GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (14) – GNOSI E BUDDISMO -2-

GNOSI: TEOLOGIA di Satana (14)

“omnes dii gentium dæmonia”

GNOSI E BUDDISMO

Sulla strada della seta.

Il buddhismo è nato nel III secolo della nostra era nei reami greco-sciti e parti della Bactriana, nel nord dell’India. San Tommaso Apostolo aveva evangelizzato questa regione, Mani vi ha insegnato la sua dottrina gnostica e da questo III secolo il buddhismo si diffonde in tutta l’Asia centrale lungo le due strade della seta che collegano questa regione alla Cina, l’una circondante il nord del deserto centrale e del deserto del Gobi, l’altra che si snoda lungo la parte meridionale della catena dell’Himalaya ed il Tibet. – Ciò che occorre rimarcare innanzitutto è che nelle città di accesso da cui si dipartono queste due strade, sorgono monasteri costruiti in questa epoca. Lo stile, gli ornamenti, i bassorilievi, le pitture di questi edifici sono state ritrovate nel XI secolo tra le rovine. Si rileva l’impronta di un’arte iraniana, che ha subito l’influenza greca e romana. Gli artisti sono venuti dalla Siria, il Buddha vi conserva i caratteri dell’arte di Gandhara. – A Miran, nel sud del Lobnor, un antico santuario buddhista ci ha conservato degli affreschi degni di Pompei. Abbiamo la sorpresa di scoprirvi un Buddha accompagnato dai suoi monaci, personaggi imberbi con un copricapo frigio, geni alati, quadrighe. Il nome del pittore è Tita. Lo stile è romano e siriaco: « Bisogna concluderne – dice Victor Goluobov, che il pittore sia un artista formato in qualche laboratorio di Antiochia o di Bactriana? » – Gli apostoli del buddhismo che penetrano in Cina sono dei Parti o ancora degli indo-Sciti, di cultura iraniana e greca, venuti dall’Afganistan. La prima comunità buddhista installata a Lao-Yang (Ho-nan-fou), la capitale dell’impero cinese, è stata fondato da un Parto. Scoperte ancora più sensazionali vengono ancora a mostrare, in un gran numero di monasteri buddhisti dell’Asia centrale le prove della loro origine manichea. – A. Von le Coq, all’inizio del novecento, ha percorso la strada della seta a nord del deserto, nella regione del Tourfan. Questo paese era occupato nel VII ed VIII secolo da un popolo misto di elementi sciti, iraniani, turchi, gli Uiguri. La loro capitale Chotcho, oggi chiamata Kao-Tchang, o Karakhoja, fu visitata da Albert Von le Coq che passava da sorpresa in sorpresa. Egli trovò un’alta piramide a tre piani, comprendente sei nicchie che riparavano dei Buddha dipinti e dorati. Uno di essi giaceva più lontano, privo di testa. Von le Coq vi notò gli stessi caratteri trovati sui monumenti di Gandhara. Più distante, verso il centro della città, c’è una immensa costruzione  composta da tre sale rettangolari circondate da una serie di ambienti più piccoli a volte. Sul muro della parete settentrionale, dopo aver abbattuto un moro più recente, apparve un affresco maestoso. Un gran sacerdote in piedi, rivestito da ornamenti sacerdotali, circondato da un clero tutto vestito di bianco. Ogni personaggio porta il suo nome scritto sul petto, in caratteri uiguri, ma i nomi sono iraniani. Il più grande è Mani, il profeta supremo. « Nell’edificio a cupola della parte sud, facemmo una terribile scoperta –scrive Von le Coq, gli stessi personaggi, nei loro bianchi vestiti, al naturale, non più in piedi, in un bell’ordine processoniale, ma coricati, ammassati in un impressionante disordine, in una caterva di un centinaio di corpi mummificati: tutta la comunità di monaci buddhisti là sorpresi da una morte violenta, un massacro generalizzato abbattutosi su di essi. Von le Coq attribuisce questo massacro alle persecuzioni religiose provocate dalle autorità cinesi. – Infine, fuori dalle muraglia della città, una piccola chiesa nestoriana contenente le vestigia di pitture murali bizantine raffiguranti un sacerdote ed altri personaggi portanti dei rami. All’interno della città tutti gli scritti buddhisti ridotti in brandelli potevano raccogliersi con la pala. In questa regione si trovò un altro santuario contenente una biblioteca di manoscritti manichei irrimediabilmente danneggiati dalle acque fangose di un sistema di irrigazione, ed all’entrata di questa biblioteca il cadavere di un monaco buddhista assassinato, restato avvolto nella sua bianca veste macchiata di sangue. Von le Coq  dichiarava alla fine della sua vita che questa era la scoperta più sensazionale che egli aveva fatto nel corso della sua carriera di ricercatore. – Continuiamo questa esplorazione, essa ci riserverà ancora delle straordinarie sorprese. Lungo la via meridionale della seta si trova la città cinese di Touen-Houang, nel Kan-Sou. È la città dei “mille buddha”. Essa contiene un monastero buddista ben conservato con delle sale dipinte e scolpite nella roccia. In una di esse, due ricercatori, sir. Aurel Stein e M. Pelliot, francese, si fecero aprire un armadio murato nel quale trovarono migliaia di manoscritti antichi che il buon monaco era incapace di decifrare. Essi riuscirono a comprarne diversi importanti gruppi. Quale sorpresa! In mezzo ai manoscritti buddhisti essi trovarono un gran numero di manoscritti manichei. Innanzitutto un Catechismo della religione del “Buddha di luce, Mani”, tradotto dall’iranico in cinese nel 731 su ordine imperiale. Vi si apprende che il Buddha di luce, Mani, è nato nell’ottavo giorno di una seconda linea nel reame di Sou-Lin, che designa presso i cinesi l’Asia occidentale, dunque la Siria o la Babilonia, secondo la traduzione di Pelliot. Un altro frammento dello stesso catechismo, chiamato frammento Stein, è riprodotto in una delle compilazioni cinesi del XVIII secolo in cui il Buddha è chiamato Mani. Poi essi decifrarono dei manoscritti in pehlvi, in sogdiano, in turco antico, in uiguro e in cinese, nei quali si predicava la “religione della luce, dei due principi e dei tre movimenti.” Si è trovato una raccolta di inni e di preghiere con le loro notazioni musicali – “ciò che richiama i manichei, al dire di Sant’Agostino, è che essi amano molto la musica” -, un formulario di Confessione ricostruito frammento per frammento grazie alle scoperte di  M. Radloff, identico a quello che si pratica presso i buddhisti; una regola della comunità che ci fa conoscere quali sono le condizioni a cui deve adempiere colui che vuole entrare nell’ordine, come deve essere il tempio, etc.; un frammento di vangelo apocrifo; un altro frammento della vita di Buddha; un “libro santo incompleto di una religione della Persia” pubblicato a Perkin e trovato anche a Touen-Houang [è un trattato manicheo datante il 900 circa]; raccolte di pezzi cinesi ispirati alle diverse opere di Mani stesso che, seduto in mezzo ai suoi fedeli, è reputato rispondere alle domande che gli pone il suo discepolo preferito Addo, o Addas. – Messo in presenza di una scoperta così prodigiosa di manoscritti manichei in gran numero in diversi monasteri buddhisti dell’Asia centrale, gli storici non hanno compreso che l’insegnamento di questi manoscritti era identico a quello del buddhismo, che il Buddha del quale seguivano le lezioni, era Mani stesso, perché bisogna comprendere che mai i discepoli del Buddha-Mani si sono chiamati manichei. È il termine che fu loro dato dagli storici greci  latini. Essi erano soltanto i “figli della luce”, i discepoli del Buddha, l’illuminato. Questi storici, ingannati dalla certezza che avevano di un buddhismo anteriore al Cristianesimo, hanno tentato di collegare questi documenti manichei alla religione del Buddha con l’idea di una ricopiatura.  I manichei, essi dicevano, hanno praticato un sincretismo sistematico. Altri dicono che il buddhismo sembra essere stato coevo del manicheismo presso gli uiguri. Henri-Charles Puech, nel suo libro sui manichei, ci dice che essi tentavano un avvicinamento al fine di applicare a Mani testi buddhisti, supposti anteriori. Egli precisa che, nel “catechismo cinese”, detto frammento Stein, di cui abbiamo parlato, si fondono taoismo, buddhismo e manicheismo. In effetti questo catechismo cinese ha, come precursori di Mani, Buddha e Lao-Tseu. Nel frammento di Tourfan si è trovata la successione degli ancestri di Mani e di Buddha: “Lista dei profeti dell’umanità: Sem, Shem, Enosh, Nicoteo, Henoch, Gesù”. “L’apostolo di luce, che viene cinque volte nel suo tempo, si riveste della chiesa di carne d’umanità e diviene capo in seno alla “chiesa di giustizia”. Egli è l’emanazione di Nous-Luce, padre di tutti gli apostoli”. È già l’idea gnostica dei grandi iniziati. – “Mescolanza, sincretismo, coesistenza”? Ancora bisognerebbe spiegare il perché di questo incontro tra questi due sistemi religiosi, il perché dell’identità dei personaggi: monaci buddhisti o manichei? Buddha o Mani? Chi ha copiato dall’altro? Quando noi leggiamo ad esempio i riferimenti fatti al Cristianesimo nella biografia del Buddha, noi siamo portati a pensare che l’uno abbia preceduto l’altro. Se vogliamo pure esaminare le cose più da vicino, vediamo che il buddhismo ha operato una cernita nei suoi “assorbimenti” e ci accorgiamo che ha rigettato dal Cristianesimo gli stessi elementi già rigettati dagli gnostici manichei: il culto della croce, la nozione del Sacrificio, i sacramenti, etc. … e che gli elementi che gli sono pervenuti, sono stati copiati dai vangeli apocrifi gnostici … – In conclusione, sembra che il buddhismo dell’Asia centrale non sia venuto dall’India, ma dalla Persia e dai regni Sciti, ciò che lascia pensare che il buddhismo sia penetrato tardivamente nell’India e che non vi si sia tenuto se non provvisoriamente, perché si scontrava con l’ostilità dichiarata dei brahmani. Ma vi torneremo.

Da Mani a Buddha.

Mani aveva delle nozioni estese in pittura e scultura grazie alle quali aveva acquisito grande celebrità in Asia. Egli percorse l’Indostan ed il Turkestan. Un giorno, avendo scoperto nel deserto una montagna che comunicava mediante una vasta caverna con una pianura deliziosa e che non aveva altre uscite, si risolse segretamente a vivervi per un anno. Egli annunziò allora ai suoi discepoli che stava per risalire in cielo dal quale sarebbe ridisceso dopo un anno per portar loro gli ordini di Dio, che avrebbe loro portato vicino alla caverna di cui indicava la posizione. Vi si ritirò dunque e visse solo per un anno, occupato interamente a dipingere ed incidere figure straordinarie su una tavola chiamata ertankimany. Al tempo convenuto, riapparve nei paraggi della caverna aspettando i suoi discepoli. Mostrò loro le tavole che aveva riunito in un volume e dichiarò loro che questo grande libro proveniva dal cielo. Tutto il Turkestan abbracciò la sua “religione della luce”. Le comunità manichee si diffusero nei regni dell’Asia centrale sotto la protezione dei Parti e degli Sciti. Esse stabilirono delle “chiese-monastero”, sotto la direzione dei successori di Mani, i Buddha, i  Saravan, gli Imam, capi supremi della chiesa. Lo stesso Mani, dopo la sua gnostica “crocifissione”, è risalito fino alla “colonna di luce”, poi alla luna e al sole per giungere nel “paese del riposo e della gioia”, il “Nirvana”, “l’eterno regno di luce” che è la sua patria ritrovata. Egli è il sigillo dei profeti, l’apostolo dell’ultima generazione. Tutte queste espressioni si ritrovano nei manoscritti scoperti a Tourfan. – Nel corso dei suoi studi sul manicheismo, Henri-Charles Puech si è avvicinato poco a poco a queste stesse conclusioni. Egli aveva ben notato che, ad esempio, il tempio buddista di Bezelik, situato presso Tourfan, era incontestabilmente manicheo. Egli avrebbe potuto affermare lo stesso per tutti gli altri templi dell’Asia centrale. – Nel corso dei suoi studi sulle liturgie manichee, Puech ha egualmente notato progressivamente i loro rapporti con i riti buddhisti. Egli li ha collegati all’insegnamento di Mani. In effetti noi sappiamo che gli gnostici, e dunque i manichei, insegnano che il cosmo è animato da un principio universale, l’anima del mondo o “luce divina”; che questa anima luminosa percorre l’insieme degli esseri che costituiscono il mondo e dà la vita alle piante, agli animali, ad ogni essere vivente contiene, chiuso in esso, una scintilla luminosa dell’anima universale [panteismo gnostico]. Ciascuno di essi è dunque sensibile al dolore ed al piacere. Cuocere un frutto, tagliare un legume, sradicare un albero, sgozzare un animale, sono dei veri omicidi. L’agricoltura e l’allevamento degli animali sono attività criminali [sembra di riascoltare le stesse paranoie allucinanti dei vegani, gnostici-manichei … senza esserne ravvisati!]. Ugualmente il matrimonio e la procreazione sono condannate, perché costringono a rinchiudere queste particelle luminose, le parti migliori della “divinità universale”, nei corpi che le tengono prigioniere. Questa idea stravagante, ma logica nella sua assurdità è, con la reincarnazione, comune agli gnostici, ai manichei ed ai buddhisti, loro successori ed eredi. – A partire da questo si può comprendere l’attitudine del monaco buddhista, accovacciato a terra, con la sua ciotola di cibo in mano. – Gli “eletti”, i “puri”, i “catari”, prendono il loro pasto in comune, una volta al giorno. Prima di mangiare, si ritirano in disparte e rivolgono agli alimenti questa preghiera: “ non sono io che vi ho raccolto, che vi ho mondato, non vi ho impastato, non vi ho cotto. Così io sono innocente di tutti i mali che avete sofferto.” Si mettono in piedi o seduti con la ciotola del cibo, vaso sacro, in mano. Poi secondo un cerimoniale ben regolato, cominciano a mangiare. Essi pretendono che durante la digestione, l’anima divina racchiusa nella materia si liberi e vada dal loro stomaco per risalire in cielo e riunirsi alla sua “sorgente”. In tal modo, credono di liberare dalle tenebre della materia il “dio-luce” prigioniero. La loro masticazione è un altro atto sacro. Poi accordano il perdono ai caritatevoli catecumeni che hanno loro preparato la pietanza. La elemosina alimentare è in effetti una sacra offerta. – Henri-Charles Puech ha ugualmente comparato il manuale di confessione dei monaci buddhisti ai manoscritti scoperti nell’Asia centrale. Egli ha così concluso che questi erano calcati sullo stesso modello. Gli “eletti” manichei facevano confessione dei loro peccati davanti ai confratelli riuniti ogni lunedì. I monaci buddhisti lo fanno ogni quindici giorni, secondo lo stesso formulario, con la recita del Pâtimokka. Infatti i peccati dei monaci si riportano tutti al rifiuto della luce e della conoscenza (della gnosi!). – Infine la posizione accovacciata dei monaci si spiega con il desiderio di prendere la posizione fetale nel seno materno. Si tratta di raccogliersi in se stessi per preparasi al ritorno nella terra originale, nell’utero primitivo dal quale sono usciti tutti gli esseri, in modo da accelerare la morte che libererà l’anima luminosa chiusa nella materia del corpo. – Noi comprendiamo bene così che i principali riti della liturgia buddhista non hanno senso intellegibile se non ci si riferisce all’insegnamento di Mani. [Il religioso romano, p. Giorgi, amico del Papa Benedetto XIV, pubblicò nel 1762 una “enorme compilazione” sotto il titolo di “alfabeto tibetano”. Egli era in corrispondenza con i religiosi cappuccini in missione nel Tibet. Grazie agli insegnamenti dei suoi confratelli, egli descrive il buddhismo come una contraffazione del Cristianesimo dovuto all’azione perversa dei manichei. Il p. De Lubac, lo gnostico della “nuovelle thèologie” – del quale ci siamo occupati in un numero precedente – che cita quest’opera aggiunge:  “Una idea fissa che falsa il suo esposto. L’opera non è letta e la conoscenza del buddhismo non ha sofferto per niente di questo insuccesso”. Questa idea fissa, come la chiamava il noto fanta-teologo gnostico del concilio para-gnostico “Vaticano II”, era pertanto pura VERITA’, come è stato dimostrato inconfutabilmente dalle ricerche recenti. È ancora una volta verificato che è cosa non buona che un autore proponga una spiegazione nuova ed inattesa, seppur veritiera, quando le idee alla moda, seppur truffaldine, si trovano in contraddizione con quest’ultima!].

Il buddismo tibetano

Secondo furto al Cristianesimo. Il padre Huc, nel corso del suo viaggio in Tartaria, in Tibet e Cina, non è stato affatto sorpreso di incontrare nel culto dei Lama, il pastorale, la mitra, la dalmatica, la cappa, il flagellum, la benedizione data stendendo la mano sulla testa dei fedeli, un servizio a due cori con sermone, salmodia, litanie, genuflessioni, il culto delle reliquie, l’uso dell’acqua benedetta, degli esorcismi, il rosario, la campanella, le campane, l’incensiere, gli altari decorati con i fiori, delle immagini, ad esempio una donna portante una corona sulla testa ed un bambino nelle braccia, che schiaccia con il piede un dragone. Egli ha riconosciuto ugualmente una descrizione figurata di un vero purgatorio, ove i demoni tormentano i defunti nei cerchi, che ricordano l’inferno di Dante (ancora un’altra fonte per Dante: dopo Ibn Arabi, il buddhismo!), le processioni all’interno ed all’esterno dei templi. I monaci iniziano con un apprendistato, poi ricevono un’ordinazione; essi fanno voto di obbedienza, di castità e povertà, praticano la confessione, si rasano la testa e vivono nei monasteri sotto la direzione dei superiori. Esistono pure dei conventi femminili. Alla testa della chiesa si trova un “papa”, il Dalai Lama, assistito dai cardinali, i Tchoutouktous. – Il padre Huc ci spiega che questi adattamenti sono venuti direttamente dalla Chiesa Romana, in seguito alle relazioni che si sono avute nel XIII secolo tra l’impero Mogol ed i Cristiani di Occidente. L’autore di queste copie sarebbe questo Tsong-Khapa, che fu forse pure il vero fondatore del lamaismo. – La somiglianza tra i riti Cristiani e buddhisti è stata segnalata in questa epoca, il XIII secolo, da Jean de Ruysbroeck che visitò gli stati del Gran Kahn. Egli stabilì nettamente la differenza tra i Saraceni, i nestoriani e gli idolatri, cioè i buddhisti. Entrando in un tempio buddhista degli Uiguri, esclamò: “ Quando entrai nel loro tempio mi sembrò di  vedere dei preti veri!”

Il culto di Krishna

Terza copia del Cristianesimo: il culto di Krishna. Il buddismo è penetrato fortemente dell’India nel corso del Medio-Evo. Ora, Buddha condannava le caste, proclamava l’uguaglianza tra gli uomini, accoglieva ugualmente il principe e il paria.: « il brahmano, o discepolo, è nato da una donna, così come il tchandala, l’ultimo degli umani, a cui chiude la porta della salvezza ». – I brahmani si opposero inizialmente al buddhismo che invadeva il culto sensuale e gioioso di Vischnù, già molto diffuso e lo resero ancor più popolare identificando il “dio” con gli eroi famosi delle grandi guerre, Krischna. Nel Rig-Veda, Krischna signifia “nero”, e designa i demoni, nemici di Indra (lo Zeus indiano). Poi Krischna fu rappresentato come l’eroe delle grandi guerre per simbolizzare di nuovo e rendere popolare la religione dei brahmani minacciata dall’invasione del buddhismo. Con questa strategia i brahmani tentarono di guadagnare alla loro causa la casta dei Kshatiyas, i guerrieri ed i re. Più tardi per ricondurre ad essi i buddhisti, misero Buddha nel Panthéon buddhista come un ultimo avatar di Vischnù. – Poi essi inviarono i loro “saggi” in Occidente a studiare la dottrina cristiana, come annota il Mahâbharata. Questa conoscenza del Cristianesimo dovette loro fornire nuovi concetti religiosi che sembrarono loro buoni per arginare i progressi del buddhismo e del Cristianesimo. Utilizzando la rassomiglianza dei nomi Krischna e Cristo, composero la Baghvad-Gita. Questo mito di Krischna prese sviluppo nel corso del Medio-Evo, poi nel XIII secolo fino al XVIII della nostra era. I Purânas sono i libri religiosi che descrivono le cerimonie ed i riti delle feste destinate a celebrare la nascita di Krischna. Vi si mostra Krischna nascente, portato sul seno di sua madre, in una capanna di pastori, circondato dai pastori, poi il viaggio di Nanda e del suo sposo Mathura per pagare il tributo, la presenza dei buoi ed altri animali domestici nella capanna della nascita, la guarigione della gobba, Koubja che aveva sparso profumo sul capo di Krischna; poi si aggiunge qualche episodio ispirato alla fuga di Bethlem, al massacro degli innocenti, ai miracoli dell’infanzia, una tentazione, una trasfigurazione. – I brahmani, introducendo questo culto di Krischna, hanno popolarizzato la teoria delle reincarnazioni divine. Krischna è il dio supremo che si incarna di tempo in tempo « ogni volta che la religione degenera e l’empietà trionfa ». Dopo il suo insegnamento, perisce di morte violenta, abbandonato dai suoi. – Egli pone al di sopra della scienza a dell’ascetismo, la « bhakti », l’amore. Ma il suo insegnamento è falsato da un senso panteista dalla Bhagavad-Gita. Gesù Cristo aveva detto: « Io sono la via, la verità e le vita ». Krischna traduce: « Io sono la vita di tutti gli esseri (dunque l’anima universale del mondo), il supporto del mondo, la sua via, il suo rifugio ». – Gesù Cristo aveva detto: « Io sono l’alfa e l’omega ». Krischna traduce: Io sono l’inizio, il centro e la fine delle cose, l’immortalità e la morte » (formula panteista). Gesù Cristo aveva detto: « Io so da dove vengo e dove vado. Ma voi non sapete né da dove vengo, né dove vado ». Krischna traduce: « Io sono passato per le nascite (metempsicosi), tu anche. Io le conosco tutte, tu non le conosci affatto » – Krischna insegna il rispetto delle caste e il finale assorbirsi nella divinità! Si vede dunque che i brahmani, nel rigettare il buddhismo, ne avevano conservato però l’essenziale: il panteismo e la reincarnazione, il dissolvimento finale nel nulla, il Nirvana. – Già gli specialisti dell’India avevano avvicinato nell’ultimo secolo i monumenti dell’India all’iconografia cristiana. Essi avevano constatato le numerose copie fatte dall’India all’Occidente cristiano. Il grande indianista Albrecht Weber aveva notato nella sua “Storia della letteratura sanscrita”: « il culto di Krischna come dio si è completato sotto un’influenza cristiana. Angelo de Gubernatis, indianista italiano, anch’egli così scriveva: « Nella mitologia brahmanica c’è una delle più belle trasformazioni della divinità alla quale ha contribuito la conoscenza del Cristo giunta fino all’India e che pareva, come già a Weber, aver fornito a Krischna, con una parte di dottrina, diversi episodi della sua vita » (Enciclopedia indiana). Lo si vede chiaramente, i veri sapienti vanno a cercare l’imitazione in India. È l’India che ha copiato il Vangelo e non il contrario! Krischna è una invenzione moderna dovuta alla preoccupazione che i brahmani hanno avuto di recuperare Buddha e Gesù-Cristo per restare i padroni delle basse caste, attirate dall’insegnamento dei missionari. – Infine si è recentemente preteso che gli Indù conoscessero la Trinità. Ora questa concezione è tardiva  presso i brahmani; essa risale solamente ai  Purânas, scritti nel corso del Medio-Evo, ed « imitazione del dogma cristiano sfigurato » come dice molto esattamente Angelo De Gubernatis. Essi hanno ammesso Vishnù e Civa in un gruppo supremo ove hanno introdotto il loro Bramha. Essi insegnarono ai loro discepoli che questi tre nomi non designano che delle forme o maniera d’essere della divinità. Essi hanno impiegato la parola Trimurti, « tripla forma », ma questo è un vocabolo recente, moderno, destinato a dare una colorazione di sapienza ed occidentale al loro insegnamento.

[Continua …]

 

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (13) – GNOSI E BUDDISMO -1-

 

“… omnes dii gentium dæmonia”

GNOSI E BUDDISMO -1-

[rielaborato da: É. Couvert “La gnose universelle“-Chirè en Montreuil, 1993)

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Alle sorgenti del Buddismo

La storia religiosa dell’Asia centrale e dell’India, si presenta ai nostri sguardi occidentali come doppiamente limitata. In effetti le popolazioni di questi paesi sono senza storia, senza cronologia, senza annali se non qualche cronaca di famiglie principesche in India, più o meno leggendarie. I popoli dell’India hanno vissuto ai margini della nostra civiltà occidentale, ed è pertanto ben difficile collocare rispetto a noi i loro monumenti, i loro scritti, le loro leggende. – La tentazione naturale degli archeologi e degli storici fu di creare, tutta nuova, una cronologia e dei quadri storici per inserirvi le loro scoperte e tentare di confrontarle con la storia del nostro Occidente. Ciò facendo furono spesso condotti a modificare di sovente i loro giudizi e le loro osservazioni sui reperti che avevano potuto raccogliere per farli quadrare con le loro supposte cronologie, e quando la cosa appariva di difficile realizzazione, ebbero difficoltà enormi per rivedere i loro quadri. Ora le scoperte archeologiche e paleografiche più recenti, quelle dell’inizio del secolo pen’ultimo scorso, avrebbero dovuto provocare una rimessa in causa delle precedenti ricostruzioni in parte arbitrarie e improbabili, ma gli storici continuarono a far riferimento ai loro predecessori, salvo marcare dei dubbi e dei punti interrogativi qui e là. Nelle pagine seguenti non pretendiamo certo di rivelare documenti nuovi, né fatti incerti o indiscutibili, ma ci contenteremo di raccogliere, in un nuovo ordine, una gran quantità di recenti scoperte, già ben conosciute ameno dagli specialisti dell’Asia. Ci sforzeremo di rigettare le cronologie infondate ricevute dai manuali classici per far riapparire aspetti nuovi ed inattesi ai quali gli sguardi non erano più abituati, ed allora vedremo disegnarsi, sotto i nostri occhi, un quadro inedito delle origini del buddhismo. – Una seconda difficoltà deve essere eliminata. Poiché l’Asia centrale ci sembra misteriosa, lontana e sconosciuta, certi “indianizzanti” hanno voluto farne la culla di tutte le civiltà, il punto di partenza di ogni forma religiosa diffusasi poi nel mondo intero. È questo il senso ed il contenuto di tutta una letteratura indianizzante che ingombra attualmente gli scaffali delle librerie. – L’esame dei fatti mostra con evidenza che tutto questo è assolutamente falso! L’Asia centrale e l’India sono state civilizzate dall’Occidente; questo movimento colonizzatore è partito dall’Ovest e si è diffuso nel corso dei secoli in tutta l’Asia. – Prima delle spedizioni di Alessandro, i Persiani di Dario avevano invaso e colonizzato la valle dei Sind ove avevano stabilito una satrapia del Grande Re. È evidente che i monumenti dell’India ricordano quelli di Babilonia e della Persia. Dopo i Persiani, Greci di Alessandro stabilirono nel Pendjab dei reami greci, e durante vari secoli questi Greci sviluppano in tutta l’Asia centrale una civiltà ellenica, quella dei regnii di Bactriano e di Sogdiano che hanno lasciato nei manoscritti indù il ricordo dei Yavanas, e nei monumenti indiani l’impronta dell’influenza greca e romana. Il conte Goblet d’Alviella ha dimostrato questa opera civilizzatrice nel suo trattato: « Ciò che l’India deve alla Grecia »; in ciò si trova l’essenziale della sua civilizzazione, e cioè scultura, pittura, fino alla letteratura e fin’anche l’arte drammatica. – A partire dall’era cristiana, l’invasione degli Sciti e dei Parti, i “Palavas” dei manoscritti dell’India, provocò uno stravolgimento delle influenze occidentali. Questi Parti e Sciti sono venuti dal sud della Russia; essi hanno conquistato i regni dell’India, ma ne hanno conservato e rispettato la civilizzazione. Essi l’hanno diffusa in Asia centrale; poi nel secondo o terzo secolo della nostra era, essi hanno costituito un ponte tra l’India ed i Paesi nuovamente convertiti al Cristianesimo. Vedremo infatti che questi regnii sciti sono all’origine dell’espansione del Buddhismo attraverso l’Asia. Assistiamo quindi ad un movimento civilizzatore venuto dall’Occidente che si diffonde gradualmente in tutta l’Asia. In effetti se verifichiamo nel corso dei secoli dei movimenti migratori e delle popolazioni venuti dall’Asia del nord in direzione del sud e dell’Europa, constatiamo ugualmente che questi popoli, emigrando appunto, hanno saccheggiato e distrutto tutto al loro passaggio e che, una volta stabilitisi e fissati sul territorio, hanno subito le influenze civilizzatrici di origine occidentali: greca, latina e quindi cristiana. E questo è fondamentale per comprendere l’origine e l’espansione del Buddismo. – Pretendere che il Buddhismo sia all’origine delle religioni dell’Asia centrale, è costruire un’ipotesi sul nulla. Se i Persiani, i Greci e gli Sciti hanno occupato  durante i secoli il nord-ovest dell’Indostan, se le comunità cristiane si sono stabilite nelle Indie e nell’Asia centrale, l’Europa al contrario non ha mai subito invasione indiana, né conosciuto una “chiesa” buddhista. I monumenti dell’India testimoniano una influenza persiana e greca; al contrario nessun monumento dell’Asia minore o dell’Egitto ricorda lo stile degli indù. Non troviamo alcuna menzione di un culto “buddhico” in tutta la letteratura antica latina o greca od orientale prima del secondo secolo della nostra era, in epoca cioè in cui i contatti tra questi paesi erano numerosi. La prima menzione di un Bottha al quale gli indù rendono culto divino, si trova nelle “Stromate” di Clemente di Alessandria, la cui redazione risale probabilmente alla fine del secondo secolo della nostra era, non prima. Affermare l’esistenza di un Buddha che sarebbe vissuto nel V o VI secolo avanti Cristo, è costruire un castello in aria. Non esiste la pur minima prova di una tale asserzione, che si presenta evidentemente falsa. Max Muller, nel suo libro sull’India, scrive: « In tutta la mia vita ho cercato di capire come il Buddhismo avesse potuto agire sul Cristianesimo; queste prove non le ho mai trovate ». – Il culto di “Buddha” apparve per la prima volta nel regno scita di Battriano, nella provincia del Gandhara, situato nella valle del Pehawar, regione che fa attualmente parte del Pakistan. L’arte buddhista del Grandhara si è sviluppata nel corso dei primi secoli dell’era Cristiana sotto i sovrani Kushan, discendenti appunto degli Sciti. – Il primo “Buddha” si presenta sotto forma di un maestro che insegna ai suoi discepoli. Egli è in piedi, con la mano destra alzata (come il falso Gesù della c. d. “divina misericordia”, Culto gnostico dell’eretica F. Kowalska e del marrano-teosofo Woitiła, entrambi pseudo-canonizzati dalla “sinagoga di satana”). Il suo volto è classico: naso e sopracciglia diritte, capelli ricci. È un filosofo, vestito con una toga che procede circondato dai suoi discepoli. Quando la sua testa è circondato da un’aureola ha l’aspetto di un Apollo greco. In questi primi monumenti buddhisti, il clima ha cancellato tutti i dipinti murali, restano solo sculture ricavate dagli scisti grigi della regione. Questa si chiama scuole del Gandhara: è un’arte essenzialmente greca o romana. Il “Buddha” non vi si presenta secondo le forme obese, da addome cirrotico, contorte e terrificanti che troveremo nei templi dell’India. – I tentativi di datazione di queste sculture sono ben deludenti. secondo gli “specialisti” esse risalirebbero tra il III secolo a. C. ed il VI secolo dell’era Cristiana. Tentiamo però di restringere il ventaglio temporale – Emile Male, celebre storico dell’arte religiosa di Occidente, ha dimostrato che le più antiche basiliche cristiane in Gallia, erano concepite da artigiani cristiani, essi stessi ispirati dai monumenti cristiani di Siria, sia in ciò che concerne l’architettura, che per quanto attiene  alla scultura ed ai motivi decorativi. Egli ha così confrontato i bassorilievi di Gandhara con i sarcofagi cristiani delle catacombe e specialmente quelle delle “officine” di Arles en Provence. Si sono costatate delle parentele nell’ispirazione molto prossime, praticamente quasi identiche. Dall’una e dall’altra parte Gesù-Cristo e il “Buddha” sono presentati da personaggi vestiti all’antica, allineati parallelamente in nicchie separate da colonnette mediante tronchi di arbusti sormontati da fogliame. Essi stanno in piedi, mano destra in alto, circondati dai loro discepoli che sembrano, con i loro gesti, dare il loro assenso all’insegnamento del maestro. Emile Male ne ha concluso che per le due chiese hanno lavorato gli stessi artisti, e che i loro laboratori di scultura erano situati ad Antiochia, in Siria. Si è pure trovato su di un basso rilievo di Gandhara, rappresentante la nascita del Buddha, una immagine innegabile del Buon Pastore, scolpito sul pannello di un capitello corintio. Sulla base di una statua di “Buddha” trovata a Hashagar, si è trovata una data, l’anno 274 di un’era sconosciuta. Se si tratta dell’era di Gondofare, siamo nel 214 dopo Cristo; se si tratta dell’era di Çakias, cioè degli Sciti (Çakia è il loro nome in sanscrito), nel 352 dopo Cristo. Siamo dunque tra la fine del III secolo o all’inizio del IV secolo della nostra era! Ora noi sappiamo che l’Apostolo Tommaso è venuto in India durante il regno indiano di Gondofaro nel corso del primo secolo dopo Cristo. Suo nipote Abdagare gli successe intorno agli anni 70 dopo Cristo. Questi re “indo-sciti” e “parti” hanno dunque ricevuto il Cristianesimo molto presto, ed una ispirazione iconografica comune alle due religioni è molto verosimile, corroborata com’è pure dalle date che abbiamo potuto precisare. Il culto del “Buddha” è apparso per la prima volta nel terzo secolo della nostra era e non prima! – Affermare, come hanno fatto diversi storici, che questo culto del “Buddha” sia stato preceduto da una lunga epoca in cui il Buddhismo viveva in letargo, come “in sonno”, è affermare ciò che si dovrebbe essenzialmente provare, ma che mai è stato provato da nessuno. Si è riportato ad un passato lontano e storicamente non controllabile, un culto simbolico del Buddha, rappresentato dalla venerazione dell’impronta dei suoi piedi, della ruota, dell’albero o di qualche carattere sanscrito, senza vedere che queste superstizioni popolari non potevano precedere il culto del “Santo”, ma completare, dopo tanto tempo, un culto ed una liturgia già consolidata e florida. – Viaggiatori e missionari Cristiani hanno notato nel corso dei secoli i numerosi elementi presi “in prestito” [cioè copiati e fatti propri] dalle comunità buddhiste al Cristianesimo. Essi hanno dato delle spiegazioni che  sembrano plausibili e sono probabilmente vere, almeno in parte. Gli uni hanno fatto valere le giustapposizioni in Asia centrale delle comunità nestoriane e dei monasteri buddisti che potevano spiegare queste “copie”. Altri hanno invocato l’influenza dei missionari cristiani nel Medio-Evo e nel XVI secolo. Tutto questo è possibile, ma è fantasioso, non sicuro né provato! – Tuttavia le scoperte archeologiche e paleografiche della fine del penultimo secolo e dell’inizio del successivo ci mostrano una influenza ben più considerevole e probabilmente decisiva sulla formazione stessa del buddhismo. Si tratta dei Manichei. – In luogo di “inventare” un “Buddha” mitico, vissuto secoli prima dell’era cristiana, gli storici avrebbero dovuto osservare i “Buddha” veri che sono esistiti, e che noi conosciamo perché da se stessi si sono attribuiti il titolo di “Buddha”, che vuol dire “illuminato”. È quanto resta ora da dimostrare e provare!

