IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO

LA MORALE (1)

A. I COMANDAMENTI DI DIO.

Quali sono i comandamenti (leggi) che Dio ci ha dato?

Così come Dio ha stabilito delle leggi per i corpi celesti (Sal. CXLVIII, 6), ha dato i suoi comandamenti all’umanità. Li ha dati per renderci temporalmente ed eternamente felici.

Quando un padre proibisce al figlio di toccare un’arma da fuoco, ha in mente solo il suo bene. Così è per i comandamenti di Dio: “Dio non comanda mai nulla che non sia per il maggior bene di coloro ai quali dà i suoi ordini”. (S. Aug.) “Dio ordina solo per darci la grazia di ricompensare noi stessi”. (S. Paolino) L’ordine di Dio è quindi di per sé una grazia, (id.) un antico saggio diceva: “Senza leggi, l’umanità non sarebbe altro che una mandria di animali feroci il cui più forte ucciderebbe e divorerebbe il più debole”.

1. DIO HA IMPRESSO NELLANIMA DI OGNI UOMO LA LEGGE NATURALE CHE STABILISCE LE REGOLE FONDAMENTALI DELLE AZIONI UMANE.

Un bambino che non ha mai sentito parlare dei 10 Comandamenti di Dio, tuttavia, si vergogna e perde la vista quando compie una cattiva azione, come mentire o rubare (ecc.); egli è quindi consapevole di aver fatto qualcosa di sbagliato. Notiamo un fatto analogo innun pagano che, pur non avendo mai sentito parlare dei 10 comandamenti di Dio, si turba e si spaventa non appena ha fatto qualcosa di sbagliato, ad esempio rubare, uccidere (ecc.). Possiamo concludere che il cuore dell’uomo ha una legge naturale al suo interno. Questa legge non è scritta, ma innata. (Sant’Ambrogio). Proprio come una rondine sa istintivamente come debba costruire il suo nido, così l’uomo sa che deve agire in modo ragionevole. S. Paolo dichiara che i pagani per natura conoscono i loro doveri e che Dio, al momento del giudizio, li giudicherà secondo questa legge naturale (Rom. II. 14-16). “La tua legge, o Dio, è scritta nei nostri cuori e nulla può distruggerla”. (S. Aug.) Questa legge può essere momentaneamente oscurata, ma non estinta. (Tert.) Non c’è nessuno che non abbia la legge naturale incisa nel cuore (Cat. rom.). Essa ci insegna le regole morali più importanti, come il culto da rendere a Dio, i nostri doveri nei confronti di noi stessi e l’obbligo di non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi (ecc.). Da queste regole morali derivano di conseguenza necessaria i 10 comandamenti di Dio (ad eccezione della santificazione del sabato). – La legge naturale non consiste quindi in una serie di verità razionali, ma in un comandamento divino, una volontà imperativa di Dio che la nostra ragione ci fa conoscere in ogni caso particolare. (Questo senso del dovere è la coscienza). Sbagliano, dunque, coloro che confondono la ragione stessa con la legge.

gli uomini, a causa del peccato, hanno dimenticato i principi della legge naturale,Dio ha nuovamente rivelato loro la sua volontà.

Le menti degli uomini, confuse e offuscate dalle loro numerose colpe, non erano più in grado di distinguere il bene dal male, così Dio ha rivelato, spiegato e completato la legge naturale. Quindi Dio non ha stabilito una nuova legge, ma ha completato quella esistente. (Cat. rom.) Quanto dobbiamo essere grati a Dio per averci manifestato due volte la sua volontà! (Cat. Rom.).

2. DIO HA RIVELATO LE LEGGI, IN PARTICOLARE I 10 COMANDAMENTI E I 2 COMANDAMENTI DELL’AMORE PER RICORDARE SPIEGARE E COMPLETARE LA LEGGE NATURALE.

Dio ha rivelato le leggi, cioè ha parlato agli uomini e ha manifestato loro la sua volontà, come vediamo nei rapporti di Dio con Mosè e nella promulgazione della legge sul Sinai. Appartengono alla legge rivelata: I° La legge ante-mosaica che Dio diede a Noè e ad Abramo. A Noè, Dio proibì di mangiare carni contenente sangue (Gen. IX); ad Abramo Dio ordinò la circoncisione. (Gen. XVII, 11). II° La Legge mosaica che Dio diede agli Israeliti attraverso Mosè. A questa legge appartengono: 1° il Decalogo, 2° le leggi rituali e 3° le leggi civili degli ebrei. – 1° I 10 Comandamenti di Dio non sono stati aboliti da Gesù Cristo, come Egli stesso dice (S. Matth. V, 17), ma solo perfezionati. 2° Le leggi rituali riguardanti le offerte, il Tempio (ecc.) sono state abrogate con la morte di Gesù Cristo (decisione del Concilio di Gerusalemme), perché queste usanze dell’AT erano solo figure del Salvatore. I messaggeri diventano inutili quando è presente colui che viene annunciato (S. Leone M.). 3° Le leggi che regolavano i rapporti civili dei Giudei tra di loro erano applicabili solo a loro. III° La legge cristiana, che contiene i 2 comandamenti dell’amore, richiede principalmente l’esercizio delle opere di misericordia (S. Matth. XXV,35) e la santificazione interiore (S. Giov. IV, 24), mentre la legge giudaica dava più importanza alle opere esterne e alle cerimonie. – La legge mosaica è incisa su su tavole di pietra, mentre i 2 comandamenti della carità sono incisi nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Ebr. VIII, 10), cioè lo Spirito Santo illumina i nostri cuori. Lo Spirito illumina la nostra intelligenza per farci conoscere questi 2 comandamenti e rafforza la nostra volontà per farceli osservare. Le leggi di un tempo erano imperfette (Ebr. VII, 19), quella di Cristo è perfetta, perché, osservandola, gli uomini possono raggiungere la meta più alta, quella dell’eternità beata. La nuova legge è stata data agli uomini dal Figlio di Dio stesso, mentre la legge mosaica, a causa della sua imperfezione, era stata data a Mosè attraverso il ministero degli Angeli. (Gal. III, 19).

3. DIO CI DÀ LE LEGGI ANCHE ATTRAVERSO I SUOI RAPPRESENTANTI SULLA TERRA, LE AUTORITÀ RELIGIOSE E CIVILI.

Queste leggi sono chiamate leggi della Chiesa e dello Stato.

La Chiesa comanda in nome di Cristo, poiché Egli disse ai suoi Apostoli: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me”. (S. Luc. X, 16). Anche l’autorità civile trae la sua forza da Dio. S. Paolo dice che chi si oppone all’autorità civile, si oppone a Dio stesso (Rom. XIII, 1). Le leggi religiose sono, ad esempio i 6 comandamenti della Chiesa; le leggi civili sono ad esempio: la legge militare, il codice penale, la legge sulla stampa, la legge sul diritto di riunione, ecc. La legge religiosa e la legge civile sono distinte dalla legge divina (naturale e rivelata), poiché la prima riguarda le nostre parole e le nostre azioni, mentre la seconda riguarda addirittura i nostri pensieri e i nostri desideri (S. Th. d’Aq.). Tuttavia, le leggi che ci vengono trasmesse dai rappresentanti di Dio di Dio sono vere leggi solo quando non sono in contraddizione con le leggi rivelate. – Qualsiasi legge contraria alla legge di Dio è nulla. Quando i rappresentanti di Dio ordinano qualcosa che Dio proibisce, dobbiamo ricordare le parole degli Apostoli: “È meglio obbedire a Dio che agli uomini” (Atti, Ap. V, 29), e ricordare il comportamento dei tre giovani nella fornace e quello dei 7 fratelli Maccabei.

4. DALLA CONOSCENZA DELLA LEGGE DERIVA LA COSCIENZA, OSSIA LA SCIENZA CHE CI PERMETTE DI SAPERE SE UN’AZIONE È PERMESSA O MMENO.

La nostra ragione ci rende attenti nei casi concreti in cui dobbiamo agire e ci dice cosa dobbiamo fare secondo i precetti conosciuti. La ragione quindi ci inculca la conoscenza della legge e del nostro dovere. Questa conoscenza del dovere è la coscienza. La coscienza è quindi un’attività dell’intelligenza. Appena la conosciamo essa spinge potentemente la nostra volontà al bene. E poiché la nostra coscienza ci rende attenti alla volontà di Dio, molti Santi l’hanno chiamata la voce di Dio. “La coscienza è la voce di Dio, che si manifesta come legislatore e giudice” (S. Thom. d’Aq.).

La coscienza si rivela nel modo seguente: prima dell’azione, avverte e giudica. Dopo l’azione, tranquillizza o disturba, a seconda che l’azione sia stata buona o cattiva.

Caino e Giuda erano turbati dal rimorso di coscienza. Un giudice umano può essere corrotto o conquistato dalle lusinghe, dagli insulti o dalle minacce, ma il tribunale della coscienza mai!

(S. G. Cris.) La coscienza è dunque buona o cattiva.

Una buona coscienza rende allegri e scaccia la tristezza come il sole scaccia le nuvole (S. G. Cris.). Essa addolcisce tutte le amarezze della vita; assomiglia al miele che non solo è dolce di per sé, ma che addolcisce le bevande più amare. (S. Aug.) Una buona coscienza è un morbido cuscino. – Una cattiva coscienza rende arcigni ed inquieti; è un verme uscito dalla putredine del peccato (S. Th. d’Aq.) e che non muore (S. Marc. IX, 43). La cattiva coscienza avvelena tutte le gioie della vita; assomiglia alla spada di Damocle che pendeva da un capello sopra la sua testa durante il pasto, e la cui vista lo privava di ogni godimento. Chi ha la coscienza sporca è come un condannato a morte che, nonostante tutti i piaceri che gli sono stati concessi nelle sue ultime ore non riesce più ad essere sinceramente felice. (S. Bern.).

L’uomo può avere una coscienza delicata o una coscienza rilassata o ottusa.

La coscienza delicata avverte ogni più lieve mancanza; la coscienza ottusa appena delle più grandi. Una coscienza delicata è come una bilancia d’oro che rivela il minimo granelli di polvere; una coscienza ottusa assomiglia ad una bascuglia da fieno che si piega appena sotto il peso di una libbra. I Santi avevano una coscienza delicata; essi avevano paura della minima offesa fatta a Dio. I mondani hanno una coscienza lassa, quasi non si accorgono di ciò che è un evidente peccato mortale. Tuttavia, danno grande importanza alle sciocchezze; passano al setaccio il moscerino. (S. Matth. XXIII, 24). Un uomo con un carattere delicato di coscienza è un uomo coscienzioso, un uomo con una coscienza ottusa sarà un uomo senza coscienza. Un uomo può anche avere una coscienza larga (lassa) o una coscienza timorosa (scrupolosa). Chi ha una coscienza ampia considera leciti i più grandi peccati: il suo principio è: che una volta non è un abitudine, che una volta non conta, che sbagliare è umano, e così via. La sua vita depravata non gli permette più di ascoltare il rimprovero della sua coscienza, così come un uomo che vive vicino ad una cascata (o ad una ferrovia) diventa gradualmente si abitua gradualmente al loro rumore e poi dorme benissimo lo stesso. (S. Vinc. F.). Chi, invece, ha una coscienza scrupolosa, considera proibite anche le azioni permesse). Una persona scrupolosa è come un cavallo ombroso che si spaventa anche per l’ombra di un albero o di una pietra, come se fosse un leone o una bestia selvaggia, esponendo così l’intera carrozza che traina al massimo pericolo. La persona scrupolosa immagina pericoli anche dove non ce ne sono, e poi cade facilmente in una disobbedienza o nel peccato. (Scar.) La scrupolosità non viene ordinariamente dall’ignoranza, ma da una sensibilità malata che disturba la ragione: “La radice di tutti gli scrupoli è l’orgoglio”(S. Fr. S.). Ogni scrupoloso è timido e quindi non può diventare perfetto; assomiglia ad un soldato timido che non ha il coraggio di affrontare il nemico e si arrende alle armi prima dell’attacco. Una persona scrupolosa si ferma davanti ai suoi dubbi, perché sono come la pece o la colla che si aggrappano sempre di più (Scar.). La persona scrupolosa deve disprezzare i propri scrupoli e fare il contrario di ciò che i suoi scrupoli vietano (S. Alf.). Deve obbedire esattamente al suo confessore, altrimenti non guarirà e potrebbe impazzire. (S. Alf.). Lo scrupoloso deve diffidare del suo giudizio personale e del suo modo di vedere le cose e persino rinunciarvi completamente. In questo modo gli scrupoli che di solito sono il risultato dell’orgoglio e dell’ostinato attaccamento alle proprie idee. (Marie Lat.) Chi ha visto fare grandi cose per Dio, deve guardarsi dall’essere debole di cuore; se gli Apostoli fossero stati deboli di cuore, non avrebbero mai intrapreso la conversione del mondo. (S. Ign. Loy.).

Non si deve agire contro la propria coscienza, altrimenti si commette una colpa.

La coscienza non è altro che la legge applicata ai casi concreti; Chi agisce contro la propria coscienza agisce quindi contro la legge. S. Paolo dice che pecca chi agisce contro la propria convinzione. (Rom. XIV, 23). Pecca chi, per esempio di giovedì immagina che sia venerdì e tuttavia mangia volontariamente carne.

5. I COMANDAMENTI DI DIO NON TOLGONO IN NESSUN MODO LÀ VERA LIBERTÀ AGLI UOMINI.

Al contrario, li rendono indipendenti dalle creature, mentre il peccatore cade in una vergognosa schiavitù: è come un pesce preso all’amo. “Ovunque c’è lo Spirito di Dio, lì regna la libertà”. (II Corinzi III, 17). Il peccato ci rende schiavi, la virtù ci rende liberi. Da qui il motto: “Deo servire regnare est“. (Servire Dio è regnare). La libertà, infatti, non consiste nel poter fare tutto quello che ci pare. La libertà è limitata dai diritti del prossimo e consiste nel fare tutto ciò che sia permesso. Purtroppo oggi la parola libertà è abusata; alcuni la prendono come licenza e chiamano tirannia e dispotismo gli ostacoli posti dalle leggi alle loro inclinazioni malvagie. Altri vogliono la libertà per sé e la schiavitù per gli altri. Per questo motivo ci sono uomini che si definiscono liberali ma in realtà sono assolutamente intolleranti. Grillpartzer dice giustamente: “Imparate innanzitutto cosa significhi libertà, prima di scegliere quella parola come parola d’ordine, non solo per non diventare schiavo degli altri, ma anche per non far diventare gli altri vostri schiavi.

2. I 2 COMANDAMENTI DALL’AMORE.

1. I 2 COMANDAMENTI PIÙ IMPORTANTI SONO I 2 COMANDAMENTI DELL’AMORE, CIOÈ QUELLO DELL’AMORE DI DIO E QUELLO DELL’AMORE DEL PROSSIMO, PERCHÉ QUESTI CONTENGONO TUTTI GLI ALTRI.

Un giorno uno scriba chiese a Gesù Cristo quale fosse il primo di tutti i comandamenti, e Questi gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore (con la volontà), con tutta l’anima (con l’intelligenza), con tutta la mente (con il sentimento e con tutta la tua forza (nelle azioni). Questo è il primo comandamento, ma il secondo è in tutto e per tutto simile al primo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso.” (S. Marco XII, 30). Già nell’A. -T. Dio aveva raccomandato negli stessi termini (Deut. VI, 5) l’amore di Dio e l’amore del prossimo (Lev. XIX, 18)..I due comandamenti dell’amore contengono tutti gli altri. Questo perché tutti i poteri dell’anima umana: ragione, comprensione, ecc. sono basati sull’amore. – La volontà e le azioni sono influenzate e dirette da esso, come risulta dalle parole di Cristo: come i rami di un albero crescono da un tronco comune, così i due comandamenti dell’amore generano tutti gli altri. Gli altri comandamenti specificano semplicemente ciò che quelli dell’amore richiedono. Gesù Cristo dice a questo proposito: “Questi contengono la legge e i profeti” (S. Matth. XXI1, 40). Nelle famiglie, nei paesi, negli Stati e nelle comunità, qualsiasi altra legge sarebbe superflua, se questa legge dell’amore fosse osservata ovunque e da tutti. (Àllioli).

Il comandamento dell’Amore di Dio contiene i primi 4 primi comandamenti del decalogo, e quello dell’Amore per il prossimo gli altri 6, con il precetto di fare opere di misericordia.

I primi quattro comandamenti si riferiscono a Dio. Come nostro Signore sovrano, Dio esige adorazione e fedeltà nel 1° comandamento, rispetto nel 2°; nel 3° servizio; nel 4° sottomissione ai suoi rappresentanti sulla terra. Gli altri sei comandamenti riguardano il nostro prossimo e ci proibiscono di fargli del male alla la sua vita (5° com.), alla sua innocenza (6° com.), alla sua proprietà (7° com.), al suo onore (8° com.), alla sua famiglia (9° e 10° com.). Il comando di Gesù Cristo di praticare le opere di misericordia (S. Matth. XXV, 31 e segg.) completa la seconda parte del decalogo che riguarda l’amore per il prossimo, perché prescrive di assisterlo nel bisogno. – Gesù Cristo, inoltre, dice chiaramente al giovane ricco, che gli ultimi sei comandamenti formano un tutt’uno, perché Egli enumera i comandamenti che riguardano il il prossimo, cominciando da quello che proibisce di uccidere. (S. Matth. XIX, 18; S. Luca. XVIII, 20) S. Paolo trova anche che, dal 5° al 10° comandamento, tutti formano una serie completa e metodica di leggi (Rom. XIII, 9).

2. CHI HA AMORE PER DIO E PER IL PROSSIMO ADEMPIE A TUTTI I PRECETTI E RAGGIUNGE LA VITA ETERNA.

Chi osserva i due comandamenti dell’amore osserva tutti gli altri, perché tutti i comandamenti sono contenuti in essi. Per questo San Paolo dice che: “La carità è la perfezione della legge”. (Rm XIII, 10). Senza amore per Dio e per il prossimo non c’è salvezza. S. Giovanni dice: Chi non ha la carità rimane nella morte (San Giovanni, III, 14). Chi vive senza carità è morto (S. Fr. de S.). S. Paolo dice: “Chi non ama Gesù Cristo sia anatema”. (I. Cor. XVI, 22). Per camminare ci vogliono due piedi, se vogliamo andare in cielo e raggiungere Dio, dobbiamo avere l’amore per Dio e per il prossimo. (S. Aug.) L’uccello può volare verso il cielo solo su due ali, e noi possiamo fare lo stesso solo sulle due ali dell’amore di Dio e del prossimo. – I beati in cielo amano Dio e si amano l’un l’altro. Se vogliamo andare in cielo, dobbiamo iniziare fin da ora ad amare Dio ed il nostro prossimo. Agostino disse a Dio: “Che cos’è l’uomo? Perché tu voglia essere amato da lui e lo minacci di una punizione così severa se non ti ama?

3. LA FACOLTÀ DI AMARE DIO ED IL NOSTRO PROSSIMO CI VIENE CONCESSA INSIEME ALLA GRAZIA SANTIFICANTE.

Da soli, non siamo in grado di amare Dio sopra ogni cosa. A causa del peccato originale, siamo come una palma trapiantata dalla sua terra d’origine alla nostra; essa cerca di dare frutti, ma non è in grado di produrre datteri maturi e gradevoli al gusto: può farlo solo in un clima più mite. È lo stesso per i nostri cuori: vorrebbero amare Dio, ma non ne hanno la forza; possono arrivare alla carità divina solo se vivificata dalla grazia dall’alto. (S. P. de S.) La volontà esiste in me, ma non posso da solo realizzarla, portarla a compimento. (Rom. VII, 18). È solo quando lo Spirito Santo entra in noi, con il Battesimo o con la penitenza, che Egli riversa in noi l’amore di Dio. Da qui le parole di San Paolo: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori dallo Spirito divino” (Rom. V, 5). L’amore per il prossimo entra nella nostra anima nello stesso tempo che l’amore per Dio (S. Aug.) L’amore di Dio e l’amore del prossimo sono una cosa sola; si differenziano solo per l’oggetto a cui si riferiscono. Sono due corsi d’acqua alimentati dalla stessa fonte, due rami dello stesso albero. Ecco perché Gesù Cristo ha dato lo 8. Spirito due volte ai suoi Apostoli (prima quando alitò su di loro e poi nel giorno di Pentecoste) affinché noi potessimo ricevere con lo Spirito Santo il duplice amore per Dio e per il prossimo. (S. Aug.). Lo Spirito Santo è stato mandato dal cielo, affinché Dio sia amato, e sulla terra, affinché il nostro prossimo sia amato (S. Onorio).

4. L’AMORE PER DIO È INSEPARABILE DALLAMORE PER IL PROSSIMO.

Come il seme contiene la pianta, così l’amore di Dio contiene l’amore del prossimo. I due comandamenti dell’amore sono tali che l’uno non può essere osservato senza l’altro. (S. Aug.) Per questo la Sacra Scrittura parla sempre e solo di “un solo comandamento dell’amore, a volte quello di Dio, a volte quello del prossimo, perché l’uno contiene l’altro.” (S. Aug.). – Se qualcuno dice: Io amo Dio, ma odia il suo fratello, è un bugiardo. (I. S. Giovanni IV, 20). Chi ama Dio non può odiare l’uomo, e chi odia l’uomo non può amare Dio. – La carità, cioè l’amore di Dio, è benevola, non invidia nulla e non pensa nulla di male. (I. Cor. XIII, 4-7). L’amore per il prossimo è la migliore pietra di paragone per l’amore di Dio. Chi nutre rancore nei confronti del suo prossimo anche uno solo, che lo odia, lo invidia, lo danneggia (sia nella salute, sia nell’innocenza, sia nella ricchezza o nel suo onore domestico, o chi non ama fare l’elemosina, non ama Dio. “L’ingiustizia è la prova che uno non possiede l’amore di Dio”. (S. Aug.) L’invidia è la prova che non si possiede l’amore di Dio (S. Efr.).

3. IL COMANDAMENTO DELL’AMORE DI DIO.

L’uomo è fatto in modo tale da provare un certo compiacimento di fronte a ciò che ha riconosciuto come buono e bello; questo piacere e il desiderio di possederlo si chiama amore.. Come si vede, l’amore è un atto della ragione, del sentimento e della volontà allo stesso tempo.

1. DOBBIAMO AMARE DIO, PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA, PERCHÉ DIO È L’ESSERE PIÙ BELLO E PERFETTO, PERCHÈ CI ANA E CI COLMA DI BENEFICI.

.Gesù Cristo ci comanda di amare Dio: “Amerai il Signore, tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze ” (S. Marco, Xll, 30). – Dio è l’Essere più bello; se le cose terrene sono così belle, quale deve essere la bellezza del Dio che le ha create tutte. (Sap XIII, 3). Perché se ciò che non si possiede da se stesso non possiamo darlo agli altri. Chi dà credito di 100 scudi deve necessariamente prima averli lui stesso ed anche molto di più per poterne dare altrettanti. Dio deve quindi avere in sommo grado tutte le perfezioni che ammiriamo nelle creature. “Il motivo per amare Dio è Dio stesso” (S. Bern.) Dio attira a sé tutti i cuori e tutte le menti per la sua sovrana bellezza e incomprensibile bontà. – L’amore di Dio per noi si è manifestato soprattutto con l’invio del proprio Figlio sulla terra per salvarci. Gesù Cristo stesso ha detto: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio. unigenito” (S. Giovanni III, 16). Dio non ha mandato il suo Figlio come re della terra, ma sotto forma di schiavo, e non perché vivesse e morisse come un altro uomo, ma perché vivesse tra le fatiche del mondo e le persecuzioni e morisse su una croce (Alban. Stolz). Dio ci ha dato un Figlio che ha amato infinitamente. I genitori amano i loro figli tanto più quanti ne hanno di meno. A maggior ragione amano il loro unico figlio. Quanto più Dio deve aver amato il suo unico Figlio? Eppure lo ha sacrificato (Alb. Stolz). Supponiamo che un uomo stia passeggiando in riva al mare con suo figlio e il suo servo; quest’ultimo, per sbadataggine, cade in acqua e il padrone manda il figlio a salvarlo. Non è questo l’esempio più bello dell’affetto del padrone per il suo servo? E il servo non ricambierà l’affetto del padrone con l’affetto suo? Lo stesso vale per l’opera della Redenzione. Ecco perché Agostino grida: “Per salvare lo schiavo Voi, Signore, avete dato il vostro Figlio”. Da qui il consiglio di Giovanni: “Amiamo Dio, perché Egli ci ha amati per primo”. (I. S. Giovanni IV, 19). – Dio ci inonda di benedizioni, perché tutto ciò che amiamo viene da Lui. È lui che ci ha dato la vita, la salute, il cibo, il vestiario, il riparo e tutto ciò che ci è stato donato. Ciò che sono e quello che ho, Padre, mi è stato dato da te. Ogni dono perfetto viene dall’alto, dal Padre delle luci. (S. Giac. I, 17). Che cosa hai, o uomo, che tu non abbia ricevuto? (I. Cor. IV, 7). Il possesso ininterrotto di questi beni ci impedisce di apprezzarne il valore. Perciò dobbiamo spesso considerare coloro che ne sono privi, ad esempio i ciechi, i malati, i bisognosi. Vedremo in comparazione quanto siamo felici, e il nostro cuore sarà più infiammato dall’amore divino. Se dunque amiamo colui che ci fa un dono o che ci aiuta nel momento del bisogno, quanto più dobbiamo amare Colui che ci ha dato tutto ciò che siamo e abbiamo, che ha nominato gli Angeli per custodirci, che ci ha dato il sole, la luna e le stelle come nostri fari, e la terra come nostra casa, gli elementi, le piante e gli animali come cibo e per il nostro divertimento. I bambini e persino alcuni animali, come le cicogne, amano coloro che li hanno messi al mondo. Chi non ama il suo Creatore è quindi peggiore di un animale. La sola considerazione di ciò che Dio ha fatto per noi dandoci la vita ci impone di amare il nostro Creatore sopra ogni cosa (S. Bas.).

2. DIMOSTREREMO DI AMARE DIO SE LO DESIDERIAMO CONTINUAMENTE, SE FUGGIAMO DA TUTTO CIÒ CHE CI SEPARA DA LUI, SE LAVORIAMO PER LA SUA GLORIA E SE ACCETTIAMO CON SOTTOMISSIONE CIÒ CHE VIENE DA LUI.

Un bambino ama il suo libro illustrato, ci pensa spesso e lo guarda con piacere, lo loda ed è molto grato alla persona che glielo ha regalato. Lo stesso vale per l’uomo che ama Dio. È un errore credere che l’amore per Dio sia solo una questione di sentimento, una certa soddisfazione o gioia nel possedere Dio; al contrario, è un atto dell’intelligenza e della volontà. L’uomo riconosce Dio come Bene sovrano e lo pone al di sopra di tutte le creature. (Atto di intelligenza). La conseguenza di questo apprezzamento è l’aspirazione a possedere questo Bene sovrano, evitando il peccato e vivendo una vita gradita a Dio (Atto di Volontà). L’amore di Dio è dimostrato più dalle azioni che dai sentimenti. (Marie Lat.) L’amore di Dio non consiste in consolazioni sensibili, senza le quali Nostro Signore non avrebbe amato il Padre suo (S. Fr. S.) L’amore di Dio si chiama anche amore santo. Bisogna distinguere tra l’amore naturale, ad esempio l’amore che i genitori hanno per i figli, e l’amore santo, poi l’amore sensuale che si riferisce al corpo.

1. Chi ama Dio pensa a Lui continuamente, ama parlare di Lui e sentirne parlare.

L’amore è l’attrazione verso un oggetto con il desiderio di unirsi ad esso. Per questo motivo noi pensiamo continuamente a ciò che amiamo. Ecco perché Gesù Cristo ci dice: “Dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore”. (S. Matth. VI, 21). L’anima che ama Dio compie tutte le sue opere con la giusta intenzione. Ogni opera è compiuta con la buona intenzione di onorarlo; assomiglia a una nave che naviga in diverse direzioni, ma la cui bussola punta sempre a nord. (S. Fr. di S.); o ai corpi terrestri che sono sempre attratti verso il centro della terra. Chi ama Dio fa delle preghiere giaculatorie durante il suo lavoro. Ad esempio, Gesù, mio Dio, ti amo sopra ogni cosa (Indulg. per 50 giorni). – per la maggior gloria di Dio (S. Ignat.). Tutto per l’onore del mio Dio, per aumentare la sua lode e la sua gloria (B. Clém. Hofbauer). Il mio Dio e il mio Tutto (S. F. d’Ass.). Chi ama Dio è come gli Angeli che godono continuamente della vista i Dio. (S. Bonav.) Considera sprecato tutto il tempo che non impiegate ad amare Dio (S. Bern.) – Chi ama Dio ama parlare di cose divine, perché la bocca parla dell’abbondanza del cuore (S. Matth. XII, 34). La lingua rivela i desideri del cuore, perché la bocca ruba i pensieri del cuore e li rende noti (S. Efr.). Tuttavia, le parole di un uomo infiammato dall’amore di Dio sono spesso accolte con ironia dai suoi simili; l’espressione di questo amore sembra barbara agli occhi di chi non lo ama (S. Bern.). Chi ama Dio ama sentir parlare di Lui, da cui le parole di Gesù Cristo: “Chi è da Dio ascolta le sue parole” (S. Giovanni, VIII, 47).

2. Chi ama Dio rifuggebdal peccato e non attacca il suo cuore ai beni e alle gioie della terra.

Chi ama Dio evita il peccato che lo separa da Lui. “Se uno mi ama – dice Gesù Cristo – osserverà la mia parola” (S. Giovanni XIV, 23). Chi ama Dio trema di fronte al timore di Dio, ma non di fronte al castigo, perché chi ama non ha alcun castigo da temere. Ecco perché san Giovanni dice: “L’amore perfetto dissipa ogni paura”. (San Giovanni IV, 18). – Un uomo che ha troppo caldo si toglie i vestiti ed un uomo infiammato dall’amore divino si spoglia del desiderio di beni e piaceri terreni.- La morte separa il corpo dall’anima e l’amore di Dio separa l’anima dalle cose sensibili. (S. Gr.) L’amore divino e l’amore per il mondo non possono coesistere nella nostra anima.

3. Chi ama Dio lavora volentieri per la sua gloria.

Se qualcuno compra un libro che gli piace, esorta anche i suoi amici a procurarselo; vuole che venga distribuito. Così è per la persona che ama Dio. Egli desidera che sia sempre più conosciuto e amato dagli uomini. “Lo zelo è l’effetto dell’amore. Chi non ha zelo, non ama”. (S. Aug.) Chi ama Dio si desola e addirittura si ribella quando gli uomini lo offendono: così Mosè nella sua ira, distrusse le tavole della legge alla vista degli adoratori del vitello d’oro (Esodo XXXIII, 32). D’altra parte, chi ama Dio si rallegra nel vederlo glorificato (Fil. I, 18). Egli fa tutti gli sforzi possibili per recuperare i perduti. Quali difficoltà hanno superato gli Apostoli e i missionari per annunciare il Santo Vangelo? Cosa fece Monica per riportare in vita suo figlio Sant’Agostino! È anche l’amore di Dio che ispira gli Angeli a salvare l’umanità; è questo stesso amore che ci ispira a pregare: “Sia santificato il tuo nome”.

4. Chi ama Dio lo ringrazia per i suoi benefici e accetta volentieri le sofferenze che egli manda.

Una lettera di un amico è sempre un piacere, per quanto doloroso possa essere l’evento della consegna. Allo stesso modo, chi ama Dio accetta volentieri ciò che Egli gli manda, siano esse benedizioni o sofferenze. Dopo una benedizione, si comporta come Noè che esce dall’arca (Gen. VIII), come il lebbroso guarito (S. Luc. XVII, 16), come i tre giovani nella fornace (Dan. III) e non come il corvo che non tornò nell’arca e dimenticò colui che lo aveva nutrito (Gen. VIII, 6). Chi ama Dio non dimentica la preghiera della sera, né quella prima e dopo i pasti. Deve essere sempre grato anche per la più piccola benedizione. L’ingratitudine è sempre il segno della bassezza di un cuore. – Dovremmo addirittura, come Giobbe (I, 21), accettare di buon grado le prove che Dio ci manda. S. Paolo era gioioso nonostante tutte le sue pene (II Cor. VII, 4); gli Apostoli e i martiri sono morti con gioia, ed il motto di santa Teresa era: “Signore, soffrire o morire! Chi ama Gesù, ama anche la croce. (S. F. de S.) Quanto più grande è il nostro desiderio di soffrire e di essere umiliato per Dio, più grande è il nostro amore per Lui; questo desiderio è il segno più sicuro di questo fuoco celeste. (S. Vinc. de P.). Dio assomiglia al girasole che, anche nei giorni bui, si volge verso il sole. (S. Fr. de S.). Chi, invece, non ama Dio è uno stolto che considera tutti i fastidi di questa vita, come se fossero diretti contro di lui personalmente. (Sap. V, 21).

5. Chi ama Dio ama anche il suo prossimo.

Chi ama il Creatore ama anche le creature (1. S. Giovanni V, 1); ama il prossimo, perché quest’ultimo rappresenta Gesù Cristo stesso, come lo indicano le sue parole al Giudizio Universale. (Mt. XXV, 40); non ama solo i giusti, ma anche i peccatori. “Il peccato non deve essere confuso con il peccatore. Dobbiamo odiare il peccato sull’esempiodi Dio, ma amare il peccatore. (Mar. Lat.). Chi ama Dio ama anche gli Angeli, i Santi e le anime del Purgatorio. Solo i dannati devono essere esclusi dalla carità ed odiati, come li odierà Dio. (Mar. Lat.).

3. DOBBIAMO AMARE DIO CON TUTTE LE NOSTRE FORZE E SOPRA OGNI COSA.

L’amore per Dio deve quindi essere un amore speciale, un amore di preferenza. (S. Th. d’Aq.) Per questo Gesù Cristo non dice semplicemente: “Amerai Dio, ma amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutto il tuo essere, con tutto il tuo cuore, e con tutte le tue forze”(S. Marco 12). L’unica misura dell’amore di Dio è che è senza misura. (S. Bern.).

Amiamo Dio con tutte le nostre forze, se mettiamo in relazione i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni a Dio (S. Th. d’Aq.). Dobbiamo quindi pensare a Dio quando ci alziamo, quando ci vestiamo, quando ci laviamo, quando mangiamo, quando lavoriamo, ecc. Tutte le creature, anche le più piccole (il canto degli uccelli, il profumo dei fiori, la musica, ecc.) offrono a chi ama Dio l’opportunità di pensare alla gloria del Creatore. L’universo parla un linguaggio silenzioso ma comprensibile a chi ama Dio. (S. Aug.).

Si ama Dio soprattutto se si è pronti a sacrificare tutto non appena lo richieda.

Dio è il nostro fine ultimo; le creature sono solo mezzi per questo fine. Per questo è nostro dovere sacrificarle se Dio lo richieda. Dobbiamo sacrificare la nostra vita per Dio, come i giovani di Babilonia; dobbiamo essere pronti a lasciare i nostri figli per Dio, come Abramo; sì, un padre deve anche essere pronto a sacrificare il suo unico figlio, come Abramo per Isacco. Dio è come un tesoro o una perla preziosa che si può ottenere solo a prezzo di tutto ciò che si possieda. (Matth. XIII, 46), Per questo Dio mette alla prova l’uomo giusto per vedere se lo preferisce davvero alle cose che passano. (Deut. XIII, 3). Tuttavia, Dio a volte si accontenta della nostra buona volontà (S. Fr. de S.). Egli non sempre toglie l’oggetto amato, quando si è disposti a sacrificarlo. Così fece con il sacrificio di Abramo sul Monte Moriah. – Chi si addolora troppo per le sue disgrazie non ama Dio sopra ogni cosa. Anche chi trascura la pratica delle buone azioni per rispetto umano non ama Dio, perché preferisce l’approvazione degli uomini a quella di Dio. Se l’uomo accetta ingiurie e punizioni per una creatura che amano, cosa non dobbiamo soffrire per amore di Dio?

È lecito amare anche le creature, ma solo per amore di Dio.

È quindi lecito trarre piacere dalle creature, usandole come mezzo per servire l’Altissimo; dobbiamo amare il Creatore nelle creature e non le creature per se stesse. Possiamo – dice San F. de Sales – amare altri oggetti, ma a condizione che non ce ne sia uno solo che non amiamo in Dio e per Dio. Dio è chiamato il Dio geloso (Es. XX, 5), perché non tollera alcun amore diverso dal suo. Egli vuole essere o il re dei nostri cuori o niente. (S. Fr. de S.). Dio non permise al pio Giacobbe di amare troppo suo figlio Giuseppe, lo portò via temporaneamente; più tardi fece lo stesso con Beniamino. Dio fa lo stesso con noi oggi. Gesù Cristo dice: “Chi ama il proprio padre e sua madre più di me non è degno di me.(S. Matth. 37). S. Agostino dice: “Ama troppo poco Dio chi ama una creatura al di fuori di Lui, a meno che non la ami per Lui. – “Se sapessi – dice San F. de Sales – che nel mio cuore c’è la più piccola inclinazione che non sia né di Dio né per Dio, la distruggerei immediatamente, perché preferirei non vivere piuttosto che non appartenere completamente a Dio” – Come il corpo muore se è staccato, così muore l’anima. Così la minaccia del profeta contro i Giudei idolatri: “I loro cuori sono stati divisi, ma è giunto il tempo della loro desolazione”, dimostra che l’anima di chi non ama Dio muore. Chi non ama Dio con tutto il cuore è morto.

4. L’AMORE DIO CI È UTILISSIMO: QUESTO DIMOSTRA CHE DIO GIÀ IN QUESTO MONDO, ILLUMINA LA NOSTRA RAGIONE. RAFFORZA LA NOSTRA VOLONTÀ E CI OTTIENE IL PERDONO DEI PECCATI, LA PACE DELLANIMA E MOLTI SLTTI FAVORI R DOPO LA MORTE, LA GIOIA DEL CIELO.

La concupiscenza è la radice di ogni male, mentre il vero amore è la radice di ogni bene (S. Aug.). L’olio è il simbolo dell’amore di Dio, galleggia, illumina, calma il mare e addolcisce tutto: lo stesso vale per l’amore di Dio. Anche il fuoco agisce come la carità; si eleva, illumina, riscalda e purifica. Anche l’oro è simbolo dell’amore divino (Sal. XLIV, 10). – Chi ama Dio possiede il S. Spirito che lo unisce a Dio. “L’amore di Dio lo rende presente nei nostri cuori come in cielo” (S. Aug.). Amate Dio e lo possederete, perché non si può amare Dio senza possederlo, mentre le cose terrene, come l’oro e gli onori, possono essere amate senza essere acquistate (S. Aug.). Gesù Cristo ha detto: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio, e noi verremo a lui e faremo la nostra casa con lui. (S. Giov. XIV, 23). S. Giovanni dice anche: “Chi ama Dio vive in Dio e Dio in lui” (XIV, 23). L’amore di Dio e la grazia santificante sono dunque inseparabili, dove c’è l’uno c’è anche l’altro. Chi ama Dio è già in cielo quaggiù e possiede già il cielo se ama da Cristiano. Non è così dell’anima come per il corpo: se il corpo volesse salire in cielo, dovrebbe cambiare posto. Ma per elevare il cuore al cielo basta volerlo: amare è già essere beati (S. Aug.). Non dobbiamo quindi chiederci se siamo graditi a Dio, ma se ci compiacciamo in Dio (S. F. de S.). – Chi ama Dio ottiene, attraverso lo Spirito Santo che abita in lui, la luce della comprensione, la forza di volontà, il perdono dei peccati e la vera pace dell’anima. – La nostra anima è come uno specchio che riflette gli oggetti che le vengono presentati. (Diez). Se rivolgiamo la nostra anima verso l’amore di Dio, la divinità risplenderà, essa cioè capirà meglio le cose divine, sarà illuminata. La sapienza consiste nell’amore di Dio (Sir. I, 14). Non ci si rende conto della dolcezza del miele se non gustandolo, e si conoscerà Dio solo se si gusta il suo amore. (S. Ch. B.) L’amore è il manuale di tutta la teologia. Ad uomini ignoranti.come San Paolo eremita, Sant’Antonio e San Francesco, ha dato loro la conoscenza di Dio..(S. Fr. de S.). S. Domenico amava dire: “Ho imparato più dal libro dell’amore che da tutte le Sacre Scritture”. (Corn. a L.) Il ferro rovente è facile da forgiare, un’anima infiammata dall’amore di Dio è più sensibile alle ispirazioni dello Spirito Santo. – Niente dà più forza e coraggio dell’amore. L’amore materno della gallina, altrimenti impaurita, la porta, quando i suoi pulcini sono in pericolo, a difenderli anche contro gli uomini. Una madre che ama i suoi figli non teme la fatica. L’amore per la caccia, la pesca ecc. rende un uomo insensibile alla fatica che accompagna questi esercizi, l’Amore sopporta tutto e soffre tutto (1. Cor. XIII, 7). Le cose che ci piace fare non costano alcuna pena, perché si ama anche la pena. (S. Aug.) Se l’amore naturale dà già. simili forze, che dev’essere dell’amore divino? “Se amate Dio, sarete capaci delle più grandi cose (Mar. Lat.). Grazie all’amore di Dio, otteniamo il perdono dei nostri peccati . Gesù Cristo disse della Maddalena peccatrice: “Molti peccati le saranno perdonati, perché ha molto amato (S. Luc. VII, 47). L’amore copre la moltitudine delle colpe. (I. S. Pietro IV, 8). Il fuoco consuma la ruggine, e la carità consuma la ruggine del peccato (S. Bon.). Nulla pulisce più rapidamente un terreno pieno di rovi e spine di un fuoco, così come una sola scintilla di amore divino purifica la nostra anima da tutte le sue colpe. L’amore di Dio non tollera nemmeno la vicinanza del male (S. G. Cr.). Lo Spirito ritorna nell’anima di chi ama Dio, inondandola di pace soprannaturale. Lo Spirito Santo Spirito Santo è il Consolatore. (S. Giovanni XIV, 26). Chi ama Dio si sente penetrato dalla sua presenza, e questo gli dà più piacere di di tutte le gioie del mondo. Solo chi ama Dio possiede la vera pace dell’anima. (S. Th. d’Aq.). Chi ama è gioioso e chi non ama trema. (Th. Kemp). Chi ama Dio ha la vera pace, perché la sua volontà è conforme alla sua. Questa conformità e questa pace sono una cosa sola (Mar. Lat.) Attraverso la carità otteniamo da Lui molti favori divini. Diversi santi, ad esempio, hanno avuto rivelazioni celestiali. Questo è il significato della promessa di Gesù Cristo: Chi mi ama, il Padre mio lo amerà e io lo amerò e mi rivelerò a lui. (S. Giovanni XIV, 11). È per questo che i Santi hanno avuto apparizioni di di Gesù Cristo, della Beata Vergine, di Angeli o di altri Santi (Dio è apparso accompagnato da due Angeli ad Abramo, un altro Angelo gli apparve al momento del sacrificio di Isacco; l’arcangelo Raffaele apparve a Tobia; gli Angeli sono apparsi spesso alla Beata Vergine e a San Giuseppe. S. Stefano, mentre veniva lapidato, vide il cielo aperto), oppure ottennero straordinarie luci interiori e consolazioni che nessuno al mondo avrebbe potuto dare loro, oppure le loro preghiere venivano prontamente esaudite. Gli amici si confidano i loro segreti, affinché il loro affetto reciproco si rafforzi (Hurter); anche Dio confida i suoi segreti a coloro che lo amano per accrescere il loro amore per Lui, Per questo motivo Gesù Cristo disse una volta ai suoi Apostoli: “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho annunciato a voi.” (S. Giovanni XV, 15). S. Paolo ha detto: “Sappiamo che tutte le cose concorrono al bene di coloro che amano Dio”. (Rm VIII, 28). Anche la sofferenza serve al bene di chi ama Dio. Le prove di Giuseppe, le disgrazie di Giacobbe e Tobia, hanno dato loro la gioia più grande. “Dio si prende cura delle preoccupazioni di chi ha tutti i pensieri rivolti a Lui.” (S. F. de S.) – Attraverso l’amore di Dio otterremo le gioie del cielo. S. Paolo dice: “L’occhio dell’uomo non ha visto, l’orecchio non ha udito, né il suo cuore ha sperimentato ciò che Dio ha in serbo per coloro che ama”. (I. Cor. Il, 29). “L’uomo che ama Dio è ricco di opere buone. Il fuoco è insaziabile e si espande sempre di più, e non appena un’anima viene invasa dall’amore di Dio, è instancabile nell’esercizio delle opere buone (Scar.). Così San Paolo ci dice: “L’amore di Dio ci pressa” (II Cor. V, 14). L’amore di Dio durerà per tutta la vita (I. Cor. XIII, 8). Vedere Dio e amarlo sono inseparabili in cielo; non si può vedere un bene così grande senza necessariamente amarlo (S. F. de S.) L’amore è nel mondo degli spiriti beati ciò che la gravità è nel mondo materiale. Il centro verso cui tutto converge è Dio (S. Bonav.). – Chi ha gustato il piacere e la dolcezza della carità, perde gradualmente le gioie del mondo (S. Alfonso).

