GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (68): IL MODERNISMO (2)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (68)

IL MODERNISMO (2)

DOCUMENTI DI S.S. PIO X CHE DENUNCIANO E CONDANNANO IL MODERNISMO

ENCICLICA “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

“SUGLI ERRORI DEL MODERNISMO”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

PIO PP. X SERVO DEI SERVI DI DIO.

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

L’officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le prone novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell’umano genere, mai non mancarono “uomini di perverso parlare (Act. X, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)”. Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli. Ed a rompere senza più gl’indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gettano su quanto vi ha di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la Persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo. Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond’è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l’albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da Cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un’assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorità e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verità ciò che è infatti superbia ed ostinazione. Sì, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a più savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavità, passammo poi ad un far severo, e finalmente, benché a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, ma la rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi siano infatti costoro che così mal si camuffano. – E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni. E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, è da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i principî e le conseguenze delle loro dottrine. Prendendo adunque le mosse dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico. Poste cotali premesse, ognuno scorge di leggieri quali siano le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilità, dell’esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgon via di mezzo, e ne fanno assegno all’intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato già da gran tempo. Né in ciò ispira loro alcun ritegno il sapere che si enormi errori furono già formalmente condannati dalla Chiesa. Giacché infatti il Concilio Vaticano così ebbe definito: “Se qualcuno dirà, che Dio uno e vero, Creatore e Signor nostro, per mezzo delle cose create, non possa conoscersi con certezza col lume naturale dell’umana ragione, sia anatema“ (De Revel., can. I); e similmente: “Se alcuno dirà non essere possibile, o non convenire che, mediante divina rivelazione, sia l’uomo ammaestrato di Dio e del culto che Gli si deve, sia anatema” (Ibid., can. II); e finalmente: “Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III). Di qual guisa poi i modernisti dall’agnosticismo, che è puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con qual diritto perciò di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo assegni chi può. Ma tanto è; per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’àmbito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedremo bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla Persona augusta di Gesù Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua Risurrezione ed Ascensione al Cielo. Vero è che l’agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell’immanenza vitale. Dall’una all’altra ecco con qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra natura, alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo è che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro è che siffatta spiegazione indarno si cerca fuori dell’uomo. Resta dunque che si cerchi nell’uomo stesso; e poiché la religione non è altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovrà ritrovarsi appunto nella vita dell’uomo. Di qui il principio dell’immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l’oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, debba riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non in determinate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile. Che se si chieda in qual modo da questo bisogno della divinità, che l’uomo provi in se stesso, si faccia poi trapasso alla religione, i modernisti rispondono così. La scienza e la storia, essi dicono, sono chiuse come fra due termini: l’uno esterno, ed è il mondo visibile; l’altro interno, ed è la coscienza. Toccato che abbiano o l’uno o l’altro di questi termini, non hanno come passare più oltre; al di là si trovano essi a faccia dell’inconoscibile. Dinanzi a questo inconoscibile, o sia esso fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, o si celi entro l’uomo nelle latebre della subcoscienza, il bisogno del divino, senza verun atto della mente, secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell’animo già inclinato a religione un certo particolar sentimento; il quale, sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in sé la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione. Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d’un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l’apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina. Se non che in tutto questo procedimento dal quale, a detta dei modernisti, saltan fuori la fede e la rivelazione, egli è mestieri tener d’occhio un punto, che è di capitale importanza per le conseguenze storico critiche, che essi ne derivano. Quell’inconoscibile, di cui parlano, non si presenta già alla fede come nudo in sé ed isolato; ma si bene congiunto strettamente a un qualche fenomeno, che, quantunque appartenga al campo della scienza e della storia, pure in certa guisa ne trapassa i confini. Tal fenomeno potrà essere un fatto qualsiasi della natura, che in sé racchiude alcun che di misterioso: potrà essere altresì un uomo, il cui carattere, i cui gesti, le cui parole mal si compongano colle leggi ordinarie della storia. Or bene la fede, attirata dall’inconoscibile racchiuso nel fenomeno, s’impadronisce di tutto intero il fenomeno stesso e lo penetra in certo qual modo della sua vita. Da ciò due cose conseguitano. La prima, una tal trasfigurazione del fenomeno, per una, diremmo, quasi elevazione sulle condizioni sue proprie, che lo renda acconcio, come materia, alla forma del divino che la fede v’introdurrà. La seconda, un certo sfiguramento, nato da ciò che avendo la fede tolto il fenomeno ai suoi aggiunti di tempo e di luogo, facilmente gli attribuisce quello che nella realtà delle cose non ha di fatto: il che soprattutto avviene quando si tratti di fenomeni di antica data, e tanto più se sono remoti. Da questi due capi i modernisti traggono per loro due canoni; i quali, uniti a un terzo già dedotto dall’agnosticismo, formano quasi la base della critica storica. Illustriamo il fatto con un esempio, preso dalla persona di Gesù Cristo. Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovan nulla al di là dell’uomo. Dunque, in vigore del primo canone dato dall’agnosticismo, dalla storia di essa deve cancellarsi tutto quanto sa di divino. Più oltre, in conformità del. secondo canone, la persona di Cristo è stata trasfigurata dalla fede: dunque fa d’uopo spogliarla di tutto ciò che la innalza sopra le condizioni storiche. Per ultimo, la stessa è stata sfigurata dalla fede, secondo insegna il terzo canone: dunque non da rimuoversi da lei i discorsi, i fatti, tutto quello insomma che non risponde al suo carattere, alla sua condizione ed educazione, al luogo ed al tempo in cui visse. Strano per fermo parrà a noi questo modo di ragionare; ma qui sta la critica dei modernisti. Adunque il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, è il germe di tutta la religione, ed è insieme la ragione di quanto fu o sarà per essere in qualsivoglia religione. Rude dapprima e quasi informe, a poco a poco, sotto l’influsso del misterioso principio che gli diede origine, esso e venuto perfezionandosi, a seconda dei progressi della vita umana. di cui, come si disse, e una forma. Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento. Né credasi già che diversa sia la sorte della religione cattolica; anzi in tutto pari alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che per processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di elettissima natura, quale mai altro simile si vide né mai si troverà. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto audaci e sacrileghe! Eppure, Venerabili Fratelli, non sono esse un parlar temerario solamente d’increduli. Sono uomini cattolici, sono anzi sacerdoti non pochi che così la discorrono pubblicamente; e con siffatti delirii si dànno vanto di riformare la Chiesa! Qui, non trattasi più del vecchio errore, che alla natura umana concedeva quasi un diritto all’ordine soprannaturale. Si va assai più lungi; sino cioè ad afferrare che la religione nostra santissima, nell’uomo Cristo del pari che in noi, è frutto interamente spontaneo della natura. Del quale asserto non sappiamo qual sia mezzo più acconcio per sopprimere pgni ordine soprannaturale. Perciò con somma ragione il Concilio Vaticano pronunziò: “Se alcuno dirà, non poter l’uomo essere elevato da Dio a una conoscenza e perfezione che superi la natura, ma potere e dovere di per sé stesso, con un perpetuo progresso, giungere finalmente al possesso di ogni vero e di ogni bene, sia anatema” (De Revel., can. III). Fin qui però, o Venerabili Fratelli, non abbiam visto farsi punto luogo all’azione dell’intelletto. Eppure, secondo le dottrine dei modernisti, ha essa ancora la sua parte nell’atto di fede. E giova osservare in che modo. In quel sentimento, dicono, di cui sovente si è parlato, appunto perché egli è sentimento e non cognizione, Dio si presenta bensì all’uomo, ma in maniera così confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto credente. Fa dunque d’uopo che sopra quel sentimento si getti un qualche raggio di luce, sì che Dio ne venga fuori per intero e pongasi in contrapposto col soggetto. Ora, è questo il compito dell’intelletto; di cui è proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l’uomo prima traduce in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e poi li significa con verbali espressioni. Di qui il detto volgare dei modernisti, che l’uomo religioso deve pensare la sua fede. L’intelletto adunque, sopravvenendo al sentimento, su di esso si ripiega e vi fa intorno un lavorio somigliante a quello di un pittore che illumina e ravviva il disegno di un quadro svanito per la vecchiaia. Il paragone è di uno dei maestri del modernismo. Doppio poi è l’operar della mente in siffatto negozio; dapprima, con un atto nativo e spontaneo, esprimendo la sua nozione con una proposizione semplice e volgare; indi, con riflessione e più intima penetrazione, o, come dicano, lavorando il suo pensiero, rende ciò che ha pensato con proposizioni secondarie, derivate bensì dalla prima, ma più affinate e distinte. Le quali proposizioni, ove poi ottengano la sanzione del magistero supremo della Chiesa, costituiranno appunto il dogma. – Con ciò, nella dottrina dei modernisti, ci troviamo giunti ad uno dei capi di maggior rilievo, all’origine cioè e alla natura stessa del dogma. Imperocché l’origine del dogma la ripongon essi in quelle primitive formole semplici; le quali, sotto un certo aspetto, devono ritenersi come essenziali alla fede, giacché la rivelazione, perché sia veramente tale, richiede la chiara apparizione di Dio nella coscienza. Il dogma stesso poi, secondo che paiono dire, è costituito propriamente dalle formole secondarie. A conoscere però bene la natura del dogma, è uopo ricercare anzi qual relazione passi fra le formole religiose ed il sentimento religioso. Nel che non troverà punto difficoltà, chi tenga fermo, che il fine di cotali formole altro non è, se non di dar modo al credente di rendersi ragione della propria fede. Per la qual cosa stanno esse formole come di mezzo fra il credente e la fede di lui; per rapporto alla fede, sono espressioni inadeguate del suo oggetto e sono dai modernisti chiamate simboli; per rapporto al credente, si riducono a meri istrumenti. Non è lecito pertanto in niun modo sostenere che esse esprimano una verità assoluta: essendoché, come simboli, sono semplici immagini di verità, e perciò da doversi adattare al sentimento religioso in ordine all’uomo; come istrumenti, sono veicoli di verità, e perciò da acconciarsi a lor volta all’uomo in ordine al sentimento religioso. E poiché questo sentimento, siccome quello che ha per obbietto l’assoluto, porge infiniti aspetti, dei quali oggi l’uno domani l’altro può apparire; e similmente colui che crede può passare per altre ed altre condizioni, ne segue che le formole altresì che noi chiamiamo dogmi debbano sottostare ad uguali vicende ed essere perciò variabili. Così si ha aperto il varco alla intima evoluzione dei dogmi. Infinito cumulo di sofismi che abbatte e distrugge ogni religione! E questa, non pur possibile, ma necessaria evoluzione e mutazione dei dogmi non solo i modernisti l’affermano arditamente ma è conseguenza legittima delle loro sentenze. Infatti fra i capisaldi della loro dottrina vi è ancor questo, tratto dal principio dell’immanenza vitale: che le formole cioè religiose, perché tali siano in verità e non mere speculazioni dell’intelletto, è mestieri che siano vitali e che vivano della stessa vita del sentimento religioso. Il che non è da intendersi quasiché tali formule, specie se puramente immaginative, siano costruite a bella posta pel sentimento religioso; giacché poco monta della loro origine, come altresì del loro numero e della loro qualità; ma cosi, che le stesse, fatte se occorre all’uopo delle modificazioni, vengano vitalmente assimilate dal sentimento religioso. E per dirla in altri termini, fa di mestieri che la formola primitiva sia accettata e sancita dal cuore, e che il susseguente lavorio per la formazione delle formole secondarie sia fatto sotto la direzione del cuore. Di qui procede che siffatte formole, perché siano vitali, debbano essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente. Laonde, se per una ragione qualsiasi cotale adattamento venga meno, perdono elle il primitivo significato e vogliono essere cambiate. Or tale essendo il valore e la sorte mutevole delle formole dogmatiche, non reca stupore che i modernisti le abbiano tanto in dileggio; mentre al contrario non fanno che ricordare ed esaltare il sentimento religioso e la vita religiosa. Perciò pure criticano con somma audacia la Chiesa, accusandola di camminare fuor di strada, né saper distinguere fra il senso materiale delle formole e il loro significato religioso e morale, e attaccandosi con ostinazione, ma vanamente, a formole vuote di senso, lasciar che la religione precipiti a rovina. Oh! Veramente ciechi e conduttori di ciechi, che, gonfi del superbo nome di scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l’eterno concetto di verità e il genuino sentimento religioso: “spacciando un nuovo sistema, col quale, tratti da una sfrontata e sfrenata smania di novità, non cercano la verità ove certamente si trova; e disprezzate le sante ed apostoliche tradizioni, si attaccano a dottrine vuote, futili, incerte, riprovate dalla Chiesa, e con esse, uomini stoltissimi, si credono di puntellare e sostenere la stessa verità” (Gregorio XVI, Lett. Enc.”Singulari Nos“, 25 giugno 1834).

[Dopo aver esaminato il modernismo dal canto filosofico, il Santo Padre passa ad esaminare il modernismo che coinvolge il credente, e propinato a livello teologico che esclude Scolastica e Tomismo. Sua Santità è particolarmente meticoloso nel sottolineare tutti gli inganni e le astuzie del modernismo nel confondere termini e concetti spesso totalmente ribaltati nei loro significati. Tali inganni in realtà erano già stati condannati dalla Chiesa ed infatti Papa Sarto cita con sapienza Encicliche e Costituzioni apostoliche, ad iniziare da Gregorio IX, passando per il Concilio di Trento, da Pio VI a Pio IX [ il “Syllabus”], fino alla “Dei Filius” del Concilio Vaticano. Ma osservando bene, in realtà il modernismo, non era altro che un nuovo vestito indossato dalla teologia di satana, la “gnosi”, il solito cancro maligno che ha afflitto la Chiesa Cattolica fin dalla sua costituzione. Si ritrovano infatti i soliti artifici del panteismo, dell’immanentismo, dell’evoluzionismo, etc. etc.. La gnosi, come i nostri pochi lettori ben sanno, è come uno “satiro” che, nel periodo di carnevale cambia continuamente costume e maschera, lasciando però intravedere i suoi elementi caratterizzanti come la coda, gli arti zoccoluti, le corna, la lingua biforcuta, i canini sporgenti, la barba caprina. Ad un esame superficiale il satiro sembra avere un aspetto affascinante ed argomenti interessanti, ma man mano che si mostra, che parla, si agita, il cerone comincia a sciogliersi, la maschera a scomporsi, e compare la barba caprina, i canini affilati, e dal cappello mosso da una leggera brezza spuntano le immancabili corna! È la sempre medesima “solfa”, lo sterco ripugnante, che ci viene proposto da Simon mago, dalla scuola neoplatonica alessandrina, dalla cabala spuria, dalle apparentemente strambe filosofie del rinascimento del paganesimo, a Cartesio, all’illuminismo, da Kant ad Hegel, da Marx all’esistenzialismo, da Freud a Darwin ed oggi, in ambito teologico, da personaggi vari, a cominciare dai giansenisti per finire ai supermodernisti postconciliari come gli azzeccagarbugli Ratzinger col suo ventriloquo, il sig. Bergoglio. Leggiamo con calma questa parte di Enciclica e cerchiamo di farla nostra onde comprendere ed evitare le insidie ed i lacci del modernismo, la strada ampia che, a detta del divino Maestro, ci condurrà inevitabilmente ed indubbiamente al fuoco eterno! E se lo dice Lui … – ndr. -]

“E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esista di fatto in se stessa, né punto dipenda da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestanti, degli pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, è negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via all’ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell’esperienza unitamente all’altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl’idolatri, debba ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s’incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto i modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli Cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni siano vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formula poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del Cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che Cattolici e Sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorIno già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare. – Ma, oltre al detto, questa dottrina dell’esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri, mercé la predicazione, per mezzo della formula intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l’esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l’esperienza. Di questa guisa l’esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell’esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! Condotte fin qui le cose, o Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i modernisti fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendano essi ancor la storia. E in primo luogo si deve tenere che l’oggetto dell’una è affatto estraneo all’oggetto dell’altra e da questo separato. Imperocché la fede si occupa unicamente di cosa che la scienza professa essere a sé inconoscibile. Quindi diverso il campo ad entrambe assegnato: la scienza è tutta nella realtà dei fenomeni, ove non entra affatto la fede: questa al contrario si occupa della realtà divina che alla scienza è del tutto sconosciuta. Dal che si viene a conchiudere che tra la fede e la scienza non vi possa essere mai dissidio: giacché, se ciascuna tiene il suo campo, non potranno mai incontrarsi, né perciò contraddirsi. Che se a ciò si opponga, nel mondo visibile esservi cose che pure appartengono alla fede, come la vita umana di Cristo; i modernisti rispondono negando. – Perché quantunque tali cose siano nel novero dei fenomeni, pure, in quanto sono vissute dalla fede e, nel modo già indicato, sono state da essa trasfigurate e sfigurate, furono tolte dal mondo sensibile e trasferite ad essere materia del divino. Quindi, qualora più oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, severamente sia risorto ed asceso al Cielo; la scienza agnostica lo negherà, la fede lo affermerà; né perciò vi sarà lotta fra le due. Imperocché lo negherà il filosofo qual filosofo parlando a filosofie considerando unicamente Cristo nella sua realtà storica; l’affermerà il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale è vissuta dalla fede e nella fede. – S’ingannerebbe però a partito chi, date queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la scienza indipendenti l’una dall’altra. Si, della scienza ciò è fuori di dubbio; ma è ben altro della fede; la quale, non per uno ma per tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocché da riflettersi in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realtà divina e l’esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in specialità le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono quindi sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli vien fatto; finché però resterà nel mondo, non potrà mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all’osservazione, ai giudizi della scienza e della storia. Di più, benché sia detto che Dio è oggetto della sola fede, ciò nondimeno debba solo intendersi della realtà divina, non già della idea di Dio. L’idea di Dio è pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia nell’ordine logico, si solleva fino all’assoluto ed all’ideale. È dunque diritto della filosofia o della scienza sindacare l’idea di Dio, dirigerla nella sua evoluzione, correggerla qualora vi si immischi qualche elemento estraneo: quindi il ripetere che fanno i modernisti che l’evoluzione religiosa debba essere coordinata colla evoluzione morale ed intellettuale; ossia, come insegna uno dei loro maestri, debba essere subordinata. Per ultimo è pur da osservare che l’uomo non soffre in sé dualismo: per la qual cosa il credente prova in se stesso un intimo bisogno di armonizzare siffattamente la fede colla scienza che non si opponga al concetto generale che scientificamente si ha dell’universo. Così dunque si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti. Ond’è che ad essi può applicarsi ciò che l’altro Nostro Predecessore Gregorio IX scriveva di taluni teologi del suo tempo: “Alcuni fra voi, gonfi come otri dello spirito di vanità, si sforzano con novità profana di valicare i termini segnati dai Padri; piegando alla dottrina filosofica dei razionali l’intelligenza delle pagine Celesti, non per profitto degli uditori ma per far pompa di scienza… Questi sedotti da dottrine diverse e peregrine, tramutano in coda il capo e costringono la regina a servire all’ancella” (Lettera ai maestri di Teologia di Parigi, 7 luglio 1223). Il che parrà più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un’altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l’opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrino cose che ben direbbe un Cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando invece nelle chiese, l’affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l’esegesi teologica e pastorale dall’esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. “Exsurge Domine“, 15 maggio 1520: “Ci si è aperta la strada per isnervare l’autorità dei Concilî e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio“), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del Magistero ecclesiastico: e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l’aforisma che la fede debba soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all’aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi. Con che, Venerabili Fratelli, Ci si dà finalmente il passo per osservare i modernisti sull’arena teologica. Difficile compito: ma con poco potremo trarCi d’impaccio. Il fine da ottenere è la conciliazione della fede colla scienza, restando però sempre incolume il primato della scienza sulla fede. In questo affare il teologo modernista si giova degli stessissimi principî che vedemmo usati dalla filosofia, adattandoli al credente; ciò sono i principî dell’immanenza e del simbolismo. Ed ecco con quanta speditezza compie egli il suo lavoro. Ha detto il filosofo: “Il principio della fede è immanente“; il credente ha soggiunto: “Questo principio è Dio“; il teologo dunque conclude: “Dio è immanente nell’uomo“. Di qui l’essere dell’immanenza teologica. Parimente: il filosofo ha ritenuto come certo che le “rappresentazioni dell’oggetto della fede sono semplicemente simboliche“; il credente ha affermato che “l’oggetto della fede è Dio in se stesso“; il teologo adunque pronunzia: “Le rappresentazioni della realtà divina siano simboliche“. Di qui il simbolismo teologico. Errori per verità enormi; i quali quanto siano perniciosi, si vedrà luminosamente nell’osservarne le conseguenze. Infatti, per dir subito del simbolismo, i simboli essendo tali in relazione all’oggetto, ed in relazione al credente non essendo che istrumenti, fa mestieri innanzi tutto, così insegnano i modernisti, che il credente non si attacchi troppo alla formola, ma se ne giovi solo allo scopo di unirsi all’assoluta verità, di cui la formola rivela insieme e nasconde, si sforza cioè di esprimere ma senza mai riuscirvi. Vogliono in secondo luogo che il credente usi di tali formole tanto quanto gli siano utili, poiché sono date per giovamento e non per averne intralcio; salvo, s’intende, il rispetto che, per riguardi sociali, si debba alle formole giudicate acconce dal pubblico magistero ad esprimere la coscienza comune, finché però lo stesso Magistero non stabilisca altrimenti. Quanto poi all’immanenza, non è agevole determinare ciò che per essa intendano i modernisti; giacché diverse sono fra essi le opinioni. Altri la pongono in ciò, che Dio operante sia intimamente presente nell’uomo, più che non sia l’uomo a sé stesso; il che, sanamente inteso, non può riprendersi. Altri pretendono che l’azione divina sia una coll’azione della natura, come di causa prima con quella di causa seconda; e ciò distruggerebbe l’ordine soprannaturale. Altri per ultimo la spiegano in modo da dar sospetto di un senso panteistico; il che, a dir vero, è più coerente col rimanente delle loro dottrine. A questo postulato dell’immanenza un altro poi se ne aggiunge, che si può intitolare dalla permanenza divina: e l’una dall’altra si fa differire quasi a quel modo stesso, che l’esperienza privata differisca dall’esperienza trasmessa per tradizione. Un esempio illustrerà il concetto: e sia l’esempio della Chiesa e dei Sacramenti. La Chiesa, dicono, e i Sacramenti non si devon credere come istituiti da Cristo stesso. Vieta ciò l’agnosticismo, che in Cristo non riconosce nulla più che un uomo, la cui coscienza religiosa, come quella di ogni altro uomo, si è formata a poco a poco; lo vieta la legge dell’immanenza, che non ammette, per dirlo con una loro parola, esterne applicazioni; lo vieta pure la legge dell’evoluzione, che per lo svolgersi dei germi richiede tempo ed una certa serie di circostanze; lo vieta finalmente la storia, che mostra tale di fatto essere stato il corso delle cose. Però è da tenersi che Chiesa e Sacramenti fossero istituiti mediatamente da Cristo. Ma in qual modo? eccolo. Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Gesù Cristo, come la pianta nel seme. Or poiché i germi vivono la vita del seme, così deve affermarsi che tutti i Cristiani vivano la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, è divina; dunque anche quella dei Cristiani. Se pertanto questa vita, nel corso dei secoli, diede origine alla Chiesa e ai Sacramenti, con ogni diritto si potrà dire che tale origine è da Cristo ed è divina. Nello stesso modo provano esser divine le Scritture e divini i dogmi. E con ciò la teologia moderna può dirsi compiuta. Esigua cosa a dir vero, ma più che abbondante per chi professa doversi sempre ed in tutto rispettare le conclusioni della scienza. L’applicazione poi di queste teorie agli altri punti che verremo esponendo potrà ognuno farla di per sé stesso. Abbiam parlato finora della origine e della natura della fede. Ma molti essendo i germi di questa, e principali fra essi la Chiesa, il dogma, il culto, i Libri sacri, di questi eziandio è da conoscere ciò che insegnano i modernisti. E per farci dal dogma, l’origine e la natura di esso quale sia, si è già indicato più sopra. Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di lavorare sul suo pensiero religioso, sì da rendere la sua e l’altrui coscienza sempre più chiara. Tale lavorio consiste tutto nell’indagare ed esporre la formola primitiva, non già in se stessa e razionalmente, ma rispetto alle circostanze o, come più astrusamente dicono, vitalmente. Di qui si ha che intorno alla medesima si vadano formando delle formole secondarie, che poi sintetizzate e riunite in un’unica costruzione dottrinale, quando questa sia suggellata dal pubblico magistero come rispondente alla coscienza comune, si chiamerà dogma. Dal dogma son da distinguersi accuratamente le speculazioni teologiche; le quali però, benché non vivano della vita del dogma, pur tuttavia non sono inutili sì per armonizzare la religione colla scienza e togliere fra loro ogni contrasto, sì per lumeggiare esternamente e difendere la religione stessa; e chi sa che forse non giovino altresì per preparar la materia di un dogma futuro. Del culto poi non vi sarebbe gran che da dire, se sotto questo nome non venissero eziandio i Sacramenti, intorno ai quali sono gravissimi gli errori dei modernisti. Il culto vogliono che risulti da un doppio bisogno; giacché, torniamo ad osservarlo, nel loro sistema tutto va attribuito ad intimi bisogni. L’uno è quello di dare alla religione alcunché di sensibile; l’altro è il bisogno di propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e senza atti santificanti, che diconsi Sacramenti. Quanto poi ai Sacramenti, essi pei modernisti si riducono a meri simboli o segni, non però privi di efficacia; efficacia che essi cercano di spiegare coll’esempio di certe cotali parole che volgarmente diconsi aver fatto fortuna, per avere acquistata la forza di diffondere talune idee potenti e che colpiscono grandemente gli animi. Come quelle parole sono ordinate alle dette idee, così i Sacramenti al sentimento religioso: nulla di vantaggio. Parlerebbero certamente più chiaro ove affermassero che i Sacramenti sono istituiti unicamente per nutrir la fede. Ma ciò è condannato dal Concilio di Trento (Sess. VII, de Sacramentis in genere, can. 5): “Se alcuno dirà che questi Sacramenti sono istituiti solo per nutrir la fede, sia anatema“. Della natura ancora e dell’origine dei Libri sacri già si è toccato. Secondo il pensare dei modernisti, si può ben definirli una raccolta di esperienze: non di quelle, che comunemente si hanno da ognuno, ma delle straordinarie e più insigni che siensi avute in una qualche religione. E così essi appunto insegnano a riguardo dei nostri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. A lor comodo però, notano assai scaltramente che, sebbene l’esperienza sia del presente, può tuttavolta prender materia dal passato ed eziandio dal futuro, in quanto che il credente o per la memoria rivive il passato a maniera del presente, o vive già per anticipazione l’avvenire. Ciò giova a dar modo di computare fra i Libri santi anche gli storici e gli apocalittici. Così adunque in questi libri parla bensì Iddio per mezzo del credente; ma, come vuole la teologia modernistica, solo per immanenza e permanenza vitale. Vorrà sapersi, in che consista dopo ciò l’ispirazione? Rispondono che non si distingue, se non forse per una certa maggiore veemenza, dal bisogno che sente il credente di manifestare a voce e per scritto la propria fede. È alcun che di simile a quello che si avvera nella ispirazione poetica; per cui un cotale diceva: È Dio in noi, da Lui agitati noi c’infiammiamo. È questo appunto il modo onde Dio deve dirsi origine della ispirazione dei Libri sacri. Affermano inoltre i modernisti che nulla vi è in questi libri che non sia ispirato. – Nel che potrebbe taluno crederli più ortodossi di certi altri moderni che restringono alquanto la ispirazione, come, a mo’ di esempio, nelle così dette citazioni tacite. Ma queste non sono che lustre e parole. Imperciocché se, secondo l’agnosticismo, riteniamo la Bibbia come un lavoro umano fatto da uomini per servigio di uomini, salvo pure al teologo di chiamarla divina per immanenza, come mai l’ispirazione potrebbe in essa restringersi? Sì, i modernisti affermano un’ispirazione totale: ma, nel senso cattolico, non ne ammettono in fatto veruna. – Più larga materia ci offre ciò che la scuola dei modernisti fantastica a riguardo della Chiesa. È qui da presupporre che la Chiesa secondo essi è frutto di due bisogni: uno nel credente, specie se abbia avuta qualche esperienza originale e singolare, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro nella collettività, dopo che la fede si è fatta comune a molti, di aggrupparsi in società e di conservare, accrescere e propagare il bene comune. Che cosa è dunque la Chiesa? un parto della coscienza collettiva, ossia collettività di coscienze individuali; le quali, in forza della permanenza vitale, pendono tutte da un primo credente, cioè pei Cattolici da Cristo. Ora ogni società ha bisogno di un’autorità che la regga: il cui compito sia dirigere gli associati al fine comune, e conservare saggiamente gli elementi di coesione, i quali in una società religiosa sono la dottrina ed il culto. – Perciò nella Chiesa cattolica una triplice autorità: disciplinare, dogmatica, culturale. La natura poi di questa autorità dovrà desumersi dalla sua origine; e dalla natura si dovranno a loro volta dedurre i diritti e i doveri. Fu errore volgare dell’età passata che l’autorità sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cioè immediatamente da Dio: e perciò era giustamente ritenuta autocratica. Ma queste sono teorie oggimai passate di moda. Come la Chiesa è emanata dalla collettività delle coscienze, cosi l’autorità emana vitalmente dalla stessa Chiesa. Pertanto l’autorità del pari che la Chiesa nasce dalla coscienza religiosa, e perciò alla medesima resta soggetta: e se venga meno a siffatta soggezione, si volge in tirannide. Nei tempi che corrono il sentimento di libertà è giunto al suo pieno sviluppo. Nello stato civile la pubblica coscienza ha voluto un regime popolare. Ma la coscienza dell’uomo, come la vita, è una sola. Se dunque l’autorità della Chiesa non vuol suscitare e mantenere una guerra intestina nelle coscienze umane, uopo è che si pieghi anch’essa a forme democratiche; tanto più che, a negarvisi, lo sfacelo sarebbe imminente. È da pazzo il credere che possa aversi un regresso nel sentimento di libertà quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza strariperà più potente, distruggendo insieme la religione e la Chiesa. Fin qui il ragionare dei modernisti: e la conseguenza è, che sono tutti intesi a trovar modi per conciliare l’autorità della Chiesa colla libertà dei credenti. Se non che non solamente fra le sue stesse pareti trova la Chiesa con chi doversi comporre amichevolmente, ma eziandio fuori. Non è sola essa ad occupare il mondo: l’occupano insieme altre società, colle quali non può aver uso e commercio. Convien dunque determinare quali siano i diritti e i doveri della Chiesa verso le società civili; e ben s’intende che tale determinazione debba esser desunta dalla natura della Chiesa stessa, quale i modernisti l’hanno descritta. Le regole perciò da usarsi son quelle stesse che sopra si adoperarono per la scienza e la fede. Ivi parlavasi di oggetti, qui di fini. Come adunque, per ragione dell’oggetto, si dissero la fede e la scienza vicendevolmente estranee, così lo Stato e la Chiesa sono l’uno all’altra estranei pel fine a cui tendono, temporale per lo Stato, spirituale per la Chiesa. Fu d’altre età il sottomettere il temporale allo spirituale; il parlarsi di questioni miste, nelle quali la Chiesa interveniva quasi signora e regina, perché la Chiesa si stimava istituita immediatamente da Dio, come autore dell’ordine soprannaturale. Ma la filosofia e la storia non più ammettono cotali credenze. Adunque lo Stato deve separarsi dalla Chiesa e per egual ragione il Cattolico dal cittadino. Di qui è, che il Cattolico, perché insieme cittadino, ha diritto e dovere, non curandosi dell’autorità della Chiesa, dei suoi desiderî, consigli e comandi, sprezzate altresì le sue riprensioni, di far quello che giudicherà espediente al bene della patria. Voler imporre al cittadino una linea di condotta sotto qualsiasi pretesto è un vero abuso di potere ecclesiastico da respingersi con ogni sforzo. Le teorie, o Venerabili Fratelli, onde promanano tutti questi errori, son quelle appunto che il Nostro Predecessore Pio VI già condannò solennemente nella Costituzione Apostolica “Auctorem Fidei” (Prop. 2). “La proposizione che stabilisce che la potestà è stata da Dio data alla Chiesa, perché fosse comunicata ai Pastori, che sono ministri di lei per la salute delle anime; così intesa, che la potestà del ministero e regime ecclesiastico si derivi nei Pastori dalla Comunità dei fedeli: eretica“. Prop. 3. “Inoltre quella che stabilisce il Romano Pontefice esser capo ministeriale; così spiegata che il Romano Pontefice, non da Cristo nella persona del Beato Pietro, ma dalla Chiesa abbia avuta la potestà del ministero, di cui come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, gode nella Chiesa universale: eretica“). – Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, così nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato. Questo forse non l’asseriscono essi peranco apertamente; ma per forza di raziocinio sono costretti ad ammetterlo. Imperocché, concesso che lo Stato abbia assoluta padronanza in tutto ciò che è temporale, se avvenga che il credente, non pago della religione dello spirito, esca in atti esteriori, quali per mo’ di esempio, l’amministrarsi o il ricevere dei Sacramenti, bisognerà che questi cadano sotto il dominio dello Stato. E che sarà dopo ciò dell’autorità ecclesiastica? Siccome questa non si spiegasse non per atti esterni, sarà in tutto e per tutto assoggettata al potere civile. È questa ineluttabile conseguenza che trascina molti fra i protestanti liberali a sbarazzarsi di ogni culto esterno, anzi d’ogni esterna società religiosa, i quali invece si adoprano di porre in voga una religione che chiamano individuale. Che se i modernisti, a luce di sole, non si spingono ancora tant’oltre, insistono intanto perché la Chiesa si pieghi spontaneamente ove essi la voglion trarre e si acconci alle forme civili. Tutto ciò per l’autorità disciplinare. Più gravi assai e perniciose sono le loro affermazioni a riguardo dell’autorità dottrinale e dogmatica. Circa il Magistero ecclesiastico così essi la pensano: la società religiosa non può veramente essere una senza unità di coscienza nei suoi membri e senza unità di formola. Ma questa duplice unità richiede, per così dire, una mente comune, a cui spetti trovare e determinare la formola che meglio risponda alla coscienza comune: alla qual mente fa d’uopo inoltre attribuire un’autorità bastevole, perché possa imporre alla comunanza la formola stabilita. Or nell’unione è quasi fusione della mente designatrice della formola e dell’autorità che la impone, ritrovano i modernisti il concetto del magistero ecclesiastico. Poiché dunque in fin dei conti il Magistero non nasce che dalle coscienze individuali ed a bene delle stesse coscienze ha imposto un pubblico ufficio; ne consegue di necessità che debba dipendere dalle medesime coscienze e debba quindi avviarsi a forme democratiche. Il proibire pertanto alle coscienze degli individui che facciano pubblicamente sentire i loro bisogni; non soffrire che la critica spinga il dogma verso necessarie evoluzioni, non è già uso di potestà, data per pubblico bene, ma abuso. Similmente nell’uso stesso della potestà fa di mestieri serbare modo e misura. Sa di tirannide condannare un libro all’insaputa dell’autore, senza ammettere spiegazioni di sorta né discussione. Adunque qui pure è da ricercarsi una via di mezzo che salvi insieme i diritti dell’autorità e della libertà. Nel frattempo il Cattolico si regolerà in guisa che non lasci pubblicamente di protestarsi rispettosissimo dell’Autorità, continuando però sempre ad operare a suo talento. In generale vogliono ammonita la Chiesa che, poiché il fine della potestà ecclesiastica è tutto spirituale, disdice ogni esterno apparato di magnificenza con che essa si circonda agli occhi delle moltitudini. Nel che non riflettono che se la religione è essenzialmente spirituale non è tuttavia ristretta al solo spirito; e che l’onore tributato all’autorità ridonda su Gesù Cristo che ne fu istitutore. Per compiere tutta questa materia della fede e dei diversi suoi germi, rimane da ultimo, Venerabili Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei modernisti circa lo sviluppo dei medesimi, e lor principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all’evoluzione. Dogma, dunque, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell’evoluzione. Siffatto principio non si udrà con istupore da chi rammenti quanto i modernisti siano venuti affermando intorno a ciascuno di questi oggetti. Posta pertanto la legge dell’evoluzione, i modernisti stessi ci descrivono in qual maniera l’evoluzione si effettui. E cominciamo dalla fede. La forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune indistintamente a tutti gli uomini; giacché nasceva dalla natura e dalla vita umana. Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che è quanto dire non per aggiunta di nuove forme apportate dal di fuori, ma per una crescente penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu il modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da ogni elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di nazionalità; quindi positivamente, mercè il perfezionarsi intellettuale e morale dell’uomo, per cui l’idea divina si ampliò ed illustrò e il sentimento religioso divenne più squisito. Del progresso della fede non altre cause assegnar si possono che quelle stesse onde già si spiegò la sua origine. Alle quali però fa d’uopo aggiungere quei genii religiosi, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo fu il sommo; sì perché nella vita o nelle parole ebbero un certo che di misterioso, che la fede attribuiva alla divinità, e sì perché toccaron loro esperienze nuove ed originali in piena armonia coi bisogni del loro tempo. Il progresso del dogma nasce principalmente dal bisogno di superare gli ostacoli della fede, di vincere gli avversari, di ribattere le difficoltà, senza dire dello sforzo continuo di viemeglio penetrare gli arcani della fede. Così, per tacer di altri esempi, è avvenuto di Cristo; in cui, quel più o meno divino, che la fede in esso ammetteva, si venne gradatamente amplificando in modo, che finalmente fu ritenuto per Dio. Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli; come altresì di usufruire della virtù che certi atti hanno ricevuto dall’usanza. La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate. Così i modernisti di ciascun capo in particolare. E qui, innanzi di farCi oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacché essa, oltreché di quanto finora abbiam visto, è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico. Or, restando tuttavia nella teoria della evoluzione, vuole di più osservarsi che quantunque i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno, regolata unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della tradizione, e strappata così dal primitivo principio vitale, meglio che a progresso menerebbe a rovina. Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l’evoluzione è come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una è progressiva, l’altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di lei è proprio dell’autorità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorità cioè e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza collettiva; e questa a sua volta sull’autorità, e la costringe a capitolare ed a restare ai patti. Ciò ammesso, ben si comprendono le meraviglie che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti. Ciò che loro si ascrive a colpa, essi l’hanno per sacrosanto dovere. Niuno meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perché si trovano con queste a più stretto contatto che non si trovi la potestà ecclesiastica. Incarnano quasi in sé quei bisogni tutti: e quindi il dovere per loro di parlare apertamente e di scrivere. Li biasimi pure l’Autorità, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per intima esperienza di non meritare riprensioni ma encomii. Pur troppo essi sanno che i progressi non si hanno senza combattimenti, né combattimenti senza vittime: e bene, saranno essi le vittime, come già i profeti e Cristo. Né perché siano trattati male, odiano l’Autorità: concedono che ella adempia il suo dovere. Solo rimpiangono di non essere ascoltati, perché in tal guisa il progredire degli animi si ritarda: ma verrà senza meno il tempo di rompere gl’indugi, giacché le leggi dell’evoluzione si possono raffrenare, ma non possono affatto spezzarsi. E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un’incredibile audacia col velo di un’apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l’Autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si danno interpreti della medesima. Per detto adunque e per fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. Nella qual sentenza non mancarono ad essi dei precursori, quelli cioè dei quali il Nostro Predecessore Pio IX già scriveva: “Questi nemici della divina rivelazione, che estollono con altissime lodi l’umano progresso, vorrebbero, con temerario e sacrilego ardimento, introdurlo nella cattolica Religione, quasi che la stessa Religione fosse opera non di Dio ma degli uomini o un qualche ritrovato filosofico che con mezzi umani possa essere perfezionato” (Enc. “Qui pluribus“, 9 nov. 1846). Circa la rivelazione specialmente e circail dogma, la dottrina dei modernisti non ha filo di novità; ma è quella stessa che nel Sillabo di Pio IX ritroviamocondannata, così espressa: “La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a continuo ed indefinito progresso, che risponda a quello dell’umana ragione” (Sillabo, Prop. V); più solennemente poi la troviamo riprovatadal Concilio Vaticano in questi termini: “Né la dottrina della fede, che Dio rivelò, è proposta agli umani ingegni da perfezionare come un ritrovato filosofico, ma come un deposito consegnato alla Sposa di Cristo, da custodirsi fedelmente e da dichiararsi infallibilmente. Quindi dei sacri dogmi altresì deve sempre ritenersi quel senso che una volta dichiarò la Santa Madre Chiesa, né mai deve allontanarsi da quel senso sotto pretesto e nome di più alta intelligenza” (Const. Dei Filius, cap. IV). Col che senza dubbio l’esplicazione nelle nostrecognizioni, anche circa la fede, tanto è lungi che venga impedita, che anzi ne è aiutata e promossa. Laondelo stesso Concilio prosegue dicendo: “Cresca dunque e molto e con slancio progredisca l’intelligenza, la scienza, la sapienza così dei singoli come di tutti, così di un sol uomo come di tutta la Chiesa coll’avanzare delle età e dei secoli; ma solo nel suo genere, cioè nello stesso dogma, nello stesso senso e nella stessa sentenza” (Loc. cit.).

[In questa parte dell’Enciclica, il Santo Padre continua a sviscerare gli errori dei modernisti, questa volta sottolineando il metodo operativo degli storici, dei critici della storia, degli apologeti, metodo nel quale è onnipresente la filosofia immanentista, con le teorie evoluzioniste, vitaliste ed agnostiche, … “metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei Cattolici, ma a trascinare i Cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione!”, come si legge nella lettera. L’analisi è lucida e stringente e non lascia spazio a farfugliamenti difensivi vani, ad ermeneutiche da “azzeccagarbugli” e ventriloqui vari in talare rosse o nera o bianca, perché sarebbero pura menzogna. Quel che più interessa oggi, è che chiunque abbia ancora un granello di sale “nella zucca” può constatare come queste immondezze teologiche, storiche, filosofiche, etc. siano di gran moda e siano tutte “cavalli di battaglia” della nuova falsa “chiesa dell’uomo”, quella edificata scaltramente dagli infiltrati della quinta colonna massonica, che detengono oggi nelle loro mani ciò che resta della Chiesa Cattolica apparente! Da queste osservazioni magisteriali contenute nella Pascendi, tutti possono capire con facilità, senza bisogno di altro aggiungere, da che parte è oggi la vera Chiesa, quella fondata da Gesù Cristo il Messia, contro il quale combattono gli avversari di sempre, atei, pagani, Giudei e kazari, infedeli, scismatici, ai quali si aggiungono gli avversari più subdoli attuali, gli gnostici di sempre infiltrati come “cavallo di Troia” nel Tempio santo di Dio, l’abominio della desolazione del “novus ordo”, istallato sugli altari delle chiese un tempo cattoliche, oggi appannaggio e pietre cancrenose della “sinagoga di satana”. Questo abominio della desolazione odierna ha un nome: è il modernismo postconciliare, mostro eruttante tutte le eresie possibili ed immaginabili …, non ultima la cancellazione del peccato contro lo Spirito Santo, quello che il Redentore dichiara non potersi perdonare né in cielo né in terra: il peccato impuro contro natura! Orrore! orrore! … che Dio, con l’ausilio della Santa Vergine e dell’Arcangelo Michele alla guida degli Angeli giustizieri, ci liberi! Ma leggiamo con calma ed intelletto – ndr. -].