Il Buddha di luce: MANI

Il Manicheismo si è presentata come una « Religione della luce », « una chiesa della giustizia ». La loro “chiesa” è la comunità degli « eletti », dei “giusti” dei “veridici”. Essa comprende pure degli « Uditori », coloro che apprendono la verità, dei catecumeni dunque. In ginocchio davanti agli eletti, i dignitari che godono della iniziazione completa, per ricevere l’imposizione delle mani in segno di perdono dei loro peccati. [anche i finti vescovi della setta vaticana del “novus ordo”, ricevono una pseudo-consacrazione, dal 18 giugno del 1968, da una formula invalida che li rende «eletti» secondo lo spirito manicheo: … Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem …” effondi su questo eletto …] – Il fondatore di questa chiesa è un certo Scythianos (lo sciziano), che viveva, si dice, ai tempi degli Apostoli. Egli avrebbe predicato una gnosi cristiana in Palestina. Il suo discepolo Terebinto, redigerà quattro libri contenenti il suo insegnamento; i “Misteri”, i “Capitoli”, il “Vangelo” e il “tesoro”. Dopo la morte dei suo maestro, Terebinto si recò a Babilonia, dichiarando di chiamarsi « Buddha », di essere nato da una vergine ed essere stato nutrito dagli angeli sulle montagne. – Ma il “vero” maestro che ha dato il nome a questa chiesa gnostica, è Mani (216-277), che i Latini ed i Greci hanno chiamato Manicheo. Piuttosto che un pensatore ed un fondatore di religione, egli fu piuttosto un notevole organizzatore e costruttore di chiese e di comunità che si diffusero in tutto l’Oriente, fino all’Asia centrale. Il suo insegnamento è semplicemente la “gnosi” di Marcione e di Basilide. Non è affatto originale, ma insiste soltanto su: 1) – una accentuazione particolare del doppio principio del mondo, l’esistenza di un “dio buono” e di un “dio cattivo” in conflitto eterno, e 2) – sulla reincarnazione delle anime. – Egli si diede il nome di « Mani », che in sanscrito significa « gemma, pietra preziosa ». In un inno manicheo, il « canto della perla », estratto dagli atti di Tommaso, è salutato con il titolo di « figlio del re ». In questo inno ci si racconta che il “creatore” ha posto nel corpo di Adamo una “perla” preziosa che, passando da corpo a corpo, ha dato nascita a Gesù nel seno di Maria. Egli stesso, Mani, si dice figlio di una vedova, quindi concepito dallo Spirito Santo (i franco-massoni, che sono gli autentici eredi dei Manichei, si chiamano ancora oggi tra loro, i “figli della vedova”, anche se ne danno una diversa motivazione, presunta biblica !?!). Anch’egli è dunque uscito dalla “perla”, questa pietra preziosa di cui ha preso il nome. Stabilitosi a Babilonia, come il suo maestro Terebinto, egli spiega ai suoi discepoli: « Dopo che la chiesa della carne è stata elevata sulle alture, allora è stato inaugurato il mio apostolato sul quale mi avete interrogato. Dopo di ciò è stato inviato il Paraclito, lo Spirito di verità, che è venuto a voi in questa ultima generazione, conformemente a ciò che aveva detto Gesù: “Nell’ora in cui partirò, vi invierò il Paraclito, e quando il Paraclito sarà venuto, istruirà il mondo e vi parlerà della giustizia”. Poi egli racconta che durante il regno del re Ardashir, re sassanide che regnò nel secolo terzo della nostra era sulla Persia, « il Paraclito vivente è disceso verso di lui, si è intrattenuto con lui e gli ha rivelato i misteri nascosti ». Dopo averli enumerati egli conclude: « Così mi è stato rivelato dal Paraclito tutto ciò che è accaduto e tutto ciò che accadrà, tutto ciò che l’occhio vede, tutto ciò che l’orecchio ascolta, tutto ciò che l’intelligenza comprende. Da lui ho appreso a conoscere tutto (è la gnosi!), con lui ho visto il tutto (è il panteismo!), io sono divenuto con lui un solo corpo ed un solo spirito ». si tratta dunque di una totale identificazione con lo Spirito divino. Il manicheismo è certamente, come tutta la gnosi, una eresia che si è sviluppata sul tronco cristiano come un tumore parassita. In effetti, Mani si dice discepolo di Gesù. Le sue lettere iniziano con la formula: “Manicheus apostolus Jesu Cristi”. Egli ha composto degli inni in onore di Gesù. I suoi discepoli ne hanno composti altri in suo onore: preghiere a Mani, inni in onore del suo martirio, salmi per la festa di Bêma, in onore della sua morte, etc. … All’inizio dei suoi “Kephalaia” (o Capitoli): « L’illuminato (il Buddha) dice ai suoi discepoli: alla fine degli anni del re Ardashit, io sono partito per predicare. Io mi sono recato su un vascello nei paesi dell’Indiani, ho predicato loro la speranza della vita, ed ho scelto là una buona élite. L’anno in cui morì il re Ardashir ed in cui divenne re il figlio Shapûr, egli mi fece venire e mi sono recato su di un vascello dai paesi degli Indiani nel paese dei Persiani, e dal paese dei Persiani vengo nel paese di Babilonia … ». Nell’introduzione al suo libro “Kephalaia”, Mani insiste sui suoi tre precursori: Gesù, Zarades (probabilmente Zoroastro) e Buddha. Questi sono, egli dice, i suoi tre fratelli, interpreti della medesima saggezza. « Tutti gli apostoli, miei fratelli che sono venuti prima di me, non hanno scritto la loro saggezza, come l’ho scritta io. Essi non l’hanno rappresentata con dei dipinti come l’ho rappresentata io. La mia religione, fin dai suoi inizi, oltrepassa le religioni precedenti. » Si noti la progressione di questa confessione: Gesù non si distingue da Zaradès, né da Buddha; tuttavia egli viene sempre nominato per primo, di modo che gli altri sembrano essere suoi discepoli. Essi non hanno dato un insegnamento originale, distinto dal suo, ma sottolinea bene l’identità dei loro insegnamenti. Questi sono i “maestri” della chiesa gnostica che egli non ha fondato, ma che ha tuttavia diffuso in tutta l’Asia. Non si trovano nel suo insegnamento caratteri particolari che potrebbero derivare da un buddhismo insegnato precedentemente a lui, come ci appare oggi nei libri sanscriti. « Nell’insegnamento originale di Mani – scrive Burkitt – non vedo alcuna traccia sicura che ci faccia riconoscere il buddhismo, come elemento costitutivo. Buddha è menzionato da Mani con rispetto, così come menziona Platone ed Ermete-Trismegisto ». Egli è dunque un anello di congiunzione in una catena di maestri gnostici successivi. Alfaric afferma che Mani non ha conosciuto il Buddha, ma solo la gnosi del suo tempo. – Quando la Chiesa cristiana, greca o nestoriana, accettava il ritorno dei manichei convertiti, imponeva loro una formula di abiura  con la quale essi rigettavano l’insegnamento di Scythianos, di Zaradès, di Buoddha e di Mani. Questi quattro personaggi erano dunque considerati come i capi successivi di una stessa religione. Appariva evidente che il Bouddha di cui parla Mani non è altri che il suo predecessore Terebinto. La terza omelia dei Manichei ci racconta la “passione” di Mani. È una scopiazzatura sistematica della Passione di Cristo e delle recite dei martiri cristiani. Si ignora la data della sua morte. Egli viene arrestato dal re sassanide, gettato in prigione dove morì per consunzione dopo qualche tempo. Poi c’è, naturalmente l’“ascensione”: Mani rigetta il suo corpo e sale con la rapidità di una freccia o di una luce fino alla sfera lunare da dove veglierà sulla sua chiesa. Come per la morte di Gesù, si produssero fenomeni soprannaturali: oscurità del cielo, terremoti, voci imponenti che si fecero ascoltare, sconvolgimento negli uomini che cadono faccia a terra. Le voci della sua morte si diffondono nella città, i discepoli si riuniscono alla porta della prigione e fanno lamenti. Tre sante donne vergini si recano a baciare il volto del morto e fuggono per paura del re.  – Non si tratta questa volta di una crocifissione, benché il termine sia citato: “crocifissione” o dârgirdêh. Ma bisogna ben comprendere il senso di questo termine presso gli gnostici. La croce, per gli gnostici, è lo “stauros”, il limite che occorre superare per abbandonare il proprio corpo di polvere per risalire al pleroma, o il gran tutto divino.  – Il primo successore di Mani, è Mar Sîsîn che i greci hanno chiamato sisinnios. Altre omelie ci raccontano la sua consacrazione da Mani imprigionato, il suo martirio, la sua “crocifissione”. Anch’egli è chiamato “il Bouddha”, l’illuminato, ed il suo nome fu collegato a quello degli altri primi discepoli di Mani, nella celebrazione del Bêma, che è l’anniversario della sua morte: questi sono Thomas (probabilmente l’autore del Vangelo gnostico, detto di Tommaso), Addas o Addo, in latino Adimante ed Hermas. Secondo Faustus di Milène, “dopo il beato padre Manicheo, Adimante è il solo al quale ci si deve attaccare, ed è Sant’Agostino che segnala un’opera di quest’ultimo contro il quale compone un trattato. Ricordiamo che tutti i successori di Mani si sono nominati “Buddha”, cioè l’“illuminato”. – Questo lungo sviluppo sulla vita di Mani, il Buddha, è destinato a far apparire nella recita del Buddha, come lo conosciamo oggi, tutte le vestigia considerevoli, le riprese quasi testuali dei testi manichei o cristiani ai quali si aggiungono, nel corso dei secoli, leggende numerose per sfigurare la primaria sorgente. Tentiamo di ristabilire l’essenziale. – Il Buddha si chiama pure “Çakia-mouni”. Il monaco della casta di Çakia, dunque degli Sciti, il maestro venuto dall’Occidente per insegnare ai popoli del’India. Egli esce dalla linea reale, come Mani che si proclama “figlio del re”; egli è concepito dalla madre Mâyâ Dêvî: la moglie del re Couddhoudana, che ha appreso in sogno che concepirà il suo figlio senza il concorso del suo sposo. Egli è dunque figlio di una vergine. Sua madre partorisce appoggiata su un’acacia (pianta introdotta nella saga e nelle favole massoniche) i cui rami si abbassano per ricoprirlo, episodio che si ritrova nei vangeli apocrifi. Egli esce dall’anca destra di sua madre “bello, brillante, puro come una gemma (Mani) posto su una fine stoffa di Benares”. Alla sua nascita, una stella sorge ad ovest. Tutti questi fatti sono ricopiati dal vangelo dell’infanzia e dal vangelo di Giacomo che sono di origine gnostica. Notiamo che il titolo di Mani è applicato più volte nelle invocazioni che gli vengono indirizzate dai monaci buddhisti. – Un vegliardo rinomato per la sua saggezza, il ricco Asita, viene, come Simeone, a salutare il bambino e predice il suo elevato destino versando lacrime perché non vivrà lungamente per esserne testimone. Buddha riceve le rivelazione della sua missione sotto il famoso “ficus religiosa”, la ficaia che riveste un ruolo sì importante nei Vangeli. Poi Buddha digiuna per quarantanove giorni. Egli subisce la tentazione di Mâra, il maligno, che gli propone l’impero del mondo, poi lo invita ad entrare nel Nirvana. Il Buddha resiste e mette in fuga le legioni del principe delle tenebre. Subisce una trasfigurazione in cui il suo corpo risplende di luce. Molte sue recite sono incontestabilmente ricopiate dai Vangeli, ad esempio quella del figliuol prodigo, il cieco-nato, la donna di casta inferiore incontrata alla fontana. Poi egli fa un’entrata trionfale nella città natale, Kapilavastou, della quale predice la prossima distruzione. I suoi discepoli si radunano insieme a lui. Un traditore, Devadatta, si infiltra nel suo gruppo. Al momento della sua morte il sole si oscura, una meteora cade, scoppia un fulmine, il sole trema ed un vento di terrore passa sulla terra.  – Ecco una recita che “pone problemi”, come suol dirsi: come attribuire le scene più importanti della vita di Buddha ad un personaggio che sarebbe vissuto diversi secoli prima dell’era cristiana? La cosa è talmente inverosimile che sembra proprio impossibile ed assurda. Ricordiamo ancora che tale ipotesi è costruita sul vuoto e non poggia su alcuna prova. Ma un esame più attento selle rovine insabbiate dell’Asia centrale ci fa assistere alla lenta trasformazione delle comunità manichee in monasteri buddhisti.

[Continua]

CONVERSANDO CON UN “FIGLIO DELLA VEDOVA”

CONVERSANDO CON UN “FIGLIO DELLA VEDOVA”

[Da: F. Bellegrandi: “Nichita Roncalli, controvita di un papa”  pag. 61- 62]

… Il conte Sella stava riordinando alcune carte sul basso tavolino davanti a sé. Il tramonto irrompeva dal Monte Mario a indorare gli scaffali di noce gremiti di antichi volumi dalle costolature di pergamena, e i raggi rossastri del sole, filtrando tra le tende appena mosse dalla brezza serale, animavano i ritratti degli antenati che guardavano severi, dalle pareti, quel loro erudito discendente, seduto in una poltrona, davanti a me. Poi, il conte, alzando il viso e fissandomi con le sue iridi grigie, prese a parlare: “… Nel settembre del 1958, all’incirca sette, otto giorni prima del Conclave, mi trovavo ne santuario di Oropa, a uno dei consueti pranzi del gruppo di Attilio Botto, industriale biellse che amava riunire intorno a sé competenti di vari rami, per discutere su diversi problemi. Quel giorno era invitato un personaggio che conoscevo come un’altà autorità massonica in contatto con il Vaticano. Costui mi disse, riaccompagnandomi a casa in automobile, che “… il prossimo Papa non sarebbe stato Siri, come si mormorava in alcuni circoli romani, perché era un Cardinale troppo autoritario. Sarebbe stato eletto un papa di conciliazione. È già stato scelto il patriarca di Venezia Roncalli”. Replicai sorpreso: “scelto da chi? – “Dai nostri massoni rappresentati nel Conclave”, mi rispose serenamente il mio cortese accompagnatore. Al che mi venne detto: “Ci sono massoni nel Conclave?” “Certo! … – mi sentii rispondere – “la Chiesa è in nostre mani”. Incalzai interdetto: “Allora chi è che comanda nella Chiesa?” Dopo un breve silenzio, la voce del mio accompagnatore scandì precisa: “Nessuno può dire dove sono i vertici. I vertici sono occulti”. – Il conte Sella il giorno dopo trascrisse in un documento ufficiale che oggi è conservato nella cassaforte di un notaio, il nome ed il cognome di quel personaggio e la sua stupefacente dichiarazione completa dell’anno, del mese, del giorno e dell’ora. Che di lì a pochi giorni si rivelò assolutamente esatta! …

[cfr. L’incredibile storia/exsurgatdeus.org].

N.B. Il libro di F. Bellegrandi narra l’episodio qui riportato. Per il resto il libro racconta la vita del massone 33° Roncalli, considerandolo erroneamente ed ereticamente Papa della Chiesa Cattolica, il che è assolutamente contrario a tutte le definizioni magisteriali e canoniche, … proprio in base all’episodio riferito, … quindi eresia palese!

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (12) – Eredi moderni: 2° – K. Rahner e J. Maritain

GNOSI: TEOLOGIA DI Satana 12

– Gli eredi moderni-

Il pensiero gnostico immanentista di K. Rahner

e della “filosofia-teologica” della storia di J. Maritain,

Smascherato da S. S. Gregorio XVII

[G. Siri: “Getsemani”riflessioni sul movimento teologico contemporaneo; Ed. Frat. SS. V. Maria, ROMA, 1980]