5. DALLA GRANDEZZA DEL NOSTRO AMORE PER DIO DIPENDERÀ IL VALORE DELLE NOSTRE OPERE BUONE ED IL GRADO DELLA NOSTRA FELICITÀ ETERNA.

Le nostre opere avranno un valore tanto maggiore quanto più le praticheremo con maggiore carità. (S. F. de S.) Dio considera meno la grandezza dell’opera che la grandezza dell’amore. Le opere di minore importanza fatte con un maggiore amore di Dio hanno ai suoi occhi un merito molto più grande delle grandi opere fatte con una carità mediocre. Il contributo della povera vedova era più prezioso per Lui che tutti i doni dei ricchi (S. Marco XII, 14). Infatti, come dice S. Bonaventura: “L’amore è la spezia delle buone azioni. Più si possiedono in sé di queste spezie, più le nostre opere sono gradite al gusto di Dio. Ogni opera che non è fatta per amore di Dio è priva di merito. – Paolo dichiara che il dono delle lingue, le scienze, il dono dei miracoli e delle profezie, le elemosine e le mortificazioni non hanno alcun valore se manca la carità. (I. Cor. XIII, 1-3). Le buone opere senza la carità sono come una lampada senza olio (S. Matth. XXV, 8). La luna trae il suo splendore dal sole e non ha brillantezza senza il sole, allo stesso modo la virtù senza amore di Dio è senza merito (S. Bern.). I cibi senza condimento non hanno sapore, così le nostre opere, se manca l’amore, non sono di gradimento di Dio (S. Bon.). La nave non può navigare senza vele, e tutte le nostre azioni sono infruttuose senza amore. (S. Cris.) – La nostra felicità sarà tanto più grande quanto più grande è il grado del nostro amore quando moriremo. Più abbiamo amato, più saremo glorificati in cielo. (S. Fr. de S.) Anche un padre dà di più a colui che gli ha dimostrato più affetto. S. Agostino dice: “l’amore è il peso dell’uomo”. Questo significa che più si ama, più si ha valore davanti a Dio. – Già su questa terra riceve più grazie. Gli vengono perdonati più peccati. Ecco perché il Salvatore disse della Maddalena in casa di Simone: “Molti peccati le saranno perdonati, perché ha molto amato. Poco sarà perdonato a chi ama poco (S. Luc. VII). Chi ha maggiore carità giunge a una conoscenza più perfetta di Dio. Così è per il fuoco: più brucia, più la sua luce è brillante (Card. Hugo). Quanto più amiamo Dio, tanto più siamo sensibili (Mar. Lat.) Se amate Dio, siete più ricchi di coloro che possiedono tutti i tesori della terra e non lo amano (id.): Siete ricchi dietro a Dio (S. Luc. XII, 21). Chi non ama Dio è povero, nonostante tutti i suoi titoli e le sue qualità (S. Bas.); tra i Santi, invece, ci sono molti che non hanno brillato sulla terra per la loro situazione. (Col. II, 3-4).

L’amore di Dio può essere accresciuto dalla meditazione delle perfezioni e benedizioni di Dio, dal distacco dalle cose terrene e da frequenti atti di carità.

Il fuoco si mantiene aggiungendo legna o carbone; l’amore divino si mantiene meditando le verità divine. (S. Lor. Giu..) Soprattutto, la meditazione delle sofferenze di Gesù Cristo ha lo scopo di sviluppare questo amore in noi. (S. Fr. de S.) Anche nella gloria celeste la morte del Salvatore è la migliore scuola d’amore. Nella gloria celeste la morte del Salvatore sarà il motivo più potente per la carità degli uomini. (id.) – Anche il distacco dalle cose di questo mondo contribuisce ad accrescere l’aumento della carità. La legna brucia meglio quando è più secca e meno umida, così la fiamma dell’amore divino incendia tanto più le nostre anime quanto più esse sono distaccate dai vizi (Scar.). Proprio come una pietra che non incontra ostacoli, cade direttamente al centro della terra, allo stesso modo la nostra anima si innalza direttamente verso Dio, il suo centro e la sua meta, se ci liberiamo di tutte le catene che la legano alla terra. (Rodr.) La diminuzione della concupiscenza porta ad un aumento dell’amore (S. Aug.). Anche noi dobbiamo produrre spesso atti di carità. Ogni facoltà si sviluppa attraverso l’esercizio, così la facoltà di amare Dio si perfeziona con la ripetizione di atti di carità. S. Francesco d’Assisi ripeteva spesso, giorno e notte, queste parole: “Mio Dio e mio tutto”. Questi atti di carità sono tanto più importanti perché sono un dovere imposto dalla legge dell’amore (S. Thom. Aq.). Colui che non produce atti di carità trasgredisce il dovere dell’amore. “Chi, dunque, per un mese non produce atti di carità, non è scusato di peccato mortale (S. Alf.). Sicome Dio è immenso, l’amore per Lui deve essere sconfinato. (S. Leone M.) L’amore assomiglia a un cerchio, perché non ha fine. (S. Dion. l’Ar.) Tuttavia l’amore non aumenta necessariamente in modo sensibile, l’anima diventa solo più abile nell’amare con l’esercizio dell’amore” (S. Th. d’Aq.).

L’amore di Dio si perde per colpe gravi.

Quando le nubi dell’uragano si alzano nel firmamento, il sole cessa di splendere e di riscaldare; lo stesso è dell’amore divino nell’anima peccatrice, (S. Th. d’Aq.) Un getto d’acqua spegne all’istante il fuoco fisico, e il peccato mortale il fuoco dell’amore divino. Chi ha perso l’amore di Dio si è allontanato da Lui verso le creature. – Solo il peccato è in grado di privarci della carità. Per questo San Paolo dice: “Sono certo che né la vita né la morte, né gli Angeli né i principati né le potenze, né le cose presenti, né le cose future, né alcuna creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio (Rm VIII, 38).

IL CONTRARIO DELL’AMOR DI DIO, L’AMORE PER IL MONDO

Per quanto crudele e malvagio possa essere un uomo, il suo cuore avrà sempre un certo affetto per qualche creatura, la sua stessa natura lo porta ad esso. Chi non ama Dio al di sopra di tutto, amerà necessariamente una creatura al di  sopra di ogni altra cosa

1. CHI PREFERISC L’ORO, IL BUON CIBO, GLI ONORI TERRENI SOPRA OGNI SLTRA COSA, È POSSEDUTO DA UNA UN AMORE MONDANO.

L’amore per qualsiasi creatura non è di per sé un peccato. Diventa peccato solo quando quella creatura viene preferita al Creatore. (Marie Lat.). Chi ama una creatura sopra ogni altra cosa è un figlio del tempo. Tutti i figli del secolo sono idolatri (Ef. V, 5); essi dedicano alla creatura l’amore dovuto al Creatore, uno all’oro, come Giuda; un altro al buon cibo, come il ricco epulone e molti altri che non conoscono altro dio che il proprio ventre (Fil. III, 19); uno agli onori, come Assalonne, un altro ai piaceri terreni, come Salomone: altri al bere, al gioco d’azzardo, ecc. Tutti assomigliano ai Giudei che danzavano ai piedi del Sinai intorno al vitello d’oro. La massima dei figli del secolo è che bisogna godersi la vita, perché si vive una volta sola, pertanto: “Mangiamo e beviamo, perché domani dobbiamo morire” (Eccl. XXII, 13). Da qui le parole di San Paolo: “La sapienza di questa terra è stoltezza davanti a Dio”(I Cor. 111, 19). – I figli del mondo sono i più colpevoli di alto tradimento, perché hanno vigliaccamente abbandonato il loro Supremo Sovrano.

2. L’AMORE PER IL MONDO PORTA A PERDERE LA GRAZIA SANTIFICANTE E LA BEATA ETERNITÀ.

L’uomo terreno non ha la grazia santificante. Lo Spirito di Dio non abita in un uomo carnale (Gen. VI, 3). La colomba non si riposa nel fango né su un cadavere; allo stesso modo lo Spirito Santo non abita in un’anima colpevole e carnale. (S. Amb.) La colomba ama la pulizia, vuole che il suo piumaggio sia immacolato e si compiace vicino a fonti di acqua pura, così è per lo Spirito Santo (S. F. de S.). Colui che è puro per eccellenza non può abitare in un cuore sporcato dal peccato. Come può Dio riempire il vostro cuore di miele se è già pieno di aceto? Deve prima essere svuotato e accuratamente purificato. (S Aug) Chi non ha lo Spirito Santo, cioè la veste nuziale della grazia santificante, sarà gettato nelle tenebre esterne. (S. Matth. XXII, 12). Ecco perché Gesù Cristo minaccia l’uomo terreno di dannazione eterna. Egli dice: “Chi ama la propria vita (cioè chi cerca di goderne troppo) sarà condannato alla dannazione eterna”. (S. Giovanni XII, 25). E aggiunge: “Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame! Guai a voi che ridete ora, perché allora sarete tristi e piangerete.” (S. Luc. VI, 25). Come una nave che getta l’ancora sulla terraferma non può navigare verso il porto, così l’uomo che ama le cose terrene non può raggiungere il porto della salvezza. “Scegli: vuoi amare la terra ed essere perduto, o amare Gesù Cristo e vivere in eterno? (S. Aug.). Non vivere per questo mondo, per non perdere la vita eterna (S. Aug.). Chi vuole divertirsi con il demonio in questo mondo non potrà rallegrarsi di Gesù Cristo nell’altro mondo. (S. P. Chr.) Chi dissipa la vita eterna per un piacere passeggero è uno stolto (S. Bonav.).

3. L’AMORE PER IL MONDO ACCECA L’UOMO E LO ALLONTANA DA DIO.

L’amore per il mondo acceca lo spirito dell’uomo. Quando l’anima è separata da Dio dagli oggetti terreni, è nelle tenebre, come la luna quando la terra si frappone tra essa ed il sole. (C. Hugo). Proprio come il vecchio Tobia fu accecato dagli escrementi di una rondine, così l’anima è accecata dalle preoccupazioni terrene. (S. Cris.). Così i figli del mondo non hanno gusto per gli insegnamenti del Vangelo; li chiamano stoltezza (I. Cor. II, 14). Come i raggi del sole non possono penetrare nell’acqua fangosa, così la luce dello Spirito Santo non penetrerà mai nell’anima dell’uomo terreno. Chi non ama Dio, dice San Giovanni, non lo conosce. (I. S Giovanni IV, 8). Attraverso l’amore terreno, l’uomo si è allontanato da Dio. La terra è come un bastone ricoperto di colla, l’uccello, che vi si posa diventa incapace di alzarsi in volo (S. Nil.) Le preoccupazioni terrene soffocano la parola di Dio in Dio nell’uomo carnale, come le spine soffocano il seme (S. Matth X III, 22). I figli del mondo sono gli invitati di cui parla il Vangelo, che hanno rifiutato di partecipare al banchetto di nozze, alcuni a causa delle loro mogli, altri a causa dei loro poderi, altri a causa dei loro buoi (S. Luc. XIV, 16).

4. L’AMORE PER IL MONDO FA PERDEEE LA PACE INTERIORE E CI FA TEMERE LA MORTE.

Un uomo terreno non ha pace interiore. Un illustre poeta disse giustamente: “L’uomo ha solo l’inquietante scelta tra la felicità sensuale e la pace interiore”. L’una non può sussistere con l’altra. Il cuore che aspira solo ai piaceri terreni non può soddisfare se stesso più di quanto possa riempire un barile senza fondo. (Ld. Gren.) I figli del secolo, non possedendo mai la pace interiore, cercano di ottenerla variando i loro piaceri, proprio come un paziente che soffre di insonnia cambia continuamente posizione nel suo letto, sperando di trovare il sonno. (S. Gr. M.) Solo Gesù Cristo ci darà la vera soddisfazione. Egli dice ai suoi Apostoli: “Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace, ma non come la dà il mondo. (S. Giovanni XIV, 27). S. Agostino esclama: Il nostro cuore è inquieto e agitato finché non riposi in te, Signore”! – L’uomo terreno teme tanto la morte, perché poi dovrà rinunciare al suo idolo, ed è la fine della felicità a cui aspira. Così i figli del mondo sentono già le conseguenze della morte e muoiono sempre nell’angoscia e nella disperazione. I prigionieri vivono nella paura costante, ma questa paura aumenta quando vengono portati davanti al loro giudice. Lo stesso vale per il peccatore; egli vive in una paura continua, ma questa paura diventa molto più forte quando l’anima, separata dal corpo, è costretta a comparire davanti al Giudice supremo (S. Cris.). I pesci presi all’amo sentono la loro sofferenza solo quando vengono tirati fuori dall’acqua; lo stesso vale per chi è preso nella rete dell’amore del mondo; è nella sua ultima ora che ha le pene più amare. (L. de Gren.) Se le gioie che il diavolo vi promette sono già mescolate a tante amarezze, quali tormenti ha in serbo per voi per l’eternità?

5. L’amore per il mondo porta all’odio per Dio e per i suoi servi.

È impossibile che un uomo che ama le cose della terra possieda l’amore di Dio. Un anello che cinge un dito non ne può cingere allo stesso tempo un altro. E il cuore umano incatenato dall’amore per un oggetto terreno non può allo stesso tempo amare Dio. (L. de Gren.). S. Giovanni dice: “Se qualcuno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. (1 Giovanni II, 15). Non possiamo guardare il cielo e la terra dallo stesso punto di vista. (S. Giovanni Clim.) L’uomo terreno arriva ad odiare Dio e le cose divine. Ecco perché Gesù Cristo ha detto: “Non si possono servire due padroni, perché amerete l’uno e odierete l’altro, oppure vi sottometterete all’uno e disprezzerete l’altro. (S. Matth. IX, 24). Così conosciamo il valore di un uomo quando lo ascoltiamo ingiuriare i Sacerdoti e deridere le cose divine. – I figli del mondo sono nemici di Dio. Chi vuole essere amico di questo mondo sarà nemico di Dio. (S. Giac. IV, 4). Se dunque non vuoi essere nemico di Dio, sii nemico di questo mondo. (S. Aug.).

6. L’amore del mondo cessa con la morte.

L’amore terreno dura solo per un certo periodo di tempo, perché o sarete voi ad allontanarvi dall’oggetto che amate, oppure l’oggetto che amate vi sarà tolto.
Non bisogna mettere il vostro amore dove l’amante e l’oggetto amato possono scomparire, ma solo amare ciò che dura per l’eternità. (S. Aug.) Non attaccate mai il vostro cuore alle cose terrene. Un vero servo di Dio non è più attaccato ai suoi beni di quanto lo sia ai suoi vestiti, che indossa e toglie a suo piacimento; il cattivo Cristiano, invece, sta con loro come un animale con la sua pelle. – Il vero Cristiano deve assomigliare all’aquila che sta continuamente sulle vette e scende solo per cercare il suo cibo. (S. Ign. de Loy.). Egli deve assomigliare agli alberi che affondano le loro radici solo nella terra, ma i loro rami arrivano fino al cielo. Non bisogna aspirate alle cose terrene se non solo nella misura in cui vi sono necessarie. Tutte le vostre aspirazioni devono essere rivolte alle cose eterne. (S. Bem.). Noi dobbiamo cercare ciò che è in alto (Col. III, 1). Scegliete come amico Colui che non vi abbandonerà quando tutti vi abbandoneranno. (S. Th. de Const.).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (15).

6. LA RESURREZIONE DELLA CARNE.

Gli ebrei credevano già che i corpi dei morti sarebbero risorti un giorno; Giobbe si rallegrava in mezzo alle sue sofferenze al pensiero della sua futura risurrezione (Giobbe XIX, 35); così come i fratelli Maccabei (II. Macch. VII, 11). Anche Marta disse a Gesù: “So che mio fratello risorgerà alla risurrezione dell’ultimo giorno”. (S. Giovanni XI, 21).

1. CRISTO NELL’ULTIMO GIORNO RISUSCITERÀ DALLA MORTE I CORPI DI TUTTI GLI UOMINI E LI RICONGIUNGERÀ PER SEMPRE CON LE ANIME.

Cristo, infatti, ha spesso affermato che avrebbe risuscitato dalla tomba i corpi di tutti gli uomini, ed ha dimostrato con i miracoli di avere il potere di farlo. Inoltre, la risurrezione dei morti è il suo tipo in molti fenomeni della natura.

Cristo risusciterà tutti gli uomini; verrà a giudicare i vivi e i morti (Apoc. Symb.), cioè nell’ultimo giorno risusciterà i corpi degli uomini già morti (i morti) e quelli degli uomini ancora vivi (i vivi); ma questi ultimi si trasformeranno in un batter d’occhio; moriranno e risorgeranno nello stesso momento. (I. Tess. IV, 16). Cristo risusciterà sia coloro che sono in stato di grazia (vivi), sia coloro che sono in stato di peccato mortale (morti) (S. Giovanni V, 28; S. Matteo XXV, 31 e seguenti). Inoltre la resurrezione sarà istantanea ed universale (I. Cor. XV, 52); i buoni e i cattivi risorgeranno allo stesso tempo. – Cristo ha spesso dichiarato che avrebbe risuscitato i morti. “Verrà un’ora – disse – in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio; quelli che hanno fatto il bene usciranno alla risurrezione della vita, quelli che hanno fatto il male, alla risurrezione del giudizio”. (S. Giovanni VI, 35). In un’altra occasione disse: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. (S. Giovanni VI, 55). Il Cristo paragona spesso la morte ad un sonno: la figlia di Giairo (S. Matth. IX, 24} e Lazzaro (S. Giovanni XI, 11) secondo Lui erano solo addormentati. Ora la morte non essere comparate al sonno se non a causa della risurrezione. (1. Thess. IV, 13. – Cristo ha dimostrato che era in suo potere resuscitare i morti: risuscitò la figlia di Giairo nella sua casa, il giovane di Naim davanti alle porte della città e Lazzaro nella sua tomba. Risuscitò se stesso e la Beata Vergine, sua Madre. Egli può quindi dire in tutta verità: “Io sono la risurrezione e la vita” (S. Giovanni, XI, 2â). – Molti fenomeni della natura rappresentano la risurrezione dei morti: il nostro risveglio al mattino; il risveglio della natura in primavera, la metamorfosi del verme (attaccato come l’uomo alla gleba) in crisalide (immagine dell’uomo nel sepolcro), poi in farfalla (tipo di uomo risorto grazie alla sua bellezza e alle sue ali che lo liberano dal glebo); la schiusa della gallina dall’uovo (simbolismo delle uova); la germinazione del seme che sembra essere marcito (l. Cor, XV, 36); la guarigione dell’uomo dopo una grave malattia; il risveglio di certi animali intorpiditi durante l’inverno; il tramonto ed il sorgere del sole; il calare e il calare del sole; il calare e il calare del sole, la decrescita e la crescita della luna. Un altro simbolo della risurrezione è la rosa di Gerico (una pianta che cresce nei pressi di questa città e che Linneo chiama “fiore della resurrezione”). è un’immagine del potere di Dio di restituire la vita, perché questo fiore, anche se è stato secco per secoli, ricomincia a vivere non appena il suo stelo viene immerso nell’acqua.

2. DIO RISUSCITERÀ I CORPI PER RIVELARE L’INFINITÀ DELLA SUA GIUSTIZIA E PER GLORIFICARE IL SALVATORE.

Se l’anima da sola fosse punita o premiata, il castigo non sarebbe completo. “Infatti – dice Tertulliano – molte opere buone, come il digiuno, la castità, il martirio, possono essere compiute solo per mezzo del corpo. Perciò è giusto che esso partecipi alla felicità dell’anima”. Per rivelare l’infinito della sua giustizia, Dio estenderà la punizione all’anima, che è stata lo strumento del corpo. “Quando – dice Teodoreto – si erige una statua ad un generale vittorioso, ci piace rappresentarlo con l’armatura che indossava in battaglia. L’anima non dovrebbe forse essere glorificata nel corpo in cui ha sconfitto il suo nemico?”. La retribuzione è quindi la ragione ultima della risurrezione (Tert.) – La risurrezione porta alla glorificazione del Salvatore. Cristo ha voluto salvare tutto l’uomo, nel corpo come nell’anima. Se avesse salvato solo l’anima senza il corpo, la redenzione sarebbe stata incompleta (Tert); il diavolo nella sua opera di distruzione sarebbe stato più potente di Cristo nella sua opera di restaurazione; questo è impossibile: il trionfo di Cristo è stato completo: “Da un solo uomo la morte è entrata nel mondo, e da un solo uomo la resurrezione (I. Cor. XV, 21).

3. I CORPI RISORTI AVRANNO LE SEGUENTI QUALITÀ:

1° saranno identici a quelli di questa vita; 2° i corpi dei giusti saranno glorificati, quelli dei malvagi abbassati nell’obbrobrio. 3° i corpi dei risorti saranno senza mutilazione e immortali.

L’uomo risorgerà con il proprio corpo. “Questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e questo (corpo) mortale, immortalità. (I. Cor. XV, 63). Tutti gli uomini risusciteranno (Simb. Ath.). Giobbe sapeva già che nella risurrezione avrebbe avuto lo stesso corpo che aveva in precedenza: “Risorgerò –  disse – dalla terra nell’ultimo giorno e sarò rivestito di nuovo della mia pelle e vedrò Dio nella mia carne”. (Giobbe XIX, 26). Al momento dell’esecuzione, uno dei sette fratelli Maccabei disse al tiranno che lo aveva condannato al taglio delle membra: “Li ho avuti da Dio e spero che me li restituisca (II. Macch. VII, 11). I pagani di Cartagine erano venuti alla prigione per osservare santa Perpetua e le sue compagne, e lei disse loro: “Guardateci bene e fissate bene le nostre figure, in modo da riconoscerci nel giorno del giudizio. “Questo commento li convertì. Noi avremo dunque gli stessi corpi e non di nuovi, in modo che ciascuno di noi possa ricevere ciò che gli spetta per le azioni buone o cattive che ha compiuto mentre era rivestito del suo corpo. (II. Cor. V, 10). La retribuzione è dovuta solo al corpo che ha partecipato all’azione e non ad un altro. “Per quanto un’altra anima deve ottenere il castigo, quanto un corpo diverso da quello che ha commesso l’azione (Tert) Non è impossibile che Dio ricostituisca il corpo disorganizzato; perché se Dio ha potuto fare ciò che non era, quanto più può ricostituire ciò che era già. “Anche se in 10 o 20 anni tutte le molecole materiali del nostro corpo sono cambiate, il nostro corpo rimane identico a se stesso, perché il principio e la sostanza rimangono gli stessi, manterranno la loro identità anche se non gli verranno restituite tutte le molecole materiali”. (S. Thom. Aq.). È perché speriamo di recuperare i nostri corpi alla risurrezione che li seppelliamo, che veneriamo le reliquie dei Santi. – I corpi risorti non avranno tutti le stesse qualità; tutti risorgeremo ma non saremo tutti trasformati (glorificati). (1. Cor. XV, 51). I corpi dei giusti saranno simili al corpo glorioso di Gesù Cristo (Fil. III, 21) e di conseguenza possiederanno le seguenti proprietà: saranno impassibili (Apoc. XXI, 4), luminosi come il sole (S. Matth. XIII, 43), agili come il pensiero e dotati di penetrabilità. I corpi gloriosi saranno trasformati come il ferro comune si trasforma nella fornace. “Cristo alle nozze di Cana trasformò l’acqua comune in vino prezioso, così nel giorno della risurrezione Egli nobiliterà l’attuale natura vile dell’uomo. (S. Amb.) Se Dio ha potuto concedere agli insetti il dono di brillare nel crepuscolo, perché non potrebbe concederlo anche al corpo umano? (S. Cir. di Gerus.) La brillantezza celeste del nostro corpo supererà quella del sole, proprio come quest’ultima supera attualmente la luce del nostro corpo (S. Aug.); ne abbiamo prova nella trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor e nello splendore del volto di Mosè quando scese dal Sinai dopo il colloquio con Dio. Se, dopo la sua risurrezione, Cristo si mostrò spogliato del suo splendore, fu perché gli Apostoli, con i quali doveva conversare, non avrebbero potuto sopportare il suo splendore. (S. Aug.) Il corpo risorto del giusto è spesso chiamato spirituale, perché sarà completamente soggetto allo spirito e libero da ogni concupiscenza terrena. (Luca XX, 35). La bellezza del corpo dipenderà da quella dell’anima (1. Rom.VIII, 11; 1. Cor. XV, 41). Lo storpio più miserabile che avrà vissuto piamente avrà un corpo splendido, mentre il peccatore più bello risusciterà con un corpo orrendo. (Alb. Stolz). I corpi dei peccatori più belli saranno mostruosi. (S. Matth. XXII, 13). – I corpi risorti recupereranno la loro integrità. I martiri recupereranno le loro membra mutilate, anche se le loro ferite rimangono, come quelle del Salvatore, superiori alla lucentezza dell’oro e delle pietre preziose. (S. Aug.) I Santi non porteranno alcuna traccia di età, di malattia o di qualsiasi macchia. Anche i dannati recupereranno l’integrità corporea, ma per la loro punizione: perché più membra avranno, maggiore sarà il tormento. – I corpi risorti saranno Immortali (I. Cor. XV, 42); nel paradiso il frutto dell’albero della vita avrebbe reso il corpo immortale, ora è la Comunione che è il pegno della risurrezione e dell’immortalità. (S. Giovanni VI, 55). Dio, che ha dato la vita ai patriarchi per 900 anni, sarà anche in grado di farci vivere in eterno. I dannati non moriranno tuttavia, difficilmente possono essere chiamati immortali, poiché, non potendo morire, è piuttosto la loro morte che non muore. (S. Aug.) La risurrezione dei morti è la speranza dei Cristiani. (Tert.)

4. LA FEDE NELLA RESURREZIONE CI CONSOLA NELLA SOFFERENZA E NELLA PERDITA DIBPARENTI ED AMICI.

Giobbe, nel mezzo dei più grandi dolori, era consolato dal pensiero della risurrezione (Giobbe XIX, 25); questo stesso pensiero diede ai primi Cristiani il loro coraggio, l’impavidità di fronte ai loro persecutori. – Chi ha una fede viva nella resurrezione, non si lascerà andare ad un dolore eccessivo quando i suoi moriranno, non più di quanto non ci disperiamo al tramonto, certi che il giorno dopo il sole sorgerà di nuovo. Noi Cristiani, dunque, non dobbiamo piangere sulle tombe dei nostri cari come i pagani che non hanno speranza. (I. Tess. IV, 12). Anche San Cipriano, Vescovo di Cartagine (f 258}, metteva in guardia i Cristiani da un lutto eccessivo che potrebbe far dubitare i pagani della fede dei Cristiani nella risurrezione; riteneva inopportuno piangere per coloro (i martiri) che davanti al trono di Dio indossano la veste della gioia; solo coloro che sono morti nel peccato dovrebbero essere pianti.

7. GIUDIZIO UNIVERSALE.

I. SUBITO DOPO LA RESURREZIONE DEI MORTI, AVRÀ LUOGO IL GIUDIZIO UNIVERSALE. CRISTO INFATTI HA SPESSO AFFERMATO CHE. DOPO LA RESURREZIONE DEI MORTI, AVREBBE RADUNATO TUTTI GLI UOMINI DAVANTI AL SUO TRONO PRR GIUDICARLI.

Il ritorno di Gesù per il giudizio è stato annunciato agli Apostoli da due Angeli subito dopo l’Ascensione. (Act. Ap. I, 11). Gesù stesso disse: 1° che la croce sarebbe apparsa in cielo per annunciare la venuta del Giudice e riempire di timore i malvagi (S. Matth. XXIV, 30); 2° che sarebbe venuto in grande maestà, non più nel suo abbassamento, il che non vuol dire che tutti gli uomini avranno la visione di Dio, che si può ottenere solo in cielo e che costituirebbe il paradiso per gli empi; essi sentiranno la presenza e la maestosità di Dio solo attraverso alcuni segni (S. Thom. Aq.); 3° che i SS. Angeli lo accompagneranno (S. Matth. XXV, 31): gli Angeli che hanno contribuito alla salvezza degli uomini saranno glorificati davanti a tutto l’universo; 4° che seduto sul suo trono raccoglierà attorno a sé tutti i popoli della terra (S. Matth. XXV, 32); 5° che li separerà, come un pastore separa i capri dalle pecore: i giusti saranno chiamati alla sua destra, gli empi alla sua sinistra (ib. 33). – La parola Giosafat in ebraico significa il giudizio di Jeowa. Se dunque il profeta (Gioele III, 2) dice che Dio raccoglierà e giudicherà tutti i popoli nella valle di Giosafat, non sta parlando della valle tra Gerusalemme ed il Monte degli Ulivi, ma del luogo designato da Dio per il giudizio universale. La piccolezza di questa parola non va presa in senso letterale. Chiamiamo questo giudizio universale o generale, perché tutti gli uomini che sono mai vissuti, ed anche gli Angeli, saranno giudicati lì; si chiama ultimo, perché avrà luogo nell’ultimo giorno. – Al giudizio di Dio non si può essere rappresentati come nei tribunali umani, ma si deve comparire di persona e rendere conto della sua vita (S. Vinc. Fer.). Io ho visto, dice l’Apocalisse, i grandi e i piccoli davanti al trono di Dio (XX, 12),

2. IL GIUDIZIO UNIVERSALE AVRÀ LUOGO PER RIVELARE A TUTTE LE CREATURE LA SAPIENZA E LA GIUSTIZIA DI DIO. ESSO SARÀ RESO DA GESÙ PER RESTITUIRGLI PUBBLICAMENTE L’ONORE DI CUI I PECCARI LO HANNO PRIVATO.

Nel giorno del giudizio universale, Dio rivelerà agli uomini la sapienza con cui ha diretto i destini di tutti e di ciascuno, affinché potessero raggiungere la loro felicità terrena. Gli uomini vedranno come Dio abbia fatto servire al bene il male, tanto le sofferenze degli uomini ed i loro peccati. – Al giudizio Dio rivelerà anche la sua giustizia, perché completerà ciò che è rimasto imperfetto nel giudizio particolare. Le azioni, le parole e gli scritti di molti uomini hanno ancora fatto del bene o del male dopo la loro morte, gli Apostoli e i missionari hanno benedetto molte generazioni con opere buone, così come gli eretici hanno corrotto non solo i loro contemporanei ma anche i posteri. Il seme seminato dall’uomo raggiunge la piena maturità solo al Giudizio Universale. Il tribunale sarà presieduto da Cristo stesso, perché giudicare è un atto di sapienza e, in quanto Figlio di Dio, il Figlio di Dio è la sapienza generata dal Padre (l’intelligenza eterna del Padre), e gli appartiene giudicare (S. Th. Aq.). Inoltre, Cristo verrà come giudice, perché i suoi contemporanei e molti empi nel corso dei secoli gli hanno negato l’onore che gli spetta. È stato condannato come criminale dall’iniqua sentenza di Pilato e, secondo l’Apostolo, divenne uno scandalo per i Giudei e una stoltezza per i Gentili (I. Cor. I, 23); il suo onore dovrà essergli restituito al momento del giudizio. I suoi nemici avranno paura di Lui, come i fratelli di Giuseppe quando egli si fece conoscere (Gen. XLV); “allora gli empi diranno ai monti: “Schiacciateci”, e ai colli: “Copriteci!” (S. Luc XXIII, 30). Così Cristo ha detto: “Il Padre non giudica nessuno; ha rimesso il giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre”. (S. Giovanni V, 22). Durante la sua vita, Cristo non esercitò il suo potere di giudice: “Io – disse – non giudico nessuno” (ibid. VIII, 15). Nell’ultimo giorno, Cristo renderà giustizia, perché si è fatto uomo. La razza umana risorta deve avere un giudice visibile. “Il Padre – ha detto Gesù per questo motivo – ha dato al Figlio il potere di giudicare, perché è il Figlio dell’uomo” (ib. V, 27). Dio ci dà anche un uomo come giudice per misericordia (S. Bernardo). “Accetto volentieri come giudice – grida San Tommaso di Villanova – Colui che è stato il mio Salvatore!” (ib. V, 27).

3. IL GIUDIZIO DI CRISTO NELL’ULTIMO GIORNO CONSISTERÀ NELLO SCOPRIRE CIÒ CHE È PIÙ NASCOSTO, ESIGERE CHE OGNI UOMO. RENDA CONTO DELLE SUE OPERE DI MISERICORDIA E. DI SEPARARE ETERNAMENTE I BUONI DAI MALVAGI.

In senso stretto, il Giudizio universale non sarà altro che una ripresa solenne del Giudizio particolare; “lo stato in cui ciascuno si trovava nell’ultimo giorno della sua vita – dice Agostino – sarà anche quello dell’ultimo giorno dell’universo. Si sarà allora giudicato nello stesso modo che al momento della morte”. Possiamo anche dire: l’ultimo giudizio sarà una ripresa della storia universale, perché tutti gli avvenimenti di tutti i secoli passeranno in un solo giorno davanti agli occhi degli uomini. Dio, nella sua onniscienza li ha, per così dire, scritti; per questo la Scrittura parla dell’apertura dei libri in base ai quali i morti saranno giudicati (Apoc. XX, 12). Le cose più segrete saranno rivelate; il Signore porterà la luce nelle tenebre più profonde (1 Cor. IV, 5), perlustrerà Gerusalemme con le torce (Sof. I, 12); secondo le parole di Gesù: “Non c’è nulla di segreto che non debba essere rivelato, né nulla di nascosto che non debba essere conosciuto e reso pubblico” (S. Luc. VIII, 17). Quando il sole appare, la neve si scioglie e tutto ciò che c’è sotto appare. Così, al Giudizio Universale, il sole della giustizia farà apparire tutto. Tutti i peccati saranno svelati, la vergogna dei dannati inizierà per loro; anche i peccati dei giusti saranno rivelati, non per loro vergogna, ma per la glorificazione della loro penitenza. I peccati non si riceveranno sulla veste della grazia santificante; lungi dall’essere macchie su di essa, saranno ornamenti preziosi (Santa Gertrude). Dio velerà i peccati espiati dei giusti come un abile artigiano sa nascondere una lacrima sotto un ricamo. (Osorio). Tutte le opere buone saranno portate alla luce (Eccl. XII, 14), così come le intenzioni di tutte le azioni (I. Cor. IV, 5). Le anime pie, in particolare i martiri, riceveranno davanti a tutti gli uomini gli onori di cui sono state ingiustamente private. Gli empi esclameranno: “Ecco coloro che abbiamo deriso e che abbiamo perseguito con le nostre beffe. Nella nostra follia abbiamo considerato la loro vita come una sciocchezza e la loro fine come una disgrazia. Ora sono annoverati tra i figli di Dio e la loro sorte è quella dei santi”. (Sap. V, 3). Al giudizio si distingueranno i Santi dai viziosi (ipocriti), cosa che ora non è possibile. “In inverno tutti gli alberi si assomigliano, ma in primavera si possono distinguere quelli che sono disseccati da quelli che sono vitali; ora anche gli uomini sembrano uguali, ma al giudizio si distingueranno i buoni e i cattivi ” (S. Aug.). Al giudizio, Cristo chiederà a ogni uomo di rendere conto delle sue opere di misericordia. (S. Matth. XXV, 34). Se facciamo bene attenzione alle parole che Egli pronuncerà al giudizio, capiremo perché i Santi e tutti i buoni Cristiani compiono queste opere con tanto zelo. Santa Elisabetta, interrogata sulle ragioni della sua carità, rispose: “Mi sto preparando per il giorno del giudizio”. Nell’ultimo giudizio non si terrà conto delle ricchezze e delle dignità, perché Cristo non avrà alcun riguardo per nessuno. (Rom. II, 11). Al contrario, si richiederà molto a coloro che hanno ricevuto molto. (S. Luc. XII, 48). – Il giudizio si concluderà con una sentenza che separerà eternamente i buoni dai malvagi. (S. Matth. XXV, 46). Questa separazione è rappresentata da Cristo nella parabola della zizzania e del grano, dove il padre di famiglia dice ai suoi servi: Prima raccogliete la zizzania, legatela in fasci e bruciatela, ma il grano lo raccoglierete nel mio granaio (ib. XIII, 30). Anche il Calvario, dove il ladro buono è a destra e quello cattivo a sinistra, è un’immagine del giudizio. (S. Aug.) Molti parenti e amici saranno eternamente separati lì. (S. Matth. XXIV, 49). L’uomo principale, potente e ricco sarà perduto, mentre il suo subordinato e colui che fu mendicante si salveranno, come ci mostra la parabola del ricco e di Lazzaro. Il giudizio sarà anche il segnale per il rinnovamento della creazione che assumerà una forma nuova, glorificata, in linea con la gloria dei corpi dei giusti. (S. Aug.) Così dice San Pietro: “Aspettiamo …. nuovi cieli una terra nuova dove regnerà la giustizia ” (II. S. Pietro III, 13). Questa metamorfosi avverrà per mezzo del fuoco (ib. 12), che sarà allo stesso tempo un fuoco di purificazione per gli uomini che hanno ancora dei peccati da espiare. Poiché dopo il giudizio non ci sarà più purgatorio, la violenza delle pene sostituirà la loro durata. I giusti saranno poco colpiti come i tre giovani nella fornace. (S. Aug.) – Il pensiero del giudizio è molto salutare. San Metodio dipinse il giudizio su una parete per il re Bogoris; il re non lo perse più di vista, divenne Cristiano e diffuse con zelo il Cristianesimo nei suoi Stati. (Mehler 1.406). Anche Felice, il procuratore romano, tremò quando S. Paolo gli parlò del giudizio. Paolo gli parlò del giudizio, ma egli non collaborò con la grazia e interruppe la conversazione. (Act. Ap. XXIV, 25).

4. IL GIORNO DEL GIUDIZIO NON È CONOSCIUTO, MA GESÙ CI FA CONOSCERE I SEGNI CHE LO PRECEDERANNO.

Quel giorno e quell’ora”, dice Gesù Cristo, “non sono noti a nessuno, nemmeno agli Angeli del cielo. Solo il Padre lo conosce. (S. Matth. XXIV, 36). Questa conoscenza sarebbe inutile per noi, come non lo è la conoscenza dell’ora della nostra morte. Ecco perché Gesù Cristo non ci ha rivelato nulla al riguardo. “È di poco conto conoscere o non conoscere il giorno del giudizio; fate ciò che fareste se esso avvenisse domani e non dovrete temere la venuta del Giudice. (S. Aug.) – Tuttavia, Gesù ci ha dato alcuni segni precursori del giudizio, quando, sul Monte degli Ulivi con i suoi discepoli, predisse la rovina di Gerusalemme di (S. Matth. XXIV, 3). Gesù Cristo ha rivelato alcuni di questi segni, affinché alla fine dei tempi i fedeli siano perseveranti e non si perdano di d’animo. Questi segni sono i seguenti:

1. La predicazione del Vangelo in tutto il mondo. (S. Matth. XXIV, 14). Oggi due terzi del mondo sono ancora pagani.

2. La maggior parte degli uomini sarà senza fede e sarà caduta nel materialismo. (S. Luca xvii, 26). Gli uomini assomiglieranno a quelli del tempo di Noè (S. Matth. XXIV, 38).

3. Apparirà l’anticristo.

L’anticristo sarà un uomo che pretenderà di essere il Messia e che farà miracoli con l’aiuto del diavolo. (Thess. Il, 9). Sarà pericoloso soprattutto per le persecuzioni e per i suoi mezzi di seduzione. (Apoc. XX, 3-9). È probabile che l’anticristo prenderà come campo d’azione Gerusalemme e i luoghi dove visse Gesù Cristo. (Massl.) Cristo, venendo, ucciderà l’anticristo (II. Tess. II, 8), che avrà avuto nel corso dei secoli precursori e figure tipiche. (I. S. Giovanni II, 18). Il mistero dell’iniquità getta le sue ombre davanti a lui (II. Tess. II, 13).

4. Enoch ed Elia torneranno per predicare la penitenza.

“Io vi manderò – è scritto in Malachia (IV, 5) – il profeta Elia, prima che venga il giorno grande e terribile del Signore, ed egli radunerà i padri con i figli, ed i cuori dei figli con i padri, cioè porterà nel cuore dei Giudei i sentimenti dei patriarchi. Cristo ha anche annunciato il ritorno e la predicazione di Elia per gli ultimi tempi (S. Matth. XVII, 11). “Enoch- dice l’Ecclesiastico (XLIV, 16) -piacque a Dio e fu trasferito in paradiso per predicare la penitenza al popolo. Enoch ed Elia predicarono per tre anni e mezzo. “La loro predicazione allontanerà molti uomini dall’anticristo, che li ucciderà. I loro corpi non saranno seppelliti, ma Dio li risusciterà dopo tre giorni e mezzo”. (Apoc. XI, 3-11).

5. I Giudei si convertiranno.

Secondo la profezia di Gesù Cristo sul Giudizio universale, il popolo giudaico rimarrà fino alla fine dei tempi. “Questa generazione (il popolo giudaico) non passerà finché tutto questo non sia avvenuto”. (S. Matth. XXIX, 34). “I figli di Israele – dice Osea, parlando della conversione dei Giudei – rimarranno a lungo senza re, senza principi, senza altare; ma poi torneranno e cercheranno il Signore loro Dio e negli ultimi giorni accoglieranno con riverenza il Signore e le grazie che Egli farà loro. (111, 4). Israele rimarrà cieco, dice S. Paolo, fino a quando la pienezza delle genti non sia entrata nella Chiesa (Rom. II, 25). Dovrà essere Elia a “ristabilire le tribù d’Israele”, cioè a convertirle alla fede cristiana (Eccl. XLVIII, 10); tale è sempre stata la convinzione della Chiesa (S. Aug.),

6. Appariranno segni terribili in cielo ed una grande tribolazione travolgerà gli uomini.

“Il sole si oscurerà e la luna rifiuterà la sua luce, le stelle cadranno e le virtù dei cieli saranno scosse”. (S. Matth. XXIV, 29) L’umanità sarà messa alla prova da guerre, pestilenze, carestie come al tempo della rovina di Gerusalemme. (S. Matth. XXIV, 7). “Gli uomini si inaridiranno per la paura in previsione di ciò che deve accadere in tutto l’universo”. (S. Luca XXI, 25). Lo scopo di questi segni è scuotere i peccatori e portarli al pentimento.

La speranza cristiana.

