LO SCUDO DELLA FEDE (205)

LO SCUDO DELLA FEDE (205)

LA VERITÀ CATTOLICA (II)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. E libr. Sales. 1878

ISTRUZIONE II.

lo credo in Dio Padre.

Ci lasciammo, vi ricordate, nella prima istruzione tra le braccia della madre Chiesa col dire: Io credo in Dio; persuasi che il primo, il più necessario, il più consolante dovere è questo di credere in Dio. Ora come la madre colla amorosa sua parola ridesta nel fantolino l’anima quasi dormente entro il corpicciuolo, e gli fa guardare d’intorno le cose, ne eccita la curiosità, sicché il fanciulletto vuol sapere il perché di tutto che vede, e a lei muove continue dimande; e la mamma rispondendo ai suoi perché, delle più necessarie cose lo istruisce; così la madre Chiesa dopo d’aver sollevato 1’animo e il cuor nostro a credere in Dio, mentre noi contemplando lo spettacolodi tutte cose create, rapiti in sublime incanto, vorremmo saper la ragione per cui Dio creò le cose con tanta cura e bontà, non aspetta le nostre richieste, ma ci dice subito « è perché Dio è Padre in Se stesso, e mostra amor di padre in tutte le creature, e specialmente con noi uomini cui vuol beati con Lui in Paradiso. Ecco quel che v’ho da spiegare quest’oggi. Deh vi piaccia di continuarmi la vostra attenzione. Noi dobbiamo quest’oggi considerare che « crediamo in Dio Padre, che mostra amor di Padre in tutte le creature e specialmente in noi cui vuole come figliuoli suoi prediletti beati in Paradiso. ». Oh! Gesù Benedetto nostro Divin Maestro, Voi che ci avete insegnato che la cosa più buona per vivere eternamente beati è credere in Dio Padre, e in Dio Padre conoscere Voi Suo Figliuolo, dateci del vostro Cuore ad amar Dio Padre. Voi poi, o Maria Madre nostra santissima, giacché le madri metton sul labbro per la prima parola d’amore il nome del padre, menateci davanti a Dio e mostrateci a ben ripetere « Io credo in Dio Padre »  – Comincerò qui a spiegarvi in prima come si dice che Dio è Padre. Prima di tutto parlando di Dio, noi dobbiamo sollevarci Sopra :] basso modo di pensare del mondo; e quando diciamo che Dio è Padre, non dobbiamo immaginarci che Dio sia Padre a quel modo che l’uom terreno è padre de suoi figliuoli. Erano i poveri pagani che per avere un Dio, il quale a lor modo di credere lasciasse loro fare quel che volevano, anzi tenesse mano ai loro vizi, sì formarono un Dio, poi un altro e poi un altro Dio a fantasia accondiscendente alle loro passioni. Essi sostenevano che l’uno e l’altro loro Iddio fabbricato fosse padre in schifose carnalità; e padre dicevan Saturno, padre anche Giove e re degli dei e degli uomini; padre Plutone ore dei luoghi infernali. Ma sì eh? che dovevano ridere nel loro cuore corrotto, quando raccontavano di loro tante schifezze ributtanti, quali non voglio neppur nominare. Voi che avete studiato le sapete purtroppo; giacché ve le hanno date da leggere nelle scuole sui libri delle favole, per farvi imparare belle parole che ricordano così tristi fatti. Dio Creatore formò non di sua Sostanza, ma colla potenza della sua parola tutte le creature, e ne piglia tanta cura, quanta più non potrebbe un padre dei suoi figliuoli. Così si mostra ch’Egli Onnipotente Signore dell’universo, in fondo però è un Padre di bontà senza fine. Io per farvelo vedere in questa istruzione, voglio far proprio come Gesù Cristo là sul greppo della montagnola con quella buona gente del popolo che lo attorniava. Qui intorno a me, vi dirò con Lui, seduti alle mie ginocchia, guardate d’intorno a tutte cose; e voi ben conoscerete come debbe essere buon Padre il Dio dei cieli. Vedete quest’erbetta che vi spunta tra i piedi? Dio aveva fatto un granellino, lo mise a covare al caldo come in un letticciuolo nel terriccio; ne apri il guscio, e vi sviluppò appresso radichette gonfie di latte come il seno della madre: poi come sarà il fusticciuolo venuto su, Dio lo veste a ricchezza nella gioventù bellamente infiorandolo. Se poi mette fuori un bottoncino, Dio se ne piglia cura, lo avvolge in fogliette; ma irte di fuori di punte pungenti, affinché non vadano gl’insetti a guastarlo. Sicché le piante provvedute d’ogni ben da Dio si espandono ridenti guardando il Cielo, come gl’innocentini in faccia alle mamme: e se voi domandate, perché Dio si prende tanta sollecitudine per loro, la Madre Chiesa vi risponde « è perché Dio tutta bontà in Se Stesso, mostra nelle piante un amor come di padre. Ah dite, dite voi dunque, o figliuoli « io credo in Dio Padre. » Andate a cercare gli uccelli; voi li troverete nel nido come in morbido letticciuolo ben preparato chetini e contenti: la madre li scalda sotto le ali, li ciba, li difende e veglia a tutto; ma son nati nudi nudi quei tenerini, e la madre non sa cucire. Via, via, il Signore di sua mano fa loro le vesti di bellissime piume. Oh 1’augellin già cinguetta sull’orlo del nido, balza fuori, fa la svolta. e via per l’aria, canta allegro, e par che dica « mi provvide di tutto come buon padre Iddio. » Cantate, cantate augelletti, a lodare Dio, senza pure conoscerlo: ma noi che il conosciamo esclameremo inteneriti « Io credo in Dio Padre. ». Guardate poi dentro là nel fondo delle acque che visibilio di pesci svariatissimi! In quell’abisso, sotto quelle onde pesanti forse resteranno soffocati?… Ma no, ch’essi stretti stretti nella propria vita colle aline al paro di augelli, colla coda a modo di remo, sono qui, là, in mezzo delle acque, guizzano via come saette, si buttan ballando sulle onde del mare in burrasca, si abbassano nel fondo a riposare sulla melma, si addormentano nel fango; ma cogli occhi brillanti par che dicano: « pensò Dio tutto per noi come Padre »; e noi col sorriso della compiacenza diremo: « Oh sì che io credo in Dio Padre. » Qual ronzio di bestioline? sono gl’insetti che formicolano dappertutto. La farfalla che ha da vivere in aria, aleggia sui fiori, splende co’ suoi bei colori al sole e svolazza leggierissima come il pensiero. Le mosche e i moscherini più minuti che trovano nel molliccio il lor buon mangiare, perché non restino impicciati da Dio sono tenuti sollevati sopra fili sottili di gamboline; essi stendono la lor proboscide per succhiare dall’alto; e se stanno in riposo fissi e come incantati, Dio fece loro due occhietti che saltano fuori dalle testine a far guardia fino di dietro. Alle formiche fu insegnato a vivere come in buona repubblica; e alle api in gran famiglia patriarcale tutte intorno all’ape regina loro madre, che direi coi costumi da patriarca. Se a voi fanno schifo li vermi, ma ai meschinelli mostra Dio a strisciare lisci lisci nel buco, e vi vermicolano dentro alla quieta. E troppo tenera la sprezzata lumachella: ma Dio le diede due cornetti, fili sottili con cui tasta tutto dintorno; e se un soffio d’aria la può offendere, essa ha la sua casetta di osso attaccata alla vita pel bisogno di tutti i momenti: e ritirata nella chiocciola, sta tranquilla più che la dama nel suo gabinetto. Oh! sentite là il leone che fa col ruggito rimbombar la caverna; ed ah! che balza fuori dalla spaccata montagna la iena, coi peli rabbuffati sul dorso. Queste belve feroci hanno anch’esse nei loro covi i piccolini; il lione piega l’orrenda testa a lambirli delicatamente; e la iena nasconde quei raffi d’unghioni di ferro, e posando d’intorno di loro le zampe molli come i polpastrelli di morbida mano, stende loro la poppa nuda di peli, e così quella belva che ha la rabbia nel fuoco degli occhi, dà il latte dolcissimo ai suoi bestiolini. È Dio fa trattare da quei feroci animali colla tenerezza di padre e di madre i loro piccolini; perché Egli vuole a tutte le sue creature far provare amor di padre. Al variar delle stagioni Dio pensa di far a tutti gli animali per l’inverno le vesti più grevi. Essi morirebbero pel mutamento dei climi o troppo caldi o freddi, ma Dio mostra loro il luogo ove riparare, e li provvede per fari lunghissimi viaggi. Al cammello che deve attraversare a tutta lena il gran deserto infuocato dal sole, Dio mantien nello stomaco un otre d’acqua sempre buona, affinché non muoia di sete; perché poi la rondinella deve attraversare smisurati mari, Dio le mostrò, quando è stanca, a posarsi leggera sull’onde col corpicciolo, che scivola liscio come una barchettina e far di remo colla zampetta e alzar l’alina per vela, e batter colla coda come col timone le acque arruffate dal vento. Arrivano poi le rondini nei nostri paesi, e proprio allora, quando brulican per terra gl’insetti o volan per l’aria; così trovano preparata l’esca. Provvede dunque tutti di tutto Iddio come il più buono dei padri e tutti ci invitano a dire « io credo in Dio Padre. » Intanto tornati a casa troviamo i buoi tra noi quieti: allungano mansueti il collo a portare il giogo e durare nel lavoro l’intiera giornata; e il cavallo scorgiamo che scuote la testa, raspa impaziente il terreno, lì per rompere al corso, ma con l’occhio sgranato guarda indietro ad aspettar il comando. Perché Dio fece cavalli e buoi così obbedienti? Vel dirò io; è per trovar loro dei padroni che li piglino per servi, ma stabili che pagassero loro il salario coll’averne cura e mantenerli; come un padre colloca il figliuol suo presso un padrone a patto che lo tratti bene. Voi vedete di fatto che se il cane è fedelissimo al padrone fin oltre la morte, il Signor gli fa dare il pago coll’indurne il padrone a trattarlo direi quasi uno della stessa famiglia. Oh sì! veramente Dio mostra con tutti amor di padre; sicché noi dobbiamo col cuor sulle labbra esclamare: « io credo in Dio Padre » Che se poi consideriamo noi stessi, bisogna piangere di tenerezza al pensare come Dio con noi uomini si mostra Padre di bontà a tutte prove nel preparare le cose per noi, proprio come fa coi suoi figliuoli il più buono dei padri. Sicché quando ci crea e ci mette nel mondo par che ci dica: « guardate; guardate, come ho già tutto preparato per voi; per voi disposi soda la terra, vi coltivai le piante, creai gli animali prima di voi; epperò entrati nel mondo considerate di essere nella casa del Padre vostro. Fermiamoci un po’ a pensare come Dio pensò a tutto. Affinché potessimo pigliar possesso della terra, ci creò ritti sulla persona abili a fermarci sicuri sulla la pianta de’ piedi, con mani e braccia che si acconci ad eseguire quello che vogliamo. Dio ci ha fatti tendere di scavare la terra per trovarvi i nascosti metalli, ci ha fatto sapere che se armiamo con un pezzo di ferro falcato girandolo intorno, si raccoglieranno i frumenti a fasci nel nostro seno; che se menerem colpi a piè d’un albero che torreggia superbo fin tra le nubi, la pianta ci cadrà ai piedi, e si lascierà squarciare, e segare per tutti gli usi che noi vogliamo. Dio ci ha lasciato capire che in mettendo un sasso sopra dell’altro,  fabbricheremo la case per nostra sicurezza, e che gettando le reti nell’acqua potremo arretare i pesci fin dentro le viscere del mare; e che, se gli animali fuggono in su per l’aria, li potremo far cadere al suolo quasi come con un colpo di fulmine; e che il fulmine stesso farem cadere giù dalle nubi. Così Dio ci disse: « io vi do da studiare, da industriarvi, nel mondo; adoperatevi e troverete che Io ho già preparato tante belle e buone cose da servirvene a volontà… » Onnipotente Creator di ogni cosa, tuttoché così grande, con noi mostrate proprio di pensare da Padre, di provvedere da Padre, di amarci da Padre; di che noi grideremo inteneriti sino alle lacrime: « io credo in Dio Padre. » – Ma però, o miei fratelli, io vi do da pensare alquanto facendovi osservare che, se Dio provvide a tutte le creature per tutti i loro bisogni; con noi uomini, mentre pur fa conoscere che vuole a noi maggior bene, tratta in modo da lasciarci ancora maggiori bisogni. Ascoltate. Vedete le piante: perché hanno da star ferme radicate sul suolo han bisogno di aver d’appresso l’alimento per mantenersi; e Dio mise il cibo nella terra e nell’aria a loro d’intorno, e nelle radici e nelle foglie fece lor tanti buchi come bocche per assorbirlo. Eppure Egli non ha da amar tanto le piante, perché le piante non Lo conoscono, né si curan di Dio. Gli animali han bisogno di muoversi e cercar da mangiare, e guardarsi da ciò che a loro nuoce; e Dio diede loro per questo la forza di muoversi, diede i sensi del corpo e l’istinto, per cui essi vivono, mangiano, dormono, e par che dicano « noi non abbiamo un fastidio al mondo; Dio pensò a tutto per noi. » E sì che gli animali son men cari a Dio perché non lo intendono e non sanno amare. E poi Dio solamente a noi uomini non diede sulla terra tutto il bene che sospiriamo. Noi vogliamo la pace, e non troviamo pace mai, sempre tra incerte speranze, e maggiori paure. Vogliamo godere d’ogni bene e se assaggiamo qualche bene, vogliam sempre un bene maggiore; se non fosse altro, vogliamo star bene per sempre; mentre vediamo, ahi! che il tempo ci porta via quel po’ di ben che abbiamo. Siamo adunque nel mondo le creature più inquiete. E perché Dio che ci ama da Padre non ci lascia esser proprio contenti sopra la terra? Perché? Oh! voi già l’intendete il perché. Dio ci ha creati non per fermarci qui; ma per farci contenti eternamente in cielo. Sì, sì, è perché Dio ama noi uomini proprio con amor da padre vero, e come Padre vuole avere i suoi figliuoli sempre con sé beati in paradiso. Al cielo, al cielo innalziamo la mente, il cuore, le nostre grida, piangendo inteneriti: « O Padre nostro che siete ne’ cieli, liberateci dal male; ed è tutto male per noi se non possediam Voi sommo Ben nostro in paradiso « o Pater noster…. libera nos a malo: » Or dunque se abbasseremo gli occhi alla terra grideremo con quella bell’anima che era santa Maria Maddalena de’ Pazzi, « erboline e piante e fiori, io v’intendo; vi ha creato Iddio coll’amor di Padre, e se per questo voi guardate il cielo ma senza dir niente, diremo noi anche per voi che lo amiamo da Padre: sclameremo colle parole che il sublime e semplice s. Francesco d’Assisi volgeva alle tortorelle: « tortorine sorelle mie, voi sospirate!… animali, e che volete voi dirci colle vostre grida? Volete dirci che vorreste amar Dio? Ah che voi non avete cuore da farlo! Ebbene, v’impresteremo noi dell’amore di cui abbiamo pieno il cuor nostro, per amarlo insieme con tutti. » Se guarderemo al Cielo, noi esclameremo insieme colla bell’anima innamorata di santa Teresa « oh quanto è ricco il Padre nostro Creator del tutto » e finiremo col dire piangendo per tenerezza con un largo sospiro del cuore, « io credo in Dio Padre » (Sì veramente è la più cara cosa i conoscere che Dio in fine è così buon Padre; e ben dobbiamo ringraziare la Chiesa, la quale da buona madre, dopo di averci detto di credere in Dio, c’insegna subito che Dio è Padre. Poiché se ella a dir vero ci lasciasse pensare da noi chi sia questo Creatore cui dobbiamo creder per forza che vi sia, perché vediamo tutto da Lui creato; noi uomini non avremmo mai immaginato da noi che Dio fosse così buon Padre. Sentite difatti come gli uomini, che vollero pensare da sé con quelle lor matte teste, quante sognarono orrende cose di così buono Iddio. Lasciamo i poveri popoli che diventati come selvaggi, udendo nell’India ruggire tremendamente la tigre, slanciandosi addosso per divorarli dissero « la tigre così forte, è Dio. Lasciamo i poveri negri abbrutiti anch’essi, che udendo fischiar nei deserti dell’Africa l’orrido serpente nel vibrarsi come una saetta alla lor vita, esclamarono: serpente è Dio. » Non vorrei anche dirvi come popoli civili ma più corrotti s’immaginavano i loro Dei pieni di vizi più schifosi, e diventarono dissennati così, che impastavan del fango, scolpivan di sassi le figure più bizzarre per dirsi « questo fango e questa pietra opera delle nostre mani sono Dio » perché non sì abbia da dirmi che quei popoli eran troppo ignoranti nei tempi passati. Poiché ecco proprio a questi lumi di sole, uomini che si danno del fiero e si dicono da cime di filosofi che si innalzano sopra di tutti (figuratevi che di dicono trascendentali, che vuol dire che passano sopra alle menti di tutti) e si siedono a scranna a dettare fin nelle più famose università, ne dissero… Abbiate pazienza se ve ne dico di quelle dette da loro alcuna cosa strana che voi dovete esclamare « incatenateli come matti furiosi. » Damiron sostenne che Dio è un corpo di fuoco. Misericordia! Qual tremendo incendio dovrebbe bruciar tutto l’universo se Dio fosse fuoco … Michelet scrisse che Dio  è un combattimento. Ahi chi ci salva da non restar distrutti da questo Dio che combatte con la forza con che muove i mondi! Hegel poi sogna che Dio è la trasformazione delle nostre persone! Oh Dio è ben una miserabile cosa, se Dio siamo noi! Scelling dice la più pazza cosa del mondo che siamo noi i quali creammo Dio creatore del cielo e della terra. Ma deh chiudete le orecchie per non udir la più orrenda bestemmia dalla bocca indiavolata Proudomme… «Dio (ha egli il furore di dire) Dio … è …. Il male! ….. Oh Santissimo Iddio!!….. Deh calmatevi o figliuoli; perché essi a loro dispetto confessano la verità nel loro modo diabolico col demonio che li invasa. Costoro non volendo adorare Dio santissimo che è il Padre di tutti i beni, il Sommo Bene, adorano l’autor del male per Dio e se lo tengono per loro padre… Lo dice Gesù: vos ex patre diaboli estis! Oh per me io credo che, se venissero fuori dalla negra tetraggine della morte eterna le anime degli antichi filosofi (immaginiamoci l’anima di Cicerone che aveva tanto buon senso) ad ascoltar queste bestemmie esclamerebbero: « per me ritorno piuttosto nel sonno dell’eterna morte: perché questi filosofi farebbero del mondo un peggior inferno! » Per questo la Chiesa inorridita a tali bestemmie vorrebbe conservare un resto di buon senso e facendosi, se fosse possibile, ascoltare fino dai suoi nemici fin dal principio e come sulla porta del Concilio Vaticano, come vi ho già spiegato nella prima Istruzione, va gridando ai suoi figliuoli così da farsi udire da tutti: « Guardatevi da costoro: i miserabili sono maledetti e scomunicati. » – Conc. Vat. Cit.). Grande Iddio della bontà, noi vi ringraziamo che vi siete fatto conoscere di essere tanto buon Padre! Così noi suoi figliuoli tra le braccia del Padre nostro arriviamo a capire certi fatti caratteristici degli animali; e arriviamo a spiegar certi misteri del cuore umano; anzi penetriamo il più profondo mistero o segreto del Cuore di Dio. Attendete e considerate certi fatti negli animali. La lepre tutto il dì appiattata sotto la frasca osa appena allungare il collo e brucare le foglie appresso appresso; tutta orecchie, a larghi occhi; paurosa origlia e guata, è l’animaletto per istinto più pauroso di tutti; ma se i segugi l’appostano, quando ha sotto i leprottini, balza ardita dal covacciolo, e quà e là sempre a grandi salti innanzi ai cani, se li tira appresso a ghermire se stessa. E quando i cani affranti l’han perduta di vista, fa la svolta e torna ai suoi piccini, lasciando il cacciatore a cercarla da lontano. Or perché diventa tanto ardimentosa contro l’istinto suo?….. Perché Dio l’ha creata secondo il pensiero e il cuor di padre. Vedete pur la timidetta rondinella delle aline tremolanti, sempre li per volarsene via, fugge in aria; ma se ritorna col cibo pei pulcini, e trova la casa sotto il cui tetto tiene il nido, tutta in fiamme, vola a battersi contro il fuoco. Ah il fuoco l’abbrucia… ella svolta via, ma ritorna all’assalto, si caccia dentro della fiamma e va a cader carboncino ardente sui pulcini già abbruciati… Eh via mi dicano i naturalisti, qual forza è che la spinge tanto contra l’istinto. Non lo san dire?…….. Lo diremo noi che abbiamo imparato dalla Chiesa che Dio in fondo della Divinità è Padre per natura il quale in tutte le creature trasfonde dell’amor di Padre verso i loro figliuoli. Vi ho detto sopra che credendo che Dio è Padre, si spiegano in noi uomini certi misteri di cui non si potrebbe dare in altro modo ragione. Voi ben sapete come noi uomini sappiam tirar bene i nostri conti per fare ciò che conviene al nostro interesse. Sì; ma perché mai la madre senza far calcolo, ove le si avventi il lupo, presto nasconde il bambino sotto il proprio petto, e volge la vita a lasciare squarciare se stessa? Perché se un padre dalla riva, se vede il figliuol suo travolto dall’acqua, furente, non istà lì a far calcoli, no, ma si getta di repente nell’onda, e strascinato dal vortice che lo ingoia, sporge in alto il figliuol e vuol dire annegando: « che io pur muoia, ma si salvi il figlio mio? » perché?…….. Ah noi ben lo sappiamo il perché; è perché Dio nel creare al cuore della madre e del padre guardò il proprio cuore: e il Cuor di Dio è il Cuor di Padre tutto divino. Di che noi sentiam bisogno di ripetere sempre: « Io credo in Dio Padre e Dio Padre di bontà infinita. » Per farvi intendere poi i secreti del Cuor di Dio Padre, e capire in qualche modo a che cosa fino possa giungere l’amore di Dio Padre, sentite un fatto che si racconta. Fu un povero padre, che appena natogli un bambino, cercato a morte da’ suoi nemici dovette fuggire di casa. Ma dopo alcun tempo non ne poté più, tornò a stare appresso al figliuolo a costo della propria vita. Però a fine di mantenere l’incognito si faceva tenere da lui per servitore(eh vi so dir io se era un servitore ben fedele!). Che pazienza infinita nell’andargli appresso in tutti gli aggiramenti! in tutti i pericoli era sempre li a salvarlo. Un dì un assassino assale con un pugnale il padrone, e ve’… il servo si slancia all’improvviso in mezzo a coprirlo col proprio petto. Un altro dì il padrone si getta incauto in pericolo da perdersi certamente: e il servo è là; l’attraversa, lo vuol salvare ad ogni costo, gli contrasta, lo minaccia anzi, ed alza fino le braccia a percuoterlo. Il padrone indignato a tanto: « oh chi sei tu, vile servo, che hai siffatto ardimento? » E il servo allora; « figliuol mio, riconoscimi, io sono tuo padre, io!… » Ah allora cade la benda dagli occhi al figlio, allora questi, comprende in un lampo i misteri di quell’amore senza pari. Deh anche noi inteneriti fino alle lagrime, esclamiamo che comprendiamo tutti i misteri della bontà di Dio. Egli è Padre. Forse il profeta Giona nol capiva per bene. Il perché mandato a predicare a Ninive, e a dirle sulla parola di Dio, che essa cadrebbe e i suoi cittadini dentro quaranta giorni sarebbero mandati tutti in perdizione: egli stava là sulla montagna ad aspettare che Ninive fosse schiacciata sotto i colpi dello sdegno di Dio. Passato il quarantesimo dì, in veggendo che Ninive stava tuttavia, egli diceva: « Signore, e la vostra parola? Qui ci vaa dell’onor vostro! È nel vostro interesse che io parlo. » Il Signore mandò un vermicello a roder dentro un fil di pianta d’edera che egli con amor coltivava; e l’edera, che dell’ombra proteggeva il profeta piegò le foglioline e appassita disseccò, tanto che il profeta voleva piangere pel dolore. Allora il Signore pare gli dicesse: « o Giona, ti è tanto cara questa pianticella solo perché l’hai allevata con amore, ma tu non ami al paro di me da Dio: io ho creato i Niniviti; gli uomini mi uscirono di mia mano e me li guardo in seno coll’amor di Padre. O Giona, sai qual è il mio onore e il mio pro’ maggiore? è l’amare da Padre! » Oh! adesso sì finalmente sì conosce il perché Gesù Cristo parli con parola così amabile, che non si può dire di più. Sentite che Egli stesso ce ne dà la ragione: « è perché la mia dottrina è la dottrina del Padre, » come volesse dire: « mi preme tanto farvi conoscere quanto è buono il Padre nostro. Adesso si fa chiaro, perché dice, che la madre di famiglia, perduta la moneta d’oro, tutta fuori di sé mette sossopra la casa, e, se la trova, fa la gran festa. Egli con questa immagine ci vuole far intendere che il tesoro del suo Cuore sono i poveri figli peccatori: perché li ama tanto, fa festa, se gli tornan in seno. Ecco perché a quei servitori impazienti che gridavano: « strappiam via la zizzania? » Gesù fa rispondere dal ,buon padrone: « aspettate alla fin dell’annata, perché non abbiate insieme colla mal erba da strapparmi un filo di buon frumento. » E quando poi quei discepoli là con uno zelo arrabbiato gli dicevano: « vedete, Gesù, noi siamo andati proprio a vostro nome a quei del tal paese, e non ci vollero ricevere!…… eh eh! Fate piovere a loro addosso il fuoco dal cielo e servirà per una tremenda lezione. » È Gesù a loro rispondere: « ah! non sapete di quale spirito voi siete; » e poi ancora; « il mio è lo spirito del Padre mio. » E quando Pietro sentendosi dire di perdonare e perdonar sempre, gli saltava su davanti: « ma dunque ho da perdonar fino a settanta volte? » e Gesù: « Anzi settanta volte sette » per dire: tutte volte che si son convertiti. Adesso intendo, perché si vedono dei poveri giovani voltar le spalle a Dio e volere fin dimenticar che vi sia Dio…….. per fargliene sugli occhi di quelle!!…..; e Dio quasi dire: « pazienza, sono poveri figli; ed io son loro Padre!» E anche noi, o cari, anche noi continuiamo degli anni tanti a goder d’ogni ben di Dio, e forse villanamente senza neppur dirgli grazie; e Dio dire, « pazienza! poveri disgraziati, essi non san quel che fanno, sono proprio poveri figli; ma io son Padre! » Vi voglio dire ancora, perché lo dice Gesù, che se un qualche cattivo come, fu il prodigo figlio abbandona la religione, alza la testa indragato, al pari del serpente d’inferno e fa guerra a Dio, se poi rovinato in ogni brutto vizio alla disperata, e almen perché non ne può più, vuol tornare a Dio….; se ritorna, sentite, sentite fa con quel suo Cuore Gesù, se ritorna…. Dio gli corre incontro, se lo serra al petto, e per rimprovero lo veste di nuovo, per castigo lo porta al convito e mena gran festa. Ah! si sì, che siamo obbligati a dire piangendo: « Io credo in Dio Padre.» Figliuoli, io non posso andare più in là!; mi trema il cuore pensando che proprio come un padre ha compassione dei suoi figliuoli: così Dio ha compassione di noi che ci conosce così meschinelli — quomodo miseretur pater filiorum; misertus est Dominus… quoniam Ipse cognovit figmentum nostrum. (Psal. 102). –  Però mi voglio gettar per terra e dire al Signore anche a nome vostro Confiteor. Vi confesso, o grande Iddio, che Voi siete un Padre di bontà; e che a noi, che siam pure ignorantelli, sembra d’intendere il più sublime segreto, il più profondo mistero della vostra inaccessibile Divinità il quale spaventa le menti le più profonde, tanto che nel loro orgoglio nol possono credere. Sì, se per tutti è un mistero il capire come Dio si è potuto far uomo; a noi tra le braccia di Dio Padre par di vederglielo nel suo Cuore come abbia potuto; anzi ci pare fin di comprendere come Dio abbia potuto morire per noi. Sì, noi abbiamo conosciuto che Dio è Padre. È dunque l’eterna fonte dell’amore di Padre, perché da Dio discende ogni paternità; e Dio trasfonde l’amor della paternità alle creature. Ora Egli creando ad immagine sua i padri e le madri, sol per farli un po’ simili a Se stesso mise tanto amore in loro, da esser capaci di sacrificare sino la propria vita pei loro figliuoli, e sol perché son creati ad immagine sua; ed Egli poi che in realtà ha in sé l’Eterno Amore Sostanziale, non doveva poter sacrificar Se stesso? Se lo possono meschini uomini e povere donnicciole; non aveva da poterlo un Dio? …Ah! L’Eterno Padre Iddio, come vi spiegherò, ha l’eterno suo Figliuol Unigenito; per Lui creò noi uomini a fine di averne in noi dei figliuoli che lo amassero da figliuoli, e per amarci Egli da Padre benché sia Dio. Or chi può misurare il tesoro immenso di bontà che è il Cuor del gran Padre Iddio? … Poté dunque cavarsi dal suo seno il suo Figliuolo; (perdonatemi la povera umana espressione che non può dir bene cose tanto divine) e il Figliuol di Dio fattosi Uomo per fare diventare noi suoi figliuoli e farci adottare per figli dal suo Padre Celeste, poté volere e volle in forza del suo Amore divino sacrificare e Corpo e Sangue a nostro salvamento. Sì sì! quando Gesù, morì sulla Croce, e sì lasciò squarciare il Cuore per darci fin l’ultima goccia di Sangue, allora mostrò che Egli col Padre nello Spirito canto Eterno Amore, è Padre anch’esso dei figliuoli del suo Sangue. Col cuor che non ne può più per non poter dir tutto che si merita Iddio, conchiudiamo con un po’ d’esame sulla nostra vita.