P. KARL RAHNER

La concezione del soprannaturale necessariamente legato alla natura umana è chiaramente proposta da Karl Rahner sin dagli anni ’30. Nella sua tesi «Geist im Welt» presenta nettamente questa concezione del soprannaturale non-gratuito. Dopo venti anni, le proposizioni sono state ampiamente sviluppate. A volte si può credere che Rahner rigetti le tesi del P. de Lubac, ma subito ci si rende conto che in realtà K. Rahner segue lo stesso pensiero, ed anzi lo supera. [alla fine il “cornuto” non può nascondere la sua coda … e sibila le solite elucubrazioni gnostiche! –ndr. -]]. –  Le stesse idee ritornano in molti trattati. È necessario subito notare che negli scritti di Karl Rahner da un lato il principio dialettico hegeliano è flagrante – come l’attesta lo stesso Hans Kung (sacerdote, nato nel 1928, perito al Concilio Vaticano II [anche lui “compagno di merenda” dei figli della vedova – ndr. -], professore nella Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università di Tubinga (Germania) dal 1960 fino a dicembre 1979, e direttore dell’Istituto di Teologia Ecumenica nella medesima università), discepolo incontestato di Karl Rahner («Nella più recente teologia cattolica è stato Karl Rahner, qui come altrove e con esemplare coraggio intellettuale e vigorosa forza di pensiero, ad aprire nuovi orizzonti ed a porre la cristologia classica a confronto con il pensiero moderno – gnostico -ndr. -. Lo spirito insigne che aleggia nello sfondo di questo approfondimento, svolto con rigore concettuale, della cristologia classica (calcedonese-scolastica), e fin nella sua più profonda concettualità, altri non è che Hegel [maestro della gnosi, come ben sappiamo – cfr. Gnosi: teologia di sATANA (10) in exsurgatdeus.org](non sono assenti comunque influssi heideggeriani). Gli sporadici tentativi di distanziarsi, in affermazioni secondarie, da Hegel non fanno che sottolineare questo fatto. Rahner si propone, di chiarire teologicamente, seguendo la sua impostazione trascendentale, le condizioni della possibilità di un’incarnazione». (H. KÙNG, Incarnazione di Dio, Queriniana, Brescia 1972, pp. 643-644, [opera in cui i concetti dell’immanentismo sono ben evidenziati! –ndr. -]) – e dall’altro lo stesso procedimento rende molto fluido ed inafferrabile il cardine del pensiero. Ci si trova, infatti, dinanzi ad un’antitesi che egli cerca di risolvere optando per l’uno dei termini, cosa che annulla automaticamente il procedimento dialettico. Questa osservazione è fatta qui unicamente per spiegare le contraddizioni della sua posizione nei confronti delle tesi del P. de Lubac. Ed anche per aiutare a cogliere il suo fondamentale accordo con il P. de Lubac. Negli scritti sulla Natura e la Grazia, Karl Rahner scrive: «Questa ordinazione intima dell’uomo alla grazia è tale un costitutivo della sua ‘natura’, che questa non si potrebbe pensare senza di quella, cioè come natura pura? Sarebbe irrealizzabile il concetto di natura pura? Questo è il punto in cui dobbiamo apertamente rigettare la concezione ritenuta come quella fatta propria dalla ‘nouvelie théologie’. La ‘Humani Generis’… dà a tal proposito un insegnamento inequivocabile».(K. RAHNER, Rapporto tra Natura e Grazia, in «Saggi di antropologia soprannaturale», Ed. Paoline, Roma 1969, pp. 53-54).«Dalla più intima essenza della grazia segue piuttosto l’impossibilità di una disposizione alla grazia, che appartenga alla natura dell’uomo, o segue che tale disposizione, nel caso che sia necessaria, appartenga già a questo stesso ordine del soprannaturale. Non segue però che essa come naturale lascerebbe sussistere la gratuità della grazia».(Rapporto tra Natura, in «Saggi di antropologia soprannaturale», Ed. Paoline, Roma, pp. 53-54). «Si può tranquillamente accettare il concetto di ‘potentia obœdientialis’ rifiutato da de Lubac. La natura spirituale deve essere tale da avere un’apertura a questo esistenziale soprannaturale, senza però esigerlo da sé incondizionatamente. Non si penserà questa apertura solo come una non contraddizione, ma come una ordinazione intima, purché non sia incondizionata(id. p.72-73). – Karl Rahner qui afferma che: primo, occorre rigettare la concezione della «nuova teologia», per la quale la natura dell’uomo comporta l’ordinazione alla grazia; secondo, l’essenza della grazia è incompatibile con una disposizione della natura umana alla grazia, e se una tale disposizione alla grazia si confermasse necessaria, apparterrebbe all’ordine soprannaturale ed in questo caso la grazia non sarebbe gratuita.In seguito Rahner non solo accetta ciò che qui rifiuta, ma lo propone con accezioni molto più forti [il “cornuto” si manifesta e viene allo scoperto!]. Quando per esempio dice che si può accettare tranquillamente il concetto di «potentia obœdientialis» che de Lubac rifiuta, dà l’impressione di voler presentare un concetto più tradizionale. Già nello stesso paragrafo Rahner dice che l’apertura della natura all’«esistenziale soprannaturale» è un’«ordinazione intima». Ed aggiunge – cosa che confonde nuovamente la chiarezza del pensiero – «purché non sia incondizionata». In questa dichiarazione c’è una contraddizione fondamentale, perché se l’apertura a questo esistenziale soprannaturale è un’ordinazione intima, questa apertura è universale e costituisce una condizione fondamentale della natura umana [il solito immanentismo, per cui l’uomo è Dio!]; dire che questa apertura al soprannaturale, che è già un’ordinazione intima, non è incondizionata, non aggiunge nessuna chiarezza. Rahner però, continua e con formule molto precise prova che il suo pensiero non solo è quello della «nuova teologia», ma che lo supera. Riferendosi ad un articolo che espone i principi della «nuova teologia», Karl Rahner dice che parlare di «un dinamismo illimitato» della natura che «include obiettivamente nella sua essenza il soprannaturale come fine intrinseco necessario», non costituisce una «minaccia immediata alla soprannaturalità e gratuità di questo fine». [Eccolo che si mostra chiaramente!] (pag. 63) E precisamente dichiara: «La capacità per il Dio dell’amore personale, che dona se stesso, è l’esistenziale centrale e permanente dell’uomo nella sua realtà concreta». Questo è «l’esistenziale soprannaturale, permanente, previamente ordinato alla grazia».(pag. 68 e nota). – Ci si può chiedere: Se la natura include obiettivamente nella sua essenza il soprannaturale come fine intrinseco necessario, se «la capacità per Dio» è l’esistenziale centrale e permanente dell’uomo, e se questo esistenziale soprannaturale permanente è previamente ordinato alla grazia, se tutto è così, come si può sopra affermare che dall’essenza intima della grazia deriva l’impossibilità per la natura dell’uomo di portare una disposizione alla grazia? Ed ancor più: se questa disposizione è necessaria, essa appartiene allora già all’ordine soprannaturale, ed anche questa disposizione annulla il concetto della gratuità della grazia?Per Rahner il nucleo più intimo della natura dell’uomo è «l’esistenziale soprannaturale», cioè la capacità di ricevere la grazia. (ecco che la “scintilla divina” degli gnostici, diviene in Rahner “l’esistenziale soprannaturale” … cambia il lessico, ma la puzza è sempre quella dello zolfo! – ndr. -) – (Secondo Rahner, si può distinguere nell’essenza dell’uomo, «concreta e sempre indissolubile, ciò che è questa capacità, reale e indebita, di ricevere la grazia, che chiamiamo esistenziale soprannaturale, e ciò che resta, quando si sottrae questo intimo nucleo dal complesso della sua essenza concreta, dalla sua ‘natura’» – Rapporto tra Natura e Grazia, in «Saggi di antropologia soprannaturale», pp. 69-70). – L’uomo, sempre secondo Rahner, non può avere vera esperienza di se stesso che in quanto ordinato interiormente ed in modo assoluto al soprannaturale: «L’uomo può fare esperienza su sé stesso solo nell’ambito dell’amorosa volontà soprannaturale di Dio, non può presentare la natura in uno ‘stato chimicamente puro’, separata dal suo esistenziale soprannaturale. La natura in questo senso permane un concetto astratto derivato. Però questo concetto è necessario e obiettivamente fondato, se si vuol prendere coscienza riflessa della gratuità della grazia, nonostante che l’uomo sia ad essa ordinato interiormente e in modo assoluto ». –(id. pag. 72). Sullo stesso argomento ritorna con un vocabolario sempre più esplicito e con espressioni che, se si accettassero come postulati, condurrebbero ad un capovolgimento di tutti i fondamenti della teologia [ed infatti questa è l’antiteologia, o meglio la “teologia di sATANA! – Ndr.]: «L’uomo vive sempre consapevolmente, anche se egli non lo ‘sa’ e non lo crede, ossia se non lo può rendere oggetto particolare del suo sapere mediante riflessione introversa, dinanzi al Dio Trino della vita eterna. Questo è l’ineffabile, ma reale obiettivo della dinamica di tutta la vita spirituale e morale nell’ambito spirituale dell’esistenza, fondato effettivamente da Dio, vale a dire innalzato soprannaturalmente». (pag. 109). «La predicazione è l’esplicitazione e il risveglio di ciò che c’è nel profondo dell’essere umano, non di natura, bensì di grazia [Ed ecco un altro “asso nella manica”, …l’inneismo … le idee innate si risvegliano … il serpente pian pianino alza la testa! –ndr. -]. Una grazia che avvolge l’uomo, anche il peccatore e l’infedele, come ambito inevitabile della sua esistenza». (p. 110). «La natura effettiva non è mai una ‘pura’ natura, bensì una natura nell’ordine soprannaturale, dal quale l’uomo (anche come incredulo e peccatore) non può uscire». (p. 112). È certo, e nessuno potrebbe negarlo sinceramente, – neppure Karl Rahner – che un gran numero dei suoi testi, delle sue espressioni e delle sue definizioni permettono un qualunque orientamento del pensiero. In seno, però, a questa polivalenza di espressioni e di postulati appare chiaramente un’antropologia fondamentale che non soltanto concorda con il pensiero del P. de Lubac, ma lo supera in modo da trasformare nella coscienza degli adepti della nuova teologia [cioè della gnosi, teologia del cornuto! –ndr.-], articoli di fede come per esempio quelli dell’Incarnazione e dell’Immacolata Concezione. Dove, infatti, può condurre il pensiero teologico o la meditazione spirituale, l’affermazione che: «Lo spirito dell’uomo non è possibile in sostanza senza questa trascendenza che è il suo compimento’ assoluto, cioè la grazia» (p, 118)? Quale significato può avere il fatto di dire più oltre, che «questo compimento resta gratuito»? L’affermazione che lo spirito dell’uomo non esiste senza la grazia del compimento assoluto è il fondamento dell’insegnamento di questo testo … [il Santo Padre non lo dice, malo lascia bene intendere: “testo … gnostico” – ndr. – ]. – Come comprendere la proposizione secondo cui: «Si può addirittura tentare di vedere la unio hypostatica nella linea di questo perfezionamento assoluto di ciò che è l’uomo» (p. 120) – (e non finisce ancora, veniamo all’evoluzionismo immanentista! … più chiaro di così!!)? Non si può comprenderla altrimenti da ciò che essa dice; dire infatti che occorre vedere l’unione ipostatica nella linea di questo perfezionamento è dire che l’unione ipostatica è il perfezionamento dell’uomo La sfumatura dell’espressione «vedere nella linea del perfezionamento» è un mitigare linguistico della cruda affermazione che il perfezionamento dell’uomo realizza l’unione ipostatica. (è questa infatti la dottrina gnosica dell’evoluzionismo immanentista, quella già vista in Hegel – ndr. -). Rahner dichiara in tutti i modi che l’essenza in Dio e in noi è la stessa: «Quando il Logos si fa uomo… questo uomo in quanto uomo è precisamente la auto-manifestazione di Dio nella sua auto-espressione»; – «il ‘cosa’ infatti è uguale in noi e in lui; noi lo chiamiamo ‘natura umana’ ».(K. RAHNER, Teologia dell’incarnazione, in «Saggi di Cristologia e di Mariologia», Ed. Paoline, 2a ed., Roma 1967, p. 113.) – [Questo in “gnostichese” è la “scintilla divina” che fa dell’uomo Dio stesso incarnato!]Ora è chiaro che Dio e l’uomo hanno la stessa essenza, e che noi, secondo Karl Rahner, la chiamiamo semplicemente «natura umana». Certo non è concesso all’uomo di percepire, di circoscrivere e di approfondire analiticamente e sinteticamente il mistero dell’essenza di Dio, neanche il mistero dell’essenza umana in sé e in rapporto all’essenza di Dio. La questione nella sua profonda semplicità apre una via interminabile di meditazione e allo stesso tempo di adorazione del Creatore. Quando, però, si agisce, quando si pensa e quando ci si esprime in modo da porre postulati come quello dell’identità dell’essenza di Dio e dell’uomo, che capovolgono la dottrina sorta dalla Rivelazione, non seguiamo il filone della verità, ma quello dell’errore. [Il Santo Padre non poteva aggiungere: errore … “gnostico”. Noi sì! –ndr.-]. Il problema del rapporto dell’essenza dell’uomo con l’essenza di Dio è il più grande problema che l’uomo possa porre a proposito di Dio: esso è il problema dell’alterità. Molti servi di Dio nel loro lungo insegnamento hanno capito, nel passato ed oggi, come di fronte a tali cose, a tali problemi che sorgono nella mente e nel cuore, occorra divenire piccoli, molto piccoli. Certo, a parte il mistero trinitario, e tutto ciò che l’accompagna, la realtà più difficile da comprendere è come esistiamo al di fuori di Dio; è questo il problema dell’alterità. Da qui nasce la questione: Come si può concepire accanto alla libertà di Dio, la nostra libertà? Possiamo dimostrare negativamente che non vi è nessuna contraddizione tra queste due libertà. Tuttavia rimane un mistero. Probabilmente l’affermazione di Rahner sull’identità dell’essenza di Dio e dell’uomo è il frutto di speculazioni su questo immenso mistero (speculazioni trite e ritrite dalla “teologia di satana”: la gnosi di sempre –ndr. -).Ciò viene qui detto perché le affermazioni di Rahner a proposito dell’Incarnazione e dell’Unione Ipostatica non lasciano dubbio che se non si può accusarlo di panteismo, si può però, definire il suo pensiero e la sua dottrina come «panantropista» ed in questa espressione si possono comprendere tante cose [Strano … questa osservazione deve essere sfuggita al censore di Papa Gregorio, il prelato segretario-carceriere probabilmente in quel momento distratto od obnubilato! – ndr.-], –  Per Karl Rahner l’umanità del Cristo interessa la teologia non già come una realtà unita a Dio, ma come essendo essa stessa la realtà del Logos: infatti, dice chiaramente, l’umanità del Cristo non è unita al Logos, ma è la realtà stessa del Logos.(K. RAHNER, Problemi della cristologia d’oggi», in «Saggi di Cristologia e di Mariologia», Ed. Paoline, 2a ed., Roma 1967, p. 75.) E nella sua interminabile acrobazia linguistica emette le definizioni più improbabili e contraddittorie, ma senza insegnare mai chiaramente la dottrina della Chiesa sull’Incarnazione o sulla Creazione.Citiamo per esempio qualche proposizione sconcertante [il Santo Padre, non può usare qui l’aggettivo più appropriato, che in questo caso è: “eretica”]: «Si potrebbe definire l’uomo come ciò che sorge allorché l’auto-espressione di Dio, la sua Parola, viene lanciata per amore nel vuoto del nulla senza Dio … Se Dio vuol essere non-Dio, sorge l’uomo, proprio lui e null’altro, potremmo dire».(op. cit. pag, 114) »Di Dio che noi professiamo in Cristo bisogna dire che egli è precisamente dove noi siamo e solo lì lo possiamo trovare». (p. 115). – Ed ecco come Rahner, con termini più precisi, parla dell’unione ipostatica: «Il compito imposto alla teologia dalla formula di Calcedonia e da essa non ancora assolto, è proprio quello di spiegare, senza evidentemente eliminare il mistero, perché e in qual modo chi si spoglia di sé (La traduzione francese invece di “chi” riporta “ciò che”) non solo rimane ciò che era, ma per di più, confermato definitivamente e perfettamente nel suo stato, diventa nel senso più radicale (La traduzione francese invece di “nel senso più radicale” riporta “veramente”) quel che è: una realtà umana. –  «Ciò però è possibile solo se si dimostrasse come la tendenza ad annientarsi (La traduzione francese invece di “ad annientarsi” riporta “a spogliarsi di sé”), consegnandosi al Dio assoluto, in senso ontologico e non puramente morale, è uno dei costitutivi più fondamentali dell’essenza umana. Perciò l’attuazione suprema, indebita e realizzata una volta sola, di questa potenza obbedienziale, che non è una determinazione puramente negativa, né una non-repugnanza meramente formale, rende l’essere che si è così annientato, uomo nel senso più radicale, l’unisce proprio per tale via al Logos. Solo nell’unio hypostatica si realizza in sommo grado e si rende pienamente cosciente che questo spogliamento di sé può essere un dato dell’autocoscienza umana [Qui siamo nel pensiero Hegeliano puro!- ndr. -]. Infatti, a questa (autocoscienza umana) spetta il possedere questa disponibilità all’annientamento di sé, che si attua in sommo grado nella unio hypostatica».(Problemi della cristologia d’oggi, ed. cit., p. 41.) – Tale brano, scelto fra tanti altri dello stesso tenore si riferisce chiaramente al testo conosciuto dell’Epistola ai Filippesi e alla dottrina sull’unione ipostatica per poter parlare del mistero della Persona del Redentore. – Secondo Rahner, colui che si è spogliato di sé e che, confermato, diventa in un senso più radicale ciò che è, è una realtà umana, è un uomo. Egli afferma anche che la tendenza ad annientarsi per abbandonarsi al Dio assoluto è un costitutivo dell’essenza umana. Ed ancora dice che nell’attuazione suprema di un tale annientamento, l’essere, l’uomo nel senso più radicale, è unito proprio per tale via dell’annientamento al Logos. E precisa che tale disponibilità all’annientamento di sé, che si attua in sommo grado nell’unione ipostatica, appartiene alla coscienza umana [qui il “serpente” si manifesta nella sua pienezza … ingannevole –ndr. -]. – Si possono fare molteplici meditazioni e considerazioni assennate. Ma è impossibile ad una coscienza retta non notare due punti fondamentali: da un lato, bisogna sapere che questo brano dell’Epistola ai Filippesi al quale Rahner si riferisce, non permette tale genere di prestidigitazione di parole. Colui che si è spogliato si è spogliato essendo in forma di Dio (nella condizione di Dio), per aggiungersi la natura umana; si è spogliato della gloria per prendere la forma di schiavo. Questo nella sua semplicità è il significato delle parole di San Paolo. Che poi sia stato San Paolo a comporle o che sia stato un inno utilizzato da San Paolo, questo non cambia nulla nel significato del testo. Ora, nel testo citato di Karl Rahner, è l’uomo che si spoglia per offrirsi a Dio. Da un altro lato, bisogna notare che questo spogliamento non riguarda l’essenza propria di colui che si spoglia, come è detto nel testo citato prima (si spoglia di sé). San Paolo scrive: «si spoglia» e non dice «di sé». In più questo spogliamento non è un semplice dato della coscienza; è molto importante sapere ciò, perché non è nella coscienza umana che si realizzò l’unione ipostatica. Secondo il testo dell’autore, l’unione ipostatica sarebbe il risultato della perfezione nella vita interiore di un uomo. Ma la realtà è il contrario: l’Incarnazione e l’Unione Ipostatica in Cristo Gesù hanno dato all’uomo la perfezione, perché altrimenti l’unione ipostatica sarebbe un avvenimento che è avvenuto «nella e per la coscienza umana». Ed è proprio questo che afferma Rahner dicendo più oltre: «L’immediata ed effettiva visione di Dio null’altro è fuorché l’originaria consapevolezza, non oggettiva, di essere il Figlio di Dio; tale consapevolezza si dà per il solo fatto che essa è l’unione ipostatica». (K. RAHNER, Considerazioni dogmatiche sulla scienza e autocoscienza di Cristo, in «Saggi di Cristologia e di Mariologia», ed. cit., p. 224). Non c’è dubbio che Rahner qui altera radicalmente il pensiero e la fede della Chiesa a proposito del mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù Cristo come è espresso nel Vangelo e dalla Tradizione:«Se l’essenza dell’uomo in generale viene compresa, in questo senso ontologico-esistenziale, come l’aperta… trascendenza all’essere assoluto di Dio, allora l’incarnazione può apparire come l’adempimento assolutamente sublime (anche se completamente libero, indebito ed unico) di ciò che ‘uomo’ in generale significa ». (K. RAHNER, Lexikon fiir Theologie und Kirche, V, 956; trad. ital. Di Franca Janowski in «Incarnazione di Dio» di Hans Kùng; Queriniana, Brescia 1972, p. 644). – Questo modo di vedere e di presentare il Cristianesimo ha prodotto grandi conseguenze e ripercussioni nella formazione del clima teologico attuale. Non si può comprendere fino a che punto questo clima, le idee e gli atteggiamenti nei confronti di Dio e della Chiesa, nei confronti del principio della verità eterna, siano legati a queste idee e speculazioni che hanno sconvolto la vita e la fede nella Chiesa. Non ci si meraviglia oggi, di ascoltare come insegnamento che l’incarnazione del Verbo si realizza a poco a poco nella vita del Cristo, e che nessun momento della sua vita realizza la pienezza della sua libertà; si realizza al termine della sua vita. A questo conducono le dottrine liberamente professate ed insegnate [cioè eretiche ed apostatiche –ndr.] le quali alterano l’oggettività dell’insegnamento rivelato e vogliono strappare con la forza dell’intendimento soggettivo i segreti supremi di Dio circa la creazione, la grazia e la salvezza. E si può riportare qui una proposizione dello stesso Karl Rahner che illustra l’importanza del modo errato di affrontare la questione della grazia e del soprannaturale: «Una soddisfacente definizione della grazia, se non vuole fatalmente cadere nel vuoto verbalismo, nella mitologia, nell’affermazione gratuita, potrà solamente partire dal soggetto, dalla sua trascendentalità e dalla sua esperienza di un orientamento necessario verso la realtà della verità assoluta e dell’amore che ha acquistato validità assoluta». (K. RAHNER, Teologia e antropologia, in «Nuovi Saggi III», Ed. Paoline, Roma 1969, p. 58). – Ancora una volta Rahner conclude che la grazia è il compimento della nostra essenza. Partendo da una visione delle cose che, si voglia o no, rifiuta ‘de facto’ la vera gratuità dell’ordine soprannaturale, arriva a mettere Cristo e Dio nelle cose: «Dio e la grazia di Cristo sono in tutto, quale segreta essenza di ogni realtà». (K. RAHNER, Teologia dell’incarnazione, in «Saggi di Cristologia e di Mariologia», p. 119). –  Di conseguenza basta fare riferimento al compimento dell’essenza umana per accettare il Figlio dell’uomo, il Cristo, perché in lui Dio ha assunto l’uomo: «Chi perciò (pure ancora lontano da ogni rivelazione esplicitamente formulata in forma verbale) accetta la sua esistenza, quindi la sua umanità… costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo… Chi accetta completamente il suo essere-uomo… ha accettato il Figlio dell’uomo, poiché in esso Dio ha accettato l’uomo».(Teologia dell’incarnazione, in «Saggi di Cristologia e di Mariologia», pp. 119-120.).Ora bisognerebbe poter comprendere cosa significhi esattamente «accettare completamente il suo essere-uomo »; lo stesso Rahner dice che questa accettazione è «indicibilmente difficile e resta oscuro quando lo facciamo realmente ». (op. cit. p.119-120) In ogni modo, però, si comprende molto bene come da tutto questo derivi, sottilmente forse ma nettamente, l’inutilità dell’atto di fede e così un dato fondamentale è distrutto. L’atto di fede diviene inutile perché nella mia essenza c’è Dio; perché ogni azione è Dio che la fa; l’atto di fede presuppone un altro rapporto tra l’uomo e Dio, tra la creatura e il Creatore. Se accetto il Cristo per il semplice fatto «d’accettare la mia essenza», l’atto di fede è un non-senso. – Ecco dove si arriva se si parte da un concetto riguardante un grande mistero, come il mistero del soprannaturale, artificialmente presentato come facente parte della dottrina della Chiesa. Tutti gli argomenti sono stati sfiorati. Gli uni dopo gli altri tutti i principi, tutti i criteri e tutti i fondamenti della fede sono stati messi in questione e si sfaldano. – Certo non è giusto dire che Rahner stesso abbia tratto tutte queste conseguenze. È giusto però dire che, seguendo il filone che partiva da alcuni concetti erronei circa il soprannaturale, l’essenza dell’uomo e di Dio, questa alterazione generalizzata ha potuto verificarsi nelle coscienze. D’altra parte, non si può sfuggire totalmente alle conseguenze di un movimento iniziale provocato da sé stesso. Basta per esempio vedere come Karl Rahner ha considerato l’Immacolata Concezione negli anni ’50 e come sia stato portato a parlarne più tardi. – Nel 1953 cita la definizione di Pio IX professando la sua infallibilità. (K. RAHNER, «L’Immacolata Concezione» e «Il dogma dell’immacolata e la nostra pietà», in «Saggi di Cristologia e di Mariologia», Ed. Paoline, 2a ed., Roma 1967, p. 413 e seg.) In seguito parla lungamente del ruolo di Maria nella salvezza e del fine comune di noi tutti e della Santissima Vergine: la beatitudine. Riconosce che la Santissima Vergine fu preservata dalla macchia del peccato originale che ogni uomo porta venendo al mondo. Questa accettazione certamente è avvolta da una moltitudine di considerazioni riguardante la sorte comune degli uomini e ciò con sfumature incerte e a volte molto contraddittorie, cosa che ne attenua il carattere di certezza dottrinale. In ogni modo, però, sembra ammettere in questi testi la dottrina del peccato originale e la preservazione della Santissima Vergine dalla macchia del peccato originale.Ora nelle sue «Meditazioni teologiche su Maria» (K. RAHNER, Maria, Meditazioni, Herder-Morcelliana, Brescia 1970, 3a ed., -la ed., 1968-) scrive: «Il dogma (dell’Immacolata Concezione) non significa in nessun modo che la nascita di un essere umano sia accompagnata da qualche cosa di contaminante, da una macchia, e che per evitarla, abbia perciò dovuto avere un privilegio. – L’Immacolata Concezione della Santa Vergine consiste dunque semplicemente nel possesso dall’inizio della sua esistenza della vita di grazia divina, che l’è stata donata. – Fin dall’inizio della sua esistenza, Maria fu avvolta dall’amore redentivo e santificante di Dio. Questo è, in tutta la sua semplicità, il contenuto della dottrina che Pio IX nell’anno 1854, ha solennemente definita come verità della fede cattolica ». (Maria, Meditazioni, p. 50.). Tuttavia la definizione del dogma nell’«Ineffabilis Deus» dice a più riprese nettamente che la Santissima Vergine fu preservata da ogni macchia del peccato originale. Ecco il testo della Definizione: «Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, che sostiene che la beata Vergine Maria è stata, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un favore peculiare di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, preservata intatta da ogni sozzura del peccato originale, è una dottrina rivelata da Dio e così essa deve essere creduta fermamente e costantemente da tutti i fedeli».(Cf. Denz. 1641.) Come dunque dobbiamo oggi capire, prescindendo dalla definizione «Ineffabilis Deus», la nozione del «peccato originale»? Come dobbiamo comprendere i testi più espliciti, che chiamano la Madre di Dio «la tutta Santa, immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e formata come una nuova creatura» e dichiarandola «Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale» ? – Se l’uomo alla sua nascita non è accompagnato da una macchia – come afferma Rahner -, di quale macchia parla la Bolla di Pio IX? Come si può pretendere che non c’era macchia da evitare e che Maria non aveva bisogno di privilegio? Non è in queste pagine che si deve parlare della luminosa e profonda realtà dell’Immacolata Concezione. L’unica intenzione è stata quella di illustrare mediante un soggetto che concerne l’insieme della salvezza e l’eterna verità, la contraddizione e gli errori fondamentali ai quali si giunge a partire di un concetto iniziale errato e da un atteggiamento intellettuale assai temerario verso le cose di Dio. Se attraverso i dati della Rivelazione, conservati dal Magistero, nonostante tutte le vicissitudini umane, con semplicità e sobrietà, si esamina pazientemente l’orizzonte attuale della teologia, si vede come il filone iniziale conduca fino alla dottrina del «cristiano anonimo», alla dottrina della «morte di Dio», della «secolarizzazione», della «demitizzazione», della «liberazione» e tante altre correnti sotto una molteplicità di vocaboli, spesso effimeri. [Papa Gregorio XVII non può usare i termini qui più opportuni, cioè: eresia, apostasia, gnosi, immanentismo, evoluzionismo, realizzazione della coscienza umana in senso hegeliano, etc. etc., ma chiunque abbia pure un solo neurone funzionante ed abbia anche una pallida idea della dottrina cattolica, non può non capire di cosa si tratti: è il solito inganno del “serpente primordiale”, aggiornato con termini nuovi da prestigiatore dialettico, ricoperto da teorie astruse ed indimostrabili e senza alcuna autorità, simili d’altra parte ai discorsi che oggi si sentono nel “novus ordo” da parte di chi, sepolcro imbiancato sul trono di Pietro, si dichiara senza pudore e senza vergogna, seguace ed ammiratore dell’eretico Rahner, pronto per una invalida canonizzazione! Il vero Santo Padre, il Vicario di Cristo e Capo visibile della sua Chiesa, S. S. Gregorio XVII, in queste poche pagine, pur “impedito”, riesce a donarci un quadro esaustivo di questo personaggio additandolo, pur senza mai nominarlo espressamente, bensì tacitamente e comprensibilmente per chi ha occhi per vedere ed orecchie per intendere, come un eretico infedele e sovversivo del Credo Cattolico, professante la teologia di satana, cioè la gnosi in tutti i suoi postulati. Veramente il clero apostatico del novus ordo crede di avere a che fare con degli sprovveduti dilettanti sul piano dottrinale e di imbonire i pochi fedeli rimasti con idiozie deliranti e apertamente luciferine? Evidentemente la loro frequentazione di logge di varie obbedienze, ha fatto loro assorbire fin nel midollo i principi là dominanti, pensando poi di poterli riproporre senza che nessuno se ne accorga. Ma il Vicario di Cristo, il vero Vicario, eletto nel Conclave del 26 ottobre del 1958, sbugiarda con eleganza e con sottigliezza uno dei servi del maligno e degli “usurpanti”: un loro supporter “diversamente” teologo, esponente di punta della sinagoga di satana. –ndr. -]

3. JACQUES MARITAIN

Un filosofo che nello stesso periodo, cioè sin dagli anni ’30, ha molto influenzato la formazione delle tendenze contemporanee, sia filosofiche che teologiche, è Jacques Maritain. (JACQUES MARITAIN (1882-1973), convertito al cattolicesimo nel 1906, professore di filosofia a Parigi, a Toronto (Canada) e Princeton (Stati Uniti). In tutto il suo pensiero, non solo non ha cercato di assimilare l’ordine naturale all’ordine soprannaturale, ma al contrario, li ha separati in modo tale da riconoscere nella creazione e nella storia umana due vocazioni distinte, legate certamente da un principio di subordinazione, ma essenzialmente autonome, con fine e mezzi propri: la vocazione e la missione terrestre, e la vocazione soprannaturale. Se qualcuno volesse rendersi conto e cogliere immediatamente – se si può dire – la caratteristica del pensiero di Maritain circa l’autonomia delle due vocazioni distinte, basterebbe che leggesse l’ultima frase del suo libro «Humanisme Integral», pubblicato nel 1936, e che costituì il riferimento fondamentale di alcune tendenze teologiche ed anche dell’azione temporale e politica in molti ambienti cristiani: «I mondi che sono sorti nell’eroismo, tramontano nella fatica, affinché vengano a loro volta nuovi eroismi e nuove sofferenze che faranno sorgere altri mondi. La storia umana cresce così, perché non si ha là un processo di ripetizione, ma di espansione e di progresso; cresce, come una sfera di espansione, ravvicinandosi insieme alla sua doppia consumazione: nell’assoluto di quaggiù, ove l’uomo è dio senza Dio, e nell’assoluto dell’alto, ove è dio in Dio».(J. MARITAIN, Umanesimo Integrale, Boria Ed., Bologna 1962, 5a ed. 1973, p. 303). – Questi due assoluti costituiscono una specie di intimo segreto di tutto il pensiero di Maritain e, si potrebbe dire, anche di tutta la sua sensibilità. Essi sono alla base di tutti i suoi scritti, sono il leitmotiv e il prisma fondamentale attraverso cui vede tutte le cose, dalle più piccole alle più grandi.- Già nel 1927, nel suo libro «Primauté du Spirituel», afferma in molti modi che: «Ognuno di noi appartiene a due città, una città terrestre che ha come fine il bene comune temporale e la città universale della Chiesa che ha per fine la vita eterna». E, rifacendosi a una frase di Etienne de Tournai, specifica: «Nella medesima cerchia e nella medesima moltitudine umana ci sono due popoli, e questi due popoli suscitano due vie distinte, due principati, un duplice ordine giuridico». (J. MARITAIN, Primauté du Spirituel, Plon, Paris 1927, p. 17.). Nell’ “Umanesimo integrale” , Maritain esprime più diffusamente la sua visione della Creazione e della realtà del mondo spirituale. In esso la dottrina della distinzione e del carattere autonomo dell’ordine temporale e dell’ordine spirituale è stata esposta con una vasta prospettiva di applicazione nell’azione in vista di «un ideale storico concreto d’una nuova cristianità», cioè «un’immagine prospettica significante il tipo particolare, il tipo specifico di civiltà al quale tende una data età storica». (op. cit. p. 167) E sempre attraverso questo principio di autonomia degli ordini, iniziale o acquisita, intravede il cammino del mondo: «In virtù d’un processo di differenziazione normale in se stesso (benché viziato dalle più false ideologie) l’ordine profano o temporale, nel corso dei tempi moderni, si è costituito nei confronti dell’ordine spirituale o sacro in una relazione d’autonomia tale da escludere di fatto la strumentalità. In altri termini è giunto alla sua maggiorità. E questo è ancora un guadagno storico che una nuova cristianità dovrebbe conservare». (p. 208). Verso il declino della sua vita, con i suoi due libri: «Le Paysan de la Garonne» (1966) e «De l’Eglise du Christ» (1970), Maritain ha voluto presentare la grande crisi dottrinale e morale del mondo e della Chiesa. Ha voluto anche denunciare gli «abusi» di certi concetti, di certe dottrine e formule come per esempio l’espressione «personalista e comunitario» utilizzata da Emmanuel Mounier, il fondatore della rivista «Esprit»: «Grazie soprattutto ad Emmanuele Mounier -scrive – l’espressione ‘personalista e comunitario’ è divenuta un ritornello per il pensiero cattolico. Anch’io in questo non sono esente da una qualche responsabilità… Penso che Mounier l’abbia presa da me. Essa è giusta, ma vedendo l’uso che se ne fa ora, non ne sono molto fiero». (J. MARITAIN, Le Paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer ed., Paris 1965, pp. 81-82.) – Pur desiderando fondamentalmente una più profonda unità, Maritain resta sempre, nonostante tutto, impregnato di questa visione generale di distinzione e di autonomia. Basta per questo vedere nella prefazione del suo ultimo libro «De l’Eglise du Christ», con quale preoccupazione e quale perseveranza si applica a difendere l’autonomia della filosofia in rapporto alla teologia, manifestando la stessa preoccupazione che aveva venti anni prima quando scriveva: «Il filosofo terrà conto degli apporti della scienza teologica, senza cessare per questo d’essere filosofo (se veramente è filosofo, allora lo sarà più che mai) richiedendo però a fonti d’informazioni degne di fede il supplemento d’informazione di cui ha bisogno».(J. MARITAIN, Neuf Lecons sur les notionspremieres de la philosophie morale, Téqui, Paris 1964, la ed. 1951, p. 103.). Non è questo il luogo per parlare più profondamente e più dettagliatamente della portata di tutta l’opera di Maritain, e di tutta l’influenza che ha avuto nella teologia e nell’azione dei cristiani di questo secolo. Ciò sarà fatto in seguito, come per gli altri autori di cui abbiamo appena parlato. È stato necessario, però, ricordare innanzi tutto, a proposito del rapporto tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale, il principio di distinzione degli ordini nel significato particolare che ha avuto per Maritain; le ripercussioni infatti, sono state grandi in tutte le direzioni, e spesso contrarie al senso del suo pensiero e alle sue intime aspirazioni. A titolo di esempio e prima di parlare in altro luogo della «teologia della liberazione», si può riportare il giudizio di Gustavo Gutierrez (GUSTAVO GUTIERREZ, sacerdote, nato nel 1928, professore di teologia nell’Università di Lima (Perù) e nell’Istituto di Pastorale di Medellin – Colombia -) su Maritain, nel suo libro «Teologia della liberazione». Si comprende allora l’importanza di questo argomento della distinzione degli ordini che può sembrare per alcuni troppo astratto, anodino o antiquato; e si comprendono anche le preoccupazioni e le tristezze che la nobile persona di Jacques Maritain ha provato nell’ultimo periodo della sua vita. – Ecco per ora le parole di Gutierrez: «I gravi problemi che la nuova situazione storica pone alla Chiesa a partire dal secolo XVI e che si acutizzano con la Rivoluzione francese, danno origine ad un’altra prospettiva pastorale e ad un’altra mentalità teologica, che, grazie a Maritain, riceveranno il nome di «nuova cristianità». La troviamo esposta, con tutta la chiarezza voluta, nella sua opera conosciuta ‘Humanisme Integral’. Essa cercherà di far tesoro delle lezioni venute dalla rottura fra fede e vita sociale, intimamente legate in un’epoca di cristianità, ma con categorie che non riusciranno a liberarsi completamente, e lo notiamo meglio ora, dalla mentalità tradizionale… Tommaso d’Aquino, sostenendo che la grazia non sopprime la natura né la sostituisce ma la perfeziona, apre la strada per un’azione politica più autonoma e disinteressata. Su questa base, Maritain elabora una filosofia politica che cerca pure di fare propri alcuni elementi moderni. Il pensiero di Maritain ebbe molta influenza su certi settori cristiani dell’America Latina». (GUTIERREZ. Teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1972, 2a ed. 1973, p. 61, e nota.) – Ecco un discorso molto significativo. Gutierrez, con il suo giudizio, ci permette di scorgere chiaramente la natura particolare dell’influenza esercitata dal pensiero di Maritain. Nello stesso tempo, Gutierrez critica Maritain perché non si è abbastanza liberato dal corpo della Chiesa. Ironizza anche sul suo attaccamento alla tradizione ecclesiale. Tutto ciò però concorre a mostrare ancor più la portata dottrinale del principio fondamentale di Maritain circa la distinzione degli ordini e l’autonomia del temporale. In fondo, la filosofia di Maritain è una «filosofia-teologia » della storia, che ha avuto profonde ripercussioni nella vita teorica e sociale della Chiesa. [In realtà la distinzione è artificiosa, poiché gnosticamente, il temporale non ha bisogno del sovrannaturale come inteso dalla concezione cattolica, poiché lo contiene già immanentisticamente e costituisce il processo storico evoluzionistico, la “ruota universale”  che procede nella realizzazione divina (cfr. “Gnosi: Telogia di satana (10)”, verso la fine -ndr.-].

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (11) – Eredi moderni: 1° – H. de Lubac

GNOSI: TEOLOGIA DI Satana

Gli eredi moderni

Il pensiero gnostico immanentista di H. De Lubac

Smascherato da S. S. Gregorio XVII

[G. Siri “Getsemani”riflessioni sul movimento teologico contemporaneo; Ed. Frat. SS. V. Maria, ROMA, 1980]

[In queste pagine il S. P. Gregorio XVII, già Cardinale Giuseppe Siri, smaschera con semplicità, grande competenza e sagacia, la gnosi propugnata dai tre principali modernisti della “Nouvelle Theologie”, la teologia satanica attualmente professata dalla setta massonico-vaticana del “novus ordo” degli antipapi post-cinquattottini, che ripropone tutti i punti della gnosi antica e degli sviluppi filosofici più moderni, fino ad Hegel ed all’evoluzionismo [v. in: Gnosi: Teologia di satana – n. 7, 8, 9, 10//exsurgatdeus.org]. Nonostante il Santo Padre non potesse scrivere e pubblicare liberamente, perché controllato in ogni movimento e censurato in tutto ciò che destinava a venir fuori dalla sua prigionia “dorata” e feroce, pure è riuscito a dare un quadro molto significativo di questi personaggi, falsi teologi imbonitori, farfugliatori ed affabulatori manifesti, in auge al falso e scomunicato sul nascere – bolla Exsecrabilis di Pio II – conciliabolo, il c.d. Vaticano II, usurpanti pure il cardinalato loro insignito dai pari loro “compari” teosofi ed Illuminati, e a farne cogliere il carattere panteista ed immanentista diversamente camuffato da questi tre “campioni” della gnosi del “novus ordo”. Vedremo più avanti sia la gnosi di K. Rahner che di J. Maritain, mentre iniziamo dal pensiero spudoratamente immanentista del finto cardinale H. de Lubac). – ndr.-]

 Il rapporto tra ordine naturale e ordine soprannaturale: tre casi significativi.