I. LA NATURA DELLA SPERANZA CRISTIANA.

Alla fine del Simbolo degli Apostoli, si nominano i beni in cui non solo crediamo, ma in cui dobbiamo anche sperare. È per questo che nel Credo della Messa diciamo: aspetto la risurrezione dei morti e la vita eterna.

LA SPERANZA CRISTIANA È L’ATTESA FIDUCIOSA DI TUTTE LE COSE BUONE CHE GESÙ CRISTO CI HA PROMESSO PER IL COMPIMENTO DELLA VOLONTÀ DI DIO.

Il pio vegliardo Simeone aveva ricevuto da Dio la promessa di vedere il Bambino Gesù, e desiderava ardentemente quel giorno. Sospirò perché era fermamente convinto dell’adempimento della promessa di Dio. (S. Luca II). L’aspettativa della vita eterna dopo la risurrezione diede ai fratelli Maccabei il coraggio di sopportare le crudeli torture di Antioco (Il, Macch. VII, 9). La speranza è quindi da un lato un desiderio certo, l’attesa di un bene promesso, dall’altro, la fiducia, la fedele convinzione che Dio sarà fedele alla sua parola. La speranza è come un telescopio che avvicina ai nostri occhi gli oggetti più lontani; la speranza ci rende presenti i beni celesti e ci dà gioia. “Attraverso la speranza abbiamo un’anticipazione delle gioie del paradiso”. (S. Paolino). “Voi avete reso Signore, piena e perfetta la tua dolcezza per coloro che sperano in te”. (Sal. XXX, 19). La speranza cristiana può anche essere chiamata santa, perché ha come oggetto Dio e i beni soprannaturali. (Col. III, 1).

1. IN CAMBIO DEL COMPIMENTO DELLA VOLONTÀ DIVINA, GESÙ CRISTO CI HA PROMESSO LA FELICITÀ ETERNA E CI HA DATO I MEZZI PER RAGGIUNGERLA, CIOÈ L GRAZIA DIVINA, I BENI TEMPORALI ESSENZIALI PER LA VITA, IL PERDONO DEI PECCATI, L’AIUTO NEL MOMENTO DEL BISOGNO E L’ACCOGLIENZA FAVOREVOLE DELLE NOSTRE PREGHIERE.

Gesù Cristo ci ha promesso la felicità eterna (I, S. Giovanni II, 25). “Nella casa del Padre mio – ha detto – ci sono molte dimore e io vado a prepararvi un posto”. (S. Giovanni XIV, 2). Ci fa questa promessa nella parabola del banchetto di nozze, del grande banchetto reale, degli operai nella vigna; ci ha promesso la risurrezione dei corpi (S. Giovanni V, 28). Il desiderio di felicità è innato in noi. – Gesù Cristo ci ha anche promesso la sua grazia, cioè l’aiuto dello Spirito per raggiungere la felicità. Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati (I. Tim. II, 4); ora, la grazia è assolutamente necessaria per la salvezza, la grazia attuale di convertirsi e di compiere opere meritorie, la grazia santificante per entrare in paradiso. Gesù promette questa grazia al peccatore nella parabola della pecorella smarrita. – Gesù Cristo ci ha promesso i beni temporali indispensabili alla vita. “Non preoccupatevi troppo per la vostra vita di ciò che mangerete, né per il vostro corpo di ciò che indosserete. Perché il Padre vostro sa che avete bisogno di tutte queste cose”. Egli ci mostra con l’esempio degli uccelli del cielo nutriti da Lui, dei gigli e dell’erba dei campi da Lui vestita, che Egli si preoccupa ancora di più degli uomini (S. Matth. VI, 25-32). – Più di una volta i Santi si sono trovati in situazioni molto difficili. Mancavano di cibo, riparo, vestiti e così via. Forti della promessa di Dio, non hanno avuto paura e l’aiuto divino non è venuto meno. – Gesù Cristo ci ha promesso il perdono dei peccati, se ci convertiamo e modifichiamo le nostre vie. Egli dice: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che fa penitenza che per 99 giusti che non ne hanno bisogno1. (S. Luc XV, 7). Le parabole del figliol prodigo e della pecorella smarrita ci dimostrano quanto Dio sia disposto a perdonarci. “Dio non si preoccupa tanto di ciò che l’uomo ha fatto, ma di ciò che è disposto a fare” (S. Aug.). Per tutto il tempo che l’uomo possa vivere, il suo pentimento non è mai perduto (S. Cypr.), poiché il ladrone sulla croce ha ancora ottenuto il suo perdono. “Dio – dice Ezechiele (XVIII, 32) – non vuole la morte del peccatore, ma che questi si converta e viva “. Il Cristo ci ha promesso aiuto nel momento del bisogno. Quando, in mezzo alla tempesta, gli Apostoli tremarono, Gesù li rimproverò e disse loro: “Di che cosa avete paura, uomini di poca fede!”. (Matteo VIII, 26). Dio è chiamato nostro rifugio e nostra forza (Sal. XLV, 1). – Il Signore non viene subito ad aiutare nelle afflizioni, ed a volte ritarda il suo aiuto, come in occasione delle nozze di Cana, dove disse: “Non è ancora giunta la mia ora”: (S. Giovanni 11, 4). Ma quanto più a lungo ci fa aspettare più il suo aiuto diventa meraviglioso ed efficace. Se ne ha la prova nella congiura di Aman contro gli ebrei con il re di Persia, sventata dalla preghiera di Ester (V); nel placarsi della tempesta sul lago di Genezareth; nella liberazione di Paolo dalla prigione. – Cristo ha promesso di rispondere alle nostre preghiere: Se chiederete qualcosa nel mio nome, io ve la darò” (Gv XIV, 14). “Qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, egli ve la darà” (ib. XVI 23).

Il Cristo ci ha insegnato, nel Padre nostro, a chiedere questi diversi beni al Padre celeste.

Nella seconda petizione chiediamo la felicità eterna, nella terza la grazia di raggiungerla, nella quarta i beni temporali indispensabili, nella quinta il perdono dei peccati, nella terza il perdono dei peccati, nella 6ª e 7ª l’aiuto nel momento del bisogno. La parola Amen esprime la fiducia che Dio ascolterà le nostre preghiere.

2 . LA SPERANZA CRISTIANA NASCE DALLA FEDE PROMESSA DA DIO, PERCHÉ LA FEDE CI INSEGNA CHE DIO È INFINITAMENTE FEDELE, POTENTE E BUONOE CHE GESÙ HA GUADAGNATO TUTTE QUESTE COSE PER NOI.

La speranza nasce dalla fede come il tronco dalle radici; sono due sorelle. (S. Greg. M.) La fede stabilisce l’esistenza dei beni e la possibilità di averli; la speranza ce li fa desiderare e attendere. – Siamo convinti che Colui che chi ha proibito la menzogna è Lui stesso incapace di ingannare (S. Clem. Rom.), per cui dice Paolo: “Restiamo saldi nella professione della nostra speranza, perché Colui che ci ha promesso è fedele (Eb. X. 23). – Siamo anche più convinti che Dio, al quale nulla è impossibile (S. Luc I, 37), sia abbastanza potente da adempiere la sua promessa (Rm IV, 18); che Dio, che è Amore (I. S. Giovanni IV, 8), dia anche più volentieri di quanto riceviamo (S. Ger.); che Gesù Cristo con il suo doloroso sacrificio abbia meritato per noi la felicità eterna e i mezzi per raggiungerla. – Agostino osserva: “Non potevo, a causa della grandezza dei miei peccati, sperare né nel perdono né nel paradiso, ma oso sperare per i meriti di Gesù Cristo di essere salvato con la penitenza e l’osservanza dei comandamenti. “Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi: come non avrebbe potuto darci tutti con Lui?” (Rm VIII, 32). – Questa ferma convinzione che Dio sia sommamente fedele, potente e buono, che Cristo ci abbia meritato ogni bene, si chiama fiducia in Dio; questa virtù è la radice della speranza. Quanto più vigorosa è questa radice, tanto più salda è la nostra speranza. Questa fu la virtù della donna malata che toccò la frangia della veste di Gesù mentre questi si recava a casa di Giairo (Matteo IX, 22).

3. I BENE PROMESSI DA GESÙ CRISTO POSSONO ESSERE SPERATI SOLO DAL FEDELE OSSERVANTE DEI COMANDAMENTI O DAL PECCATORE PENTITO.

“Chi mi dice Signore! Signore! non entrerà nel regno dei cieli, ma solo chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. (S. Matth. VII, 21) I peccatori possono sperare in Dio solo quando si pentono seriamente delle loro colpe.

La speranza senza la virtù è presunzione. (S. Bern.) Il crudele re Antioco, il carnefice dei fratelli Maccabei, già divorato dai vermi, sperava nell’aiuto divino. (II. Macch. IX, 13). La stessa sorte toccò a Gerusalemme, assediata dai Romani (a. 70). Speriamo invano in Dio quando non facciamo il bene (S. Lor. Giust.). – Se al contrario l’empio fa penitenza per i suoi peccati ed esercita la giustizia e la rettitudine, Dio dimenticherà le sue iniquità. (Ezech. XVIII, 21). Manasse, re di Giuda, condusse il suo popolo all’idolatria e fece uccidere diversi profeti. Dio lo consegnò ai suoi nemici che lo portarono in catene a Babilonia e lo gettarono in una prigione. Poi si lamentò dei suoi crimini, promettendo sinceramente di correggersi; Dio lo liberò e gli restituì il trono, Manasse distrusse i templi dei falsi dei. (II. Paral. XXXIII). La storia di Giona ci insegna la stessa verità.

Il giusto, d’altra parte, può sperare che Dio provveda a tutte le sue necessità a tutti i suoi bisogni; tuttavia l’uomo giusto deve sforzarsi di acquisire i beni che spera da Dio.

“Cercate prima – disse Gesù – il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”. (Matteo VI, 33). Siamo servi di Dio; dobbiamo obbedire ai suoi comandi; Egli provvede alle nostre necessità e ci dà il nostro salario. “Spetta a noi servirlo, a Lui prendersi cura di noi. Dio non ha mai abbandonato chi ha osservato fedelmente i suoi comandamenti. (Eccli. Il, 12). Dio non abbandona i suoi. Lo offenderemmo se non avessimo piena fiducia in Lui (S. Aug.), per cui S. Pietro dice: “Gettate tutte le vostre preoccupazioni sul Signore. Affidate al Signore tutte le vostre preoccupazioni, perché Egli ha cura di voi.” (I. S. Pietro, V, 7). – Nonostante questa cura, noi stessi dobbiamo sforzarci di acquisire i beni promessi da Dio. “Il nostro corpo e la nostra anima hanno facoltà che sono come la chiave del cielo e della terra; chi rifiuta di usare questa chiave sarà indigente: Dio ci dà solo ciò per cui le nostre forze non bastano”. (Alb. Stolz). Dobbiamo sperare nel meglio, ma anche ottenerlo. (S. Car. Bor.) Aspettare l’aiuto divino senza fare ciò che possiamo è tentare Dio (S. Fr. di S.). Se, dunque, vogliamo recuperare la salute, dobbiamo prima usare i mezzi che la procurano. Dio farà il resto: non è lecito chiedere prima un miracolo. S. Paolo aveva il dono dei miracoli e tuttavia raccomandava a Timoteo di di prendere un po’ di vino nell’interesse della sua salute. (I Tim. V, 23). Il lavoratore senza deve prima cercare un lavoro; solo allora può sperare in un aiuto speciale da parte di Dio. Questa osservazione si applica a tutte le difficoltà in cui l’uomo possa trovarsi. Aiuta te stesso e il cielo ti aiuterà!

4. LA SPERANZA CRISTIANA DEVE ESSERE ACCOMPAGNATA DA UN SALUTARE TIMORE DEL PECCATO.

La speranza è un abito con due maniche: una è la fiducia nella misericordia di Dio, l’altra è il timore della sua giustizia (Santa Brigida). Dio vuole che noi lavoriamo alla nostra salvezza con timore e tremore (Fil. II, 12). Nessuno può essere sicuro di appartenere al numero degli eletti o di perseverare nella grazia fino alla morte. (Concilio di Tr. 6, can. 15, 16). Il marinaio in mare, fuori dal porto, ha sempre da temere, nel tempo più calmo, una tempesta che potrebbe farlo naufragare; il Cristiano, allo stesso modo, vive nel perpetuo timore della tentazione. (S. Macario). Navi eccellenti e molto grandi sono spesso naufragate davanti al porto, mentre sono arrivate navi vecchie. (S. Gugl.). Alcuni uomini favoriti dall’ispirazione divina, come Salomone, sono diventati empi in vecchiaia, mentre peccatori come Maria Maddalena, Agostino, sono diventati grandi Santi. Anche gli Angeli sono caduti molto in basso e sono stati riprovati in eterno. Il più abile dei costruttori di tetti è sempre sospeso nel pericolo di cadere. (S. G. Cris.) Chi pensa di essere in piedi, si guardi bene dal cadere. (I. Cor. X, 12). Portiamo il tesoro della grazia in vasi fragili. (II Cor. IV, 7). Il dubbio su se stessi è il protettore della speranza. (S. Aug.) Speranza e timore devono essere uniti; dove regnano, si conquista la corona del cielo. (S. G. Cris.) La speranza ci dà la forza di camminare, il timore ci rende lungimiranti; la speranza è il vento che soffia, la paura è la zavorra; il vento spinge la nave verso la meta, la zavorra mantiene l’equilibrio: entrambi sono necessari per il successo della navigazione. (Scaramelli). – Il timore non diminuisce la speranza, anzi la aumenta. Fiducia in Dio e la sfiducia in noi stessi sono come i piatti di una bilancia: quando uno sale l’altro scende; più abbiamo sfiducia in noi stessi, più abbiamo fiducia in Dio, e viceversa (S. Fr. di S.).

5. LA SPERANZA CRISTIANA È UN DONO DI DIO, PERCHÉ LA CAPACITÀ DI SPERARE SI OTTIENE DOLO CON LA GRAZIA SANTIFICANTE.

11. La speranza è come la fede. – È lo Spirito di Dio che risveglia in noi il desiderio dei beni eterni e ci riempie di fiducia in Dio. Più alto è il grado di grazia santificante (più una persona è cristiana), più perfetta è la facoltà di sperare. I Santi hanno la speranza più forte alla fine della loro vita; la speranza assomiglia ai fiumi più ampi vicino al mare. – Noi saremo obbligati a compensare in purgatorio ciò che manca alla nostra speranza quaggiù.

II. frutti della speranza cristiana

1. Chi spera in Dio gode di una speciale protezione da parte di Dio. Ne abbiamo una prova nei tre giovani nella fornace, in Giuseppe prigioniero in Egitto, nella Madre di Dio che sta per essere abbandonata da Giuseppe, nella liberazione di Vienna assediata dai Turchi nel 1683. Per due mesi (dal 16 giugno al 12 settembre) Vienna fu bloccata da 250.000 turchi e aveva solo una guarnigione di 16.000 uomini comandata dal valoroso Stahremberg. I turchi lanciarono diversi assalti e avevano fatto saltare una parte delle mura della città; ma più la situazione diventava

disperata, più cresceva la fiducia in Dio. E infatti, all’ultimo momento arrivò l’esercito liberatore, composto da soli 90.000 uomini, sotto il comando del re di Polonia Sobieski. La battaglia durò un giorno intero, ma i turchi furono completamente sbaragliati. – Una storia simile è raccontata nella vita di Ferdinando II, poi imperatore di Germania. All’inizio della Guerra dei Trent’anni (1619), questo principe fu fortemente minacciato a Vienna dagli insorti. Si gettò ai piedi di un crocifisso e pregò con fervore. Tuttavia, gli insorti erano penetrati in Hofburg e stavano cercando di strappare concessioni per i protestanti. Ma Ferdinando, confidando in Dio rifiutò di cedere, e all’improvviso si udì il suono delle trombe: erano 500 dragoni condotti da S. Ilario (Weiss IX; p. 186)..Dio salva coloro che sperano in Lui (Dan. XIII, 60). Un Cristiano che spera in Dio può essere attaccato, ma non sconfitto (S. Cipr.). Egli somiglia ad una armata solida garantita da una riserva (S. Fr. di S.) Chi confida in Dio è inamovibile come il monte Sion. (Sal. CXXIV, 1), una montagna, dice san Giovanni Crisostomo, una montagna che non può essere scossa o rovesciata, per quanto numerose siano le macchinazioni dirette contro di essa. Chi ripone tutta la sua fiducia in Dio, ottiene da Lui una protezione speciale; può essere sicuro di non essere colpito da nessun male reale (S. Vinc. de P.), e quanto maggiore è questa fiducia, tanto maggiore è l’aiuto divino in tutti i pericoli. (S. Fr. di S.) Nessuno di coloro che hanno fiducia in Dio sarà confuso (Eccli. II).

2. CHI SPERA IN DIO OTTERRÀ TUTTO DA DIO, PERCHÉ – DICE GESÙ CRISTO – È IN GRADO DI “SPOSTARE LE MONTAGNE “. (S. Marco XI, 23).

Spostare le montagne significa superare gli ostacoli più grandi. Si racconta di S. Gregorio il Taumaturgo che abbia realmente trasportato una montagna (+ 270). Confidando in Dio, Mosè divise il Mar Rosso con il suo bastone, ed Elia ottenne la pioggia dopo una lunga siccità. La speranza è una freccia che attraversa il Sacro Cuore e fa scorrere il fiume della misericordia sull’anima fiduciosa.(Mar. Lat.) L’uomo riceve in proporzione a ciò che spera. (S. Giov. della Croce). Chi spera è ricco prima di possedere ricchezze (S. Giov. Clim.).

3. CHI SPERA IN DIO È FORTIFICATO DA LUI; È IMPAVIDO DI FRONTE AGLI UOMINI, PAZIENTE E GIOIOSO NELLE TRIBOLAZIONI, SOPRATTUTTO DI FRONTE ALLA MORTE.

La speranza cristiana dà una forza sovrumana; agisce come una leva che solleva i carichi più pesanti. Quanto fu impavido Davide di fronte a Golia? Leone Mahno davanti ad Attila. (452). Una volta San Martino fu assalito da briganti e minacciato di morte. Wiesyi gli domandato perché non avesse paura, rispose: “Sono Cristiano e sono sotto la protezione divina. Io non ho motivo di temere, ma voi sì”. Colui che spera in Dio non si preoccupa né del favore dej potenti, né di ciò che dirà la gente (I. Cor. IV, 3). – Chi spera in Dio è paziente nelle sue sofferenze, perché sa che “le sofferenze di questa vita non sono paragonabili alla gloria futura che si rivelerà in noi (Rom. Vlll, 18). Giobbe era così paziente perché aspettava con ansia la resurrezione e la e la ricompensa che verrà. (XIX, 25). E come si può essere tristi quando si ha davanti la corona dell’eternità? Il cammello nel deserto riprende il cammino non appena sente l’odore dell’acqua, anche da lontano. E Paolo grida nelle sue tribolazioni: “Trabocco di gioia in mezzo ai miei dolori” (II Cor. VII, 4). Desidero liberarmi dal mio corpo ed essere con Cristo (Phil. 1, 21); non mi resta che attendere la corona di giustizia che mi è riservata e che il Signore, come giusto giudice, mi renderà nel gran giorno. (II Tim. IV, 8). 8. Andrea morì con la più grande gioia, quando vide la croce alla quale doveva essere legato e gridò: “Salve, o croce preziosa, santificata dalla morte del mio Dio! Vengo a te con gioia! Quanto ti ho desiderato!” (+62). S. Ignazio di Antiochia (+ 107) si rallegrava quando udì la sentenza di Traiano, e quando i Cristiani di Roma volevano liberarlo li pregò di non togliergli la corona dei martiri. “Non temo – disse -i denti delle bestie feroci, né lo strappo delle mie membra, purché io ottenga Cristo”. S. Lorenzo condannato ad essere arrostito su una griglia per non aver consegnato i tesori della Chiesa al Prefetto di Roma, rideva con il suo giudice mentre veniva torturato: “Puoi girarmi, perché da questa parte sono già abbastanza cotto”. (f+253). Santa Cecilia disse ai suoi carnefici: “Morire per Cristo è come scambiare il fango con l’oro, una capanna con un palazzo”. (+ 230). La speranza è un’ancora solida per l’anima (Eb. VJ, 19); come l’ancora protegge la nave dalla tempesta, così la speranza preserva l’anima dal naufragio, con questa differenza, che l’ancora riposa nelle profondità del mare e la speranza nelle altezze del cielo. (S. Th. Aq.) L’aquila durante la tempesta si alza sulle sue ali verso le regioni serene regioni serene dove splende il sole, così noi ci innalziamo sulla speranza al di sopra di tutte le preoccupazioni e i dolori terreni.

4. LA SPERANZA CRISTIANA CINPORTA CON FORZA A8LLE BUONE OPERE E ALLA VIRTÙ EROICHE.

È la speranza che conduce i missionari alle nazioni della terra. La speranza del raccolto, l’attesa della ricompensa, il desiderio di gloria, sostengono l’operaio, ma la speranza cristiana è molto più solida, perché speriamo in ciò che la verità stessa ha promesso (San Paolino). La nostra speranza è così certa come un avvenimento passato.(S. Aug.). Costruire sul Bene è costruire su un fondamento incrollabile.

5. LA SPERANZA CRISTIANA CONDUCE ALLA VITA ETERNA.

Chi ha speranza è sicuro della sua salvezza, come chi ha un nocciolo, è sicuro dell’albero che pianterà: perché la felicità eterna è contenuta nella speranza. (S. Th. Aq.) È attraverso la speranza che siamo salvati. (Rom. VIII, 24). S. Bernardo paragona la fede nell’onnipotenza, fedeltà, l’amore di Dio ad un triplice cordone indissolubile che dall’alto della patria si getta nella nostra prigione, lungo il quale dobbiamo salire fino alla visione della sua gloria. La casa di Dio (cioè la santità) è fondata sulla fede, è innalzata dalla speranza e completata dalla carità. (S. Aug.) – In cielo non ci sarà più speranza, perché lì possederemo i beni che abbiamo desiderato e atteso.

III. I difetti della speranza cristiana.

La speranza cessa di essere gradita a Dio se speriamo da Lui più o meno di quanto abbia promesso.

1. NON DOBBIAMO CONFIDARE NELLE NOSTRE FORZE, O NEI MEZXI UMANI PIÙ CHE IN DIO, ALTRIMENTI SUAMO SVERGOGNATI, PERCHÉ NILLA È SICURO AL DI FUORI DI DIO.

*Riportiamo qui, per semplicità, la etimologia della parola latina spes, speranza, citata da S. Isidoro. Egli mette questa parola in relazione con pes piede, e per il santo la speranza sarebbe altrettanto necessaria per la salvezza che il piede per camminare.

La speranza di chi si affida solo ai mezzi umani non è cristiana o divina, ma terrena. Pietro nell’Ultima Cena si vantò del suo coraggio e poi rinnegò il Maestro. Golia si fece beffe degli israeliti e fu presto ucciso. Napoleone si fece beffe della scomunica papale contrapponendovi i suoi eserciti, che presto perirono nella campagna di Russia (1812). Francesco Borgia aveva riposto tutta la sua fiducia nella sua protettrice, la regina Isabella; ma lei morì ed egli riconobbe il suo errore. È meglio affidarsi a Dio che agli uomini. (Sal. CXVII, 8). Non riporre la tua fiducia nei principi. (Sal. XLV, 2). Costruire su un fondamento umano è costruire sulla sabbia. (Discorso della Montagna). Coloro che ripongono la loro fiducia negli uomini, saranno svergognati come i sacerdoti di Baal sul Carmelo (III Re XVIII). Confidare in se stessi significa non avere altro protettore che se stessi. Dio non protegge chi non chiede il suo aiuto (S. Aug.). Solo chi ha la speranza cristiana può gridare: “È in te, Signore, che ho riposto la mia fiducia, non sarò confuso in eterno”. (Sal. XXX, 2).

2. NON DOBBIAMO MAI DISPERARE, CIOÈ NON DOBBIAMO MAI PERDERE LA FIDUCIA CHE DIO PERDONERÀ I NOSTRI PECCATI E CI AIUTERÀ NEL MOMENTO DEL BISOGNO.

Caino cadde nella disperazione quando disse: “Il mio crimine è troppo grande per essere perdonato”. (Gen. IV, 13). Allo stesso modo, Saul, quando i Filistei lo pressavano da tutte le parti in battaglia, si gettò sulla sua spada (I. Re XXXI). I Cristiani non devono mai disperare, perché la misericordia di Dio è infinita e l’aiuto divino è tanto più vicino quanto più è pressante il pericolo.

Prima del peccato, dobbiamo temere la giustizia; dopo il peccato, dobbiamo confidare nella misericordia. (S. Greg. M.). Chi dubiterebbe di poter pagare i propri debiti in presenza della tesoreria reale, dove gli sarebbe permesso di farlo? Chi, dunque, potrebbe dubitare della misericordia divina?

La malizia degli uomini di fronte alla bontà di Dio è meno di una scintilla che cade nell’oceano (S. G. Cris.). Dio sembra addirittura ricevere il peccatore pentito con maggiore gioia, perché questo perdono lo glorifica maggiormente.

La disperazione porta spesso al suicidio e quindi alla morte eterna.

Ne abbiamo una prova in Giuda. La disperazione è un peccato incurabile contro lo Spirito Santo. “La speranza apre il cielo, la disperazione lo chiude”. (S. Isid.) Chi dispera della misericordia di Dio lo offende come chi dubita della propria esistenza. (S. Aug.). Giuda offese il Maestro divino meno vendendolo che dubitando della sua bontà (S. Gir.); è morto meno per il suo crimine che per la sua disperazione. (S. Aug.) Peccare è uccidere l’anima, ma disperarsi è già gettarsi all’inferno. (S. Isid.)

3. LA PRESUNZIONE NELLA MISERICORDIA DIVINA È UN PECCATO, CIOÈ È PECCAMINOSO PERSEVERARE NELNPECCATO PENSANDO CHE DIO NELLA SUA MISERICORDIA NON CI DANNERÀ.

Fiducia in Dio e timore devono essere sempre in equilibrio. È una colpa quando la paura sopprime la speranza (disperazione), ma non è meno peccaminoso sopprimere del tutto la paura, quando ci convinciamo che la nostra salvezza

sia scontata (presunzione), o che Dio non ci rifiuterà mai il suo aiuto (tentazione di Dio). È sciocco credere solo alla misericordia di Dio e non alla sua giustizia. “Non abusiamo della bontà di Dio per

per non cadere sotto i colpi della sua giustizia” (S. Bern.) “Se non fate penitenza, dice Gesù Cristo, perirete tutti senza eccezione” (S. Luc. XIII, 3). Che nessuno dica: “Mi confesserò a questa colpa, mi convertirò alla fine della mia vita”. Al contrario, come san Gregorio di Nazianzo, dica: “Sono profondamente addolorato, o mio Gesù crocifisso, di averti disprezzato e offeso, proprio perché sei il mio Dio” perché avrei dovuto onorarti e amarti di più”.

4. NON DOBBIAMO MAI TENTARE DIO, CIOÈ NON DOBBIAMO MAI ESPORCI AD UN PERICOLO SENZA UN MOTIVO CON IL PENSIERO CHE DIO CI AIUTERÀ.

Solo chi fa ciò che Dio gli chiede può sperare nell’aiuto di Dio; quindi, chi non si preoccupa della volontà di Dio, chi agisce senza sufficiente motivazione, sarà abbandonato da Dio. La Scrittura dice quindi che chi ama il pericolo perirà in esso. (Eccli. III, 27). Il demonio voleva indurre Cristo a tentare Dio, suggerendogli di precipitarsi dalla terrazza del tempio. (S. Matth. IV, 6). Colui che, in una grave malattia, trascura di chiamare il medico o di prendere i rimedi, pensando che Dio lo guarirà senza farlo, offenderebbe Dio, a meno che non sappia per esperienza che il suo temperamento possa fare a meno di questi mezzi, a meno che i rimedi non siano al di là delle sue possibilità. Nella Chiesa, colui che presuntuosamente si gettava davanti al supplizio non era onorato come martire, anche se dava la vita per la fede. “La tentazione di Dio è un grande disprezzo di Dio.” (S. Alf. de Liguori).

Fine della prima parte.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

LO SCUDO DELLA FEDE (273)

LO SCUDO DELLA FEDE (273)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (16)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVI

MIRACOLI

I. I miracoli sono impossibili. II. Dei miracoli più non se ne sono. III. Magnetismo, tavole parlanti. IV. È impossibile conoscere se un fatto sia miracolo o no.

I miracoli sono la prova più splendida che la religione vantano a suo favore, e prova che parla ai sapienti, non meno che agli ignoranti, e prova che s’intende eziandio da chi non ha gran forza d’intendere. Non è dunque maraviglia che dagl’increduli sia così frequentemente impugnata e così spesso derisa: ma chi consideri alquanto a bell’agio le ragioni con cui viene impugnata, vedrà chiaro con quanto infelice successo il facciano.

I. Dicono in primo luogo alcuni che i miracoli siano impossibili. A un solista che negava la possibilità del moto e che difendeva questa sua balordaggine con infinite ragioni, un antico non diede altra risposta che questa. Presolo sotto il braccio, gli fece fare il giro per tutta la sala ove disputava, e poi l’interrogò: È egli possibile il moto? Or noi potremmo dire il somigliante nel nostro caso. Vi ha egli dei miracoli? Sono essi provati con tutto rigore? se vi sono, dunque sono possibili: questa risposta non ammette replica. E tuttavia questa prima osservazione può afforzarsi con un’altra d’immenso peso. Se i miracoli sono impossibili, non per altro il sono se non perché involgono una intrinseca repugnanza. Ora che cosa diventa tutto il Vangelo, il quale ne racconta tanti operati da Gesù Cristo e dagli Apostoli, se ci narra come verità fatti impossibili, perché repugnanti intrinsecamente? Tutto il Vangelo, quindi tutto il Cristianesimo con tutte le sue opere e tutte le sue meraviglie, diventano una favola. Eppure tant’è; se essi involgono intrinseca contraddizione, niuno ha mai potuto operarne pur un solo. Come al contrario se un solo miracolo è stato operato, non è più impossibile operarne migliaia. – Tuttavia, ascoltiamo un poco la ragione di questa pretesa impossibilità. Se succede un miracolo, dicono, questo sarebbe una violazione delle leggi fissate ab eterno da Dio; dunque, Iddio cambierebbe i suoi decreti, dunque diventerebbe mutabile siccome noi. Ho sentito io più d’una volta fare questa difficoltà e con tal aria di trionfo come se per mezzo di essa si dovessero confondere tutti i dottori ed atterrare tutto l’edilizio della santa Chiesa. Orsù adunque vediamone tutta la forza. Iddio ha stabilite le leggi della natura? Signor sì. Iddio le ba stabilite immutabilmente? Sia pure. Le ha stabilite da tutta l’eternità? Concediamo anche questo. Dunque non può più farvi eccezione di sorta coi miracoli? State attento che non vi sguizzi di mano la conseguenza. Imperocché Dio non aveva da tutta l’eternità anche presente quell’occasione in cui, per un suo giusto fine, poteva fare a quelle leggi una eccezione ? Certo sì, se non gli negate la scienza del futuro. Or se nel sancire ab eterno le leggi della natura, avesse sancito anche che quelle leggi rimanessero sospese in determinate occasioni, non sarebbero anche queste sospensioni decretate ab eterno? Un orologio dispone il moto continuo delle sue ruote, ma per aver poi al debito tempo lo scocco delle ore, ha egli bisogno di mutare il meccanismo dell’oriuolo? niente affatto. Egli prevede l’uno e l’altro insieme, e mentre dispone il moto successivo delle ruote, ordina anche lo scocco a tempi opportuni. Così Iddio mentre sancisce le leggi ordinarie e continue della natura, costituisce eziandio le eccezioni che Egli vuol farvi a tempo determinato. Or dov’è qui il cambiamento di Dio, la violazione de’ suoi decreti e tutta la pretesa impossibilità?

II. Dei miracoli or più non se ne fanno. Ebbene fosse anche vero che più non se ne facessero al presente, forse perciò rimarrebbero astratti quei che si fecero in passato? Dunque non sarebbero le attestazioni di cose pubbliche, avvenute al cospetto di moltitudini intiere? Dunque non sarebbero più da credere i Santi più grandi e gli uomini più dotti, che resero testimonianza a quello che videro coi loro occhi? Se non ci fossero al presente miracoli, niuno però distruggerebbe il fatto dei miracoli passati, i quali comprovano la verità del Cristianesimo. – Ma è poi falsissimo che non ve ne siano più al presente. Nella Chiesa cattolica non vennero meno in verun secolo, ed essi durano fino ai di nostri. Se io volessi citarne alcuno avvenuto sotto i miei occhi, io il potrei fare; ma io non ho diritto di essere creduto sulla parola: ben citerò quelli che nelle cause dei Santi ogni giorno sono esaminati in Roma. Non si tratta in esse di miracoli , de’ quali possono essere molti e di ogni fatta i sindacatori? Si istituisce l’esame di essi dinanzi ad uomini d’ogni nazione, sulla fede di testimonii oculari e tanti in numero, che escludo ogni possibilità d’errore; si consultano gli uomini più esperti delle scienze per verificare se gli effetti, di cui si tratta, possano spiegarsi in qualche modo naturalmente; e si ventila tutto ciò con tutto rigore, che fino a tanto che resta un’ombra di dubbio in contrario, si soprassiede al tutto dall’approvazione di essi. In niun giudizio criminale si richiedono tante prove per mandare un accusato al patibolo, quante ne richiede la Chiesa prima di definire la verità di un miracolo. Si veggano queste cautele enumerate da Benedetto XIV, si leggano i processi, le posizioni, le consultazioni che si fanno in proposito, e poi s’impugni la loro certezza e verità. Ora di questi ve ne ha una sequela continua di età in età fino a’ dì nostri. – E mi limito a questi soli, per non dir nulla di quei tanti più che sono indubitatissimi, e che tuttavia accadono di frequente anche ai nostri tempi. La Vergine benedetta ne’ suoi santuarii ne impetra ogni anno di molti e solenni e strepitosi. In Italia S. Antonio da Padova, S. Luigi Gonzaga, S. Filippo Neri, S. Francesco di Girolamo, ne sono una inesauribile sorgente. In Francia alla tomba di S. Francesco Regis ne succedono ogni anno ed indubitati secondo ogni regola di critica più severa. In Ispagna l’Apostolo S. Iacopo e S. Isidoro non vengono mai meno alla fede dei lor devoti. S. Francesco Xaverio ne ha riempito tutto l’Oriente, e fino a’ dì nostri è un verissimo taumaturgo. Io so bene che con un sorriso di disprezzo certi profondi filosofi de’ nostri tempi si spacciano di queste testimonianze: ma possiamo anche noi con un sorriso di compassione spacciarci di tutte le loro beffe ed irrisioni, e mantenere esser falsissimo che il tempo dei miracoli sia passato. – Quel che solo può accordarsi è che ora non procedano con quella frequenza onde già accadevano nei primi tempi, ma anche di ciò vi è buona ragione che dimostra così dover essere. S. Gregorio osserva opportunamente, che agli arboscelli s’infonde l’acqua più frequentemente finché sono teneri, poiché non reggerebbero ai venti ed al solleone altrimenti, ma gettate che abbiano profonde radici e cresciuti in bel corpo si abbandonano a quelle piogge che il cielo manda a’ tempi consueti. Similmente nei primi anni ed in faccia agl’infedeli che avevano da convertirsi, erano più necessari i miracoli, quali mezzi straordinari che rendevano credibile la fede; laddove ai nostri tempi, stabilita già essa universalmente ed allevati in essa i fedeli fin dalle fasce, più non abbisogniamo di questi mezzi tanto straordinari. – Molto più che la fede allora di niun’altra prova poteva confortarsi meglio, che di quella che si trae dai miracoli, mentre a’ dì nostri ve ne sono altre molte che tengono le veci di quella. A’ dì nostri può la fede schierare in bella mostra tante profezie che di secolo in secolo si sono avverate; può la Chiesa romana mostrare la sua durata, la sua dilatazione, le sue lotte, le sue vittorie, la costanza dei suoi martiri, la successione non interrotta dei suoi pastori, e andate dicendo. Tutte queste prove, col volgere dei secoli, acquistano sempre forza maggiore, e però non è meraviglia che essa non abbisogni più tanto di quelle prove, che ai primi tempi erano quasi le sole. Nel che finalmente si discopre la bellissima economia con cui Iddio regge tutta la Chiesa, rifornendola in vari tempi di vani aiuti, secondo che essa ne abbisogna.

III. Se non che una nuova difficoltà presenta il nostro secolo contro i miracoli, colla quale si crede di atterrarli tutti e per sempre. Il mesmerismo o magnetismo animale, che vel vogliate chiamare, non basta esso solo coi suoi fatti stupendi a decifrare tutti i miracoli? Basta considerare i fenomeni della lucidità magnetica per rimanerne convinti. E se a questo primo ordine di fatti voi aggiungete le tavole parlanti, semoventi e gli spiriti che vengono sino dall’altro mondo per recarci novelle di loro, avrete tolta perfino l’ombra dei miracoli. Così discorrono non pochi a voce, ed alcuni anche in istampa. Veramente se non si udissero colle proprie orecchie certe assurdità, non si potrebbero credere; ma pure è così. – Prima però di rispondere direttamente a queste difficoltà, vi prego, o lettore, a fare un’osservazione generale. I libertini dicono sempre che essi non possono credere, che la ragione loro nol consente, che noi Cattolici siamo troppo creduloni; e poi quando si viene al fatto, non vi è razza al mondo che creda più di loro e di primo slancio ad ogni assurdità, purché col favore di essa possano discredere a Gesù Cristo. – Nel secolo scorso, come ognun sa, l’incredulità toccò il sommo a cui possa pervenire, mercè i filosofi e gli enciclopedisti. Ebbene, qual cosa non fu creduta? Quelli che, per ragione di critica, non potevano credere al vecchio ed al nuovo Testamento, poterono credere subito a tutte le fole degli annali cinesi, scritti evidentemente per adulare il popolo con una favolosa antichità, sperando di potere con essi dimostrare falsa la cronologia della Genesi. Credettero che un codice scoperto nell’India, ed opera di un recente missionario, fosse di un’età antichissima, sperando di potere con esso dimostrare, essere bastante la ragione a scoprire il vero senza il lume della rivelazione. Credettero che due emisferi scoperti in Egitto rappresentassero una configurazione del cielo non possibile ad aver luogo, se non tanti secoli prima dell’epoca di Mosè determinata al mondo. Credettero sulla fede di viaggiatori umoristici che vi avessero popoli senza culto; credettero che in certe parti d’America v’avessero uomini colla coda; credettero che al di là del Giordano i Giudei avessero regni fiorentissimi: e che non credettero sulla speranza di poter impugnare un testo della Scrittura o recare in dubbio un fatto di essa? Come va dunque che, mentre credono tante cose incredibili, penano poi tanto a credere mirali pubblici, solenni, attestati da uomini dotti, comprovati da uomini santi, che incontrerebbero mille morti piuttostoché mentire in sì grave materia? Se alcuno rispondesse che il solo odio portano alla cattolica verità ne è la causa, andrebbe poi forse lungi dal vero? – Ciò presupposto, veniamo a noi: il mesmerismo e lo spiritualismo possono forse torre fede ai miracoli? Niente affatto: neppure indebolirla presso chi ragioni anche per poco. Io dirò nel capo seguente qualche cosa della malizia e perversità di questi tentativi, qui mi limiterò a sciogliere la difficoltà che da essi si trae contro i miracoli. Suppongo per un momento che siano verissimi tutti i fenomeni, che ci spacciano i più esperti ammiratori di cotesta nuova scienza. Concedo che i magnetizzati leggano ad occhi chiusi ciò che è scritto anche in lingue ignote, che scoprano nelle viscere degl’infermi i malanni che li tormentano, che conoscano i rimedi che stanno occulti nelle viscere della natura, che vedano il presente e l’avvenire, quel che han dappresso e quel che è lontano. Similmente concedo che le tavole si muovano da sè medesime, parlino, rispondano ai quesiti che lor si fanno, che gli spiriti vengano dall’altro mondo e si diano a conoscere e rivelino arcani segreti e tutto quello che volete. Ammetto per un momento quanto sanno chiedere da noi gl’impugnatori dei miracoli: ma dopo tutto ciò fo loro alcune domande. Come dite adunque che sono scoperte del nostro secolo tutte queste scienze, quando poi pretendete che gli antichi non solo le conoscessero, ma se ne valessero a fare quei prestigi, che poi vendevano alle moltitudini come miracoli? Qui vi è contraddizione. Dovreste dire piuttosto che il secolo nostro ha messe fuori tutte queste invenzioni, perché le aveva vedute nei nostri taumaturghi. – In secondo luogo, come avvenne poi che nell’antichità, a conoscere tali segreti, non fossero altro che gli uomini riconosciuti di virtù più perfetta, di vita più incolpata, mentre tutti i loro coetanei, d’ingegno e di espertezza anche maggiore, non ne ebbero mai sentore? È strano davvero l’accoppiamento dello spiritualismo e del magnetismo antico colla santità; certo a’ nostri giorni è meno schizzinosa cotesta scienza e si affratella con tutti, ed i maligni dicono anzi che bazzica più frequente coi dissoluti e colle baldracche. – Terzo, i miracoli de’ tempi andati li leggiamo costantemente operati in ordine a confermare qualche verità importante per fini di gloria del Signore o per vero vantaggio delle anime, non mai per leggerezza o motivi frivoli, e molto meno peccaminosi; ora come avviene che al presente i fenomeni dello spiritualismo e del magnetismo si adoprino per curiosità vanissime, spesso gravemente peccaminose? Come è avvenuto questo cambiamento? – Di più il magnetismo e lo spiritualismo potranno fare le più nuove maraviglie del mondo, ma quando sono attuati in quella maniera che viene prescritta dai professori di codeste arti. Per esempio, affine di avere consulti in fatto di sanità, bisogna prima che si trovino due persone, un magnetizzatore ed una magnetizzata; bisogna che questi sia dotato di un fluido magnetico più gagliardo che non è quello dell’altra; bisogna che si accordino insieme con la volontà; bisogna che questi operi sopra di essa non fosse altro che col guardo o col comando, o con un atto di volontà, affinché ella entri nel sopore voluto: da questo stato deve ella passare a quello che chiamano di lucidità: finalmente s’ha da porre la magnetizzata in relazione colla persona intorno a cui si consulta, o si faccia poi per mezzo della viva presenza, o dei capelli, o di checché altro abbia alla medesima appartenuto. Similmente, per evocare uno spirito dall’altro mondo, ci vuole una persona che faccia da mezzana (medium); bisogna che vi sia una convenzione di segni che equivalgano a parole; bisogna far domande per averne risposte, e che so io. Poi tutto si riduce in ultimo ad avere dei consigli, delle parole, non mai dei fatti. – Ora, quando si tratta dei miracoli de’ nostri Santi, non si vede nulla di tutto ciò; poichè sono fatti nelle circostanze che escludono persino la possibilità d’attuare que’ mezzi, con cui voi affermate che diventerebbero effetto naturale, ed escludono le operazioni magnetiche e spiritualistiche, se mi è lecito parlare così, sino alle ultime tracce. – I nostri miracoli avvengono talora intorno all’aria, al fuoco, all’acqua, o ad altra creatura insensata. Ad un segno di croce vedete incendi spenti, turbini acquetati, tempeste sedate, veleni rimasti senza virtù, e che so io: si può dunque magnetizzare l’aria, i turbini, l’oceano, la natura inanimata? I nostri miracoli si operano spesse volte da un solo, il quale risorge tutto improvviso da un letto ove giacevasi moribondo, o cammina sopra le acque, o non brucia tra le fiamme: or dov’è qui la magnetizzata o il medium per cui mettere in atto quelle cause? Succedono i nostri miracoli frequentemente alle tombe dei Santi, dove altri ricovera le forze, altri la mente, altri le membra perdute, altri la calma di spirito. Or come avviene ciò? Forse i morti magnetizzano i vivi, o fanno essi da medium ed ogni cosa? Succedono i nostri miracoli ad una semplice invocazione dei Santi che regnano in cielo, o col contatto d’una reliquia, o col riverirli in una immagine. Potrà dunque ognuno che il voglia da sè magnetizzarsi e da sé imperare agli spiriti per averne qualunque effetto? – Ma soprattutto i nostri miracoli non sono parole, sono fatti. Tutte le dicerie dei magnetizzati, tutte le rivelazioni degli spiriti si riducono a consigliarvi quel che avete da fare o dire per giungere ad un vostro intento, ma non vel fanno ottenere nel punto stesso. Nei nostri miracoli interviene tutto l’opposto. Non vi prescrivono le medicine che avete a prendere per divenir sano, ma vi dànno la sanità; non vi consigliano quel che avete a fare per raccattare il senno, ma ve lo restituiscono; non v’indicano come spegnere un incendio, come abbonire l’aria, come far rivivere un defunto, ma nell’atto medesimo vi conferiscono la grazia desiderata. – Prendete dunque qualche miracolo dei più indubitati e provatevi a darcene la spiegazione. Sia, per esempio, il miracolo insigne del SS. Sacramento avvenuto in Torino, che diede origine alla bella chiesa innalzata in onore del Corpo santissimo del Signore. Il fatto fu così: un ladro sacrilego tolse ad una chiesa una pisside con dentro un’ostia consacrata, ed ascosala dentro un sacco p0sto sopra un giumento, attraversava con esso una piazza. Giunto a cotal luogo, la bestia si ferma e non vuol più dare un passo, il sacco da sé si scioglie, l’ostia si sprigiona, e raggiante tutta di si leva in aria e si mostra sì a lungo, che tutta la città, tutto il clero, tutta la magistratura con una turba innumerevole di cittadini hanno tempo ad accorrervi, e sono testimoni che ella scende da sé medesima in una nuova pisside che l’Arcivescovo le presenta. Ora, in un fatto tale, io chiedo dove trovate le condizioni richieste dal magnetismo e dallo spiritualismo? E quando Francesco Xaverio, benedicendo parecchie botti di acqua di mare, le fa con un segno di croce diventar dolci, per provvedere ad oltre cinquecento persone che si morivano di sete e che sono testimoni del fatto, dove trovate voi le condizioni volute dalla scienza di cui parliamo? E se non vi sono le condizioni richieste da voi medesimi ottenere l’effetto, come non riconoscete per ottenere che l’effetto non di può spiegare con quelle cagioni? – Il perché ogni qualvolta impugnerete i nostri miracoli, dicendo che quegli effetti si possono ottenere naturalmente col favore dei vostri trovati, noi avremo sempre ragione di rispondervi: sia pure che li possiate ottenere, ma ciò sarà sempre, impiegandovi i mezzi voluti dalla vostra arte; ma se i nostri Santi li ottengono senza quei mezzi, non vedete voi che l’effetto, come è prodotto da loro, non può essere naturale? Voi coll’aiuto delle vostre arti farete mirabilie, guarirete infermi, camminerete sul mare, volerete per l’aria, commoverete la terra, farete balzare anche i cadaveri dalla tomba: vogliamo concedervi tutto; ma farete tutto ponendo in atto le vostre scoperte, i vostri mezzi, i segreti della vostra scienza: laddove i nostri Santi, facendolo senza quei mezzi, produrranno sempre un effetto miracoloso, un vero miracolo. – Per ultimo, se tutti que’ fatti che noi chiamiamo miracoli, non sono altro che effetti naturali, perché non li rinnovate ogni volta che l’occasione vi si presenta? La natura è costante ne’ suoi effetti; voi avete in mano la natura, perché dunque non la fate agire a vostro talento? Perché non ci scoprite le cose lontane, perché non curate le infermità, perché non estinguete gl’incendi, perché non frenare le piogge, perché non risuscitate anche qualche cadavere da morte a vita? Gli altri effetti naturali si rinnovano ogni qual volta riescono necessari, perché non anche questi che sarebbero sì nuovi, sì utili, sì meravigliosi? Per verità, onde acquetarsi a simili spiegazioni dei miracoli, bisogna non solo avere un grado di malizia superlativo, ma averne ancora uno maggiore di dabbenaggine e di ignoranza. Non sapere quel che sia miracolo, non sapere quel che sia magnetismo né spiritualismo, e parlare solo perché si ha la potenza fisica di parlare. E questa risposta vale, come ognun vede, nella supposizione che siano veri tutti i fenomeni che si attribuiscono allo spiritualismo. – Ora, se si consideri poi che molti di que’ fenomeni altro non sono che imposture e giuochi di mano, come il concedono gli stessi loro fautori; se si aggiunga che molti di quei tentativi non sono altro che gravi e mostruosi delitti, invocazioni diaboliche, superstizioni già dannate in antico da santa Chiesa; comprenderà ognuno quanto ne fossero alieni quegli uomini Santi, ai quali la storia ascrive il potere di far miracoli. Da qualunque capo pertanto si consideri la proposta difficoltà, essa non regge per verun modo.

