate, così che ai Nostri occhi appare già vicino il momento nel quale ci sarà un nuovo e più crudele pericolo per la vostra religiosità e per la vostra fede », ed ancora: «… non è sufficiente sopportare per un certo tempo le ingiurie soltanto con animo forte, ma è necessario perseverare con la stessa costanza fino alla fine e, se è necessario, sacrificare la propria vita. Infatti, non chi ha incominciato ma “colui che avrà perseverato fino in fondo sarà salvo” » (Mt X,32). La Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica e perseguitata in ogni tempo, d’altra parte si gloria per la volontà di rendere almeno in parte quanto deve al suo fondatore e Capo, che ha portato il suo sacrificio fino alla morte, ed alla morte di croce. La Chiesa non troverà pace finché non abbia reso almeno parzialmente la sofferenza e la persecuzione che per Essa sopportò con amore il suo Fondatore, suo Capo e Sposo divino, e nemmeno la morte o la sepoltura potrà mai fermarla, sapendo che così si compiranno i patimenti del Cristo nel suo Corpo mistico, non meno che nel corpo mortale dell’Uomo-Dio. Questa è pure l’idea che la “vera” Chiesa Cattolica attuale persegue, per cui, lungi dal respingere la violenta persecuzione attuata con stratagemma finemente spirituale, da una falsa chiesa, sinagoga di satana, e dalle satelliti sette lefebvriane e sedevacantiste, abbraccia ed abbraccerà fino alla fine, compreso l’eventuale martirio, tutte le sofferenze e le persecuzioni, alle quale sarà ancor più sottoposta. Ma il premio che ci attende, non ha prezzo, vale ogni sacrificio, ogni rinuncia, ogni supplizio, perché è una felicità eterna ed inimmaginabile, che scaturisce dalla diretta visione e godimento di Dio. Chiediamo solo, “pusillus grex” cattolico, di essere sostenuti dal nostro Redentore fino alla morte, e consolati dalla nostra Mamma celeste, alla quale il divin Maestro ci ha affidato dall’alto della croce. Ausilium Chriastianorum, ora pro nobis! Il Cuore di Gesù ci procuri la grazia della perseveranza finale.
Dum nos
Pio VI
All’Arcivescovo di Avignone e i Vescovi di Carpentras, Cavaillon e Vaison, e ai diletti
Figli del Capitolo, del Clero e del Popolo
della città di Avignone e del Contado Venesino.
1. Mentre Vi scriviamo questa nuova
lettera apostolica come pastore universale e vostro sovrano, pensiamo che non vi
sia occasione più opportuna e più valida perché Noi possiamo continuare a
lodare coloro che fedeli a Dio e al loro sovrano sono accusati e condannati
dall’attuale Assemblea Nazionale francese; al contrario, mentre di nuovo
ammoniamo ed esortiamo alla penitenza coloro che sono ribelli a Dio e al loro
sovrano, la stessa Assemblea francese li esalta con tante lodi, fra
l’incredibile stupore di tutte le genti.
2. Dio, dal quale le Nostre colpe e
quelle dei popoli sono punite attraverso le tribolazioni, ma che non abbandona
mai nessuno di coloro che difendono particolarmente la sua causa, in verità Ci
ha consolato con una non trascurabile soddisfazione. Infatti, per opera divina
è accaduto che la Nostra precedente lettera ammonitrice che Vi abbiamo inviato
il 23 aprile dello scorso 1791 (non per usare la prepotenza o qualche altra
difesa propria di quest’epoca, delle quali si avvalgono i potenti del mondo, ma
in nome del Signore Dio Nostro) e che Voi, Venerabili Fratelli, guidati da uno
spirito non dissimile di bontà, Vi preoccupaste di diffondere, ebbe presso i
capitoli, i parroci, il clero, i magistrati e la gente, e anche presso molti
fautori della Costituzione francese, tale e tanta forza che a tutto il mese di
febbraio di quest’anno furono vani quasi tutti gl’iniqui tentativi degli
avversari, tante volte esperiti e con il decreto del 14 settembre dello scorso
anno nuovamente ripetuti con i quali l’Assemblea Nazionale – essendo
inutilmente riluttante e contraria una gran parte, la più sana, del popolo –
tolti di mezzo altri quattro decreti speciali da essa stessa emessi, e
cancellato e annullato un altro decreto generale approvato in precedenza che
vietava l’occupazione della proprietà altrui, e poste in non cale tutte le
leggi umane e divine, nonostante l’indignazione di tutti i sovrani d’Europa osò
invadere con la violenza il Nostro territorio di Avignone e del Contado
Venesino ed annetterlo al regno di Francia.
3. A comprovare l’ottimo esito che le
Nostre precedenti esortazioni avevano conseguito contro tentativi tanto
indegni, potremmo enumerare con opportuna orazione le nobili imprese con le
quali Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, avete onorato soprattutto la
vostra Religione, che Ci sta particolarmente a cuore, e successivamente la
Vostra fedeltà verso di Noi, sopportando, con ammirevole costanza, taluni la
perdita dei beni e delle fortune, altri l’esilio, altri le ingiurie e le
persecuzioni, altri il carcere, e altri infine lo sterminio e la morte stessa.
Da questo derivò che pochi ecclesiastici e laici seguirono Benedetto Francesco
Malierio, pseudo-vicario capitolare della Chiesa di Avignone, che Noi già
sospendemmo con precedente lettera dall’esercizio dell’ordine. Si tratta di
persone non molto dissimili dai suoi costumi e dalla sua indole, abbastanza
noti per la gravità dei delitti compiuti. Egli dovette utilizzare i predetti
sia nell’adempimento dei compiti della Chiesa, come si deduce chiaramente
dall’editto in lingua volgare pubblicato il 10 giugno 1791, con il quale fu
indetta da lui una Supplica per le feste del Corpus Domini, sia delegando
alcuni pseudo-parroci, che la maggior parte della popolazione religiosamente e
pubblicamente rifiutò di riconoscere, tanto che disprezzò sia il delegante sia
i delegati.
4. Sarebbe facile per Noi citare pubblicamente
molti altri esempi della vostra religiosità e della vostra fedeltà a maggiore
vostra gloria ed onore, ma Ci asteniamo deliberatamente dal ricordarli in
quanto uomini assolutamente insospettabili (cioè coloro che chiamano “Comitati
delle petizioni e di sorveglianza“) li hanno raccolti in una relazione
presentata all’Assemblea francese durante la sessione dell’11 febbraio scorso
dedicata alla situazione di Avignone e del Contado Venesino. Dato che la
relazione è stata stampata e diffusa largamente, nessuno ignora che lo spirito
pubblico è tanto mutato ad Avignone, e molto di più a Carpentras e in altre
località del Contado, essendo pochi, e apertamente disprezzati, coloro che
sostenevano la Costituzione Gallicana e che i relatori Gallici ricolmano di
tante lodi. Per contro è ingente il numero di coloro che essi chiamano
sediziosi e seduttori, cioè di coloro che fra gli ecclesiastici, fra i
magistrati e fra i laici brillavano per il culto a Dio e per la fedeltà al loro
sovrano, tanto che sarebbe prossimo, e non potrebbe assolutamente essere
evitato, il ritorno a quello stato nel quale erano prima della ribellione.
