UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “EXEUNTE JAM ANNO”

In questi tempi infami, ove vigono le leggi ed usanze più turpi, ove l’abisso dell’empietà è pressoché infinito, ove la legge naturale è calpestata e quella divina derisa e dileggiata e ridicolizzata da ignobili e presuntuosi figuri servi del demonio e delle passioni più insane, leggere questa lettera del grande Leone XIII, è una boccata di ossigeno cattolica ancor più necessaria ora che ci è fatto obbligo di portare la museruola-mascherina, non quella che ci impedisce di respirare ossigeno e produce una ipercapnia nociva al corpo fisico, come tutti i medici ancora degni di questa nobile professione (rimasti ahimè in pochi) sanno perfettamente, bensì la mascherina dei cani muti citati da Isaia, che i finti prelati hanno ben accettato impersonando la figura dell’inerzia spirituale, della infingardia ed inettitudine dottrinale e dello zelo apostolico di cui non hanno nemmeno la più pallida memoria, presi come sono dall’orgoglio delle loro posizioni, onori e prebende. Vengano, questi scellerati servi della “bestia” e del “falso profeta” della sinagoga di satana, stabilizzatasi nelle chiesa dell’uomo del Vaticano II – il conciliabolo anatemizzato da più di mezzo secolo dalla bolla Execrabilis di Pio II – vengano ad abbeverarsi alla fonte della scienza divina qui mirabilmente esposta dal Sommo Pontefice, e si preparino, se non pentiti della loro servitù blasfema al loro signore dell’universo, quel lucifero al quale offrono un sacrilego sacrificio sugli altari rivoltati ignominiosamente verso il pubblico infedele, … si preparino a scendere nello stagno di fuoco preparato per il diavolo e per i suoi infami adepti… i mascherati “coronati” al ballo infernale con i compagni di loggia.

EXEUNTE IAM ANNO

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

Sul declinare dell’anno in cui, per singolare dono e beneficio di Dio, abbiamo celebrato sani e salvi il cinquantesimo anniversario di sacerdozio, l’animo Nostro naturalmente ripercorre col pensiero i mesi trascorsi, e nel ricordo di tutto questo tempo grandemente si diletta.  E n’ha ben donde: infatti un avvenimento che Ci riguardava solo personalmente, e che non era né grande per se stesso, né meraviglioso per la novità, suscitò tuttavia negli animi un insolito entusiasmo, venendo celebrato con tante e così luminose manifestazioni di esultanza e di congratulazione che non si poteva desiderare di più. La qual cosa certamente Ci tornò sommamente gradita ed amabile: ma ciò che soprattutto in essa apprezziamo è il significato delle dimostrazioni e la costanza nella fede apertamente professata. La concorde acclamazione, con la quale venimmo salutati da ogni parte, diceva chiaro ed aperto che da tutte le regioni le menti e i cuori sono rivolti al Vicario di Gesù Cristo; che, fra tanti mali dai quali siamo oppressi, gli uomini rivolgono fiduciosi gli sguardi alla Sede Apostolica, come ad una perenne e incontaminata fonte di salvezza; e che dovunque vige il nome cattolico, si rispetta e si venera, com’è doveroso, con ardente amore e somma concordia la Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese.

Per queste ragioni nei trascorsi mesi più d’una volta levammo gli occhi al cielo, ringraziando Iddio ottimo ed immortale, che Ci aveva benignamente concesso una lunga vita e quel conforto delle Nostre pene, che più sopra abbiamo ricordato. Nello stesso tempo, appena Ci si offerse l’occasione, dichiarammo a chi di dovere la Nostra riconoscenza. Ora poi la chiusura dell’anno e del giubileo C’invita a rinnovare la memoria del beneficio ricevuto; e Ci torna molto gradito che la Chiesa tutta si unisca con Noi nel rinnovare il ringraziamento a Dio. Il Nostro cuore contemporaneamente domanda che attestiamo pubblicamente – e lo facciamo con la presente lettera – che come Ci furono di non lieve lenimento alle cure e ai travagli Nostri le molte prove di ossequio, di urbanità e di amore ricevute, così pure ne vivranno perenni in Noi la memoria e la riconoscenza. – Ma un più grave e santo dovere ancora Ci rimane. In questo trasporto di animi, esultanti nel rendere con inusitato ardore riverenza e onore al Romano Pontefice, Noi ravvisiamo la potenza e la volontà di Colui che suole spesso, e che solo può, trarre da minime cose il principio di grandi beni. Sembra infatti che il provvidentissimo Iddio abbia voluto, in mezzo a tanto traviamento d’idee, ravvivare la fede e offrirci insieme l’opportunità di richiamare il popolo cristiano all’amore di una vita migliore. Pertanto non resta che metter mano all’opera, affinché il seguito corrisponda al felice inizio, e attivarsi al massimo affinché i disegni di Dio vengano compresi ed attuati. Allora finalmente l’ossequio verso la Sede Apostolica sarà pieno e perfetto in ogni sua parte, quando, associato all’ornamento delle virtù cristiane, valga a condurre gli uomini alla salvezza: risultato che è il solo desiderabile e duraturo in eterno.

Dall’alto del ministero apostolico, in cui la bontà di Dio Ci ha collocati, prendemmo spesso il patrocinio della verità, e Ci studiammo di esporre principalmente quei punti della dottrina che Ci sembravano più adatti alla necessità, e più proficui al pubblico bene, affinché, conosciuta la verità, ognuno, vegliando e cautelandosi, fuggisse il soffio nefasto degli errori. Ora poi, quale padre amantissimo verso i suoi figliuoli, Noi vogliamo parlare a tutti i cristiani e con familiare discorso esortare ognuno di loro a intraprendere un tenore di vita cristiana. Infatti, per ben meritare il nome di cristiano, oltre alla professione della fede occorre l’esercizio delle virtù cristiane, dalle quali non solo dipende l’eterna salvezza dell’anima, ma anche la vera prosperità sociale e la tranquillità del consorzio civile. Se si esamina lo svolgersi della vita, non vi è chi non veda quanto i costumi pubblici e privati siano discrepanti dai precetti evangelici. Si adatta troppo bene alla nostra età quella sentenza dell’Apostolo Giovanni: “Tutto ciò che è nel mondo, è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita” (1Gv 2,16). I più, infatti, dimenticando il principio per cui nacquero ed il fine a cui sono chiamati, fissano tutti i loro pensieri e le loro sollecitudini nei vani e caduchi beni della terra; violentando la natura e scompigliando l’ordine stabilito, si rendono volontariamente schiavi di quelle cose che l’uomo dovrebbe, secondo ragione, dominare. – È poi naturale che con l’amore degli agi e dei piaceri si accoppi la cupidigia delle cose idonee a comprarli. Di qui quella sfrenata avidità di denaro che rende ciechi quanti invase, e corre tutto fuoco e a briglia sciolta a scapricciarsi, senza distinguere spesso il giusto dall’ingiusto, e non di rado con ributtante insulto alla miseria altrui. E così moltissimi, la cui vita nuota nell’oro, vantano a parole una fratellanza col popolo, che poi nell’intimo del cuore superbamente disprezzano. Allo stesso modo l’animo preso dalla superbia tenta di scuotere il giogo di ogni legge, calpesta ogni autorità, chiama libertà l’egoismo. “Come il puledro dell’onagro, ritiene di essere nato libero” (Gb XI,12). Gl’incentivi del vizio e i fatali allettamenti al peccato avanzano: intendiamo dire le licenziose ed empie rappresentazioni teatrali; i libri e i giornali scritti per fare apparire onesto il vizio e sfatare la virtù; le stesse arti, già inventate per le comodità della vita e l’onesto sollievo dell’animo, sono utilizzate quale esca per infiammare le passioni umane. Né possiamo spingere lo sguardo nel futuro senza tremare, vedendo i novelli germi dei mali che vengono di continuo deposti e accumulati in seno alla adolescente generazione. Vi è noto l’andamento delle pubbliche scuole: in esse non si dà luogo all’autorità ecclesiastica; e proprio nel tempo in cui sarebbe sommamente necessario informare con la più solerte cura gli animi ancor giovani alla pratica dei doveri cristiani, tacciono il più delle volte gl’insegnamenti della Religione. Gli adolescenti poi vanno incontro ad un pericolo maggiore, qual è una viziata dottrina; la quale sovente è tale che, più che ad istruire con la nozione del vero, serve ad infatuare la gioventù con i sofismi dell’errore. – Infatti nell’insegnamento delle scienze, moltissimi, trascurata la fede divina, amano filosofare col solo magistero della ragione; per cui, rimossi il solido fondamento e lo smagliante lume della fede, sono incerti in molte cose, e non distinguono il vero. Tale è il credere che quanto è nel mondo, tutto sia materiale; che gli uomini e gli animali abbiano identità d’origine e di natura; né mancano taluni che stanno in forse se vi sia, o no, un sommo Artefice del mondo e dominatore delle cose, Iddio; ovvero errano grandemente, a mo’ dei pagani, intorno alla sua natura. Donde è necessario che vengano alterati anche il concetto e la forma della virtù, del diritto e del dovere. E così mentre essi boriosamente vantano grandemente la supremazia della ragione e magnificano oltre misura l’acume dell’ingegno, scontano con l’ignoranza d’importantissime verità la pena dovuta alla loro superbia. Col pervertimento delle idee, si infiltra fin nelle vene e nel midollo delle ossa la corruzione dei costumi, e questa in tale gente non può venire sanata che con grandissima difficoltà: poiché da un lato i falsi principi alterano il giudizio dell’onestà, e dall’altro manca la luce della fede cristiana, che è principio e fondamento di ogni giustizia. – Per queste ragioni vediamo ogni giorno in qualche modo coi nostri occhi da quanti mali sia travagliata la società umana. Il veleno delle dottrine rapidamente invase la vita pubblica e privata: il razionalismo, il materialismo, e l’ateismo partorirono il socialismo, il comunismo, il nichilismo: altre e funeste pestilenze, le quali dovevano logicamente e inevitabilmente scaturire da quei principi. In verità, se si può rigettare impunemente la Religione Cattolica, la cui divina origine è chiara per segni tanto evidenti, perché non si dovrebbero respingere le altre forme di culto, che certamente mancano di tali prove di credibilità? Se l’anima non è per sua natura distinta dal corpo, e per conseguenza, se nella morte del corpo nessuna speranza ci resta di un’eternità beata, perché dovremo noi sobbarcarlo a fatiche e a travagli al fine di sottomettere il talento alla ragione? Il sommo bene dell’uomo sarà riposto nel godimento degli agi e dei piaceri della vita. E poiché non v’è alcuno che per istinto e impulso di natura non tenda alla felicità, a buon diritto ognuno spoglierebbe gli altri, secondo le sue possibilità, per procacciarsi con le cose altrui il godimento della felicità. Né vi sarebbe potere al mondo che avesse così poderosi freni da imbrigliare le impetuose passioni; conseguentemente ove venga ripudiata la somma ed eterna legge di Dio, è inevitabile che il vigore delle leggi s’infranga, e ogni autorità si svigorisca. Ne consegue necessariamente che la società civile si sconvolga fin dal profondo, e che i singoli membri siano spinti a perpetua lotta dalla loro insaziabile cupidigia, affannandosi gli uni a raggiungere gli agognati beni, e gli altri a conservarli. – Tale è certamente la tendenza dell’età nostra. Tuttavia vi è di che consolarci alla vista dei mali presenti, e sollevare l’animo a liete speranze per l’avvenire. Infatti “Dio creò tutte le cose perché esistessero, e fece sanabili le nazioni di tutto l’orbe” (Sap 1,14). Ma come questo mondo non può essere conservato se non dalla volontà e dalla provvidenza di Colui che l’ha creato, così pure gli uomini non possono essere risanati che dalla sola virtù di Colui che li ha redenti. – Infatti Gesù Cristo a prezzo del suo sangue riscattò una volta sola il genere umano, ma perenne e perpetua è l’efficacia di tanta opera e di sì gran beneficio: “e non c’è salvezza fuori di Lui” (At IV, 12). Pertanto quanti si affaticano per estinguere, a forza di leggi, la crescente fiamma delle passioni popolari, essi si affaticano sì per la giustizia, ma si debbono anche persuadere che con nessuno o con scarsissimo risultato consumeranno la fatica, ove persistano a ripudiare la forza del Vangelo e a non volere la cooperazione della Chiesa. La guarigione dei mali è riposta in questo che, mutato indirizzo, gl’individui e la società ritornino a Gesù Cristo e al retto cammino della vita cristiana. – Ora la sostanza e il perno della vita cristiana consistono nel non assecondare i corrotti costumi del secolo, ma nell’osteggiarli con virile fermezza. Questo ci insegnano le parole e i fatti, le leggi e le istituzioni, la vita e la morte di Gesù, “autore e perfezionatore della fede”. Dunque, per quanto il guasto della natura e dei costumi ci attiri altrove, lontano dalla meta, occorre che noi corriamo “alla tenzone che ci aspetta”, agguerriti e pronti con quel coraggio e con quelle armi con le quali Egli, “propostosi il gaudio, sostenne la croce” (Eb XII,1-2).

Gli uomini vedano pertanto e comprendano quanto sia lontano dalla professione della fede cristiana il seguire – come si fa oggi – ogni sorta di piaceri e rifuggire le fatiche, compagne della virtù e nulla rifiutare a se stesso di quanto piacevolmente e delicatamente alletta i sensi. ” Coloro che sono di Cristo hanno crocifisso coi vizi e le concupiscenze la propria carne” (Gal V, 24): dal che si rileva che non sono di Cristo coloro i quali non si esercitano né si abituano a patire, disprezzando le mollezze e la voluttà. L’uomo, mercé l’infinita bontà di Dio, fu restituito alla speranza dei beni immortali dai quali era precipitato; ma non può conseguirli, se non cercando di calcare le orme di Cristo, meditandone gli esempi, conformando a Lui il cuore e i costumi. Pertanto non è consiglio, ma dovere, né solamente per quelli che abbracciarono un genere di vita più perfetto, ma per tutti, “il portare nel corpo la mortificazione della carne” (2Cor IV, 10). Come potrebbe altrimenti rimanere salda la stessa legge di natura, la quale comanda all’uomo di vivere virtuosamente? Infatti col santo Battesimo si cancella la colpa che si contrasse nascendo, ma non per questo vengono recisi i rei germogli innestati dal peccato. Quella parte dell’uomo che è irragionevole, ancorché non possa nuocere a chi, mercé la grazia di Cristo, si oppone virilmente, tuttavia contrasta con il regno della ragione, turba la pace dell’animo e tirannicamente trascina la volontà lontano dalla virtù con tanta forza che, senza una lotta quotidiana, non possiamo né fuggire il vizio né compiere i nostri doveri. “Il santo Concilio riconosce e dichiara che nei battezzati rimane la concupiscenza, o stimolo, che, lasciata all’uomo per la battaglia, non può nuocere a chi non si arrende, ma anzi la respinge virilmente con la grazia di Gesù Cristo; chi debitamente combatterà, verrà coronato” . In questa battaglia vi è un grado di forza a cui non perviene che una virtù eccellente, cioè quella di coloro i quali, combattendo i moti contrari alla ragione, si avvantaggiarono a tal punto che sembrano condurre in terra una vita quasi celeste.  – Per quanto sia di pochi una così rilevante perfezione, tuttavia, come la stessa antica filosofia insegnava, nessuno deve lasciare senza freno le proprie passioni, soprattutto coloro che utilizzando ogni giorno le cose terrene sono più esposti ai pericoli del vizio, a meno che qualcuno non pensi stoltamente che deve essere minore la vigilanza dove è più imminente il pericolo, o abbiano meno bisogno della medicina coloro che sono più gravemente ammalati. Quanto poi alla fatica che viene sostenuta in tale lotta, essa viene compensata, oltre che dai beni celesti e immortali, anche da altri grandi vantaggi, il primo dei quali è che, riordinati gli appetiti dell’uomo, moltissimo si rende alla natura della sua dignità primitiva. Infatti, con questa legge e con quest’ordine l’uomo venne creato affinché l’anima dominasse il corpo, e la cupidigia fosse governata dalla ragione e dal buon senso: da ciò deriva che il non darsi in preda alle tiranniche passioni sia la più sublime e desiderabile libertà. – Inoltre, senza quella disposizione di animo, non si vede che cosa ci si possa aspettare di bene nella stessa società umana. Potrà, per ventura, essere propenso a beneficare gli altri chi è abituato a prendere norma e misura di quanto deve fare, o fuggire, dall’amore di se stesso? Nessuno, che non sappia dominare se medesimo, e disprezzare per amore della virtù tutte le cose umane, può mai essere né magnanimo, né benefico, né misericordioso, né disinteressato. Non taceremo nemmeno che gli uomini – come è deciso dalla volontà divina – non possono raggiungere la salvezza senza fatica e senza pena. Infatti, se Dio concedette all’uomo la liberazione dalla colpa e il perdono dei peccati, glieli accordò con questa legge: che il suo Unigenito ne portasse la giusta e dovuta pena. E Gesù Cristo, pur potendo per altre vie soddisfare alla giustizia divina, volle piuttosto soddisfarla a prezzo di sommi tormenti, col dono della vita. E ai discepoli e seguaci impose questa legge suggellata col suo sangue: che la loro vita fosse una continua battaglia coi vizi dei costumi e dei tempi. Che cosa formò invitti gli Apostoli nell’addottrinare con la verità il mondo, e rinvigorì innumerevoli martiri nel dare testimonianza alla fede cristiana con la prova suprema del sangue, se non la disposizione dell’animo ossequiente senza timore a detta legge? Non scelsero di andare per altra via quanti ebbero a cuore di vivere cristianamente e di procacciare con la virtù il proprio bene; né per altra dobbiamo incamminarci noi, se vogliamo provvedere alla nostra e alla comune salvezza.  – Pertanto, in mezzo a questa spudorata e dominante licenza, è necessario che ciascuno virilmente si difenda dagli allettamenti della lussuria; e poiché è tanto sfrontata l’ostentazione che si suol fare di una vita agiata ed opulenta, è anche necessario premunire l’animo contro il fascino del lusso e delle ricchezze, affinché il cuore, desiderando quelle cose che si dicono beni ma che non possono sfamarlo e sono fugaci, non venga a perdere un tesoro immarcescibile in cielo. Da ultimo, è altresì da deplorare che massime ed esempi dannosi abbiano avuto tanta forza da effeminare gli animi a tal punto che moltissimi oggi arrossiscono del nome e della vita cristiana, il che è proprio o di una profonda corruzione, o di una grande insipienza. Entrambe detestabili, entrambe tali che non può capitare all’uomo un male peggiore. Infatti, quale scampo rimarrebbe agli uomini, o in che cosa appoggerebbero essi la loro speranza, se tralasciassero di gloriarsi del Nome di Gesù Cristo e ricusassero di comportarsi a viso aperto e con fermezza secondo i precetti evangelici? È comune lamento che la nostra età è infeconda di uomini forti. Si richiamino in vigore i costumi cristiani, e con ciò saranno restituite fermezza e costanza alle umane capacità. – Ma a tanta grandezza e varietà di doveri la virtù dell’uomo non può bastare da sola. Quindi conviene che, come si domanda a Dio il pane quotidiano per alimento del corpo, così pure da Lui s’implorino la forza e il vigore per l’anima, affinché questa si consolidi nella pratica della virtù. Per cui, quella comune legge e condizione della vita, che dicemmo consistere in un perpetuo combattimento, va sempre congiunta con la necessità della preghiera, poiché, come con verità e grazia dice Agostino, la pia orazione trascende gli spazi del mondo e fa scendere dal cielo la misericordia divina. Contro gli assalti delle torbide passioni e contro le insidie del demonio dobbiamo, per non essere irretiti dalle sue frodi, chiedere i conforti e gli aiuti celesti, secondo il divino oracolo: “Pregate per non cadere in tentazione” (Mt XXVI, 41). Quanto maggiormente ne abbiamo bisogno, se in più vogliamo procurare la salvezza agli altri! Cristo Signore, l’Unigenito Figlio di Dio, fonte d’ogni grazia e virtù, ci comandò con le parole quanto per primo ci dimostrò con l’esempio, “trascorrendo le notti nella preghiera a Dio” (Lc VI, 12), e vicino al sacrificio “pregava più intensamente” (Lc XXII, 43).  – Per la verità assai meno sarebbe da temere la fragilità della natura, né i costumi si pervertirebbero nell’ozio e nell’infingardaggine, se questo divino precetto non fosse così spesso per negligenza o per stanchezza trascurato. Infatti Dio è placabile con la preghiera; Egli vuole beneficiare gli uomini, e ha chiaramente promesso che a larga mano darà dovizia di grazie a chi gliene chiederà. Ché anzi Egli stesso ci invita, e quasi ci provoca con amorevolissime parole: “Io vi dico, chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi verrà aperto” (Lc. XI, 9). E affinché non temiamo di pregarlo con fiducia e familiarità, tempera la sua divina maestà con l’immagine e la somiglianza di un tenerissimo padre a cui nulla è più caro dell’amore dei figli: “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a coloro che gliele domandano?” (Mt. VII,11).  – Chi avrà meditato queste cose, non si meraviglierà se a Giovanni Crisostomo la preghiera sembra tanto efficace da reputarla paragonabile alla stessa potenza di Dio. Infatti, nello stesso modo in cui Dio con una parola creò l’universo, l’uomo con la preghiera ottiene da Lui ciò che vuole. Niente è più efficace per ottenere grazie, quanto le buone orazioni, poiché esse contengono quei motivi dai quali Iddio si lascia più facilmente placare e intenerire. Nell’orazione noi storniamo l’animo dalle cose terrene e, attratti col pensiero nella contemplazione del solo Dio, abbiamo coscienza dell’umana debolezza: pertanto riposiamo nella bontà e nell’amplesso di nostro Padre, e cerchiamo rifugio nella potenza del Creatore. Noi ci presentiamo con insistenza all’Autore di tutti i beni, come per mostrargli l’anima nostra inferma, le forze fiacche e la nostra indigenza; pieni di speranza imploriamo tutela e soccorso da Colui che solo può somministrare il rimedio alle nostre infermità e offrire conforto alla nostra miseria e alla nostra debolezza. Grazie a questa umile e modesta disposizione d’animo, necessaria da parte del credente, meravigliosamente Iddio si piega a clemenza; perché, come resiste ai superbi, “così dà grazia agli umili” (1Pt V, 5).  – Sia dunque sacra a tutti la pratica dell’orazione: preghino la mente, l’anima, la voce, e concordi il vivere con il pregare; affinché la nostra vita, mercé l’osservanza delle leggi divine, appaia un continuo volo dell’anima a Dio.  – Come tutte le altre virtù, così anche questa di cui parliamo venne generata e sorretta dalla fede divina. Infatti Dio è Colui che ci dà a intendere quali siano i veri e desiderabili beni; e ci fa conoscere la sua infinita bontà e i meriti di Gesù Redentore. Ma niente vien meglio in aiuto ad alimentare e crescere la fede quanto la pia pratica dell’orazione. Appare chiaro quanto sia stringente il bisogno di tale virtù, che in molti è rilassata e in altri addirittura spenta. Infatti da essa deve specialmente attendersi non solo la correzione dei costumi privati, ma anche la norma per giudicare di quelle cose, il cui conflitto non lascia gli Stati tranquilli e sicuri. Se il popolo è tormentato da una sete ardente di libertà, se dappertutto scoppiano minacciosi i fremiti dei proletari, se la snaturata ingordigia dei più ricchi non dice mai basta, e se vi sono altri sconci di tal fatta, a questo certamente non si può recare, come altra volta più diffusamente dimostrammo, un rimedio migliore e più sicuro della fede cristiana. – Qui cade in proposito rivolgere il pensiero e la parola a voi tutti, che Dio elesse a suoi cooperatori nell’amministrazione dei misteri e investì del suo divino potere. Ove si ricerchino le cause della privata e pubblica salute, non v’ha dubbio che, sia per il bene, sia per il male, influiscono assai la vita e i costumi degli ecclesiastici. – Si ricordino dunque di essere da Cristo chiamati “luce del mondo”; poiché “come la luce che irraggia tutto l’orbe, conviene che splenda l’anima del sacerdote” . Si ricerca nel sacerdote un lume non comune della dottrina, dato che è suo compito infondere negli altri la sapienza, estirpare gli errori, essere guida del popolo per gli sdrucciolevoli e incerti sentieri della vita. La dottrina poi vuole innanzi tutto avere per compagna l’innocenza della vita; massime perché nella riforma degli uomini si ottiene più con gli esempi che con la parola: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone” (Mt V,16). Questa sentenza divina significa che nei sacerdoti la perfezione e la raffinatezza della loro virtù devono essere tali da servire da specchio a chi li osserva. “Nulla meglio ammaestra gli altri nella pietà e nel culto di Dio, come la vita e l’esempio di coloro che si dedicarono al divino ministero, poiché, essendo essi esposti agli sguardi in luogo più alto e sovrastante le cose del mondo, tutti si specchiano in loro, e da loro prendono il modello da imitare”. Per la qual cosa se tutti gli uomini debbono accuratamente guardarsi di cadere nei pericoli dei vizi, e di non correre con smodato amore dietro le cose caduche, appare ben chiaro con quanta più ragione debbano fare ciò con ogni scrupolosa cura e con costanza i sacerdoti. – Ma non è sufficiente non servire alle passioni: la santità del loro sublime grado domanda in più che si abituino a padroneggiare virilmente se stessi e a sottomettere a Cristo tutte le forze dell’anima, specialmente l’intelletto e la volontà, che sulle altre dominano. “Tu che ti prepari ad abbandonare tutto, ricordati che tra le cose da lasciare vi è l’amore di te stesso, anzi, sopra tutto rinnega te stesso”. Quando essi abbiano sciolto e liberato da ogni cupidigia il cuore, allora finalmente concepiranno un alacre e generoso zelo per l’altrui salute, senza neppure provvedere abbastanza alla propria: “Un solo guadagno, un solo vanto, una sola gioia essi debbono cercare nei loro fedeli, ed è di studiarsi di preparare in essi un popolo perfetto. A questo fine tutti debbono adoperarsi, mortificando anche la carne e il cuore, e non badando a fatiche e pene, a fame e sete, a freddo e nudità”. – Codesta impavida e sempre desta virtù, che si prodiga per il bene del prossimo in ardue imprese, viene mirabilmente alimentata e rinvigorita dalla frequente contemplazione delle cose celesti, e quanto più ad essa si dedicheranno, tanto meglio comprenderanno la grandezza e la santità del ministero sacerdotale. Comprenderanno quanto sia deplorevole cosa che tanti, redenti da Gesù Cristo, piombino nell’eterna rovina: con la meditazione dell’essere divino ecciteranno maggiormente se stessi e gli altri all’amore di Dio.  – Ecco la via sicurissima della salvezza pubblica. Però bisogna stare molto attenti che nessuno si abbatta per la grandezza delle difficoltà o disperi della guarigione per la permanenza dei mali. L’imparziale ed immutabile giustizia di Dio riserba il premio alle buone opere, la pena alle malvagie: ma quanto alle nazioni, che non possono propagarsi oltre la cerchia del tempo, conviene che esse abbiano la loro retribuzione su questa terra. Non è cosa nuova, è vero, che prosperi successi allietino una nazione peccatrice, e ciò per giusta disposizione di Dio, il quale, non essendovi popolo al mondo che sia privo di ogni onestà, con siffatti premi talora ricompensa le lodevoli azioni; come successe al popolo romano secondo Agostino. Nondimeno è legge stabilita che il più delle volte alla prospera fortuna giovi il pubblico culto della virtù, massime di quella che è madre di tutte le altre, cioè la giustizia. “La giustizia solleva, il peccato deprime e immiserisce i popoli” (Pr 14,34). Non vale qui rivolgere l’attenzione alla trionfante ingiustizia, né ricercare se vi siano regni i quali, correndo prospera la cosa pubblica e secondo i loro desideri, covino tuttavia nelle intime viscere il germe dei mali. Questo solo vogliamo che s’intenda, e di questi esempi è ricca la storia: doversi presto o tardi pagare il fio delle ingiustizie, e tanto più severamente quanto furono più durevoli i misfatti.  – Quanto a Noi, Ci è di gran conforto la sentenza dell’Apostolo Paolo: “Tutte le cose sono vostre; voi siete di Cristo; Cristo è di Dio” (1Cor III, 22-23). Il che significa che per arcana disposizione della provvidenza divina il corso delle cose mortali viene retto e governato in modo che quanto succede agli uomini è subordinato alla gloria di Dio, e parimenti portano alla salvezza le opere di coloro che seguono Gesù Cristo sinceramente e di cuore. – Di questi è madre e nutrice, guida e custode la Chiesa, la quale, come con intima e immutabile carità è unita a Cristo, suo Sposo, così si associa con Lui nelle lotte e partecipa della vittoria. Non siamo dunque né possiamo essere inquieti per la causa della Chiesa: ma temiamo vivamente per la salvezza di moltissimi, i quali, voltate superbamente le spalle alla Chiesa, errando per vie diverse, precipitano nella dannazione, e Ci angosciamo altresì per quegli Stati che siamo costretti a vedere lontani da Dio, e con stupida sicurezza addormentati sull’orlo del precipizio. “Niente può stare a fronte della Chiesa… Quanti la combatterono, altrettanti perirono. La Chiesa trascende i cieli. La sua grandezza è tale che, combattuta, vince; insidiata, supera gli agguati… lotta e non è abbattuta, si azzuffa nel pugilato e non è mai superata”. – Né soltanto non è mai superata, ma conserva intera quella virtù riformatrice della natura, principio di salute ch’ella perennemente attinge e deriva da Dio: resta immutabile pur nel mutare dei tempi. Se già divinamente rigenerò il mondo invecchiato nei vizi e perduto nelle superstizioni, perché non potrà richiamarlo, traviato, sul retto sentiero? Tacciano una buona volta i sospetti e gli odii: e la Chiesa, tolti di mezzo gli ostacoli, sia ovunque padrona dei propri diritti, poiché ad essa spetta conservare e diffondere i benefici procurati da Gesù Cristo. Allora si potrà conoscere, attraverso l’esperienza, fin dove giunga il potere illuminante del Vangelo, e quanto possa la virtù di Cristo redentore. – Questo stesso anno prossimo a finire ha mostrato, come dicemmo all’inizio, non pochi indizi che la fede torna a rivivere nei cuori. Voglia Dio che questa piccola scintilla cresca in gran fiamma, la quale, distrutte le radici dei vizi, sgombri sollecitamente la via al rinnovamento dei costumi e ad opere salutari. – Noi, preposti al governo della mistica nave della Chiesa in tempi così burrascosi, fissiamo la mente e il cuore nel divino Pilota che siede invisibile a poppa, governandone il timone. – Tu vedi, o Signore, come da ogni parte erompano impetuosi i venti ed il mare si arruffi, levando altissimi flutti. Deh, Tu che solo lo puoi, comanda ai venti e al mare. Rendi all’umana famiglia la vera pace, che il mondo non può dare, e la tranquillità dell’ordine. – Cioè gli uomini, mercé la tua grazia e il tuo impulso, facciano ritorno all’ordine dovuto, restaurando nei loro cuori la necessaria pietà verso Dio, la giustizia e la carità verso il prossimo e la temperanza verso se stessi, con pieno dominio della ragione sull’ingordigia. Venga il tuo regno; e quelli stessi che lontano da Te si affaticano invano nella ricerca della verità e della salute, intendano che è indispensabile che a Te si assoggettino e Ti servano. Sono connaturate nelle tue leggi la giustizia e una soavità paterna: e Tu stesso spontaneamente ci doni, mercé la tua grazia, la possibilità di osservarle. La vita dell’uomo sulla terra è combattimento, ma Tu stesso “sei spettatore della battaglia, aiuti l’uomo a vincere, se è scorato lo rinfranchi, e se è vincitore lo coroni”.