Esame.

Se Dio pur così grande, ci ama da Padre, noi fino adesso come l’abbiamo amato da buoni figli?… Poveri noi che lo disprezzammo orribilmente!

Pratica.

.1° Siamo adunque noi i poveri figli che l’abbiamo abbandonato, proprio come il figliuol prodigo! Ecco perché ci troviamo così miserabili… Deh noi abbiamo ancora il Padre nostro, e noi ritorniamogli subito in braccio, confessando dolenti i nostri peccati.

.2° Abbiamo qui nel Sacramento Gesù Figliuol del Padre celeste, e Padre nostro anch’esso perché ci ha fatti rinascere col suo Sangue, e sta qui per sollevarci al Padre nel cielo. Deh! Almen tuute le mattine e le sere, abbracciamoci col cuore a Gesù nel  Sacramento, e per dir tutto nelle nostre orazioni gridiamo col Cuor suo che sempre prega il Padre suo per noi — « O Padre nostro »: recitiamo il Pater noster uniti a Gesù Cristo, è col Pater noster che noi veniamo a dire — O Padre nostro Dio Santissimo, tutta la gloria, tutto l’amore a Voi; a noi tutta la vostra misericordia!

Catechismo.

D. Ditemi adunque la bella, la cara verità che abbiamo considerato quest’oggi?

R. Noi abbiamo considerato che Dio è Padre.

D. Perché si dice che Dio è Padre?

R. Si dice che Dio è Padre, perché coll’amor di Padre ha creato tutte le cose, e coll’amor di Padre le conserva e governa: perché Dio ha creato noi, e come suoi figliuoli ci vuol beati seco in Paradiso. Perché essendo Dio Padre col Figliuolo e lo Spirito Santo un Dio solo, Dio Padre mandò il suo Figliuolo a farsi uomo a fine salvare noi col suo Eterno amore lo Spirito Santo e così averci beati seco in Paradiso. – Ma di questo vi parlerò nella ventura istruzione. Sicché ora andate a casa, e ripetete tra voi: noi abbiam ben capito che Dio è il gran Padre di tutti, ma specialmente di noi, e siam consolati al pensiero che ci ama come figliuoli del Sangue del suo Figlio. Lungo il giorno poi dite sovente abbracciati col cuor a Gesù: « O Padre, o Padre. »

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (2)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (2)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF.1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO I.

Il Verbo incarnato fonte della nostra vita spirituale.

Per conoscere bene la vita cristiana è evidente che bisogna risalire alla sua fonte. Ora questa fonte è la stessa santissima Trinità, perché nessuno può farci partecipi della vita divina fuori di Colui che ne possiede la pienezza. Tutte e tre le divine Persone concorrono a questa grande opera; ma fu eletto il Figlio a discendere in terra, a divenir nostro Capo, a incorporarci al suo Corpo mistico e farci così partecipare alla sua vita. Per intendere meglio questa verità, vediamo che cos’è il Verbo divino: 1° nel seno del Padre; 2° nel mistero della sua incarnazione; 3° nelle sue relazioni con noi; 4° onde poi conchiuderne che dev’essere il centro della nostra vita spirituale.

ART. I. – IL VERBO NEL SENO DEL PADRE.

Chi ci descrive la vita del Verbo nel seno del Padre è San Giovanni (S. Giov. I, 1-6).

 « In principio era il Verbo

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

Egli era, al principio, presso Dio.

Tutto si fece per mezzo di lui

e senza di lui non si fece nulla

di quanto esiste. –

In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini.

E la luce splende fra le tenebre

e le tenebre non la ricevettero ».

In questo magnifico prologo sono poste in luce due grandi verità: 1° La vita del Verbo in Dio: 2° la sua azione sul mondo.

I° La vita del Verbo in Dio.

In principio, cioè, prima della creazione del mondo, come altrove spiega Nostro Signore stesso, il Verbo era. San Giovanni adopera questo modo di dire per farci capire la preesistenza o l’eternità del Verbo; infatti, prima della creazione, prima dell’inizio del tempo, quando Dio esisteva nella sua eternità, il Verbo era, ed era senza principio. E dov’era? Nel seno di Dio. Dio, che dà la fecondità alle creature, è Egli stesso eternamente fecondo, di fecondità tutta spirituale. Dio pensa da tutta l’eternità: ma a che cosa può mai pensare Dio se non a sé stesso? Pensando a se stesso, produce un’immagine della divina sua sostanza, immagine perfettamente simile, immagine sostanziale di incantevole bellezza e di perfezione infinita. Questa immagine sostanziale è una vera Persona, perché in Dio nulla è di imperfetto; è quindi un’immagine infinita, viva, operosa, una persona come lo stesso Padre; dal quale è distinta perché ne riceve la vita; ma al quale è perfettamente uguale perché questa vita la riceve intiera. Questa Persona è il Figlio di Dio, è il suo Verbo, è un altro Lui stesso, è lo splendore della sua gloria (Hebr. I, 3), è il suo Unigenito (S. Giov. I, 18). Il Padre ama questo suo Figlio con amore infinito e ne è infinitamente riamato; da tale mutuo amore sorge una terza Persona uguale alle altre due, lo Spirito Santo, vincolo sostanziale tra il Padre e il Figlio, che procede dall’uno e dall’altro e che si chiama Amore o Divina Carità. – Tale è il mistero della santissima Trinità, mistero che non possiamo ora comprendere ma che contempleremo un giorno nel cielo; e sarà la sua chiara visione quella che ci renderà eternamente beati. – Questo mistero, rivelato da Gesù stesso, cioè da Colui che continuamente lo contempla, spande già una viva luce sull’interna vita di Dio. Se non avessimo che il debole lume della ragione, Dio ci apparirebbe come in un’oscura lontananza e noi potremmo chiedere che cosa stia mai facendo così solo nel cielo. Ora la fede ci rivela che Dio non è solitario nell’eterna sua dimora: ce lo mostra uno certamente nella natura ma trino nelle Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. – Sono quindi tre a possedere quest’unica natura, tre a vivere in famiglia nella più perfetta intimità: il Padre pensa continuamente al Figlio e L’ama con amore infinito; il Figlio gli ricambia amore per amore; il Padre e il Figlio amano infinitamente lo Spirito Santo; e questi, che è l’amore sostanziale, li ricambia di pari affetto. Quale unione! Qual perfetta unità! e quanto sono felici questi tre di amarsi così con amore infinito! Ora proprio questo Dio uni-trino abita e vive nell’anima che è istato di grazia; cosicché anche noi possiamo dire con Suor Elisabetta della Trinità: « O miei Tre, o mio lutto, o mia beatitudine, o solitudine infinita, o immensità ov’io mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in voi, aspettando il momento di venire a contemplar nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze ». È poiché qui ci occupiamo soprattutto della Persona del Verbo, a Lui ripeteremo pure la preghiera della pia Carmelitana: « O Verbo eterno, o Parola del mio Dio, io voglio passar la vita ad ascoltarvi, voglio farmi a Voi perfettamente docile onde imparar tutto da Voi: e poi, nonostante tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissar Voi e restare sotto la fulgida vostra luce. O astro mio diletto, affascinatemi, onde non abbia mai più a sottrarmi dai vostri raggi ». (Preghiera composta dalla pia Carmelitana, che si trova in fine della sua biografia).

2° Il Verbo Creatore.

Dopo aver contemplato il Verbo in sé stesso e nelle sue relazioni con le altre due Persone della santissima Trinità, diciamo ora qualche cosa sulle sue relazioni con le creature. « Tutto si fece per mezzo di Lui e senza di Lui non si fece nulla di quanto esiste (S. Giov. I, 3). Queste parole ci dicono che il Verbo è, col Padre e collo Spirito Santo, la causa efficiente della creazione. La creazione è, infatti, un’opera esterna, ad extra come dicono i teologi, e quindi opera comune alle tre divine Persone. Se indaghiamo la parte più particolarmente attribuita al Verbo in questa opera comune, possiamo dire, con san Giovanni, che per mezzo di lui, per ipsum, fu creato tutto. Dio, infatti, opera per mezzo del suo pensiero; onera quindi per mezzo del suo Verbo che, come dicemmo, altro non è che il suo pensiero sussistente. Così appunto parla il Libro dei Proverbi: ci presenta la divina Sapienza, generata da Dio all’inizio delle sue vie, e in atto di assisterlo in quest’opera di sapienza che è la creazione: « Quando fissava i cieli, io ero presente, quando gettava una volta sulla superficie dell’abisso, quando assodava in alto le nubi, quando dava forza alle sorgenti sotterranee, quando fissava al mare i suoi termini perché non li oltrepassasse, quando posava le fondamenta della terra, io ero all’opera accanto a Lui; compiacendomi ogni giorno e ricreandomi in sua presenza, scherzando sull’orbe (in orbe) della terra e trovando le mie delizie tra i figlioli degli uomini (Prov. VIII, 27-31) ». È facile ravvisare sotto le frasi di questo linguaggio poetico l’azione del Verbo che, essendo la Sapienza del Padre, tutto previde, tutto ordinò in peso, numero e misura, perché tutto cooperi alla gloria di Dio e al bene delle creature. – Ne segue che il Verbo è la causa esemplare di tutte le creature. Prima di produrre cli esseri, Dio, come dice san Tommaso, forma in sé l’idea o il modello di ciascuno (Sum, Theol., I, q. 15; q. 34, a. 3, 5.). Come l’architetto, prima di costruire un palazzo, ne concepisce idea e ne fa il disegno, così, ma in maniera infinitamente più perfetta, Dio, prima di creare questo grande palazzo del mondo, ne concepisce il disegno e l’ordinamento fin nei più minuti particolari; perché nulla sfugge alla sua scienza universale e infinita. – Noi, dunque, esistiamo in Dio, nel pensiero di Dio, da tutta l’eternità. Dio vede fino a qual punto ogni essere parteciperà, in modo certamente limitato ma reale, del suo essere divino. Dio quindi è il modello, l’esemplare sul quale noi siamo formati: ecco perché si dice che siamo creati a sua immagine. « Facciamo l’uomo immagine e somiglianza nostra? ». Ora, appunto nel suo pensiero, nel suo Verbo interiore, Dio concepisce tutti gli esseri. il Verbo è quindi il modello, il prototipo, la causa esemplare di tutte le creature. – Quanto è efficace questa considerazione a darci un’idea così della nostra grandezza come della nostra dipendenza! Della nostra grandezza, perché l’essere nostro, per quanto imperfetto, è una partecipazione dell’Essere divino, è l’attuazione di un’idea divina: da tutta l’eternità Dio concepì il grado di perfezione che dobbiamo conseguire, e questo grado, qualunque esso sia, è qualche cosa di nobilissimo e di altissimo, perché è conforme a un pensiero divino e ci avvicina al Verbo di Dio. Della nostra dipendenza: essendo evidente che non possiamo attuare l’ideale concepito da Dio se non col suo soccorso e sotto la mozione divina. Creati da Lui secondo un tipo da Lui stesso concepito, noi non possiamo conseguire questo ideale se non lasciandoci plasmare da Lui: è Lui che opera in noi il volere e il fare (Fil. II, 13).  Il che è necessario; perché il consenso della nostra volontà è cosa che, in ultima analisi, non può venire che da Dio: è Dio che, dopo aver creato le nostre facoltà, le inclina verso il bene e ci fa acconsentire alla grazia. Dipendenti da Lui nel nostro essere, ne dipendiamo anche nelle nostre azioni. – Io godo, o mio Dio, di questa mia assoluta dipendenza da Voi, perché ho infinitamente fiducia in voi che in me. Voi siete, o Verbo. divino, la Sapienza infinita, ed è un onore per me il chiedere a voi i consigli di cui ho bisogno: voi siete la luce del mondo, ed è cosa dolce per me, in mezzo alle tenebre che mi circondano, partecipare alla vostra luce; Voi siete la fonte della vita, e io sono lieto di dissetarmi a quest’acqua viva che zampilla su alla vita eterna; voi siete il Figlio per eccellenza ed io godo di essere adottato da Voi nella divina famiglia. Siate per sempre benedetto, o Verbo di Dio, di avermi fatto partecipare, per quanto era a me possibile, alla vostra Sapienza, alla vostra Vita, al vostro De Essere divino! L’unica mia ambizione sarà ormai di accostarmi al divino esemplare che mi è proposto come modello. Tale è del resto, il dovere che più specialmente ci viene imposto dal fatto della vostra Incarnazione.

Art. II. — IL VERBO NEL MISTERO DELLA SUA INCARNAZIONE.

« E il Verbo si fece carne e abitò tra noi,

e noi abbiamo contemplata la sua gloria,

gloria come di Unigenito del Padre,

pieno di grazie e di verità » (S. Giov. I, 14)..