P. HENRI DE LUBAC

Se si torna indietro di una quarantina di anni, si vede negli scritti di alcuni teologi, un rinnovato interesse circa il rapporto tra quello che si chiamava, fino allora, ordine naturale e ordine soprannaturale. È indispensabile capire che questo non è un argomento astratto, una speculazione da «dilettante», da non poter avere conseguenze di lunga portata nel pensiero e nella vita della Chiesa. Sia in teologia che in filosofia e nella scienza sperimentale, pochi argomenti, pochi casi sono assolutamente neutri. – Il P. Henri de Lubac (HENRI DE LUBAC S. I., nato nel 1896, professore nella Facoltà teologica di Lyon-Fourvière e nell’Istituto Cattolico di Parigi, perito al Concilio Vaticano II, membro della Commissione Teologica Internazionale) aveva formulato in quel periodo considerazioni nuove, non assolutamente nuove, ma presentate con un linguaggio nuovo e con applicazioni particolari. Nel 1946 pubblicava il suo libro «Il Soprannaturale », ove è espresso tutto il suo pensiero di allora(H. D E LUBAC, «Surnaturel», Etudes historiques. Ed. du Seuil, Paris 1946). Affermava che l’ordine soprannaturale è necessariamente implicato in quello naturale. Come conseguenza di questo concetto veniva fatalmente che il dono dell’ordine soprannaturale non è gratuito perché è debito alla natura. Allora esclusa la gratuità dell’ordine soprannaturale, la natura per lo stesso fatto che esiste si identifica al soprannaturale [abbiamo già il primo campanello di allarme … la gnosi comincia a far capolino –ndr.]. Qual era la ragione addotta? Il ragionamento fondamentale può essere espresso così: l’atto intellettuale comporta la possibilità di riferirsi alla nozione dell’infinito; e per questo il soprannaturale è implicato nella natura umana di per sé. Questa visione della realtà intima ed essenziale dell’uomo era diffusa negli scritti anteriori del P. de Lubac. Ci sono brani, per esempio nel suo libro «Cattolicesimo» (H. DE LUBAC, Catholicisme, les aspects sociaux du dogme. Ed. du Cerf, Paris 1938; 4a ed. 1947), di cui non si può veramente comprendere il tenore, né l’insistenza con la quale sono messe in rilievo alcune espressioni bibliche, se non nello spirito della dottrina più tardi espressa nel «Soprannaturale». – Si resta colpiti dall’insistenza con la quale l’autore vuole dare un significato particolare all’espressione di San Paolo «rivelare in me il Figlio suo», significato che sembra andare oltre alla spiegazione ammessa da tutti gli esegeti che hanno interpretato la parola «in me» («ἐν ἐμοί»), esattamente come il Padre M. J . Lagrange(MARIE-JOSEPH LAGRANGE O.P. (1855-1938), professore di esegesi nell’Istituto Cattolico di Toulouse e fondatore dell”‘Ecole Biblique de Jérusalem”). – Il Padre de Lubac scrive: «Paolo ha pronunciato una tra le parole più nuove e più ricche di significato che mai siano state pronunciate da uomo, il giorno in cui, costretto a presentare la propria apologia ai suoi cari Galati per ricondurli sulla retta via, dettò queste parole: «Ma quando piacque a colui che sin dal seno di mia madre, mi prescelse e mi chiamò mediante la sua grazia, di rivelare in me il Figlio suo…» (Gal. I,15-16). Non soltanto – qualunque sia il prodigio esteriore di cui gli Atti degli Apostoli ci hanno trasmesso il racconto – rivelarmi suo Figlio, mostrarmelo in una visione qualunque o farmelo comprendere oggettivamente, ma rivelarlo in me. Rivelando il Padre ed essendo rivelato da lui, il Cristo finisce di rivelare l’uomo a se stesso. Prendendo possesso dell’uomo, afferrandolo e penetrando fino in fondo al suo essere, spinge anche lui a discendere in sé per scoprirvi bruscamente regioni fino allora insospettabili. Per il Cristo la persona è adulta, l’Uomo emerge definitivamente dall’universo».(H. DE LUBAC, Catholicisme, ed. cit. pp. 295-296) – Mentre, come il Padre M. J . Lagrange scrive, «in me – «ἐν ἐμοί», significa: «Per mezzo di una comunicazione intima che ha fatto conoscere a Paolo il Figlio di Dio, tesoro della sua intelligenza e del suo cuore (Fil. III, 8). Dando a «ἐν ἐμοί», il suo significato naturale, si prova nel versetto 16, non un terzo beneficio di Dio verso Paolo, ma la realizzazione nella sua anima dell’appello del versetto 15». (M. J. LAGRANGE, l’Epìtre aux Galates, Lecoffre ed., Paris 1918, p. 14)  – Il Padre de Lubac dice che il Cristo rivelando il Padre e rivelato da Lui, finisce di rivelare l’uomo a sé stesso. Quale può essere il significato di questa affermazione? O Cristo è unicamente uomo, o l’uomo è divino [Si tratta infatti, come si può facilmente arguire, del solito inganno gnostico, per cui l’uomo è Dio – come S. S. Gregorio XVII ha lucidamente sottolineato … il serpente inizia a sibilare! … –n.d.r.-]. – Tali conclusioni possono non essere espresse così nettamente, tuttavia determinano sempre questa nozione del soprannaturale in quanto implicato nella natura umana di per sé. E quindi, senza volerlo coscientemente, si apre il cammino dell’antropocentrismo fondamentale [cioè l’immanentismo gnostico, che qui il Santo Padre non poteva nominare perché censurato!- ndr.] – In generale l’argomentazione speculativa è condotta come se si escludessero i principi, le nozioni accettate fino allora come principi fondamentali della fede. Come concludere con semplicità e logica non artificiosa che il riferimento alla nozione d’infinito significa automaticamente che l’infinito sia colto? L’argomento è stato però ripreso venti anni più tardi nel libro «Il Mistero del Soprannaturale», (H. DE LUBAC, Le Mystere du Surnaturel, Aubier, Paris 1965; Ed. italiana, Il Mistero del Soprannaturale, Il Mulino ed., Bologna 1967) con sfumature e più preoccupato delle conseguenze che tali proposizioni possono rappresentare per gli spiriti [… che sentivano già puzza di zolfo –ndr.]. – È molto grave, infatti, emettere come principio che il riferimento all’ordine dell’infinito implichi che l’essenza dell’infinito sia la natura umana [è l’immanentismo antropocentrico –ndr.-]. Nessun sillogismo, sottile e complicato che sia, può colmare la differenza tra la nozione dell’infinito che l’uomo può avere in lui e la realtà infinita di Dio, positiva, presunta, sentita e nello stesso tempo inaccessibile; la differenza tra l’aspirazione verso l’infinito e questo stesso Infinito così come l’uomo lo concepisce. Certamente si può affermare che l’aspirazione dell’uomo verso l’eternità esprime la finalità eterna dell’anima creata, la possibilità per l’uomo di partecipare, nella grazia, a mille illuminazioni della Vita eterna, ma non si può dire che questa nostalgia implichi che l’uomo esista sin dall’eternità e che possa possedere la pienezza eterna di Dio [chiarissimo è il pensiero di Gregorio XVII nello stroncare lo gnosticismo immanentistico del falso teologo cattolico, l’infiltrato modernista che, in forma velata, ripropone le solite manfrine del “cornuto” primordiale – ndr. -]. Allo stesso modo, la nozione dell’infinito, l’aspirazione verso l’infinito esprimono la possibilità per l’uomo di entrare in contatto continuo con l’infinità di Dio [il pleroma gnostico – ndr.]. Non si può dire, però, che questa aspirazione dell’uomo verso l’infinito significhi che l’uomo possa partecipare per identità all’infinità divina. In questa aspirazione dell’uomo verso l’infinito sono sempre presenti la nozione e la certezza dei nostri limiti. Il nostro cammino può essere interminabile, ma la stessa essenza del nostro cammino verso l’infinito manifesta la differenza tra la nostra nozione, la nostra partecipazione e l’Infinito Divino. Nel 1950, quattro anni dopo la pubblicazione del «Soprannaturale», è stata emessa dalla Chiesa l’Enciclica di Pio XII «Humani Generis». Ed a proposito di queste concezioni Pio XII dice espressamente in questa enciclica: «Alcuni deformano la vera nozione della gratuità dell’ordine soprannaturale, quando pretendono che Dio non può creare esseri dotati d’intelligenza senza chiamarli e ordinarli alla visione beatifica». (cf. Denz. 3891). Indipendentemente dal consenso o dalle critiche sollevate da questa enciclica, è incontestabile che Pio XII fu il primo a mettere il dito sul punto estremamente delicato e pericoloso di questa definizione dell’uomo e dei suoi rapporti con Dio [nella enciclica Pio XII cita espressamente il panteismo e l’immanentismo … aveva ancora libertà di espressione e non poteva essere censurato – ndr.-]. Se Dio quando crea imprime nella creatura ciò che abbiamo concepito come soprannaturale, allora cambia la nozione di questo soprannaturale e della gratuità; da cui deriva, malgrado tutti gli sforzi per professare la gratuità dell’atto creatore di Dio, una moltitudine di considerazioni sull’uomo, sulla sua libertà, sulla grazia, sui rapporti dell’uomo con Dio, sulla libertà dell’uomo e sulla libertà di Dio, ecc…. Considerazioni che possono condurre anche – come spesso hanno condotto – al capovolgimento dei principi essenziali della Rivelazione. Facilmente questa non gratuità dell’ordine soprannaturale – per ogni singolo caso – conduce ad una specie di monismo cosmico, ad un “idealismo antropocentrico”. [Il Santo Padre deve inventarsi etichette non censurabili per evitare termini chiaramente gnostici –ndr.-]  Nel suo nuovo libro «Il Mistero del Soprannaturale», il Padre de Lubac spiega alcune insufficienze d’espressione del suo primo libro «Il Soprannaturale», ma sostiene sempre la stessa tesi e vuole soltanto evitare nuovi malintesi [ma gli inganni sono i medesimi –ndr.]. (Il Mistero del Soprannaturale, p. 76.) – Egli produce e intreccia, con una sorprendente sagacità sillogismi e speculazioni, nello sforzo di equilibrare i due concetti: da un lato il soprannaturale implicato nella natura sin dalla creazione [cioè il panteismo! – ndr.-], e dall’altro la gratuità del soprannaturale, della grazia. Si preoccupa di respingere l’accusa dell’«Humani Generis»… Chi ha letto il suo libro si accorge chiaramente di questa preoccupazione del P. de Lubac e sicuramente formulerà la stessa domanda, posta dallo stesso P. di Lubac verso la fine del libro: «Per quale ragione ci dilunghiamo invano su questo argomento con tanti discorsi e moltiplichiamo inutilmente tante frasi e diciamo una tale moltitudine di parole? [l’affabulazione è stata una caratteristica dello gnostico ingannatore al servizio del “cornuto”! –ndr. ] («Ut quid in vanum hanc materiam in tot sermones prorumpimus, et frustra tot eloquia multiplicamus et in tantam verborum multitudinem jacimus?». – Il Mistero del Soprannaturale, p. 308 -). – «Ecco forse, continua de Lubac, quello che più d’un lettore avrà potuto dire, scorrendo questo lavoro! Ecco, ad ogni modo, quello che l’autore non ha potuto mancare di domandarsi assai spesso, al seguito d’un discepolo medievale di Sant’Agostino e di San Tommaso che un giorno s’interrogava in tal modo, precisamente a proposito del nostro argomento».(Il Mistero del Soprannaturale, p. 308, citazione d’Egidio Romano). – Un umile interrogativo; la risposta però che lo stesso P. de Lubac dà più sotto alla sua domanda lascia perplessi: «La risposta è scritta nella natura della nostra intelligenza, che non può ricevere la rivelazione divina senza che subito sorgano in essa mille questioni, che si generano l’una dall’altra. Essa non può fare a meno di rispondervi. Ma nelle sue spiegazioni, sempre barcollanti, per quanto avanti sembri andare, sa di non andar mai incontro a terre sconosciute». (Il Mistero del Soprannaturale, p. 308) Questa risposta del P. de Lubac rivela i suoi criteri riguardo alle vie della conoscenza ed anche il suo atteggiamento intellettuale riguardo al grande problema dei rapporti tra l’uomo e Dio. Questo spiega l’impossibilità di trovare per questa via l’equilibrio di cui abbiamo parlato ed una conoscenza che, in armonia con la Rivelazione, con la miseria e la profonda aspirazione dell’uomo, dia pace. I nostri criteri riguardo alle vie della conoscenza sono veri ed oggettivi quando scaturiscono e sono in armonia stabile, chiara e immediata con i grandi dati eterni della Rivelazione. In ogni caso, il P. de Lubac parla di un «desiderio naturale assoluto» della visione di Dio [… cioè il desiderio dello gnostico del ritorno al “pleroma” –ndr.-]. Questa nozione del desiderio naturale assoluto scarta, malgrado tutti gli sforzi speculativi impiegati, la gratuità del soprannaturale, cioè della visione beatifica. Ed in questo «l’intelligenza» a cui sopra si riferisce il P. de Lubac non può essere da solo di grande aiuto. Infatti resta l’antinomia. Essa resta ed ha avuto conseguenze molto grandi nelle coscienze. – Per rendersi conto dell’orientamento generale del pensiero e del linguaggio del P. de Lubac e del suo ruolo nella nuova teologia contemporanea, ed anche per rendersi conto di come resti l’antinomia, di cui abbiamo parlato [cioè tra panteismo gnostico e la rivelazione nella teologia cattolica – ndr.-], basti riferirsi ad alcune formule e ad alcune affermazioni fondamentali del «Mistero del Soprannaturale»:

– Primo tipo di affermazioni:

«Il “desiderio di vedere Dio” non potrebbe essere eternamente frustrato senza una sofferenza essenziale». (Il Mistero del Soprannaturale, p. 80) – «La vocazione di Dio è costitutiva. La mia finalità di cui questo desiderio è l’espressione, è scritta nel mio essere stesso, tale come è posto da Dio in questo universo. E, per volontà di Dio, io non ho oggi altro fine reale, cioè realmente assegnato alla mia natura e offerto alla mia adesione – sotto qualsiasi forma ciò si verifichi – che quello di ‘vedere Dio’». (II Mistero del Soprannaturale, p. 80) – «In altri termini: il vero problema, se ce n’è uno, si pone per l’essere, la cui finalità è ‘già’, se si può dire tutta soprannaturale, poiché tale è, in effetti, il nostro caso. Si pone per la creatura per la quale la ‘visione di Dio’ imprime non soltanto un fine possibile, o futuribile – persino il fine che conviene di più – ma il fine che, a giudicare umanamente, sembra dover essere, poiché è, per ipotesi, il fine che Dio assegna a questa creatura. Dal momento che io esisto, ogni indeterminazione è tolta. E qualunque cosa sarebbe potuto essere prima, o qualunque cosa esso sarebbe potuto essere in un’esistenza realizzata in modo diverso, nessun’altra finalità sembra ormai per me possibile che quella che si trova ora, di fatto, iscritta nel fondo della mia natura. Esiste un solo fine di cui, per conseguenza, porto in me, consapevole o no, il ‘desiderio naturale’».(Idem, pag. 82). E, a questo proposito il P. de Lubac afferma la corrispondenza del suo pensiero con la dottrina dell’«esistenziale soprannaturale permanente, pre-ordinato alla grazia» del P. Karl Rahner, di cui parleremo più oltre. (p. 82, nota 4) [sarà il prossimo gnostico cattolico-fasullo di cui ci occuperemo a breve –ndr.- ]

– Secondo tipo di affermazioni:

«Il nostro Dio è ‘un Dio che sorpassa ogni capacità di desiderio’ (Ruysbroeck). È un Dio, nei confronti del quale sarebbe blasfemo e folle supporre che alcuna esigenza di qualsiasi ordine possa mai imporglisi, qualunque sia l’ipotesi nella quale uno voglia porsi in spirito, e qualunque sia la situazione concreta nella quale si possa immaginare la creatura» (pag. 306). – «Dio avrebbe potuto rifiutarsi alla sua creatura proprio come Egli ha potuto e voluto donarsi. La gratuità dell’ordine soprannaturale è particolare e totale. Lo è in se stessa. Lo è per ciascuno di noi. Lo è in rapporto a ciò che per noi, temporalmente e logicamente, lo precede. Anzi – ed è questo che alcune teorie, che noi abbiamo discusso, non ci è sembrato lascino vedere abbastanza – questa gratuità è sempre intatta. Lo resta in ogni ipotesi. È sempre nuova. Resta in tutte le tappe della preparazione del Dono, in tutte le tappe del Dono stesso. Nessuna «disposizione», nella creatura potrà mai, in nessuna maniera, legare il Creatore. Constatiamo qui con gioia l’accordo sostanziale non soltanto di sant’Agostino, di san Tommaso e degli altri antichi, ma anche di san Tommaso e dei suoi commentatori, a cominciare dal Gaetano [si vede che il De Lubac leggeva con un vocabolario macchiato o con molte pagine mancanti … -ndr.- ]; come anche di teologi che, nel nostro stesso secolo, divergono più o meno nei loro tentativi di spiegazione. Come il dono soprannaturale mai in noi è naturalizzabile, mai la beatitudine soprannaturale può divenir per noi – qualunque sia la nostra condizione reale o semplicemente pensabile – una meta ‘necessaria ed esigibile’».(pag. 307) – Solo queste affermazioni, citate come esempio, sarebbero sufficienti per mettere in evidenza l’antinomia e il vicolo cieco nel quale il P. de Lubac fa entrare il pensiero ed il cuore, nel tentativo di fondare la sua propria dottrina riguardo al soprannaturale [il Santo Padre sembra che da un momento all’altro sbotti nel denunciare apertamente l’eresia panteista del de- “perito” del concilio … ma gli verrebbe censurata e lancia quindi segnali comprensibili a chi conosce lo gnosticismo …-ndr-] Si sollevano numerose questioni senza possibilità di risposta o di un orientamento del pensiero che dia pace. Come capire per esempio che il mio «fine reale» – cioè «vedere Dio» – è «assegnato alla mia natura »? [tradotto in “gnostichese” vuol dire; il ritorno della scintilla divina al pleroma!] E che allo stesso tempo è offerto alla mia adesione? Quando accade questo? Al momento della mia creazione, o dopo durante il tempo della mia vita terrestre? Se accade al momento della mia creazione, come posso scegliere la mia adesione? Se avviene dopo, durante la mia vita, come posso dire che «la vocazione di Dio è costitutiva» cioè la mia vocazione alla visione di Dio è una parte integrante della creatura che sono? – Se «dal momento che esisto, ogni indeterminazione è tolta», come potrebbe aver luogo allora la mia adesione dopo i primi momenti della mia esistenza? Infatti, se tutto è determinato in modo assoluto, come insiste de Lubac, non c’è la possibilità per me di adesione o di non adesione. [il Santo Padre smonta pezzo su pezzo la fragile costruzione suggerita dal “serpente primordiale” agli gnostici di ogni tempo –ndr. -]. – Se porto in me, anche senza averne coscienza – come dice il P. de Lubac – il «desiderio naturale», com’è offerto questo fine alla mia adesione? Il P. de Lubac ripete che Dio poteva non crearmi. Ha però voluto crearmi. Allora ci si può chiedere: una volta che mi ha creato, come posso dire che non è impegnato, sin dalla mia creazione, a darmi la gioia di vederlo, poiché il desiderio naturale assoluto di vederlo, l’ha messo Egli stesso al centro del mio essere col suo atto creativo?» – Se ammetto che con il suo atto creativo Dio è impegnato e non può rifiutarmi il mio compimento, cioè la gioia di vederlo, come potrei dire che «la gratuità dell’ordine soprannaturale è particolare e totale; lo è in se stessa, lo è per ciascuno di noi»? Si potrebbe anche pretendere che la gratuità dell’ordine soprannaturale è la gratuità della creazione, cioè ammettere l’identità dell’ordine naturale e soprannaturale; questo però il P. de Lubac non vuole ammetterlo. Accetta che ci sia la grazia della creazione e che a parte ci sia la grazia della chiamata soprannaturale. – Come possiamo dire che «nessuna disposizione nella creatura potrà mai in nessuna maniera legare il Creatore»! e nello stesso tempo dire che «la vocazione di Dio è costitutiva»? Tale «disposizione», infatti, il Creatore l’ha imposta alla creatura. Come dunque proporre che «la propria disposizione di Dio non lo lega in nessuna maniera»?! – Quale idea potremmo avere allora del Creatore e della sua suprema libertà? – Non è né logicamente né spiritualmente conveniente presentare in tutti i modi – com’è nel caso della citazione del P. de Lubac sopra riportata – che Dio non è stato obbligato a crearci così come ci ha creati, per affermare la gratuità dell’ordine soprannaturale; non è conveniente, perché è confondere i problemi e le realtà. Dire infatti, che avrebbe potuto rifiutare di donarsi alla sua creatura, come ha potuto e ha voluto farlo, è come parlare dell’inizio della creazione dell’uomo, perché la frase significa che Dio ha già scelto di donarsi. E quando parliamo della gratuità dell’ordine soprannaturale, parliamo di tutte le grazie e di tutti gli interventi di Dio nella nostra vita terrestre, ciò senza nessun merito e nessuna possibile esigenza da parte nostra. Se «dal momento che esisto, ogni indeterminazione è tolta», cioè se tutto è iscritto nell’uomo sin dal momento della sua creazione e in modo assoluto, come dice il P. de Lubac, come la creatura non avrebbe un’esigenza per gli appetiti in essa iscritti, e come concepire che il Creatore di questi appetiti e di questi desideri «non sia legato in nessun modo»? – Ci si può porre un’infinità di tali domande che si estendono a tutti i domini e sotto parecchie angolature, dalla definizione del soprannaturale fino alle più evidenti e pratiche conseguenze nella vita della Chiesa. Più tardi, però, ed in una prospettiva più globale, si potrà meditare più profondamente sull’insieme di questo grave problema. Per il momento, è sufficiente non dimenticare questo: se si può dire che l’uomo sin dalla sua creazione porta la possibilità di ascoltare la chiamata di Dio per il fine soprannaturale al quale è destinato, non significa che questa possibilità di ascoltare sia già la chiamata, e che il soprannaturale al quale l’uomo è chiamato sia già presente in lui. [Con questo è totalmente smascherato il “perito”, anzi  il “deperito” del Vaticano II, finto-teologo di punta della Nouvelle Théologie”, e  “modello” eretico del modernismo-“Novus ordo” figlio naturale della gnosi “evoluta” da Platone, a Pitagora, ai neoplatonici alessandrini, Marcione e coeretici, ai filosofi del “rinascimento del paganesimo”, a Cartesio, fino ad Hegel, Marx, ai teosofi e ai teologi modernisti, ai De Lubac & C., a J. Ratzinger ed agli “illuminati” delle conventicole del Vaticano. – ndr. -]

LA GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (10) – Eredi moderni –

Qualche EREDE MODERNO della GNOSI

[Elaborato dal vol. “De la gnose a l’œcumenisme”, cap. II, di É. Couvert]

“L’uomo moderno è uno “gnostico senza saperlo”. Come stupirsene? La società di oggi è quasi interamente impregnata da idee massoniche [v. il vol. F. Sarda y Salvani: “Massonismo e Cattolicesimo”, pubblicato in questo blog). Le modalità del pensiero attuale, il cosiddetto pensiero “unico”, sono uscite dalle logge di numerose società, clubs, scuole universitarie e di pensiero, di gruppi di pressione forgiati ed emananti dalle logge. La Chiesa stessa non si è umanamente trincerata contro questa nuova invasione barbarica, molto più devastante di quella dei popoli nordici del passato, poiché essa si accanisce nel demolire ciò che resta della civilizzazione cristiana. [Parliamo naturalmente della “vera” Chiesa Cattolica, quella che dal 1958 è “eclissata” e scorre come un fiume carsico sotto i meandri e le caverne montuose del “mostro conciliare oscurante”, la dove la gnosi impera incontrastata attraverso la massoneria “ecclesiale”]. Non si tratta di fare opera di erudizione, anche perché ne esistono già di diverse, anche mastodontiche nelle loro dimensioni, ma semplicemente di “decantare” queste “forme di gnosi” per ritrovarne le formula primitive [quelle denunciate in precedenza nella serie di questi scritti]; ancor meglio, noi cerchiamo di sforzarci di ritrovare tra i bislacchi “particci” e sotto le coperture mitologiche moderne, le filantropie o zoofilie varie, le grandi direttive del pensiero che si mantiene e inalterato si perpetua sviluppandosi nel corso dei secoli. In effetti esiste una progressione nell’errore, così come nella verità. Determinati spiriti, attirati dall’apparenza di verità che possono contenere i falsi principi, non vedono tutte le conseguenze delle loro affermazioni; ma le generazioni successive ne vedono gli effetti, perché le conseguenze sono contenute implicitamente nelle premesse. Così vedremo che Freud, Jung, Hegel e Marx non hanno mancato di sviluppare la gnosi nella linea della più grande sovversione, per cui la psicanalisi o il marxismo sono delle vere religioni ma completamente invertite, come pure il modernismo teologico. Si può impunemente sostituire il culto di satana a quello di Gesù-Cristo: la sovversione di tutto l’ordine cristiano è “fecondo” di catastrofi apocalittiche; satana rimane l’“omicida”, l’“ingannatore” fino alla consumazione dei secoli. Noi stiamo per dimostrare che la franco-massoneria è l’erede e la vera detentrice e “dispensatrice” della gnosi. Abbiamo già visto come essa pratichi l’amore dell’umanità, che insegni la ruota universale delle cose e l’evoluzione del gran tutto. È dal seno delle logge che sono nati i grandi movimenti contemporanei che si sforzano di divulgare, in una società scristianizzata, le formule e le pratiche della gnosi, insite abbondantemente nell’anti-magistero della setta vaticana del novus ordo che, spacciandosi per Chiesa Cattolica, strombazza attraverso tutti i mezzi di informazione, nella quasi totalità gestiti dalle logge o dai “maestri” superiori, che controllano e censurano le poche voci ancora relativamente libere.

LA PSICOANALISI

Freud ha partecipato regolarmente alle attività della loggia massonica dei B’nai B’rith (= figli dell’alleanza) di Vienna. Egli fu inizialmente attirato dalla “Natürphilosophie”, una sorta di misticismo panteista, ricavato in particolare dagli scritti massonici di Goethe, aderente anch’egli a questa medesima loggia dei B’nai B’rith (loggia di soli componenti ebrei veri o più di frequente di coloro che si dicono ebrei, ma non lo sono: i falsi kazari). Egli seguì le idee di Jacob Frank. Quest’ultimo insegnava che “ogni cosa era santa”, che in Dio c’è  la radice del male, ma che questo male risultava solo dalla dispersione delle “scintille divine” (cioè le anime) e che gli uomini dovevano librarsi al male per rassomigliarle. Il peccato, egli dice, è santo, bisogna immergervisi; … è il nuovo Messia [o meglio anti-Messia]. L’idea fondamentale dello “scienziato” Freud è che bisogna sbarazzarsi di tutte le leggi religiose e principalmente della Thorah. Egli trae le sue conclusioni dalla cabala che è la forma essenzialmente giudea della gnosi. Si dice nel “libro dello zohar” (dello splendore):  « Con questo albero (quello della conoscenza), Dio creò il mondo; mangia dunque da questo frutto e sarai simile a Dio, perché conoscerai il bene ed il male; poiché è per questa conoscenza che egli è Dio. Magia dunque e sarai creatore dei mondi. Dio sa tutto ciò ed è per questo che vi proibisce di mangiare questo frutto; perché è un artigiano (“un demiurgo”), ed un artigiano detesta tutti i colleghi che esercitano il suo stesso mestiere ». Noi riconosciamo in questa, una delle tesi classiche della gnosi, ma con un nuovo sviluppo. In effetti se il male ha la sorgente in Dio, esso vi coesiste con il bene che ha essenza divina. Dunque in Dio (il gran tutto-pleroma) il male ed il bene sono intercambiabili. Se l’uomo mangia del frutto dell’albero della gnosi, conoscerà il bene ed il male; egli ne sarà il maestro; è lui che definisce cosa sia l’uno e l’altro e da se stesso stabilirà la sua legge. In un colpo: … ecco il Creatore! Adamo ed Eva non hanno voluto tirare le conseguenze di un tale regalo! [regalo del serpente]; noi abbiamo detto in precedenza  che la Psicoanalisi sia il più grande tentativo intrapreso dal mondo moderno per scagionare l’uomo, per togliergli la responsabilità dei propri atti, “liberarlo” dai suoi scrupoli di coscienza e permettergli di darsi senza segreti e remore alle sue pulsioni istintive. Dio, dice Freud, è l’immagine che produce il sentimento di colpa. La malattia della nevrosi proviene da questo [eziologia propriamente scientifica!]. Bisogna trovare una contro immagine: sarà satana che permette a tutte le pulsioni della “psiche” di aprirsi, di essere accessibili alla coscienza, di essere accettate come liberatrici. satana prende il posto di Dio, egli ha vinto questa immagine soffocante del Padre; egli ha dato alla nevrosi il sollievo che essa attende; ha così appagato la sua angoscia. Tale è il tema essenziale della “scienza dei sogni”. Jung aggiunge a questa impresa di “liberazione”, già di per se stessa luciferina e priva di ogni logica razionale, la nozione di “inconscio collettivo”; “la parola, egli dice, è inerente ad un sé superiore che sarà il centro di una personalità psichica totale, illimitata ed indefinibile … e pertanto « non c’è che una umanità dotata di un’anima sola ». Siamo in pieno panteismo! Questa grande anima illimitata ed indefinibile è il “pleroma” degli gnostici, che contiene tutte le “scintille” disperse nei corpi degli uomini, e che bisogna raccogliere con la pratica del “santo peccato”, come diceva appunto l’altro figlio dell’alleanza [… alleanza con satana] Jacob Frank.

La nozione di INCONSCIO

La parola ed il concetto di inconscio appare per la prima volta presso Fichte ed Hegel. La psicoanalisi ne ha fatto da allora un uso delirante. La necessità dell’inconscio è apparsa nei filosofi idealisti o soggettivisti senza che essi spieghino l’apparizione delle idee nell’anima. Nei filosofi realisti, ad esempio san Tommaso d’Aquino, la percezione dell’oggetto sveglia nella nostra anima una facoltà intenzionale che, applicandosi a questo oggetto ne trae l’idea intellegibile (S. Tommaso dice “la forma”). Così l’idea è il risultato di un’astrazione. La conoscenza è preceduta puramente e semplicemente dall’ignoranza (ignoranza è non conoscere, come direbbe la Palice). Nei filosofi idealisti, invece, l’idea è già nell’anima prima che l’oggetto sia percepito. L’apparizione dell’oggetto costituisce l’occasione, la circostanza che sveglia nell’anima l’idea che già in precedenza essa conteneva. La nostra anima era, secondo loro, prima di ogni conoscenza dovuta ad una percezione, già piena di idee delle cose che andava percependo nel corso della sua esistenza; ma queste idee erano in uno stato di “sonno”, di letargo … dunque inconsce. La percezione dell’oggetto costituisce uno shock illuminante: l’anima riconosce nell’oggetto l’idea che ne aveva precedentemente senza conoscerla direttamente. È ciò che si chiama l’“Inneismo” (le nostre idee sono già nella nostra anima al momento della nascita). Si tratta di un inconscio pieno di idee, di un’anima piena di conoscenze ancora sconosciute (???!!). Per gli gnostici in effetti, le anime umane sono delle scintille divine cadute dal cielo a causa di una caduta catastrofica nei corpi. Il loro novo stato è contro natura e fa violenza alla loro massima aspirazione terrena: il ritorno al divino. Ma il loro stato anteriore era divino, dunque onnisciente ma … dove sono passate le conoscenze anteriori? In qualche parte bisognerà pur trovarle. Questa parte sarà l’inconscio! Jung aggiunge che le “scintille” divine sono particelle di un’unica anima universale; le idee umane sono dunque particelle di una idea universale: disperse nelle anime esse appartengono ad una collettività, la divinità originale incaricata di “incanalare” le anime per ricostituire il gran tutto. Da qui l’inconscio collettivo che suppone la preesistenza delle anime prima del concepimento e che permetterà poi di realizzare la nozione di reincarnazione, insegnata nella metempsicosi, altro “cavallo” gnostico. Infatti già i grandi gnostici insegnavano questi due ultimi punti. La psicoanalisi non ha fatto null’altro che trarne le conseguenze: le nostre idee non sono personali, esse sono comuni non perché l’oggetto conosciuto è lo stesso per tutti quelli che lo percepiscono (ciò che costituisce il buon senso naturale), ma perché la nostra anima non possiede che particelle di una stessa idea collettiva dell’inconscio. È fondendo le nostre idee nella corrente del pensiero collettivo che potremo prepararci al ritorno nel gran tutto originale divino. Questa idea gnostico-inneista è quella che si vuole ad ogni costo far passare nel cosiddetto “pensiero unico”, il “politicamente corretto”, cioè il “massonicamente diretto”: tutti devono avere le stesse idee, gli stessi concetti perché parte di un’idea inconscia collettiva universale e preesistente, e quindi inconscia, la cui pratica deve prepararci al ritorno nel panteistico “gran tutto”. Precisiamo ancora che le sedute di psicoanalisi sono assimilabili a riti di iniziazione, con tanto di svelamento dei misteri dell’Inconscio, ammantati da una “molto scientifica” e pittoresca mitologia: complessi di Edipo, di Elettra, di Diana. Dio, la Madre, il Bambino divino sono, sulla bocca dello psicanalista degli archetipi, cioè dei simboli religiosi e non esseri reali. Jung ruba alla gnosi e all’astrologia qualche termine “scientifico” importante del suo insegnamento. Così, l’espressione della perfezione o della totalità, è il quadrato, la tetrade o “Tetractys” (la Tetractys è il nome composto di quattro lettere che in ebraico significano: Dio). La Trinità divina è in realtà una quaternità incompiuta. Occorre aggiungervi il male o satana per raggiungere la perfezione o l’essenza divina. Presso Jung anche il male è Dio; ma Dio ed il sé sono identici. Il “sé” è sacro: “noi osserviamo che i due, Dio ed il sé, sono espressi da due simboli identici. » – Jung sempre “scientificamente” aggiunge: « Non possiamo comparare l’interesse sollevato dalla psicoanalisi di Freud che all’efflorescenza del pensiero gnostico. Le correnti spirituali attuali hanno un’affinità profonda con lo gnosticismo. La teosofia [“elisir” spirituale al quale si era pure abbeverato abbondantemente il “santo” della sinagoga di satana K. Woitiła -n.d.r.-] con la sua consorella continentale che è l’antroposofia, sono puro gnosticismo sotto una casacca induista: … ciò che è sorprendente nei sistemi gnostici, è che essi sono basati esclusivamente sulle manifestazioni dell’inconscio e che i loro insegnamenti morali non indietreggiano davanti ai lati oscuri della vita (tra parentesi, questo inconscio è la “psiche” degli gnostici, sede delle passioni e delle agitazioni del corpo). Io non credo di andar troppo oltre dichiarando che l’uomo moderno, contrariamente al fratello del XIX secolo, si volge verso la psiche con grandi speranze e senza riferirsi ad una qualunque credenza tradizionale, ma piuttosto nel senso di una esperienza religiosa gnostica. » [in “Il problema dell’anima moderna”]. – Non si poteva dir meglio: la gnosi ha fatto, con la psicoanalisi, il grande ingresso in un mondo scristianizzato. Ma la psicoanalisi presenta una importante novità. In effetti la gnosi si prestava a diverse incoerenze, contraddizioni varie che non riusciva a risolvere, e ne abbiamo esaminate già alcune nei numeri precedenti. La psicoanalisi supera queste difficoltà. Ad esempio: il problema del male. – Gli gnostici non sanno come conciliare il bene ed il male nella divinità! … e qual è il problema? Non vi agitate! Tra bene e male non c’è alcuna differenza, dicono gli psicoanalisti (meglio forse psico-satanisti!). Anzi meglio ancora, il male è la perfezione del bene, il compimento della divinità, satana stesso fa parte integrante di dio [quello con le corna, ovvio!] Egli è quell’essere divino, strisciante … che ha insegnato all’uomo che essi erano maestri di se stessi, capaci di discernere tra il bene ed il male. Gli gnostici affermano che la nostra anima, scintilla divina, doveva restare indifferente, impassibile davanti alle agitazioni ed alle pulsioni della psiche. Gli psicoanalisti affermano al contrario, che l’uomo deve lasciar libero corso a queste pulsioni, anzi deve immergersi nella soddisfazione dei suoi piaceri, come in un’orgia sacra, perché i movimenti della psiche sono anche i simboli della perfezione divina!. Ciò che altre volte era riservato a qualche iniziato nel corso di una cerimonia “sacra” sarà praticato correntemente oggi da tutti! La pratica dell’ascesi presso gli gnostici, i perfetti, i puri, catari, era in precedenza non un mezzo per raggiungere la divinità, ma il segno che essa era già raggiunta, che l’uomo aveva in se stesso realizzato l’unità perfetta. La pratica della dissolutezza nello gnostico moderno sarà dunque il segno che l’uomo ha oltrepassato le categorie del bene e del male arrivando a padroneggiare totalmente se stesso, diventando capace di darsi la legge del piacere senza dover rendere conto a nessuno: la libertà totale senza alcuna responsabilità, … a metà strada tra l’imbecillità assoluta e la criminalità spietata. Come sovversione di tutto l’ordine naturale e divino, non si poteva trovare di meglio; tuttavia vedremo che i marxisti spingono le tesi gnostiche fino alle loro estreme conseguenze. Con essi finiremo con il piombare nell’estremo grado dell’odio satanico contro l’Ordine del Creatore.