Con l’animo sollevato da queste considerazioni verso una lieta e salda speranza, Noi amorosamente nel Signore impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e a tutto il popolo cattolico l’Apostolica Benedizione, auspice dei celesti doni e testimone della Nostra benevolenza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno del Natale di Nostro Signore Gesù dell’anno 1888, undecimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. BENEDETTO XIV – “EX OMNIBUS CHRISTIANI”

Con questa breve lettera Enciclica, il Sommo Pontefice Romano Benedetto XIV, si inserisce nelle questioni ancora presenti in Francia in seguito all’azione spiritualmente devastante del Giansenismo. Qui si ribadisce con estrema chiarezza e risoluzione un principio dottrinale, valido allora ed ancor più oggi, secondo il quale si « ….  proibisce di amministrare l’Eucaristica Comunione a qualunque pubblico e notorio peccatore, ancorché egli pubblicamente o privatamente la domandi ». Quindi l’assistere a pubbliche amministrazioni di Sacramenti – benché invalidi ed illeciti dopo il conciliabolo c. d. Vaticano II e le relative riforme protestanti-moderniste – a personaggi notoriamente di idee e comportamenti anticristiani, blasfemi, antiecclesiastici o laici come ipocritamente si dice, (noti aderenti a logge massoniche, artistoidi satanisti e sodomiti dichiarati…) è una ulteriore manifestazione dell’affronto diretto con cui la falsa chiesa dell’uomo, la “spelonca latronum” vaticana, che vive là dove abita satana (Apoc. II), lancia la sua sfida diretta a Dio, al suo Cristo ed alla Chiesa Cattolica Sposa-immacolata di Cristo. Già con il partecipare, o solo con l’assistere approvando i riti blasfemi e sacrileghi, si è in peccato mortale per i numerosi anatemi conciliari e magisteriali ai quali si va incontro, sia quelli sanzionati con pene canoniche ed ancor più quelli ipso facto che, benché invisibili all’uomo, sono ben noti e presenti agli occhi di Dio (c. A.: Auctorem fidei) e conducono direttamente nello stagno di fuoco eterno ove finiranno insieme alla “bestia” ed al “falso profeta” (le pseudo-chiesa falsa conciliare), prima del diavolo che chiuderà la porta degli inferi (Apoc. XXII).

Benedetto XIV
Ex omnibus christiani

1. Essendo a Noi giunta da tutte le parti del Mondo Cristiano (delle quali è stato affidato alla debolezza Nostra il Pastorale Governo) più e più volte la notizia di molte cose, le quali tengono l’animo Nostro altamente agitato e sollecito pel buono stato di tutte, e di ciascuna Chiesa in particolare; a stento ve n’è stata alcun’altra che ci abbia recato maggior turbamento e dolore quanto i gravissimi dispareri e le controversie, dalle quali da qualche anno in qua purtroppo conosciamo essere agitati codesto fiorentissimo Regno e la Cattolica Nazione di Francia. Invero, in queste turbolenti circostanze, non abbiamo mancato di porgere Noi stessi, e di far porgere ad altri ancora, umili preghiere a Dio O. M., e di supplicarlo, perché Egli, ch’è il Dio della pace, si volesse degnare di restituire alle vostre Chiese agitate una vera e stabile tranquillità. Più volte abbiamo scritto al Nostro carissimo Figlio Ludovico, Re Cristianissimo di Francia, implorando la sua mediazione e potenza a difesa e sostegno dell’Ecclesiastica Pace. E rispondendo a tutti coloro che a Noi e all’Apostolica Sede ricorsero per le presenti emergenze, ci siamo sempre espressi di essere pronti ed apparecchiati in tutto il corso di Nostra vita a dare con tutto il piacere una mano per stabilire la Pace della Chiesa Gallicana (che Noi sinceramente e costantemente amiamo) e per intraprendere ed ultimare tutte quelle cose che ci fossero proposte, purché i progetti fossero riconosciuti atti e valevoli ad estirpare la rea semenza dei mali, e la cui esecuzione, accompagnata dalla speranza di felice successo, potesse tendere al fine bramato.

2. La lettera scrittaci dall’Assemblea del Clero Gallicano sotto il dì 31 ottobre dell’anno scorso, Ci ha non poco sollevato dal grave e lungo disturbo, che abbiamo provato fin qui per le cose vostre; leggendola, abbiamo riconosciuto, Venerabili Fratelli, la vostra fermezza e costanza, la vostra perfetta unione nel conservare illibato il deposito della vera e sana Dottrina, come pure ad imitazione dei vostri maggiori il rispetto e la venerazione verso la S. Sede, che è il centro della Cattolica unità. Ed invero abbiamo scoperto non trovarsi tra di voi alcun disparere per ciò che spetta alle canoniche regole e ai principi, ma solamente non convenire voi nell’eleggere, e fissare i mezzi dei quali faccia d’uopo servirsi per mettere in uso gli stessi comuni principi. Quantunque fosse desiderabile che nella vostra adunanza non si avesse codesto disparere, tuttavia non ci reca meraviglia, ben consapevoli essere simili dissensi accaduti altre volte tra Vescovi, riguardevoli per dottrina e santità di costumi, in occasione dell’esame di gravissimi affari. Ad accrescere poi in Noi la concepita consolazione hanno molto contribuito l’eccellente pietà e religione del Re Cristianissimo, accompagnate dal suo ereditario ossequio verso questa Apostolica Sede, il quale a meraviglia è spiccato non solo nell’ultima lettera del 19 dicembre dell’anno scorso, in cui Ci compiegò e trasmise quella del Clero, ma nell’altre tutte a Noi indirizzate. In queste possiamo e dobbiamo attestare aver Noi apertamente scoperto sentimenti tali del suo regio animo, quali grandemente convengono a un Principe Cattolico, pieno di Religione, di pietà, di zelo verso Iddio e la Sede Romana, come pure amantissimo che ritornino e si conservino perpetue nel suo Dominio la pace e la concordia.

3. Certamente tale e tanta è nella Chiesa di Dio l’autorità dell’Apostolica Costituzione Unigenitus, ed esige questa dappertutto venerazione, ossequio ed ubbidienza, che nessun fedele può, senza pericolo di sua eterna salute, sottrarsi dall’accettarla, e in qualsivoglia maniera contraddirla. Quindi ne consegue che in quella controversia ch’è insorta, se si debba o no negare ai refrattari di questa Costituzione il Santissimo Viatico, ch’essi richiedono, si deve francamente rispondere che deve essere loro negato qualora essi siano pubblicamente e notoriamente refrattari alla predetta Costituzione, e ciò in vigore della regola generale, che proibisce di amministrare l’Eucaristica Comunione a qualunque pubblico e notorio peccatore, ancorché egli pubblicamente o privatamente la domandi.

4. Coloro, poi, che sono pubblicamente e notoriamente refrattari in rapporto al caso di cui si tratta; coloro che sono stati dichiarati rei per sentenza di Giudice competente, e a motivo d’essere essi ostinati nel negare la dovuta venerazione, ossequio, ubbidienza alla predetta Costituzione Unigenitus; coloro, ancora, che in giudizio abbiano confessato una medesima contumacia; coloro, pure, che sebbene non siano stati dal Giudice condannati né abbiano confessato in giudizio la propria reità, nientedimeno in congiuntura di ricevere il Viatico, spontaneamente professano la propria disubbidienza e contumacia contro la Costituzione Unigenitus, o si sappia che in passato essi hanno commesso alcuna cosa manifestamente contraria alla venerazione, ossequio e ubbidienza dovuta alla stessa Costituzione, e moralmente perseverano nello stesso impegno (il che sia così comunemente noto, che il pubblico scandalo indi sorto fino allora non sia cessato), in simili casi corre la stessa certezza morale che si ha in quei fatti nei quali il Giudice ha pronunziato sentenza; o almeno si sostituisce un’altra morale certezza simile ed equivalente alla predetta.

5. Nel che si deve avvertire la differenza che passa tra quella notorietà, con la quale viene scoperto qualche mero fatto, il reato del quale consiste nella sola azione esterna (come sarebbe quella di un usuraio e di un concubinario) e un’altra specie di notorietà, con la quale accade d’esser messi in vista quei fatti esterni, il reato dei quali ancora assai più dipende dall’interna disposizione dell’animo, e della quale specie di notorietà presentemente si tratta. Imperocché il primo provar si deve con argomenti gravi; ma con molto più gravi e certi provar si deve il secondo.

6. Non si deve però dire trovarsi negli altri casi quella morale certezza, che di sopra accennammo, nei quali il delitto sta appoggiato a mere congetture, a presunzioni e a discorsi vaghi ed incerti, i quali il più delle volte nascono da uomini di mal talento, che si lasciano trasportare dai pregiudizi per le loro opinioni, e dallo spirito di partito. Se si presta fede ad essi, è abbastanza noto, per l’esperienza sì dei passati, che dei nostri tempi, quanto facilmente accada che gli uomini errino, s’ingannino e camminino a rovescio.

7. Poiché però alcuni Pastori delle anime e ministri della Chiesa, commendabili per la loro pietà e zelo, appoggiando sia simili congetture e presunzioni, allorché sono chiamati ad amministrare a taluni il sacro Viatico stanno dubbiosi e irresoluti nel timore di non poterlo amministrare senza aggravio della propria coscienza, prescriviamo adesso quella regola certa di operare che essi devono seguire.

8. Innanzitutto devono tener presente questo, cioè se colui che chiede l’estremo Viatico sia stato ammesso dal proprio Parroco, specialmente nel tempo di Pasqua, alla sacra Comunione; se a lui non è stata negata giammai in vita, segno sarà che egli è stato scevro da ogni colpa, o almeno non creduto veramente peccatore notorio; dal che seguirà non potersi negare il sacro Viatico a costui che, sull’ultimo di sua vita, pubblicamente lo richiede, quando però tra l’ultima Comunione e il tempo in cui domandai Sacramenti non si scoprisse aver egli commesso alcuna cosa, per cui contratta avesse, secondo abbiamo detto, la taccia di pubblico e notorio peccatore.

9. Quando poi non appaia loro, per questa sorta di fatti, un fondamento certo cui si possano appoggiare, e dall’altra parte non spregevoli presunzioni e gravi e forti indizi militino contro l’ammalato, pei quali non sia loro possibile deporre ragionevolmente lo scrupolo insorto in siffatte circostanze, occorre che essi, licenziati prima gli astanti, parlino all’infermo, e a lui mostrino con tutta la maggiore disponibilità e mansuetudine, non a guisa di chi vuole disputare e convincerlo, quali siano, e di qual sorta, gli indizi, che gli rendono sospetto il tenore di sua vita; pregandolo e scongiurandolo a ravvedersi almeno in quella circostanza di tempo, da cui l’eterna sua sorte dipende; dimostrandogli inoltre che, sebbene apparecchiati siano per conferirgli l’estremo Viatico, e ancora di più che glielo amministrino, non per questo però egli sarà sicuro nel Tribunale di Gesù Cristo; ma che anzi si farà reo d’un nuovo ed orrendo delitto, dopo che avrà mangiato e bevuto la sua condanna; del resto si protestino di non amministrargli il Sacramento del Corpo di Gesù Cristo, se non per ubbidire alla Chiesa, che così comanda. Essa, oltre la premura che ha di prevenire i pubblici scandali, ancora per la sua pietà procura d’impedire l’infamia dell’ammalato, e perciò non lo discaccia dalla sacra mensa, perché sebbene lo giudichi peccatore nel cospetto del Signore, non lo riconosce però per tale pubblico e notorio nel suo Tribunale.

10. Dovete pertanto voi, Venerabili Fratelli, proporre codesta norma di giudicare e di operare, come approvata dal Nostro giudizio e dalla Sede Apostolica, agl’inferiori Pastori e a tutti i Sacerdoti legittimi ministri dei Sacramenti nelle vostre Città e Diocesi, perché la seguano e l’osservino.

Il giudizio da Noi dato intorno alle controversie presenti si appoggia alle regole ecclesiastiche, ai Decreti dei Concili tenuti altre volte in codesti paesi della Francia; è sostenuto pure da gravi Teologi della stessa vostra Nazione. Siccome adunque è stata per voi non piccola lode, seguendo gli esempi dei vostri maggiori, deferire a Noi e alla Sede Apostolica le controversie nate costì e i dubbi insorti, domandando una regola certa per richiamare e conservare la pace delle Chiese Vostre, così adesso vieppiù adempirete alle parti del vostro ministero, e maggior merito acquisterete innanzi a Dio e alla Chiesa se farete di tutto, perché la prescritta regola si osservi onninamente negli occorrenti casi. Il che con tanta maggior fiducia aspettiamo da voi, e ce lo auguriamo, in quanto siamo certi di non aver omesso alcuna diligenza e studio, sia nel considerare ed esaminare gli articoli, che i Vescovi adunati nei predetti comizi del Clero, sebbene non concordemente, Ci proposero, prendendo Noi lume, e ricavando dalla stessa loro discrepanza le nozioni opportune ed atte ad intendere a fondo il punto, e a definirlo con retto giudizio; sia ancora nel leggere e pesare i voti scritti dai nostri Venerabili Fratelli Cardinali di questa S. R. C., i consigli dei quali su questa materia abbiamo Noi richiesti; sia finalmente nell’eseguire e fare quel di più che ci potesse meritare l’assistenza del divin lume, che non abbiamo mai tralasciato d’implorare ardentemente. 11. Né dubitiamo, che il carissimo Nostro Figlio, il Re Cristianissimo, dopo aver non solamente approvato la risoluzione da voi presa, ma ancora, come abbiamo accennato di sopra, nelle lettere a Noi indirizzate, non ha mostrato difficoltà alcuna di promuoverla e spalleggiarla; attesa la sua nota religione e pietà verso Iddio e la S. Chiesa, avrà a cuore di aiutarvi, perché possiate voi, e gli altri inferiori ministri Ecclesiastici nell’amministrazione dei Sacrosanti Misteri, regolarvi a tenore di quanto è stato prescritto. Appoggiati pertanto a questa fiducia non abbiamo giudicato opportuno trattare qui degli altri articoli da voi trasmessici, e concernenti i diritti Episcopali intorno al concedersi, o negarsi, l’uso dei medesimi Sacramenti, e intorno a varie controversie insorte su questo punto; ma abbiamo giudicato piuttosto discuterne in altre lettere col Re Cristianissimo, perché egli, con la grandezza dell’animo suo

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII – “SÆPE NOS”

Ecco come il Santo Padre interviene nella questione irlandese «… di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere ». Questo è il compito del “vero” Papa, quello cioè di ricordare nelle situazioni scabrose e difficili, la retta dottrina per guidare ogni azione, sia essa personale, sociale o politica, al fine supremo al quale ogni fedele debba tendere: la salvezza eterna dell’anima. È quello che il Sommo Pontefice fa appunto in questa breve lettera sfidando in modo paterno tutti coloro che fomentavano rivolte e delitti sotto il preteso di giustizia e benessere, o liberazione da soprusi e tirannie. A questo oggi non siamo abituati, anzi i falsi “burattini in talare” orientano, o meglio disorientano, volutamente i presunti ciechi-fedeli (oramai essi stessi non sanno più di chi siano fedeli!)  a comportamenti anticristiani, sotto il pretesto di una tolleranza buonista, che in realtà è tolleranza, o meglio incoraggiamento dell’empietà, del sacrilegio, del peccato e di tutto quanto il loro padre, il diavolo, suggerisce loro.

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Leone XIII
Saepe Nos

Lettera Enciclica

Spesso, dall’atto di questo Apostolico ufficio, Noi abbiamo dedicato attenzioni e riflessioni ai vostri concittadini Cattolici: più di una volta abbiamo espresso il nostro proposito con pubbliche lettere, nelle quali è manifesto ad ognuno, senza alcun dubbio, da quali sentimenti siamo animati verso l’Irlanda. Oltre i decreti che negli anni precedenti la Sacra Congregazione di Propaganda Fide promulgò a nome Nostro sulle questioni irlandesi, parlano abbastanza chiaro le lettere che a più riprese abbiamo inviato al Nostro Venerabile Fratello Cardinale Mac-Cabe, Arcivescovo di Dublino; lo stesso si dica del discorso che abbiamo recentemente rivolto a molti Cattolici della vostra nazione, dai quali abbiamo ricevuto non solo felicitazioni e voti per la Nostra salute, ma anche espressioni di gratitudine per la Nostra buona disposizione verso gli Irlandesi. Anche in questi ultimi mesi, quando si decise di innalzare in questa alma Città un tempio in onore di Patrizio, grande Apostolo degli Irlandesi, Noi abbiamo incoraggiato questo proposito con tutto il fervore dell’anima e ne favoriremo il compimento secondo le Nostre forze. – Ora, mentre perdura in Noi questo stesso paterno affetto, non possiamo tuttavia nascondere la profonda angoscia che Ci proviene dalle recenti vicende di costà. Ci riferiamo a quella inattesa concitazione degli animi, sorta all’improvviso in seguito al decreto del Santo Ufficio che nella lotta contro i nemici della Chiesa proibisce di usare quel metodo che si chiama piano di campagna e boicottaggio a cui molti avevano cominciato a far ricorso . – Ed è ancor più deplorevole il fatto che siano in gran numero coloro che si ostinano a radunare il popolo in tumultuose assemblee nelle quali si diffondono sconsiderate e pericolose opinioni, senza rispetto per l’autorità del decreto che viene travisato con fallaci interpretazioni, molto lontane dal fine cui esso realmente tende. Anzi, negano perfino che da esso derivi l’obbligo dell’obbedienza, come se la missione vera e propria della Chiesa non fosse quella di giudicare della onestà e della malvagità delle azioni umane. Un tal modo di agire si allontana parecchio dalla professione del nome Cristiano, di cui senza dubbio sono compagne le virtù della moderazione, del pudore, dell’obbedienza verso il potere legittimo. Inoltre non conviene, in una buona causa, dare l’impressione di imitare quegli uomini che pretendono di ottenere con le agitazioni ciò che chiedono senza alcun diritto. E ciò è tanto più grave in quanto Noi abbiamo esaminato con cura ogni questione per poter conoscere a fondo e senza errore la vostra situazione e i motivi delle proteste popolari. Abbiamo informatori degni di fede; abbiamo personalmente interrogato voi stessi e inoltre, lo scorso anno, Noi vi abbiamo inviato come Legato un uomo apprezzato e serio con l’incarico di ricercare con la massima diligenza la verità e di riferirla fedelmente a Noi. Per questo nostro zelo il popolo Irlandese volle renderci pubblici ringraziamenti. Non è dunque avventato chi afferma che Noi abbiamo giudicato senza un’adeguata cognizione di causa? Tanto più che abbiamo riprovato azioni che gli uomini onesti concordemente condannano, cioè tutti coloro che non sono coinvolti in codesta vostra contesa e quindi possono esaminare i fatti con più sereno giudizio. – È del pari offensivo il sospetto che la causa dell’Irlanda non Ci stia debitamente a cuore e che non Ci preoccupiamo abbastanza della condizione del vostro popolo. Al contrario, la sorte degli Irlandesi Ci colpisce assai più di chiunque altro, e nulla desideriamo maggiormente che di vederli sereni, dopo aver conseguito la pace e la prosperità dovuta e meritata. Ad essi Noi non abbiamo mai contestato il diritto di battersi per una vita migliore, ma si può sopportare che nella contesa si dia adito ai delitti? Anzi, proprio perché nell’irrompere delle passioni e degli interessi delle fazioni politiche, il lecito e l’illecito si trovano rimescolati nella stessa causa, Noi ci siamo sempre preoccupati di distinguere ciò che è onesto dal disonesto, e di distogliere i Cattolici da tutto ciò che la morale cristiana non approvava. Perciò con tempestivi suggerimenti abbiamo raccomandato agli Irlandesi di ricordare la loro fede cattolica, di non fare mai nulla che contrastasse con la normale onestà e che non fosse consentito dalla legge divina. Pertanto il recente decreto non deve essere giunto inatteso, tanto più che Voi stessi, Venerabili Fratelli, riuniti a Dublino nel 1881, avete raccomandato al Clero e al popolo di evitare ogni atto contrario all’ordine pubblico e alla carità; di non insistere nel negare a chi di diritto la restituzione di ciò che gli è dovuto; di guardarsi dal far violenza alle persone o ai beni di chicchessia o di opporre la forza alle leggi, o anche a coloro che ricoprono un incarico pubblico; di non aggregarsi in associazioni clandestine o in altre dello stesso genere. Queste raccomandazioni, ispirate a giustizia e del tutto opportune, hanno ottenuto i Nostri elogi e la Nostra approvazione. – Tuttavia, dato che il popolo era travolto e sconvolto da inveterato ardore di passioni, né mancavano coloro che ogni giorno suscitavano nuove fiammate, abbiamo compreso che occorreva formulare precetti più definiti di quelli di carattere generale che in precedenza avevamo ricordato a proposito di giustizia e di carità. Il Nostro ufficio ci proibiva di tollerare che tanti Cattolici, la cui salvezza è anzi tutto affidata a Noi, continuassero a percorrere una via lubrica e precipitosa che conduceva alla sovversione più che a un lenimento delle miserie. Occorre dunque la situazione secondo verità: l’Irlanda riconosca in quel decreto il Nostro animo ricolmo d’amore per essa e concorde nel desiderio di prosperità, poiché una causa, per quanto giusta essa sia, non incontra mai tanti ostacoli come quando è difesa con la forza e con gli oltraggi. – L’Irlanda apprenda, grazie al vostro magistero, Venerabili Fratelli, ciò che vi abbiamo scritto. Noi abbiamo fiducia che Voi, uniti, come è necessario, da idee e volontà comuni, e sorretti non solo dalla vostra ma anche dalla Nostra autorità, conseguirete i migliori risultati e specialmente quello di impedire che le tenebre delle passioni offuschino ancora la facoltà di distinguere il vero e soprattutto che i sobillatori del popolo si pentano di aver agito in modo temerario. Siccome sono molti coloro che sembrano cercare pretesti per sfuggire ai doveri, anche i più elementari, fate in modo di non concedere spazio all’ambiguità circa l’efficacia di quel decreto. Comprendano tutti che non è assolutamente lecito adottare una linea di condotta che Noi abbiamo interdetta. Cerchino tutti, onestamente, beni onesti, e soprattutto, come si addice ai Cristiani, serbando intatte la giustizia e l’obbedienza alla Sede Apostolica: in queste virtù l’Irlanda ha trovato in ogni tempo conforto e forza d’animo.

Frattanto, come auspicio di celesti doni e come testimonianza del Nostro affetto, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al popolo Irlandese, con grande amore nel Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 giugno 1888, nell’anno undicesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “MUNIFICENTISSIMUS DEUS”

Davanti a questa Lettera Enciclica si resta come rapiti ed estasiati davanti alla scienza teologica, alla dottrina così sapientemente esposta, alla devozione manifestata con tale amore filiale, con la decisione ed il piglio sicuro di chi si assume in piena autorità e responsabilità il compito di definire un dogma di fede così importante e fondamento dell’edificio spirituale Cattolico. Si intravede qui con chiarezza il “dito di Dio” e la pienezza dello Spirito Santo in azione. Innanzitutto il Pontefice non nasconde le difficoltà della vera Chiesa di Cristo, e del suo Pontificato « … assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l’aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù … », e dopo aver dato tutte le prove dottrinali, scritturali, patristiche e teologiche per la definizione del grande dogma di fede cattolica e divina, si augura che ciò possa portare il Cristiano a vivere con gioia la sua vita di fede nell’attesa di una resurrezione così splendidamente illustrata da questo procedente eclatante e meraviglioso … « mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati ». Non c’è nulla da aggiungere a commento delle parole sapientissime del Sommo Pontefice, anche se non possiamo rammaricarci del fatto che tanti Cristiani, senza scienza né conoscenza dottrinale neghino nei fatti questa verità di fede guidati come sono da un’orda di irresponsabili chierici, per lo più finti e sacrileghi, che guidano milioni di anime verso il modernismo anticristiano, somma di tutte le eresie, praticato dalla setta del “falso profeta”, quella del Vaticano II, condividendone la sorte finale: lo stagno di fuoco eterno. Che la Vergine Assunta in cielo possa schiacciare il capo del dragone maledetto, che è il diavolo, capo della bestia, le sue membra, cioè gli aderenti alle conventicole di perdizione, ai partiti politici laici anticristiani, ai poteri cosiddetti forti nell’empietà, e al falso profeta, cioè a tutte le sette eretiche e scismatiche che operano sacrilegamente a perdizione delle anime create da Dio per partecipare alla vita divina ed all’eterna felicità in anima e corpo.

PIO XII
SERVO DEI SERVI DI DIO
A PERENNE MEMORIA

COSTITUZIONE APOSTOLICA

MUNIFICENTISSIMUS DEUS (1)

LA GLORIFICAZIONE DI MARIA
CON L’ASSUNZIONE AL CIELO
IN ANIMA E CORPO

Il munificentissimo Dio, che tutto può e le cui disposizioni di provvidenza sono fatte di sapienza e d’amore, nei suoi imperscrutabili disegni contempera nella vita dei popoli e in quella dei singoli uomini dolori e gioie, affinché per vie diverse e in diverse maniere tutto cooperi in bene per coloro che lo amano (cf. Rm VIII, 28).  – Il Nostro pontificato, come anche l’età presente, è assillato da tante cure, preoccupazioni e angosce, per le presenti gravissime calamità e l’aberrazione di molti dalla verità e dalla virtù; ma Ci è di grande conforto vedere che, mentre la Fede Cattolica si manifesta pubblicamente più attiva, si accende ogni giorno più la devozione verso la vergine Madre di Dio, e quasi dovunque è stimolo e auspicio di una vita migliore e più santa. Per cui, mentre la santissima Vergine compie amorosissimamente l’ufficio di madre verso i redenti dal sangue di Cristo, la mente e il cuore dei figli sono stimolati con maggiore impegno a una più amorosa contemplazione dei suoi privilegi.  Dio, infatti, che da tutta l’eternità guarda Maria vergine, con particolare pienissima compiacenza, «quando venne la pienezza del tempo» (Gal. IV, 4), attuò il disegno della sua provvidenza in tal modo che risplendessero in perfetta armonia i privilegi e le prerogative che con somma liberalità ha riversato su di lei. Che se questa somma liberalità e piena armonia di grazie dalla chiesa furono sempre riconosciute e sempre meglio penetrate nel corso dei secoli, nel nostro tempo è stato posto senza dubbio in maggior luce il privilegio della corporea assunzione al cielo della vergine Madre di Dio Maria.  – Questo privilegio risplendette di nuovo fulgore fin da quando il nostro predecessore Pio IX, d’immortale memoria, definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione dell’augusta Madre di Dio. Questi due privilegi infatti sono strettamente connessi tra loro. Cristo con la sua morte ha vinto il peccato e la morte, e sull’uno e sull’altra riporta vittoria in virtù di Cristo chi è stato rigenerato soprannaturalmente col battesimo. Ma per legge generale Dio non vuole concedere ai giusti il pieno effetto di questa vittoria sulla morte se non quando sarà giunta la fine dei tempi. Perciò anche i corpi dei giusti dopo la morte si dissolvono, e soltanto nell’ultimo giorno si ricongiungeranno ciascuno con la propria anima gloriosa. – Ma da questa legge generale Dio volle esente la beata vergine Maria. Ella per privilegio del tutto singolare ha vinto il peccato con la sua concezione immacolata; perciò non fu soggetta alla legge di restare nella corruzione del sepolcro, né dovette attendere la redenzione del suo corpo solo alla fine del mondo. 