IV. Insistono tuttavia col dire: eppure chi conosce tanto la forza della natura, da potere affermare con sicurezza, che quell’effetto da noi chiamato miracoloso, non sia poi invece un segreto della natura che ancora non conoscevamo? Bisognerebbe, per poter dire che un effetto è miracoloso, saper prima sin dove possano giungere le forze della natura. Or chi può presumere tanto di sé? sarà dunque sempre incerta l’esistenza di un miracolo. È mirabile come gli uomini, che a’ nostri giorni si vantano di sapere ogni cosa, di avere spiati gli arcani più riposti della natura, confessino poi tanto volentieri la loro ignoranza, quando credono di potere da essa trarre un dardo da avventare contro la religione. Concediamo dunque loro e di buon grado, che siano ignoranti delle stesse forze della natura: aggiungiamo anzi che non si credano tali soltanto per modestia, ma che si persuadano che sono tali in verità; dunque che ne conchiudono? Perché non sappiamo fin dove si estendano le forze della natura, non sapremo almeno questo, che esse qualunque siano, non possono contraddire a sè medesime? e che sono rette da leggi costanti? Se sappiamo questo, ne abbiamo assai per riconoscere i veri miracoli. Impero ché ogni qual volta vedrò in un essere un’operazione contraria alla sua natura, oppure una violazione di quelle leggi che l’esperienza mi ha fatto conoscere costanti, quando vedrò una legge costante ad universale della natura essere cambiata senza cagione naturale, sempre affermerò senza tema di errare, che vi è intervenuta una causa superiore all’umana, cioè il miracolo. Così, a cagione di esempio, senza conoscere tutte le virtù del fuoco, io so almeno che esso abbrucia un corpo umano nello stato naturale, qualora ad esso si apprenda; ora se vedrò che un corpo umano nello stato naturale non solo non ne resti da esso abbruciato, ma ne riceva anzi refrigerio, e ciò per un mezzo non proporzionato allo scopo, qual sarebbe un segno di croce, io, senza tema di errare, dirò essere accaduto un miracolo. E perché così? Perché non può comporsi insieme alla virtù disgregante che ha il fuoco, la virtù opposta che qui esercita; sarebbe un essere in sè medesimo contraddittorio. – La costanza delle leggi naturali mi somministra un’altra ragione non meno invitta. Qualunque siasi il termine a cui può arrivare una forza creata, certo è che nelle stesse occasioni e nelle stesse circostanze sempre opera il medesimo. La sperienza di tutti i secoli, per non ricorrere qui alle ragioni, il dimostra sì chiaro, che non è possibile il negarlo. L’acqua ha sempre bagnato, sempre bruciato il fuoco, sempre illuminato il sole, sempre germinato la terra, sempre ferito il coltello e andate dicendo. Nelle circostanze medesime è costante l’averne gli stessi effetti della natura. Ma se dunque io vedo ad una benedizione data, all’invocazione di un Santo, al contatto di una reliquia, cambiarsi siffatte leggi in qualche caso particolare; come non sarò certo che non è opera della natura, ma che vi è un intervento di virtù straordinaria? Se fossero naturali quei fatti, si dovrebbero ripetere ogni volta che si pongono in atto le medesime cause: e con una benedizione, e con una reliquia si opererebbero costantemente le stesse meraviglie. Che se ciò è evidentemente falso, resta dunque chiarito che é tutt’altro che impossibile l’accertare l’esistenza dei miracoli. – Finalmente, dicono certuni, io non posso ridurmi a credere certi fatti che leggo in alcuni libri…. mi pare che siano sì poco provati, sì strani…. Voi non potete crederli? La risposta è molto facile non li credete. Quando propugniamo l’esistenza e la verità dei miracoli, non vogliamo dire che tutto quello che si spaccia per miracolo sia veramente tale. – Fra i miracoli, che abbiamo obbligo di credere, sono quelli che si leggono nelle sacre Scritture, sia del vecchio, sia del nuovo Testamento, i quali sono testificati dallo Spirito Santo autore della Scrittura. Dopo di questi meritano tutta la nostra fiducia quelli che la santa Chiesa esamina ed approva per la beatificazione dei Santi, posta l’assistenza che essa ha in tutte le sue indagini, e non sarebbe senza temerità l’impugnarli; ma gli altri che si registrano nelle vite dei Santi non hanno altro diritto alla nostra credenza. che quello che loro danno e l’autorità di chi li racconta e le testimonianze che essi allegano, e la critica con cui sono raccontati e confermati. Che se si trovino fatti raccontati senza la debita critica, non solo non vi ha nessun obbligo a crederli, ma è prudenza non crederli: che anzi quando si tratti dei miracoli che posano intieramente sull’umana autorità, ancora che siano confermati dalle leggi della critica, non vi ha obbligo di tenerli per indubitati. Chi non vuol credere nelle cose umane ad un fatto provato vero, sarà ridicolo, se volete, sarà stravagante, sarà ostinato, sarà soverchio diffidente; ma non pecca perciò contro la fede: similmente chi non crederà ad un miracolo che è provatissimo per tutte quelle vie per cui umanamente si prova un fatto, si renderà ridevole e meriterà taccia d’ostinato; ma siccome non gli è proposto dalla santa Chiesa, non per questo sarà infedele. E ciò è sì vero, che la santa Chiesa stessa non vuole che gli scrittori di simili miracoli, non approvati da essa, diano maggior peso d’autorità alle meraviglie che narrano, di quello che meriti un’autorità puramente umana, e vuole che lo protestino fino negli stessi libri in cui li raccontano. Ora, vi può egli esser cosa in sè più discreta, ed agli uomini più agevole? Così lo intendessero tutti i fedeli, come cesserebbero subito tutti i pregiudizi che esistono contro i miracoli! Ma frattanto dove vanno a parare le grandi obbiezioni de’ miscredenti? A disvelare il mal talento di chi le promuove.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (14).

4. INFERNO.

1. L’INFERNO È IL LUOGO DEI TORMENTI ETERNI.

Lo sfortunato e cattivo uomo ricco chiese ad Abramo di mandare un defunto ai suoi cinque fratelli, per evitare che cadessero come lui in questo luogo di tormenti. (Luca XVI, 28). Nel suo discorso sul Giudizio Universale, Gesù chiama l’inferno la punizione eterna: “i dannati entreranno nelle pene eterne”. (S. Matth. XXV. 46). L’inferno è un luogo e uno stato dell’anima. Come luogo l’inferno è detto sotterraneo, cioè più in basso del mondo visibile. Per questo si dice che si è scesi all’inferno, perché l’inferno è chiamato abisso, perché negli esorcismi la Chiesa dice al demone: Dio ti ha fatto scendere dal cielo nelle profondità dell’inferno. Esso è radicalmente separato dal regno dei cieli; tra i due c’è un immenso abisso. (S. Luca XVI, 26). I dannati sono separati dagli eletti. (S. Matth. XXIV, 51). Tuttavia S. Giovanni Crisostomo dice a ragione: “Non cerchiamo tanto di sapere dov’è l’abisso, quanto di evitare di caderci. L’inferno è anche uno stato dell’anima, la continuazione dello stato in cui si trovava il peccatore alla morte. I tormenti dell’inferno non sono causati da Dio, ma dagli uomini stessi. (S. G. Dam.) Possiamo applicare all’inferno il proverbio banale: Come si fa il letto, così ci si corica. Poiché l’inferno è anche uno stato, è facile capire come gli spiriti maligni possano aggirarsi intorno a noi. (I. S. Piet. V, 8), persino abitare nel cuore del peccatore. (S. Matth. XII, 45). Molti increduli dicono: “Oh, ma nessuno è mai tornato dall’inferno e nessuno di noi vi è mai stato”. Non c’è dubbio che nessuno ci sia stato, perché è la natura stessa dell’inferno che nessuno ne sia mai tornato. Nessuno torna dall’inferno e, sebbene nessuno ci sia mai stato, sappiamo comunque cosa succede lì. Nessuno è mai stato sulla Luna, ma sappiamo di cosa è fatta e quanto è lontana. conosciamo comunque la sua costituzione e la sua distanza. I Pagani stessi credevano nell’inferno, come dimostrano i miti di Tantalo, delle Danaidi e di Sisifo. Si dice che Tantalo, re della Frigia, fosse stato condannato alla sete e alla fame eterna: l’acqua e la frutta che aveva vicino si ritiravano non appena li toccava. Le Danaidi, che avevano ucciso i loro mariti, furono condannate a riempire barili senza fondo con setacci. Sisifo, tiranno di Corinto, era famoso per la sua crudeltà, aveva come punizione il rotolare un masso che ricadeva ogni volta che si avvicinava alla cima.

Le pene dell’inferno sono terribili; i reprobi non vedranno mai Dio, vivono in compagnia dei demoni soffrendo torture indicibili nelle loro anime e soffriranno anche nel corpo dopo la risurrezione.

Le punizioni dell’inferno sono terribili. “È terribile cadere nelle mani del Dio vivente”. (Ebr. X, 31) Così come promette una ricompensa centuplicata per tutte le gioie disprezzate per amor suo, così punirà con il centuplicato tormento tutti i piaceri proibiti. (San Giovanni della Croce). Possiamo applicare applicare all’inferno ciò che San Paolo ha detto del paradiso: “Nessun occhio ha mai visto, nessun orecchio ha mai udito e nessun cuore ha mai provato ciò che Dio ha in serbo per coloro che non lo hanno amato.”. (S. G. Cris.). Gesù si riferisce all’inferno in vari modi con diverse espressioni: Egli lo chiama fuoco inestinguibile (S. Matth. VIII, 12), perché le pene dell’inferno sono le più forti che si possano immaginare; in effetti le ustioni sono le ferite più torturanti. Chiama l’inferno anche le tenebre esteriori (ib. XXII, 13), perché i dannati sono privati della vista di Dio, fonte di luce eterna. Gesù Cristo dice che nell’inferno ci sarà pianto e stridore di denti (ib. V111, 12), per indicare il dolore e la rabbia dei dannati. Egli dice ancora che il loro verme non muore (S. Marco IX, 4’4), per indicare il rimorso eterno della coscienza dei dannati; che essi saranno legati mani e piedi per rendere bene la loro mancanza di libertà e il loro confinamento in un luogo angusto. – La sentenza finale di Gesù Cristo al Giudizio Universale: “Andate via da me al fuoco eterno” (S. Matth. XXV, 41), mostra che i dannati dovranno subire un doppio castigo: saranno privati della vista di Dio (pena del danno) e sottoposti a torture (pena del senso). La privazione della vista di Dio è il più terribile di tutti i tormenti dell’inferno. Quanto più prezioso è il bene perduto, tanto più grande è il dolore; ora, i dannati hanno perso un bene di valore infinito, “il loro danno deve quindi essere in qualche modo infinito“. (S. Alf.) Il cieco è infelice perché non può vedere le meraviglie del creato.; ma quanto deve sentirsi infelice chi è privato della visione sovranamente bella (San Giovanni Dam.). Il possesso di Dio, il bene supremo, è la meta di ogni creato; lo spirito tende verso Dio, come il fiume verso l’Oceano. Già sulla terra, l’anima umana è protesa verso una felicità infinita; lo sarà ancora di più dopo la morte, quando i beni passeggeri non potranno più distrarla né procurale alcun contento. Ma quale miseria se questa sete dello spirito rimane inappagata per l’eternità. “È giusto che Dio respinga colui dal quale è stato respinto per primo. (S. Aug.) Il dolore di Esaù per la perdita della primogenitura è un’immagine molto debole del dolore dei dannati per la perdita della vista di Dio; questa perdita ha già fatto tremare i Santi di quaggiù. -I reprobi sono esclusi dalla comunione con i beati; senza dubbio li vedono come il ricco epulone vide Lazzaro, non per la loro consolazione, ma per la loro punizione. L’affamato vede una tavola riccamente servita che non può toccare. (S. Vinc. Ferrier). – I reprobi sono fortemente torturati dai demoni; è giusto che colui che in vita si è unito e sottomesso ai demoni, dopo la sua morte sia in loro compagnia. – La storia di Giobbe nell’Antico Testamento e quella dell’indemoniato nel Vangelo, ci danno un esempio salutare della crudeltà del demonio nei confronti di coloro sui quali ha un certo potere. Ma quanto più grande sarà verso i reprobi che sono completamente sotto il suo dominio (Overberg). I dannati si tormenteranno anche a vicenda, perché si odiano: all’inferno, in quella dimora dell’odio di Dio, non ci può essere amore (Mar. Lat.). Più vi saranno dannati nell’inferno, maggiori saranno i gemiti; quindi, non diciamo: Oh, io non sarò solo all’inferno, perché questa società di reprobi non farà altro che moltiplicare le pene. – I dannati soffriranno il castigo del fuoco, saranno immersi in esso. (S. Alf.) Il fuoco dell’inferno sarà un vero fuoco; questo è chiaro dalle parole di Cristo (S. Luca XVI, 24) e dall’insegnamento dei Padri. Già su questa terra, Dio ha usato il fuoco per punire i crimini degli uomini, ad esempio degli abitanti di Sodoma e Gomorra (Gen. XIX, 24; IV Re I, 14). Se lo spirito può essere unito alla carne e soffrire per lui, può anche essere messo a contatto con il fuoco per essere punito (Bellarm.). Perché l’onnipotenza divina non potrebbe, dopo la morte di un uomo, risvegliare nell’anima le sensazioni provate durante l’unione con il corpo? Il fuoco dell’inferno è diverso dal fuoco terrestre; quest’ultimo distrugge gli oggetti, l’altro al contrario conserva i dannati, come il sale conserva il cibo (S. Marco IX, 48); questo illumina, quello lascia che le tenebre rimangano (S. Matth. XXII, 13); questo riscalda, questo non impedisce un freddo insopportabile, simbolo della mancanza di amore per Dio e per il prossimo. Infine, il fuoco dell’inferno è molto più doloroso del nostro, che in confronto è piuttosto rinfrescante (S. Vinc. Fer.), piuttosto un semplice fuoco dipinto (S. Bern. da S.). L’unica cosa che hanno in comune è la capacità di causare sofferenza. Il fuoco dell’inferno brucia come le ortiche. (Tert.) – Le torture dell’anima consistono nell’eterno rimorso della coscienza. I reprobi saranno in preda alla disperazione; riconosceranno quanto siano stati imprudenti nel rifiutare la grazia di Dio così spesso, quanto siano stati stolti nel preferire un bene temporaneo ad una felicità immutabile, quanto siano infelici di aver perduto per l’eternità un Dio che li ha tanto amati. I dannati proveranno una grande vergogna, perché Dio rivelerà a tutte le anime la loro turpitudine e li metterà all’ultimo posto, mentre coloro che hanno disprezzato e deriso sulla terra saranno al primo posto. I dannati saranno tormentati anche dall’invidia, perché invidieranno la gloria degli eletti. (S. Ant.). L’esempio del dolore di Giacobbe alla notizia della morte di Giuseppe mostra che i tormenti dell’anima sono più dolorosi di quelli del corpo, e molti uomini, Giuda, ad esempio, si suicidano addirittura per evitarli. – Dopo la risurrezione, anche i dannati riprenderanno il loro corpo; lasceranno la tomba per la risurrezione del giudizio. (S. Giovanni V, 29). I peccati esterni saranno puniti nelle modalità con cui sono stati commessi; la vista sarà punita con le tenebre (S. Matth. VIII, 12), l’udito con l’ululato e la bestemmia (Giobbe XV, 21), il gusto con la fame e la sete (S. Luc VI, 25; XVI, 24), l’olfatto per il fetore insopportabile, il tatto dal caldo e dal freddo. Dio può aggiungere altri dolori, perché già qui sulla terra Dio ha permesso che gli empi fossero mangiati vivi dai vermi. (At. Ap. XII, 23).

I TORMENTI DEI DANNATI SONO ETERNI.

Satana e il suo seguito sono nel fuoco, in una pozza di zolfo dove viene torturato giorno e notte per l’eternità. (Apoc. XX, 10). Non c’è redenzione da tentare, perché il tempo della grazia è passato (S. Giovanni III, 36); all’inferno la notte non porta riposo. (S. Hil.) I dannati muoiono senza morire (S. Greg. M.), la loro vita è la morte eterna, la seconda morte (Apoc. XXI, 8), perché una vita priva di gioia e piena di tormenti è una morte e non una vita. (S. Aug.) O morte – dice il Papa Innocenzo III – quanto saresti stata dolce per coloro per i quali eri così amara! – L’eternità delle pene è insegnata da Cristo; Egli chiama il fuoco dell’inferno un fuoco eterno (S. Matth. XXV, 41), i castighi dell’inferno, castighi eterni (ib. 46); è anche la dottrina del Concilio di Trento. L’errore di Origine (+ 254) che contestava l’eternità delle pene fu condannato nel II Concilio di Costantinopoli del 553. Colui che ha distrutto in sé un bene eterno, merita un castigo eterno. (S. Aug.). Gli stessi tribunali umani condannano a morte o alla prigione perpetua. “Il vasaio non può più riformare il vaso una volta che è nel fuoco” (Alb. Stolz).

I tormenti dei dannati non sono uguali, ma variano a seconda dei loro peccati.

Come ci sono diversi gradi di santità, così ci sono diversi gradi di riprovazione. Le pene dell’inferno sono ineguali (Conc. di Fir.); sono varie come i peccati degli uomini (S. Th. Aq.), saranno proporzionate alla specie, al numero e alla grandezza dei peccati. Finché l’uomo è vissuto nella voluttà, più sarà punito (Apoc. XVIII, 7); più avrà abusato delle grazie, più sarà punito. Gli abitanti di Sodoma e Gomorra saranno trattati con maggiore clemenza nel giorno del giudizio. delle città che non hanno accolto gli Apostoli (S. Matth. X,15).

2. L’INFERNO È LA PUNIZIONE PER GLI UOMINI CHE MUOIONO IN PECCATO GRAVE.

Il peccato mortale separa completamente da Dio. L’uomo in questo stato è un tralcio della vite tagliato dal ceppo, che è Cristo; appassisce e viene gettato nel fuoco (S. Giovanni XV, 6). Queste anime cadono nell’inferno subito dopo la morte. (II Conc. di Lione). Andranno dunque all’inferno: i nemici di Gesù Cristo (Sal. CIX, 1), tutti coloro che non credono nel Vangelo (S. Giovanni III, 18), i fornicatori, i ladri, avari, gli ubriaconi (1. Cor. VI, 10), tutti coloro che non hanno fatto fruttare i talenti ricevuti da Dio (S. Matth. XXV, 30), molti di coloro che furono i primi sulla terra (ib. XIX, 30). Ma coloro che, come i bambini non battezzati, sono morti con il solo peccato originale, non vanno nella dimora dei reprobi; sono semplicemente privati della vista di Dio senza subire alcun tormento. – È un grande errore credere che si vada all’inferno solo per crimini, per azioni straordinarie. Oh, no! Un solo peccato mortale, anche segreto, di cui non ci si è pentiti, è sufficiente per far precipitare una persona nella sventura eterna.

Per il peccatore, l’inferno inizia in questa vita.

Tutti i peccatori sono privi di pace interiore. Essi somigliano ad un mare impetuoso che non si placa (ls. LVII, 20); sono già seduti nelle tenebre e nell’ombra della morte (S. Luc I, 79). Non capiscono la dottrina della religione che sembra loro una follia (I. Cor. II, 14), sembrano vivere e in realtà sono morti. (S. G. Cris.) – I figli del mondo sentiranno la pienezza della loro disgrazia solo nella morte, non la sentono ora, perché sono distratti in mille modi. Non sentiranno la morte fino a quando non vedranno il Figlio dell’Uomo arrivare nel suo regno (S. Matth. XVI, 28). Pensiamo spesso all’inferno; questo pensiero ci allontanerà dal peccato come il fuoco difende la preda dagli assalti del leone. Scendi spesso all’inferno durante la tua vita”, dice San Bernardo, “per non scendervi dopo la morte”. Chi sfida l’inferno o lo dimentica non ne uscirà. (S. G. Cris.) Chi non crede all’inferno si benda volontariamente gli occhi per non vedere l’abisso in cui cadrà.

5. PURGATORIO. (luogo di purificazione).

1. IL PURGATORIO È UN LUOGO IN CUI SOFFRONO TEMPORANEAMENTE LE ANIME DEGLI UOMINI CHE SONO MORTI SENZA PECCATO GRAVE, MA I CUI PECCATI NON SONO ANCORA STATI COMPLETAMENTE ESPIATI.

Giuda Maccabeo credeva che le anime dei guerrieri morti con idoli su di loro avrebbero dovuto soffrire, per cui fece offrire dei sacrifici per loro nel tempio di Gerusalemme (II Macch XII, 43). Molti uomini sono nel momento della loro morte nello stato di grano appena falciato o di oro appena estratto dalla miniera. Prima di mettere il grano nel granaio, lo si lascia esposto ai raggi brucianti del sole. del sole; prima di lavorare l’oro, lo si purifica con il fuoco: “così i difetti dell’anima separati dal corpo devono scomparire nel fuoco”. (S. Greg. Niss.) Nella vita futura c’è un battesimo di fuoco, doloroso e lungo, che divora ciò che c’è di terrestre nell’anima, come il fuoco divora l’erba (S. Greg. Naz.). Secondo molti Santi, il luogo del purgatorio è sulla terra (più in basso dell’universo visibile), per questo la Chiesa prega ai funerali: A porta inferi (dal potere sotterraneo, liberalo, Signore!) e De profundis… (Dal profondo dell’abisso, grido a te, Signore!). Altri credono che molte anime soffrano proprio dove hanno peccato e che possano essere presenti nei luoghi in cui hanno peccato e che possano essere presenti ovunque si preghi per loro. Ciò che è certo è che le povere anime del purgatorio sono apparse sulla terra ai santi, a S. Filippo Neri, a Santa Brigida, a Santa Teresa. – I Santi sono dell’opinione che le anime del purgatorio soffrano con un totale abbandono alla volontà di Dio, in contrasto con i dannati che sono in uno stato di rabbia perpetua. Dio, infatti, riempie queste anime di una grande carità, che rende sopportabili i più grandi tormenti (San Caterina di Genova). Il pensiero che stanno dando a Dio un’adeguata soddisfazione e che soffrono per Dio, ispira loro il coraggio dei martiri (id.). Inoltre, la certezza che un giorno raggiungeranno la vita eterna e la visione beatifica li riempie di grande consolazione. Sono anche riempiti di gioia dai suffragi dei fedeli viventi e dei Santi in cielo, dalle visite degli Angeli. (Santa Francesca Romana). Possiamo anche credere che le loro sofferenze diminuiscano con l’aumentare della loro conoscenza di Dio. (S. Cath. di G.) Le vite dei Santi, per esempio di Santa Perpetua, ci dice che nelle successive apparizioni di povere anime, esse aumentano ogni volta in bellezza. –

Le anime espiano in purgatorio o i loro peccati veniali o la pena temporale dei peccati mortali rimessi con l’assoluzione, ma per i quali non abbiano sufficientemente soddisfatto.

Dio punisce i peccati veniali con pene temporali. Zaccaria, il padre di San Giovanni Battista, fu punito per non aver creduto all’Angelo, Mosè per aver dubitato per un momento. Dio lascia una punizione temporale anche per i peccati mortali che ha perdonato al peccatore pentito, come quelli di Adamo e di Davide. Questi si sforzò sinceramente di ottenere la remissione della pena temporale, ma non ci riuscì. La morte del figlio avvenne come previsto. Chiunque non abbia espiato completamente i suoi peccati, è obbligato a farlo nella dimora della purificazione. (Conc. de Tr. 6, 30). I tribunali talvolta impongono una multa, e in caso di mancato pagamento, il carcere; Dio fa lo stesso: se il peccatore non soddisfa la sua giustizia qui sulla terra, lo farà necessariamente nella prigione del purgatorio. Non accontentatevi mai, quindi, della penitenza imposta in confessione, ma imponetevi volontariamente altre opere soddisfattorie. Si può anche far penitenza sopportando i mali di questa vita, ad esempio la malattia, e accettando la morte quando arriva. Soprattutto, non considerare il peccato veniale come qualcosa di leggero, perché sarà necessario espiarlo adeguatamente.

Le sofferenze delle anime del Purgatorio consistono nella privazione della vista di Dio e in grandi dolori.

Non invano recitiamo la preghiera: Signore, dona loro l’eterno riposo e che la luce eterna risplenda su di loro, cioè liberali da ogni dolore e che giungano alla visione di Dio. Le candele accese ai funerali e sulle tombe simboleggiano questa richiesta a Dio di dare alle anime la luce eterna, cioè la visione beatifica. – A parte la durata, non c’è alcuna differenza essenziale tra le pene dell’inferno e quelle del purgatorio (S. Th. Aq.); lo stesso fuoco purifica gli eletti e tortura i dannati. Per questo la Chiesa usa la parola inferno per designare il purgatorio, dal quale chiede che le anime siano liberate. (Benedetto XIV). Le più piccole sofferenze del purgatorio sono più crudeli di quelle dei martiri (S. Ang.). Le più piccole sofferenze nel purgatorio sono più crudeli delle più grandi sulla terra (S. Th. Aq.). Tutte le sofferenze che si possono immaginare quaggiù sono piuttosto un sollievo in confronto alle minime pene del purgatorio. (S. Cir Al.) Il fuoco della terra è un paradiso rispetto a quello del purgatorio. (S. Madd. de Pazzi).

Il rigore e la durata delle pene del purgatorio sono in ragione della gravità dei peccati.

Più la materia combustibile, cioè i peccati, sono portati in purgatorio, più si brucerà. (S. Bonav.) Quanto più grande è il peccato, tanto più cocente è il dolore (S. Aug.). La purificazione dei fedeli con il fuoco sarà più o meno lenta a seconda del maggiore o minore affetto che avranno avuto per le cose terrene. (S. Aug.) Chi è invecchiato nel peccato impiegherà più tempo a passare attraverso la fornace (ibid.); così certe pietanze particolarmente dure hanno bisogno di una lunga cottura prima di essere presentabili. Le fondazioni perpetue, per il fatto che siano ammesse dalla Chiesa, dimostra che essa riconosce la possibilità di una durata molto lunga delle pene purgatoriali. Caterina Emmerich riferisce nelle sue visioni che ad ogni anniversario della sua morte, Gesù scende in purgatorio per liberare l’una o l’altra delle anime di coloro che furono testimoni della sua passione e che non erano ancora state ammesse alla visione beatifica. – Inoltre, anche se la punizione di un’anima durasse solo un’ora, sarebbe insopportabilmente lunga (S. Brig.) – Alcuni Santi sono del parere che certe anime (indubbiamente molto perfette) siano punite solo con la privazione della vista di Dio, senza soffrire il dolore dei sensi; soffrirebbero temporaneamente la sorte dei bambini morti senza battesimo (id.). La punizione dei sensi sarebbe in rapporto con i peccati esteriori: i peccati di gola, per esempio, saranno puniti con la fame e la sete (S. Matth.) S. Brigida vedeva le anime sottoposte a una punizione esterna (id.). S. Brigida vedeva le anime sottoposte alle punizioni corrispondenti alle membra che avevano peccato di più. S. Margherita di Cortona ne vide alcune condannate a rimanere in purgatorio fino alla restituzione dei beni che avevano indebitamente acquisito; secondo un altro Santo, un pittore rimase in purgatorio fino alla distruzione di un’opera scandalosa che aveva dipinto” (Louvet). Scendete spesso in purgatorio durante la vita – dice S. Agostino – per non entrarvi dopo la morte.

2. L’ESISTENZA DEL PURGATORIO È DIMOSTRATA DAGLI INSEGNAMENTI DI GESÙ CRISTO, E SOPRATUTTO DALLA DOTTRINA DELLA CHIESA INFALLIBILE. È DA SOTTOLINEARE CHE QUASI TUTTI I POPOLI DEL MONDO CREDONO NELL’ESISTENZA DEL PURGATORIO. LA RAGIONE STESSA INDICA CHE DEVE ESISTERE.

Chiunque – dice Gesù Cristo – parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato in questa vita, né in quella a venire” (S. Matth. XII, 32). Inoltre, Gesù Cristo minaccia il peccatore di una prigione e aggiunge: In verità, in verità vi dico, voi non uscirete di là finché non avrete pagato fino all’ultimo spicciolo” (ibid. V, 20). – S. Paolo, da parte sua, dice che alcuni si salveranno, ma come se passassero attraverso il fuoco. (I. Cor. III, 15). Il Purgatorio ci viene dimostrato anche dalle usanze della Chiesa. Essa prega per i defunti ad ogni Messa (memento dei defunti dopo l’elevazione), celebra per i defunti una Messa nel giorno dei morti, il giorno della morte o della sepoltura dei defunti, negli anniversari, suona la campana per invitare i fedeli a pregare per i defunti, ed ha persino istituito una solennità speciale, la Commemorazione dei Morti, il 2 novembre. (Questa solennità fu introdotta nel 998 da Odilone, abate di Cluny e successivamente estesa dai papi a tutta la Chiesa). Le usanze dei Cristiani non sono spettacoli vani, ma istituzioni dello Spirito Santo. (S. G. Cris.). – I Padri dei Concili di Firenze (1489) e di Trento (1545-68) hanno definito espressamente l’esistenza del purgatorio. – La credenza in un purgatorio si trova presso quasi tutti i popoli. Gli Egizi credevano nella migrazione delle anime attraverso gli animali. I Greci avevano la favola di Prometeo, che per aver rubato il fuoco dall’Olimpo fu incatenato ad una roccia nel Caucaso dove un avvoltoio gli divorava il fegato. finché non fu liberato da Ercole. I Giudei credevano anche nel purgatorio, dal momento che Giuda Maccabeo raccolse 12.000 dracme da offrire in sacrificio a Gerusalemme per i guerrieri caduti in battaglia con addosso degli idoli. Anche i primi Cristiani pregavano per i morti, soprattutto durante la Messa ed i funerali. S. Agostino racconta che, sul letto di morte, Monica disse a lui e a suo fratello: “Seppellite il mio corpo dove volete, ma vi prego di ricordarvi di me sempre all’altare del Signore”. S. G. Crisostomo dichiara che, in conformità con la Costituzione Apostolica, i Cristiani hanno sempre pregato per i morti, e S. Cirillo di Gerusalemme, che i morti sono sollevati quando si prega per essi al santissimo Sacrificio. Anche le liturgie più antiche contengono preghiere per i morti. – La nostra stessa ragione ci porta a concludere che esista un purgatorio. Noi sappiamo che nulla di impuro può entrare in cielo (Apoc. XXI, 27), e perciò siamo costretti ad ammettere che ci siano peccatori che Dio non può dannare eternamente, e che non essendo degni né del cielo né dell’inferno, si trovino in uno stato intermedio di purificazione.

3. I FEDELI VIVENTI POSSONO AIUTARE LE ANIME DEL PURGATORIO CON IL S. SACRIFICIO, CON LE OPERE BUON, IL DIGIUNO, LE ELEMOSINE, LA PREGHIERA, LA RICEZIONE DEI SACRAMENTI E DELLE INDULGENZE.

Le povere anime del purgatorio non possono aiutarsi da sole, perché non possono compiere azioni meritorie. Il tempo della grazia è passato, è arrivato il tempo del castigo. Dopo la morte, nessuno può più lavorare. (S. Giovanni IX, 4). Le povere anime possono espiare le loro colpe solo subendo le punizioni imposte da Dio; ese sono obbligate a svuotare il calice della loro passione fino all’ultima goccia; sono trattate come il Figlio di Dio sul Calvario al quale, nonostante i suoi orribili tormenti, il Padre non mandò alcuna consolazione, tanto che Egli gridò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma noi, i vivi, possiamo alleviarli con la Santa Messa, la preghiera, l’elemosina e altre opere di pietà. (II Conc. di Lione 1274). È il santo Sacrificio l’aiuto più efficace (conc. Tr. 25), così come l’offerta a Dio della Comunione. (S. Bonav.) Non sono i pianti che aiutano i morti (S. G. Cris.). Per guarire una madre dal suo vano dolore, che non smetteva mai di piangere per il suo figliolo, Dio le mandò un sogno. Ella vide un drappello di giovani che si dirigeva verso una città magnifica, ma non vide suo figlio; egli era molto indietro, misero, stanco, con i vestiti fradici. Interrogato dalla madre, egli rispose: “Sono bagnato dalle tue inutili lacrime; pensa a fare l’elemosina per me, a far celebrare il Santo Sacrificio. La madre si svegliò e cambiò i suoi sterili rimpianti con un amore cristiano. (Louvet). Caricare la bara con corone di fiori, ricoprire le sue vesti con il lutto, sono cose del tutto inutili davanti a Dio; sarebbe meglio convertire questi segni superflui di lutto in elemosine. – Le preghiere traggono il loro valore non dalla loro lunghezza, ma dalla loro pietà. Una sola parola – disse Gesù a Santa Gertrude -che viene dal profondo del cuore, allevia le povere anime più che la recita meccanica di una moltitudine di salmi o di orazioni; come un po’ d’acqua pura in cui si strofinano seriamente le mani le purifica più di una massa d’acqua gettata a caso. Non ne consegue che una breve preghiera, un pater, sia sufficiente a liberare un’anima, perché “Dio sarebbe crudele a trattenere le anime”. Sarebbe crudele tenere in pena le anime per le quali ha versato il suo sangue, a causa di un pater omesso”. (Maldonato). La Chiesa usa l’acqua santa ai funerali, perché l’acqua santa calma le anime (in virtù delle preghiere pronunciate durante la benedizione). “Come la dolce pioggia rinfresca i fiori inariditi dal caldo, così l’acqua benedetta rinfresca i fiori celesti che bruciano nel purgatorio”. (S. Teodato). – Esse sono alleviate soprattutto dall’atto eroico, cioè dall’offerta a Dio per le anime del purgatorio il merito soddisfattorio di tutte le nostre opere buone. Chiunque abbia compiuto questo atto di carità può ottenere l’indulgenza plenaria ad ogni Comunione o alla santa Messa del lunedì; se è un sacerdote, ha ogni giorno la concessione dell’altare privilegiato. (Pio IX, 30 settembre 1852). –

I parenti dei defunti sono rigorosamente obbligati a soccorrerli.

È a loro che si rivolgono le parole della Scrittura: “Abbiate pietà di me, almeno voi miei amici, perché la mano di Dio mi ha toccato” (Giobbe XIX, 21). Spesso Dio ha rivelato ai parenti il triste destino dei loro defunti. Prigioniera a Cartagine nel 202, santa Perpetua vide in sogno il fratello di 7 anni. Era in un luogo buio, coperto di sudiciume e assetato. Pregò con fervore per lui e presto apparve di nuovo, pieno di gioia e di bellezza. Santa Elisabetta di Turingia, alla notizia della morte di sua madre, la regina Gertrude d’Ungheria, si dedicò subito alle più austere opere di penitenza, anche di disciplina, e ben presto ebbe la consolazione di vedere la madre informarla della sua liberazione. (Louvet). Nessuno, però, deve fare affidamento sulle opere da compiere dopo la sua morte. Ricordate il detto: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.. Le opere buone fatte dopo la morte ci aiutano relativamente poco. “Una sola messa ascoltata con pietà durante la vita è più utile che lasciare soldi per dirne cento dopo la nostra morte” (S. Ans.). Una piccola fiaccola portata davanti a noi, ci illumina più di una fiaccola portata dietro di noi (S. Leonardo di Porto Maurizio). Dio apprezza di più una piccola penitenza volontaria fatta in questa vita, che una rigorosa punizione involontaria nell’altra, come un po’ d’oro vale più di un sacco di piombo (S. Bonav.). Un giorno un padre chiese ai suoi tre figli quali buone azioni avrebbero compiuto per lui dopo la sua morte. “Padre, rispose il più giovane, lavora alla tua salvezza e fai penitenza da solo. Le nostre preghiere possono fare ben poco per te”. (Mehler VI, 399).

La preghiera per i defunti è un’opera di misericordia e ci porta la benedizione di Dio ed il perdono dei nostri peccati.

Potremmo temere di trascurare noi stessi occupandoci troppo delle anime del Purgatorio! No, pregare per i morti ha un doppio vantaggio: è utile ai morti ed a colui che prega. Colui che ha pietà delle povere anime troverà in Dio un giudice misericordioso, secondo le parole di Gesù: “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.”. (Matteo V, 7). Cristo guarderà ad ogni opera di misericordia come un’opera di misericordia fatta a se stesso (ib. XXV, 40). I defunti si mostreranno grati ai loro benefattori, soprattutto quando entreranno in cielo. Non farete mai nulla di così vantaggioso come il pregare per i morti, perché in cielo si ricorderanno della vostra misericordia e non smetteranno di pregare per voi. (Mar. Lat.) Giuda Maccabeo ottenne una mirabile ricompensa per i sacrifici che aveva offerto per i suoi morti; gli apparvero Geremia e Onia ed ottenne una brillante vittoria su Nicanore (II. Macch. XII). Le povere anime liberate dalle nostre preghiere, intercederanno in cielo a nostro favore, affinché possiamo santificarci sempre di più, e che dopo la nostra morte possiamo essere liberati presto dal purgatorio. (Mar. Lat.) “È un pensiero santo e salutare pregare per i morti, affinché dopo la nostra morte noi stessi possiamo essere presto liberati dal purgatorio”. È un pensiero santo e salutare pregare per i morti, affinché essi siano purificati dai loro peccati”. (II Macch. XII, 46).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (14).

11 e 12 Art. del Simbolo: i fini ultimi.

I. LA MORTE.

La terra è come un campo di battaglia, dove ogni giorno migliaia di persone cadono. In tutto l’universo ci sono 88.000 morti al giorno, cioè 60 al minuto, 1 al secondo e 32.000.000 all’anno. – Il sonno è un’immagine della morte.

1. LA MORTE DELL’UOMO AVVIENE CON LA SEPARAZIONE DEL CORPO DALL’ANIMA, QUEST’ULTIMAVA NELLA DIMORA DEGLI SPIRITI, IL CORPO SI DECOMPONE IN POLVERE.