5. Rallegratevi ed esultate, Venerabili
Fratelli, che allora vi segnalaste per zelo, pietà, carità, e particolarmente
tu, Vescovo di Carpentras, che per i tuoi meriti eccezionali ti sei meritato un
maggiore elogio. Nello stesso tempo rallegratevi anche voi, diletti Figli, che
uniti ai vostri legittimi pastori forniste straordinari motivi della vostra
pietà; rallegratevi tutti, diciamo, per le ingiurie che vi vengono indirizzate
in quella relazione e che si volgono a vostro onore e decoro, e ricordatevi con
Sant’Agostino che “anche il SignoreGesù Cristo fu chiamato
seduttore, a conforto dei suoi servi, quando sono detti seduttori“.
6. Se questa è la situazione di Avignone
e del Contado Venesino alla data dello scorso febbraio, a buon diritto speriamo
che quei pochi che perseverano nell’errore e nell’infedeltà si convertano e
seguano la maggioranza, ma non possiamo assolutamente ignorare il nuovo genere
di delitto compiuto dall’Assemblea Nazionale con il decreto del 3 marzo scorso.
Infatti, con questo decreto essa si è arrogata il diritto di dividere il Nostro
territorio di Avignone e del Contado Venesino in due distretti, e di
sottometterli al duplice distretto del Rodano e della Druma, che i Francesi
chiamano Dipartimento, e al contempo di stabilire che tutte le leggi
dell’Impero francese siano valide senza indugi anche nel Nostro territorio, e
che le singole Municipalità siano rinnovate. Inoltre, con nuovi decreti subito
emessi l’Assemblea comandò che venisse revocata la formazione de la marck,
e che ad essa fossero assegnati altri soldati; ché, anzi, fra gli stessi
rabbrividenti popoli di Parigi, e con loro meraviglia, giunse al punto di
comandare di liberare dalle carceri quei mostri che il 16 ottobre dell’anno
scorso si macchiarono di un delitto tanto indegno e tanto volgare; e ciò ordinò
per nessuna altra ragione se non perché nei grandi rivolgimenti delle cose non
si possono considerare delitti le scelleratezze più gravi che persino le genti
barbare e incolte detestano e ne inorridiscono.
7. È tale il furore di cui ardono e da
cui sono presi i nemici, che Noi, con immenso dolore del Nostro animo, già
vediamo Voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, soggetti a tutte quelle persecuzioni che dall’empietà,
dallo scisma e dall’eresia poterono mai essere escogitate, così che ai Nostri
occhi appare già vicino il momento nel quale ci sarà un nuovo e più crudele
pericolo per la vostra religiosità e per la vostra fede. Ci è già stata
riferita la voce di una nuova persecuzione non solo contro gli uomini ma – ciò
che non si può ascoltare senza orrore e che rivela i criminali intendimenti dei
persecutori – anche contro le sacre immagini. In questo momento decisivo è
necessario che vi sia riferito il Nostro parere.
8. Per quanto riguarda la Religione, non
Vi sfugge che non è
sufficiente sopportare per un certo tempo le ingiurie soltanto con animo forte,
ma è necessario perseverare con la stessa costanza fino alla fine e, se è
necessario, sacrificare la propria vita. Infatti, non chi ha incominciato ma
“colui che avrà perseverato fino in fondo sarà salvo” (Mt X,32).
Quella costanza che finora avete dimostrato Ci spinge a sperare che sarete
egualmente costanti in futuro contro qualunque rischio della sorte e anche
della vita: il che sarà certamente condiviso da Noi che, sebbene assenti,
porteremo i vostri tormenti come fossero Nostri.
9. Affinché, poi, i buoni vengano maggiormente confermati nel loro proposito e sia concesso ai cattivi un nuovo spazio della Nostra benignità per la loro resipiscenza, come già ritenemmo che fosse da estendere ai popoli del Nostro territorio Avignonese e del Contado Venesino la Nostra precedente lettera ammonitrice del 13 aprile 1791 da Noi indirizzata ai diletti Nostri Figli i Cardinali di Santa Romana Chiesa e ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi e ai diletti Figli del Capitolo, del Clero e del popolo del regno di Francia, così ora estendiamo agli stessi popoli la nuova lettera ammonitrice del 19 marzo scorso, indirizzata agli stessi Arcivescovi, Vescovi, Capitoli, Clero e popolo del regno di Francia, con la quale viene fissato lo spazio di sessanta giorni dalla data di essa per la seconda ammonizione, e di altri sessanta giorni per la terza. Ciò è riferito soprattutto a Benedetto
Francesco Malierio, pseudo-vicario capitolare della Chiesa Avignonese, ai
parroci, ai vicari e agli altri preti che, non delegati dai legittimi pastori,
si sono impadroniti della direzione spirituale, e a tutti gli altri
ecclesiastici che l’avevano occupata anche in forza della tentata divisione dei
Nostri territori, secondo le diverse classi distintamente e chiaramente
espresse nell’ultima Nostra lettera della quale, Venerabili Fratelli, vi abbiamo
spedito molte copie affinché esse, unite a questa lettera, secondo le vostre
possibilità siano mandate in giro ai Capitoli, al Clero e al popolo di Avignone
e del Contado. Frattanto sarà Nostra cura provvedere affinché le stesse siano
diffuse non solo in codeste regioni, ma anche in quelle vicine, in modo che
nessuno le ignori.
10. Guardando la travagliata condizione
delle cose francesi, con altra lettera dello stesso 19 marzo Noi concedemmo
agli Arcivescovi, ai Vescovi ed agli Amministratori delle diocesi del regno di
Francia particolari facoltà in forza delle quali potessero provvedere al bene
spirituale della gente. Poiché non meno travagliata è la condizione di Avignone
e del Contado Venesino, estendiamo anche a Voi, Venerabili Fratelli, le stesse
facoltà, con le stesse condizioni comprese nell’indulto, del quale troverete
diverse copie allegate a questa lettera.
11. Queste sono le provvidenze che
servono a tenere la Religione riparata e protetta, e a renderne più spedite le
norme e le procedure. Per quanto riguarda la fedeltà che Ci spetta quale
legittimo sovrano, non ignorate, Venerabili Fratelli e diletti Figli, come in
gran parte dimostrano le cose da Voi compiute, da quale stretto vincolo siate
tenuti ad osservarla, dal momento che ciascuno è obbligato dal divino precetto
“ad ubbidire ai legittimi poteri” (Rm XIII,1; Eb XIII,17), e
ciò è richiesto dallo stesso giuramento che Voi, non diversamente dai vostri
antenati, avete prestato a questa Sede Apostolica, così che i buoni e i
cattivi, secondo le loro possibilità, non debbano omettere nulla di quelle cose
che possono sostenere i primi nella fedeltà, e ricondurre i secondi a quella
obbedienza dalla quale si distaccarono: ciò per liberare Noi dalla necessità di
mettere in uso rimedi più energici e di porre mano alle dovute pene.