Plebiscito unanime

 Per questo, quando fu solennemente definito che la Vergine Madre di Dio Maria fu immune della macchia ereditaria fin dalla sua concezione, i fedeli furono pervasi da una più viva speranza che quanto prima sarebbe stato definito dal supremo Magistero della Chiesa anche il dogma della corporea Assunzione al cielo di Maria Vergine.  – Infatti si videro non solo singoli fedeli, ma anche rappresentanti di nazioni o di province ecclesiastiche e anzi non pochi padri del concilio Vaticano chiedere con vive istanze all’apostolica sede questa definizione.  In seguito queste petizioni e voti non solo non diminuirono, ma aumentarono di giorno in giorno per numero ed insistenza. Infatti per questo scopo furono promosse crociate di preghiere; molti ed esimi teologi intensificarono i loro studi su questo soggetto, sia in privato, sia nei pubblici atenei ecclesiastici e nelle altre scuole destinate all’insegnamento delle sacre discipline; in molte parti dell’Orbe Cattolico furono tenuti congressi mariani sia nazionali sia internazionali. Tutti questi studi e ricerche posero in maggiore luce che nel deposito della fede affidato alla Chiesa era contenuto anche il dogma dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo; e generalmente ne seguirono petizioni con cui si chiedeva instantemente a questa Sede Apostolica che questa verità fosse solennemente definita. – In questa pia gara i fedeli furono mirabilmente uniti coi loro pastori, i quali in numero veramente imponente rivolsero simili petizioni a questa Cattedra di S. Pietro. Perciò quando fummo elevati al trono del Sommo Pontificato erano state già presentate a questa Sede Apostolica molte migliaia di tali suppliche da ogni parte della terra e da ogni classe di persone: dai nostri diletti figli Cardinali del sacro collegio, dai venerabili fratelli Arcivescovi e Vescovi, dalle diocesi e dalle parrocchie. Per la qual cosa, mentre elevavamo a Dio ardenti preghiere perché infondesse nella Nostra mente la luce dello Spirito Santo per decidere di una causa così importante, impartimmo speciali ordini perché si fondessero insieme le forze e venissero iniziati studi più rigorosi su questo soggetto, e intanto si raccogliessero e si ponderassero accuratamente tutte le petizioni che dal tempo del Nostro predecessore Pio IX, di felice memoria, fino ai nostri tempi erano state inviate a questa Sede Apostolica circa l’assunzione della Beatissima Vergine Maria al cielo.(2)

Il Magistero della chiesa

Ma poiché si trattava di cosa di tanta importanza e gravità, ritenemmo opportuno chiedere direttamente e in forma ufficiale a tutti i venerabili fratelli nell’episcopato che Ci esprimessero apertamente il loro pensiero. Perciò il 1° maggio 1946 indirizzammo loro la lettera [enciclica Deiparae Virginis Mariae, in cui chiedevamo: «Se voi, venerabili fratelli, nella vostra esimia sapienza e prudenza ritenete che l’assunzione corporea della beatissima Vergine si possa proporre e definire come dogma di fede, e se col vostro clero e il vostro popolo lo desiderate».  – E coloro che «lo Spirito Santo ha costituito Vescovi per pascere la chiesa di Dio» (At XX, 28) hanno dato all’una e all’altra domanda una risposta pressoché unanimemente affermativa. Questo «singolare consenso, dell’episcopato cattolico e dei fedeli»,(3) nel ritenere definibile, come dogma di fede, l’assunzione corporea al cielo della Madre di Dio, presentandoci il concorde insegnamento del Magistero Ordinario della Chiesa e la fede concorde del popolo cristiano, da esso sostenuta e diretta, da se stesso manifesta in modo certo e infallibile che tale privilegio è verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e infallibilmente lo dichiarasse.(4) Il Magistero della Chiesa, non certo per industria puramente umana, ma per l’assistenza dello Spirito di verità (cf. Gv XIV, 26), e perciò infallibilmente, adempie il suo mandato di conservare perennemente pure e integre le verità rivelate, e le trasmette senza contaminazione, senza aggiunte, senza diminuzioni. «Infatti, come insegna il concilio Vaticano, ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo, perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, ossia il deposito della fede».(5) Pertanto dal consenso universale di un Magistero Ordinario della chiesa si trae un argomento certo e sicuro per affermare che l’Assunzione corporea della Beata Vergine Maria al cielo, – la quale, quanto alla celeste glorificazione del corpo virgineo dell’augusta Madre di Dio, non poteva essere conosciuta da nessuna facoltà umana con le sole sue forze naturali è verità da Dio rivelata, e perciò tutti i figli della Chiesa debbono crederla con fermezza e fedeltà. Poiché, come insegna lo stesso Concilio Vaticano, «debbono essere credute per fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa oralmente o col suo Ordinario e Universale Magistero, propone a credere come rivelate da Dio».(6)  – Di questa fede comune della Chiesa si ebbero fin dall’antichità lungo il corso dei secoli varie testimonianze, indizi e vestigia; anzi tale fede si andò manifestando sempre più chiaramente. I fedeli, guidati e istruiti dai loro pastori, appresero bensì dalla s. Scrittura che la Vergine Maria, durante il suo terreno pellegrinaggio, menò una vita piena di preoccupazioni, angustie e dolori; inoltre che si avverò ciò che il santo vecchio Simeone aveva predetto, perché un’acutissima spada le trapassò il cuore ai piedi della croce del suo divino Figlio, nostro Redentore. Parimenti non trovarono difficoltà nell’ammettere che Maria sia morta, come già il suo Unigenito. Ma ciò non impedì loro di credere e professare apertamente che non fu soggetto alla corruzione del sepolcro il suo sacro Corpo e che non fu ridotto in putredine e in cenere l’augusto tabernacolo del Verbo divino. Anzi, illuminati dalla divina grazia e spinti dall’amore verso Colei che è Madre di Dio e Madre nostra dolcissima, hanno contemplato in luce sempre più chiara l’armonia meravigliosa dei privilegi che il provvidentissimo Iddio ha elargito all’alma Socia del nostro Redentore, e che hanno raggiunto un tale altissimo vertice, quale da nessun essere creato, eccettuata la natura umana di Cristo, è stato mai raggiunto.

L’omaggio dei fedeli

Questa stessa fede attestano chiaramente quegli innumerevoli templi dedicati a Dio in onore di Maria Vergine Assunta al cielo, e le sacre immagini ivi esposte alla venerazione dei fedeli, le quali pongono dinanzi agli occhi di tutti questo singolare trionfo della Beata Vergine. Inoltre città, diocesi e regioni furono poste sotto la speciale tutela e patrocinio della Vergine Assunta in cielo; parimenti con l’approvazione della Chiesa sono sorti Istituti religiosi che prendono nome da tale privilegio. Né va dimenticato che nel Rosario mariano, la cui recita è tanto raccomandata da questa Sede Apostolica, viene proposto alla pia meditazione un mistero che, come tutti sanno, tratta dell’Assunzione della Beatissima Vergine.

La liturgia delle chiese d’oriente e d’occidente

Ma in modo più splendido e universale questa fede dei sacri Pastori e dei fedeli Cristiani è manifestata dal fatto che fin dall’antichità si celebra in Oriente e in Occidente una solenne festa liturgica: di qui infatti i santi Padri e i Dottori della Chiesa non mancarono mai di attingere luce, poiché, come è ben noto, la sacra liturgia, «essendo anche una professione delle celesti verità, sottoposta al supremo Magistero della Chiesa, può offrire argomenti e testimonianze di non piccolo rilievo, per determinare qualche punto particolare della dottrina cristiana».(7)  – Nei libri liturgici, che riportano la festa sia della Dormizione sia dell’Assunzione di santa Maria, si hanno espressioni in qualche modo concordanti nel dire che quando la vergine Madre di Dio salì al cielo da questo esilio, al suo sacro Corpo, per disposizione della divina Provvidenza, accaddero cose consentanee alla sua dignità di Madre del Verbo incarnato e agli altri privilegi a Lei elargiti. Ciò è asserito, per portarne un esempio insigne, in quel Sacramentario che il Nostro predecessore Adriano I, d’immortale memoria, mandò all’imperatore Carlo Magno. In esso infatti si legge: «Degna di venerazione è per noi, o Signore, la festività di questo giorno, in cui la santa Madre di Dio subì la morte temporale, ma non poté essere umiliata dai vincoli della morte Colei che generò il tuo Figlio, nostro Signore, incarnato da lei».(8) – Ciò che qui è indicato con la sobrietà consueta della Liturgia romana, nei libri delle altre antiche liturgie, sia orientali, sia occidentali, è espressa più diffusamente e con maggior chiarezza. Il Sacramentario gallicano, per esempio, definisce questo privilegio di Maria «inspiegabile mistero, tanto più ammirabile, quanto più è singolare tra gli uomini». E nella liturgia bizantina viene ripetutamente collegata l’assunzione corporea di Maria non solo con la sua dignità di Madre di Dio, ma anche con altri suoi privilegi, specialmente con la sua Maternità verginale, prestabilita da un disegno singolare della Provvidenza divina: «A te Dio, re dell’universo, concesse cose che sono al disopra della natura; poiché come nel parto ti conservò vergine, così nel sepolcro conservò incorrotto il tuo corpo, e con la divina traslazione lo conglorificò».(9)

La festa dell’Assunta

Il fatto poi che la Sede Apostolica, erede dell’ufficio affidato al Principe degli apostoli di confermare nella fede i fratelli (cf. Lc XXII, 32), con la sua autorità rese sempre più solenne questa festa, stimolò efficacemente i fedeli ad apprezzare sempre più la grandezza di questo mistero. Così la festa dell’Assunzione dal posto onorevole che ebbe fin dall’inizio tra le altre celebrazioni mariane, fu portata in seguito fra le più solenni di tutto il ciclo liturgico. Il Nostro predecessore s. Sergio I, prescrivendo la litania o processione stazionale per le quattro feste mariane, enumera insieme la Natività, l’Annunciazione, la Purificazione e la Dormizione di Maria.(10) In seguito s. Leone IV volle aggiungere alla festa, che già si celebrava sotto il titolo dell’Assunzione della beata Genitrice di Dio, una maggiore solennità, prescrivendone la vigilia e l’ottava; e in tale circostanza volle partecipare personalmente alla celebrazione in mezzo a una grande moltitudine di fedeli.(11) Inoltre che già anticamente questa festa fosse preceduta dall’obbligo del digiuno appare chiaro da ciò che attesta il Nostro predecessore s. Niccolò I, ove parla dei principali digiuni «che la santa Chiesa Romana ricevette dall’antichità ed osserva tuttora».(12) – Ma poiché la liturgia della Chiesa non crea la Fede Cattolica, ma la suppone, e da questa derivano, come frutti dall’albero, le pratiche del culto, i santi Padri e i grandi Dottori nelle omelie e nei discorsi rivolti al popolo in occasione di questa festa non vi attinsero come da prima sorgente la dottrina; ma parlarono di questa come di cosa nota e ammessa dai fedeli; la chiarirono meglio; ne precisarono e approfondirono il senso e l’oggetto, dichiarando specialmente ciò che spesso i libri liturgici avevano soltanto fugacemente accennato: cioè che oggetto della festa non era soltanto l’incorruzione del corpo esanime della beata vergine Maria, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste «glorificazione», a somiglianza del suo unigenito Gesù Cristo.

La voce dei Santi Padri

Così s. Giovanni Damasceno, che si distingue tra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l’assunzione corporea dell’alma Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: « Era necessario che Colei, che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità, conservasse anche senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Era necessario che Colei, che aveva portato nel suo seno il Creatore fatto bambino, abitasse nei tabernacoli divini. Era necessario che la Sposa del Padre abitasse nei talami celesti. Era necessario che Colei che aveva visto il suo Figlio sulla croce, ricevendo nel cuore quella spada di dolore dalla quale era stata immune nel darlo alla luce, lo contemplasse sedente alla destra del Padre. Era necessario che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio e da tutte le creature fosse onorata come Madre e Ancella di Dio ».(13) – Queste espressioni di s. Giovanni Damasceno corrispondono fedelmente a quelle di altri, affermanti la stessa dottrina. Infatti parole non meno chiare e precise si trovano nei discorsi che in occasione della festa tennero altri Padri anteriori o coevi. Così, per citare altri esempi, s. Germano di Costantinopoli trovava consentanea l’incorruzione e l’Assunzione al cielo del corpo della Vergine Madre di Dio, non solo alla sua divina Maternità, ma anche alla speciale santità del suo stesso corpo verginale: «Tu, come fu scritto, apparisci “in bellezza”, e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto domicilio di Dio; cosicché anche per questo sia poi immune dalla risoluzione in polvere; trasformato bensì, in quanto umano, nell’eccelsa vita della incorruttibilità; ma lo stesso vivo, gloriosissimo, incolume e dotato della pienezza della vita».(14) E un altro antico scrittore dice: « Come gloriosissima Madre di Cristo, nostro Salvatore e Dio, donatore della vita e dell’immortalità, è da Lui vivificata, rivestita di corpo in un’eterna incorruttibilità con Lui, che la risuscitò dal sepolcro e la assunse a sé, in modo conosciuto da Lui solo».(15) – Con l’estendersi e l’affermarsi della festa liturgica, i pastori della chiesa e i sacri oratori, in numero sempre maggiore, si fecero un dovere di precisare apertamente e con chiarezza il mistero che è oggetto della festa e la sua strettissima connessione con le altre verità rivelate.

L’insegnamento dei teologi

Tra i Teologi scolastici non mancarono di quelli che, volendo penetrare più addentro nelle verità rivelate e mostrare l’accordo tra la ragione teologica e la Fede Cattolica, fecero rilevare che questo privilegio dell’Assunzione di Maria Vergine concorda mirabilmente con le verità che ci sono insegnate dalla sacra Scrittura. – Partendo da questo presupposto, presentarono per illustrare questo privilegio mariano diverse ragioni, contenute quasi in germe in questo: che Gesù ha voluto l’Assunzione di Maria al cielo per la sua pietà filiale verso di Lei. Ritenevano quindi che la forza di tali argomenti riposa sulla dignità incomparabile della Maternità divina e su tutte quelle doti che ne conseguono: la sua insigne santità, superiore a quella di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli; l’intima unione di Maria col suo Figlio; e quell’amore sommo che il Figlio portava alla sua degnissima Madre. – Frequentemente poi s’incontrano teologi e sacri oratori che, sulle orme dei santi Padri, (16) per illustrare la loro fede nell’Assunzione si servono, con una certa libertà, di fatti e detti della s. Scrittura. Così per citare soltanto alcuni testi fra i più usati, vi sono di quelli che riportano le parole del Salmista: «Vieni o Signore, nel tuo riposo; tu e l’Arca della tua santificazione» (Sal CXXXI, 8), e vedono nell’Arca dell’Alleanza fatta di legno incorruttibile e posta nel tempio del Signore, quasi una immagine del corpo purissimo di Maria Vergine, preservato da ogni corruzione del sepolcro ed elevato a tanta gloria nel cielo. Allo stesso scopo descrivono la Regina che entra trionfalmente nella reggia celeste e si asside alla destra del divino Redentore (Sal XLIV, 14-16), nonché la Sposa del Cantico dei cantici «che sale dal deserto, come una colonna di fumo dagli aromi di mirra e d’incenso» per essere incoronata (Ct III, 6; cf. IV, 8; VI, 9). L’una e l’altra vengono proposte come figure di quella Regina e Sposa celeste, che, insieme col divino Sposo, è innalzata alla reggia dei cieli. – Inoltre i dottori scolastici videro adombrata l’assunzione della vergine Madre di Dio, non solo in varie figure dell’Antico Testamento, ma anche in quella Donna vestita di sole, che l’Apostolo Giovanni contemplò nell’isola di Patmos (Ap 12, 1s). Così pure, fra i detti del Nuovo Testamento, considerarono con particolare interesse le parole «Ave, o piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne» (Lc 1, 28), poiché vedevano nel mistero dell’Assunzione un complemento della pienezza di grazia elargita alla beatissima Vergine, e una benedizione singolare in opposizione alla maledizione di Eva. – Perciò sul principio della teologia scolastica il pio Amedeo, Vescovo di Losanna, afferma che la carne di Maria Vergine rimase incorrotta; – non si può credere infatti che il suo corpo vide la corruzione, – perché realmente fu riunito alla sua anima e insieme con essa fu circonfuso di altissima gloria nella corte celeste. «Era infatti piena di grazia e benedetta fra le donne (Lc 1, 28). Lei sola meritò di concepire Dio vero da Dio vero, che partorì vergine, vergine allattò, stringendolo al seno, ed al quale prestò in tutto i suoi santi servigi e omaggi».(17) – Tra i sacri scrittori poi che in questo tempo, servendosi di testi scritturistici o di similitudini ed analogie, illustrarono e confermarono la pia sentenza dell’assunzione, occupa un posto speciale il dottore evangelico, s. Antonio da Padova. Nella festa dell’Assunzione, commentando le parole d’Isaia: «Glorificherò il luogo dove posano i miei piedi» (Is 60, 13), affermò con sicurezza che il divino Redentore ha glorificato in modo eccelso la sua Madre dilettissima, dalla quale aveva preso umana carne. «Con ciò si ha chiaramente – dice – che la beata Vergine è stata Assunta col corpo, in cui fu il luogo dei piedi del Signore». Perciò scrive il Salmista: «Vieni, o Signore, nel tuo riposo, tu e l’Arca della tua santificazione». Come Gesù Cristo, dice il santo, risorse dalla sconfitta morte e salì alla destra del Padre suo, così «risorse anche dall’Arca della sua santificazione, poiché in questo giorno la Vergine Madre fu assunta al talamo celeste».(18)

La dottrina di s. Alberto Magno e di s. Tommaso d’Aquino

Quando nel Medio Evo la teologia scolastica raggiunse il suo massimo splendore, s. Alberto Magno, dopo aver raccolti, per provare questa verità, vari argomenti, fondati sulla s. Scrittura, la tradizione, la liturgia e la ragione teologica, conclude: «Da queste ragioni e autorità e da molte altre è chiaro che la beatissima Madre di Dio è stata Assunta in corpo ed anima al disopra dei cori degli Angeli. E ciò crediamo assolutamente vero».(19) E in un discorso tenuto il giorno dell’Annunciazione di Maria, spiegando queste parole del saluto dell’Angelo: «Ave, o piena di grazia …», il dottore universale paragona la Santissima Vergine con Eva e dice espressamente che fu immune dalla quadruplice maledizione alla quale Eva fu soggetta.(20) – Il Dottore Angelico, seguendo le vestigia del suo insigne Maestro, benché non abbia mai trattato espressamente la questione, tuttavia ogni volta che occasionalmente ne parla, ritiene costantemente con la Chiesa Cattolica che insieme all’anima è stato assunto al cielo anche il corpo di Maria.(21)

L’interpretazione di s. Bonaventura

Dello stesso parere è, fra molti altri, il dottore serafico, il quale ritiene assolutamente certo che, come Dio preservò Maria santissima dalla violazione del pudore e dell’integrità verginale nella concezione e nel parto, così non ha permesso che il suo corpo si disfacesse in putredine e cenere.(22) Interpretando poi e applicando in senso accomodatizio alla Beata Vergine queste parole della s. Scrittura: «Chi è costei che sale dal deserto, ricolma di delizie, appoggiata al suo diletto?» (Ct VIII, 5), così ragiona: «E di qui può constare che è ivi (nella città celeste) corporalmente. … Poiché infatti … la beatitudine non sarebbe piena, se non vi fosse personalmente; e poiché la persona non è l’anima, ma il composto, è chiaro che vi è secondo il composto, cioè il corpo e l’anima, altrimenti non avrebbe una piena fruizione». (23)

Il pensiero della Scolastica nel secolo XV

Nella tarda scolastica, ossia nel secolo XV, s. Bernardino da Siena, riassumendo e di nuovo trattando con diligenza tutto ciò che i teologi del Medioevo avevano detto e discusso a tal proposito, non si restrinse a riportare le principali considerazioni già proposte dai dottori precedenti, ma ne aggiunse delle altre. La somiglianza cioè della divina Madre col Figlio divino, quanto alla nobiltà e dignità dell’anima e del corpo – per cui non si può pensare che la celeste Regina sia separata dal Re dei cieli – esige apertamente che «Maria non debba essere se non dov’è Cristo»; (24) inoltre è ragionevole e conveniente che si trovino già glorificati in cielo l’anima e il corpo, come dell’uomo, così anche della donna; infine il fatto che la Chiesa non abbia mai cercato e proposto alla venerazione dei fedeli le reliquie corporee della Beata Vergine, fornisce un argomento che si può dire «quasi una riprova sensibile».(25)

La conferma dei più recenti scrittori sacri

In tempi più recenti i pareri surriferiti dei santi Padri e dei Dottori furono di uso comune. Aderendo al consenso dei Cristiani, trasmesso dai secoli passati, s. Roberto Bellarmino esclama: «E chi, prego, potrebbe credere che l’arca della santità, il domicilio del Verbo, il tempio dello Spirito Santo sia caduto? Aborrisce il mio animo dal solo pensare che quella carne verginale che generò Dio, lo partorì, l’alimentò, lo portò, o sia stata ridotta in cenere o sia stata data in pasto ai vermi».(26) – Parimenti s. Francesco di Sales, dopo avere asserito che non è lecito dubitare che Gesù Cristo abbia seguito nel modo più perfetto il divino mandato, col quale ai figli s’impone di onorare i propri genitori, si pone questa domanda: «Chi è quel figlio che, se potesse, non richiamerebbe alla vita la propria madre e non la porterebbe dopo morte con sé in paradiso ?».(27) – E s. Alfonso scrive: «Gesù preservò il corpo di Maria dalla corruzione, perché ridondava in suo disonore che fosse guasta dalla putredine quella carne verginale, di cui Egli si era già vestito».(28) – Chiarito però ormai il mistero che è oggetto di questa festa, non mancarono dottori i quali piuttosto che occuparsi delle ragioni teologiche, dalle quali si dimostra la somma convenienza dell’Assunzione corporea della beata Vergine Maria in cielo, rivolsero la loro attenzione alla fede della Chiesa, mistica Sposa di Cristo, non avente né macchia, né grinza (cf. Ef V., 27), la quale è detta dall’Apostolo «colonna e fondamento della verità» (1 Tm III, 15) e appoggiati a questa fede comune ritennero temeraria per non dire eretica, la sentenza contraria. Infatti s. Pietro Canisio, fra non pochi altri, dopo avere dichiarato che il termine Assunzione significa la glorificazione non solo dell’anima, ma anche del corpo e dopo aver rilevato che la Chiesa già da molti secoli venera e celebra solennemente questo mistero mariano dell’Assunzione, dice: «Questa sentenza è ammessa già da alcuni secoli ed è issata talmente nell’anima dei pii fedeli e così accetta a tutta la Chiesa, che coloro che negano che il corpo di Maria sia stato assunto in cielo, non vanno neppure ascoltati con pazienza, ma fischiati come troppo pertinaci, o del tutto temerari e animati da spirito non già cattolico, ma eretico».(29)  Contemporaneamente il dottore esimio, posta come norma della mariologia che «i misteri della grazia, che Dio ha operato nella Vergine, non vanno misurati secondo le leggi ordinarie, ma secondo l’onnipotenza di Dio, supposta la convenienza della cosa in se stessa, ed esclusa ogni contraddizione o ripugnanza da parte della s. Scrittura» (30) fondandosi sulla fede della chiesa tutta, circa il mistero dell’assunzione, poteva concludere che questo mistero doveva credersi con la stessa fermezza d’animo, con cui doveva credersi l’Immacolata Concezione della Beata Vergine; e già allora riteneva che queste due verità potessero essere definite. – Tutte queste ragioni e considerazioni dei santi padri e dei teologi hanno come ultimo fondamento la s. Scrittura, la quale ci presenta l’alma Madre di Dio unita strettamente al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Per cui sembra quasi impossibile figurarsi che, dopo questa vita, possa essere separata da Cristo – non diciamo, con l’anima, ma neppure col corpo – Colei che lo concepì, lo diede alla luce, lo nutrì col suo latte, lo portò fra le braccia e lo strinse al petto. Dal momento che il nostro Redentore è Figlio di Maria, non poteva, come osservatore perfettissimo della divina legge, non onorare oltre l’eterno Padre anche la Madre diletta. Potendo quindi dare alla Madre tanto onore, preservandola immune dalla corruzione del sepolcro, si deve credere che lo abbia realmente fatto.

Maria è la nuova Eva

Ma in particolare va ricordato che, fin dal secolo II, Maria Vergine viene presentata dai santi Padri come nuova Eva, strettamente unita al nuovo Adamo, sebbene a lui soggetta, in quella lotta contro il nemico infernale, che, com’è stato preannunziato dal protovangelo (Gn III, 15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, sempre congiunti negli scritti dell’Apostolo delle genti (cf. Rm cc. V e VI; 1 Cor XV, 21-26.54-57). Per la qual cosa, come la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la lotta che ha in comune col Figlio suo si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale: perché, come dice lo stesso Apostolo, «quando… questo corpo mortale sarà rivestito dell’immortalità, allora sarà adempiuta la parola che sta scritta: è stata assorbita la morte nella vittoria» (1 Cor XV, 54). – In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità «con uno stesso decreto» (31) di predestinazione, immacolata nella sua concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro, e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli (cf. 1 Tm 1, 17).

Le ragioni del nuovo dogma

Poiché la Chiesa universale nella quale vive lo Spirito di verità e la conduce infallibilmente alla conoscenza delle verità rivelate, nel corso dei secoli ha manifestato in molti modi la sua fede, e poiché tutti i Vescovi dell’Orbe Cattolico con quasi unanime consenso chiedono che sia definita come Dogma di fede divina e cattolica la verità dell’Assunzione corporea della Beatissima Vergine Maria al cielo – verità fondata sulla s. Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi – riteniamo giunto il momento prestabilito dalla provvidenza di Dio per proclamare solennemente questo privilegio di Maria Vergine. – Noi, che abbiamo posto il Nostro Pontificato sotto lo speciale patrocinio della santissima Vergine, alla quale Ci siamo rivolti in tante tristissime contingenze, Noi, che con pubblico rito abbiamo consacrato tutto il genere umano al suo Cuore Immacolato, e abbiamo ripetutamente sperimentato la sua validissima protezione, abbiamo ferma fiducia che questa solenne proclamazione e definizione dell’Assunzione sarà di grande vantaggio all’umanità intera, perché renderà gloria alla santissima Trinità, alla quale la Vergine Madre di Dio è legata da vincoli singolari. Vi è da sperare infatti che tutti i Cristiani siano stimolati da una maggiore devozione verso la Madre celeste, e che il cuore di tutti coloro che si gloriano del nome Cristiano sia mosso a desiderare l’unione col Corpo Mistico di Gesù Cristo e l’aumento del proprio amore verso Colei che ha viscere materne verso tutti i membri di quel Corpo augusto. Vi è da sperare inoltre che tutti coloro che mediteranno i gloriosi esempi di Maria abbiano a persuadersi sempre meglio del valore della vita umana, se è dedita totalmente all’esercizio della volontà del Padre celeste e al bene degli altri; che, mentre il materialismo e la corruzione dei costumi da esso derivata minacciano di sommergere ogni virtù e di fare scempio di vite umane, suscitando guerre, sia posto dinanzi agli occhi di tutti in modo luminosissimo a quale eccelso fine le anime e i corpi siano destinati; che infine la fede nella corporea Assunzione di Maria al cielo renda più ferma e più operosa la fede nella nostra Risurrezione. – La coincidenza provvidenziale poi di questo solenne evento con l’Anno santo che si sta svolgendo, Ci è particolarmente gradita; ciò infatti Ci permette di ornare la fronte della vergine Madre di Dio di questa fulgida gemma, mentre si celebra il massimo giubileo, e di lasciare un monumento perenne della nostra ardente pietà verso la Regina del cielo.

La solenne definizione

« Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio Onnipotente, che ha riversato in Maria Vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ».

Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla Fede Divina e Cattolica. – Affinché poi questa Nostra definizione dell’Assunzione corporea di Maria vergine al cielo sia portata a conoscenza della Chiesa Universale, abbiamo voluto che stesse a perpetua memoria questa Nostra lettera apostolica; comandando che alle sue copie o esemplari anche stampati, sottoscritti dalla mano di qualche pubblico notaio e muniti del sigillo di qualche persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti assolutamente da tutti la stessa fede; che si presterebbe alla presente, se fosse esibita o mostrata. – A nessuno dunque sia lecito infrangere questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o ad essa opporsi e contravvenire. Se alcuno invece ardisse di tentarlo, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso S. Pietro, nell’anno del massimo giubileo 1950, 1° novembre, festa di tutti i santi, nell’anno dodicesimo del Nostro pontificato.

Noi PIO, Vescovo della Chiesa Cattolica,
così definendo abbiamo sottoscritto


(1) PIUS PP. XII, Const. apost. Munificentissimus Deus qua fidei dogma definitur Deiparam Virginem Mariam corpore et anima fuisse ad caelestem gloriam assumptam, 1 novembris 1950: AAS 42 (1950), pp. 753-771.

La glorificazione di Maria nella sua corporea assunzione è verità radicata profondamente nel senso religioso dei cristiani, come dimostrano lungo il corso dei secoli innumerevoli forme di specifica devozione, ma soprattutto il linguaggio della liturgia dell’Oriente e dell’Occidente. I santi padri e i dottori della chiesa, facendosi eco della liturgia, nelle feste dell’Assunta parlano chiaramente della risurrezione e glorificazione del corpo della Vergine, come di verità conosciuta e accettata da tutti i fedeli. I teologi, trattando di questo argomento, dimostrano l’armonia tra la fede e la ragione teologica e la convenienza di questo privilegio, servendosi di fatti, parole, figure, analogie contenuti nella sacra Scrittura. Accertata così la fede della chiesa universale, il papa ritiene giunto il momento di ratificarla con la sua suprema autorità.

(2) Petitiones de Assumptione corporea B. Virginis Mariae in Cælum definienda ad S. Sedem delatæ, 2 voll., Typis Polyglottis Vaticanis, 1942.

(3) Bulla Ineffabilis Deus: Acta Pii IX, pars I, vol. 1, p. 615; EE 2/app. 

(4) Cf. CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 4: COD 808-809.

(5) CONC. VAT. I, Const. dogm. Pastor Æternus de Ecclesia Christi, c. 4: COD 816.

(6) CONC. VAT. I, Const. dogm. Dei Filius de fide catholica, c. 3: COD 807.

(7) Litt. enc. Mediator Dei: AAS 39 (1947), p. 541; EE 6/475.

(8) Sacramentarium Gregorianum.

(9) Menæi totius anni

(10) Liber Pontificalis.

(11) Ibidem.

(12) Responsa Nicolai Papæ I ad consulta Bulgarorum, 13 nov. 866.

(13) S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariæ, hom. II, 14; cf. etiam ibid., n. 3.

(14) S. GERMANUS CONST., In sanctæ Dei Genetricis Dormitionem, sermo I.

(15) Encomium in Dormitionem sanctissimæ Dominae nostrae Deiparae semperque Virginis Mariae (S. Modesto Hierosol. attributum), n. 14.

(16) Cf. S. IOANNES DAMASCENUS, Encomium in Dormitionem Dei Genetricis semperque Virginis Mariæ, hom. II, 2, 11; Encomium in Dormitionem… (S. Modesto Hierosol. attributum). 