Alla morte l’anima si separa dal corpo. Non appena il vapore esce da una macchina, questa si ferma; è lo stesso quando l’anima, il respiro divino, lascia il corpo. S. Paolo chiama la morte una dissoluzione. (II Tim. IV, 6). Il corpo è per l’anima come un involucro, un abito che si toglie al momento della morte. La permanenza dell’anima nel corpo assomiglia alla permanenza delle anime dei giusti nel limbo. Il momento della morte è il momento della liberazione (Marie Lat.). L’anima viene allora liberata dalla sua prigione (S. Aug.). La prova evidente della separazione dell’anima è la cessazione della vita; ciò che animava il corpo è assente. – Alla morte lo spirito ritorna a Dio che lo ha dato (Eccles. XII, 7); questo è il suo viaggio verso l’eternità. (S. G. Cris.). È quindi un errore credere che le anime emigrino in altri corpi umani o animali (metempsicosi egizia, greca, indù), o credere che l’anima cada in un sonno da cui si risveglierà solo nell’ultimo giorno. Al contrario, è il corpo che dorme durante questo sonno. – Dopo la morte, il corpo si decompone. Esso è della terra e ritorna alla terra, secondo la sentenza del paradiso. (Gen. III, 19); fanno eccezione, per un ovvio motivo, i corpi di Gesù e di Maria. Miracolosamente, alcuni corpi o alcuni membri dei santi sono rimasti intatti fino ad oggi. Ma nell’ultimo giorno tutti i corpi risorgeranno; il sonno della morte è quindi un sonno con la speranza di una futura risurrezione. (S. Th Aq.). La morte è rappresentata sotto l’immagine di uno scheletro, perché ci dà questa forma orrenda; essa tiene in mano una falce, perché pone fine alla vita dell’uomo con la stessa rapidità con cui il mietitore taglia l’erba del prato. (Sal. CII, 15). Dovrebbe piuttosto essere rappresentata con una chiave, perché ci apre la porta dell’eternità.

2. TUTTI GLI UOMINI SONO SOGGETTI ALLA MORTE, PERCHÈ È UNA CONSEGUENZA DEL PECCATO ORIGINALE.

Con la loro disobbedienza, i nostri primi genitori hanno perso il dono dell’immortalità corporea. Pertanto siamo tutti soggetti alla morte. “Poiché il peccato è entrato nel mondo per mezzo di un solo uomo e la morte per mezzo del peccato, la morte è passata in tutti gli uomini per mezzo di quell’unico uomo nel quale tutti hanno peccato”. (Rom. V, 12). L’uomo che voleva essere uguale a Dio viene profondamente umiliato dalla morte che lo rende capace di espiare la sua superbia. Hênoch (Gen. V, 24) ed Elia (IV Re II) furono gli unici ad essere tolti dalla terra senza morire, ma riappariranno all’ultimo giudizio (Eccl. XLIV, 16; S. Matth. XVII, 11) e poi moriranno, insieme a tutti gli uomini che saranno ancora in vita al momento dell’ultimo giudizio. (S. Th. Aq.) Solo Cristo non era soggetto alla morte, perché era di per sé libero dal peccato; morì, perché l’ha voluto liberamente. – La morte mette i poveri sullo stesso piano dei ricchi; la vita non è altro che un teatro in cui recitiamo, per un breve periodo, il ruolo di un generale, di un giudice, di un re o di una regina, un magistrato, un soldato, ecc. e non rimane nulla del costume che si è indossato. (S. G. Cris.) Anche negli scacchi, ogni pezzo ha il suo posto speciale sulla scacchiera, ma dopo la partita tutti sono rimessi in una scatola; anche nel gioco della vita gli uomini hanno ranghi diversi e alla morte vengono tutti messi nella stessa terra. (Diez). Quando il ricco muore, non può portare nulla con sé. (Giobbe, XXVII, 16). La morte toglie tutte le dignità e tutti gli onori (S. Amb.), anche a coloro che quaggiù primi saranno ultimi e quelli che erano ultimi saranno primi. (Matteo XIX, 30). – La vita è come un sogno che passa in fretta (S. G. Cris.); i nostri piaceri sono come un’ombra (Giobbe VIII, 9), come una tela di ragno, come un vapore visibile per un momento e poi sparito. (S. Giac. IV, l6). – L’ora della morte ci è ignota. Moriremo nell’ora in cui non lo sospettiamo (S. Matth. XXIV, 14); la morte arriverà come un ladro (ibid. 43), ci ghermirà come uno sparviero su uno sparviero, come un lupo su un agnello. (S. Efr.) La vita è una fiaccola che un leggero soffio di vento spegne. (S. Greg. Nis.) Siamo come soldati in congedo che non sono sicuri per un momento che non saranno richiamati (Curato Eneipp). Alcuni rari Santi hanno avuto rivelazioni sull’ora della loro morte; Dio la nasconde agli uomini con grande bontà e saggezza. Infatti, se conoscessimo l’ora della nostra morte, alcuni cadrebbero nella disperazione e altri sprofonderebbero nei disordini più terribili. – Questa ignoranza ci deve portare ad essere sempre pronti a morire. “Siate pronti – disse Gesù – perché il Figlio dell’uomo verrà in un’ora che non conoscete” (S. Matth. XXIV, 44). È anche a questo scopo che ha raccontato la parabola delle 10 vergini (ib. XXV). La morte è un gran signore: non vuole aspettare nessuno, ma esige che tutti lo attendano. (S. Efr.) Se in questo momento non siete pronti, temete di morire male; per una tale vita, una tale morte Coloro che rimandano la loro conversione fino al momento della morte sono come gli studenti che rimandano il lavoro alla vigilia degli esami.

3. LA MORTE È TERRIBILE PER IL PECCATORE, MA NON PER IL GIUSTO.

Perché è la fine della loro presunta felicità e l’inizio della loro eterna infelicità, la morte non è per loro che l’inizio della loro eterna disgrazia, la morte fa paura solo agli uomini sensuali e voluttuosi; non è così per gli uomini pii e virtuosi. “L’uomo giusto alla morte è un albero potato per produrre frutti ancora più belli nell’aldilà; il peccatore è un albero che viene tagliato alla radice per essere gettato nel fuoco”. (S. Vinc. Fer.) Per il giusto la morte è solo il passaggio alla vita eterna. (S. Ant. di P.) Tutti i Santi sospiravano di felicità dopo la morte; come San Paolo, desideravano la dissoluzione dei loro corpi e di essere con Cristo (Fil. I, 23.). Il lavoratore a giornata desidera al più presto ricevere il suo salario, così l’uomo virtuoso desidera morire presto per ricevere la sua ricompensa in cielo. (Card. Hugues), I Santi sospirano dopo la morte, come il marinaio dopo l’arrivo nel porto, il viaggiatore dopo la meta del suo viaggio, l’agricoltore dopo il raccolto. (S. G. Cris.) Alla morte l’uomo giusto si rallegra come chi lascia una casa fatiscente per una splendida dimora (id.). Tutti i Santi sono morti con gioia. Quanto è dolce morire, diceva S. Agostino, quando si è vissuto piamente! Gli uomini stolti pensano che sia una gioia morire in fretta (senza soffrire molto); non è la velocità della morte a renderla felice, ma lo stato d’animo del morente, perché l’albero rimane dove è caduto (Eccl. XI, 3), o meglio l’albero cade dalla parte in cui pesano i suoi rami. Se sono rivolti verso Nord, cade verso il Nord; se sono diretti verso il Sud, cadrà verso il Sud. È lo stesso per l’uomo: la sua volontà rimarrà diretta, dopo la morte, verso gli oggetti a cui era diretta al momento della morte. Felice l’uomo che ha la volontà inclinata principalmente verso Dio, che ha avuto l’amore di Dio e quindi la grazia santificante, perché contemplerà Dio. Infelice, invece, è l’uomo la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, che ha amato il mondo e si è trovato in disgrazia presso Dio, perché rimarrà separato da Lui.

4. PER MORIRE FELICEMENTE, DOBBIAMO CHIEDERNE A DIO LA GRAZIA E DISTACCARCI FIN DA ORA DAI BENE EVDAI PIACERI TERRENI.

Si muore felici quando ci si è prima riconciliati con Dio e si è messo ordine nei propri affari temporali. – Dobbiamo quindi chiedere a Dio soprattutto la grazia di poter ancora ricevere gli ultimi Sacramenti. Bisogna anche fare testamento in tempo. In questo imitiamo i marinai che, nel pericolo di un naufragio, gettano tutto in mare e sfuggono così alla morte. Una morte improvvisa non è quindi indesiderabile, perché ci impedisce di fare ordine tra i nostri interessi temporali ed eterni. Per questo nelle litanie diciamo: Da una morte improvvisa e inaspettata liberaci, Signore! – La preghiera per una buona morte ha già il vantaggio di farci spesso pensare alla morte. La Chiesa ama fare questo, ci ricorda la morte il mercoledì delle ceneri, quando si suona la campana a morto, e così via. Il pensiero della morte è molto salutare e ci allontana dal peccato. “Pensa alla tua fine – dice il figlio di Sirach – e non peccherai mai” (VII, 40). Chi pensa spesso alla morte sarà poco attaccato alle cose terrene, rispetto così a chi, condannato a morte, troverà piacere nel buon cibo, o come Damocle nel suo banchetto teneva sospesa con un filo la spada sopra la sua testa. Dio stesso ci ricorda la morte in natura con il tramonto del sole, la notte, il sonno, l’inverno. – Dobbiamo ora distaccarci volontariamente dai beni e dai piaceri di questo mondo. Dopo la morte i nostri occhi non vedranno più, le nostre orecchie non sentiranno più, le nostre bocche non parleranno più, ecc. bisogna porsi dunque in questa situazione inevitabile, combattendo la curiosità della vista e dell’udito, la loquacità, la smodatezza nel mangiare e nel bere; in una parola, dobbiamo cominciare a morire. “Moriamo – dice San Basilio – per vivere”. Le buone opere che Dio reclama da noi, la preghiera, l’elemosina e il digiuno non sono altro per il cuore che un distacco dalle cose terrene. Solo coloro che si trovano in questo stato di distacco vedranno Dio dopo la morte, secondo le parole di Cristo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. (S. Matth. V, 8).

2. IL GIUDIZIO PARTICOLARE.

1. SUBITO DOPO LA MORTE HA LUOGO IL GIUDIZIO PARTICOLARE.

“È stato decretato – dice San Paolo – che tutti gli uomini moriranno, e la morte è seguita dal Giudizio”. (Eb. IX, 27). La parabola del ricco malvagio e di Lazzaro ci insegna che entrambi sono stati giudicati dopo la loro morte. Gli stessi pagani credevano nell’esistenza di tre giudici negli inferi. Al momento della morte, Dio ci rivolgerà le parole del padrone all’amministratore: “Rendi conto della tua amministrazione”. (Luca XVI, 22). Subito dopo avviene il giusto pagamento del salario. Dio stesso chiede agli uomini di non trattenere il salario dell’operaio dopo la sua giornata di lavoro. Tanto più dobbiamo aspettarci che Dio non trattenga il salario duramente guadagnato da un uomo durante la sua vita. La morte è il momento del pagamento del salario”. (S. Àmbr.) Se alcuni uomini subiscono un ritardo nel pagamento della loro giornata, cioè se sono prima sottoposti alla prova del purgatorio, la colpa è solo loro; non ne è Dio il responsabile. – Sarà Cristo a fare il giudizio particolare; Egli rivelerà tutta la nostra vita e ci tratterà come noi abbiamo trattato i nostri simili. – Gesù Cristo ha detto che Lui stesso avrebbe fatto questo giudizio: “Il Padre – ha detto – non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (S. Giovanni V, 22); nell’ultima cena promise ai suoi Apostoli di tornare dopo la sua ascensione per “portarli con sé” (id. XIV, 3). Ovviamente intendeva il momento della morte. Gesù dice lo stesso di San Giovanni: “Voglio che rimanga fino alla mia venuta” (id. XXI, 22). Gli stessi Apostoli dicevano che, finché fossero vissuti, sarebbero stati lontani da Lui. (II. Cor. V, 6) – 11 Tuttavia, non dobbiamo pensare a questo giudizio come ad un’ascesa dell’anima verso Cristo o una discesa di Cristo verso l’anima sulla terra; questo movimento non è affatto necessario. Cristo illumina l’anima mentre lascia il corpo in modo tale da farle vedere immediatamente e con perfetta chiarezza che il suo Salvatore sta emettendo un giusto giudizio su di essa. Questa illuminazione fa sì che l’anima comprenda che Dio rivela l’intera vita dell’uomo. Allo stesso modo”, dice il Cristo, “come il lampo parte dall’Oriente e appare all’improvviso fino all’Occidente, così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo (S. Matth. XXIV, 27), il che significa che al momento della morte, che è la venuta di Gesù, tutta la nostra vita apparirà davanti alla nostra anima con la rapidità e la velocità del lampo (B. Clém. Hofbauer). Quando verrà l’ora della giustizia divina, Dio metterà davanti ai suoi occhi tutti i dettagli della vita del morente. (Mar. Lat.) Al momento della sua morte, le opere dell’uomo saranno rivelate. (Sir. XI, 29). Tutti coloro che sono stati vicini alla morte affermano che in quel momento eventi dimenticati da tempo e azioni giovanili sono tornati vividamente alla mente. Al momento della morte, le azioni più nascoste saranno rivelate. Non c’è nulla di segreto”, dice Cristo, “che non debba essere scoperto”. (S. Luc. VIII, 17). Noi ricordiamo e rendiamo conto di ogni parola oziosa (S. Matth. XII, 36). Il nostro spirito assomiglia a un pittore, che disegna nel nostro interno ogni genere di pensieri, progetti e immagini. Fino alla morte queste immagini sono coperte come da un velo; e quando questo cade, si rivolgeranno alla gloria dell’artista o al suo disonore, se rappresentano la vergogna del vizio. (S. Bas.) Quando un uomo muore, il suo testamento viene aperto; è facile spiegare perché lo stesso è facile spiegare perché lo stesso si possa dire della sua coscienza. Un raggio di sole illumina mille granelli di polvere in una stanza; sarà lo stesso per le nostre minime colpe, quando il sole della giustizia penetrerà nelle nostre anime. – Nel giorno del giudizio vedremo il volto di Dio verso di noi, come noi ci siamo mostrati verso il nostro prossimo: Dio è uno specchio che rende perfettamente l’immagine di chi gli sta davanti. (Louis de Gr.) “Sarà usata la stessa misura che avete usato verso gli altri”, dice Cristo. (S. Matth. VII, 2). – Al giudizio segue la retribuzione.

2. DOPO IL GIUDIZIO PARTICOLARE LE ANIME VANNO IN PARADISO, ALL’INFERNO O IN PURGATORIO.

La parabola del ricco e di Lazzaro ci mostra che la sentenza del giudice viene eseguita immediatamente. (S. Luc. XVI). La Chiesa insegna che le anime che non hanno peccato dopo il Battesimo, che quelle che dopo aver peccato hanno completamente espiato i loro peccati, sia in terra che in purgatorio, sono ricevute subito in Cielo, e che coloro che muoiono in peccato mortale cadono immediatamente all’inferno. (2° Conc. di Lione, 1274). Le anime dei giusti, che sono perfette, vanno in cielo non appena hanno lasciato il corpo. (S. Greg. M.) Non appena un’anima giusta esce dal corpo, viene separata dalle anime peccatrici e portata in cielo dagli Angeli. (S. Giustino). È un errore credere che le anime giuste abbiano solo un’anticipazione della beatitudine eterna fino alla resurrezione del corpo, e che i peccatori saranno sottoposti completamente alla dannazione solo dopo il Giudizio Universale. (Opinione dello scisma greco) – Pochi uomini entrano subito in paradiso, perché “nulla di impuro può entrare in cielo” (Apoc. XXI, 27); pochi giusti sfuggono al purgatorio. (Bellarmino). Ci sono teologi che sostengono che i dannati saranno più numerosi degli eletti; essi si basano su queste parole di Gesù: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. (S. Matth. XX, 6). Molti devono essere salvati, ma pochi collaborano con la grazia e si salvano (Suarez). Minore è il numero di coloro che andranno in cielo. (S. Th. Aq.) – Oltre al giudizio particolare, ci sarà un giudizio generale. Questo guarda solo all’anima come principale agente del bene e del male da premiare o punire. L’altro includerà nella retribuzione anche il corpo come strumento degli atti dell’anima.

3. IL CIELO.

1.IL CIELO È LA DIMORA DELLA BEATITUDINE ETERNA.

Il cielo è la dimora della beatitudine eterna. Cristo diede ai suoi Apostoli un assaggio del cielo sul monte Tabor (San Matteo XVII), Il cielo si aprì al battesimo di Gesù (id. III, 16), Santo Stefano vide il cielo aperto. (Act. Ap. VII, 551. S. Paolo fu assunto in cielo. (II. Cor. XII. 2). – Il cielo è sia un luogo che uno stato. Come luogo si trova, secondo alcuni teologi, al di là del mondo siderale. È solo un’opinione, ma è fondata sul senso delle parole di Cristo: che discese dal cielo, che sarebbe risalito, che sarebbe tornato. – Il cielo è anche uno stato dell’anima; consiste nella visione di Dio (S. Matth. XVIII, 10), nella pace e nella felicità dello spirito (Rom. XIV, 17). Quando gli Angeli e i Santi ci visitano quaggiù, non cessano di essere in cielo, perché non possono essere privati della visione di Dio. (San Bernardo). Gesù Cristo è il Re del cielo. “Io sono un re – disse a Pilato – ma il mio regno non è di questo mondo” (S. Giovanni XVIII, 36). Il buon ladrone riconobbe questa regalità quando disse al Salvatore: “Signore! Ricordati di me quando sarai nel tuo regno” (S. Luca XXIII, 42). In cielo vedremo gli Angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo. (S. Giovanni I, 51). In cielo gli Angeli adorano Cristo (Eb. I, 6). – Il cielo è la nostra vera patria; quaggiù non siamo che forestieri (II, Cor. V, 6), è la verità che ci viene rappresentata dalle processioni.

Le gioie del cielo sono ineffabilmente grandi, sono libere da ogni male, godono della visione di Dio e dell’amicizia di tutti gli abitanti del paradiso.

Le gioie del paradiso sono ineffabilmente grandi. “Ciò che l’occhio non ha visto – dice S. Paolo – ciò che l’orecchio non ha udito, ciò che il cuore dell’uomo non ha mai intuito Dio ha preparato per coloro che lo amano” (I Cor. Il, 9). Questa beatitudine può essere meritata, ma non descritta. (S. Aug.) “Gli eletti – dice Davide a Dio – saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e tu li farai bere dal torrente delle tue delizie” (Sal. XXXV, 8). Rispetto alla beatitudine eterna, la nostra vita presente è piuttosto simile alla morte. (S. Greg. M.) Le gioie degli eletti sono così grandi che tutte le torture dei martiri non ne meriterebbero nemmeno un’ora. (S. Vinc. Fer.) In cielo godremo della felicità stessa di Dio. (S. Matth. XXV, 21); perché lì saremo della natura divina (II. S. Piet. I, 4), saremo simili a lui (I. S. Giovanni III, 2). Saremo trasformati in cielo, come il ferro nella fornace. (Cat. rom.) “La divinità si rifletterà in ogni anima, come il sole del mattino nelle milioni di gocce di rugiada. – In cielo ci sono molte dimore. (S. Giovanni XIV, 2). Il cielo è come un grande banchetto (S. Matth. VIII, 11; S. Luca XIV, 16) dove Dio stesso serve i suoi ospiti (ibid. XII, 87). Il cibo lì non sarà corporeo, ma spirituale. (Tob. XII, 19). In cielo brilla una luce intensa (I. Tim. VI, 16), vi si odono i canti degli Angeli (Sal. LXXXIII, 5), i Santi vi indossano vesti bianche (Àpoc. VII, 14), ricevono una magnifica corona dalla mano di Dio (Sap. V, 17). I Santi hanno piena libertà e sono posti su tutti i beni di Dio {S. Matth. XXV, 21); essi sono dove si trova Cristo (S. Giovanni XVII, 24), che restituisce loro il centuplo di quanto hanno rinunciato per Lui su questa terra.(S, Matth. XIX, 29). – Il firmamento visibile è già così bello, la terra è così piena di gioie, specialmente in primavera, in alcuni luoghi notevoli, eppure non è che un deserto rispetto al cielo! “Signore – grida S. Agostino, se ci tratti così in questa in questa prigione, come sarà nel tuo palazzo?” Ma cosa c’è che Dio non possa esaudirci, perché è onnipotente! Tuttavia, le gioie del cielo non sono sensuali (S. Matth. XXJI, 80) come quelle del paradiso promesse da Maometto. Se un cavallo fosse capace di pensare, non immaginerebbe che il suo padrone gli ha servito del fieno nel giorno delle nozze! – Gli eletti sono liberi di fare il male. È più facile enumerare i mali da cui sono liberati che le gioie di cui godono (S. Aug.). Essi non soffrono né fame né sete (Apoc. VII, 16), in cielo non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore (ib. XXI, 4), né notte (ib. XXV, 4). Essi saranno incapaci di peccare; la loro volontà sarà assorbita da quella di Dio, come una goccia d’acqua. mescolata ad una coppa di vino ne prende il gusto ed il colore. (S. Bern.) – Gli eletti vedono continuamente il volto di Dio (S. Matth, XVIII, 10); riconoscono chiaramente l’immensità, le perfezioni e tutte le opere di Dio (S. Aug.); vedono Dio così come è (I. S. Giovanni III, 2); lo vedono faccia a faccia (I. Cor., XIII, 12); vedono Dio non in un’immagine, ma presente alla loro intelligenza come l’albero ad un occhio che lo vede (S. Th. Aq.); essi sono incapaci di questa visione per mezzo delle loro forze naturali, quanto noi lo siamo per la fede; ne sono resi capaci da un’azione speciale di Dio che si chiama “luce della gloria“. Questa visione rende gli eletti simili a Dio (1. S. Giovanni III, 2) e dà loro delizie ineffabili. Tuttavia, essi si rallegrano più della beatitudine di Dio che della propria (S. Bonav.). – La conoscenza delle cose create è già un grande godimento, quanto più grande sarà quella del Creatore stesso! (S. Car. Borrom.) Anche Agostino grida: “Rallegrarsi in te, Signore, per te e a causa tua, ecco cosa è la vita eterna!”. Questa conoscenza di Dio genera necessariamente l’amore per Dio; l’uno cresce in proporzione all’altro. “Gli eletti – dice sant’Anselmo – ti ameranno, Signore, nella misura in cui ti conosceranno! La conseguenza di questa grande felicità è la completa assenza di ogni tristezza, perché una gioia viva è incompatibile con il dolore e viceversa. (Aristotele). – Anche i santi si amano tra loro; sono tutti uno (S. Giovanni XVII, 21). L’amore che è la vita degli eletti in paradiso è così grande che l’eletto, estraneo a noi, ci ama anche più di quanto i genitori quaggiù amino i loro figli. (Suso). Solo l’amore distingue i figli del regno celeste dai figli della perdizione. (S. Aug.) E quale gioia non proveremo quando ritroveremo lassù i nostri genitori e amici dopo una crudele separazione! Grande fu infatti la gioia di Giacobbe quando trovò suo figlio Giuseppe pieno di onori. In cielo ci attende una schiera di amici! (S. Cipr.).

LE GIOIE DEL CIELO DURANO ETERNAMENTE.

I giusti, dice Gesù, entreranno nella vita eterna, cioè in una vita beata che non avrà fine. Lo S. Spirito rimarrà eternamente unito a loro (S. Giovanni XIV, 16), nessuno potrà togliere loro la gioia (S. Giovanni X, 29). I grandi signori, principi e re sono soliti ricompensare i loro servi quando questi ultimi non possono più continuare i loro servizi; ma Dio è il più grande di tutti i signori e deve essere il più magnifico nelle sue ricompense. Egli ne dà una eterna, l’unica degna di lui. Se le gioie del cielo non fossero eterne, gli eletti sarebbero perennemente nel timore di perderle; il cielo cesserebbe di essere il cielo. È per l’eternità della felicità del cielo che esso è chiamato possesso di Dio.

LA FELICITÀ DEI SANTI VARIA IN PROPORZIONE AI LORO MERITI.

Nel Vangelo, il Maestro dà 10 città al servo che ha guadagnato 10 talenti e 5 città a colui che ha guadagnato 5 talenti. (S. Luc. XiX, 16). Questo padrone è Dio che premia con una maggiore felicità colui che ha compiuto più opere buone. Con questo glorifica la perfezione della sua giustizia. Dice S. Paolo, “chi semina con parsimonia raccoglierà poco; chi semina generosamente raccoglierà un ricco raccolto” (II Cor. IX , 6). I giusti vedono tutti Dio chiaramente, ma uno vede più perfettamente dell’altro a causa dei suoi meriti. (Concilio di Firenze). Altro è lo splendore del sole – Gesù Cristo -, altro quello della luna – Maria -, altro quello delle stelle – i santi – (I. Cor. XV, 41). Lo stesso sole è visto in modo più fissamente dall’aquila che dagli altri uccelli. Il fuoco riscalda di più chi gli è vicino che chi gli è lontano. (Bellarmin). È lo stesso in cielo; la conoscenza di Dio, la carità e le delizie sono maggiori in un Santo che in un altro. Il piacere è infatti proporzionale alla conoscenza. Secondo una certa opinione, gli uomini dovrebbero occupare il posto degli Angeli caduti, e tra gli Angeli ci sono nove cori. Il grado di gloria celeste dipende dal grado di grazia santificante in cui l’uomo si trovava al momento della morte, in altre parole il grado di gloria corrisponde alla misura in cui si possedeva lo Spirito Santo e la carità al momento della morte. – Il grado di gloria di un Santo non può mai aumentare o diminuire; tuttavia, esiste in cielo una felicità estrinseca, quando il santo è oggetto di una gioia o di un onore speciale. “C’è – dice Cristo – una felicità in cielo ogni volta che un peccatore si converte. (S. Luca XV, 7) Beatificazione, canonizzazione, celebrazione di una festa, invocazioni, il santo Sacrificio e gli atti virtuosi offerti a Dio in onore di un Santo, contribuiscono certamente alla sua felicità. È probabile che in queste occasioni il Santo sia onorato in modo particolare dagli Angeli. (Cochem). San Gertrude vedeva i Santi in queste circostanze vestiti con abiti più brillanti e serviti da servi più nobili; la loro felicità sembrava aumentata – Nonostante la ricompensa, non c’è invidia tra i Santi. Tutti hanno ricevuto un denaro dal padre di famiglia. (S. Matth. XX). Quando due bambini, dice San Francesco de Sales, ricevono dal padre abiti della stessa stoffa, il più giovane non invidia il più grande, perché non sarebbe in grado di usare i suoi stessi abiti. È così anche in cielo, ognuno si rallegra della felicità dell’altro, la gioia e la felicità dell’uno fanno la gioia e la felicità dell’altro.

2. IL PARADISO È CONCESSO SOLO ALLE ANIME CHE SONO PERFETTAMENTE PURE DEL PECCATO E DELLE PENE DEL PECCATO.

Entreranno in Paradiso solo le anime che, dopo il Battesimo, non hanno commesso alcun peccato, o hanno espiato completamente le loro colpe, sia sulla terra che in purgatorio. (Conc. de Fir.) Nulla di impuro entrerà in cielo. (Apoc. XXI, 27). – Il cielo è stato aperto solo con la morte del Salvatore; le anime dei giusti sono state costrette ad attendere la loro redenzione nel limbo (cfr. il 5° art. del Simbolo).

IL PARADISO SI CONQUISTA ATTRAVERSO LA SOFFERENZA E LE VITTORIE SU SE STESSI.

S. Paolo dice: “Bisogna entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. (Act. Ap. XIV, 21). Il legname destinato al tempio di Gerusalemme veniva tagliato e preparato nel Libano stesso, in modo che potessero essere collocati senza rumore; gli eletti devono soffrire qui sulla terra, in modo da poter essere tagliati qui sulla terra per poter gioire senza dolore nella Gerusalemme celeste. – Non c’è beatitudine eterna senza vittoria su se stessi; il regno dei cieli è come un tesoro o una perla preziosa; per acquistarlo bisogna dare tutto (S. Matth. XIII, 44), cioè rompere ogni attaccamento disordinato alle cose terrene. Una grande ricompensa per un grande sforzo. (S. Greg. M.) Il regno dei cieli soffre di violenza (S. Matth. XI, 12); la porta e la via che conducono alla vita sono strette (ib. VII, 11). Solo chi corre con rapidità e perseveranza ottiene il premio nella corsa, chi si spoglia di tutti gli abiti superflui. (I. Cor. IX, 24). Per ottenere la corona con la lotta, è necessario inizialmente astenersi da tutto ciò che possa indebolire il corpo (ib. 25). Per raggiungere il cielo bisogna quindi essere martiri almeno incruenti, per questo la festa di Santo Stefano è immediatamente successiva a quella del Natale. Gesù ha detto: “Chi ama la propria vita la perderà e chi disprezza la propria vita in questo mondo la troverà”. (S. Giovanni XII, 25), cioè chi cerca i piaceri e i godimenti di questo mondo sarà dannato e chi si sforza di distaccarsene sarà salvato. – Ma più ci impegniamo nella nostra santità, più grande sarà la nostra gioia:la gioia meritata porta una gioia doppia.

Per i giusti, il paradiso inizia in parte proprio qui sulla terra, perché cercando la vita eterna la stanno già godendo (S. Aug.).

I giusti possiedono lacvera pace dell’anima (S. Giovanni XIV, 28), quella pace di Dio che sorpassa ogni comprensione (Fil. IV, 7); così sono sempre allegri, anche quando digiunano (S. Matteo VI, 17) o quando soffrono (ib. V, 12). I giusti possiedono lo Spirito Santo. Spirito, essi sono quindi fin da quaggiù uniti a Dio (1. S. Giovanni IV, 16), Cristo abita già nei loro cuori (Efes. III, 16), hanno dentro di sé il regno di Dio (B. Luca XVII, 21). – Chi pensa al cielo, sarà sicuramente paziente nelle prove e disprezzerà le cose ed i piaceri di questo mondo. Pensate alla corona e soffrirete volentieri (S. Aug.). Le sofferenze di questo mondo non possono essere paragonate alla gloria che sarà rivelata in noi (Eb. XII, 9). Meditando le cose celesti, quelle del mondo ci sembreranno inutili. (S. Grég. Gr.) Chi si trova sulla cima di un monte non vede gli oggetti nella valle, li vede solo molto piccoli (S. G. Cris.); l’uccello che vola molto in alto è fuori dalla portata del cacciatore (id).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVII)

10. LA COMUNIONE DEI SANTI.

Consideriamo il passaggio degli israeliti attraverso il Mar Rosso. Possiamo distinguere tre parti in questa immensa folla; la retroguardia degli israeliti doveva ancora attraversare il mare ed era insidiata dai soldati egiziani; il centro era ancora minacciato dalle mura liquide e la testa aveva già fortunatamente guadagnato un punto d’appoggio sulla riva opposta. Questo gruppo di emigranti che lascia la terra della servitù per entrare nella Terra Promessa, è l’immagine dell’umanità; siamo in viaggio verso la nostra patria celeste, come dice San Paolo: “Non abbiamo una dimora fissa quaggiù, siamo in viaggio verso la nostra patria celeste”. (Eb. XIII, 14). Siamo come pellegrini che si danno appuntamento ad un santuario benedetto. Molti uomini sono già arrivati lì; altri, le anime del purgatorio, sono in cammino e sono molto vicini alla meta; altri, i fedeli quaggiù, stanno appena iniziando il loro viaggio. Tutti insieme, però, siamo un solo popolo, una sola grande nazione. Siamo tutti cittadini della stessa città dei santi e membri della famiglia di Dio. (Efes. II, 19). I tre figli di un padre possono trovarsi in situazioni molto diverse: uno è ancora a scuola, un altro in un istituto di istruzione superiore, il terzo è già avviato a una brillante carriera; questo non impedisce loro di essere della stessa famiglia, figli dello stesso padre, fratelli tra loro e co-eredi della fortuna paterna. Allo stesso modo, gli alunni delle classi medie e basse costituiscono un unico collegio; tutti perseguono lo stesso obiettivo. E così è per i fedeli sulla terra, le anime del purgatorio e i santi in cielo: tutti perseguono lo stesso obiettivo, l’intima unione con Dio, che li unisce in una comunione. – I membri di questa società sono chiamati Santi perché tutti sono stati santificati dal Battesimo (I. Cor. VI, 11) e tutti sono chiamati alla santità (I. Tessal. IV, 3). Molti di loro hanno già raggiunto una santità consumata, e S. Paolo chiama santi anche i Paolo anche i fedeli della Chiesa ancora in vita. (Ef. 1, 1).

1. SI CHIAMA COMUNIONE DEI SANTI LA COMPAGNIA E L’UNIONE INTIMA DEI FEDELI VIVENTI, DELLE ANIME DEL PURGATORIO E DEGLI ELETTI IN PARADISO. .

I fedeli viventi costituiscono la Chiesa militante, perché devono combattere contro un triplice nemico: il mondo (le insidie degli uomini perversi), la loro carne (le loro cattive inclinazioni), il diavolo e le sue tentazioni (Giob. VII, 1). Le anime del Purgatorio costituiscono la Chiesa sofferente, perché devono soffrire prima di entrare in in cielo. I Santi in cielo sono chiamati la Chiesa trionfante, perché hanno trionfato dei loro nemici e godono della loro vittoria. – Può sembrare strano che il nome Chiesa sia dato alle anime del Purgatorio e ai Santi ma bisogna rimarcare che chiunque abbia avuto il battesimo è diventato un membro della Chiesa, e per essendo in un altro st3, non cessano di appartenervi. Non sono quindi tre chiese, ma una sola chiesa in stati diversi.

2. I FEDELI VIVENTI, LE ANIME DEL PURGATORIO E GLÌ ELETTI DEL CIELO SONO UNITI A CRISTO COME LE MEMBRA DEL CORPO CON IL CAPO (Rm XII, 4).

Tutti sono animati dallo Spirito Santo1 (I. Cor. XII, 13). L’anima vivifica tutte le tutte le membra del corpo, dà la vista all’occhio, l’udito all’orecchio, eccetera, allo stesso modo lo Spirito Santo. Lo Spirito anima tutte le membra del corpo di Gesù Cristo (S. Aug.). Ma siccome lo Spirito Santo procede dal Figlio, è proprio Gesù Cristo a muovere tutti i membri di questa grande comunità così come il capo è il principio motore di tutti i membri del corpo. Per questo Cristo è chiamato capo del corpo della Chiesa (Col. I, 18). Gesù Cristo è come la vite. (S. Giovanni XV, 5) che rende partecipi i tralci della linfa. – Ogni membro ha la sua funzione, e ogni membro della Chiesa ha i suoi doni particolari. (L Cor. XII, 6-10, 28}. Lo stomaco, per esempio funziona per il bene di tutto il corpo, e allo stesso modo ogni membro della Chiesa serve per il bene di tutti. Paesi diversi si scambiano i frutti che ciascuno produce. (S. Greg. M.). Ogni membro sente il benessere o il dolore dell’altro, ed è lo stesso nella Chiesa come risultato del legame di carità. “Se uno dei membri soffre, tutti gli altri soffrono con lui; o se uno dei membri riceve onore tutti gli altri si rallegrano con lui”. (I. Cor. XII, 26). I santi in cielo non sono dunque insensibili alle nostre pene. – I fedeli peccatori continuano a far parte del grande corpo, ma non quelli che sono stati tagliati fuori dalla Chiesa, come gli scomunicati; solo che i peccatori sono membri morti della Chiesa.

3. TUTTI I MEMBRI DELLA COMUNIONE DEI SANTI PARTECIPANO AI BENI SPIRITUALI DELLA CHIESA CATTOLICA E POSSONO AIUTARSI A VICENDA CON LE LORO PREGHIERE E LE OPERE BUONE. GLI ELETTI IN CIELO, TUTTAVIA, NON HANNO PIÙ BISOGNO DI AIUTO.

In una società tutti i cittadini partecipano ai suoi benefici: alle sue scuole, ai suoi ospedali, tutti hanno il diritto di chiedere giustizia davanti ai tribunali; nella famiglia, tutti i membri partecipano ai suoi beni: nobiltà, ricchezza, ecc. Nella Chiesa è lo stesso: tutti i suoi membri partecipano ai beni spirituali comuni. Tutti i sacrifici della Messa, tutte le fonti di grazia, tutte le preghiere, tutte le buone opere dei fedeli sono utili a tutti i membri della Chiesa. – Nel Padre Nostro preghiamo per tutti i fedeli, il S. Sacrificio è offerto per tutti i fedeli, vivi e defunti, ed il Breviario dei chierici è detto con la stessa intenzione. Possiamo concludere da questo perché un grande peccatore che conserva la fede si converte più facilmente di un massone che viene scomunicato; perché un Cattolico può sperare più facilmente di essere liberato dal purgatorio. San Francesco Saverio, durante il suo peregrinare apostolico, si consolava che tutta la Chiesa pregasse per lui e lo sostenesse nelle sue fatiche. – Inoltre, tutti i membri della comunione dei santi possono aiutarsi a vicenda. Nel corpo, la forza e la salute di un membro contribuiscono al bene degli altri membri, anche di un membro malato: uno stomaco sano, un polmone sano, ad esempio, contribuiscono potentemente alla guarigione di una persona malata. L’occhio non vede solo per sé, ma agisce a favore degli altri arti, perché se un ostacolo minaccia la mano o il piede, l’occhio li aiuta a evitare l’impatto; e lo stesso vale per gli altri arti. (S. Aug.). Nella Chiesa non è diverso: i meriti di alcuni agiscono a favore di altri. Dio avrebbe perdonato Sodoma se ci fossero stati 10 giusti,

1 . I Cattolici viventi possono quindi aiutarsi l’un l’altro attraverso la preghiera e le opere buone.

I fedeli possono pregare Dio gli uni per gli altri. I fedeli hanno pregato quando Pietro era in prigione e lo hanno liberato. Santo Stefano, durante la sua tortura, ha pregato per la conversione di Saulo (S. Aug.) e Santa Monica, dopo 18 anni di suppliche, per la conversione di suo figlio Agostino. – Già nell’Antico Testamento, Dio aveva promesso di ascoltare favorevolmente l’intercessione dei sacerdoti per il popolo (Lev. IV, 20; Numeri XVI, 48). Cristo disse a Maria Lataste: “Così come l’intercessione della regina Ester presso Assuero ottenne il perdono per il popolo ebraico, così la preghiera di una sola anima è spesso sufficiente a frenare il braccio vendicatore di Dio teso contro una nazione. Ecco perché San Giacomo ci fa questa raccomandazione: “Pregate gli uni per gli altri, affinché possiate raggiungere la vostra salvezza (V, 16)”. Gli altri Apostoli chiedevano spesso ai fedeli di pregare. Aiutatemi”, diceva San Paolo, presso Dio con le vostre preghiere” (Rm XV, 30). I bambini dovrebbero quindi pregare per i loro genitori e viceversa. Questa intercessione è un’opera di misericordia ed una doppia benedizione, su colui che prega e su colui per il quale si prega. Il fedele può anche, con le sue buone azioni (preghiera, digiuno, elemosina), rendere gli altri partecipi delle sue soddisfazioni (Rom. Catech.). Così è anche nella vita ordinaria: uno può pagare i debiti di un altro, ed il fedele può pagare a Dio il debito di pena contratto con il peccato. Nella Chiesa primitiva un peccatore veniva talvolta perdonato di una parte della sua penitenza perché un martire intercedeva per lui.

2. Possiamo anche aiutare le anime del Purgatorio con preghiere ed opere buone; essi a loro volta possono aiutarci con le loro preghiere, soprattutto quando sono entrati in cielo.

Già gli ebrei credevano che si potessero aiutare le anime del purgatorio; Giuda Maccabeo inviò 12.000 dracme d’argento a Gerusalemme per farvi offrire sacrifici per i suoi guerrieri morti in battaglia (I. Macch. XII). La Chiesa raccomanda di pregare per i defunti attraverso la campana e l’Angelus della sera; prega per loro anche durante la Messa nel memento dei defunti. “La preghiera per i morti, è la chiave che apre il paradiso* per loro, e il Concilio di Lione (1274) ci

insegna formalmente che l’intercessione dei fedeli vivi attraverso la santa Messa, la preghiera, l’elemosina e altre opere buone allevia le sofferenze delle anime del Purgatorio. – Essi possono anche aiutarci, ecco perché molti santi approvano la loro invocazione (Bellarmino, S. Alf. de Lig.). Santa Caterina da Bologna (+.1463) che aveva l’abitudine di, sostiene di non averli mai invocati invano. Le anime dei defunti sono grate a chi le aiuta, come dimostra la brillante vittoria di Giuda Maccabeo su Nicanore, (II. Macch. XV).

I Santi in Cielo ci aiutano con le loro preghiere davanti al trono di Dio, soprattutto quando li invochiamo (Apoc. VIII, 4).

I Santi sanno certamente quello che succede sulla terra, perché la beatitudine consiste nel perfetto adempimento dei desideri della creatura. Anche il diavolo mostra, con le sue tentazioni, di essere consapevole delle nostre debolezze, i Profeti prevedevano il futuro e conoscevano cose segrete, e i Santi dovrebbero essere meno avanzati? Essi sanno quando un peccatore si converte (S Luc. Xv, 7), a maggior ragione sanno quando vengono invocati. “Vedono in Dio, come in uno specchio, tutto ciò che accade quaggiù” (S. Ter.); non possono non vedere, loro che vedono Colui al quale nulla è nascosto (S. Tom. Aq.), non possono non vedere le cose esterne, coloro che vedono Dio interiormente. (S. Greg. M.) Quando invochiamo i Santi, essi pregano con noi in cielo (Catech. rom.). La loro intercessione ha una grande virtù, perché già su questa terra la preghiera fervente dei giusti può fare molto. (S. Giac. V, 16). Quale fu il valore dell’intercessione di Abramo per la città di Sodoma! E se i santi ancora viventi nella loro carne pregano con tale successo, possono certamente farlo una volta ottenuta la vittoria. (S. Ger.). I Santi obbligano Dio, per così dire, ad ascoltare le loro preghiere: essi si comportano come guerrieri di fronte alle potenze della terra: mostrano le ferite che hanno ricevuto nelle battaglie che hanno combattuto per Lui, e Dio non può rifiutare loro nulla. (S. G. Cris.). L’intercessione dei Santi è stata spesso segnalata da miracoli, come vediamo a Lourdes e nei risultati certi della canonizzazione.

I nostri parenti e amici defunti in cielo intercedono per noi continuamente davanti al trono di Dio e ci proteggono nei momenti di pericolo.

I legami con i nostri fratelli e sorelle defunti non si spezzano con la morte, ma rimangono. (Orig.). La carità non muore (1. Cor. XIII, 8), quindi non cessa in cielo. Al contrario, è glorificata e quindi più intima. Anche il malvagio ricco conserva nell’inferno un certo attaccamento per i suoi fratelli ancora vivi. (S. Luc. XVI, 19). Nel limbo Geremia e il sommo sacerdote Onia pregavano per il popolo ebraico. (II. Macch. XV, 14). Cristo promise ai suoi Apostoli di pregare per loro (Giovanni XIV, 16; I. S. Giovanni II, 1). Questo spiega come S. Agostino abbia fatto grandi progressi nella santità dopo la morte di sua madre Monica, e S. Venceslao, dopo la morte della nonna Santa Ludmilla. – I Santi, attraverso la loro intercessione, soccorrono anche le anime del purgatorio. La santa Vergine ne salva ogni giorno un gran numero (Alano dell’Isola); Ella è la regina e la madre delle anime del purgatorio. (S. Brigida); nella festa della sua Assunzione ne libera a migliaia ogni anno. (S. Pier Dam., S. Alf.) e senza dubbio anche in altre feste. Papa Giovanni XXII ci dice nella Bolla Sàbbatina che la Beata Vergine libera molte anime. Vergine libera molte anime nel sabato a Lei dedicato. I SS. Angeli non sono insensibili nemmeno alle sofferenze delle anime che un giorno saranno in cielo con loro. San Michele in particolare è il loro santo patrono; la sua preghiera, dicono gli uffici liturgici, introduce le anime in cielo: il ruolo di questo principe della milizia celeste è quello di accompagnarle nel paradiso della gioia. – Gli Angeli custodi e gli Angeli che sono stati particolarmente onorati hanno una preoccupazione particolare per le anime del purgatorio. (P. Faber). Quanto è consolante, dunque, la dottrina cattolica della Comunione dei santi!