Parole sublimi che dicono l’infinita condiscendenza del Verbo, di cui abbiamo descritto l’origine eterna e le parti di Creatore! Il Verbo era beato nel seno del Padre; viveva nella sua intimità, era da Lui amato con amore infinito e Lui riamava con reciproco amore; sostanzialmente unito allo Spirito Santo che procede da Lui e dal Padre, trovava in questa divina Famiglia l’eterna sua beatitudine. Eppure, volle abbassarsi fino a noi: « Il Verbo si fece carne, e abitò tra noi ». Perché questo abbassamento? Fu certamente, come ultimo scopo, per glorificare il Padre: « gloria in altissimis Deo (S. Luc.) ». Nella sua natura divina il Verbo è uguale al Padre e non può abbassarsi dinanzi a Lui per porgergli ossequio; ma, dal giorno in cui si è personalmente unito a una natura. umana, può curvare questa natura creata avanti alla divina maestà, ad adorarla, lo darla, benedirla, glorificarla. Allora per la prima volta Dio riceve ossequi di valore infinito, perché gli sono offerti da una persona infinita, dalla persona del Verbo incarnato.Ma, come la Chiesa c’insegna nel Credo, il Verbo, facendosi uomo, ebbe pure un altro scopo: volle riscattarci, volle salvarci e ridarci i nostri diritti al Paradiso perduti per il peccato originale; in altre parole, volle comunicarci quella vita divina che attinge nel seno del Padre. L’uomo, creato da Dio, elevato da Lui all’ordine soprannaturale, aveva per sua colpa perduta quella partecipazione alla vita divina che Dio gli aveva si graziosamente largita al principio. Incapace di riparare da sé l’offesa infinita fatta a Dio col peccato e di riacquistare la grazia e la gloria del cielo, l’uomo pareva ormai in uno stato disperato.Ma ecco che l’eterno Figlio di Dio si offre al Padre per riscattare la caduta umanità: senza cessare d’essere Dio, si farà uomo e diverrà così il nuovo capo dell’umanità; si assumerà di espiare, a nome di lei, l’offesa infinita, e, incorporano a sé gli uomini divenuti suoi fratelli, li farà di nuovo partecipare alla vita divina. È opera di amore, se altra mai, perché il Verbo dà se stesso, se stesso abbandona ed immola per salvarci. Ma è anche opera di giustizia, perché l’offesa divina sarà così abbondantemente e sovrabbondantemente riparata colle soddisfazioni dell’Uomo-Dio, che rendono alla santissima Trinità maggior gloria che non glie ne abbia tolta il peccato. Tale è il mistero che dobbiamo esporre, studiando; 1° il fatto dell’unione tra il Verbo e la natura umana; 2° la natura e le conseguenze di questa unione.

1° Il fatto dell’unione fra il Verbo e la natura umana.

Quando san Giovanni dice : « Il Verbo si fece carne », non adopera questa parola nel senso ristretto di corpo umano, ma nel senso più generale, spesso usato nella Scrittura, di tutto il composto umano (corpo e anima). A preferire la parola carne l’indusse il pensiero di far meglio rilevare la condiscendenza e l’umiliazione del Figlio di Dio, che si degnò di unirsi non solo a ciò che è nobile nell’uomo, ma anche a ciò che è più meschino e più debole. Infatti, secondo la dottrina di san Paolo (Hebr. IV, 15), « noi non abbiamo un Pontefice incapace di compatire le nostre miserie; ei volle provarle tutte, eccetto il peccato ». Conveniva che, incarnandosi, « diventasse in tutto simile ai fratelli, onde riuscire pietoso e fido Pontefice presso Dio, ad espiare i peccati del popolo. Appunto perché ha Egli stesso sofferto e fu Egli stesso tribolato, è pronto a venire in aiuto a chi  è nella tribolazione – Hebr. II., 17-18 ». Il Verbo incarnato è dunque insieme vero Dio e vero uomo, tanto veramente uomo quanto è veramente Dio. Da tutta l’eternità possiede, secondo che abbiamo spiegato, la natura divina: ma, a partire dal giorno dell’Incarnazione, possiede anche tutta la natura umana, il corpo e l’anima. È quindi una stessa Persona, la Persona del Verbo, del Figlio eterno di Dio, che possiede le due nature, la divina e l’umana, che è Dio e che è uomo. Questa Persona si chiama Nostro Signor Gesù Cristo. Essendo Dio, è il nostro sommo padrone e Signore; avendoci salvati, si chiama Gesù, cioè Salvatore: vi si aggiunge il nome di Cristo, che significa unto, perché Gesù nella sua umanità è stato unto con l’unzione, o comunicazione della divinità. – Che Gesù sia insieme Dio e uomo, è una verità che troviamo affermata a ogni pagina evangelica. Se contempliamo Gesù al suo entrare nel mondo, lo vediamo concepito nella infermità della carne, giacente su poca paglia, fasciato come si fascia il bambino appena nato, incapace di parlare, intirizzito per il freddo e più per l’ingratitudine dei Giudei: Egli è dunque uomo come noi, soggetto alle nostre miserie. Ma è concepito da una Vergine per opera arcana dello Spirito Santo, è chiamato il Santo, il Figlio dell’Altissimo, il Figlio di Dio, e cominciano così a sfolgorare i primi raggi della sua divinità. Nell’inaugurazione del suo ministero, si fa battezzare da san Giovanni nelle acque del Giordano e compare quindi come uomo che ha preso su di sé la somiglianza del peccato; ma nello stesso tempo lo Spirito Santo scende su di Lui e dall’alto dei cieli il Padre lo proclama suo Figlio diletto, in cui ha riposto tutte le sue compiacenze. Nel deserto digiuna e soffre la fame, ed è perfino tentato dal demonio, per mostrarci che ha preso la nostra umanità con tutte le sue debolezze; ma trionfa dell’astuzia del demonio e gli Angeli scendono a servirlo come loro Signore. Nel corso del suo ministero, mena una vita povera e laboriosa, si affatica ed ha bisogno di riposarsi, si lascia calunniar dai nemici e contrariare nei suoi disegni, avvicenda vittorie e sconfitte, umiliazioni e trionfi, affermando così la realtà della sua natura umana. Ma nel medesimo tempo, come Dio, opera miracoli in proprio Nome col proprio potere; comunica anche ai discepoli la potestà di far miracoli in Nome suo; insegna alle turbe con un’autorità tutta divina, si dichiara padrone del sabato, proclama leggi nuove che debbonsi accettare sotto pena di perdere la vita eterna; anzi rimette i peccati e guarisce un paralitico per dimostrare che questo potere divino di perdonare gli appartiene come cosa propria; a meglio affermarlo, delegherà più tardi questo stesso potere ai suoi Apostoli e ai loro successori: si attribuisce la potestà di giudicare i vivi e i morti: chiede che gli uomini lo ubbidiscano come si ubbidisce a Dio; che lo amino sopra tutte le cose, anche più del padre e della madre; e che si diano e si consacrino interamente a Lui come si consacrano a Dio.  Soprattutto nella dolorosa sua Passione si manifesta la doppia sua natura. Nell’orto di Getsemani, Gesù agonizza ed è triste fino alla morte, un sudore di sangue gli bagna le membra, prega che l’amaro calice si allontani da lui; ma, quando vengono a catturarlo, opera un miracolo riattaccando a Marco l’orecchio che Pietro gli aveva tagliato. Dinanzi al Sinedrio si lascia insultare, schernire, percuotere, ma proclama altamente di essere il Figlio di Dio, il giudice dei vivi e dei morti; e fu appunto l’affermazione della sua divinità il titolo per cui venne dal Sinedrio condannato a morte. Sul Calvario, è inchiodato a una croce tra due ladroni; soffre la sete più acerba; ha l’anima desolata; muore mandando due volte un grande grido; è deposto e chiuso nel sepolcro. Ma ecco che la sua divinità tosto si manifesta; il sole si oscura come a far lutto per la morte del suo Creatore: il velo del tempio viene arcanamente lacerato: molti morti risorgono: e il terzo giorno Gesù stesso esce redivivo e glorioso dalla tomba, per attestare con quell’inaudito miracolo che è l’Autore della vita, il Dio del cielo e della terra. – È dunque impossibile a un uomo di buona fede che legga attentamente il Vangelo, di non riconoscere che Gesù è uomo e Dio, che parla ed opera nello stesso tempo come un semplice mortale e come il Re immortale. Ond’è da conchiudere che ha, nell’unità di una stessa Persona, la natura umana e la natura divina. Or questa Persona è proprio la Persona del Verbo o del Figlio eterno di Dio, il quale, pur conservando interamente la sua natura divina e rimanendo uguale a Dio, prende una natura umana pari in tutto alla nostra, tranne il peccato! Gesù, dunque, ha un corpo passibile e mortale come il nostro, un corpo che soffre il freddo e le intemperie delle stagioni, la fatica, la fame, la sete, e risente vivamente tutti i colpi, tutte le ferite che gli vengono inflitte nella Passione. L’anima sua è come la nostra, dotata di intelligenza e di volontà, ornata di tutti i tesori di sapienza e di scienza, ma ricca specialmente della grazia divina in tutta la sua pienezza, di guisa che a questa fonte inesauribile dobbiamo andare ad attingerla noi. Ma è pure anima dotata di squisita sensibilità, capace di gustare le gioie più vive, come di patire le tristezze, le angosce, le impressioni più dolorose. Egli quindi nella sua natura divina è uguale a Dio, ma nella sua natura umana è veramente nostro fratello. – Oh! quanto siamo fortunati di aver per fratello l’eterno Figlio di Dio! Non potremo mai ringraziarlo abbastanza di questa condiscendenza infinita. E che cosa ci chiede in cambio del dono che ci fa di tutto se stesso? Una cosa sola: il nostro cuore. Questo cuore che Egli ha creato, che lavato nel suo sangue, che gli appartiene per tante ragioni, ei ce lo chiede dolcemente, cortesemente, affettuosamente, per lasciarci il merito di darglielo liberamente; ce lo chiede per infondervi una partecipazione della vita divina da Lui attinta nel seno del Padre.

O Verbo Incarnato! o Gesù! o mio fratello! prendetelo, sì, questo povero mio cuore e infiammatelo talmente del vostro amore che mai si allontani da Voi e che possa aumentare sempre più il tesoro di vita che vi degnate di comunicargli.

2° Natura e conseguenze dell’unione tra il Verbo e la natura umana.

A) Or come avviene in Gesù Cristo l’unione tra le due nature e quali ne sono le caratteristiche? L’unione delle due nature in Gesù Cristo non è una semplice unione morale, quale corre tra due amici che siano un cuore e un’anima sola; ma è una unione sostanziale, cioè a dire l’unione di due sostanze che formano un tutto sostanzialmente uno, un unico principio di essere, di vita, di operazione. È quindi unione assai superiore all’unione che corre tra l’anima in stato di grazia e la santissima Trinità: le tre divine Persone sono per la grazia sostanzialmente in noi, ma la loro unione non forma con noi un tutto sostanziale. Dio e l’anima rimangono molto bene distinti e distinte pure le loro operazioni, sebbene Dio operi in noi e con noi per farci fare atti meritori. Ed è unione superiore – anche all’unione che corre tra il corpo e l’anima. Nell’uomo il corpo e l’anima sono nature incomplete, nel senso che né l’una né l’altra, prese da sole, costituiscono l’uomo; unendosi, formano una sola e medesima natura, la natura umana, come formano pure una sola persona. Or tale non è l’unione tra la natura umana e la natura divina nella Persona del Verbo; queste due nature sono complete in se stesse e rimangono distinte anche dopo l’unione; non si fa in Gesù Cristo fusione di due sostanze incomplete in una sola, ma unione di due nature perfette in una sola e medesima Persona. Questa Persona non è già il risultato dell’unione, ma le preesiste; è la Persona del Verbo, il quale, possedendo da tutta l’eternità la natura divina, comunica nel tempo la sua sussistenza e la sua esistenza a una natura umana in tutto simile alla nostra, tranne il peccato. Ecco perché si chiama unione personale, unione ipostatica, nome speciale che non conviene di fatto che all’Incarnazione. Onde possiamo definirla: « l’unione singolare e mirabile della natura divina e della natura umana nell’unica Persona del Verbo, unione dalla quale risulta quell’essere unico e adorabile che è Gesù Cristo » (E. Hugon, Le mystère de l’Incarnation, 2° ediz., p. 11). Se ne esaminiamo i tratti caratteristici, vedremo che questa unione è la più intima, la più soprannaturale, la più sostanziale, la più indissolubile di tutte le unioni.

a) L’unione è tanto più intima quanto più la persona in cui avviene è una in sé, e quanto in questa persona è intimamente unita a ognuno dei suoi due termini. Ora la Persona del Verbo nella quale avviene l’unione ipostatica, è in sé unità perfetta, l’unità assoluta; ed è poi intimamente unita a ognuna delle sue nature: a quella divina perché con lei realmente si identifica, e a quella umana perché le comunica la propria sussistenza ed esistenza. Unione tanto più mirabile quanto più i due termini fra cui avviene erano lontani tra di loro e il loro avvicinamento è più immediato; infatti, le due nature così distanti, la natura divina e la natura umana si uniscono in Gesù Cristo l’una all’altra senza confondersi e si uniscono nell’unica Persona del Verbo.

.b) È la più soprannaturale di tutte le unioni. Le altre forme di soprannaturale non sono che partecipazioni accidentali di Dio; mentre la unione ipostatica è la comunicazione sostanziale di Dio a una natura umana, la quale non ha altra sussistenza ed esistenza che quella del Verbo. È dunque la più perfetta delle comunicazioni divine, è il dono immediato di una Persona divina all’umanità.

c) È quindi la più indissolubile delle unioni: né il supplizio della croce né la morte stessa riuscirono a spezzarla. La ritroviamo nell’Eucarestia, dove, sotto le specie del pane e del vino, l’umanità santa di Gesù resta unita alla divinità del Verbo; e la ritroveremo in cielo, dove giubilando contempleremo il Verbo divino indissolubilmente unito per tutta l’eternità alla natura umana risorta e gloriosa.

B) Le conseguenze di questa unione sono onorevolissime per quella natura umana che è unita sostanzialmente al Verbo e per noi tutti.

a) La natura umana unita al Verbo è da questa unione incomparabilmente nobilitata. Quando un re sposa una persona, costei, qualunque sia il suo grado sociale, partecipa immediatamente alla dignità regia. A più forte ragione, quando il Verbo sposa una natura umana, la innalza alla dignità divina. Infatti, l’unione matrimoniale, per quanto intima, non è sostanziale e non toglie alla sposa la sua personalità; mentre l’unione del Verbo con la natura umana è unione sostanziale, cosicché questa natura non ha altra personalità che quella del Verbo divino. Ascoltiamo su questo punto il Cardinal di Berulle, l’apostolo del Verbo incarnato (Discours de l’état et des grandeurs de Jésus, disc. XI) « Il Verbo, entrando in questa umanità, non la distrugge, non la converte nella sua divina essenza… vuole elevarla a uno stato di dignità nuova, singolare, ineffabile. La trae a sé e la fa entrare nel suo essere divino e increato. La riceve come la sua unica e la sua diletta nel seno della sua Divinità… La riceve e la colloca per sempre nella sua grandezza, nella sua divinità, nella sua propria Persona, non avendo essa più sussistenza che nella sussistenza di Lui. Tutto ciò porta una comunicazione così alta e così grande, così particolare e così divina, che Dio si fa uomo e l’uomo diviene Dio… ». In altre parole, il Verbo incarnato, comunicando la propria personalità alla natura umana, la innalza fino a sé: quel Gesù che vediamo steso su un poco di paglia nel presepio, quel Gesù che lavora nella bottega di Nazareth, quel Gesù che si affatica nelle apostoliche sue corse, quel Gesù che nell’orto degli ulivi è triste fino alla morte, quel Gesù che viene inchiodato sulla Croce, che è tormentato dalla sete e insultato dai Giudei e che perdona ai suoi offensori, quel Gesù che spira rimettendo l’anima sua nelle mani del Padre, è veramente il Figlio eterno di Dio, Dio egli stesso; che, impassibile nella sua natura divina, patisce e muore nella sua natura umana. Onde il Padre vuole che il suo Cristo sia adorato ed amato come è Egli stesso; vuole che ogni ginocchio si pieghi davanti a Lui in cielo, in terra e nell’inferno, e che ogni lingua confessi che il Signore Gesù è nella gloria del Padre! (Fil. II, 10-11) – A queste divine premure l’anima umana di Gesù corrisponde col vivere in un’intiera e amorosa dipendenza dal Verbo. Nei suoi giudizi si lascia guidare non dalla propria ragione ma dalla luce divina; e questo è il senso di quelle profonde parole: « Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno. È se pur giudico, il mio giudizio è vero, perché Io non sono solo, ma con me è il Padre che mi ha inviato (S. Giov. VIII, 15-16) ». Quando Gesù parla, non esprime la dottrina sua e il pensiero suo, ma quello di Dio che lo ha inviato (Id. VII, 16). Quando opera, non fa la volontà sua, ma quella di Dio (S. Luc. II, 42). Né cerca mai la gloria sua, ma quella del Padre. Quindi, quando Dio gli chiede duri sacrifici, quando gli presenta l’amaro calice, le umiliazioni e i tormenti della Passione, Egli, dopo une dolorosa agonia, assoggetta la sua volontà a quella di Dio (S.Matth. XXVI, 42). Oh! beata dipendenza che trasforma le sue azioni, anche le più semplici, in atti di amore e dà loro un valore incomparabile!

b) Ma non la sola anima umana di Gesù viene nobilitata dall’incarnazione, veniamo con lei nobilitati anche noi. Perché questo Gesù, ché è Dio, è nel medesimo tempo nostro fratello, ed incorporandoci al suo Corpo mistico, ci fa partecipare, sebbene in grado minore, alla sua divina nobiltà; diventiamo per mezzo di Lui figli adottivi di Dio e partecipi della vita divina. Deh! quale onore! e quale immenso beneficio! Infatti, come il Verbo si dà a Gesù, così, sebbene in modo meno perfetto, Gesù si dà a noi. Membra del suo Corpo mistico, noi abbiamo il diritto di appropriarci le sue soddisfazioni, i suoi meriti, le sue preghiere, e di offrirle a Dio, per espiare i nostri peccati ed ottener grazie; è le nostre domande, le nostre aspirazioni, i sacrifici nostri acquistano per questo verso un valore incomparabile. Come potrebbe Dio respingere coloro che si presentano a Lui rivestiti di Gesù Cristo e dei suoi meriti infiniti? – Il nostro dovere è quindi di attaccarci a Gesù, fonte di vita sovrannaturale, e di darci a Lui per attingere copiosamente da Lui quella vivificante acqua della grazia che Egli tanto desidera di comunicarci. Quanto più strettamente ci uniamo a Lui col dono totale di noi stessi, tanto più riceviamo dalla sua pienezza, perché Gesù non si lascia mai vincere in generosità. Gli diremo dunque di gran cuore: O Verbo incarnato, io mi dò tutto intero a Voi con tutto ciò che posseggo, che è vostro, perché me l’avete dato Voi. A Voi il mio corpo, i miei lavori, le mie fatiche, le mie pene, i miei affanni; a Voi tutti i respiri del mio cuore. Come Dio, Voi siete la pienezza dell’essere, della bellezza, della bontà, della sapienza, della potenza, dell’amore misericordioso; Voi siete il mio tutto, Deus meus et omnia, e voi solo potete appagare tutti i desideri del mio cuore. Voi possedete, come uomo, tutti i tesori della scienza e della sapienza (Col. II, 3), la pienezza della grazia creata (S, Giov. I, 14); e da questa pienezza io ho ricevuto tutto ciò che sono e tutto ciò che possiedo: « de plenitudine ejus nos ommes accepimus » (S, Giov. I, 15). Voi dunque adunate nella vostra Persona tutte le amabilità divine e umane. A chi potremmo andare fuori di Voi? Voi solo avete parole di vita eterna. – Or questo capiremo anche meglio. Quando avremo considerato il Verbo incarnato nelle sue relazioni con noi, vivente ed operante nei nostri cuori.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (1)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF.1930

NIHIL OBSTAT: Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR: Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

A

 GESÙ VIVENTE IN MARIA

L’AUTORE SULLA SERA ORMAI DELLA VITA UMILE E GRATO CONSACRA QUESTE PAGINE SUPPLICANDOLO DI AMMETTERLO UN GIORNO ALLA CONTEMPLAZIONE DELLE ALTISSIME COSE CHE TENTÒ SPIEGARE AI FRATELLI, BRAMOSO DI INDURLI A GLORIFICARE, AMARE E SERVIRE IL PIU BUONO DEI PADRONI, IL PIÙ SAPIENTE DEI MAESTRI IL PIÙ AMABILE DEGLI AMICI IL PIÙ TENERO DEI PADRI.

AL LETTORE ITALIANO.

Il Tanquerey, della cui scienza teologica e della cui pietà è ormai superfluo far l’elogio, regala al clero, alle persone religiose, e anche a tutte le anime pie viventi nel secolo, un nuovo libro intitolato: « Le grandi verità cristiane che generano nell’anima la pietà (Les Dogmes générateurs de la piété.). – Queste grandi e così benefiche verità esposte nel nuovo libro sono tre ed è bene accennarle qui subito sinteticamente. – La seconda Persona della santissima Trinità, il Verbo divino, che, divenuto coll’incarnazione l’Uomo-Dio Gesù Cristo, ci incorpora a sé e trasfonde in noi, membra del suo corpo mistico, la divina sua vita, affinché, dotati di un organismo soprannaturale che si compone della grazia santificante, delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo, e assiduamente sorretti dalla grazia attuale e dai sacramenti, viviamo quaggiù la stessa sua vita, incentrando in Lui, divino nostro Mediatore, i nostri pensieri, i nostri voleri, i nostri affetti, le opere nostre, che così acquistano con una dignità divina un merito di vita eterna e ci preparano ad essergli eternamente uniti nel cielo: ecco la prima di queste grandi verità, di cui ognun vede la mirabile complessità. Maria santissima, la creatura più vicina a Dio, più cara alle tre Persone della santissima Trinità, ,più simile a Gesù Cristo, eletta a Madre di Dio e costituita nostra Corredentrice, nostra Madre soprannaturale, nostra universale Mediatrice, nostro modello: ecco la seconda di queste grandi e dolci cristiane verità. Il sommo nostro Sacerdote Gesù Cristo, che, dopo essersi una volta cruentamente immolato sul Calvario a salute del caduto genere umano, ora quel grande ed eterno suo Sacrificio incruentamente rinnova ogni giorno sui nostri altari per mano del Sacerdote celebrante nella santa Messa, nella quale associa a sé tutti i Cristiani affinché i loro doveri religiosi riescano veramente accetti a Dio e le loro suppliche veramente efficaci, e colla santa Comunione s’immedesima con loro per trasformarli in sé e unirli più strettamente colla santissima Trinità; di guisa che alle inesauribili ricchezze di questo divino Sacrificio più largamente partecipa il Cristiano secondo che più attivamente concorre alla sua celebrazione, più intimamente si unisce in quest’offerta a Gesù, più profondamente s’investe del suo spirito di Vittima: ecco la terza delle grandi verità cristiane la cui meditazione genera nelle anime la verace pietà.