12. Abbiamo trattato con gli stessi
ribelli come se fossero figli, e nel colmo della sfida abbiamo dato
considerevoli aiuti agli uni e agli altri. Sappiamo che l’antico governo di
questa Santa Sede, libero ed esente da ogni dazio, suscitò l’invidia di tutti i
popoli; assai spesso abbiamo dichiarato che se alcuni, a Nostra insaputa,
fossero caduti costà in abusi, immediatamente si sarebbe provveduto da Noi ad
allontanarli e a castigarli; non
si possono sovvertire gl’imperi ad arbitrio dei popoli e introdurre con
leggerezza nuove forme di governo. Perciò nulla è stato tralasciato da
parte Nostra, tanto che possiamo sperare per il futuro che gli stessi ribelli,
quando si sia calmata un po’ la passione del fanatismo, debbano riconoscere
l’orrore dei propri crimini, il peso di nuovi balzelli e servitù, e di tanti
altri gravi mali che finora non ebbero ed ai quali, sotto l’aspetto di una
simulata e fittizia libertà, saranno senza dubbio contrari, non senza rovina
della loro patria se non si ritireranno subito dalla lotta nella quale furono
trascinati già da due anni per disobbedienza, corruzione e per ogni genere di
violenza.
13. Noi peraltro, restando in quel modo
d’agire paterno che abbiamo usato finora con Voi, e nella trasparente giustizia
della Nostra causa che con Nostra gioia riconobbero i principi, tutti i re e
l’universo mondo, non pensando minimamente di rinunciare in qualunque modo ai
Nostri diritti o di trattare qualsiasi compensazione per il principato che i
primi decreti dell’Assemblea Nazionale rivendicano da Noi, e che pertanto Ci
confermano che il possesso di oltre cinque secoli è titolo legittimo e
indiscutibile, Noi qui non solo dichiariamo valido il Nostro chirografo del 5
novembre 1791 con il quale, aderendo alle precedenti proteste ed essendo
oltremodo manifesto a tutti la falsità e la calunnia di quegli argomenti che
pretendevano di giustificare l’iniqua occupazione, dichiarammo nullo il decreto
del 14 settembre dello stesso anno, ma inoltre dichiariamo invalido, irrito e
di nessun valore e merito il nuovo decreto del 3 marzo, e tutto ciò che
decisero o forse decideranno a danno del Nostro principato, unitamente a tutti
gli atti che con temerario ardimento siano già stati perpetrati o verranno
perpetrati. Disponiamo e comandiamo che questa Nostra lettera, unitamente a
quella del 23 aprile 1791, sia allegata al predetto chirografo e sia conservata
a perpetua memoria nell’archivio segreto della Nostra camera.
14. È tanto il Vostro zelo, Venerabili Fratelli e diletti Figli, che riteniamo inutile aggiungere nuove esortazioni. Convertitevi con Noi, confidando con indubbia speranza in Dio; pregatelo incessantemente, così come anche Noi lo preghiamo, perché tenga lontano il rigore della sua giustizia, e con quella misericordia di cui è fornito illumini le menti dei ribelli e dei loro sostenitori, e renda le loro anime ferventi nell’ossequio e nella venerazione verso la sua santa Religione e nello zelo e nello spirito di obbedienza verso questa Sede Apostolica. Accesi da questi desideri, a Voi, Venerabili Fratelli, e a Voi, diletti Figli, impartiamo con grande amore l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro,
il 19 aprile 1792, nel diciottesimo anno del Nostro Pontificato.
« … Poiché è sempre stato tipico degli eretici e degli scismatici servirsi della simulazione, così anche questi intrusi non hanno nulla di più tradizionale che indurre le genti in errore mediante l’inganno, mentre coprono quasi tutte le loro azioni con il manto della carità … » queste parole, perfette oltremodo per descrivere gli attuali usurpanti delle cariche ecclesiastiche, sono la chiave per comprendere le turbolenze della Chiesa vissute nel corso dei secoli, ricordate dal Sommo Pontefice Pio VI nella sua lettera Enciclica diretta al clero francese coinvolto nei funesti accadimenti immediatamente successivi alla massonica Rivoluzione francese che, con leggi inique oltre ogni intendimento, voleva distruggere la fede dei Cattolici di Francia alimentando uno scisma che coinvolgeva naturalmente i prelati di sana fede, “affiancati” da falsi e sacrileghi preti e addirittura finti-vescovi, come la storia (quella vera, non gestita da coloro che odiano Dio e tutti gli uomini) ci ricorda opportunamente nella descrizione della feroce persecuzione sferrata contro la Chiesa Cattolica, nella persona di religiosi, prelati e fedeli. Quante analogie con la situazione presente, epoca di scismi plurimi, di pseudo-consacrazioni prive di ogni Giurisdizione o mandati canonici, senza alcuna missione, auto-giustificate da situazioni contingenti di necessità opportunamente create, da presunte rimembranze ed “offerte” della tradizione truffaldinamente manipolata ed adattata alle esigenze dei padroni occulti, dai burattinai che tengono tra le mani i fili delle marionette “moderniste” e di quelle “tradizionaliste” (Lienart-Lefebvriani, sedevacantisti obnubilati ed apocalittici … nel loro cervello) che fanno apparentemente tra loro azzuffare, come i “pupi” siciliani che combattono fragorosamente tra le risate sghignazzanti degli spettatori. Squallida era allora la situazione sociale ed ecclesiale, ma non paragonabile nemmeno lontanamente all’attuale marasma nel quale non c’è nemmeno la consolazione del “martirio” che produce immediatamente santi e beati in Paradiso, mentre oggi la stragrande maggioranza delle anime, eretiche, scismatiche, in aperta apostasia, sono irrimediabilmente avviate all’eterna perdizione « …. siamo costretti ad esclamare che nulla mai di simile è accaduto alla Chiesa di Dio! ». Veramente quel che oggi vediamo nella Conchiglia vaticana e nel panorama dell’arcipelago “tradizionalista”, non è mai accaduto, forse si sta compiendo quanto profetizzavano S. Giovanni nell’Apocalisse e San Paolo nella lettera ai suoi fedeli di Tessalonica! – Ma il Santo Padre confortava i fedeli dell’epoca e assicura quelli di oggi scrivendo: « …. ringraziamo Dio e speriamo fortemente di esultare in futuro, dacché abbiamo riscontrato che la Fraternità Cattolica è arricchita da un tale spirito di Fede che nessuna tentazione eretica potrà indebolire in alcun modo i vostri cuori… Sebbene dunque grandi spazi fisici Ci dividano, siamo tuttavia uniti con voi nella Fede… ». La comunità cattolica è ridotta ad un numero veramente esiguo di anime, ma c’è, ed al Signore bastano per poter umanamente agire e vincere, come già successo al condottiero Gedeone al quale furono sufficienti solo trecento soldati, dalle migliaia di cui disponeva, per sbaragliare l’esercito nemico. Il “Pusillus grex” è unito nella fede e non è sollecitato da tentazioni eretiche.