L’INDUISMO OCCIDENTALIZZATO.

Nei tempi moderni, la gnosi si è sbarazzata di ogni linguaggio oscuro e complicato con il quale mascherava il suo vero insegnamento. Occorreva infatti rinnovare il suo vocabolario e le sue formule, indossare degli abiti nuovi per raggiungere un pubblico nuovo. Essa andò allora a cercare nelle Indie delle “novità” capaci di ridare un certo prestigio al suo insegnamento. La gnosi lanciò allora una nuova moda rinverdita e lustrata dall’attrattiva di paesi esotici! – C’è forse bisogno di sottolineare che se il formulario è rinnovato, il contenuto resta invariato, o se l’abito è nuovo, il burattino è lo stesso? La gnosi resta come definizione l’antitesi della Fede Cristiana, anche se essa si presenta piena di “benevolenza” per la Chiesa e di rispetto apparente per i suoi insegnamenti. Rispetto e benevolenza di pura convenienza per non destare allarmi e sospetti. Non si va al primo approccio all’attacco delle convinzioni di coloro che si spera attrarre a sé! Al contrario si va a mostrare loro che il nuovo insegnamento non fa che perfezionare, completare, esplicitare la loro fede cristiana. Questo sarà infatti l’obiettivo privilegiato della “nuova destra”: presentare questo insegnamento come la perfezione dell’insegnamento cristiano, riprendendo così il processo degli gnostici d’altri tempi che si mostravano ai loro futuri discepoli con tutta l’apparenza dell’ortodossia, affermando di aver meglio compreso l’insegnamento di Gesù – Cristo, molto meglio dei Capi della Chiesa. È questo ovviamente il metodo del modernismo anti-cattolico sfociato nel rifiuto pratico. oltre che della Tradizione apostolica, soprattutto del Magistero apostolico ritenendo i Papi del passato [i veri Papi] antiquati ed inadatti ai nostri tempi nei quali c’è bisogno di una “rispolverata” delle antiche dottrine cristiane alla luce del pensiero moderno, della [satanica] “nuovelle Theologie”, la “gnosi in talare”, il sepolcro gnostico imbiancato!

1) La Teosofia

Dalla storia di M.me Blavatsky, fondatrice della società teosofica, si rileva che la sua formazione è di origine totalmente massonica. Dal 1856 ella aderisce ai carbonari della “giovane Europa” del maestro della Massoneria mondiale di rito palladiano, G. Mazzini; un anno dopo, nel 1857 c’è il salto di qualità: una società rosa+croce in America e solo nel 1878 parte per le Indie ove presume di scoprire una reincarnazione di Pitagora [ma … questa era proprio da internare in manicomio!]. Confortata da questa strepitosa “scoperta” fonda delle riviste tra le quali spiccano “l’Isis svelata”, “lucifero”, il “lotus bleu”[strano non le abbiano conferito il premio Nobel, come al satanista Carducci!]. Nel 1907 M. Oltramare pubblicava negli “Annales du Musée Guimet” una puntualizzazione molto energica: “Si sa come gli apostoli del nuovo vangelo occultista abbiano tentato di chiedere all’India la soluzione dei problemi della vita e della morte … Ma non è dall’India, bensì dalla tradizione antica, dal Giudaismo e dal Rinascimento che traggono l’essenziale le concezioni teosofiche moderne. Nella ricerca di autorità che sembrano decisive, che i nostri teosofi hanno chiesto all’India, c’è la conferma di teorie che essi già possedevano. Essi hanno soltanto estratto i termini esotici e la nomenclatura dalle atmosfere orientali”. La teosofia è tutta una derivazione della gnosi, della cabala e del neopitagorismo. Essa si trova esposta nel “libro degli spiriti” di Allen Kardec, pubblicato nel 1857, dove si ritrovano tutte in fila le dottrine dell’emanazione, del ritorno al “tutto”originario, così come furono insegnate già dagli gnostici senza fare il minimo riferimento all’Induismo.

2) René Guenon

René Guenon è anche un esempio rimarchevole dello gnostico moderno che possiede l’arte di presentarsi come un cristiano, collaboratore di riviste cattoliche, che del mondo moderno ateo fa una critica pertinente che inganna più di una persona sulle sue vere intenzioni, un prototipo del modernista contemporaneo che, ancora peggio di Guenon, addirittura celebra riti sacrileghi facendoli apparire cattolici, soprattutto da quando è stata “confezionata” la nuova “messa”, il rito rosa+croce, come già abbiamo avuto modo di dire in precedenza. La conversione all’islam di Guenon finì per aprire gli occhi alla maggior parte di coloro che furono all’epoca attirati da lui, [mentre oggi, coloro che, fingendosi cattolici, dicono che l’islam sia moderato ed un monoteismo che si rifà ad un libro di “pace” come il Corano, sono addirittura seduti sul trono più alto usurpato. In realtà Guenon ricevette tutta la sua formazione negli ambiti massonici, ed è notorio: ha aderito dal 1906 alle società iniziatiche come l’ordine martinista, il rito di Memphis, la chiesa gnostica, la gran loggia di Francia [la stessa loggia ove furono iniziati i mons. Roncalli e Montini], etc., creò poi delle riviste: “la gnosi”, poi “gli studi tradizionali”. Inizialmente disprezzava il buddismo vedendo in esso un’eresia protestante dell’induismo. Poi ritrattò, ed interessato vivamente alle Indie, iniziò a studiare il bramanesimo. – Esaminiamo la sua dottrina che è detta tutta proveniente dal “vedanta” nella sua forma tradizionale ed ortodossa. Il mondo è la manifestazione di un principio supremo, “non manifestato”: Brahma. Questi è l’universale, il tutto assoluto, l’infinito. Non si può parlarne che per negazione. Il mondo, la sua manifestazione universale, non si distingue da Brahma. “Brahma si modifica diversamente … ogni cosa esiste perché è una sua modifica” (“l’uomo e il suo divenire”). Il movimento di esistenza è una espansione del principio immutabile. René Guenon, benché lo neghi, con tali formule non sfugge all’accusa di panteismo. – L’essere umano comporta un principio universale, il sé, identico a Brahma, delle modalità mediatrici tra il sé e le modalità inferiori, “sottili o psichiche”, “grossolane o corporali”, il sé è avviluppato come in un grano di riso. La liberazione consiste nel passare attraverso diversi gradi di ritorno a Brahma, la “discesa agli inferi”, vale a dire sviluppo dell’individualità corporea, poi l’accesso progressivo agli stati superiori dell’essere, la realizzazione poi degli stati angelici, infine approdo all’identità suprema, unità con Brahma … “la resurrezione dei corpi è la trasposizione fuori dalla forma e delle altre condizioni dell’esistenza individuale”, dunque il ritorno al gran tutto. Poiché l’uomo possiede al centro di se stesso il “sé” identico a Brahma, non deve che raccogliere le sue forze concentrandole sul sé. Occorre inizialmente ricevere una “influenza spirituale”, un soffio dello spirito, poi praticare degli esercizi progressivi di concentrazione, passare nello stato di estasi, poi in degli stadi “sopra-individuali”. Arriva un momento in cui l’essere “non può più essere detto umano, è uscito oramai dalla corrente delle forme”. È la liberazione, l’unione con l’assoluto; lo yoga è divenuto yogi, identificazione suprema, definitiva, eterna! Più felice di Adamo, egli è divenuto uomo universale, re del mondo. – È  allora che si può parlare dell’essere che è legge a se stesso, perché è pienamente identico alla sua ragione sufficiente, che è nello stesso tempo la sua origine ed il suo destino finale (stati multipli dell’essere). Egli percepisce direttamente gli stati superiori del suo essere, una sorta di estasi o ipnosi; poi raggiunge “la restaurazione dello stato primordiale”, prerogativa che era naturale nelle prime ere dell’umanità, e che fu perduta da Adamo ed Eva. Ora occorre un “alto grado di iniziazione” per diventare l’emulo del primo Adamo e riuscire là dove egli ha fallito. – La Chiesa Cattolica possiede in se stessa una forza latente, nascosta, della quale deve prendere coscienza per essere in possesso del “Cattolicesimo integrale”. È sufficiente restituire alla sua dottrina, senza nulla cambiare alla forma religiosa sotto la quale si presenta all’esterno, il senso profondo che ha in se stessa, ma di cui i rappresentanti attuali sembrano non aver più coscienza né della sua unità essenziale con le altre forme tradizionali …” [i rappresentanti attuali ne hanno invece “finalmente” preso coscienza! -n.d.r.-]. La tradizione sussiste nella Chiesa “come modalità di espressione simbolica”. Il Cristo è l’“uomo universale”, il più grande degli iniziati, il simbolo dell’identificazione suprema dell’uomo con Dio. – Ma trascriviamo adesso tutto questo in greco: Brahma è il pleroma; il sé è lo “pneuma”; poi vengono le modalità mediatrici: la “psiche”, modalità sottile, il “soma”, modalità grossolana. Il grano di riso che avviluppa il sé, è la materia che tiene prigioniera la scintilla divina. La risalita verso gli stati superiori è il passaggio attraverso gli eoni degli gnostici. In Guenon si ritrova il panteismo e l’emanatismo propri di ogni gnosi. Non c’è nulla di originale, siamo in un mondo ben conosciuto … la solita “solfa”. – Per lasciarsi attirare da tali elucubrazioni bisogna che i Cristiani di oggi abbiano veramente perduto, con ogni buon senso, l’essenziale della dottrina cristiana poiché essi non trovano più nell’insegnamento della Chiesa i punti di appoggio necessari per resistere a questa invasione gnostica mascherata da induismo. Da qui il successo attuale della pratica Yoga, delle sedute di espressione corporea, del “pellegrinaggio alle sorgenti” di un Lanza del Vasto, etc.

VEGANESIMO

Una recente invenzione gnostica è il cosiddetto Veganesimo, punta di diamante del vegeterianesimo, dove col pretesto di aborrire la violenza sugli animali, viene a questi riconosciuto uno status immanentistico, nel senso che anche la natura, ed in particolare gli animali, sarebbero materia che riveste una scintilla divina, parte dell’uno divino, decaduta per l’azione del demiurgo “maldestro”, scintilla anche essa destinata a riunirsi poi, con l’uomo e tutte le specie viventi, nel tutt’uno universale. Anche il cosiddetto evoluzionismo delle specie animali, è un “ritrovato” panteistico in cui la divinità si espande autocreandosi in specie sempre nuove. In tale chiave gli animali e la natura in generale altro non sarebbero che espressione dell’evoluzione della divinità cosmica imprigionata nella materia, per cui non è l’animale come tale che deve essere rispettato nel quadro ecologico o dei cicli biologici, ma l’essenza “divina” prigioniera della materia, in una prospettiva iniziatico-religiosa. Non a caso tutte le grandi organizzazioni mondiali ecologiste (tipo wwf e simili) sono gestite e sostenute da conventicole e personaggi notoriamente legati agli ambienti massonici, per cui l’adorazione dello Jehovah baphomet [cioè lucifero], viene esportato fuori dalla loggia stessa e ricoperta con una maschera verde-ecologista zoofila che affianca la falsa solita filantropia di facciata, con annesso rigetto della sana filosofia tomistica dell’Angelo della scuola, S. Tommaso. Anche la setta gnostico-massonica vaticana del “novus ordo” si è affrettata a dare un contributo in senso ecologistico del panteismo immanentista utilizzando impropriamente l’inno di lode a Dio Creatore del Santo di Assisi, trattato alla stregua di un verde-arcobaleno, ecologista ante litteram. Anche in questo caso la copertura è nuova e moderna, ma spolverando un poco la polvere dorata, e raschiando la “cromatura” luccicante, ci ritroviamo il solito vecchio ferro arrugginito che puzza di zolfo sul quale sibila e striscia l’antico serpente ingannatore sprofondato dall’eden! – Ma la sana teologia ci ha già opportunamente edotto a proposito, ed infatti il Dottore angelico declama: «Le anime dei vegetali e degli animali non sussistono e non sono prodotte per se stesse o direttamente, ma soltanto come il principio per mezzo del quale il vivente esiste e vive. Siccome dipendono totalmente dalla materia, una volta distrutto il composto di corpo e anima vegetale o animale, ipso facto  anche esse scompaiono in maniera indiretta o per accidens e non per sé» (S. Th., I, q. 75, a. 3; ivi, q. 90, a. 2; S. Cont. Gent., lib. II, cap. 80 e 82.). Ed ancora precisa per i finti tonti: «Al contrario dell’anima vegetale e sensibile, l’anima umana è per sé sussistente. Essa viene creata da Dio quando il soggetto che la riceve è sufficientemente disposto ed allora può esservi infusa. Essa è per sua natura incorruttibile ed immortale» (S. Th., I, q. 75, a. 2; ivi, q. 90; ivi, q. 118; Q. disp. De Anima, a. 14; De Potentia, q. 3, a. 2; S. Cont. Gent., lib. II, cap. 83 ss.). – Per tagliare la testa al toro e premunirci dalla peste mortifera, San Paolo scrive a Timoteo: «Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio [tranne quello omosessuale, ma … il povero San Paolo mai avrebbe immaginato …!], imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creato per essere mangiati con rendimento di grazie dai fedeli e da quanti conoscono la verità. Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera.» (1Timoteo IV, 1-5) ». – Per arginare la peste gnostica dei manichei e dei prescilliani, [morbo endemico fin da sempre] il Concilio di Braga 572, presieduto da Papa Giovanni III, anatemizzava già i precursori dei vegani moderni e quindi pure i vegani attuali [alcuni dei quali si credono finanche cristiani] così: «Se qualcuno reputa cibi immondi le carni, che Dio diede in uso agli uomini e, non per disciplina del suo corpo, ma perché li ritiene immondi, si astiene da essi in modo da non gustare neppure verdura cotta con la carne come dissero Manicheo e Priscilliano, sia anatema.» [Denz. 244] (Papa Giovanni III, Concilium Bragense I, 572). Identica prescrizione è presente nella “Bolla di unione dei Copti” del Concilio di Firenze, sess. XI 1442, con il S. S. Eugenio  IV.

DALLA GNOSI AL MARXISMO:

 I PROGRESSI DELO SPIRITO UMANO NELL’ERESIA.

Se, al dire di Tertulliano, Adamo ed Eva non furono che novizi in fatto di eresia, bisogna confessare e riconoscere che gli gnostici abbiano perfezionato il loro sistema. L’ispirazione satanica ha questo di notevole: essa si sforza di introdurre una logica rigorosa nell’inversione del reale, cosa che costituisce un vero tour de force. A partire da un falso principio, la confusione tra Dio ed il mondo, abbisognava una sottile intelligenza per immaginare una costruzione nella quale tutte le parti fossero ben disposte, presentando un edificio completo, attirante gli sguardi e le intelligenze. D’altra parte è necessario che la menzogna abbia le apparenze della verità per ottenere il consenso degli uomini! Non potendo trarre questa apparenza dal suo punto di partenza, poiché per definizione esso è falso, lo trarrà dalla coesione interna delle proposizioni con le quali il “menzognero” espone il suo insegnamento. Ora, i primi gnostici si sono trovati impelagati nelle loro distinzioni tra il bene ed il male, senza poter risolvere questa antinomia. Abbiamo visto la psicoanalisi cancellare con un colpo di spugna una tale distinzione: “non esiste né Bene, né Male”. Per un essere divino, tutto è Bene. Resta una difficoltà suprema: tra il gran “Tutto” immutabile, eterno e le sue manifestazioni multiple e cangianti, così come appaiono allo sguardo del primo venuto, c’è ancora antinomia: come conciliare all’interno dell’unica Divinità totale, l’immutabilità ed il cambiamento, l’eternità ed il tempo, l’unità e la molteplicità degli esseri? – In effetti il panteismo costringe coloro che lo professano ad introdurre e far coabitare in Dio, l’eternità ed il tempo, l’immutabile e l’evoluzione, in breve l’Essere ed il nulla. Difficoltà singolare! Essa non è sfuggita agli gnostici.

1) Gli scritti ermetici

Ecco come M. Vacherot, nel suo “Storia critica della scuola di Alessandria”, riassume l’insegnamento di Ermete Trimegisto sulla divinità: « Dio è il bene, come il bene è Dio. Egli è il non-essere quando è superiore all’essere. Dio produce tutto ciò che è e contiene tutto ciò che non è ancora … Dio è la vita universale, il tutto del quale gli esseri individuali sono che delle parti … Dio è tutto, tutto è pieno di Dio. Tutti i nomi gli convengono come Padre dell’universo; ma poiché è padre di tutte le cose, nessun nome è il suo nome. L’uno è il tutto, il tutto è l’uno … » – « Dio, il Padre, il Bene, che cosa è … se non l’essenza di ciò che ancora non è ? » – Ecco un’altra formula di Ermete Trimegisto: « Io sono l’Essere ed il Niente … Io sono il generatore di tutte le cose; in me l’universo si sviluppa. Io sono l’inizio, il mezzo, e la fine. » – « L’Eterno non è stato generato da un altro, si è creato egli stesso eternamente [ecco perché il baphomet è un ermafrodito]!. Se il Creatore non è altri che colui che crea, si crea necessariamente da se stesso, perché è creando che diviene creatore. Egli è ciò che è e ciò che non è » (sottinteso: ciò che non è ancora, ma ciò che più tardi sarà). – Tutto questo può essere riassunto con alcune proposizioni elementari:

– L’Emanatismo: tutto emana da Dio, perché Egli genera da se stesso e non crea.

– L’universo è il suo sviluppo, una estensione del suo essere.

– L’autocreazione: mediante questo tipo di generazione [in pratica una partenogenesi “divina”], Dio non produce esseri fuori di sé, né sotto la sua dipendenza, ma si crea egli stesso per espansione della sostanza propria. Pertanto non è il creatore di un mondo distinto da lui. Bisogna quindi fare molta attenzione a questo nuovo senso della parola “creazione” nei testi che seguiranno, in particolare in Hegel! – L’evoluzione: Dio generando perpetuamente un universo in costante espansione è egli stesso l’evoluzione (ecco spiegato perché la teoria dell’evoluzionismo non è una dottrina scientifica, bensì una concezione “teologica”). Diciamo meglio: l’evoluzione è Dio che si sviluppa e produce la molteplicità degli esseri per generazione interna. Egli pertanto è in ogni istante in fase di sviluppo, l’essere di ciò che esiste già, ed il niente che non esiste ancora e che sarà ulteriormente. – C’è dunque in lui un movimento perpetuo dal nulla all’essere, una gestazione dolorosa e difficile, in pratica un parto distocico, per far passare all’essere il niente che resiste. Ecco la matrice, la sorgente della dialettica hegeliana!

2) Hegel nella sua “Filosofia della storia”

« In origine, egli dice, Dio non era che solitudine senza vita », dunque un essere non-essere, un niente universale, una coscienza universale incosciente (ecco dove portano tali presupposti!), asserzione fondamentale del panteismo: 1) posizione della Tesi. Ma esiste la necessità di manifestarsi per “contemplarsi” come in uno specchio, o ancora per divenire coscienza, che costringe questo “tutto astratto” a sdoppiarsi ed a proiettare davanti a sé una frazione di se stesso, la natura concreta: 2) ecco l’Antitesi. – Non si tratta quindi di una creazione, benché Hegel usi impropriamente questo termine [o ingannevolmente? … una delle due: o è un ignorante o è uno gnostico satanista!]; si tratta di una generazione, di un processo di sdoppiamento. Dal “niente” superessenziale, è generato un mondo concreto, la natura. È una auto-creazione interna. In effetti – Hegel aggiunge – : « L’essenza divina è la stessa cosa della natura in tutta la sua ampiezza ». L’essenza divina, dapprima “ombra increata”, non-essere, pura astrazione, si eleva allo stato di esistenza esteriore. Non c’è caduta, benché Hegel utilizzi l’espressione di “peccato originale cosmico” (vedremo in effetti che egli riporta formule ispirate al linguaggio cristiano, ma solo per sovvertirne il senso); c’è realmente uno sviluppo dell’essere divino per sdoppiamento, come un essere vivente si sviluppa per sdoppiamento delle sue cellule [mitosi]. Questo processo di esteriorizzazione di Dio permette alla coscienza incosciente di divenire manifesta, “finita”, delimitata, conoscibile, dunque “cosciente”. Ma così facendo, essa si manifesta come divisa. Ecco una dualità introdotta in Dio. – L’uomo non è divino come il resto della natura, egli lo è in modo sovreminente, poiché solo egli possiede il privilegio di essere cosciente della propria esistenza. Egli costituisce la frazione della coscienza universale pervenuta alla propria conoscenza. L’uomo solo è spirito ed è la coscienza divina concretizzata. Egli è generato come Dio, dunque Figlio di Dio. Egli è pertanto il Verbo di Dio perché è lui che dà coscienza e parola allo Spirito divino universale inconscio (si vede qui, l’utilizzazione blasfema degli attributi del Cristo). Egli è, nel processo della genesi stessa di Dio, il momento cruciale, la realizzazione di uno stato superiore della Divinità. Ma questa realizzazione è un parto doloroso e tragico, una prova divina. In effetti, la legge universale dell’evoluzione provoca così in Dio, uno stravolgimento, delle metamorfosi qualitative interne. L’uomo è uno spirito cosciente, una frazione della Divinità: egli si conosce ma come sottomesso alla coscienza universale primitiva (e incosciente). È uno spirito limitato, “finito”. Egli vuole diventare simile alla coscienza universale. Non accetta di esserne una frazione. È il gesto di rivolta di Adamo, il tentativo di un movimento per un “legittimo recupero” della divinità totale. “Adamo ha inaugurato i giganteschi lavori del suo accesso allo Spirito”; egli fallisce e perde il paradiso che gli viene tolto per le “gelosia” del Dio incosciente primitivo: “Ecco che Adamo è divenuto come uno di noi, che conosce il bene ed il male!, dice quest’ultimo, confermando così le parole del serpente: “se mangerete di questo frutto, sarete come dei” (eritis sicut Dei). Ora in Dio, satana è il motore dell’evoluzione, la forza interna del divenire, la potenza evolutiva della coscienza. È lui che genera il Dio finale perfetto, che fa la storia. Ispirando la rivolta dell’uomo, egli prepara l’avvento della Divinità perfetta, e completa il mondo. La promessa fatta ad Adamo è in divenire. L’incarnazione del Cristo inizia una nuova fase di questo recupero divino, di questa montata progressiva verso la perfezione in divenire. In effetti, privati della loro parte celeste, la natura e l’uomo sono divenuti dei frammenti insoddisfatti di Dio. Il Cristo, o questa parte celeste della divinità, facendosi progressivamente cosciente, raggiunge così una perfezione sovreminente, quella di una coscienza che si riconosce. Da questo, Dio riconosce questa eguaglianza che aveva rifiutato ad Adamo. L’incarnazione è l’elevazione della divinità primitiva cieca alla realtà concreta e cosciente della persona umana. È ugualmente una caduta: è la “morte di Dio in Gesù-Cristo”. – “divenendo uomo, dice Hegel, Dio è morto come Dio”, cioè il Cristo ha ucciso in lui la divinità primitiva inconscia e si è fatto uomo cosciente, uomo incomparabile. È un grande passo in direzione dell’unità divina; ma perché “la riconciliazione del divino e dell’umano in Dio” sia completa, bisogna ancora che il Cristo “muoia” in quanto uomo. Allora non ci saranno più privilegi, né sulla terra, né in cielo, la fusione sarà totale. L’uomo solo sarà Dio: egli è spirito finito che opera una metamorfosi in Spirito infinito. Ma per fare questo, l’uomo deve “uccidere” il Cristo, Dio fatto uomo. – L’umanità futura sarà la Chiesa, la “coscienza collettiva” che avrà ritrovato la sua unità interna. Allora l’uomo avrà “l’intuizione del “sé del divino”. La genesi di Dio sarà terminata. Il Dio primitivo e geloso sarà cancellato davanti all’uomo. « L’uomo solo è divino ». La sintesi sarà completata. Ecco il vero senso della storia [sembra la barzelletta del pazzo che nel suo delirio si crede Dio!] Ed è questa la storia vista « dall’angolazione del serpente ». Non resta che da comparare Hegel con i primi gnostici, ed eventualmente … ricoverarli nello stesso manicomio! – L’apparizione del mondo materiale non è più considerato come una catastrofe, ma come lo sviluppo biologico, secondo l’evoluzione, di un essere in divenire, sviluppo doloroso, certo, come parto distocico, ma secondo un processo regolare, quello di un essere in espansione e non come una rottura. L’espressione “peccato originale cosmico” [meglio comico!], ripreso dalla formula cristiana è destinata a notare  che per l’uomo non ancora pervenuto alla perfezione divina, questa evoluzione conduce ad una frattura della propria coscienza in una moltitudine di individualità, così come le cellule di un essere vivente si scindono in due per assicurare lo sviluppo di tutto l’organismo. Così la materia non può essere detta cattiva. Essa è soltanto un momento (nel senso di una fase) imperfetta in una evoluzione. – L’anima umana non è più una particella caduta, decaduta, racchiusa nella materia dalla volontà di un essere malevolo; essa al contrario, è l’efflorescenza della natura divina che passa da uno stato di incoscienza allo stato cosciente che è il pensiero umano. Lo spirito fuoriesce dalla materia con una emanazione naturale. È la materia divenuta pensante, cosciente da se stessa per un processo di “coscienzizzazione”! [il manicomio è lo stesso ma i reparti son diversi!] – La rivolta di Adamo contro una divinità gelosa, l’incarnazione del Cristo che rigetta la divinità primitiva per elevarsi verso la coscienza umana, sono le tappe (Hegel dice “i momenti”) successive e capitali del divino verso il suo compimento. In effetti, come ogni essere vivente che, fatto grande, rigetta gli inutili rifiuti, i vecchi vestiti troppo piccoli per rivestire le nuove dimensioni e l’accrescimento dell’essere (è la legge medesima di ogni evoluzione biologica), così una perfezione nuova nel processo di divinizzazione rende caduche tutte le forme precedenti: che può fare un dio incosciente, ma che inizia a conoscere, davanti alla scienza di Adamo, se non ritardare il momento in cui questa scienza lo dominerà? Che può fare un Cristo divenuto uomo, se non spogliarsi di una divinità divenuta illusoria alla presenza della perfezione dello spirito umano? Etc. – Infine la distinzione del bene e del male non ha più alcun senso. L’evoluzione del tutto nel panteismo non lascia posto che a due nozioni: le forze che danno propulsione al movimento (e sappiamo che satana ne è il “maestro”) e le forze che frenano il processo di auto divinizzazione, e noi sappiamo già che saranno schiacciate dalla velocità che il movimento stesso acquisisce … Allo stesso modo non c’è più bisogno dell’iniziazione, del segreto riservato a coloro che stanno per realizzare la loro unione perfetta e raggiungere questo pleroma, e rifiutata agli altri condannati a restare chiusi ciecamente nei loro corpi materiali. Ma al contrario, tutti gli uomini sono coinvolti nel movimento, che lo vogliano o meno: coloro che trascinano sono schiacciati e gli avvenimenti della storia non sono che scossoni provocati dalle variazioni di velocità tra gli essere multipli che si lasciano più o meno facilmente spingere verso l’unità del gran tutto. – Ciò che resta immutabile, eterno in questa evoluzione, è la legge del movimento, legge assoluta, alla quale alcun essere sfugge. Le resistenze di taluni non sono che sussulti senza conseguenze. Una spinta più forte data dal “maestro” dell’evoluzione rimette ciascuno al suo posto nella “ruota universale delle cose”.

3) Qualche conseguenza nella dottrina marxista-leninista.

Il marxismo è uno sforzo gigantesco per far passare nella pratica il tema della morte di Dio e la divinità del mondo. « Prendere coscienza della inesistenza di Dio e non prendere coscienza nello stesso tempo della propria divinità, è assurdo », fa dire Dostoievsky ad uno dei suoi eroi. In altri termini non c’è altra alternativa al teismo che il panteismo, l’ateismo resta una nozione puramente negativa. L’uomo deve appropriarsi della potenza creatrice attribuita già a Dio. La promessa di satana: “voi sarete come dei” deve essere realizzata dall’uomo: questa sarà la deificazione dell’uomo « per l’uomo, con l’uomo e nell’uomo »; si osservi l’inversione blasfema della formula liturgica del “per Ipsum”! – Gli attributi di Dio d’ora in avanti diventano del mondo e dell’uomo! – Il culto del lavoro; Karl Marx scrive: « Tutta la storia universale non è altro che la procreazione dell’uomo attraverso il lavoro umano. L’uomo così possiede la prova visibile ed irrecusabile della nascita di se stesso, del processo della propria auto-creazione ». L’uomo è il prodotto del lavoro umano. Il lavoro è potenza creatrice e liberatrice. – Noi abbiamo visto che gli gnostici affermano l’autocreazione di Dio da se stesso. Creando, Dio crea se stesso poiché gli esseri che egli genera non sono che lo sviluppo interno della sua divinità. L’uomo è Dio, dice Hegel, lo è sovrimentemente, perché è il Dio coscienza. egli si procrea da se stesso con la sua azione. Ma è il lavoro che trasforma la natura, la trasforma e la conduce verso il completamento della sua auto divinizzazione. Il lavoro è dunque obbligatorio. « Niente lavoro, niente pane”, poiché “senza il lavoro che trasforma il mondo obiettivo, l’uomo non può trasformare se stesso”, ha detto Marx. Vediamo così bene che non è possibile non solo resistere al movimento della storia, ma neppure incrociare le braccia per assistere da spettatore indifferente: la ruota universale schiaccia anche coloro che si arrestano ai lati del sentiero ». – satana è il grande tentatore. La sua menzogna ha veramente le apparenze di una verità totale. Ecco perché egli attira tante anime nelle sue trappole. È molto difficile resistervi se non si è armati di una solida conoscenza della vera fede. È nella misura in cui gli spiriti si sono svezzati dall’insegnamento della Chiesa, che essi si precipitano nelle  sette “gnostiche” moderne, comprese la setta vaticana del “novus ordo” o le sette eretico-scismatiche dei sedicenti tradizionalisti [tutte sempre più staccate dall’insegnamento cattolico e dal Magistero pietrino], o nel marxismo, che propongono loro una conoscenza perfetta ed una efficacia temporale che conduce ad una “riuscita” sicura in questo mondo divino.