“Ma ormai, dopo aver osservato nei seguaci del modernismo il filosofo, il credente, il teologo, resta che osserviamoparimente lo storico, il critico, l’apologista.Taluni dei modernisti, che si dànno a scrivere storia, paiono oltremodo solleciti di non passar per filosofi; cheanzi professano di essere affatto ignari di filosofia. È ciò un tratto di finissima astuzia: affinché nessuno credache essi siano infetti di pregiudizi filosofici e non siano perciò, come dicono, affatto obbiettivi. Ma il vero è, chela loro storia o critica non parla che con la lingua della filosofia; e le conseguenze che traggono, vengono digiusto raziocinio dai loro principî filosofici. Il che, a chi bene riflette, si fa subito manifesto. I primi tre canoni diquesti tali storici o critici sono quegli stessi principî, che sopra riportammo dai filosofi: cioè l’agnosticismo, ilteorema della trasfigurazione delle cose per la fede, e l’altro che Ci parve poter chiamare dello sfiguramento.Osserviamo le conseguenze che da ciascuno di questi si traggono. Dall’agnosticismo si ha che la storia, nonmeno che la scienza, si occupa solo dei fenomeni. Dunque, tanto Dio quanto un intervento qualsiasi divinonelle cose umane deve rimandarsi alla fede come di esclusiva sua pertinenza. Per lo che se trattasi di cosa incui s’incontri un duplice elemento, divino ed umano come Cristo, la Chiesa, i Sacramenti e simili, dovrà dividersie sceverarsi in modo che ciò che è umano si dia alla storia, ciò che è divino alla fede. Quindi quella distinzionecomune fra i modernisti, fra un Cristo storico ed un Cristo della fede, una Chiesa della storia ed unaChiesa della fede, fra Sacramenti della storia e Sacramenti della fede e via dicendo. Dipoi questo stesso elementoumano, che vediamolo storico prendersi per sé quale essa si porge nei monumenti, deve ritenersi sollevatodalla fede per trasfigurazione al di là delle condizioni storiche. Conviene perciò separarne di nuovo tuttele aggiunte fattevi: cosi, trattandosi di Gesù Cristo, tutto quello che passa la condizione dell’uomo sia naturale,quale si dà dalla psicologia, sia risultante dal luogo e dal tempo in che visse. Di più, per terzo principiofilosofico, pur quelle cose che non escono dalla cerchia della storia, le vagliano quasi e ne escludono, rimandandolo parimenti alla fede, tutto ciò che, secondo quanto dicono, non entra nella logica dei fatti o non era adatto alle persone. Di tal modo, vogliono che Cristo non abbia dette le cose che non sembrano essere alla portata del volgo. Quindi dalla storia reale di Lui cancellano e rimettono alla fede tutte le allegorie che incontransi nei suoi discorsi. Si vuol forse sapere con quali regole si compia questa cernita? Con quella del carattere dell’uomo, della condizione che ebbe nella società, della educazione, delle circostanze di ciascun fatto: a dir breve con una norma, se bene intendiamo, che si risolve per ultimo in mero soggettivismo. Si studiano cioé di prendere essi e quasi rivestire la persona di Gesù Cristo; ed a Lui ascrivono senza più quanto in simili circostanze avrebbero fatto essi stessi. Così dunque, per conchiudere, a priori, come suol dirsi, e coi principî di una filosofia, che essi ammettono ma ci asseriscono d’ignorare, nella storia che chiamano reale affermano Cristo non essere Dio né aver fatto nulla di divino; come uomo poi aver Lui fatto e detto quel tanto, che essi, riferendosi al tempo in cui Egli visse, Gli consentono di aver operato e parlato. Come poi la storia riceve dalla filosofia le sue conclusioni, così la critica le ha a sua volta dalla storia. Essendoché il critico seguendo gli indizi dati dallo storico, di tutti i documenti ne fa due parti. Tutto ciò che rimane, dopo il triplice taglio or ora descritto, lo assegna alla storia reale; il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna. Giacché queste due storie distinguono diligentemente i modernisti; e, ciò che e ben da notarsi, alla storia della fede contrappongono la storia reale in quanto è reale. Perciò, come già si è detto, un doppio Cristo; l’uno reale, l’altro che veramente non mai esisté ma appartiene alla fede; l’uno che visse in determinato luogo e tempo, l’altro che solo s’incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo’ d’esempio, è il Cristo descrittoci nell’Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non è che una meditazione. Ma qui non si arresta il dominio della filosofia nella storia. Fatta, come dicemmo, la divisione dei documenti in due parti, si presenta di nuovo il filosofo col suo principio dell’immanenza vitale, e prescrive che tutto quanto è nella storia della Chiesa debba spiegarsi per vitale emanazione. E poiché la causa o condizione di qualsiasi emanazione vitale deve ripetersi da un bisogno, si avrà che ogni avvenimento si dovrà concepire dopo il bisogno, e dovrà storicamente ritenersi posteriore a questo. Che fa allora lo storico? Datosi a studiar di nuovo i documenti, tanto nei Libri sacri quanto ricevuti altronde, va tessendo un catalogo dei singoli bisogni che man mano si presentarono nella Chiesa sia per riguardo al dogma, sia per riguardo al culto od altre materie: e quel catalogo trasmette poscia al critico. E questi mette indi mano ai documenti destinati alla storia della fede e li distribuisce in guisa di età in età, che rispondano al datogli elenco; rammentando sempre il precetto che il fatto è preceduto dal bisogno e la narrazione dal fatto. Potrà ben darsi talora che talune parti della Sacra Scrittura, come le Epistole, siano esse stesse il fatto creato dal bisogno. Checché sia però, deve aversi per regola che l’età di un documento qualsiasi non può determinarsi se non dall’età in cui ciascun bisogno si è manifestato nella Chiesa. – Di più è da distinguere fra l’inizio di un fatto e la sua esplicazione; poiché ciò che può nascere in un giorno, non cresce se non col tempo. E questa è la ragione perché il critico debba nuovamente spartire in due i documenti già disposti per età, sceverando quelli che riguardano le origini di un fatto da quelli che appartengono al suo svolgimento, e questi eziandio ordini secondo il succedersi dei tempi. – Ciò fatto, entra di nuovo in scena il filosofo, ed impone allo storico di compiere i suoi studi a seconda dei precetti e delle leggi dell’evoluzione. E lo storico torna a scrutare i documenti, ricerca sottilmente le circostanze e condizioni nelle quali, col succedersi dei tempi, la Chiesa si è trovata, i bisogni così interni che esterni che l’hanno spinta a progresso, gli ostacoli che incontrò: a dir breve, tutto ciò che giovi a determinare il modo onde furono mantenute le leggi della evoluzione. Compiuto un tal lavoro, egli finalmente tesse nelle sue linee principali la storia dello sviluppo dei fatti. – Segue il critico, che a questo tema storico adatta il restante dei documenti. Si dà mano a stendere la narrazione: la storia è compiuta. Or qui chiediamo, a chi dovrà attribuirsi una simile storia? allo storico forse od al critico? Per fermo né all’uno all’altro, sì bene al filosofo. Tutto il lavoro di essa è un lavoro di apriorismo, e di apriorismo riboccante di eresie. Fanno certamente pietà questi uomini, dei quali l’Apostolo ripeterebbe: “Svanirono nei pensamenti… imperocché vantandosi di essere sapienti, son divenuti stolti” (Rom., I, 21, 22); ma muovono in pari tempo a sdegno, quando poi accusano la Chiesa di manipolare i documenti in guisa da farli servire ai propri vantaggi. Addebitano cioè alla Chiesa ciò che dalla propria coscienza sentono apertamente rimproverarsi. Dall’avere così disgregati i documenti e seminatili lungo le età, segue naturalmente che i Libri sacri non possano di fatto attribuirsi agli autori, dei quali portano il nome. E questo è il motivo perché i modernisti non esitano punto nell’affermare che quei libri, e specialmente il Pentateuco ed i tre primi Vangeli, da una breve narrazione primitiva, son venuti man mano crescendo per aggiunte o interpolazioni, sia a maniera di interpretazioni o teologiche o allegoriche, sia a modo di transizioni che unissero fra sé le parti. A dir più breve e più chiaro vogliono che debba ammettersi la evoluzione vitale dei Libri sacri, nata dalla evoluzione della fede e ad essa corrispondente. Aggiungono di più, che le tracce di cotale evoluzione sono tanto manifeste, da potersene quasi scrivere una storia. La scrivono anzi questa storia, e con tanta sicurezza che si sarebbe tentati a creder aver essi visto coi propri occhi i singoli scrittori che di secolo in secolo stesero la mano all’ampliazione delle sante Scritture. A conferma di che, chiamano in aiuto la critica che dicono testuale; e si adoprano di persuadere che questo o quel fatto, questo o quel discorso non si trovi al suo posto e recano altre ragioni del medesimo stampo. Direbbesi per verità che si sieno prestabiliti certi quasi-tipi di narrazioni o parlate, che servano di criterio certissimo per giudicare ciò che stia al suo posto e ciò che sia fuor di luogo. Con siffatto metodo stimi chi può come costoro debbano essere capaci di giudicare. Eppure, chi li ascolti ad oracolare dei loro studi sulle Scritture, pei quali han potuto scoprirvi si gran numero di incongruenze, è spinto a credere che nessun uomo prima di loro abbia sfogliato quei libri, né che li abbia ricercati per ogni verso una quasi infinita schiera di Dottori, per ingegno, per scienza, per santità di vita più di loro. I quali Dottori sapientissimi, tanto fu lungi che trovassero nulla da riprendere nei Libri santi, che anzi quanto più ringraziavano Iddio, che si fosse così degnato di parlare con gli uomini. Ma purtroppo i Dottori nostri non attesero allo studio delle Scritture con quei mezzi, onde son forniti i modernisti! Cioè non ebbero a maestra e condottiera una filosofia che trae principio dalla negazione di Dio, né fecero a se stessi norma di giudicare. Crediamo adunque che sia ormai posto in luce il metodo storico dei modernisti. Precede il filosofo; segue lo storico; tengon dietro per ordine la critica interna e la testuale. E poiché la prima causa questo ha di proprio che comunica la sua virtù alle seconde, è evidente che siffatta critica non è una critica qualsiasi, ma una critica agnostica, immanentista, evoluzionista; e perciò chi la professa o ne fa uso, professa gli errori in essa racchiusi e si pone in contraddizione colla Dottrina Cattolica. Per la quale cosa non può finirsi di stupire come una critica di tal genere possa oggidì aver tanta voga presso cattolici. Di ciò può assegnarsi una doppia causa: la prima è l’alleanza onde gli storici ed i critici di questa specie sono legati fra loro senza riguardi a diversità di nazioni o di credenze; la seconda è l’audacia indicibile, con cui ogni stranezza che uno di loro proferisca, dagli altri è levata al cielo e decantata qual progresso della scienza; con cui, se taluno voglia da se stesso verificare il nuovo ritrovato, serratisi insieme lo assalgono, se talun lo neghi lo trattano da ignorante, se lo accolga e lo difenda lo ricoprono di encomî. Così non pochi restano ingannati che forse, se meglio vedessero le cose, ne sarebbero inorriditi. Da questo prepotente imporsi dei fuorviati, da questo incauto assentimento di animi leggeri nasce poi un quasi corrompimento di atmosfera che tutto penetra e diffonde per tutto il contagio. – Ma passiamo all’apologista. Costui, nei modernisti, dipende ancor esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando per sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del filosofo: poi direttamente accettando dal filosofo i principî e i giudizî. Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo che la nuova apologia debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e psicologiche. Ond’è che gli apologisti dan capo al loro lavoro coll’ammonire i razionalisti che essi difendono la Religione non coi Libri sacri né con le storie volgarmente usate nella Chiesa e scritte alla vecchia moda; ma con la storia reale composta a seconda dei moderni precetti e con metodo moderno. E ciò dicono, non quasi argomentando ad hominem, ma perché difatti credono che solo in tale storia si trovi la verità. Non si curano poi, nello scrivere, di insistere sulla propria sincerità: sono essi già noti presso i razionalisti, sono già lodati siccome militanti sotto una stessa bandiera; della quale lode, che ad un Cattolico dovrebbe fare ribrezzo, essi si compiacciono o se ne fanno scudo contro le riprensioni della Chiesa. Ma vediamo in pratica come uno di costoro compia la sua apologia. Il fine che si propone è di condurre l’uomo che ancora non crede a provare in sé quella esperienza della Cattolica Religione che, secondo i modernisti, è base della fede. Due vie perciò gli si aprono, l’una oggettiva, l’altra soggettiva. La prima muove dall’agnosticismo; e tende a dimostrare come nella religione e specialmente nella cattolica vi sia tale virtù vitale, da costringere ogni savio psicologo e storico ad ammettere che nella storia di essa si nasconda alcun che di incognito. A tale scopo fa d’uopo provare che la Religione Cattolica qual è al presente, è la stessissima che Gesù Cristo fondò, ossia il progressivo sviluppo del germe recato da Gesù Cristo. Pertanto dovrà dapprima determinarsi quale esso sia questo germe. Pretendono di esprimerlo con la seguente formula: Cristo annunciò la venuta del regno di Dio, il quale regno dovrebbe aver fra breve il suo compimento, ed Egli ne sarebbe il Messia, cioè l’esecutore stabilito da Dio e l’ordinatore. Dopo ciò converrà dimostrare come questo germe, sempre immanente nella Religione Cattolica, di mano in mano e di pari passo con la storia, siasi sviluppato e sia venuto adattandosi alle successive circostanze, da queste vitalmente assimilandosi quanto gli si affacesse di forme dottrinali, culturali, ecclesiastiche; superando nel tempo stesso gli ostacoli, sbaragliando i nemici, e sopravvivendo ad ogni sorta di contraddizioni o di lotte. Dopo che tutto questo, cioè gl’impedimenti, i nemici, le persecuzioni, i combattimenti, come pure la vitalità e fecondità della Chiesa, siansi mostrati tali che, quantunque nella storia della stessa Chiesa si scorgano serbate le leggi della evoluzione, pure queste non bastano a pienamente spiegarla: l’incognito sarà dl fronte e si presenterà da sé stesso. Fin qui i modernisti. I quali, però, in tutto questo discorrere, non pongon mente a una cosa; e cioè, che quella determinazione del germe primitivo è tutto frutto dell’apriorismo del filosofo agnostico ed evoluzionista, e che il germe stesso è così gratuitamente da loro definito pel buon giuoco della loro causa. Mentre però i nuovi apologisti, cogli argomenti arrecati, si studiano di affermare e persuadere la Religione Cattolica, non han riguardo a concedere che in essa molte cose sono che spiacciono. Che anzi, con una mal velata voluttà, van ripetendo pubblicamente che anche in materia dogmatica ritrovano errori e contraddizioni; benché soggiungano, che tali errori e contraddizioni non solo meritano scusa, ma, ciò che è più strano, sono da legittimarsi e giustificarsi. Così pure, secondo essi, nelle sacre Scritture corrono moltissimi sbagli in materia scientifica e storica. Ma, dicono, non sono quelli, libri di scienza o di storia, sì bene di religione e di morale, ove la scienza e la storia sono involucri con cui si coprono le esperienze religiose e morali per meglio propagarsi nel pubblico; il quale pubblico non intendendo altrimenti, una scienza od una storia più perfetta sarebbe gli stata non di vantaggio ma di nocumento. Del resto, aggiungono, i Libri sacri, perché di lor natura religiosi, sono essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verità e la sua logica; diversa certamente dalla verità e logica razionale, anzi di tutt’altro ordine, verità cioè di comparazione e proporzione sia coll’ambiente in cui si vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di sorta, che tutto ciò che si spiega con la vita è vero e legittimo. – Noi, Venerabili Fratelli, pei quali la verità è una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri come quelli che “scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno per autore Iddio” (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ciò essere il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilità o officiosa; e con le parole di Sant’Agostino protestiamo che: “Ammessa una volta in così altissima autorità qualche bugia officiosa, nessuna particella di quei libri resterà che, sembrando ad alcuno ardua per costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non si riferisca a consiglio o vantaggio dell’autore menzognero” (Epist. 28). Dal che seguirà quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: “In esse – cioè nelle Scritture – ciascuno crederà quel che vuole, quel che non vuole non crederà“. Ma i modernisti apologeti non si dàn pensiero di tanto. Concedono di più trovarsi talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina, che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si basano sulle profezie. Vero è che anche questi menan per buoni come artifizî di predicazione legittimati dalla vita. Che più? Concedono, anzi sostengono, che Gesù Cristo stesso errò manifestamente nell’assegnare il tempo della venuta del regno di Dio: ma ciò, secondo essi, non può fare meraviglia, perché Egli ancora era sottoposto alle leggi della vita! Che sarà dopo ciò dei dogmi della Chiesa? Riboccano pur questi di aperte contraddizioni; ma, oltreché sono ammesse dalla logica della vita, non si oppongono alla verità simbolica; giacché si tratta in essi dell’infinito, che ha infiniti rispetti. A far breve, talmente approvano e difendono siffatte teorie, che non si peritano di dichiarare non potersi rendere all’infinito omaggio più nobile, come affermando di esso cose contraddittorie! Ed ammessa così la contraddizione, quale assurdo non si ammetterà? Oltre agli argomenti oggettivi, il non credente può essere disposto alla fede anche con soggettivi. In questo caso gli apologeti modernisti si rifanno sulla dottrina della immanenza. Si adoprano cioè a convincer l’uomo, che in lui stesso e negli intimi recessi della sua natura e della sua vita si cela il desiderio e il bisogno di una religione, né di una religione qualsiasi, ma tale quale è appunto la cattolica; giacché questa, dicono, è postulata onninamente dal perfetto sviluppo della vita. E qui di bel nuovo siam costretti a lamentarCi gravemente che non mancano Cattolici i quali, benché rigettino la dottrina dell’immanenza come dottrina, pure se ne giovano per l’apologetica; e ciò fanno con sì poca cautela, da sembrare ammettere nella natura umana non pure una capacità od una convenienza per l’ordine soprannaturale, ciò che gli apologisti cattolici, con le debite restrizioni, dimostrarono sempre, ma una stretta e vera esigenza. A dir più giusto però, questa esigenza della Religione Cattolica è sostenuta dai modernisti più moderati. Quelli fra costoro che potremmo chiamare integralisti, pretendono che si debba indicare all’uomo, che ancor non crede, latente in lui lo stesso germe che fu nella coscienza di Cristo e da Cristo trasmesso agli uomini. Ed eccovi, o Venerabili Fratelli, descritto per sommi capi il metodo apologetico dei modernisti, in tutto conforme alle loro dottrine: metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei cattolici, ma a trascinare i cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione! – Restano per ultimo a dir poche cose del modernista in quanto la pretende a riformatore. Già le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano rôsi codesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicismo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminarî: sì che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la moderna filosofia. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi. Anche la storia chiedono che si scriva e si insegni con metodi loro e precetti nuovi. Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbano accordarsi con la scienza e la storia. Per il catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che sieno stati riformati e che sieno a portata dell’intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. Benché a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte più indulgenti. Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare con la coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perché dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare, Ci si passi la parola, l’autorità troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Officio e dell’Indice. Deve cambiarsi l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virtù attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l’esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all’antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Finalmente non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d’intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor principî riformare? – In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili Fratelli, prolissi forse oltre il dovere. Ma è stato ciò necessario, sì per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro cose, e sì perché si veda che, quando parlasi di modernismo, non parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo è che accetti tutto il rimanente. Perciò abbiam voluto altresì far uso di una forma quasi didattica, né abbiamo ricusato il barbaro linguaggio onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto i modernisti. Questi anzi tanto più oltre si spinsero che, come già osservammo, non pure il Cattolicesimo ma ogni qualsiasi religione hanno distrutta. Così si spiegano i plausi dei razionalisti: perciò coloro, che fra i razionalisti parlano più franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati più efficaci dei modernisti. E per fermo, rifacciamoci alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina dell’agnosticismo. Con essa, dalla parte dell’intelletto, è chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi? Il sentimento risponde sempre all’azione di un oggetto, che sia proposto dall’intelletto o dal senso. Togliete di mezzo l’intelletto; l’uomo, già portato a seguire il senso, lo seguirà con più impeto. Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell’animo non è di aiuto ma d’impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale è in se; giacché quell’altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell’azione, se è acconcio per giocare di parole, poco interessa l’uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovrà cadere. Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che può aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa più ferma la persuasione della verità dell’oggetto. Ma queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a miglior diritto è sentimento. Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in specialità, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono più solidità di dottrina e più sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano. Perché allora, lo diciamo qui di passata, perché, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l’avrà uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cioè battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterrà che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell’intelletto, mai non si potrà giungere alla conoscenza di Dio. Dunque resta di nuovo o l’ateismo o l’irreligione assoluta. Né i modernisti hanno nulla a sperar di meglio dalla loro dottrina del simbolismo. Imperciocché se tutti gli elementi che dicono intellettuali non sono che puri simboli di Dio, perché non sarà un simbolo il nome stesso di Dio o di personalità divina? E se è cosi, si potrà bene dubitare della stessa divina personalità, ed avremo aperta la via al panteismo. E qua similmente, cioè al puro panteismo, mena l’altra dottrina dell’immanenza divina. Giacché domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Iddio dall’uomo? Se lo distingue, in che differisce adunque cotal dottrina dalla cattolica? o perché mai rigetta quella della esterna rivelazione? Se poi non lo distingue, eccoci di bel nuovo col panteismo. Ma difatto l’immanenza dei modernisti vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza inferiamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa; e perciò il panteismo. Finalmente pari è la conseguenza che si trae dalla loro decantata distinzione fra la scienza e la fede. L’oggetto della scienza lo pongono essi nella realtà del conoscibile; quello della fede nella realtà dell’inconoscibile. Orbene l’inconoscibile è tale per la totale mancanza di proporzione fra l’oggetto e la mente. Ma questa mancanza di proporzione, secondo gli stessi modernisti, non potrà mai esser tolta. Dunque l’inconoscibile resterà sempre inconoscibile tanto pel credente quanto pel filosofo. Dunque se si avrà una religione, questa sarà della realtà dell’inconoscibile. La quale realtà perché poi non possa essere l’anima universale del mondo, come l’ammettono taluni razionalisti, noi nol vediamo. Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. L’errore dei protestanti dié il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo: a breve distanza dovrà seguire l’ateismo. – A più intimamente conoscere il modernismo e a trovare più acconci rimedi a sì grave malore, gioverà ora, o Venerabili Fratelli, ricercare alquanto le cause, onde esso è nato ed è venuto crescendo. Non ha dubbio che la prima causa ed immediata sta nell’aberrazione dell’intelletto. Quali cause remote due Noi ne riconosciamo:la curiosità e la superbia. La curiosità, se non saggiamente frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni fatta di errori. Per lo che il Nostro Predecessore Gregorio XVI a buon diritto scriveva (Lett. Enc. “Singulari Nos”, 25 giugno 1834): “È grandemente da piangere nel vedere fin dove si profondino i deliramenti dell’umana ragione, quando taluno corra dietro alle novità, e, contro l’avviso dell’Apostolo, si adoperi di saper più che saper non convenga, e confidando troppo in se stesso, pensi dover cercare la verità fuori della Chiesa cattolica, in cui, senza imbratto di pur lievissimo errore, essa si trova“. Ma ad accecare l’animo e trascinarlo nell’errore assai più di forza ha in sé la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del modernismo quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e riveste tutte le forme. Per la superbia infatti costoro presumono audacemente di se stessi e si ritengono e si spacciano come norma di tutti. Per la superbia si gloriano vanissimamente quasi essi soli possiedano la sapienza, e dicono gonfi e pettoruti: “Noi non siamo come il rimanente degli uomini“; e per non essere di fatto posti a paro degli altri, abbracciano e sognano ogni sorta di novità, le più assurde. Per la superbia ricusano ogni soggezione, e pretendono che l’autorità debba comporsi colla libertà. Per la superbia, dimentichi di se stessi, pensano solo a riformare gli altri, né rispettano in ciò qualsivoglia grado fino alla potestà suprema. No, per giungere al modernismo, non vi è sentiero più breve e spedito della superbia. Se un laico cattolico, se un sacerdote dimentichi il precetto della vita cristiana che c’impone di rinnegare noi stessi se vogliamo seguire Gesù Cristo, né sradichi dal suo cuore la mala pianta della superbia; sì costui è dispostissimo quanto mai a professare gli errori del modernismo! Per lo che, o Venerabili Fratelli, sia questo il primo vostro dovere di resistenza a questi uomini superbi, occuparli negli uffici più umili ed oscuri, affinché siano tanto più depressi quanto più essi s’inalberano, e, posti in basso, abbiano minor campo di nuocere. Inoltre, sia da voi stessi, sia per mezzo dei rettori dei Seminari, cercate con somma diligenza di conoscere i giovani che aspirano ad entrare nel clero; e se alcuno ne troviate di carattere superbo, con ogni risolutezza respingetelo dal sacerdozio. Si fosse cosi operato sempre, colla vigilanza e fortezza che faceva di mestieri! Che se dalle cause morali veniamo a quelle che spettano all’intelletto, la prima da notarsi è l’ignoranza. I modernisti, quanti essi sono, che vogliono apparire e farla da dottori nella Chiesa, esaltando a grandi voci la filosofia moderna e schernendo la scolastica, se hanno abbracciata la prima ingannati dai suoi orpelli, ne devono saper grado alla totale ignoranza in che erano della seconda, e dal mancare perciò di mezzo per riconoscere la confusione delle idee e ribattere i sofismi. Dal connubio poi della falsa filosofia colla fede è sorto il loro sistema, riboccante di tanti e si enormi errori. Alla propagazione del quale portassero almeno un minor zelo ed ardore di quel che fanno! Tanta invece è la loro alacrità, cosi indefesso il lavoro, che da strazio il vedere consumate tante forze a danno della Chiesa, le quali, rettamente usate, le sarebbero di vantaggio grandissimo. A trarre poi in inganno gli animi una doppia tattica essi usano: prima si sbarazzano degli ostacoli, poi cercano con somma cura i mezzi che loro giovino, ed instancabili e pazientissimi li mettono in opera. Degli ostacoli, tre sono i principali che più sentono opposti ai loro conati: il metodo scolastico di ragionare, l’autorità dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico. Contro tutto questo la loro lotta è accanita. Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ciò facciano per ignoranza, sia che il facciano per timore o meglio per l’una cosa insieme e per l’altra; certo si è che la smania di novità va sempre in essi congiunta coll’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno cominci a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, Prop. 12): “Il metodo ed i principî, con cui gli antichi Dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza“. Sono poi astutissimi nello stravolgere la natura e l’efficacia della Tradizione, alfin di privarla di ogni peso e di ogni autorità. Ma starà sempre per i cattolici l’autorità del secondo Sinodo Niceno, il quale condannò “coloro che osano… secondo gli scellerati eretici, disprezzare le ecclesiastiche tradizioni ed escogitare qualsiasi novità o architettare con malizia ed astuzia di abbattere checché sia delle legittime tradizioni della Chiesa cattolica“. Starà sempre la professione del quarto Sinodo Costantinopolitano: “Noi dunque professiamo di serbare e custodire le regole, che tanto dai santi famosissimi Apostoli, quanto dagli uni versali e locali Concili degli ortodossi o anche da qualunque deiloquo Padre e Maestro della Chiesa, furono date alla santa cattolica ed apostolica Chiesa“. Per lo che i Romani Pontefici Pio IV e Pio IX nella professione di fede vollero aggiunto anche questo: “Io ammetto fermissimamente ed abbraccio le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni della medesima Chiesa“. Né altrimenti che della Tradizione giudicano i modernisti dei santissimi Padri dellaChiesa. Con estrema temerità li spacciano, come degnissimi bensì di ogni venerazione, ma ignorantissimi dicritica e di storia, scusabili solo pei tempi in che vissero. Si studiano infine e si sforzano di attenuare e svilirel’autorità dello stesso Magistero ecclesiastico, sia pervertendo ne sacrilegamente l’origine, la natura, i diritti,sia ricantando liberamente contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra detto ciòche con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro (Motu proprio “Ut mysticam“, 14 marzo 1891): “Per rendere spregiata ed odiosa la mistica Sposa di Cristo, che è la luce vera, i figli delle tenebre furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e, stravolto il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di oscurità, mentitrice d’ignoranza, nemica della luce e del progresso delle scienze“. Dopociò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? Non vi è specie d’ingiurie con cui non li lacerino: l’accusa più usuale è quella di chiamarli ignoranti ed ostinati. Che se la dottrina e l’efficacia di chi li confuta dà loro timore, ne incidono i nervi colla congiura del silenzio. E questa maniera di fare a riguardo dei cattolici è tanto più odiosa perché nel medesimo tempo e senza modo né misura, con continue lodi esaltano chi sta dalla loro; i libri di costoro riboccanti di novità accolgono ed ammirano con grandi applausi; quanto più alcuno si mostra audace nel distruggere l’antico, nel rigettare la tradizione e il magistero ecclesiastico, tanto più gli dàn vanto di sapiente; e per ultimo, ciò che fa inorridire ogni anima retta, se qualcuno sia con dannato dalla Chiesa non solo pubblicamente e profusamente lo encomiano, ma quasi lo venerano come martire della verità. Da tutto questo strepito di lodi e d’improperi colpiti e turbati gli animi giovanili, da una parte per non passare per ignoranti, dall’altra per parere sapienti spinti internamente dalla curiosità e dalla superbia, si dànno per vinti e passano al modernismo. Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti siano tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll’azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usciti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant’oltre, pure, respirata un’aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l’intenzione con cui operano e per l’aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti. A questo torrente di gravissimi errori, che di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoperò con detti e con fatti di opporsi fortemente Leone XIII Predecessore Nostro di felice ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture. Ma i modernisti, lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il maggior rispetto ed una somma umiltà, stravolsero a loro senso le parole del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad altri. Cosi il male è venuto pigliando forza ogni giorno più. – Abbiamo dunque deciso, o Venerabili Fratelli, di non tergiversare più oltre e di por mano a misure più energiche. Preghiamo perciò e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altresì e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.

I

La prima cosa adunque, per ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai di nostri” (Leone XIII, Enc. “Æterni Patris“). Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno. Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico. Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Imperocché “nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle” (Leone XIII, Lett. Ap. “In magna“, 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, sembrarCi altresì degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ciò che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che pel passato: ciò nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica. – In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1580): “Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl’ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio“. Questo però senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): “La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori“. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.

II

A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l’attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri così dei Seminari come delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall’ufficio cosi di reggere e cosi d’insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoché sull’esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì ma con fortezza. Con non minore vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci! A niuno in avvenire si conceda la laurea dì teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò non ostante venisse concessa, sia nulla. Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò nell’anno 1896 pei chierici d’Italia dell’uno e dell’altro clero circa il frequentare le Università, stabiliamo che d’ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si è ciò permesso per il passato, ordiniamo che più non si conceda nell’avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.

III

È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni Cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa sì che tali libri siano letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo. – Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in sì grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne è cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè pel troppo attendere il male ha già preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridio dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi“. Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s’impone in pari tempo un dovere. Né stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l’uno o l’altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Irnprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nell’autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si confà a tutti egual mente, cosi un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bensì che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica. A tutti finalmente ricordiamo l’articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Tutti coloro che abbiano ottenuta facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perciò autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell’indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia“.

IV

Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d’uopo impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione “Officiorum“, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa con la parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dal Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll’annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circo stanze straordinarie e rarissimamente si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne secretamente il parere del Superiore provinciale, o, se si tratta di Roma, del Generale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina dell’eligendo. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo. Detto ciò generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza più diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum“, cioè: “È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici“. Del quale permesso, dopo ammonizione, saràprivato chiunque ne facesse mal uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori,poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano iVescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso conogni autorità ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ciò trascurati,provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai Cattoliciabbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sarà obbligo di questo leggere opportunamentei singoli fogli o fascicoli, dopo già pubblicati: se cosa alcuna troverà di pericoloso, ordinerà che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato.

V

Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di Sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potrà intervenire Sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo. A tutti i Sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. “Nobilissima Gallorum“, 10 febbraio 1884): “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile“.

VI

Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso espediente estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell’Umbria (Atti del Congr. dei Vescovi dell’Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Ad estirpare – così essi – gli errori già diffusi e ad impedire che più oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si afforzi e cresca“. Stabiliamo adunque che un siffatto Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno colle stesse norme già prescritte pei Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si raccoglierà in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di secreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gl’indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è d’uopo per la incolumità del clero e della gioventù. Combattano le novità di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII (S. C. AA. EE. SS., 27 gennaio 1901): “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che ispirandosi a malsana novità sembrasse deridere la pietà dei fedeli ed accennasse a nuovi orientamenti della vita cristiana, a nuove direzioni della Chiesa, a nuove ispirazioni dell’anima moderna, a nuova vocazione del clero, a nuova civiltà cristiana“. Tutto questo non si sopporti così nei libri come dalle cattedre.Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non permettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioniche sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni risolute specialmente, come il più delle volte accade,quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni. Circa le sacreReliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano con certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli… Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avrà valore quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si abbiano argomenti certi che sono false o supposte“. Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perciò ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti“. Niun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocché il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: in quanto poi è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie. Commettiamo infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinché nulla vi si celi di modernismo, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.

VII

Le cose fin qui stabilite affinché non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti. Queste cose, o Venerabili Fratelli, abbiam creduto di scrivervi per salute di ogni credente. I nemici della Chiesa certamente ne abuseranno per ribadire la vecchia accusa, per cui siamo fatti passare come avversi alla scienza ed al progresso della civiltà. A tali accuse, che trovano smentita in ogni pagina della storia della Chiesa, alfine di opporre alcun che di nuovo, è Nostro consiglio di accordare ogni favore e protezione ad un nuovo Istituto, da cui, coll’aiuto di quanti fra i Cattolici sono più insigni per fama di sapienza, ogni fatta di scienza e di erudizione, sotto la guida ed il Magistero della cattolica verità, sia promossa. Assecondi Iddio i Nostri disegni e Ci prestino aiuto quanti di vero amore amano la Chiesa di Gesù Cristo. Ma di ciò in altra opportunità. A Voi intanto, o Venerabili Fratelli, nella cui opera e zelo sommamente confidiamo, imploriamo di tutto cuore la pienezza dei lumi Celesti, affinché in tanto periglio delle anime per gli errori che da ogni banda s’infiltrano, scorgiate quel che far vi convenga; e con ogni ardore e fortezza lo eseguiate. Vi assista colla Sua virtù Gesù Cristo autore e consumatore della nostra fede; vi assista coll’intercessione e coll’aiuto la Vergine Immacolata profligatrice di tutte le eresie. – E Noi, come pegno della Nostra carità e delle divine consolazioni fra tante contrarietà, impartiamo con ogni affetto a voi, al vostro clero ed ai vostri fedeli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 settembre 1907, nell’anno V del Nostro Pontificato.

“LAMENTABILI SANE EXITU”

“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E

COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. – È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. – Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:

1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2. L’interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.

3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l’esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.

4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.

5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.

6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.

7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.

8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.

9. Coloro che credono che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.

10. L’ispirazione dei Libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.

11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.

12. L’esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l’origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.

13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.

14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.

15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.

16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.

17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo Incarnato.

18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.

19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio.

21. La Rivelazione, che costituisce l’oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.

24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.

28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.

29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.

30. In tutti i testi evangelici, il nome “Figlio di Dio” equivale soltanto a nome “Messia” e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.

31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.

32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.

33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.

34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi – non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale – secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.

35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.

36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.

37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.

38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.

39. Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.

40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.

41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.

42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.

43. L’uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un’evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.

44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.

45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell’istituzione dell’Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.

46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.

47. Le parole del Signore “Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi” [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento dellaPenitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.

48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.

49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l’indole di un’azione liturgica.

50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o Vescovi per provvedere all’ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.

51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.

52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.

53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.

54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.

55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.

56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.

58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.

61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.

62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i cristiani del nostro tempo.

63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.

64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.

65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un Cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant’Uffizio, il giorno 3 del mese di Luglio dell’Anno 1907

Pietro Palombelli

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

SACRORUM ANTISTITUM

Motu proprio

che stabilisce alcune leggi per respingere il pericolo del modernismo

Acta Apostolicae Sedis, AAS 02 [1910], pp. 655-669,


Riteniamo che non sia sfuggito a nessuno dei santi Vescovi, che i modernisti, la maliziosissima categoria d’uomini che avevamo smascherato per loro nella Lettera enciclica Pascendi Dominici Gregis, non si sono astenuti dai propositi di turbare la pace della Chiesa.

Infatti hanno continuato ad adescare nuovi seguaci e a farli associare mediante un’alleanza segreta, e con essi ad inoculare nelle vene del cristianesimo il virus delle loro opinioni, pubblicando, anonimamente o sotto pseudonimi, libri ed articoli.

Se, riletta la summenzionata Nostra Lettera, si considera con più attenzione lo sviluppo di quest’audacia, per mezzo della quale Ci è arrecato tanto dolore, apparirà chiaramente che uomini di tale condotta non sono altro che quelli che abbiamo già descritto là, nemici tanto più temibili quanto più sono vicini; i quali abusano del loro ministero per porre sull’amo un’esca avvelenata con cui corrompere gli sprovveduti, divulgando un’apparenza di dottrina, in cui è contenuta la somma di tutti gli errori.

Dato che questa peste si sparge attraverso quella parte del campo del Signore da cui ci si aspetterebbero i frutti più lieti, se da un lato è proprio di tutti i Vescovi spendersi in difesa della fede cattolica, e vigilare con somma diligenza affinché l’integrità del deposito divino non riceva alcun danno, dall’altro lato a Noi è di massima pertinenza fare ciò che ha comandato Cristo Salvatore, il quale a Pietro (il cui principato, seppur indegnamente, Noi abbiamo ricevuto,) disse: Conferma i tuoi fratelli. Appunto per questa causa, cioè, affinché gli animi dei buoni siano confermati nell’affrontare la presente battaglia, abbiamo ritenuto opportuno riportare delle frasi e delle prescrizioni del Nostro suddetto documento, espresse con queste parole:

A queste cose, che chiaramente confermiamo tutte, pena un peso sulla coscienza per coloro che avranno rifiutato di ascoltare quanto detto, ne aggiungiamo altre, che sono specificamente riferite agli aspiranti sacerdoti che vivono nei Seminari e ai novizi degli istituti religiosi.

– Nei Seminari certamente occorre che tutte le parti dell’istituzione tendano al medesimo fine di formare un sacerdote degno di tale nome. Ed infatti non si può ritenere che simili tirocini si estendano solamente o agli studi o alla pietà. L’ammaestramento fonde in un tutto unico entrambi gli aspetti, ed essi sono simili a palestre finalizzate a formare la sacra milizia di Cristo con una preparazione duratura. Dunque affinché da essi esca un esercito ottimamente istruito, sono assolutamente necessarie due cose, la cultura per l’istruzione della mente, la virtù per la perfezione dell’anima. L’una richiede che la gioventù che si prepara al sacerdozio sia massimamente istruita in quelle scienze che hanno un legame più stretto con gli studi delle cose divine; l’altra esige una straordinaria eccellenza di virtù e di costanza. Vedano dunque i rettori quale aspettativa di disciplina e di pietà si possa nutrire riguardo agli allievi, e scrutino quale sia l’indole dei singoli; se seguono il loro istinto più giusto o se sembrano abbracciare delle disposizioni di spirito profane; se sono docili nell’obbedire, inclini alla pietà, umili, osservanti della disciplina; se aspirano alla dignità di sacerdote perché si sono prefissati il giusto obiettivo, o perché spinti da ragioni umane; se, infine, sono adeguatamente ricchi di santità di vita e di cultura; o se, mancando loro qualcosa di queste, si sforzano almeno di acquisirla con animo sincero e pronto. Né l’indagine presenta troppa difficoltà; giacché i doveri religiosi compiuti lamentandosi, e la disciplina osservata a causa del timore e non della voce della coscienza, rivelano immediatamente la mancanza delle virtù che ho elencato. Colui che tiene come principio il timore servile, o si infiacchisce per debolezza di carattere o disprezzo, è quanto mai lontano dalla speranza di poter esercitare santamente il sacerdozio. Infatti difficilmente si può credere che uno che disprezza le discipline domestiche non verrà poi meno alle leggi pubbliche della Chiesa. Se il rettore della scuola avrà individuato qualcuno con questa disposizione d’animo, e se, dopo averlo ammonito più volte, fatta una prova di un anno, avrà capito che quello non desiste dalla sua consuetudine, lo espella, in modo tale che in futuro non possa più essere accettato né da lui né da alcun Vescovo.

Dunque per promuovere i chierici si richiedano assolutamente queste due; l’onestà di vita unita alla sana dottrina: E non sfugga che quei precetti e moniti coi quali i Vescovi si rivolgono a coloro che stanno per ricevere gli ordini sacri, sono rivolti a questi non meno che a coloro che vi aspirano, allorché viene detto: “Si deve fare in modo che quelli scelti per tale compito siano illustri per saggezza spirituale, onestà di costumi e costante rispetto della giustizia … Siano onesti e assennati tanto nella scienza quanto nelle opere … splenda in essi la bellezza della santità nella sua interezza“.

E certamente dell’onestà di vita si sarebbe detto abbastanza, se questa potesse con poco sforzo essere separata dalla cultura e dalle opinioni, che ciascuno si sarà riservato di sostenere. Ma, come è nel Libro dei Proverbi: L’uomo è stimato secondo la sua cultura (Prov. XII, 8)e come insegna l’Apostolo: Chi… non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio (II Giov., 9). Quanto impegno sia da dedicare alle molte e varie cose da imparare bene, lo insegna persino la stessa pretesa dell’epoca attuale, la quale proclama che niente è più glorioso della luce dell’umanità che progredisce. Dunque quanti sono nelle file del clero, se vogliono dedicarsi al loro compito conformemente ai tempi;con frutto esortare gli altri nella sana dottrina e convincere quelli che la contraddicono (Tito, I,9); applicare le risorse dell’ingegno a vantaggio della Chiesa, devono necessariamente raggiungere una conoscenza delle cose tutt’altro che di basso livello, e avvicinarsi all’eccellenza nella cultura. Infatti c’è da lottare con nemici tutt’altro che inesperti, i quali aggiungono ai buoni studi un sapere spesso intessuto di trabocchetti, e le cui sentenze belle e vibranti sono proposte con grande abbondanza e rimbombo di parole, affinché in esse sembri risuonare quasi un qualcosa di esotico. Perciò bisogna predisporre opportunamente le armi, cioè, preparare abbondante foraggio di cultura per tutti coloro che, nella vita ritirata della scuola, si stanno accingendo ad assumere incarichi santissimi e difficilissimi.

E’ vero che, poiché la vita dell’uomo è circoscritta da limiti tali per cui da un fonte ricchissimo di conoscenze a stento è dato di assaggiare qualcosa a fior di labbra, bisogna anche temperare la sete di apprendimento e rammentare l’affermazione di Paolo: non è pio sapere tutto quanto necessita sapere, ma sapere in giusta misura (Rom. XII,3). Per cui, dato che ai chierici già sono imposti molti e pesanti studi, sia per quanto riguarda le sacre scritture, i fondamenti della Fede, le consuetudini, la conoscenza delle devozioni e delle celebrazioni, che vanno sotto il nome di ascetica, sia per quanto riguarda la storia della Chiesa, il diritto canonico, la sacra eloquenza; affinché i giovani non perdano tempo nel seguire altre questioni e non vengano distratti dallo studio principale, vietiamo del tutto a costoro la lettura di qualsiasi quotidiano e periodico, anche se ottimo, pena un onere sulla coscienza di quei rettori che non avranno vigilato scrupolosamente per impedirlo.

Inoltre per allontanare il sospetto che qualsiasi modernismo si introduca di nascosto, non solo vogliamo che siano assolutamente rispettate le cose prescritte sopra al n° II, ma comandiamo inoltre che ogni singolo insegnante, prima di cominciare le lezioni all’inizio dell’anno, mostri al suo Vescovo il testo che si propone di insegnare, o le questioni che tratterà, oppure le tesi; quindi che per quell’anno stesso sia tenuto sotto osservazione il metodo d’insegnamento di ciascuno; e se questo sembrerà allontanarsi dalla sana dottrina, sarà causa sufficiente per rimuovere quell’insegnante. Ed infine, che, oltre alla professione di fede, presti giuramento al suo Vescovo, secondo la formula sotto riportata, e firmi.

Questo giuramento, preceduto da una professione di fede nella formula prescritta dal Nostro Predecessore Pio IV, con allegate le definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno dunque davanti al loro Vescovo:

I. I chierici che stanno per ricevere gli ordini maggiori; ad essi singolarmente sia previamente consegnato un esemplare sia della professione di fede, sia della formula del giuramento da emettere, in modo che le conoscano in anticipo accuratamente, essendovi una sanzione, come si vedrà sotto, in caso di violazione del giuramento.

II. I sacerdoti destinati a raccogliere le confessioni, e i sacri predicatori, prima che sia loro concessa facoltà di svolgere tali compiti.

III. I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di entrare in possesso del beneficio.

IV. Gli ufficiali nelle curie episcopali e nei tribunali ecclesiastici, inclusi il Vicario generale e i giudici.

V. Gli addetti ai sermoni che si tengono nei tempi quaresimali.

VI. Tutti gli ufficiali nelle Congregazioni Romane o nei tribunali, in presenza del Cardinale Prefetto o del Segretario di quella Congregazione o di quel tribunale.

VII. I Superiori e i Docenti delle Famiglie e Congregazioni religiose, prima di assumere l’incarico.

I documenti della professione di fede, di cui abbiamo detto, e dell’avvenuto giuramento siano conservati in appositi registri presso le Curie episcopali, e parimenti presso gli uffici di ciascuna Congregazione Romana. Se poi qualcuno osasse, Dio non voglia, violare qualche giuramento, costui sia deferito al tribunale del Sant’Uffizio.

FORMULA DEL GIURAMENTO

Io … fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal Magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano.

Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli Apostoli (S. Ireneo, Adversus hæreses, 4, 26, 2: PG 7, 1053), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (Tertulliano, De præscriptione hæreticorum, 28: PL 2, 40).

Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (67): IL MODERNISMO (1)

GNOSI, TEOLOGIA DI Satana (67)

IL MODERNISMO

(Enciclopedia Cattolica, C.d. V., vol. VIII Coll. 1188-1197; 1952)

MODERNISMO. – È l’indirizzo eterodosso delineatosi fra gli studiosi cattolici alla ine del secolo scorso e nei primi anni del presente, che si proponeva di rinnovare e interpretare la dottrina cristiana in armonia col pensiero moderno. Il termine modernismo ricorre ufficialmente la prima volta nell’Enciclica Pascendi dominici gregis del papa Pio X come comune denominazione di un complesso di errori in tutti i campi della dottrina cattolica (S. Scrittura, dogmi, culto, filosofia) per ridurlo al nucleo originario.

SOMMARIO: I. Genesi storica. – II. L’Enciclica, « Pascendi » III. Indole dottrinale. – IV. Errori principali, – V. Critica.

I. GENESI STORICA. — L’origine remota del Modernismo è da vedere nell’irrequietezza e bramosia di novità che sino dai pontificati di Gregorio XVI e di Pio IX serpeggiavano in alcuni ambienti cattolici, specialmente in Francia, insofferenti della teologia scolastica: le condanne dell’’indifferentismo di Lamennais (1834), del tradizionalismo di Bautain (1840) e del Bonetty (1855), del razionalismo di G. Hermes (1835), di Günter (1857) dell’ontologismo (1861) e del Frohschammers (1962), il cumulo di errori raccolti nel Sillabo di Pio IX (1864) sono le tappe dell’errore e i sintomi della tempesta che si addensava per la Chiesa. La celebrazione del Concilio Vaticano (1870) fu per un poco il provvidenziale argine: lo costituzione dogmatica De fide catholica definiva i rapporti tra scienza e fede e stabiliva l’essenza soprannaturale della fede e quindi della genuina nozione cattolica della Rivelazione e dell’ispirazione biblica; la costituzione I., l’unica portata a termine) De Ecclesia Christi affermava la divina autorità della Chiesa e il suo infallibile Magistero nella persona del successore del Principe degli Apostoli, il Romano Pontefice. Le prime avvisaglie della nuova eresia nel campo cattolico si maturano in Francia, dopo il Renan, con l’opera di A. Loisy, e la tendenza di non pochi studiosi cattolici, che intendevano adeguarsi ai risultati delle recenti indagini della storia comparata delle religioni e dei dogmi, della filologia dei testi, dell’archeologia biblica per fornire un’apologetica del Cristianesimo conforme ai bisogni dei tempi nuovi. La Chiesa aveva già riconosciuta la necessità di un opportuno ed urgente rinnovamento degli studi sacri e biblici in particolare e ne è documento l’Encicl. Providentissimus Deus (1893) di Leone XIII che ne tracciava il senso, il programma ed i principi: l’Enciclica lasciava allo studioso privato ampio campo di ricerca per tutti quei punti « qui expositionem certam et definitam adhuc desiderant » (Denz-U, 1942), mentre per i punti già definiti dalla Chiesa egli li poteva ancora approfondire, adattare ai bisogni dei tempi e difenderli dagli attacchi degli avversari.  All’uopo lo stesso Pontefice istituì la Pontificia Commissione Biblica (1902) ma il Loisy procedette per la sua via e il modernismo poté diffondersi e organizzarsi in Inghilterra col Tyrrell, in Italia col Buonaiuti, Murri, Minocchi ed in alcuni ambienti cattolici tedeschi, con un’ampiezza e penetrazione sempre più preoccupanti. – Toccò a Pio X l’arduo compito di smascherare l’eresia; e, fatto unico nella storia della Chiesa, il modernismo sprofondò su se stesso quasi immediatamente. Il primo intervento di Pio X fu il decreto del S. Uffizio Lamentabili del 3 luglio 1907, che riassume in 65 articoli i nuovi errori. Il decreto divenne condanna solenne con l’encicl. Pascendi dell’8 settembre dello stesso anno 1907; l’Enciclica, con grande sorpresa degli stessi fautori del modernismo, ha condensata la « sintesi logica dei loro principi con una « magistrale esposizione critica ed una critica magnifica » (G. Gentile). Infine, per evitare ogni compromesso e ambiguità nella sfera dell’insegnamento e della disciplina ecclesiastica, Pio X col motu proprio Sacrorum Antistitum del 1 sett. 1910, richiamandosi espressamente ai due documenti precedenti, pubblicava la formula del « giuramento antimodernista » che presenta ad un tempo i caposaldi della dottrina cattolica e i principali errori del modernismo che la volevano scalzare. Si può dire che così finisce la storia del modernismo, il cui doloroso ma ormai necessario epilogo furono le condanne pontificie dei capi dimostratisi ribelli o ricalcitranti. Invano alcuni fautori del modernismo (Programma dei modernisti, 2a, ed., Torini 1911, p. 97 sg.) si sono richiamati alle dottrine del Newmann sul « senso illativo » della fede e sull’evoluzione dei dogmi da lui difesa, perché egli ha sempre mantenuta la necessità della guida del Magistero ecclesiastico (cfr. J. Guitton, La philosophie de Newman. Essai sur l’idée de développement, Parigi 1933, p. 166 sgg.). In particolare l’idea centrale del modernismo di un antagonismo insanabile tra la tradizione della Chiesa e il pensiero contemporaneo a discrezione completa di quest’ultimo, è in aperto contrasto con la formola dello sviluppo del dogma di Newman secondo il quale « i vecchi principi ritornano sotto nuove forme, e l’idea cambia con essi per poter rimanere identica », principio che doveva impedire piuttosto che favorire il modernismo. (Essay on the development of christian doctrine, Londra 1878, p. 40). Del resto l’ortodossia di Newman è stata difesa da Pio X nella lettera al Vescovo di Limerick del 10 marzo 1908: « Profecto in tanta locubrationum eius copia, quidpiam reperiri potest, quod ad usitata theologorum ratione videatur, nihil potest quod de ipsius fide suspicionem afferat » (Acta S. Sedis, 41 [1908], p. 201). – In senso analogo, non vanno espressamente compresi nel modernismo condannato dall’Enciclica (e furono la maggior parte) quegli studiosi che, pur simpatizzando per le nuove idee, hanno accettato la decisione pontificia protestando di voler rimanere fedeli all’autorità della Chiesa. Fra questi va forse compreso anche il barone von Hügel (1852-1925) che subì profondamente l’influenza del Newmann (cf. M. Schillter-Hermkes, Friedrich von gel, Religion als Ganaheit, Düsseldorf 1948, p. 441 sgg.) : approfittando del favore che godeva presso i modernisti egli tentò, quanto era in suo potere, di riportare il Loisy e il Tyrrell all’obbedienza alla Chiesa (op. cit., p. 467 sgg. dove l’autore conchiude : « Hügels Religionsphilosophie ist also unzweidentig antimodernistisch »; tuttavia, a p. 480, n. 180 è riportata la lettera del 4 maggio 1907 del card. Steinhuber, prefetto dell’Indice, al card. Ferrari nella quale si deploravano gli scritti del v. Hügel insieme con quelli del Tyrrell, Fogazzaro e Murri. Ma è ancora prima di ogni condanna formale; difende l’ortodossia del v. Hügel anche M. Nédoncelle, La pensée religieuse de Fr. von Hügel, Parigi 1935, pp. 15-40).