Queste tre grandi verità il Tanquerey espone con sufficiente ampiezza e bellamente illustra in questo nuovo libro; e lo fa non solo, com’era da aspettarsi, con dottrina teologica soda e profonda, in forma piana e pratica, ma soprattutto con tale unzione e con tale soave spirito cristiano che il lettore vi sente subito, oltre l’esimio teologo, l’anima sinceramente pia che vive intensamente le alte e dolci verità che viene esponendo. Come già feci, due anni or sono, del Compendio di Ascetica e di Mistica che incontrò così bene, sono ora lieto di poter presentare questo nuovo libro in veste italiana non indegna, spero; dell’originale e delle bellissime e altissime e santissime cose che vi si discorrono. Leggano dunque i Sacerdoti e i seminaristi leggano i Religiosi e tutte le anime pie, leggano e meditino queste belle e devote pagine del Tanquerey, se vogliono acquistare, in cambio di una pietà superficiale fatta di sentimentalità e di fantasia, la vera, la soda, la illuminata pietà. Oh se tutti i Cristiani conoscessero quanta luce, quanta forza scaturisce da queste verità ben meditate per nobilitare e veramente divinizzare la vita umana; per agere et pati fortia, per operare e patir da forti, con spirito, non stoico o razionalistico, ma cristiano, vale a dire con umile ossequio alla volontà di Dio, in unione di mente e di cuore con Gesù e con Maria, con l’occhio costantemente fisso alla beata eternità! Oh! Perché verità così divine e così benefiche non s’imprimono profondamente nell’anime dei sacerdoti.  onde essere poi opportunamente trasfuse nell’anime dei fedeli? – Al venerando Autore, che mi onora della sua amicizia, auguro di gran cuore che, nonostante l’età, Dio gli conceda ancora tanto di vita, da poterci dar presto su queste così importanti materie gli altri volumi promessi nell’Introduzione. Di questi nuovi regali gli saranno vivamente grate tutte le anime pie; perché a libri pieni, come questi del Tanquerey, di dottrina e di pietà tanto soave, tanto sostanziosa, tanto pratica, le anime seriamente pie si rifanno sempre con rinnovato diletto e con raddoppiato profitto.

Sarzana, Collegio della Missione, Pasqua del 1930.

FILIPPO TRUCCO, Prete della Missione.

INTRODUZIONE.

Nel 1829, Monsignor Gerbet pubblicava un libro pio e profondo sulla santissima Eucaristia intitolandolo « Considerazioni sul domma generatore della pietà cattolica ». Ma, chi ben consideri, tutti i dommi della nostra santa religione sono fatti per generare la pietà nelle anime: basta esporli bene e indicarne le conclusioni pratiche, perché le anime si sentano portate al Signore e infiammate di divino amore. – Infatti, i dommi cristiani ci dicono tutti, ognuno a suo modo, l’origine, la natura e i fortunati effetti di quella partecipazione alla vita divina che la santissima Trinità si degnò spandere nelle anime; tutti ci parlano dell’infinita bontà del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, che, comunicandoci la loro vita, ci stimolano con questo stesso fatto a sviluppare in noi e perfezionare cotesta vita, che è la perla preziosa, il tesoro dei tesori, l’unica cosa necessaria che dobbiamo cercar di possedere a qualunque costo, se vogliamo essere eternamente felici. Fra i dommi cristiani ce n’è poi uno che è nello stesso tempo centro e compendio di tutti gli altri: è il domma del Verbo incarnato che ci incorpora al suo Corpo mistico onde farci partecipare alla sua vita. – Questo domma esponiamo nella prima parte del nostro lavoro e sarà facile vedere come vi si connettono tutti gli altri. Infatti, il far conoscere il Verbo è già un entrare nel mistero della santissima Trinità, perché il Verbo è l’eterno Figlio del Padre e fonte con Lui onde procede lo Spirito Santo. Ma il Verbo si fece uomo e divenne il capo dell’umanità redenta, la testa di un Corpo mistico di cui noi siamo le membra. È quindi, nel presente disegno divino, il Mediatore necessario tra l’uomo e Dio: dal seno del Padre discende sulla terra, ricco per noi di grazie e di benedizioni, e dalla terra risale al cielo per offrire alla santissima Trinità gli ossequi nostri e i nostri ringraziamenti. – Ecco ora l’ordine con cui procediamo nella prima parte. Innanzitutto, il Verbo incarnato che attinge la vita divina nel seno del Padre ed è la fonte della nostra vita soprannaturale. Per comunicarci questa vita, il Verbo incarnato ci incorpora al suo Corpo mistico, affinché le membra prendano parte alla vita del capo. Incorporati a Cristo, noi partecipiamo veramente alla vita divina: le tre divine Persone vengono ad abitare in noi e c’infondono la grazia santificante, le virtù soprannaturali e i doni dello Spirito Santo. Perciò Maria, madre di Gesù, diventa madre nostra, « carne mater capitis, spiritu mater membrorum eius ».

Quindi quattro capitoli che s’intrecciano logicamente fra loro:

Cap. I. — IL VERBO INCARNATO FONTE DELLA NOSTRA VITA SOPRANNATURALE.

Cap. II. — LA NOSTRA INCORPORAZIONE A GESÙ CRISTO.

Cap. Ill. — LA NOSTRA PARTECIPAZIONE ALLA VITA DIVINA.

Cap. IV. — MARIA MADRE NOSTRA E NOSTRA MEDIATRICE.

A coltivar questa vita divina, Gesù, sommo Sacerdote, ci fa prender parte al suo sacerdozio e al suo Sacrificio: è l’argomento della seconda parte. Gesù sacerdote è nello stesso tempo sacrificatore e vittima. A perpetuare sulla terra il suo Sacerdozio, si sceglie tra gli uomini dei rappresentanti visibili che, per mezzo del carattere sacerdotale impresso loro nell’anima, diventano veramente altrettanti Cristi. Tra Maria, Madre di Gesù e Mediatrice di grazia, e il Sacerdote, corrono relazioni speciali che debbono essere fatte ben rilevare. Anche il popolo cristiano viene associato al Sacerdozio di Gesù e diremo in che senso e fino a qual punto. Onde appare sempre meglio che il santo Sacrificio della Messa è l’atto più grandioso e solenne della virtù della Religione, atto sociale, celebrato dal Sommo Sacerdote Gesù col ministero dei Sacerdoti, visibili suoi rappresentanti, e coll’attiva partecipazione dei fedeli. Ed è quindi chiaro che da un tal Sacrificio Dio è infinitamente glorificato, e i fedeli efficacemente santificati, a patto che vi assistano attivamente, unendosi agli interni sentimenti di Gesù sacerdote e vittima.

Quindi cinque capitoli;

Cap. I. — GESÙ NOSTRO SOMMO SACERDOTE.

Cap. II. — IN CHE MODO IL SACERDOTE PARTECIPA AL SACERDOZIO DI GESÙ CRISTO.

Cap. III. — MARIA SANTISSIMA E IL SACERDOTE

Cap. IV. — IN CHE SENSO IL POPOLO CRISTIANO È ASSOCIATO AL SACERDOZIO DI GESÙ CRISTO.

CAP. V. — DEL SANTO SACRIFICIO DELLA MESSA.

Il nostro libro è diretto innanzi tutto ai Sacerdoti e ai seminaristi per aiutarli a Stimar degnamente ed efficacemente predicare quelle grandi verità rivelate che gli Apostoli predicarono con tanto frutto ai primi Cristiani; ma è fatto anche pei semplici fedeli, specialmente se viventi in comunità religiose, i quali, come ci risulta dalle molte lettere che ne abbiamo ricevuto, prendono vivissima parte a queste verità. Ecco perché, pur esponendo la dottrina teologica, adoperiamo termini semplici e concreti che possano essere facilmente capiti da tutti. – È nostra intenzione, se il Signore si degnerà concederci vita e forze, di pubblicare ancora altri volumi di questo genere. Vorremmo mostrare come, quando noi Cristiani soffriamo, Gesù, che patisce in noi, divinizza in qualche modo i nostri dolori; vorremmo esporre come Gesù opera in noi coi santi Sacramenti; e finalmente dire come Gesù ci farà un giorno entrare a parte della sua gloria nel cielo. – Benedica la Vergine Madre queste pagine e aiuti noi e tutti i nostri lettori a metterle in pratica.

Seminario Maggiore di Aix-en-Provence, il 25 marzo 1930 z 1930. Annunziazione della SS, Vergine.

LA VITA INTERIORE (27)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (27)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

LA VITA D’ABBANDONO

LA VIA.

Fede, fiducia, confidenza, amore… abbandono. Ecco tracciata la via all’abbandono. Le radici sono nella fede, nello spirito di fede. L’anima che opera con fede, acquista la fiducia. Chi opera con fiducia in Dio sente la confidenza; il passo dalla confidenza all’amore, è brevissimo. L’amore puro e santo porta all’abbandono. Per raggiungere l’unione con Dio, cioè la vita interiore, è necessario abbandonarsi filialmente e umilmente alle sante disposizioni della volontà di Dio.

DIO IN NOI.

Per mezzo dello spirito di fede noi vediamo Dio in tutto, e in tutto lo sappiamo presente e operante; soprattutto in noi, nei nostri cuori. Gioiosa, consolante verità. Ma, purtroppo, quanto è ignorata questa grande verità! Possiamo ricordare, qui, le parole che Gesù rivolse a Filippo, nell’ultima cena: tanto tempo che sono con voi, e voi non mi avete ancora conosciuto? (GIOV., XIV, 9). Dio abita realmente in noi sino dall’istante in cui abbiamo ricevuto il Battesimo. Allontanati, disse, infatti, allora, il sacerdote, allontanati, o satana, da questo fanciullo, perché diventi il tempio del Dio vivo, e lo Spirito Santo abiti in lui. È certo che se noi non l’abbiamo allontanato col peccato mortale, Dio continuò e continua ad abitare in noi. Cioè: noi e Gesù facciamo una cosa sola; così, noi per mezzo di Gesù possiamo tutto; così realmente Gesù vuole che facciamo nostri e coltiviamo come mostri i suoi interessi: la gloria del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo; mentre Egli fa, e considera come suoi i nostri interessi, la santificazione nostra. Ma, in verità, quanto poco abbiamo pensato all’Ospite divino che vuole vivere e vive unito con noi! Dobbiamo confessare amaramente con santa Teresa: « Io comprendo di avere un’anima, ma la stima che merita quest’anima, ma la dignità dell’Ospite divino che vi abitava, ecco ciò che non comprendevo. Le vanità della vita erano una benda che mi coprivano gli occhi. Se avessi compreso, come lo capisco ora, che un sì gran Re abitava il piccolo palazzo dell’anima mia io non l’avrei lasciato così frequente solo! ».

ITINERARIO A DIO.

E se col peccato avessimo allontanato, cacciato, perduto Dio? Delle vie che riconducono a Dio, quella più segnata d’orme è la via del dolore. Il figliuolo prodigo, ritrovò il cammino della casa paterna quando alla sua pena non diedero più lenimenti le lascivie e le gozzoviglie delle città idolatre. La gioia e le lautezze fanno obliosi. Tutti gli altari, purtroppo, hanno sempre avuto più tributo di pianto che d’inni. Il grido di sant’Agostino: Inquietum est cor nostrum, Domine, assomma un’esperienza che è di tutti i tempi. Dio prorompe dalla sventura, e mentre l’anima lo ricerca tribolata e piena d’affanno, diventa ebbra di gioia nel ritrovamento. In quei momenti l’anima avverte Dio, ancora oscuro, ma presente. Non ama interpreti né intermediari, né formule. Pare che l’anima così dica: io voglio cercarti da me… parlarti direttamente, offrirti con le mie mani il dono della mia anima così come tu l’hai fatta… Picchio a te, supplico a te. Aprimi. Il mio cuore ha sete di te… Ha bisogno di appoggiarsi a una speranza, di legarsi a una certezza. (Dio è qui. Mondadori, Milano, 1927). Questo Dio che il tribolato chiama e cerca dappertutto, nel cuore degli uomini, negli aspetti delle cose, nella tripudiante testimonianza della natura, appare, a poco a poco, preciso e radiante e splendente: è il Dio dell’amore vero, dell’amore puro, il Dio della Misericordia infinita che toglie ogni tremore, che cancella ogni angoscia, asciuga ogni lagrima, che inonda di luce, vivifica di amore e stringe paternamente al cuore le anime, le anime dei suoi figli… che tornano a inebriarsi del suo amore.

NOI CON DIO

In due modi possiamo noi « povere creature umane », accettare la santa volontà di Dio: a stento, o con piena fiducia, con sereno abbandono… La vita interiore è in questa seconda maniera, nell’uniformità del nostro col volere di Dio. Perché? Ecco: Sono creatura tua. Fa di me ciò che tu vuoi. Non chiederò perché. Accetterò i tuoi decreti come si accetta il giro delle stagioni, il pullulare del germoglio e il distaccarsi della foglia secca, l’impennarsi del cavallone schiumoso e l’abbattersi contro la clamorosa scogliera (Ibidem). L’anima comprende che il vero e unico suo bene consiste nell’eseguire la santa volontà di Dio. La volontà di Dio diventa, adunque, oggetto dei desideri e delle compiacenze della nostra anima. « Essa sa che la mente di Dio pensa a lei e il suo Cuore ordina e dispone le cose a suo profitto: perché, adunque, dovrebbe essa ancora pensarvi e occuparsene, come se non le bastasse la sapienza infinita e la immensa bontà del suo Dio? Essa si abbandona pertanto ciecamente e tranquillamente al corso delle cose, come esso viene guidato dalla Divina Provvidenza; quali si siano gli avvenimenti, essa prova uguale soddisfazione, poiché in qualunque circostanza impera il volere di Dio, suo bene e sua felicità: che si avverino piuttosto tali che tali altre cose, non è affare dell’anima, ma di Dio, per essa ciò che importa è che ogni avvenimento risponda alla volontà divina. » Questo è il vero spirito di abbandono, che costituisce l’essenza della vita spirituale e della santità » (Op. cit., p. 417). Benché i nostri cieli siano oggi sbarrati dai fili del telegrafo e nella chiarità dei nostri orizzonti spicchino molti fumaioli, i campanili non sono diminuiti né di numero né di altezza. Vogliamo dire che l’apprendimento e la pratica dell’abbandono in Dio non è, poi, una cosa tanto difficile da pretenderne la riserva per alcune anime privilegiate, e l’esclusione per le altre tutte.

MOTIVI DI QUESTO ABBANDONO.

Sono molti. Ma sia sufficiente ricordare: Gesù è buono; Gesù accoglie tutti, sempre; Gesù è misericordioso; Gesù è fedele. Basta che la nostra anima si fermi un istante su queste considerazioni e ne sarà immediatamente persuasa, convinta. Non è Gesù che disse: ego sum pastor bonus? Sì il buon pastore che cerca le sue pecorelle… Di lui, il Vangelo, dice: «percorreva la Galilea, la Samara, la Giudea, insegnando nelle sinagoghe dei Giudei e annunziando il Vangelo del regno, guariva tra i popoli ogni languore e ogni infermità (MATT., IV, 23)… E folle numerose accorrevano a Lui, conducendo seco sordi, ciechi, paralitici, malati e molti altri, che deponevano ai suoi piedi, ed Egli li guariva (MATT.; XV, 30). Poiché Gesù è buono, accoglie tutti. Questa è la prova di un buon cuore. — « Durante la sua vita terrena accoglieva tutti con la medesima benevola bontà. La sua fronte era sempre calma e il suo occhio sorridente. Tutti potevano avvicinarlo senza timore, e l’avvicinavano, infatti. » I farisei e i sadducei vanno ad esporgli le difficoltà e a tendergli tranelli. Gesù dissipa i loro intrighi con una parola luminosa, con una diversione inattesa, con un miracolo, ma non li scaccia. » I ricchi l’invitano alla loro mensa, talora per sincera ammirazione, talora per vana ostentazione, Gesù accetta l’invito e qualche volta, non invitato, s’invita da se stesso. » Frequenta la casa dei grandi come il tugurio del povero, va a riposarsi nella villa di Lazzaro, a Magdala, come nella capanna della suocera di Pietro, il pescatore. » Accoglie, con la medesima bontà, il giovane ricco, il dotto Giuseppe d’Arimatea il mendicante cieco, seduto lungo la via e lo sventurato coperto di lebbra, che da lontano implorava la sua clemenza. » Distribuisce i suoi benefizi a tutti. Resuscita Lazzaro, suo amico; e restituisce l’orecchio a Malco, suo persecutore. Richiama alla vita la figlia del gran sacerdote Giairo, e il figlio unico della vedova di Naim. Gesù è sempre buono e cortese. » Ha qualche preferenza e la rivolge ai fanciulli, ai poveri, agli umili » (Schryvers, L’amico divino, pag. 418-1 9, Torino). – È misericordioso. L’infinita sua misericordia è la principale manifestazione della sua onnipotenza. Fu la sua misericordia, che l’indusse a lasciare il cielo per la terra, a soffrire e a morire per salvarci! Ha compassione della folla che lo segue… Attende al pozzo la Samaritana, e, dolcemente, la persuade a riconoscersi colpevole. Piange sulle sventure di Gerusalemme, su la morte di Lazzaro. Libera la Maddalena dai demoni e folgora Paolo su la via di Damasco, trasformandolo in un suo invincibile atleta. Di più: Gesù è fedele. L’ha voluto dire e confermare egli stesso: Io dò la mia vita per le pecorelle (Giov., X, 15); e: Nessuno strapperà dalle mie mani coloro che il Padre mi ha dato (Giov., X, 28). – Talora Gesù ci sembra lontano lontano, o almeno, assente. Ma non è così. Risvegliamo anche noi, come gli Apostoli sul lago di Genezareth, Gesù che ci sembra addormentato. Scuotiamo le nostre ali, eleviamo il volo, corriamo alla divina sorgente; e ripetiamo la preghiera insistente a Gesù dolce, a Gesù Amore: Dammi da bere di quell’acqua che sola può dissetarmi, ché, chi ne beve una volta non ha più sete mai.

CONCLUDENDO.

La volontà di Dio, è duplice. Comprende cioè quello che dobbiamo fare noi e quello che Dio vuole fare in noi stessi. Ci richiede, cioè, il Signore, che noi operiamo, e che operando, sottomettiamo, adattiamo noi, dolcemente, all’azione sua. Tutto, però, è sempre secondo le divine disposizioni, momento per momento. Dio si serve degli avvenimenti, delle cause seconde; per mezzo di esse ci annuncia la sua volontà. Ascoltare, accettare, eseguire queste divine disposizioni è abbandono in Dio, è unione con Dio, è vita interiore. Ma questa, è vita di abbandono, non tanto della creatura verso Dio, quanto di Dio alla creatura. « In verità è più abbandono di Dio che nostro. Abbandono significa rinuncia e sacrificio. Ora che cosa noi rinunciamo, quando ci diamo a Dio? Non solo non rinunciamo a nessun bene, ma ci arricchiamo di ogni bene e di ogni fortuna » (A. Gorrino, op. c., pag. 420.).

LA VITA INTERIORE (28)

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (23)

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (23)

GIOVANNI G. OLIER Mediolani 27-11 – 1935

Nihil obstat quominus imprimetur. – Can. F. LONGONI

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 27 – II – 1935 F. MOZZANICA V. G.

CAPITOLO XV

Del modo di fare le proprie azioni per il principio della vita cristiana

Rinunciare a noi stessi e al nostro amor proprio. Adorare lo Spirito di Gesù Cristo nell’anima sua santissima.- Abbandonarci allo Spirito Santo perché diffonda in noi le intenzioni medesime di Gesù. — Non è necessario sentire l’azione divina; basta la fede e la volontà. – Nostro Signore sentiva lui pure la ripugnanza nella parte interiore dell’anima. — Lo spirito della religione è spirito di rinuncia.

L’uomo vecchio, in noi, è sempre attivo e quindi sempre ricerca sé stesso, perché in noi la carne, nello stato in cui si trova, non può che cercare i propri interessi. Poiché essa non vuole punto elevarsi a Dio, né portarsi a Lui, ma unicamente e senza posa ricerca sé medesima, bisogna al principio di ogni opera, riprovarne tutte le tendenze e tutte le intenzioni. Perciò la prima disposizione che dobbiamo avere nelle nostre azioni è di rinunziare a noi medesimi e al nostro amor proprio. La seconda cosa che dobbiamo fare è di adorare lo Spirito di Gesù Cristo che ne eleva l’anima a Dio in tutta la purezza, la santità e la giustizia possibile. Lo Spirito di Dio nell’anima di Gesù infondeva tutte le intenzioni più sante e tutte le più pure disposizioni possibili, perciò vi rendeva a Dio Padre tutta la somma di onore, di lode e di gloria che il Padre poteva riceverne. – La terza cosa è di domandare a questo divino Spirito che diffonda in noi le disposizioni dalle quali Egli vuole animarci per la gloria di Dio. Infine, bisogna abbandonarci allo Spirito Santo affinché si degni elevare l’anima nostra a tutte quelle intenzioni che saranno di suo compiacimento durante tutta l’opera che incominciamo, conservandoci uniti a Lui in tutto ciò che dovremo fare. – L’interiore di Gesù Cristo consisteva nel suo divino Spirito, che ne riempiva l’anima di tutte le intenzioni e disposizioni con le quali Dio poteva essere onorato da Lui e da tutta la sua Chiesa; orbene, questo divino interiore deve starci sempre davanti agli occhi come la sorgente e il modello di tutte le interne disposizioni delle anime nostre. Anzi bisogna offrire sovente a Dio quel divino interiore di Gesù, come supplemento al nostro che è così deficiente, perché davanti a Dio serva di riparazione per le nostre colpe. Nostro Signore medesimo si è degnato di offrire spesso a Dio, a questa intenzione, i suoi interni sentimenti.