10. Articolo del Simbolo: la remissione dei peccati.

1 . NESSUNO SULLA TERRA È SENZA PECCATO. TUTTI HANNO BISOGNO DEL PERDONO DEI NOSTRI PECCATI.

Chi dice di essere senza peccato è un bugiardo (I. S. Giovanni I, 8); anche la persona giusta cade sette volte (spesso) al giorno. (Prov. XXIV, 16). Dio ci permette di cadere per mantenerci nella umiltà. (S. Franc. di S.) Poiché cadiamo ogni giorno, siamo obbligati ogni giorno a chiedere nel Padre Nostro il perdono per le nostre offese (S. G. Cris.) .

Senza un privilegio speciale, come quello ricevuto dalla Vergine, è impossibile trascorrere la vita senza alcuna colpa veniale (Conc. Tr.); ci vuole addirittura una grazia speciale per stare abbastanza a lungo senza colpa leggera (S. Aug.). La perfezione a cui può giungere la debolezza umana è quella di non cadere deliberatamente in una colpa veniale. (Sant’Alfonso).

2. IL PERDONO DEI NOSTRI PECCATI È POSSIBILE, PERCHÉ GESÙ CRISTO LO HA MERITATO SULLA CROCE ED HA DATO AGLI APOSTOLI IL POTERE DI PERDONARE I PECCATI.

Non c’è nulla di così consolante per l’uomo come il perdono dei peccati, perché nulla ci causa più tormento delle nostre colpe. Socrate si rallegrava già al pensiero che un mediatore inviato da Dio sarebbe venuto per insegnare agli uomini come purificarsi dai loro peccati. – Questo perdono è stato meritato da Gesù Cristo attraverso la sua passione sulla croce (Conc. Tr. cap. 7); egli è l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (S. Giovanni 1, 29). È con il suo sangue che abbiamo ottenuto la redenzione, il perdono dei peccati (Col. I, 14); Egli è la vittima di propiziazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli del mondo intero. (Giovanni II, 2). – Cristo ha dato il potere di rimettere i peccati solo agli Apostoli e ai loro successori; Lui stesso aveva questo potere, e lo ha usato con la Maddalena, Zaccheo, il buon ladrone e ha detto espressamente, quando ha guarito il paralitico, che: “Affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha potere sulla terra di rimettere i peccati, io ti dico: alzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua.” (S. Matth. IX, 6). Questo potere che possedeva, Gesù Cristo lo ha comunicato agli Apostoli dicendo loro, dopo la sua risurrezione: Ricevete lo Spirito Santo. I peccati saranno rimessi a coloro ai quali li rimetterete, e ritenuti a quelli ai quali li riterrete. (S. Giovanni XX, 23). Se, dunque, uno desidera ottenere la remissione dei peccati, deve rivolgersi agli Apostoli, cioè ai Vescovi o ai Sacerdoti ordinati da loro. La remissione dei peccati esiste solo nella Chiesa cattolica, perché solo essa ne ha ricevuto il pegno nello Spirito Santo. Spirito. (S. Aug.).

3. I PECCATI MORTALI SONO PERDONATI DAI SACRAMENTI DEL BATTESIMO E DELLA PENITENZA., i peccati veniali, dalle opere buone compiute in stato di grazia; come la preghiera, il digiuno, l’elemosina, la partecipazione alla Messa, la ricezione della Santa Comunione, l’uso dei sacramentali, le indulgenze, il perdono delle offese, ecc.

Il Battesimo è la nave su cui siamo stati imbarcati per il cielo. Quando commettiamo un peccato mortale, siamo come dei naufraghi che si salvano solo se afferrano una tavola e vi si aggrappano. Questa tavola di salvezza è il sacramento della penitenza. La remissione del peccato mortale non può essere ottenuta con la preghiera, il digiuno o l’elemosina. Queste opere possono solo prepararci alla penitenza che, sola, rimette veramente il peccato.

“Né gli Angeli né gli Arcangeli possono cambiare questo ordine. Gesù Cristo stesso non ci perdonerà senza la penitenza” (S. Aug.). I peccati veniali possono essere perdonati con l’uso dell’acqua santa, con la preghiera, la comunione, la benedizione del Vescovo ecc.

4. QUALSIASI PECCATO, PER QUANTO GRAVE, PUÒ ESSERE PERDONATO DA DIO QUAGGIÙ, QUANDO CI SI PENTE E CI SI CONFESSA SINCERAMENTE.

“Quando anche i vostri peccati fossero rossi come lo scarlatto, diventeranno, dice il Signore, bianchi come la neve, e quando fossero rossi come il vermiglio, saranno bianchi come la lana. (Is. 1, 18), Dio non fa differenza per il potere di perdonare i peccatori: permette al Sacerdote di perdonarli tutti senza eccezione. (S. Ambr.) Nessuno, dunque, è tanto empio, tanto malvagio, da perdere ogni speranza di essere perdonato, se si pente seriamente dei suoi errori. (Cat. rom.). Sembra addirittura che Dio accolga più volentieri il grande peccatore, perché questa infinita misericordia lo onora di più; è come un pescatore a cui piace prendere i pesci grossi. – Il peccato contro lo Spirito Santo è l’unico che non possa essere perdonato, perché consiste proprio nella volontà di non correggersi. Il peccato, pertanto, non è da parte di Dio, ma da parte dell’uomo che, pur riconoscendo il male, non vuole smettere di commetterlo, non vuole pentirsene. E senza pentimento, senza conversione, non ci può essere perdono.

5. UNA VOLTA CHE UN PECCATO SIA STATO PERDONATO, NON TORNA MEI PIÙ, ANCHE SE IL PECCATORE RICADE NEL PECCATO. (S. Thom. Aq.).

11. Lo stesso non vale per le opere buone: i loro meriti rivivono non appena l’uomo si riconcilia con Dio. Oh quanto è grande la sua misericordia!

CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

LO SCUDO DELLA FEDE (272)

SOPRANNATURALE

I. Basta la ragione, basta il cuore.

Quel che è stato detto nel capo antecedente intorno al soprannaturale, dovrebbe esser bastante; però siccome intorno ad esso è più capitale errore del nostro secolo, e Tiene espresso sotto varie forme, così non sarà altro che utile l’investigarlo più a fonda, richiamando ad esame alcuni altri detti che vanno attorno. – Che sia tendenza universale di questa età l’escludere nell’esercizio della religione e nella condotta tutto quello che ha qualche cosa di soprannaturale, nessuno v’ha che nol veda. Alcuni il fanno senza pure renderne conto a sé medesimi né quasi avvertirlo; altri lo dicono espressamente; e quando sentonsi parlare di culto, di virtù superiori, di esercizi di pietà cristiana, vi rispondono freddamente: e che necessità di tutto ciò’? Basta la ragione per regolare il nostro intelletto, basta il cuore per reggere i nostri affetti. E ciò per tacere di quelli, i quali non solo avversano tutto ciò .I.  vi ha altra religione che la naturale. – Ora non può entrar nello scopo di questo libretto il confutare questi ultimi, poiché io ho sempre supposto di parlare con Cattolici i quali ammettono la rivelazione; e per altra parte le ragioni innumerevoli che provano la divinità di Cristo, provano ancora la verità della religione rivelata: ben credo di dover esaminare un poco questi due principii: Basta la ragione, basta il cuore; perché da essi originano i maggiori errori, in cui cadono anche molti che si stimano Cattolici in questa età: e, lo avvertano essi o no, quei due principii levano loro dal cuore affatto la fede cattolica.

I. Non basta dunque la ragione, non basta il cuore, per essere Cattolici, ma ci vuole tutto quello che di soprannaturale vi ha aggiunto nostro Signore Gesù Cristo. Perché intendiate ciò, richiamate alla vostra mente alcune verità cattoliche. Gli è da sapere in primo luogo che Dio, creando l’uomo, non si contentò d’assegnargli un fine naturale, ma lo innalzò ad un fine soprannaturale. Noi chiamiamo naturale quel fine, a cui un essere può arrivare colle forze che si trovano nella sua natura medesima: così, a cagione di esempio, fine naturale di una pianta sarà il germinare, fiorire, portar frutti, poiché essa ha nella sua costituzione intima e nell’organismo tutto quello che è necessario per dare e fiori e frutti. Chiamiamo fine soprannaturale quel fine, a cui non può pervenire un essere colle sole sue forze naturali, e per ottenere il quale, si richiede che Dio gli inserisca, dirò così, un altro principio. Per esempio, se Dio volesse che una pianta non solo producesse e fiori e frutti, come abbiamo detto di sopra, ma che ancora parlasse o intendesse, questo sarebbe un fine sopra la natura di essa pianta e richiederebbe che Dio inserisse in quella pianta e l’intendimento e gli organi della loquela. – Ciò presupposto, Iddio nel formare l’uomo che cosa ha fatto? Non si contentò di prefiggere a lui un fine naturale, cioè un fine, cui potesse pervenire colle forze che erano in lui, ma lo ordinò invece ad un fine, a cui le forze che erano in lui non bastassero. L’uomo colle sue forze avrebbe potuto innalzarsi fino a Dio, conoscerlo, ma solo speculativamente, unirsi con Lui, ma solo per un amore naturale: a più alto scopo non poteva levarsi; in quel modo con cui la pianta naturalmente non poteva levarsi più che alla produzione dei fiori e dei frutti. Iddio però volle benignamente che l’uomo fosse innalzato fino alla dignità di vederlo a faccia a faccia, e possederlo nella visione beatifica, ed unirsi a Lui con un amore sì perfetto, da essere, dirò così, trasformato in Lui. Epperò perché l’uomo potesse poggiare tanto alto, che cosa dovette egli fare? Dovette inserire un nuovo principio nell’uomo, mediante il quale, egli fosse capace di questa operazione sì nobile ed elevata. Dire quale eccesso di bontà sia questo in Dio, di averci degnato di un fine sì alto, dire che sublimità sia per l’uomo l’avere questo fine nobilissimo, sarebbe argomento maraviglioso, ma ci farebbe uscire di strada. – Al nostro proposito fa il sapere in secondo luogo che, dopo che Dio ha avuta questa degnazione verso di noi di prefiggerci un fine soprannaturale, noi abbiamo al tutto l’obbligo di tendervi, perocché noi non possiamo evitare la dannazione, nè acquistare la salute altro che tendendo ad esso. Potrebbe dire alcuno che ci si contenta di arrivare al fine naturale; ma questo non è possibile, perché Iddio ha determinato al tutto che non vi fosse altra beatitudine che la soprannaturale, oppure la dannazione: tantoché o possederemo godendone la vista chiara e trasformandoci, per così dire, in Lui, oppure saremo privi di Lui per sempre e gittati nell’abisso eterno. – In terzo luogo, è da sapere, che come la pianta, di cui abbiamo parlato sopra, avrebbe avuto bisogno, per poter parlare e intendere, che le venissero inserite nuove facoltà e gli organi opportuni; così alla nostra natura, perché possa tendere a quel fine soprannaturale che le fu proposto, si richiedono nuovi principii. Questi sono: primo, una qualità che s’infonde da Dio nell’anima, la quale chiamiamo grazia santificante; e dopo la caduta che l’uomo fece in Adamo, per la quale perdette il tesoro di essa grazia santificante, si richiese la fede e la speranza in un Redentore venturo, per poter ricuperare la detta grazia; e finalmente dopo che questo Redentore venne sulla terra e ci meritò e ci ricuperò la grazia, si richiede che noi pratichiamo tutti quei mezzi, che Egli preferisce come i soli valevoli per giungere al fine soprannaturale. – Questo è il punto che poco s’intende da molti Cristiani, che pure è di massima importanza per chi voglia giungere alla salute. È necessaria dunque in primo luogo la fede in Gesù Cristo, nostro unico Redentore e Salvatore, per i cui meriti ci vengono conferite tuttu le grazie e tutti gli aiuti necessari alla salute; la quale fede cì viene infusa nel santo Battesimo. È necessario, in secondo luogo, possedere la grazia santificante, la quale nello stesso Battesimo si conferisce, ed ordinariamente poi dagli adulti, che per loro sventura la perdono, si riacquista nel sacramento della Penitenza. – Terzo è necessaria la conformità con Gesù Cristo, perché Iddio ha determinato che non vi sia salvezza se non nella imitazione di Lui; è necessario che gli atti buoni e di virtù, che noi facciamo, siano atti soprannaturali, cioè, per parlare più chiaro, atti che muovano dal principio interno di quella qualità infusaci, che abbiamo detto essere la grazia santificante, ed atti che siano fatti per motivi conosciuti col lume della fede. – Se non si adoperano questi mezzi, è nulla del mai sperare il conseguimento del fine; perché tutti gli altri mezzi, fuori di questi, non hanno proporzione veruna col fine che ci è proposto. Per continuare la similitudine già addotta, quella pianta, che dovesse non solo produrre fiori e frutti, ma ancora intendere e parlare, giungerà mai a questa operazione, se non mettesse in moto altro che gli organi della vegetazione, e non già quelle qualità tanto più eccellenti, di cui è stata arricchita straordinariamente per produrre suoni e pensieri? Certo no, poiché gli organi della vegetazione non hanno proporzione coll’uso della favella e colla facoltà dell’intendere: ora il simile avviene in noi. La gloria, che ci aspetta nella beatitudine avvenire, non può essere effetto di soli atti naturali. Questi non hanno proporzione con quella, bisogna che si metta in moto la grazia, perché possiamo produrre atti valevoli al fine soprannaturale. – Ora le cose stando così, che non vi è salute se non per mezzo della fede, della grazia, dell’imitazione di Gesù Cristo, delle opere fatte per motivi soprannaturali, come può altri dire che basti la ragione, che basti il cuore, che non si estendono da sé a niuna opera che sia soprannaturale? Che poi veramente si richiedano questi mezzi è tanto certo, quanto è certa la parola di Dio, quanto è certa tutta l’economia della fede cristiana. Il negare la necessità della grazia santificante e della grazia attuale è cadere nella superba eresia di Pelagio, il quale non volle mai riconoscere le dottrine di Cristo che promulgava, che senza di Lui nulla si poteva fare, e dell’Apostolo il quale asseriva, che senza la carità l’uomo è nulla. Il non conoscere la necessità della fede per la salute è lo stesso che contraddire all’Apostolo, il quale afferma che senza la fede è impossibile piacere a Dio ed a Gesù Cristo, il quale assicura che chi non crede sarà condannato. Che la imitazione di Cristo sia indispensabile alla salvezza, lo intima il Principe degli Apostoli, il quale ci ammaestra che Gesù ci precedette perché noi ne seguissimo poi le orme; e quelle di Paolo, che non è predestinato alcuno, se già non è previsto conforme all’immagine del divin Figliuolo. Che si richieda un fine soprannaturale nel bene che facciamo, come poteva insegnarcelo più chiaramente il divino Maestro, che col farci sapere che chi si propone un fine terreno, coll’ottenere questo ha già conseguito quel che bramava ed ha già ricevuta la sua mercede? Inoltre, tutta l’economia della venuta di Cristo, della sua predicazione, della sua vita, de’ suoi esempi, della istituzione degli Apostoli, della fondazione della Chiesa, non fa poi altro che gridare a gran voce che siamo tenuti alla vita soprannaturale. Tutte le frasi così solenni della santa Scrittura, che siamo chiamati alla luce, che dobbiamo essere morti alla natura per vivere alla grazia, che non ha più da vivere in noi l’uomo vecchio ma il nuovo, che non ha più da trionfare la carne ma lo spirito, che il nuovo Adamo ha sepolto l’antico: tutte queste frasi della santa Scrittura ed altre innumerevoli, significano tutte che non abbiamo da regolarci con la sola ragione, col solo cuore, ma bensì coi principii superiori alla ragione, con affetti superiori a quelli naturali del cuore. – Alla presenza di tante ragioni stimo inutile l’allegare in proprio sia la pochezza della ragione; l’insufficienza di essa per scoprire pienamente il vero, e tutti gl’interminabili e gravissimi errori in cui sono sprofondati e sprofondano tuttodì i suoi adoratori fanatici. Stimo inutile il mettere sott’occhio al lettore la bruttezza, la doppiezza, la corruzione di quel cuore, di cui alcuni menano tanto vanto. Ognuno che riflette sopra di sé un istante, sarà più che bastevolmente convinto, che s’ingannano in gran maniera tutti coloro i quali gridano che basta la ragione, che basta il cuore. Piuttosto è a dire (perché non tutti l’intendono bastevolmente) qual sia la gravità di questo disordine ed il danno: io lo toccherò brevemente, sia perché si conosca meglio, sia perché chi vuole il possa sfuggire più agevolmente. – Cotesto immenso errore vizia il Cristiano intorno alla radice stessa della salute che è la fede: imperocché chi crede bastar la ragione a salvamento, non potrà mai far gran caso della fede che è sopra la ragione. Ed infatti vediamo poi costoro non capir nulla della necessità di essa, sentenziare che qualunque religione è buona, che basta il far bene; non fare differenza alcuna tra il protestante, il deista ed il Cattolico; limitare ad un poco di probità naturale tutta l’essenza della religione: e mentre il Salvatore del mondo vien sulla terra a bella posta per seminare la vera fede, mentre grida che chi non crede sarà condannato, che chi non crede è già giudicato; essi non sanno neppur capire come si possa fare tanto caso di questo dono ineffabile: e mentre vedono i primi fedeli lasciarsi strappare piuttosto l’anima dal corpo che la fede dal cuore; essi la stimano un nonnulla da gittarsi per ogni vano sofisma o leggera nebbia di difficoltà. – Lo vizia altresì in ordine alla grazia, giacché costoro non pensano neppure alla necessità che hanno, per salvarsi, di mantenersi in quella: che la grazia ha da essere il principio nuovo del loro operare in ordine alla salute, che è la sola per cui possano essere amici di Dio e grati ai suoi occhi. Perciò passano gli anni intieri senza di essa, e talvolta, appena ricuperata, la gittano di bel nuovo; e mentre si affliggerebbero immensamente di aver perduta una tenue somma di argento e di oro, non sentono neppure di aver perduto il tesoro immenso che solo poteva spendersi per l’acquisto del cielo. – Come s’ingannano intorno alla necessità della grazia, così si ingannano intorno alla necessità ed all’uso dei mezzi necessari ad acquistarla e mantenerla. Non sarebbe credibile, se non si vedesse tutto giorno in quelli che sono travagliati da cotesto errore, la trascuratezza in che giacciono di tutti cotesti mezzi. I sacramenti sono i canali ordinari della grazia, il santo sacrifizio della Messa e le orazioni la impetrano, la divina predicazione le apre la strada, e generalmente tutti i mezzi di pietà la fomentano nel cuore: ora non è a dire fino a qual punto siano trascurati in tutto ciò. Sebbene la trascuratezza è anche il meno a petto dell’indifferenza, con cui mirano tutte queste pratiche. Colla persuasione che hanno, che basta la ragione ed il cuore alla salute, non possono più mirare tutti i mezzi sopraccennati, che come cose inutili o soverchie o certamente tutt’altro che necessarie, e faccia Dio che non anche come superstiziose. E così, come lo pensano, anche lo dicono, parlandone con altri, coi quali si fanno le maraviglie che se ne faccia tanto caso. Ho sentito io più di una volta persone non cattive dire con un sangue freddo che metteva compassione a chi si mostrava sollecito dell’uso di tutti cotesti mezzi: e come mai voi, che avete tanto ingegno, siete poi tocco da questi pregiudizi? Anche voi per le chiese? Anche voi a spazzare confessionali? Oh che Iddio si avrà da curare di tutto ciò? E non sospettare neppure che dicevano il più bestiale sproposito che potessero dire! Quest’errore corrompe poi tutto quello che fanno, perfino le virtù. Come non riconoscono che il bene, perché sia bene giovevole alla salute, bisogna che sia fatto per motivi soprannaturali, ed anche in istato di grazia perché sia meritorio di vita eterna, che le virtù siano esercitate per motivi soprannaturali, onde siano virtù cristiane; così in tutto operano puramente all’umana, e così non meritano punto, e perdono il tempo e l’opera. Quanto non hanno gridato e preso scandalo di sacerdoti zelanti, i quali han condannata la loro filantropia ed hanno cercato di richiamarli alla carità! Non sapevano darsi pace che i sacerdoti impugnassero le loro opere filantropiche di asili, di orfanotrofi, di ricoveri, di scuole, di culle, di che so io: ma forse avevano ragione di scandalizzarsi così? Tutto all’opposto. Avevano veduto questi ecclesiastici dalle persone che promovevano, caldeggiavano, patrocinavano quelle opere che non vi era in esse lo spirito del Vangelo, poiché spesse volte esse partivano da increduli, da libertini, da protestanti, e ne presero sulle prime ragionevolmente sospetto. Attesero ai motivi che si allegavano in favore di esse, e si accorsero che non avevano nulla che si sollevasse sopra l’umano, e lamentavano che presso i Cristiani non avessero anche la bontà soprannaturale. Vedevano in una parola che non si beneficava l’uomo, perché figliuolo di Dio, perché redento da Gesù Cristo, perché immagine dell’Altissimo, perché raccomandatoci e confidatoci dal Salvatore, che sono i veri motivi della soprannaturale carità; ma che si beneficava unicamente perché nostro simile, per natural compassione, per naturale benevolenza, per quella naturale soddisfazione clie si prova a far del bene altrui: i quali motivi tutti, sebbene non cattivi, tuttavia, siccome naturali solamente, non sono valevoli ad ottenere la vita eterna: e così si sforzavano, in tutti i modi e con tutta la carità, a suggerire altri motivi più sodamente utili all’anima ed onorevoli a Gesù Cristo: ma chi ha mai potuto far penetrare a quegl’illusi, che disconoscono il soprannaturale, la verità? Similmente (per dirlo qui di passaggio) riprendevano la carità fatta coi balli, colle serate, colle rappresentazioni teatrali e somigliante. Or chi non ha uditi i mondani gridare la croce addosso a chi non approvava simili mezzi di fare carità? Eppure chi conosce la necessità di fare opere soprannaturali per l’acquisto della vita eterna, potrà mai negare esser giustissima una tale riprensione? Chi comprendesse che far limosina cristianamente, non è gittare un tozzo di pane ad un povero per liberarsi dalla noia d’averlo intorno, oppure privarsi di qualche cosa per soddisfare ad un sentimento “naturale di compassione, ma bensì il dare come si darebbe a Gesù Cristo in persona un sovvenimento; chi comprendesse, io dico cìò, non vedrebbe subito quanta serietà e quasi non dissi riverenza interiore si richieda in quest’atto, e non comprenderebbe ad un tratto la estrema sconvenienza che è il farlo per mezzo di un ballo, di una tresca, di un sollazzo? La negazione soprannaturale guasta e distrugge tutti i principi evangelici. Anche prima che Gesù Cristo venisse sulla terra vi avevano delle naturali virtù, e non può mettersi in dubbio, se altri non vuole insultare tutta l’umana natura e reputar false tutte le storie. Con tutto ciò, siccome non bastevoli alla salute, venne Gesù Cristo apportatore alla terra di principii al tutto nuovi, di nuove massime, di nuove dottrine, alle quali la natura non arrivava. Ora chi nega il soprannaturale, bisogna che disconosca tutti questi divini insegnamenti. – La ragione umana insegnava a fare del bene e ad amare gli amici perfino ai pagani, come l’avvertì il divino Maestro; ma Gesù giunse: Io vi dico che facciate del bene anche a chi vi fa del male e vi perseguita, affinché siate degni figliuoli di quel Padre celeste il quale fa sorgere il sole sopra i buoni e sopra i cattivi. La ragione umana arrivava fino a consigliare la modestia in mezzo al merito ed alla lode; questa era la maggior perfezione a che sapeva innalzarsi: ma Gesù Cristo travalicandola smisuratamente condusse l’uomo fino alla umiltà ed al disprezzo di sè medesimo. La ragione umana giungeva fino a consigliare un uso onesto dei beni della terra, e se talvolta si stendeva fino a non curar la possessione di beni smisurati, era per sostituirvene solo una tal quantità che mentre giovasse col bastevole, non desse troppa cura col soverchio: ma Gesù Cristo introdusse sopra la terra l’amore alla povertà, tanto odiata fino a quel punto, e la chiamò beata e la dichiarò fonte di tutti i beni. La ragione umana non conobbe dell’uso dei diletti della natura altro limite che quello del soverchio e dell’illecito, ed anche questi limiti male conobbe e spesso trapassò: Gesù Cristo insegnò a privarsi anche del lecito, anche dell’onesto e proclamò beato il pianto, beate le lagrime di chi addolora. La temperanza nell’uso dei beni fu l’unico dettame della ragione: Gesù Cristo vi aggiunse la mortificazione e la penitenza con tutti i suoi flagelli e rigori. In una parola, la ragione persuadeva la virtù, ma pei motivi soli che conosceva, la giustizia per la rettitudine naturale, la continenza per mantenere la sanità, la beneficenza per la soddisfazione che produce, e così andate dicendo: laddove Gesù Cristo, rivelando nuove virtù, manifestò nuove ragioni per praticarle, l’imitazione del Padre celeste, la conformità con lui Redentore e modello, la perfezione interiore dell’uomo, l’acquisto d’una immarcescibile corona, come i veri e santi motivi dell’operare. Ora tutte queste cognizioni arrecate da Gesù, tutte le annienta chi disconosce il soprannaturale. Finalmente disconosce il fine e la natura della santa Chiesa. Il trovato più mirabile della sapienza divina è stato questo: l’avere Dio ordinati in una universale società tutti gli uomini, e per mezzo di essa l’avere a tutti fornito quanto era necessario all’acquisto dell’eterna beatitudine. Or di questa società non solo non può far parte chi non conosce il soprannaturale, ma non può neppure ravvisarla, imperocché se è esterna e visibile nella sua riunione e gerarchia, è tutta soprannaturale nelle sue interiori proprietà. Soprannaturale nel fine che si propone, poiché non è terreno quello a cui essa indirizza tutti i suoi membri; soprannaturale nei mezzi che adopera, consistendo questi nell’applicazione dei meriti e delle soddisfazioni di Cristo coi Sacramenti, colle preghiere, colle indulgenze, coi sacrifizi. È soprannaturale nel suo Capo, giacché rivestito di un’autorità immediata da Gesù Cristo capo invisibile; è soprannaturale nei legami che la stringono, che sono la fede e la carità; e soprattutto nelle sue leggi, poiché sancite immediatamente o mediatamente da Dio; soprannaturale nelle sue speranze, poiché vagheggia e si promette beni che occhi umani non videro, né  orecchie sentirono, né entrarono in cuore d’uomo; è soprannaturale in sé stessa, perché è lo spirito di Dio che la forma, è l’assistenza di Cristo che la regge e la vivifica. Il perché chiunque non conosce il soprannaturale, come può conoscere la Chiesa? Chiunque non conosce la Chiesa, come può giungere alla salute? – Laonde, a voler restringere ormai il tutto in poche parole, ecco a che riesce quel detto: Che bisogno vi ha di tanto soprannaturale? Basta la ragione, basta il cuore. Riesce a rinnegare compiutamente Gesù Cristo, la sua fede, la sua dottrina, la sua Chiesa, ed a ritornare gli uomini quel che erano prima della sua venuta, cioè con tutta la loro impotenza a conoscere Dio, con tutta la loro corruzione, o ad infracidamento nei vizi, con tutta la loro impossibilità a mai giungere alla salvezza. Se questo non basta a mettere orrore ad un Cattolico di quell’assioma, io confesso che non so che altro ci vorrà.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (12).

9. Art. del Simbolo: la Chiesa (2)

5. LA CHIESA CATTOLICA È INDEFETTIBILE ED INFALLIBILE.

1. L’INDEFETTIBILITÀ DELLA CHIESA.

La stessa religione mosaica non poteva essere distrutta né dalla cattività babilonese né dagli sforzi dei tiranni per costringere gli ebrei all’idolatria. Strepitosi miracoli (i tre giovani nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni) hanno sempre preservato la sinagoga. Lo stesso vale per la Chiesa cattolica. Essa ha come tipo l’arca di Noè, inaffondabile nelle piene del diluvio e tranquillamente depositata da esse sulla roccia delle montagne dell’Armenia.

La Chiesa cattolica è preservata e diretta dallo Spirito Santo Spirito, che la rende indefettibile ed infallibile nel suo insegnamento. La Chiesa, dice Sant’Ambrogio, è un carro guidato da Dio stesso.”

La Chiesa cattolica è indefettibile, cioè ci sarà un Papa, dei Vescovi, dei Sacerdoti, dei fedeli, e il Vangelo sarà predicato fino alla fine dei tempi.

Cristo ha detto: “Le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa”. (S. Matth. xvi, 18) e inoltre: “Il cielo e la terra passeranno, ma le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa” (S. Matth. XVI, 18). Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.”. (S. Luc. XXI, 33).

Le opere di Dio non possono essere distrutte, come disse Gamaliele al Sinedrio. (Act. Apost. V, 38). Le parole di Cristo: “Le porte dell’inferno…”, ecc. significano che il potere di tutti i demoni non sarà sufficiente a rovinare la Chiesa.

L’Angelo Gabriele aveva già annunciato a Maria che il regno del Figlio suo non avrebbe avuto fine. (S. Luc. I, 33). – La Chiesa è come la luna: sembra che stia tramontando e in realtà non sta tramontando.

È oscurata, ma non annientata. (S. Ambr.) La barca di

essere coperta dalle onde, ma non naufragare, perché contiene Cristo.

(S. Ans.) Chi attacca la Chiesa non la sconfiggerà, perché il Dio che la protegge è più potente di tutti gli uomini.

(S. J. Chr.) Chi attacca la Chiesa non la sconfiggerà, perché il Dio che la protegge è più potente di tutti gli uomini.

con Dio, ma non trionfare su di lui.

1. QUANDO LA CHIESA È IN PERICOLO IMMINENTE, CRISTO VIENE MERAVIGLIOSAMENTE IN SUO AIUTO, SIA CON MIRACOLI, SIA CON UOMINI PROVVIDENZIALI.

La Chiesa è come la barca di Pietro: al culmine della tempesta, Cristo si sveglia e le ordina di calmarsi (S. Gir.) Come si rallegrarono i farisei e gli scribi quando fecero crocifiggere Cristo e sigillare e custodire la sua tomba con le guardie! Ma il terzo giorno Gesù è risorto nella gloria e i suoi nemici sono stati confusi.

Questo stesso fenomeno si è ripetuto nei secoli. L’imperatore Diocleziano (+313) aveva perseguitato così violentemente i Cristiani che gli furono eretti monumenti con questa iscrizione: “All’imperatore Diocleziano, distruttore del nome cristiano”. E cosa accadde? Costantino il Grande gli succedette e fece del Cristianesimo la religione dell’impero. La gioia dei pagani per la rovina del Cristianesimo era finita. – La persecuzione provocata da Napoleone non durò a lungo. Per la Chiesa, la festa di Pasqua, della Risurrezione, segue infallibilmente il Venerdì Santo delle persecuzioni. Nei momenti critici, Dio ha sempre suscitato nella Chiesa uomini provvidenziali. (Vedi art. VIII del Simbolo, 2. IV).

2. TUTTI I PERSECUTORI DELLA CHIESA HANNO SPERIMENTATO LA VANITÀ DEI LORO SFORZI; MOLTI DI ESSI SONO FINITI TRISTEMENTE.

La misera morte di Giuda è l’immagine della fine dei persecutori del Cristianesimo e della Chiesa. Erode, l’uccisore dei S.S. Innocenti, il persecutore di Gesù Bambino, fu divorato da una massa di insetti che erano penetrati nelle sue viscere e gli causarono un violento dolori r gli impedirono di mangiare (Flav. Gius.) Erode, l’assassino di San Giacomo e il carceriere di San Pietro, fu mangiato vivo dai vermi. (Act. Ap. XII; 23). Pilato fu bandito dall’imperatore romano a Vienne, nelle Gallie e si suicidò lì nell’anno 41. (Flav. Gius.) Il destino di Gerusalemme nell’anno 70 non fu meno terrificante. Un milione di ebrei morì di fame, malattie, guerra civile e sotto la spada dei romani; la città stessa fu ridotta in cenere e 100.000 Giudei furono fatti prigionieri. (Flav. Gius.) L’imperatore Nerone, crudele persecutore della Chiesa, fu deposto e bandito da Roma. da uno schiavo e morì esclamando: “Quale artista scompare con me?” Anche l’imperatore Diocleziano omeo finì la sua vita in disgrazia; la sua famiglia fu bandita, le sue immagini spezzate e lui stesso si gonfiò a dismisura, mentre la sua lingua veniva mangiata da vermi puzzolenti. Non meno tipica fu la fine di Napoleone. Egli aveva tenuto prigioniero Pio VII per 5 anni; lui stesso fu tenuto prigioniero per 7 anni all’Elba e a Sant’Elen. Nello stesso castello di Fontainebleau dove aveva estorto al Papa la rinuncia ai suoi Stati in cambio di una rendita di 2 milioni, egli stesso fu costretto a firmare la sua abdicazione in cambio di un’analoga rendita. Il 17 maggio 1809 diede l’ordine di riunire lo Stato Pontificio alla Francia e, quattro giorni dopo, la sua stella cominciò a impallidire nelle battaglie di Aspern e di Esslingen. Napoleone aveva deriso la scomunica dicendo che essa non avrebbe fatto cadere le armi dei suoi soldati, e durante la campagna di Russia, in cui morirono quasi 500.000 dei suoi soldati, il freddo strappò le armi dalle loro mani. Il 21 maggio 1821 Napoleone morì a Sant’Elena, e quello stesso giorno Pio Vil celebrò la sua festa a Roma. È un pensiero che fa riflettere, e un proverbio francese dice: “Qui mange du Pape en meurt!” – La sorte degli eresiarchi e dei grandi empi non fu diversa: Ario morì in mezzo ad una processione solenne (+335); Voltaire, il filosofo miscredente, ripeteva spesso: “Sono stanco di sentir parlare di 12 pescatori che hanno fondato la Chiesa; dimostrerò al mondo che io da solo sono in grado di distruggerlo. Morì in un impeto di rabbia e disperazione, dopo aver sofferto una sete orribile ed essersi bagnato le labbra con un liquido disgustoso.(+ 27 febbraio 1778). E la chiesa è ancora oggi in piedi! Curiosamente, fu il 25 febbraio 1758, esattamente vent’anni prima della sua morte, che egli aveva scritto all’amico d’Alembert: “Tra vent’anni, avrò eliminato Dio”. – Alla fine della sua vita, l’empio Rousseau fu torturato da un’angoscia tale da porre fine alla sua vita. – Tutti questi empi sperimentarono la verità di questa frase: è terribile cadere nelle mani del Dio vivente (Eb. X, 31). Hanno subito la sorte di un uomo che si infrange contro una roccia. Cristo si è dato questo nome e ha detto: “Chiunque cadrà su questa roccia sarà schiacciato”. (S. Matth. XXI, 44).

3. È una caratteristica della Chiesa che non fiorisce se non nelle persecuzioni (s. Hil.).

Le persecuzioni educano i grandi Santi (S. Aug.), e la nostra santa madre Chiesa può applicare a se stessa le parole dette a Eva: “Partorirai con dolore”. (Gen. III, 16). Come l’arca di Noè, più il diluvio si alza, più si slancia verso il cielo. La persecuzione moltiplica i fedeli; la Chiesa è il campo che è fecondo solo quando viene lavorato dall’aratro; è la vite la cui fruttificazione si ottiene con la potatura. Le piante crescono sotto l’influenza dell’irrigazione, la fede fiorisce quando è perseguitata. (S. Giovanni Cris.) Il fuoco si accende quando viene soffiato su di esso e la Chiesa cresce attraverso la persecuzione. (S. Rup.) – Le persecuzioni purificano la Chiesa: sono la fornace in cui viene ripulita dalle sue scorie. (S. Aug.); Sono il vento che spazza via i frutti marci. Migliaia di defezioni non danneggiano la Chiesa, ma la purificano. – Le persecuzioni sono un’opportunità per Dio di fare miracoli, per dimostrare la divinità della Chiesa, come fece al tempo della sinagoga al tempo della cattività. Quante volte i Cristiani sono fuggiti e al sicuro dalla tortura! 1 I nemici della Chiesa sono costretti a dirsi: “In verità, il Dio dei Cattolici è potente!” – La Chiesa esce trionfante da tutte le persecuzioni. Il Venerdì Santo è sempre seguito dall’alba della Pasqua. – La Chiesa in Germania è stata crudelmente perseguitata circa trent’anni fa. I vescovi vennero imprigionati, gli ordini religiosi banditi, l’amministrazione dei Sacramenti proibita, ecc. e tutte queste tribolazioni hanno provocato una magnifica rinascita della vita religiosa tra i Cattolici tedeschi. Il numero dei deputati cattolici salì a 100, il numero dei giornali cattolici da 400 a 500, i congressi cattolici annuali, le associazioni cattoliche si moltiplicarono, le convinzioni dei fedeli si rafforzarono, e i Cattolici tedeschi poterono essere additati a modello al mondo intero. “Quanto più la Chiesa è oppressa, tanto più essa sviluppa la sua forza; quanto più è abbattuta, tanto più si innalza. (Pio VII). È proprio della Chiesa che essa comincia a vivere veramente quando viene sacrificata (S. Ilar.). Questo è un privilegio che non appartiene a nessuna istituzione umana, è da questo che si riconosce la figlia di Dio onnipotente, la sposa di Cristo.

2. L’infallibilità della Chiesa.

Dio ha messo nei nostri cuori una sete di verità e l’uomo è in ansia finché questa sete non viene soddisfatta. I nostri primi genitori non hanno avuto difficoltà nella ricerca della verità. Nel loro stato di innocenza era impossibile per loro credere nell’errore (S. Thom. Aq.). Dopo il peccato originale la situazione è ben diversa: l’uomo può errare , e per comunicargli di nuovo la verità dopo la caduta, Dio gli ha mandato un maestro infallibile, il suo unico Figlio. “Sono venuto nel mondo – disse Gesù a Pilato – per rendere testimonianza alla verità” (S. Giovanni XVIII, 37). Cristo doveva essere la luce per la nostra intelligenza oscurata dal peccato (ibid. III, 19). Ma poiché non doveva rimanere sempre qui sulla terra, istituì al suo posto un maestro infallibile dell’umanità, la Chiesa, e gli concesse le grazie necessarie per questo ministero, l’aiuto dello Spirito Santo, come aveva promesso ai suoi Apostoli al momento dell’Ascensione.

Cristo ha affidato agli Apostoli e ai loro successori il Magistero dottrinale e ha promesso loro l’assistenza divina.

“Andate – disse loro mentre saliva al cielo – insegnate a tutte le nazioni… e siate certi che Io sarò sempre con voi, fino alla fine del mondo (S. Matth. XXVIII, 20). Nell’ultima cena aveva già detto: “Pregherò il Padre mio ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre: lo Spirito di verità”. (S. Giovanni XIV, 16j. A Pietro aveva promesso che le porte degli inferi non avrebbero prevalso contro la Chiesa. (S. Matth. XVI, 18). Se Cristo è Dio, le sue parole devono essere la verità: se la Chiesa potesse insegnare l’errore, Cristo non avrebbe mantenuto la sua parola. Che bestemmia! – S. Paolo chiama quindi la Chiesa colonna e fondamento della verità (I. Tim. III, 15) e gli Apostoli riuniti nel Concilio di Gerusalemme del 51 misero a capo della loro decisione la seguente dichiarazione: “è sembrato buono allo Spirito e a noi” (Act. Ap. XV, 28). – La convinzione dell’infallibilità della Chiesa è di tradizione immemorabile. Origene diceva: “Ci sono due stelle che illuminano i nostri corpi, il sole e la luna, ce ne sono due per illuminare le nostre anime, Cristo e la sua Chiesa. Cristo, luce del mondo la comunica alla Chiesa, che a sua volta illumina noi, tutti noi che camminiamo nell’errore. Dove c’è la Chiesa, dice S. Ireneo, c’è lo Spirito divino.

1. LA CHIESA CATTOLICA È INFALLIBILE NEL SUO INSEGNAMENTO, CIOÈ È ASSISTITA DALLO SPIRITO SANTO IN MODO TALE DA NON POTERE ERRARE NE NELLA CONSERVAZIONE NE NELL’INSEGNAMENTO DELLE VERITÀ RIVELATE.

La ragione, in linea di principio, ci impedisce di produrre affermazioni contrarie ad alcune verità primordiali, e lo Spirito Santo, con la sua assistenza, impedisce alla Chiesa di dare una decisione contraria alla rivelazione di Cristo (Deharbe). Molti hanno creduto di trovare un errore nelle dottrine della Chiesa. È accaduto loro ciò che accadde ai pescatori che volevano catturare le stelle con le loro reti: le tirarono su vuote, avendo scambiato l’apparenza per la realtà. (Gôrres). – – Attribuendosi l’infallibilità, la Chiesa non è uguale a Dio, perché non pretende di essere infallibile in sé, come Dio, ma attribuisce la sua infallibilità al sostegno divino.

2. LA CHIESA PRENDE DECISIONI INFALLIBILI ATTRAVERSO I CONCILI GENERALI ED IL PAPA.

In ogni Stato c’è un tribunale superiore che emette sentenze inappellabili. La saggezza di Dio richiede che Egli abbia istituito un tribunale simile nella sua Chiesa. Questa autorità risiede soprattutto nell’Episcopato nel suo insieme, perché Cristo, prima di salire al cielo, gli ha affidato il magistero dottrinale e gli ha promesso di assisterlo dall’errore. (S. Matth, XXVIII, 18). Questo è ciò che esprime san Cipriano quando dice “La Chiesa è nei Vescovi”. Ma poiché i Vescovi non possono sempre incontrarsi o rimanere insieme, Dio ha dovuto prendere altre misure per fornire decisioni definitive. – I Sacerdoti, che possono esercitare le funzioni di insegnamento solo con il permesso del Vescovo, non hanno la promessa di essere aiutati a preservare dall’errore, anche se Dio concede loro le grazie per l’esercizio delle loro funzioni. Per questo l’Episcopato li utilizza talvolta come consulenti, ma non hanno voce deliberante nel pronunciare sentenze dottrinali. – Non appena la Chiesa ha preso una decisione definitiva, tutti sono obbligati in coscienza a sottomettersi ad essa. Chi si rifiuta di farlo si separa dalla Chiesa. Per questo motivo la Chiesa sancisce i suoi decreti dottrinali con la scomunica contro tutti coloro che li rifiutano, cioè si rifiutano di riconoscerne la verità.

Il Concilio generale o ecumenico è l’assemblea dei Vescovi di tutto il mondo sotto la presidenza del Papa.