Il TOMISMO contro la gnosi, a guardia dell’unica verità

Come resistere dunque a questa attrazione? Lo abbiamo già più volte indicato, e qui lo ripetiamo: mediante uno studio serio e la riflessione attenta sugli articoli e i dogmi di Fede e della dottrina Cattolica, nonché del Magistero Ecclesiastico. Ma ciò che ha da circa un millennio inchiodato, ed ancora oggi inchioda inesorabilmente le allucinanti proposte ed i deliri orgogliosi della “teologia di satana”, è la filosofia e la teologia del Dottore Angelico, il sommo aquinate, l’Angelo della scuola, San Tommaso d’Aquino, l’ispirato dal “vero” Dio, quello Uno e Trino, sordo alle suggestioni del “serpente” antico, ed apportante luce all’intelligenza umana, CREATA da Dio! Ecco perché i Santi Padri degli ultimi tempi hanno raccomandato supplichevoli, conoscendo i danni immensi della gnosi, lo studio della teologia dell’aquinate: Leone XIII in “Æterni Dei lo ribadisce con fermezza e in una lettera al Generale dei Francescani del 13 dicembre del 1885 si esprime così … « L’allontanarsi dalla dottrina del Dottore Angelico è cosa contraria alla nostra volontà e, insieme, è cosa piena di pericoli». In “Doctoris Angelici [motu proprio del 29 giugno  del 1914] S. Pio X imponeva come testo scolastico la Summa Theologica alle facoltà teologiche, sotto pena di invalidarne i gradi accademici. « Allontanarsi dalla metafisica dell’essere comporta un grave pericolo di conclusioni disastrose …» come abbiamo visto dai neoplatonici fino a Marx, Hegel fino e al Modernismo anti-teologico… « Parvus error in principio, magnus est in fine … » scriveva San Tommaso, e ne abbiamo esaminato rapidamente la giustezza dell’assunto, figuriamoci poi se l’errore iniziale non sia “parvus”, bensì “magnus”! Così Pio X incaricò padre Mattiussi di compilare le XXIV tesi del tomismo, lavoro approvato nel 1914. Benedetto XV decise che le XXIV tesi dovessero essere proposte come “regole sicure di direzione intellettuale”. Perfino il Codice Canonico al n. 1366-2 diceva: “il metodo, i principi e la dottrina di San Tommaso devono essere seguiti santamente o con rispetto religioso” [C. J. C. 1917]. E poi si rimanda alle encicliche: “Pascendi” e al decreto “Sacrorum Antistitum” [1 sett. 1910] di Papa Sarto, a “Fausto appetente die” [29 giugno 1921] « Thomæ docrinam Ecclesia suam propriam esse » [La Chiesa ha stabilito che la dottrina di S. Tommaso è anche la sua dottrina], di Benedetto XV; fino a “Studiorum ducem” [1923] di Pio XI.

LA GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (9): UN CANCRO NEL SENO DELLA CHIESA -III-

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (9)

LA GNOSI: UN CANCRO NEL SENO DELLA CHIESA -III-

La franco-massoneria, maestra di gnosi

La franco-massoneria è la congregazione militante della gnosi. Tutti i maestri dell’ordine, sapienti nella scienza massonica lo hanno incessantemente detto e ridetto. Per convincersene è sufficiente esaminare i loro scritti, i loro manuali di base, i rituali ed istruzioni dei diversi gradi. Ma è necessario sbarazzare queste opere classiche della F:.M:. da tutti i “pasticci” e gli “impiastri” simbolici o allegorici che rendono la lettura così stancante, quasi irritante per una intelligenza ordinaria. Così infatti scopriremo la sostanza del loro insegnamento e saremo stupiti di ritrovarci in un “paese” di nostra conoscenza, largamente esplorato

1° LA DIVINITA’ MASSONICA

La F:. M:. è una super-religione: « La massoneria, dice Albert Pike (“morale e dogma”), insegna ed ha conservato in tutta la sua “purezza” i principi fondamentali della vecchia fede primitiva, che sono la base sulla quale poggia ogni religione. Tutte le religioni esistite finora hanno avuto un fondo di verità e tutte lo hanno ricoperto di errori. Le verità primitive insegnate dal Redentore furono più rapidamente corrotte, mescolate ed unite a delle leggende quando furono insegnate ai primi uomini ». – Così « la massoneria, afferma il Dr. Mackey, non ha alcuna pretesa di prender posto tra le religioni del mondo, intese come sette o sistemi particolari di fede o di culto, per cui distinguiamo, ad esempio, il Cristianesimo da giudaismo … ». –  Essa dunque è la religione universale (e dunque eminentemente cattolica, ma non romana, perché quest’ultima è la religione particolare dei Romani, dunque una setta infestata dal microbo e le corruzioni del paese e del clima romano). Essa non chiede ai suoi iniziati che l’adesione a due verità fondamentali: la credenza nell’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima; ma bisogna ben comprendere quello che la “scienza” massonica intende per questo. Albert Pike ci mostra « Dio come Padre infinito di tutti gli uomini … »; « La natura, egli aggiunge, intendendo con questo termine la totalità degli esseri, ecco ciò che è potente, attivo, saggio e buono. La Natura trae da se stessa la propria vita, è stata, è e sarà la causa della sua esistenza, lo spirito dell’universo e la sua stessa provvidenza. Certamente c’è un piano ed una volontà, dalle quali proviene l’ordine, la bellezza e l’armonia della natura … ». Ci si può domandare come un essere (la natura) potrebbe essere causa di se stessa e dunque agire prima di esistere? Ma ai massoni la logica poco importa! – « Dio, aggiunge Albert Pike, è l’anima vivente, pensante, intelligente dell’universo, il permanente, l’immutabile di Simon Mago, l’uno di Platone, etc. » (Si vede che il sapiente in “scienza” massonica conosceva i buoni autori e si riferisce ad essi come ai suoi maestri!). – Egli precisa ancora: « Mentre l’indiano ci dice che Parabrahma, Brahm e Paratma compongono la prima trinità, che l’egiziano adora Ramon-Ra, Neith e Phta (Toht o Hermes) ed i pii Cristiani credono che il Verbo abiti nel corpo mortale di Gesù il Nazareno, la massoneria inculca la sua antica dottrina e nulla più … Secondo la cabala, Dio e l’Universo non sono che un’unica cosa. Secondo Pitagora, Dio era uno, una sola sostanza, le cui parti continue si prolungavano attraverso l’universo senza separazione. Pitagora fa così dell’universo un Grande Essere, intelligente come l’uomo, una immensa divinità avente in sé ciò che l’uomo ha in se stesso, il movimento, la vita, l’intelligenza. Tale è, Fratello mio, il vero Segreto Reale ». Noi riconosciamo qui la dottrina dell’emanatismo, essenziale alla gnosi. Ma è necessario precisare che il riferimento a Pitagora si applica alla setta dei neo-pitagorici, quella che ha composto i “Versi d’oro” di cui abbiamo parlato. – Il vero nome di questa divinità massonica, è “Jehowah”, il tetragramma sacro, la “parola persa” base del dogma e dei misteri massonici. Jehowah, altra forma della parola Yhavé nella Bibbia, procede per emanazione, si estende, emette delle parti di se stesso in uno spazio vuoto preparato per riceverlo. – meglio ancora, dicono i nostri sapienti di massoneria, Jehowah è l’uomo stesso, l’Adam-Kadmon, l’Archetipo (oggi diremmo il prototipo) dell’umanità, la prima emanazione della divinità, il “Figlio di Dio”. Così è l’umanità che ha creato Dio, dice il F:. Pike, e gli uomini credono che Dio li faccia a sua immagine, perché essi lo fanno alla loro ». Noi comprendiamo bene con questa formula che la “divinità” massonica si crea essa stessa estendendosi sotto le forme umane che son le più perfette emanazioni del Grande Essere. – Ma non confondiamo! Il “Jehowah”, divinità massonica non ha niente a che vedere con il “Jehowah” della Bibbia, l’altro nome di Yahvé, quello del Dio Creatore. In effetti « la divinità dell’Antico Testamento, dice ancora Pike, sempre in “morale e dogma” è dappertutto rappresentato come l’autore diretto del male, dispensatore agli uomini degli spiriti cattivi ed ingannatori (tra parentesi, si tratta degli Angeli e dei Profeti) … il Dio dell’Antico Testamento e di Mosè è degradato al livello delle umane passioni … è una divinità violenta, gelosa, vendicativa, tanto quanto incerta e irresoluta; essa comanda degli atti odiosi e rivoltanti di crudeltà e di barbarie … ». L’odio per il Dio creatore è la pietra fondante, il carattere specifico di tutta la gnosi, ed è una blasfemia! La F:.M:. l’ha adottata e presa a prestito dalla gnosi.

2° L’ANIMA UMANA

« L’anima umana, dice sempre Albert Pike, è di natura divina, avendo tratto la sua origine in una sfera più vicina della divinità e ad essa ritornante quando è sbarazzata della spoglia del corpo, non potendovi tornare che purificata da tutte le sozzure del peccato che si sono, per così dire, incorporate alla sua sostanza in seguito alla sua unione con il corpo. Il massone che possiede il “segreto reale” può insegnare che l’anima, quando sarà spogliata dalla materia che la circonda e che l’ha soggiogata, quando si sarà sbarazzata della ganga che la deforma, ritroverà la sua vera natura e si eleverà per gradi, mediante la “scala mistica delle sfere” (sono gli eoni dei nostri gnostici) per riguadagnare il suo primitivo soggiorno, il suo luogo di origine. » Ogni commento indebolirebbe la forza di tali affermazioni [di una gratuità ed imbecillità disarmante!] che sono ricopiate direttamente sulle opere gnostiche.

3° IL GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO

La massoneria si è proposta come fine la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, cioè la ricostruzione dell’umanità. Perché ricostruire? Se non perché il primo demiurgo, Yahvé, aveva perso la sua creazione? Ricostruire l’umanità per il massone consapevole e profondamente iniziato, è realizzare il ritorno all’Unità delle anime disperse nei corpi, è un ricomporre la divinità primitiva, completarne la pienezza: questa è la “Grande opera”. Così l’iniziazione costituisce uno “shock illuminante”, con la sua iniziazione l’illuminato « apre gli occhi », vede infine nella sua religione le corruzioni che ne hanno deformato la rivelazione primitiva e « penetra nella verità dopo avere errato tra gli errori, tutto coperto dalle sozzure del mondo esterno e profano … ». – Occorre dunque purificare l’umanità e ricostruirla secondo il piano di un architetto divino. Che l’iniziato prenda il suo grembiule, si armi di compasso, di cazzuola, di squadra e triangolo e si metta al lavoro: « il nostro lavoro costituisce il nostro culto. – Ma per fare questo bisogna procedere con ordine; bisogna conoscere la scienza della geometria. Il fratello iniziato è un costruttore del Tempio dell’umanità, gli serve un architetto, un Grande costruttore, un Grande geometra: « il grande architetto dell’universo » … – « questi è un sovraintendente, agli ordini del quale noi dobbiamo lavorare come operai ». Certo, egli è divino, così come l’uomo dopo la sua illuminazione attraverso il rito dell’iniziazione; ma non è la divinità totale, lo “Jehowah”. – « Il F:.M:. dice Oswald Wirth, nel suo “libro del maestro” si guarda bene dal definire il grande architetto dell’universo e lascia a ciascuno dei suoi adepti piena libertà di farsene un’idea conforme alla sua fede o alla sua filosofia. Badiamo bene di non cedere a questa pigrizia dello spirito che confonde il grande architetto degli iniziati, con il Dio dei Credenti. » – Ecco dunque ciò che è chiaro: non bisogna soprattutto definire la natura di questo architetto e non dargli un nome che permetterebbe di identificarlo. – Ma i veri iniziati, i “Maestri del sublime segreto”, coloro che hanno penetrato più profondamente i misteri della grande arte reale, conoscono bene il suo nome. « Il “serpente” dice Oswald Wirth, nel suo “libro dei compagni”, ispiratore di disobbedienza, di insubordinazione e di rivolta, fu maledetto dagli antichi teocrati, mentre era in onore tra gli iniziati. Questi stimano in effetti che non si potrebbe avere niente di più sacro delle aspirazioni che ci portano ad avvicinarci progressivamente agli déi considerati come potenze coscienti, incaricate di difendersi dal caos e di governare il mondo, rendere simile alla divinità: tale era l’oggetto degli antichi misteri. Ai giorni nostri il programma di iniziazione non è mutato affatto. – Così dunque il serpente è chiamato dai grandi iniziati a sbrogliare il caos di un mondo fatto male da un demiurgo maldestro, per ricostruirlo secondo un piano perfetto, quello del grande tempio e dell’umanità e così … « noi giungeremo a realizzare l’ultima parla del progresso, l’uomo, sacerdote e re di se stesso, che non si risolleverà se non con la sua volontà e la sua coscienza ». (Ragon: “Corso filosofico”). – Come sia possibile che un uomo dotato di un minimo di intelligenza e razionalità possa prendere semplicemente in considerazioni tali imbecillità demenziali, deliri gratuiti e senza alcun fondamento né lontanamente dimostrabili o evidenti, è certamente il mistero più grande del nostro mondo “progredito”, chiara evidenza di un uomo superbo ed orgoglioso che, pur di ribellarsi a Dio, è disposto a bere veleno di ogni tipo, a prostituirsi nell’animo e sottostare a fandonie, favole, filosofie astruse ed indimostrabili propinate da psicopatici dediti a culti satanici, al contatto continuo con il “serpente ingannatore” di cui si compiacciono, onde trascinare adepti negli eterni abissi infernali.

LA PENETRAZIONE MASSONICA NELLA SOCIETA’ CRISTIANA

La domanda che si posero inizialmente i rivoluzionari per distruggere la società cristiana fu questa:  « Come penetrare in questa società e poco a poco distruggerne le strutture politiche e sociali, poi le convinzioni religiose? » Bisognava dunque dapprima sedurre l’opinione Cattolica facendo ad essa assorbire dei principi distruttori presentati come delle idee positive; occorreva in seguito allontanare la diffidenza o l’ostilità delle autorità politiche e religiose (Re e Papi), da qui la politica del segreto ed il rispetto almeno apparente delle convinzioni cristiane. Bisognava pazientemente sostituire senza mai manifestarlo un pensiero, deformato da falsificazioni successive, progressive ma insensibili, al pensiero cristiano. Era necessario pure ottenere una tolleranza ufficiale delle logge e delle conventicole, organizzando un reclutamento iniziale difettoso, perché impregnato ancora di mentalità cristiana, ma già adatto a ricevere qualche germe nuovo. – Così la “Costituzione massonica” di Anderson afferma i principi che essa vuol distruggere,  preparandone le deformazioni. Essa proclama l’esistenza di Dio, il rispetto della Religione, ma si dichiara filosofica e progressista! Essa afferma che il suo scopo è la « ricerca della verità e la libertà di coscienza »; è questa un’assurda contraddizione: come cercare la verità se si deve rispettare qualunque religione? Come conservare la libertà di coscienza se si deve professare l’esistenza di Dio? Si cominciano a preparare le onde di assalto alla Chiesa Cattolica! La tolleranza non può combinarsi con il rispetto di tutte le religioni, poiché ce ne sono alcune intolleranti. La ricerca della verità suppone la soppressione di tutti i dogmi religiosi, poiché essi sono immutabili e sono già delle verità acquisite. I Papi condannano la F:.M:.? Essi manifestano così la loro intolleranza e la loro attitudine provocatoria! La F:.M:. nel contempo prepara la cecità dei poteri politici [oggi dilagante in tutte le nazioni del mondo]. Bisognava quindi darsi una facciata piacevole, mondana per allontanare ogni diffidenza ed ottenere così l’autorizzazione ad esistere, condizione assolutamente necessaria per agire efficacemente su di una popolazione profondamente Cristiana, la cui educazione religiosa ne aveva, nel corso dei secoli, impregnato l’anima.    

1° – La F:.M:. è una società di educazione rivoluzionaria.

Non era possibile per i dirigenti dare direttamente degli ordini ed esigere l’obbedienza senza svelarsi e rendersi vulnerabili. Bisognava allora procedere altrimenti. Tra tutti coloro che aderivano alle logge, occorreva operare una selezione: gli uomini onesti e pacifici si autoeliminavano man mano: sia per il disgusto di riti bizzarri e stupidi, sia per indifferenza: la porta di uscita era aperta e spalancata: era sufficiente ascoltare un insegnamento un po’ più inquietante per ottenere la fuoriuscita degli iniziati rimasti relativamente onesti: era questa una prima forma di epurazione allorché la F:.M:. si preparava ad un’azione più incisiva e fortemente rivoluzionaria. Le fuoriuscite venivano poi compensate da nuove reclute, restando così in attività gli ambiziosi, gli insoddisfatti, gli arrampicatori; era allora possibile “rinforzare” e rincarare la dose con un insegnamento più “filosofico, progressista e illuminato”. Si inculcava soprattutto la convinzione che essi lavoravano in vista del progresso dell’umanità e che erano i campioni di un “ordine nuovo”, liberati alfine dalle vecchie virtù d’abitudine considerate. – I dirigenti massonici hanno sempre utilizzato ed utilizzano due metodi rimarchevoli per ottenere questa “educazione rivoluzionaria”:

a) La doppia gerarchia. 1° – Una gerarchia amministrativa ufficiale che sostiene un apparato istituzionale relativamente anodino, 2° – una gerarchia segreta: quella degli alti gradi nella quale gli iniziati non sono eletti dalla base, ma cooptati dai gradi superiori. I gradi amministrativi eletti sono rinnovati annualmente e democraticamente: essi sono l’immagine stessa dei nostri moderni governi che sono facciata per gli allocchi e i creduloni. Gli alti gradi sono ottenuti con la selezione vigorosa dei più convinti “ideologicamente”, e sono conferiti a vita.

b) I “cerchi interni” ove si pratica la dinamica di gruppo. In ogni loggia od “officina”, agisce un piccolo numero di aderenti, circa una ventina: circolazione libera e frequente degli alti gradi nel corso delle sedute di retrologgia, che si svolgono sempre secondo un carattere religioso per imporre, anche agli scettici, un certo sacro timore reverenziale. Ora, prima della seduta di un’officina o di una loggia, gli alti gradi si sono già riuniti tra loro; essi hanno messo a punto lo svolgimento dei dibattiti, le idee dominanti da far penetrare negli spiriti e poi da far adottare. Essi si ritrovano in due o tre tra la massa dei fratelli non iniziati, non hanno ordini precisi o consegne da impartire, ma “suggeriscono”, propongono delle formule e delle decisioni da adottare. Gli altri “fratelli”, non iniziati ai gradi superiori, credono di essere giunti essi stessi “spontaneamente” alle decisioni che poi adottano. È questa la “dinamica di gruppo”. – Ecco quali sono le idee essenziali che resteranno negli spiriti dei semplici fratelli: la F:.M:. è sacra, le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Il suo simbolismo è oscuro, equivoco, ma la “leggenda di Hiram” permette di invertire, ribaltare il senso della Bibbia: Caino diventa un odiosamente calunniato, vittima della gelosia di Abele, un ancestre di tutti i grandi inventori della storia, addirittura il padre della “civilizzazione, del progresso, dei lumi”. – La tolleranza è la grande virtù del fratello iniziato: si è pure soppresso il G:. A:. D:. L:. U:. [grande architetto dell’universo] per non urtare la coscienza di coloro che non credono all’esistenza di Dio [come gli antipapi attuali che non benedicono – e meno male, perché in realtà maledico – in quanto tra gli astanti potrebbe esserci qualche non credente!] . Tra tutte le opinioni che si scontrano, il fratello può difendere le une, ma deve accettare la vicinanza delle altre e rispettarle. – Questa tolleranza è predicata fino al fanatismo, come vediamo tra l’altro anche nella “sinagoga di satana” attuale, la setta vatican-massonica del “novus ordo” che si è insidiata nei sacri palazzi della Chiesa Cattolica; i “fratelli” moderati sono denunciati per la loro mollezza nei confronti della tolleranza [evviva la libertà di coscienza unidirezionale ed intollerante, questa!]. Così gli uomini più dolci pian pianino diventano fanatici; questa idea della tolleranza deve essere un’arma incessantemente rivolta contro la Chiesa intollerante. Si rispetta il “Cristiano sincero”, il Cristiano “illuminato”, si fustiga al contrario il Cristiano chiuso sul suo dogma, il Cattolico di ferro”, incapace di aprire il suo spirito ai “lumi” della nuova società, insomma “l’integralista”, il “fondamentalista”, … dunque il nemico da abbattere. E così il “fratello”, il “figlio della vedova” è pronto a passare all’azione. La sua educazione rivoluzionaria è praticamente completata! –

2° – La F:.M:. è una scuola di preparazione all’azione.

Dopo cinquanta anni di questa educazione, bisogna passare finalmente all’azione. In effetti nel corso di una prima generazione di iniziati, si è operata una notevole selezione. Nella generazione successiva, la maggior parte degli iniziati si sono alfine preparati  all’«ODIO» della civiltà cristiana e della Fede Cattolica perché si possa sperare una rivoluzione con qualche chance di successo e senza troppe agitazioni, soprassalti ed opposizioni all’interno della società massonica. – Arriva il giorno “X”, quello della Rivoluzione: gli uomini sono pronti; la F:.M:. ha concluso la sua opera educativa. Essa si mette “in sonno”, sfuggendo così alle conseguenze di un eventuale fallimento. I “fratelli” costituiscono delle “società di azione rivoluzionaria”: i giacobini, i teofilantropi, la carboneria, la lega dell’insegnamento, l’Eteria greca, la Feniana irlandese, i “giovani turchi”. Restano dei circoli confidenziali, delle influenze individuali scrupolosamente coperte, per ricordare ai fratelli esitanti ciò che ci si aspetta da loro. Al momento del passaggio all’azione rivoluzionaria, una moltitudine di fratelli apre gli occhi: i principi inculcati conducono a ciò che non si voleva: sarà la fuga dei fratelli disillusi. Resteranno solo i violenti, gli ambiziosi. L’ultima epurazione è completata! La rivoluzione finirà nelle mani dei “puri”, degli spiriti completamente illuminati. Infine si deve abbattere l’ “infame”!

3° – La F:.M:. è una “contro-Chiesa” camuffata

Tra gli alti gradi massonici esiste quello dei “rosa+croce, il 18° grado. – L’iniziato che ha superato questo grado è necessariamente prigioniero del suo odio contro la Chiesa Cattolica [solo per inciso ricordiamo che tra gli illustri rosa+croce moderni si annoverano personaggi del calibro di A. Roncalli, G.B. Montini, A. Bugnini, A. Lienart, … l’elenco è lungo!]. Come provocare quest’odio antireligioso: con il far praticare all’iniziato dei gesti, pronunziare davanti a testimoni delle parole che possono disgustare ogni uomo onesto e di buona fede. Da questo momento l’iniziato è prigioniero di ciò che sta per compiere; egli è “ostaggio” degli altri iniziati, testimoni definitivi della sua profanazione [cfr. in exsurgatdeus.org//messa nuova: liturgia rosa+croce?; Il grado è descritto nei dettagli da mons. L. Meurin nel suo celeberrimo libro: “Franco-massoneria, sinagoga di satana”]. Il rito di iniziazione al grado rosa+croce è una odiosa profanazione della Santa Messa [profanazione oggi riprodotta nella falsa e blasfema messa della setta del novus ordo, introdotta dal massone A. Bugnini e dall’”illuminato patriarca” G. B. Montini, l’antipapa sedicente Paolo VI]. Questo grado comprende il segno d’ordine detto del “Buon Pastore”, una parola “de passe”, il motto sacro: “Emmanuel” [il dio-fuoco è con noi] al quale si risponde “pax vobis” [la pace di coscienza sia con voi]. Addirittura il “motto perduto e ritrovato” per i rosa+croce è INRI, interpretato però cabalisticamente in: igne natura renovatur integra, la natura intera è rinnovata col fuoco … di lucifero, ovvio …]. – Poi si svolge la “Cena” rosacrociana: pane e vino sulla tavola.  Il maestro delle cerimonie dichiara: « che questo pane ci mantenga in forza e salute », poi « che questo vino, simbolo dell’intelligenza elevi il vostro spirito ». Ancora: “prendete e mangiate, datene da mangiare a colui che ha fame”. “Prendete e bevete, datene da bere a colui che ha sete”. Poi c’è il “sacrificio dell’agnello” coronato di spine e con i chiodi alle zampe, decapitato e con zampe mozzate date al fuoco. Infine: “Tutto è consumato, ritiriamoci in pace …”. – Il testo massonico dice: « Il cavaliere rosa+croce è un apostolo. Il suo apostolato gli comanda di porre l’amore per l’umanità spinto all’estremo sacrificio, sul frontespizio dell’opera che persegue … una storia anche abbreviata della croce la cui origine si perde nella notte dei tempi … il punto cruciale così determinato dalla croce è l’asse della ruota universale delle cose, generata dalla rivoluzione della croce intorno al punto di intersezione delle sue branche, immagine dell’evoluzione del “gran tutto” … luogo di incontro di valori estremi o opposti, questo punto cruciale è anche il mediatore ed è assai curioso notare che il nome egiziano di questo mediatore è “Krist”, che significa “Il possessore del segreto”. – Dopo una tale iniziazione ed una tale profanazione della Santa Messa, si può ben comprendere lo stato dello spirito di un vescovo F:.M:. che celebra l’ufficio religioso, pensiamo ad esempio al F:.M:. Talleyrand, fino ai più recenti, A. Roncalli, G. B. Montini, A. Bugnini, A. Lienart, S. Baggio, e tantissimi altri, che a citarli tutti non basterebbero i volumi di un’intera enciclopedia!

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (8): Un cancro nel seno della CHIESA II

LA GNOSI, UN CANCRO NEL SENO DELLA CHIESA -II-

LE DEFICIENZE E LE INCONGRUENZE DELLA GNOSI

1° Il Panteismo

Negli insegnamenti degli gnostici, c’è una cascata di incoerenze che conducono a conclusioni prive di ogni senso ed i primi apologisti cristiani, i Padri della Chiesa non hanno mancato di far risaltare con le loro argomentazioni le incongruenze della loro dottrina. Sant’Ireneo, ad esempio, nel suo « Adversus Hæreses », si ripropone di confutare tutto il loro sistema. Ecco come Mons. Freppel riassume il suo argomentare: « O voi separate Dio dal mondo, o confondete Dio ed il mondo, e nell’uno e nell’altro caso, distruggete la vera nozione di Dio. Se ponete la creazione al di fuori da Dio, nel senso che questa esiste indipendentemente da Lui, qualunque nome diate a questa materia eterna, che la chiamiate “vuoto”, “Caos”, “Tenebre”, poco importa: voi limitate l’Essere divino, ne circoscrivete l’ambito di attività praticamente in modo da negarlo! Dio non può esistere che a condizione di essere infinito, di racchiudere in sé l’universalità degli esseri e non ce n’è uno che possa esistere da se stesso o sfuggire alla sua potenza di Essere sovrano. Voi avete un bel dire che il mondo potrebbe essere stato formato da Angeli e da qualche altra potenza secondaria (qui il Demiurgo, Yahvé), delle due cose, l’una: o essi hanno agito contro la volontà del Dio supremo, o in obbedienza ad un suo comando. Nella prima ipotesi voi accusate Dio di impotenza; nel secondo caso, voi siete ricondotti, vostro malgrado, alla dottrina cristiana, che vede gli Angeli semplici strumenti della volontà divina. Dunque, o ammettete la creazione, o rinunciate per sempre a trovare il vero Dio. » In questa prima alternativa, gli gnostici sono condannati ad inventarsi, il loro “pleroma”, privo di ogni potere, il gran “Tutto” indicibile, inconoscibile, incosciente, impersonale. La creazione del mondo materiale sarebbe una catastrofe maldestra di una divinità inferiore, che ha voluto manifestare la sua indipendenza e la propria volontà agendo all’insaputa della Divinità-Pleroma. È il caso di Yahvé. « Ma se al contrario voi ponete la creazione in Dio, in modo tale che essa si riduca ad un puro sviluppo della sua sostanza (si tratta dunque di Emanazione), entrate in una via ancor più inestricabile. Allora tutto ciò che nella creazione è imperfetto e impuro ricade su Dio stesso, la cui sostanza diviene la loro. Voi dite che il mondo è il frutto dell’ignoranza e del peccato (il peccato di Yahvé), il risultato di una incoerenza o di una caduta del Pleroma, una degenerazione progressiva dell’Essere o, secondo la vostra metafora preferita, “una macchia sulla tunica di Dio”; ma non vedete che in questa confusione dell’infinito con il finito, è la natura stessa che decade, che degenera, che è intaccata dal vizio e dall’imperfezione? È possibile alterare più gravemente la nozione di Dio? Voi non potete sfuggire a questa conseguenza se non tornando al dogma cattolico della Creazione che, benché sia misterioso, racchiude l’unica soluzione ragionevole, perché distingue perfettamente ciò che non deve essere separato né confuso. » Tale fu l’insegnamento di Sant’Ireneo. Si vedrà più avanti come essa resti pertinente anche nei confronti del panteismo moderno professato ad esempio da Hegel ed dai Marxisti, o più recentemente dal modernista novus ordo come è evidente tra l’altro in una sedicente pseudo-enciclica gnostico-anticristica e demenziale anticattolica, che ingannevolmente richiama il cantico di San Francesco d’Assisi. In effetti se il mondo e Dio non fanno che un solo Essere, bisogna introdurre in questo mondo divino il movimento, gli accidenti, le imperfezioni, il male: il panteismo sarà necessariamente evoluzionista [l’evoluzionismo, non è una teoria scientifica, anche perché non ha ricevuto mai nessuna conferma da chicchessia, né da ricercatori, né da veri scienziati, anzi biologi e genetisti hanno dimostrato da tempo l’assoluta impossibilità che il materiale genetico possa modificarsi in organismi accoppiabili in tempi brevi e con mutazioni multiple contemporanee che, nel calcolo delle probabilità, non hanno praticamente alcuna possibilità di verificarsi; esso è bensì una “filosofia” di carattere gnostico panteistica, portata avanti dalle logge e dalle conventicole massoniche e dai suoi adepti che vengo opportunamente presentati dai mass media [anch’essi gestiti dalla quasi totalità dai “grembiulini” a scacchi], come grandi scienziati senza averne alcun titolo dimostrabile, e che vengono, per conferire loro lustro, insigniti da roboanti premi, fregi, medaglie e prebende che ingannano i poveri “allocchi” e “babbei” che credono ancora alle fandonie spacciate per libera scienza sperimentale o teorica che sia].