Pio VI Novæ hæ litteræ
1. Questa nuova lettera che vi
indirizziamo vi renderà testimonianza di quanto il Nostro animo da una parte
gioisca e dall’altra sia rattristato per il diverso esito delle Nostre
ammonizioni, contenute nella lettera emanata il 13 aprile dell’anno scorso; per
altro, quali fossero queste ammonizioni, vi è ben noto, così come non l’ignora
alcun Vescovo del mondo cattolico.
Per quanto concerne la gioia, Voi per
primi, diletti Figli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa, e Venerabili
Fratelli Arcivescovi e Vescovi, Ce ne date abbondantissimo motivo. Confermati
infatti dalle Nostre paterne voci, sempre più avete fatto risplendere la
lodevole vostra costanza; alcuni fra voi, tollerando con animo invitto l’esilio
fuori dalle vostre chiese e fuori dallo stesso regno; altri schiavizzati nelle
stesse chiese dalle ingiurie e dalle persecuzioni degli avversari; altri ancora
sopportando persino lo squallore del carcere, come in particolare abbiamo
capito dalla tua lettera essere toccato a Te, venerabile fratello Vescovo di
Senez, degno perciò del maggiore elogio. Quasi tutti (se si eccettuano quattro
infelicissimi pastori) sia presenti, sia assenti, si sono impegnati al massimo
per diffondere la Nostra lettera, affinché i fedeli di tutte le Diocesi si
attenessero alle nostre ammonizioni.
2. Perciò, Noi, assieme a San Leone,
“ringraziamo Dio e
speriamo fortemente di esultare in futuro, dacché abbiamo riscontrato che la
Fraternità Cattolica è arricchita da un tale spirito di Fede che nessuna tentazione
eretica potrà indebolire in alcun modo i vostri cuori… Sebbene dunque grandi
spazi fisici Ci dividano, siamo tuttavia uniti con voi nella Fede…, e
rendiamo grazie per la concordia della vostra professione: purché la vostra
concordia perseveri, con l’aiuto di Dio, secondo le parole dell’Apostolo: A voi è stato fatto dono della
grazia in nome di Cristo, non soltanto perché crediate in Lui, ma anche perché
soffriate nel Suo nome” Le vostre pene sono anche le Nostre. “Soffriamo
infatti – come dicevano i Padri di Sardica al tempo della persecuzione
Ariana – con i nostri fratelli che soffrono, e facciamo nostri i loro
patimenti, ed abbiamo mischiato le nostre lacrime con le vostre“.
3. Anche voi avete consolato il Nostro
animo, diletti figli Canonici e Parroci degni di singolare lode, e voi
professori universitari, in particolare della Sorbona, eminenti per sapienza e
rigorosi per comportamento in questa delicata vicissitudine della Religione;
voi, Rettori dei Seminari, Ecclesiastici di qualunque altro genere, Vergini
consacrate ed anche Laici, che – attenendovi alle Nostre esortazioni – vi siete
mantenuti costanti nella Fede ed avete fatto fronte ai vostri doveri in modo
tale che, sull’esempio dei vostri Pastori, molti di voi hanno affrontato con
grande virtù ingiurie, esilio, carcere ed altre vessazioni. Non pochi infatti,
tra il clero dello stesso vostro secondo Ordine, deputati all’Assemblea
nazionale francese, uomini egregi e famosi per la loro cultura e l’impegno in
difesa della buona causa, si sono onorati di far presenti a Noi i sensi della
loro costanza, del loro ossequio e della loro osservanza, a mezzo di lettere
mandateci sei mesi fa; lo stesso fecero altri Ecclesiastici del secondo Ordine,
insieme al venerabile fratello Francesco, vescovo di Clairmont, con una lettera
inviataci il 22 gennaio; altri ancora il 17 febbraio di quest’anno. Perciò in
questa sede li ricordiamo e li lodiamo.
4. Maggior consolazione Ci avete
arrecato voi, diletti figli del secondo Ordine Ecclesiastico, che – appena
uditi il Nostro parere e le Nostre ammonizioni – avete imitato l’illustre
esempio di alcuni antichi Vescovi della Gallia. Quelli infatti, dopo aver
approvato insieme con i Vescovi orientali l’erronea formula del Concilio di
Rimini, rendendosi conto che la loro semplicità era stata ingannata,
ritrattarono tutto ciò che per ignoranza avevano approvato, respingendo quei
sacerdoti apostati che, per ignoranza o empietà di alcuni, erano stati
collocati al posto di fratelli indegnamente mandati in esilio; così anche voi solleciti disdiceste quell’empio
giuramento che vi era stato estorto con la paura, con l’ignoranza, con
l’inganno, detestando gli errori contenuti nel giuramento, allontanandovi da
quegli intrusi e ricongiungendovi infine per vostra volontà ai legittimi pastori
dai quali vi eravate allontanati. Le ritrattazioni di tal fatta furono talmente
tante che ogni giorno ne recava delle nuove; di conseguenza, coloro che
– completamente accecati – preferirono restare nell’errore, sono rimasti
gravemente disonorati presso tutti gli Ordini e sono decaduti dalla stima anche
di coloro che li avevano spinti sulla strada dell’apostasia, come Ci è stato
riferito da molti Vescovi.
5. Perciò non è da stupirsi se il Nostro
gaudio sarà, grazie a voi, tanto più grande e comune a tutta la Chiesa; per cui
riteniamo che sia da seguire con voi la stessa benevola condotta che San Leone
adottò con alcuni vescovi orientali che avevano avuto parte nella cacciata di
San Flaviano dalla sede di Costantinopoli. Così infatti egli scrisse ad Anatolio,
Vescovo di Costantinopoli: “Quanto poi a quei fratelli che abbiamo
saputo essere desiderosi della comunione con Noi, poiché si pentono di non
essere rimasti saldi contro il potere e il terrore e di avere offerto consensoall’altrui scelleratezza;dal momento che la paura li aveva così
ottenebrati da farli partecipare con trepido ossequio alla condanna di un
Vescovo cattolico innocente ed all’accoglimento di orribili malvagità, vogliamo
che costoro si rallegrino della comunione e della pace con Noi ogni volta che
condannano in piena consapevolezza le malvage azioni e preferiscono accusarsi
piuttosto che difendersi. E la Nostra benignità non può in alcun modo essere
condannata, poiché accogliamo penitenti coloro che ci dispiacque veder
ingannati“.