(17) AMEDEUS LAUSANNENSIS, De Beatæ Virginis obitu, Assumptione in Caelum, exaltatione ad Filii dexteram.

(18) S. ANTONIUS PATAV., Sermones dominicales et in solemnitatibus. In Assumptione S. Mariæ Virginis sermo.

(19) S. ALBERTUS MAGNUS, Mariale sive quæstiones super Evang. “Missus est”, q. 132.

(20) S. ALBERTUS MAGNUS, Sermones de sanctis, sermo XV: In Annuntiatione B. Mariæ; cf. etiam: Mariale, q. 132. ,

(21) Cf. Summa theol., III, q. 27, a. 1 c.; ibid., q. 83, a. 5 ad 8; Expositio salutationis angelicæ; In symb. Apostolorum expositio, art. 5; In IV Sent., D. 12, q. 1, art. 3, sol. 3; D. 43, q. 1, art. 3, sol. 1 et 2.

(22) Cf. S. BONAVENTURA, De Nativitate B. Mariæ Virginis, sermo 5. 

(23) S BONAVENTURA, De Assumptione B. Mariæ Virginis, sermo 1.

(24) S. BERNARDINUS SENENSIS, In Assumptione B.M. Virginis, sermo 2. 

(25) IDEM, l.c.

(26) S. ROBERTUS BELLARMINUS, Conciones habitæ Lovanii, concio 40: De Assumptione B. Mariæ Virginis.

(27) Oeuvres de St François de Sales, Sermon autographe pour la fete de l’Assomption.

(28) S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, Le glorie di Maria, parte II, disc. 1.

(29) S. PETRUS CANISIUS, De Maria Virgine.

(30) SUAREZ F., In tertiam panem D. Thomæ, quaest. 27, art. 2, disp. 3, sec. 5, n. 31.

(31) Bulla Ineffabilis Deus: l. c., p. 599; EE 2/app.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VI – “IN GRAVISSIMIS”

In questa drammatica lettera Enciclica, scritta a ridosso dei funesti avvenimenti della massonica rivoluzione francese del 1789, il Santo Padre Pio VI, concede agli ecclesiastici coinvolti dalle tragiche conseguenze della ribellione a Dio e alla sua Chiesa, una serie di indulti straordinari per regolare situazioni anomale concernenti questioni diverse. Ecco come il Sommo Pontefice, nella sua qualità di Vicario di Cristo, assumendosi tutte le gravi responsabilità che il suo augusto ruolo gli impone, interviene in questioni della massima importanza dottrinale e giurisdizionale. Nel suo esordio si citano le parole che San Paolo rivolgeva al suo amato discepolo e da lui fatto Vescovo: Timoteo, parole particolarmente idonee nel rappresentare, seppur succintamente, le condizioni in cui i prelati dovevano operare:  « … in questi tempi pericolosi, nei quali molti, anzi troppi, figurano nel numero di coloro di cui parla profeticamente l’Apostolo, di coloro cioè che “non sopportano più la sana dottrina e si circondano di maestri che corrispondano ai loro desideri, rifiutando di dare ascolto alla verità“… »; sono queste parole che oggi soprattutto sono quanto mai opportune per inquadrare le vicende spirituali e dottrinali dei nostri tempi, tempi in cui ognuno si affida alle proprie fantasie dottrinali, alle favole massoniche spacciate per verità e mascherate da culti blasfemi che solo gli ignoranti [di cose religiose] non riescono a cogliere e delle quali non avvertono il fetore nauseabondo con cui vengono avvolti riti anticristiani, blasfemie diaboliche, adorazioni luciferine, come quelle della messa del baphomet, “signore dell’universo” [quella di BUAN 1365/75 e del patriarca universale degli Iluminati], della setta modernista del N. O. M., che si è insediata là.. dove abita satana (Apoc. ii) , cioè sul colle Vaticano, ove un tempo S. Pietro aveva la sua cattedra di Verità usurpata da Simon mago, anzi dai “simon maghi” della cattedra pestilenziale. Non parliamo poi delle fantasie apocalittiche di cabarettistici eretici e scismatici sedevacantisti, nonché dei paramassonici fallibilisti gallicani, i falsi sacrileghi prelati creati dal 30° F. M. cavaliere kadosh di Lille, fiancheggiatori dei servi della “bestia”, con i quali sono “una cum” e dai quali ricevono prebende e sostegni. Ma tutto Dio permette a nostro castigo e per trarre maggior gloria dall’empietà confusa degli uomini.

Pio VI
In gravissimis

Roma, 19 marzo 1792

1. Nelle gravissime e molteplici preoccupazioni che dobbiamo continuamente sostenere, per quella sollecitudine a favore di tutte le Chiese che Ci è stata affidata dal supremo Principe dei Pastori, Gesù Cristo, in questi tempi pericolosi, nei quali molti, anzi troppi, figurano nel numero di coloro di cui parla profeticamente l’Apostolo, di coloro cioè che “non sopportano più la sana dottrina e si circondano di maestri che corrispondano ai loro desideri, rifiutando di dare ascolto alla verità, Noi non troviamo maggiore e più dolce conforto che comunicare con i Nostri Fratelli Vescovi che, chiamati a far parte della Nostra stessa sollecitudine, si dedicano con animo alacre e coraggioso ad eseguire i doveri del loro ufficio e a provvedere alla salvezza del gregge loro affidato con grande diligenza e nel migliore modo possibile.

2. Abbiamo provato recentemente una grande consolazione quando abbiamo letto e riletto la lettera piena di zelo che Ci avete inviato il 16 dicembre dello scorso anno voi che vi trovate a Parigi, e quella che Ci hanno scritto l’8 gennaio del corrente anno i vostri Fratelli Vescovi che risiedono a Roma. Da queste lettere abbiamo appreso che Ci chiedevate di investire con un indulto generale tutti i singoli Vescovi del Regno di Francia e gli amministratori delle Diocesi (per il tempo in cui sono vacanti le Sedi Episcopali) di alcune più ampie facoltà, onde possano pascere e governare più facilmente il gregge affidato.

3. Non abbiamo trovato alcuna difficoltà a riconoscere quanto giusta fosse questa richiesta, così corrispondente alla malvagità dei nostri tempi e così degna dei sacri Presuli che riconoscono i doveri del loro ufficio e intendono compierli con tutte le loro forze. – Alla fine delle lettere di cui abbiamo parlato, essi testimoniano l’ossequio che le Chiese Gallicane professano verso l’autorità della Sede Apostolica mediante alcune dichiarazioni, due delle quali vogliamo riportare. – La prima dichiarazione è: “Non si deve esercitare nessuna facoltà proveniente dalla Santa Sede o in proprio o da usare attraverso delegati subalterni senza una previa dichiarazione da iscriversi nello stesso corpo dell’atto, cioè che si proceda in virtù del potere delegato dalla Sede Apostolica, annotando anche la data della concessione. La seconda dichiarazione è: “Si osserveranno rigorosamente i decreti e le disposizioni dei Sommi Pontefici, dei Concilii, nonché le consuetudini della Chiesa di Roma verso la Chiesa Gallicana nel concedere dispense, nell’assolvere da censure e in tutti gli altri atti compiuti in forza di indulti.

4. Pertanto su consiglio di una speciale Congregazione di Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa tenuta in Nostra presenza il 19 gennaio scorso, concediamo alle vostre Fraternità e a voi diletti Figli amministratori delle Diocesi, per mezzo della presente lettera, per il tempo e nel modo precisati nel presente indulto, le facoltà qui descritte e delle quali devono valersi alcune Sedi Episcopali più di altre.

5. Pertanto confortatevi, Venerabili Fratelli nel Signore, e per la potenza del suo braccio, indossando l’armatura di Dio contro i dominatori di questo mondo di tenebre, combattete come già avete fatto, quali valorosi militi di Cristo. Più che mai in tempo di tribolazione è necessario che i sacri Presuli mostrino quella solida virtù cristiana e quella sacerdotale costanza della quale devono essere dotati, secondo le parole dell’Apostolo, “al fine di essere in grado di esortare i potenti nella sana dottrina e di richiamare coloro che la combattono. – Vi assicuriamo pertanto, sempre, ogni miglior difesa da parte della Nostra autorità pontificia, e la testimonianza della Nostra paterna benevolenza. Come pegno di entrambe impartiamo a voi, diletti Figli, Venerabili Fratelli, con tanto affetto la Benedizione Apostolica. Dato a Roma, presso San Pietro, il 19 marzo 1792, anno diciottesimo del Nostro Pontificato.

* * *

FACOLTÀ CONCESSE DALLA SEDE APOSTOLICA

Ai singoli Arcivescovi e Vescovi e Amministratori delle Diocesi del Regno di Francia, che hanno comunione e grazia con la Sede Apostolica.

6. I. Facoltà di assolvere da tutti i casi in qualsiasi modo riservati alla Santa Sede, e particolarmente di assolvere da tutte le censure ecclesiastiche qualsiasi laico ed ecclesiastico, sia secolare, sia regolare, di ambedue i sessi; e anche coloro che aderirono allo scisma e prestarono giuramento civile e perseverarono in esso oltre i quaranta giorni stabiliti nella lettera apostolica del 13 aprile dello scorso anno per la sospensione a divinis, purché tuttavia abbiano ritrattato pubblicamente e palesemente tale giuramento, e abbiano riparato nel miglior modo possibile allo scandalo dato ai fedeli.

7. II. Facoltà di dispensare coloro che, già iniziati allo stato ecclesiastico, devono essere promossi agli Ordini minori o anche agli Ordini sacri, dalle irregolarità contratte in qualsiasi modo; anche da quella che hanno contratto i violatori della sospensione latæ sententiæ comminata con la stessa lettera del 13 aprile, purché essi, prima di essere dispensati, ritrattino il giuramento civile, prestato in modo puro e semplice, con una ritrattazione pubblica e palese. Si eccettuano tuttavia quelle irregolarità che provengono da bigamia accertata o da omicidio volontario: ma anche in questi due casi si concede la facoltà di dispensare se ci fu una precisa necessità o costrizione di lavoratori buoni e probi, purché, riguardo all’omicidio volontario, non sorga scandalo da una tale dispensa.

8. III. Facoltà di dispensare e commutare anche i voti semplici di castità, per una causa ragionevole, in altre pie opere; e questo per quelle Congregazioni di uomini e donne che sono stretti da questi vincoli, ma non dal voto (solenne e perpetuo) di religione.

9. IV. Facoltà di dispensare nei matrimoni già contratti o da celebrare sull’impedimento di pubblica onestà derivante da legittimi sponsali. – Di dispensare sull’impedimentum criminis se nessuno dei due coniugi ha collaborato, e di restituire il diritto di risarcimento del debito perduto in conseguenza dell’impedimento. – Di dispensare negli impedimenti di cognazione spirituale fuorché tra il padrino e il figlioccio. Di dispensare nel terzo e quarto grado di consanguineità e di affinità semplice e anche mista, tanto nei matrimoni già contratti quanto in quelli da contrarsi, e non solo tra i poveri, ma anche tra i ricchi. – Di dispensare anche nel secondo grado di consanguineità semplice e mista, purché in nessun modo si tocchi il primo grado, sia nei matrimoni già contratti, sia in quelli da contrarsi, e non solo tra i poveri, ma anche tra i ricchi. Tutte queste dispense matrimoniali non devono essere concesse se non con la clausola: “Purché la donna non sia stata rapita, e, qualora fosse stata rapita, finché resta in potere del suo rapitore.

Inoltre gli Arcivescovi, i Vescovi e anche gli Amministratori delle Diocesi (onerata con somma gravità la loro coscienza) sono tenuti a trascrivere tutte e singole le dispense matrimoniali concesse o da concedersi in un registro autenticato, che deve essere conservato presso di loro accuratamente e occultamente, con i nomi di tutti coloro che hanno ottenuto la dispensa.

10. V. La facoltà di dispensare, in caso di minore età, di tre mesi per ricevere gli Ordini sacri, salvi gli indulti di dispensare di tredici mesi, in caso di minore età, già concessi dalla Sede Apostolica ad alcuni Vescovi e Amministratori di Diocesi.

11. VI. La facoltà di conferire gli Ordini al di fuori dei tempi stabiliti in caso di utilità o di necessità, se si tratta di Vescovi; e di dispensare a favore di chi deve ricevere gli Ordini fuori dei tempi stabiliti, se si tratta di Amministratori delle Diocesi vacanti.

12. VII. Facoltà di disporre dei benefici parrocchiali e di altri titoli ecclesiastici ai quali è connessa la cura d’anime, in favore di sacerdoti secolari oppure di regolari, di qualsiasi Istituto, senza tener conto della secolarità o della appartenenza religiosa di tali titoli, in mancanza di sacerdoti secolari ai quali conferire i predetti benefici secolari, o in mancanza di sacerdoti religiosi ai quali conferire i benefici degli Ordini religiosi. Si concede pure facoltà di conferire questi benefici, nonostante la regola dei mesi e l’usanza di alternare, per quelle Diocesi nelle quali si osservano la predetta regola dei mesi e l’usanza di alternare.

13. VIII. Facoltà di concedere ai religiosi di qualsiasi Ordine o Congregazione la possibilità di passare in altro Istituto, anche se la regola vigente in quest’ultimo fosse meno austera di quella dell’Istituto nel quale fecero la loro prima professione.

14. IX. La facoltà di concedere ai religiosi regolari esenti e anche non esenti, di qualsiasi Ordine o Istituto, che furono costretti a vivere fuori del convento e a deporre l’abito religioso, di indossare abiti secolari, purché convenienti ad un ecclesiastico; e di continuare a vestire tali abiti sotto l’obbedienza del Vescovo, qualora manchino i relativi Superiori regolari oppure non siano in grado di esercitare qualsiasi giurisdizione sui loro sussidi, fermo sempre restando l’obbligo di osservare i voti solenni.

15. X. La facoltà di presiedere alle elezioni e di confermarle e di dare le obbedienze e di esercitare tutti gli uffici dei superiori immediati nelle case delle fanciulle soggette alla direzione di religiosi, ogni qualvolta questi siano assenti o impediti o negligenti nell’esercizio del loro ufficio. I Vescovi possono procedere come delegati della Sede Apostolica, salvo tuttavia i diritti notoriamente esistenti per qualsiasi titolo nei confronti delle stesse case e delle persone, a norma di speciali clausole canoniche. Parimenti ai medesimi, come delegati della Sede Apostolica, è data facoltà di concedere ai religiosi di ambedue i sessi, anche esenti, sia a tutti collettivamente, sia in particolare ai singoli, la dispensa dall’osservare quella parte di regole e costituzioni che nella presente situazione non può essere osservata senza grave pregiudizio.

16. XI. Facoltà di impartire l’indulgenza plenaria in articulo mortis nella forma prescritta dal Sommo Pontefice Pio VI nella sua costituzione del 7 aprile 1747.

17. XII. Facoltà di rinnovare e prorogare le indulgenze concesse ad tempus dai Sommi Pontefici alle case religiose e alle congregazioni, secondo che sarà richiesto dalle necessità dei tempi e delle circostanze. Inoltre, la facoltà di trasferire tutte le indulgenze (concesse e assegnate per qualsiasi titolo alle Chiese cattedrali o parrocchiali che sono state invase e occupate da pseudo-pastori) a quelle Chiese nelle quali i cattolici possono convenire per celebrare i divini misteri.

18. XIII. Facoltà di estendere e comunicare tali facoltà – eccetto quelle che richiedono l’Ordine episcopale – in toto o in parte, come la loro coscienza avrà suggerito, anche ai sacerdoti idonei, sia per tutti i luoghi, sia per alcuni delle loro Diocesi, per il tempo che riterranno più opportuno, come meglio giudicheranno in Domino; non solo, ma anche facoltà di revocare tali concessioni e anche di moderarne l’uso, sia in relazione al luogo, sia al tempo di esercitarle.

19. XIV. Concediamo il potere di subdelegare ai singoli presbiteri quelle facoltà che non richiedono la consacrazione episcopale e che furono concesse agli Arcivescovi e ai Vescovi di Francia in forza dell’indulto generale del 10 maggio dello scorso anno. Agli Arcivescovi e Vescovi di Parigi e di Lione, e ai Vescovi delle Diocesi più antiche di ogni provincia del regno di Francia, concediamo il potere di subdelegare anche quelle facoltà che in forza delle risoluzioni del 18 agosto furono concesse loro in modo speciale in data 26 settembre dello scorso anno. Queste facoltà vengono prorogate per tutto il tempo di questo indulto.

20. Tutte le predette facoltà vengono concesse per un anno, cominciando da questo giorno, se così a lungo durerà la calamità di questi tempi. Vengono concesse pertanto a condizione che per nessuna ragione si possa usarne fuori delle Diocesi di competenza e neppure nei luoghi non soggetti al Re cristianissimo.

Infine, vengono concesse sotto la precisa condizione che gli Arcivescovi, i Vescovi e gli Amministratori delle Diocesi, nell’esercizio di tali facoltà, espressamente dichiarino che le stesse vengono concesse da loro come delegati dalla Sede Apostolica; tale dichiarazione deve essere inserita nel corpo stesso dell’Atto.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “UBI NOS”

Non dovete pensare mai che diminuisca la dignità della vostra grandezza se amate e difendete la libertà della Chiesa, Sposa di Dio e Madre vostra; non crediate di umiliarvi se la esaltate; non temete di indebolirvi se la rafforzate. Guardatevi attorno, gli esempi sono evidenti. Abbiate presenti i Prìncipi che la combattono e la opprimono: che giovamento ne traggono? A qual esito pervengono? È abbastanza chiaro, non c’è bisogno di dirlo. Sicuramente, coloro che la glorificano, con essa ed in essa saranno glorificati …”: con queste parole di S. Anselmo, il Sommo Pontefice Pio IX, indicava ai governanti la rettitudine nel governo dei loro popoli, e la necessità della loro adesione agli interessi della Chiesa di Cristo onde assicurarsi prosperità e pace nei loro regni. E questo in seguito alle empie e vergognose leggi delle quarentigie, promulgate dal Governo Cisalpino a giustificazione delle indegne usurpazioni e turpi latrocini operati a danno della Santa Sede, alla quale veniva sottratto il potere temporale che Dio le aveva assicurato nei millenni a garanzia di libertà da poteri politici con mire materiali e di dominio territoriale. Vibranti furono le proteste del Santo Padre che ovviamente non ottennero alcun risultato pratico apparente, anche perché il governo del Re-burattino piemontese era diretto dalle solite sette di perdizione sovranazionali, il cui unico scopo era, e rimane tuttora, se fosse possibile, la distruzione del Cristianesimo, della Chiesa di Cristo, della società tutta e del genere umano affinché sprofondi nello stagno eterno preparato per i demoni ed i suoi adepti. Lo Stato Cisalpino, poi divenuto Regno di Piemonte e poi d’Italia, è stato dissolto ed umiliato da quelle stesse sette empie che lo manovravano a sua perdizione, la dinastia sabauda vergognosamente confinata in esilio e nei meandri della infamia eterna, dai quali non risorgerà mai più. Né il popolo italiano tutto ha tratto beneficio da queste manovre illecite ed ipocrite, trascinato com’è stato in guerre disastrose con perdita di intere generazioni di giovani soldati mandati al macello, in una feroce dittatura prima fascista e poi – ancor peggiore perché occulta – di sinistra, in una sudditanza ed una colonizzazione americana e poi finto-europeista, per finire ai giorni nostri, sotto il totale asservimento ai poteri massonici mondialisti degli Illuminati [… da satana], infiltrati in tutte le posizioni chiave dello Stato e perfino in Vaticano ove tengono custodito il loro Capo mondiale, che finge di essere, con la sua scimmia-marionetta, il successore di Pietro a dirigere la sinagoga di satana apparentemente trionfante. I danni spirituali poi sono stati e sono a tutt’oggi più che mai immensi ed irreparabili se non ribaltati da un intervento diretto di Cristo: paganizzazione sfrenata, scristianizzazione pressoché totale, caduta in massa nella peccaminosità più vergognosa e bestiale, corsa precipitosa verso lo stagno di fuoco eterno… un disastro completo! … il fuoco di Sodoma e Gomorra incombe imminente.

S. S. Pio IX

Ubi nos

Quando, per arcano volere divino, fummo ridotti sotto un potere ostile, e vedemmo la triste e amara sorte di questa Nostra Urbe e il civile Principato della Sede Apostolica oppresso dall’invasione armata, proprio allora, con una lettera a Voi inviata il primo novembre dell’anno scorso, dichiarammo a Voi e, per mezzo Vostro, a tutto il mondo cattolico, quale fosse la situazione Nostra e di questa Urbe e a quali eccessi di sfrenata licenza fossimo esposti. Per dovere del Nostro Supremo Ufficio, al cospetto di Dio e degli uomini, abbiamo dichiarato di voler salvi ed integri i diritti della Sede Apostolica, e abbiamo incitato Voi e tutti i diletti Figli affidati alle vostre cure a placare con fervide preci la divina Maestà. Da quel momento i mali e le sventure che già erano preannunciate a Noi e a questa Urbe da quei primi nefasti tentativi d’usurpazione si rovesciarono sulla dignità e Autorità Apostolica, sulla santità della Religione e dei costumi, e perciò anche sui dilettissimi Nostri sudditi. Anzi, Venerabili Fratelli, aggravandosi ogni giorno la situazione, siamo costretti a dire, con le parole di San Bernardo: “Gli inizi delle sventure sono questi, e ne temiamo di ancor più gravi” . L’iniquità infatti persevera nel seguire la sua strada e sviluppa i suoi piani, né si affanna d’altro che di stendere un velo sulle sue nefaste imprese che non possono restare nascoste, e si sforza di sottrarre le ultime spoglie alla giustizia oppressa, alla onestà e alla Religione. – Tra queste angustie che colmano i nostri giorni di amarezza, soprattutto quando pensiamo a quali pericoli e a quali insidie sono sottoposti, giorno per giorno, i fedeli e la virtù del nostro popolo, non possiamo onorare o ricordare senza un profondo senso di gratitudine gli eccelsi meriti vostri, Venerabili Fratelli, e dei diletti fedeli avvinti dal vostro amore. Infatti, in ogni plaga della terra i fedeli di Cristo, rispondendo con ammirevole premura alle Nostre esortazioni, hanno seguito Voi come maestri e modelli, e da quel giorno infausto in cui fu espugnata questa Urbe, indissero assidue e ferventi preghiere e sia con pubbliche e ripetute suppliche, sia con sacri pellegrinaggi, sia con ininterrotta affluenza nelle Chiese e con la partecipazione ai Sacramenti, sia con altre opere di ispirazione cristiana, ritennero proprio dovere accostarsi assiduamente al trono della divina clemenza. Né invero queste appassionate invocazioni possono mancare di copiosissimi frutti presso Dio. Anzi, i molti beni già ottenuti da esse ne promettono altri, da Noi attesi con fiducia e speranza. Vediamo infatti la fermezza della fede e l’ardore della carità che si diffondono ogni giorno più ampiamente; scorgiamo negli animi dei fedeli, in favore di questa Sede e del supremo Pastore quella sollecitudine (risvegliata dall’offesa dell’attacco subito) che Dio solo poté ispirare, e avvertiamo tanta solidarietà di menti e di volontà che mai più, e più veracemente che in questi giorni, dai primordi della Chiesa fino a questi tempi, si potrà affermare che il cuore e l’anima di una moltitudine di credenti sono una sola realtà (At IV, 32). Di fronte a una tale prova di virtù, non possiamo tacere che nei Nostri affettuosissimi figli, cittadini di ogni ordine e grado di questa Urbe, venne in piena luce un devoto, rispettoso amore verso di Noi, e insieme la fermezza pari all’impresa, e la grandezza d’animo non solo degna ma emula dei loro antenati. – Pertanto rendiamo grazie e gloria immortale a Dio misericordioso in nome di Voi tutti, Venerabili Fratelli, e dei Nostri diletti figli, fedeli di quel Cristo che tanto ha operato e opera in Voi e nella Sua Chiesa, e ha fatto sì che, mentre sovrabbonda l’iniquità, sovrabbondi anche la grazia della fede, dell’amore e della confessione. “Quale è dunque la Nostra speranza, il Nostro gaudio e la corona di gloria? Non è forse la vostra presenza davanti a Dio? Il figlio sapiente è gloria del Padre. Vi benefichi dunque Dio, e si ricorderà del fedele servizio, della pia compassione, della consolazione e dell’onore che alla Sposa di suo Figlio in tempo avverso e nei giorni del suo dolore avete mostrato e mostrate” .

Frattanto il Governo Subalpino, mentre per un verso si affretta a raccontare al mondo fandonie sull’Urbe, per l’altro, allo scopo di gettar polvere negli occhi dei Cattolici e di sopire le loro ansie, ha studiato e sviluppato alcune inconsistenti immunità e alcuni privilegi volgarmente detti guarentigie, che intende concedere a Noi in sostituzione di quel potere temporale di cui Ci ha spogliato con una lunga serie d’inganni e con armi parricide. Su queste immunità e garanzie, Venerabili Fratelli, abbiamo già espresso il Nostro giudizio, rilevando la loro oltraggiosa doppiezza nella lettera del 2 marzo scorso, inviata al Nostro Venerabile Fratello Costantino Patrizi, Cardinale della Santa Romana Chiesa, decano del Sacro Collegio e Nostro Vicario nell’Urbe: lettera che subito fu pubblicata a stampa. – Ma poiché è tipico del Governo Subalpino coniugare l’ostinata e turpe ipocrisia con l’impudente disprezzo verso la Nostra dignità e autorità Pontificia, nei fatti dimostra di non tenere in alcun conto le Nostre proteste, richieste, censure; perciò, senza dare alcun peso al giudizio da Noi espresso circa le predette garanzie, non desiste dal sollecitare e promuovere il dibattito e l’esame di esse presso i supremi Ordini del Regno, come se si trattasse di cosa seria. In quel dibattito emerse in piena luce sia la verità del Nostro giudizio circa la natura e l’indole di quelle garanzie, sia il vano tentativo dei nemici di occultarne la malizia e la frode. Certo, Venerabili Fratelli, è incredibile che tanti errori, apertamente incompatibili con la Fede Cattolica e perfino con gli stessi fondamenti del diritto naturale, e tante bestemmie che in quella occasione furono pronunciate, abbiano potuto pronunciarsi in questa Italia che si è sempre gloriata e si gloria del culto della Religione Cattolica e della Sede Apostolica del Romano Pontefice. E in realtà, proteggendo Iddio la Sua Chiesa, del tutto diversi sono i sentimenti che nutre la maggior parte degli Italiani: essi con Noi lamentano e deplorano questa inaudita forma di sacrilegio e Ci hanno dimostrato, con le loro meritevoli prove e con impegni di devozione ogni giorno più evidenti, di essere solidali, in unione di spirito e di sentimenti, con gli altri Fedeli della terra. – Perciò oggi di nuovo Noi Vi rivolgiamo le Nostre parole, Venerabili Fratelli, e sebbene i Fedeli a Voi affidati o con le loro lettere o con severe proteste abbiano chiaramente significato con quanta amarezza subiscano la situazione che Ci affligge, e quanto siano lontani dal farsi ingannare da quei raggiri che si nascondono sotto il nome di garanzie; tuttavia riteniamo sia dovere del Nostro Ufficio Apostolico dichiarare solennemente a tutto il mondo, per mezzo Vostro, che non solo le cosiddette garanzie malamente fabbricate dal Governo Subalpino, ma anche titoli, onori, immunità, privilegi e qualunque altra offerta fatta sotto il nome di garanzie o di guarentigie non hanno alcuna validità quando dichiarano sicuro e libero l’uso del potere a Noi affidato da Dio e di voler proteggere la necessaria libertà della Chiesa. – Stando così le cose, come più volte dichiarammo e denunciammo, Noi, per non violare la fede, non possiamo aderire con giuramento ad alcuna conciliazione forzata che in qualche modo annulli o limiti i Nostri diritti, che sono diritti di Dio e della Sede Apostolica; così ora, per dovere del Nostro Ufficio, Noi dichiariamo che mai potremo in alcun modo ammettere o accettare quelle garanzie, ossia guarantigie, escogitate dal Governo Subalpino, qualunque sia il loro dispositivo, né altri patti, qualunque sia il loro contenuto e comunque siano stati ratificati, in quanto essi ci furono proposti con il pretesto di rafforzare la Nostra sacra e libera potestà in luogo e in sostituzione del Principato civile di cui la divina Provvidenza volle dotata e rafforzata la Santa Sede Apostolica, come Ci è confermato sia da titoli legittimi e indiscussi, sia dal possesso di undici secoli ed oltre. Infatti ad ognuno deve risultare chiaro che necessariamente, qualora il Romano Pontefice fosse soggetto al potere di un altro Principe, né fosse dotato di più ampio e supremo potere nell’ordine politico, non potrebbe per ciò che riguarda la sua persona e gli atti del ministero Apostolico, sottrarsi all’arbitrio del Principe dominante, il quale potrebbe anche diventare eretico o persecutore della Chiesa, o trovarsi in guerra o in stato di guerra contro altri Principi. Certamente questa stessa concessione di garanzie di cui parliamo non è forse, di per sé, evidentissima prova che a Noi fu data una divina autorità di promulgare leggi concernenti l’ordine morale e religioso; che a Noi, designati in tutto il mondo come interpreti del diritto naturale e divino, verrebbero imposte delle leggi, e per di più leggi che si riferiscono al governo della Chiesa Universale, il cui diritto di conservazione e di esecuzione non sarebbe altro che la volontà prescritta e stabilita dal potere laico? Per ciò che riguarda il rapporto tra Chiesa e Società civile, ben sapete, Venerabili Fratelli, che Noi ricevemmo direttamente da Dio, in persona del Beatissimo Pietro, tutte le prerogative e tutta la legittima autorità necessaria al governo della Chiesa Universale, e che anzi quelle prerogative e quei diritti, e quindi anche la stessa libertà della Chiesa, derivano dal sangue di Gesù Cristo e devono essere stimati secondo l’infinito valore del Suo Sangue divino. – Pertanto Noi saremmo immeritevoli (e ciò non accada) del divino Sangue del Nostro Redentore se questi Nostri diritti, che ora soprattutto si vorrebbero così sviliti e deturpati, dipendessero dai Principi della terra. I Principi Cristiani infatti, sono figli, non padroni della Chiesa. Ad essi propriamente si rivolgeva Anselmo, quel lume di santità e di dottrina, Arcivescovo di Canterbury: “Non dovete credere che la Chiesa di Dio vi sia stata data per servire a un padrone, ma piuttosto per servire come avvocato e difensore; in questo mondo nulla Dio ama di più che la libertà della sua Chiesa” . E aggiungendo altre esortazioni per essi, in altro momento scriveva: “Non dovete pensare mai che diminuisca la dignità della vostra grandezza se amate e difendete la libertà della Chiesa, Sposa di Dio e Madre vostra; non crediate di umiliarvi se la esaltate; non temete di indebolirvi se la rafforzate. Guardatevi attorno, gli esempi sono evidenti. Abbiate presenti i Principi che la combattono e la opprimono: che giovamento ne traggono? A qual esito pervengono? È abbastanza chiaro, non c’è bisogno di dirlo. Sicuramente, coloro che la glorificano, con essa ed in essa saranno glorificati” .