II. L’ENCICLICA «PASCENDI ». — Considerata nel suo contenuto, nel procedere ed anche nello stile del tutto inconfondibile, è un documento fra i più decisivi del supremo Magistero, e fra tutti gli atti di Pio X resta il monumento più insigne del suo pontificato, documento delle sue più accorate preoccupazioni e come completamento definitivo di quella diga alla marea dei moderni errori, che da un secolo ormai teneva impegnata l’opera del Pontificato romano per la salvezza della fede. La sua caratteristica è nella struttura fortemente teoretica che le conferisce una singolare trasparenza, attraverso la quale le molteplici aberrazioni del modernismo, si dissolvono rivelando la loro stortura e l’evidente dissonanza col sacro deposito della fede. Gli errori del modernismo erano stati accuratamente raccolti e denunziati dal decreto Lamentabili con formule risolute e perspicue (Denz-U, 2005-65); l’Enciclica li riprende e li presenta nella loro genesi e li concatena strappandoli a quell’alone d’indeterminatezza in cui erano volutamente lasciati dai loro propugnatori: in questo senso si può dire che, pur a così breve distanza dal decreto, l’Enciclica dà una esposizione originale e nuova dei medesimi con un dominio della terminologia e della tecnica avversaria, unica forse in un documento del genere e che per questo doveva attirare sulla retta via quanti militavano in buona fede nelle file dell’errore. A questa prima parte, la più vasta ed elaborata, seguono le istruzioni disciplinari che i Vescovi devono attuare nella scelta dei professori nei seminari e per l’incremento degli studi filosofici, teologici e delle materie profane ausiliari. La parte dottrinale è divisa in tre punti nei quali vengono analizzate le tre principali tappe o fasi dell’errore o meglio, come si esprime profondamente l’Enciclica, le diverse personalità che si fondono e s’intersecano nei fautori del modernismo: il filosofo, il credente, il teologo, lo storico, il critico, l’apologeta, il riformatore. Il nerbo dell’esposizione è nella dimostrazione della solidarietà e continuità dei tre momenti nella demolizione della fede, in quanto il filosofo inizia con l’affermazione di soggettivismo e relativismo individuale assoluto, proclamando l’unico criterio del sentimento privato (è questo il solito, antico concetto gnostico delle idee innate ed immanenti di memoria platonica e neoplatonica, dell’altrettanto gnostico esame privato autorefenziale delle sette del Protestantesimo, e di tutte le eresie storiche opportunamente modificate, scientificamente abbigliate ed adattate al sentire moderno – ndr. -) di ciascuno in cui si risolve non solo la convinzione sull’Essere Supremo ma il contenuto ed il senso degli stessi dogmi. L’Enciclica ammonisce contro la doppia esasperazione a cui va soggetta la dottrina cattolica con il nuovo criterio: la « trasfigurazione in quanto la verità divina è costretta ad assumere un’esaltazione soggettiva per, muovere il soggetto, e la « deformazione » (defiguratio) in quanto arbitrariamente si crea alla fede una situazione diversa dalla sua realtà, in contrasto con le dichiarazioni del Concilio Vaticano (Denz-U, 1808). La conseguenza più deleteria è la professione dell’evoluzione intrinseca « illimitata dei dogmi il cui significato e valore non proviene dall’immutabile contenuto ma dall’emozione soggettiva che può suscitare nel credente: cecità nata da prurito di novità e da superba presunzione, come già aveva denunziato Gregorio XVI (Denz-U, 2072-80). – Si comprende come il credente si trovi svincolato da ogni criterio di oggettività e autorità estrinseco, dalla divina tradizione, così da abbracciare l’assurdità di affermare che da una parte, ad es., la storia nulla può dire sulla divinità di Gesù Cristo e che questa è unicamente presente alla coscienza del credente: separazione violenta già condannata da Pio IX (Denz-U, 1656) e prima da Gregorio IX nel 1228, al primo comparire del razionalismo teologico (Denz-U, 442 sg.). Sotto l’apparente fideismo i fautori del modernismo intendono mettere la fede a discrezione della coscienza umana (Denz-U, 2081-86). L’immanenza, proclamata dal filosofo e vissuta dal credente, viene applicata dal « teologo » alle formole e verità di fede con la conclusione che « le rappresentazioni della realtà divina si riducono a « simboli », che si rapportano a particolari situazioni di coscienza del credente e che mutano con essa: ciò vale anche dei Sacramenti e della divina ispirazione. La stessa Chiesa è un frutto di esperienza collettiva e deve adattarsi al suo ritmo senza coercizione o imposizione alcuna di autorità esteriore. Su questa linea i fautori del modernismo trapassano anche a definire i rapporti della Chiesa con il potere politico affermando la separazione assoluta fra Chiesa e Stato, contro la determinazione fatta da Pio VI nella costit. Auctorem fidei, che condannava l’errore del Concilio di Pistoia (Denz-U, 1502 sgg.). A questo modo viene demolita ogni consistenza e autorità del Magistero ecclesiastico e ogni sua esterna manifestazione o apparato gerarchico: non c’è campo che il modernismo non abbia invaso e scardinato dalla sua base per sostituirvi l’arbitrio. La conclusione finale è già implicita nel primo passo del soggettivismo filosofico: la proclamazione dell’ateismo e l’abolizione di ogni religione (Denz-U, 2087-2109). Strano miscuglio di torbide aspirazioni, le quali con il pretesto di una vernice pseudomistica e col richiamo ad un’interiorità più teoretica che intimamente pratica, pretendeva di patrocinare la politica della nuova democrazia (come in Italia fece il Murri) da sovrapporre e sostituire all’azione della Chiesa.-  Di lì a poco, con il motu proprio Præstantia Scripturæ (18 nov. 1907), il Papa insorgeva contro le deformazioni tentate nei riguardi del decreto Lamentabili e dell’Encicl. Pascendi, comminando la scomunica contro i contraddittori e dichiarando che i contumaci negli errori ivi condannati erano colpevoli di eresia, perché nella maggior parte di quelle proposizioni si attenta ai fondamenti della fede (Denz-U, 2114). Il Papa non solo seguì personalmente l’esecuzione della disposizioni dell’Enciclica e quelle relative al giuramento antimodernista, ma intensificò l’attività della Pontificia Commissione Biblica che si pronunciò « con autorità » sui principali problemi della teologia e dell’esegesi biblica; parimenti fondò il Pontificio Istituto Biblico in Roma, perché raccogliesse i più esperti studiosi cattolici del S. Testo e vi si preparassero i nuovi professori di S. Scrittura nei seminari.

III. INDOLE DOTTRINALE. – La gravità dell’errore dogmatico del modernismo. è tutta nel suo principio fondamentale. Il modernismo non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di « verità », di « religione » e di « rivelazione »: l’essenza di questo cambiamento è nell’accettazione incondizionata del « principio dell’immanenza » che sta a fondamento del pensiero moderno. È vero che tale principio teoretico è espresso raramente dai fautori del modernismo in modo sistematico, perché essi si applicano di preferenza alla ricerca positiva della storia della Chiesa, dei dogmi e della Bibbia: tuttavia l’indirizzo critico da loro seguito nelle ricerche è dominato da quel principio che abbandona senza residui la verità cristiana alla contingenza della cultura umana e dell’esperienza soggettiva. Il modernismo deriva in questo per tramite anche storicamente evidente dal movimento della riforma luterana, come l’Enciclica stessa ammonisce (Denz-U, 2086), in quanto la « Riforma » staccò la fede del singolo dall’ossequio all’autorità gerarchica stabilita nella Chiesa visibile. Il principio protestante ebbe la sua versione laica nel soggettivismo gnoseologico kantiano e di qui nel doppio indirizzo dell’idealismo trascendentale di Fichte-Schiling-Hegel che subordinava la religione alla filosofia dell’irrazionalismo fideistico (più vicino a Kant) di Jacobi-Fries-Schleiermacher, che poneva l’essenza della religione nel « sentimento » individuale del divino. – Frutto inevitabile di questa invasione della soggettività nel campo della fede fu la disgregazione della dottrina tradizionale della verità operata dalla « teologia liberale » tedesca della seconda metà del sec. XIX, la quale, dopo gli hegeliani Feuerbach, Strauss e Bauer, negatori non solo della Rivelazione, ma di ogni religione naturale e positiva, trattò la verità del Cristianesimo, e della religione in genere, come prodotto storico e culturale dell’epoca che le vide nascere (Ritschl, Vatke, Tröltsch, Hermann). Il concetto poi di « sviluppo » o « divenire » (Werden) della coscienza, elaborato da Hegel dal punto di vista della dialettica astratta, posto dal Darwin come la legge unica e fondamentale per la comprensione dell’origine della vita e della stessa coscienza. Spencer, nell’ambito della filosofia esponeva nei suoi Primi principi la « teoria dell’inconoscibile » che, come già Kant un secolo prima, dichiarava impossibile ogni via razionale per attingere l’Assoluto. Inoltre, la nuova via per accedere alla realtà spirituale veniva indicata nell’analisi psicologica dell’esperienza intima contemporaneamente nell’opera di H. Bergson in Francia e di W. James in America. Ma la fonte più diretta e completa cui attinsero i fautori del modernismo è la teoria del « fideismo simbolico » che A. Sabatier ha esposto con grande fascino in Esquisse d’une philosophie de la religion (Parigi 1879, specialmente p. 390 sgg.). In essa si fa un’applicazione radicale del principio dell’immanenza vitale a tutti i fondamenti della fede cristiana e si mostra insieme, con perfetta padronanza della teologia protestante (e dello gnosticismo in generale – ndr.- ), che la riduzione della fede a « istinto » soggettivo è l’unico logico principio della « Riforma » (cf. Fr. Heiler, A. Loisy, der Vater des katholischen Modernismus, Monaco, p. 46). Contemporaneamente i risultati della moderna filologia applicati al Testo Sacro ponevano problemi nuovi su l’autenticità, la struttura e l’interpretazione dei libri ispirati, che la teologia patristica e  la scolastica non potevano sospettare nella composizione del Nuovo Testamento; le esplorazioni delle civiltà antiche del mondo biblico in Medio Oriente e lo studio delle religioni extrabibliche mettevano di fronte ad analogie e somiglianze che non potevano essere casuali e che esigevano perciò un’interpretazione complessiva secondo un principio unitario. Il modernismo ne ha approfittato per riprendere un tentativo dello « gnosticismo » di abbracciare tutte le istanze della verità con un principio unico, la soggettività della verità e la relatività di tutte le sue formule e quindi la relatività del dogma. –  Il pericolo del modernismo è nella sua estrema duttilità che vuol schivare ogni qualificazione determinata e precisa sia in filosofia come in teologia: infatti i fautori del modernismo sfuggono dall’accettare l’uno e l’altro sistema filosofico in forma integrale, pretendendo di aver colto il principio unitario che caratterizza l’uomo moderno al di là e al di sopra delle opposizioni dei sistemi. Questo principio, che forma l’essenza del modernismo, è indicato nell’immanenza vitale intesa come « esperienza privata ». Il suo significato per la conoscenza cristiana è nella « mediazione » che il principio dell’immanenza opera di ogni dato reale, storico e filosofico rispetto ai prolegomeni della fede: l’esistenza di Dio, l’immortalità e la vita futura nel campo strettamente teoretico, e rispetto al valore oggettivo probante dei miracoli e delle profezie nel campo dell’apologetica. Poi nell’ambito stesso delle verità di fede il modernismo opera tale « mediazione » nel modo più radicale eliminando qualsiasi distinzione effettiva di valore fra le varie religioni e fra gli stessi atteggiamenti più opposti che può prendere il singolo dentro la sua religione. Si può oggi dire che il modernismo abbia unificato, in questo principio dell’immanenza, gli indirizzi opposti del fenomenismo, dello storicismo idealista e del fideismo di Kant-Schleiermacher, vale  dire: 1) la « realtà » è l’impressione di coscienza (Hume, James. Bergson); 2) la verità si risolve nel destino o sviluppo  della coscienza umana (Hegel); 3) tale coscienza si manifesta e si attesta nell’impressione o percezione intima ( « sensus » dell’encicl. Pascendi, « Gefühl » di Schleiermacher), quale si dà al singolo volta per volta. così i fautori del modernismo hanno potuto protestare di accettare tutta la dottrina della Chiesa, ma in realtà essi respingevano ad un tempo: 1) il concetto di « trascendenza ontologica » di Dio rispetto al creato e alla mente finita così che Dio è sostituito col « divino »; 2) il concetto stesso di soprannaturale così che i dogmi sono ridotti a « simboli » e ad « approssimazioni  »; 3) il concetto infine di « Magistero ecclesiastico » la cui autorità impegna per quel tanto in cui la coscienza privata del singolo si trova in accordo con l’autorità esterna. Il modernismo quindi ha capovolto il metodo tradizionale dell’apologetica cristiana nel rapporto tra « scienza e fede », rinnovando l’errore averroista della dissociazione nella coscienza stessa del Cristiano, come avverte il  Giuramento (Denz-U, 2146), fra l’ossequio esterno del credente all’autorità della Chiesa che propone l’autorità da credere e la convinzione interiore dello studioso. Così il contenuto e il valore stesso delle medesime verità venivano sottratti al Magistero ecclesiastico e riservati ad una forma di « supercomprensione » in virtù dell’emozione religiosa del soggetto. Allora, in ultima analisi, l’unica formula valida della verità religiosa si risolveva nella struttura che la coscienza dà a se stessa di fronte ai singoli problemi della fede. Giustamente perciò l’Enciclica qualifica il modernismo non tanto di eresia, quanto di « compendio di tutte le eresie »; si potrebbe quasi chiamare l’ « eresia essenziale » in quanto capovolge e nega la garanzia stessa dell’ortodossia, cioè il supremo Magistero che, mediante l’assistenza dello Spirito Santo, continua nella Chiesa secondo la promessa di Gesù Cristo. [Po ssiamo dire che l’« eresia essenziale » non sia altro che la solita gnosi primordiale, la teologia di satana, che perde il pelo ma non il vizio … – ndr. -)

ERRORI PRINCIPALI. — L’Encicl. Pascendi dichiara nel modo più perentorio che il modernismo, a causa della sua professione di soggettivismo radicale, trapassi al di là di ogni religione nell’agnosticismo assoluto e quindi di necessità finisce nell’ateismo. Il programma dei modernisti, pubblicato nel nov. 1907, come risposta all’Enciclica, lungi dallo scagionarlo, risulta una conferma punto per punto della opportunità e fondatezza della condanna papale.

.1. Modernismo biblico.— Alla dottrina (il Programma dice « opinione ») tradizionale che nella Bibbia si possiede il processo genuino della Rivelazione sia del Vecchio sia Del Nuovo Testamento, perché garantita dall’autorità di Dio che l’ha ispirata in ogni sua parte e per l’autorità degli scrittori secondari (ad es., Mosè, Giosuè, gli Evangelisti), che furono testimoni immediati o mediati di ciò che narrano, si oppongono, a sentire i modernisti, i recenti risultati della critica biblica secondo i quali i libri storici del Vecchio Testamento sono semplici raccolte di materiali che « non mostrano alcuna pretesa di provare la verità, ma semplicemente di purificare il sentimento religioso del lettore » e che perciò non possono aver Dio come autore principale. In questo senso principale. In questo senso si può ben ammettere che la Bibbia « non contenga alcun errore propriamente detto e molto meno le bugie sia pur officiose », in quanto che il racconto biblico si rapporta « a quelle forme e alle esigenze di vita dei lettori per i quali ciascun libro è stato scritto » (Il Programma dei modernisti, 2a ed., Torino 1911, p. 40). Parimenti l’ispirazione biblica non è più da concepire come una meccanica trasmissione delle parole o dell’idea da Dio all’uomo, ma in una vitale concezione della parola insieme e dell’idea per opera dell’uomo unito a Dio in una maniera speciale e soprannaturale (ibid., p. 41) che però il Programma non precisa. Va notato infine che, secondo il modernismo, lo scopo e il contenuto della divina Rivelazione non ha tanto carattere dottrinale riguardante la conoscenza astratta della divinità, quanto l’istruzione pratica del come venerare Dio e conformare la vita alla norma suprema della sua volontà (ibid., p. 45). La negazione dell’ispirazione come carisma, della storicità e del contenuto di verità assoluta del libro sacro è ripetuta e analizzata a riguardo del Nuovo Testamento, nella composizione dei Vangeli e dei rapporti fra loro, dove si fa distinzione fra l’elemento storico e l’elemento soprannaturale della fede, per passare alla distinzione nominata dalla stessa Enciclica (Denz-U, 2076) fra « il Cristo della storia e il Cristo della fede (Programma, pp. 66 sgg., 115): all’una appartiene di conoscere che Cristo è uomo, all’altra che Cristo è Dio e tocca al fedele vedere dappertutto il Cristo secondo lo spirito » (ibid., p. 75). Importa poco alla fede di accertare la nascita verginale, i miracoli clamorosi e infine la resurrezione del Redentore e se è possibile o no attribuire a Cristo l’annuncio di alcuni dogmi e la fondazione della Chiesa: questi fatti sfuggono alla storia e non hanno realtà che per la fede (ibid., p. m). Il principale rappresentante del modernismo biblico fu A. Loisy.

2. Modernismo teologico. — Al principio del Cristianesimo non c’era che la fede intensamente vissuta, senza dottrine definite o dogmi: questi sono « incrostazioni depositate dalla riflessione di coscienze esaltate, specialmente di s. Paolo, ma estranee al contenuto primitivo del Vangelo di Gesù ch’era un caldo e appassionato annuncio del regno imminente e un invito alla purificazione interiore » (ibid., pp. 74, 88). Altrettanto dicasi della dottrina dei primi Padri, dai quali esula ogni tendenza dogmatica così che è « arbitrario e aprioristico » far risalire all’insegnamento primitivo di Gesù e dei suoi primitivi seguaci i dogmi dei Concili e specialmente la fede del Concilio di Trento nella loro espressione. La « evoluzione dei dogmi » è stata, secondo il modernismo, l’effetto dell’adattamento vitale « indispensabile al Cristianesimo per sopravvivere nell’ambiente ellenistico in cui venne a trovarsi fuori della Palestina, e ciò vale specialmente per i dogmi fondamentali trinitario e cristologico e per l’organizzazione della Chiesa » (ibid., p. 81 sgg.). Così che « tutto è cambiato nella storia del Cristianesimo, pensiero, gerarchia e culto: l’elemento costante di verità ai primi tempi della Chiesa, nei secoli seguenti, compresa la scolastica e il Concilio di Trento che la canonizzò, come ai nostri giorni, è l’esperienza religiosa ch’è sempre identica negli uni e negli altri » (ibid., p. 92). In tutta la storia del Vecchio e del Nuovo Testamento si attua « la continuità di una Rivelazione che nella coscienza umana il divino fa di se stesso sempre più intensamente » (ibid., p. 111): dogmi, organizzazione ecclesiastica, Sacramenti… non sono che mezzi per realizzare quell’esperienza più profonda del divino; e i fautori del modernismo auspicano di poter in futuro farne a meno (ibid., p. 112).

3. Modernismo filosofico. — Il Programma rigetta categoricamente l’accusa di «agnosticismo » e — pur riconoscendo di accettare la critica negativa fatta alla ragione da Kant e Spencer (ibid., p. 28) — dichiara di professare un atteggiamento radicalmente diverso, quello cioè di spiegare ogni tipo di conoscenza (fenomenica, scientifica, filosofica, religiosa) in funzione dell’« azione » e quindi dell’esperienza che è propria ad ognuno in quei campi. In particolare nella sfera religiosa, sia per provare l’esistenza di Dio come per accertarsi della divina Rivelazione, non importano più le dimostrazioni della metafisica medievale e la testimonianza del miracolo e della profezia: oggi sono invece « le esigenze della nostra vita morale e l’esperienza del divino che si compie nelle profondità più oscure della nostra coscienza, che conducono ad un senso speciale delle realtà soprasensibili » (ibid., p. 97). Quanto all’accusa d’immanentismo, il Programma, pur riconoscendo che l’Enciclica ha visto bene, si affanna a dimostrare che il « principio d’immanenza » non è affatto in contrasto con la tradizione cattolica in quanto anche per questo il giudizio « Dio esiste », ammesso come la stessa teologia scolastica ammette che non è giudizio né analitico a priori né sintetico a priori, resta che sia sintetico a posteriori, cioè dimostrabile con l’esperienza, « la quale non può essere altro che quella che si compie dalla e nella coscienza dell’uomo » (ibid., p. 100). – Anche i Padri e lo stesso s. Tommaso non hanno voluto, dire altro, e l’immanentismo non è quel grosso errore che l’Enciclica ha voluto far credere (ibid., pp. 101 sgg., 120 sgg., 138 sgg.). Quanto ai rapporti fra scienza e fede, il Programma professa di ammettere la distinzione più netta nel senso che la fede religiosa è il « bisogno istintivo.., che nasce spontaneamente e si svolge indipendentemente da ogni tirocinio di preparazione scientifica » (ibid., p. 123). Il Programma come conclusione dichiara che il modernismo non avversa né la Scrittura e neppure la tradizione ma soltanto l’interpretazione scolastica delle medesime perché ormai sorpassata dal metodo critico della coscienza moderna (ibid., p. 127).

V. CRITICA. — Il Programma ha confermato pertanto tutti i principali capi d’accusa dell’Enciclica Pascendi e quale principio ispiratore nella concezione della fede, della storia, delle formule dogmatiche, della gerarchia del culto: l’esperienza privata soggettiva. Tale criterio dell’esperienza privata è presentato come il risultato indiscusso e definitivo del pensiero moderno che dovrebbe costituire la formula unica della possibilità della verità religiosa per la coscienza umana in generale. Il modernismo, sfruttando ed esasperando l’insufficienza critica di alcune posizioni tradizionali nel campo dell’esegesi e della storia della Chiesa, ha cambiato sostanzialmente l’interpretazione dei dati e del significato stesso della fede, della religione naturale e della funzione della ragione umana. È stato così rigettato in blocco il realismo greco-cristiano che aveva per fondamento la distinzione dell’uomo dal mondo e da Dio e la distinzione dell’ordine naturale dall’ordine soprannaturale; con ciò si aboliva ogni vestigio di trascendenza. Viene eliminato di conseguenza ogni valore assoluto e trascendente dei primi principi della ragione e con essi è tolta la possibilità della struttura logica del discorso e la validità di ogni posizione metafisica. A nulla valgono le proteste di alcuni modernisti di accettare integralmente la dottrina cattolica, perché il modernismo ha nel « principio d’immanenza vitale » il veleno corrosivo non solo dell’essenza e delle verità di fede ma del valore oggettivo di qualsiasi verità assoluta di fatto e di ragione e ritorna al principio di Protagora che « l’uomo è misura di tutte le cose » (Theæt., 152, fram. B I). Il modernismo, ancora pur derivando per canali molteplici dal soggettivismo del pensiero moderno, non presenta alcuna consistenza teoretica perché non s’impegna a fondo con nessun sistema o filosofia determinata, così che si risolve in un fenomeno di « contaminazione teoretica » e di superficiale concordismo. La contaminazione però più essenziale è stata il tentativo d’interpretare l’esperienza intima del soggetto (autocoscienza) in diretta continuità e come espressione unica autentica della vita religiosa e di prendere la coscienza religiosa comune o naturale come l’essenza o il comune denominatore della stessa divina Rivelazione e della vita della Grazia. La realtà è che ogni esperienza religiosa, nell’ambito della vita della Grazia e della fede, può avere sol valore secondario e in dipendenza della Rivelazione e del Magistero ecclesiastico. – L’errore del modernismo ha però giovato indirettamente alla vita della Chiesa, chiamando a raccolta le sue forze migliori per fronteggiare l’attacco più subdolo e vasto alla sua missione spirituale; gli studi superiori delle università cattoliche, stimolati dal modernismo, si sono in questa metà del secolo completamente rinnovati, specialmente nel campo delle scienze bibliche e della storia dei dogmi dove il modernismo teneva l’arsenale delle sue armi. Tuttavia, il pericolo del modernismo non è mai completamente debellato perché  è insita nella ragione umana, corrotta dal peccato, la tendenza ad erigersi a criterio assoluto di verità per assoggettare a sé la fede. Un tentativo affine al modernismo è la cosiddetta « théologie nouvelle » comparsa in dopo la II guerra mondiale ed energicamente denunziata dall’encicl. Humani generis (12 ag. 1950) di Pio XII.. – (Poi il ribaltone conciliare, ed ancor più le aberrazioni postconciliari degli antipapi dal 26 ottobre del 1958 in poi, hanno confezionato un ultramodernismo tuttora in corso in cui la Rivelazione divina è sovvertita totalmente senza maschere, sia in campo teologico, dottrinale, liturgico, che ancor più nella moralità pubblica e privata, e nella organizzazione della vita sociale – ndr. -)

Cornelio Fabro.

MODERNISMO SOCIALE. – A somiglianza di quello dogmatico, si può chiamare m. s. quel movimento di idee e di attività che, a riguardo della società politica e professionale, pretende di regolarsi senza tener conto delle norme e dei principi essenziali proclamati dalla Chiesa, o senza dare alla Chiesa il posto che le compete. Esso prende le mosse da un erroneo sconfinamento ideale e pratico, oltre i limiti dottrinali della morale cattolica, con il pretesto di dover camminare con i tempi, quasi che la verità essenziale fosse mobile e soggetta a variazioni. – Tali deviazioni modernistiche furono descritte nell’Enciclica Ubi arcano di Pio XI, del 28 dic. 1922, e si riferiscono alle teorie da taluni professate « intorno alla autorità sociale, al diritto di proprietà, ai rapporti fra capitale e lavoro, ai diritti degli operai, alle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e politica, fra classe e classe, fra nazione e nazione, ai diritti della S. Sede e alle prerogative del Romano Pontefice e dell’episcopato, ai diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore e Redentore, Signore degli individui e dei popoli » (AAS, 14 [1922], p. 696). Storicamente, una anticipazione di modernismo sociale, sebbene la denominazione sia di data più recente, può dirsi il moto intellettuale che fu capeggiato dal Lamennais (v.) e compagni dell’Avenir, in quanto veniva alterato il concetto di libertà e si metteva in equivalenza il bene e il male: moto prontamente condannato da Gregorio XVI, con le Encicliche Mirari vos (1832) e Singulari (1834), seguite poi da documenti, come il Sillabo di Pio IX (1864), e soprattutto dalle Encicliche sociali di Leone XIII, fra cui l’Enciclica Libertas (1888) e la Rerum novarum (1891). Nel progredire degli studi sociali e con il sorgere della Democrazia Cristiana (concetto sociale volgarizzato con il favore di Roma e sùbito sostenuto fervidamente da molti giovani sacerdoti), un gruppo notevole di conservatori e di integristi di Francia e d’ Italia, che di fatto ripudiavano della democrazia e il nome e la sostanza, volle accusare di modernismo sociale tutte le iniziative dei più arditi e schietti sociologi cristiani, in testa ai quali erano, in Francia, Leone Harmel e, in Italia, Giuseppe Toniolo, prendendo a pretesto qualche inesatta espressione sfuggita ai più ardenti propagandisti. La verità è che, né i fautori della Democrazia cristiana, né gli abati Lemire, Naudet, Gayrand, Garnier e Marc Sagnier in Francia, né i sacerdoti don Albertario, don Vercesi, don Torregrossa, p. Ghignoni, p. Semeria, don Sturzo ecc. in Italia, con largo seguito di gioventù, possono chiamarsi modernisti sociali. Essi rimasero, anche nella polemica, generalmente ortodossi. Del resto, Leone XIII, con la sua Encicl. Graves de communi (19o1), aveva messo opportunamente in guardia tutti gli aspiranti al regno sociale di Gesù Cristo, preservando da ogni possibile deviazione, e Pio X, nella sua la sua Encicl. Il fermo proposito dell’11 giugno 1903, aveva dato norme pratiche all’Azione Cattolica Sociale. – Intemperanze varie nel senso modernistico avvennero nondimeno, in quel tempo, in Belgio, con l’atteggiamento dell’abate Daens e la sua Lega democratica; in Francia, con l’organizzazione dei Sillon riprovato da Pio X (1910), in Italia con la Rivista di cultura, Battaglie d’oggi e l’Organizzazione della Lega democratica nazionale di don Romolo Murri, propugnatore di un autonomismo che non poteva essere consentito. Nel momento presente, tanto in Francia che in Italia, e anche nelle altre nazioni, la sociologia cristiana è inquadrata in organismi di Azione Cattolica di piena garanzia. In particolare le « Settimane sociali »si mantengono nella più assoluta ortodossia, pur dando luogo a discussioni libere nelle quali possono esprimersi le tesi più ardite.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (68): IL MODERNISMO (2)

GNOSI, LA TEOLOGIA DI sATANA (66): LA TEOSOFIA (2)

LA  TEOSOFIA (2)

(Enciclopedia APOLOGETICA della RELIGIONE CATTOLICA – QUARTA ED. – Trad. T. Dragone, Ed. PAOLINE, ALBA 1953. Impr. Parigi 1948, ed. it. Impr. 1953, P. Gianolio)

CAPITOLO III. – PRATICHE DELLA TEOSOFIA

I tre scopi. -La Società Teosofica, nel programma che presenta ai suoi possibili aderenti, espone i suoi scopi (Programma ufficiale posto nell’Appendice del libro della Blavatsky, The Key; Programma ufficiale 1912, ne La Société Théosophique: son objecte et son utilité, (ausiège de la Soc. Théos. de France). Lo stesso programma alla fine delle opere della Besant e altri. Sulle variazioni della stesura cfr. MARTINDALE, o. c., p. 32):

1. « Costituire il nucleo di una fratellanza universale dell’Umanità senza distinzione di razze, di credo, di sesso, di casta o di colore ». Nei programmi recenti, non figura più la parola « casta ». certamente per non urtare i pregiudizi indù.

2. « Promuovere lo studio delle letterature, delle religioni, delle scienze arientali: arie e altre ». I nuovi programmi fissano così questo secondo paragrafo: Promuovere lo studio comparato delle religioni, delle filosofie e delle scienze: the study of comparative religion, philosophy and science ».

3. a Indagare le leggi non ancora spiegate della natura ed i poteri psichici dell’uomo, scopo che è perseguito soltanto da una parte dei membri della Società. Nei nuovi programmi, invece di « poteri psichici », si legge: « poteri latenti dell’uomo ». Questa modifica mira certamente a impedire la confusione dei teosofi con gli spiritisti e con tutti quelli che cercano i « fenomeni psichici » isolati dal concatenamento generale, ascetico e morale della teosofia.

« L’adesione al primo di questi scopi è richiesta soltanto a quelli che vogliono far parte della Società » (nuovi programmi). In seguito, praticando le altre due regole, e specialmente la terza, avranno la possibilità di diventare veri teosofi ». – «Nessuno è escluso dalla Società perché non crede agli insegnamenti teologici Si può perfino respingerli tutti, eccetto il principio della fraternità umana…» (ivi). – Il terzo scopo esprime in termini generali le pratiche necessarie alla formazione del vero teosofo, pratiche che ora studieremo (Seguiremo le indicazioni date dalla Besant nel libretto: Le Sentier du disciple).

HELENE BLAVATSKY

La disciplina. – « L’aspirante teosofo deve assoggettarsi alla disciplina Karma Yoga (ivi, p. 18: Yoga: unione; Karma: azione. È l’« unione con la Legge divina il sé umano ed il sé cosmico » raggiunta con « l’azione » metodica), del Sentiero della prova, poi del Sentiero del discepolo propriamente detto (cfr. A. BESANT, La Sagesse Antique, p. 447), che lo condurranno progressivamente fino allo stato di pieno sviluppo e di attitudine al Nirvàna. Qui, non possiamo pensare di descrivere tappa per tappa la lunga formazione, che può anche continuare per incarnazioni successive (Besant, Le Sentier, p. 113.). Indichiamone almeno le tendenze generali. Un controllo delle passioni: collera, amore, avidità dei beni materiali, etc. Bisogna imparare a essere moderati, calmi, puri, e soprattutto combattere e sviluppare la bontà estesa a tutti gli esseri, che deriva dalla convinzione che quanti formano unità nel Sé unico (ivi, p. 20 s., p. 44, e l’art. cit. dell’Encyclopcedia of religion and Ethics, p. 300, col. 2.) – Questa riforma dei costumi e del carattere è accompagnata e condizionata da una disciplina dello spirito. Bisogna imparare « a controllare il mentale turbolento », a combattere la dispersione dello spirito negli eventi del mondo sensibile. Viene esplicitamente raccomandata la pratica della « meditazione » come « concentrazione » del pensiero sopra un unico oggetto e lotta contro le distrazioni, come pure la sorveglianza sulla condotta, che assomiglia molto all’esame di coscienza. Compiute tutte queste preparazioni, il discepolo è maturo per ricevere l’insegnamento di un mahàtma: gli si apre il Sentiero del discepolo; è degno di trovare il Maestro e lo troverà. E il Maestro, con la sua chiaroveggenza superiore lo distinguerà in mezzo alla folla degli uomini. Potrà accadere che il discepolo non veda fisicamente il suo Maestro e, « nello stato normale di veglia », forse immaginerà di calcare da solo il sentiero, ma il Maestro sarà là, e in certe circostanze, in certi stati, come nel sonno fisico, ne percepirà e sentirà la presenza ». – Sotto l’influsso e la direzione del Maestro, si compirà l’iniziazione vera e propria, che farà cadere le « illusioni capitali »: prima quella di credere alla realtà del mondo empirico; poi « l’illusione della personalità » e l’iniziato finirà col dirsi: « lo sono Quello; io sono Brama ».

L’illuminazione. – Allora « sarà giunto al contatto assoluto con la realtà » e non conoscerà più teoricamente, ma per esperienza, « come fatti reali », « come fenomeni della natura verificati da lui stesso » gl’insegnamenti della teosofia, quali « la grande verità della reincarnazione », quella del Karma, l’esistenza dei mah’àtma, ecc. In che modo? Mediante lo sviluppo di quelle « facoltà latenti » di cui parla il programma teosofico e che fu perseguito in tutto il corso della formazione del discepolo. (Cfr. Le Sentier; v. pure in L’évolution de la vie et de la forme, della BESANT, un curioso parallelo tra la scienza moderna, che osserva dei fatti esteriori dai quali trae le sue induzioni, e la scienza antica, che la teosofia si propone di restaurare, in cui l’uomo conosce le cose attraverso il proprio interno, attraverso « la vita che è in lui stesso… perché solo la vita può rispondere alle vibrazioni di ciò che vive: la sua opera consiste nello sviluppare se stesso, nell’estrarre dagli abissi della propria natura i poteri divini che vi sono celati… Basta fare degli strumenti » – p. 25). Il termine sarà uno stato di « onniscienza » che si estende a tutta la realtà conoscibile nell’universo, al quale appartiene l’iniziato, con poteri corrispondenti e proporzionati, cioè l’« onnipotenza » nel medesimo universo. D’altronde, questi poteri saranno esercitati soltanto per il bene degli altri e per il progresso dell’umanità, poiché l’individuo perfetto non può avere altri scopi. A questo punto supremo, l’uomo sarà divenuto un budda e potrà entrare nel Nirvàna quando vorrà. – I teosofi non finiscono di parlare delle varie specie di « chiaroveggenza » acquistate durante la formazione, poiché con le intuizioni dei piani eterico » e « astrale » si vede attraverso gli oggetti opachi, si sente attraverso i muri, si percepisce Paura che avvolge i corpi viventi come una bruma luminosa e che, con le sue piccole varietà, permette di diagnosticare a colpo sicuro i pensieri e i sentimenti d’una persona e penetrare i segreti delle coscienze (LEADBEATF.R, La Clairvoyance, p. 34 s., 49 s.). A queste altezze, si fa la conoscenza degli « spiriti della natura »: gli elfi e le fate del folklore; s’incontrano anime disincarnate, ecc.. In una zona ancor più elevata, chiamata « piano mentale », si manifestano « gli spiriti superiori » (Angeli o Arcangeli del Cristianesimo), i grandi Iniziati, gli Adepti, con la cui guida il discepolo, giunto a questo piano. si può istruire (ivi). Sarebbe fastidioso entrare nei particolari di tutte le divisioni e suddivisioni di questi piani soprafisici e delle percezioni che vi si ottengono. Leadbeater su questo argomento ha scritto un intero volumetto, dove ci spiega dottamente le varie chiaroveggenze e il modo di servirsene: chiaroveggenze che conducono fino ai fatti lontani nello spazio e nel tempo, e perfino sul passato più remoto (l’Atlantide!) (Cfr, le intenzioni della Blavatsky sul continente misterioso – G. T., p. 64); chiaroveggenze che conducono sul futuro, ecc. Per far accettare più facilmente la realtà di queste facoltà sopranormali, egli si appella abilmente ai fatti finora poco studiati di telepatia, di presentimento, di trasmissione del pensiero, ecc. Mentre questi fatti, quali si presentano all’osservatore volgare, appaiono sporadici e quasi completamente sottratti alla direttiva della volontà umana, la teosofia pretende di insegnare un metodo per produrli e dirigerli con sicurezza (V. alcuni esempi del modo con cui Steiner intende la chiaroveggenza, il suo metodo e i suoi oggetti. G. T., pp. 137-141; 171, nota 2, p. 172 s.; p. 183 s..; Steiner conosceva per esempio nei particolari la storia dell’Atlantide, questo continente che avrebbe occupato parte dello spazio coperto attualmente dall’Atlantico e che assieme alla civiltà che fioriva in essa sarebbe scomparta in un cataclisma. Questa civiltà non ha nessun segreto per il « veggente », e Steiner ci avverte molto seriamente che « il tempo » di cui parla « non è conosciuto attraverso nessun documento… Qui ci occupiamo di occultismo, e non di critica storica’. La Science occulte, pp. 232, 235). Questi sono i punti capitali dell’insegnamento teosofico; essi comportano sviluppi dettagliati e prolissi sull’antropologia (costituzione dell’essere umano mediante sette principi) e sulla cosmologia (origine ed evoluzione dei mondi), nei quali non ci interessa entrare. Si possono trovare riassunti nelle opere speciali.

ANNIE BESANT

CAPITOLO IV. – APPREZZAMENTO

Errori filosofici e religiosi. – Anche senza insistere, gli errori della dottrina teosofica risultano da se stessi. Il panteismo, la negazione di un Dio personale e distinto dal mondo, il rigetto esplicito della creazione. l’identità dell’io con Dio, un’evoluzione che finisce nella fusione del finito nell’Infinito; d’altra parte, la realtà non solo del mondo sensibile, ma dei fatti di coscienza più personali, è ridotta a un’illusione; le individualità Particolari sono confuse in un » Sè » unico. Sono questi gravi errori che una sana filosofia deve confutare. (Tutti i soliti concetti diabolici di cui abbiamo ampiamente parlato nei numeri precedenti al riguardo della “gnosi” teologia di satana – ndr. -). Ma siccome ora non scriviamo un manuale di filosofia, non ci accingiamo a trattare questioni che appartengono alla filosofia generale e che richiederebbero uno sviluppo troppo vasto per trovar posto in quest’articolo. Quindi, rimandiamo il lettore ai libri che le espongono. Questi errori filosofici capitali interessano già profondamente la fede, ma ad essi la teosofia ne aggiunge, nel campo propriamente religioso, altri non meno gravi. Le teorie della reincarnazione e di un Karma cieco sostituito alla giustizia personale di Dio; l’affermazione che la sorte definitiva dell’uomo non viene decisa alla sua morte fisica e la correlativa negazione di un cielo e di un inferno eterni; il rigetto categorico della preghiera, del valore della penitenza, dell’idea d’un’espiazione, d’una redenzione operata dalla morte di Cristo; perfino Gesù abbassato al livello di un uomo molto evoluto, privato della Divinità unica, assoluta, esclusiva che Egli possiede col Padre e con lo Spirito Santo; infine, l’esoterismo che riserva ad un’élite la vera conoscenza religiosa e permette di dare ai dommi un senso completamente diverso da quello definito e che la Chiesa vi annette: osservando con un colpo d’occhio l’insieme di questo ammasso di errori, ci si accorge che, tra gli articoli della nostra fede, ve ne siano ben pochi che la teosofia non scalzi alla base e che essa formi un corpo di dottrine radicalmente incompatibili con la credenza cattolica: in breve, ne è la contraddizione positiva. Non possiamo non stupire altamente che vi siano persone illuse al punto di credere di poter conciliare le due cose. Ed è vero, come fu detto, che il Cristiano, per farsi teosofo, deve apostatare, tanto che la Chiesa la quale, nel corso dei secoli, ha condannato in modo speciale parecchi di questi errori, ha ragione di mettere i suoi fedeli in guardia contro tutta la teosofia, di proibire di entrare nelle sue associazioni e di leggerne le pubblicazioni, che perciò stesso sono tutte all’Indice (Decreto del Sant’Uffizio, 18 luglio 1919).

Origini torbide. – La madre della teosofia moderna è la signora Blavatsky che, col preteso influsso dei misteriosi mahàtma, la concepì e la diede alla luce. Ora è facile ammettere che questa donna russa eccentrica e sfacciata non abbia nessun carattere di un messia, di un messaggero di Dio. Lo stesso si deve pensare dell’inquieta Besant. Abbiamo alluso a certi scandali che macchiarono gl’inizi della Società Teosofica. Ci sono prima di tutto le soperchierie di cui fu convinta la signora Blavatsky, la quale assicurava che i mahàtma avevano inviato lettere e anche doni ai loro discepoli. Ora, con una buona perizia, fu riconosciuto che le lettere furono scritte da lei stessa; venne scoperto che il « santuario » di Adyar era un trucco e che, tra il resto, conteneva un armadio a doppio fondo, dov’erano cautamente nascosti i doni dei mahàtma. L’inchiesta condotta dall’Hodgson sul posto per conto della Società per le ricerche psichiche di Londra giunse a risultati gravi sul conto dei fondatori della teosofia moderna, e conclude: « Da parte nostra, consideriamo la Signora Blavatsky né come lo strumento di veggenti segreti né come una volgare avventuriera; pensiamo che abbia acquistato diritto al titolo di un ricordo permanente come uno degli impostori più consumati, ingegnosi e interessati ricordati dalla storia » (Prcceedings of the Society for Psychical Research, vol. III, 1885, p. 207, G. T., p. 80.). Per apprezzare tutto il valore di questo verdetto, è bene ricordare che la Società per le ricerche psichiche per principio non è ostile ad ammettere fatti anormali e scientificamente inspiegabili, e anzi, ha il compito di ricercarli, e dopo l’inchiesta, ne riconobbe alcuni come veri. I suoi membri sono in uno stato di spirito che risponde in modo molto esatto a quello rappresentato in Francia dal professor Ch. Richet (Olcott, qualificato dalla signora Blavatsky come « sciocco » al dire di Hodgson, non possedeva « una grande capacità per apprezzare una prova di fatto » (Proceedings, tom. cit., p. 311). Quanto alla Besant, certamente meno ingenua e che certamente era a conoscenza dell’affare di Adyar, restò tuttavia per tutta la sua vita discepola fedele della signora Blavatsky.). – Alla morte della signora Blavatsky, seguì uno scandalo d’ordine morale. Uno dei dottori della teosofia, il Leadbeater, venne accusato di aver insegnato il vizio ai suoi giovani allievi col pretesto del progresso delle facoltà occulte. Fu tradotto davanti a una commissione di teosofi, non riuscì a giustificarsi e venne escluso come indegno dalla Società (1906); ma, poco dopo, la Besant, divenuta presidente, lo fece reintegrare e, dopo una qualsiasi sconfessione e la promessa di non ricominciare (!) se lo assunse come collaboratore intimo. Di questa collaborazione apparvero i frutti. Scoppiò un terzo scandalo, che potrebbe venir qualificato come effetto di follia. D’accordo con la Besant, Leadbeater scelse an giovane indù per farne un mahatma; dopo iniziato, venne dichiarato Budda, reincarnazione di Cristo, ecc., e fu fatto adorare da una folla di teosofi (1911). I congiunti del giovane intentarono un processo a Leadbeater e alla Besant per aver sviato un minorenne; molti membri della Società non poterono sopportare più a lungo queste pazzie e diedero le dimissioni. Il che non impedì alla Besant e al suo collaboratore di conservare il loro ufficio e di occupare sempre ano dei posti maggiori tra i dottori della teosofia attuale. – Sarebbe ingiusto attribuire a Steiner qualche responsabilità nel perpetrare questi atti scandalosi, che però non poteva ignorare. E se l’ultimo affare, quello del nuovo Budda, contribuì verosimilmente a distaccarlo dalla Società, i primi due fatti non gl’impedirono di entrarvi o di restarci ed esserne perfino il propagandista fervente. A nostro avviso, questo è un gruppo di fatti che gettano una luce assai torbida sugli ambienti dove nacque e si sviluppò la teosofia moderna.

Affermazioni gratuite. – La teosofia non presenta i titoli che giustificano l’insegnamento che sono l’autorità dell’insegnante o una dimostrazione proposta all’intelligenza dei discepoli. La teosofia si appella all’autorità dei mahàtma, che però esistono solo nelle favole, creati dal bisogno d’ingannare grossolanamente. Le uniche autorità reali in teosofia sono quelle delle signore Blavatsky e Besant e dei loro collaboratori, come Leadbeater e altri, i quali tutti hanno un’autorità molto debole. Anche Steiner si richiama a maestri misteriosi che gli sarebbero apparsi, all’occorrenza anche in forme banali. Possiamo essere scettici sulla realtà della loro esistenza e del loro carattere soprannaturale, e per chiunque gli creda, resta in campo unicamente l’autorità del dottor Steiner, che non s’impone affatto col carattere dell’infallibilità. – La teosofia dimostra quello che afferma? Questa dimostrazione potrebbe poggiare su argomenti accessibili alla ragione naturale e normale dell’uomo, desunti, per esempio, da fatti storici ben accertati, analoghi ai « motivi di credibilità » che precedono l’adesione alla rivelazione cristiana. I teosofi talvolta tentano dimostrazioni di questo genere e i « fenomeni meravigliosi » fatti vedere ad Adyar o altrove decisero numerose conversioni alla teosofia. Ma abbiamo veduto la qualità di queste meraviglie. Si traggono argomenti anche dal valore intrinseco della dottrina, dal « lume che essa proietta su tutti i problemi della vita », da « tutto l’insieme delle sue verità » che racchiude quanto i filosofi e le religioni del mondo intero hanno di buono. Disgraziatamente però, come abbiamo visto, le soluzioni date dai teosofi ai grandi problemi vitali sono tutt’altro che soddisfacenti: il panteismo, la negazione della personalità umana, ecc. gettano ombra anziché far luce, e frutti di grande fantasia sono i loro tentativi di accostare la teosofia alle grandi filosofie o religioni; la loro erudizione vuol essere accolta con cautela; la leggenda rosa-crociana è piena di favole; gli elementi affastellati in questi tentativi di sincretismo sono totalmente eteroclitici. E, come afferma Steiner, la storia in uso nella teosofia non ha nulla in comune con una scienza critica. Che mezzo resta dunque per convincere? La sola esperienza, l’intuizione. La teosofia primitiva e l’antroposofia proclamano di non volersi imporre come un domma, senza l’esperienza personale di ciascuno e ci comandano di non ammettere nulla che non sia a verificato da noi stessi ». Ma allora, è inutile osservare che, in questo caso, gli argomenti addotti sopra sono superflui; e se tutto dipende dall’esperienza personale, non si venga a parlarci d’altro né del carattere « tradizionale » della dottrina, né del suo valore intrinseco, né dell’autorità dei mahàtma o di altri maestri. Si tratta soltanto di vedere ciò che si presenta nel piano astrale, mentale, ecc. Prendendo quindi queste intuizioni in se stesse, la loro natura è molto sospetta, poiché, innanzitutto, sono intuizioni che vengono dirette. Il discepolo sa già in anticipo quello che deve vedere e, prima di cominciare egli stesso l’esperienza, ha già l’itinerario tracciato e descritti i siti e i personaggi che incontrerà. Direi che tutti i discepoli hanno con sé lo stesso Baedecker teosofico, onde non ci stupisce se tutti vedono o credono di vedere le stesse cose. Si aggiunga che le intuizioni vengono acquistate con uno speciale allenamento mediante prolungati esercizi volontari, che equivalgono a un metodo d’autosuggestione. Rimbaud si allenava all’allucinazione e riuscì ad averne (« Mi abituai all’allucinazione semplice: vedevo molto francamente una moschea al posto di un’officina.., un salone al fondo di un lago ». Une saison sa enfer. Alchimie du verbe, p. 70.). Gli studenti teosofi o antroposofi seguono la stessa via, non senza pericolo per la sanità mentale . – Infine, queste intuizioni sono incontrollabili e riguardano oggetti fuori dell’esperienza comune, e quindi, non temono smentite. Puoi dire tutto quello che vuoi dell’Atlantide e della sua civiltà, perché nessuno potrà mai andare a vedere. Questo significa che la certezza delle credenze teosofiche poggia sulle nuvole dell’immaginazione (Anche la mistica cristiana riconosce visioni sensibili o immaginative, che però è ben lungi dal porre al posto supremo: anzi, i dottori, e san Giovanni della Croce per primo, li guardano con occhio estremamente diffidente e mettono in guardia i devoti sulle illusioni che possano causare. Tanto più la Chiesa non fa riposare su di esse la certezza dei suoi dommi.).