***

Bisogna notare inoltre che, per essere uniti con lo Spirito di Nostro Signore onde vivere nella vita cristiana e operare santamente, non è necessario che sentiamo in noi questo Spirito, né che gustiamo sensibilmente in noi i sentimenti e le disposizioni di Gesù Cristo; basta vi ci uniamo per la fede, ossia con la volontà e con un vero e reale desiderio. Ed è ciò appunto che lo Spirito Santo ci dà, perché operiamo conforme al desiderio di Nostro Signore medesimo e così siamo adoratori in ispirito e verità. Gesù Cristo, infatti, il vero ed unico Religioso e Adoratore del Padre, diceva che il Padre suo domandava Adoratori in ispirito e verità (Joan. IV, 23), vale a dire, veri Religiosi e Adoratori che siano veramente distaccati da sé stessi, senza ricerca del proprio interesse, e realmente siano intimamente uniti al suo Spirito: ed in ciò consiste la vera religione interiore e cristiana. – Quando abbiamo in noi lo Spirito Santo mediante la grazia e viviamo distaccati dal peccato, per operare nella vita e nella santità di questo divino Spirito, basta che l’anima nostra si tenga unita a Lui per la parte più elevata e più sottile che chiamasi col nome di spirito. Inoltre, dobbiamo dire, a consolazione delle anime pure e sante, che Nostro Signore medesimo, soprattutto nel tempo della sua Passione, serviva il Padre suo per lo spirito, ossia per la parte superiore dell’anima sua, senza nulla. sentire nella parte inferiore e sensibile. – La parte superiore, in Gesù Cristo Nostro Signore, era nella gloria, e nella pienezza della sua luce vedeva tutte, assolutamente tutte le intenzioni adorabili con cui sì poteva rendere omaggio al Padre. Egli si investiva di queste intenzioni, aderendo allo Spirito che gliele suggeriva e le operava in Lui; ma essendo l’anima sua immersa in un oceano di disgusti, di aridità e di amarezze. Egli provava ripugnanza per quelle cose cui l’anima sua nella parte superiore abbracciava con una volontà infinitamente perfetta, per la gloria del Padre suo. Così, non dobbiamo inquietarci per le aridità e le ripugnanze della carne purché facciamo il nostro dovere e che la parte superiore dell’anima nostra, ossia la nostra mente e la nostra volontà, aderisca allo Spirito Santo, che sta in noi per operare secondo le sue intenzioni e i suoi desideri. Dobbiamo tenerci uniti allo Spirito Santo con un puro spirito di sacrificio, e nella fede, vale a dire, per una conoscenza oscura e insensibile ma tuttavia certa, che Dio sta in noi col suo santo e divino Spirito onde aiutarci nella nostra debolezza per la quale da noi stessi non siamo capaci di elevarci a Dio. Quando il Signore vede che accogliamo quei buoni desideri che Egli forma in noi: quando vede che abbiamo la volontà di operare unicamente per la sua gloria, che ci diamo interamente a Lui e cerchiamo il soccorso della sua grazia, allora ci abbraccia, ci eleva, ci santifica e fa che operiamo in ispirito e verità: ma non permetterà che l’anima lo senta, e ciò per divezzarla dalla carne e conservarla in una più grande santità e in un maggior distacco da sé stessa. È questo lo spirito di tutta le religione cristiana, spirito che a tutti i fedeli dà la vita con la virtù di operare nella santità e nella giustizia. In questo spirito, adunque dobbiamo incessantemente immergerci, distaccandoci da noi stessi, giusta il precetto di Nostro Signore: Colui che vuole seguirmi, rinunci a sé  stesso, prenda la sua croce e venga dietro a me (Matth. XVI, 24). Il vero discepolo di Gesù Cristo che vuole vivere come Lui, deve rinnegare sé medesimo in tutta verità come ha fatto Gesù Cristo; deve evitare di compiacersi in sé medesimo; Cristo non ebbe riguardi a sé stesso, Christus non sibi placuit (Rom. XV, 3) ma stare interamente unito con quel divino Spirito che esso possiede in sé medesimo e seguirlo, imitando la condotta  di Gesù Cristo, che non ha mai fatto la sua volontà. Gesù Cristo viveva in una perfetta aderenza allo Spirito di Dio suo Padre, e teneva l’anima sua sempre unita a Lui nella parte superiore e principale mentre permetteva che nella sua carne e nella parte inferiore dell’anima sua sorgessero ripugnanze e contraddizioni: Tale era la contraddizione che Egli subiva in sé stesso contro sé stesso. Così, se vogliamo seguire Nostro Signore. dobbiamo aderire continuamente allo Spirito per una decisa volontà che ci mantenga sempre fermi in ogni nostro dovere in mezzo alle croci ed alle contraddizioni, e ci elevi a Dio, senza che ci prendiamo compiacenza in noi medesimi, mentre la nostra carne, la quale vuole tutto al contrario di ciò che deve volere e perciò non può star soggetta, è sempre in contraddizione con quello Spirito divino. La carne desidera il contrario di ciò che lo spirito desidera: orbene, in tale contraddizione, bisogna che quella parte di noi che è lo spirito aderisca allo Spirito Santo, con cui deve essere perfettamente unita nei desideri e nella volontà, partecipando alle qualità di Lui che sono infinitamente lontane e al disopra della carne, benché nella parte inferiore, l’anima sia ancora aderente alla carne. In tal modo dobbiamo costantemente odiare l’anima nostra in quanto essa anima la carne e deve subire in sé stessa questa contraddizione come una croce continua e perpetua. Se alcuno vuol venire con me. rinneghi sé stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me (Luc. IX, 23).

FINE

LO SCUDO DELLA FEDE (204)

O SCUDO DELLA FEDE (204)

LA VERITÀ CATTOLICA

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. E libr. Sales. 1878

ISTRUZIONE I.