2° Il problema del male

Sant’Agostino ci racconta come egli fosse vissuto dieci anni tra i manichei, che furono gli gnostici del suo tempo: « Io credevo allora che non siamo noi che pecchiamo, ma è la nostra natura “estranea” che pecca in noi  (nescio quam aliam in nobis peccare naturam) … mi piaceva molto credere che io non fossi mai colpevole … ero ben contento di giustificarmi e di respingere la mia colpa su non so quale principio da me distinto, benché fosse in me (et accusare nescio quid aliud, quod mecum esset et ego non essem), ed il mio peccato era tanto più incurabile quanto più credevo non peccatore …  » . Ora io non sapevo quale principio fosse in me, per cui non ero io, ma Dio la fonte dei miei peccati: « C’è nel cielo una causa inevitabile che fa peccare (inevitabilis causa peccandi: è Venere, Saturno o Marte che vi hanno fatto fare tale azione, volendo così che l’uomo sia esente da ogni colpa e che questa sia anzi rigettata su Colui che ha creato i cieli e gli astri … Ora chi è Costui se non Voi, mio Dio! » (culpandus sit autem cæli et siderum creator et ordinator).  – Si vede da questo passaggio, estratto dalle “Confessioni”, quale uso avessero fatto gli gnostici dell’astrologia. Io non so chi sia che pecca in noi, è Dio, dunque un “altro”, il grande colpevole. Tuttavia gli gnostici affermano simultaneamente che il nostro “pneuma”, puro spirito, è una fiammella divina e che pertanto esso è perfetto, incapace di qualunque colpa. – C’è in questo una incoerenza fondamentale a proposito della essenza divina. Se la sorgente del male è nella divinità, non si comprende come l’uomo, pretendendo di raggiungere questa pienezza divina che gli gnostici chiamano il “pleroma”, sfuggirebbe al male che si sforza poi di rigettare su Dio! Poscia non si vede come un essere divino supposto buono per natura, ad esempio Yahvé, il Creatore, avrebbe potuto produrre un cattivo effetto, ad esempio la materia. Questo attribuire il male alla divinità non solo non risolve la difficoltà, ma non fa che rimandare il problema e renderlo insolubile. Da dove viene dunque che il Creatore abbia voluto questa caduta delle anime nella materia? Le spiegazioni date dagli gnostici sono esitanti, fantasiose: opera maldestra, accidente, catastrofe … e non possono certamente soddisfare uno spirito che persegua un minimo di coerenza. Sant’Agostino ha impiegato del tempo per sfuggire alle attrattive degli gnostici; ma egli ha finito con abbandonare le loro idee quando comprese, in seguito alle frequentazioni col vescovo manicheo Faustinus, che questa difficoltà restava presso di loro senza risposta. Tertulliano ha fornito una risposta molto interessante a questo problema nel formidabile: “Trattato contro Marcione”, celebre gnostico di Roma e discepolo poco fedele del manichei. Ecco come egli riassume l’obiezione degli gnostici, che è poi sempre la stessa, anche nei moderni increduli: « Se il vostro Dio è buono, poiché aveva la prescienza ed il potere di impedire il male, perché ha sofferto che l’uomo, sua immagine e somiglianza, o piuttosto sua stessa sostanza per l’origine divina della sua anima (qui si riconosce l’idea dell’anima “fiammella divina”, cara agli gnostici) si è lasciato sorprendere dal demonio ed infedele è caduto nella morte? Se la bontà consisteva nel non volerla come tale, la prescienza nel non ignorare l’avvenimento, la potenza nel tenerla lontana, mai si sarebbe giunti a quanto non poteva avvenire con queste tre condizioni della maestà divina. Poiché questo è invece successo, è certo dunque che la bontà, la prescienza, il potere del vostro Dio, sono delle vane chimere. La caduta sarebbe stata possibile se Dio era come voi lo fate? Essa è sopraggiunta, e dunque il vostro Dio non ha né bontà, né prescienza, né potere. ». Il problema è posto in tutta la sua acuità e l’argomentazione blasfema è rimasta invariata fino ai nostri giorni. Ecco la risposta di Tertulliano, essa è ammirevole: « Mai Dio è così grande se non quando sembra piccolo allo sguardo degli uomini. Mai più misericordioso che quando la sua bontà si cela; mai più indivisibile nella sua unità che quando l’uomo percepisce due o più principi (ad esempio i manichei)… se si chiede a qual titolo è Dio, bisognerà necessariamente iniziare dalle opere che precedono l’uomo (marchiamo bene il senso di questa necessità; è l’uomo che fa così un processo a Dio secondo il proprio giudizio; ma occorre invece innanzitutto cercare al di sopra di lui il criterio del suo giudizio) affinché la bontà di Dio rivelata da Lui stesso e poggiante da allora su una base indistruttibile, ci fornisca un mezzo per apprezzare l’ordine e la saggezza delle opere successive (noi diremmo oggi un “criterio di giudizio” distinto dal nostro giudizio, nel qual caso noi non saremmo giudici e parte in causa). Dapprima, questo vasto universo con il quale si è rivelato, il nostro Dio, lungi dall’aver mendicato ad altri, l’ha tratto dal suo fondo, l’ha creato da se stesso (è la risposta agli gnostici che presentano Dio come una divinità inferiore, utilizzante le anime “fiammelle divine” eterne, per racchiuderle nella materia). – La prima manifestazione della sua bontà fu dunque il non permettere che il vero Dio restasse eternamente senza testimoni! Cosa vuol dire? … se non chiamare in vita delle intelligenze capaci di conoscerlo. C’è in effetti un bene paragonabile alla conoscenza ed al possesso della Divinità? (e non è in effetti questa tutta la ragione di essere gnostici visto che propongono tale scopo all’esistenza?). Benché questo bene sublime fosse senza chi lo apprezzasse, in mancanza di elementi ai quali manifestarsi, la prescienza di Dio contemplava nell’avvenire il bene che doveva nascere e lo affidò alla sua infinita bontà che doveva disporre l’apparizione di questo bene, che non ebbe niente di precipitato, nulla che somigliasse ad una bontà fortuita, niente che si tingesse di una rivalità gelosa e che bisogna datare dal giorno in cui cominciò ad agire. (Tutto questo corrisponde agli gnostici che affermano che Yahvé creò la materia per accidente, senza riflettere alle conseguenze catastrofiche della sua fantasia, o ancora per vanità, per mostrare la sua potenza alle altre divinità. Si vede come Tertulliano conoscesse bene i suoi avversari e sapesse all’occorrenza, rendere loro la pariglia.). È essa [la divina bontà] che ha fatto l’inizio delle cose: essa esisteva dunque già prima del momento in cui si mise all’opera: da questo momento, nacque il tempo, del quale gli astri ed i corpi luminosi fanno la distinzione, la concatenazione e le diverse rivoluzioni. Vi serviranno dei segni, Ella disse, per supportare i tempi, i mesi, gli anni (tutto questo in risposta agli gnostici che, fedeli discepoli degli astrologi, pretendevano che i pianeti fossero delle divinità inferiori e talvolta malefiche). Così non c’era alcun tempo prima dei tempi per Colui che ha fatto i tempi. Nessun inizio per Colui che ha creato un inizio. Così non avendo avuto un inizio e non essendo sottomessa alla misura dei tempi, non si può non vedere nell’infinita bontà divina che una durata immensa ed infinita; non si può considerarla come improvvisa, accidentale, provocata ad agire (come la bontà di una divinità capricciosa, capace in altri momenti di volontà malefica), essa non ha niente che possa offrire una rassomiglianza con il tempo; essa è eterna, uscita dal seno di Dio e di conseguenza considerata come infinita e pertanto, degna di Dio. – Se è vero che la bontà e la saggezza divina caratterizzano il dono fatto all’uomo, perdendo di vista la prima regola della bontà e della saggezza, non andiamo a condannare una cosa dagli accadimenti, né decidere ciecamente che l’istituzione è indegna di Dio perché l’istituzione è stata viziata nel suo corso, ma piuttosto entriamo nella natura del Fondatore che ha dovuto procedere così: poi in ginocchio davanti alla sua opera, rivolgiamo i nostri sguardi più in basso. – Senza dubbio, quando si trova, fin dai primi passi la caduta dell’uomo, senza aver esaminato su quale piano egli sia stato concepito, non è che troppo facile imputare all’architetto divino ciò che ci è accaduto, perché i piani della saggezza ci sfuggono (Gli gnostici dicevano che Yahvé era un architetto maldestro, “demiurgo”). –  Ma dal momento che si riconosce la sua bontà fin dall’inizio delle sue opere, essa ci persuade che il male non è potuto emanare da Dio, ma la libertà dell’uomo, di cui si presenta a noi il ricordo, si offre come la vera cagione del male commesso (è per questo che gli gnostici ed i nostri moderni psicanalisti di sforzano di negare l’esistenza di questa libertà, perché questa implica una responsabilità). – Con questo, tutto si spiega. Tutto è salvato dal lato di Dio, vale a dire l’economia della sua saggezza, le ricchezze della sua potenza e del suo potere. Tuttavia ti sei sentito in diritto di esigere da Dio una grande costanza ed una inviolabile fedeltà alle sue istituzioni, affinché essendo ben stabilito il principio, tu possa cessare, o Marcione, di chiederci se questi avvenimenti possano padroneggiare sulla volontà divina. – Una volta convinto della costanza e della fedeltà di un Dio buono, costanza e fedeltà che si deve appoggiare su opere piene di saggezza, tu non ti stupirai che Dio, per arrestare nella loro immutabilità i piani che aveva arrestato, non abbia contrariato degli avvenimenti che non voleva affatto. In effetti se originariamente Egli aveva rimesso all’uomo la libertà di governarsi da se stesso, ed è stato degno della sua maestà suprema nell’investire la creatura di questa nobile indipendenza, punto che abbiamo dimostrato, di conseguenza aveva rimesso a lui anche il potere di usarne. Quando si accorda una facoltà si cerca di vincolarne o limitarne l’esercizio? – L’argomentazione di Tertulliano è rimarchevole in tutti i punti. Che l’uomo non si faccia dunque giudice e parte in causa: occorre invece un criterio di giudizio universale, anteriore al caso da risolvere: questo sarà la perfezione del mondo senza l’uomo. Dopo aver compreso bene la natura di un essere intelligente, se ne deduce che egli padroneggi i suoi atti. Questa maestria è nello stesso tempo libertà e responsabilità, le due facce di una stessa realtà con tutte le loro conseguenze. E soprattutto l’uomo non abbia da chiedere a Dio di modificare il suo piano della creazione solo perché egli non ne ha fatto un buon uso: questo sarebbe per lui imporre la volontà propria in seguito ai suoi errori; come se un colpevole, deferito ad un tribunale, volesse obbligare il giudice a modificare la legge per adattarla al nuovo stato di fatto creato dal suo reato (è quello che vediamo oggi: le leggi moderne non sono più l’espressione di un ordine oggettivo delle cose, ma della pratica corrente divenuta abitudine codificata). – Questa implicazione del libero arbitrio suppone, per essere pienamente probante, che non si faccia errore sulla libertà. In effetti, secondo la filosofia del senso comune, la volontà è sottomessa all’intelligenza, la quale è sottomessa alla conoscenza, la quale a sua volta è sotto la dipendenza totale della realtà. – Così, esiste un ordine oggettivo delle cose e la nostra volontà può trovarsi allora in opposizione con questo ordine: e questo è il male. Perché noi conosciamo, possiamo pensare un ordine diverso da quello che ci è stato dato; noi teniamo sotto un certo rapporto una distanza con il reale che ci offre un gioco, un margine di indeterminazione nella nostra volontà. – Per ottenere una piena libertà che sia una indipendenza totale dal creato reale, i filosofi moderni vanno a porre la volontà alla fonte dell’intelligenza. Così l’uomo diviene padrone del reale, e decide egli stesso del bene e del male. Ben presto, egli affermerà che il male non esiste. Di colpo l’uomo sarà libero ed irresponsabile. – Noi vedremo questo procedere del pensiero eretico, da parte degli gnostici, che rifiutano la libertà per rigettare la responsabilità, passando per gli psicoanalisti che negano l’esistenza del male, sopprimendo di colpo la responsabilità e così liberando le pulsioni, fino ai marxisti che deificano l’uomo e ne fanno il “creatore”, il motore della storia!

Il segreto iniziatico

Negli gnostici c’è ancora una incongruenza o una deficienza di gran peso: la pratica del segreto. « Noi deteniamo, essi affermano, la chiave della salvezza. È sufficiente “conoscere” per raggiungere la perfezione, per essere sbarazzati di ogni sentimento di colpevolezza. Noi possediamo il mezzo infallibile per discolpare gli uomini. » E tuttavia questo mezzo essi lo conservano segreto; essi lo riservano a dei privilegiati: i Perfetti, gli “eletti”, i “Catari”, vale a dire i “puri”, coloro che hanno realizzato l’unità perfetta,, che hanno ricevuto l’illuminazione, i “monoicoi”, i “monaci”, essi solo capaci e degni di una tale “scienza”. –  La difficoltà qui, resta senza risposta al riguardo del semplice buon senso. Quando si possiede un tale bene, lo si vuole naturalmente condividere con gli altri. La “Buona Novella” si urla sui tetti a meno che non si sia prigionieri di un orgoglio assurdo: comunicando ad altri la propria scienza in effetti, non la si perde; al contrario diffondendola intorno a sé, ci si ingrandisce, non fosse altro che per la riconoscenza e la stima che se ne ricave, oltre alla gioia che si prova nel condividere con gli altri le proprie convinzioni. – Per questa difficoltà, qualche apologista cristiano fa notare che gli gnostici rifiutavano di diffondere i propri scritti perché la lettura dei loro testi, sì oscuri ed indigesti, rischiava di nuocere alla loro reputazione ed allontanare così da questa setta molte anime. Certo! Tuttavia io penso che bisogna cercare altrove il vero motivo di questo segreto. « Larvateus prodeo »: questo è la divisa del serpente. « Io avanzo mascherato.  » Per essere adorato, satana deve coprirsi con la maschera della propria divinità. Egli è “scimmia di Dio”. È una posizione molto scomoda per un essere, seppur angelico, che desidera ricevere gli omaggi degli altri. Se il serpente gettasse la sua maschera e si presentasse ciò che realmente è, “omicida e menzognero”, egli vedrebbe allontanare da sé gli uomini con orrore e disprezzo. – Egli sa bene che le dimostrazioni di adorazione che riceve dai suoi fedeli si indirizzano realmente a Dio, ma egli le ha fraudolentemente deviate su di lui, come avviene oggi nella falsa messa della setta vaticana del “novus ordo”, rito blasfemo che è da molti considerato ancora un rito cattolico. Ora, il serpente vuole essere adorato per se stesso. Ecco la ragione di essere di una setta iniziatica. – La maggior parte degli uomini si allontanano progressivamente da questa setta man mano che ne vedono l’orientamento. – Coloro che vogliono raggiungere la perfezione, i veri “eletti del dragone”, avranno, non so per quale aberrazione del comprendonio, riconosciuto veramente il serpente ed a lui allora indirizzano, in tutta “cognizione”, i loro omaggi. Ma essi saranno, in senso proprio, posseduti, non liberati. Ecco perché gli gnostici si sforzano di inculcare ai loro neofiti l’odio verso Dio Creatore. È la condizione preliminare indispensabile ad ogni conoscenza demoniaca. I differenti stadi dell’iniziazione, i diversi gradi massonici ad esempio, sono destinati a selezionare per eliminazioni successive tutti coloro che non sono adatti a questa conversione all’inverso. satana è colui che conosce. Quando Adamo ed Eva ebbero mangiato del frutto dell’albero della conoscenza (della “gnosi”), i loro “occhi si aprirono”. Tertulliano aggiunge nel suo “trattato contro Marcione”: « Ma se Adamo disobbedisce, non intende però blasfemare contro il Creatore; egli non censura l’Autore del quale aveva provato fin dall’inizio tutta la bontà e che costrinse ad essere giudice severo per una sua volontaria prevaricazione. Questo fu un colpo! Adamo non era che un novizio in fatto di eresia ». Egli non ha voluto utilizzare la conoscenza acquisita ergendosi contro Dio; egli fuggì da Dio con gran vergogna. Fu una grande delusione per il serpente! … ecco perché poi egli ha sempre cercato di preparare delle anime capaci di « comportarsi da blasfemi contro il Creatore ». È questa tutta la ragion d’essere delle società segrete e principalmente delle società massoniche.

[… Continua]

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (7) : un cancro nel seno della CHIESA I

LA GNOSI, UN CANCRO NEL SENO DELLA CHIESA -I-

[Elaborato da: “De la gnose a l’Œcumenisme”, capitolo I: “di E. Couvert]

Dati storici

La scoperta in Egitto, nei pressi di Nag Hammadi, nel 1946, di una biblioteca gnostica in lingua copta ha rinnovato le conoscenze sulla gnosi. In precedenza si definiva correntemente la gnosi come una penetrazione del pensiero greco nel Cristianesimo primitivo o come il risultato di un sincretismo orientale, con le religioni dell’India, della Persia, dell’Egitto, che si sforzava di penetrare la giovane Chiesa e farvi germogliare le proprie credenze. – La scoperta dei manoscritti, ci ha fatto rivedere questi temi e ricondurre la gnosi ad una sua origine più vicina al Cristianesimo; essa è nata in ambito giudeo-cristiano e nutrita da un pensiero specificamente giudaico, è improntata ad un bagaglio letterario proveniente dall’Antico Testamento, anche se ha utilizzato un vocabolario greco e delle formule in apparenza filosofiche proprie dell’Egitto e dell’Iran. Occorre in effetti distinguere accuratamente un fondo culturale o religioso, sul quale si sviluppa un insegnamento nuovo, da ciò che costituisce il carattere specifico di quest’ultimo, che non è costituito da una similitudine di vocaboli o da formule prese qui e la, ma configura un nuovo ordine dell’insieme. L’insegnamento gnostico è originale, non lo si ritrova prima di allora né nelle religioni pagane, conosciute in quell’epoca, né nella filosofia greca, né nell’astrologia. La gnosi non è una “chiesa”: essa non ha provocato la comparsa di un clero con una gerarchia, né dei rituali liturgici, ed anche le cosiddette chiese gnostiche con gerarchia e liturgia, come i Manichei e i Mandei, non hanno potuto sviluppare una religione di carattere universale per deficit di natura: un insegnamento che si vuole segreto, riservato cioè a degli iniziati, non può portare a tale risultato [i Manichei infatti si sono dissolti in varie sette esoteriche, ed i Mandei conservano delle minuscole comunità testimoni di un passato di cui hanno perso il vero significato]. – La gnosi non è una “filosofia”: essa non pretende di dimostrare con l’aiuto della ragione delle verità universali, accessibili a tutti gli uomini di riflessione. Essa non dà dell’universo una visione razionale, rifiuta l’insegnamento comune diffuso da una determinata scuola. – La gnosi è essenzialmente una vegetazione religiosa parassitaria che si nutre di Cristianesimo per estrarne un certo numero di elementi che poi storna dal loro senso naturale per darne un significato nuovo totalmente opposto all’insegnamento della Chiesa [è in pratica la stessa definizione del modernismo anti-cattolico data da S. Pio X nella “Pascendi”, quel modernismo attualmente praticato della setta vaticana del novus ordo]. La gnosi è una setta di iniziati [gli eletti menichei, o i vescovi, gli “eletti”, del novus ordo, ordinati appunto dal 18 giugno del 1968 con una formula eretica e blasfema di contenuto gnostico-manicheo – v. in exsurgatdeus.org/18 giugno 1968 (7)] che pretendono di aver ricevuto una rivelazione più perfetta di quella di Gesù, riservata a spiriti d’élite sganciati dall’insegnamento ordinario della Chiesa, costituendo così un “cancro roditore” all’interno della comunità cristiana.

1° La rivelazione di Gesù-Cristo

I miracoli di Gesù in Palestina furono il punto di partenza di un immenso stupore: non li si poteva negare; anche i Farisei ed i Sadducei vi assistevano come inebetiti; si diceva: « Donde gli viene il suo potere? … Che anche i flutti del mare ed i venti gli obbediscono? Non abbiamo mai visto di tali prodigi! » Il primo gnostico, loro maestro in tutto, Simone il Mago, si presumeva capace di provocare miracoli con una sapiente messa in scena; ma davanti ai veri miracoli di San Pietro in Samaria, fu prontamente soffocato. Infatti egli domandò a San Pietro di vendergli il suo potere, di rivelargli i suoi “trucchi” di mago. Dopo lo stupore arriva l’indignazione: « È per mezzo di Beelzebul che caccia i demoni! » – I suoi insegnamenti egualmente provocavano uno stupore altrettanto giustificato: « Da dove gli viene la sua scienza e la sua saggezza? Non è egli il figlio del carpentiere? » Si può fare una distinzione in questo insegnamento: da una parte le parabole, semplici verità morali, accessibili agli spiriti più semplici, ma pur verità profonde accessibili alle intelligenze più elevate; e dall’altra parte, il suo insegnamento propriamente divino: i grandi misteri su Dio, oltrepassanti infinitamente le capacità della nostra intelligenza. Quando gli Apostoli diffondono questo insegnamento in tutto il mondo, esso prende un volo eccezionale. Esso raggiunge in un secolo tutto l’Impero Romano e tutte le classi della società. Ecco ancora la fonte di un profondo stupore: « Come dei semplici pescatori della Galilea hanno potuto essere ascoltati e seguiti da comunità sì numerose e da spiriti di ogni livello? Anche qui deve esserci una causa segreta, occulta, che bisogna scoprire! » – Gli gnostici non hanno mai compreso questo: le verità più semplici, uscite dagli spiriti più poveri a livello del senso comune, sono pure le verità più profonde che non possono essere comprese a livello più elevato che da una difficile elaborazione intellettuale, una riflessione sostenuta, una saggezza acquisita da lunga esperienza. Essi dunque vanno a cercare la causa di questa espansione in un insegnamento segreto, riservato da Gesù a qualche discepolo privilegiato: Giacomo, Giovanni, Matteo, Tommaso. Essi distinguono l’insegnamento exoterico, diffuso dagli Apostoli alle persone comuni, ed un insegnamento esoterico, riservato da Gesù e qualche Apostolo a degli iniziati superiori. Ecco l’origine della gnosi. Precisiamo ancor questo: l’insegnamento di Gesù e degli Apostoli fu pure all’origine di una grande delusione: il Cristianesimo non pretende di offrire immediatamente, con una semplice affermazione gratuita, la certezza immediata e definitiva della salvezza eterna: per raggiungerla occorre una vita di virtù, di rinunzie, di ascesi: e può essere sempre rimessa in causa dal peccato. Questa salvezza finale è conquistata mediante uno sforzo costante di tutto l’essere verso la perfezione, essa è particolarmente esigente, difficile, ardua, ma resa possibile dall’azione della grazia. – Gli gnostici vogliono invece cercare un mezzo di salvezza immediato, definitivo, che eviti certi obblighi di uno sforzo costante su di sé. Essi lo presentano come un segreto il cui possesso deve liberare da ogni inquietudine ed assicurare un riposo nella certezza … – Infine, per gli gnostici, il Cristo non ha dato una risposta pienamente soddisfacente sull’esistenza del male nel mondo. Occorre allora cercare l’origine del male non nell’uomo, ma nel mondo divino, non essendo l’uomo peccatore e dunque colpevole, ma vittima di un male che gli è stato imposto dall’alto. Bisognerà attendere i grandi pensatori cristiani e particolarmente San Tommaso d’Aquino, per trovare questa risposta adeguata alla difficoltà sollevata. – A partire da queste considerazioni sull’insegnamento di Gesù, si possono dedurre tutte le affermazioni degli gnostici. Ma prima di svilupparle, occorre esaminare i loro procedimenti:

I procedimenti gnostici

L’esame dei fatti mostra che gli gnostici hanno seguito nel suo sviluppo l’espansione del Cristianesimo, seguendo il cammino dei discepoli e sollevando le obiezioni di cui abbiamo parlato, sia direttamente allo scoperto, sia indirettamente sussurrandole ai primi Cristiani entusiasti. Dopo la morte di santo Stefano, san Pietro si rifugia in Samaria e si trova presto a confrontarsi con Simone il Mago, padre della gnosi. La Chiesa si sviluppa ad Antiochia in Siria; ben presto si vede comparire Nicolas, uno dei diaconi, che diede i suo nome agli gnostici nicolaiti; poi Menandro, Saturnile. Il Vangelo è predicato in Egitto, ad Alessandria. E proprio qui si impianta l’insegnamento di Basilide, le cui formule sono tanto simili al buddismo, e poi Valentino, il maggiore degli gnostici. A Roma si impianta l’insegnamento di Marcione, a Lione quello di Marcos, etc. – Gli gnostici si fondono in mezzo alle comunità cristiane; essi danno un insegnamento individuale, con gran discrezione. Tertulliano ci dice che essi iniziavano con « l’enunciare la fede comune in formule equivoche! … per indurre i fedeli in errore. » Sant’Ireneo ci racconta che « essi attirano la gente parlando loro come parliamo noi stessi. Essi si lamentano che noi li trattiamo come degli scomunicati, allorquando da una parte e dall’altra, le dottrine sono le stesse … ma poi man mano si allontanano dalla fede con le loro questioni. Di coloro che non resistono, ne fanno loro discepoli, li prendono da parte per svelare loro il mistero inenarrabile del loro “pleroma”. »  Ecco un bel testo estratto da l’«Adversus Hæreses » di sant’Ireneo. Si direbbe scritto oggi! Ancora oggi infatti assistiamo a queste manovre su ben più vasta scala. Gli gnostici praticano “l’anonimato” come sistema di insegnamento: essi non firmano i loro scritti. Noi non conosciamo i loro nome se non dagli eresiologi che ebbero molto a penare per scoprirli e procurarsene i manoscritti segreti. Sant’Epifanio ci racconta come egli stesso abbia frequentato un tempo gli gnostici d’Egitto, attirato nei loro antri da certe donne: « se sono sfuggito alle loro grinfie, egli dice, non è stato per virtù personale, ma all’aiuto divino che rispose allora alle mie preghiere ». Grazie a questo suo passaggio tra essi, noi possediamo molti degli insegnamenti sulle diverse sette ed i manuali utilizzati. Sant’Epifanio cataloga con notevole precisione i maestri, le loro scuole, i loro manoscritti. Gli gnostici non firmano i loro scritti, ma fabbricano degli scritti ai quali, dice S. Atanasio, attribuiscono degli ancestri dando loro il nome di “santi” (cioè di Apostoli. Questi sono allora degli « pseudoepigrafi » e non degli « apocrifi. » Noi conosciamo i veri autori di questi libri, ma gli autori designati nel testo sono menzogneri: questi ad esempio sono « il libro segreto di Giovanni » – « la Sofia di Gesù » – « L’Apocalisse di Giacomo » – « Il discorso di Zoroastro » – « l’Apocalisse di Adamo » – « il discorso di Hermes » – « Il Vangelo di Tommaso » – « Le parole segrete di Gesù », etc. – Essi raccontano in particolare che Gesù, dopo la Resurrezione, abbia preso da parte qualche discepolo, Giacomo, Giovanni, Tommaso e, seduto sotto un albero, abbia rivela loro degli insegnamenti che essi dovevano tenere segreti per se stessi e per coloro che essi avessero giudicato degni di comprenderli. La lettura del « Vangelo di Tommaso » è in particolare molto suggestivo: questo Vangelo era un’opera di base degli gnostici e soprattutto dei Manichei. Una prima lettura superficiale del testo lascia nello spirito l’impressione d’insieme che si tratti di un’opera perfettamente ortodossa: i tre quarti delle parole di Gesù erano sostanzialmente identiche a quelle dei Vangeli canonici; ma una rilettura più attenta fa apparire certe istanze che denotano un’intenzione sottogiacente: questi sono, ad esempio delle ripetizioni frequenti: « Chi ha orecchie per intendere, intenda » – « Così accederete ala contemplazione di ciò che nessun occhio ha mai visto » – « Conoscete voi stessi e ciò che è nascosto vi sarà rivelato » (sottinteso: riconoscete che avete in voi stessi la divinità) – delle formule panteiste: « Quando voi farete che i due siano uno, voi diventerete figli dell’Uomo » (vale a dire il vostro ritorno all’unità primordiale farà apparire la vostra essenza divina) – « Taglia il legno, io sono la, solleva la pietra e mi ci ritroverai! » – « Il regno è dentro di voi » – « Ogni donna che diventerà uomo, entrerà nel regno dei cieli! » … Così a partire da formule ortodosse, con istanze selettive, per aggiunta di formule in apparenza oscure o misteriose, si vedono già delineare le principali tesi gnostiche che sembrano essere uscite dalla stessa bocca del Cristo. Non ci sarà più che da sviluppare queste formule protestandosi fedeli discepoli di Gesù. Infine un processo rimarchevole, utilizzato con grande successo dagli gnostici, fu il “recupero”, per rinforzare il loro prestigio, dei grandi “Iniziati” del paganesimo: Orfeo, Pitagora, Hermes, Zoroastro, Omero stesso! Non si tratta qui di un sincretismo religioso, poiché gli gnostici non cercano di amalgamare diverse dottrine religiose sì varie o contraddittorie per trarne una dottrina a “denominatore comune”. Non si tratta di una super chiesa “ripostiglio”. Ben al contrario, si tratta di attribuire esattamente a questi personaggi celebri dell’antichità, il cui insegnamento era stato solamente orale, il medesimo linguaggio della dottrina gnostica. È il ricorso quindi ad un’autorità incontestata nel passato e alla redazione di testi fittizi, attribuiti a colpo sicuro e senza controllo a questi lontani ancestri. Così si vede Orfeo rappresentante il Cristo nelle antiche catacombe romane in epoca in cui era difficile separare i veri Cristiani dagli gnostici. Gli eresiologi rimproveravano loro di rappresentare il Cristo con visi pagani: Hermes, Orfeo, Omero, Pitagora. Sant’Ireneo racconta che una donna, Marcellina, aveva ritrovato a Roma un oratorio con le figure di Gesù, Omero e Pitagora. I settari avevano medaglie o statuette rappresentanti Platone, Pitagora. L’imperatore Alessandro Severo era egualmente uno gnostico, egli venerava nel suo larario Gesù-Cristo, Abramo, Orfeo e Apollinare di Tyane. Nella prima catacomba, quella di San Sebastiano, si leggono, in un ipogeo degli Innocentii, delle iscrizioni cristiani ove si ritrovano i soprannomi di Hermes: Hermesius, Hermesianus. Carcopino descrive così una tomba di Ravenna del III secolo: la piccola defunta, Giuliana, è interpellata al maschile: “Salve Euhamius”, ella è rappresentata seduta ed Hermes le tocca gli occhi, per svegliarla, con una bacchetta magica. Si tratta certamente di una tomba cristiana gnostica. Il Cristo è talvolta rappresentato sotto forma di una divinità pagane, armata di bacchetta con la quale non risuscita un morto, ma lo chiama al “risveglio”:  “Apri gli occhi! Guarda! Tu sei divino”. Carcopino descrive una basilica pitagorica di Roma  assai simile ad un ipogeo di un cimitero cristiano. Egli racconta una cerimonia liturgica che sembra calcata sulla Cena cristiana. – Omero era anche da essi interpretato così: Ulisse tenuto nell’isola di Calipso designava l’anima, la fiammella divina, prigioniera dei corpi ed ancora esitante nel liberarsi dal suo giogo. – Il testo di Hermete Trimegisto (= il tre volte grande) era stato ritrovato nella biblioteca copta gnostica. Ugualmente i “versi d’oro” attribuiti a Pitagora, sono ben posteriori all’inizio del Cristianesimo; essi datano almeno dalla fine del I secolo e contengono delle formule propriamente gnostiche. “ tu saprai che la natura è UNA e simile in tutto” (Panteismo) – “Colui che ha trasmesso alla nostra anima la TETRAKTYS, sorgente della natura infinita” (il nome divino è la natura della nostra anima) – “A coloro che sanno svegliare ciò che c’è di sacro nella loro anima, la natura mostra ogni cosa” – “Quando tu abbandonerai il tuo corpo, sarai immortale, un dio immortale e non più mortale” … etc. – Così la gnosi si è sviluppata come una setta parassitaria all’interno del Cristianesimo per sovvertirne tutto l’insegnamento. Si riconoscono già i processi dei “modernisti” nell’arte di sedurre ed allontanare le anime dalla Verità; si riconosce pure la Leggenda nascente dei “Grandi Iniziati” che si tramandano di generazione in generazione una dottrina segreta.