CONCLUSIONE

La teosofia ebbe innegabili successi. Ora, ci si può chiedere come mai essa, così com’è, abbia potuto ingannare tante persone. È probabile che una parte del successo si possa attribuire al suo apparato scientifico. La teosofia non promulga dogmi da credere sulla sua parola, ma invita ciascuno a verificare personalmente le sue affermazioni, conforme al gusto di certezza positiva e sperimentale predominante ai nostri giorni (I), lusingando l’autonomia intellettuale di cui l’uomo moderno è così geloso. Eliminata ogni autorità spirituale, ciascuno elabora egli stesso il suo credo. – Tuttavia, crediamo che non sia questa la spiegazione principale. La nostra civiltà è molto sviluppata in senso pratico, utilitario, materiale, senza saziare, anzi irritando i bisogni spirituali dell’uomo e lasciando aperto un vuoto nelle anime. Che cosa potrà colmarlo? la fede cristiana? Ma questa, in molti, è scomparsa  o vacilla e, per un grande numero, se pure è ancora fede cristiana, si riduce ad un vago sentimentalismo diffuso su un fondo di estrema ignoranza religiosa. Perciò, si spiega come i nostri contemporanei accolgano facilmente tutte le dottrine che promettono di aprire una finestra sul mistero delle cose, sul divino, sull’aldilà, sui destini d’oltretomba. Ora, sappiamo quanto la teosofia sia generosa di simili promesse… Cattolici che conoscono solo alla superficie la loro religione nativa ed i tesori spirituali che essa racchiude, urtati dall’aspetto tutto esteriore e giuridico che essa riveste in certuni, desiderosi di trovare qualcosa di più profondo che non sanno definire, si lasciano affascinare dagl’inviti della teosofia senza preoccuparsi di esaminare i titoli, come il naufrago che si aggrappa al primo oggetto che trova, ma in realtà non sanno a che cosa si aggrappano. – Prima di tutto, molti ignorano le torbide origini del movimento teosofico, e per questo, malgrado il carattere ripugnante di certi particolari, noi seguendo il P. de Grandmaison, ci siamo creduti in dovere di far conoscere queste origini. La teosofia distribuisce programmi a prima vista inoffensivi e che inoltre stuzzicano la curiosità promettendo interessanti rivelazioni. Chi assiste alle adunanze o legge le opere teosofiche, ascolta bellissime declamazioni sull’ascensione delle anime, sulla necessità di disciplinare la propria vita, di domare i bassi istinti, ecc. D’altronde, questa propaganda di fronte ai credenti assicura che le loro convinzioni non saranno toccate e che potranno essere conservate immutate, e questo basta a rassicurarli. Ma c’è una questione preliminare che è bene trattare. Chi parla così? L’oratore, il teosofo scrittore, o almeno i primi iniziatori, i fondatori, i dottori, sui quali si basa, meritano fiducia? Un Leadbeater è qualificato per fare l’elogio della purezza? Una Blavatsky, una Besant sono qualificate per predicarci la sincerità e la rettitudine? Possono costoro essere considerati come inviati da Dio, con la missione di trasmettere i suoi messaggi e di guidarci a Lui?… Ma lo spirito critico dei nuovi adepti non arriva fino a questo punto. D’altronde, ai Cattolici vengono celati la qualità o i legami massonici dei dirigenti, né vengono posti in vista l’aperta ostilità delle due fondatrici contro la Chiesa, il disegno superbo di Steiner di fronte all’ortodossia. – Molti di coloro che si accostano alla teosofia o all’antroposofia non sanno proprio con chi trattano. –  Tuttavia, separiamo la dottrina dai suoi rappresentanti. Gli ampi orizzonti teosofici affascinano molti spiriti, che vengono invitati a varcare il cerchio ristretto dei loro abituali orizzonti per gettarsi nell’Infinito. Il panteismo appare grandioso, profondo, perfino poetico, specialmente quando è espresso nella bella lingua dei libri sacri dell’India, i cui estratti, scelti abilmente, costellano le pubblicazioni teosofiche. L’intelligenza, che ama riposare in qualcosa di completo, si trova davanti ad un sistema speculativo e insieme morale, ascetico, che si dice mistico; da parte sua, l’amor proprio è contento di poter superare il livello mentale dell’uomo volgare come pure quello dei semplici Cristiani docilmente sottomessi alla loro Chiesa, i quali, si pensa, non vanno oltre la lettera dei loro dommi; piace far parte di un circolo di « iniziati », depositari di profondi segreti, d’un’élite di « chiaroveggenti »… Né ci si ferma ad esaminare se l’essenza di ciò che si abbraccia non sia viziata da contraddizioni ed incoerenze. Molti spiriti, anche colti e perfino brillanti, non sono capaci di questa riflessione o sono troppo pigri per impegnarvisi. – Soprattutto, s’impongono le pretese « spirituali » della teosofia che non ha abbastanza anatemi per il materialismo contemporaneo, per la nostra civiltà meccanica ed industrializzata, per le basse aspirazioni dell’umanità media; si presenta come una scuola di alta spiritualità e di « mistica », e forse proprio per questo seduce le anime belle. Si, esse vengono realmente sedotte, poiché alla teosofia manca soprattutto il senso dello spirituale autentico. Lo spirito moderno aborrisce dall’astratto, che tuttavia rappresenta una vasta zona dell’immateriale, e si getta perdutamente sull’esperienza concreta, senza distinguere bene l’esperienza sensibile dall’altra. Siffatta confusione appare, per esempio. anche qua e là negli scritti di un Bergson. I teosofi, che sono spiriti molto meno raffinati, ci cascano in pieno e nel modo più grossolano, come abbiamo dimostrato altrove, a proposito di R. Steiner. – La confusione risalta crudamente nella Blavatsky, nella Besant e loro consorti. La teosofia afferma di ridurre tutto allo spirito e si dice « idealista », ma concepisce perfino lo spirito come una materia, e nell’identificazione di questi due principi, la fusione è a vantaggio della materia, poiché lo spirito, secondo la teosofia, in definitiva non è che materia più fine, più delicata e sortile, una specie di materia vaporizzata. Così i vari piani che s’incontrano durante le tappe dell’iniziazione sono tutti costituiti dalla materia la quale, a mano a mano che si sale, diventa soltanto meno pesante e meno « densa » (A. BESANT, La Sagesse Antique, pp. 171, 184, 208 e passim.). Anche i pensieri hanno colori vari e contorni lineari e forma materiale, tendono alla a perfezione geometrica », e sono realmente piccoli corpi proiettati all’esterno dal soggetto pensante, lanciati fuori come pallottole che talvolta rimbalzano e tornano a colpire il loro autore (Rimbalzano lungo la traiettoria già percorsa… per gettarsi sul loro creatore con una forza proporzionale a quella della loro proiezione – ivi, p. 1091). Tutto questo preteso « spirituale » è solo « vibrazione », proprio come la materia di certe teorie fisiche moderne. La vibrazione è il carattere universale della vita, da quella divina fino a quella latente dei minerali. Tutto è vibrazione » (A. Besant); la « ragione pura » è « costituita da vibrazioni » (La Sagesse Antique, p. 208); « l’energia del Logos creatore [è] un moto vorticoso incomparabilmente rapido [e che] buca lo spazio » ((ivi, p. 71. Per far vedere fino a che punto possa giungere la grossolanità della concezione trascriviamo ancora questo testo che tocca il burlesco e dove la metafisica più sublime della teosofia prende la forma di una illustrazione di embriologia: « Quando la Monade umana emerge dal seno del Logos, pare che un sottile filamento di luce, isolato da una guaina di sostanza buddica, si stacchi dal luminoso oceano dell’Atma. A questo filo è sospesa una scintilla circondata da un involucro ovoidale, ecc. » La Sagesse Antique, p. 260.). Pare basti questo per aprire gli occhi di chi pensa di trovare nella teosofia un mezzo per il progresso spirituale. Da questo e dagli altri punti di vista, chiunque cerchi di tirare i veli speciosi che coprono la teosofia troverà in essa soltanto il vuoto.

G. d. T. de Tonquédec.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (65): LA TEOSOFIA (1)

LA  TEOSOFIA (1)

(Enciclopedia APOLOGETICA della RELIGIONE CATTOLICA – QUARTA ED. – Trad. T. Dragone, Ed. PAOLINE, ALBA 1953. Impr. Parigi 1948, ed. it. Impr. 1953, P. Gianolio)

Fin verso il termine del secolo xrx, l’uso corrente e le storie della filosofia, per teosofia intendevano una tradizione esoterica, che si vantava di possedere il segreto di un modo di conoscere superiore all’esercizio normale e ordinario delle facoltà umane mediante estasi, intuizioni, illuminazioni sovrarazionali, per cui gli iniziati godevano di corrispondenti poteri d’azione, magici e teurgici. I Neoplatonici alessandrini, gl’Illuminati dei secoli XVII e XVIII, come Giacomo Boehme, Swedenborg, Saint-Martin e molti altri rappresentavano questa tradizione. Ma dopo che, nel 1875, venne fondata a New York la Società Teosofica, per teosofia s’intende, se non esclusivamente, almeno principalmente, il movimento inaugurato da questa società e seguito dai raggruppamenti che ne sorsero per dissidio o in altro modo. Nel presente articolo, prendiamo il termine in quest’ultimo senso.

 CAPITOLO I. – ORIGINE E FONDATORI DELLA TEOSOFIA.

Il primo slancio: le signore Blavatsky e Annie Besant. In primo piano, appaiono due  donne: la prima è una grande dama russa, discendente da una nobile famigli del Mecklenburg, stabilitasi nella Russia meridionale e alleata con la grande aristocrazia dell’impero zarista. Giovane visionaria e indomabile, Elena Petrowna di Hahn, per rispondere a una sfida (La governante le aveva detto: « Nessuno ti sposerebbe, nemmeno il generale Blavatsky » – MARTINDALE, Theosophy, p. 15), a diciassette anni sposò l’ultrasettantenne generale Blavatsky per abbandonarlo subito e correre il vasto mondo con un destino procelloso. Senza seguirla in tutti i suoi vagabondaggi, la troviamo in Egitto, nell’Asia Minore, nelle Indie, negli Stati Uniti, in Italia, a Londra, Parigi, Odessa. Nell’Asia Minore, fa conoscenza col « mago » copto Paulos Metamon che l’affascina con i suoi prodigi; pratica lo spiritismo con ardore, apre « circoli di miracoli », non è insensibile alla politica, frequenta gli ambienti rivoluzionari ed anarchici, senza dimenticare le logge massoniche; si mette in relazione con Mazzini, si affilia alla società carbonara della Giovane Europa, entra fra le truppe di Garibaldi che accompagna nelle sue spedizioni, e quando il generale, il 25 ottobre 1867, penetra nel territorio pontificio, la signora Blavatsky. vestita da uomo, con i capelli tagliati, indossando la camicia rossa ed impugnando il fucile, è nelle prime file dei garibaldini. A Viterbo, combatte contro gli zuavi del generai Kanzler e a Mentana la volontaria Blavatsky viene colpita da due pallottole… è creduta morta e abbandonata in un fosso. Si rimette per riprendere il vagabondaggio e le esperienze spiritiche e occultistiche. Come ci dice lei stessa con un racconto infinitamente sospetto, un viaggio al Tibet (1852) fu il fatto più saliente, che orientò la sua vita; colà avrebbe incontrato un Mahàtma e sarebbe rimasta sotto la sua direzione. Finito il lungo ritiro, ormai « iniziata » e in possesso della Dottrina occulta, sarebbe rientrata nel mondo per propagarvi la buona novella. Vero o no tutto questo, durante i viaggi negli Stati Uniti, incontrò il colonnello Olcott dalle aspirazioni concordanti con le sue e con lui aperse un salotto dove si vedevano tutte le specie di « fenomeni », come tavoli giranti, materializzazioni di spiriti, etc.. Tra i frequentatori del salotto, erano Alberto Pike e il generale Sothern, gran maestro aggiunto della massoneria americana. Finalmente, insieme con Olcott, il 17 novembre 1875, fonda a New York la Società Teosofica (il cui centro venne poi trasferito ad Adyar, sobborgo di Madras). Olcottne era il presidente e la Blavatsky, segretaria con compito, se così possiamo dire, dottrinale. In molte opere e articoli, la signora Blavatsky diventa l’apostola infaticabile della Teosofia. – Stando al giudizio non malevolo del colonnello Olcott, la signora Blavatsky aveva una « duplice personalità » e appariva ora come una « russa menzognera » e ora come un’« ispirata ». Ad ogni modo, questo è certo, che la sua potenza suggestiva, fascinatrice, dominatrice era senz’eguali, e che non minori erano le sue capacità d’inventiva e l’immaginazione creatrice. La faccenda del Tibet fu decisamente smentita, e i fenomeni che essa produceva o allegava lasciarono scoprire frodi grossolane. Il suo carattere e comportamento rispecchiavano il tipo di santità cristiana non più che quello dell’ascetismo indù. Una persona che le fu molto vicina e per molto tempo associata ne traccia questo profilo fisico e morale: « Aveva corporatura gigantesca, appetito vorace; inveteratamente appassionata per il tabacco, ma con un linguaggio facilmente grossolano », calpestava tutte le convenienze e perfino  le regole comuni del bene e del male. Era d’umore terribile, con odii implacabili. Con la sua esperienza personale dell’infinita credulità del genere umano, lo copriva copriva con un disprezzo trascendente senza risparmiare neppure i suoi familiari, compreso il bravo Olcott che trattava da imbecille, da babbeo, (muff), da «bambolone spalmato di psicologia » (psychologized baby). –  La Blavatsky morì nel 1891, e il posto di segretaria venne occupato da un’inglese con tre quarti di sangue irlandese, la signora Besant, nata Annie Wood, separata dal marito, un ministro del culto anglicano, madre di due figli, che furono sottratti alle sue cure per le sue ardenti campagne maltusiane. Di temperamento instabile e focoso, umore « bohème » come quello della signora Blavatsky, Annie Besant, dopo molte trasformazioni e voltafaccia spirituali, da un cristianesimo mistico passò all’ateismo militante, e alla fine, venne affascinata dalla fondatrice della società teosofica, di cui si fece discepola entusiasta e, alla morte di Olcott (1907), da segretaria diventò presidente della Società. In molti scritti e innumerevoli conferenze, predicò la dottrina con una convinzione contagiosa e con grande successo, incarnando, per così dire, la teosofia in se stessa. Nel 1911, nel grande anfiteatro della Sorbona, sotto la presidenza di Liard, vicerettore dell’Accademia di Parigi, davanti al nuovo budda reincarnato, Alcyone o Krishnamourti, la Besant espose le sue idee in una conferenza di cui si occupò tutta la stampa francese. La sua ardente parola trovò eco perfino nelle Indie. Stabilitasi a Benares e vivendo come i bramini, raccomanda agli indù di rimanere se stessi e non aggregarsi alle religioni dell’occidente, presentando specialmente il Cattolicesimo come il grande nemico (Martindale).

I dissidenti: l’Antroposofia di R. Steiner. – Nella Società Teosofica, sotto l’influsso dell’americano W. Quan Judge, accusato dalla signora Besant di aver inventato di sana pianta messaggi attribuiti ai Mahatma, si produsse uno scisma (1898), avendo W. Quan Judge accusato a sua volta la Besant della stessa sopercheria. Vi fu un processo, e Quan Judge si staccò e presiedette un gruppo di teosofi dissidenti facenti capo a Point Loma (California), che ignorano naturalmente la Besant e Olcott e riconoscono solo la defunta Blavatsky, formando l’United Brotherhood and Theosofical Society (Fraternità unita e società teosofica). Anche in Italia, il più cospicuo gruppo di teosofi, quello di Roma, guidato da Decio e Olga Calvari e da A. Agabiti, si distaccò dalla Società Teosofica aderendo dapprima alla Lega teosofica indipendente fondata a Benares nel 1909 e vivendo poi di vita propria intesa segnatamente alla ricerca mistica. – Più tardi, scoppiò un altro scisma molto più importante. Questa volta, il capo che presentiamo è  un uomo, Rudolf Steiner, nato nel 1861 a Kraljevic da una famiglia ebrea e morto nel 1925 a Dornach presso Basilea. Fu educato nel Cattolicesimo, fece parte del coro dei fanciulli della sua parrocchia, e ben presto, ebbe « intuizioni » sulla realtà opposta a «la sensazione irrefragabile di potenze occulte che agivano dietro e attraverso di lui per dirigerlo » (E. Schouré) e che finirono coll’apparirgli in forma umana prima nella persona di un « botanico bizzarro », riconosciuto poi come inviato da un Maestro lontano e invisibile che però sorvegliava il giovane, poi nella persona di stesso Maestro, una specie di Mahatma occidentale di nome sconosciuto. Nello stesso tempo, Steiner studia i grandi filosofi tedeschi Kant, Fichte, Schelling e soprattutto Hegel, che, da un punto di vista ancora esoterico, gl’insegna come l’essere si sviluppa e si evolve. Le scienze naturali, che studia con passione, gli danno la stessa lezione e subisce un forte influsso di Haeckel, del quale però rifiuta il grossolano materialismo. Dopo aver conseguito il dottorato in filosofia a Vienna, collabora alla riedizione delle opere scientifiche di Goethe, al quale più tardi dedicherà il suo Istituto, il « Goetheanum ». Infatti, Goethe, con le sue idee divinatrici sulla evoluzione degli esseri naturali, col suo gusto per l’occultismo, ben visibile in Faust, e con la iniziazione giovanile alla Rosa-Croce, rappresenta molto bene le due tendenze di Steiner e meritava il suo patronato. Steiner in  politica fu « socialdemocratico », e per qualche tempo, militò in una scuola di questo partito. – Presentando Stainer al pubblico francese, E. Schuré insiste assai sulla differenza dell’occultismo del dottore austriaco e quello della Blavatsky e della Besant, la quale ultima si ricollega specialmente alle dottrine indiane, mentre Steiner pretende di ricollegarsi con la tradizione occidentale degli antichi misteri della Grecia, della Siria, dell’Egitto, riflessa, a quanto egli crede, nel quarto Vangelo, nell’Apocalisse e, attraverso lo gnosticismo, nella Kabala, ecc. e culminante nella favolosa personalità di Cristiano Rosenkreuz, il sedicente fondatore della società segreta dei Rosa+Croce. In questa tradizione, come la pensa e descrive Steiner, Cristo occupa un posto centrale, non però come Dio incarnato, ma come supremo Iniziato. Però, non dimentica l’India e le riserva anzi il posto d’onore, conservando tutte le dottrine fondamentali della teosofia induista. Quindi, non ci stupisce che Steiner, nel 1902, diventi membro della Società Teosofica ed in breve occupi un posto di primo piano, facendosene l’ardente propagandista, diffondendola largamente in Germania e nella Svizzera, dove prosperò, poi\in Francia, dove E. Schuré la volgarizza presentandola al grande pubblico. A poco a poco, sorgono divergenze tra il nuovo venuto e i direttori della teosofia primitiva; la personalità e l’influsso invadente di Steiner adombrano Annie Besant, mentre nella Società Teosofica avvengono scandali di cui parleremo in seguito. Basti dire che, per incidenti i cui particolari qui non interessano, Steiner venne escluso dalla Società (1913) e trasse maggior parte dei membri tedeschi e svizzeri. Sorse così una nuova teosofia che s’intitola: Società Antroposofica e che ebbe il suo centro nella Freie Hochschule fiir Geisteswissenschaften (Libera Scuola Superiore per lo studio delle scienze dello spirito) con sede nell’edificio del « Goetheanum » fondato a Dornach (Svizzera), secondo le regole d’« un’architettura antroposofica ». Steiner svolse un’intensa attività di conferenziere e scrittore, con parola eloquente, talvolta poetica, che, col magnetismo personale (33) e la cultura innegabilmente superiore a quella delle signore Blavatsky e Besant, gli guadagnò numerosi partigiani, senza lasciarsi affatto piegare dai loschi fatti che avevano screditato l’antica teosofia. Per questo, l’Antroposofia prosperò specialmente nei paesi germanici. Tuttavia, le opere di Steiner, tradotte da uomini come E. Schuré e Giulio Sauerwein ebbero la stessa accoglienza in Francia e fecero delle « conversioni ». Steiner si spaccia come gran Maestro dell’Ordine dei « Rosa+Croce » in cui si entra con un’iniziazione della quale scrive il P. de Granmaison: « Senza pretendere di decidere se e in qual misura il dottor Steiner appartenga alla massoneria rosacrociana, bisogna constatare che l’iniziazione da lui conferita assomiglia come una sorella a quella delle logge massoniche… » (Grandmaison p. 150: Non si può dubitare sull’appartenenza della Besant alla massoneria, poiché compare nelle pubblicazioni massoniche come una sorella… del grado più alto, il trentatreesimo – G.T., p. 103, nota 2. Il rabbino Elia Benamozegh di Livorno, nel suo libro Israel et l’Umanaé, dovendo parlare delle relazioni del giudaismo con la massoneria scrive: « Se c’è una cosa certa è che la teologia della Massoneria, non è che teosofia e corrisponde a quella della Cabbala). C’è però un decoro più brillante, e nella cerimonia, il gran Maestro pontifica in camice e mantello scarlatto. Però conosciamo solo l’iniziazione dell’ apprendista » Rosa+Croce; invece, quella al grado di maestro e gli altri gradi superiore è rigorosamente proibita dalla disciplina del segreto alla curiosità dei profani.

CAPITOLO II. – DOTTRINE DELLA TEOSOFIA

Fonti. – La teosofia si vanta di derivare dalla sapienza dell’India e da questa sorgente antica attinge i suoi insegnamenti. E colore di orientalismo autentico hanno indubbiamente e grosso modo il panteismo, il carattere illusorio del mondo sensibile, l’evoluzione progressiva e la reincarnazione delle anime, la legge del Karma, la conoscenza dell’essere vero raggiunta non con processi volgari o scientifici, ma con intuizioni cui si arriva con un allenamento metodico, compito proprio dei maestri nell’iniziazione le opere della alle Blavatsky, della Besant e consorti sono costellate di  di termini sancriti e continui rimandi alle opere braminiche; ma disgraziatamente quest’erudizione indù, non fu giudicata di buona lega dagli specialisti del pensiero indù, che non hanno abbastanza disprezzo per essa. René Guenon, pur sdegnando il letteralismo di questi specialisti ed illudendosi di trarre alla luce la verità chiusa nei Vedanta. È tuttavia concorde con essi nel trattare le interpretazioni teosofiche come caricature. – La questione delle fonti indù è connessa con quella dell’esistenza dei Mahàtma, dai quali la teosofia pretende ricevere i messaggi; ma bisogna dire che si tratta soltanto d’un’enorme mistificazione, e al riguardo, nel The Key to Theosophy (La chiave della teosofia) della Blavatsky, c’è un passo molto curioso. A chi le domanda con insistenza se esistano realmente tali maestri, ella finisce col dire che ciò importa poco; ma se essa inventò i maestri, deve anche averne inventato l’insegnamento, la loro sublime e benefica dottrina, ammessa da tanti spiriti superiori, destinata a colmare le lacune della scienza attuale, come si scoprirà in cent’anni », ecc. E allora, « che imporla che esistano o no, dal momento che esiste la signora Blavatsky di cui difficilmente si può contestare l’esistenza? ». Non è possibile burlarsi più spassosamente del mondo. – Anche i lama del Tibet, tra i quali si crede siano esistiti alcuni Mahàtma, ne ignorano l’esistenza, e una severa inchiesta di Hodgson, condotta nelle Indie per conto della Società di ricerche psichiche di Londra, arrivò alla stessa conclusione negativa. La causa è spacciata.

I principali punti dottrinali. – Compendiamo le dottrine fondamentali della teosofia e dell’antroposofia notando che non interessano la presente opera le differenze che dividono le due dottrine, essendo in gran parte secondarie, poiché ambedue le dottrine sfruttano un fondo comune. Steiner, anziché rinnegare le dottrine generali della Società Teosofica, le espone anche lui, sebbene a modo suo (7). Non dimentichiamo che Steiner, per vari anni, fu uno dei membri più in vista della Società. Noi, quindi, attingeremo la maggior parte delle nostre citazioni dalle pubblicazioni della teosofia primitiva. contentandoci di ricordare di sfuggita alcune concordanze e divergenze di Steiner.

a) Dio. – « Ogni grande religione, dice A. Besant, ha una parte interiore e una parte esteriore, uno spirito e un corpo; da una parte, la conoscenza di Dio che è la vita eterna; dall’altra, i dommi, i riti, le cerimonie… La teosofia o misticismo è la conoscenza diretta che l’uomo ha di Dio, e appartiene egualmente a tutte le grandi religioni, come la vita che le sostiene, e ogni individuo, anche fuori di qualsiasi organizzazione religiosa, la può acquistare… », ed è « un vero teosofo » chiunque la possiede. Perciò, i dommi, i riti, sacramentali o puramente cerimoniali, non hanno importanza, e Dio si può trovare in essi tutti; basta interpretarli « esotericamente » o teosoficamente. In che cosa consiste la « conoscenza diretta » di Dio? « L’uomo — risponde la Besant — è essenzialmente un essere spirituale, perché il suo io o spirito è un’emanazione dell’Io o Spirito universale, cioè di Dio. Quindi, se l’uomo conosce se stesso e il suo io più profondo, conosce Dio… ». In quest’esperienza, in cui l’uomo sprofonda se stesso coscientemente fin nelle profondità del proprio essere, oltre il corpo, le passioni, le emozioni, l’intelligenza e la ragione, egli « realizza (cioè percepisce) se stesso come separato da tutto questo, come « Io » puro, essere puro… L’Essere universale, in cui così l’io sfocia, trascende tutti gli esseri ed è eguale in tutti… Sopra quest’esperienza riposano le due verità fondamentali della teosofia, cioè l’immanenza e la trascendenza di Dio, la solidarietà o fraternità di tutti gli esseri viventi ». Il teosofo si sente identico nella natura a Dio e a tutti gli esseri, potendo così « mescolare il suo io con quello di tutti gli esseri che sono attorno a lui e abitare coscientemente nelle loro forme come nella propria » (Il). La dottrina è evidentemente panteista, come ammette chiaramente la Besant: « La teosofia… è panteista: Dio è tutto e tutto è Dio ». Le stesse idee si trovano sostanzialmente nell’antroposofia. È vero che Steiner parla molto meno di Dio, e al posto di Dio, mette l’uomo al centro della prospettiva, donde il nome di antroposofia invece di teosofia. Ma si chiami o no « divina », la realtà prima e fondamentale resta sostanzialmente unica e non si esce dal monismo. La pratica di una qualsiasi religione non è proibita né dall’antroposofia né dalla teosofia: si tratta solo di comprendere e interpretare secondo lo spirito ciò che l’uomo volgare intende alla lettera. Quest’atteggiamento finisce col coincidere con quello raccomandato dal modernismo .

b) L’evoluzione. – Dio, la Sostanza unica o Principio primo, l’Assoluto, come può prendere forma nel Cosmo e in particolare nell’uomo? Risposta: con un’evoluzione necessaria. E a che cosa tende quest’evoluzione? Al riassorbimento degli esseri nella Sorgente infinita da cui sono usciti. – Riguardo all’origine delle cose, l’idea di creazione, che comporta un’attività personale, intelligente, libera e distinta dalla sua opera è respinta risolutamente. Si può trovare qua e là la parola, che però bisogna capire. « Noi crediamo — dice la Blavatsky — in un Principio universale, radice di tutto da cui tutto procede e in cui tutto sarà riassorbito alla fine del grande ciclo dell’essere, la nostra divinità.., è il misterioso potere dell’evoluzione e dell’involuzione, la potenza creatrice onnipresente, onnipotente e anche onnisciente… La nostra Divinità, in breve, è la costruttrice eterna dell’universo non per creazione, ma per evoluzione incessante (incessantly evolving, not creating): quest’universo sviluppa se stesso partendo dalla propria essenza, e non è fatto ». Secondo Steiner, al principio esiste solo lo spirituale, e la storia dell’universo è quella della condensazione dello spirito in materia più o meno spessa e densa, dando luogo ad esseri molteplici e diversi e, attraverso stadi evolutivi e trasformazioni successive, avanzando verso l’unificazione finale dello spirito puro. In sostanza, nel ritmo del mondo, vi sono due fasi alternate: quella dell’espirazione con cui l’Essere emette fuori di se stesso le diverse realtà, e quella dell’ispirazione, con cui li riassorbe in sé. I miti dell’India chiamano questo la respirazione di Brama, il sonno e il risveglio, la notte e il giorno di Brama. In fondo però, il vero essere è soltanto spirito. « Filosoficamente — scrive la Besant — la teosofia è idealista ». La materia nasce quando lo spirito s’addormenta, diminuisce o arresta la sua attività. « Lo spirito è materia in potenza, e la materia è semplicemente lo spirito cristallizzato, come il ghiaccio, è vapore cristallizzato » (Blavansky, Key, p. 33. Si noterà qui una singolare somiglianza perfino nelle parole colla dottrina bergsoniana dell’origine della materia. E non è questa l’unica somiglianza, poiché anche altre idee bergsoniane non dispiacciono ai teosofi: l’idea d’una realtà universalmente costituita da vibrazioni; quella d’una corrente unica di vita che attraversa tutti gli esseri; quella dell’evoluzione umana che finirà col creare il superuomo; « l’universo macchina per creare dèi »; il Cristo, riuscita eccezionale di questa evoluzione. D’altra parte, è noto che Bergson ammetteva la possibilità d’una prova sperimentale della sopravvivenza, in cui l’anima si manifesterebbe dopo la dissoluzione del corpo fisico attuale (L’énergie spirituelle, p. 62). R. Guénon crede che vi siano stati rapporti personali tra Bergson e la teosofia, perché la sorella del filosofo aveva sposato Mac Gregor, che rappresentava in Francia l’Order of the Golden Datvn in the outer, società occultista segreta, e fratello del conte Mac Gregor Mathers, segretario della Societas Rosicruciana in Anglia, società dello stesso genere, strettamente alleata della precedente e che si diceva « in relazione di amicizia » con la Società Teosofica. La signora Mac Gregor, nata Bergson, insieme al ben noto occultista Giulio Bois partecipò a un tentativo di restaurare il culto di Iside a Parigi nel 1899 e nel 1903- (Revue de philosophie, 1921, p. 40 e 41, riprodotto in Le Théosophisme, pp. 35, 36). Perciò, la materia, il mondo sensibile, i corpi non sono il vero essere; sono un’illusione, una pura apparenza, una specie di allucinazione e di sogno dello spirito. « L’unica, universale ed eterna realtà proietta periodicamente un riflesso di se stessa nelle profondità infinite dello spazio. Questo riflesso che voi considerate come universo materiale oggettivo, noi teosofi lo consideriamo nulla più che un’illusione temporanea. Solo ciò che è eterno è reale ». « Gl’individui umani, « tu ed io », personalità fuggenti, oggi questo e domani quello, non sono altro che illusioni ». Sprofondato nel suo sogno, che è il mondo dei corpi, lo spirito, in forza della sua natura, tende a emergere e a risvegliarsi; degradato nella materia, aspira a ritrovare la sua purezza integrale e ritornare alla sua sorgente, all’Atma, lo Spirito Assoluto, l’Essenza universale. Conforme a questa teoria, con « intuizioni » che vedono direttamente e dettagliatamente quello che è avvenuto migliaia di anni addietro, i teosofi e gli antroposofi fondano una cosmogonia fantastica, che fa uscire i mondi da altri mondi e dove si succedono le razze infraumane, sovrumane e umane.

e) Il destino umano. – Torniamo all’uomo, dalla cui situazione di spirito incarnato deriva per l’individuo il dovere di sforzarsi, con un’ascesi metodica, di superare la materia praticando l’altruismo, elevandosi a piani superiori di conoscenza, ecc.. Quando l’opera di perfezionamento non fosse compiuta alla morte fisica, ne deriva la necessità di una o più reincarnazioni. In questo modo, nel corso del loro destino, le anime emigrano da un corpo all’altro. Tutta l’evoluzione cosmica e personale è soggetta alla legge del Karma, che i teosofi presentano come semplice espressione di causalità universale: « Nessuna causa, dalla più alta all’infima, manca di produrre l’effetto che deve produrre…

Il Karma è questa legge invisibile e sconosciuta che adatta saggiamente, intelligentemente, equamente ogni effetto a ciascuna causa » e funziona su tutti i piani: fisico, mentale, spirituale, e da esso derivano le leggi della natura. Il Karma ha la stessa essenza dell’Assoluto: « La nostra idea della Deità universale, sconosciuta, rappresentata dal Karma, è quella di un potere che non può fallire, e quindi, non può nemmeno provare collera o pietà; equità assoluta, che lascia ogni causa, grande o piccola, operare i suoi inevitabili effetti », i quali, essendo proporzionati alle loro cause, sono anche giusti. Il Karma rappresenta la giustizia stretta e imparziale », e quindi, è detto a saggio, intelligente, equo », pur non essendo personale. In realtà, propriamente parlando, « il Karma non punisce e non ricompensa ed è semplicemente la legge unica e universale che guida infallibilmente, e per così dire, ciecamente tutte le altre leggi… sulla linea delle loro rispettive causalità ». Applicato all’uomo nelle sue successive esistenze, il Karma esige che in ciascuna esistenza egli subisca le conseguenze delle esistenze anteriori. La teosofia e l’antroposofia concepiscono i pensieri, i sentimenti e gli atti come entità dotate di vita propria, che, sebbene create dal soggetto cui restano legate come attraverso un cordone ombelicale, hanno però esteriormente uno sviluppo autonomo e producono ineluttabilmente tutte le loro conseguenze. Una volta messe al mondo, non possono più essere ricuperate e abolite. Quindi, l’anima che s’incarna nuovamente ritrova i risultati delle sue vite passate da cui dipendono il suo carattere attuale, la condizione sociale e lo stesso stato fisico. Nessun intervento personale e libero può ostacolare il Karma, né  può essere efficace la volontà che si pente, ritratta e sconfessa il suo passato. La teosofia indignata rigetta come ingiusta la soddisfazione offerta per un altro e la redenzione per mezzo di Cristo. (BLAVATSKY, Key, p. 223: Cfr. C.T., p. 37. D’altronde, i teosofi di tutte le tendenze comprendono male il domma della Redenzione, perché lo considerano nella visuale protestante, luterana, calvinista, dove il cristiano appare giustificato dalla semplice fede nel sacrificio di Gesù e dalla fiducia che gli sia applicato. La Chiesa Cattolica insegna che la grazia meritata dal Sacrificio di Cristo è la causa prima della conversione, ma che questa conversione o mutamento della volontà — con tutte le conseguenze che produce nella vita — è una realtà non materiale, ma morale e che perciò può avere un’efficacia reale. Una delle tare della teosofia è la misconoscenza delle realtà veramente spirituali.).Se ci fosse un Dio personale, non avrebbe diritto di perdonare »; ma noi sappiamo che un simile Dio non esiste e non crediamo all’espiazione da parte di un altro o che possa venir « meno il minimo peccato da parte di qualche dio, fosse pure un « Assoluto personale » o un Infinito, supposto che possa esistere » (Key). Evidentemente, in questo sistema, non c’è posto per la preghiera e l’« io » è l’unico artista del proprio destino, « il salvatore di se stesso in ogni mondo che attraversa e in ogni sua incarnazione » (ivi). – Sorge ora una questione: la ferrea legge del Karma lascia sussistere la libertà umana? I teosofi lo affermano e mantengono con forza la realtà del libero arbitrio, l’intera responsabilità dell’uomo riguardo alla sorte che lo attende, convinti che il Karma non distrugga la libertà più delle leggi necessarie della natura, ammesse da tutti, attraverso le quali la libertà si traccia una via obbedendo loro e utilizzandole per i suoi fini. Il fatto che i miei atti una volta posti siano in qualche modo « immortali e non possano essere eliminati dall’Universo » prima che abbiano esaurito tutti i loro effetti, non mi toglie la possibilità di porre altri atti, differenti, anche opposti, che avranno anch’essi le loro conseguenze necessarie, e quindi modificheranno l’insieme del mio Karma che, in questo caso, non è più una legge assolutamente universale. Anche se inchiodate nell’impero del Karma, sussiste una quantità di zone franche sulla cui soglia cessa la sua giurisdizione. D’altronde, non è facile conciliare l’esistenza di molte libertà individuali e capaci d’entrare in conflitto, con l’identità fondamentale di tutti gli esseri nel senso dell’Essere primo, l’unico reale. Le personalità distinte sono un’illusione: il « sè » di tutti è unico ed esso solo esiste. Quest’unità assoluta come può esprimersi in apparenze discordanti? (« Tutti gli ” Io ” sono della stessa essenza, e appartengono all’emanazione primordiale di un solo “Io” infinito e universale » Blavatsky, Key, p. 110. La coscienza dell’iniziato giunto a un certo grado « conosce e sente come ” il Sé ” di tutti » (A. BESANT, La Sagesse Antique, trad. frane. p. 471. Le Sentier du disciple, trad. franc. p. 114). La maggior parte degli scrittori cattolici che si occupano di teosofia pensano che il Karma implichi la negazione della libertà (GRANDMAISON, G. T., p. 6o; MAINAGE, Les Principes de la Théosophie, pp. 283, 284; MARTINDALE., Theosophy, p. 891. Però secondo i teosofi al principio degli esseri diversi e finiti c’è un atto libero dell’Assoluto, dell’ « Uno senza secondo », in cui nasce un desiderio, una « volontà di moltiplicarsi » (A. BESANT, Le Sentier du disciple. p. 9; L’ Avolution de la vie et de la forme, pp. 39, 115 ecc.); cosi pure il Logos che lo manifesta limita volontariamente se stesso » (A. BESANT, La Sagesse Antique, trad. franc. p. 68). Questa libertà radicale sussiste sotto le manifestazioni che assume, sotto le conseguenze necessarie che sviluppa nel Karma: essa continua a risiedere nel « Sè unico, ma non la si vede perché non potrebbe intervenire e manifestarsi come ha fatto una prima volta. La vera difficoltà consiste nel concepire questa « prima volta »: non si capisce come un Assoluto, supposto incapace per essenza di « avere alcuna relazione col finito e il condizionato » (Blavatsky Key, p. 62) possa limitare se stesso e divenire condizionato. Questa difficoltà delle relazioni dell’Infinito e del finito che la Blavatsky muove contro l’idea di creazione (che pertanto non suppone affatto l’identità dell’infinito e del finito!) si ritorce, e questa volta con valore e forza piena, contro l’idea di un Assoluto che limita se stesso.). Il termine dell’evoluzione umana è il Nirvana, che è annientamento totale. L’individuo completamente evoluto, giunto al culmine della perfezione, allo stato « divino », non è più soggetto alla necessità della reincarnazione. Un impulso naturale lo porta a inabissarsi nell’Atma, a fondersi nell’Essere assoluto, dove non sussiste distinzione o separazione di sorta. Allora, « esso non è più nulla, perché è tutto; è completamente annientato in quanto forma apparenza, cosa figurata, ma come Spirito assoluto esiste ancora, perché è divenuto l’Essere stesso ». (BESANT, La Sagesse Antique, p.262. Cfr. G. T., p. 39. Questa nozione del Nirvana differisce sensibilmente dalla nozione o dalle nozioni autenticamente buddistiche, anche se la teosofia si richiama ad esse. assai più impacciata e certamente influenzata dalle dottrine panteistiche d’Occidente.). – Per compassione dei fratelli umani meno evoluti, per insegnare loro la via della salute, esso può rinunciare provvisoriamente al riposo del Nirvana e scegliere d’incarnarsi ancora: così fece Sakyamuni, il grande Budda, nella sua ultima vita terrestre; così ancora fanno queste Guide misteriose, i Mahatma, dei quali la Società Teosofica si pretende la messaggera.

GNOSI, LA TEOLOGIA DI sATANA (66): LA TEOSOFIA (2)

PADRE MASSIMILIANO KOLBE ED IL SUO PIANO PER SCONFIGGERE LA SINAGOGA DI sATANA.

PADRE MASSIMILIANO KOLBE ED  IL SUO PIANO PER SCONFIGGERE LA SINAGOGA DI sATANA…

Un Santo (che la vera Chiesa non ha potuto ancora canonizzare) che ha combattuto i massoni, ha il piano di battaglia contro la dittatura di oggi

Il giovane fr. Massimiliano vide con i suoi occhi – e ne registrò gli eventi nei suoi taccuini – le processioni blasfeme dei massoni in Vaticano, che intonavano canti in onore di satana.

– Condividerò con voi la strategia in gran parte sconosciuta per combattere la dittatura comunista del mondo intero. Questo piano di guerra identifica e prende di mira gli anelli più deboli della catena che ne permettono lo sfruttamento.

È la strategia che San Massimiliano Kolbe vide che avrebbe portato alla sconfitta di queste stesse forze quando assistette alla loro prima marcia vittoriosa nel 1917. Le tattiche che sto per esporre hanno senso, sono fattibili e sono sicure nel condurre alla vittoria.

Il Bicentenario della Massoneria e Fr. Massimiliano Kolbe

Nel 1917 – all’incirca al tempo delle apparizioni della Madonna di Fatima e alla vigilia della rivoluzione bolscevica in Russia – Fr. Massimiliano Kolbe si trovava a Roma come studente di teologia, presso la famosa Università Gregoriana. 

Il 1917 segnava il 200° anniversario della fondazione (ufficiale) della Massoneria sociniana, ed i massoni erano presenti in forze a Roma per festeggiare l’evento. La loro presenza nella Città Eterna era pubblica e flagrante. Striscioni, manifesti e volantini erano ovunque. Il giovane frate vide con i suoi occhi – e registrò gli eventi nei suoi quaderni – processioni blasfeme di massoni verso il Vaticano, con i massoni che cantavano canzoni in onore di satana.

Alcuni dei loro striscioni portavano la scritta: “satana regnerà in Vaticano e il Papa sarà il suo schiavo”.

Ascoltiamo il racconto dello stesso Fr. Massimiliano:

“… la Massoneria di Roma si presentava sempre più in pubblico e dispiegava in bella vista alle finestre del Vaticano i suoi stendardi, raffiguranti San Michele Arcangelo calpestato e sconfitto da Lucifero, e distribuiva volantini che diffamavano il Santo Padre”.

Alla faccia della società segreta! E così tanto per un’organizzazione non religiosa di liberi pensatori. È stato come se questi nemici della Chiesa di Cristo avessero percepito di essere sul punto di una grande vittoria e avessero lasciato cadere la maschera.

E in un certo senso, hanno ottenuto una grande vittoria. Abbiamo appena celebrato l’anniversario della Prima guerra mondiale, in cui il fior fiore della gioventù europea fu mandata al macello ad uccidersi nei campi di battaglia, ed il mondo non si è ancora veramente ripreso dagli effetti sociali di questo evento.

Allo stesso tempo, i rivoluzionari russi hanno rovesciato lo zar cristiano, hanno ucciso tutta la sua famiglia (anche i bambini) e hanno installato un regime comunista anti-Dio e anti-umano, colpevole della morte di milioni di persone.

La Religione cattolica e il Nome di Gesù Cristo vennero progressivamente eliminati dalla vita sociale e dalla pubblica piazza, così come avviene oggi, al punto che molti di noi oggi devono implorare i nostri padroni per ottenere tolleranza e conservazione della propria vita, anche solo per continuare ad esistere.

E cosa dire di quelle parole registrate all’epoca da fr. Massimiliano Kolbe: “satana regnerà in Vaticano e il Papa sarà suo schiavo”? Purtroppo, queste parole, che sembravano una mera utopia distopica, si sono realizzate, a partire dal 26 ottobre del 1958, quando il Santo Padre S.S. Gregorio XVII (Giuseppe Siri) appena eletto validamente nel Conclave che doveva designare il successore di Pio XII, fu intimidito, estromesso e costretto, sotto costante pericolo di morte dei suoi carcerieri apparenti segretari, e ritorsioni anche nucleari minacciate all’intera cristianità cattolica, a fingere e continuare ad essere l’Arcivescovo di Genova. Al suo posto veniva “eletto”, – ovviamente in modo invalido e totalmente privo dell’assistenza infallibile dello Spirito Santo – un agente della massoneria che inaugurava una lunga serie di antipapi effettivamente vicari di satana che ivi regna ancora oggi indisturbato dirigendo la demolizione della Chiesa cattolica (si fieri potest!) come progettavano già da tempo gli esponenti delle conventicole mondiali.

“Questo odio mortale per la Chiesa, per Cristo e per il suo Vicario”, disse Massimiliano Kolbe, “deriva dal principio della Massoneria: la distruzione di ogni (altra falsa) religione, [l’origine delle quali è diabolica e di cui non interessa in realtà un bel nulla, essendo già tutte arruolate sotto lo stendardo di lucifero, per poter giustificare agli occhi dei popoli l’attacco che a loro solo interessa: quello alla Religione cattolica], ma dell’unica Religione voluta da Dio e fondata dal Figlio suoi Gesù Cristo nostro Redentore.. In tutto il mondo le cellule sparse di questa mafia si adoperano nei modi più diversi, in modo più o meno visibile, per raggiungere lo stesso obiettivo. Per farlo, gli adepti del demonio, si avvalgono di tutta un’orda di associazioni con nomi e scopi diversi, che sotto la loro influenza continuano a diffondere l’indifferenza religiosa e ad indebolire la moralità”.

Gli ideali della massoneria – gli ideali della Rivoluzione francese – di libertà secolarizzata, uguaglianza e fraternità, staccati da Dio, tra loro dissonanti ed incompatibili se non per i ciechi ed i  dementi: Sono ormai l’aria che respiriamo nelle nostre società.

Almeno, lo erano fino a poco tempo fa: sono stati in circolazione abbastanza a lungo da demoralizzare le Nazioni un tempo cristiane e da renderci tutti pagani e compiacenti. Ma ora sembra che abbiano raggiunto il loro scopo ed il miraggio di questi “nobili” ideali sta crollando nel totalitarismo e nella rivoluzione.

La rivoluzione come punizione per la blasfemia.

In realtà, già nel XIX secolo ricevevamo avvertimenti divini di ciò che stava per accadere. In apparizioni approvate come credibili dalla Chiesa, nostro Signore apparve alla monaca carmelitana Suor Maria di San Pietro nel 1843 e la avvertì che stava per punire il mondo per tutte le bestemmie pubbliche ed universali, in particolare contro il Nome di Dio, contro la sua Chiesa cattolica e la profanazione della domenica. Tutte queste cose sono solo peggiorate. Egli rivelò a Sr. Marie che Dio avrebbe punito l’umanità per questi crimini attraverso “la malizia degli uomini rivoluzionari” e in particolare attraverso il comunismo. Non c’è nemmeno bisogno di menzionare gli errori della Russia denunciati a Fatima e gli anatemi magisteriali al riguardo.

Forse tutto questo suonava pittoresco dieci anni fa, o come se si riferisse al XX secolo. Oggi, alla fine del 2023, sembra terribilmente attuale.

La risposta di Fr. Massimiliano.

Allora, cosa dobbiamo fare? Cosa possiamo fare? Cosa ha fatto fr. Massimiliano Kolbe, vedendo questa marcia di quasi trionfo nella città santa di Roma? Ebbene, vedendo queste celebrazioni e questo processo a Roma, scrisse:

È possibile che i nostri nemici debbano continuare la loro opera fino a prendere il sopravvento, e che noi restiamo inattivi o, al massimo, ci limitiamo a pregare senza agire: Non abbiamo forse armi più potenti delle loro: la protezione del Cielo e della Vergine Immacolata? La Regina Immacolata e invincibile che combatte ogni eresia, non cederà il campo al nemico che sta rialzando la testa; se troverà servi fedeli e docili ai suoi ordini, otterrà nuove vittorie più grandi di quanto si possa immaginare. – “Mi è venuta l’idea”, scrive, “di fondare un’associazione per combattere la Massoneria e gli altri servi di lucifero”.

Che cos’era questa associazione, qual è la sua essenza? La chiamò Militia Immaculatæ, i Cavalieri dell’Immacolata, e questo è il suo programma: 

Conquistare il mondo intero, il più rapidamente possibile, ed ogni singola anima che vive ora o che esisterà fino alla fine del mondo, per l’Immacolata e attraverso di Ella, per il Sacro Cuore di Gesù.

Questa organizzazione ha diverse sfaccettature, alcune attive e altre più spirituali, ma il suo cuore è la Consacrazione totale alla Vergine Immacolata e la preghiera per i massoni.