Dunque, Venerabili Fratelli, dopo tutto ciò che vi abbiamo detto, a nessuno per certo può sfuggire che l’offesa recata a questa Santa Sede, in questi tempi crudeli, ricade su tutta la Comunità Cristiana. Ad ogni Cristiano dunque, come diceva San Bernardo, è rivolta l’offesa che colpisce gli Apostoli, appunto i gloriosi Principi della terra; e siccome la Chiesa Romana si dà pensiero di tutte le Chiese, come diceva il predetto Sant’Anselmo, chiunque ad essa sottrae ciò che è suo, deve essere giudicato colpevole di sacrilegio non solo verso di essa ma verso tutte le Chiese . Né certo alcuno può dubitare che la tutela dei diritti di questa Sede Apostolica non sia strettamente congiunta e collegata con le supreme ragioni e i vantaggi della Chiesa universale e con la libertà del vostro ministero Episcopale.

Nel riflettere e considerare tali questioni, come è Nostro dovere, Noi siamo costretti a confermare nuovamente e a dichiarare con insistenza ciò che più di una volta esponemmo a Voi, del tutto consenzienti con Noi, ossia che il potere temporale della Santa Sede è stato concesso al Romano Pontefice per singolare volontà della Divina Provvidenza e che esso è necessario affinché lo stesso Pontefice Romano, mai soggetto a nessun Principe o a un Potere civile, possa esercitare la suprema potestà di pascere e governare in piena libertà tutto il gregge del Signore con l’autorità conferitagli dallo stesso Cristo Signore su tutta la Chiesa e perché possa provvedere al maggior bene della stessa Chiesa ed agli indigenti. Voi certamente comprendete tutto ciò, Venerabili Fratelli, e con Voi i Fedeli a Voi affidati, e giustamente Voi tutti siete in ansia per la causa della Religione, della giustizia e della pace che sono i fondamenti di tutti i beni, e date lustro alla Chiesa di Dio con un degno spettacolo di fede, di amore, di costanza, di virtù e, fedelmente intenti alla sua difesa, tramandate un nuovo e ammirevole esempio, degno dei suoi annali e della memoria delle future generazioni. Poiché il Dio della misericordia è autore di questi beni, a Lui sollevando gli occhi, i cuori e la speranza Nostra, Lo supplichiamo con insistenza perché confermi, rafforzi, accresca i sentimenti Vostri e dei Fedeli, la pietà comune, l’amore e lo zelo. Con ogni premura esortiamo Voi e i popoli affidati alla Vostra vigilanza affinché ogni giorno, con tanta più fermezza e rigoglio quanto più minacciosamente si agitano i nemici, invochiate con Noi il Signore perché si degni di maturare i giorni della sua benevolenza. Provveda Iddio perché i Principi della terra che hanno particolare interesse ad evitare che il caso di usurpazione di cui siamo vittime diventi regola a danno di ogni ordine e potere, si uniscano in un perfetto accordo di animi e di volontà e, placate le discordie, sedate le turbolenze delle ribellioni, disperse le esiziali opinioni delle sette, svolgano un’opera comune affinché siano restituiti a questa Santa Sede i suoi diritti, e con essi la piena libertà al Capo visibile della Chiesa e la desiderata pace al consorzio civile. E con altrettanto ardore, Venerabili Fratelli, con le suppliche Vostre e dei Fedeli, chiedete alla divina clemenza che converta alla penitenza i cuori degli empi, rimuovendo la cecità delle menti prima che sopraggiunga il grande e terribile giorno del Signore o, col reprimere i loro infami propositi, dimostri quanto ottusi e stolti sono coloro che tentano di rovesciare la pietra posata da Cristo e di violare i divini privilegi. In queste preghiere si fondino più saldamente le Nostre speranze in Dio. “Davvero pensate che Dio potrebbe distogliere l’orecchio dalla sua carissima Sposa quando invoca aiuto contro coloro che la fanno soffrire? Come non riconoscerebbe un osso delle sue ossa, la carne della sua carne, anzi in certo modo, in verità, lo spirito del suo spirito? È certamente giunta l’ora della malizia, il potere delle tenebre. D’altronde è l’ultima ora, e il potere presto scompare. Cristo, potenza e sapienza di Dio, è con Noi, partecipa con Noi. Abbiate fiducia, Egli vince il mondo” . Frattanto ascoltiamo con animo aperto e con salda fede la voce dell’eterna verità che dice: “Combatti per la giustizia, per la tua anima, e fino alla morte lotta per la giustizia: Dio sconfiggerà per te i tuoi nemici” (Sir IV, 28). – Infine, con tutto il cuore invocando doni fecondi di celesti grazie per Voi, Venerabili Fratelli, per tutti gli Ecclesiastici e per i fedeli Laici affidati alla cura di ciascuno di Voi, come pegno del Nostro grande e intimo affetto verso Voi e i Fedeli, amorosamente impartiamo a Voi e agli stessi diletti Figli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 maggio 1871, nel venticinquesimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “RESPICIENTES EA”

La Chiesa di Dio, dalla sua origine fino a questi tempi, fu più volte travagliata e più volte liberata. Il suo grido è: “spesso mi espugnarono fin dalla mia gioventù, ma non riuscirono mai contro di me. I peccatori fabbricarono sopra il mio dorso e prolungarono la loro iniquità”. E neppure ora il Signore lascerà prevalere la verga del peccatore sulla sorte dei giusti. La mano di Dio non si è accorciata, né resa impotente a salvarci. Libererà anche in questo tempo, non v’è dubbio, la Sposa sua che redense col suo sangue, dotò del suo spirito, adornò con doni celesti ed arricchì in pari tempo con quelli terreni” … con questa citazione di San Bernardo si chiude questa Lettera Enciclica che è di una gravità eccezionale nei confronti dei persecutori, invasori ed usurpatori dello Stato Pontificio, in particolare del governo piemontese e del re ipocrita che affettava devozione ed obbedienza, ma era un fantoccio delle sette di perdizioni, attive già da tempo contro la Chiesa di Cristo ed il suo Vicario. La scomunica “ipso facto” lanciata dal Santo Padre contri i sacrileghi ed infami figuri, a qualsiasi titolo coinvolti, oltre agli effetti spirituali di condanna eterna, ebbero, ed tuttora hanno, effetti anche temporali, come quelli di una bomba ad orologeria a ripetizione cadenzata: quella dinastia regale, un tempo benemerita per la Chiesa, è miseramente fallita e fu cacciata con sua somma vergogna, dalla nazione italiana dopo una guerra disastrosa; il suo rappresentante con la propria famiglia ignominiosamente relegato in un lontano esilio, dal quale non è mai più tornato, e dal quale mai più torneranno i suoi discendenti macchiatisi nel frattempo di fatti abominevoli ed esecrandi. Lo Stato usurpante, dopo due guerre mondiali e di occupazione in Africa, ampiamente perse queste pure nei confronti di popoli inferiori per numero di uomini e di armamenti, mostrando al mondo intero la propria insipienza ed incapacità, dopo una dittatura fascista ed una successiva comunista, poi colonia americana di fatto, dopo esser caduta preda delle sette di perdizione, ancora oggi è lo zimbello del mondo intero, asservito ad un potere dispotico e tirannico mascherato da potere finanziario, da democrazia europea, ed oggi mondialista, sotto l’egida dell’organizzazione massonica definita O. N. U. [nazioni unite contro il Cristo e la sua Chiesa], la cui fine prossima, sarà ancor più vergognosa di quella del re codardo ed infame, ingannatore del Vicario di Cristo. Ancora una volta il motto d’oltralpe “Qui mange le Pape meurt” ha mostrato tutta la sua veridicità. Di quel potere usurpato ancora oggi godono gli esponenti delle sette del baphomet, ma la loro fine, già tante volte sperimentata da personaggi ben più importanti degli attuali “burattini” impagliati, è segnata da sempre … Imparino dalla storia antica e da quella più recente dell’ottocento e del novecento, … credono forse che diversa sarà la loro sorte? Tutti saranno gettati nello stagno di fuoco quali membri della “bestia” dell’Apocalisse, insieme al “falso profeta” [cioè alla falsa chiesa dell’uomo ed ai suoi adepti] per l’eterno castigo, là ove sarà … pianto e stridor di denti. Et IPSA conteret caput tuum.

ENCICLICA
RESPICIENTES EA
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO IX

A tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi ed altri Ordinari aventi grazia e comunione con la Sede Apostolica.
Il Papa Pio IX. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Considerando tutto ciò che il Governo Subalpino fa già da parecchi anni, con continue macchinazioni, per abbattere il Principato civile concesso per singolare provvidenza di Dio a questa Apostolica Sede, affinché i successori del beato Pietro avessero la piena libertà e la sicurezza necessarie nell’esercizio della loro giurisdizione spirituale, Ci è impossibile, Venerabili Fratelli, non sentirci il cuore commosso da profondo dolore per così grande cospirazione contro la Chiesa di Dio e contro questa Santa Sede, in questo luttuoso momento, nel quale lo stesso Governo, seguendo i consigli delle sette di perdizione, compì contro ogni legge, con la violenza e con le armi, quella sacrilega invasione, che già da gran tempo meditava, dell’alma Nostra città e delle altre città di cui ancora Ci rimaneva il dominio dopo la precedente usurpazione. Mentre Noi, umilmente prostrati davanti a Dio, ne veneriamo gli arcani disegni, siamo costretti a prorompere in quelle parole del profeta: “Io sto piangendo e l’occhio mio sta spargendo lacrime, perché lungi da me andò il consolatore che ristora l’anima mia; i figli miei divennero smarriti, perché prevalse il nemico” (Lam. 1,16). – Per certo, Venerabili Fratelli, fu da Noi esposta sufficientemente, e già da gran tempo manifestata al mondo cattolico, la storia di questa nefanda guerra, e ciò facemmo con parecchie Nostre Allocuzioni, Encicliche e Brevi, fatti o dati in diverso tempo, cioè nei giorni 1 novembre 1850, 22 gennaio e 26 luglio 1855, 18 e 28 giugno e 26 settembre 1859, 19 gennaio 1860, e con la Lettera Apostolica del 26 marzo 1860, poi con le Allocuzioni del 28 settembre 1860, 18 marzo e 30 settembre 1861, e 20 settembre, 17 ottobre e 14 novembre 1867. Dalla serie di questi documenti si chiariscono e si comprendono le gravissime ingiurie recate all’autorità Nostra suprema e di questa Santa Sede dal Governo Subalpino già prima della stessa occupazione del dominio ecclesiastico, incominciata negli anni passati; ingiurie recate sia con le leggi sancite contro ogni diritto naturale, divino ed ecclesiastico, sia con l’aver sottoposto ad indegna vessazione i sacri ministri, le famiglie religiose e gli stessi Vescovi, sia col rompere l’accordo stipulato con solenni patti stretti con questa Apostolica Sede, e negandone ostinatamente l’inviolabile diritto, in quello stesso tempo in cui manifestava di voler aprire con Noi nuovi negoziati. Dagli stessi documenti appare pienamente, Venerabili Fratelli – e tutta la posterità vedrà –, con quali arti e con quanto astute ed indegne macchinazioni il medesimo Governo arrivò ad opprimere la giustizia e la santità dei diritti di questa Sede Apostolica; ed insieme si conoscerà quali cure avessimo per rintuzzare, per quanto potevamo, la sua audacia crescente ogni giorno di più, e per difendere la causa della Chiesa. Ben conoscete che nell’anno 1859 dalla stessa potestà subalpina le città principali dell’Emilia vennero eccitate alla ribellione con segreti scritti, cospirazioni, armi e danaro; e poco dopo, intimati i comizi del popolo e comprati i suffragi, si fece un plebiscito, e con quella simulazione e sotto tale pretesto si strapparono, invano ripugnandone i buoni, dal Nostro paterno impero le Nostre province poste in quella regione. È pure noto che l’anno seguente lo stesso Governo, al fine di impadronirsi di altre province di questa Santa Sede poste nel Piceno, nell’Umbria e nel Patrimonio, addotti fallaci pretesti, con improvviso impeto circondò con grandi truppe i Nostri soldati ed una schiera volontaria di gioventù cattolica che, mossa da spirito di religione e da pietà verso il comune Padre, era accorsa da tutto il mondo a Nostra difesa; e, mentre nulla sospettavano di così improvvisa irruzione, li oppresse in sanguinosa battaglia, da essi però impavidamente combattuta per la Religione. – Nessuno ignora la grande impudenza e l’ipocrisia dello stesso Governo, con cui, a diminuire l’onta di questa sacrilega usurpazione, non esitò a proclamare che aveva invaso quelle province per restaurarvi i principi dell’ordine morale, mentre invece di fatto favorì dappertutto la diffusione ed il culto di ogni falsa dottrina, ovunque allentò le briglie alle passioni ed all’empietà, punendo altresì immeritatamente quei sacri prelati, personaggi ecclesiastici di qualunque grado, che cacciò in carcere e lasciò vessare con pubbliche contumelie, mentre frattanto consentiva l’impunità ai persecutori ed a coloro che non risparmiavano neppure la dignità del supremo Pontificato nella persona dell’umiltà Nostra. È noto inoltre che Noi, adempiendo al Nostro dovere, non solo Ci opponemmo sempre ai replicati consigli e alle domande fatteci, con cui si voleva che Noi, vergognosamente, tradissimo l’ufficio Nostro abbandonando e consegnando i diritti e i domini della Chiesa, o stipulando con gli usurpatori una nefanda conciliazione, ma, di più, Noi, a questi iniqui ardimenti e misfatti perpetrati contro ogni diritto umano e divino, opponemmo solenni proteste davanti a Dio e agli uomini, e dichiarammo incorsi nelle censure ecclesiastiche i loro autori e fautori, e, quando fu necessario, li fulminammo con le stesse censure. – Infine è certo che il predetto Governo nondimeno persistette nella sua contumacia e nelle sue macchinazioni, e fece in modo di promuovere, senza darsi mai tregua, la ribellione nelle restanti Nostre province, e specialmente in Roma, mandandovi perturbatori con arti d’ogni genere. Ma, poiché tutti questi tentativi non riuscivano mai al loro scopo per l’inconcussa fedeltà dei Nostri soldati, e per l’amore e la riverenza solennemente e costantemente dimostratici dai Nostri popoli, scoppiò infine nell’anno 1867 contro di Noi quel furioso turbine, allorché nell’autunno furono rovesciate sui Nostri confini e su questa città schiere d’uomini scelleratissimi, infiammate da empietà e furore e aiutate coi sussidi dello stesso Governo; parecchi di tali uomini già prima si erano occultati in questa città, sicché Noi e i Nostri dilettissimi sudditi dovevamo temere dalla loro violenza, dalla loro crudeltà e dalle loro armi ogni più duro e sanguinoso misfatto, come chiaramente era manifesto, se Dio misericordioso non avesse reso vani i loro attacchi sia col valore delle Nostre truppe, sia col valido aiuto di soldati mandatici dall’inclita nazione francese. – Ma in tanti combattimenti, in tanta serie di pericoli, di sollecitudini e di amarezze, la divina Provvidenza Ci recava una grandissima consolazione con la segnalata vostra pietà e riverenza, che voi, Venerabili Fratelli, e i vostri fedeli costantemente manifestaste verso Noi e questa Apostolica Sede con insigni e pubbliche dimostrazioni e con opere di carità cattolica. E quantunque i gravissimi pericoli nei quali Ci trovavamo Ci lasciassero appena qualche po’ di tregua, mai, per il divino conforto, trascurammo alcuna cura che riguardasse il mantenimento della prosperità temporale dei Nostri sudditi; e quante fossero presso di Noi le ragioni di tranquillità e di pubblica sicurezza, quale la condizione d’ogni più importante scienza ed arte, quale la fedeltà e l’affetto dei Nostri popoli verso di Noi, fu noto facilmente a tutte le nazioni, dalle quali in ogni tempo vennero a frotte in questa città moltissimi forestieri, specialmente in occasione di parecchie commemorazioni e solennità che abbiamo celebrato. – Orbene, stando così le cose e godendo i Nostri popoli di una pace tranquilla, il Re subalpino e il suo Governo, approfittando della grandissima guerra accesa fra due potentissime nazioni d’Europa, con una delle quali avevano fatto patto di conservare inviolato il presente Stato del dominio ecclesiastico e di non permettere che tale patto si violasse dai faziosi, repentinamente deliberarono d’invadere il resto delle terre del Nostro dominio e questa stessa Nostra Sede e di ridurla in loro potere. Ma perché questa ostile invasione, quali motivi se ne adducevano? Certamente sono notissime a tutti quelle cose che si dicono nella lettera del Re, mandataci in data dell’8 settembre scorso e consegnataci dal suo inviato, nella quale con lungo e ingannevole giro di parole e di frasi, ostentando i nomi di figlio amoroso e di uomo cattolico, con falso pretesto di salvare l’ordine pubblico, lo stesso Pontificato e la persona Nostra, domandava che Noi non volessimo considerare come un ostile misfatto la distruzione del Nostro potere temporale, e che inoltre cedessimo la Nostra stessa potestà, confidando nelle futili promesse da lui medesimo fatte, con le quali si concilierebbero i voti, come egli diceva, dei popoli d’Italia col supremo diritto e con la libertà spirituale del Romano Pontefice. – Noi certamente non potemmo fare a meno di meravigliarci assai vedendo con quale pretesto si voleva coprire e dissimulare la violenza che si stava per muovere contro di Noi, né potemmo non dolerci nel più profondo dell’animo della sorte dello stesso Re, che, spinto da iniqui consigli, arreca sempre nuove ferite alla Chiesa, e tenendo più conto degli uomini che di Dio, non pensa esservi in cielo il Re dei Re, ed il Dominatore dei Dominanti, il quale non “risparmierà chicchessia, e non avrà riguardo alla grandezza di alcuno, perché Egli fece il piccolo e il grande, ed ai maggiori maggior supplizio sovrasta” (Sap 6,8-9). – In quanto a ciò, poi, che riguarda le domande che Ci sono state poste, non credemmo di dovere esitare neppure un istante a seguire – obbedendo alle leggi del dovere e della coscienza – gli esempi dei Nostri Predecessori, e specialmente di Pio VII di felice memoria, i sentimenti del cui animo invitto, da lui espressi in situazione del tutto simile alla Nostra e a Noi comuni, qui Ci giova prendere a prestito e manifestare: “Ricordavamo con sant’Ambrogio [De Basilica tradenda, n. 17] la storia di quel sant’uomo di Naboth, che possedeva una vigna, al quale il re aveva chiesto di cedergliela affinché – tagliate le viti – vi potesse seminare il vile cavolo; ed egli rispose: “Lungi da me che io ceda l’eredità dei miei padri””. Noi ritenemmo che non Ci fosse assolutamente lecito abbandonare un’eredità tanto sacra e tanto antica (ossia il temporale dominio di questa Santa Sede, posseduto non senza un evidente disegno della Divina Provvidenza in così lunga serie di secoli dai Nostri Predecessori) né accettare col silenzio che qualcuno s’impadronisse della principale città del mondo Cattolico per poi (una volta sovvertita e distrutta la santissima forma di governo che Gesù Cristo affidò alla sua Chiesa, e che fu strutturata sui sacri canoni emanati dallo Spirito di Dio) introdurvi un codice contrario e ripugnante non solo ai sacri canoni ma agli stessi precetti evangelici; insomma, trasferirvi, come è d’abitudine, un nuovo ordine delle cose che tende palesemente ad uniformare e a confondere la Chiesa Cattolica con tutte le altre sette e superstizioni. – “Naboth difese le sue vigne col proprio sangue”[De Basilica tradenda, n. 17]. Potevamo dunque Noi, qualunque cosa stesse per capitarci, tralasciare di difendere i diritti ed i possessi di Santa Romana Chiesa, a conservare i quali, per quanto sta in Noi, siamo obbligati dalla solennità di un giuramento? Ovvero, potevamo non rivendicare la libertà della Sede Apostolica, strettamente legata alla libertà ed alla utilità della Chiesa universale? – “E quanto grande sia l’opportunità di questo dominio temporale e quanto esso sia necessario per garantire al Capo supremo della Chiesa il libero e sicuro esercizio dell’attività spirituale, la cui responsabilità gli fu affidata dal cielo per tutto il mondo, anche se altre ragioni mancassero, lo dimostra fin troppo chiaramente ciò che sta accadendo adesso” [Litt. Apost. 10 Iun. 1809]. Aderendo dunque a questi sentimenti, che in molte Nostre Allocuzioni abbiamo già espressi, nella Nostra risposta data al Re riprovammo le ingiuste sue domande, in modo tuttavia da mostrare l’acerbo Nostro dolore congiunto alla paterna carità, che non sa allontanare dalla sua sollecitudine neppure gli stessi figli che imitano il ribelle Assalonne. Non era ancora recata questa lettera al Re, che già furono occupate dal suo esercito le città finora lasciate intatte e tranquille di questo Nostro dominio pontificio, con facile vittoria sui soldati di guarnigione, dove questi tentavano di resistere. Poco dopo spuntò quell’infausto giorno 20 dello scorso settembre in cui vedemmo assediata da molte migliaia d’armati questa città, sede del Principe degli Apostoli, centro della Religione Cattolica e rifugio di tutte le genti. È stata fatta una breccia alle mura. Abbiamo dovuto compiangere la città spaventata dal terrore delle bombe ed espugnata con la forza e con le armi, per ordine di colui che poco prima così altamente aveva dichiarato di nutrire un filiale affetto verso di Noi e un animo fedele verso la Religione. – Che cosa di più doloroso in quel giorno poté riuscire a Noi e a tutti i buoni? Giorno in cui, essendo entrati i soldati in Roma ripiena d’una gran moltitudine di faziosi stranieri, vedemmo subito turbato e rovesciato l’ordine pubblico, vedemmo nella Nostra umile persona, con empie voci, insultata la dignità e santità dello stesso supremo Pontificato; vedemmo le fedelissime schiere dei Nostri soldati ingiuriate con ogni sorta di contumelie, vedemmo dominare dappertutto la sfrenata licenza e la petulanza dove poco prima risplendeva l’affetto dei figli desiderosi di confortare l’afflizione del Padre comune. Da quel giorno in poi avvennero sotto gli occhi Nostri tali cose che non si possono ricordare senza una ben giusta indignazione di tutti i buoni; cominciarono ad offrirsi a poco prezzo ed a spargersi libri nefandi ripieni di menzogna, di turpitudine e d’empietà; a pubblicarsi molti giornali per corrompere le menti e gli onesti costumi, per disprezzare e calunniare la Religione, per eccitare contro di Noi e questa Sede Apostolica l’opinione pubblica; a spacciarsi sconce ed indegne immagini ed altre simili caricature, con le quali vengono esposte alla pubblica irrisione e vien fatto ludibrio d’ogni cosa e persona sacra. – Furono decretati onori e monumenti a coloro che in virtù delle leggi e dei magistrati avevano subìto gravissime pene per i loro delitti; i ministri della Chiesa, contro i quali si aizza ogni invidia, furono fatti segni d’ingiurie e alcuni proditoriamente feriti; alcune case religiose assoggettate ad ingiuste perquisizioni; fu violata la Nostra casa del Quirinale, e da questa, dove aveva sede, uno dei Cardinali della Santa Chiesa, obbligato ad uscirne prontamente e repentinamente con violento comando, ed altri ecclesiastici e familiari Nostri furono licenziati e molestati; furono pubblicati leggi e decreti che manifestamente offendono e conculcano la libertà, l’immunità e i diritti di proprietà della Chiesa di Dio: mali gravissimi che vediamo con dolore ancora progredire, se Dio non vi frappone pietosamente rimedio. Frattanto Noi, impediti dal ripararvi in qualsiasi modo per la condizione in cui Ci troviamo, ogni giorno sempre più restiamo avvertiti di quella prigionia che Ci colpì, e della mancanza di quella piena libertà che, con mendaci parole, si dice al mondo di averci lasciato nell’esercizio del Nostro ministero apostolico, e l’intruso Governo si vanta di voler confermare, com’esso dichiara, con le necessarie garanzie. – Né qui possiamo tralasciare l’enorme misfatto che voi certamente conoscete, Venerabili Fratelli. Infatti, quasi che potessero rimettere in discussione e in dubbio i possedimenti e i diritti della Sede Apostolica, per tanti titoli sacri ed inviolabili, e quasi che le gravissime censure nelle quali (ipso facto e senza alcuna nuova dichiarazione) incorrono i violatori dei predetti diritti e possedimenti, potessero perdere la loro efficacia per la ribellione e l’audacia del popolo, per giustificare la sacrilega spoliazione che abbiamo patito, in dispregio del comune diritto di natura e delle genti, si cercò quel dispositivo e quella beffarda forma di plebiscito già altre volte usata nelle province a Noi sottratte. Coloro che sogliono esultare per le cose pessime, in quest’occasione non arrossirono di portare per le città d’Italia, quasi con pompa trionfale, la ribellione ed il disprezzo delle censure ecclesiastiche, contro i fraterni sensi della grande maggioranza degli italiani, alla cui Religione, devozione e fede verso Noi e la Santa Chiesa s’impedisce di manifestarsi liberamente, comprimendole in mille modi. – Frattanto Noi, che da Dio fummo preposti a reggere e a governare tutta la Casa d’Israele e fummo stabiliti vindici supremi della Religione e della giustizia e difensori dei diritti della Chiesa, al fine di non essere rimproverati di aver taciuto davanti a Dio ed alla Chiesa, e col silenzio Nostro aver prestato l’assenso a sì iniqua perturbazione di cose, rinnovando e confermando quello che nelle succitate Allocuzioni, Encicliche, Brevi altre volte solennemente dichiarammo, ed ultimamente nella protesta, che per Nostro ordine ed in Nostro nome il Cardinale preposto ai pubblici affari lo stesso 20 settembre mandò agli inviati, ministri e incaricati d’affari delle nazioni straniere, accreditati presso Noi e questa Santa Sede, nel modo più solenne che possiamo, di nuovo davanti a voi, Venerabili Fratelli, dichiariamo essere Nostra intenzione, Nostro proposito e Nostra volontà che tutti i domini di questa Santa Sede e i diritti della stessa restino integri, intatti, inviolati e si trasmettano ai Nostri successori; che qualunque loro usurpazione, eseguita tanto ora che prima, è ingiusta, violenta, nulla, irrita; e che fin da ora vengono da Noi condannati, rescissi, cassati e abrogati tutti gli atti dei ribelli e degli invasori, sia quelli che finora si commisero, sia quelli che forse per l’avvenire si opereranno a confermare in qualunque modo la suddetta usurpazione. Dichiariamo inoltre e protestiamo davanti a Dio e a tutto il mondo Cattolico che Noi siamo in tale cattività da non potere affatto esercitare con sicurezza, speditezza e libertà la Nostra suprema autorità pastorale. – Infine, obbedendo a quell’avvertimento di San Paolo “Quale comunanza della giustizia coll’iniquità? O quale società fra la luce e le tenebre? Quale patto tra Cristo e Belial?” (2Cor VI, 14-15) apertamente e chiaramente manifestiamo e dichiariamo che Noi, memori del Nostro ufficio e del solenne giuramento che Ci lega, non prestiamo, né mai presteremo, l’assenso a qualunque conciliazione, che in qualunque modo distrugga o scemi i diritti Nostri, e quindi di Dio e della Santa Sede; parimenti proclamiamo che, pronti certamente con l’aiuto della Divina grazia nella Nostra grave età a bere sino alla feccia per la Chiesa di Cristo il calice che Egli per primo si degnò di bere per la medesima, mai sarà che Noi aderiamo e Ci pieghiamo alle inique domande che Ci faranno. Infatti, come il Nostro predecessore Pio VII diceva: “Far violenza a questo supremo dominio della Sede Apostolica, separare la sua temporale potestà dalla spirituale, disgiungere, svellere, scindere gli uffizi del Pastore e del Principe, null’altro è che voler distruggere e rovinare l’opera di Dio, nulla fuorché sforzarsi che la Religione abbia un danno grandissimo, nulla fuorché spogliarla d’un efficacissimo aiuto, affinché il suo sommo Rettore, Pastore e Vicario di Dio non possa conferire ai cattolici, sparsi in ogni angolo della terra e di là bisognosi di forza e di aiuto, quei soccorsi che si chiedono dalla spirituale potestà di lui, e che nessuno deve impedire” [Alloc. 16 marzo 1808]. – Siccome poi i Nostri avvisi, le domande e le proteste furono vani, perciò con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e con la Nostra, a voi, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro dichiariamo a tutta la Chiesa che tutti coloro, forniti di qualsiasi dignità, anche meritevole di specialissima menzione, i quali compirono l’invasione, l’usurpazione, l’occupazione di qualunque provincia dei Nostri Stati e di questa alma città, o fecero alcune di tali cose; e parimenti i loro mandanti, fautori, aiutanti, consiglieri, aderenti od altri, quali che siano, che procurarono l’esecuzione dei fatti predetti o l’eseguirono essi stessi in qualsivoglia modo, o sotto qualunque pretesto, incorsero nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai sacri Canoni, dalle Costituzioni apostoliche e dai decreti dei Concilii generali, principalmente da quello Tridentino [sess. 22, cap. 11, De Reformat.], e vi incorsero secondo la forma e il tenore espressi nella suddetta Nostra lettera apostolica del 26 marzo 1860. – Memori però Noi di tenere qui in terra le veci di Colui che venne a cercare ed a salvare coloro che erano periti, nulla più vivamente desideriamo che di poter abbracciare con paterno affetto i figli traviati che ritornano a Noi; perciò, levando al Cielo le Nostre mani, nell’umiltà del cuore, mentre a Dio rimettiamo e raccomandiamo la causa giustissima, più Sua che Nostra, Lo preghiamo e Lo supplichiamo per le viscere della Sua misericordia che Ci soccorra prontamente col Suo aiuto, che soccorra la Sua Chiesa, e, misericordioso e propizio, faccia sì che i nemici della Chiesa, pensando l’eterna rovina che si preparano, cerchino di placare la Sua formidabile giustizia prima del giorno della vendetta e, convertiti, consolino il pianto della Santa Madre Chiesa e la Nostra afflizione. Affinché possiamo conseguire così insigni benefici della clemenza divina, vi esortiamo caldamente e vivamente, Venerabili Fratelli, perché con i fedeli affidati alle cure di ciascuno di voi congiungiate le vostre fervide preghiere ai Nostri voti, e tutti insieme accorrendo al trono di grazia e di misericordia, interponiamo la intercessione dell’Immacolata Vergine Maria Madre di Dio, e dei beati apostoli Pietro e Paolo. “La Chiesa di Dio, dalla sua origine fino a questi tempi, fu più volte travagliata e più volte liberata. Il suo grido è: “spesso mi espugnarono fin dalla mia gioventù, ma non riuscirono mai contro di me. I peccatori fabbricarono sopra il mio dorso e prolungarono la loro iniquità”. E neppure ora il Signore lascerà prevalere la verga del peccatore sulla sorte dei giusti. La mano di Dio non si è accorciata, né resa impotente a salvarci. Libererà anche in questo tempo, non v’è dubbio, la Sposa sua che redense col suo sangue, dotò del suo spirito, adornò con doni celesti ed arricchì in pari tempo con quelli terreni” [San Bernardo, Ep. 244 al re Corrado]. – Frattanto, augurando di cuore, Venerabili Fratelli, i fecondissimi frutti delle grazie celesti a voi ed a tutti i chierici e laici affidati da Dio alla vostra vigilanza, affettuosamente impartiamo a loro ed a voi, diletti figli, dall’intimo del cuore l’Apostolica Benedizione, pegno del Nostro speciale amore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1870, anno venticinquesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. San PIO X – IAMDUDUM IN LUSITANIA