6. Ci consola ancora la notizia che
l’intruso di Roven abbia lasciato la sede che aveva occupato e che altri
intrusi abbiano preso la fuga. Ascoltando dunque queste notizie abbiamo
considerato quel che di buono deriva dalla loro abdicazione e dalla loro fuga.
Infatti, abdicazioni e fughe di questo tipo danno chiaramente ai Fedeli la
misura di come gli intrusi si rendessero conto del disonore intrapreso e da
quali stimoli di coscienza fossero animati allorché – sotto maschera
dell’episcopato – più di tutti gli altri alimentavano e fomentavano lo scisma.
D’altra parte la Nostra gioia in questa circostanza non può essere completa.
Non ci sfugge infatti che l’intruso di Roven, proprio nel momento in cui abdica
l’incarico, anziché ritrattare il sacramento e detestare l’errore, ha
nuovamente esibito la propria pervicacia; ed anche gli altri che hanno preso la
fuga hanno dato prove non equivoche della loro pertinacia, cosicché si rende
necessario che tanto questi – quanto altri che imitassero il loro esempio –
rendano piena soddisfazione alla Chiesa. Diversamente non potranno giovarsi
della comunione né con Noi né con la Chiesa, poiché “tale grazia non
deve essere né rigidamente negata né sconsideratamente elargita“, come
insegna San Leone.
7. Fin qui per quanto riguarda la gioia. Ora parliamo del
dolore. Ci addolora infatti profondamente che molti membri del secondo
Ordine Ecclesiastico ed una gran parte dei Laici, nonostante le Nostre
ammonizioni, si siano tuttavia confermati nell’errore. Ma Ci addolora ancora di
più che nello stesso errore abbiano perseverato sia il Vescovo di Autun,
principale causa dello scisma, sia l’Arcivescovo di Sens e i Vescovi di Viviers
e d’Orléans, i quali, essendo legittimi pastori, non potevano assolutamente
ignorare né i doveri né i ruoli del ministero, né la gravità delle offese che
recavano a tutto il corpo della Chiesa francese, senza contare che in virtù del
loro titolo erano vincolati più strettamente ad ottemperare alle Nostre
disposizioni. Inoltre richiamavano su di sé e facevano proprie le colpe dei
Popoli loro soggetti. In effetti, perché ai pastori siano attribuiti i peccati
degli inferiori, basta soltanto la negligenza, come insegna, San Leone, “dal
momento che le colpe degli ordini inferiori a nessuno sono da imputare meglio
che ai Rettori trascurati e negligenti, che spesso nutrono la pestilenza che
s’è insinuata, rinviando l’adozione della medicina necessaria“. Allo
stesso modo, tanto più condannabili saranno quegli infelici Vescovi che,
anziché porgere le mani salvifiche ai traviati dall’errore, col loro esempio
hanno spinto al male anche i buoni.
8. In verità Ci duole profondissimamente
la stessa espansione di questo scisma, per descrivere la quale non potranno mai
essere trovate parole sufficientemente gravi. Mentre infatti, al tempo della
Nostra prima lettera, non Ci risultavano che otto Vescovi sacrileghi consacrati
ed empiamente intrusi in altrettante Chiese, poco dopo Ci giunse la terribile
notizia che le mani erano state illecitamente imposte a così tanti che nel
breve volgere di giorni quasi tutte le Chiese di codesto Regno erano state
occupate da intrusi.
9. Se Sant’Atanasio per l’invasione di
una sola Chiesa in Alessandria (quella che Giorgio aveva occupato sulla base
dell’editto del Principe contro la disposizione dei Canoni Ecclesiastici) a
buon diritto e giustamente proruppe in queste parole: “In tutta la terra non s’è mai udito nulla
di simile;ora tutta la Chiesa è stata offesa, il Santuario è trattato
ignominiosamente e, quel ch’è peggio, la pietà patisce persecuzione
dall’empietà… Infatti, se un solo membro soffre, tutte le altre parti si
dolgono insieme con lui“, con quanto maggior diritto Noi, di
fronte all’improvvisa occupazione di quasi tutte le Chiese di fiorentissimo
Regno, siamo costretti ad esclamare
che nulla mai di simile è accaduto alla Chiesa di Dio!
10. Un antichissimo Sinodo romano, che i
Vescovi francesi avevano consultato, oltre che su altri punti, anche sul fatto
che parecchi Vescovi di altre Diocesi avevano precipitosamente invaso le loro, impartendovi Ordinazioni
irregolari e svolgendovi altri atti contro la giurisdizione, rispose loro
gravemente: “Se qualcunoavràinvaso scientemente
i confini altrui, sarà giudicato reo di violenza. Perché si corre?
Perché ci si affretta a conculcare le regole della Chiesa? Le leggi umane
vengono rispettate ed i precetti divini sono disprezzati; si temono la spada
presente e la pena temporale, e si trascura la punizione divina, che ha le
fiamme eterne della Geenna. Vedrete a cosa avrà portato la presunzione: perciò se
qualcuno avrà osato fare Ordinazioni in una Diocesi altrui e vorrà sostenerle,
sappia che vacilla dal suo stato proprio colui che avrà invaso la Chiesa non
sua. Qui non si tratta di affari civili; queste non sono promozioni mondane“.
Se, come dicevamo, il predetto Sinodo condannò in tal modo quei Vescovi che
avevano occupato soltanto parti delle Diocesi altrui, quanta maggior
riprovazione meriteranno non soltanto tutti gli pseudo-vescovi (che, scelti
contro le norme ed ordinati in modo sacrilego, hanno invaso – senza missione
canonica – Sedi Episcopali che avevano i loro legittimi Pastori, occupando così
per intero le Diocesi) ma anche quattro Pastori legittimi: tre di loro,
conformandosi ai decreti dell’Assemblea Nazionale, occuparono una parte delle Diocesi
altrui ed abbandonarono una parte delle loro; l’altro poi, consacrando per
primo gli intrusi, con l’aiuto di due Vescovi assistenti, ha finito col
diventare il “padre” degli pseudo-vescovi, dando motivo a che le
altre Sedi fossero invase e, abbandonando la propria, consentendo l’avvento di
un intruso.
11. Di sicuro non può accadere “che
si compia con esito favorevole ciò che ha avuto un cattivo principio“.