Preghiera per i nostri nemici

Sappiamo tutti che abbiamo il dovere cristiano di amare e pregare per i nostri nemici. Nostro Signore Gesù Cristo ci insegna che: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano”.

San Paolo riprende lo stesso insegnamento:

Non rendete male per male… Se è possibile, per quanto è in voi, abbiate pace con tutti gli uomini. Non vendicatevi, carissimi, ma abbandonate l’ira, perché sta scritto: La vendetta è mia, io la ripagherò, dice il Signore. Ma se il nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere”. (Romani XII).

Dobbiamo quindi essere pacifici e aspettare che questa Rivoluzione ci distrugga?

Ebbene, San Paolo ci dice subito che con questo amore (e per estensione con la preghiera) per i nostri nemici, otterremo questo, secondo la Sacra Scrittura, “getterai carboni ardenti sul suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene”.

Suor Maria di San Pietro la vedeva allo stesso modo. Parlando delle preghiere di riparazione al Volto Santo che nostro Signore le aveva rivelato, scriveva:

Procedo ad entrare nel campo di battaglia, fortificata con la Croce e gli altri strumenti di tortura di Nostro Signore come mie armi da guerra, levando il loro infinito potere di conquista contro le trincee militari del nemico, nel modo in cui Egli mi ha insegnato.

E il caro fr. Massimiliano Kolbe ha la stessa idea: I nemici di Dio vengono conquistati e distrutti non con la violenza, ma con la grazia e la conversione. Vengono trasformati in compagni di servizio e figli di Dio, grazie alla grazia di Cristo e alla potenza della Vergine Immacolata, che schiaccia la testa del serpente e distrugge tutte le eresie e gli errori.

Il loro successo non è garantito.

Ecco la realtà delle cose. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione globale che avanza a passi da gigante e che apparentemente è ostacolata da pochi elementi. Molti attribuiscono questo fatto alle potenze oscure dell’inferno e sono certi che coloro che impongono questa rivoluzione seguano e siano assistiti dai demoni.  Ma anche se questo fosse vero – e sembra proprio che lo sia, per tutta una serie di ragioni – le persone che la impongono sono esseri umani – in carne e ossa – come voi e me. Una rivoluzione ha certamente bisogno solo di un piccolo numero di uomini molto impegnati – e forse potremmo ammettere che questi uomini sono quasi irredimibili (anche se nulla è impossibile a Dio).

Ma l’imposizione di questa rivoluzione richiede anche un numero maggiore di uomini meno impegnati. Queste persone devono essere tenute in riga dai loro malvagi padroni, con minacce o promesse. Ma sono “parti mobili” ed hanno famiglie, amici e ricordi di come era la vita. 

Non è possibile per le forze del male avere la certezza assoluta che questi uomini, che non “possiedono” come potrebbero possedere altri, continueranno a collaborare a questa rivoluzione folle, orrenda, anti-umana ed anti-Cristo.

I demoni non cambiano idea. Gli esseri umani sì. Gli esseri umani hanno un punto di rottura, raggiunto il quale dicono: “Basta”. E con il potere della grazia, ottenuto attraverso la nostra preghiera e la nostra azione, lo faranno.

Una catena è forte solo quanto il suo anello più debole. Man mano che sempre più persone soffrono per gli effetti di questi sieri genici, di queste chiusure, di questa apartheid emergente, man mano che sempre più persone si rendono conto che manca sempre un solo richiamo per essere considerate impure e non vaccinate – man mano che le famiglie degli esecutori iniziano a soffrire e a dividersi, man mano che si ritrovano ad arrestare, multare, imprigionare, iniettare o addirittura uccidere altre persone proprio come loro – quel punto di rottura si avvicina sempre di più.  – Possiamo davvero dire che le potenze del male hanno il controllo di queste cose?  No, non possiamo. Il loro successo non è garantito.  E in effetti non abbiamo nemmeno bisogno di disperare dei personaggi più cattivi di questa terribile opera. Chi avrebbe mai pensato che il brutale Saulo di Tarso sarebbe diventato San Paolo, l’Apostolo delle genti? Dio può ancora fare cose le più inverosimili.

Ogni respiro che fanno, ogni battito del loro cuore, sono cose possibili solo perché Dio onnipotente le permette e sostiene questi uomini malvagi nella loro esistenza. Pensano di essere così potenti, ma continuano ad esistere solo per la maggior gloria di Dio e perché è Lui lo vuole. Anche loro sono esseri umani: sicuramente induriti alla grazia, ma diciamo che la loro immunità alla grazia è sicura ed efficace quanto i loro cosiddetti vaccini. 

Preghiera

Dobbiamo quindi PREGARE. Dobbiamo continuare a recitare i nostri Rosari per la fine di questa tirannia e per il trionfo del Cuore Immacolato. “Dammi la mia arma!”, diceva Padre Pio.

Abbiamo visto che nostro Signore vuole che ripariamo alle bestemmie che gli sono state offerte, per le quali questa tirannia comunista è una punizione. Nostro Signore disse a Suor Marie che la riparazione al Volto Santo avrebbe sconfitto i comunisti e la rivoluzione: Facciamo nostro questo spirito.

Preghiamo con fr. Massimiliano per coloro che non ricorrono alla Madonna. Lui ha detto: “soprattutto i massoni”, e noi possiamo aggiungere i malvagi architetti di questa rivoluzione mondialista. 

E dobbiamo pregare anche perché satana non regni ancora in Vaticano, e perché abbiamo un Papa che non sia suo schiavo ed impedito, ma libero ed operante.

Concludiamo con le parole di P. Massimiliano Kolbe, ormai Sacerdote, che ci dà l’immagine autentica di un Cavaliere dell’Immacolata.

Egli non limita il suo cuore a se stesso, né alla sua famiglia, ai suoi parenti stretti, agli amici e ai compatrioti, ma prende in considerazione il mondo intero, ogni persona, perché tutti, senza eccezione, sono stati redenti con il sangue di Gesù Cristo, tutti sono nostri fratelli. Egli augura a tutti la vera felicità, l’illuminazione attraverso la luce della fede, la purificazione dai peccati ed un cuore che arde di amore per Dio, un amore senza limiti. La felicità di tutta l’umanità in Dio attraverso l’Immacolata: questo è il suo sogno. – Ci sono molti tipi di azioni che possiamo intraprendere per proteggere le nostre famiglie, i nostri figli, le nostre nazioni e la Chiesa in questi tempi bui, ma senza Cristo non possiamo fare nulla. Dobbiamo iniziare da Lui, riparando alle bestemmie degli uomini e pregandolo di convertire i cuori degli uomini malvagi che si sono lasciati schiavizzare da satana.

Alla fine, il Cuore Immacolato della Madonna trionferà e schiaccerà la testa del serpente e di tutti coloro che costituiscono la sua anti-Chiesa. Non ci sono dubbi. S. Giovanni Apostolo lo ha visto circa duemila anni orsono e lo ha scritto, ispirato dallo Spirito Santo, nel libro dell’Apocalisse, il drago, il falso profeta e la bestia finiranno, con i loro sostenitori, nello stagno di fuoco in eterno. Loro hanno già perso e noi abbiamo già vinto. L’atto d’amore supremo – e quello che può aiutarci di più – è salvare questi uomini malvagi dal loro destino con le nostre preghiere.

Lifesite news 1 Dic. 2021

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (8)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (8)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE
 

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PARTE SECONDA.

COSA PENSARE DEL PROGETTO DELLA MASSONERIA DI DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO?

V. – Il progetto della Massoneria è antisociale.

Il lettore che ci segue ha già conosciuto i vari personaggi che hanno avuto un ruolo importante nella storia massonica. Si è visto che Socino, il padre della setta, si era dedicato allo studio della teologia e che aveva dato alla sua opera un carattere religioso, o piuttosto antireligioso. Egli era davvero un eresiarca. Cromwell, uomo di guerra e di diplomazia, che si dedicò poco allo studio della teologia, non avrebbe dato alla Massoneria questo carattere, se non fosse stato indottrinato dai sociniani, giunti in Inghilterra dalla Polonia. Cromwell è l’ambizioso cospiratore, come lo dipinge Bossuet, il massone di alta scuola che passa dalla teoria alla pratica. – Bossuet, parlando di quest’uomo, evidentemente non conosceva l’opera da lui iniziata in Inghilterra, e di cui Carlo I° era stato la sfortunata vittima, altrimenti avrebbe alzato la voce, e guardando alle conseguenze del socinianesimo di Cromwell, avrebbe, parlando di lui, avvertito i re del destino che la setta riservava loro in futuro; Bossuet avrebbe intravisto Luigi XVI sul patibolo, con la stessa facilità con cui noi da vent’anni prevediamo l’assassinio di imperatori e presidenti di Repubbliche contrarie alla setta massonica. Non possiamo esimerci dal porre qui, ancora una volta, davanti agli occhi del lettore, il ritratto di Cromwell, soprattutto perché è una prova a sostegno di ciò che vogliamo dimostrare, ossia che il progetto della Massoneria è antisociale: « Un uomo incontrato con un’incredibile profondità di mente, un raffinato ipocrita oltre che un abile politico, capace di intraprendere e nascondere tutto, ugualmente attivo e instancabile in pace ed in guerra, che non lasciava nulla alla fortuna che potesse sottrarle con il consiglio e la lungimiranza; ma per il resto così vigile e pronto a tutto, che non perdeva mai le occasioni che essa gli presentava; infine, uno di quegli spiriti inquieti e audaci, che sembrano nati per cambiare il mondo. Quanto è rischioso il destino di tali spiriti, e quanti sono nella storia quelli a cui la loro audacia è stata funesta! Ma cosa non fanno quando a Dio piace usarli? A quest’ultimo fu dato di ingannare il popolo e di prevalere sui re. Infatti, poiché vedeva che in questo infinito miscuglio di sette, che non avevano più regole certe, il piacere di dogmatizzare senza essere rimproverati o costretti da alcuna autorità ecclesiastica o secolare, era il fascino che possedeva gli spiriti, egli seppe così ben conciliarli da formare un corpo formidabile da questo mostruoso assemblaggio. Quando si trova il modo di prendere la moltitudine con l’esca della libertà, essa la segue ciecamente, purché ne senta solo il nome. Questi, occupati dal primo obiettivo che li aveva attratti, andavano avanti, senza accorgersi che stavano andando verso la schiavitù; e il loro sottile conduttore, che, combattendo, dogmatizzando, mescolando mille personaggi diversi, facendo il dottoro ed il profeta, oltre che il soldato ed il capitano, vide di aver incantato il mondo a tal punto da essere guardato da tutta l’armata come un condottiero inviato da Dio per la protezione dell’indipendenza, cominciò a rendersi conto che poteva spingerli ancora oltre. Non vi racconterò il fortunato proseguimento delle sue imprese, né le sue famose vittorie, la cui virtù ne è indegna, né quella lunga tranquillità che ha stupito l’universo. È stato un consiglio di Dio quello di istruire i re a non lasciare la sua Chiesa. Voleva scoprire con un grande esempio tutto ciò che l’eresia può fare; quanto sia naturalmente indisciplinata ed indipendente, quanto sia fatale alla regalità e ad ogni autorità legittima. Inoltre, quando questo grande Dio ha scelto qualcuno per essere lo strumento dei suoi disegni, nulla ferma il suo corso; egli incatena o acceca o doma tutto ciò che sia in grado di opporre resistenza: « Io sono il Signore – dice per bocca di Geremia – ho fatto la terra con uomini e animali e la metto nelle mani di chi voglio. Ed ora io ho voluto sottomettere queste terre a Nabucodonosor, re di Babilonia, mio servo. »  Lo chiama suo servo, anche se è infedele, perché lo ha incaricato di eseguire i suoi decreti: « Ed io comando – continua – che tutte le cose gli siano sottomesse, anche le bestie »: tanto è vero che tutte le cose si piegano e sono flessibili quando Dio comanda. Ma ascoltate il resto di questa profezia: « Io voglio che questi popoli gli obbediscano e che obbediscano a suo figlio, finché non venga il loro tempo ». Vedete, Cristiani, come i tempi siano segnati, come le generazioni siano contate. È Dio a stabilire quanto durerà il sonno e quando il mondo si sveglierà. – Ecco Cromwell, che fa delle varie sette, come Socino, un assembramento mostruoso; prende la moltitudine con l’esca della libertà di coscienza, della libertà a tutti i costi; eppure conduce coloro che lo seguono alla servitù e per il proprio profitto, perché ci sono solo due fini possibili: Dio e se stessi. Ma il massone non agisce mai per Dio. Ecco Cromwell, uno dei padri della Massoneria, autore di quello che Bossuet chiamerà poi Cromwellismo, quando rimprovera a Jurieu, un ministro protestante, di aver predicato questa dottrina sanguinaria, l’eresia di Socino. – Dopo Cromwell, come organizzatore della setta, viene Weishaupt, perché i filosofi francesi dogmatizzavano, Voltaire bestemmiava, Jean-Jacques Rousseau inventava il suo Contratto sociale; ma nessuno di loro formava un corpo di dottrina o un’associazione. Fu lasciato ad Adam Weishaupt il compito di riassumere tutto il passato massonico, secondo il genio tedesco; di completarlo dandogli come anima la dottrina di Spinosa, il panteismo, così altamente onorato da Averroè in poi; e poi di formare una società incaricata di propagare questo sistema, battezzato con il nome di Illuminismo. Ebbene, questo illuminismo tedesco, che ha assorbito la Massoneria per farne una Massoneria illuminata, come abbiamo detto sopra, è antisociale in modo sovrano. Ecco come si riassume: « Non c’è altro Dio che la Natura, che ha prodotto l’uomo. – Come funziona? Weishaupt non dice che questo era riservato a Darwin. – In ogni caso, l’uomo ha ricevuto uguaglianza e libertà dalla natura. L’istituzione della proprietà ha distrutto l’uguaglianza, producendo ricchi e poveri; e l’istituzione dei governi ha distrutto, a sua volta, la libertà. Ora, la proprietà e i governi si basano su leggi religiose e civili. Perciò, per restituire all’uomo la libertà e l’uguaglianza che gli sono proprie, è necessario distruggere ogni religione, ogni governo, non avere né Dio, né padrone, né magistrato, né clero, né esercito, né polizia, né alcuna autorità, in attesa dell’abolizione della proprietà. Religione, governo, proprietà sono, agli occhi del vero massone, tre peccati originali che devono essere cancellati, e sappiamo come. È visibile che essi stanno già scomparendo tra noi. La Religione sta iniziando a scomparire nel suo personale congregazionale e nell’insegnamento. Dio è stato scacciato, e sarà sempre più scacciato dalle scuole, Egli che è il legame sociale per eccellenza, poiché è il Padre della famiglia umana ed il centro naturale di tutta la società. Cristo era già stato bandito, l’Autore divino della società cristiana. Non si sa come e perché i ministri di Dio e di Cristo siano trattenuti, visto che i loro padroni sono stati congedati. Ovviamente aspettiamo, per non fomentare il popolo. Verrà il turno del clero, ed il resto seguirà, fino all’estinzione del Cristianesimo: questo è il progetto e la speranza dei massoni. – Ci si chiede, oggi, cosa possano avere ancora a che fare i Comandamenti di Dio e della Chiesa con noi, essendo stati, Dio e Gesù Cristo, soppressi? I Comandamenti di Dio impongono il rispetto dell’autorità legittima e della proprietà, ma la Massoneria non vuole né autorità, né proprietà, né dipendenza. Quindi sbarazzatevi di tutto questo! Viva la Comune! Ha fatto la sua comparsa nel 1848, con i “partageux”, allievi pratici di Proudhon e di altri socialisti; si è cementata nel 1871, a Parigi; ora bussa alla porta del capitale e dei padroni: solo i sordi non la sentono. Per i comunardi, i magistrati sono una seccatura, ed anche i gendarmi. Pazienza! Prima di abbattere un albero, si scoprono le sue radici, che si tagliano una ad una, e presto l’albero si inclina e cade. Clero, magistratura, esercito: questo sarà il vostro destino … spera la setta. – I nostri lettori ci chiedono perché lo diciamo. Risponderemo loro che Weishaupt ha ben riassunto il suo piano, così come lo abbiamo riportato, e se si vuole lo sviluppo di questo stesso piano da parte del suo autore, eccolo qui: « Tutto ciò che vi abbiamo detto contro i despoti ed i tiranni era solo per portarvi a ciò che abbiamo da dire sul popolo stesso, sulle sue leggi e sulla sua tirannia. Questi governi democratici non sono di natura diversa dagli altri governi. » – « Se ci chiedete come vivranno gli uomini d’ora in poi senza leggi e senza magistrature, senza autorità costituite, riuniti nelle loro città, la risposta è facile. Lasciate le vostre città e i vostri villaggi e bruciate le vostre case. Nella vita patriarcale, gli uomini costruivano città, case e villaggi? Erano uguali e liberi; la terra era loro, era ugualmente di tutti e vivevano ugualmente dappertutto. La loro patria era il mondo, non l’Inghilterra o la Spagna, la Germania o la Francia. Era tutta la terra, non un regno o una repubblica in un angolo della terra. Siate uguali e liberi, e sarete cosmopoliti o cittadini del mondo. Apprezzate l’uguaglianza e la libertà e non temerete di veder bruciate Roma, Vienna, Parigi, Londra, Costantinopoli e quelle città, paesi e villaggi qualunque che chiamate la vostra patria. – Fratello e amico, questo è il grande segreto che abbiamo riservato a questi misteri. » – Nona parte del Codice Illuminato, classe dei grandi misteri: Il Mago e l’Uomo-Re. – Scritti originali di Weishaupt. – Barruel, nelle sue Memorie del giacobinismo, esclamava a questo proposito: « Non è più il momento di dire semplicemente: queste sono le chimere dei sofisti, bisogna dire oggi: queste sono le cospirazioni che si tramano contro la vostra proprietà; le cospirazioni che già vi spiegano tante spoliazioni rivoluzionarie: quella della Chiesa, quella della nobiltà, quella dei nostri mercanti, quella di tutti i ricchi proprietari. – Voglio farlo, sono chimere; ma sono le chimere di Weishaupt… – Quello che Jean-Jacques diceva ai suoi sofisti, il nuovo Spartaco lo dice alle sue legioni illuminate: I frutti sono di tutti, la terra non è di nessuno. Quando è iniziata la proprietà, è scomparsa l’uguaglianza, la libertà; ed è in nome di questa uguaglianza, di questa libertà che egli cospira, che invita i suoi cospiratori a restituire agli uomini la vita patriarcale! Notiamo di sfuggita il significato di queste parole, poste sulla porta o sul frontespizio dei nostri edifici pubblici: Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Libertà significa: distruggere ogni autorità; uguaglianza significa: distruggere la proprietà; fraternità: essere nomadi come i patriarchi. – Proudhon ha riassunto tutto e mostrato l’obiettivo quando ha detto: « L’uomo deve essere sovrano nella sua capanna, indipendente da Dio e dagli uomini ». E cosa ne è della famiglia in questo sistema immorale? « La prima età dell’umanità – dice Weishaupt – è l’età della natura selvaggia e grossolana. La famiglia è l’unica società; la fame, la sete, il facile soddisfacimento, un riparo contro i danni delle stagioni, una moglie e, dopo la fatica, il riposo, sono le uniche necessità di questo periodo. In questo stato, l’uomo godeva dei due beni più preziosi: l’uguaglianza e la libertà. Ne ha goduto in tutta la sua pienezza; ne avrebbe goduto per sempre, se avesse voluto seguire il percorso indicatogli dalla natura. In questo primo stato, gli mancavano le comodità della vita, ma non ne era più infelice; non conoscendole, non ne sentiva la privazione. La salute era il suo stato ordinario; il dolore fisico era l’unica causa di malcontento che provava. Felici mortali, che non erano ancora abbastanza illuminati da perdere il riposo dell’anima, da sentire quei grandi motivi delle nostre miserie, quell’amore per il potere e le distinzioni, l’inclinazione alle sensualità, il desiderio dei segni rappresentativi di ogni bene, quei veri peccati originali con tutte le loro conseguenze, l’invidia, l’avarizia, l’intemperanza, la malattia e tutti i tormenti dell’immaginazione ». Questa è la famiglia primitiva, l’ideale di famiglia di Weishaupt. Il divorzio inizierà a riportarci ad esso, rompendo i legami tra i coniugi e quelli tra figli e genitori. « L’autorità del padre cessa con il bisogno dei figli », diceva Jean-Jacques, e Weishaupt: « Il potere paterno cessa con la debolezza del figlio; il padre offenderebbe i suoi figli, se rivendicasse ancora qualche diritto su di loro, dopo quest’epoca ». In previsione delle obiezioni che queste idee assurde avrebbero potuto sollevare, Weishaupt aveva adottato una tattica. Ai suoi confratelli insinuanti o perplessi diceva: « Principii, sempre principii, mai conseguenze ». Vale a dire, premere e insistere sull’uguaglianza e sulla libertà; non lasciare mai che le conseguenze, per quanto disastrose, vi spaventino o vi fermino. L’ateo Condorcet, discepolo di Weishaupt, gridò di conseguenza: « Perisca l’universo, rimanga il principio! » – I massoni hanno da tempo abbandonato il metodo francese, cioè la violenza, nell’applicazione del loro sistema alla Chiesa Cattolica. Hanno preferito adottare il percorso indicato sopra da Ricciardi, che può essere riassunto come segue: Più martiri, più sangue: concessioni e ridicolo. È per ignoranza di questa tattica che alcune persone, altrimenti ben intenzionate, immaginano che la setta si fermerà nella sua marcia contro Cristo e la Chiesa. No, nulla la fermerà se non il fondo dell’abisso in cui sta correndo, nel quale si getterà con quei popoli che sono abbastanza ciechi da radunarsi sotto la sua bandiera e seguirne le crudeli massime di distruzione. Distruzione! è la parola che meglio descrive la Massoneria. – Come la cosiddetta Riforma protestante, madre della setta sociniana, ha sempre e solo saputo protestare contro i dogmi cattolici, negandoli uno dopo l’altro, così la Massoneria, dal punto di vista sociale, sa solo distruggere le istituzioni cristiane: Né il protestantesimo, né la massoneria hanno prodotto qualcosa che abbia un futuro, perché solo la carità cristiana è feconda, mentre l’odio è sterile; e l’eresia è sempre stata e sarà sempre segnata sulla sua fronte con il segno dell’odio; il suo cuore ne sarà sempre pieno. L’ultima parola della Massoneria sociale è Nichilismo, cioè distruzione in tutta la sua pienezza. « L’umanità – dice il nichilismo – avrà intelligenza solo il giorno in cui tutti i suoi membri riuniti si sgozzeranno fino all’ultimo uomo. Allora l’essere umano, re della creazione, non esisterebbe più e satana potrebbe insultare il vero Dio; satana, dice Nostro Signore, che era omicida fin dall’inizio: Homicida erat ab initia. » – Tertulliano chiamava satana la scimmia di Dio: simius Dei. Per caso vorrebbe usare il nichilismo per anticipare la fine del mondo? Lo si potrebbe pensare, vedendo le mille forme ed i mezzi strani, immorali ed innaturali impiegati dai nichilisti per distruggere l’uomo. Lasciamo ad altri il compito di sviluppare queste considerazioni. Anche in questo caso, le devastazioni compiute nelle società dalla setta massonica sono così profonde e numerose che non è possibile descriverle senza dedicarvi interi volumi. Questo triste lavoro è già stato iniziato; speriamo che venga continuato. Sarà vista come una prova della verità cristiana, per absurdum… dall’assurdo, che nasce e trabocca dal socinianesimo massonico.

VI. – La Massoneria è antifrancese.

Essa è antifrancese, perché è anticristiana e anticattolica. In effetti, ciò che ha reso grande e gloriosa la Francia in passato è il suo attaccamento a Gesù Cristo ed alla sua Chiesa. La Nazione francese, come hanno mirabilmente detto illustri scrittori e oratori, è stata chiamata a difendere la Cristianità. Questa vocazione si rivelò quando Clodoveo, ascoltando il racconto delle sofferenze e della morte del nostro divino Salvatore, gridò: « Ah, se fossi stato lì con i miei Franchi! » Così la Francia è stata battezzata dalla Santa Sede e chiamata: la Nazione cristianissima. Questo titolo, che ai suoi occhi e agli occhi di altri popoli era pieno di gloria e degno di invidia, è diventato una rovina per il nostro Paese? La Francia ha servito nobilmente la causa di Cristo e della sua Chiesa attraverso i secoli. I nomi dei nostri Re cristianissimi lo testimoniano e, nonostante le ombre che oscurano la storia della regalità francese, è stato possibile incidere sui loro stendardi queste parole: il Cristo ama i Franchi… e Cristo, che ha amato i Franchi, … ed il Cristo ne ha fatto un grande popolo. Da parte loro, i Pontefici di Roma, senza escludere Pio IX e Leone XIII, si sono sempre compiaciuti nel riconoscere che la Francia aveva ben meritato dalla Chiesa per la sua devozione alla grande causa cristiana. La nostra Nazione, amica della Santa Sede e della sua indipendenza spirituale e temporale, ha anche dato un contributo singolare alla diffusione della Verità cattolica nel mondo, prima con i suoi missionari e poi con le sue conquiste. In passato, infatti, abbiamo saputo colonizzare perché, essendo schiettamente Cattolici, abbiamo saputo dare Dio e la verità ai popoli conquistati; e questi popoli ci hanno amato. Canada e Mauritius, tra gli altri, sono rimasti francesi di cuore e Cattolici, nonostante gli sforzi fatti per estinguere in loro la fede e l’amore per la madrepatria. È impossibile viaggiare per il mondo senza incontrare ricordi gloriosi per la Nazione cristianissima e senza essere convinti che essa abbia ricevuto la nobile missione di difendere Cristo. Essa ha sempre adempiuto a questa missione quando ha avuto dei capi degni di sé. Fino a poco tempo fa, essa non temeva di portare le sue armi fin nel lontano Oriente per proteggere i suoi Missionari; in Europa, riportò Pio IX sul suo trono imperituro; in Oriente, essa si fa un onore di esercitare sui Cattolici il suo secolare protettorato; infine, in Tunisia, si appella al Cattolicesimo per stabilire la sua influenza. La Francia dovrebbe d’ora in poi ripudiare questo passato invece di gloriarsene? Se essa ha il diritto di esserne orgogliosa, perché la Massoneria sta lavorando per scristianizzarla? Se la setta massonica portasse a termine i suoi piani, presto cesseremmo di essere Cattolici e la fonte della nostra grandezza verrebbe prosciugata. Ecco perché diciamo che la Massoneria è antifrancese. Quale sarebbe, secondo essa, la nostra missione nel futuro? Ovviamente, sarebbe quella di propagare l’ateismo e la morale pagana nel mondo. La Massoneria, nel secolo scorso, ha distrutto la Gerarchia cattolica e ha rovesciato gli altari e le Chiese del vero Dio, per intronizzare il razionalismo, come abbiamo detto: il suo scopo è ancora lo stesso, come abbiamo nuovamente dimostrato. Ebbene, una missione del genere è scellerata. Se il nostro sfortunato Paese se ne facesse carico, presto si potrebbe dire che la Francia, caduta nel fango e nel sangue, sarebbe vinta. –La Franco-Massoneria è ancora antifrancese perché lavora per privare i figli del popolo di un’educazione cattolica. Più di una volta abbiamo offerto ai nostri lettori questa considerazione, che è utile ricordare qui in poche parole. Diciamo quindi che il figlio del popolo, grazie agli insegnanti cattolici che ha incontrato finora, congregazionisti o laici devoti, ha ricevuto un’educazione non inferiore a quella dei figli della classe ricca. Dall’età di sette anni, il negro del popolo imparava il Catechismo, che è un mirabile riassunto della Religione; il Sacerdote lo chiamava per istruirlo e confessarlo, cioè per mostrargli il bene da fare ed il male da evitare; a poco a poco il bambino si riformava, e per meritare la felicità di fare la prima Comunione, lavorava per correggere i suoi difetti. Chi non sa quale profonda influenza abbiano avuto sulla maggior parte dei giovani uomini e donne questi quattro o cinque anni dedicati a questa formazione spirituale? È stato detto che « a dieci anni l’uomo è formato ». Grazie alla Religione, il figlio del popolo aveva ricevuto il beneficio di una buona formazione, che le lezioni del Sacerdote continuavano fino all’età di quattordici e quindici anni. In questo modo, a questo punto della sua vita, il bambino era pronto per tutte le carriere, perché era stato educato molto bene. Infatti, se cerchiamo l’origine di molte persone che oggi occupano posizioni elevate nel clero, nella magistratura, nell’esercito e nella marina, nei vari impieghi dell’amministrazione civile, del commercio e dell’industria, ci convinceremo che queste persone provengano per lo più dalle file del popolo. Quante celebrità della scienza o dell’arte devono la loro posizione ad un Sacerdote che li abbia distinti, aiutati e spinti nella loro carriera! Il seminario fu loro aperto e da lì si misero in cammino. In Francia, un giovane, una giovane, educati come abbiamo appena detto, sono quindi adatti a seguire la loro vocazione, qualunque essa sia, per il fatto che il sentimento religioso è stato sviluppato in loro, ed il sentimento religioso, base di ogni vera educazione, di ogni formazione seria, quando esiste in un’anima, la mette in grado di elevarsi a qualsiasi cosa, purché l’istruzione arrivi a completare questo primo lavoro. Siamo convinti che questa constatazione colpirà qualsiasi persona di buon senso che voglia approfondirla, e che questa educazione impartita tra noi ai figli del popolo, soprattutto dalle congregazioni religiose docenti, sarà vista come una fonte di grandezza per la nostra Nazione e, d’altra parte, come una sicura causa della sua decadenza nelle scuole senza Dio. Finora i settari avevano risparmiato la donna nella loro opera di distruzione, ed in genere la giovanetta, in Francia, veniva educata cristianamente. Così che la madre di famiglia, nell’ambito domestico, la maestra laica, nella sua scuola, le monache nei loro conventi, si preoccupavano di imprimere nel cuore della donna il delicato sentimento della modestia, la sua vera corona ed il bene più grande del suo sesso; aggiungiamo noi: la vera gloria della Francia e la sua ultima speranza. – La Massoneria anticristiana e antisociale attacca oggi la donna francese: ragazza, moglie, madre ed insegnante di Religione. E si definiscono anche patrioti! No, sono solo traditori della patria.

VII – Infine, il progetto della Massoneria è antiumanitario ed insensato.

Antiumanitario: Nessuno può negare che il Nostro Signore Gesù Cristo abbia risollevato i poveri, incoraggiato gli sfortunati, resa la sofferenza sopportabile, nobile e meritoria. Si è identificato con l’umanità sofferente, dicendo: « Io sono il povero, io sono l’orfano, io sono il prigioniero, io sono il lebbroso, tutto quello che fate al più piccolo dei miei, lo fate a me ». Da quel momento in poi, i poveri e la povertà, che non sono amabili per natura, sono stati amati in modo soprannaturale, cioè per amore di Gesù Cristo. Ci fu allora una rivoluzione nell’umanità che andò tutta a vantaggio di ciò che portava sulla fronte il carattere della debolezza. Alla vista di Cristo che lava i piedi ai suoi discepoli, i grandi impararono che chi vuole essere il primo deve essere l’ultimo; alla vista di Cristo povero, i ricchi si spogliarono della loro avarizia; alla vista di Gesù operaio, gli artigiani sentirono che il lavoro delle mani non disonora; alla vista del Salvatore attento alla guarigione dei malati, le anime generose lasciarono tutto per dedicarsi alla cura dei fratelli sofferenti e all’alleviamento del loro dolore. – Qui non si tratta di giudizi, ma di fatti storici. La storia della Chiesa Cattolica è sotto gli occhi degli increduli, così come lo è per noi; basta aprirla per convincersi che la dottrina di Gesù Cristo è stata fonte di ogni tipo di bene per l’umanità, e soprattutto per gli sfortunati. Se non vogliono che la storia della Chiesa sia raccontata da se stessa, si rivolgano ad altri, ai suoi nemici, se preferiscono, e si convinceranno che il Dio-Uomo si è mostrato, perché lo è davvero, il Padre dell’umanità sofferente. – Inoltre, è sufficiente avere occhi per vedere questa verità. Quando il viaggiatore passa per le strade di città non ancora atee nella loro amministrazione, può leggere su alcune case le parole incise dai nostri padri: Hôtel-Dieu. È lì che viene accolto l’infelice, in questa casa che Dio ha fondato con la parola efficace di suo Figlio. Il mondo è pieno di queste strutture, alcune modeste, altre sontuose, veri e propri palazzi costruiti per il povero Cristo nella persona dei suoi figli, che Egli chiama divinamente sue membra. – Migliaia di opere sono state scritte per raccontare questi benefici e per dire come la Chiesa si sia sempre dimostrata attenta a coloro che soffrono; altre migliaia di opere sarebbero necessarie per tracciare la devozione del nostro tempo verso la gente comune, così come verso i ricchi, che spesso sono felici delle cure delle nostre religiose. Sì, per usare l’espressione del Vangelo, il mondo sarebbe pieno di libri che dovrebbero essere composti per raccontare tutti i benefici di Gesù Cristo e della sua Chiesa per diciannove secoli. E attualmente la Massoneria calpesta la storia per cancellarne la memoria; cerca di fare notte sul passato cattolico, si prepara a nuove confische e le prelude cacciando dai nostri ospedali le figlie della carità e i religiosi dalle loro case, asili degli infelici, ma anche della scienza e della virtù. – Il capitolo sarebbe infinito se volessimo svilupparlo: il lettore lo completerà da solo.

Insensato. Sì, il progetto della Massoneria è folle, per l’ovvia ragione che toglie all’umanità tutti i beni del Cristianesimo, senza mettere nulla al suo posto. La Massoneria, considerata come eresia sociniana, si presenta a noi sotto il duplice aspetto di negazione e di distruzione. Figlia del protestantesimo – di cui può dire: sono il figlio più illustre e terribile – nega l’autorità infallibile della Chiesa ed il dogma fondamentale del Cristianesimo: la Divinità di Gesù Cristo; inoltre, avendo abbracciato il panteismo, con Spinosa e gli Averroisti che l’hanno portata nelle loro braccia, essa distrugge radicalmente non solo la Rivelazione cristiana, ma anche la Rivelazione primitiva, di cui gli antichi popoli, pur pagani, avevano conservato qualche barlume, che metteva sulle loro labbra questo grido: Dio Mio! Il grido di un’anima naturalmente cristiana, diceva Tertulliano. Ora, i massoni non vogliono più questo grido: bandiscono Dio da ogni dove, per prestare le orecchie a satana che dice loro: dii estis… Siete voi ad essere degli dei… Non è questo insensato? Se vogliono convincersi della loro follia, che vadano a vivere per qualche anno tra un popolo maomettano, il più lontano possibile dall’influenza della civiltà cristiana. Lì impareranno a conoscere la disgrazia di una nazione che non ha ascoltato le parole di Gesù Cristo: « Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri ». Mandatum novum do vobis ut diligatis invicem. Si convinceranno, nei loro rapporti quotidiani con questa società maomettana, come noi ci siamo convinti a Zanzibar ed altrove, che la devozione gratuita, ispirata da Cristo e da lui solo, è assolutamente sconosciuta lì, così come le delicate virtù che sono alla base della nostra civiltà. Quando vedranno le donne, o meglio le donne confinate nel loro serraglio, saranno costretti a confessare che il fondatore del Cristianesimo ha risollevato l’umanità intera, rifacendo la famiglia, dove la donna è tornata ad essere, grazie a Lui, la compagna onorata degli uomini e la vera madre dei loro figli. Che vadano, se preferiscono, dai popoli selvaggi del continente africano. Lì impareranno presto con la loro esperienza, se stabiliranno qualche insediamento, che la terra appartiene a tutti ed i suoi frutti a nessuno, secondo la massima dei socialisti; perché saranno saccheggiati e derubati quando raccoglieranno i frutti del loro lavoro. Questo è ciò che diventa una società, qualunque essa sia, quando non ha avuto la fortuna di ascoltare gli Apostoli di Gesù Cristo. Ci sarebbe, però, qualcosa di ancora peggiore: sarebbe un popolo composto interamente da panteisti, o da massoni. In un popolo del genere, se dovesse aderire al panteismo, non ci sarebbe più un unico principio che possa raggruppare ed unire i suoi membri. Sarebbe la realizzazione delle parole di Machiavelli: « La natura ha creato gli uomini con la facoltà di desiderare tutto e con l’impotenza di ottenere tutto, cosicché, dirigendo i loro desideri verso gli stessi oggetti, sono condannati ad odiarsi l’un l’altro ». Per sfuggire a questa guerra di tutti contro tutti, tutto è permesso e tutti i diritti e i doveri possono essere violati. Ancora una volta, non è insensato tutto questo? Lasciamo al lettore il compito di giudicare, e ci affrettiamo a terminare questo studio con alcune conclusioni.

CONCLUSIONI.

Per concludere, diremo: i nostri timori, le nostre speranze, i nostri propositi.

I. I nostri timori.  

Non riuscirete nel vostro progetto di schiacciare l’Infame, scriveva Federico II, re di Prussia, a Voltaire, finché non potrete disporre del potere. – Per questo temiamo, non per la Chiesa universale che è immortale, ma per le Chiese particolari che non lo sono, che la Massoneria riesca a impadronirsi del potere governativo nelle varie Nazioni; perché, allora, i suoi adepti, elevati da essa alle prime cariche dello Stato, saranno soggetti ai suoi ordini, allo scopo di distruggere il Cristianesimo, dove esso dominerebbe. – Per quanto riguarda la Francia, in questa ipotesi, saremmo condannati a subire la stessa persecuzione dei nostri padri nel 1793, persecuzione che abbiamo descritto sopra, in tutti i suoi principali dettagli ed orrori sacrileghi. – Un altro timore è che la cosiddetta classe dirigente continui a non vedere che la Massoneria stessa gestisce i mille ingranaggi nascosti di cui soffrono profondamente la Religione, l’autorità governativa, la magistratura, l’esercito, il commercio, l’industria e l’intero Paese, nei suoi vari interessi. Oggi è impossibile credere, ragionevolmente, che la Massoneria sia semplicemente una società innocua, che non si occupi né di Religione né di politica, ma solo dei suoi membri, dal punto di vista filantropico. Se, dunque, c’è motivo di combatterla, o almeno di difendersi da essa, è necessario sapere che è veramente ostile al Cristianesimo e che, in breve, vuole la sua completa distruzione, con tutti i mezzi a sua disposizione, i numerosi mezzi che conosciamo e che non è necessario enumerare qui. Temiamo anche che un certo numero di persone, invitate dai Fratelli massoni designati con il nome di Brethren Enroleurs, accettino di entrare nella Massoneria, senza saperlo, come è stato fatto molte volte. Potremmo fornire numerose prove di ciò. Per questo motivo è necessario adottare misure per evitare questo pericolo, soprattutto per i giovani senza esperienza di uomini e cose. – Infine, temiamo che gli stessi massoni continueranno a camminare per la loro strada, ingannandosi a vicenda: i ricchi usando i lavoratori, e i lavoratori facendosi fuorviare dalle loro guide. Infatti, tra i massoni ci sono due classi: i dotti e gli analfabeti; tra questi ultimi ho nominato, in generale, gli operai.  Ora, i letterati, che sono per la maggior parte proprietari, formano quella che potremmo facilmente definire una corrente che batterà contro le mura della Chiesa, per rovesciarla. A questo scopo, i massoni alfabetizzati usano, e intendono usare in futuro, gli operai, per aiutarli nella loro opera di distruzione religiosa. Gli operai, da parte loro, formano un’altra corrente che colpirà, con non minore violenza, la proprietà e la cassaforte. I letterati si sbagliano se credono che, dopo aver distrutto la Chiesa, la magistratura e l’esercito, i baluardi della proprietà, riusciranno ad arginare poi la marea popolare. Nonostante tutte le loro avances e concessioni, saranno avvolti e trascinati nell’abisso dal torrente. Così i ricchi muratori avranno preparato follemente la loro rovina e gli operai avranno ucciso la gallina dalle uova d’oro, cioè la proprietà ed il capitale, senza i quali il commercio e l’industria possono solo vegetare e morire. Invano i socialisti contano sulla Repubblica, o meglio sulla Comune europea, un progetto irrealizzabile. Se un giorno si realizzasse, il giorno dopo sarebbe dissipato dall’insaziabile appetito di tutti. Chiunque voi siate, massoni letterati o illetterati, non dimenticate che esiste, vostro malgrado, in questo mondo, una legge provvidenziale chiamata legge del taglione, e che sarete trattati così come avete trattato Dio, che è un Padre, e la Chiesa Cattolica, che è una Madre. Se la Massoneria colpirà fino all’estremità della terra il massone che la tradisce, ricordate che anche Dio è potente, e la sua infinita giustizia esige che ogni colpa, per quanto lieve, riceva la sua punizione. Voi non vi sfuggirete.

II. – Le nostre speranze.

Speriamo che le parole dei Sommi Pontefici, fedeli custodi della verità, siano ascoltate in futuro meglio che in passato. L’esperienza, cioè le disgrazie di cui la setta è autrice e noi le vittime, comincia a dimostrarci che i Papi hanno sempre avuto ragione nel condannare e scomunicare i massoni. Ci auguriamo che i padri, così come le madri, i tutori e le altre persone incaricate di guidare i fanciulli, comprendano la necessità dell’istruzione cristiana per l’educazione dei giovani e chiedano a tutti i costi che venga impartita loro. In questo si comporteranno da Cristiani e da veri patrioti, perché i giovani cresciuti senza principi religiosi, per capriccio della Massoneria, sarebbero buoni solo per formare in dieci anni un esercito di atei, adatto a mettere il mondo sottosopra e degno di marciare, un giorno, sotto la bandiera dell’Anticristo. Ci auguriamo che tutti gli uomini che sanno maneggiare la parola o la penna si convincano sempre più che la parola è un seme che produce fatalmente secondo la sua natura, e che diffondano la buona parola ovunque vadano, ispirandosi alle opere di San Tommaso d’Aquino, così ben adattate alle necessità del nostro tempo, e così giudiziosamente raccomandate dal Pontefice Leone XIII. Speriamo anche che le persone zelanti, capaci di rimediare da sole alla mancanza di istruzione religiosa negli adulti e nei bambini, vogliano diventare apostoli di Gesù Cristo con tutti i mezzi che la carità suggerirà loro. – Speriamo che le anime rette ed i cuori valorosi si allontanino dalla Massoneria studiando la sua dottrina. Perché allora sarà facile per loro vedere che Fausto Socino, il suo autore, si è lasciato andare alla voluttà, come Maometto; all’orgoglio della ragione, come Lutero; al disordine sociale, come tutti i peggiori cospiratori, che erano suoi figli.  Speriamo, infine, che Dio ascolti le preghiere dei suoi figli, e che dopo aver permesso alla Massoneria, soprattutto dopo la morte di Gregorio XVI, avvenuta nel 1846, di lavorare per l’unificazione e di abusare della libertà umana per combattere la Chiesa Cattolica, permetta anche una nuova effusione del suo Spirito sulla terra, per rinnovare il volto della Chiesa, e per procurare a Gesù Cristo un trionfo che risponda ai lunghi anni di sofferenza vissuti da Pio IX e Leone XIII. Che il Cielo conceda che gli elementi di unità materiale, intellettuale e morale, accumulati nel mondo per cinquant’anni dalla scienza, dalla fortuna e dall’attività umana, dalla stessa fede e dall’incredulità, servano presto a stabilire tra gli uomini l’unità di credo, attraverso Gesù Cristo Nostro Signore e la Sua infallibile Chiesa.

III. – Le nostre risoluzioni.

Pio IX diceva: « Abbiate un cuore di madre per gli erranti e colpite duramente l’errore ». – Ci ripromettiamo di obbedire a questo consiglio, sia nei confronti dei massoni che della loro dottrina. Invitiamo i nostri fratelli ad ascoltare anche le parole del Santo Pontefice.  Li invitiamo anche, poiché il futuro della Chiesa di Francia e della Francia stessa dipende dall’insegnamento, a rivolgere tutta la loro attenzione, tutta la loro devozione, tutte le loro risorse, a questo lato. Chiediamo loro di riflettere e di guardare attentamente dentro e fuori di sé, per vedere fino a che punto le massime pagane abbiano prevalso su quelle cristiane, il razionalismo massonico sull’autorità della Chiesa, l’indipendenza sociniana sull’obbedienza cristiana, i costumi voluttuosi dell’errore sulla mortificazione praticata e comandata da Gesù Cristo; in una parola, il paganesimo sul Cristianesimo. – Li preghiamo di credere fermamente che la Massoneria voglia distruggere tutto il Cristianesimo, tutta la rivelazione religiosa, a vantaggio del razionalismo e del panteismo, e che se, per calcolo, demolisce l’edificio della fede pezzo per pezzo, nulla la fermerà nella sua opera satanica. Di conseguenza, bisogna capire che le concessioni devono essere rifiutate, se possibile. E cosa potrebbe fare la maggioranza di un popolo, se sapesse cosa vuole, contro un’eresia servita da una minoranza che ha solo appetiti, senza convinzioni né ideali? Guai a noi se le nostre Chiese saranno un giorno sostituite dalle scuole che si stanno costruendo per essere degne di diventare le trottole della scienza!  Una volta fu detto a un principe esiliato: I tuoi amici ti aspettano in patria: cosa devono fare per spianarti la strada? – Che si santifichino, rispose l’esule.  – Il nostro Principe cristiano è Gesù Cristo, esiliato dalle nostre leggi, dalle nostre scuole, dalle nostre famiglie, da molte anime che gli appartengono per il Battesimo. A coloro che lo adorano dicendo: Adveniat regnum tuum, rispondiamo anche: Santificatevi! Sì, santifichiamoci tornando Cristiani e smettendo di essere pagani. Allora il Maestro divino si degnerà di servirsi ancora una volta della Francia per realizzare i suoi piani di carità misericordiosa nel mondo. Santifichiamoci sottomettendoci senza riserve al Magistero infallibile della Chiesa, per guarire dal liberalismo o razionalismo massonico che ha invaso tutto, e Dio ci conserverà il prezioso dono della fede. Affrettiamoci a santificarci perché il Signore ponga fine alla persecuzione religiosa di cui soffriamo, e perché converta anche i nostri fratelli traviati che, in odio a Gesù Cristo, vogliono tenere un congresso massonico a Roma quest’anno, davanti al Suo Vicario, ed un altro, l’anno prossimo, a Gerusalemme davanti al Calvario, dove l’Agnello divino è stato immolato per la nostra salvezza, sotto gli occhi di Sua Madre, che è diventata nostra Madre… Che venga il regno di Gesù Cristo, più brillante che mai!

AGGIORNAMENTI AL 2023

(N. d. R.)