Io credo in Dio

Voi siete qui per imparare le cose più necessarie, che hanno da far tanto bene alle vostre persone. Ma io, bisogna che ve lo dica subito per imparare è necessario che vi fidiate di chi v’ha da mostrare e che cominciate a credergli con un po’ di buona fede. È questa la prima disposizione che deve avere chi vuole essere istruito. Vedete che anche il Parroco quando si vuol che egli battezzi uno, e che lo ammetta tra i fedeli ad imparare la verità della Religione e a vivere da buon Cristiano, prima di tutto domanda a chi dev’essere battezzato, e ai padrini per lui: se egli crede: « credis in Deum? » Quasi gli dicesse che prima d’ogni altra cosa si debba credere, e credere in Dio. Eh! ma pensate anche voi: noi ci troviamo qui creati da Dio in mezzo a tutte le cose fatte da Lui; ben tocca a Lui dirci adunque ciò che Egli vuole da noi, e ciò che è bene che facciamo. Così il Parroco con quella semplice parola che tutti intendono: « credi tu in Dio » dà dalla parte di Dio il primo avviso e più necessario, dà la più ragionevole, la più grande lezione che viene all’uso tutti i dì, cioè, che per imparare, prima di ogni altra cosa bisogna cominciare dal credere a chi merita fede. Questo io vi spiegherò quest’oggi e vi farò vedere che, se è necessario prima di tutto credere per poter vivere in questa nostra vita, è necessario più ancora credere in Dio per salvarci. Miei fratelli, noi siamo qui radunati intorno al sacro altare nel bacio santo di carità; ed adoriamo qui in mezzo di noi nel SS. Sacramento Gesù Cristo proprio in Persona. Gettiamoci a terra a Lui dinnanzi e preghiamolo si che ci faccia conoscere come nella dottrina che facciamo in Parrocchia, Egli è il Padre che presiede al convito; e che Egli è il Signore il quale fa distribuire il pane delle anime colla sua Parola, ancora che ci faccia grazia di farcelo passare per le povere mie mani. Voi poi, o Maria Santissima, presentateci a Gesù benedetto da buona Madre ponendoci la vostra mano sul nostro capo e pregatelo si degni essere con noi, come il padre in tavola coi suoi figliuoli diletti. – Intanto tra noi, o fratelli, io vi supplico per amor di Dio e di Maria Santissima, parliamoci cuore a cuore; e voi con tutta la vostra bontà fate buon viso a me che vi parlo in nome di Gesù Cristo. Colla semplicità di buoni figliuoli, ripetetemi intanto, come faremo sempre per fissar chiaramente di che cosa abbiam da trattare; quello che noi in questa istruzione abbiam da comprendere bene: essere per noi uomini un dovere il credere; e così niente di più ragionevole e di più giusto, niente di più caro e necessario per salvarci che il credere in Dio. – Abbiamo detto ché per imparare e poter sapere qualche cosa è d’uopo credere, e avere un po’ di buona fede. La Chiesa difatti per insegnarci nella Dottrina le cose più necessarie in nome di Dio, comincia subito dal farci dire: Io credo in Dio. Così ci mostra che prima di tutto è necessario avere buona fede in Dio il quale è il Creatore del mondo; ché ogni bene viene da Lui, e tutto da Lui dipende; e  perciò niente noi possiamo far di più giusto che assoggettare la nostra ragione e volontà a Dio, riposandoci in Lui con fede; e non perché intendiamo noi colla nostra mente che siano vere e buone le cose che Egli ci manifesta; ma ci fidiamo interamente a Lui, perché Dio è somma verità e sommo Bene, non può né ingannarsi né voler ingannare. Questa fede poi è un grandissimo dono e tutto di Dio. Egli è ben vero che noi colla nostra ragione (Constitutio Dogmatica DE Fide CATHOLICA; prima sessio — Sacrosancti Oecumenici Coneilii Vaticani.) possiamo conoscere che vi deve essere il Creatore d’ogni cosa; ma è anche vero che noi colla sola nostra ragione non arriveremo mai a conoscerlo in Sé stesso, né ad abbandonarci nelle sue mani con buona fede. No, no; da noi soli non vorremo né cercar tanto di conoscerlo, né credere in Lui, e nemmeno servirlo bene ed amarlo, a fine poscia di possederlo in paradiso. Noi, senza aiuto divino tutt’altro che credere ed affidarci a Dio come al Sommo Bene nostro, noi ci occuperemmo tutti quasi solo di noi, e ben poco vorremmo pensare a Dio. Bisogna che lo confessiamo, e che diciamo chiaro, che ogni lume ed ogni ben perfetto viene da Dio, e che Dio solo può provvedere a tutto il bene per noi, e provvedere a tutto il bene per noi vuol dire salvarci. E Dio, per salvarci, comincia dal mandar a noi questo lume di fede il quale solleva la nostra ragione a pensare a Lui, comincia dal concederci questa grazia che muove il nostro cuore ad avere fede in Lui, e ad affidarci onninamente alla sua bontà. La fede adunque è un dono del Cielo, per mezzo del quale noi crediamo in Dio. – Intendete qui subito, o cari, la grande misericordia di Dio con noi Cristiani. Dio nel santo Battesimo ci comunicò questo dono di fede per sollevare la nostra mente sopra tutti i lumi della nostra ragione a conoscerlo; Dio nel Battesimo ci mise questa grazia della fede nell’anima nostra, questa virtù di credergli, e fidarci di Lui; colla ferma sicurezza che Egli, il quale fa tutto ch’è buono, per sua bontà ci farà conoscere tutto che è bene per salvarci. Questa grazia di credere a Dio, e fidarci di Lui, è la fede (Siffatto dono della fede resta come una radice fitta nell’anima nostra. E pur troppo può restare morta in mezzo a tante cose mondane pei nostri peccati: ma come una scintilla sotto la cenere se viene riscossa riluce; così la fede in noi se viene riscossa da certi avvenimenti accompagnati dai tocchi della grazia che batte all’anima, si ridesta, ed illumina la mente. Si può dire che la grazia della fede allora fa come una madre crudelmente disprezzata la quale quando il povero suo figlio non pensa neppur più a lei, in un bel momento lo abbraccia alla vita e gli dice: « figliuolo, ti hai da salvare.»  È dunque la fede il principio, il primo fondamento, la radice della nostra giustificazione: perché, credendo così in Dio, noi facciamo il primo atto di giustizia, e il Primo atto di giustizia della nostra vita è riconoscere che Dio è il Creator di tutto, è il Padre di tutti i beni, è anzi il Sommo Bene: e che niente è più ragionevole, né più giusto che credere, cioè avere fede in Dio, Padre dei lumi e di tutti i beni il quale ci fa questa grazia di credere così perfettamente in Lui.). – È dunque la fede una virtù che Dio per tutta sua bontà infonde nelle anime nostre, colla quale ci illumina, ci inspira, ci aiuta a fidarci interamente di Lui e a credere in Lui di tutti buon animo. – E qui noi abbiamo da comprendere ben subito come se non abbiamo questa fede in Dio, noi commettiamo una brutta ingiustizia quando, fidandoci più di noi medesimi, che non di Dio Santissimo; e che essendo così ingiusti e cattivi è impossibile che piacciamo a Dio e siamo ammessi nel numero dei suoi figliuoli. (Conc. Tridentino, sess. VI, c. 5, VATICANO, luogo citato). Bisogna adunque prima di tutto credere in Dio … – Deh non vi fate il broncio in sul bel principio per farmi intendere che voi eravate venuti qui per sentire di belle e buone verità, riserbandovi poi di ragionarvi sopra; quasi che non mi vogliate dire: « eh via! non siamo i bambini noi da doverci far credere subito. » No no: ragionerete finché vorrete; ma anche nelle cose del mondo, per conoscere una qualche cosa, bisogna sempre cominciare col credere: e se uomo s’incapricciasse di non voler proprio mai credere niente, non verrebbe a saper mai niente. Immaginatevi che uno volesse imparare a leggere; bisogna bene che egli creda al maestro che la prima lettera si chiama A, e che la seconda si chiama B. Ché se con superbia il testereccio si ostinasse a non credere mai, potrebbe bene star li per ispazio di tempo a larghi occhi sulla carta stampata a lampanti caratteri; ma non verrebbe mai al punto di saper leggere una sola parola. Laddove in credendo al maestro impara ad unire le lettere, comincia compitare, e si avvia alla lettura. Allora poi mano mano leggendo i libri più buoni e dotti può diventare anche uno dei più sapienti uomini del mondo. Ah si sì! vuolsi cominciare dal metter giù quella matta superbia di pretendere di cavar tutto dal nostro cervello e di voler sapere tutto da noi: s. Agostino che era sì certo, uno dei più sapienti uomini del mondo, diceva che, fossimo pur di sommo talento forniti, bisogna che incominciamo a credere con umiltà, se vogliamo intendere anche le più grandi e sublimi cose — crede ut intelligas — Vedete difatti che senza credere non potreste neppur conoscere chi voi siate. E perché sapete voi di essere i figli dei tali? Voi non vi ricordate certo di essere nati da loro…., ma lo credete. Perché tenete voi che ì vostri campi e le vostre case che non avete comprato da voi, siano vostri davvero? Perché credete ai testamenti ed alle carte di contratti. Eh, se voi vorreste avere per certo solo quello che vedete e toccate, le vostre cognizioni si allargherebbero ben pochi metri intorno a voi. E come potete essere sicuri che vi sono tante città, che forse non vedrete mai? Perché credete a chi lo dice. Come sapete voi che vi siano state altre persone, e che qualche cosa si sia fatta prima di voi nel mondo? Perché credete a chi velo narra, o a chi ve lo scrisse nei libri. Così noi crediamo ai vivi, crediamo ai morti; ma intanto sempre crediamo. Né vale il dire che ai nostri giorni anche il popoletto ha gli occhi aperti, e che non si ha più a credere, ma ragionare. No: perché anche proprio voi avete creduto alla madre che colla sua affettuosa parola fu la prima ad insegnarvi a ragionare; balzati fuori dalle braccia della mamma, correste alla scuola a credere nei maestri. Cresciuti poi tant’alti e baldi di gioventù, vi credeste di essere emancipati e di essere liberi e pensare a vostro modo? Signori no! Allora i compagni intorno a farvisi ai panni, pigliarvi all’assalto, e farvi credere tutto che vogliono, per menarvi a loro modo: e voi credere subito ai loro discorsi, prestar fede alle loro gazzette, giurare sui libri che manipolarono tanto benino, per farvene bere di quelle!….. Ora potete forse vantarvi di non creder ai buoni vostri padri, alle affettuose madri vostre, e meno al Prete (che, a conti fatti, sono coloro che vi vogliono un ben della vita); mentre vi adattate vilmente a credere ai tristi; anche quando vi accorgete che sono tali? E ve ne fate vanto voi stessi, quando vi date d’intendere di pensare e vivere alla moda: ché le mode poi non sono altro che i pensieri e capricci degli altri che vi circondano. Così gloriandovi di esser uomini del mondo alla moda, vi gloriate di credere come credono gli altri. — Oh che disgrazia! regolarvi a maniera delle pecore matte! lasciarvi menare da vili a bere, voglio dire a credere a tutti i tristi cialtroni, e forse stentare solamente a credere in Dio! Ditemi ora, che avete capito come è necessario credere, per saper qualche cosa e vivere da uomo; Così niente è più giusto che credere prima in Dio. Ora vediamo che niente è più ragionevole, niente è più necessario che credere in Dio. Ripetetemi ora in grazia adunque che cosa abbiam da considerare adesso? Noi abbiamo da considerare, che niente è più giusto, niente è più ragionevole, che niente è più necessario che credere in Dio: » – Io comincerò col raccontarvi un fatto che vi tornerà a grado.Un dì a Parigi il buon avvocato signor Guillemin disse ad un avvocatino che faceva pratica al suo studio: « signor Lacordaire, credete voi in Dio ed allasua santa religione? » Io? rispose il giovane lisciandosii baffi con una cert’aria d’ineredulo « ma,signor avvocato principale, io?….. Non credo niente,io, » E il bravo signor Guillemin : « Ah no, signor avvocatino di così belle doti d’ingegno essendo voi fornito non potete rispondermi così; poiché, se voi non credeste proprio niente, sareste simile al candi casa ed al cavallo della scuderia i quali non credonoproprio a nulla. Ma voi credete almeno che siete qui!» E l’avvocatino « Oh sì; perché io mi sento che sono qui » — « Credete che siete nato dai vostri buoni genitori: e crederete che i vostri signori genitori sono nati anch’essi dai loro padri e dalle loro madri e così via via; finché si viene al primo padre e alla prima madre, i quali non si poterono fare da se stessi quando non erano al mondo; ma dovettero per necessità essere stati formati dal Creatore » « Oh, sì, rispose. l’avvocatino coll’accento della più schietta sincerità,al Creatore io credo!» « Dunque, di ripicco a lui il grande avvocato Guillelmin, se voi credete al Creatore, dovete credere che il Creatore che noi adoriamo,è Dio; e dovete credergli quando v’insegna Egli e come dovete adorarlo, e come dovete salvarvi: ilche è tutta la Religione », L’ avvocatino vi pensòsopra…., vi pensò bene; e conoscendo che bisogna credere, e credere in Dio, questo fu il principio della sua conversione, e della sua salvezza. Abbandonata l’avvocatura si rendé frate, e divenne il celebre Padre Lacordaire che diffuse in Francia con santa eloquenza le verità del Vangelo, e morì da santo. Per salvarci anche noì dobbiamo cominciar di qui; « Io debbo credere in Dio ». – Adunque vi ho detto, che niente è più ragionevole che credere in Dio. Ascoltate, che ve ne renderete persuasi. Se noi ci vediamo dinanzi un bell’orologio, in cui le ruote e gli ordigni son così ben ordinati a segnare le ore esattamente, sì che la molla scatta a suonarle appuntino; noi non ci sogneremo mai di dire che quei pezzetti di lucido ottone e ferro di cui e ruote e molle furono fatte, quand’erano ruvidi metalli ancor là per terra si sognassero un bel dì di serrarsi a cerchio per diventar le meravigliose ruote, di stendersi e poi girarsi intorno a far le molle, d’intrecciarsi in catenelle, insomma di congegnarsi insieme, mettersi d’accordo in quel movimento, e pigliar concerto tra loro e stare tutti ben attenti a fine di segnare e scoccar le ore a tempo. Per sognare questo, bisogna anche aver perduta la testa! Ma sì veramente, diremo che quel bel lavorio fu fatto da un abile orologiere. Così pure al solo aprire gli occhi al mondo dobbiamo conoscere e credere per necessità di ragione che vi è il Creatore il quale fece ogni cosa e regola l’universo. Difatti, il profondo filosofo Platone (che non era Cristiano) a nome di tutti gli uomini ragionevoli esclamava con solenne parola: « Oh! oh! Esiste questa grande fabbrica ed architettura dell’universo; dunque, esiste il grande Architetto. Per questo la nostra Madre Chiesa a fine di cominciare a richiamare all’ordine queste teste di uomini, che vanno a vapore in sognando errori, grida, sul bel principio del Concilio Vaticano: Figliuoli, anche colla ragione tutti possono conoscere che vi è il Creatore; ma coloro che si sono perduti di buon senso stanno incapricciati a negare che colla ragione non conosciamo che vi è Dio Creatore. Guardatevi da loro, teneteli in conto di uomini scomunicati. Come abbiamo detto che niente è più ragionevole, così diciamo anche che niente è più necessario che il credere in Dio, se vogliamo alla meglio vivere in questa povera vita. Perocché, ove non si credesse in Dio, ciascun uomo potrebbe far ciò che gli salta in testa; e i capricci più sconsigliati e i più orrendi delitti metterebbero sossopra la società, e gli uomini che finirebbero coll’ammazzarsi gli uni gli altri. Ascoltate, ascoltate ciò che dice un uomo di trista memoria e grand’empio, Giacomo Rousseau, il quale si dava vanto di non volere egli credere; ma credeva che era ben necessario che tutti credessero. « Io non vorrei, diceva, avere un servo il quale non credesse in Dio; perché se gli facessero gola i miei danari, saprebbe tirare ì suoi conti, e studiato modo di farla franca, una qualche notte mi pianterebbe un coltello nel cuore e se li piglierebbe; e questo potrebbe fare tranquillamente, perché dagli uomini si è messo al sicuro, e in Dio non crede. » Poveri noi, se gli uomini non credessero più affatto in Dio! (Quì, cari miei, io che conosco bene come va il mondo, in veggendo la smania ai nostri giorni di levar via tutto che fa ricordare che abbiamo un’anima e che vi è Dio; e chiudersi Chiese e togliersi via i religiosi e le monache per non voler che si preghi, e che neppur si pensi più a Dio, vorrei dare un buon avviso a chi dirige lo stato, ed è: di non distruggere almeno; ma conservare alla men trista quei grandi luoghi in cui si faceva la Preghiera della fede: non per la ferma speranza che nutra che siano restituiti alla Religione: poiché quei grandiosi edifizi tolti alle così dette mani morte se li arraffano mani vive, vive dai lunghi artigli e sono cacciati giù in certe voragini che son le ventraie dei libertini – da cui solo la man di Dio li può trappar fuori. Neppure vorrei dar quest’avviso di conservar quelle case perché io tema che venga distrutta la Religion santa di Dio; la Religione è come un grand’albero di una gran vecchia radice approfondita dentro una Pietra contro cui chi do il cozzo, rompe sempre le corna. Se per distrugger l’augusta pianta le si taglia un qualche ramo, geme come la vite la quale subito mette tralci, più ricchi di grappoli: e, se le si strappa un germoglio che traligna, se, colla roncola le si fa cadere un ramiticcio in seccume, subito getta fuori più floridi polloni. Ma ben adunque vorrei dar il consiglio di conservare i grandi locali religiosi, per formare dei ricoveri di pazzi, e delle larghe prigioni da tenervi incatenati i ribaldi i quali escono terribilmente al mancar miserevolmente della fede in Dio. Ah!  Miei fratelli, la povera nostra famiglia umana, se non credesse in Dio proprio più, andrebbe in rovina!). – Eh sì! che ve ne accorgete troppo voi anche nelle vostre case che i vostri figli quanto meno credono in Dio, si fanno tanto più cattivi contro le povere madri e spaventano i capi delle famiglie. E perché, si potrebbe dire, han da rispettare i genitori, che rappresentano Dio, se in Dio non credono? Vedete che si disgiungono i matrimoni, sicché uomini crudeli, dopo di avere consumate e martoriate le povere mogli, le lasciano in tristo abbandono! E perché si hanno da amarle, quando non garbano più, se non credono che sono uniti insieme ad esse a fine di aiutarsi a servire Dio? Lo dite pur voi che l’uomo non si può fidare oggimai più di nessuno, che crescono i ladri, che i contadini saccheggiano le campagne, che certi signori rubano in grande. Epperché non dovranno rubare, mentre la roba è di chi se la piglia, quando non sì crede in Dio? Voi salvate, o fratelli, i figli vostri, le famiglie vostre, la roba vostra, e fin le vostre persone col credere in Dio, voi, i figli e tutti coloro che compongono la famiglia. Egli è impossibile potere salvare una società, quando affatto non si creda in Dio. Sarebbe inutile domandare alle nazioni milioni e milioni di lire per costruire fortezze da tenervi incatenati i malvagi, perché senza credere in Dio, diventerebbero malvagi tutti! Sarebbe inutile assoldare eserciti di poliziotti per metter le mani sul collo ai malfattori, perché potrebbero anch’essi diventare i manutengoli dei commettimale! Ma, mi si dirà, eh non si potrebbe fare rispettare la rispettare la giustizia?… Ma che dite Quando non si crede in Dio, ciascuno può alla sua volta dire « è giusto ch’io mi prenda tutto quello che è buono per me! » Ah! che il mondo allora diventerebbe un’aspra orrida selva, in cui gli uomini come le tigri e i leoni, si scannerebbero l’un l’altro a fine di torsi di bocca la preda; eh sì che sarebbero ben più feroci di quelle belve; perché colla ragione si farebbero più maliziosi a commettere il male. Lo vediamo noi talora, che alcuni tristi, senza più credere in Dio, compiono tali atrocità, che non farebbe niun feroce animale! Né io parlo a caso; la storia moderna ce ne dà una grande prova e spaventosa. Udite: nella rivoluzione di Francia l’anno 1799 uomini increduli alzarono l’orrido grido « Non vi è Dio, e noi siamo liberi di fare quello che ci talenta. » Allora fattisi essi orda di assassini feroci in soli tre mesi scannarono novantaquattromila persone!… Col furor di demoni furibondi ammazzavano e ammazzavano incessantemente, collo scherno e solo pel piacere d’ammazzare !!! Ma… ma subito, appresso a loro altri assassini sorsero ad ammazzar quei carnefici; finché in quell’uccidimento universale un capo carnefice galeotto d’inferno, Robespierre, alzò il suo braccio tuffato nel sangue umano e scrisse a caratteri tremendi sul frontone del palazzo della giustizia « bisogna credere che esiste Iddio »; e propose questo vero per legge fondamentale della repubblica… Ma se niente è più giusto, niente più ragionevole, niente più necessario, per poter vivere alla meglio in questa povera vita che il credere in Dio, è tanto più necessario credervi per salvare l’anima nostra. Fermiamoci un momento a pensare a noi. In mezzo a tanti dissennati, furiosi, ed assassini dei quali sarebbe pieno il mondo, ove non si credesse in Dio, tristi noi! non potremmo sapere né donde veniamo, né che cosa abbiamo da fare, né dove andiamo a terminare. Noi meschini, saremmo come un povero augellino il quale scosso chi sa da che luogo, in una notte d’inverno scura scura, al lume di una finestra vola dentro una sala; in cui, oh che incanto! spira un’aura tiepida e olezzano fiori di primavera. Batte le aline e comincia a cinguettare: girando di qua, di là, senza accorgersi si trova uscito: di fuori ahi che un augellaccio cogli unghioni l’artiglia. Ei mette uno strido!… la civetta l’ha già divorato!… Anche noi, buttati nel mondo all’improvviso qui vorremmo folleggiare allegramente; ma ve? ve’, che quando pure non vogliamo pensarvi, senza fare posa, corriamo a gettarci….. ahimé! in gola alla morte!… Alla morte!… – Eh, signori, chi non temerà della morte?… Finché siam robusti nel frastuono del mondo possiamo ben correre da matti colla benda agli occhi fino al precipizio; ma arrivativi sull’orlo, nell’orror della morte, nell’abbandono delle forze, in tremendo silenzio, al colpo che ci fa cader senza vita si spezza la benda… O allora ci rimbomba spalancato davanti l’abisso dell’eternità; e noi cadere dentro, senza conoscerla affatto! Ah diamo indietro atterriti con l’eternità davanti al pensiero! Perché, miei cari, noi possiamo sforzarci di non voler credere all’eternità ma noi ne abbiamo già tal sentore, che se ci fermiamo a pensarvi, ci soffoca l’anima: Abbracciamoci nel petto spaventati e gridiamo tra noi: « SÌ… prima di affrontare l’eternità per restarvi sempre, noi abbiam bisogno di conoscere questa eternità tremenda in cui andiamo a terminare; ma per avere idea viva dell’eternità abbiamo bisogno di credere in Dio…. il quale solo ci dice che cosa sia eternità…. Ah sia ringraziato Dio il quale fin d’ora ci fa conoscere che possiam trovarci nell’ eternità in paradiso! Eh chi, chi non sentirà ora il bisogno di dire: « io credo in Dio che mi ha creato pel Paradiso? (Voglio dirvi ancora, che se noi siamo persuasi essere il credere in Dio il più giusto, il più ragionevole, il più necessario nostro dovere per tutti. per noi Cristiani è il dovere più caro e più consolante. Oh! se sapeste al contrario in quali stranezze certi uomini, che si dan l’aria di esser più sapienti di tutti! danno la povera testa, per non voler. credere in Dio! Dicono le più spaventose, ma insieme le più matte cose che immaginar si possano. Per dirvene alcune: ebbervi dei vecchi filosofi che sognarono essere le stelle che coi loro movimenti menano in terra gli uomini al loro destino. Altri poi sognarono che l’universo fu da prima pieno di atomi, come quei granellini di polvere che girano in aria. Eglino li fecero girare nella Ior fantasia; e gira e gira quei granelli si avviacinarono, e così uniti formarono la terra; e si congegnarono a formarsì in piante, poi s’impastarono in corpi animati e si disposero in mille e mille vene, in milioni di nervi sottilissimi e così ben diramati tra le carni, tutto unendosi insieme formarono corpi vivi e diventarono così svariati animali. Ma se voi la prima cosa domandate a tutti loro: chi abbia in prima create le stelle, e chi abbia plasmato quei granelli da far andare intorno con tanto giudizio; quale risposta fanno essi? niuna ragionevole. E per vero, a che domandare la ragione di queste cose ad uomini, che non credono nella ragione di ogni cosa che è Dio? Eppure dopo tanti errori non volendo ancor niente imparare dall’esperienza anche ai nostri tempi uomini orgogliosi, e testardi nell’empietà che non vogliono in alcun modo credere a Dio. Costoro i quali si danno l’aria di saper tutto colla lor testa, proprio nei belli nostri dì sognano le più triste cose del mondo. – Inorridite sol di questa! Non hanno vergogna di dire che con tutte le cose dell’universo, noi e i sassi e le piante e le bestie, siamo tutti insieme una sola sostanza: quindi una cosa sola che si va travolgendo; e ora si fa sasso duro, poi si sviluppa in pianta; poi diventa animale; e poi si muta in nostra persona!…. Così ché, se ve la lasciate dare ad intendere da queste povere menti, noi tutti insieme siamo una sola persona; e l’anima crudele di Nerone che scannava la propria madre, e l’anima così bella e santa di s. Luigi che moriva per assistere gli appestati; e anche noi, proprio noi, qui siamo carne ed ossa e un’anima sola cogli assassini che in quest’ora aguzzano il coltello per sgozzare i nostri prossimi! Proprio adunque noi, una sola persona coi più tristi malfattori? Dio benedetto! Queste torbide menti gonfie d’orgoglio sono come dice lo Spirito Santo quasi fiotto di fiero mare in burrasca, fluctus feri maris de spumantes suas confusiones!). La Chiesa vede che la povera famiglia degli uomini anderebbe tutta in rovina, e sarebbe cosa disperata se sì desse ascolto ai cattivi che negano Dio, e siccome essa è stabilita da Dio stesso per salvare tutti, in questo ultimo tempo mise un grido d’allarme per avvisare che tutti pensino a salvarsi, fino ai suoi nemici. Proprio come gli Apostoli della Chiesa nascente, i quali, ricevuto lo Spirito Santo, uscirono sulla porta del Cenacolo con s. Pietro alla testa gridando di adorare per Salvatore Gesù Cristo affinché si salvassero tutti anche quei disgraziati che lo avevano crocifisso, medesimamente la Chiesa adunatasi nella persona dei Vescovi del mondo nel Concilio Vaticano a Roma sulla Pietra che sta sempre salda in mezzo a tutte le rovine, fin sul bel principio si ferma con essi sulla porta del Concilio, e come rivolgendosi indietro da farsi sentire anche agli infedeli che sono fuori, e fino ai suoi nemici, grida forte nella prima Costituzione che, se vogliono conservare un resto di ragione, di buon senso e di umanità e non distruggere da indemoniati ogni ben sulla terra, bisogna credano in Dio, e scappino via come dai figliuoli del diavolo e scomunicati, da coloro che dicono che la ragione umana è indipendente, e che quindi può intendere tutto da sé, senza alcun bisogno di credere in Dio. Si! Costoro sono scomunicati. (Const. 1a Concilii Vaticani, Def. de fide in CAN. 1). E perché vi sono dei poveri disgraziati che fan contro alla propria ragione, e sono così cattivi da volere fino negare che vi sia Dio Creatore e Signore di tutte le visibili e le invisibili creature, costoro, dice la detta Costituzione, siano scomunicati, e voi guardatevi da loro come dai maledetti che non fanno più bene, se non si convertono. (Conc. Vat. De fide 1. c. 1). Se poi vi saranno alcuni così svergognati da aver l’audacia di dire che non esistono che queste materiali cose: « (C — C. 2); se vi saranno uomini così perduti e senza buon senso da dire che questo mondo materiale e Dio Creatore Onnipotente ed infinito sono la istessa sostanza, fuggite, fuggite da questi che sono scomunicati; essi di fatto non son più degni di essere della famiglia dei figliuoli di Dio cui disonorano così orribilmente. A questo modo la Chiesa condannando questi orribili errori grida forte, e vorrebbe farsi sentire fin dagli infedeli, perché almeno conservino un certo resto di ragione umana e non si perda l’umana famiglia. Ma io ho già nominato varie volte la Chiesa, senza avervi spiegato che cosa ella sia; perché io tratto con voi come coi ben amati figliuoli di Lei nella candida semplicità che vuole l’Evangelio. Voi siete nati di famiglie cristiane in seno alla Chiesa e perciò la conoscete già, come i bambini la madre. Il bambino, benché non sappia la storia dei dolori e dell’amor della madre, pur in vedendola nella faccia che ella è tanto buona per lui, che le porge il seno; la conosce nel cuore dagli occhi, e le dice tutto colla prima parola « mamma »: poi s’abbandona in braccio a lei, e palpitando cuore a cuore d’accordo, si sente subito dire da lei le belle cose che gli fan tanto bene. Medesimamente anche voi, senza che io vi abbia spiegato che la Chiesa è la gran famiglia cristiana; che alla Chiesa di Gesù Cristo diede per Capo il Papa e l’assicurò, che non fallirebbe mai nell’insegnare le verità della fede; e che al Papa sono uniti i Vescovi come le membra, per regolare i fedeli, voi la conoscete già in qualche modo la Chiesa. Sicché già fin dal primo momento che i vostri genitori vi menarono in casa della Madre nostra (e noi qui vi abbiamo detto: ascoltate ché vi parliamo in nome della Chiesa,) voi vi siete accorti che i fedeli vanno d’accordo col Parroco, il parroco s’intende col Vescovo; che i parroci e i Vescovi sono uniti col Papa; e così voi conoscete che tutti uniti, come in un corpo in questa nostra gran famiglia la Chiesa, quando siete alla Dottrina, vi trovate come tra le braccia di vostra madre, la quale vi dice tutto che è bene per voi. E per dirci tutto che ci ha da far bene, in sul bel principio ci fa ripetere «io credo in Dio. » Questa gran madre nostra, la Chiesa fa come la genitrice dei Maccabei. Udite bel fatto che veramente è una edificazione. Quel crudo tiranno che era il re Antioco, il quale martoriava coi più squisiti tormenti i fedeli Ebrei, per far loro abbandonare la religione del vero Dio, aveva fatto trucidare sugli occhi di quella povera madre sei de’ suoi figliuoli. Pensate! Ella se li vedeva davanti buttati là cadaveri l’un sopra l’altro macellati orribilmente!… E qui, e qua sparsi per terra, i piedi e le mani troncate, le lingue loro strappate di gola, e fino i capelli colle pelli della testa stracciate via. Vi restava l’ultimo figliuol giovinetto. A lui quel mostro d’Antioco faceva le più lusinghiere promesse di ricchezze, di onori; assicuravagli un paradiso in terra da godersi per sempre quando attestasse di non credere in Dio… Dall’altra parte, se volesse continuare a credere in Dio, gli faceva vedere preparati coltelli e tenaglie, e un toro di bronzo infuocato da abbrucciarlo dentro vivo. In quell’orrido cimento, ecco, si slancia in mezzo la madre tra il tiranno e il figlio gridando: a me a me, che voglio dar io un buon parere al figliuol delle mie viscere… L’abbraccia nel petto e figliuol del cuor mio, non son io che ti creai; guarda, guarda al Cielo e colassù è Dio, il Creator che t’ha dato tutto! Cara la vita mia, sappi morir per Dio! » Egli morì martire; e noi li veneriamo tutti santi colla madre quei sette figli il dì primo d’Agosto. – Or miei cari fratelli, anche noi siamo in un mondo che non vuol più sentire parlare di Dio. La Chiesa vi abbraccia nel petto e vi grida: figliuoli! questa gentaglia è tutta intesa a far danari e godere, e par che vi dica in faccia con uno scherno da maligno demone: a che pensate voi a Dio? buona gente: siete ancora tanto ignoranti? E che ha da far Dio con noi? » Ma noi alla nostra volta risponderemo: stiamo a vedere che hanno creato il mondo questi miserabili! Vermi che da poc’ora strisciano nel fango e che a momenti resteranno nel loro fango schiacciati e sprofondati nell’inferno. Ah! noi un po’ di ragione l’abbiamo ancora da credere che vi è Dio che tutto creò: e noi siamo ancor tanto buoni da credere in Dio, più che a tutti ì più cattivi del mondo i quali tentano di fargli guerra. Terminerò, per farvi coraggio in questi poveri tempi, col raccontarvi un bel fatto avvenuto proprio qui in questo nostro paese d’Italia. Fuvvi un tempo, non dissimile dal nostro, in cui eretici paterini col furor di demoni in carne, per far guerra a Dio, volevano toglier via le leggi della Chiesa, sconsacrare il matrimonio, distruggere le famiglie, metter tutto a ruba, e gittar gli uomini come un branco di bestie feroci a sguazzare in orrende carnalità. Avrebbero allora, come vorrebbe fare certa bordaglia d’adesso, fatto del nostro paese il ricettacolo d’ogni ribalderia. Un fanciulletto in Verona, scivolando via di mezzo a quei tristi, che erano pure nella sua casa, spesso correva nella Chiesa cattolica alla dottrina, quale appunto noi facciamo e voi che qui venite. Un dì un cattivo della sua famiglia, disse sgridandolo; sapete voi, che questo pezzo di piccol santuccio di Pedrino usa alla dottrina dei preti? Ohé cattivello! e che cosa hai tu imparato alla dottrina? Il fanciulletto con bel coraggio: ho imparato, risponde franco, ho imparato a dire: io credo in ‘Dio! e sì veramente io credo in Dio; e perché credo in Dio, credo per conseguenza che non siete voi che mi avete creato: perché credo in Dio, voglio vivere come comanda Iddio; perché credo in Dio, voglio andar alla Chiesa, e adorarlo senza rispetto umano; perché voglio salvarmi in Paradiso con Dio. Fattosi religioso combatté poi sempre per difendere la religione, finché gli eretici assassini un bel dì da un bosco gli saltarono alla vita, e lo colpirono di coltello nella testa. Ahi! scorreva giù il sangue dalla faccia, ed egli, bagnato il dito in esso cadendo per terra scrive, (sentite, e piangete!) scrive col suo sangue: io credo in Dio Pa… Voleva scrivere ancora sulla terra il resto della parola Padre; ma volò in Cielo a ripeterla col linguaggio dei beati. Questi è s. Pietro martire. Anche voi, anche voi andate a casa dopo questa dottrina, e dite ai cattivi: non mi lascerò ingannare da voi; ho imparato che bisogna credere in Dio, e perciò voglio vivere come vuole Iddio, perché tocca a me mettere in salvo l’anima mia, per essere in Paradiso con Dio. Ecché, figliuoli? non vi sentite come di stare meglio? di avere cioè ascoltato una parola che faccia bene al vostro cuore; e quasi di aver dato un buon cibo all’anima vostra? Non è vero che la Chiesa ci ha trattato da madre in questa dottrina? Gettiamoci dunque alle ginocchia di Gesù qui con noi nel Sacramento. Ma, aspettate: ché prima di partire dalla Chiesa vogliamo fare come buoni figliuoli i quali nell’andar via dalla tavola della madre pigliano con bella confidenza un qualche bocconcino o confetto il più buono da portarsi seco ritornando a casa propria. Così noi faremo sempre, dopo la dottrina, un po’ di esame; e poi raccoglieremo le verità che abbiamo spiegato per vedere un po’ quanto abbiamo da fare dopo le cose udite. Fermiamoci adunque: io farò con voi l’esame; poi verremo alla pratica e vi farò un po” di Catechismo.

AVVISO.

Terminata la predicazione, mentre il popolo è tutto impressionato delle grandi verità che il buon predicatore ha scolpito nei loro cuori in questo istante di solenne silenzio si fa fare l’esame. Noi non abbiamo pretensioni di sorta: ma, del frutto che se ricava ci appelleremo all’esperienza di quelli che lo praticheranno. Dopo un momento di silenzio, quando il popolo è in ginocchio si ripiglia come per formulare il fato esame.

1° Voi ben vi accorgete che tutto il male viene nel mondo dal non credere in Dio.

2° Vedete troppo anche voi che il demonio e il mondo cercano tutte le maniere per impedire che pensiamo a Dio, sì, che di Dio non si parla ormai più nelle nostre famiglie e neppur anco nelle scuole alla gioventù studiosa.

Pratica.

1° Noi, sì, crediamo in Dio Creatore di tutto: e vogliamo sempre credere in Dio, e non lasciarci ingannar dai tristi che non vorrebbero che noi credessimo in Dio.