Sarebbe lungo e troppo triste riferire qui dello stato della Chiesa francese,
sconvolta in ogni sua parte, e dei gravissimi danni che sono stati recati alla
Religione dagli intrusi. Basti
riflettere sul fatto che un regime profano e sacrilego ha sostituito quello
sacro e legittimo. Infatti costoro che si gloriano d’essere chiamati
“Vescovi costituzionali” danno prova di capir bene che non
sono “Vescovi cattolici“; perciò rifuggono dai sacri ministeri
e ne allontanano anche coloro che, sulla base delle norme Ecclesiastiche,
possono essere definiti i soli pastori legittimi, e lo sono. Quando essi si
sono introdotti abusivamente nelle Sedi Episcopali, hanno inserito nel governo
delle Parrocchie altri loro simili, che la Chiesa avversa e respinge, e che
soltanto la Costituzione riconosce ed approva: gente che corrompe i Sacri
Ordini e l’amministrazione dei Sacramenti e che, per dirla con poche parole,
sottomette al potere temporale la Chiesa e la sua autorità di matrice divina;
sostituisce alla verità l’errore; l’empietà alla pietà, secondo la schietta
interpretazione della predetta Costituzione.
12. Poiché è sempre stato tipico degli eretici e degli scismatici
servirsi della simulazione, così anche questi intrusi non hanno nulla di più tradizionale che
indurre le genti in errore mediante l’inganno, mentre coprono quasi tutte le
loro azioni con il manto della carità; proteggono e lodano le riforme
costituzionali come se fossero su misura per la più antica e la più pura
disciplina ecclesiastica; si vantano di esser in sincera comunione con la
Chiesa e con questa Sede Apostolica. A questo soltanto mirano le lettere “nunciatorie”
che, seguendo l’esempio dei primi intrusi, Ci hanno mandato anche altri in
seguito; a questo mirano anche le “esortazioni” alle preghiere
da recitare per la Nostra salute e la Nostra conservazione.
13. Ma questo stile di contestazione e di
preghiera si riconosce derivato, chiaro come da un archetipo, dalle empie
scuole degli scismatici e degli eretici. Infatti leggiamo che Fozio scrisse al
Santo Pontefice Niccolò, Lutero a Leone X, Pietro Paolo Vergerio il giovane a
Giulio III; e tutti, mentre fingevano obbedienza e sintonia con la Sede
Apostolica, si lamentavano della malvagità con la quale era giudicata la loro
dottrina, insultavano contemporaneamente la Santa Sede e disseminavano i loro
cattivi errori.
14. Così anche gli odierni Vescovi intrusi
hanno di recente pubblicato un’opera nella quale hanno raccolto tutti i
pensieri erronei, scismatici ed eretici, spesso contestati e rifiutati, dei
quali sono pieni parecchie loro Lettere Pastorali ed alcuni libelli, non senza
grave offesa alla storia della Chiesa. A quest’opera hanno premesso l’insidioso
titolo “Accord de vrais principes de l’Eglise, de la morale et de la
raison, sur la Constitution Civile du Clergé de France par les Evêques des
départements membres de l’Assemblée Nationale Constituant. A Paris 1791“,
aggiungendo alla fine di quest’opera iniqua, per meglio ingannare il popolo,
una falsa lettera, presentata come se fosse stata a Noi spedita. Ma, per
istruzione dei buoni e per consolidare la loro perseveranza, non smetteremo di
render noto il pestilenziale veleno che emana da ogni parte di quell’opera
indegna.
15. Frattanto non possiamo tacere il
doppio inganno, uno peggiore dell’altro, che i Vescovi intrusi divulgano
imperterriti per distogliere il popolo dall’obbedienza dovuta ai Nostri
Ammonimenti Apostolici. Il primo inganno concerne la negata autenticità delle
Nostre lettere; non c’è nessun commento più congruo se non che ciò si attaglia
perfettamente alla fonte dalla quale proviene. Con quale buona fede, infatti,
si può dubitare della verità delle Nostre lettere, che, firmate di Nostro
pugno, sono state mandate ai Metropolitani francesi e che, per Nostro ordine,
furono edite presso la Stamperia Romana e fatte circolare non soltanto nel
Regno di Francia ma in tutte le parti del mondo cattolico, così come accadrà
anche per questa Nostra? Come dunque può essere definito apocrifo quel
documento che è Nostro, che deriva unicamente da Noi, che è stato divulgato con
tanta solennità da non lasciare spazio ad alcun dubbio; che, in definitiva, è
tale che con poca fatica chiunque può distinguerlo dagli altri documenti, falsi
e corrotti, che i Refrattari fecero circolare fra il popolo a Nostro nome, con
somma audacia e manifesta calunnia, per procurare approvazione alla
Costituzione Civile del Clero, che Noi avevamo rifiutato sin dall’inizio con
sommo orrore?
16. L’altro fraudolento, raggirante
inganno degl’Intrusi riguarda la mancanza di una certa forma “civile”
nella pubblicazione delle Nostre lettere. Infatti essi certamente non ignorano,
e a nessun altro può sfuggire, che allo stato attuale delle cose in Francia una
forma di questo tipo non poteva essere adottata; cosicché coloro che utilizzano
tale forma null’altro hanno in mente se non facilitare la crescita impunita
dello scisma e dell’intrusione. Non sfugge infatti che questa forma “civile”
non è necessaria, soprattutto quando si tratta di “causa maggiore“,
che compete a Noi e che è stata resa nota attraverso i Vescovi. Proprio questo
tutti i Cattolici riconoscono, e Valentiniano Augusto affermò con chiare parole
nella “Novella” che segue la lettera di San Leone Magno ai
Vescovi della provincia viennese: “Questa stessa sentenza [di San
Leone] avrebbe dovuto aver valore in Francia anche senza la sanzioneimperiale.
Che cosa infatti non dovrebbe essere consentito nelleChiese
all’autorità di un Pontefice tanto grande?“. Lo stesso clero francese
lo riconobbe quando si trattò di divulgare le lettere encicliche del Nostro
predecessore Pio VI: “Non avetealcun bisogno dell’approvazione
regia per divulgare come Regola la risposta della Santa Sede Apostolica su un
tema esclusivamente spirituale“.
17. Quel che abbiamo detto fin qui sul
lacrimevole stato dello scisma, al quale gli Intrusi si dedicano in modo
ammirevole, è percepibile da chiunque lo esamini attentamente; perciò a buon
diritto possiamo esclamare con Sant’Atanasio: “Non avete ancora capito che il Cristianesimo viene
distrutto e che il Demonio, cerca,con l’inganno e sotto altre fattezze,
di sconfiggere la Chiesa?“.