Il libro di monsignor Fava, edito circa un secolo e mezzo orsono, è di un’attualità stupefacente: le idee gnostico-panteiste del Socino, fatte proprie dalla Massoneria, sono le idee oggi in voga in ogni angolo della terra, idee che hanno già trasformato l’umanità in una mandria di schiavi asserviti agli interessi di pochi adoratori di satana, loro padre e loro dirigente. Le logge si sono allargate costituendo istituzioni mondialiste, o, come si dice oggi, globaliste, covo delle razze di vipere che stanno avvelenando tutta la società totalmente paganizzata. Le idee e le finalità sono sempre le stesse, cioè la distruzione della Chiesa Cattolica – si fieri potest -, la negazione della divinità di Cristo e la cancellazione del Cristianesimo non solo dalle attività e dalle istituzioni umane, ma finanche dal cuore e dalla mente degli uomini ingannati e storditi da droghe spacciate per medicine e vaccini, veleni, sistemi filosofici più o meno strampalati o francamente assurdi. Dopo aver infiltrato ed asservite tutte le Nazioni del mondo in ogni Continente, sono state create aree geografiche sempre più ampie gestite da supergoverni continentali, da banche mondiali, da organizzazioni finto-sanitarie che tutelano interessi particolari a discapito delle masse ignare ed inebetite … E la Chiesa, vi chiederete forse, come ha reagito? La Chiesa è stata eclissata, come profetizzato dalla Vergine Maria a La Salette (1846), sostituita da una superloggia che ne ha conservato le strutture visibili svuotandole di ogni contenuto dottrinale e spirituale fino a ridurla ad una larva, ad una conchiglia, ad un carapace vuoto e senza la vita di grazia. Il Nubius aveva purtroppo visto giusto, e così, corrompendo gli uomini della Chiesa, la Massoneria si è insediata prima nelle varie congregazioni ed ordini religiosi, puntando primariamente ai Gesuiti, da sempre nel mirino dei “figli della vedova”, ed infine nei templi sacri, compresi i palazzi vaticani, fino ad espugnare apparentemente, usurpandolo, il soglio di S. Pietro, ove ha posto, dal 28 ottobre del 1958 ed in successione, uomini iniziati, cresciuti alla sua ombra ed indottrinati a rendere scaltramente ed in lenta inarrestabile progressione i servizi richiesti dalle “cupole” per traghettare tutte le religioni – anche se in realtà l’unica che si vuole cancellare è la Cattolica – in un organismo religioso unico mondiale, ecumenico-indifferentista, che sarà presieduto dall’anticristo o da un suo stretto “collaboratore”. E allora, la Chiesa è distrutta, il Papa trasformato in anticristo? Dio ed il suo Cristo sconfitti per sempre? … et irridebit eos Deus … No, no, cari lettori, le porte dell’inferno non prevarranno giammai, come Nostro Signore Gesù Cristo ha promesso ai suoi Apostoli ed ai suoi fedeli, la Chiesa esiste, portata dallo Spirito nel deserto, come meravigliosamente descritto nel capitolo XII dell’Apocalisse; essa è nel “deserto”, o se preferite nel sepolcro, come Cristo, suo Sposo, e Capo del Corpo mistico che, una volto sepolto e dichiarato morto risorgerà meraviglioso, raggiante, inaspettato dai malvagi inorriditi adepti servi di lucifero intruppati sotto lo stendardo dell’anticristo, che saranno bruciati dal soffio del Cristo e scaraventati nello stagno di fuoco preparato per le bestie – generate da Socino, Cromwell, Weitshaup, Voltaire, etc. -, per lo pseudoprofeta e per il dragone infernale. Tutto è già scritto da millenni, non ci sono altre ipotesi o previsioni umane da avanzare. Cristo vive in eterno, Cristo vince, Cristo impera nel suo regno – la Gerusalemme celeste – che Dio, il Dio Padre della SS. Trinità, l’unico, il solo Onnipotente, gli ha consegnato, dopo aver posto i suoi nemici a sgabello dei suoi piedi e raccolti nel suo Tempio santo tutti coloro che lo hanno amato, conosciuto e servito. Gloria a Dio nei secoli dei secoli!

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (1)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (7)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (7)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE
 

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PARTE SECONDA.

COSA PENSARE DEL PROGETTO DELLA MASSONERIA DI DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO?

III. – Il progetto della Massoneria è nemico della libertà religiosa.

Sappiamo che i massoni parlano molto di libertà religiosa, e abbiamo sotto gli occhi vari diplomi di affiliazione alle varie obbedienze della Francia massonica dove leggiamo, in testa, queste parole: Libertà di coscienza. Ma per essere coraggiosi non basta parlare di coraggio, bisogna dimostrarlo con i fatti. Allo stesso modo, colui che è veramente amico della libertà, lo dimostra nella sua condotta. Libertà di coscienza: vediamo se questa scritta sulla facciata del tempio massonico sia vera o falsa. – Diciamo innanzitutto che mettere sullo stesso piano l’ebraismo e il Cristianesimo, il Cattolicesimo e il protestantesimo, il maomettanesimo e tutte le eresie non significa dire, né dimostrare, che rispettiamo tutte le religioni, ma piuttosto affermare che le disprezziamo tutte, poiché esse si escludono a vicenda. Posso essere amico di uomini che sono nell’errore, ed essere gentile con ebrei, maomettani, protestanti e massoni; tuttavia, non posso, senza essere irragionevole ed empio, amare allo stesso tempo il giudaismo che crocifigge Gesù Cristo e il Cristianesimo che lo adora come Dio; Il Cattolicesimo che venera il Magistero infallibile della Chiesa docente e il protestantesimo che lo ripudia con orrore, sbattendoci in faccia il nome di “papisti” come un insulto. Ebbene, questo è ciò che ha fatto Socino. Ammette nel tempio che ha costruito tutte le dottrine, indistintamente; le getta tutte insieme, ma ad una condizione: che cedano tutte alla religione naturale, in altre parole, il razionalismo: farlo significa non rispettare queste diverse religioni, ma piuttosto disprezzarle tutte; questa non è tolleranza, ma indifferenza nella sua massima espressione. Cromwell si comportò allo stesso modo; ma la spiegazione del suo sistema razionalistico è più chiara, come abbiamo visto sopra, nell’articolo dedicato a questo grande cospiratore. – Per quanto riguarda Weishaupt, nei suoi scritti originali, riportati sopra, egli affermava che il Cristianesimo e tutte le altre religioni « hanno come origine le stesse finzioni; che sono tutte ugualmente fondate sulla falsità, sull’errore, sulla chimera e sull’impostura: questo è il nostro segreto », egli aggiunge. – Questo è il modo in cui i massoni moderni lo intendono e lo spiegano a parole e nei fatti. Qual è allora il significato, in stile massonico, di questa espressione: Libertà di coscienza? Non siamo noi a rispondere a questa domanda, è Weishaupt stesso che ha risposto, lui il cui Illuminismo ha prevalso, si ricorda, nel convento universale di Wilhemsbad. Ecco cosa egli diceva: « Abbiamo dovuto superare molti pregiudizi tra di voi, prima di potervi convincere che questa cosiddetta Religione di Cristo era solo opera di Sacerdoti, di impostura e di tirannia. Tale è l’ospitalità offerta nelle logge alle varie credenze. Vengono chiamati con mille promesse e con la grande parola della Libertà che risuona dal balcone della porta; vengono gentilmente accolti, fatti entrare, e poi la porta viene chiusa su di loro, e allora inizia il lavoro massonico, che consiste nell’abile superamento dei pregiudizi, dice Weishaupt; cioè le credenze religiose, qualunque esse siano, vengono fatte morire di una morte lenta, quando non possono essere massacrate subito. Questo è ciò che questi signori intendono per libertà di coscienza. – Niente è dispotico e tirannico, dal punto di vista religioso, come la Massoneria. Non solo pretende di essere la verità e di avere tutti i diritti della verità, ma non lascia libertà a quello che chiama errore, cioè al Cattolicesimo; lo carica di catene, in attesa che venga soffocato o sgozzato. Questi uomini, che conducono una guerra totale contro il Syllabus, lo superano in modo crudele. La Santa Sede condanna l’errore dottrinalmente, per illuminare le menti; ma il Syllabus rimane come un faro, per illuminare coloro che vogliono la sua luce, e i massoni sono liberi di agire come vogliono, mentre le processioni cattoliche sono soppresse, l’insegnamento cattolico distrutto pezzo per pezzo, Cristo rimosso dalle nostre scuole, il Catechismo ripudiato e Dio soppresso. Perché? Perché nel 1877 la Massoneria francese, sulla scia del Convento di Wilhemsbad, eliminò dai suoi statuti l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. La Massoneria è razionalista ed atea; di conseguenza, intende che tutti lo siano. Proibisce la pratica di qualsiasi culto religioso e non vuole alcun atto pubblico di Religione, perché la coscienza dei massoni ne sarebbe ferita. – Comprendiamo, allora, cosa significhi per loro questa espressione: libertà di coscienza. Si tratta della loro libertà, della loro coscienza. Essi si impregnano della setta massonica con tale amore ed orgoglio che l’umanità scompare ai loro occhi. A noi Cattolici non rimane alcun diritto, se non quello di ricevere la legge da questi spietati padroni e di ritenerci felici che essi ci facciano vivere, per il momento. Se un bambino cattolico sussurra la sua preghiera in classe, deve tacere: la coscienza massonica è ferita… Il Padre Nostro lo fa contorcere…. La vista di Cristo lo disturba… Presto la tonaca del prete sarà un crimine… i nostri canti sacri saranno grida di sedizione… Cattolici, e anche voi, bambini, tacete, in nome della libertà della coscienza massonica, tacete, e se Dio è vostro Padre, non nominatelo più, nemmeno sottovoce: la Massoneria vuole così! Quindi i franco-massoni formano il popolo eletto e noi, che non lo siamo, siamo i Gentili. Loro sono la razza santa e noi siamo i profani: questo è il nome che ci danno nella loggia; loro sono i cittadini romani – di una volta – e noi siamo i barbari. Si dice: sono un massone, come San Paolo ha detto: Civis romanus sum: sono un cittadino romano. La libertà a cui abbiamo diritto è quella che loro sono disposti a concederci; felici, ancora una volta, di poterci considerare in grado di poter vivere, senza che ci si inquieti oltre. Non è questa una novità. Tra i manichei c’era libertà solo per i manichei; si dava l’elemosina, dice Sant’Agostino, solo ai manichei; il resto formava il volgo spregevole. Tali sono i musulmani nei loro Paesi per i cani Cristiani; di un orgoglio smisurato e di un’insolenza che sarebbe rivoltante, se non fosse ridicola. Siamo clericali e ci è stato detto che il clericalismo è il nemico! Questo epiteto vale tutti gli altri. Queste valutazioni sono ben fondate nella ragione. Seguiamo il lavoro delle logge da molto tempo, leggiamo le loro opere e i loro bollettini mensili; siamo sicuri di ciò che diciamo. Libertà di coscienza! Queste due parole sono fatte l’una per l’altra? E unirli non è forse un matrimonio forzato? Vorrei che un massone ci spiegasse cosa si intenda in massoneria per libertà di coscienza. Se questi signori non avessero giurato di farlo, sotto le più severe sanzioni, li pregheremmo di insegnarcelo. Per prendere le parole come suonano, la coscienza è il giudizio pratico della ragione che ci dice che una cosa possa essere fatta, o debba essere fatta, perché è buona o ordinata, o che debba essere omessa, non fatta, perché è cattiva. San Basilio chiama la coscienza « un tribunale basato sulle luci naturali ». È uno spirito di insegnamento e di correzione dato all’anima, di cui è come la legge interiore. Ascoltiamo alcune parole di San Tommaso d’Aquino su questo capitolo della coscienza, e traiamo dalle sue parole le conclusioni volute per il nostro argomento. « Si dice che la coscienza testimonia, vincola, stimola, oppure accusa, lacera e riprende. Ora, tutte queste cose sono la conseguenza dell’applicazione ai nostri atti di una conoscenza o scienza della nostra mente. Questa applicazione avviene in tre modi; in primo luogo, quando riconosciamo di aver fatto o omesso qualcosa, secondo le parole dell’Ecclesiaste: « La vostra coscienza sa che spesso avete pronunciato maledizioni contro gli altri »; e così si dice che la coscienza testimonia. – « In secondo luogo, quando giudichiamo in base alla nostra coscienza se una cosa debba o non debba essere fatta; e così la coscienza ci serve da freno o da sprone. « Infine, questa applicazione avviene in un terzo modo, quando giudichiamo che una cosa fatta sia stata fatta bene o male; ed è in questo modo che la coscienza scusa, accusa o lacera. Così, secondo San Tommaso d’Aquino, la coscienza svolge in noi la triplice missione di testimoniare, giudicare ed applicare la sanzione, e in queste diverse funzioni agisce secondo i principi di verità e di giustizia che sono in essa, come partecipazione dei principi che sono in Dio stesso. Chi può non vedere, allora, che la coscienza non può essere libera? Infatti, come testimone, può la nostra coscienza dirci che non abbiamo commesso questa o quella azione malvagia, quando sa perfettamente che ne siamo colpevoli? Provate a convincere un peccatore, chiunque esso sia, che è innocente; nel profondo della sua anima dirà a se stesso: “Gli uomini possono non sapere del mio crimine, io non posso ignorarlo”. – Che quest’uomo poi cerchi di illudersi, la sua coscienza, come un ramo vigoroso piegato per un momento, si rialzerà presto con nuova forza e gli dirà: Ho visto tutto, ho sentito tutto, ho conservato tutto; testimonio e testimonierò sempre contro di te, perché sono schiavo della verità incorruttibile. Pensate che come giudice la vostra coscienza sia più libera? No, certo che no. La coscienza non è altro che la ragione che giudica in un caso particolare e sentenziando un atto come buono o cattivo ai suoi occhi, la coscienza dice necessariamente ciò che vede: la verità! Un uomo, in pieno giorno, è libero di vedere o non vedere che è giorno? Può chiudere gli occhi, ma non è libero di dire che è notte, quando sa che è giorno. Se lo dice, sa che sta mentendo alla verità. La coscienza non è nemmeno libera di dire che vede qualcosa di diverso da ciò che osserva. Infine, la nostra coscienza non può fare a meno di accusarci quando abbiamo fatto del male, né può fare a meno di lacerarci con il rimorso, che ci conficca come una spada e che non ci strapperà dal cuore finché non avremo espiato questo crimine, questa colpa, davanti a Dio, che perdona sempre il peccatore contrito e pentito, nel tribunale della misericordia che ha istituito sulla terra, attraverso il ministero della sua Chiesa, quando vi si può ricorrere. La coscienza non è quindi libera, né come testimone, né come giudice, né come esecutore della sentenza; di conseguenza l’espressione: libertà di coscienza, in sé, è difettosa. Se questa espressione significa: libertà di credere, allora è più comprensibile, perché la libertà è la facoltà di scegliere tra il bene e il male; « facultas eligendi inter bonum et malum », ognuno, in virtù di questa facoltà, crede o non crede all’insegnamento che riceve. – Ma anche in questo caso ci si può chiedere dove sia il rispetto della Massoneria per le credenze religiose altrui. Se esistesse questo rispetto, i massoni non tratterebbero i Cattolici come fanno quando hanno il potere nelle loro mani; e i Pontefici non dovrebbero alzare la voce così spesso per lamentarsi dei loro scritti e delle loro azioni. – La setta massonica, come abbiamo detto e come tutti possono vedere oggi, è incredibilmente intollerante nei confronti di tutte le religioni positive, soprattutto del Cattolicesimo. Lo attacca nelle logge. – dove essa dice, non si discute né di Religione né di politica, – con una violenza ispirata dall’odio settario, e anche dalla malafede, quando non è che vera ignoranza. – È nostro dovere fornire una prova di questa affermazione, ed è ancora una volta dal Bollettino della Gran Loggia Simbolica Scozzese che la trarremo, (pagina 333, n. 23. Febbraio 1882.). – Il F .:. Poncerot riferisce in questi termini di un opuscolo offerto alla L. :.  di F.:. Alfred La Belle, e intitolato: Les Dogmes. – « In quest’opera, miei F. F. :., il F. :. La Belle, prendendo di mira i dogmi fondamentali della Religione cattolica, cerca di dimostrare che i teologi, suoi fondatori, nel formularli non li hanno affatto inventati, ma se ne sono solo appropriati, prendendo in prestito i caratteri principali dalle religioni indiane che hanno preceduto l’era cristiana di diverse migliaia di anni. « Partendo dal peccato originale, l’autore stabilisce che la Bibbia ebraica ha ricamato il suo romanzo di Adamo ed Eva sul mito indù dell’albero della vita e della scienza, che ha semplicemente adattato alle esigenze del tempo e all’obiettivo perseguito da Mosè e poi dai Padri della Chiesa per spiegare, a modo loro, le cause del male e del decadimento originale, una mostruosità di cui mette in luce la perfetta e iniqua assurdità. « Dall’idea della creazione dal nulla e da questo principio di decadenza originaria seguono logicamente tutti gli altri dogmi: Immacolata Concezione, Battesimo, Cresima, Matrimonio, Estrema Unzione, Ordine, Eucaristia, Immortalità e vita futura, Purgatorio e Inferno, ecc. ecc. e infine l’Infallibilità papale, dovendo il Papa, successore e rappresentante del Redentore, Figlio di Dio, essere necessariamente infallibile. – Mi astengo dal seguire l’autore nella sua critica dettagliata di ciascuno di questi dogmi che – è il F. :. Poncerot che parla sempre – formano i titoli dei capitoli del suo volume, dogmi la cui inanità non ha certo bisogno, miei F. F. :. di essere dimostrata, essendo l’edificio costruito in modo tale che, pur essendo molto solido, è troppo solido solo se si ammette il fatto della caduta originaria, e sprofonda e cade nella polvere non appena questa chiave di volta viene distrutta. » – Potremmo fermarci qui; ma se, per caso, F. :. Poncerot ci leggerà un giorno, forse dirà che non abbiamo osato citare la parte più forte del suo articolo; quindi riportiamo il resto: « Vi dirò tuttavia qualche parola sul capitolo sulla Predestinazione, sul quale il F.:. La Belle si è soffermato in modo particolare, e di cui sottolinea la flagrante contraddizione con gli attributi di bontà e di giustizia sovrana di cui i credenti si compiacciono di adornare il loro Dio. – Questo dogma ha la sua origine e la sua spiegazione nel brahmanesimo, la cui civiltà relativa si basa sulla divisione in classi. In India, la casta sacerdotale aveva bisogno di attribuirsi l’autorità, il governo supremo e il possesso della maggior parte possibile dei beni terreni; sosteneva, essendo emanata dal cervello stesso di Brahma, di essere predestinata alla superiorità dell’intelligenza e di essere l’unica autorizzata a creare la legge, il diritto, affermandosi così come padrona assoluta dell’intera società. « Come vedete, si trattava di una chiara negazione delle idee di libertà, uguaglianza e fraternità. « Questa tradizione funesta era troppo buona per non essere impiegata, e soprattutto troppo fruttuosa per non servire da modello ai leader delle varie religioni successive in contatto con il brahmanesimo, che la utilizzarono nella misura in cui l’ambiente in cui operavano glielo permettesse, e lo troverete in varie traduzioni: in Persia, in Egitto, dove fu importata dagli emigranti indù, e poi nei druidi, nei greci e nei latini, che però ne mitigarono l’orribile dispotismo, soprattutto questi ultimi, ammettendo, più tardi, dopo Gesù, la possibile elevazione dei paria, a condizione però che la grazia divina lo permettesse, Si capisce bene, infatti, che il Dio di questo popolo si riserva il diritto di salvare chi vuole, conoscendo fin dall’eternità quelli che gli conviene dannare, probabilmente per sua soddisfazione, poiché, essendo Onnipotente, non può che dipendere da Lui che tutti i suoi figli siano felici e godano della beatitudine eterna. Questa è la sua giustizia. » – Tali sono, diremo a nostra volta, i ragionamenti del F.:. La Belle, portati alla luce dal F. :. Poncerot. Fino a quel momento, nulla era pericoloso per il pubblico, poiché nessuno poteva capire nulla. La conclusione deve averli impressionati di più: eccola: « Ma noi, miei F.F. :., che non entriamo nei nostri a:. t:., cioè nelle nostre officine massoniche, se non solo dopo aver lasciato alla porta tutte queste superstizioni, uniamoci al F.:. La Belle, dicendo: salute e grazie al metodo scientifico, che espelle da tutto il processo della fede ». La cosa più evidente è che la libertà di coscienza sia intesa in modo singolare dai massoni: essi lasciano alla porta tutti i pregiudizi, cioè tutte le credenze religiose, e salutano con entusiasmo il metodo scientifico, che espelle da ogni parte il processo di fede. L’espressione, libertà di coscienza, è quindi solo una parola destinata ad ingannare, appunto è il syllabus dell’errore massonico. Per quanto riguarda l’estratto in sé e il suo valore, ci permettiamo di dire a F.:. La Belle e F.:. Poncerot, che sarebbe stato molto utile per loro consultare il lavoro del signor Estîin Carpenter, pubblicato in The Nine teenth Century-dicembre 1880. Questo scrittore non avrebbe dovuto spaventarli, visto che è un razionalista. Ebbene, in una discussione storica in cui P. de Bonniot pubblica una sintesi di quest’opera, come F.:. Poncerot ha fatto per F.:. La Belle, il P. de Bonniot, seguendo passo dopo passo il suddetto studioso, giunge a questa conclusione: « Così, tutto crolla in questo sistema che fa del Cristianesimo una specie di setta buddista. Oltre al fatto che le dottrine sono radicalmente opposte nelle loro parti essenziali, la storia chiude ostinatamente tutte le vie che potrebbero permettere alle idee del Buddha di penetrare nei luoghi in cui la Religione di Cristo ha avuto origine da lui. Non c’è quindi nulla che permetta di far derivare il Cristianesimo dal buddismo. Anche questa povera argomentazione basata sulla somiglianza è sparita! Le origini buddiste del Cristianesimo sono una barzelletta scientifica. « J, DE BONNIOT ». (Annali di filosofia cristiana. – Giugno 1881). – Facciamo osservare che la tesi di F.:. La Belle non è diversa da quella dei filosofi dell’Accademia di Vicenza, fondatori della Massoneria, i cui scritti sono scomparsi. Gli uni e gli altri dimenticano che Gesù Cristo non abbia mai frequentato le scuole e che i Giudei, ascoltandolo parlare, dicevano pieni di ammirazione: « Come fa costui a conoscere le Scritture, visto che non le ha imparate? Eppure il Vangelo è la parola di Gesù Cristo. Chi, dunque, conosceva Buddha a Gerusalemme o anche tra i Romani, che non gliene parlasse? E gli Apostoli, hanno forse pescato il buddismo nel lago di Tiberiade? Pochi giorni prima di iniziare a predicare, essi erano assolutamente come quelli che noi chiamiamo ignoranti; eppure, la dottrina che hanno proclamato è assolutamente la stessa dei Padri della Chiesa e la nostra. Per questo motivo diciamo e dimostriamo che il F.:. La Belle e F. :. Poncerot si sbagliano. Questo fatto, su cui insistiamo deliberatamente, dimostra come le menti degli oratori delle logge siano traviate, quanto poco sia rispettata la libertà religiosa e cosa si debba intendere con la massima massonica: Libertà di coscienza. Libertà di coscienza o meno, la setta massonica non ne comprende nessuna, e non sappiamo quale pratichi. La libertà, considerata come la facoltà di scegliere tra il bene e il male, viene da loro confusa con il diritto di scegliere tra il bene e il male; eppure c’è una grande differenza tra la facoltà e il diritto. Un padre ha la facoltà di educare il proprio figlio come un pagano, ma non ha il diritto di farlo. Ho la facoltà di prendere la proprietà di un altro e di violare la sua casa, ma non ho il diritto di farlo. Un legislatore ha la facoltà di fare leggi ingiuste ed empie, ma non ne ha il diritto. È così che lo intendono i massoni? Le loro azioni rispondono a questa domanda e non possono negare che, ovunque si trovino, per loro la libertà consiste nel diritto di fare ciò che vogliono, sia che si chiamino nichilisti, illuministi, socialisti, o carbonari, liberali o massoni. Sanno essi rispettare i diritti politici di ogni individuo, il cui rispetto garantisce la libertà comune a tutti? Dagli imperatori e presidenti di repubbliche che vengono assassinati, al più semplice religioso che viene cacciato dalla sua casa, non c’è forse una moltitudine di funzionari e di persone che si lamentano, e a ragione, di essere stati lesi nell’esercizio dei loro legittimi diritti? Sarebbe meglio parlare meno di libertà e praticarla di più. Lasciamo al lettore il compito di completare da se stesso questa considerazione, perché è difficile parlare senza emozione della libertà, quando la si vede tormentata, arrestata e calpestata da uomini che, con il pretesto della libertà, conoscono solo l’indipendenza, la licenza e la rivolta.

IV. – Il progetto della Massoneria è contrario ai buoni costumi.

Se la massoneria è nemica della vera libertà, non è certo amica della buona morale. Possiamo applicare ad essa le parole che Lutero stesso disse della Riforma protestante, poiché Socino ne fu il figlio terribile. Non dimentichiamo che i discepoli di Socino hanno inciso sulla lapide del loro maestro: « Lutero ha scoperchiato il tetto della Chiesa cattolica, Calvino ne ha rovesciato le pareti e Socino ne ha demolito le fondamenta. » – « Non appena abbiamo iniziato a predicare il nostro Vangelo – dice Lutero – si è verificato un terribile sconvolgimento nel Paese; si videro scismi e sette, e ovunque la rovina dell’onestà, della moralità e dell’ordine: la licenziosità e tutti i vizi e la turpitudine superarono ogni limite, molto più di quanto non avessero fatto sotto il regno del Papismo; il popolo, prima frenato dal dovere, non conosceva più alcuna legge, e viveva come un cavallo imbizzarrito, senza pudore e senza freni, lasciandosi trasportare dal capriccio delle sue voglie mondane. Da quando predichiamo, il mondo è diventato più triste, più empio, più volgare; i diavoli si scatenano a legioni sugli uomini, che, alla pura luce del Vangelo, si mostrano avidi, impudenti, detestabili, insomma, peggiori di quanto non fossero sotto il Papismo; dal più grande al più piccolo, si vedono ovunque solo avarizia, disordini vergognosi, passioni abominevoli. Io stesso sono più negligente di quanto non lo fossi sotto il Papismo, e sono meno che mai disposto a seguire la disciplina e le pratiche di zelo che dovrei osservare. Se Dio non mi avesse nascosto il futuro, non avrei mai osato propagare una dottrina da cui sono scaturite tante calamità. – Edizione Walch, v. 1 14. Questa confessione di Lutero, fatta in un momento in cui la verità parlava alla sua anima, è notevole. È l’errore colto sul fatto; è l’errore con le sue immediate e deplorevoli conseguenze, che si abbatte sulla testa e sul cuore del padre della cosiddetta riforma, per punirlo del suo orgoglio, della sua imprudenza e delle sue colpevoli debolezze. L’abate Lefranc, già citato, ci dirà che cosa la massoneria abbia fatto della Francia, e di ciò che era, come risultato della sua dottrina, il francese alla fine del XVIII secolo. – « L’Europa è stupita del cambiamento avvenuto nei nostri costumi. In passato i francesi venivano rimproverati solo per la loro allegria, leggerezza e frivolezza; ora che sono diventati crudeli, barbari e sanguinari, sono aborriti e temuti come lo sarebbe una bestia feroce. Chi lo ha reso feroce, sospettoso, sempre pronto ad attaccare la vita dei suoi simili e ad incarnare l’immagine della morte? Lo dirò io, e … sarò creduto? È la Massoneria… Sì, non ho paura a dirlo, è la Massoneria che ha insegnato ai Francesi a contemplare la morte a sangue freddo, a maneggiare il pugnale senza paura, a mangiare la carne dei morti, a bere dai loro teschi ed a superare i popoli selvaggi in barbarie e crudeltà. Sotto il pretesto della libertà e dell’uguaglianza essa è stata in grado di spegnere il sentimento religioso nei cuori dei Francesi, di far loro odiare i loro principi, i loro magistrati, i loro pastori più fedeli; di alimentare uno spirito di divisione nelle famiglie più unite, di ispirare orrore e carneficina per far riuscire i suoi folli progetti. All’ombra dell’inviolabile segretezza che fa giurare agli iniziati ai suoi misteri, essa ha impartito lezioni di omicidio, assassinio, incendio doloso e crudeltà. Essa ha incoraggiato i crimini più inauditi con la garanzia dell’impunità, con il numero delle braccia armate per la difesa di coloro che seguono le sue massime; ed è riuscita a metterli al riparo dalla severità delle leggi, a prescindere dagli eccessi che si sono permessi. Cosa non sia in grado di fare una società ambiziosa guidata dal fanatismo, che ha corrispondenze in tutta Europa; che ha legato alla sua causa un numero infinito di individui che hanno giurato di marciare in suo aiuto, a qualunque costo; che sembra fatta apposta per riunire gli eretici di tutte le sette, e che li vede pronti ad essere spostati al primo segnale? – Il giuramento richiesto al destinatario è atroce. Eccolo qui: « Dopo che i miei occhi saranno stati privati della luce dal ferro rosso, accetto che, se mai rivelerò il segreto che mi è stato affidato, il mio corpo diventi preda degli avvoltoi; che il mio ricordo sia inviso ai figli della vedova su tutta la terra. E così sia. Questa vedova è la società sociniana. – Si può dire che la Massoneria non abbia adottato tutti questi eccessi? Rispondo che non c’è nulla di cui non sia capace e che non possa giustamente essergli imputato secondo i suoi principi costituzionali. Vuole e pretende di ammettere nel suo seno tutte le sette; perciò quelle moderate si troveranno accanto a quelle feroci, estreme nei loro principi. Così, per sua stessa ammissione, sarà composto da sette contraddittorie, che avranno principi opposti, che potranno approvare e insegnare ciò che altri troveranno reprensibile ed insostenibile; dunque i principii dei massoni tendono a formare un corpo mostruoso, capace di tutti gli eccessi in cui l’errore e il fanatismo possono condurre l’uomo debole e accecato dai pregiudizi e dalle false opinioni; e se nelle Logge massoniche ci fosse solo una mescolanza di luterani e protestanti, di Cristiani e deisti, di giudei e maomettani,  che possono essere tutti accolti nella loggia, non sarebbe sufficiente per impedire ad un buon Cattolico di esserne accolto? – Il velo sollevato per i curiosi, pag. 41. – Eckert, un massone protestante, ha scritto quanto segue: « La storia deve negare che la Massoneria abbia reso il popolo più morale. È vero, aggiunge, che nel 1770, epoca della sua introduzione in Germania da parte dell’Inghilterra, il popolo aveva meno conoscenze scientifiche; ma, in compenso, si distingueva per la probità ed i buoni costumi; amava la propria casa, aveva pietà dei poveri, era leale, si accontentava di ciò che la Provvidenza gli avesse dato come parte; in una parola, viveva secondo i comandamenti di Dio, in cui credeva e che adorava santamente. E oggi è pieno di smisurata presunzione, ha sete di piaceri proibiti; non ha fede in Dio, nei suoi santi Comandamenti, nella ricompensa dei buoni e nella punizione dei cattivi; esso considera lecito tutto ciò che gli sembra vantaggioso, tutto ciò che ecciti la sua bramosia ». La verità non potrebbe essere espressa in modo più preciso, né la fonte del male potrebbe essere indicata più chiaramente. L’uomo cerca sempre la propria felicità nelle sue azioni. Se crede nel paradiso e nell’inferno, agirà in modo da evitare il fuoco eterno riservato ai peccatori e ottenere la felicità eterna promessa al Cristiano che obbedisce alla legge di Dio. – Aiutato dalla grazia divina che la preghiera e la pratica dei Sacramenti gli conferiscono, si sforzerà di vincere le sue cattive inclinazioni e di praticare la virtù, preferendo privarsi dei piaceri proibiti quaggiù piuttosto che esporsi ad un tormento senza fine. Ma se non crede in una ricompensa nell’oltretomba, volendo assolutamente la sua felicità, la cercherà in questo mondo e per lui l’obiettivo della vita sarà il godimento a tutti i costi. Sono quindi le credenze a regolare la morale, e non esiste una morale indipendente dai dogmi. La Massoneria abolisce tutti i dogmi; si spinge fino all’ateismo, almeno tra quei massoni che hanno adottato puramente e semplicemente l’illuminismo di Weishaupt. In Francia, fino al 1877, il Grande Oriente conservava, come abbiamo detto, nei suoi statuti, la credenza nell’esistenza di Dio e nell’immortalità dell’anima; a quel punto, cancellò queste due credenze, per diventare ateo, mentre l’Inghilterra e l’America se ne separarono, volendo mantenere nei loro riti l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. – La vostra Massoneria è quindi senza Dio, senza fede, senza leggi religiose. Essa professa una morale civica, la cui sanzione è la multa, la prigione o qualsiasi altra pena, che non ha alcun rapporto con la sanzione eterna. Quando, dunque, non è proibito dalla legge umana compiere un atto, per quanto immorale possa essere, se questo atto può essere vantaggioso per il suo autore o eccitare la sua brama – dice Eckert – egli lo compie senza scrupoli o rimorsi, perché non crede in Dio, né nei suoi Comandamenti, né nelle sue ricompense, né nelle sue punizioni. Ecco perché potremmo applicare al regno della Massoneria tra noi ciò che Lutero disse del regno della sua stessa Riforma; ciò che l’Abate Lefranc scrisse della morale della Francia al tempo della Rivoluzione di cui sarebbe stato vittima; ciò che Eckert dice della Germania. Chi non conosce il diluvio di libri scadenti, giornali sconci, incisioni oscene da cui siamo sommersi in questo periodo? È stato necessario inventare una parola la cui radice, che significa prostituzione, esprime bene la cosa: pornografia, per dipingere le nostre immagini e la nostra morale in un colpo solo. A chi dobbiamo attribuire questo vergognoso disturbo? Nubius, capo dell’Alta Vendita, ha risposto: « Il miglior pugnale per colpire al cuore la Chiesa Cattolica è la corruzione ». Il suo consiglio è stato ascoltato e seguito tra noi. È dunque alla Massoneria che si deve questo movimento di decadenza morale nelle varie pubblicazioni del nostro tempo, da cui passa alla morale privata e pubblica, per questo la parola è un seme che fatalmente produce frutti, secondo la sua buona o cattiva natura. La massoneria è quindi contraria ai buoni costumi. Il danno che ha fatto in questo senso, ed in molti altri, è incalcolabile, insondabile, profondo come l’abisso. Per tre secoli ha sviato l’umanità e l’ha gettata in balia di tutte le dissolutezze della mente e del cuore; è soprattutto attraverso di essa che la Riforma ha prodotto i suoi frutti peggiori. E questo è comprensibile; vogliamo ripetere questa verità, principio di ogni morale, perché Socino ha abbandonato Gesù Cristo, senza il Quale l’uomo è incapace di compiere un solo atto di virtù soprannaturale. Lutero e Calvino non si sono spinti fino a negarlo. Se la storia dovesse un giorno portare la sua fiaccola nelle logge massoniche, e prendersi la responsabilità di esaminare i loro principi e le loro azioni, per pesare la loro influenza sulla vita intellettuale e morale degli individui e delle nazioni, sarà per essa e per il mondo una spaventosa rivelazione. Si dirà che dalla metà del XVI secolo ad oggi il mondo è stato corrotto, anima e corpo, reso pagano dall’eresia sociniana, che non è altro che la setta massonica. Sarà allora evidente che solo i Papi hanno visto chiaro quando hanno condannato la Massoneria, ma che tutti gli altri erano e sono rimasti ciechi. La Chiesa ci avrebbe salvato da questa piaga.

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (8)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (6)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (6)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE
 

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PARTE SECONDA.

COSA PENSARE DEL PROGETTO DELLA MASSONERIA DI DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO?

.I. – Il progetto della Massoneria non è nuovo.