2° Ringraziamo Dio che ci ha dato la grazia di credere in Lui. Crediamogli: Egli è il Sommo Bene, faremo quello che Egli ci farà conoscere di dover fare per essere poi con Lui beati in Paradiso.

Catechismo.

Se dunque prima di tutto bisogna credere in Dio ed aver la fede in Lui, ditemi se vi ho spiegato bene fin da principio, e rispondetemi:

D. Prima di tutto che cosa è necessario fare per salvarci?

R. Prima di tutto per salvarci è necessario credere in Dio, cioè avere fede in Dio. (s’insegna a ripetere).

D. Che cosa è la fede?

R. La fede è una virtù infusa da Dio nelle anime nostre, con cui Dio ci illumina, ci inspira, ci aiuta a fidarci interamente a Lui, a credere in Lui e a credere tutte le verità che ci fa insegnare dalla Madre Chiesa. Ora andremo a casa e ci ricorderemo sempre, ditelo neh!! con me, che siamo ben contenti di essere Cristiani, e di credere tutto quello che Dio ci fa insegnare dalla Madre Chiesa: e, in ogni luogo fuggiremo dai cattivi, che parlano contro di Dio e contro la nostra Santa Religione.

LA VITA INTERIORE (26)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (26)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

LA POVERTÀ DI SPIRITO

Su la Patria, ottimo mensile degli emigrati  italiani nell’Argentina, è stato pubblicato, anni or sono, il seguente articolo:

NECESSITÀ DI VITA REGOLATA E CALMA.

«Il milionario americano Wheeter Arturo, straordinariamente seccato dal rumore delle automobili, che va facendosi sempre più intenso negli Stati Uniti, ha comprato dai monaci di Cerne, per 750.000 dollari, l’Isola di Browsea, ove si recherà a vivere, il più presto possibile, lontano da tutti i rumori. » Questo. milionario, odiatore del fracasso, della velocità, dei records sportivi ed assetato di silenzio; merita d’essere ricordato ai posteri, non tanto per l’esempio — che potrà essere difficilmente imitato da coloro che non hanno la fortuna di possedere la bellezza di 750 mila dollari per comperarsi un’isola — quanto per il significato profondo del suo gesto.

» Chi non ricorda gli inni, americani e non americani, alla vita intensa, avida di tutte le soddisfazioni e di tutte le gioie, in movimento perennemente in corsa sulle piste rumorose della felicità ricercata nelle scoperte della tecnica e nell’apoteosi della Natura?

» Il clamore assordante, diabolico, senza posa, dei veicoli in corsa non era che la espressione esteriore caratteristica dell’ansia terribile che padroneggiava e tormentava le anime, assumendo via via impeti di dramma e bagliori di tragedia.

» La guerra mondiale fu lo sbocco logico di quell’ansia terribile.

» Dal crollo immane popoli e individui si levano ora, cercando confusamente la propria pace. I popoli risalgono verso le antiche fonti, riannodano con doloroso amore le vetuste tradizioni già bestemmiate e infrante; gl’individui, sempre più numerosi, riposano appagati nella ritrovata pienezza della vecchia fede.

» E dai rumori delle strade, degli sports, della perenne dissipazione delle anime si anela al silenzio.

» Senza fuggire la vita, che non è sempre possibile né consigliabile, anche l’uomo moderno deve seguire il monito della sapienza antica, sequestrarsi qualche volta e qualche istante dal turbine umano, fare un’isola intorno al proprio cuore, rifugiarsi nella parte migliore di sé, ascoltare se stesso e Dio. Da questa solitudine e da questo silenzio nascono i grandi pensieri e le grandi forze che governano il mondo ».

ISOLARSI DALLE COSE CREATE.

È una verità conosciutissima quella che afferma, come la molteplicità e la soverchia estensione nella ricerca delle cose, sia contraria alla profondità della conoscenza delle cose stesse. La citrullissima teoria dell’americanismo, secondo la quale le virtù passive — a differenza delle attive — meritano disprezzo, è relativamente di fresca data; da che mondo è mondo; però, molti, troppi sono vissuti e vivono dominati dalle inezie, infatuati dei beni effimeri; avvinti da sciocchezze, da tutto ciò. che si esprime nella parola « leggerezza ». Poco tempo fa, a mensa di conoscenti, con parecchi invitati, ho compianto un povero Legale che, mentre gli altri compivano lodevolmente l’ufficio che a mensa si compie, continuava a esaltarsi nel riferire l’elenco vario e numeroso delle sue… conoscenze! — Ah! il generale X? È un mio amico di lunga data!… Il prefetto della provincia? Lo conobbi ai bagni!… Sì, conosco il nipote di S. Em. il Cardinale!… Feci il servizio di permanente alle dipendenze dirette di S. E. il Generale Cadorna!… — E chi più ne ha più ne metta. Chi sa quando avrebbe terminato di esaltare la sua prosopopea se uno de’ commensali, quasi sottovoce, non fosse uscito in questa dichiarazione: «Lo dirò al babbo, ch’è il questore di…; affinché, occorrendo, si rivolga a lei, egregio signore, per le sue informazioni ». Parlasse questi sul serio, come si dice, o con ironia, fatto sta ed è che il millantatore, o venditore di fumo, si tacque mortificato, e cercò di rifarsi in parte sulle diverse vivande che vennero presentate in seguito. Questo è uno dei sintomi. Oggi, si può ben dire, l’austerità, la severità, i digiuni, le mortificazioni, la temperanza, non trovano più il loro clima. A questo clima si cerca e si vuole sostituire il coronemur nos rosis di oraziana e pagana memoria. V’è poi un’altra categoria di persone, simile a questa, la quale nella via del bene, nella ricerca di Dio, vuole troppe cose… Perché l’anima possa veramente progredire nella ricerca e nel possesso di Dio, deve, riconoscendo la completa e assoluta vanità delle cose create, distaccarsi da esse e legarsi sempre più intimamente con tutto quello che riguarda direttamente Dio stesso. Lavorandosi, come si suol dire, energicamente su questo punto, l’anima giunge a disinteressarsi quasi completamente di tutto ciò che è creatura, per concentrare e fissare tutta la sua attività nel Creatore. Nulla più di questo giova al progresso della vita spirituale. Come per gli interessi della vita naturale il raccogliere la propria attività su pochi propositi e pochi oggetti, è condizione assoluta di prospero successo, così, e tanto meglio, per gl’interessi spirituali. I troppi pensieri, le troppe idee, gli eccessivi desideri inaridiscono lo spirito e snervano l’attività umana. L’uomo di poche idee, ma precise e ben chiare; di pochi desideri, ma decisi e risoluti, trionfa senza difficoltà di tutti coloro che, volendo troppe cose, finiscono con stringerne nessuna.

« La forza della volontà, frazionata e diluita su troppi oggetti, non riesce a condurne in porto nessuno; non è volere molte cose, ma volere molto poche cose ed anche una cosa sola, che assicura l’esito dell’impresa » (A. Gorrino, o. c., pag. 421).

RENDERE LIBERO IL CUORE.

Quando il nostro spirito si trova ingombrato e preoccupato da troppi desideri, da soverchio numero di pensieri e di preoccupazioni, pure essendo tutti e tutte di ordine sovrannaturale, è impedito di muoversi con libertà nel servizio di Dio. – Avviene lo stesso di quanto accade a un fiore delicato e fine se avvolto da un denso e intricato fogliame. Il fiore presto avvizzisce. Ma se il fiore viene liberato dall’efflorescenza esuberante che lo circonda, riprende presto la sua vita, si sviluppa, emana soavissimo profumo, rivela il suo essere prezioso e gradito. Così è della vita del nostro spirito. Non molte cose, ma poche, anzi, magari una sola, ma bene. Quando sentiamo di amare intensamente e realmente Gesù, allora sentiamo pure nausea per tutte le cose della terra. Conosciamo allora la necessità del concentramento del nostro io, delle nostre attività, delle nostre dedizioni… Riconosciamo, in quel caso, molto facilmente, quanto poco valgano i mille umani accorgimenti e infingimenti; proviamo, anzi, ripugnanza per le mille frivolezze e futilità cui, purtroppo, la maggior parte delle creature umane dà tanto peso…; riconosciamo che il nostro cuore ha bisogno d’essere liberato dalle soprastrutture ingombranti, dall’inutile vegetazione che lo soffoca.

BEATI I POVERI DI SPIRITO.

Quando il cuore si è reso libero da tutto ciò che è fragile e insipido, da tutte le vanità illusorie, da tutte le foglie secche portate e riportate dal vento, allora non abbiamo più bisogno di nulla, all’infuori di Dio. La povertà di spirito ci fa possedere l’unica ricchezza. Iddio è questa unica vera ricchezza. Se adunque, ci esorta S. Gregorio Magno, volete divenire ricchi tendete al Regno celeste… ». « Quanto più eviteremo di crearci esigenze, di essere schiavi della comodità e del lusso, e procureremo di ridurre, a francescana semplicità, la nostra vita, tanto più ci sentiremo invasi da un senso di vera libertà, apportatrice di gioie intime e veraci » (A. Cavagna. Squilli di gioia, pag. 351). Così possiamo ben comprendere come la prima delle beatitudini predicata da Gesù sia quella della povertà di spirito. Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli (MATT., V, 3). «La povertà di spirito è più che lo spirito di povertà poiché con questo si rinuncia ai beni materiali della vita, mentre la prima importa la rinuncia anche ai beni superiori alla materia, come l’onore, la stima, la libertà, l’indipendenza, la gioia del successo, ecc. ecc.

» È il vero impoverimento dell’anima, la quale diventa indifferente e incapace di formare ed esprimere desideri per qualsiasi cosa che non sia Dio e il suo volere.

» Il povero di spirito non desidera nulla delle cose del mondo; la vita, l’intelligenza, le attitudini, il successo sono per lui cose indifferenti, quando non coincidono col volere divino. È sempre lo stesso, va sempre bene, poiché si compie sempre la volontà di Dio.

» Avere la povertà di spirito significa avere lo spirito povero e mancante di ogni sorta di bene proprio ed anche dei desideri stessi di tale bene; vuol dire non solo non possedere beni tra le vanità terrene, ma neppure desiderabili, od anche pensarci solamente.

» È quel sentimento espresso da S. Francesco di Sales il quale diceva di se stesso: Io voglio poche cose e quelle cose stesse le voglio molto poco e, se dovessi rinascere, vorrei non avere alcun desiderio» (A. GORRINO, 0. C., pag. 423).

DIO SOLO, UNICO VERO BENE!

La povertà di spirito non si applica solo ai beni materiali. Si applica, anche, ai beni spirituali più di quanto vi si pensi, ed espone l’anima alla ricerca assoluta dell’unico vero bene, Dio. Ah! se questa verità fosse ben compresa da tutte le anime e, in modo particolarissimo, dalle anime religiose! Suole accadere che molte anime spendono energie preziose non per cercare Dio, ma per raggiungere i doni spirituali, le virtù, le grazie che avvicinano a Dio. È necessario amare e cercare Dio per se stesso; se Dio, poi, disporrà che noi lo vediamo e lo possediamo per mezzo de’ suoi doni, noi saremo disposti a fare come piacerà a Dio… E qui, data l’occasione, affermiamo chiaramente il principio: TUTTO deve servire a Dio, per Dio…; nulla dobbiamo cercare all’infuori di Dio. Egli è un Padre: non pretende l’esito felice, la riuscita vittoriosa…: pretende, invece, soltanto il mostro sforzo che deve accompagnare la mostra volontà nella ricerca di Lui solo, o dei mezzi, da Lui solo disposti, per giungere a Lui. – Ogni anima che riflette con serietà su di se stessa, non può fare a meno di conoscere la sua assoluta miseria, la sua abbiettezza, e di essa, come della sua povertà, non si avvilirà. Ne godrà, anzi, perché così il Signore le apparirà tanto più grande ed amabile e tanto più l’avvicinerà a Dio… quanto più il sentimento della propria indegnità le sembrerà allontanarla. Santa Teresa del Bambino Gesù così, a questo riguardo, scrisse: Oramai mi rassegno a vedermi sempre imperfetta ed anzi trovo in questo la mia gioia! (Storia, VII). Ma noi, nel constatare le nostre imperfezioni, diciamo anche così? No. Non diciamo così. Noi, ordinariamente, viviamo di amor proprio, e ci lamentiamo, e facciamo disperare coloro che, per divina disposizione, preposti al nostro bene, diventano i bersagli del nostro egoismo. Ma seguiamo ancora la Santa: Più tardi, può darsi che il mio tempo mi appaia ancora pieno di molte miserie, ma io non mi stupisco più di nulla, né io mi affliggo nel vedermi essere la stessa debolezza; al contrario è in questo che io trovo la mia gloria e mi attendo ogni giorno di scoprire in me nuove imperfezioni (Storia IX). Ora, queste parole piene di umiltà e di santa rassegnazione, hanno già la loro radice in quelle che l’Apostolo Paolo scriveva ai Corinti: Volentieri troverò la mia gloria nelle mie infermità, perché risieda in me la virtù di Cristo (II Cor., XII, 9). Ma non è a queste anime, forse, che suole rivelarsi Gesù? Ecco le parole precise di Matteo (XI, 20): Hai celato le tue verità ai sapienti e ai prudenti per rivelarle ai bambini. Le predilezioni sono per questi piccoli: Chi è bambino, venga da me (Prov., IX, 4). Su questa piccolezza come ognuno bene deve sapere, il Signore pone la base della sua grandezza: Chiunque si sarà umiliato come questo bambino, sarà maggiore nel regno dei cieli (MATT., XVIII, 4).

CONCLUDENDO.

È necessario, adunque, possedere Dio, vivere uniti a Lui; e, perciò, poter fare a meno di tutti gli aggeggi e le sovrastrutture di questa vita. Un solo pensiero, un solo affetto può e deve riempire la nostra anima: Dio! Ogni altra cosa è aridità, fumo, fango, parvenza, NON REALTÀ. Perciò:

1) Anima fedele, non turbarti se ti senti povera e meschina.

2) Onori, stima, considerazioni, agiatezza e fortuna, sono illusioni.

3) Se gli uomini pensano male, e ti giudicano male, non dartene pena. Tu, potresti pensare assai peggio di te, poiché ti conosci.

4) Non attenderti nulla da nessuno, mai. Non la riconoscenza, non la comprensione, non la benevolenza. Non angustiarti se altri ti passano avanti, e, vilmente favoriti, occupano il tuo posto. Qualunque angolo… è sufficiente per la tua pochezza.

5) «Se ti senti arida e distratta nelle preghiere e negli atti di pietà: se il servizio di Dio ti parrà arido e freddo senza alcuna consolazione; se il tuo spirito rimane vuoto e inerte durante la meditazione dei misteri della bontà divina, non affliggerti per questo e pensa che non sei buona a niente e rimani ferma nel dare a Dio quel poco di cui sei capace » (A. Gorrino, o. c., pag. 427). – Non temiamo adunque.

Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli. Risorti con Gesù Cristo, nostro capo, non dobbiamo più cercare e gustare le cose della terra, ma quelle del cielo, ove Gesù ci aspetta.

S. Paolo, Ai Col., III, 1-2.

LA VITA INTERIORE (27)

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (Olier) 22

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (22)

GIOVANNI G. OLIER

Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 27 – II – 1935 F. MOZZANICA V. G.

CAPITOLO XIV

Della carità verso il prossimo

II.

Segni della vera e perfetta carità verso il prossimo.

La vera carità è universale, senza sensibilità, instancabile e senza egoismo. – Si rallegra dei beni altrui come se fossero suoi. – esempio di Gesù Cristo, — di santa Elisabetta. – di di Maria SS.; dei Beati; — della Chiesa della terra.

La vera e perfetta carità si fa conoscere dal grande amore che si ha per tutti gli uomini. Essa vorrebbe tutto infiammare, a segno di trasformarsi in fuoco, ardore e zelo per portar dappertutto la conoscenza e l’amore di Dio. Questa carità universale non deve essere una chimera, come si vede in molti che si mostrano infiammati di zelo generoso, ma per ispirito di superbia; il loro amor proprio si compiace nelle cose grandi e vuole occuparsi in opere appariscenti e straordinarie. La vera carità deve mostrarsi verso qualunque prossimo in particolare, a tutti si deve voler bene e far del bene per quanto si può, prestando a ciascuno, nelle sue necessità, l’assistenza dei nostri beni e dei nostri conforti, e procurando di accontentare, con dolcezza e con cordialità cristiana, tutti  coloro che ci domandano qualche sollievo. – La pura carità è scevra di tenerezza esteriore e sensibile, di estrema espansività. Essa attira i cuori a sé con tale purezza che, mentre li conquista tutti, e per una segreta azione di Dio, se li tiene intimamente vincolati e uniti, pure esternamente non li tiene legati: è questo un effetto della libertà dell’amor santo e puro che tiene liberi da legami sensibili ed esteriori coloro che sono legati ed uniti in Dio. Questa divina carità non si esaurisce né si stanca mai; essa dà modo al prossimo di ricorrere a noi in qualunque luogo e in qualunque occorrenza, senza timore di ripulsa. – Un altro effetto meraviglioso che sempre l’accompagna e ne è un segno infallibile, è questo ch’essa mantiene tutto nella unione, senza mai attrarre nessuno a sé stessa in modo da separarlo dagli altri, né distratto dai propri doveri né dai propri obblighi. Essa nel suo amore mantiene tutte le cose in una vicendevole unione, è come un centro dove tutte le linee convergono e vengono a riunirsi. Mentre la falsa carità divide le persone unite onde attirarle esclusivamente a sé medesima, la vera carità tiene unite le persone più distanti per le loro inclinazioni; e per opera delle sue cure le persone più divise sono mantenute in società.

***

La perfetta carità verso il prossimo ci fa godere, con Lui, per i suoi beni come se fossero nostri. In quella guisa che Dio si compiace nei beni del Figlio suo, e il Figlio suo si compiace pure dei beni dello Spirito Santo come di beni suoi propri: così dobbiamo rallegrarci del bene di Dio nel prossimo, considerandolo come bene nostro. Donde avviene che, se abbiamo in noi la carità perfetta veramente operata da Dio nel nostro cuore. Dio gioirà e si dilaterà in noi in presenza dei beni del prossimo.

***

Così Nostro Signore, per l’operazione dello Spirito Santo (In Ipsa hora exultavit Spiritu Sancto. Ecc. X, 21) provava una grande gioia interiore alla presenza dei suoi Apostoli che gli riferivano gli effetti ammirabili che il Padre suo operava sopra le loro persone; godeva di vederli rivestiti dei doni e delle ricchezze del suo Spirito, godeva inoltre Gesù Cristo in anticipazione, per tutte le operazioni di cui, per i meriti della sua morte, la sua Sposa sarebbe un giorno da quel divino Spirito ornata ed arricchita. Era questo un mistero nascosto agli occhi dei sapienti e dei prudenti; esso non sarebbe conosciuto che dai piccoli, perché questi, essendo sottomessi alla direzione della Chiesa e dei suoi Capi, vedrebbero che la cosa più debole nella natura, vale a dire, il Figlio di un operaio, povero, meschino e miserabile agli occhi del mondo, muoverebbe tutto il mondo e rovescerebbe tutti gli Stati, le monarchie e gl’Imperi, per la virtù e l’efficacia del suo dito, che è lo Spirito Santo nei- suoi. doni; questi doni, riguardo allo Spirito Santo considerato nella sua sostanza, non sono che come il dito dell’uomo in confronto di tutto il corpo.

***

Così in San Giovanni Battista (Luc. I) e in Sant’Elisabetta, lo Spirito di Dio godeva per la gloria della Vergine Santissima. Stupenda grandezza di Maria innalzata alla dignità di Madre di Dio e di Sposa nell’Eterno Padre! Principio insieme col Padre della generazione temporale del Verbo, essa operò con Lui nell’Incarnazione ciò che Egli fa da solo nell’eternità. L’eterno Padre l’ha associata alla propria fecondità nella generazione reale del Figlio suo, ed è questa l’operazione più ammirabile, la grandezza più divina di cui una creatura possa essere onorata. La più alta, più sublime e più perfetta virtù dell’Altissimo è la sua fecondità. Ed è questa ch’Egli comunicava alla Vergine, come alla sua Sposa, per operare in essa la generazione temporale del Verbo Eterno. In pari tempo Maria era costituita Tempio dello Spirito Santo, nella pienezza più pura e più abbondante che fosse possibile. Siccome era destinata ad essere Madre di Gesù Cristo, essa aveva ricevuto la pienezza della grazia, come l’Angelo dichiarava con queste parole: Ave gratia plena, Vi saluto piena di grazia (Luc. I, 28). Perciò Maria è la creatura più pura, più divina e più perfetta che possa esservi. Da tale pienezza e perfezione procede appunto la sua fecondità materna, come la fecondità di Dio nasce dall’esuberanza della sua perfettissima sostanza e del suo Essere divino. In tal modo, le piante non producono il frutto che dalla sovrabbondanza e dal sovrappiù della linfa che possiedono. – Ma questa Madre ammirabile, benché fosse già ripiena della perfezione necessaria alla fecondità divina, riceveva ancora grazie e doni in una sovrabbondanza oltremodo prodigiosa. Per questo l’Angelo le diceva: Spiritus Sanctus superveniet in te, Lo Spirito Santoscenderà sopra di voi (Luc. I, 35), per operare invoi cose grandi, che sorpassano tutta lapienezza dei beni che Egli vi ha già comunicati.Era questo l’oggetto della gioiadi Sant’Elisabetta che si rallegrava dellagloria e della esaltazione della sua cugina,come se fosse sua fortuna propria. Parimenti,la Vergine SS.. contemplando nelsuo seno Gesù Cristo presente con la pienezzadella divinità del Padre, esultavapure in ispirito; si rallegrava dei beni conferitia Gesù Cristo in virtù della pienezzadi Dio che stava in Lui e lo aveva rivestitodei tesori della sua sapienza e della suascienza. Era questo il grande oggetto dellagioia di Maria: Esulta il mio Spirito inDio mio Salvatore! (Luc. I, 27).La Vergine si rallegrava e godeva, inoltre, perché il Figlio suo rivestirebbe poie riempirebbe la Chiesa della sua pienezza(Joan. I, 16), poiché, col suo divino Spirito, renderebbetutti i fedeli partecipi della suagloria e dei suoi doni.