18. In tanto grave perturbazione delle
vicende della Chiesa francese ed in altrettanta gravità e notorietà del
crimine, Noi avremmo potuto fin da ora procedere contro i contumaci, con la
comminata pena della scomunica, dal momento che per oltre undici mesi dal
giorno dei Nostri Ammonimenti, da parte loro non giunse alcun segno di
pentimento. Nondimeno, poiché abbiamo visto che il Nostro Ammonimento ha avuto
esito non inutile presso molti, e avendo ritenuto di dover aspettare un certo
tempo perché anche altri si adeguassero; tenendo soprattutto presente la grande
bontà di Dio, il quale tollera i peccatori con molta pazienza e non vuole
portarli alla perdizione, ma indurli alla penitenza; dopo aver ascoltato il
parere di una scelta Congregazione dei venerabili Nostri fratelli, i Cardinali
di Santa Romana Chiesa, riunitasi davanti a Noi il 19 gennaio di quest’anno,
abbiamo ritenuto di dover agire fin qui con benignità nei confronti dei
contumaci, per vedere se ritornino in sé e si rivolgano a Dio. Infatti non ci
siamo ancora spogliati della misericordia paterna nei loro confronti ed in un
certo senso, “come una madre non può dimenticarsi del suo bambino, per
non dover avere pietà del figlio del suo ventre“, così la Santa Romana
Chiesa non può dimenticarsi dei suoi figli, per quanto ribelli ed ostinati, e
nei loro confronti è mossa più da pietà che da rabbia. Per questo motivo Noi,
non senza gran pianto e lamento, temendo la frammentazione delle Nostre
viscere, Ci asteniamo per ora dal comminare la sentenza di scomunica,
accettando anche di differire più oltre la pena, affinché possa aver luogo il
pentimento. Rimane tuttavia confermata la pena di sospensione inflitta con la
Nostra lettera del 13 aprile.
19. Perciò abbiamo deciso di presentare
questa nuova e perentoria Ammonizione, da valere anche come seconda e come
terza, in base alla quale, contando sessanta giorni dalla data di questa
Lettera per la seconda, ed altri successivi sessanta per la terza, disponiamo
quanto segue:
20. Per primi ammoniamo, come è giusto,
sollecitandoli al doveroso pentimento, i sacrileghi consacratori dei Vescovi
intrusi e gli assistenti (Carlo Maurizio Vescovo di Autun; Giovanni Battista
Vescovo di Babilonia e Giovanni Giuseppe Vescovo di Lidda), i quali in certo
modo sono gli autori del funestissimo scisma, poiché con le prime azioni che
osarono compiere, cioè le consacrazioni degli pseudo-Vescovi, precedettero
tutti gli altri nell’atrocità del crimine.
21. Ammoniamo inoltre tutti gli
pseudo-Vescovi intrusi che, senza elezione, ordinazione o missione legittima,
hanno invaso le Sedi Episcopali – sia quelle antiche, sia quelle di recente ed
illegittima costituzione – la maggior parte delle quali era retta dai legittimi
Presuli, mentre quelle che erano vacanti erano rette dai Vicari capitolari,
secondo le leggi prescritte dal Concilio di Trento.
22. Ammoniamo anche l’Arcivescovo di
Sens, il Vescovo di Orléans, il Vescovo di Viviers e Pier Francesco Martello,
coadiutore dell’Arcivescovo di Sens. Di costoro, i primi tre, quantunque
abbiano ricevuto correttamente il vescovado, hanno tuttavia osato invadere
parti di altre Diocesi e rinunciare a porzioni delle proprie, attenendosi ai
decreti dell’Assemblea nazionale; tutti, poi, allo stesso modo dei Vescovi
consacratori, degli assistenti e di tutti i Vescovi intrusi, non si sono
vergognati di sottomettersi alla Costituzione civile del clero, prestando
puramente e semplicemente quel giuramento civico che Noi avevamo definito
“fonte ed origine di tutti gli avvelenati errori” nella Nostra
lettera del 13 aprile.
23. Ammoniamo i Parroci e coloro che con qualunque nome
esercitano in titolo la cura delle anime, i quali, oltre ad imbrattarsi con
quel giuramento sacrilego, hanno invaso intere Parrocchie, sia vecchie
sia di recente ed illegittima istituzione, oppure ne hanno invaso delle parti,
per istituzione ricevuta (per altro senza valore) dai Vescovi intrusi o
dall’Arcivescovo di Sens o dai Vescovi d’Orléans e di Viviers (legittimi, in
verità, ma legati col giuramento civico) che hanno operato al di fuori dei
confini delle rispettive Diocesi, anche se alcuni di loro in precedenza avevano
correttamente ricevuta l’investitura delle Parrocchie.
24. Infine ammoniamo anche tutti i
Vicari e gli altri Preti, con qualunque nome chiamati, delegati all’esercizio
della giurisdizione ed allo svolgimento degl’incarichi ecclesiastici dai
Vescovi intrusi, i quali non possono trasferire ad altri un diritto che essi
stessi non possiedono.
25. Avendo tutti così ammoniti, se a Noi
non risulterà che, nell’arco di tempo precedentemente assegnato, ciascuno abbia
fatto, in favore della Chiesa, la penitenza dovuta per i suoi peccati, allora
certamente “ci addoloreremo, ci rattristeremo, piangeremo e ci
sentiremo le viscere lacerate, come se fossimospogliati delle nostre
stesse membra“; tuttavia non Ci dorremo in modo da non procedere, in
una vicenda così grave, secondo la gravità dei delitti, la moltitudine dei
delinquenti e la pericolosità del contagio, da non comportarci come richiedono
il ministero apostolico e le norme canoniche, scagliando cioè la sentenza di
scomunica, notificandola pubblicamente ed indicando costoro come allontanati
dalla comunione con la Chiesa, da considerarsi scismatici pervicaci e perciò da
evitare.
26. Ancor oggi Noi rivolgiamo
quest’ultima ammonizione canonica, piena di sollecitudine paterna e di
moderazione, ai Vescovi consacratori, agli Assistenti, ai Vescovi intrusi ed ai
loro Vicari, ai Vescovi che han prestato giuramento, ai Parroci parimenti
intrusi; ai Vicari ed ai Sacerdoti delegati o approvati dai Vescovi intrusi; dal
momento che il loro
crimine è di gran lunga più grave e pericoloso, sia per la natura stessa del
peccato, sia per la dignità ed autorevolezza della persona che lo compie;
fattori, entrambi, che contribuiscono moltissimo a corrompere gli altri,
insieme con l’esempio e l’uso della giurisdizione usurpata. Nondimeno
vogliamo che si considerino ammoniti anche gli altri: gli autori e i fautori
della Costituzione pubblicata, tutti quelli che hanno giurato, specialmente gli
Ecclesiastici e soprattutto i Parroci, i Superiori ed i Rettori dei Seminari, i
Professori ed i Presidi di Università e Collegi, perché non pensino di schivare
a suo tempo analoga pena, se persisteranno ostinati e contumaci nel loro
delitto.