« Noi, la legge sulla separazione della repubblica portoghese e della Chiesa, legge che disprezza Dio e ripudia la professione di Fede Cattolica; che abroga i patti solennemente concordati fra il Portogallo e la Sede Apostolica; che opprime la stessa libertà della Chiesa e distrugge la sua divina costituzione; che infine colpisce di ingiuria e di offesa la maestà del Pontificato Romano, l’ordine dei Vescovi, il clero e il popolo del Portogallo e allo stesso modo tutti i Cattolici che si trovano su tutta la terra, in forza della Nostra Autorità Apostolica, la disapproviamo, condanniamo, rifiutiamo. Poiché deploriamo fortemente che una simile legge sia promulgata, ratificata, pubblicata, ed eleviamo solenne protesta a tutti coloro che ne furono autori o partecipi, per questo proclamiamo e annunciamo che qualsiasi cosa sia stato stabilito contro i diritti inviolabili della Chiesa, è e deve essere ritenuto nullo e senza valore». Questo è il grido di condanna, praticamente un anatema, di Papa S. Pio X, e questa volta tocca al Portogallo! La conventicole malvagie dedite al culto del baphomet, infiltrate fino ai livelli più alti del potere politico, opprimono senza ritegno la Chiesa in ogni modo loro possibile, come descritto nella lettera di denunzia del Sommo Pontefice. Grande è la dignità del Santo Padre nel rispondere a ribaldi ed indegni figuri, asserviti al “nemico di sempre”, satanisti travestiti da ipocriti e malvagi governanti, insediati dai soliti poteri massonici tracimati fino all’estremo della penisola iberica. I diritti più elementari vengono negati con inusitata violenza come già sperimentato in diversi luoghi della terra, in tutto il secolo XVIII e XIX e seguenti, fino a raggiungere la copertura mondiale attuale che ha generato un vero pandemonio [chiamato pandemia della “corona” indicando non già un innocuo virus, bensì il primo sephirot cabalistico: Lucifero]. In tutto questo però c’era a parziale ed autorevole conforto, l’intervento del Vicario di Cristo che interveniva con parole misurate sì, ma forti e decise a rivendicare i diritti civili, ma soprattutto spirituali che le sono propri per diritto divino. Oggi quei ribaldi sono in compagnia del loro padre, “il menzognero e l’omocida” e presto saranno raggiunti dagli attuali loro colleghi diffusi in tutti gli Stati mondiali, tutti uniti nella guerra contro Dio, il suo Cristo e la sua Santa Chiesa Cattolica, che hanno sì reso eclissata e rifugiata nel deserto, come la Donna dell’Apocalisse, ma che non possono né mai potranno prevalere come da promessa del divin Maestro. Il grande attivismo attuale nella diffusione di errori teologici, di violazioni delle leggi naturali che ripugnano persino agli animali più selvaggi, non sono la dimostrazione di potenza, ma di fretta e di agitazione estrema perché… il tempo che resta al demonio per portare a termine la destabilizzazione dell’umanità, volge oramai al tramonto, il Signore Gesù come ladro nella notte distruggerà in un’ora sola la citta maledetta e condannata di Babilonia, cioè tutto il mondo dedito alla malvagità, all’impurità, alla concupiscenza che freme di terrore sentendo tremare la terra sotto i piedi e vedendo già il fumo dell’incendio divoratore che presto avvamperà con la sua città, la bestia con il suo corpo mistico, parte nel mondo e parte nella falsa chiesa dell’uomo, la sinagoga che abita dove satana ha posto la sua cattedra di abominio e pestilenza. Muovetevi, agitatevi, gridate, urlate… avete poco tempo da vivere, ma… farete tutto inutilmente: la vostra miserevole fine è già segnata: governerete un’ora sola, parola dell’Apocalisse, poi sprofonderete tutti, senza eccezione, nella voragine dello stagno di fuoco ove avrete il privilegio di essere al posto più infimo in eterno…. allontanatevi da me, maledetti! andate nel fuoco eterno, preparato pel demonio e per coloro che l’hanno imitato….

San Pio X

Iamdudum in Lusitania

Lettera Enciclica

La Chiesa Cattolica in Portogallo

Noi riteniamo che a voi tutti sia ben noto, venerabili fratelli, come già da tempo sia in atto in Portogallo un indicibile susseguirsi di eventi volto ad opprimere la Chiesa con misfatti di ogni genere. Chi ignora infatti che da quando ha assunto la forma di repubblica il governo di quella nazione ha immediatamente intrapreso, in un modo o in un altro, a decretare cose tali che manifestano un odio implacabile verso la Religione Cattolica? Abbiamo visto che sono state tolte di mezzo con la forza le famiglie dei religiosi, e questi, in massima parte, sono stati espulsi in modo rozzo e disumano dai confini del Portogallo. Abbiamo visto che, con la pervicace intenzione di profanare ogni civile disciplina e di non lasciare nessuna vestigia di realtà religiosa nei comportamenti della vita sociale, sono stati eliminati dal numero delle festività i giorni festivi della Chiesa; il giuramento è stato privato dell’intrinseca caratteristica religiosa; è stata promulgata in gran fretta la legge relativa al divorzio; è stato eliminato l’insegnamento della dottrina cristiana dalle scuole pubbliche. Infine, lasciando da parte altre cose che sarebbe lungo elencare, in modo ancor più violento da costoro sono stati attaccati i sacri presuli, e due fra i più ragguardevoli Vescovi, quello di Porto e quello di Beja, uomini illustri sia per integrità di vita che per grandi benemerenze verso la patria e la Chiesa, sono stati cacciati dalle sedi della loro onorabile funzione. – Avendo poi i nuovi governanti del Portogallo prodotto tanti e tali esempi di imperioso arbitrio, voi sapete con quanta pazienza e moderazione si è comportata questa Santa Sede nei loro confronti. Con estrema attenzione infatti abbiamo ritenuto che si dovesse evitare di compiere qualsiasi cosa che potesse ritenersi compiuta in modo ostile verso la repubblica. Conservavamo infatti qualche speranza che costoro manifestassero infine progetti più ragionevoli, e finalmente, con un qualche accordo, dessero soddisfazione alla Chiesa riguardo alle offese perpetrate. In verità ci siamo del tutto sbagliati: ecco che all’infame comportamento impongono quasi un compimento con la promulgazione di una pessima e dannosissima legge relativa alla separazione degli affari dello stato e della Chiesa. A questo punto la coscienza dell’Ufficio Apostolico non Ci permette più in alcun modo di sopportare con rassegnazione e di lasciar correre nel silenzio una ferita così grave inferta al diritto e alla dignità della Religione Cattolica. Quindi, con questa lettera, facciamo appello a voi, venerabili fratelli, e denunciamo alla Cristianità universale l’indegnità di questo fatto. – Prima di tutto, che la legge di cui parliamo sia qualcosa di assurdo e di mostruoso appare dal fatto che essa stabilisce che lo stato sia esente dal culto divino, come se non dipendessero da Colui che è il Creatore e il Conservatore di tutte le cose sia i singoli cittadini sia qualsiasi associazione di uomini e comunità: e così dispensa il Portogallo dall’osservanza della Religione Cattolica, di quella Religione cioè che a questa gente fu sempre di presidio e ornamento e che la quasi totalità dei cittadini professa. Tuttavia ammettiamo: si è voluto rompere l’unione tra lo stato e la Chiesa, unione che era stata stabilita con patti solenni. Posta questa separazione sarebbe stato senza dubbio coerente lasciar da parte la Chiesa, e permettere che essa facesse uso della libertà e del diritto comuni, di cui fanno uso qualsiasi cittadino e qualsiasi onesta società di cittadini. Siamo invece di fronte al contrario. Questa legge infatti prende nome dalla separazione, ma da questo stesso fatto prende la forza di ridurre la Chiesa in estrema povertà, spogliandola dei beni esterni, e di trascinarla con l’oppressione nell’asservimento allo Stato, in quelle cose che spettano alla potestà sacra e allo spirito. – In primo luogo, per quanto riguarda le cose esterne, la Repubblica Portoghese si separa dalla Chiesa in modo da non lasciarle assolutamente nulla per poter conservare il decoro della casa di Dio, nutrire i Sacerdoti, adempiere i molteplici servizi della carità e della pietà. In realtà, con la prescrizione di questa legge, non solo la Chiesa è privata del possesso di tutte le cose immobili e mobili che possiede, anche se queste sono state acquisite in modo giuridicamente valido; ma le è anche sottratto qualsiasi potere di acquisire qualcosa in futuro. Si dispone infine che determinate corporazioni di cittadini presiedano all’esercizio del culto divino; tuttavia la facoltà che è loro concessa di ricevere ciò che viene offerto per questo scopo, è singolarmente circoscritta in angusti confini. Inoltre la legge ha estinto e soppresso le obbligazioni con le quali i cittadini Cattolici erano soliti offrire un qualche stipendio o sussidio al proprio parroco, proibendo che venga preteso qualcosa sul loro fondamento. Permette comunque che gli stessi Cattolici provvedano con una volontaria raccolta di denaro alle spese da sostenersi per il culto divino; prescrive tuttavia che dalla somma conferita per questo scopo venga detratta la terza parte e questa venga utilizzata per le necessità della beneficenza civile. E a tutte queste cose, quasi a coronamento, si aggiunge con questa legge che gli edifici che in seguito dovesse succedere di comprare o costruire per gli usi sacri, questi, dopo che sia trascorso un determinato numero di anni, rimossi i legittimi possessori, e per senza alcuna indennità, vengano trasferiti allo Stato. – Riguardo poi alle cose nelle quali la sacra potestà della Chiesa si esercita in modo proprio, è molto più grave e molto più dannoso l’oltraggio di questa Separazione,che, come si è detto, diventa una indegna servitù della stessa Chiesa. Prima di tutto, proprio la Gerarchia, del tutto ignorata, non viene presa in considerazione. Se si fa una qualche menzione degli uomini dell’Ordine Sacro, questo avviene per proibire loro di occuparsi in un qualsiasi modo dell’ordinamento religioso del culto. Tutta questa cura è demandata ad associazioni di laici che siano già costituite, o che lo debbano essere in futuro, a scopo di beneficenza, e per di più istituite e a norma del diritto civile, per autorità dello Stato repubblicano, senza che dipendano per alcun motivo dall’autorità della Chiesa. Al punto che se, riguardo all’associazione cui questo dev’essere conferito d’ufficio, ci fosse dissenso fra chierici e laici, o non ci fosse accordo fra gli stessi laici, la cosa non viene affidata per una decisione alla Chiesa, ma al giudizio dello Stato. Anche nella disposizione del Culto Divino coloro che sono al governo in Portogallo non permettono che ci sia spazio per il clero, come è apertamente prescritto e stabilito; non possono, coloro che sono addetti ai ministeri religiosi, essere nominati nel collegio decanale delle parrocchie o essere fatti partecipi dell’amministrazione o del governo delle associazioni di cui abbiamo parlato: di questa disposizione non si può pensare nulla di più iniquo e intollerabile, dal momento che rende l’ordine dei chierici proprio in quella cosa nella quale è superiore, in una condizione inferiore a quella degli altri cittadini. – E quasi impossibile credere quali siano i vincoli con i quali la legge portoghese costringe e imprigiona la libertà della Chiesa; quanto contraddica le istituzioni della nostra epoca ed anche le pubbliche proclamazioni di tutte le libertà; quanto sia indegna per qualsiasi essere umano e popolo civile. È anche proibito, con gravi pene, dare alle stampe qualsiasi atto dei Vescovi, e per nessun motivo, neppure dentro le mura delle Chiese, è lecito esporli al popolo, se non con l’autorizzazione dello Stato. È inoltre proibito, fuori dei luoghi sacri, celebrare qualsiasi cerimonia senza l’autorizzazione del governo repubblicano, compiere una qualsiasi processione, portare ornamenti sacri e neppure la stessa veste talare. È parimenti vietato, non solo negli edifici pubblici, ma anche nelle case private, esporre qualcosa che sappia di Religione Cattolica; mentre non è affatto vietato ciò che offende i Cattolici. Ancora, non è lecito costituire associazioni che abbiano lo scopo di praticare la Religione o la pietà: le società di questo genere sono considerate alla stessa stregua di quelle infami che vengono costituite a scopo delittuoso. E per di più, mentre a tutti i cittadini è concesso di poter fare uso a proprio arbitrio delle proprie cose, ai Cattolici invece, contro il giusto e il lecito, è fortemente ristretta una simile potestà, nel caso in cui vogliano che qualcosa del loro sia conferito a conforto delle opere delle persone pie o a sostegno delle spese per il culto divino: e le cose di questo genere che sono già state piamente stabilite, empiamente stravolte, vengono trasferite ad altro uso, violando i testamenti e le volontà di coloro che li hanno fatti. Infine lo Stato – cosa questa amara e grave al massimo grado – non esita ad entrare nel dominio specifico dell’autorità della Chiesa, e a prescrivere molte cose in quell’ambito che, riferendosi all’ordinamento stesso dell’Ordine Sacro, pretende per sé le migliori attenzioni della Chiesa: parliamo della educazione e della formazione della gioventù consacrata. Non solo infatti costringe gli alunni del clero, per gli studi delle scienze e delle lettere che precedono la teologia, a frequentare i pubblici licei, dove l’integrità della loro fede, per il tipo di istruzione estraneo a Dio e alla Chiesa, è sicuramente esposto a pericoli del tutto evidenti; ma il governo repubblicano si introduce anche nella vita e nella organizzazione interna dei seminari, e si arroga il diritto di designare i professori, di approvare i libri, di programmare gli studi sacri dei chierici. Sono rimessi così in vigore i vecchi decreti dei Regalisti; questi poi, dal momento che erano già colmi di pesantissima arroganza, mentre c’era ancora concordia fra lo Stato e la Chiesa, ora che lo stato vuole non avere nulla in comune con la Chiesa, non sembreranno forse contraddittori e pieni di stoltezza? – Cosa si deve dire dato che questa legge innanzi tutto è stata fatta anche per corrompere i costumi del clero e per provocarne la defezione dai loro propositi? Assegna anche infatti una certa pensione a carico dell’erario a coloro che, per l’autorità dei Vescovi, abbiano ricevuto l’ordine di astenersi dai Sacramenti, e ricolma di straordinari benefici i sacerdoti che, miserevolmente dimentichi delle loro funzioni, abbiano avuto l’ardire di sposarsi, e, cosa disdicevole a riferirsi, estende gli stessi benefici alla compagna e alla prole della sacrilega relazione qualora sopravvivano. – Infine, lo Stato non si accontenta di imporre alla Chiesa del Portogallo, spogliata dei propri beni, un giogo quasi servile, ma ancora cerca, per quanto le è possibile, sia di farla uscire dal grembo della cattolica unità e dalla comunione della Chiesa Romana, sia di impedire che la Sede Apostolica estenda la sua autorità e provvidenza ai religiosi del Portogallo. Quindi, in base a questa legge, non è permesso divulgare le prescrizioni del Romano Pontefice, se non quando ufficialmente concesso. Ugualmente al sacerdote che, presso un qualche ateneo istituito dall’Autorità Pontificia, abbia conseguito i gradi accademici nelle discipline sacre, anche se abbia poi terminato il tempo della teologia in patria, non è concesso di esercitare le funzioni sacre. In questo appare chiaro che cosa voglia lo Stato: fare in modo che i chierici adolescenti che desiderano perfezionarsi e conseguire una più raffinata cultura, non vengano, per tale motivo, in questa città, la capitale del Cattolicesimo: dove, certamente in modo molto più agevole che in nessun luogo altrove, avviene che le menti si conformino all’incorruttibile verità della Dottrina Cristiana e gli animi alla sincera pietà e fiducia nella Sede Apostolica. Questi, tralasciandone altri, che tuttavia non sono di minore iniquità, sono dunque i principali capitoli di questa malvagia legge. Pertanto, ammonendoCi la coscienza dell’Ufficio Apostolico, affinché, in tanto grande insolenza e audacia dei nemici di Dio, difendiamo con grande vigilanza la dignità e il decoro della Religione, e salviamo i sacrosanti diritti della Chiesa Cattolica, Noi, la legge sulla separazione della repubblica portoghese e della Chiesa, legge che disprezza Dio e ripudia la professione di Fede Cattolica; che abroga i patti solennemente concordati fra il Portogallo e la Sede Apostolica; che opprime la stessa libertà della Chiesa e distrugge la sua divina costituzione; che infine colpisce di ingiuria e di offesa la maestà del Pontificato Romano, l’ordine dei Vescovi, il clero e il popolo del Portogallo e allo stesso modo tutti i Cattolici che si trovano su tutta la terra, in forza della Nostra Autorità Apostolica, la disapproviamo, condanniamo, rifiutiamo. Poiché deploriamo fortemente che una simile legge sia promulgata, ratificata, pubblicata, ed eleviamo solenne protesta a tutti coloro che ne furono autori o partecipi, per questo proclamiamo e annunciamo che qualsiasi cosa sia stato stabilito contro i diritti inviolabili della Chiesa, è e deve essere ritenuto nullo e senza valore. – Senza dubbio questi difficilissimi tempi nei quali il Portogallo si trova in grande travaglio, dopo che è stata dichiarata guerra alla Religione in nome dello Stato, Ci procurano una grande preoccupazione e tristezza. Ci rattristiamo soprattutto per un così grande spettacolo di mali che opprimono una popolazione a Noi particolarmente diletta; soffriamo nell’attesa di cose ancora più violente che certamente la sovrastano, se, coloro che detengono il potere, non si dedicheranno in modo ragionevole alla loro funzione. – Ci consola però moltissimo la vostra esimia virtù, venerabili fratelli che guidate la Chiesa portoghese, e l’ardore di questo clero così mirabilmente in sintonia con la vostra virtù, e arreca una buona speranza che potranno alfine ivi esserci, con l’aiuto di Dio, cose migliori. Voi tutti infatti, non avete di certo considerato una ragione di sicurezza o comodo, ma di dovere e di dignità, quando avete ripudiato l’iniqua legge della separazione con una indignazione aperta e libera; quando in modo unanime avete professato di volere piuttosto acquistare la libertà del Servizio Sacro con la perdita dei vostri beni, che procurarvi la schiavitù per un modesto compenso; quando infine negaste che mai per nessuna astuzia o violenza dei nemici la vostra unione con il Vescovo di Roma potesse essere scossa. Queste testimonianze illustri di fede, di costanza e di grandezza d’animo che al cospetto della Chiesa Universale avete dato, sappiate che furono fonte di gioia per tutti i buoni, di onore per voi, di aiuto non piccolo allo stesso travagliato Portogallo. – Per questo continuate, come avete intrapreso, a perseguire con tutte le forze la causa della Religione, con la quale è congiunta la salvezza stessa della patria comune; ma soprattutto cercate di conservare attentamente e di confermare il massimo consenso e la concordia voi stessi fra di voi, e il popolo cristiano con voi, e tutti con questa Cattedra del beato Pietro. Questo infatti si prefiggono gli autori della legge sciagurata, come abbiamo detto: separare la Chiesa portoghese, che depredano e opprimono, non dalla repubblica (come vogliono fare apparire), ma dal Vicario di Gesù Cristo. Poiché se a questo progetto e delitto degli uomini voi attivamente cercherete di opporvi e resistere, già per mezzo vostro alle cose del Portogallo cattolico si sarà provveduto in modo adeguato. Noi intanto, per la singolare carità con cui vi amiamo, eleveremo suppliche a Dio Onnipotente, perché venga in aiuto del vostro diligente impegno. – Preghiamo poi voi, Vescovi del rimanente mondo cattolico, affinché vogliate mostrare la stessa cosa, in un tempo tanto critico del dovere, ai tormentati fratelli del Portogallo. – Auspice dei doni divini e a testimonianza della Nostra benevolenza, a voi tutti, venerabili fratelli, al clero e al vostro popolo, impartiamo con grande amore la benedizione apostolica.

Roma, presso san Pietro, 24 maggio 1911, festa di Maria Nostra Signora, Aiuto dei Cristiani, anno VIII del Nostro pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO. S. S. PIO XI – “NON ABBIAMO BISOGNO”

“Non abbiamo bisogno” è una lunga lettera Enciclica in lingua italiana, che il Sommo Pontefice Pio XI, scrisse, nella tristissima epoca dell’italica dittatura fascista, per difendere le inermi Associazioni Cattoliche contro la ignobile e falsa propaganda messa in atto dal regime che deteneva il potere politico, regime che, pur cambiando nome, immagini, vessilli, gagliardetti e opuscoletti vari, in realtà era un tentacolo della stessa piovra, la bestia satanica, ora travestita da socialismo, ora da comunismo, poi da massonismo frastagliato, liberismo e materialismo filosofico, come accenna di passaggio anche Papa Ratti … « … Non possiamo invece Noi, Chiesa, Religione, fedeli Cattolici (e non soltanto noi) essere grati a chi dopo aver messo fuori socialismo e massoneria, nemici nostri (e non nostri soltanto) dichiarati, li ha così largamente riammessi, come tutti vedono e deplorano (tutti i gerarchi fascisti appartenevano a logge apparentemente condannate – ndr.-), e fatti tanto più forti e pericolosi e nocivi quanto più dissimulati e insieme favoriti dalla nuova divisa ». Cambia la divisa, ma la bestia trasformista è sempre la medesima, oggi pure in salsa “clargyman”, la bestia della terra che abita là, dove satana ha il suo trono … e son parole dell’Apostolo Giovanni che vedeva (Apoc. II,13 lettera alla chiesa di Pergamo) con 2000 anni di anticipo il rappresentante della bestia e del suo anticristo, seduto sul trono usurpato al Vicario di Cristo! All’epoca c’era un Santo Padre che comunque poteva protestare con gran veemenza contro blasfeme, malvagie, sacrileghe “camicie nere”, mentre oggi nessuno può più protestare, perché impedito, contro colletti “scudocrociati” “falcemartellati”, “penta stellati”, “camice verdi”, “piduisti”, assurti alle leve del comando italico, anzi incoraggiati da chierici compagni tutti di loggia o conventicola. Ognuno può ben vedere quindi, che la situazione di quell’epoca fascista, che tanti mali portò alla nobile popolazione italica, sia un’inezia davanti alla dittatura anticristiana ed ultrapagana odierna ben più feroce, mascherata da terrorismo finanziario e da un irreale “debito pubblico” che impone sacrifici ai soliti poveri a vantaggio dei soliti potenti, da difesa dal terrorismo e dalla droga, opportunamente favoriti, ed oggi perfino da un vile e falso terrorismo sanitario. E nessuno umanamente ci difende, fosse pure con una semplice lettera di protesta. Ma la speranza del Cattolico del pusillus grex non cede neppure oggi, anzi è ancor più sostenuto dalla fede irresoluta nelle parole del divin Redentore … portæ inferi non prævalebunt, e nell’azione della Vergine Madre di Dio … et Ipsa conteret caput tuum! lasciamoli fare, poveri illusi barcollanti sull’orlo dello stagno di fuoco … et qui habitat in cœlis irridebit eos … in attesa di un falò eterno che farà giustizia di ogni iniquità.  

LETTERA ENCICLICA
NON ABBIAMO BISOGNO

DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
SULL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi,
Primati, Arcivescovi,
Vescovi e altri Ordinari
aventi pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute ed Apostolica Benedizione.

Non abbiamo bisogno di annunciare a voi, Venerabili Fratelli, gli avvenimenti che in questi ultimi tempi hanno avuto luogo in questa Nostra Sede Episcopale Romana e in tutta Italia, che è dire nella Nostra propria dizione Primaziale, avvenimenti che hanno avuto così larga e profonda ripercussione in tutto il mondo, e più sentitamente in tutte e singole le diocesi dell’Italia e del mondo cattolico. Si riassumono in poche e tristi parole: si è tentato di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre di più caro al Nostro cuore di Padre e Pastore di anime … e possiamo bene, dobbiamo anzi soggiungere: « e il modo ancor m’offende ».

È in presenza e sotto la pressione di questi avvenimenti che Noi sentiamo il bisogno e il dovere di rivolgerCi e quasi venire in ispirito a ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, innanzi tutto per compiere un grave ed ormai urgente dovere di fraterna riconoscenza; in secondo luogo per soddisfare ad un non meno grave ed urgente dovere di difesa verso la verità e la giustizia, in materia che, riguardando vitali interessi e diritti della Santa Chiesa, riguarda pure voi tutti e singoli, dovunque lo Spirito Santo vi ha posto a reggerla insieme con Noi; vogliamo in terzo luogo esporvi quelle conclusioni e riflessioni che gli avvenimenti Ci sembrano imporre; in quarto luogo vogliamo confidarvi le Nostre preoccupazioni per l’avvenire: e finalmente vi inviteremo a dividere le Nostre speranze ed a pregare con Noi e coll’Orbe cattolico per il loro compimento.

I.

L’interna pace, quella che viene dalla piena e chiara consapevolezza di essere dalla parte della verità e della giustizia, e di combattere e soffrire per esse, quella pace che solo il Re divino sa dare e che il mondo, come non sa dare, così non può togliere, questa pace benedetta e benefica, grazie alla divina Bontà e Misericordia, non Ci ha mai abbandonato e mai, ne abbiamo piena fiducia, Ci abbandonerà, qualunque cosa avvenga; ma questa pace, come già nel cuore di Gesù appassionato, così nel cuore dei suoi fedeli servitori lascia libero accesso (voi lo sapete troppo bene, Venerabili Fratelli), a tutte le amarezze più amare, e anche Noi abbiamo sperimentato la verità di quella misteriosa parola: « Ecce in pace amaritudo mea amarissima » [1]. Il vostro pronto, largo, affettuoso intervento, che ancora non cessa, Venerabili Fratelli, i fraterni e filiali sentimenti, e soprattutto quel senso di alta soprannaturale solidarietà e intima unione di pensieri e di sentimenti, di intelligenze e di volontà spiranti dalle vostre amorevoli comunicazioni, Ci hanno riempito l’anima di indicibili consolazioni e Ci hanno spesse volte chiamate dal cuore sulle labbra le parole del Salmo [2]: « Secundum multitudinem dolorum meorum in corde meo, consolationes tuæ laetificaverunt animam meam ». Di tutte queste consolazioni, dopo Dio, voi di tutto cuore ringraziamo, Venerabili Fratelli, voi, ai quali possiamo anche Noi dire come Gesù ai vostri antecessori, agli Apostoli: «Vos qui permansistis mecum in tentationibus meis » [3].  Sentiamo pure e vogliamo pur compiere il dovere dolcissimo al cuore paterno di ringraziare con voi, Venerabili Fratelli, i tanti buoni e degni figli vostri, che individualmente e collettivamente, singoli e delle svariate organizzazioni ed associazioni di bene e più largamente delle Associazioni di Azione Cattolica e di Gioventù Cattolica, Ci hanno inviato tante e così filialmente affettuose espressioni di condoglianza, di devozione e di generosa e fattiva conformità alle Nostre direttive, ai Nostri desideri. È stato per Noi singolarmente bello e consolante vedere le « Azioni Cattoliche » di tutti i Paesi, dai più vicini ai più lontani, trovarsi a convegno presso il Padre comune, animate e come portate da un unico spirito di fede, di pietà filiale, di generosi propositi, esprimendo tutti la penosa sorpresa di vedere perseguitata e colpita l’Azione Cattolica là, al Centro dell’Apostolato Gerarchico, dove essa ha maggior ragione di essere, essa che in Italia, come in tutte le parti del mondo, secondo l’autentica ed essenziale sua definizione e secondo le assidue e vigilanti Nostre direttive, da Voi, Venerabili Fratelli, tanto generosamente secondate, non vuole né può essere se non la partecipazione e collaborazione del laicato all’Apostolato Gerarchico.  – Voi, Venerabili Fratelli, porterete l’espressione della Nostra paterna riconoscenza a tutti i vostri e Nostri figli in Gesù Cristo, che si sono mostrati così bene cresciuti alla vostra scuola e così buoni e pii verso il Padre comune, così da farci dire: « superabundo gaudio in tribulatione nostra » [4].  – A voi, Vescovi di tutte e singole le diocesi di questa cara Italia, a voi non dobbiamo soltanto l’espressione della Nostra riconoscenza per le consolazioni delle quali in nobile e santa gara Ci siete stati larghi colle vostre lettere in tutto il trascorso mese e particolarmente in questo stesso giorno dei SS. Apostoli coi vostri affettuosi ed eloquenti telegrammi; ma vi dobbiamo pure un contraccambio di condoglianze per quello che ciascuno di voi ha sofferto, vedendo improvvisamente abbattersi la bufera devastatrice sulle aiuole più riccamente fiorite e promettenti dei giardini spirituali, che lo Spirito Santo ha affidato alle vostre cure, e che voi con tanta diligenza venivate coltivando e con tanto bene delle anime. Il vostro cuore, Venerabili Fratelli, si è subito rivolto al Nostro per compatire alla Nostra pena, nella quale sentivate convergere come a centro, incontrarsi e moltiplicarsi tutte le vostre: è quello che voi Ci avete mostrato con le più chiare ed affettuose testimonianze, e Noi ve ne ringraziamo di tutto cuore. Particolarmente grati vi siamo della unanime e davvero imponente testimonianza da voi resa alla Azione Cattolica Italiana e segnatamente alle Associazioni Giovanili, d’esser rimaste docili e fedeli alle Nostre e vostre direttive escludenti ogni attività politica o di partito. Ed insieme con Voi ringraziamo pure tutti i vostri Sacerdoti e fedeli, religiosi e religiose, che a voi si unirono con tanto slancio di fede e di pietà filiale. In particolar modo ringraziamo le vostre associazioni di Azione Cattolica, e prime le Giovanili per tutti i gradi fino alle più piccole Beniamine ed ai più piccoli Fanciulli, tanto più cari quanto più piccoli, nelle preghiere dei quali e delle quali particolarmente confidiamo e speriamo.  – Voi avete sentito, Venerabili Fratelli, che il Nostro cuore era ed è con voi, con ciascuno di voi, con voi soffrendo, per voi e con voi pregando, che Iddio nella sua infinita Misericordia Ci venga in aiuto ed anche da questo gran male, che l’antico nemico del Bene ha scatenato, tragga nuova fioritura di bene e di gran bene.