Questo progetto è letteralmente antico come Erode, non come Erode tetrarca di Galilea che derideva Gesù, ma come Erode l’Ascalonita, il primo dei tre personaggi con questo nome di cui parla San Matteo in questi termini: « Essendo Gesù nato a Betlemme di Giuda, al tempo di Erode re, ecco che i Magi vennero dall’Oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato re dei Giudei? Perché abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo”. Quando il re Erode lo seppe, rimase turbato e con lui tutta Gerusalemme. Poi chiamò a raccolta tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e chiese loro dove dovesse nascere il Cristo. Gli dissero: « A Betlemme di Giuda, perché sta scritto nel profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei la più piccola delle città di Giuda, perché da te verrà il sovrano che guiderà il mio popolo Israele” ». Allora Erode chiamò i Magi in segreto e li interrogò attentamente sull’ora in cui era apparsa loro la stella. E mandandoli a Betlemme, disse: “Andate a cercare esattamente il bambino e, quando l’avrete trovato, ditemelo, perché io stesso possa venire ad adorarlo”. Sappiamo cosa significassero queste parole; infatti, quando Erode vide che i Magi erano partiti senza tornare a Gerusalemme, si adirò violentemente e mandò ad uccidere tutti i bambini che si trovavano a Betlemme e nel paese circostante dall’età di due anni in giù, secondo il tempo da cui era stato edotto dai Magi. – Questo massacro dei Santi Innocenti rivelò al mondo, per la prima volta, il piano per distruggere sulla terra il Regno di Gesù Cristo, il Re annunciato dai Profeti e mostrato ai Magi per mezzo di una nuova stella. Questo servirà da modello per il resto dei secoli e vedremo spesso l’odio contro Gesù Cristo spingere i suoi nemici a rinnovare il massacro degli innocenti, con la speranza di raggiungere Lui stesso. Pertanto, abbiamo ragione nel dire che il piano formato dalla Massoneria contro il nostro Re Gesù sia già molto antico. – Simeone non aveva aspettato l’esecuzione del crudele ordine di Erode prima di preannunciare al mondo che Cristo sarebbe stato oggetto di tutti gli attacchi; infatti, quando il divino Bambino, dopo i giorni della purificazione, fu portato al tempio di Gerusalemme, il santo vecchio Simeone lo prese tra le braccia e, benedicendo Dio, disse: « Ora, Signore, secondo la tua parola, lascerai andare in pace il tuo servo, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato davanti a tutti i popoli, luce per l’illuminazione delle genti e gloria del tuo popolo Israele. » –  E Simeone disse a Maria sua madre: « Questo è Colui che è designato per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, e come segno da contraddire: Signum est contradicetur“. E la spada trafiggerà la vostra anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori »! Questa è la segnalazione sempre vera di Gesù Cristo. Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il Salvatore è venuto per elevare l’umanità dalla vita naturale alla vita soprannaturale, cioè dalla vita pagana alla vita cristiana, attraverso la quale regna in noi, conosciuto, amato e servito a volte fino all’eroismo, ispirando le nostre leggi sociali, regolando le nostre famiglie, guidando la nostra esistenza e ordinandola in vista di un mondo migliore da conquistare attraverso la virtù. Soprattutto, il Salvatore ha divinizzato la sofferenza e ne ha fatto una condizione necessaria all’uomo per riabilitarsi, per espiare le sue colpe e per diventare degno del Padre celeste, che ammette nella patria eterna, dice San Paolo, solo i fedeli imitatori del Figlio, le sue immagini viventi. – Ora, l’umanità si compiace istintivamente del piacere; respinge la sofferenza, si lascia cadere nel paganesimo, con la stessa naturalezza con cui il bambino lasciato libero va a giocare con il capro.  Per questo si commuove quando sente Cristo dirle ancora e ancora attraverso la voce della sua Chiesa: Sursum corda! Cuori in alto! L’aspetto severo del Calvario la infastidisce, la irrita disturbando i suoi piaceri, ed il grido: TOLLE! TOLLE! risponde alla chiamata del divino Crocifisso, ideale perfetto dell’umanità rigenerata. È così che i Giudei hanno messo a morte il Verbo incarnato e che i suoi nemici lo attaccano senza sosta nel corso dei secoli. Ricordiamo questi attacchi e mostriamo a chi vuole vedere la verità, che la guerra contro Cristo è lo spettacolo che questo mondo, avido di piacere, ci offre costantemente. – Non appena nostro Signore iniziò a predicare, gli abitanti di Nazareth, irritati dalla franchezza delle sue parole, lo afferrarono e lo condussero sull’alto della roccia dove era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma Gesù – dice il Vangelo – passando in mezzo a loro, se ne andò. La sua ora non era ancora giunta.  – Per ben venti volte pensarono di ucciderlo gli scribi, i farisei ed i capi dei sacerdoti, la cui superbia li stava divorando, ed il Salvatore disse loro: « Perché volete uccidere me, che vi insegno la verità? » Infine, arrivò il giorno in cui portarono a termine la loro risoluzione criminale, sperando che questa fosse la sua fine. Una speranza vana! Cristo è uscito dalla tomba vivo e glorioso, impassibile ed immortale.  Poiché il mondo non poteva più attaccarlo, volle scatenare il suo odio contro la società che Egli aveva fondato, cioè contro la Chiesa cattolica. Fin dall’inizio dell’era cristiana, apparvero uomini che furono i veri antenati di Socino. Invece di accogliere in ginocchio ed adorare la dottrina che il Verbo incarnato si è degnato di rivelarci su Dio e sui misteri della Verità eterna; invece di ascoltare umilmente gli Apostoli e la Chiesa, che lo Spirito divino ha illuminato con la sua luce, i falsi gnostici si misero a dogmatizzare. Essi volevano sondare la natura di Dio, creare un Dio tutto loro, un Dio che fosse figlio della loro ragione, proprio come fanno tutti i nostri moderni sociniani, e si sono persi nelle insensate invenzioni del loro orgoglio. – Gli attacchi dei primi secoli contro Gesù Cristo e la sua dottrina furono feroci. Lo spirito dell’errore, schiacciato sul Calvario, rialzava la testa. Esso aizzava tutti i partigiani del paganesimo contro la croce, mostrando loro i sacrifici imposti alla natura dal Dio dei Cristiani, e diceva loro: “Come potete voi vivere sotto un tale padrone e con tali leggi?” E subito i sofisti si misero al suo servizio per inventare sistemi religiosi uno più assurdo dell’altro. La follia dell’orgoglio, nel III secolo, aveva raggiunto il punto in cui Manes, l’eresiarca Manes, sosteneva che lo Spirito Santo si fosse incarnato in lui, e il manicheismo, diffondendosi da ogni parte, moltiplicava le sue vittime. Fu allora che apparve Ario. Questi negava sfacciatamente la divinità di Gesù Cristo, al quale tuttavia aveva consacrato la sua vita con giuramenti solenni. L’Arianesimo ebbe un certo splendore e poi si spense. – Esso ebbe lo stesso destino di tutti gli attacchi a Gesù Cristo; gli Imperatori romani erano stati sconfitti: anche lui lo fu. Così che il Cristianesimo aveva smussato la spada dei persecutori e messo a tacere i filosofi e gli eresiarchi, quando apparve Maometto, la cui grande massima: « Non c’è altro Dio all’infuori di Dio », era anch’essa anticristiana, perché negava le Persone divine del Figlio e dello Spirito Santo. Conosciamo la brillante storia del Maomettanesimo, che combinava la forza delle armi con le attrattive di una religione intrisa di orgoglio e di voluttà, con alcune verità prese in prestito dall’Antico e dal Nuovo Testamento. La mezzaluna ebbe giorni di trionfo passeggiero; ma la Croce rimase vittoriosa, proteggendo i popoli che la difendevano. E Cristo Gesù, sempre sotto attacco nella sua Chiesa e nei suoi figli, passava tra le folle, acclamato, adorato e servito con amore sconfinato. Fu allora che i nostri padri costruirono quelle mirabili Chiese e quelle impareggiabili Cattedrali che coprirono, dice un illustre oratore, il Dio dell’Eucaristia con l’ombra e la gloria, Si aprì il secolo XIII e con esso la verità cattolica riversò torrenti di luce sul mondo.  – Questo significa che Gesù Cristo ha cessato di essere un segno di contraddizione? Tutt’altro: non è mai più attaccato da una parte che quando è più adorato dall’altra. Così cominciò in quest’epoca, contro il Cristianesimo una guerra di genere nuovo: fu come un’epidemia o una rinascita del paganesimo, di cui fu autore l’arabo Averroè attraverso il suo commento alla filosofia panteista di Aristotele.  Questo errore fu formulato a metà del XIII secolo, tanto da attirare la seria attenzione di San Tommaso d’Aquino, che lo combatté a fondo nelle sue opere immortali.  Sconfitto dal Dottore angelico, si è tuttavia rialzato e ha continuato la sua marcia, sotto il nome di Rinascimento, sempre grazie all’attrazione dei piaceri sensuali ed alla sete di godimento che divora la povera umanità decaduta. I secoli XIV, XV e XVI ne furono infettati; il XVII non riuscì a preservarsene; il XVIII lo nascose sotto il mantello dei suoi sofisti, e ora nel XIX i franco-massoni, consapevoli o meno della loro opera malsana, cercano di farci ripiombare negli abissi del paganesimo.  –  Lelio e Fausto Socino non ebbero che a coagulare in un sistema gli errori pagani del loro tempo per mettere in luce la loro eresia, la cui essenza non è che la negazione della divinità di Gesù Cristo ed il ritorno al paganesimo attraverso l’adozione del sistema razionalista. Ora, c’è una legge in natura in virtù della quale le acque zampillanti aspirano a salire all’altezza da cui scendono, e si direbbe che questa legge esista anche nel mondo morale; in particolare, per il socinianesimo massonico. Sì, l’eresia sociniana è nata in un ambiente impregnato di paganesimo; è pagana nella sua natura, pagana nelle sue aspirazioni, pagana nelle sue conseguenze e nei suoi risultati. Questo è ovvio, perché se eliminiamo Gesù Cristo e la sua dottrina dal mondo morale, inevitabilmente facciamo ripiombare l’umanità nello stato in cui si trovava prima dell’era cristiana, cioè nel paganesimo. Se gli Imperatori romani fossero riusciti a sterminare tutti i Cristiani, il paganesimo avrebbe trionfato; e se ai nostri giorni la Massoneria, che persegue lo stesso scopo, dovesse raggiungere il fine che si propone, il risultato di questa vittoria sarebbe identico: sarebbe il nuovo regno del paganesimo, con i suoi errori e le sue dissolutezze. – Queste considerazioni meritano di essere portate alla luce, ed è necessario farlo per non lasciare ombre nella mente del lettore. – Nella sua opera intitolata: Gli Eretici d’Italia, Cesare Cantù, che abbiamo già citato e che, giustamente, è ben lontano dall’ignorare le qualità brillanti ed il genio della sua nazione, non teme tuttavia, da storico fedele, di mostrarci gli studiosi italiani del XVI secolo come appassionati ammiratori del paganesimo. « La letteratura – egli dice – che allora non si limitava che ad illustrare la nuova società, pretendeva di modificarne le credenze e la condotta, riportandola in teoria ed in pratica al paganesimo. Le scienze, cresciute nel santuario e disciplinate dagli Scolastici come un esercito, sotto la direzione della Parola di Dio, cominciavano ora a dissertare e, diffondendosi attraverso la stampa, mordevano il seno che le aveva nutrite. Passando dal periodo della credenza a quello della controversia, l’uomo con il ragionamento era arrivato a credersi autore delle verità che prima aveva ricevuto come dono della fede, e mentre fino ad allora la Religione era rimasta, come la definiva Grozio, l’unico principio di giustizia universale, ora era più esclusivamente alla Chiesa che si chiedeva il modo migliore di servire Dio ed il prossimo. Platone aveva detto, secondo Sant’Agostino: « La filosofia è imparare a conoscere Dio – fare filosofia è imitare Dio ». Questo ragionamento lo fece preferire ad altri filosofi dai primi Cristiani, ma sfociò facilmente nell’idealismo. La filosofia scolastica, armata di logica, aveva preso come oracolo Aristotele, un ottimo maestro, in effetti, poiché in lui si trovavano anche le critiche agli altri sistemi, mentre Platone dava solo i propri dogmi. Anche Aristotele proclamava e dimostrava un Dio supremo, una fede monda, un’anima immortale; ma il Cristiano, che si aspetta tutto da Dio, poteva seguire come guida un maestro che esagerava la potenza della natura e l’efficacia della volontà umana? Il maestro che pone la natura come principio assoluto può rimanere l’oracolo di una scienza tutta religiosa? Il maestro che erigeva a principio assoluto la natura, poteva restare l’oracolo di una scienza tutta religiosa? A questo si aggiunga il fatto che egli arrivava in Europa tradotto e commentato dai musulmani, che gli hanno prestato sentimenti assurdi e idee piene di sottigliezza; questi infedeli, traducendolo, hanno fatto dell’autore un teosofo e, osservando il mondo alla loro maniera fantastica, hanno confuso l’astronomia con l’astrologia e quest’ultima con la medicina. Gli italiani, traducendo sulla loro traduzione, vi avevano sovrapposto nuovi errori; ed i critici non erano in grado di accorgersi dell’alterazione, mentre l’idolatria professata per Aristotele impediva loro di considerarlo colpevole; ne nacque un amalgama di filosofia araba, scolastica e cristiana, una concezione bastarda e sterile, un enigma indecifrabile per coloro che volevano conciliarla con la teologia dogmatica. » – « Gli arabi, dopo aver ricevuto la rivelazione di Maometto, avevano iniziato le loro discussioni teologiche con l’eterna questione del libero arbitrio e della predestinazione (kadariti e giabariti), da cui passarono a quella degli attributi di Dio. Ma anche tra loro c’erano scettici, c’erano miscredenti; le menti oscillavano tra l’entusiasmo religioso ed il libero pensiero; e il ruolo che la Scolastica aveva svolto tra noi fu ricoperto da Kalain, un sistema di discussione razionale, per esaminare o difendere con la dialettica i dogmi attaccati. La filosofia araba, plasmata da tali esercizi, allargò il cerchio dei problemi posti dai Peripatetici e ammise il principio dell’eternità della materia e la teoria dell’unità dell’intelligenza. » – « Questo perché la filosofia di Averroè si basa proprio sul panteismo, secondo il quale esiste una sola anima e Dio è il mondo. La generazione (secondo questo filosofo) è solo un movimento. Ogni movimento presuppone un soggetto. Questo soggetto unico, questa possibilità universale, è la materia prima. » – « Questa unità delle intelligenze fu vittoriosamente confutata da San Tommaso e, nel XIV secolo, da Egidio di Roma, le cui opere furono pubblicate agli albori della stampa, e successivamente da Gerardo da Siena e Raimondo Lullo. Questi filosofi non fanno che aborrire questo autore empio, che identifica l’anima di Giuda con quella di San Pietro, che nega la creazione, la rivelazione, la Trinità, l’efficacia della preghiera, dell’elemosina e delle pie invocazioni, la resurrezione e l’immortalità, e che fa consistere il Bene sovrano nel godimento. Egidio Colonna di Roma, nel suo trattato De erroribus philosophorum, accusa Averroè di aver rinnovato tutti gli errori di Aristotele, e di essere molto meno scusabile di quest’ultimo, perché egli attacca direttamente la nostra fede e biasima tutte le religioni, sia quella dei musulmani che quella dei Cristiani, per aver ammesso che la creazione sia succeduta al nulla; chiama le opinioni dei teologi pure immaginazioni e sostiene che nessuna legge sia vera, anche se può essere utile. » – « È proprio una delle principali critiche mosse ad Averroè, quella di aver messo in parallelo le leggi di Mosè, quelle di Cristo e di Maometto. I musulmani li avevano mescolati per sostenere la loro religione; ma Averroè vi ritornava sempre attraverso le sue allusioni dogmatiche al Très loquentes trium legum, che lo facevano ritenere l’autore del libro dei Tre Impostori, divenuto un’arma usata per colpire tutti coloro che si vogliono screditare. » – Da queste citazioni possiamo concludere, innanzitutto, che Averroè aveva i suoi estimatori nel XIII secolo, poiché San Tommaso ed i dotti del suo tempo si preoccuparono di combatterlo e dedicarono buona parte delle loro opere a confutare la sua dottrina; poi, dobbiamo aggiungere che Averroè sopravvisse ai colpi ricevuti e alle condanne subite, come testimonia l’illustre poeta Petrarca, nato nel 1304: « Per me, quanto più sento denigrare la legge di Cristo, tanto più ho in mente Cristo e tanto più mi confermo nella sua dottrina, come un figlio la cui tenerezza filiale si è raffreddata, si riscalda quando apprende che si attenta all’onore di sua madre ». « Questi filosofi erano soliti – dice altrove – portare all’incontro qualche problema aristotelico o qualche altro sulle anime; ed io tacevo, o ridevo di loro, o cominciavo a discutere di qualsiasi altro argomento, o chiedevo con un sorriso come Aristotele potesse mai conoscere cose in cui la ragione non ha alcun ruolo e in cui l’esperienza sia impossibile. Uscirono confusi per lo stupore, risentendosi silenziosamente e guardandomi come un bestemmiatore ». – Uno di loro, « uno di quelli che pensano che non si possa fare nulla di buono – dice il Petrarca – se non si versano calunnie su Gesù Cristo e sulla sua dottrina sovrumana », andò a cercare il poeta a Venezia, e lo disprezzò, perché aveva citato questa parola di San Paolo: “Ho il mio Maestro e so in chi ho riposto la mia fede”. E aggiungeva: « Tenetevi il vostro Cristianesimo per voi, quanto a me, io non ne credo nemmeno uno jota; il tuo Paolo, il tuo Agostino e tutti gli altri dottori hanno blaterato e nulla più! Vi prego di darmi il piacere di leggere Averroè, e vedrete come supera in volo tutti i vostri buffoni. » Petrarca ne fu indignato e, pacifico com’era nel carattere, prese per mano l’incauto filosofo e lo cacciò da casa sua. Altri quattro di questi filosofi gli rimproverano di prendere sul serio il Cristianesimo e concludevano che Petrarca fosse un uomo buono, ma dalla mente ignorante: « Se questa gente – esclama il poeta – non temesse i castighi degli uomini più di quelli di Dio, attaccherebbe in pubblico la Genesi e la dottrina di Cristo. Quando la paura non li trattiene più, combattono direttamente la Verità; nei loro conciliaboli ridono di Cristo e adorano Aristotele senza capirlo. Nelle loro dispute confessano pubblicamente di non tenere conto della fede, che è come dire che cercano la verità rifiutando la Verità, che cercano la luce voltando le spalle al sole. Dopo questo, c’è da meravigliarsi se ci chiamino analfabeti, visto che chiamano Gesù un pazzo? ». – Leggendo il confronto di Petrarca con i filosofi del suo tempo, si potrebbe pensare di leggere i verbali delle sedute massoniche del nostro tempo. Da entrambe le parti, Gesù Cristo è oltraggiato. Quindi diciamo che è in questo pantano che è nata la setta sociniana o massonica, per mostrarsi presto, con il suo odio contro il nostro divino Salvatore e Maestro. Non c’è dunque nulla di nuovo nel sistema massonico: essi pensano e parlano come Averroè, « questo cane – diceva Petrarca – quel pazzo che non cessa di abbaiare contro Cristo e la Religione cattolica. ». – « Ma se Aristotele ha portato al materialismo, dice Cesare Cantù, Platone ha portato al misticismo, ed entrambi all’incredulità. Gemisthe Plêthon di Costantinopoli, venuto a Firenze per ostacolare l’unione della Chiesa greca con quella latina, diffuse le fantasie del neoplatonismo; affermò che la religione di Maometto e quella di Gesù Cristo sarebbero presto tramontate per far posto ad un’altra più vera e con molte analogie con il paganesimo. Nel suo riassunto dei dogmi di Zoroastro e Pitagora, mette in parallelo la teologia pagana con quella cristiana, ecc. ». – « Ancora più numerosi erano i filosofi le cui dottrine oscillavano tra Aristotele e Platone, tra paganesimo e Cristianesimo, e in materia di religione, l’eclettismo si avvicina molto all’eresia, quando non è propriamente tale. Abbiamo già nominato Egidio di Roma, della nobilissima famiglia dei Colonna, discepolo di San Tommaso, generale degli Agostiniani, poi Arcivescovo di Bourges, molto erudito nella scienza delle Sacre Scritture e nella filosofia aristotelica, soprannominato il Doctor fundatissimus. Ora egli dichiarava che ci sono alcune cose che sono vere agli occhi del filosofo, e che non sono vere agli occhi della Fede cattolica: come se potessero esistere due verità contrarie allo stesso tempo. Questa proposizione fu condannata sotto Giovanni XXII, e l’autore la ritrattò; ma questa eresia divenne comune nel XV secolo, e si arrivò a sostenere puri errori – insegnati oggi nelle nostre logge, nel XIX secolo – come la mortalità dell’anima, l’unicità dell’intelligenza, l’ispirazione individuale, salvo dire che si trattava di conseguenze tratte dalle premesse di Platone ed Aristotele, che non pregiudicavano in alcun modo i dogmi di Cristo. Così le due scuole opposte si sono trovate d’accordo nel non ammettere la Rivelazione, non combattendola, ma fingendo di non tenerne più conto, per così dire, come se non fosse mai esistita; hanno eliminato la fede ed ogni forza o aiuto soprannaturale, ed hanno seguito solo il loro modo di vedere i problemi dell’ordine religioso, la cui soluzione è importante tanto per la morale quanto per il benessere della società. » – « Marsilio Ficino adorava Platone; arrivava a bruciare una lampada davanti alla sua immagine; non lo separava da Mosè, e trovava in lui l’intuizione dei misteri più profondi…. Secondo lui, tutte le religioni sono buone, e Dio le preferisce alla irreligione; la Religione cristiana è la più pura, ma ci sono profeti e poeti in ogni nazione, come Orfeo, Virgilio, Trismegisto, i Magi, ecc. ». Ovviamente, a Fausto Socino sarebbe bastato ricordare le idee di Marsilio Ficino per portare tutte le sette immaginabili nel tempio della religione naturale e dichiarare il dogma massonico della Libertà di coscienza, e possiamo così convincerci sempre di più che i Sozzini o Socini dovevano solo raccogliere i vari errori seminati intorno a loro e coordinarli in un sistema per portare alla luce l’errore massonico che porta il loro nome. Potremmo limitarci a questa panoramica sommaria, che già mostra fino a che punto il paganesimo cercasse di soffocare il Cristianesimo in piena Europa all’epoca di cui stiamo parlando. Quanto abbiamo detto basterebbe a spiegare come la folle ammirazione per l’antichità pagana, provocata da Averroè, si sia diffusa dall’Italia alla Francia e ad altre Nazioni, dove ha dato un posto d’onore alla favola pagana ed ai suoi ricordi nelle lettere e nelle arti, per non parlare della morale e delle idee. Tuttavia, riteniamo utile aggiungere qualche sviluppo a questa considerazione, per dimostrare che il piano massonico contro Gesù Cristo non è nuovo. – « La filosofia era sempre più in contrasto con la fede, dice Cesare Cantù. Alla fine del XV secolo, non si era considerati gentiluomini e buoni cortigiani se non si avessero opinioni errate o eretiche sui dogmi. I moderati pensavano di rendere omaggio alla fede astenendosi da qualsiasi riflessione su di essa, accettando i dogmi senza esaminarli, con quella voluttuosa pigrizia che, in tempi vicini ai nostri, una mente forte chiamava indifferenza e disinvoltura che si addormenta con un bicchiere in mano spegnendo le luci ». « C’erano alcuni filosofi che bruciavano una candela davanti all’immagine di Platone; tale Accademia celebrava le feste alla maniera antica, sacrificando una capra; Molti cambiavano il nome di battesimo, come se si vergognassero d i portare il nome di un Santo, e di Antonio, Giovanni, Pietro, Luca, si faceva Aonio, Gianni, Pierio, Lucio; cambiavano Vittore in Vittorio o Nicio, Murino in Glauco, Marco in Callimaco, Martino in Marzione e così via. » – « Paolo II era spaventato da questo paganesimo e fece intentare processi contro alcuni dei suoi propagatori, tra cui Pomponio Lieto e Bartolomeo Sacchi, detto il Platina. L’accusa si basava sul fatto che questi uomini latinizzavano i nomi di battesimo e che, seguendo le dottrine platoniche, sollevavano dubbi sull’anima e su Dio. » Dal profondo della sua prigione, Platina scrisse al cardinale Bessarione, e dalle sue lettere, dice il nostro autore, « possiamo vedere come l’Accademia istituita da questo Pomponio Leto tendesse a trasformare il paganesimo letterario in paganesimo religioso, dato che i suoi membri celebravano con sacrifici pagani l’anniversario della fondazione di Roma;  poiché Pomponio si inginocchiava ogni giorno davanti ad un altare dedicato a Romolo, e non voleva leggere alcun libro con una data posteriore alla decadenza dell’impero, fossero anche la Bibbia o i Padri. Quand’anche questo paganesimo si fosse limitato alla letteratura, non è con spirito retto che si concepisse il torto notevole che si arrecava alla logica, alla morale e all’estetica da una dottrina che voleva che Gesù Cristo e la Redenzione cedessero il passo alla voluttà pagana ed agli scherni contro le virtù domestiche e sociali. » – « Il ritorno al paganesimo si manifestò non solo nella scienza, ma ancor più nelle belle arti e nella letteratura, dove il tipo convenzionale era stato sostituito dalla raffinatezza plastica. La passione per l’antichità ha fatto credere che la rinascita non potesse realizzarsi senza ristabilire il culto delle idee che il Vangelo aveva dissipato e senza innalzare le rovine della Roma pagana sugli edifici della Roma cristiana. » Sugli altari si ammiravano i ritratti di famose cortigiane che rappresentavano la Vergine; per dipingere Santa Caterina da Siena, Tiziano dipinse il ritratto della regina Cornaro, tutta raggiante di finezza e bellezza; Correggio dipinse le Grazie, senza alcun velo, nella sacrestia di Siena; Carlo Pinti, nell’epitaffio della famosa Isotta, dichiarò che ella fosse l’onore e la gloria delle cortigiane.  La stessa eloquenza sacra pagò un grande tributo a questo entusiasmo generale per il paganesimo. Ne ha preso in prestito non solo lo stile, ma anche le citazioni e gli esempi. Un autore racconta che l’Angelo Gabriele trovò la Vergine Maria che leggeva i libri sibillini, e quando ella acconsentì a diventare la Madre di Dio, le ombre dei Patriarchi sussultassero di gioia. Girolamo Vida, il dotto e santo Vescovo di Cremona, che spesso digiunava e non mangiava altro che radici, nella sua Arte poetica parla solo delle Muse, di Febo e di Parnaso. Giacomo Sannazaro, celebrando la nascita del Salvatore, invoca le Muse, adducendo la scusa di chiamarle per festeggiare un bambino nato in una mangiatoia.  Tutti questi splendori pagani mettono in ombra il Cristianesimo. – « Per quindici secoli – dice Cesare Cantù – c’era stato un solo idioma per parlare di Dio, una sola autorità morale, una sola convinzione; tutta l’Europa, alla stessa ora, nello stesso giorno, usava le stesse parole per inviare a Dio le sue suppliche, le sue aspirazioni e le sue gioie. Ora – nei secoli XV e XVI – invece di presentare questo bello spettacolo, abbiamo visto la società decomporsi nel profondo, poiché aveva sostituito la fede con il ragionamento, la credenza assoluta con le religioni composte; il dubbio, inoculandosi nelle anime, aveva portato alla corruzione della morale, e questa morale aveva agito sulle credenze. Questo sintomo si manifesta in tutti gli scrittori, e in particolare in Niccolò Machiavelli ed in Francesco Guicciardini. Quest’ultimo mira al successo, mai alla giustizia di una causa…. « Non mettetevi mai in opposizione alla Religione, né alle cose che sembrano dipendere da Dio, perché questo oggetto ha troppa influenza sugli stolti ». Non ci si pronunziava tra Mosè e Numa, tra Giove e Gesù Cristo. » – « Dopo questo, non si saprebbe più vedere – dice il nostro autore – uno strano fenomeno e un mito in Machiavelli, quest’uomo che aveva preso come modello della nuova civiltà la civiltà pagana dei Greci e dei Romani, mettendo Cristo e il Vangelo sotto il moggio ». – Ascoltate ciò che segue, cari lettori, e smettete di stupirvi di ciò che viene detto, scritto, fatto e preparato nel nostro tempo. Machiavelli, nei primi anni del XVI secolo, insegnò ai suoi contemporanei una lezione che è ben nota ai nostri moderni sociniani. «  La natura – scriveva Machiavelli – ha creato gli uomini con la facoltà di desiderare tutto e l’impotenza di ottenere tutto, cosicché dirigendo i loro desideri verso gli stessi oggetti, si trovano condannati ad odiarsi l’un l’altro. Per sfuggire a questa guerra di tutti contro tutti, tutto è permesso e tutti i diritti ed i doveri possono essere violati. Perciò la società è stata istituita per sopprimere l’anarchia con la forza organizzata. » – « In breve, la dottrina di Machiavelli è la dottrina dello Stato ateo, che non ha paura di andare all’inferno, ed è fine a se stesso ed è propria legge. Non c’è nulla di superiore ai sensi; l’idea di giustizia è nata negli uomini il giorno in cui hanno capito che il bene fosse utile ed il male dannoso; solo la necessità li spinge al bene; il principe deve farsi temere piuttosto che amare; lo scopo dei governi è la loro conservazione, e questo può essere raggiunto solo con la repressione, perché gli uomini sono per natura ingrati, ingannevoli e litigiosi, per cui è consigliabile frenarli con il timore della punizione… È una disgrazia che alla religione degli antichi, piena di orgoglio, che aveva i suoi gladiatori, un culto per i suoi eroi, un’apoteosi per i suoi conquistatori, e che mescolava la preghiera con il rumore delle battaglie, il sangue con le cerimonie religiose, sia succeduta un’altra Religione tutta umiltà e abiezione, incurante dei propri interessi. Se si può sperare in qualche bene per l’umanità, verrà dalla rivoluzione delle sfere, che potrà far rivivere un qualche culto simile a quello degli antichi. » Se Machiavelli tornasse sulla terra ed esaminasse le nostre leggi atee, il modo in cui viene trattata la Religione di Gesù Cristo, l’odio per il vero Dio che cresce di giorno in giorno; se entrasse nelle logge massoniche ed inventasse un nuovo culto molto simile a quello dei pagani, potrebbe congratularsi con se stesso per essere stato letto, capito ed obbedito alla lettera; forse ne sarebbe addirittura geloso, vedendo che su certi punti sia stato superato, e su altri troppo obbedito; perché fu Machiavelli a dire: « Nelle esecuzioni non c’è pericolo, perché chi è morto non può più pensare alla vendetta. Così parlavano i nostri terroristi; così agiscono nei confronti dei deboli coloro che dicono, sempre con Machiavelli, « La legge suprema è la salvezza dello Stato », mentre Gesù Cristo ha detto: « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia ».  – Per concludere queste considerazioni, citiamo un ultimo fatto, raccontato dagli storici, che mostra come questa rinascita del paganesimo sia avvenuta quasi del tutto dopo la morte di Leone X, avvenuta nel 1521: essendo scoppiata improvvisamente una violenta pestilenza a Roma, il popolo fu trascinato da ogni sorta di disordine. Un certo Demetrio di Sparta voleva far rivivere le cerimonie dell’antica superstizione. Dopo aver incoronato un bue con gli allori, lo condusse per le strade della città, poi lo condusse all’anfiteatro, dove lo sacrificò. Il popolo, tuttavia, si rese presto conto che si trattasse di un culto a satana e cominciò a temere un aumento delle disgrazie pubbliche e a chiedere solenni espiazioni. « Una folla di uomini, donne e bambini seminudi è stata vista andare in processione da una chiesa all’altra, flagellandosi e chiedendo pietà. Erano seguiti da lunghe file di matrone, ognuna con una candela in mano, anch’esse in atteggiamento di supplica e afflizione. » (I precursori della Riforma. – Cantù.). – Da quanto precede, dobbiamo concludere che Socino non abbia inventato nulla e che i moderni sociniani o massoni propaghino errori comuni ai protestanti, agli averroisti, ai maomettani, agli ariani, ai manichei, agli gnostici, ai Giudei deicidi, ai romani, ai greci, agli egizi e al paganesimo in generale, da quando esistono pagani nel mondo. Bossuet, parlando del paganesimo dei popoli antichi, diceva: « Lì tutto era Dio, tranne Dio stesso ». Questo è ciò che rivedremmo senza indugio, se Gesù Cristo, la Luce del mondo morale, scomparisse dalla nostra società moderna, portando con sé la bellezza della fede. Non sarà così, naturalmente, perché la Chiesa deve rimanere fino alla consumazione dei secoli e nella nostra amata Francia, nonostante gli errori di molti dei suoi figli, i giusti sono ancora numerosi. Dove sono coloro che osano bestemmiare dicendo che Gesù Cristo non è Dio? Su quali labbra troviamo queste parole empie? Quale parte dell’umanità non ha paura di pronunciarle, e quale parte, al contrario, grida con San Pietro che parla al suo Maestro: « Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente? » Tutti lo sanno: la dignità della vita, la nobiltà dei sentimenti, l’amore per la verità, la giustizia, la modestia, la devozione gratuita, le virtù più delicate e più nobili fioriscono e fruttificano all’ombra della croce e dell’altare; e se nel campo opposto si trovano qua e là qualità umane e caratteri elevati, se si risale alla loro culla, si trova spesso una madre cristiana, e più tardi insegnanti cristiani, una moglie e talvolta una famiglia cristiana.  Cristo non è Dio! Questa bestemmia, ripetuta oggi da uomini che non sanno dubitare, perché non hanno mai studiato né provato, la troviamo in bocca ai criminali, agli assassini del 1793; sulle labbra di Weishaupt, nell’ora delle sue devianze, mentre aspettava la fine della sua vita per andare a chiedere l’elemosina per costruire una chiesa cattolica; negli scritti di Voltaire, che si confessava, nei suoi momenti migliori; nei discorsi insidiosi di Cromwell, schiavo della sua ambizione; nella bocca di Socino, cacciato dalla sua patria; di un Averroè, di un Maometto, di un Giuliano l’Apostata, che si segnava di notte; dei falsi gnostici, discepoli senza dubbio dei farisei e degli scribi, che si allearono con Caifa, Erode e Pilato per condannare a morte Nostro Signore Gesù Cristo e per immolarlo per mano dei carnefici. Questi sono gli antenati dei nostri massoni atei e questa è, in breve, la storia del loro empio progetto, concepito da Erode l’Ascalonita. No, non è una novità, ha quasi mille e novecento anni, ma non è ancora riuscita ad avere successo fin ad ora.

II.In futuro, questo progetto trionferà?

Nel quinto capitolo degli Atti degli Apostoli leggiamo che i Giudei volevano mettere a morte Pietro e Giovanni perché annunciavano al popolo la divinità di Gesù Cristo. Allora un fariseo di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, si alzò in consiglio e ordinò che i due Apostoli venissero messi fuori per un po’ di tempo. Poi disse all’assemblea: « Uomini d’Israele, state attenti a ciò che fate a questi uomini. In effetti, prima di questi giorni, apparve Teuda, affermando di essere un personaggio, e circa quattrocento uomini si unirono a lui. Fu ucciso e tutti coloro che credevano in lui furono dispersi e ridotti a nulla. Dopo di lui sorse Giuuda galileo, nei giorni del censimento, e attirò il popolo dietro di sé. Anche questo perì e tutti quelli che si unirono a lui furono dispersi. Ora dunque vi dico: non immischiatevi più con questi uomini e lasciateli in pace; perché se questa impresa o opera è degli uomini, sarà distrutta; ma se al contrario essa è di Dio, non riuscirete a distruggerla. Così potreste trovarvi a combattere contro Dio stesso. Essi seguirono il suo parere. » Il ragionamento di Gamaliele è quello del buon senso e della vera esperienza; non può essere contraddetto, a meno che non si sia persa la ragione. Da Gamaliele a noi, l’opera di Gesù Cristo e dei suoi Apostoli ha perseverato, è cresciuta e ora copre la terra: viene da Dio, perché se venisse dagli uomini sarebbe già scomparsa da tempo. Quindi possiamo dire ai massoni, non più di Gamaliele, che essi si espongono a combattere contro Dio, anzi che sicuramente è Dio che stanno combattendo. Gli Imperatori romani tentarono per trecento anni di distruggere quest’opera, e le vittime superarono i carnefici; vennero poi gli eretici, che cercarono di pervertirne la dottrina, e vani furono i loro tentativi; Maometto apparve e si gettò sull’Europa cristiana con le sue terribili orde di saraceni, nella speranza di sostituire la croce con la mezzaluna, e Carlo Martello completò, a Poitiers, lo sbaragliamento della potenza musulmana; il protestantesimo, di cui Fausto Socino si mostrò il terribile figlio, nacque con Martin Lutero come padre. Nella mente dei suoi fondatori doveva prendere il posto del Cattolicesimo ed ora, grazie al sistema del libero esame, non ha più nemmeno un dogma come dottrina ed è fatalmente condannato a fondersi con il razionalismo. – Ora, nel XVIII secolo, il razionalismo aveva al suo servizio una falange di filosofi che non hanno più i loro eguali tra noi, eppure essi non hanno schiacciato quello che chiamavano l’Infame. Essi pensavano di avergli inferto dei colpi mortali ed ora, dopo un secolo, bisogna ricominciare le loro impotenti fatiche. I nostri massoni dell’ora presente, oggi si credono per caso più potenti degli Imperatori romani, più abili dei primi eresiarchi, più saggi di Giuliano l’Apostata, più terribili di Maometto, più potenti in filosofia degli averroisti, più considerati di Lutero e di Calvino, più sicuri di trionfare dei rivoluzionari del 1793? Quale forza sconosciuta hanno? Se ne avessero, per quanto grandi, non vincerebbero mai, perché combattendo contro Gesù Cristo combattono contro Dio: Christus vincit. Cristo è sempre stato vittorioso sui suoi grandi e piccoli nemici per quasi diciannove secoli: il loro piano fallirà.

2° Esso fallirà perché sta combattendo anche contro lo Spirito Santo. Ricordiamo in poche parole questa dottrina fondamentale, di cui il mondo non ha comprensione, e che è il motivo per cui il mondo ripete costantemente i suoi attacchi alla Chiesa Cattolica. – Prima di lasciare i suoi Apostoli, Nostro Signore predisse che essi e i loro successori sarebbero stati perseguitati, come Lui stesso era stato perseguitato. « Il servo – diceva loro – non è superiore al suo padrone… Hanno odiato me, odieranno anche voi … Ma non temete, Io ho vinto il mondo…. Io pregherò il Padre mio ed Egli vi darà un altro Paraclito che abiterà con voi per sempre, lo Spirito di verità, che vi insegnerà tutta la verità e vi suggerirà tutto ciò che vi ho detto… Riceverete il suo potere quando scenderà su di voi e mi renderete testimonianza a Gerusalemme e fino agli estremi confini della terra. » Così la Chiesa porta nel suo seno lo Spirito di Dio, che è la sua anima; e poiché questo Spirito divino non lascia e non lascerà mai la Chiesa, che è il Corpo di Cristo, essa è immortale, come lo sarebbe un corpo umano sempre unito alla sua anima. Voler uccidere la Chiesa significa voler uccidere lo Spirito Santo: è un sogno folle! « Tuttavia, è necessario che ci siano scandali, a causa della malizia umana; ma guai a colui attraverso il quale viene lo scandalo », dice il Signore. Questi scandali mettono a nudo i pensieri ed i sentimenti nascosti di ogni persona, portando i credenti a testimoniare la loro fede e gli altri ad agire nell’incredulità. L’anziano Simeone parlò in questo modo alla Vergine quando le disse: « Una spada di dolore trafiggerà la tua anima, perché siano svelati i pensieri di molti ». E San Paolo: « È necessario che ci siano eresie, affinché si conoscano quelli di provata virtù. In una parola, Dio usa il male dei malvagi per santificare i giusti e per far brillare le loro virtù nascoste. Dio permetterebbe il male, se il male non avesse la sua ragion d’essere? Questa è la spiegazione delle eresie e, in particolare, della massoneria sociniana, la peggiore di tutte, poiché va ben oltre le altre; non è il tetto della Chiesa Cattolica che essa cerca di rovinare, né le sue mura, ma le sue stesse fondamenta. Il nostro dovere è quello di resistere. Questa lotta tra il bene e il male ha la sua grandezza, poiché lo spettacolo più bello sulla terra è quello dell’uomo giusto che lotta con il dolore, come ha detto un saggio dell’antichità. Gesù Cristo ci ha offerto questo spettacolo in tutta la sua sublimità, soprattutto durante la sua vita e nell’ora della sua morte. – Ora ha dato alla Chiesa, sua Sposa mistica, un destino simile al suo, per continuare la propria vita attraverso i secoli. Appena nata, Essa ci ha offerto lo spettacolo dei suoi figli che si scontravano con gli Imperatori ed i carnefici romani; poi quello dei Dottori, i suoi nobili figli, che che fulminarono l’eresia; poi quello della sua figlia maggiore, la Francia, che schiacciava, a Poitiers, i seguaci di Maometto; i suoi grandi e santi missionari che ricacciavano la barbarie con la conversione dei popoli del Nord, che si precipitavano nel Sud dell’Europa, come per rovinare per sempre l’opera cristiana. Nel XIII secolo, San Francesco d’Assisi, con il suo celeste amore per Dio, distrusse la falsa povertà dei Fraticelli, e San Domenico, con la vera scienza, schiacciò l’Averroismo. Ignazio di Loyola incise sul suo stendardo il Sacro Nome di Gesù, proprio quando Socino stava per insorgere e bestemmiarlo; Gesuiti e massoni, d’ora in poi, cammineranno fianco a fianco, questi maledicendo Cristo, quelli orgogliosi di portare il suo Nome, di vivere, lavorare, soffrire e morire per Lui. Sì, questa lotta tra il bene e il male è uno spettacolo bellissimo, in cui si dispiega e si esprime la volontà libera dell’uomo, il dono più grande che Dio abbia fatto all’umanità, dice Dante, il poeta sublime. – Sarebbe interessante vedere come la Chiesa oppone la carità di San Vincenzo de’ Paoli, dei suoi eroici figli e figlie, alla filantropia massonica, che si rivolge solo ai propri membri; come Sant’Alfonso de’ Liguori combatte con la sua consolante dottrina il disperato rigorismo dei giansenisti, sempre alleati alla setta massonica, come Erode e Pilato, quando si tratta di perseguitare Gesù Cristo. Questo è il ruolo dei massoni sociniani. Come il tentatore, la loro setta dice alle generazioni che stanno nascendo: « Se, cadendo ai miei piedi, mi giurerete fedeltà, vi riempirò di piaceri, ricchezze e onori ». io vi proteggerò dai vostri rivali e dai vostri nemici. In verità, bisognerebbe essere accecati dalla passione per non capire che la Massoneria, soprattutto ai nostri giorni, svolge l’ufficio di tentatore all’interno della nostra società. Quanti sfortunati Cristiani sono stati messi in catene dalla setta sociniana! Quanti sfortunati Cattolici sono diventati suoi schiavi! Ora si accorgono dell’imprudenza che hanno commesso, ma non sanno come riparare al loro errore, ammesso che ne abbiano il desiderio. Questa lotta che dura da diciannove anni dimostra che la Chiesa è invincibile e che l’errore non ha mai una vittoria completa su di Essa: la verità rimane e l’errore passa. – La Chiesa è una nave misteriosa su cui veglia lo Spirito di Dio; è il suo soffio che gonfia le sue vele e la spinge verso tutti i lidi per portare i tesori del cielo. No, la muratoria non la farà affondare. Il popolo ha bisogno di ricevere da essa la verità ed anche la libertà, la vera libertà dei figli di Dio, alla quale la dottrina massonica è ostile.

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (7)

DISCORSO SOPRA IL SEGRETO DELLA MASSONERIA (5)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (5)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PRIMA PARTE

IL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONNERIA CONSISTE NEL DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO.

LUIGI FILIPPO. – Non era solo in Italia che si trovavano complotti contro il Papato; in Francia, e soprattutto in Inghilterra, il Papa-Re era il principale oggetto di odio da parte delle società segrete. « Luigi Filippo – dice padre Deschamps – che si era disinteressato della Massoneria attiva solo per paura di vedersi rivoltare contro le potenze legittime e le stesse società segrete più avanzate, volle dare a queste ultime una qualche soddisfazione, senza però rompere apparentemente con l’Europa monarchica. Ben convinto, per esperienza personale, che le denunce avanzate dal carbonarismo italiano per giustificare l’insurrezione fossero meri pretesti, sembrò prenderle sul serio davanti ai tribunali ed al popolo. Sostenuto, o meglio diretto, dall’Inghilterra e da Palmerston, capo supremo delle società segrete e per lungo tempo ministro onnipotente nel suo Paese, egli attirò in questa campagna diplomatica i ministri massoni conservatori di Austria, Prussia e Russia. Tutti osarono chiedere riforme al Sovrano Pontefice. » – « L’Europa, sgomenta, trema davanti alla Rivoluzione – ha scritto l’autore di: l’Eglisc romaine en face de la Révolution, [La Chiesa romana di fronte alla Rivoluzione], non osa né combatterla né affrontarla: al massimo, nel panico, ha la forza di offrirle il Pontificato in pasto. La Rivoluzione annuncia che essa finirebbe con la Chiesa. L’Europa colse questo momento per chiedere alla Santa Sede le riforme che il carbonarismo aveva proclamato indispensabili. L’Austria, che cerca di mantenere la pace nella penisola italiana a tutti i costi, è del parere che il Papa possa benissimo, vista l’imminenza del pericolo, prestarsi a concessioni inoffensive. La Francia ne propone un simulacro, per chiudere, se possibile, la bocca agli oratori ed ai giornali che disputano in nome delle società segrete. » Si sa che si tenne una conferenza e che ne uscì un Memorandum in quattro articoli, fonte delle future disgrazie di Pio IX, e questo atto proveniva dalle logge massoniche d’Europa, più che dalla diplomazia stessa. Quando fu presentata a Gregorio XVI, questi sorrise: « Oh – esclamò – la barca di Pietro ha attraversato prove ben peggiori di queste. Noi sicuramente affronteremo la tempesta. Che il re Filippo d’Orléans tenga per sé la bonaccia che vorrebbe venderci al prezzo dell’onore: il suo trono crollerà, ma questo no! » E Bernetti rispose all’ambasciatore di Luigi Filippo che la garanzia francese sembrava molto preziosa per la Santa Sede, ma che il Papa riteneva impossibile acquistarla con misure che avrebbero rappresentato una vera e propria abdicazione dell’indipendenza pontificia; poi agli altri, che la garanzia delle corti è acquisita di diritto alla Santa Sede, ma che questa Sede romana, apparentemente così debole, non acconsentirà mai a sancire riforme che le verrebbero dettate in modo imperioso ed in un giorno prestabilito; che Essa si riserva la sua libertà d’azione e la sua totale indipendenza; che inoltre ha dimostrato per lungo tempo, con la sua condotta, di cercare di realizzare tutti i miglioramenti desiderabili e compatibili con la pubblica sicurezza.  (Società segrete, vol. II, p. 268). Nubius, quando era capo dell’Alta Vendita, diceva: « Se potessimo avere un Papa con noi, farebbe più lui con il suo dito mignolo che tutti noi insieme ». Nubius aveva ragione, perché in questa ipotesi irrealizzabile, colui al quale era stata affidata la difesa della Chiesa di Cristo sarebbe diventato il suo più mortale nemico; colui al quale era stato detto: « Conferma i tuoi fratelli nella fede », li avrebbe lui stesso sviati; colui al quale era stata affidata la cura del gregge lo avrebbe crudelmente avvelenato. Anche questo è un sogno insensato. Ci sono capi di Stato che sono così ciechi da gettare il loro Paese nello scisma e nell’eresia, da tradirne gli interessi più sacri per seguire l’impulso della loro passione antireligiosa: non sarà mai così per il Vicario di Gesù Cristo. Se guardiamo indietro nei secoli da S. Pietro a Leone XIII, vedremo i Romani Pontefici, divinamente aiutati dallo Spirito di Dio, mantenere la Chiesa nella verità e far trionfare l’unità dottrinale in ogni tempo ed in ogni luogo, nonostante tutti gli ostacoli. Questo è davvero il più grande di tutti i miracoli che uno spirito elevato possa desiderare per incoraggiare la sua fede, e questa prova avrà per lui una forza invincibile, se si ricorderà della debolezza e dell’incostanza comuni a tutti gli uomini, per quanto dignitosi essi siano. Gli stessi cospiratori romani sanno che è così, eppure hanno cercato di attirare a sé il successore di Gregorio XVI. [Per realizzare questo “sogno” insensato, la massoneria degli illuminati, corrotta la maggioranza dei Cardinali, molti dei quali direttamente affiliati alle logge ai vari livelli, nel corso del Conclave del 1958, fece eleggere all’unanimità S. S. Gregorio XVII, Giuseppe Siri, al quale fu impedito l’accesso al Soglio di S. Pietro, e, dopo aver dichiarato che l’elezione dovesse ritenersi nulla per un guasto (sic!) del camino della Cappella Sistina e dovesse ripetersi, lo relegarono – controllandolo con microcamere di sorveglianza e pseudosegretari-carcerieri – al finto ruolo di Arcivescovo di Genova. In tal modo poterono insediare due giorni dopo, un loro adepto, il XXXIII° :. A. Roncalli e poi i suoi successori, così da poter manovrare i fili del burattino falso-papa (o se preferite antipapa) ed indurlo gradualmente – indicendo pure un invalido conciliabolo – ad introdurre tutte le desiderate “riforme”, da quella liturgica, a quella dottrinale, dalla canonica alla morale pubblica, dalla organizzazione dei seminari, all’assetto delle diocesi, e così via, fino all’ecumenismo, all’indifferentismo religioso ed all’attuale aperta apostasia con la negazione della divinità di Cristo ed alla prossima confluenza in una religione unica mondiale, quella del “signore dell’universo”, il baphomet-lucifero! – ndr. -]. « Dal momento della sua elezione – dice padre Deschamps – Pio IX fu acclamato da un capo all’altro del mondo, come il Papa tanto desiderato, il restauratore della libertà ed il liberatore dei popoli. A Roma, in Francia, in Germania, in Inghilterra e perfino nelle Repubbliche americane, le sue virtù furono esaltate, il suo liberalismo fu proclamato, il suo busto ed il suo ritratto furono moltiplicati, stampati e mostrati perfino su sciarpe e scialli. A Roma furono eretti archi di trionfo ad ogni suo passo; ogni sua parola fu applaudita con un entusiasmo senza precedenti; fu ricoperto di applausi e di fiori; non si erano mai viste manifestazioni simili ed ovazioni così universali. ». – « Un uomo di fede, di preghiera, di lavoro, di virtù e di scienza, di una bontà ineffabile, di un candore e di una amenità veramente celeste, che si dipingevano in tutti i suoi lineamenti, Pio IX univa alla rettitudine e alla carità che non sospetta il male, come dice l’Apostolo, una fermezza d’animo e di coscienza che nulla era in grado di far deviare dalla linea del dovere conosciuto. Con tali eminenti qualità, non poteva che pensare, come Pontefice-Re, a fare del bene ai suoi Stati ed a riportare, per mezzo della libertà veramente cristiana, sia i popoli che i re alla verità e alla pratica delle virtù che, preparando alla vita eterna, solo possono portare la felicità quaggiù. » – « Ben presto si vide che le bande che si riunivano al Quirinale non seguivano più il sentimento di gratitudine e devozione verso la Santa Sede, ma che obbedivano ad un impulso segreto, che avevano un’organizzazione occulta e capi riconosciuti ». Il Santo Padre rimandava il popolo al lavoro e Mazzini, nel suo manifesto agli amici d’Italia del novembre 1846, raccomandava loro il contrario. « Approfittate – egli diceva – della minima concessione per riunire le masse, anche solo per mostrare la loro gratitudine”. Feste, canti, raduni, numerosi contatti stabiliti tra uomini di tutte le opinioni, sono sufficienti a far emergere le idee, a dare al popolo il senso della propria forza ed a renderlo esigente. La difficoltà non sta nel convincere il popolo; per questo bastano alcune grandi parole: libertà, diritti umani, progresso, uguaglianza, fraternità, dispotismo, privilegi, tirannia, schiavitù; la difficoltà sta nel riunirlo. Il giorno in cui si riunirà sarà il giorno della nuova era. » E Pio IX, in quello stesso mese di novembre, indirizzò al mondo cattolico la sua Enciclica Qui pluribus jam, in cui diceva: « Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto acerba e terribile guerra muovano, in questa nostra età, contro la Chiesa Cattolica uomini congiunti fra loro in empia unione, avversari della sana dottrina, disdegnosi della verità, intenti a tirare fuori dalle tenebre ogni mostro di opinioni, e con tutte le forze accumulare, divulgare e disseminare gli errori presso il popolo. Con orrore certamente e con dolore acerbissimo Noi ripensiamo tutte le mostruosità erronee e le nocive arti e le insidie con le quali si sforzano questi odiatori della verità e della luce, peritissimi artefici di frodi, di estinguere ogni amore di giustizia e di onestà negli animi degli uomini; di corrompere i costumi; di sconvolgere i diritti umani e divini; di scuotere e, se pur potessero, di rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica e la società civile. Voi sapete, Venerabili Fratelli, che questi fierissimi nemici del nome Cristiano, miseramente tratti da un cieco impeto di folle empietà, sono giunti a tale temerità di opinioni che “aprendo la bocca a bestemmiare Iddio” (Ap. XIII, 6) con inaudita audacia, non si vergognano d’insegnare apertamente che i sacrosanti misteri della nostra Religione sono invenzioni umane; accusano la dottrina della Chiesa Cattolica di contraddire al bene ed ai vantaggi della società umana; né temono di rinnegare la divinità di Cristo medesimo. E per potere più facilmente sedurre i popoli ed ingannare gl’incauti e gl’inesperti, si vantano che solo a loro siano note le vie della prosperità umana; né dubitano di arrogarsi il nome di filosofi, quasi che la filosofia, che si aggira tutta nella investigazione delle verità naturali, debba rifiutare quelle che lo stesso supremo e clementissimo Autore della natura, Iddio, per singolare beneficio e misericordia si è degnato di manifestare agli uomini, affinché conseguano vera felicità e salvezza. Quindi con fallace e confuso argomento non cessano mai di magnificare la forza e l’eccellenza della ragione umana contro la fede santissima di Cristo, e audacemente blaterano che la medesima ripugna alla ragione umana. Del che niente si può pensare od immaginare né di più stolto, né di più empio, né di più ripugnante alla ragione medesima. Sebbene infatti la fede sia al di sopra della ragione, pur tuttavia fra di esse non si può trovare nessuna vera discordanza e nessun dissidio, quando ambedue prendono origine da una stessa fonte d’immutabile ed eterna verità, da Dio Ottimo Massimo; e per tale motivo vicendevolmente si aiutano, di modo che la retta ragione dimostra e difende la verità della fede, e la fede libera la ragione da ogni errore e mirabilmente la illustra, la rafforza e la perfeziona con la cognizione delle cose divine. – Né con minore fallacia certamente, Venerabili Fratelli, questi nemici della divina rivelazione, con somme lodi esaltando il progresso umano, vorrebbero con temerario e sacrilego ardimento introdurlo perfino nella Religione Cattolica; come se essa non fosse opera di Dio, ma degli uomini, ovvero invenzione dei filosofi, da potersi con modi umani perfezionare. » In poche parole, il Santo Pontefice riassunse l’empia dottrina della setta massonica, che nega Cristo e Dio; fu colto da orrore, versò lacrime: e a stento si spense per le strade di Roma il frastuono dei trionfi e dei festeggiamenti di cui era stato l’eroe. Come abbiamo detto altrove, altre lacrime avevano preceduto le sue. Una Madre augusta, una Madre divina, aveva pianto e piangeva sulle nostre montagne delle Alpi, unendo le sue parole ed il suo dolore a quelli del Vicario di suo Figlio. Disse (La Salette, 19 settembre 1846): Bestemmiano mio Figlio! Lo abbandonano, lo lasciano solo sugli altari! E Pio IX, nello stesso periodo, nel Quirinale, senza conoscere le lamentele del Messaggero celeste, le fa eco, ripetendo: Aprendo la bocca alle bestemmie… non temono di negare Cristo e Dio. Non è il caso di ripercorrere qui la vita di Pio IX. Sappiamo del suo esilio a Gaeta, del suo ritorno a Roma, da dove era dovuto fuggire; non ignoriamo che fu attaccato e crocifisso moralmente, durante tutto il suo Pontificato, dai moderni sociniani, che non seppero nemmeno rispettare le sue ceneri e la sua bara. È vero che durante la sua vita non smise di criticare e condannare le loro massime. Ricordiamo, in particolare, il suo discorso nel concistoro segreto del 25 settembre 1865, in cui diceva: « Venerabili Fratelli, tra le tante macchinazioni e i mezzi con cui i nemici del nome Cristiano hanno osato attaccare la Chiesa di Dio e hanno cercato, anche se invano, di abbatterla e distruggerla, va senza dubbio annoverata quella perversa società di uomini, volgarmente chiamata massonica, che, contenuta dapprima nelle tenebre e nell’oscurità, è infine venuta alla luce in seguito, per la comune rovina della Religione e della società umana. .,. Se i monarchi avessero ascoltato le parole del nostro predecessore, se avessero agito con meno pigrizia in una questione così seria! Sicuramente non avremmo mai dovuto, né i nostri padri avrebbero dovuto, deplorare tanti movimenti sediziosi, tante guerre incendiarie che misero a ferro e fuoco l’Europa, né tanti mali amari che hanno afflitto e affliggono ancora oggi la Chiesa…. E così non abbiamo visto senza dolore le società cattoliche, così ben fatte per eccitare la pietà ed aiutare i poveri, essere attaccate e persino distrutte in alcuni luoghi, mentre al contrario l’oscura società massonica, così ostile alla Chiesa e a Dio, così pericolosa persino per la sicurezza dei regni, è incoraggiata, o almeno tollerata…. » Questo è il linguaggio apostolico di Pio IX, che rinnova le istruzioni e le scomuniche pronunciate dai suoi venerati predecessori, da Clemente XII, di cui abbiamo ricordato l’Enciclica del 1738, allo stesso Pio IX. Seguendo le orme di questi coraggiosi Pontefici, il nostro Santo Padre Leone XIII ha indicato al mondo, con accenti non meno energici ed in piena luce, quegli uomini che, dopo aver bestemmiato Cristo e Dio, sono arrivati a voler distruggere la proprietà e la famiglia, trascinati come sono dal corso logico dell’errore, che va di abisso in abisso. Nella sua ultima Enciclica del 15 febbraio 1882 (Etsi nos), Sua Santità, scrivendo ai suoi Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi d’Italia, affermava: « Una dannosissima setta, i cui autori e corifei non celano né dissimulano affatto le loro mire, già da gran tempo ha preso posto in Italia e, intimata la guerra a Gesù Cristo, si propone di spogliare in tutto i popoli di ogni cristiana istituzione. Quanto abbia proceduto nei suoi attentati non occorre qui ricordarlo, tanto più che Vi stanno innanzi agli occhi, Venerabili Fratelli, il guasto e le rovine già recate sia alla Religione, sia ai costumi. – Presso i popoli italiani, che in ogni tempo si tennero fedeli e costanti nella Religione ereditata dagli avi, ristretta ora ovunque la libertà della Chiesa, di giorno in giorno si tenta il più possibile di cancellare da tutte le pubbliche istituzioni quella impronta e quel carattere cristiano in forza dei quali fu sempre grande il popolo italiano. Soppressi gli Ordini religiosi; confiscati i beni della Chiesa; considerati validi come matrimoni le unioni contratte fuori del rito cattolico; esclusa l’autorità ecclesiastica dall’insegnamento della gioventù: non ha fine, né tregua la crudele e luttuosa guerra mossa contro la Sede Apostolica. Pertanto la Chiesa si trova oppressa oltre ogni dire, ed il Romano Pontefice è stretto da gravissime difficoltà. Infatti, spogliato della sovranità temporale, cadde necessariamente nel potere di altri. – E Roma, la più augusta città del mondo cristiano, è divenuta campo aperto a tutti i nemici della Chiesa, e si vede profanata da riprovevoli novità, con scuole e templi al servizio dell’eresia. Anzi, pare che addirittura in questo stesso anno sia destinata ad accogliere i rappresentanti ed i capi della setta più ostile alla Religione Cattolica, i quali vanno appunto pensando di radunarsi qui in congresso. È abbastanza palese il motivo che li ha spinti a scegliere questo luogo: vogliono con un’ingiuria sfrontata sfogare l’odio che portano alla Chiesa, e lanciare da vicino funesti segnali di guerra al Papato, sfidandolo nella sua stessa sede. Non è certamente da dubitare che la Chiesa esca alla fine vittoriosa dagli empi assalti degli uomini: è tuttavia certo e manifesto che essi con siffatte arti intendono colpire, insieme con il Capo, l’intero corpo della Chiesa, e distruggere, se fosse possibile, la Religione. » E questo, possiamo aggiungere, è il segreto della Massoneria. Coloro che non leggono i resoconti delle logge massoniche sono all’oscuro di ciò che accade lì e non vedono il male così com’è. Ascoltino quindi il seguente estratto di una riunione della Gran Loggia Simbolica Scozzese tenutasi a Parigi nel dicembre 1882; « Tenuta il 21 dicembre. Il  F. :. Gaston, membro della loggia, ha tenuto una conferenza molto interessante sul tema: Dio davanti alla scienza.  L’ordine dei lavori, molto fitto, ha purtroppo limitato il tempo di cui il relatore avrebbe avuto bisogno per sviluppare il suo argomento, e ha dovuto racchiudere in mezz’ora il materiale di una conferenza di un’ora e mezza. « Ci auguriamo che questo sia solo un rinvio e che il nostro F. :. Gaston avrà presto l’opportunità di affrontare nuovamente la questione, ma questa volta in condizioni migliori e forse davanti ad un pubblico molto più numeroso. « In ogni caso, gli applausi del pubblico hanno ripetutamente sottolineato il discorso serio e spirituale, ma soprattutto convinto, dell’oratore, nonché le citazioni, felicemente inserite, che ha portato a sostegno della sua tesi. « Non c’è abbastanza spazio per entrare nei dettagli di questo argomento. Inoltre, come abbiamo già annunciato, il nostro F. :. H. Gaston pubblicherà tra pochi giorni un’opera dal titolo: Dieu, voilà l’ennemi! (Dio, ecco il nemico) in cui espone in modo molto chiaro le idee che ha potuto solo sfiorare in questa conferenza. « Il nostro prossimo bollettino conterrà un articolo bibliografico su questo libro, che abbiamo sotto gli occhi in questo momento e che vorremmo vedere in tutte le mani. » (Comunicazione di F. :. Dumonchel. – Bollettino Massonico della Gran Loggia Simbolica Scozzese, 2° anno, n. 22, gennaio 1882, p. 295. Dopo questo grido di empietà: Dio, ecco il nemico! Non restava altro da fare che richiamare la dea Ragione e porla nuovamente sugli altari di Gesù Cristo; errore! Trovarono un modo per superare tutte queste empietà e, nella loro gioia trionfale, ricordarono istintivamente il loro padre. Ascolta, lettore, ascolta, tremante, l’inno che hanno appena cantato quest’anno, in pieno teatro a Torino: « Ecco, che egli passa, o popoli, ecco satana il grande. Egli passa, beneficando, di luogo in luogo, sul suo carro di fuoco… Salve, o satana, salve, rivoltato! Fa’ che il nostro incenso e i nostri voti salgano a te sacri! Tu hai vinto il Jéhovah dei preti! … » E la folla, dice il giornale da cui prendiamo in prestito questo resoconto, ha applaudito l’infame lavoro di Giosuè Carducci. – Bergier aveva ragione: il libero esame del protestantesimo avrebbe dovuto portare a queste negazioni ed empietà. L’uomo ha bisogno di un padrone: o Dio o satana, e non può servire entrambi allo stesso tempo. O apre il cuore al suo Creatore, o glielo chiude. Se glielo chiude, diventa schiavo del peccato, da cui è stato sconfitto; schiavo di colui che Gesù Cristo ha chiamato Princeps hujus mundi, il principe di questo mondo, e San Paolo Deus hujus sœculi, il dio di questo tempo. Possiamo concludere, ci sembra, che l’obiettivo della Massoneria sia proprio quello che abbiamo indicato: la distruzione del regno di Gesù Cristo, da un lato, e, dall’altro, il trionfo del razionalismo. Questo disegno è stato concepito da Fausto Socino: lo abbiamo provato storicamente, basandoci sulla testimonianza di autori seri, e nonostante gli sforzi fatti dalla setta per attribuire alla sua origine una remota antichità, l’occhio della storia ha scorto la verità e si è preoccupato di indicarcela. Gli storici seri, senza risalire a Socino, hanno visto in Cromwell il padre della Massoneria: egli fu solo il suo abile e potente protettore in Inghilterra, il suo organizzatore segreto ed il suo discepolo sanguinario. Per un momento, dopo la terribile vendetta compiuta da Carlo II su Cromwell, la Massoneria cadde nel silenzio e, senza dubbio, fu costretta a nascondersi per motivi di prudenza, ma nella persona di Ashmole, l’illustre antiquario, la Massoneria trovò un protettore che la accolse e la prodigò con le sue cure. Presto fu abbastanza forte da decollare in tutto il mondo. Voltaire la conduce in Francia. Con il potente aiuto dei sofisti, propaganda l’eresia sociniana in tutte le parti e penetra in tutte le menti del suo tempo. Dotato di un raro genio organizzativo, Adam Weishaupt, in Germania, riassunse i diversi lavori massonici precedenti, ai quali unì i sistemi dei sofisti inglesi e francesi. Egli compose un insieme che chiamò Illuminismo ed in quest’opera, unendo la sua anima settaria con quella del panteista Spinosa, preparò il coronamento della Massoneria universale. Ma già la setta era cresciuta e aveva spinto i suoi seguaci all’azione. Le armi erano state alzate per colpire crudelmente la Compagnia di Gesù, l’avanguardia del Cattolicesimo, in Portogallo, Spagna, Napoli ed anche in Francia. Da questa azione combinata e da tutte queste opere che si moltiplicavano tra le varie nazioni, sotto mille forme diverse, agitando tutti gli spiriti, depravando i cuori, mettendo in ridicolo ciò che era di più sacro, accendendo, soprattutto nei ranghi della più alta società francese, la sete di voluttà pagana, da tutte queste folli dissolutezze della mente e dei sensi, doveva scaturire una tempesta sociale: fu la grande Rivoluzione francese, dalla quale l’intero universo fu scosso. Essa fu per la Chiesa Cattolica ciò che l’agonia dell’Orto degli Ulivi era stata per Cristo, suo Sposo, e persino, si potrebbe dire, come un nuovo Calvario. Pio VI fu catturato, incatenato e portato in prigione, dove morì come il suo divino Maestro, in mezzo ai criminali. Cristo stesso fu nuovamente processato e condannato. Fu buttato giù dai suoi altari per essere sostituito dal razionalismo di Socino, sotto il nome di: Dea Ragione, rappresentata da una prostituta. Quel giorno, lo ammettiamo, la Massoneria dottrinale e sanguinaria, atea e ubriaca di crimini, ha veramente trionfato. La Rivoluzione del 1793 fu opera sua, come abbiamo dimostrato. Poi abbiamo dimostrato che la setta non era stata disarmata dalle innumerevoli vittime cadute sotto i suoi colpi e che, fedele al piano dei suoi capi, aveva ripreso la sua cospirazione contro il Cristianesimo, che era uscito vivo e glorioso dalla sua tomba; contro la Chiesa, che era tornata ad essere oggetto del rispetto e dell’amore del popolo. Ma la vita del Cattolicesimo, come quella del suo divino Fondatore, è una vita di continue sofferenze; e così abbiamo visto la Chiesa trovare in colui che l’aveva protetta il suo più terribile nemico; potente in armi, dispotico nella volontà, capace di forgiare catene a chi non si piegava di fronte alla sua ambizione smisurata e ai suoi modi di uomo maleducato: Napoleone divenne per Pio VII lo strumento crudele della massoneria, fino al giorno in cui, stanca del suo domatore, gli si rivoltò contro e gli preparò, sui campi di battaglia, il tradimento e la sconfitta. Egli capì da dove provenivano questi misteriosi rovesci della sua fortuna; si ricordò dell’Inghilterra, madre adottiva della Massoneria, ed andò ad affidarsi ad essa. La sua sorte non fu del tutto uguale a quella dei traditori: fu ripagato da un lontano esilio a Sant’Elena. Abbiamo poi visto la setta risollevarsi per un momento, per poi riprendere presto le sue trame contro la Chiesa ed ogni autorità legittima. Abbiamo scoperto che chiede al sistema educativo di corrompere nuovamente le menti, soprattutto le giovani generazioni, senza risparmiare le classi lavoratrici, alle quali ha deciso di gettare la proprietà in pasto ai cani, pur di preparare una nuova rivoluzione. In effetti, il 1848 vide la caduta del re Luigi Filippo ed il crollo del suo trono. Non aveva egli capito nemmeno che … chi semina vento raccoglie tempeste. Ovviamente, la rivoluzione del 1848 non ebbe come protagonista l’odio religioso che aveva caratterizzato quella del 1793. Durante il movimento rivoluzionario si vide persino apparire un Crocifisso, portato con riverenza tra la folla nelle mani di un giovane, ed il popolo trionfò su questa immagine sacra. La massoneria aveva ritenuto che fosse nel suo interesse non voler rovesciare gli altari subito dopo il 1793. Ha riservato ad un secondo momento questo odioso compito, per il quale si sta ora preparando. L’abbiamo detto: essa non si è ricordata di Giuliano l’Apostata e La Chalotais. Prima di tutto, distrugge i templi spirituali, portando via la fede dalle anime e i Crocifissi dalle scuole. Essa prepara un grande movimento. Abbiamo davanti a noi le risoluzioni prese l’11 giugno 1879, dove si legge quanto segue: « Scristianizzare la Francia con tutti i mezzi, ma soprattutto strangolando il Cattolicesimo a poco a poco, ogni anno, con nuove leggi contro il clero!… per arrivare infine alla chiusura delle chiese… Tra otto anni, grazie all’educazione secolare senza Dio, avremo una generazione atea. Creeremo quindi un esercito e lo lanceremo sull’Europa. Ci aiuteranno tutti i fratelli e gli amici dei Paesi che questo esercito invaderà… ». Questo piano è ben eseguito. Esistono scuole senza Dio e l’esercizio del fucile ha sostituito quello del Catechismo. Ci sono ancora scuole in cui al bambino vengono insegnate le verità cristiane: la pazienza. Gli italiani dicono che con il tempo e la pazienza si può ottenere tutto; ma in Francia per il momento seguiamo il metodo Ricciardi, che ci porterà dove vuole la setta, a meno che i padri di famiglia non aprano finalmente gli occhi e gridino: “quando è troppo è troppo!” Che Dio li ispiri con questo nobile sentimento! – Per incoraggiarli a fare il loro dovere e anche per assolvere al nostro compito pastorale, continueremo questo studio, dicendo ai nostri lettori cosa pensare del progetto della Massoneria: sarà la seconda parte di questo lavoro.