27. Mentre diciamo queste cose, mentre
Ci affidiamo a queste minacce, chiamiamo Dio a testimone di quanto non vorremmo
esser costretti ad usare queste armi spirituali, se potessimo farne a meno. Con
animo ben disposto abbiamo sempre dato spazio alla moderazione e alla
misericordia, facendo ricorso alla severità malvolentieri e soltanto se
costretti dalla necessità. Proprio per questo ancora una volta e con il massimo
vigore, nel nome delle viscere di Gesù Cristo, preghiamo coloro che in
qualunque modo hanno avuto parte in questo scisma, ed in particolare i sacri
Ministri, e li scongiuriamo affinché riflettano su quanto sia indegno, perverso
e miserrimo, per i Fedeli, specialmente Ecclesiastici, favorire ed assecondare
questo scisma pestilenziale; esso è nato per l’iniquo consiglio dei filosofi
innovatori che costituivano la maggior parte dell’Assemblea Nazionale, e si
sarebbe quasi estinto sul nascere se i Fedeli e gli Ecclesiastici l’avessero
contrastato. Inorridiscano dunque meditando quanto l’attesa d’un terribile
giudizio, simile ad un fuoco, consumerà coloro per colpa dei quali lo scisma
(che col loro ravvedimento potrebbe cessare) perdura ancora e si espande e
cresce nelle fiorentissime regioni francesi.
28. Mancano forse famosi “eccitamenti
dei francesi” per ritrattare il giuramento civico? Eppure è noto che
molti fra i più illustri intellettuali francesi si dimostrarono docili nel
detestare gli errori precedentemente propugnati. Infatti, già all’inizio del V
secolo il monaco Leporio pubblicò la ritrattazione dei suoi errori, che fu
letta nel quinto Sinodo africano e fu inviata ai Vescovi francesi; il sacerdote
Lucidio ne indirizzò un’altra al Sinodo di Arles; non diversamente si comportò
Giovanni Gerson, che formulò la sua ritrattazione basandosi sugli insegnamenti
dei libri di San Bonaventura. A questi sono seguiti Pietro de Marca e Francesco
Fénelon, Arcivescovo di Cambrai, meritevole del più elogiativo ricordo, e molti
altri scrittori francesi, al cospetto dei quali chi potrà arrossire e ancora
ostinatamente rifiutare di imitarli, loro che seppero trasformare il loro
errore in gloria e vanto singolari? Una convinta speranza ci induce a ritenere
che la mano di Dio non si arresterà sopra gli intrusi e gli scismatici; che i
loro animi traviati saranno richiamati sulla via della salvezza, e, sollecitati
dagli esempi di antenati così famosi, con la ritrattazione dell’empio
giuramento condanneranno le consacrazioni sacrileghe, rinunceranno agli
incarichi sacerdotali precedentemente occupati e riconosceranno i legittimi
pastori.
29. Voi intanto, Venerabili Fratelli,
che – udito l’ultimo ammonimento di questa Nostra lettera – Ci pare di vedere
agitati e tremanti per la salvezza del Vostro gregge e Ci par di udire
esclamare con San Paolo “Chi di voi cadrà infermo, senza che questo
indebolisca anche me? Chi sarà scandalizzato senza che anch’io mi senta
avvampare?“; Voi, dicevamo, mentre renderete pubblica questa Nostra
lettera, aggiungete le vostre alla Nostra preoccupazione, levando preghiere più
fervide a Dio Ottimo e Massimo, ripetendo le esortazioni ed i vostri consigli,
affinché – in tanta crudezza dei tempi ed in tanta confusione degli animi –
possiate consolidare la fermezza dei fedeli che sono rimasti tali e recare
aiuto alla debolezza di coloro che sono caduti. Ma soprattutto mettete sotto
gli occhi di coloro che sono caduti che niente servirà tanto alla loro salvezza
eterna, niente alla loro vera gloria, niente alla gioia dell’intera Chiesa,
niente sarà così gradito quanto questo sacrificio di obbedienza, al quale li
invitiamo, li preghiamo, li scongiuriamo per le viscere del nostro Dio e per
l’avvento del Signore Nostro Gesù Cristo. Facendo queste cose, continuerete ad
essere quel che già siete, cioè “buoni ministri di Gesù Cristo,
cresciuti nelle parole della Fede e della corretta dottrina che avete sempre seguito“.
30. Voi pure, diletti Figli Canonici di
rispettabili Capitoli, Parroci, Sacerdoti, altri ministri del clero francese,
infine, Fedeli tutti abitanti nel Regno francese, che vi siete distinti dagli
altri per la costanza e l’impegno religioso, unite le vostre preghiere alle
Nostre ed a quelle dei vostri Pastori, ed implorate nella cenere,
nell’orazione, nel digiuno, “Perdona, o Dio, il Tuo popolo“.
Poiché Dio è buono e misericordioso, quando vedrà il pianto dei Sacerdoti e dei
cittadini, di certo sarà compassionevole ed avrà pietà. Perciò sopportate con
pazienza gli infortuni che vi sono capitati e che forse ancora vi accadranno,
“fintanto che la
destra di Dio onnipotente distruggerà tutte le armi del demonio, al quale
perciò si permette di tentare arditamente qualcosa, perché poi sia sconfitto
con maggior gloria dei fedeli di Cristo; poiché dove la verità è maestra non
vengono mai meno, fratelli carissimi, iconforti divini“.
31. Soprattutto vi raccomandiamo e
v’ingiungiamo di mantenervi sempre strettamente a contatto con i vostri
Pastori, affinché non comunichiate in alcun modo, e men che meno nelle cose
divine, con gli intrusi ed i refrattari, con qualunque nome vengano chiamati;
allo stesso modo guardatevi dallo scellerato opuscolo di cui si diceva prima,
il capzioso “Accord des vrais principes“, dalle lettere
pastorali e “nunciatorie“e da qualunque genere di
scritto diffuso od in via di diffusione da parte di coloro che, mentre
difendono la Costituzione civile del clero, in realtà danno vigore allo scisma.
Allo stesso modo che nelle Nostre precedenti lettere già avevamo contestato e
condannato tale Costituzione, così ancora con questa Lettera riproviamo,
rigettiamo e condanniamo la predetta opera, le lettere pastorali e “nunciatorie”
e tutti gli altri scritti, sulla base del supremo ufficio Apostolico del quale
siamo rivestiti.
32. Nell’immensità della Sua
benevolenza, Dio voglia dar forza alle Nostre cure pastorali, affinché coloro
che fra voi sono rimasti fedeli si rafforzino, e coloro che sono caduti si
rialzino. Questo chiediamo a Dio, implorandolo ed inginocchiandoci – per usare
le parole dell’apostolo Paolo agli Efesini – davanti al Padre Signore nostro
Gesù Cristo “affinché vi conceda di fortificarvi nella virtù secondo le
ricchezze della sua gloria, per mezzo del suo spirito che scende nel cuore
dell’uomo, e di fare abitare Gesù Cristo nei vostri cuori, radicati e
consolidati nella carità“. Come pegno di questi doni celesti,
diletti Figli, Venerabili Fratelli e diletti Figli, Noi vi impartiamo dal più
profondo del cuore, paternamente e con amore, la Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro,
il 19 marzo 1792, anno diciottesimo del Nostro Pontificato.