II.

Soddisfatto al debito della riconoscenza per i conforti ricevuti in tanto dolore, dobbiamo soddisfare a quello onde l’apostolico ministero Ci fa debitori verso la verità e la giustizia. – Già a più riprese, Venerabili Fratelli, nel modo più esplicito ed assumendo tutta la responsabilità di quanto dicevamo, Ci siamo Noi espressi ed abbiamo protestato contro la campagna di false ed ingiuste accuse, che precedette lo scioglimento delle Associazioni Giovanili ed Universitarie della Azione Cattolica. Scioglimento eseguito per vie di fatto e con procedimenti che dettero l’impressione che si procedesse contro una vasta e pericolosa associazione a delinquere; trattavasi di gioventù e fanciullezze certamente delle migliori fra le buone, ed alle quali siamo lieti e paternamente fieri di potere ancora una volta rendere tale testimonianza. Si direbbe che gli stessi esecutori (non tutti di gran lunga, ma molti di essi) di tali procedimenti ebbero un tal senso e mostrarono di averlo, mettendo nell’opera loro esecutoria espressioni e cortesie, con le quali sembravano chiedere scusa e volersi far perdonare quello che erano necessitati di fare: Noi ne abbiamo tenuto conto riserbando loro particolari benedizioni.  – Ma, quasi a dolorosa compensazione, quante durezze e violenze fino alle percosse ed al sangue, e irriverenze di stampa, di parola e di fatti, contro le cose e le persone, non esclusa la Nostra, precedettero, accompagnarono e susseguirono l’esecuzione dell’improvvisa poliziesca misura, che bene spesso ignoranza o malevolo zelo estendeva ad associazioni ed enti neanche colpiti dai superiori ordini, fino agli oratorii dei piccoli ed alle pie congregazioni di Figlie di Maria! – E tutto questo triste contorno di irriverenze e di violenze doveva essere con tale intervento di elementi e di divise di partito, con tale unisono da un capo all’altro d’Italia, e con tale acquiescenza delle Autorità e forze di pubblica sicurezza da far necessariamente pensare a disposizioni venute dall’alto: Ci è molto facile ammettere, ed era altrettanto facile prevedere, che queste potessero, anzi dovessero, quasi necessariamente venire oltrepassate. Abbiamo dovuto ricordare queste antipatiche e penose cose, perché non è mancato il tentativo di far credere al gran pubblico ed al mondo che il deplorato scioglimento delle Associazioni, a Noi tanto care, si era compiuto senza incidenti e quasi come una cosa normale.  – Ma si è in ben altra e più vasta misura attentato alla verità ed alla giustizia. Se non tutte, certamente le principali falsità e vere calunnie sparse dalla avversa stampa di partito — la sola libera, e spesso comandata, o quasi, a tutto dire ed osare — vennero raccolte in un messaggio, sia pure non ufficiale (cauta qualifica), e somministrate al gran pubblico coi più potenti mezzi di diffusione che l’ora presente conosce. La storia dei documenti redatti non in servizio, ma in offesa della verità e della giustizia, è una lunga e triste storia; ma dobbiamo dire con la più profonda amarezza che, pur nei molti anni di vita e di operosità bibliotecaria, raramente Ci siamo incontrati in un documento tanto tendenzioso e tanto contrario a verità e giustizia, in ordine a questa Santa Sede, alla Azione Cattolica Italiana e più particolarmente alle Associazioni così duramente colpite. Se tacessimo, se lasciassimo passare, che è dire se lasciassimo credere, Noi saremmo troppo più indegni, che già non siamo, di occupare questa augusta Sede Apostolica, indegni della filiale e generosa devozione onde Ci hanno sempre consolati ed ora più che mai Ci consolano i Nostri cari figli dell’Azione Cattolica, e più particolarmente quei figli e quelle figlie Nostre, grazie a Dio tanto numerose, che, per la religiosa fedeltà alle Nostre chiamate e direttive, hanno tanto sofferto e soffrono, tanto più altamente onorando la scuola alla quale sono cresciuti, e il Divino Maestro e il suo indegno Vicario, quanto più luminosamente hanno mostrato col loro cristiano contegno, anche di fronte alle minacce ed alle violenze, da qual parte si trovino la vera dignità del carattere, la vera fortezza d’animo, il vero coraggio, la stessa civiltà. – Ci studieremo di essere molto brevi, rettificando le facili affermazioni del ricordato messaggio, facili diciamo per non dire audaci, e che sapevano di poter contare sulla quasi impossibilità di ogni controllo da parte del gran pubblico. Saremo brevi, anche perché già più volte, massime in questi ultimi tempi, abbiamo parlato sugli argomenti che ora ritornano, e la Nostra parola, Venerabili Fratelli, è potuta giungere fino a voi, e per voi ai vostri e Nostri cari figli in Gesù Cristo, come auguriamo anche alla presente lettera.  – Diceva fra l’altro il ricordato messaggio che le rivelazioni dell’avversa stampa di partito sarebbero state nella quasi totalità confermate almeno nella sostanza e proprio dall’Osservatore Romano. La verità è che l’Osservatore Romano ha di volta in volta dimostrato che le così dette rivelazioni erano altrettante invenzioni, o in tutto e per tutto, od almeno nell’interpretazione data ai fatti. Basta leggere senza malafede e con la più modesta capacità d’intendere. – Diceva ancora il messaggio essere tentativo ridicolo quello di far passare la Santa Sede come vittima in un paese dove migliaia di viaggiatori possono rendere testimonianza al rispetto dimostrato verso Sacerdoti, Prelati, Chiesa e funzioni religiose. Sì, Venerabili Fratelli, purtroppo il tentativo sarebbe ridicolo, come quello di chi tentasse sfondare una porta aperta; perché purtroppo le migliaia di visitatori stranieri, che non mancano mai all’Italia ed a Roma, hanno potuto constatare di presenza le irriverenze spesso empie e blasfeme, le violenze, gli sfregi, i vandalismi commessi contro luoghi, cose e persone, in tutto il Paese ed in questa medesima Nostra Sede Episcopale e da Noi ripetutamente deplorati dietro sicure e precise informazioni.  – Il messaggio denuncia la « nera ingratitudine » dei Sacerdoti, che si mettono contro il partito, che è stato (dice) per tutta l’Italia la garanzia della libertà religiosa. Il Clero, l’Episcopato, e questa medesima Santa Sede non hanno mai disconosciuto quanto in tutti questi anni è stato fatto con beneficio e vantaggio della Religione; ne hanno anzi spesse volte espresso viva e sincera riconoscenza. Ma e Noi e l’Episcopato e il Clero e tutti i buoni fedeli, anzi tutti i cittadini amanti dell’ordine e della pace si sono messi e si mettono in pena ed in preoccupazione di fronte ai troppo presto incominciati sistematici attentati contro le più sane e preziose libertà della Religione e delle coscienze, quanti furono gli attentati contro l’Azione Cattolica, le sue diverse Associazioni, massime le giovanili, attentati che culminavano nelle poliziesche misure contro di loro consumate e nei modi già accennati: attentati e misure che fanno seriamente dubitare se gli atteggiamenti prima benevoli e benèfici provenissero soltanto da sincero amore e zelo di Religione. Ché se di ingratitudine si vuol parlare, essa fu e rimane quella usata verso la Santa Sede da un partito e da un regime che, a giudizio del mondo intero, trasse dagli amichevoli rapporti con la Santa Sede, in paese e fuori, un aumento di prestigio e di credito, che ad alcuni in Italia ed all’estero parvero eccessivi, come troppo largo il favore e troppo larga la fiducia da parte Nostra. – Consumata la poliziesca misura e consumata con quell’accompagnamento e con quel seguito di violenze, di irriverenze e connivenze delle autorità di pubblica sicurezza, Noi abbiamo sospeso, come l’invio di un Nostro Cardinale Legato alle centenarie celebrazioni di Padova, così le festive processioni in Roma ed in Italia. La disposizione era di Nostra evidente competenza, e ne vedevamo così gravi ed urgenti i motivi da farcene un dovere, per quanto sapessimo di imporre con essa gravi sacrifici ai buoni fedeli, forse più che ad ogni altro a Noi stessi incresciosa. Come infatti avrebbero avuto l’usato corso liete e festive solennità in tanto lutto e cordoglio che era piombato sul cuore del Padre comune di tutti i fedeli, e sul materno cuore della Santa Madre Chiesa in Roma, in Italia, anzi in tutto il mondo cattolico, come la universale e veramente mondiale partecipazione con voi alla testa, Venerabili Fratelli, venne subito a dimostrare? O come potevamo non temere per il rispetto e l’incolumità stessa delle persone e delle cose più sacre, dato il contegno delle pubbliche autorità e forze in presenza di tante irriverenze e violenze? – Dovunque le Nostre disposizioni poterono arrivare, i buoni sacerdoti ed i buoni fedeli ebbero le stesse impressioni e gli stessi sentimenti, e dove non furono intimiditi, minacciati e peggio, ne diedero magnifiche e per Noi consolantissime prove sostituendo le festive celebrazioni con ore di preghiere, di adorazione e di riparazione, in unione di pena e di intenzione col Santo Padre, e con non più veduti concorsi di popolo. – Sappiamo come le cose si svolsero dove le Nostre disposizioni non poterono arrivare in tempo, con intervento di autorità che il messaggio rileva, quelle stesse autorità di governo e di partito che già avevano o tra poco avrebbero assistito mute e inoperose al compimento di gesta prettamente anticattoliche e antireligiose; ciò che il messaggio non dice. Dice invece che vi furono autorità ecclesiastiche locali che si credettero in grado « di non prendere atto » del Nostro divieto. Noi non conosciamo una sola autorità ecclesiastica locale che siasi meritato l’affronto e l’offesa contenuta in tali parole. Sappiamo bensì e vivamente deploriamo le imposizioni, spesso minacciose e violente, fatte e lasciate fare alle locali autorità ecclesiastiche; sappiamo di empie parodie di cantici sacri e di sacri cortei, il tutto lasciato fare con profondo cordoglio di tutti i buoni fedeli e con vero sgomento di tutti i cittadini amanti di pace e di ordine, vedendo l’una e l’altro indifesi e peggio, proprio da quelli che di difenderli hanno e gravissimo dovere e insieme vitale interesse. – Il messaggio richiama il tante volte addotto confronto fra l’Italia ed altri Stati, nei quali la Chiesa è realmente perseguitata e contro i quali non si sono sentite parole come quelle pronunciate contro l’Italia, dove (dice) la Religione è stata restaurata. Abbiamo già detto che serbiamo e serberemo e memoria e riconoscenza perenne per quanto venne fatto in Italia con beneficio della Religione, anche se con contemporaneo non minore, e forse maggiore, beneficio del partito e del regime. Abbiamo pur detto e ripetuto che non è necessario (spesso sarebbe assai nocivo agli scopi intesi) che sia da tutti sentito e saputo quello che Noi e questa Santa Sede, per mezzo dei Nostri rappresentanti, dei Nostri Fratelli di Episcopato, veniamo dicendo e rimostrando dovunque gli interessi della Religione lo richiedono, e nella misura che giudichiamo richiedersi, massime dove la Chiesa è realmente perseguitata. – È con dolore indicibile che vedemmo una vera e reale persecuzione scatenarsi in questa Nostra Italia ed in questa Nostra medesima Roma contro quello che la Chiesa ed il suo Capo hanno di più prezioso e più caro in fatto di libertà e diritti, libertà e diritti che sono pure quelli delle anime, e più particolarmente delle anime giovanili, a loro più particolarmente affidate dal divino Creatore e Redentore. – Come è notorio, Noi abbiamo ripetutamente e solennemente affermato e protestato che l’Azione Cattolica, sia per la sua stessa natura ed essenza (partecipazione e collaborazione del laicato all’apostolato gerarchico) che per le Nostre precise e categoriche direttive e disposizioni, è al di fuori e al di sopra di ogni politica di partito. Abbiamo insieme affermato e protestato che Ci constava le Nostre direttive e disposizioni essere state in Italia fedelmente ubbidite e secondate. Il messaggio sentenzia che l’affermazione che l’Azione Cattolica non ebbe un vero carattere politico è completamente falsa. Non vogliamo rilevare tutto quello che vi è di irriguardoso in tale sentenza, anche perché la motivazione che il messaggio ne dà, ne dimostra tutta la falsità e la leggerezza, che diremmo davvero ridicola, se il caso non fosse tanto lacrimevole. – Aveva in realtà, dice, stendardi, distintivi, tessere e tutte le altre forme esteriori di un partito politico. Come se stendardi, distintivi, tessere e simili forme esteriori non siano oggigiorno comuni, in tutti i paesi del mondo, alle più svariate associazioni e attività che nulla hanno e vogliono avere di comune colla politica: sportive e professionali, civili e militari, commerciali e industriali, scolastiche di prima fanciullezza, religiose della religiosità più pia e devota e quasi infantile, come i Crociatini del Sacramento. – Il messaggio ha sentito tutta la debolezza e la vanità dell’addotto motivo, e quasi correndo ai ripari ne soggiunge altri tre.  Il primo vuol essere, che i capi dell’Azione Cattolica erano quasi completamente membri oppure capi del partito popolare, il quale è stato (dice) uno dei più forti avversari del fascismo. Questa accusa è stata più di una volta lanciata contro l’Azione Cattolica Italiana, ma sempre genericamente e senza far nomi. Ogni volta Noi abbiamo invitato a precisare e nominare, ma invano. Solo poco prima delle misure inflitte all’Azione Cattolica ed in evidente preparazione alle stesse, la stampa avversa, con non meno evidente ricorso a rapporti di polizia, ha pubblicato alcune serie di fatti e di nomi; e ciò son le pretese rivelazioni alle quali accenna il messaggio nel suo inizio, e che l’Osservatore Romano ha debitamente smentite e rettificate, non già confermate, come, traendo in inganno il gran pubblico, il messaggio stesso afferma.  Quanto a Noi, Venerabili Fratelli, alle informazioni già da tempo raccolte ed alle indagini personali già prima fatte, abbiamo stimato dover Nostro di procurarCi nuove informazioni e nuove indagini fare, ed eccone, Venerabili Fratelli, i positivi risultati. Innanzi tutto abbiamo constatato che, stante ancora il partito popolare e non ancora affermatosi il nuovo partito, per disposizioni emanate nel 1919, chi avesse occupato cariche direttive nel partito popolare non poteva occupare contemporaneamente uffici direttivi nella Azione Cattolica. – Abbiamo inoltre constatato, Venerabili Fratelli, che i casi di ex-dirigenti locali laici del partito popolare divenuti poi dirigenti locali della Azione Cattolica, tra quelli segnalati, come sopra abbiam detto, dalla stampa avversa, si riducono a quattro, diciamo quattro, e questo così esiguo numero con 250 Giunte diocesane, 4000 Sezioni di uomini cattolici, e oltre 5000 Circoli di Gioventù Cattolica maschile. E dobbiamo aggiungere che nei quattro detti casi si tratta sempre di individui che non dettero mai luogo a difficoltà; alcuni poi addirittura simpatizzanti e benevisi al regime ed al partito. – E non vogliamo omettere quell’altra garanzia di religiosità apolitica della Azione Cattolica che voi bene conoscete, Venerabili Fratelli, Vescovi in Italia, che stette, sta e starà sempre nella dipendenza della Azione Cattolica dall’Episcopato, da voi, dai quali sempre proveniva l’assegnazione dei sacerdoti « assistenti », e la nomina dei « presidenti delle Giunte diocesane »; onde chiaro è che, rimettendo e raccomandando a Voi, Venerabili Fratelli, le Associazioni colpite, nulla di sostanzialmente nuovo abbiamo ordinato e disposto. Disciolto e cessato il partito popolare, quelli che già appartenevano alla Azione Cattolica continuarono ad appartenervi, sottomettendosi però con perfetta disciplina alla legge fondamentale della Azione Cattolica, cioè astenendosi da ogni attività politica, e così fecero quelli che allora chiesero di appartenervi. – I quali tutti con quale giustizia e carità si sarebbero espulsi o non ammessi, quando, forniti delle qualità richieste, si sottomettevano a quella legge? Il regime ed il partito, che sembrano attribuire una così temibile e temuta forza agli appartenenti al partito popolare sul terreno politico, dovevano mostrarsi grati alla Azione Cattolica, che appunto da quel terreno li ha levati e con formale impegno di non spiegare azione politica, ma soltanto religiosa. – Non possiamo invece Noi, Chiesa, Religione, fedeli Cattolici (e non soltanto noi) essere grati a chi dopo aver messo fuori socialismo e massoneria, nemici nostri (e non nostri soltanto) dichiarati, li ha così largamente riammessi, come tutti vedono e deplorano, e fatti tanto più forti e pericolosi e nocivi quanto più dissimulati e insieme favoriti dalla nuova divisa. – Di infrazioni al preso impegno Ci si è non rare volte parlato; abbiamo sempre chiesto nomi e fatti concreti, sempre pronti a intervenire e provvedere; non si è mai risposto a tale Nostra domanda. – Il messaggio denuncia che una parte considerevole di atti di carattere organizzativo era particolarmente di natura politica e che aveva niente a fare con « l’educazione religiosa e la propagazione della fede ». A parte la maniera imperita e confusa onde sembrano accennarsi i compiti della Azione Cattolica, tutti quelli che conoscono e vivono la vita d’oggi sanno che non vi è iniziativa e attività — dalle più spirituali e scientifiche fino alle più materiali e meccaniche — che non abbia bisogno di organizzazione e di atti organizzativi, e che questi come quella non si identificano con le finalità delle diverse iniziative ed attività, ma non sono che mezzi per meglio raggiungere i fini che ciascuna si propone. – Però (continua il messaggio) l’argomento più forte che può essere adoperato come una giustificazione della distruzione dei circoli cattolici dei giovani è la difesa dello Stato, la quale è più di un semplice dovere di qualunque governo. Nessun dubbio sulla solennità e sulla importanza vitale di un tal dovere e di un tal diritto, aggiungiamo Noi, perché riteniamo e vogliamo ad ogni costo praticare, con tutti gli onesti e sensati, che il primo diritto è quello di fare il proprio dovere. Ma tutti i ricevitori e lettori del messaggio avrebbero sorriso di incredulità o fatte le alte meraviglie, se il messaggio avesse aggiunto che dei Circoli Cattolici giovanili colpiti 10.000 erano, anzi sono, di gioventù femminile, con un totale di quasi 500.000 giovani donne e fanciulle, dove, chi può vedere un serio pericolo e una minaccia reale per la sicurezza dello Stato? E devesi considerare che solo 220.000 sono iscritte « effettive », più di 100.000 piccole « aspiranti », più di 150.000 ancora più piccole « Beniamine ». – Restano i circoli di gioventù cattolica maschile, quella stessa Gioventù Cattolica che nelle pubblicazioni giovanili del partito e nei discorsi e nelle circolari dei così detti gerarchi sono rappresentati ed indicati al vilipendio ed allo scherno (con qual senso di responsabilità pedagogica, per dir solo di questa, ognun lo vede) come una accozzaglia di conigli e di buoni soltanto a portar candele e recitar rosari nelle sacre processioni, e che forse per questo sono stati in questi ultimi tempi tante volte e con così poco nobile coraggio assaliti e maltrattati fino al sangue, lasciati indifesi da chi poteva e doveva proteggerli e difenderli, se non altro perché inermi e pacifici assaliti da violenti e spesso armati. – Se qui sta l’argomento più forte della attentata « distruzione » (la parola non lascia davvero dubbi sulle intenzioni) delle nostre care ed eroiche associazioni giovanili di Azione Cattolica, voi vedete, Venerabili Fratelli, che Noi potremmo e dovremmo rallegrarCi, tanto chiaramente appare l’argomento di per se stesso incredibile ed insussistente. Ma purtroppo dobbiamo ripetere, che « mentita est iniquitas sibi » [5], e che l’« argomento più forte » della voluta « distruzione » va cercato su altro terreno: la battaglia che ora si combatte non è politica, ma morale e religiosa: squisitamente morale e religiosa. – Bisogna chiudere gli occhi a questa verità e vedere, anzi inventare politica dove non è che Religione e Morale per conchiudere, come fa il messaggio, che si era creata la situazione assurda di una forte organizzazione agli ordini di un potere « estero », il « Vaticano », cosa che nessun governo di questo mondo avrebbe permesso. – Si sono sequestrati in massa i documenti in tutte le sedi della Azione Cattolica Italiana, si continua (anche questo si fa) a intercettare e sequestrare ogni corrispondenza che possa sospettarsi in qualche rapporto colle Associazioni colpite, anzi anche con quelle non colpite: gli oratorii. — Si dica dunque a Noi, al Paese, al mondo, quali e quanti sono i documenti della politica, agitata e tramata dalla Azione Cattolica con pericolo dello Stato. Osiamo dire che non se ne troveranno, a meno di leggere e interpretare secondo idee preconcette, ingiuste e in pieno contrasto coi fatti e con l’evidenza di senza numero prove e testimonianze. Quando se ne trovino di genuini e degni di considerazione, saremo Noi i primi a riconoscerli e a tenerne conto. Ma chi vorrà, per esempio, incriminare di politica, e politica pericolosa allo Stato, qualche segnalazione e deplorazione degli odiosi trattamenti già anche prima degli ultimi fatti, tante volte e in tanti luoghi inflitti alla Azione Cattolica? O chi fondarsi sopra dichiarazioni imposte od estorte, come Ci consta essere in qualche luogo avvenuto? – Invece, proprio senza numero si troveranno tra i sequestrati documenti le prove e le testimonianze della profonda e costante religiosità e religiosa attività come di tutta l’Azione Cattolica così particolarmente delle Associazioni giovanili ed universitarie. Basterà saper leggere ed apprezzare, come Noi stessi abbiamo innumerevoli volte fatto, i programmi, i resoconti, i verbali di congressi, di settimane di studi religiosi e di preghiera, di ritiri spirituali, di praticata e promossa frequenza ai Sacramenti, di conferenze apologetiche, di studi ed attività catechistiche, di cooperazione ad iniziative di vera e pura carità cristiana nelle Conferenze di San Vincenzo ed in altri modi, di attività e cooperazione missionaria.  – È in presenza di tali fatti e di tale documentazione, dunque coll’occhio e la mano sulla realtà, che Noi abbiamo sempre detto ed ancora diciamo che accusare l’Azione Cattolica Italiana di fare della politica era ed è vero e proprio calunniare. I fatti hanno dimostrato a che cosa con questo si mirasse, che cosa si preparasse: rare volte si è in così grandi proporzioni avverata la favola del lupo e dell’agnello, e la storia non potrà non ricordarsene. – Noi, certi fino alla evidenza, di essere e di mantenerci sul terreno religioso, non abbiamo mai creduto che potessimo essere considerati come un « potere estero », massime da Cattolici e da Cattolici italiani. – È in grazia della potestà apostolica a Noi indegnissimi da Dio affidata, che i buoni Cattolici di tutto il mondo (voi lo sapete molto bene, Venerabili Fratelli) considerano Roma come la seconda patria di tutti e di ciascuno di loro. Non è ancora troppo lontano il giorno nel quale un uomo di Stato, che rimarrà certamente fra i più celebri, non cattolico né amico del Cattolicesimo, in piena assemblea politica disse che non poteva considerare come un potere estero quello al quale ubbidivano venti milioni di tedeschi.  Per dire poi che nessun governo del mondo avrebbe lasciato sussistere la situazione creata in Italia dalla Azione Cattolica, bisogna assolutamente ignorare o dimenticare che in tutti gli Stati del mondo, fino alla Cina, sussiste e vive ed opera la Azione Cattolica, bene spesso imitante nell’assieme e fino ai particolari l’Azione Cattolica Italiana, spesso ancora con forme e particolari organizzativi anche più spiccatamente tali che in Italia. In nessuno Stato del mondo mai l’Azione Cattolica è stata considerata come un pericolo dello Stato; in nessuno Stato del mondo l’Azione Cattolica è stata così odiosamente perseguitata (non vediamo quale altra parola risponda alla realtà e alla verità dei fatti) come in questa Nostra Italia, e in questa medesima Nostra Sede Episcopale Romana: e questa è veramente una situazione assurda, non da Noi sebbene contro di Noi creata. – Ci siamo imposto, Venerabili Fratelli, un grave ed increscioso lavoro; Ci è sembrato un preciso dovere di carità e giustizia paterna, e in questo spirito lo abbiamo compiuto al fine di rimettere nella giusta luce fatti e verità, che alcuni figli Nostri hanno, forse non del tutto consapevolmente, messo in luce falsa a danno di altri figli Nostri.

III

Ed ora una prima riflessione e conclusione: da quanto siamo venuti esponendo e più ancora dagli avvenimenti stessi come si sono svolti, la attività politica della Azione Cattolica, la palese o larvata ostilità di taluni suoi settori contro il regime ed il partito, come anche l’eventuale rifugio e la protezione di residuata e fin qui risparmiata ostilità al partito sotto le bandiere della Azione Cattolica (cfr. Comunicato del Direttorio, 4 Giugno 1931), tutto questo non è che pretesto o un cumulo di pretesti: è un pretesto, osiamo dire, la stessa Azione Cattolica; ciò che si voleva e che si attentò di fare, fu strappare alla Azione Cattolica, e per essa alla Chiesa, la gioventù, tutta la gioventù. Tanto è ciò vero, che dopo aver tanto parlato di Azione Cattolica, si mirò alle Associazioni Giovanili, né si stette alle Associazioni Giovanili di Azione Cattolica, ma si allungò tumultuariamente la mano anche ad associazioni e ad opere di pura pietà e di prima istruzione religiosa, come le Congregazioni di Figlie di Maria e gli Oratorii; tanto tumultuariamente da dover spesso riconoscere il grossolano errore. – Questo punto essenziale è largamente confermato anche d’altronde. È confermato innanzitutto dalle molte antecedenti affermazioni di elementi più o meno responsabili ed anche dagli elementi più rappresentativi del regime e del partito e che ebbero il loro pieno commentario e la definitiva conferma dagli ultimi avvenimenti.