Gli stessi Apostoli tennero un concilio a Gerusalemme nel 51 e proposero la loro decisione come emanata da Dio. Parlando dei primi quattro Concili ecumenici S. Gregorio Magno disse: “Accetto e riverisco le decisioni dei Concili come i quattro Vangeli.”. – Dopo il Concilio Apostolico ci sono stati 20 concili generali. Il primo si tenne a Nicea (325) contro l’eresia di Ario; l’ottavo a Efeso (431), dove fu definita la maternità divina di Maria; il settima a Nicea (787), che approvò il culto delle immagini; il dodicesima in Laterano (il quarto con questo nome) nel 1215, dove fu emanato il decreto della comunione pasquale; il 19° a Trento contro gli errori della Riforma; il 20° in Vaticano (1870), che definì l’infallibilità del Papa. – La presenza di tutti i Vescovi non è essenziale per la natura ecumenica di un concilio. È sufficiente la maggioranza morale. Al Concilio Vaticano erano presenti 1044 Vescovi, all’inizio ne erano presenti solo 750, alla fine solo 580. – L’unanimità dei voti non è necessaria per una decisione, basta una maggioranza che si avvicini all’unanimità. L’infallibilità del Papa, ad esempio, ha ricevuto 533 voti; due Vescovi hanno votato contro e 55 non hanno partecipato alla sessione. – Non è richiesta nemmeno la presidenza personale del Papa, che viene rappresentato da legati, come è avvenuto nel 1°, 3° e 4° Concilio Generale. Ma è necessario per la validità delle decisioni che il Papa le approvi. – I cardinali, i generali (degli Ordini), i prelati con giurisdizione episcopale (ad esempio alcuni abati), hanno diritto di voto nel Concilio, così come i Vescovi. (in partibus) quando vengono convocati. – I Concili generali prendono decisioni solo dopo un’attenta deliberazione, che si concentrano principalmente sull’insegnamento della Chiesa nei secoli passati. – Oltre ai Concili generali, ci sono i concili nazionali, in cui si riuniscono i Vescovi di una nazione, di uno Stato o di un Paesesotto la presidenza del primate; i concili provinciali o assemblea dei Vescovi di una provincia ecclesiastica sotto la presidenza dell’Arcivescovo o del Metropolita; e i sinodi diocesani, in cui si riunisce il clero di una diocesi sotto la presidenza del Vescovo. A parte i Concili generali, nessun altro concilio gode dell’infallibilità.

Anche le decisioni dell’Episcopato disperso sono infallibili.

Queste decisioni possono avvenire quando il Papa consulta i Vescovi su un punto di dogma o di morale. È il caso del 1854, quando Pio IX chiese a tutti i Vescovi del mondo la loro testimonianza sulla fede nell’Immacolata Concezione della Madre di Dio. Quasi tutte le risposte furono affermative e l’8 dicembre 1854 Pio IX proclamò solennemente il dogma per tutta la cristianità. Le decisioni dell’Episcopato non sono meno infallibili di quelle di un Concilio, perché l’assistenza dello Spirito non è legata a un luogo specifico. – Non è nemmeno necessaria una decisione esplicita dell’Episcopato disperso, è sufficiente che su un punto tutti i Vescovi insegnino la stessa dottrina. Anche in questo caso è impossibile che l’Episcopato si sia allontanato dalla verità. altrimenti tutta la Chiesa sarebbe caduta nell’errore, il che è contrario alla sua indefettibilità. Ecco perché il Concilio Vaticano (3, 3) ha dichiarato che dobbiamo credere non solo le verità solennemente proclamate dalla Chiesa, ma anche quelle che ci vengono proposte come rivelate dalla dottrina ordinaria e universale (dall’Episcopato in generale).

La decisione del Papa è infallibile quando promulga per la Chiesa universale, in qualità di capo e maestro supremo dei fedeli, una verità riguardante la fede o la morale. Queste decisioni sono chiamate dottrinali o ex cathedra.

Il Concilio Vaticano (1870) ha definito l’infallibilità delle decisioni dottrinali (ex cathedra) come un dogma. Questa infallibilità _ può essere dedotta dalle parole di Gesù Cristo a San Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ” (S. Matth. XVI, 18). Se colui che è il fondamento della Chiesa potesse condurla all’errore, non sarebbe una roccia, ma un banco di sabbia su cui l’edificio crollerebbe. S. Pietro è inoltre costituito pastore e capo degli gli Apostoli e dei fedeli con queste parole di Cristo: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. (S. Giovanni XXI, 15) e Cristo gli ha dato la forza di confermare i suoi fratelli nella fede. (S. Luca XXII, 32). Se il papa potesse insegnare l’errore, la parola di Cristo sarebbe vana, il che è impossibile. – Le decisioni del Papa hanno sempre goduto di un’alta autorità. Quando la S. Sede aveva condannato l’errore dei Pelagiani, Sant’Agostino esclamò: “Roma ha parlato, la causa è finita!” – “Gli eretici – diceva San Cipriano – non hanno accesso alla Chiesa romana”. Gli stessi Concili generali chiamano il Romano Pontefice Padre e Dottore di tutti i Cristiani (Conc. di Firenze. 1439) e la Chiesa romana madre e maestra di tutti i fedeli. (IV Concilio Lateranense, 1215). Ovviamente il Concilio intendeva con questo la Chiesa docente (romana), perché la Chiesa discente non è stata mai considerata come autorità dottrinale. L’infallibilità, inoltre, appartiene al Papa per il fatto stesso che egli ha il pieno potere di governare tutta la Chiesa (Conc. Flor.), poiché la suprema autorità dottrinale è necessariamente parte di questa pienezza di potere di governo. Ora, la suprema autorità dottrinale è protetta per diritto divino attraverso la suprema assistenza dello Spirito Santo. L’autorità dottrinale suprema è infallibile. Per questo le decisioni ex cathedra del Papa sono infallibili di per sé, indipendentemente dall’assenso dei Vescovi (Conc. Vatic. 4, 4), altrimenti la roccia, il successore di Pietro, trarrebbe la sua forza dall’edificio che poggia su di lui, mentre l’edificio trae la sua solidità dalla roccia su cui poggia. – Tuttavia, egli non può essere infallibile in tutto; perché è un uomo e può sbagliare come noi nelle cose umane, nel leggere, nello scrivere, nel calcolare, eccetera; può anche peccare, come ogni uomo, e non neghiamo che ci siano stati Papi viziosi. Ma quando egli prende una decisione dottrinale, è Cristo che agisce su di lui attraverso lo Spirito Santo e lo preserva dall’errore. Inoltre, il Papa non emette mai

un decreto dottrinale senza aver prima consultato l’Episcopato. – Non c’è nessuna decisione ex cathedra, ad esempio, nei discorsi del Papa ai pellegrini, nelle sue lettere ad un sovrano, nella soppressione dei Gesuiti (1773). Gli insegnamenti ex cathedra sono di solito sanciti dalla minaccia di scomunica nei confronti di coloro che li negano: sono quindi obbligatori per tutti i Cattolici. – L’infallibilità del Papa, ex cathedra, non rende superflui i Concili generali. Le decisioni infallibili dei concili hanno un peso maggiore a causa della loro solennità, e le deliberazioni dei Concili permettono di andare a fondo delle ragioni della dottrina ecclesiastica. In alcune circostanze, queste assemblee sono molto utili, persino necessarie: gli Apostoli ritennero opportuno tenerne una a Gerusalemme, anche se tutti godevano del dono dell’infallibilità.

3. LE MATERIE IN CUI LE DECISIONI DELLA CHIESA SONO INFALLIBILI SONO: GLI ARTICOLI DI FEDE, LE LEGGI MORALI ED IL LORO SIGNIFICATO, LA SCRITTURA, LA TRADIZIONE E LA LORO INTERPRETAZIONE.

Quando, dunque, la Chiesa definisce l’eternità delle pene dell’inferno, questa decisione è infallibile, perché è una questione di fede. Quando dice che la santificazione della domenica è ordinata da Dio, ci promulga la volontà di Dio in modo infallibile, perché la sua decisione riguarda un punto di moralità. Cristo ha promesso ai suoi Apostoli che lo Spirito di verità avrebbe insegnato loro tutta la verità (S. Giovanni XVI, 13), cioè almeno tutta la verità relativa alla religione. Ora, le parole di Gesù Cristo dimostrano che la religione comprende le verità di fede e la legge morale; Egli disse infatti ai suoi apostoli: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni… e insegnate loro a fare tutto ciò che vi ho comandato”, (S. Matth. XXVIII, 20) e fu proprio questo comando a conferire loro l’infallibilità.

Poiché la Chiesa attinge le sue verità religiose dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, essa è necessariamente infallibile nella loro interpretazione. – Da quanto detto sopra possiamo dedurre l’assurdità dell’affermazione fatta dai giornali anticlericali, secondo cui la Chiesa potrebbe definire come dogma la proposizione: Il Papa deve essere sovrano temporale.

Secondo la convinzione comune, la Chiesa è anche infallibile nella condanna degli errori e nella canonizzazione dei Santi.

Secondo la convinzione comune, la Chiesa è infallibile quando definisce una dottrina contraria alla verità rivelata. Se, dunque, la Chiesa condanna l’opinione darvinista che l’uomo discende dalla scimmia, sta definendo qualcosa che è intimamente connesso con le verità rivelate, e rimane nell’ambito della sua infallibilità. Infatti, se per assistenza divina la Chiesa conosce la verità, deve anche conoscere l’errore. Per questo motivo, da sempre, ha condannato gli errori, sia che fossero professati oralmente o per iscritto: i padri del Concilio di Nicea (325), ad esempio, condannarono gli errori di Ario. È così che i papi condannano i libri che sono contrari alla fede e alla morale. Ora, la Chiesa non prenderebbe queste decisioni se non fosse consapevole della sua infallibilità in questo campo. L’infallibilità nella canonizzazione dei Santi non è meno fondata, non solo per il lungo e serio processo che precede ogni canonizzazione, ma anche perché il culto dei Santi è un atto di Religione. (S. Thom. Aq.) Attraverso la canonizzazione, la venerazione di un Santo è, per così dire, raccomandata dalla Chiesa come una professione di fede, perché il santo è ufficialmente onorato nelle preghiere della Messa e del breviario. Quindi, se si fosse canonizzato un defunto che non era un santo, tutta la Chiesa parteciperebbe a un errore. Questo è tanto meno possibile se si considera che Benedetto XIV sostiene di aver, nel corso di lunghi processi di canonizzazione quasi toccato con mano l’intervento dello Spirito Santo: “si produssero all’improvviso testimonianze straordinarie che risolvevano le difficoltà o hanno fatto sì che il processo venisse abbandonato. E di fatto la Chiesa, nella canonizzazione dei Santi, giudica una delle questioni più strettamente legate alla virtù della fede e della morale; Dio ha infatti rivelato ciò che costituisce la santità. Tuttavia, questa infallibilità non è ancora un dogma, perché la santità di un determinato santo non è stata rivelata; dobbiamo aspettare una definizione da parte della Chiesa. (Ben. XIV).

6. GERARCHIA NELLA CHIESA.

Gerarchia significa ordine, subordinazione dei vari gradi nella Chiesa. La Chiesa è come un esercito in cui i soldati ordinari sono soggetti a ufficiali che a loro volta sono soggetti agli ufficiali superiori e generali (S. Clem. di Roma). Nella Chiesa c’è una subordinazione tra Vescovi, Sacerdoti e Diaconi, come tra i cori degli Angeli. (Clem. Aless.).

1 . I ministri della Chiesa sono divisi in tre classi di grado e potere diversi: Vescovi, Sacerdoti e Diaconi. (Concilio di Trento 23, cap. 4, can. 6).

Questa gerarchia è rappresentata nell’Antico Testamento dal sommo sacerdote, dai presbiteri e dai sacerdoti e leviti, e nel Nuovo Testamento da Gesù Cristo, i 12 apostoli e i 72 discepoli. Cristo fa una differenza nella missione che affida agli Apostoli e ai discepoli; a quelli disse: “Come il Padre mio ha mandato me, anch’Io mando voi”. (S. Giovanni XX), a questi altri dice semplicemente: “Andate, io vi mando”. (S. Luca X). Egli manda gli Apostoli in tutto il mondo, i discepoli solo in quei luoghi in cui Egli è passato (ibidem). I Vescovi hanno preso il posto degli Apostoli (Conc. Tr. 23, 4); essi sono superiori ai Sacerdoti, perché hanno ricevuto un ordine superiore e perché hanno un potere maggiore, ed il diritto di governare la Chiesa (da qui il loro pastorale).

A rigore, il Vescovo è il pastore, il capo del gregge, e spetta a lui decidere chi, e in che misura, deve partecipare a questo governo. dando la giurisdizione. Il Vescovo è il capo della sua chiesa, senza il cui permesso non si può fare nulla in materia sacra. (S. Ign. Ant.) Il Vescovo fa le veci di Gesù Cristo, il buon pastore. Egli ha un potere di ordine superiore; solo lui può ordinare i Sacerdoti (S. Gir.), solo lui è il ministro ordinario della Cresima (S. Cyp.), solo lui esercita certe funzioni ad esclusione di qualsiasi altro ministro inferiore (Conc. Tr. 23, 4), solo lui ha il diritto di voto nei Concili. – I Sacerdoti sono superiori ai diaconi; hanno un ordine superiore e un potere maggiore, in particolare possono offrire il Santo Sacrificio e perdonare i peccati. I diaconi hanno solo il diritto di battezzare, predicare e distribuire la Santa Comunione. I diaconi sono solo i servitori del Vescovo nella Chiesa (S. Cipr.), sono spesso chiamati mani, piedi e occhi della Chiesa (S. Cipr.). La superiorità dei sacerdoti ai diaconi è dimostrata dalla pratica della Chiesa primitiva di scegliere i Vescovi tra i sacerdoti e non tra i diaconi. (S. Gir.).

2. Questa gerarchia è di origine apostolica.

S. Paolo nell’epistola ai Filippesi parla di Sacerdoti e diaconi, ma ne nomina solo uno, il fedele compagno dei suoi lavori (IV, 3). Già allora esisteva in ogni chiesa qualcuno che doveva giudicare i Sacerdoti (1, Tim. V, 19), ordinarli (I, Tim. V, 22), impiegarli in determinate città (Tt. I, 6). S. Anche S. Ignazio di Antiochia distingue una triplice gerarchia tra i ministri della Chiesa:

“Obbedite a tutti”, scrive ai Filadelfi, “al Vescovo come Gesù obbediva a suo Padre, ai Sacerdoti come agli Apostoli, e i diaconi come la legge divina”. Vedere più in alto le comparazioni di Clemente di Roma (+ 100) e Clemente di Alessandria (+ 217). Tuttavia, in epoca apostolica, i termini non erano ancora stati fissati. I Sacerdoti erano talvolta chiamati anziani (presbitero) o sorveglianti (episcopus, vescovo). Tra gli ebrei si usava il nome di anziani (presbyter) presbiteri, perché gli ebrei avevano degli anziani nel Sinedrio e nelle sinagoghe, e quindi avevano familiarità con questa espressione. A questo è stato preferito il termine “sorvegliante”, perché la parola “anziano” sarebbe sembrata loro strano, visto che anche i giovani diventavano sacerdoti. In ogni comunità c’erano diversi sacerdoti (1. Tim. IV, 14), ma uno di loro li presiedeva, era come il sommo sacerdote, ed era il “capo” della comunità; era come il sommo sacerdote, ed è a lui che in seguito è stato riservato il titolo di Vescovo. Il Vescovo è spesso chiamato solo sacerdote, perché è davvero un sacerdote per eccellenza, così S. Pietro (I, V, 1) e S. Giovanni (U. I, 1) si danno questo nome.

3. CRISTO HA ISTITUITO IL SACERDOZIO IMMEDIATAMENTE, IL DIACONATO MEDIATAMENTE ATTRAVERSO GLI APOSTOLI.

Gli Apostoli eleggevano i diaconi per essere sostituiti da loro nella distribuzione delle elemosine; conferirono loro quest’ordine con l’imposizione delle mani. (Act. Ap. VI). I diaconi, infatti, avevano anche funzioni sacre da svolgere: predicavano (Santo Stefano), battezzavano (San Filippo che battezzò il tesoriere della regina d’Etiopia). – Le diaconesse della Chiesa primitiva erano vedove o vergini a cui veniva affidata la cura dei malati e delle donne catecumene. Non facevano parte della gerarchia, perché la Chiesa si è sempre attenuta al principio di B. Paolo: “Le donne tacciano nella Chiesa”. (1. Cor. XIV, 34); esse sono condannate al silenzio, perché Eva ha sedotto Adamo e quindi perse il diritto di insegnare nell’assemblea dei fedeli (I. Tim. II, 12 ecc.).

4. OLTRE A QUESTO TRIPLICE ORDINE, NELLA CHIESA ESISTE UN’ALTRA GERARCHIA SECONDO LA SUBORDINAZIONE DEI POTERI: Il Papa, i Cardinali, gli Arcivescovi.

Abbiamo già parlato di queste dignità (le ultime due non sono di istituzione divina). – Questa gerarchia è importante perché si basa sull’obbedienza. Gli inferiori la devono ai superiori. Tutti devono obbedienza ai loro superiori. Tutti devono obbedienza al Papa; i Sacerdoti e i laici al Vescovo, i diaconi ed i laici al Sacerdote (I. S. Pietro V, 5; Eb. XIII, 17). La gerarchia ecclesiastica è quindi come l’ordine di battaglia di un esercito (Conc. Tr. 23, 4). La Chiesa è un corpo in cui il capo influenza i membri superiori e questi ultimi influenzano i membri inferiori; senza questa influenza la Chiesa non sarebbe altro che un rigido cadavere, non resisterebbe alle persecuzioni con il successo che conosciamo. Tutta la forza risiede in questa organizzazione.

7. I SEGNI DELLA VERA CHIESA.

Quando lo spirito maligno vide i falsi dei in rovina e i loro templi abbandonati, escogitò un nuovo stratagemma ingannando gli uomini sotto la copertura del nome cristiano e provocando eresie (S. Cipr.). Da Cristo in poi, ha fondato quasi 200 nuove chiese, tutte diverse per dottrina. Ora, poiché Cristo ha istituito una sola Chiesa, ne consegue che di tutte queste chiese solo una è quella vera. Dio ha quindi voluto che la verità, e di conseguenza la vera Chiesa, fosse riconosciuta da alcuni segni infallibili.

1. LA VEA CHIESA È QUELLA CHE È STATA PIÙ PERSEGUITATA DAGLI UOMINI E LA PIÙ GLORIFICATA DAI MIRACOLI DIVINI.

Cristo ha spesso predetto queste persecuzioni ai suoi discepoli. Disse loro: ” Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (S. Giovanni XV, 20); annunciò loro che sarebbero stati portati davanti a re e governatori per rendere conto della loro dottrina (S. Matth. X, 18), disse loro addirittura: “Verrà l’ora in cui tutti quelli che vi hanno messo a morte crederanno di aver fatto bene” (S. Giovanni XVI, 2), e “perché vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. (ibid. XV, 19). Inoltre la Chiesa non è mai senza persecuzioni; la storia ci insegna che tutti i Sacerdoti e i Vescovi che hanno lo Spirito di Gesù Cristo hanno dovuto soffrire, anche il carcere. – Quanti Paesi hanno visto una persecuzione aperta! (In Germania le persecuzioni sono state chiamate Kulturkampf, cioè la lotta per la cosiddetta civiltà, ad esempio nel 1837 e nel 1874, quando molti vescovi, centinaia di Vescovi e centinaia di Sacerdoti furono imprigionati per aver detto Messa, per aver amministrato sacramenti ai moribondi, per aver condannato o non aver osservato le leggi persecutorie). La Chiesa ha subito questi assalti quasi ovunque nel corso dei secoli. Anche le sette che si combattono l’un l’altra, si uniscono nell’odio contro la Chiesa, proprio come Erode e Pilato si riconciliarono e divennero amici il giorno della condanna di Cristo. – Il mondo intero sa che tutte le opere cattoliche, gli ordini religiosi, le associazioni, i congressi cattolici, le missioni, incontrano sempre i più violenti ostacoli, che in quest’epoca di libertà di stampa ci sono Paesi in cui la pubblicazione di decreti pontifici è vietata e mentre i mandati episcopali sono soggetti al placet, i nemici della Chiesa hanno una libertà di stampa e di associazione illimitata.. Che odio c’è, soprattutto in certi Paesi, contro gli ordini religiosi! che possono essere così odiati e perseguitati! Quindi non sono le chiese che favoriscono lo spirito del mondo che possiede la verità. – Non c’è miracolo se non all’interno della vera Chiesa, e ce ne sono innumerevoli nei pellegrinaggi cattolici, ad esempio a Lourdes; sono prodotti dalle reliquie, dai corpi dei santi preservati dalla corruzione. Nessun’altra Chiesa può affermarlo e sappiamo che i miracoli sono il sigillo con il quale Dio conferma la verità.

2. LA VERA CHIESA È QUELLA IN CUI C’È IL SUCCESSORE DI SAN PIETRO.

La Chiesa poggia su una roccia, che è Pietro, perché è a lui che Gesù Cristo ha detto: “Tu sei Pietro ecc. “

Dove c’è Pietro, c’è la Chiesa. (S. Amb.). Durante la pesca miracolosa nel lago dove Gesù predicava, parlò sulla barca di Pietro. (S. Luc. V, 3). La ragione di ciò è ovvia, ora il successore di Pietro si trova solo nella Chiesa cattolica. Si noti in effetti la successione dei papi: Leone XIII successe a Pio IX, Pio IX a Gregorio XVI e così via fino al primo Papa, San Pietro.

3. La vera Chiesa si riconosce anche da quattro marchi principali: essa è una, santa, universale o cattolica e apostolica. Solo la Chiesa cattolica possiede questi quattro segni. È curioso vedere. quali titoli altisonanti si attribuiscono le altre chiese al loro posto. Una è ortodossa (ha la vera fede), un’altra è evangelica (aderisce strettamente al Vangelo), una terza è vetero-cattolica (proveniente dalla Chiesa primitiva). Questi titoli sembrano essere come un trucco.

1. LA VERA CHIESA È UNA, CIOÈ IN TUTTI I LUOGHI ED IN TUTTI I TEMPI HA LO STESSO CAPO, LA STESSA DOTTRINA, GLI STESSI SACRAMENTI E LO SPESSO SACRIFICIO.

La verità non può essere che una sola; la dottrina della Chiesa non può quindi cambiare. Gesù Cristo ha voluto questa unità della Chiesa; lo dimostra con le sue parole e le sue azioni Egli ha pregato per l’unità della Chiesa nell’Ultima Cena (S. Giovanni XVII, 20), ha voluto che nella sua Chiesa non ci sia che un solo gregge ed un solo pastore (ibid. X, 16).

Come tipo di unità della Chiesa

troviamo Nell’Antico Testamento il tempio unico di Gerusalemme, gli ebrei come unico popolo eletto; nel Nuovo Testamento, la veste senza cuciture di Cristo. – La Chiesa cattolica è una sola: tutti i catechismi del mondo concordano nella dottrina, si celebbra il Santo Sacrificio, i sacramenti vengono amministrati allo stesso modo, le stesse feste principali e le stesse cerimonie importanti, e riconoscono il primato del Papa romano. – Se ci sono stati antipapi (come attualmente dal 26 ottobre 1958 – ndr. -), solo lui era il vero capo della Chiesa, eletto regolarmente; un pretendente alla corona non toglie i diritti al capo legalmente stabilito nello Stato. La Chiesa rimane una anche nonostante le eresie, perché un eretico che rifiuta un dogma da essa definito è escluso dal suo seno. – L’immutabilità della dottrina e delle istituzioni della Chiesa non è una mancanza di progresso, poiché la ragione non può chiamare progresso l’abbandono della verità per adottare una novità, un errore. La verità dogmatica è immutabile come la verità matematica, che non ammetterà mai che il principio secondo cui 2 e 2 fanno 4 possa essere cambiato”. – È quindi impossibile riconoscere l’unità di una chiesa che accetta la libera interpretazione della Bibbia da parte del primo che capita, che accetta come ugualmente veri i significati più molteplici e contraddittori come ugualmente veri, che permette a ogni teologo di sostenere qualsiasi dottrina, che ammette a volte cinque, a volte tre, a volte solo due sacramenti. “Protestantesimo, esclama con ragione Bossuet, tu hai delle variazioni, quindi non sei la verità.

2. LaA CEERA CHIESA È SANTA, CIOÈ HA I.MEZZI ED IL DESIDERIO DI SAABTIFICARE TUTTI GLI UOMINI.

La santificazione degli uomini è proprio lo scopo per cui Cristo ha fondato la Chiesa, che ha dotato di tanti mezzi di grazia. Solo un santo può suscitare santi. (Stôckl. – La Chiesa cattolica è santa. Tutte le sue dottrine sono severe e sublimi; tutta la sua morale è fondata, dopo l’amore di Dio, sull’amore del prossimo e sull’abnegazione. Ha due sacramenti, la Penitenza e l’Eucaristia, eminentemente adatti a elevare il cuore umano alla perfezione morale, alla quale si può ancora lavorare attraverso la sincera osservazione dei consigli evangelici. Ha anche prodotto legioni di santi, la cui santità è stata confermata da Dio con innegabili miracoli. – I singoli vizi dei Cattolici, gli scandali e gli abusi che talvolta si verificano nella Chiesa non possono essere imputati ad essa; sono il risultato di umane passioni. Una cosa util come un coltello, un martello, ecc. può essere usata per un crimine; non è la cosa che diventa cattiva, ma è l’uomo che ne ha abusato. Gli stessi apostoli avevano un uomo malvagio tra loro, e Cristo ha rappresentato alcuni membri della sua Chiesa come erbacce e pesci cattivi. – Al contrario, la santità manca alla. chiesa che insegna che la sola fede salva, che le opere sono inutili (Lutero, a quella che insegna che certi uomini sono predestinati in anticipo da Dio all’inferno (Calvino), a quella che, per sua stessa ammissione, non riesce a indicare nessuno dei loro membri che abbia vissuto con santità che Dio ha garantito con i miracoli.

3. LA VERA VERA CHIESA È UNIVERSALE E CATTOLICA, CIOÈ HA LA. FACOLTÀ E LA DESTINAZIONE DI ACCOGLIERE NEL SUO AENO UOMINI DI OGNI EPOCA E RAZZA.

Cristo è morto per tutti gli uomini e dopo la sua morte ha mandato i suoi Apostoli agli uomini di tutto il mondo che sarebbero vissuti fino alla fine dei tempi (S. Matth. XXVIII, 20); la Chiesa deve quindi esistere per tutti i popoli. L’unione di tutte le nazioni nella Chiesa è stata indicata dal miracolo delle lingue a Pentecoste. – La Chiesa romana è universale. Le sue dottrine sono tali da poter essere insegnate a tutte le nazioni ed ha accolto nel suo seno le razze più diverse: i greci con la loro cultura, i romani con il loro spirito di conquista e i loro sudditi, I Germani barbari ed avidi di bottino, gli slavi, lontani da tutti gli stranieri, ecc. Oggi è diffusa in tutto il mondo. San Agostino dice: ci sono eretici ovunque, ma non sono uguali dappertutto.

La sola Chiesa cattolica ha 260 milioni di membri, più di tutte le altre chiese. Inoltre, invia costantemente i suoi missionari nei paesi come messaggeri della fede. – Le altre chiese al contrario si identificavano con lo spirito nazionale o locale e diventavano chiese nazionali. Una chiesa, ad esempio quella russa, che dipende assolutamente da un sovrano, non può essere la vera Chiesa., così come non può esserlo colui (Lutero) che ha dichiarato la lettura della Bibbia come indispensabile per la salvezza (secondo lui, infatti, la salvezza dipende dalla fede e questa deriva dalla lettura della Bibbia), né quelli che non hanno missioni tra i popoli o le cui missioni non hanno successo.

4. LA VERA CHIESA È APOSTOLICA, CIOÈ DEVE RIISALIRE AGLI APOSTOLI, CHE LE SUE. ISTITUZIONI DEVONO ASSOMIGLIARE A QUELLE.DEEIU. TENOI. APOSTOLICI E CHE I SUOI CAPI DEVONO ESSERE I LEGITTIMI SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI.

Le parole di Gesù al momento della sua ascensione dimostrano che Egli volesse la perpetuità delle sue istituzioni fino alla fine dei tempi; la Chiesa è costruita sugli Apostoli, con Gesù come fondamento e pietra angolare (Efesini II, 20).

La vera Chiesa è quindi l’unica che, fondata dagli Apostoli, dura da 1900 anni. Lutero stesso concordava sul fatto che la Chiesa cattolica è la più antica delle chiese: “tutti i fedeli – disse, “hanno ricevuto la loro religione dai cattolici – I Padri più antichi hanno già insegnato ciò che contengono i nostri catechismi, e il nostro culto differisce da quello dei primi cristiani solo per cerimonie accessorie. I nostri Vescovi e gli Aapostoli sono uniti dall’Ordinazione come gli anelli alle estremità di una catena. – Una Chiesa che esiste solo da 400 anni (Lutero è sorto nel 1520), o solo da pochi anni, non può essere la vera Chiesa. Alcuni protestanti ammettono di essersi separati dalla vera Chiesa. – Il vecchio maresciallo Moltke è citato per aver detto: “Noi protestanti dovremo tornare ad essere Cattolici”. Un gran personaggio. Si permise sui dire all’illustre conte di Stolberg, dopo la sua conversione al Cattolicesimo: “Non mi piace chi abbandona la. religione del padre”; egli rispose maliziosamente: ” Non piace nemmeno a me. Se i miei antenati non avessero cambiato religione, non avrei avuto bisogno di rientrare nella Chiesa cattolica”. – Lo studio dei segni della vera Chiesa ha riportato nel corso degli anni nel suo seno una schiera di uomini illustri. È sorprendente che si tratti di uomini di grande cultura e virtù, come i futuri cardinali inglesi Newmann e Manning nel diciannovesimo secolo, che si sono convertiti, anche a loro discapito temporale, nonostante la perdita dei loro uffici. D’altra parte, coloro che si sono allontanati dalla Chiesa hanno sempre dimostrato, con la loro vita successiva, quanto poco valessero. – È quindi per noi motivo di gioia di appartenere alla vera Chiesa, tanto più che la fede cattolica ha questo immenso vantaggio di darci la massima consolazione nei momenti di disgrazia e nel momento della morte. Melantone, il principale discepolo di Lutero, scrisse alla madre cattolica: “È più facile vivere nel protestantesimo, ma è più dolce morire nel Cattolicesimo”, e a un’altra: “La nuova religione è più apparentemente, la cattolica è più sicura”.

8. FUORI DALLLA CHIESA CATTOLICA NON C’È SALVEZZA.

La Chiesa cattolica è un fiume che ha la sua sorgente nelle acque vive che sgorgano dalla bocca di Cristo, nella sua dottrina (parole di Gesù alla Samaritana – S. Giovanni IV) e scorre da 18 secoli. Chi si imbarca in questo fiume (si lascia guidare dalla Chiesa) galleggia verso il porto della felicità eterna. Chi si imbarca su altro fiume (che appartiene a un’altra chiesa) non arriverà al porto, a meno che non torni indietro nel fiume. In altre parole: fuori dalla Chiesa, non c’è salvezza.

1. LA SALVEZZA SI TROVA SOLO NELLA CHIESA CATTOLICA, CIOÈ SOLO ESSA POSSIEDE I MEZZI DI SALVEZZA: la dottrina di Cristo, le fonti della grazia e le guide da Lui nominate per insegnare e governare la Chiesa.

Non si può rimproverare alla Chiesa di aver proclamato il principio: “All’infuori di me non c’è salvezza”; essa non può dichiarare che la verità e l’errore siano vie ugualmente sicure verso il cielo. Non esitiamo a mettere alla gogna l’opinione di commercianti che vendono merci adulterate, a maggior ragione dobbiamo mettere in guardia dalle chiese che hanno deviato ed avvelenato il pane dell’anima. La Chiesa, non dice chi andrà in cielo, ma cosa porta in cielo. Dio solo, che sonda le menti e i cuori, sa chi si salverà o meno. Il principio cattolico non contiene nessuna intolleranza, nessun fanatismo contro le persone, ma piuttosto l’intolleranza della verità contro l’errore, l’intolleranza di Dio, che non sopporta nessun idolo accanto a sé. (I. Re V.). La Chiesa odia così poco coloro che non sono nel suo seno che il Venerdì Santo implora la misericordia di Dio su di loro. L’uccisione degli eretici nel Medioevo (ad esempio il rogo di Giovanni Huss nel 1415) non è stata un’opera della Chiesa, che non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta; era opera del potere secolare e della legislazione civile che perseguiva gli eretici perché, perché di norma attaccavano anche il potere, la morale e la pace pubblica. – La Chiesa cattolica è quindi la via del Paradiso. In questo si distingue dalla Sinagoga, che mostrava questa via solo nell’oscura distanza, mentre essa stessa è la via; si distingue anche dall”eresia che tronca la dottrina di Cristo e sopprime le fonti di grazia, come la Santa Messa e il Sacramento della Penitenza. Le vie di queste chiese sono false e tortuose.

Un paralitico va meglio sulla strada giusta che un carro con ottimi destrieri su una falsa strada (S. Aug.). Chi non confessa la vera fede, fa grandi passi, ma fuori dal sentiero; più cammina, più si allontana dalla meta. (S. Aug.) Possiamo andare a Roma passando per Costantinopoli, ma quando ci arriveremo e a quale costo? Più di uno non ci arriverebbe.

2. Ogni uomo che vive fuori dalla Chiesa ha l’obbligo serio di essere accolto nella Chiesa, non appena ne riconosca la verità.

Di solito si dice: un uomo onesto non cambia religione. Questa massima è un’assurdità. Un figlio onesto non può tenersi i guadagni illeciti del padre, solo perché li ha ereditati. Allo stesso modo non può vivere in una religione che riconosce essere falsa, solo perché l’ha ricevuta dai suoi antenati, per nascita o per educazione. (Deharbe). Altri dicono: “Crediamo tutti nello stesso Dio, tutte le religioni sono buone e si può andare in paradiso in ognuna di esse” (Deharbe).

Questi principi sono chiamati indifferentismo. Sono falsi, perché una sola fede può essere la rivelazione divina, come c’è un solo Dio e la ragione stessa ci impone di cercare sempre la verità e la perfezione morale. Siamo quindi obbligati a cercare la vera fede e tenerla stretta. È assurdo pensare che sia indifferente per Dio adorarlo, o adorare idoli di legno e di pietra; riconoscere Gesù come suo Figlio, o considerarlo come i giudei un bestemmiatore. Perché Cristo, e dopo di Lui gli apostoli, avrebbero dovuto soffrire tante tribolazioni per annunciare il Vangelo, se non importava che ci credessero? Perché gli Apostoli si sarebbero sollevati con tanta energia contro coloro che falsificavano la dottrina di Cristo? (Gal. I, 8; II, S. Giovanni 1, 10). Perché Gesù avrebbe convertito San Paolo? O inviato un Angelo e un Apostolo a Cornelio? (Ac. Ap. IV 42). Gesù ha detto espressamente: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. (S. Giovanni XIV, 6). – Così troviamo tra i convertiti le anime più nobili; la loro conversione spesso costa loro i sacrifici più duri. Christine, l’unica figlia di Gustavo Adolfo, il grande persecutore dei Cattolici, si convertì, si convinse della verità del Cattolicesimo grazie alle sue letture. Le leggi svedesi non tolleravano il Cattolicesimo, per cui depose la corona dopo tre anni, pose fine al suo regno (1654) e finì i suoi giorni a Roma (1689), dove è sepolta a S: Pietro. È un comportamento eroico! Il conte Fréd. de Stolberg, che tenne una condotta analoga (1800); questo brillante scrittore rinunciò alla sua carica. Nell’ultimo mezzo secolo l’Inghilterra ha visto la conversione in massa di quasi 50o0 importanti figure tra le quali Newmaun (1845) e Manning (1851), che sono poi diventati Cardinali. In Germania, ci fu nel XIX secolo, la conversione di quasi 20 membri di case sovrane e quasi 120 membri della nobiltà. Ci furono anche conversioni dall’ebraismo, tra cui quelle del viennese Veit, che divenne predicatore della cattedrale, e degli alsaziani Ratisbonne e Libermann.

3. CHI PER COLPA PROPRIA, RIMANE AL DI FUORI DELLA CHIESA CATTOLICA NON PUÒ ESSERE SALVO.

Gesù ha detto: “Il servo che conosce la volontà del padrone e non la esegue sarà severamente punito“. (S. Luc. XII, 47). Terribile, dunque, sarà il destino di chi conosce bene la divinità della Chiesa e che, ad esempio, per contrarre matrimonio con un protestante, per fare un buon affare, lascia la Chiesa.; lo stesso dicasi per chi, avendo riconosciuto la verità della religione cattolica, rifiuta di aderirvi per viltà, per paura di ciò che la gente dirà o per disprezzo. Lo stesso giudizio va dato di chi ha dubbi fondati sulla verità della sua religione e trascura di illuminarsi, che soffoca i suoi scrupoli per paura di riconoscere la divinità della Chiesa cattolica. Questi uomini danno più importanza ad un interesse passeggero che all’amicizia di Dio e alla loro felicità eterna; preferiscono le tenebre alla luce. (S. Giovanni III, 19). Coloro che rimangono fuori dalla Chiesa sono perduti come quelli che erano fuori dall’Arca di Noè (San Cipriano). Non può avere Dio come Padre, colui che non ha la Chiesa come madre (id.). Non ci si può salvare quando non abbiamo Cristo come capo; e questo avviene quando non facciamo parte del corpo di Cristo. (S. Aug.). Separarsi dalla comunione della Chiesa è separarsi da Cristo (IV Concilio Lateranense).

4. CHI, SENZA COLPA, RIMANE FUORI DALLA CHIESA, PUÒ SALVARSI SE CONDUCE UNA VITA PIA: È CATTOLICO DI VOLONTÀ.

Un gran numero di coloro che sono nati e cresciuti nell’errore e credono di appartenere alla vera Chiesa e di essere cattolici per volontà. Essi appartengono alla vera Chiesa e si immaginano di essere veri Cristiani. Si sbagliano non per odio, ma, per così dire, per amore di Dio (Salviano). Colui che conduce una vita pia ha in sé la carità; essa serve come Battesimo di desiderio e lo rende membro della vera Chiesa; si salverà non per l’errore, ma per l’appartenenza alla Chiesa (Bellarmino). “Di qualsiasi nazione – dice S. Pietro – Siete graditi a Dio se lo temete e praticate la giustizia”. (Act. Ap. X, 35). La Chiesa comprende tutti i giusti da Abele fino all’ultimo eletto prima della fine del mondo. (S. Greg. M.). Tutti coloro che vivevano secondo ragione erano Cristiani, nonostante le apparenze, come Socrate tra i greci, Abramo ed Elia tra gli ebrei. (Giustino). Quelli di cui abbiamo appena parlato non appartengono al corpo della Chiesa, cioè alla società costituita dalla professione di fede esteriore, ma all’anima della Chiesa, per i sentimenti interiori che devono animare i suoi membri.

Nella Chiesa, quindi, ci sono membri visibili e invisibili.

Le membra visibili sono quelle che sono entrate nella Chiesa attraverso il Battesimo, che professano la vera fede e sono soggetti ai legittimi pastori. Non sono membri visibili della Chiesa gli infedeli (pagani, ebrei, maomettani), gli eretici (protestanti) e gli scismatici (greci), gli scomunicati, cioè coloro che sono esclusi dalla Chiesa. I membri invisibili della Chiesa sono coloro che non vi appartengono per loro colpa e sono in stato di grazia: come Abramo, Mosè, Davide, Giobbe, ecc.

I membri visibili della Chiesa si dividono a loro volta in vivi e morti, a seconda che siano o meno in stato di grazia.

È un errore credere che si sia esclusi dalla Chiesa per un peccato mortale. La Chiesa è come un campo dove crescono grano e zizzania (S. Matth. XIII, 24), come una rete dove ci sono pesci buoni e cattivi (ibidem, 47), somiglia all’arca di Noè che conteneva animali puri e impuri, ad un’aia dove si trova del buon grano e della pula (S. Aug.), ad un albero con rami verdi e rami appassiti. – Non basta essere membri della Chiesa per essere salvati, bisogna vivere secondo la religione, altrimenti questa qualità servirebbe solo per una condanna più rigorosa.

9. IL RAPPORTO TRA CHIESA E STATO.

Lo Stato può essere definito un’istituzione il cui scopo immediato è la prosperità temporale dei cittadini di un Paese. – La Chiesa e lo Stato perseguono obiettivi analoghi: la felicità temporale dei cittadini e la prosperità temporale lo Stato, la Chiesa non solo la prosperità temporale, ma soprattutto la felicità eterna. Entrambi i poteri provengono da Dio; la Chiesa ha ricevuto la sua autorità da Cristo, lo Stato ha ricevuto la sua, non dalla moltitudine ma da Dio, Autore della società (Leone XIII). – La Chiesa, tuttavia, è distinta dallo Stato; gli Stati sono molti, la Chiesa è una; lo Stato comprende solo uno o più popoli, la Chiesa tutti i popoli della terra. Gli Stati nascono e muoiono, la Chiesa è immortale. La Chiesa riconosce tutte le forme di governo, purché in esse non ci sia nulla di contrario alla Chiesa Cattolica (Leone XIII); per questo Leone XIII non ha mai smesso di esortare i monarchici francesi a riconoscere la forma repubblicana del governo esistente. (1892). Cristo, inoltre, aveva già insegnato che dobbiamo rendere a Cesare ciò che è di Cesare. (S. Matth. XXII, 21).

1. LA CHIESA NEL SUO AMBITO È COMPLETAMENTE INDIPENDENTE DALLO STATO, POICHÉ CRISTO HA CONFERITO IL MINISTERO DOTTRINALE, SACERDOTALE E PASTORALE SOLO AGLI APOSTOLI E AI LORO SUCCESSORI, MA NON AI PRINCIPI TEMPORALI.

Lo Stato non è quindi competente a prescrivere ai Cristiani ciò che debbano o non debbano credere, né ai Sacerdoti ciò che debbano o non debbano fare, ai Sacerdoti ciò che debbano predicare, quando e come debbano amministrare i Sacramenti, offrire il Santo Sacrificio, ecc. La Chiesa ha quindi sempre rifiutato energicamente qualsiasi interferenza dello Stato in questioni puramente religiose. Il Vescovo di Cordova, Osio, che si era distinto nel Concilio di Nicea, dichiarò coraggiosamente all’imperatore, che voleva intromettersi nelle questioni dogmatiche: “Qui, non hai nulla da comandare a noi, ma piuttosto da prendere i nostri ordini”. – Lo Stato da parte sua, è indipendente dalla Chiesa: entrambi hanno un proprio dominio chiaramente delimitato, all’interno del quale ciascuno è libero di agire come meglio crede (Leone XIII). – Tuttavia, ci sono questioni in cui i due poteri si toccano e in cui è necessaria un’intesa comune, perché se ogni potere decidesse in modo opposto all’altro, si creerebbero dei conflitti e i sudditi non saprebbero a chi obbedire. (Leone XIII). Quando la Chiesa e lo Stato sono in conflitto, non solo le piccole cose ne soffrono, ma vengono rovinati grandi interessi (id.). I due poteri devono essere uniti come il corpo e l’anima (id.). – La Chiesa e lo Stato concludono spesso dei trattati; si chiamano concordati. La Chiesa mostra sempre un magnanimo amore materno, facendo le più ampie concessioni possibili con la sua condiscendenza

2. LA CHIESA CONTRIBUISCE FORTEMENTE ALLA PROSPERITÀ DELLO STATO. ESSA INSEGNA LA SOTTOMISSIONE AI POTERI. IMPEDISCE I CRIMINI, SPINGE GLI INDIVIDUI AD AZIONI GENEROSE E FAVORISCE L’UNIONE TRA LE NAZIONI.

Lo Stato è protetto meglio dalla religione che dalle mura (Plutarco), e la forza di polizia meglio organizzata non è migliore di un semplice catechismo di villaggio. La Chiesa ci insegna che il potere civile trae la sua autorità da Dio (Rom. Xlll) e che è da obbedire anche si cattivi poteri (I. S. Pierre II, 18). – Molti grandi criminali sono stati convertiti dalla Chiesa e trasformati in grandi santi, grandi benefattori dell’umanità; ad esempio Sant’Agostino; molti uomini sono stati allontanati dal crimine grazie agli austeri insegnamenti della Chiesa: su Dio che sa tutto,

che è ovunque presente, e sul giudizio dopo la morte. Quanti guadagni illeciti restituiti, quanti nemici riconciliati, grazie all’influenza del Sacerdote, soprattutto nel confessionale. – Infine, la Chiesa insegna che la felicità eterna si ottiene attraverso le opere di misericordia e rende un dovere rigoroso per i Cristiani aiutare gli sfortunati. Quali istituzioni caritatevoli per i malati, gli orfani, i ciechi, i sordi, ecc. sono state fondate dai suoi ministri. La Chiesa, in conformità con la legge di Cristo, guarda innanzitutto ai bisognosi, che sono i più esposti al pericolo di cadere nel vizio, ed è a questo scopo che ha fondato una miriade di associazioni di soccorso. – Inoltre, la Chiesa cerca di realizzare la fratellanza dei popoli. (S. Aug.), da un lato con l’unità delle prescrizioni morali e della religione, dall’altro con la legge della carità.