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (6)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONERIA (4)

DISCORSO SUL SEGRETO DELLA FRANCO MASSONERIA (4)

DI MONSIGNOR AMAND JOSEPH FAVA

VESCOVO DI GRENOBLE 

LIBRERIA OUDIN, EDITORE – 1882

PRIMA PARTE

IL SEGRETO DELLA FRANCO-MASSONNERIA CONSISTE NEL DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO E SOSTITUIRLO CON IL RAZIONALISMO.

D’ARANDA. – « Il Conte di Aranda – scriveva il Marchese de l’Angle, un viaggiatore avanzato nella filosofia massonica, come vedremo – è forse l’unico uomo di cui la monarchia spagnola possa essere orgogliosa al momento: è l’unico spagnolo dei nostri giorni di cui la posterità possa scrivere nei suoi annali. È stato lui a voler far incidere sui frontespizi di tutti i templi e riunire nel medesimo stemma i nomi di Lutero, Calvino, Maometto, William Penn e Gesù Cristo. Era lui che voleva vendere il guardaroba dei Santi, i mobili delle vergini, e convertire le croci, i candelabri, le patene, ecc. in ponti, locande e autostrade. » (Viaggi in Spagna, vol. 1, p. 127). « Dal 1764 – dice lo storico prussiano, il protestante Schoell – il duca di Choiseul aveva cacciato i gesuiti dalla Francia; perseguitava quest’Ordine anche in Spagna. Perseguitò l’Ordine fino in Spagna e si adoperò con ogni mezzo per renderlo oggetto di terrore per il re, riuscendo infine a farlo con un’atroce calunnia. Si dice che sia stata messa sotto i suoi occhi una presunta lettera di padre Ricci, generale dei Gesuiti, che il duca di Choiseul è accusato di aver fabbricato, nella quale il generale avrebbe annunciato al suo corrispondente di essere riuscito a raccogliere documenti che provavano in modo inoppugnabile che Carlo III era figlio di adulterio. Questa assurda invenzione fece una tale impressione al re che si lasciò convincere nell’ordinare l’espulsione dei Gesuiti. – Cfr. Les Sociétés secrètes, vol. n, p. 70). E chi fu a strappare questo ordine a Carlo III? Fu D’Aranda, che vide il Re da solo, a congedare Monino e Campomanès, suoi colleghi, dicendo: « che stava giocando con la sua testa ». « Improvvisamente le autorità spagnole in entrambi i mondi ricevettero ordini minuziosi nel gabinetto del Re. Questi ordini, firmati da Carlo III e controfirmati da D’Aranda, avevano tre sigilli. La seconda busta recitava: “Sotto pena di morte, non aprirete questo plico fino al 2 aprile 1767, al tramonto”. La lettera del re ordinava loro, pena la morte, di catturare immediatamente tutti i Gesuiti e di imbarcarli su navi da guerra. Lo storico anglicano Adam dà la stessa versione di Schoell, e aggiunge: « È possibile, senza offendere la correttezza, mettere in dubbio i crimini e le cattive intenzioni attribuite ai Gesuiti, ed è più naturale credere che un partito nemico non solo alla loro restaurazione come corpo, ma anche alla Religione cristiana in generale, abbia portato a questa rovina. » [Storia della Spagna, t. 4, p. 271]. Padre Deschamps aggiunge: « Così parla Leopold Ranke, nella sua Storia del Papato; così Christophe de Murr, nel suo diario: egli aggiunge che il Duca d’Alba ha fatto avere a Paveu, al momento della sua morte, questa presunta lettera; così parla Sismondi, nella sua Storia dei francesi; così infine dice l’inglese Coxe, nella sua Storia della Spagna sotto i Re della Casa dei Borbone, per citare solo gli storici protestanti. » – « Invano Clemente XIII prese la difesa dei Gesuiti spagnoli, come aveva preso quella dei Gesuiti portoghesi e francesi; invano prese a testimone Dio e gli uomini che il corpo, l’istituzione, lo spirito della Compagnia di Gesù erano innocenti; che questa Compagnia era pia, utile e santa nel suo oggetto, nelle sue leggi, nelle sue massime; Invano dichiarò che le azioni del re contro i Gesuiti mettevano ovviamente in pericolo la sua salvezza e che, anche se alcuni religiosi fossero stati colpevoli, non avrebbero dovuto essere colpiti con tanta severità senza averli prima accusati e convinti: tutto fu inutile. – « In seguito ai severi ordini di Carlo III a tutti i governatori dei suoi vasti regni, nel giorno e nell’ora indicati, i fulmini scoppiarono contemporaneamente in Spagna, nel nord e nel sud dell’Africa, in Asia, in America e in tutte le isole sotto il dominio spagnolo. Il segreto di questa espulsione fu così ben custodito che non solo nessun Gesuita, nessun ministro, nessun magistrato ne era a conoscenza nel giorno stesso in cui doveva avvenire. Tutte le navi da trasporto erano pronte nei vari porti indicati. Gli ordini erano uniformi: comando supremo da parte del re di gettare i prigionieri sulle coste dello Stato ecclesiastico, senza permettersi, con nessun pretesto, di depositare qualcuno di loro altrove, pena la morte. Questo fu il passo compiuto dal conte di Aranda: lo considerava il capolavoro di una politica saggia e vigorosa; gli piaceva ancora parlarne molto tempo dopo ». – [Les Sociétés secrètes; t. II, p. 71.].

POMBAL. – In Portogallo, Carvalho, detto Pombal, si era già fatto strumento delle logge massoniche per perseguitare anche i Gesuiti. Per scristianizzare il Portogallo, decise di protestantizzarlo e, collocando da un lato professori protestanti nelle università, fece tradurre e diffondere le opere di Voltaire, J.-J. Rousseau, Diderot ed altri filosofi massoni; dall’altro, consegnò il suo paese all’Inghilterra, dove era inviato come uomo d’affari, e si era affiliato, come Voltaire, ai liberi pensatori. Il panegirista di Pombal, M. de Saint-Priest, è costretto a dire la sua: Nemico del clero e dei monaci, che chiamava i parassiti più pericolosi che possano corrodere uno Stato, dice la Bibliografia Universale, si rivoltò contro i Gesuiti ancor più che contro l’aristocrazia, e le rimostranze, il patibolo eretto nella sua mente contro gli hidalghesi, la loro morte ignominiosa, erano stati per lui solo un mezzo. » Un mezzo! Sì, un mezzo per compiacere i filosofi massoni che lo chiamavano « loro adepto »: un mezzo che si adattava alla sua natura, perché, dicono gli storici, era avido, crudele e raffinato nella vendetta. Tale era il suo atteggiamento nei confronti dei Gesuiti. « Essi erano divisi in tre parti – racconta padre Deschamps. I novizi e gli scolastici dei primi voti furono sottoposti da Pombal, senza alcuna ombra di procedura, ad ogni genere di promesse, minacce e vessazioni adatte per poterli indurre a rinunciare alla loro vocazione. I professi furono gettati nelle terre del Papa in Italia con i primi che nella stragrande maggioranza rifiutarono di apostatare. Ammassati a centinaia su navi mercantili, esposti ad ogni tipo di intemperie, senza provviste, dove mancavano di proposito pane e acqua, furono gettati successivamente, spinti dai venti, nei porti della Spagna, dove furono abbondantemente soccorsi, e infine a Civitavecchia, dove furono accolti con ammirazione. Per tre volte questi trasporti furono rinnovati; l’ultimo consisteva in missionari portati da Cafreria, dal Brasile, dal Malabar, da tutti i luoghi dove si stava diffondendo la civiltà con la fede Cattolica. Solo più di duecento, la cui maggioranza erano francesi, italiani e tedeschi, furono trattenuti, per soddisfare la rabbia di Pombal, nelle prigioni del Tago, dove ottantuno persone morirono di miseria e sofferenza. « Più di cento languirono per diciotto anni in queste tombe fino alla morte del re, schiavo del suo libertinaggio e del suo ministro. Un tribunale, composto dal Consiglio di Stato e da uomini lodevoli per la loro luce ed integrità, fu incaricato dal nuovo re e dalla regina di rivedere la sentenza del presunto attentato al re, che era stato dichiarato ingiusto e infondato, e fu dichiarato quasi all’unanimità che le persone, sia vive che morte, che erano state portate in giudizio, o esiliate, o imprigionate in virtù della sentenza, erano tutte innocenti del crimine di cui erano state accusate. Le prigioni fatali furono aperte e ottocento persone, che si credevano morte da tempo, furono viste emergere dal sottosuolo e riapparire tra i vivi; erano il restante di novemila persone sottratte allo Stato dall’odio, dalla ferocia o dai sospetti del ministro, senza interrogatorio e senza processo. I Gesuiti sopravvissuti si presentarono con gli altri, seminudi, senza altri indumenti che la paglia che serviva loro come letto, con la carnagione livida, il corpo gonfio, la maggior parte di loro così debole da non poter né camminare né quasi sostenersi, molti privati dell’uso della vista per la profonda oscurità in cui erano stati immersi, alcuni con i piedi marci e rosicchiati da topi e insetti ». – Carvalho-Pombal fu condannato a restituire immense somme estorte con vari pretesti, e relegato, in considerazione della sua avanzata e delle firme del defunto re, da cui s’era fatto garantire, nella sua terra di Pombal, dove, nel 1829, i Gesuiti, richiamati da don Miguel, diedero l’ultimo saluto alla sua salma, fino ad allora priva di sepoltura. Nel frattempo arrivarono dall’India diciannove casse, indirizzate al Marchese di Pombal, piene di argento e pietre preziose sottratte alla tomba di San Francesco Saverio a Goa, che la Regina indignata fece immediatamente restituire. Confische, o meglio saccheggi di questo tipo, avevano avuto luogo in tutte le case e le chiese dei Gesuiti in Portogallo e nelle colonie. A Oporto, un parente del ministro, incaricato del sequestro, si distinse per la sua barbarie ed empietà. Egli lasciò tre Padri morire miseramente per mancanza di medicine e di soccorsi. Aggiungendo sacrilegio a disumanità, fece aprire il tabernacolo e svuotare sotto i suoi occhi la sacra pisside, che prese e mise in una bilancia da orefice per pesarla sull’altare stesso. « Chi crederebbe – dice l’orazione funebre di re Giuseppe, pronunciata a Lisbona nel 1777 – che un solo uomo, abusando della fiducia e dell’autorità del re, abbia potuto, nell’arco di vent’anni, incatenare tutte le lingue, chiudere tutte le bocche, stringere tutti i cuori, tenere celata la verità, portare la menzogna in trionfo, cancellare tutti i tratti della giustizia, far rispettare l’iniquità e dominare l’opinione pubblica da un capo all’altro dell’Europa? Solo la Massoneria può spiegarlo. Ricordiamo che nel 1858, passando per il Mozambico, abbiamo avuto l’onore di essere accolti dal governatore dell’isola con estrema benevolenza. Aveva come palazzo la casa e il collegio dei Padri Gesuiti espulsi da Pombal, e ho offerto più volte il santo Sacrificio della Messa nella loro cappella,  ancora piena di splendore e di ricchezza. Sull’isola c’erano diverse altre chiese, ma tutto stava andando in rovina, come sulle rive dello Zambesi, dove la Compagnia di Gesù aveva creato bellissimi stabilimenti. Pombal, con il suo odio, condannò queste belle regioni a rimanere selvagge e barbare. L’opera di civilizzazione cristiana, iniziata su questa costa dell’Africa orientale dai Gesuiti e da altri religiosi, fu interrotta, come abbiamo detto, ed è stata ripresa appena da qualche anno in modo serio. Ecco il misfatto di un uomo, ma quest’uomo poteva essere chiamato: Legione, perché era un seguace della massoneria, acerrimo nemico di Gesù Cristo, Egli che solo è la vita e la resurrezione dei popoli, oltre che degli individui.

CHOISEUL. – Dopo aver parlato dell’odio della massoneria contro il regno di Gesù Cristo, in Spagna e in Portogallo, non possiamo tacere ciò che ha fatto in Francia e a Napoli contro la Compagnia di Gesù, giustamente chiamata l’Avanguardia della Chiesa Cattolica. Nel suo Tableau de Paris, t. vi, 2a parte, p. 342, ecc., de Saint-Victor scrive quanto segue: « Il favore di Choiseul, già grande, si accrebbe, alla morte di M.me de Pompadour, di tutto ciò che possedeva, per non sfuggire nemmeno al sospetto, benché infondato, di aver contribuito ad accelerare la scomparsa di questa padrona il cui potere era così assoluto e che Luigi XV dimenticò così facilmente. Senza averne titolo ottenne tutti i poteri di Primo Ministro, gli onori che desiderava, le ricchezze che voleva accumulare, e divenne solo il più accanito contro i Gesuiti, che aveva ragioni particolari per odiare, ragioni che sono state ritenute molto diverse da quelle da lui pubblicamente addotte. « Legato ai capi del partito filosofico, di cui era discepolo, e spinto da essi e da una perversità pari alla loro, quest’uomo, divenuto padrone della Francia, aveva concepito il folle progetto – e le lettere di sua mano lo testimoniano – di distruggere l’autorità del Papa e della Religione cattolica in tutto il mondo. Ora, la completa distruzione di un ordine religioso così fortemente costituito e che, diffuso nei due emisferi, sosteneva e propagava da ogni parte la purezza della fede e la pienezza dell’Autorità Apostolica, diventava la prima condizione di un simile progetto: egli vi si accinse quindi con tutta l’attività della sua mente nutrita di intrighi e di frodi. » Per quanto riguarda i Parlamenti, troviamo il loro brevetto di affiliazione massonico-filosofica anche nella corrispondenza di Voltaire e d’Alembert, nei pellegrinaggi a Ferney dei consiglieri e dei relatori sui ricorsi, e nelle numerose lettere ai principali membri di queste corti, avremmo potuto dire, se fosse stato necessario aggiungere qualcosa alle prime note. « I  nemici più pericolosi dei Gesuiti – dice M. de Saint-Victor – quelli che potevano servire più efficacemente alla vendetta della favorita (riguardo all’assoluzione che le avevano negato se non avesse lasciato la corte) erano nel Parlamento. Abbiamo visto che questa era la patria del giansenismo e che anche la setta filosofica vi aveva i suoi sostenitori. I Gesuiti, infine, furono espulsi dai loro collegi, condannati dai Parlamenti a piccola maggioranza, senza indagini, senza difesa, senza ascoltare testimoni, senza essere interrogati essi stessi, come era stato fatto in Portogallo: Furono proscritti in massa e individualmente come Gesuiti; i loro beni, le fondazioni cattoliche dei loro collegi o le case fatte da loro stessi o liberamente da Cattolici, furono confiscati; questa è la giurisprudenza massonica che fu stabilita e che presto sarebbe stata applicata in larga misura a tutti i Sacerdoti e ai beni cattolici, a tutti i nobili e alla stessa famiglia reale. Quattromila religiosi, che il tiranno aveva voluto mettere tra la loro coscienza e la fame, sono stati strappati dalle loro famiglie e dalla loro patria e costretti ad andare a mendicare il pane in terra straniera. (Les Sociétés secrètes, t. II, p. 64).

TANNUCCI.- Tannucci, tanto nemico dei Gesuiti quanto della Santa Sede e della Religione, per ordine di Carlo III, che lo aveva lasciato ministro sovrano di suo figlio, re di Napoli, copiò in tutto e per tutto il ministro di Aranda. In Austria, Maria Teresa, vinta dopo una lunga resistenza dal figlio Giuseppe II, anch’egli iniziato alle logge massoniche, ai nostri misteri – scriveva Grimm a Voltaire – si arrese con le lacrime. D’ora in poi i maestri cristiani furono banditi dall’Europa: la filosofia poteva spacciare a suo agio informazioni che avrebbero preparato la Rivoluzione. A proposito della Rivoluzione, citiamo ancora una volta la testimonianza di un massone, che qui può essere preso in parola. « È importante – dice M. Louis Blanc – introdurre il lettore nella  caverna che allora veniva scavata sotto i troni, oltre che sotto gli altari, da rivoluzionari molto più profondi e attivi degli Enciclopedisti; un’associazione composta da uomini di tutti i paesi, di tutte le religioni, di tutti i ranghi, legati tra loro da convenzioni simboliche, impegnati con giuramento a mantenere inviolabile il segreto della loro esistenza interiore, sottoposti a prove lugubri, impegnati in cerimonie fantastiche, ma che praticano la carità e si considerano uguali, pur essendo divisi in tre classi, apprendisti, compagni e maestri: Questo è il senso della Massoneria. Ora, alla vigilia della Rivoluzione francese, si scopre che la Massoneria ha assunto uno sviluppo immenso; diffusa in tutta Europa, assiste il genio meditativo della Germania, agita la Francia e presenta ovunque l’immagine di una società fondata su principi contrari a quelli della società civile. »  Osserviamo bene ciò che dice M. Louis Blanc, se vogliamo capire fino a che punto il regno di Gesù Cristo sulla terra era minacciato nel momento in cui stava per scoppiare la Rivoluzione. Non era solo la Francia ad essere agitata, ma l’intera Europa. Che dire, il mondo era in potere della Massoneria. Tutti i delegati delle logge erano giunti, nel 1781, a Wilhemsbad, da tutte le regioni dell’universo:  l’Europa, l’Africa, l’America, l’Asia, le coste più lontane dove erano approdati i navigatori, zelanti apostoli della Massoneria, tutti questi Paesi avevano voluto essere rappresentati in questo convento senza eguali nella storia della setta, e tutti questi deputati, ormai penetrati dall’illuminismo di Weishaupt, la cui dottrina non è altro che il panteismo di Spinosa, cioè l’ateismo, erano tornati da coloro che li avevano mandati e avevano versato il veleno dell’incredulità religiosa con l’ardore che gli oratori del convento avevano suscitato in loro. L’Europa ed il mondo massonico erano così armati contro il Cattolicesimo. E così, quando fu dato il segnale di battaglia, lo shock fu terribile, soprattutto in Francia, Italia e Spagna, tra quelle Nazioni cattoliche che si voleva fossero separate dal Papa e gettate nello scisma, fino a quando la scristianizzazione non fosse stata completata. Questo è ciò che è provato dalla prigionia di Pio VI e Pio VII, dai Cardinali dispersi, i Vescovi strappati dalle loro sedi, i pastori separati dai loro greggi, le Congregazioni religiose distrutte, i beni della Chiesa confiscati, le Chiese rovesciate, i conventi trasformati in caserme, i vasi sacri rubati e fusi per avido sacrilegio, le campane trasformate in denaro o cannoni, i patiboli allestite da tutte le parti, e le vittime a migliaia, un’ecatombe, suscitata soprattutto tra il clero; in una parola, tutti gli orrori della cosiddetta Rivoluzione, e soprattutto il crimine che era il fine che si proponeva e il grande motivo delle sue azioni: il Cristo buttato giù dai suoi altari per essere sostituito dalla Ragione. Quel giorno, i discepoli di Socino – udite udite – i massoni, credettero che il loro maestro stesse trionfando; e, in effetti, ebbe il trionfo che Dio lascia all’errore, e che consiste nelle rovine morali e materiali accumulate dall’abuso della libertà umana, dalla libertà divenuta follemente indipendente e mutata in furia satanica; uno spettacolo strano e misterioso, in cui vediamo tutti i legami che uniscono gli uomini spezzati, e gli uomini che si sgozzano a vicenda, in attesa che l’Essere Supremo, il loro Creatore e Padre, che torna ai suoi prodighi con il suo perdono ed il suo amore infinito, con la pace delle anime, l’onore delle famiglie, la felicità e la prosperità delle nazioni, venga richiamato in mezzo a loro, stanchi di carneficine, disordine, dissolutezza ed empietà. Chi ha fatto la Rivoluzione, ancora una volta? Non saremo noi a rispondere; la risposta sarà data, questa volta, da un illustre muratore la cui voce si unirà a quella di M. Louis Blanc: Lamartine. Il 10 marzo 1848, il Consiglio Supremo del Rituale Scozzese si recò a congratularsi con il Governo Provvisorio, e Lamartine rispose: « Sono convinto che è dal profondo delle vostre logge che si sono sprigionati prima nell’ombra, poi nella penombra, e infine in piena luce, i sentimenti che hanno infine dato vita alla sublime esplosione di cui siamo stati testimoni nel 1789, e di cui il popolo di Parigi ha appena dato al mondo la seconda e, spero, ultima rappresentazione, pochi giorni fa. Lamartine non era né filosofo né profeta: era un poeta. Se fosse stato un filosofo, nel vero senso della parola, avrebbe saputo che gli stessi principii producono le stesse conseguenze. Avrebbe previsto le rivoluzioni che insanguinarono e bruciarono Parigi; senza nemmeno essere un profeta, avrebbe annunciato che la parola è un seme che fatalmente produce frutti secondo il suo genere, e che i partageux del 1848 sarebbero diventati i comunardi del futuro, soprattutto se ai seminatori, formati dalle logge, fosse stato permesso di continuare la loro opera contro la Religione, i governi e la proprietà. Questo sguardo in avanti ci mostra che la Massoneria non è rimasta sotto le rovine che si è prodotta da sola; che non ha capito nulla di fronte alle disgrazie con cui ha coperto sia la Francia sia l’Europa, dove si è stabilita con le armate trionfanti di Napoleone, sia il mondo intero, che ha sollevato, con la lotta contro Dio e l’autorità. In effetti, i nostri moderni sociniani non hanno disarmato. Dopo aver cacciato Napoleone I che, non volendo sottomettersi fu costretto a dimettersi, ricominciarono la loro guerra anticristiana nelle profondità delle loro logge. Poi hanno agito sull’opinione pubblica, il cui potere tirannico è ben noto, e hanno portato la Religione ad un tale discredito che era raro, intorno al 1830, vedere uomini in Chiesa. Hanno fatto leva, come sempre, sull’educazione, per propagare il liberalismo massonico nelle menti della gente, sotto il nome di: Libertà di coscienza. La parentela tra il liberalismo e la Massoneria, che è figlia del libero esame protestante, non è stata sufficientemente notata. I massoni ed i liberali sono tali solo perché hanno abbandonato il Magistero infallibile della Chiesa Cattolica e hanno preso come guida la propria ragione. Poi la setta non temeva di riversare le false dottrine dell’eclettismo, che dava così grande onore al maomettismo, e del panteismo di Spinosa o di Averroè. Era decisa a propagare i vari sistemi, uno più falso dell’altro, sulla proprietà, riassunti da Proudhon in queste parole: La proprietà è un furto; infine, preparava nuovi attacchi contro il Cattolicesimo.

CONGRESSO DI VERONA. – « Nel 1822 – dice p. G. Deschamps – le società segrete erano appena esplose in Spagna, a Napoli ed in Piemonte, con tanti movimenti rivoluzionari; i sovrani, per garantire sia le loro corone che la vera libertà tra i loro popoli, si erano riuniti a congresso nella città di Verona, Fu allora che il conte di Haugwitz, ministro del re di Prussia, che egli accompagnava, fece una relazione all’augusta assemblea in cui diceva: « Giunto alla fine della mia carriera, credo sia mio dovere dare uno sguardo alle società segrete il cui veleno minaccia l’umanità oggi più che mai. La loro storia è così strettamente legata a quella della mia vita che non posso fare a meno di pubblicarla ancora una volta e di fornirne alcuni dettagli. « Le mie disposizioni naturali e la mia educazione avevano suscitato in me un tale desiderio di scienza che non potevo accontentarmi della conoscenza ordinaria: io volevo penetrare nell’essenza stessa delle cose; ma l’ombra segue la luce; così si sviluppa una curiosità insaziabile a causa dei nobili sforzi che si fanno per penetrare ulteriormente nel santuario della scienza. Questi due sentimenti mi hanno spinto a entrare nella società dei massoni. « Sappiamo quanto poco il primo passo che si fa nell’ordine sia in grado di soddisfare lo spirito. È proprio questo il pericolo da temere per l’immaginazione così infiammabile dei giovani. Non avevo ancora raggiunto la maggiore età che già non solo ero alla testa della Massoneria, ma occupavo anche un posto di rilievo nel capitolo degli alti ranghi. Prima che potessi conoscere me stesso, prima che potessi capire la situazione in cui mi ero incautamente impegnato, mi trovai a dirigere la direzione superiore delle riunioni massoniche di una parte della Prussia, della Polonia e della Russia. La Massoneria era allora divisa in due partiti nei suoi lavori segreti. Il primo poneva tra i suoi emblemi la spiegazione della pietra filosofale; il deismo e persino l’ateismo erano la religione dei suoi settari; la sede centrale del suo lavoro era a Berlino, sotto la direzione del dottor Zinndorf. « Lo stesso non valeva per l’altro partito, di cui il principe F. di Brunswick era il leader apparente. In aperta lotta tra loro, i due partiti si unirono per ottenere il dominio del mondo; conquistare i troni, usare i re come l’ordine, questo era il loro obiettivo. Sarebbe superfluo raccontarvi come, nella mia ardente curiosità, sono riuscito a diventare padrone del segreto di entrambe le parti; la verità è che il segreto di entrambe le sette non è più un mistero per me. Questo segreto mi ha disgustato. « Nel 1777 assunsi la direzione di una parte delle logge prussiane, tre o quattro anni prima del convento di Wilhemsbad e dell’invasione delle logge da parte dell’illuminismo; la mia azione si estese anche ai fratelli dispersi in Polonia e in Russia. Se non l’avessi vissuto in prima persona, non saprei dare una spiegazione plausibile alla noncuranza con cui i governi hanno potuto chiudere un occhio su un tale disordine, un vero e proprio status in statu (stato nello stato); non solo i capi erano in costante corrispondenza e si avvalevano di cifre particolari, ma anche della Massoneria, se si inviavano emissari l’un l’altro. Esercitare un’influenza dominante su troni e sovrani era il nostro obiettivo… « Acquisii allora la ferma convinzione che il dramma iniziato nel 1788 e 1789, LA RIVOLUZIONE FRANCESE, IL REGICIDIO CON TUTTI I SUOI ORRORI, non solo non si era risolto allora, ma era anche il risultato di associazioni e giuramenti…, ecc. « Di tutti i contemporanei di quel tempo, me ne è rimasto solo uno… La mia prima cura fu quella di comunicare tutte le mie scoperte a Guglielmo III. Ci convincemmo che tutte le associazioni massoniche, dalle più modeste alle più alte, non possono che proporsi di sovvertire i sentimenti religiosi, di eseguire i piani più criminali e di usare i primi come copertura per i secondi. « Questa convinzione, che Sua Altezza il Principe Guglielmo condivideva con me, mi fece prendere la ferma risoluzione di rinunciare assolutamente alla Massoneria… ». – Il Congresso di Verona, senza dubbio illuminato da questa nobile confessione di M. de Haugwitz, prese provvedimenti di conseguenza, soprattutto nei confronti della Russia e dell’Austria, « Alessandro, la cui buona fede gli Illuminati erano stati a volte in grado di sorprendere, fu completamente illuminato sulle loro reali attività. Invece di proteggere la Massoneria, come nel 1807, la proibì in modo assoluto nel 1822; invece di espellere i Gesuiti, come nel 1816, si avvicinò ogni giorno di più al Cattolicesimo, e nel 1824 inviò il suo aiutante di campo, il generale Michaud, al Santo Padre per preparare il ritorno della Russia alla grande e vera unità cristiana. La sua misteriosa morte (1825) a Taganrog è da attribuire alle società segrete, che avevano sempre mantenuto affiliati nel suo entourage? C’è un mistero che forse non sarà mai chiarito; ma bisogna osservare che subito dopo la sua morte scoppiò un’insurrezione contro Nicola, il suo successore designato, al grido di “costituzione”, che allora era la parola d’ordine delle società segrete di tutti i Paesi. È stato accertato che essa era stata preparata a lungo, già nel 1819, da una società modellata su quella dei Carbonari e chiamata Slavi Uniti.  Uno scrittore ben informato su questi eventi afferma che questa società aveva avuto, come tutte le sette particolari, la sua base operativa nelle logge massoniche, che si erano dissolte solo in apparenza ». (Les Sociétés secrètes, t. II, p. 242). – I Carbonari, di cui abbiamo appena parlato, formarono, in qualità di Carbonari, l’Alta-vendita, espressione usata, come quella dei massoni, per nascondere la natura e lo scopo della società, che non era altro che la continuazione dell’ordine massonico, così come esisteva prima della grande Rivoluzione. All’inizio era composta da alcuni grandi signori corrotti e da giudei. « Sicuramente – dice padre Deschamps – tutti i massoni erano ben lungi dall’essere carbonari, ma lavoravano tutti per lo stesso obiettivo; infatti. 1° le logge, con una prima iniziazione, preparavano il personale da cui venivano reclutati: così, secondo la costituzione della Carboneria italiana, i massoni, quando chiedevano di essere iniziati, venivano esentati dal primo grado, che è quello di apprendista, per arrivare a quelli di compagni e di maestri, che esistono in tutti i riti; 2° facilitavano i passi dei loro membri; e infine, grazie alla direzione impartita alla grande mandria di sciocchi iscritti alle logge, formarono quel peso irresistibile dell’opinione pubblica da cui sono scaturite le elezioni che hanno costretto la Monarchia ad una sola carta, a un’impasse da cui solo un colpo di Stato offriva una via d’uscita. » – « Le logge erano state – dice “il Secolo” – la culla e il vivaio della famosa società dei Carbonari, che mise in pericolo la Restaurazione e contribuì in così larga misura alla rinascita del partito repubblicano. – Jean Witt, svedese, ha scritto: « I Carbonari hanno la loro vera origine nella Massoneria. Non appena Napoleone salì al trono, distrusse (?), favorendola, un’associazione che era pericolosa per lui. In questo modo perse la sua indipendenza e divenne un’istituzione di polizia che serviva solo a sorprendere i sentimenti dei seguaci che la componevano. Poi si riunirono i massoni che ancora si attenevano alla tarda Repubblica; essi formarono (all’interno della Massoneria) un’altra affiliazione. Era la sede dei Carbonari (o Buoni Cugini) e dei Massoni Filadelfi a Besançon. Il colonnello Oudet era il loro capo; la maggior parte dei membri erano militari; questi propagarono l’ordine in Piemonte e negli Stati settentrionali d’Italia. – Solo molto più tardi si affermò nel sud della penisola, dove, favorita dall’ex governo (Murat), si diffuse rapidamente. Nel 1809 fu istituita la prima Vendita a Capua, che era allo stesso tempo la principale. » Va notato che questo Jean Witt era un ispettore generale e un alto muratore elevato di tutti i riti. L’Alta Vendita era in piena attività sotto la Restaurazione, già nel 1819, due anni prima dell’assassinio del Duca di Berry, e sebbene « il suo obiettivo principale fosse la distruzione del potere spirituale della Chiesa, vediamo dalla corrispondenza dei suoi membri che si ramificava a Parigi, Vienna, Londra, Svizzera, Berlino, dove aveva affidatari di altissimo livello. Questa spingeva attivamente al rovesciamento del re Carlo X e della dinastia (Les Sociétés secrètes, t. II, p. 244.). Perciò non sorprende che, una volta terminata la rivoluzione di luglio, Dupin il vecchio, alto muratore della loggia Trinosophes, discepolo di Ragon, abbia potuto dire: « Non pensate che in tre giorni abbiano fatto tutto. Se la rivoluzione è stata così rapida e improvvisa, è perché non ha colto nessuno di sorpresa… Ma la facemmo in pochi giorni, perché avevamo una chiave da inserire nella toppa e potevamo immediatamente sostituire un nuovo e completo ordine di cose a quello appena distrutto ». (Ibid.) – « Durante i diciotto anni del governo di luglio – scrive padre Deschamps – le società segrete hanno continuato la loro opera di distruzione del Papato e di preparazione della Repubblica universale. – « Due correnti di delinearono presto tra gli uomini che perseguivano l’asservimento della Chiesa e volevano moderare il progresso della Rivoluzione a proprio vantaggio, per fissarla in governi costituzionali: era la politica dell’Alta Vendita, i rivoluzionari aristocratici che avevano guidato il movimento del 1815 e le insurrezioni del 1821. Dall’altra c’erano gli uomini nuovi che, oltre alla distruzione della Chiesa, volevano idealizzare la legalità di fatto e preparare la strada al socialismo attraverso la Repubblica universale. » Il lettore leggerà con piacere, e anche con profitto, una pagina della storia universale della Chiesa cattolica, dell’abate Rohrbacher, così nota e così apprezzata, riguardante la questione dei Carbonari. Inoltre, questa lettura sarà come una conferma di diverse intuizioni già poste da noi davanti agli occhi dei nostri lettori. « Le società segrete – scrive l’illustre storico – che si formano solo per distruggere la società pubblica, principalmente quella universale, ovvero la Chiesa Cattolica, uniscono sempre due o tre caratteri di satana: la menzogna, l’omicidio, la lussuria-impurità. Oggi ne esistono due principali: la setta dei Massoni e la setta dei Carbonari. La prima, nata in Inghilterra sotto il protestante e regicida Cromwell, ne ha importato lo spirito in Francia e nel resto d’Europa. Diversi principi, per antipatia verso la società universale del Cattolicesimo, favorirono un nemico della società pubblica e dei troni. La seconda setta, i Carbonari, che ha lo stesso scopo, si è formata tra gli italiani con il pretesto di procurare la libertà dell’Italia.

L’attuale leader è un carbonaro genovese, l’avvocato Giuseppe Mazzini, che ha dato una nuova forma al movimento sotto il nome di Giovane Italia, che doveva essere solo una branca della Giovane Europa. La Giovane Italia si differenzia dal carbonarismo per i suoi principi religiosi. I Carbonari professano l’indifferenza alla religione, o meglio il materialismo voltairiano. L’avvocato Mazzini, invece, sfoggiava una certa religione politica, un panteismo protestante, che si manifesta nella sua opera: I doveri dell’uomo. « Dio – egli dice – esiste perché noi esistiamo. Egli è nella nostra coscienza, nella coscienza dell’umanità, nell’universo che ci circonda… Lo adorate, anche senza nominarlo, ogni volta che sentite la vostra vita e quella di coloro che vi circondano… L’umanità è il verbo vivente di Dio… Dio si incarna successivamente nell’umanità. » Questa eresia o empietà è già vecchia. È il vecchio gnosticismo, la vecchia idolatria dei pagani, che confonde Dio con la creatura e la creatura con Dio. È il panteismo idolatrico dell’India, il panteismo prussiano o protestante importato oggi in Francia da Victor Cousin. È la centomillesima ripetizione di quella prima menzogna del primo sofista: No, no, non morirete di morte mangiando il frutto che Dio vi ha proibito; al contrario, sarete come dei, conoscendo il bene e il male. – « Quando Mazzini e i suoi simili sopprimono la divinità di Gesù Cristo e lo chiamano solo un grande uomo, un filosofo, non sono che un’eco di Maometto e dell’Anticristo… « In ciò che Mazzini e i nuovi settari concordano non meno con il falso profeta della Mecca, è nel secondo carattere di satana: l’essere omicida… Nel 1835, uno studente di nome Lessing fu assassinato a Monaco. In seguito, quattro rifugiati italiani, che volevano combattere contro i principi italiani, non accettarono la dottrina sanguinaria della setta mazziniana e la spiegarono apertamente. Il tribunale segreto riunitosi a Marsiglia sotto la presidenza di Mazzini, condannò due dei quattro alla forca e alle galere e gli altri due alla morte. Copia di questa sentenza è stata sequestrata ed esiste. Essendo i condannati domiciliati a Rhodez, il documento recava come capitolo aggiuntivo: Il presidente di Rhodez sceglierà quattro esecutori della presente sentenza, che ne resteranno incaricati entro il termine rigoroso di venti giorni: chi la rifiutasse incorrerebbe nella morte ipso facto. Qualche giorno dopo, uno dei condannati, il signor Emiliani, passando per le strade di Rhodez, è stato aggredito da sei suoi connazionali, che lo hanno accoltellato e sono fuggiti. Gli assassini sono stati arrestati e condannati dalla giuria francese a cinque anni di reclusione. M. Emiliani, ancora malato, stava uscendo dalla Corte d’Assise con la moglie, quando lui e la moglie furono pugnalati a morte da un uomo di nome Saviali, che fu arrestato solo con difficoltà. L’assassino, processato e condannato, ha subito la punizione per il suo crimine. Quanto a Mazzini – aggiunge l’autore che citiamo – egli tornò in Svizzera, come una tigre che torna alla sua caverna, dopo una scena di carneficina, e riprese freddamente la sua opera di distruzione sociale. » (Guerra e rivoluzione in Italia nel 1848 e 1849, del conte Edouard Lubienski, pp. 40-44). – Diciamo che l’avvocato Mazzini non nascose di dichiarare che la società da lui istituita avesse come scopo « l’indispensabile distruzione di tutti i governi della penisola, per formare un unico Stato d’Italia ». – Art. 2: « A causa dei mali derivanti dal governo assoluto e dei mali ancora maggiori delle monarchie costituzionali, dobbiamo unire tutti i nostri sforzi per costituire una repubblica unica ed indivisibile. Rohrbâcher aggiunge: « Quale sarà allora la forma della repubblica mazziniana? » Un altro leader socialista, Ricciardi, ce lo indica: « Per guidare il popolo – egli dice – non si abbisogna di un’assemblea popolare, fluttuante, incerta, lenta a deliberare; ma è necessario un pugno di ferro, che solo può governare un popolo finora abituato alle divergenze di opinione, alle discordie, e, per di più, un popolo corrotto, snervato, svilito dalla schiavitù ». Se Papa Gregorio XVI non è stato accoltellato insieme ad altri Sacerdoti, il motivo ce lo fornisce lo stesso Ricciarci. « Credo – ancora dice – credo che la nostra santa causa sarebbe macchiata dall’assassinio di un vecchio; oltre al fatto che non basterebbe sopprimere il Papa, sarebbe necessario assassinare fino l’ultimo Cardinale, l’ultimo Sacerdote, l’ultimo religioso di tutto l’universo cattolico ». Più avanti, lo stesso socialista aggiunge: « La pianta fatale nata in Giudea ha raggiunto questo alto punto di crescita e vigore solo perché è stata innaffiata da rivoli di sangue. Se volete che un errore metta radici tra gli uomini, metteteci ferro e fuoco! Volete che cada?… fatelo diventare oggetto dei vostri scherni. » È chiaro che, siano carbonari o muratori, essi hanno tutti nel cuore l’odio per Gesù Cristo: è questo il segreto di tutti loro. – Nella sua opera: l’Eglise romaine en face de la Révolution, Crétineau-Joly, a proposito dell’Alta Vendita, ci parla di un comitato di circa quaranta membri, presieduto da un giovane mirabilmente adatto al ruolo di cospiratore, e che era riuscito ad impadronirsi della direzione generale dell’Alta Vendita, oltre a Mazzini. Questo giovane aveva assunto, secondo l’usanza degli illuminati, un nome massonico, che era Nubius. Anche il suo obiettivo era la distruzione del Cristianesimo. Egli diceva che il miglior pugnale per colpire al cuore la Chiesa Cattolica è la corruzione. Depravare il Sacerdote, la donna ed il bambino, questa era la tattica di Nubius, e vediamo che alcuni di noi la ricordano. Tuttavia, Mazzini, lontano da Roma, dove si trovava la sede del suddetto comitato, vedeva arrivare gli ordini, senza che potesse conoscerne la fonte. Decise di penetrare il mistero e finalmente scoprì l’esistenza del comitato; ma quando Paolo, un amico di Nubius, informò quest’ultimo del desiderio di Mazzini di essere ammesso a questo consiglio, il presidente rispose che Mazzini non era necessario con i suoi veleni ed i suoi pugnali, e gli inviò un rifiuto formale. « Nel frattempo – dice Crétineau-Joly – Nubius fu colpito da una di quelle febbri lente che consumano con una prostrazione graduale. Di solito l’arte non può né curarli né spiegarli. Questa malattia giunta così a proposito, aveva la sua ragione d’essere. I complici di Nubius non ne cercarono la causa. Sapevano da tempo che, nelle società segrete, la sordità comanda il mutismo, e che esso deriva ancora dalle lettere di Capræa, come al tempo di Tiberio e di Sejano. Nubius colpito dall’impotenza e i suoi amici dal terrore, compresero che le società segrete non dovevano più cercare un’azione indipendente. Per questo motivo l’intero comitato scomparve e Mazzini poté assumere da solo la guida delle logge. »

DISCORSO SOPRA IL SEGRETO DELLA MASSONERIA (5)