La conferma è stata anche più esplicita e categorica, stavamo per dire solenne insieme e violenta, da parte di chi non solo tutto rappresenta, ma tutto può, in pubblicazione ufficiale o quasi, dedicata alla gioventù, in colloqui destinati alla pubblicità, alla pubblicità estera prima ancora che a quella del paese, ed anche all’ultima ora in messaggi ed in comunicazioni a rappresentanti della stampa.- Un’altra riflessione e conclusione subito ed inevitabilmente si impone. Non si è dunque tenuto nessun conto delle ripetute assicurazioni e proteste Nostre, non si è tenuto conto alcuno delle proteste ed assicurazioni vostre, Venerabili Fratelli Vescovi d’Italia, sulla natura e sulla attività vera e reale dell’Azione Cattolica e sui diritti sacrosanti ed inviolabili delle anime e della Chiesa in essa rappresentati e impersonati. – Diciamo, Venerabili Fratelli, i sacrosanti ed inviolabili diritti delle anime e della Chiesa, ed è questa la riflessione e conclusione che più di ogni altra si impone, come è di ogni altra la più grave. Già più e più volte, come è notorio, Noi abbiamo espresso il pensiero Nostro, o meglio, della Chiesa Santa su così importanti ed essenziali argomenti, e non è a voi, Venerabili Fratelli, fedeli maestri in Israele, che occorra dire di più; ma non possiamo non aggiungere qualche cosa per questi cari popoli che stanno intorno a voi, che voi pascete e governate per divino mandato e che ormai quasi solo per mezzo vostro possono conoscere il pensiero del Padre comune delle anime loro. – Dicevamo i sacrosanti ed inviolabili diritti delle anime e della Chiesa. Si tratta del diritto delle anime di procurarsi, il maggior bene spirituale sotto il magistero e l’opera formatrice della Chiesa, di tale magistero e di tale opera unica mandataria, divinamente costituita in quest’ordine soprannaturale fondato nel Sangue di Dio Redentore, necessario ed obbligatorio a tutti per partecipare alla divina Redenzione. Si tratta del diritto delle anime così formate di partecipare i tesori della Redenzione ad altre anime collaborando alla attività dell’Apostolato Gerarchico. – È in considerazione di questo duplice diritto delle anime, che Ci dicevamo testé lieti e fieri di combattere la buona battaglia per la libertà delle coscienze, non già (come qualcuno forse inavvertitamente Ci ha fatto dire) per la libertà di coscienza, maniera di dire equivoca e troppo spesso abusata a significare la assoluta indipendenza della coscienza, cosa assurda in anima da Dio creata e redenta. – Si tratta inoltre del diritto non meno inviolabile della Chiesa di adempiere l’imperativo divino Mandato, di cui la investiva il divino Fondatore, di portare alle anime, a tutte le anime, tutti i tesori di verità e di bene, dottrinali e pratici, ch’Egli stesso aveva recato al mondo. « Euntes docete omnes gentes… docentes eos servare omnia quæcumque mandavi vobis » Andate ed istruite tutte le genti, insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho commesso [6]. E qual posto dovessero tenere la prima età e la giovinezza in questa assoluta universalità e totalità di mandato, lo mostra Egli stesso il divino Maestro, Creatore e Redentore delle anime, col suo esempio e con quelle parole particolarmente memorabili ed anche particolarmente formidabili: « Lasciate che i pargoli vengano a me e non vogliate impedirmeli »… «Questi piccoli che (quasi per un divino istinto) credono in Me; ai quali è riserbato il regno dei cieli; dei quali gli Angeli tutelari e difensori vedono sempre la faccia del Padre celeste; guai all’uomo che avrà scandalizzato uno di questi piccoli ». « Sinite parvulos venire ad me et nolite prohibere eos… qui in me credunt… istorum est enim regnum caelorum; quorum Angeli semper vident faciem Patris qui in cælis est; Væ! homini illi per quem unus ex pusillis istis scandalizatus fuerit » [7]. Or eccoci in presenza di tutto un insieme di autentiche affermazioni e di fatti non meno autentici, che mettono fuori di ogni dubbio il proposito — già in tanta parte eseguito — di monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima fanciullezza fino all’età adulta, a tutto ed esclusivo vantaggio di un partito, di un regime, sulla base di una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana non meno in pieno contrasto coi diritti naturali della famiglia che coi diritti soprannaturali della Chiesa. Proporsi e promuovere un tale monopolio, perseguitare in tale intento, come si veniva facendo da qualche tempo più o meno palesemente o copertamente, l’Azione Cattolica; colpire a tale scopo, come ultimamente si è fatto, le sue Associazioni giovanili equivale ad un vero e proprio impedire che la gioventù vada a Gesù Cristo, dacché è impedire che vada alla Chiesa, perché dov’è la Chiesa ivi è Gesù Cristo. E si arrivò fino a strapparla, con gesto violento dal seno dell’una e dell’Altro. – La Chiesa di Gesù Cristo non ha mai contestato i diritti e i doveri dello Stato circa l’educazione dei cittadini e Noi stessi li abbiamo ricordati e proclamati nella recente Nostra Lettera Enciclica sulla educazione cristiana della gioventù; diritti e doveri incontestabili finché rimangono nei confini delle competenze proprie dello Stato; competenze che sono alla loro volta chiaramente fissate dalle finalità dello Stato; finalità certamente non soltanto corporee e materiali, ma di per se stesse necessariamente contenute nei limiti del naturale, del terreno, del temporaneo. Il divino universale Mandato, del quale la Chiesa di Gesù Cristo è stata da Gesù Cristo stesso incomunicabilmente ed insurrogabilmente investita, si estende invece all’eterno, al celeste, al soprannaturale, quest’ordine di cose il quale da una parte è strettamente obbligatorio per ogni creatura consapevole, ed al quale dall’altra parte deve di natura sua subordinarsi e coordinarsi tutto il rimanente. – La Chiesa di Gesù Cristo è certamente nei termini del suo mandato, non solo quando depone nelle anime i primi indispensabili princìpi ed elementi della vita soprannaturale, ma anche quando questa vita promuove e sviluppa secondo le opportunità e le capacità, e coi modi e mezzi da lei giudicati idonei, anche nell’intento di preparare illuminate e valide cooperazioni all’apostolato gerarchico. È di Gesù Cristo la solenne dichiarazione che Egli è venuto precisamente al fine che le anime abbiano non soltanto qualche inizio od elemento della vita soprannaturale, ma affinché l’abbiano nella maggiore abbondanza: « Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant » [8]. E Gesù stesso ha posto i primi inizi dell’Azione Cattolica, Egli stesso scegliendo ed educando negli Apostoli e nei discepoli i collaboratori del suo divino apostolato, esempio immediatamente imitato dai primi santi Apostoli, come il sacro testo ne fa fede. – È per conseguenza pretesa ingiustificabile ed inconciliabile col nome e colla professione di Cattolici quella di semplici fedeli che vengono ad insegnare alla Chiesa ed al suo Capo ciò che basta e che deve bastare per la educazione e formazione cristiana dello anime e per salvare, promuovere nella società, principalmente nella gioventù, i princìpi della Fede e la loro piena efficienza nella vita. – Alla ingiustificabile pretesa si associa la chiarissima rivelazione della assoluta incompetenza e della completa ignoranza delle materie in questione. Gli ultimi avvenimenti devono aver aperto a tutti gli occhi, mentre hanno dimostrato fino all’evidenza quello che in pochi anni si è venuto, non già salvando, ma disfacendo e distruggendo in fatto di religiosità vera, di educazione cristiana e civile. Voi sapete, Venerabili Fratelli, Vescovi d’Italia, per vostra esperienza pastorale che gravissimo ed esiziale errore sia il credere e far credere che l’opera della Chiesa svolta nell’Azione Cattolica sia surrogata e resa superflua dall’istruzione religiosa nelle scuole e dalla ecclesiastica assistenza alle associazioni giovanili del partito e del regime. L’una e l’altra sono certissimamente necessarie; senza di esse la scuola e le dette associazioni diventerebbero inevitabilmente e ben presto, per fatale necessità logica e psicologica, cose pagane. Necessarie adunque, ma non sufficienti: infatti con quella istruzione religiosa e con quella assistenza ecclesiastica la Chiesa di Gesù Cristo non può esplicare che un minimum della sua efficienza spirituale e soprannaturale, e questo in un terreno e in un ambiente non da essa dipendenti, preoccupati da molte altre materie di insegnamento e da tutt’altri esercizi, soggetti ad immediate autorità spesso poco o punto favorevoli e non rare volte esercitanti contrarie influenze con la parola e con l’esempio della vita. – Dicevamo che gli ultimi avvenimenti hanno finito di mostrare senza lasciare possibilità di dubbio quello che in pochi anni si è potuto non già salvare, ma perdere e distruggere in fatto di religiosità vera e di educazione, non diciamo cristiana, ma anche solo morale e civile.

Abbiamo infatti vista in azione una religiosità che si ribella alle disposizioni della superiore Autorità Religiosa e ne impone o ne incoraggia la inosservanza; una religiosità che diventa persecuzione e tentata distruzione di quello che il Supremo Capo della Religione notoriamente più apprezza ed ha a cuore; una religiosità che trascende e lascia trascendere ad insulti di parola e di fatto contro la Persona del Padre di tutti i fedeli fino a gridarlo abbasso ed a morte; veri imparaticci di parricidio. Simigliante religiosità non può in nessun modo conciliarsi con la dottrina e con la pratica cattolica, ma è piuttosto quanto può pensarsi di più contrario all’una ed all’altra. – La contrarietà è più grave in se stessa e più esiziale nei suoi effetti, quando non è soltanto quella di fatti esteriormente perpetrati e consumati, ma anche quella di princìpi e di massime proclamate come programmatiche e fondamentali. – Una concezione dello Stato che gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezione dalla prima età fino all’età adulta, non è conciliabile per un cattolico colla dottrina cattolica, e neanche è conciliabile col diritto naturale della famiglia. Non è per un Cattolico conciliabile con la Cattolica Dottrina pretendere che la Chiesa, il Papa, devono limitarsi alle pratiche esterne di religione (Messa e Sacramenti), e che il resto della educazione appartiene totalmente allo Stato.  – Le erronee e false dottrine e massime che siamo venuti fin qua segnalando e deplorando, già più volte Ci si presentarono nel corso di questi ultimi anni, e, come è notorio, non siamo mai, coll’aiuto di Dio, venuti meno al Nostro apostolico dovere di rilevarle e di contrapporvi i giusti richiami alle genuine dottrine cattoliche ed agli inviolabili diritti della Chiesa di Gesù Cristo e delle anime nel Suo divino sangue redente. – Ma, nonostante i giudizi e le aspettative e le suggestioni che da diverse parti anche molto ragguardevoli a Noi pervenivano, Ci siamo sempre trattenuti da formali ed esplicite condanne, anzi siamo andati fino a credere possibili e favorire da parte Nostra compatibilità e cooperazioni che ad altri sembrarono inammissibili. Così abbiamo fatto perché pensavamo e piuttosto desideravamo che rimanesse la possibilità di almeno dubitare che avessimo a fare con affermazioni ed azioni esagerate, sporadiche, di elementi non abbastanza rappresentativi, insomma ad affermazioni ed azioni risalenti, nelle parti censurabili, piuttosto alle persone ed alle circostanze che veramente e propriamente programmatiche. – Gli ultimi avvenimenti e le affermazioni che li prepararono, li accompagnarono e li commentarono Ci tolgono la desiderata possibilità, e dobbiamo dire, diciamo che non si è cattolici se non per il battesimo e per il nome — in contraddizione con le esigenze del nome e con gli stessi impegni battesimali — adottando e svolgendo un programma che fa sue dottrine e massime tanto contrarie ai diritti della Chiesa di Gesù Cristo e delle anime, che misconosce, combatte e perseguita l’Azione Cattolica, che è dire quanto la Chiesa ed il suo Capo hanno notoriamente di più caro e prezioso. A questo punto Voi Ci richiedete, Venerabili Fratelli, che rimane a pensare ed a giudicare, alla luce di quanto precede, circa una formula di giuramento che anche a fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che, l’abbiamo veduto e vissuto, possono comandare contro ogni verità e giustizia la manomissione dei diritti della Chiesa e delle anime, già per se stessi sacri ed inviolabili; e di servire con tutte le forze, fino al sangue, la causa di una rivoluzione che strappa alla Chiesa ed a Gesù Cristo la gioventù, e che educa le sue giovani forze all’odio, alla violenza, alla irriverenza, non esclusa la persona stessa del Papa, come gli ultimi fatti hanno più compiutamente dimostrato. – Quando la domanda deve porsi in tali termini, la risposta dal punto di vista cattolico, ed anche puramente umano, è inevitabilmente una sola, e Noi, Venerabili Fratelli, non facciamo che confermare la risposta che già vi siete data: un tale giuramento, così come sta, non è lecito.

IV.

Ed eccoci alle Nostre preoccupazioni, gravissime preoccupazioni, che, lo sentiamo, sono anche le vostre, Venerabili Fratelli, di voi specialmente, Vescovi d’Italia. Ci preoccupiamo subito innanzi tutto dei tanti e tanti figli Nostri, anche giovanetti e giovanette, iscritti e tesserati con quel giuramento. Commiseriamo profondamente le tante coscienze tormentate da dubbi (tormenti e dubbi di cui arrivano a Noi certissime testimonianze) appunto in grazia di quel giuramento, com’è concepito, specialmente dopo i fatti avvenuti. – Conoscendo le difficoltà molteplici dell’ora presente e sapendo come tessera e giuramento sono per moltissimi condizione per la carriera, per il pane, per la vita, abbiamo cercato mezzo che ridoni tranquillità alle coscienze riducendo al minimo possibile le difficoltà esteriori. E Ci sembra potrebbe essere tal mezzo per i già tesserati fare essi davanti a Dio ed alla propria coscienza la riserva: « salve le leggi di Dio e della Chiesa » oppure « salvi i doveri di buon Cristiano », col fermo proposito di dichiarare anche esternamente una tale riserva, quando ne venisse il bisogno. – Là poi donde partono le disposizioni e gli ordini vorremmo arrivasse la Nostra preghiera, la preghiera di un Padre che vuole provvedere alle coscienze di tanti suoi figli in Gesù Cristo; che cioè la medesima riserva sia introdotta nella forma del giuramento, quando non si voglia far meglio, molto meglio, e cioè omettere il giuramento, che è per sé un atto di religione, e non è certamente al posto che più gli conviene in una tessera di partito. – Abbiamo procurato di parlare come con calma e serenità, così con tutta chiarezza; pur non possiamo non preoccuparCi di essere bene intesi, non diciamo da voi, Venerabili Fratelli, sempre ed ora più che mai a Noi così uniti di pensieri e di sentimenti, ma da tutti quanti. E per questo aggiungiamo che con tutto quello che siamo venuti finora dicendo Noi non abbiamo voluto condannare il partito ed il regime come tale. – Abbiamo inteso segnalare e condannare quanto nel programma e nell’azione di essi abbiamo veduto e constatato contrario alla dottrina ed alla pratica cattolica, e quindi inconciliabile col nome e con la professione di cattolici. E con questo abbiamo adempiuto un preciso dovere dell’Apostolico Ministero verso tutti i figli Nostri che al partito appartengono, perché possano provvedere alla propria coscienza di Cattolici. – Crediamo poi di avere contemporaneamente fatto buona opera al partito stesso ed al regime. Perché quale interesse ed utilità possono essi avere mantenendo in programma, in un paese cattolico come l’Italia, idee, massime e pratiche inconciliabili con la coscienza cattolica? La coscienza dei popoli, come quella degli individui, finisce sempre per ritornare sopra se stessa e ricercare le vie per un momento più o meno lungo perdute di vista o abbandonate. – Né si dica che l’Italia è cattolica, ma anticlericale, intendiamo anche solo in una misura degna di particolari riguardi. Voi, Venerabili Fratelli, che nelle grandi e piccole diocesi d’Italia vivete in continuo contatto con le buone popolazioni di tutto il Paese, voi sapete e vedete ogni giorno come esse, non sobillate né fuorviate, siano aliene da ogni anticlericalismo. È noto a quanti conoscono un poco intimamente la storia del Paese, che l’anticlericalismo ha avuto in Italia l’importanza e la forza che gli conferirono la massoneria e il liberalismo che lo generavano. Ai nostri giorni poi il concorde entusiasmo che unì e trasportò come non mai tutto il Paese ai giorni delle Convenzioni Laterane non gli avrebbe lasciato modo di riaffermarsi, se non lo si fosse evocato ed incoraggiato all’indomani delle Convenzioni stesse. Negli ultimi avvenimenti, poi, disposizioni ed ordini lo hanno fatto entrare in azione e lo hanno fatto cessare, come tutti hanno potuto vedere e constatare. È pertanto fuor di dubbio che sarebbe bastata e basterà sempre a tenerlo al posto dovuto, la centesima e millesima parte delle misure lungamente inflitte all’Azione Cattolica e testé culminate in quello che ormai tutto il mondo sa.- Altre e ben gravi preoccupazioni Ci ispira il prossimo avvenire. Si è protestato, e ciò in sede quant’altra mai ufficiale e solenne, e subito dopo gli ultimi per Noi e per i Cattolici di tutta l’Italia e di tutto il mondo dolorosissimi fatti a danno dell’Azione Cattolica: « rispetto immutato verso la Religione Cattolica, il suo Sommo Capo » ecc. Rispetto « immutato »: dunque quello stesso rispetto, senza mutazione, che abbiamo sperimentato; dunque quel rispetto che si esprimeva in altrettanto vaste che odiose misure poliziesche, preparate in alto silenzio come non amica sorpresa, e fulmineamente applicate proprio alla vigilia del Nostro genetliaco, occasione di tante gentilezze e bontà da parte del mondo cattolico, ed anche non cattolico; dunque quello stesso rispetto che trascendeva a violenze e irriverenze lasciate indisturbatamente perpetrarsi. Che cosa possiamo dunque sperare; o meglio che cosa non dobbiamo aspettarCi? Non è mancato chi si domandava, se a così strana maniera di parlare, di scrivere, in tali circostanze, in tanta vicinanza di tali fatti, sia stata del tutto aliena l’ironia, una ben triste ironia, che da parte Nostra amiamo escludere affatto. – Nel medesimo contesto ed in immediato rapporto con l’« immutato rispetto » (dunque coi medesimi indirizzi) si insinuavano « rifugi e protezioni » concesse a residui oppositori del partito, e si « ordinava ai dirigenti dei novemila fasci d’Italia » di ispirare la loro azione a queste direttive. Più d’uno di voi, Venerabili Fratelli, Vescovi d’Italia, ha già sperimentato, dandocene anche dolenti notizie, l’effetto di tali insinuazioni e di tali ordini, in una ripresa di odiose sorveglianze, di delazioni, di intimidazioni e vessazioni. Che cosa Ci prepara dunque l’avvenire? Che cosa non possiamo e dobbiamo aspettarCi (non diciamo temere, perché il timore di Dio espelle quello degli uomini), se, come abbiamo motivi a credere, il proposito è di non permettere che i Nostri Giovani Cattolici si adunino neppure silenziosamente, minacciate aspre pene ai dirigenti? Che cosa dunque, di nuovo Ci domandiamo, Ci prepara o minaccia l’avvenire?

V.

È proprio a questo estremo di dubbi e di previsioni al quale gli uomini Ci hanno ridotti, che ogni preoccupazione, Venerabili Fratelli, svanisce, scompare, e il Nostro spirito si apre alle più fiduciose consolanti speranze; perché l’avvenire è nelle mani di Dio, e Dio è con noi, e … « si Deus nobiscum, quis contra nos? » [9].  Un segno ed una prova sensibile dell’assistenza e del favore divino Noi già la vediamo e gustiamo nella vostra assistenza e cooperazione, Venerabili Fratelli. Se siamo bene informati, si è detto recentemente che ora l’Azione Cattolica è in mano dei Vescovi e non vi è più nulla a temere. E fin qui sta bene, molto bene, salvo quel « più nulla », come se prima qualche cosa si avesse a temere, e salvo quell’« ora », come se prima e fin dal principio l’Azione Cattolica non sia sempre stata essenzialmente diocesana e dipendente dai Vescovi (come anche sopra abbiamo accennato) ed anche per questo, principalmente per questo, abbiamo sempre nutrito la più certa fiducia che le Nostre direttive erano seguite e secondate. Per questo, dopo che per il promesso, immanchevole aiuto divino, Noi rimaniamo e rimarremo nella più fiduciosa tranquillità, anche se la tribolazione — diciamo la parola esatta, la persecuzione — dovrà continuare e intensificarsi. Noi sappiamo che voi siete, e voi sapete di essere, i Nostri Fratelli nell’Episcopato e nell’Apostolato; Noi sappiamo e sapete voi, Venerabili Fratelli, che siete i Successori di quegli Apostoli che San Paolo chiamava con parole di vertiginosa sublimità « gloria Christi » [10]; voi sapete che, non un uomo mortale, sia pure Capo di Stato o di Governo, ma lo Spirito Santo vi ha posto, nelle parti che Pietro assegna, a reggere la Chiesa di Dio. Queste e tante altre sante e sublimi cose che vi riguardano, Venerabili Fratelli, evidentemente ignora o dimentica chi vi pensa e chiama, voi Vescovi d’Italia, « ufficiali dello Stato »; dai quali così chiaramente vi distingue e separa la stessa formula del giuramento che vi occorra prestare al Monarca, mentre dice e premette espressamente: « come si conviene a Vescovo Cattolico ». – Grande poi e veramente smisurato motivo a bene sperare Ci è pure l’immenso coro di preghiere che la Chiesa di Gesù Cristo da tutte le parti del mondo solleva al divino Fondatore ed alla Sua SS. Madre per il suo Capo visibile, il Successore di Pietro, proprio come quando, or sono venti secoli, la persecuzione colpiva di Pietro stesso la persona: preghiere di sacri pastori e di popoli, di cleri e di fedeli, di religiosi e di religiose, di adulti e di giovani, di bambini e di bambine; preghiere nelle forme più squisite ed efficaci di santi sacrifici e comunioni eucaristiche, di supplicazioni, di adorazioni e di riparazioni, di spontanee immolazioni e di sofferenze cristianamente sofferte; preghiere, delle quali in tutti questi giorni e subito dopo i tristi eventi Ci giungeva da ogni parte la eco consolantissima, mai così forte e così consolante come in questo giorno sacro e solenne alla memoria dei Prìncipi degli Apostoli e nel quale disponeva la divina bontà che potessimo por fine a questa Nostra Lettera Enciclica. – Alla preghiera tutto è divinamente promesso: se non sarà il sereno e la tranquillità dell’ordine ristabilito, sarà in tutti la cristiana pazienza, il santo coraggio, la gioia ineffabile di patire qualche cosa con Gesù e per Gesù, con la gioventù e per la gioventù a Lui tanto prediletta, e ciò fino all’ora nascosta nel mistero del Cuore divino, infallibilmente la più opportuna alla causa della verità e del bene. – E poiché da tante preghiere tutto dobbiamo sperare, e poiché tutto è possibile a quel Dio che alla preghiera tutto ha promesso, abbiamo fiduciosa speranza ch’Egli voglia illuminare le menti al vero e volgere le volontà al bene, così che alla Chiesa di Dio, che nulla contende allo Stato di quello che allo Stato compete, si cessi di contendere ciò che a Lei compete, la educazione e formazione cristiana della gioventù, non per umano placito ma per divino mandato, e che pertanto essa deve sempre richiedere e sempre richiederà, con una insistenza ed una intransigenza che non può cessare né flettersi, perché non proviene da placito o calcolo umano o da umane ideologie mutevoli nei diversi tempi e luoghi, ma da divina ed inviolabile disposizione. – E Ci ispira pure fiducia e speranza il bene che indubitabilmente proverrebbe dal riconoscimento di tale verità e di tal diritto. Padre di tutti i redenti, il Vicario di quel Redentore che, dopo aver insegnato e comandato a tutti l’amore dei nemici, moriva perdonando ai suoi crocifissori, non è e non sarà mai nemico di alcuno e così faranno tutti i buoni e veri figli suoi, i cattolici che vogliano serbarsi degni di tanto nome; ma essi non potranno mai condividere, adottare o favorire massime e norme di pensiero e di azione contrarie ai diritti della Chiesa ed al bene delle anime e perciò stesso contrarie ai diritti di Dio. – Quanto preferibile a questa irriducibile divisione delle menti e delle volontà, la pacifica e tranquilla unione dei pensieri e dei sentimenti, che per felice necessità non potrebbe non tradursi in feconda cooperazione di tutti per il vero bene a tutti comune; e ciò col plauso simpatico dei cattolici di tutto il mondo, invece che col loro universale biasimo e malcontento, come ora avviene! Preghiamo il Dio di tutte le misericordie, per la intercessione della sua SS. Madre che testé ci arrideva di plurisecolari splendori, e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, che Ci conceda a tutti di vedere quello che conviene fare e a tutti dia la forza di eseguirlo. – La Benedizione Nostra Apostolica, auspice e pegno di tutte le Benedizioni divine, discenda sopra di voi, Venerabili Fratelli, sui vostri Cleri, sui vostri popoli, e vi rimanga sempre.

Roma, dal Vaticano, nella Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1931.

PIUS PP. XI 

[1] Is., XXXVIII, 17.

[2] Psalm. XCIII, 19.

[3] Luc., XXII, 28.

[4] I Cor., VII, 4.

[5] Psalm. XXVI, 12.

[6] Matth., XXVIII, 19-20.

[7] Matth., XIX, 13 seqq. XVIII, 1 seqq.

[8] Io., X, 10.

[9] Rom., VIII, 31.

[10] 2 Cor., VIII, 23.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – “DATIS NUPERRIME”

« Le parole che Dio rivolse a Caino: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra» (Gn IV, 10), hanno anche oggi il loro valore; e quindi il sangue del popolo ungherese grida al Signore, il quale, come giusto Giudice, se punisce spesso i peccati dei privati soltanto dopo la morte, tuttavia colpisce talora i governanti e le nazioni stesse anche in questa vita, per le loro ingiustizie, come la storia ci insegna. » Tale è il pensiero chiave di questa breve lettera che S. S. Pio XII indirizza all’Episcopato ungherese deplorando i luttuosi avvenimenti rivoluzionari che avevano visto la morte di tanti innocenti, soprattutto Cristiani. Nella storia della Chiesa abbiamo assistito a tante persecuzioni più o meno mascherate da istanze sociali e politiche, ma tutte miranti in realtà a combattere Dio, il suo Cristo e la sua santa Chiesa. Ma il grido di protesta che S. S. Pacelli lanciava all’epoca, è lo stesso sul quale dovrebbero meditare i governanti di oggi della nostra Europa, del continente americano ed asiatico, tutti assoggettati alle logge e conventicole muratorie ed illuminate. Oggi essi marciano sicuri della vittoria e tronfi nei loro discorsi falsi, appoggiati da una falsa chiesa dell’uomo che ha svenduto in pratica tutti i valori cristiani sostituendoli con un paganesimo demoniaco, un moralismo libertinario antinaturale e degno delle peggiori bestie, uno spirito rapace da leone ruggente pronto a divorare tutte le anime che incautamente ingannate vi si accostano. Ma il sangue del tuo fratello, e l’anima dannata del tuo fedele ingannato, gridano vendetta, ed il Signore punisce in questa vita le nazioni che evidentemente non possono raggiungere come tali l’inferno o il purgatorio. È qui che i popoli, i governanti di popoli ribelli ed apostati, ed in particolare i pastori di anime, falsi o veri che siano, è qui che pagheranno, qui sulla terra i loro misfatti per mano dei demoni che hanno servito, pensando – come Adamo ed Eva si illusero di essere già Dei – di poterne trarre vantaggi materiali od onori e fama nel mondo. Ne avranno castighi inimmaginabili già qui in questa vita corrotta, per poi completare le loro belle imprese nell’eterno fuoco, nelle tenebre esteriori, là ove sarà pianto e stridor di denti. Stiano ben attenti i potenti del mondo, coloro che manovrano le leve ed i tentacoli delle mortali piovre, ancor più i falsi preti, i falsi vescovi e i cardinal-tarocchi … per quanti anni pensate di poter sfuggire alla giustizia divina? Dieci, venti, trenta o anche cinquanta … e poi? … cosa pensate che vi aspetti, la canonizzazione falsa riservata oggi nella sinagoga del nemico, pure ai sodomiti ed ai pedofili, ai comunisti e teosofi eretici, ai ladri della gloria di Dio, ai distruttori del Tempio santo? Pensate forse che vi aspetti la fama e l’immortalità nei libri di storia truccati, per aver tentato di scardinare l’ordine divino? Pazzi illusi, no … vi aspetta solo il fuoco eterno, la dannazione definitiva senza riparo. Redimetevi, pentitevi, fate penitenza continua, copritevi di sacco e di cenere, o… fra quaranta giorni Ninive sarà distrutta e la vostra anima dannata per sempre!  

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

DATIS NUPERRIME

CONDANNA DEI LUTTUOSI
AVVENIMENTI IN UNGHERIA

Con la recentissima lettera enciclica rivolta all’Episcopato cattolico, avevamo espresso la speranza che anche per il nobilissimo popolo dell’Ungheria albeggiasse finalmente una nuova aurora di pace fondata sulla giustizia e sulla libertà, poiché sembrava che in quella nazione le cose prendessero uno sviluppo favorevole. – Se non che le notizie che in un secondo tempo sono giunte hanno riempito l’animo Nostro di una penosissima amarezza: si è saputo cioè che per le città e i villaggi dell’Ungheria scorre di nuovo il sangue generoso dei cittadini che anelano dal profondo dell’animo alla giusta libertà, che le patrie istituzioni, non appena costituite, sono state rovesciate e distrutte, che i diritti umani sono stati violati e che al popolo sanguinante è stata imposta con armi straniere una nuova servitù. Orbene, come il sentimento del Nostro dovere Ci comanda, non possiamo fare a meno di protestare deplorando questi dolorosi fatti, che non solo provocano l’amara tristezza e l’indignazione del mondo cattolico, ma anche di tutti i popoli liberi. Coloro, sui quali ricade la responsabilità di questi luttuosi avvenimenti, dovrebbero finalmente considerare che la giusta libertà dei popoli non può essere soffocata nel sangue. – Noi, che con animo paterno guardiamo a tutti i popoli, dobbiamo asserire solennemente che ogni violenza, ogni ingiusto spargimento di sangue, da qualsiasi parte vengano, sono sempre illeciti; e dobbiamo ancora esortare tutti i popoli e le classi sociali a quella pace che deve avere i suoi fondamenti nella giustizia e nella libertà e che trova nella carità il suo alimento vitale. Le parole che Dio rivolse a Caino: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra» (Gn IV, 10), hanno anche oggi il loro valore; e quindi il sangue del popolo ungherese grida al Signore, il quale, come giusto Giudice, se punisce spesso i peccati dei privati soltanto dopo la morte, tuttavia colpisce talora i governanti e le nazioni stesse anche in questa vita, per le loro ingiustizie, come la storia ci insegna. – Voglia il misericordioso Dio toccare il cuore dei responsabili, di maniera che finalmente l’ingiustizia abbia termine, ogni violenza si calmi e tutte le nazioni, pacificate fra loro, ritrovino in un’atmosfera di serena tranquillità il retto ordine. – Frattanto Noi innalziamo al Signore le Nostre suppliche affinché, specialmente coloro che hanno trovato la morte in questi dolorosi frangenti, possano godere l’eterna luce e la pace nel Cielo; e desideriamo pure che tutti i Cristiani uniscano anche per questa ragione le loro suppliche alle Nostre. – Mentre a tutti voi esprimiamo questi Nostri sentimenti, impartiamo di gran cuore a voi, venerabili fratelli, e ai vostri fedeli, e, in modo tutto particolare, al diletto popolo ungherese, l’apostolica benedizione, che sia pegno delle celesti grazie e testimonianza della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, il 5 novembre, l’anno 1956, XVIII del Nostro pontificato.