L’INSEGNAMENTO DELLA GNOSI

Per comprendere bene le “rivelazioni” degli gnostici, è necessario sbarazzarle da tutte le fandonie mitologiche e fabulistiche di cui sono ammantate, o meglio imbrigliate, nonché spogliarle ugualmente del vocabolario oscuro, misterioso, ieratico, che ha la pretesa di renderle venerabili. Non parleremo né di Eoni, né di Arcoonti, né di Pleroma, etc. Mons. Lagier, nella sua opera “L’Oriente cristiano” enumera diverse proposizioni nelle quali si può riassumere tutto l’insegnamento dei nostri eretici. Noi vedremo che a partire da queste strane affermazioni, si posso estrarre tutti i grandi errori del mondo moderno. Già nel primo numero della nostra serie “la Gnosi teologia di satana ne abbiamo fatto un elenco (v. exsurgatdeus.org/Gnosi teologia di satana 1), ma qui lo rifacciamo affinché possiamo ben fissarli in mente per poter scovare tutti gli errori in ambiti decisamente impensabili: nella filosofia, teologia, letteratura, pedagogia, musica, arti figurative, medicina, scienza … una totale invasione alla quale siamo pressoché assuefatti. Questi otto punti, che qui di seguito ricordiamo, sono la cartina di tornasole per scoprire l’infiltrazione gnostica ubiquitaria ed eventualmente adottare le necessarie, oramai ineludibili contromisure.

1° « Il Dio di cui ci parla l’Antico Testamento è una divinità inferiore, non è il vero Dio. Ben sopra di Lui si trova l’Essere supremo, principio unico di tutto ciò che è. »

Gli gnostici hanno sempre praticato un antibiblismo sistematico. Hanno ribaltato tutte le affermazioni della Genesi. La loro cosmologia è una “macchina da guerra” indirizzata contro Yahvé, il Dio creatore. Il mondo nella sua essenza è divino. l’Essere supremo è un “abisso” originale dal quale sono uscite tutte le potenze spirituali. È già questa una prima forma di Panteismo. Yahvé Sabaoth, il Dio Creatore della Genesi è secondo loro, una emanazione dell’Essere supremo … egli si è rivoltato contro di lui rinchiudendo in una materia degradata e cattiva gli esseri puri, spirituali, emanati dal “grande abisso”, questi fu un demiurgo (=architetto) maldestro, pasticcione. Egli è perciò la fonte di tutti i mali: ecco una spiegazione dell’origine del male e la designazione del gran colpevole: il Dio che adorano i Cristiani.

2° « La materia in sé si oppone a Dio ». –

Comprendiamo bene che questa materia non è una emanazione dell’Essere supremo, ma una creazione del demiurgo, opera maldestra che si oppone alla perfezione della potenza divina, ne ostacola l’espansione. C’è dunque in questo atto creatore un errore, una degradazione degli esseri spirituali, una “caduta originaria”, non quella del peccato di Adamo, ma quella del Peccato di Yahvé.

« Dio si dispiega e si rivela gradualmente con delle potenze celesti, con esseri divini nella loro origine. »

Questa è la dottrina della “Emanazione” (emanare= spandere fuori da sé). Il mondo è una divinità che si espande fuori da sé, mediante una estensione del proprio essere; il mondo è un Dio … Essere supremo in crescita perpetua. Dall’Abisso originale, questo Dio genera una moltitudine di esseri che non sono che “particelle di se stesso”. Il mondo è in perpetuo divenire. Esso è divino per natura, poiché generato e non creato. Ahimè! Yahvé ha formato la materia, ha degradato questo mondo, ne ha così frenato l’espansione, l’evoluzione verso questa pienezza divina che gli gnostici chiamano “Pleroma”. – Per di più Dio si è manifestato nel mondo con i suoi inviati, esseri divini, da lui inviati che, ad intervalli regolari, ricordano all’uomo decaduto e prigioniero della materia che anch’essi sono divini. Occorre dunque una rivelazione continua: si vedono così apparire i primi lineamenti della leggenda dei Grandi iniziati”. La gnosi è allora: “rivelazione” di una realtà occulta!

« La materia è mescolata a fiammelle divine; queste fiammelle divine fuoriescono dalla loro prigione materiale grazie al Cristo che agisce nei sacri riti della magia. » L’anima umana è dunque divina (fiammella o splendore di un Dio che si estende ad ogni essere). Il corpo è una ganga terrestre, una prigione della quale bisogna sbarazzarsi per vedersi apparire questa divinità che risiede in noi. Il Cristo è il più grande degli “iniziati” inviato dall’alto, Egli viene ad insegnare agli uomini che essi sono divini. “Guardate all’interno di voi stessi e vi troverete le vostra divinità” …, tale è la formula ripetuta nel vangelo di Tommaso. Per questo occorre sbarazzarsi di questa prigione materiale che occulta la vostra vera natura. Risvegliatevi! Comprendete infine! Riconoscete il vostro carattere divino! Non c’è alcun bisogno di conquistare con la forza della vostra ascesi una somiglianza con Dio, voi siete già divini, ma non lo sapete ancora, questa conoscenza vi libererà [anche in concetto di “misericordia bergogliana” della setta vatican-massonica, è una idea gnostica anticristiana “ … voi siete già divinità, non c’è bisogno di pentimenti, contrizione, penitenza, etc. … siete salvi in ogni caso perché la vostra anima è divina]. È la salvezza mediante la gnosi! (= conoscenza). – Si ritrovano qui pure le formule moderniste dell’immanenza vitale: Dio dimora nell’uomo (Manere in = soggiornare in), non si deve che ritornare all’interno di sé per ritrovarlo.

« L’azione di Cristo fu reale, ma la sua umanità carnale non è stata se non una ingannevole apparenza: la passione e la resurrezione non sono che simboli senza realtà. ».

Evidentemente un “inviato divino” non può aver subito la degradazione di un corpo materiale. Egli ha dovuto assumere una forma materiale per farsi conoscere e poter agire efficacemente presso uomini anch’essi prigionieri del loro corpo fisico. Ma il Cristo non aveva da riscattare con la sua Passione i peccati dell’uomo, poiché questi non esistono. Non c’è che un solo peccato, il “peccato del mondo”, il peccato di questo “sbadato” Yahvé che ha deteriorato, con la sua creazione, l’espansione della divinità. Il Cristo non è venuto a liberare gli uomini dai loro peccati: non ha loro insegnato una “via”, un cammino da percorrere per raggiungere una perfezione possibile da raggiungere. Egli ha rivelato loro, cioè disvelato, ciò che essi non sapevano, e cioè: che essi erano Dio, già, da sempre!

« Il “divino incatenato nella materia”, cioè l’anima umana, non è responsabile della carne che l’opprime. Lo spirito resta puro … non è solidale alle passioni nei peccati commessi. »

Ecco alfine a cosa si voleva arrivare! Lo gnostico rifiuta agli uomini la responsabilità dei loro atti. Poiché la materia è cattiva, il nostro corpo di carne non può produrre che atti cattivi. Ma questo corpo è la nostra prigione. La nostra anima “scintilla divina” non può avere il minimo rapporto con qualunque male sia. Come spiegare tutto ciò? Scomponendo l’uomo in tre parti: un corpo materiale, il “soma”, un’animazione propriamente psicologica, la “psiche”, ed un’anima spirituale di essenza divina, lo “pneuma”. Questa struttura ternaria dell’uomo è una invenzione geniale [o meglio, perversa]: la sede delle passioni, la “psiche”, è una potenza cattiva legata alla materia che sostiene nella sua esistenza; bisogna sbarazzarsene al più presto. Lo “pneuma” resta impassibile, spettatore indifferente delle vane agitazioni del corpo. – Queste divisione ternaria dell’uomo si ritrova nell’occultismo moderno che utilizza un altro vocabolario per designare le stesse realtà: gli occultisti infatti concepiscono un mondo spirituale, un mondo astrale, un mondo materiale. L’uomo è composto da un corpo, un “doppio”, e da un’anima! Vecchio processo per togliere all’uomo la sua vera responsabilità e rifiutargli la maestria dei suoi atti. – Si ritrova in quanto esposto, tutto il protestantesimo. Lutero non ha affermato che l’uomo è incapace di un atto buono, che le opere sono inutili e che si è salvati dalla sola fede? Si ritrovano ancora qui i primi lineamenti della psicoanalisi moderna la cui funzione essenziale è di ricercare la sede del subcosciente nella “psiche”, motrice delle passioni, e di “liberare l’uomo  svelandogli che egli non è colpevole, bensì sempre vittima innocente delle pulsioni istintive alle quali deve lasciare libero corso perché esse non alterano la sua natura: liberazione sessuale, etc. (ora è facile capire perché “illustri” chierici rappresentanti del modernista satanico novus ordo, compreso le finte “autorità” usurpanti, ci tengano a farci sapere che essi sono stati e sono psicanalizzati ricevendone benefici, e spingere il “prodotto” sul mercato degli (in)fedeli antiCristo-gnostici “malgrado se stessi”).

« Le leggi scritte e le leggi naturali sono state concepite dagli dei inferiori e non sempre sono omologate dal vero Dio, la cui essenza oltrepassa ogni pensiero e la cui natura è indicibile.»

Gli gnostici sono per definizione antinomisti, cioè essi rifiutano ogni legge. Un essere la cui essenza è divina non ha bisogno di legge; questa è un mezzo per raggiungere un fine. Ora, l’essere divino è fine a se stesso. In più, una legge è emanata da una autorità che vi sottomette. Un essere divino è totalmente maestro di se stesso e non ha alcun bisogno di sottomissione. Questa legge naturale di cui parlano gli gnosticiè una costruzione arbitraria di uno spirito malvagioche vuole sottomettere gli altri esseri ai suoi capricci, è una soggezione indegna di una “fiammella divina”. Yahvé ha voluto chiudere la nostra natura divina in un corpo materiale ed imporci i suoi capricci.  Ecco un gran soggetto di indignazione per i nostri settari. Il vero “Dio”, è la pienezza della divinità, il “Pleroma”. La sua essenza è contenere tutti gli esseri ed inglobarli tutti in un immenso “tutto”. Non lo si può definire perché trascende tutti i limiti; esso è il “Gran tutto”, “l’Abisso innominato”. La salvezza per l’anima divina è perdersi in lui. – Si trova in quest’ultima proposizione la rivolta di colui che ha pronunciato il “non serviam” e che ha detto ad Adamo ed Eva. “Eritis sicut Dei”, se mangiate dall’albero della conoscenza (=Gnosi).

Il culto del serpente.

Tra le sette gnostiche esisteva quella degli “Ofiti” o Naasani (“ophis” in greco, e “naas” in ebraico significa serpente): questo sono i grandi gnostici, coloro che penetrato maggiormente nei misteri della rivelazione: « Noi veneriamo il serpente, dicono, perché Dio lo ha fatto causa della gnosi per l’umanità, egli porta all’uomo ed alla donna la completa conoscenza dei misteri dell’alto. » Essi si raccolgono intorno ad un tavolo, dispongono i pani, poi essi chiamano con incantesimo il serpente che viene ad arrotolarsi tra le offerte. Allora soltanto essi dividono il pane …  secondo loro è questo il sacrificio perfetto, la vera eucaristia. Così il cerchio è chiuso. Tutte queste elucubrazioni pretese sapienti, sono destinate in realtà ad allontanare i Cristiani dall’adorazione del vero Dio e portarli all’adorazione del serpente, supremo scopo della setta: questa celebrazione satanica somiglia senza errori alla cena rosacrociana praticata nei rituali massonici del 18° grado rosa+croce.

[continua …]

 

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (6)

GNOSI E PLATONISMO -III-

Platone e sant’Agostino

[Elaborato dal volume di E. Couvert, “La gnose contre la foi”, cap. I]

In una esposizione sul “neoplatonismo” è necessario terminare con un attento esame dell’itinerario spirituale di Sant’Agostino. In effetti, un recente teologo, Gustave Bardy, ha potuto scrivere: « Di per sé il neoplatonismo non è necessariamente pagano e l’esempio di sant’Agostino che troverà ben presto nei libri neoplatonici la rivelazione delle qualità spirituali come la via più sicura verso il Cristianesimo, è sufficiente a dimostrarlo. » Non è possibile scrivere più falsamente una tanto manifesta contro-verità. Per tutto quanto in precedenza esposto, abbiamo dimostrato l’incompatibilità radicale, assoluta, che esiste tra platonismo e Cristianesimo. Noi abbiamo ugualmente dimostrato che i filosofi neoplatonici hanno costituito la loro scuola di pensiero come una “macchina da guerra” contro il Cristianesimo nascente [come in tempi recenti il modernismo gnostico-massonico contro la Chiesa Cattolica]. – Sfortunatamente Sant’Agostino è stato attirato dal neo platonismo e tutto il suo itinerario mostra con evidenza che ha dovuto rigettare tutte le tesi platoniche una dopo l’altra per restare fedele alla sua fede cristiana, man mano che l’approfondiva. Passiamo a verificarlo. Dopo un lungo soggiorno presso i manichei, Agostino ritorna alla fede cristiana della sua infanzia ed alla pratica religiosa sotto l’influenza di Sant’Ambrogio a Milano, del quale ascolta attentamente i sermoni e dopo una frequentazione personale con questo grande Vescovo. Simultaneamente Agostino ha scoperto la filosofia di Platone negli scritti neoplatonici. Egli ha letto allora i trattati di Plotino nella traduzione latina di Marius Victorinus che glieli ha direttamente messi tra le mani. Egli ha certamente letto anche Porfirio, come segnala Pierre Labriolle, benché questo autore fosse apertamente e tenacemente anticristiano. Questo fu per lui un abbaglio, una sorta di nuova conversione, simultanea al suo ritorno alla fede cristiana. Egli parla di queste opere con entusiasmo come se la loro lettura fosse una grazia divina. I libri “platonici” hanno acceso in lui  un “incredibile incendio” (etiam mihi de meipso incredibile incendium concitarunt). Egli crede che siano in accordo con la fede cristiana e ne spera luce. « Dopo aver letto qualche libro di Plotino, egli scrive nel “De Beata Vita”, e dopo averli comparati meglio con l’autorità di coloro che ci hanno trasmesso i divini misteri, io li ho gettati al fuoco » (“sic exarsit”). Tuttavia egli ha già notato qualche esitazione: era un peccatore, un uomo dall’immenso orgoglio colui che gli aveva messo in mano questi libri. Egli ha pure marcato una inquietudine: « Se io fossi stato dapprima formato alle tue Sante lettere e familiarizzato con la loro dolcezza, ed avessi in seguito incontrato gli scritti platonici, o essi mi avrebbero staccato dal solido fondamento della pietà, oppure, sarei rimasto meglio fondato in questa disposizione di salvezza, e non avrei creduto che queste sole opere potessero condurre allo stesso punto. » – Noi sappiamo dunque che Agostino non ha conosciuto le opere di Platone, ma le ha assorbite attraverso i filosofi neoplatonici, nella sistematizzazione che essi avevano fatto per erigere un ostacolo insormontabile all’espansione del Cristianesimo negli spiriti coltivati. Agostino crede di vedere anche in San Paolo degli elementi platonici, come quando ad esempio questi oppone la carne allo spirito, … – La prima difficoltà incontrata da Sant’Agostino nel platonismo, è la condanna della materia, della carne e del corpo, questo oscuro pessimismo, questo vero dualismo tra l’anima ed il corpo che i neoplatonici hanno sistematizzato; ma la dottrina cristiana del peccato gli ha aperto gli occhi. Ne “La città di Dio”, egli rimprovera a Platone ed a Virgilio di aver posto la causa del peccato nella carne invece che cercarla nell’anima: « Nam corruptio corporis quæ aggravat animam non peccati primi est causa, sed pœna, nec caro corruptilis animam peccatricem, sed anima peccatrix fecit esse corruptibilem carnem. » Egli incontra egualmente il dogma della resurrezione dei corpi, questo dogma così poco greco, scandalo per i platonici, che pretende che questo putridume, questo odioso carapace, sarà un giorno partecipe della visione beatifica, come ha detto San Paolo: « La riabilitazione della carne e la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. » Il desiderio che Plotino manifesta di evadere dal mondo sensibile e fuggire verso l’eterno gli sembra un errore sulla natura del mondo sensibile e manifesta un pessimismo o anche un dualismo che Agostino non ha compreso dall’inizio, ma che denuncerà più tardi, soprattutto ne “La città di Dio”. – La seconda difficoltà incontrata da Sant’Agostino nei platonici, è la concezione dell’ἔρως [eros], dell’amore platonico, un desiderio di bene per sé, determinato dalla ricerca del piacere personale, un amore dunque ripiegato su se stesso, che rifiuta il dono generoso, un amore puramente ascendente. Egli gli oppone l’ἀγαπη [agape], amore che diffonde il bene all’essere amato, movimento verso gli altri, rinunzia a se stesso, amore discendente, come quello di un padre verso i propri figli. Ed è a questa concezione dell’amore che Sant’Agostino applica la libertà: un amore che si dà, può anche rifiutarsi. È questa possibilità che rientra nella natura del dono, ed è la realizzazione di questa possibilità che costituisce il peccato. Il male non è nelle cose, né nella materia, né nell’insieme degli esseri creati, ma nel rifiuto del dono! Ed è questa l’antitesi del platonismo. – La terza difficoltà che incontra Sant’Agostino è la pretesa che i platonici avanzavano di poter con le proprie forze realizzare la loro divinizzazione. In effetti per Plotino, come per Platone, l’anima è di natura divina (θείον = teion), e possiede in sé medesima questa divinità d’origine, ma velata, oscurata dal corpo e dalla materia. La “teurgia” non è altra cosa che questa risalita verso gli astri, verso il cielo originario, è il “ritorno all’unità primordiale” dei nostri gnostici. Plotino propone un’estasi realmente divina. – Questa operazione di ritorno al divino è denunciata da Sant’Agostino  come un “incredibile orgoglio”: « Con una vanità stupefacente, essi hanno voluto essere felici quaggiù e fare essi stessi la loro felicità » (“Nec beati esse et a seipsis beati fieri mira vanitate voluerunt”). Egli condanna, nelle “Confessioni”, la ricerca della “visione curiosa” della divinità, perché essa comporta la pratica della magia e dunque necessariamente la mediazione dei demoni. Infine, come necessaria conseguenza, Sant’Agostino condanna, come pure nei platonici, il panteismo implicito in tutta la loro costruzione intellettuale. Ed in ciò le sue formule sono scuotenti: le creature conducono a Dio, non perché esse sono divine, ma per ciò che loro manca: « Io ho interrogato la terra, dice Agostino, ed essa mi ha detto: non sono io. Io ho interrogato i mari, gli abissi, i rettili dalle anime viventi, ed essi hanno risposto: noi non siamo il tuo Dio, cerca al di sopra di noi. Io ho chiesto al cielo, al sole, alla luna, le stelle: noi neppure siamo il Dio che tu cerchi”. « Io ho cercato, continua Agostino, ho cercato il mio Dio in tutti i corpi, sulla terra e nei cieli, ma non lo trovo. Ho cercato la sua sostanza nel’anima mia e nemmeno ve lo trovo; non mi resta nient’altro da indagare, se non Dio stesso”. Ecco un’affermazione solenne della trascendenza di Dio. In nessun’altra parte sant’Agostino sottolinea con tale fermezza la differenza fondamentale che oppone la sua fede a Plotino e a tutta la filosofia platonica. È sufficiente comparare queste affermazioni con quelle opposte, contenute ad esempio nel vangelo gnostico di Tommaso: « taglia il legno, io sono la, solleva la pietra e mi ci troverai … » o ancora a tale cantico moderno: « Egli è in ogni pietra … al centro della terra, nel fondo degli oceani, egli fa germogliare il grano, dirige i ruscelli, etc. »

L’illuminazione divina in Sant’Agostino

Resta un’ultima difficoltà con la quale si scontra S. Agostino: il problema dell’origine della conoscenza. Donde vengono le nostre idee? Certamente, Sant’Agostino, per fedeltà alla fede cristiana doveva rigettare la reminiscenza platonica, secondo la quale le nostre idee sono il ricordo di una vita antecedente nel mondo divino, questa preesistenza delle anime di cui Socrate si serviva per spiegare l’immortalità dell’anima nel Fedone. Egli doveva rigettare anche questa concezione della conoscenza secondo la quale le nostre idee sono innate in noi, e la percezione sensibile si contenta solo di risvegliare un’anima assopita, di eccitare lo spirito e di fare apparire, svelandola, una conoscenza già infusa in noi stessi. – Ma Sant’Agostino ha considerato la “rivelazione platonica”, questa nozione di una luce eterna e divina, cara a Platone come a Plotino, che risiede nel mondo delle idee. Evidentemente per lui, questo mondo non è niente altro che Dio stesso, e dunque questa luce divina, assoluta, immutabile, non può confondersi con quella della nostra anima mutevole ed incerta. – Nei “Libri platonici”, egli ha creduto di incontrare il Verbo eterno, esemplare della creazione, luce di Intelligenza, senza d’altra parte stupirsi di trovare questo termine “Verbo” in un pagano, cosa che sembrava implicare una certa conoscenza del mistero della Santa Trinità presso Platone (egli emette l’ipotesi che rigetta ben presto, che Platone avrebbe conosciuto il Profeta Geremia in Egitto!). – Similmente come l’eterno ed il divino sono la sorgente dell’essere nel platonismo, così Dio in San Agostino sarà regola di conoscenza e norma dell’azione. Con questa riflessione sulla verità, egli ha creduto di cogliere, a somiglianza dei neo-platonici, la presenza e l’azione illuminante di Dio nel fondo stesso del nostro spirito. – È  certamente all’azione del Verbo che egli pertanto collega esplicitamente l’illuminazione dello spirito e la regola della Verità. La verità non può essere recepita dall’esterno. Il titolo di maestro è un titolo usurpato dagli uomini: non c’è che un solo Maestro, che è Gesù-Cristo. Egli ci è interiore e presiede alla nostra attività spirituale (« Deus qui humanis mentibus nulla natura interposta præsidet ». Alcuna natura può interporsi tra Dio e la nostra anima. È nel santuario intimo dell’anima che l’uomo giudica e proclama la verità. Gli insegnamenti dell’esperienza non sono che “evocatori” di conoscenza fuori dalle profondità nascoste della nostra anima (« Remota et retrusa quasi in caveis abditioribus » ). – Io non ho ricevuto le idee da altri, io le ho riconosciute nel mio spirito e sono io ad averle sanzionate come vere … esse erano in me prima che io le apprendessi. Comprendere una verità è riconoscerla e dichiararla conforme al nostro ideale interiore, non è acquisire qualche cosa di nuovo, è ricondurre a chiara coscienza un’idea fin là implicita. “Se la mia anima restasse in se stessa, essa non vedrebbe nient’altro che se stessa, e vedendosi, non è che vedrebbe Dio … io entrerei nel mio interiore, egli continua, e vedrei anche con l’occhio della mia anima, pur disturbato, e al di sopra di questo stesso occhio, al di sopra della mia intelligenza, la luce immutabile. Essa non era al di sopra del mio spirito, come l’olio che resta superficialmente sull’acqua, come il cielo si estende al di sopra della terra. “Colui che conosce la verità, la conosce” “qui novit veritatem, novit eam”. – Sotto quale forma si esercita questa illuminazione divina nella nostra anima, è ciò che Sant’Agostino non spiega e non può … anche i filosofi scolastici discepoli di Sant’Agostino, cercano di supplire al silenzio del loro maestro. Secondo gli uni, Dio Creatore è anche il modello che esprime luminosamente e rappresenta espressivamente tutte le cose. Noi dobbiamo quindi considerarlo come uno specchio della creazione, come un libro vivente, posto naturalmente davanti al nostro sguardo intellettuale, nel quale possiamo leggere le prime anticipazioni della scienza e della morale. Da ciò questa conclusione: è Dio stesso che è il libro proprio e naturale dell’intelletto umano. La profezia conferma, si dice, questa spiegazione poiché vi è rappresentato di nuovo come seduto, tenente un libro che apre alla pagina che vuole, per lasciarci leggere il rigo o anche la parola che vuol mettere sotto il nostro sguardo. Se si suppone che l’anima possieda in sé l’insieme delle sue conoscenze allo stato innato, si ricade fatalmente nella reminiscenza platonica. Bisogna dunque ammettere, secondo altri, che l’intelligenza divina fornisce agli uomini le idee, secondo l’ordine dei loro bisogni. Così, come istantaneamente Dio può creare le cose, è possibile produrre nell’uomo una virtù propria, analoga a ciò che sarebbe un seme capace di generare immediatamente radici, tronco, foglie e altri semi che devono provenirne. La nostra facoltà di conoscere sarebbe tale che, per la minima eccitazione sensibile, potrebbe generare in sé istantaneamente le idee delle cose esteriori, applicarvisi spontaneamente per una sorta di mimetismo analogo a quello della scimmia e del camaleonte… attitudine innata alla produzione immediata ed indivisibile delle idee. Dio feconderebbe a loro modo di vedere, la nostra anima e con ciò svolgerebbe il ruolo di educatore ma intervenendo dall’esterno secondo la formula di Sant’Agostino “Deus lumen cordis mei et panis intus animæ meæ et virtus maritans mentem meam et sinum cogitationis meæ” (Confessioni). Questo metterebbe l’uno di fronte all’altro: Dio, ed una facoltà di conoscenza impotente ad agire da se stessa.

Tandem venit Thomas

Ed infine arriva San Tommaso d’Aquino. – La sua attitudine verso Sant’Agostino è molto interessante. Egli tratta sempre con grande rispetto questo “Padre della Chiesa”, referente obbligatorio di tutta la Scolastica del suo tempo. Egli conserva però tutta la sua libertà di spirito. Quando si trova di fronte ad un’affermazione che non può approvare, comincia con l’indagare nel testo tutto ciò che non può essere accettato per vero, dopo di ché rifiuta l’errore che potrebbe contenere questo testo contro chiunque pretendesse di interpretarlo diversamente. A tal proposito espone la sua risposta alla seconda interpretazione, che nei fatti è la vera risposta all’errore di Sant’Agostino. Così facendo, il rispetto della persona è salvo, ma l’errore è confutato. Sant’Agostino aveva già rigettato tutto il platonismo per il quale si era entusiasmato nella sua giovinezza e restava una sola difficoltà: il problema della conoscenza. La tesi dell’illuminazione divina era tutto ciò che poteva conservare, egli credeva, del pensiero neoplatonico. – « Dio è la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo »: questo è assolutamente vero, di una verità lampante. Che la nostra intelligenza sia illuminata da Dio e tutta aperta all’influenza divina, è evidente, poiché essa è una intelligenza creata “ad immagine di Dio”. Ma come la nostra anima può essere illuminata, cioè informata dal mondo naturale degli esseri che ci circondano? … ecco la pietra di inciampo di tutto l’agostinismo! È Platone che è sempre tenuto d’occhio da San Tommaso, quando esamina un’affermazione di Sant’Agostino. Egli è il padre di tutti coloro che « rebus naturalibus proprias substrahunt actiones », che rifiutano cioè alle cose naturali le operazioni proprie, e San Tommaso denuncia il platonismo [erroneo] in Sant’Agostino: « Augustinus autem Platonem secutus quantum fides catholica patiebatur », … per il tanto che lo permetteva la fede cristiana, Agostino ha seguito Platone; vale a dire che egli ha rigettato Platone ogni volta che ha compreso la sua incompatibilità con la fede cristiana. – San Tommaso rettamente afferma che c’è negli esseri sensibili, composti di materia, un elemento di stabilità, ed ecco perché i sensi non si ingannano quando giudicano degli oggetti che gli sono propri. Non si può rifiutare all’anima razionale il principio attivo senza il quale quest’anima non saprebbe compiere la sua azione naturale. Ammettere che Dio sia l’unica Intelligenza che opera in tutti gli uomini, è supporre che Dio ha creato un’anima razionale incapace di usare la ragione. Così San Tommaso conclude: « Dio illumina le nostre anime intanto ché le ha dotate di luce naturale, grazie alla quale esse conoscono e che è quella dell’intelletto agente (cioè l’intelligenza quando opera). » Dio è presente in tutte le operazioni di ogni creatura e tuttavia ciascuna di esse resta la causa efficace della sua azione. Questa onnipresenza di Dio non priva le cose naturali delle proprie azioni. – Creare esseri incapaci di agire, senza il potere di trasmettere le une alle altre qualcosa della propria azione, private di ciò che nei fatti è di distinta natura, diminuirne la loro dignità, non è togliere qualcosa alla Gloria di Dio? San Tommaso non ha incontrato davanti a lui altra filosofia per insegnare che l’intelligenza creata sia la ragione sufficiente della conoscenza umana, essendo così eliminata ogni speciale illuminazione divina. Ma questa affermazione egli la sosterrà costantemente nel corso della sua vita e la Chiesa l’ha riconosciuta vera, consacrando il suo autore come il « Dottore comune » e « l’Angelo della Scuola ».

P. S.: Osservazione a proposito del neo-platonismo e S. Agostino:

Dom. – « Voi dite: “Sant’Agostino non si è mai staccato dal Platonismo completamente ed anche quando lo rigettava esplicitamente, ne restava impregnato.” Questa parola “impregnato” lascia intendere che tutta l’attività intellettuale di S. Agostino fosse intrisa di platonismo, cioè da una sorta di gnosi. In tali condizioni come potrebbe Sant’Agostino essere considerato Dottore della Chiesa? »

Risp.– [di E. Couvert (*) in: “La gnosi universale”] – « Sant’Agostino è “Dottore della Chiesa” ogni qualvolta insegna la Dottrina della Chiesa. Egli non è dottore della Chiesa quando insegna tutt’altro, cose discutibili o erronee. Scusate questa “lapalissata”! Quando Sant’Agostino insegna la trascendenza di Dio, egli è “dottore della Chiesa”; quando insegna l’illuminazione divina nella conoscenza naturale, non è più “dottore della Chiesa”, poiché questo insegnamento è falso. – L’etichetta “dottore della Chiesa” non conferisce a colui che la porta l’infallibilità né l’inerranza in “tutti” i suoi scritti. È questo il mio proposito nel capitolo citato. Quando io dico che gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli sono “impregnati di platonismo” non dico che essi siano gnostici. In effetti essi sono ferocemente antignostici; ma il loro spirito resta ondeggiante, teso tra nozioni contraddittorie, mal comprese, difficilmente conciliabili, a partire dalle quali essi si sforzano di porre coesione nel raggiungerle ».

(*) [E. Couvert è un autore francese, gran conoscitore della “gnosi”, i cui principi e sviluppi temporali ha descritto in diversi suoi libri ed articoli con stile semplice, efficace, lucido e particolarmente chiaro. A lui siamo tutti debitori della comprensione dei fondamenti della gnosi e dei suoi mille tentacoli. La sua opera in questo è unica ed encomiabile, ma … resta una grave lacuna in tutti i suoi scritti, in particolare in quelli che dimostrano l’infiltrazione gnostica in quella che secondo lui è la Chiesa Cattolica [che confonde con la setta vaticana del “novus ordo”]. In questo purtroppo sposa l’eresia “gallicano-fallibilista”, da lui più volte giustamente attribuita ad altri, secondo la quale la Chiesa può essere, anzi è attualmente “maestra di errore” ed i “papi” recenti [quelli fasulli conciliari e post-conciliari] “dispensatori di veleno gnostico” in contraddizione con la teologia tomistica ed il Magistero di sempre! Proprio il suo immenso sapere e la sua mirabile sistematizzazione nell’ambito degli inganni gnostici, avrebbero dovuto fargli aprire facilmente gli occhi e comprendere la realtà della “Chiesa Cattolica eclissata e del Papa in esilio” [quello canonicamente vero], come profetizzato dalla Santa Vergine a la Salette già nel 1846. Speriamo che quanto prima riesca a collocare questa ultima tessèra nel suo mirabile mosaico, tessèra senza la quale, il mosaico stesso risulta monco ed opaco, perché non in perfetta linea  con il Magistero ecclesiastico, con la Tradizione apostolica e l’insegnamento evangelico di Cristo.]