***

Così ancora i Santi tutti del cielo si rallegrano dei doni che possiedono e se ne rallegrano gli ini per gli altri; ciascuno di essi prende parte alla felicità di tutti come se fosse la sua propria. Infatti, quei doni sono tutti comuni in virtù della comunicazione vicendevole, reale e perfetta che se ne fanno gli uni agli altri; avendo essi una dimora comune gli uni negli altri, si comunicano a vicenda tra loro i doni di Dio. Per un’ammirabile somiglianza con la SS. Trinità, i Santi fruiscono di una specie di circuminsessione, dimorando gli uni negli altri, come le Persone divine ed eterne dimorano l’una nell’altra per la loro circuminsessione. Nostro Signore c’insegnava appunto questo mistero con queste parole « Come io sono nel Padre mio e mio Padre è in me (Joan. XVII, 23) per la comunicazione della sua sostanza e della sua vita, e che nondimeno il Padre rimane tutto ciò che è ed io pure rimango tutto ciò che sono: così pure di voi. Io sono similmente in voi e voi siete tutti consumati in me, come mio Padre ed io siamo identificati nella semplicità ed unità di una medesima essenza. – E come mio Padre ed io siamo distinti per il nostro carattere personale, benché i nostri beni siano comuni e che dei tesori e delle ricchezze della sostanza divina che ci è comune, nulla sia da noi posseduto in proprio: così di voi, benché siate tutti consumati in me, ciascuno però rimane ciò che è, ciascuno conserva il suo essere particolare, ciascuno conserva la distinzione dei suoi doni, delle sue grazie e del suo carattere proprio ». Tale è lo stato dei Santi; essi possiedono tutto Gesù Cristo, il quale è la loro sostanza comune; ciascuno possiede tutto lo Spirito e tutta la vita di Gesù Cristo, purtuttavia uno non è l’altro, ma ciascuno conserva il suo carattere proprio e il suo dono proprio.

***

Così, nella S. Chiesa della terra non meno che in quella del Cielo, tutti i fedeli in particolare possiedono Gesù Cristo nella sua pienezza, tutti sono partecipi dei suoi doni, tutti ricevono comunicazione delle sue intime disposizioni, tutti hanno parte al suo Spirito, il quale è uno Spirito di gioia che si dilata nel darsi e nel diffondersi nel cuore dei fedeli; perciò tutti devono rallegrarsi dei beni di tutti, come se fossero propri. Così vediamo che quando questo Spirito viene dato a qualche anima in particolare, tutte le anime pure ne risentono e ne provano gioia. S. Antonio al suo tempo era appunto una di quelle anime in cui lo Spirito di Dio si prendeva le sue maggiori compiacenze; perciò la sua morte riempì la Chiesa di dolore, perché quel medesimo Spirito cessò di comunicarsi a lui, su la terra, in quella gioia e in quella effusione di cui le anime della Chiesa militante erano rese partecipi, quando egli lo riceveva. – Dio in tutto sia benedetto, per i beni che fa alla Chiesa nel Cielo, come di quelli che comunica alla Chiesa della terra, e dei quali ciascuno in particolare viene reso partecipe!

LA VITA INTERIORE (25)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (25)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

L’ALLEGRIA

Dopo aver trattato del dolore come fonte di vita interiore, è bene mettere in risalto che anche l’allegria vera ci conduce a una vita di stretta relazione con Dio.

ERRORE COMUNE.

«Due sono gl’inganni principali, con cui il demonio suole allontanare i giovani dalla virtù. Il primo è far loro venire in mente che il servire al Signore consista in una vita malinconica e lontana da ogni divertimento e piacere. Non è così, cari giovani. Io voglio insegnarvi un modo di vita cristiana, che vi possa nel tempo stesso rendere allegri e contenti, e additarvi quali siano i veri piaceri, talché voi possiate dire col santo Profeta Davide: Serviamo al Signore in santa allegria: Servite Domine in lætitia. Tale appunto è lo scopo di questolibretto: insegnare a servire il Signore e astare allegri». Così il santo don Bosco in:Il Giovane Provveduto, indirizzandosi ai giovanetti…Questo inganno non è, però, solamente presentato ai giovanetti. Il demonio si sforza di presentarlo, orpellato più o meno bene, a tutte le anime e molte, purtroppo,ne rimangono prese. La persuasione,errata, che ne consegue, rimane, purtroppo,la seguente: il peccato e la colpa sono apportatori di gioia; la gioia vera consistenell’assaporare il frutto proibito; e quindi, la pratica della vita cristiana, l’eserciziodelle virtù sono sinonimi e fonte di malinconia e di tristezza.La dottrina cattolica insegna tutto il contrario:il peccato è fonte di mestizia e di avvelenamento spirituale: la pratica della virtù porta all’allegria santa e serena.

LA « SOCIETÀ DELL’ALLEGRIA ».

Quando il santo don Bosco, giovinetto, riuscì, dopo tanti stenti e sacrifici, a stabilirsi nella cittadina di Chieri per iniziarvi gli studi regolari che gli avrebbero poi aperte le porte del seminario, del sacerdozio, del suo apostolato grande quanto il mondo, seguendo le divine aspirazioni, raccolse intorno a sé tutti i compagni di scuola… « La carità in lui era fin d’allora diffusiva. Desiderava, voleva, anzi, darsi davvero tutto a tutti ». Per questa sua spontaneità nel dare e nel darsi generosamente, e con la narrazione spigliata di piacevoli racconti, con l’attrattiva dei giochi ordinari e di altri di prestigio, e, soprattutto, coll’aiuto nell’indirizzo per lo svolgimento dei compiti scolastici, gli avvenne anche a Chieri quello che già eragli accaduto ai Becchi, alla Cascina Moglia, a Murialdo, a Castelnuovo. A questo si aggiunga la parola viva e scolpita, la parola affabile, il tratto affettuoso, avvincente… e non si proverà più nessuna meraviglia se diremo che si vide presto circondato da un numero discreto di compagni, di amici, docili e pronti al suo cenno e alla sua parola. Tanto docili, tanto obbedienti, che, per mezzo di essi e con essi, fondò la Società dell’allegria. La società dell’allegria aveva uno statuto proposto da Giovannino Bosco e approvato dai soci, di due soli articoli, la cui osservanza garantiva la buona condotta religiosa e morale de’ singoli soci. Ecco i due articoli nella loro semplice ed esatta espressione:

1) Ogni membro della società dell’allegria deve evitare ogni discorso, ogni azione che disdica ad un buon Cristiano.

2) Dev’essere esatto nell’adempimento dei doveri scolastici e dei doveri religiosi.

Potremmo trarre diverse e molteplici conseguenze. Ne trarremo una sola, e diremo che i soci della società dell’allegria avevano nell’osservanza dei due articoli dello statuto della loro società il mezzo di fuggire il peccato, ogni peccato, e di praticare bene il proprio dovere, tutti i loro doveri. Il peccato porta il rimorso, che toglie la gioia, la pace, l’allegria; per contrario la pratica della vita cristiana nell’adempimento dei nostri doveri genera la pace, la gioia, l’allegria santa. I piaceri del mondo portano amarezza e malinconia, desolazione, angoscia; la preghiera, il raccoglimento, il sacrifizio, l’esercizio della virtù porta la felicità, l’allegria.

IDDIO È GIOIA.

Chi ha gioia vera, possiede Dio, poiché Dio è gioia, è allegria. Se noi potessimo dire, osserva molto finemente il padre Faber, che la vita di Dio consiste in un attributo piuttosto che in un altro, dovremmo dire che consiste nella sua gioia. Gesù lasciò il cielo per la terra, per portarci quella gioia, quell’allegria sana e santa che il peccato ci aveva tolto. « Ma gli uomini non vogliono sapere della sua gioia. Le porte di molti cuori, come quelle di Betlemme, si richiudono sgarbatamente per non accogliere la sua insistente offerta di vera gioia. Ed egli è stanco. Sono duemila anni, che ripete, con la medesima delicata e imperturbabile premura, la sua offerta di gioia. » Altri invece, a suo posto, sono ascoltati; proprio e solo quelli che portano il rimorso, l’infelicità, la tristezza. » Vedetelo seduto vicino al pozzo di Giacobbe e in ciascheduno dei nostri tabernacoli, in un atteggiamento dignitosamente triste. Iddio, esclama il S. Curato d’Ars, vuol renderci felici e noi non lo vogliamo! Noi ci stanchiamo di lui, e ci diamo al demonio! Noi fuggiamo il nostro amico e noi cerchiamo il nostro carnefice! Noi commettiamo il peccato, noi sprofondiamo nel fango… Non è una vera follia, che potendo godere le gioie del cielo in vita unendoci a Dio coll’amore, ci rendiamo degni dell’inferno legandoci al demonio? » (A. M. Cavagna, Squilli dî gioia, pag. 167, Milano, 1933). – Concludendo: il piacere non dà la vera gioia. Perfino D’Annunzio deve confessare: « come tutti i fiumi sboccano nell’acqua amara del mare, così tutti i piaceri sboccano nell’amarezza del disgusto ». Parole tremende che meritano tutta la meditazione di ogni anima nel peccato. Renato Bazin, nella vita di Carlo De Foucauld, ricordando il periodo passato nei piaceri, osserva: Egli era triste, in fondo al cuore, triste, di un’antica tristezza. Aveva ben potuto vivere nel piacere: la tristezza non era che aumentata. Ma quando si trovò nel deserto, divenuto eremita e penitente, Carlo De Foucauld esclamò con gioia riconoscente: Io sono l’uomo più felice del mondo. È necessario che confessiamo anche noi con S. Agostino: Non sarà più, o Signore, che io mi reputi beato quando una gioia qualunque allieterà il mio cuore. Vi ha una gioia, che non è concessa agli empi, ma soltanto a coloro che ti servono con amore disinteressato e questa gioia sei tu. Ecco la vita beata; godere in te, di te, per te; la felicità è questa e non altra.

VITA DI GIOIA.

Enumerando l’apostolo Paolo i frutti che porta la venuta dello Spirito Santo, dopo la carità, così asserisce: Fructus Spiritus Sancti gaudium et pax: i frutti dello SpiritoSanto sono la gioia e la pace (Gal., V, 19).Queste parole dell’Apostolo trovano unaddentellato in queste altre di Gesù riferiteda san Giovanni (XIV, 26, 27): La pacelascio a voi, dò a voi la mia pace; ve la doio, non in quel modo che la dà il mondo. Nonsi turbi il vostro cuore e non s’impaurisca.Le parole dell’apostolo Paolo e quelle di S. Giovanni ci persuadono che la vita nostra spirituale dev’essere permeata da un senso di pia allegrezza. Tutto questo, anzi, risulterà chiaro alla nostra mente e alla nostra anima, ricordando quanto sopra abbiamo riferito. Qui, però, desideriamo riaffermarlo, ponendo a base della nostra affermazione, l’idea della Provvidenza divina, sapiente e amorosa, che ci fa considerare tutti gli avvenimenti della nostra povera vita in questa valle di lagrime con serena confidenza, con tranquillità e sicurezza. Dio ci assiste e guida sempre amorosamente, come un padre; e noi non dobbiamo preoccuparci di nulla, tranne che di essere docili nel lasciarci guidare. Egli vuole solo e sempre il nostro bene. Ecco le parole di Davide che, con molta proprietà e precisione, sviluppano questo pensiero: Aveva sempre il Signore dinanzi agli occhi miei poiché Egli sta alla mia destra, affinché io non vacilli. Per questo ha gioito il mio cuore ed esultò la mia lingua; di più: anche la mia carne riposerà nella speranza. Poiché tu non abbandonerai l’anima mia nel soggiorno dei nostri morti; né permetterai che il tuo santo vegga la corruzione. Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita; mi ricolmerai di gioia col tuo volto; vi sono delizie senza fine alla tua destra. Certamente, dobbiamo essere santamente allegri per questa paterna e divina assistenza, nonostante î dolori fisici e morali, nonostante la pena per i peccati commessi, nonostante tutte le presenti, possibili afflizioni. Anche questo ha radice nelle affermazioni di Gesù: In verità, in verità vi dico: voi piangerete e gemerete e il mondo godrà; ma la vostra tristezza si muterà in gioia (Giov., XVI, 20). Questa affermazione di Gesù è fin d’ora dolce e amabile conforto nelle nostre pene, di modo che le anime desiderose della vita interiore godono del loro pianto e de’ loro dolori, secondo l’Apostolo Paolo: quasi tristes, semper autem gaudentes (II Cor., VI, 10).

Rimani con me, o Signore, e si la mia vera gioia (300 giorni di ind.).

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (Olier) 21

VITA E VIRTÙ CRISTIANE (21)

GIOVANNI G. OLIER

Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 27 – II – 1935 F. MOZZANICA V. G.

CAPITOLO XIV

Della carità verso il prossimo

Essendo noi creati a somiglianza di Dio, dobbiamo amarlo come Egli ama sé medesimo. — L’amore vicendevole delle divine Persone, motivo, tipo e modello della carità verso il prossimo. – Amare il prossimo come Gesù Cristo è amato dal Padre e ama noi.

Dio. nel creare l’uomo a sua immagine e somiglianza non gli ha comunicato soltanto il proprio essere, la propria vita e le proprie divine perfezioni; ma ha voluto ancora che esso fosse simile a Lui nelle operazioni. Perciò Dio, come ama se medesimo in tutto quanto è, e in tutta l’ampiezza del suo Essere e del suo potere, non potrebbe avere per sé medesimo, un amore maggiore: così ha fatto all’uomo il comando espresso di amarlo con tutto il cuore, con tuta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze. Dio vuole che l’uomo, tutto quanto, sia interamente impegnato ad amarlo, e in questo amore si perda e si consumi. E siccome Egli, per sè stesso, è tutto Amore, e fuori di sé tutto ha fatto per amore di sé medesimo, così vuole pure che l’uomo unicamente per amore di Dio usi delle sue proprie forze ed eserciti la sua propria attività. Orbene, Dio non solamente ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma ha pure formata la società umana sul modello della società delle persone della SS. Trinità. Perciò. nell’istesso modo che, in questa adorabile società, il Padre ama il Figlio suo come sé stesso e ama sé stesso nel Figlio suo, e lo stesso è da dirsi dell’amore del Figlio verso il Padre e verso lo Spirito Santo, come dell’amore dello Spirito Santo verso il Padre e il Figlio: così Dio vuole che l’uomo ami il prossimo suo come sé medesimo. Donde avviene che ci ha dato questo comandamento: amerete il vostro prossimo come voi stessi (Deuter. VI, 6), comandamento che Gesù chiama simile al primo (Matth., XXII. 36) perché è conforme alla vita divina ed eterna delle persone della SS. Trinità. In tal modo appunto, Nostre Signore ci ha amati; parlando dell’amore che porta agli uomini, dice che è simile all’amore che il Padre porta a Lui: Come mio Padre mi ama, così vi ho amati (Giov. XV, 9), ossia il medesimo amore che il Padre ha per me, io l’ho per voi; ciò che ci dimostra che l’amore che Egli ha per noi è sul modello di quell’amore che il Padre porta a Lui medesimo, ed è un’imitazione di quell’amore che ciascuna Persona divina porta all’altra, amandola come un’altra sé medesima. Nostro Signore vuole pure che gli uomini si amino tra loro allo stesso modo. Perciò diceva ai discepoli: Amatevi l’un l’altro come vi ho amati, Sicut dilexi vos (Giov. XV, 12). Come l’amore che il Padre ha per me è la forma dell’amore che ho avuto per voi, così voglio che voi pure vi amiate l’un l’altro sul modello dell’amore che io stesso ho per voi, affinché il vostro amore sia tutto conforme e simile a quello di mio Padre.

I.

Condizioni della carità verso il prossimo.

Amare il prossimo come Dio ama se stesso in Lui. — Amare Dio nel prossimo come lo amiamo in noi. La carità non deve aver limiti, ad imitazione dell’amore con cui Dio ama se stesso nel suo Verbo. — Come ci ha amati Gesù Cristo.

Le qualità e condizioni dell’amore verso il prossimo, devono essere simili a quelle dell’amore con cui Dio ama se stesso nel Figlio suo e con cui il Figlio ama gli uomini: dobbiamo amare gli uomini come Dio ama il Figlio suo e come il Figlio ama gli uomini. – Perciò, gli esempi esterni dell’amore di Gesù Cristo verso gli uomini devono essere il modello di ciò che la carità ci obbliga di fare esternamente per il prossimo; e il suo Spirito interiore ch’Egli ci ha dato deve reggerci ed animarci interiormente di quella medesima carità. Perché non si può né praticare né adempiere perfettamente quel santo precetto, senza l’opera di quello Spirito che è Dio medesimo. Dio abita in noi,  ma abita anche nel prossimo, e nel prossimo, mediante il suo Spirito, ama pure sé stesso; perciò, ci fa amare il prossimo come Egli ama sé medesimo. Egli si trova tutto nel prossimo, e siccome dappertutto ama sé medesimo secondo il suo proprio merito, perciò nel prossimo Egli ama sé stesso infinitamente. Epperò, siccome Egli anima il nostro cuore e lo riempie del medesimo suo amore, quindi ci stabilisce nella sua vita, nei suoi movimenti e nelle sue medesime inclinazioni; perciò l’anima cristiana, assecondando i sentimenti e le disposizioni del divino Spirito, ama il suo Dio, nel prossimo, del medesimo amore e con lo stesso ardore con cui ama Dio in sé medesimo. L’anima deve amare sé stessa unicamente in Dio, vale a dire, in quanto Dio l’anima e la riempie: deve amare sé stessa in Dio, come Dio ama sé stesso, perché è resa partecipe della vita di Dio. Così essa deve amare col medesimo amore il suo Dio e sé medesima; e siccome Dio trovasi pure nel prossimo, amare con l’amore medesimo con cui ama Dio in sé medesima.

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Dio, amando sé stesso nel suo Verbo, si dà infinitamente a Lui, in tutta pienezza, senza nulla riservare né dei suoi beni né della sua gloria; Egli è tutto nel Verbo, in Lui stabilisce la sua dimora, in Lui trova la propria beatitudine come in sé medesimo; e benché ciò faccia per necessità, non lascia però di farlo per amore, tantoché lo fa per amore necessario: la necessità in Dio non può essere un impedimento all’amore, perché Dio è Amore in tutto sé stesso. Così dobbiamo fare, noi pure, riguardo al prossimo: dobbiamo amarlo con tutta la nostra persona, comunicarci a Lui di cuore e d’anima, con l’aiuto e con l’assistenza; in una parola, non dobbiamo avere nulla che non siamo disposti a dargli, senza nessuna riserva. – I primi Cristiani, perché vivevano della vita di Dio, secondo la regola dell’amore che Dio prescriveva loro e che lo Spirito Santo faceva lor seguire, avevano tutto in comune come Gesù Cristo ha tutto in comune col Padre suo: Tutte le cose mie sono tue, e tutte le cose tue sono mie (Joann. XVII, 10). E come in Dio non v’è che un solo Spirito, una sola volontà vivente in tre Persone con perfetta unità di sentimenti, di pensieri e di desideri, così i primi Cristiani, come sta scritto, non avevano che un’anima, un cuore e una stessa volontà (Act, IV, 32). In tal modo i Santi in Cielo vivono in una perfetta unità: tale deve essere pure quella di tutti i fedeli sulla terra.

***

Nostro Signore, in questo, ha mostrato che Egli per il primo praticava quanto prescriveva agli uomini, e che adempiva la legge del Padre suo. Essendo il primogenito tra i suoi fratelli, Egli doveva per il primo ubbidire perfettamente al Padre e servire a noi di modello e di forma per la condotta perfetta della nostra vita. Egli imitava il Padre suo nell’amore eterno che il Padre gli porta; quindi, nella sua vita, manifestava che ci ama come suo Padre l’ba amato da tutta l’eternità (Joan. XV, 9). Vi ho amato come il Padre mio mi ha amato. Mio Padre mi dà tutta la sua sostanza, ed Io vi comunico la mia nel mio santo Sacramento e nella Comunione. – Mio Padre mi comunica e mi dà la sua vita: ed Io vi dò la mia vita, non solo l’ho sacrificata sulla Croce, non solo vi ho dato il mio sangue sino all’ultima goccia, ma pure vi comunico anche il mio Spirito che è la mia vita. – Mio Padre mi comunica le sue ricchezze e i suoi tesori, ed io vi comunico i doni del mio Spirito. – Mio Padre mi dà la sua fecondità, cosicché dò origine ad una persona divina, e Io vi dò la mia stessa fecondità per produrre e generare dei figliuoli a Dio ed alla vita eterna. – Mio Padre mi ha dato ogni potere in Cielo e sulla terra, mi ha dato potere sopra la natura per farne ciò che voglio e cambiarne l’ordine quando e come mi piace; ed Io. con la presenza del mio Spirito, vi ho dato la forza e la virtù di compiere gli stessi prodigi ed altri più grandi ancora. quando ne sia bisogno per la gloria del Padre mio e per il bene della sua Chiesa. Non ho nulla ch’Io non vi doni; tutto quanto è in me, tutto desidero vi sia comune con me, nello stesso modo che tutto quanto il Padre mio possiede, tutto mi è comune in Lui. – Infine, come il Padre mio mette in me tutto quanto ha e tutto quanto è in sé medesimo, così Io metto in voi tutto quanto ho e tutto quanto sono. Ecco la legge della vera e perfetta carità verso il prossimo.