I governi seri e i veri statisti hanno sempre hanno sempre cercato di proteggere la Chiesa.

Basti ricordare ciò che Costantino il Grande fece per la Chiesa nell’Impero Romano, Carlo Magno tra i Franchi e i Germani, Santo Stefano in Ungheria, S. Venceslao in Boemia, ecc. – Un buon principe, lungi dal rifiutare l’aiuto della Chiesa, lo ricerca (S. Amb.). I sovrani che perseguitano la Chiesaminano la propria autorità; il popolo non li considera più come rappresentanti di Dio ma come pari, come meri impiegati del popolo: hanno segato il ramo su cui siedono.

Gli Stati che perseguitavano la Chiesa andarono presto in rovina.

Ogni regno diviso contro di sé, disse Gesù Cristo, sarà desolato (S. Luc. XI, 17). La religione e il potere civile sono come l’anima e il corpo: senza anima, il corpo è solo un cadavere, così è lo Stato senza religione. Isaia disse: “Il popolo e il regno che non ti servono saranno distrutti”. (LX, 12). Anche Machiavelli scrisse queste parole: “Il sintomo più sicuro della decadenza degli Stati è il disprezzo della religione”. Nulla lo dimostra meglio della rovina dell’Impero Romano e gli orrori della Grande Rivoluzione. Lo stesso Napoleone disse che è impossibile governare un popolo senza religione. Appena la religione diminuisce, aumenta il numero dei crimini. Il grande Federico, amico di Voltaire, avendo notato questo fenomeno nel suo regno, disse a uno dei suoi ministri: “Cerca di riportare la religione nel paese. Questo è ciò che il profeta Osea disse ai suoi compatrioti: “Poiché non c’è conoscenza di Dio sulla terra, le ingiurie, le menzogne, gli omicidi, i furti e l’adulterio si sono diffusi in essa come il diluvio.”. (IV, 2). La stragrande maggioranza della popolazione carceraria è composta da individui irreligiosi. “Si potrebbe”, dice Plutarco, “piuttosto costruire una città in aria che conservare uno Stato senza religione”.

La ragione e l’esperienza dimostrano che senza religione non c’è moralità, e non è un patriota chi mina la religione, quel potente sostegno della società. (Washington).

3. LA CHIESA È DA SEMPRE LA PROTRETTRICE DELLA SCIENZA E DELLA CIVILTÀ.

È nell’interesse della Chiesa coltivare la scienza, perché l’ignoranza è spesso accompagnata da immoralità e barbarie.

La Chiesa è, per così dire, è costretta a studiare la natura, perché l’universo è il libro di cui ogni pagina proclama la sapienza di Dio. Quanto più l’uomo studia la natura, tanto più impara a conoscere perfettamente Dio e più il suo cuore si riempie dell’amore di Dio (Leone XIII, ancora Vescovo di Perugia). I popoli più civilizzati sono quelli in cui la Chiesa ha potuto esercitare la sua influenza più liberamente. È il Cristianesimo che ha domato i popoli barbari dell’Europa e li ha civilizzati in modo tale da renderli maestri e guide delle altre nazioni.

Fu la Chiesa a occuparsi per prima dell’educazione dei bambini e a fondare scuole.

Sotto Carlo Magno, le scuole nei monasteri, nelle cattedrali e nelle parrocchie erano istituzioni ecclesiastiche, e la maggior parte delle università devono la loro fondazione ai Papi. Intere congregazioni, come i piaristi, i benedettini, i gesuiti, i fratelli e le sorelle di Gesù, si dedicarono all’insegnamento. L’eccellenza dei metodi dei Gesuiti fu riconosciuta anche dai loro nemici; nonostante la loro soppressione (1773), Federico II di Prussia e l’Imperatrice di Russia, Caterina II continuarono ad affidare loro la gestione di alcuni collegi. – Ancora oggi, la Chiesa fonda scuole libere nei Paesi in cui la religione è bandita dalle scuole. In Italia ci sono quasi 16.000 scuole libere, con un milione e mezzo di alunni. (nel 1889 c’erano 9.000 scuole con 800.000 alunni), e in Nord America ci sono 4000 scuole parrocchiali. Curiosamente, ci sono persone anticlericali che mandano i propri figli non alle scuole laiche, ma a quelle cattoliche.

È stata la Chiesa a preservare dalla rovina i monumenti dell’antichità.

Sono stati i monaci del Medioevo a copiare i capolavori letterari dell’antichità e a conservarli per i posteri; nelle biblioteche dei monasteri, nelle biblioteche papali e nei musei, un gran numero di opere d’arte antiche. I Benedettini contano nel loro ordine 16.000 scrittori, i gesuiti quasi 12.000.

È la Chiesa che ha costruito le più belle opere di architettura. Basti pensare alle magnifiche cattedrali del Medioevo: la cupola di Colonia (1249-1880), che ha richiesto sei secoli di lavoro, e Strasburgo (1015), Friburgo (1120), Ratisbona (1275), Vienna (1365), Ulm (1377), Milano (1386), ecc. È alla Chiesa che dobbiamo la famosa basilica di San Pietro a Roma, con la sua gigantesca cupola, la cui costruzione, iniziata nel 1506, durò 150 anni e costò 150 milioni di franchi.

È la Chiesa che ha coltivato maggiormente le belle arti, la musica, la scultura e la pittura.

Il canto liturgico contiene capolavori; fu coltivato da S. Ambrogio di Milano (+ 597), e da San Gregorio Magno (+ 604). I Papi furono i mecenati di un gran numero di musicisti e compositori, tra cui il da Palestrina (+ 1594). – La Chiesa protesse le immagini, prima con il Concilio di Nicea (787) contro l’iconoclastia, sostenuti dagli imperatori bizantini, poi al Concilio di Trento contro i seguaci di Lutero e Zwingle. – Gli artisti più famosi, Leonardo da Vinci (+ 1519), Raffaello (+ 1520), Michelangelo (1564), il Correggio (+ 1534) e Canova (+ 1822) furono protetti dai sovrani Pontefici. I primi pittori e laboratori di pittura provenivano dai monasteri. – È stata la Chiesa a dissodare e a fertilizzare vaste regioni.

I monaci di S. Benedetto e di Citeaux, in particolare in Germania, hanno disboscato immense foreste, prosciugarono paludi, praticarono l’agricoltura, ecc. Questo è ciò che i Trappisti ed altri ordini religiosi stanno ancora facendo nei paesi selvaggi.

È ai Sacerdoti e ai monaci che dobbiamo alcune delle più importanti invenzioni.

È stato un diacono, Flavio Gioja a inventare la bussola intorno al 1300; Guido d’Arezzo ha scoperto la scala e le regole della musica e dell’armonia; il domenicano Spina inventò gli occhiali, il francescano Berthold Schwartz inventò la polvere da sparo (intorno al 1300); il gesuita Kircher, la lanterna magica e un nuovo tipo di specchio concavo (1646); Copernico, canonico di Frauenberg, scoprì il sistema planetario (1507); la Cavalière, la composizione della luce bianca; il benedettino spagnolo Ponzio, trovò un metodo per insegnare ai sordomuti, che fu portato a compimento dall’abate de l’Epée; il gesuita Lana inventò un metodo per insegnare ai non vedenti a leggere (1687); il gesuita Secchi (+ 1878) è famoso per i suoi studi sul sole; e il Sacerdote bavarese Kneipp è diventato famoso per il suo metodo di idroterapia (f 1897). – I nemici della Chiesa sostengono che essa è nemica del progresso e dei lumi; ciò è vero, se con questo nome si intende il declino della moralità e del timore di Dio o lo sviluppo dell’egoismo e del materialismo. – Si dice anche che la Chiesa sia nemica della libertà; senza dubbio, se con questo nome si intende la licenza e la sfrenatezza. “L’eccesso di libertà”, dice Platone, “è licenziosità e porta al dispotismo”.

4. LA CHIESA HA SENPRE FAVORITO LA PROSPERITÀ TEMPORALE.

È essa che ha fondato le istituzioni caritatevoli e le società di soccorso. Non c’è mai stata una miseria o un bisogno a cui la Chiesa non abbia cercato di provvedere. La Chiesa ha fondato istituzioni per i sordomuti, per i i ciechi, gli orfani e i bambini abbandonati; le sue congregazioni ospedaliere di fratelli e sorelle hanno fondato e gestito ospedali per i malati, per i malati incurabili, per le case di riposo, case per i prigionieri rilasciati (S. Vincenzo de Paoli), per i pazzi, case di riposo per anziani, ospizi per trovatelli (Innoc. III), per viandanti (ospizio di S. Bernardo), lebbrosari (oggi in Birmania, in India, dove su 12.000.000 di abitanti ci sono 30.000 lebbrosi rifiutati da tutti, che soffrono crudelmente spesso per lunghi anni). In una parola, la Chiesa è stata ovunque alla alla guida delle opere di carità. – È stata anche la Chiesa a fondare le società di soccorso: la Società di San Vincenzo de’ Paoli, i circoli operai, la Società di San Raffaele per gli emigranti, la società antischiavista, l’opera della B. Infanzia per la redenzione dei poveri, la redenzione, gli asili per domestici nelle grandi città, ecc. – Nella sola diocesi di Colonia, nell’ultimo mezzo secolo sono state create più di 1.200 istituzioni e società caritatevoli. Inoltre, i Papi hanno compiuto gli sforzi più lodevoli per prevenire le guerre. È quindi una calunnia accusare la Chiesa di consolare gli sfortunati solo con le speranze della vita futura, senza preoccuparsi dei loro bisogni quaggiù. – Se la Chiesa – dice Agostino – fosse stata fondata solo per le necessità di questa vita, non avrebbe potuto procurare benefici maggiori di quelli che ha procurato. – Le risorse raccolte dalla Chiesa, dice Thiele, cappellano di corte protestante, vengono restituite al popolo attraverso i numerosi canali della cultura e della beneficenza. Se i ricchi del nostro tempo avessero imitato solo lontanamente l’esempio della Chiesa, molti tristi fenomeni sociali non si sarebbero verificati. Per distogliere l’attenzione dai propri vizi, i nemici della Chiesa li attribuiscono ad essa; come il ladro che depista chi lo insegue, gridando lui stesso: “al Ladro!”.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (12).

9. Art. del Simbolo: la Chiesa (1)

I. LA CHIESA CATTOLICA E LA SUA ORGANIZZAZIONE.

1. LA CHIESA CATTOLICA È UN’ISTITUZIONE VISIBILE FONDATA DA GESÙ CRISTO, IN CUI GLI UOMINI SONO PER IL CIELO.

La Chiesa cattolica, cioè la Chiesa universale (mondiale), è stata fondata da Gesù Cristo.

Gesù Cristo continua la sua opera dopo l’ascensione: educare l’umanità per il cielo. La Chiesa è un’istituzione analoga a una scuola. Lo scopo di una scuola è l’educazione dei bambini, in parte per renderli buoni cittadini dello Stato, della Chiesa, della patria celeste. Ogni scuola ha il suo capo, il suo direttore i suoi insegnanti e i suoi alunni (uditori). In ogni scuola c’è un programma di materie da insegnare, i mezzi di istruzione, le tabelle, le carte geografiche, delle regole disciplinari per il mantenimento dell’ordine. – La Chiesa è visibile; ha un capo visibile, un segno visibile di iniziazione, (battesimo) e una professione di fede esterna (visibile). È per questo che Cristo la paragona a oggetti visibili: una città su un monte, una fiaccola sul moggio. La Chiesa è anche chiamata corpo, (Ef. I, 22) casa di Dio (I. Tim. III, 15), città santa. (Apoc. XXI, 10). La Chiesa è quindi ovunque ci siano Cristiani cattolici e Sacerdoti cattolici. Gli eretici esclusi dalla Chiesa, ma che desiderano appartenervi, sostengono che la Chiesa sia invisibile; anche i liberi pensatori preferirebbero che la Chiesa visibile non esistesse, il che li dispenserebbe dall’ascoltarla. – Con il nome di Chiesa non si intende quindi l’edificio materiale che porta anch’esso questo nome, anche se la Chiesa come istituzione ha una certa analogia con l’edificio (Ef. II, 21); essa ha una pietra angolare vivente, Gesù Cristo, che per mezzo dello Spirito Santo, che unisce i fedeli nella grande famiglia di Dio ha diverse pietre di fondazione, gli Apostoli (Apoc, XXI, 14) e pietre da costruzione, i fedeli. Le pietre di un edificio devono essere ben tagliate e ben cementate. Allo stesso modo le pietre vive della Chiesa, i fedeli, sono tagliate per il cielo con le tentazioni e le sofferenze, e saldamente unite dalla vera carità. – Con il nome di Chiesa cattolica non intendiamo nemmeno la religione cattolica. La Chiesa sta alla religione come il corpo sta all’anima indissolubilmente unita. –

La Chiesa cattolica è spesso chiamata il regno di Dio, la società di tutti i fedeli Cristiani.

S. Giovanni Battista e Gesù Cristo stesso annunciarono che il regno dei cieli fosse vicino. (S. Matth. III, 2; IY, 17). La maggior parte delle parabole di Gesù sul regno dei cieli si riferiscono alla Chiesa cattolica; a causa della sua gerarchia (Papa, Cardinali, Vescovi, Sacerdoti, Diaconi, fedeli) è simile ad un regno, e poiché il suo scopo è quello di elevare gli uomini al cielo, essa è giustamente chiamata il regno dei cieli. – La Chiesa è il popolo di Dio sparso su tutta la terra. (La Chiesa è la società dei fedeli (S. Thom. Aq.); potrebbe anche essere chiamata una grande associazione, una grande comunità. Cristo la paragona ad un ovile, dove, come buon Pastore, vuole raccogliere tutte le sue pecore. (S. Giovanni X). –

La Chiesa è giustamente chiamata la Madre dei Cristiani, perché con il Battesimo dona loro la vera vita dell’anima, e perché alleva i suoi figli come una madre.

La madre dà la vita al bambino, e la Chiesa nel Battesimo dà all’umanità la grazia santificante che ci dà diritto al cielo. La Chiesa è quindi la madre dell’uomo, se non la madre del corpo, almeno la madre dell’anima del Cristiano. – La Chiesa è anche nostra madre, perché deve educarci. Quando il padre parte per un viaggio, lascia i figli alla madre e le cede la sua autorità. Gesù Cristo ha fatto lo stesso quando ha lasciato la terra, lasciandoci con la nostra madre la Chiesa e le ha dato piena autorità su di noi (S. Giovanni XX, 21). Dobbiamo quindi onorare Dio come nostro Padre e la Chiesa come nostra madre (S. Aug.). Se amiamo già la nostra patria terrena, perché ivi siamo nati e vi abbiamo ricevuto la nostra prima educazione, e siamo disposti a soffrire la morte per amore di essa, quanto più dobbiamo amare la Chiesa, alla quale dobbiamo la vita eterna. È giusti in effetti dare la preferenza ai beni superiori dell’anima rispetto a quelli del corpo (Leone XIII).

2. LA CHIESA INNALZA L’UOMO CON IL TRIPLICE MINISTERO CONFERITOLE DA CRISTO: QUELLO DOTTRINALE, QUELLO SACERDOTALE, E QUELLO PASTORALE.

La Chiesa insegna la dottrina di Cristo, applica i mezzi di santificazione da Lui istituiti e governa i membri della Chiesa. – L’insegnamento della dottrina di Cristo avviene attraverso la predicazione; l’applicazione dei mezzi di santificazione con l’oblazione del santo sacrificio, l’amministrazione dei Sacramenti, le benedizioni, le consacrazioni, le devozioni pubbliche; il governo, attraverso la promulgazione delle leggi (precetti e divieti; ad esempio, la proibizione di leggere certi libri pericolosi), con l’applicazione di determinate pene ai crimini più gravi (ad esempio, la scomunica, cioè l’esclusione dalla comunione dei fedeli), ecc.

Questo triplice ministero è stato adempiuto da Gesù Cristo stesso, che lo ha trasmesso agli Apostoli e ai loro successori.

Gesù Cristo ha predicato, ad esempio il Discorso della montagna; ha dispensato grazie, perdonando i peccati della Maddalena, donando il suo corpo e il suo sangue agli Apostoli nell’Ultima Cena, celebrando il primo Sacrificio della Messa, benedicendo i bambini. Cristo ha agito come un governo promulgando leggi, inviando i suoi Apostoli, rimproverando e castigando i farisei, ecc. – Ha trasmesso questo triplice ministero ai suoi Apostoli. Il magistero dottrinale: prima della sua ascensione ordinò loro di insegnare a tutte le nazioni. (S. Matth. XXVIII, 19). Il sacerdozio: nell’ultima cena, diede loro il potere di offrire il Sacrificio della Messa (S. Luc. XXII, 20); dopo la sua risurrezione, apparve loro nel cenacolo e diede loro il potere di perdonare i peccati. (S. Giovanni XX, 23); al momento della sua ascensione, comandò loro di battezzare (S. Matth. XXVIII, 19). Il ministero pastorale: diede loro il potere di rimproverare i peccatori (S. Matth. XVIII, 17), di legare e sciogliere, cioè di fare leggi e di abolirle. – Cristo ha parlato ai suoi Apostoli in questo modo per far capire che sta parlando anche ai loro successori: inviandoli a tutte le nazioni prima di salire al cielo, disse loro: “Io sono con voi fino alla fine dei secoli”. (S. Matth. XXVIII, 20). Chiaramente, queste parole non erano solo per gli Apostoli.

3. GESÙ CRISTO È IL CAPO E IL RE DI DELLA CHIESA.

I profeti avevano già annunciato che il Messia sarebbe stato un grande re (Sal. II), il cui regno sarebbe durato per sempre e avrebbe incluso tutte le nazioni della terra. L’Arcangelo Gabriele disse a Maria che il Salvatore sarebbe stato un re il cui regno non avrebbe avuto mai fine. (S. Luc. I, 33). Cristo davanti a Püate è chiamato un Re il cui regno non è di questo mondo (S. Giovanni XVIII, 36). Cristo dirige e governa la Chiesa in modo invisibile per mezzo dello Spirito Santo, come il capo governa le membra del corpo, per cui S. Paolo chiama Cristo il capo della Chiesa e la Chiesa il corpo di Cristo. (Ef. I, 23). Tutti i Cristiani costituiscono il corpo di Cristo, ogni Cristiano è membro di questo corpo (I. Cor. XII, 27), Gesù Cristo è chiamato il Capo invisibile della Chiesa perché non risiede più sulla terra in modo visibile. A causa del suo amore per la Chiesa, Cristo è chiamato suo sposo e la Chiesa sua sposa. (Apoc. XXI, 19). Cristo ha usato spesso questo paragone, tra l’altro nella parabola del banchetto di nozze. (S. Matth. XXII). S. Paolo dice che per amore della Chiesa, Gesù Cristo si è fatto schiavo, come Giacobbe, per ottenere la mano di Rachele (Fil. II), che ha dato la sua vita per la Chiesa (Ef. V, 25). – La parola Chiesa deriva da una parola che significa assemblea, e S. Agostino sottolinea che questa parola greca Ecclesia significa coloro che sono stati chiamati per grazia, mentre la Sinagoga indica coloro che sono stati costretti dalla coercizione della legge.

4. La Chiesa cattolica è composta dalla Chiesa docente e dalla Chiesa discente. La prima è è costituita dal capo della Chiesa, il Papa, dai Vescovi e, in senso più ampio, dai Sacerdoti; la seconda è costituita dai fedeli comuni. La parola Papa deriva dal greco pappas, padre; Vescovo, da episcopos, supervisore; Sacerdote da presbitero, anziano. Tuttavia, i Sacerdoti non hanno di per sé il potere di prendere decisioni. (Il termine pontefice è mutuato dai culti antichi. A Roma si usava per i sacerdoti incaricati del Pons Sublicius). – Sacerdozio deriva dalla parola sacra dare, offrire cose sacre. Essi lo detengono dal Vescovo e lo esercitano solo con il suo consenso. La divisione sopra indicata corrisponde anche a quella di clero e laici.

2. IL CAPO VISIBILE DELLA CHIESA.

Il sostegno più solido della Chiesa è il suo capo; egli è la roccia su cui si fonda (S. Matth. XVI, 18) e serve soprattutto a preservare la sua unità. L’esistenza di un capo impedisce gli scismi (Ger.). Una nave senza capitano, un esercito senza un generale è destinato al naufragio e alla sconfitta, così la Chiesa cadrebbe in rovina senza il suo capo, il centro dell’unità. (S. Giov. Cris.). I nemici della Chiesa attaccano il suo capo con tale violenza, perché con la scomparsa del pilota essi prevedono la rovina del naviglio. (S. Cipr.). Tra i Papi ci sono non meno di 40 martiri.

1. CRISTO HA COSTITUITO SAN PIETRO COME CAPO DEGLI APOSTOLI E DEI FEDELI; ANZI GLI DISSE: PASCI I MIEI AGNELLI, PASCI LE MIE PECORELLE; GLI DIEDE LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI E LO ONORÒ SPESSO CON SPECIALI DISTINZIONI.

Dopo la sua risurrezione, Gesù Cristo apparve agli Apostoli sulle rive del lago di Gènézareth e per tre volte chiese a San Pietro se lo amasse, e quando questi rispose affermativamente gli affidò la cura (il nutrimento) delle pecore, cioè degli Apostoli, e degli agnelli, cioè i fedeli (S. Giovanni XXI, 15). Gli Apostoli, che sono i pastori delle nazioni, sono qui chiamati pecore, in relazione a San Pietro (Bossuet). – Già prima della risurrezione Gesù Cristo aveva promesso a Pietro il primato nella Chiesa. Sulla strada verso Cesarea di Filippo, aveva lodato Pietro per la sua coraggiosa professione di fede nella sua divinità e gli aveva detto: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’inferno (il potere di tutti i demoni) non prevarranno contro di essa (non potranno abbatterla). Ti darò le chiavi del Regno dei cieli (il potere supremo nella Chiesa) e qualsiasi cosa legherai sulla terra sarà legata in cielo e qualsiasi cosa legherai in terra sarà legata in cielo. Qualsiasi cosa comanderai sarà come se l’avessi comandata Io, e qualsiasi cosa permetterai sarà come se fosse stata permessa da me (S. Matth. XVI, 18). – Le distinzioni conferite a San Pietro. Gesù Cristo cambiò il suo nome da Simone a Pietro; lo coinvolse nelle circostanze più importanti della sua vita: sul Tabor, nell’Orto degli Ulivi; pagò un tributo per lui; quando risuscitò dai morti, gli apparve prima che a tutti gli altri Apostoli (S. Luc. XXIV, 34; I. Cor. XV, 5) ecc.

S. Pietro agì sempre come capo degli Apostoli e fu riconosciuto da loro come tale.

S. Pietro agisce come capo degli Apostoli: a Pentecoste parla in loro nome. Egli ha accolto nella Chiesa i primi Giudei e, a Cesarea, i primi Gentili; compie il primo miracolo; ordina l’elezione di un nuovo Apostolo; difende gli Apostoli davanti al tribunale; difende gli apostoli davanti al tribunale; fece prevalere la sua opinione nel Concilio apostolico di Gerusalemme del 51. Pietro fu riconosciuto come capo dagli Apostoli. Gli Evangelisti quando elencano gli Apostoli, nominano sempre Pietro per primo. (S. Matth. X, 2; S. Marc. I, 26; Act. Ap. II, 14). S. Paolo, dopo la sua conversione, ritenne necessario recarsi a Gerusalemme per presentarsi a San Pietro (Gai. 1, 18; II, 2).

2. SAN PIETRO È MORTO VESCOVO DI ROMA, OL PRIMATO ED. IL POTERE DI PIETRO SONO PASSATI AL VESCOVO DI ROMA.

È storicamente dimostrato che S. Pietro fu Vescovo di Roma per quasi 25 anni. La sua presenza a Roma (44-69) e il suo martirio sono registrati da numerose testimonianze. – Intorno al 65, San Pietro scrisse in una delle sue epistole: “La Chiesa che è in Babilonia… e mio figlio Marco vi salutano” (I. S. Piet. V, 13). I Cristiani diedero questo nome a Roma, che a causa della sua grandezza e corruzione assomigliava all’antica Babilonia. Papa Clemente di Roma scrisse intorno all’anno 100:

“Pietro e Paolo sono stati martirizzati insieme ad innumerevoli eletti e ci hanno lasciato un esempio ammirevole. Tertulliano, sacerdote di Cartagine (200), celebrò la felicità della Chiesa di Roma, perché aveva visto Pietro morire come il Signore, Paolo come Giovanni Battista. Il suo contemporaneo Origene, maestro della famosa scuola alessandrina, ci dice che Pietro fu crocifisso a Roma e, su sua richiesta, a testa in giù. Infine, da tempo immemorabile, Roma è in possesso della tomba di S. Pietro. Le sue ossa riposano in una catacomba sotto il circo di Nerone; il terzo Papa già eresse una cappella sopra questa tomba, e Costantino il Grande una splendida basilica”(324). La basilica era in pericolo di rovina, per cui i Papi costruirono l’immensa basilica di oggi, completata nel 1626 dopo cento anni di lavori. – La sede episcopale di Roma è stata chiamata Sede di Pietro fin dai tempi antichi. –

I Vescovi di Roma hanno sempre esercitato il potere supremo nella Chiesa e sono sempre stati riconosciuti come capi della Chiesa.

Verso la fine del I secolo scoppiarono dei dissensi nella Chiesa di Corinto. La disputa non fu portata davanti all’Apostolo S. Giovanni, che viveva ancora ad Efeso, ma a Clemente, il Vescovo di Roma, la cui epistola ebbe un grande effetto a Corinto. – Intorno al 190, il Vescovo di Roma, Vittore, convocò i Cristiani dell’Asia Minore per celebrare la Pasqua con la Chiesa di Roma e non più con i Giudei; quando i Cristiani si mostrarono riluttanti ad obbedire, Vittore li minacciò di scomunica ed essi si sottomisero a lui immediatamente. – Nel III secolo (250 circa), il Vescovo di Roma, Stefano, proibì ai Vescovi del Nord Africa di ribattezzare gli apostati che tornavano alla Chiesa cattolica, e ordinò loro di imporre le mani solo su di loro. Alcuni Vescovi si rifiutarono. Vittore ottenne la loro sottomissione minacciandoli di scomunica. – I Vescovi di Roma hanno presieduto tutti i Concili generali, dal primo di Nicea al più recente. – Quando sorgeva un’eresia, i Vescovi la riferivano immediatamente a Roma; spesso vi si appellavano quando credevano di essere accusati con ingiustizia, ad esempio Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria, deposto dall’imperatore e reintegrato nel suo ufficio dal Papa (350 circa). Il Vescovo di Roma è spesso chiamato Sommo Pontefice o Vescovo dei Vescovi. Quando la lettera di San Leone Magno fu letta al Concilio di Calcedonia del 451, i Vescovi riuniti gridarono: “Pietro ha parlato per bocca di Leone; chi ha un’altra fede sia anatema! – Cristo vuole che Pietro abbia successori senza interruzione fino alla fine del mondo. (Concilio Vaticano). Quindi non ci sarà mai un momento in cui la Chiesa sarà senza Papa. I troni sono caduti in gran numero nel corso dei secoli, le nazioni e gli imperi sono scomparsi, solo l’odiato e perseguitato Papato è ancora in piedi.

3. Il VESCOVO DI ROMA È QUINDI CHIAMATO PAPA O SANTO PADRE SUA SANTITÀ, IL PADRE DELLA CRISTIANITÀ, IL VICARIO DI CRISTO.

Il Salvatore disse a Pietro: “Benedetto sei tu, Simone, figlio di Jonas”. (S. Matth. XVI, 17); ai Papi era stato dato il titolo di “Sua Beatitudine” (beatissime pater); al suo posto oggi diciamo Sua Santità, titolo che si applica all’alta dignità di questo ministero. – L’ufficio o il potere del Papa è talvolta chiamato Sede di Pietro, Santa Sede o Sede Apostolica. Questo titolo deriva dal pulpito o trono, dove secondo l’usanza ebraica Pietro si sedeva per insegnare o celebrare la liturgia. Questo pulpito è ancora conservato nella Basilica di San Pietro. Essendo la sede del Papa a Roma, il Papa è talvolta chiamato Papa romano e la Chiesa da lui governata, la Chiesa cattolica romana.

Ad oggi si contano circa 260 Papi; quasi 60 dei primi quattro secoli sono onorati come santi. 33 di loro hanno subito il Martirio. Tranne Pietro e Pio IX, nessun Papa ha regnato per più di 25 anni. – L’attuale papa si chiama Leone XIII; è nato il 2 marzo 1810 a Carpineto, in Italia, fu ordinato sacerdote il 31 dicembre 1837, divenne nunzio a Bruxelles, quindi Arcivescovo di Perugia (1846) e Papa il 20 febbraio 1878. Il suo lavoro fu un grande successo: contribuì all’abolizione della schiavitù in Brasile, aiutò nella lotta contro questo flagello in Africa, fece cessare le persecuzioni religiose in Germania, evitò la guerra tra Germania e Spagna, eresse più di cento sedi episcopali nei Paesi di missione, ecc. Egli scrisse notevoli encicliche sulla massoneria, il Terzo Ordine di San Francesco, il Rosario, il miglioramento della sorte dei lavoratori, la riunione delle chiese separate, ecc..

4. IlL PAPA HA NELL’EPISCOPATO UN PRIMATO D’ONORE ED UNA GIURISDIZIONE SUPREMA SU TUTTA LA CHIESA. (Conc. Vat. 4, X, 83).

Il Papa ha il primato d’onore nella Chiesa. “Il Papa è il Pontefice sovrano e il principe dell’episcopat”. (S. Bern.). Il Papa non rappresenta il Salvatore con l’oppressione della croce, ma il Salvatore che regna gloriosamente in cielo, e gode dei seguenti onori: assume un nuovo nome, come Pietro, il cui nome era stato cambiato da Cristo, il che indica che egli deve ora occuparsi del suo ufficio (dal X secolo, i Papi prendono solo i nomi dei precedenti e si distinguono da loro per il numero ordinale aggiunto al loro nome; il solo nome Pietro non è più scelto per rispetto al vicario immediato di Gesù Cristo). Il Papa indossa la tiara, cioè una mitra con tre corone che rappresentano il magistero dottrinale, il sacerdozio e la regalità pontificia. È talvolta rappresentato con un pastorale sormontato da una croce; è vestito con una tonaca di seta bianca. Il Papa viene salutato baciandogli i piedi … la ragione deriva dalle parole della Scrittura: “Come sono belli i piedi di coloro che annunciano la pace, il Vangelo della felicità”. – Ma il Papa non ha solo il primato d’onore, ma ha anche piena giurisdizione nella Chiesa. Come Dottore universale (Con. Vat), come pastore dei pastori e delle pecore (San Bernardo), è investito della suprema autorità nell’insegnamento della fede e della morale (prende decisioni definitive), nella disciplina e nel governo di tutta la Chiesa, ha autorità su ogni chiesa particolare, su ogni Vescovo e su ogni sacerdote: può istituire e deporre i Vescovi, convocare i Concili, fondare e sopprimere gli Ordini religiosi, inviare i sacerdoti, fondare e sopprimere Ordini religiosi, inviare missionari, concedere privilegi e dispense, riservare l’assoluzione per alcuni peccati. Per lo stesso motivo deve essere in grado di comunicare liberamente con i pastori ed i fedeli di tutta la comunità, istruirli e guidarli nelle vie della salvezza; deve anche avere libero accesso (libertà di pellegrinaggio) a Roma (Conc. Vat.). Il Papa possiede quindi anche il diritto supremo di vigilanza su tutta la Chiesa come giudice supremo di tutti i fedeli, spetta a lui prendere decisioni irrevocabili per contenziosi in materia ecclesiastica e tutti hanno il diritto di appellarsi a lui. – Il Papa ha un consiglio di 70 Cardinali che appartengono a diverse nazioni e che hanno (12 giorni dopo la vacanza della sede) il diritto di eleggere il nuovo Papa. I Cardinali hanno il titolo di Eminenza, indossano un cappello rosso ed un mantello viola per ricordare che devono essere pronti a versare il loro sangue per Gesù Cristo. I Cardinali sono a capo della maggior parte delle aree dell’amministrazione papale, per esempio, le Congregazioni dell’Indice, le Indulgenze e le Reliquie, i Riti, la Propaganda, ecc. – Il Papa è indipendente da tutti i sovrani temporali e dalle autorità ecclesiastiche. Per molti secoli, i Papi sono stati essi stessi sovrani temporali dello Stato Pontificio. Ecco come sono stati costituiti questi Stati: Fin dai primi secoli, i Papi acquisirono grandi ricchezze tramite donazioni. Dal tempo di Costantino il Grande, poiché gli imperatori ed i governatori imperiali non risiedevano più a Roma, i Papi esercitarono una sorta di sovranità sulle terre romane e sull’Italia centrale. Poi il re franco Pipino cedette ai Papi il territorio romano conquistato ai Longobardi con alcune città sulla costa orientale dell’Italia (754), dono ratificato nel 774 da suo figlio Carlo Magno. I Papi persero i loro Stati 77 volte, ma tornarono sempre in loro possesso. Napoleone glieli tolse nel 1809 e loro li recuperarono al Congresso di Vienna nel 1815. Dal 1949 al 1870, il Regno d’Italia ha annesso tutti i possedimenti papali ad eccezione di Roma e, nel 1870, anche questa; non gli resta più che il Vaticano. Il potere temporale era di grande utilità per la Chiesa; esso assicurava al suo capo l’indipendenza, aumentava la sua autorità nei confronti dei poteri e forniva parte delle entrate necessarie all’amministrazione della Chiesa; soprattutto, garantiva la libertà del Conclave. Dalla sua espropriazione, il Papa è stato sostenuto dall’imposta volontaria dei Cattolici, l’obolo di San Pietro. – Anche se il papa non ha più il potere temporale, la sua sovranità è ancora riconosciuta dalle potenze, anche dall’Italia (Leggi di garanzia del 1871). Ecco perché l’arbitrato del Papa è già stato invocato in controversie tra nazioni, ad esempio tra Germania e Spagna nell’affare delle Caroline (1885). Il Papa come sovrano ha il diritto di battere moneta, di conferire decorazioni e di avere una bandiera (i cui colori sono il bianco e l’oro) in allusione alle parole di San Pietro al paralitico: “Non ho né oro né argento. (Act. Ap. III, 6); ha degli ambasciatori (legati, nunzi, ecc.) presso le potenze, ecc. – Il Papa non ha alcuna giurisdizione sulla terra al di sopra di lui, nemmeno il Concilio Generale, cioè l’assemblea di tutti i Vescovi dell’universo. (Eugenio IV, 4 settembre 1439; Conc. Vat. 4, 3). L’appellarsi al Papa al Concilio Generale costituisce un atto di per sé punibile con la scomunica. (Pio IX, 12 ottobre 1869).

3. VESCOVI, SACERDOTI, FEDELI.

1. I VESCOVI SONO I SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI.

I Vescovi prendono il posto degli Apostoli (Concilio Vaticano). I Vescovi risalgono agli Apostoli con la loro ordinazione, come l’ultimo anello di una catena è unito al primo. – I Vescovi differiscono dagli Apostoli solo per i limiti della loro giurisdizione: gli Apostoli avevano come campo d’azione il mondo intero, i Vescovi hanno solo la loro diocesi. Gli Apostoli erano dotati di un’infallibilità personale che manca ai Vescovi. Ciò si spiega con la missione straordinaria degli Apostoli, che richiedeva poteri e doni straordinari, come il dono dei miracoli, delle lingue e dell’infallibilità.

Il potere dei Vescovi consiste nel governare la parte della Chiesa assegnata loro dal Papa e di partecipare con lui al governo della Chiesa universale.

Già gli Apostoli avevano assegnato ai Vescovi regioni specifiche: Creta, ad esempio, a Tito, come dice San Paolo (Tt 1, 5). La regione assegnata a un Vescovo si chiama diocesi (ce ne sono anche di molto grandi di milioni di anime). – Il Vescovo esercita la sua autorità pastorale e dottrinale approvando e formando i candidati al sacerdozio, costituendo e conferendo le cariche ecclesiastiche, la giurisdizione ai confessori e la missione ai catechisti (ecclesiastici o laici), approvando libri, promulgando decreti quaresimali, e così via. Le funzioni pontificie (potestà d’ordine) sono l’amministrazione della Cresima, il conferimento degli Ordini, l’assoluzione dei peccati a lui riservata, la consacrazione di chiese, altari, vasi sacri, olii santi, ecc. – In quanto partecipano al governo generale della Chiesa, sono chiamati a partecipare ai Concili generali dove, in comunione con il Papa, hanno il potere deliberativo di emanare decreti e fare leggi.

I Vescovi non sono quindi semplici vicari del Papa, hanno un’autorità reale nel governo della Chiesa.

I Vescovi hanno una propria giurisdizione e autorità nella Chiesa; sono i veri pastori del gregge loro affidato (Concilio Vaticano, IV, 3), perché sono “costituiti dallo Spirito Santo per governare la Chiesa di Dio”. (Act. Ap. XX, 28). E come un principe-erede ha, per la sua nascita, un diritto reale sul futuro governo del Paese, così i Vescovi acquisiscono con la loro ordinazione un diritto sul governo della Chiesa affidato loro dal Papa; i Vescovi sono quindi principi della Chiesa, e giustamente. È perché i Vescovi hanno la giurisdizione, l’autorità ordinaria immediata, sono chiamati anche “ordinari“. Il consiglio che assiste il Vescovo si chiama Capitolo; i suoi membri portano il titolo di canonici. In caso di vacanza della sede, uno di loro viene eletto vicario capitolare e governa la diocesi fino alla fine della vacanza. In base al diritto, l’elezione del Vescovo spetta al Capitolo. I concordati possono trasferire questo diritto al Papa, al governo o all’Arcivescovo. I Vescovi hanno dei vicari generali o coadiutori che li assistono nel loro governo; per assisterli nell’esercizio dei poteri dell’ordine hanno Vescovi ausiliari o suffraganei. – L’episcopato è una dignità molto alta, superiore, secondo S. Ambrogio, alla dignità reale. Come segno della sua dignità, il Vescovo porta la mitra, come capo dell’esercito di Gesù Cristo; il pastorale, simbolo dell’autorità pastorale, un pastorale curvo per la limitazione della giurisdizione; un anello, come segno di alleanza con la sua Chiesa; una croce pettorale. – In segno di rispetto, i Sacerdoti e i fedeli baciano il suo anello.

Ha il titolo di Monsignore, di Sua Grandezza. Il Papa rivolgendosi al Vescovo. Lo chiama Venerabile fratello, perché il potere d’Ordine del Vescovo è uguale al potere d’ordine del Papa. I Vescovi sono comunque sotto la giurisdizione del Papa e gli devono obbedienza. Il Papa conferisce ai Vescovi il potere di giurisdizione; è la radice da cui i rami traggono la loro linfa. Nessun Vescovo può quindi esercitare la sua autorità finché non ha ha ricevuto l’istituzione canonica dal Papa. Inoltre, è obbligato a riferire periodicamente al Papa sullo stato della sua Diocesi. (Pellegrinaggio ad limina Apostolorum.) I Vescovi italiani vi si recano ogni due anni; quelli d’Europa ogni quattro anni, quelli d’America, ogni dieci anni). Una sentenza episcopale può essere appellata al Papa. – I vescovi separati dalla Sede di Pietro, che non sono in comunione con lui, come ad esempio i greci, i russi e gli anglicani, non sono più membri della Chiesa e quindi non hanno giurisdizione. Leone XIII ha persino definito solennemente che gli anglicani non hanno nemmeno il potere d’ordine. I Vescovi che hanno altri Vescovi sotto la loro giurisdizione sono chiamati Arcivescovi o Metropoliti.

Questi hanno una preminenza sui Vescovi semplici: in alcuni casi hanno il diritto di indossare il pallio (una fascia di lana d’agnello bianca attorno alle spalle, simbolo di mitezza e umiltà); in alcuni Paesi ricevono onorificenze civili. – Al di sopra degli Arcivescovi si trova il primate o primo Vescovo di una nazione. (L’Arcivescovo di Lione è primate delle Gallie; l’Arcivescovo di Malines è primate dei Paesi Bassi; l’arcivescovo di Salisburgo è primate di Germania, quello di Gian, primate di Ungheria). I primati hanno al di sopra di loro i Patriarchi, in alcuni Paesi gli esarchi, a cui erano originariamente soggetti i metropoliti. (I principali Patriarcati erano quelle di Antiochia, Alessandria, Roma, perché queste sedi erano state fondate da San Pietro). Oggi i titoli di primate e patriarca sono puramente onorifici; non implicano alcuna giurisdizione e sono, inoltre, come l’arcivescovado, di semplice diritto ecclesiastico. – Esistono ancora prelati nella Chiesa che, senza avere l’ordine episcopale, possiedono il rango: sono dignitari ecclesiastici (generalmente capi di ordini religiosi) che, insieme ai loro subordinati, sono esenti dalla giurisdizione episcopale, ma immediatamente soggetti alla Santa Sede. Alcuni prelati governano addirittura una diocesi, senza avere l’ordine episcopale; ce ne sono altri, che governano una regione specifica con i propri sacerdoti e i suoi fedeli e che, con il loro territorio, sono soggetti alla giurisdizione episcopale. Ci sono anche sacerdoti che hanno solo il titolo onorifico di prelato.

2. I SACERDOTI SONO I COLLABORATORI DEI VESCOVI.

Con l’Ordinazione, i Sacerdoti ricevono la vita sacerdotale dal Vescovo, come i figli ricevono la vita naturale dai genitori; sono quindi figli spirituali dei Vescovi. Ma i figli non hanno mai autorità personale nella casa del padre, sono soggetti all’autorità del padre e devono eseguire gli ordini che vengono loro impartiti. Lo stesso vale per i sacerdoti: non hanno l’autorità pastorale della Chiesa. Nei Concili generali essi non hanno diritto di parola, al massimo costituiscono una voce consultiva quando chiamati in causa; né possono scomunicare, sono solo gli aiutanti, i coadiutori dei Vescovi, ai cui ordini devono sottomettersi.

I Sacerdoti hanno solo una parte dei poteri del Vescovo e possono esercitarli solo con l’autorizzazione di quest’ultimo.

Questa autorizzazione si chiama approvazione, missione canonica. – Il paramento del sacerdote Sacerdote è la tonaca nera, un indumento che arriva fino al tallone. La tonaca nera ricorda al sacerdote il pensiero della morte; la chiusura completa dell’abito gli ricorda che deve essere assolutamente inaccessibile alle gioie colpevoli o mondane.

I Sacerdoti a cui il Vescovo affida in modo permanente l’amministrazione di un distretto diocesano sono chiamati parroci (curati).

Questo distretto è chiamato parrocchia (parochia). Nella Chiesa greca, il parroco è chiamato pope. – I parroci di alcune grandi parrocchie sono chiamati decani. In alcuni Paesi, il parroco viene presentato al Vescovo da patroni, individui o corporazioni che hanno acquisito questo privilegio grazie a servizi eccezionali resi alla parrocchia. – Il parroco è il rappresentante del Vescovo nella parrocchia. Nessuno può esercitare una funzione ecclesiastica nella parrocchia senza il suo permesso (o quello del Vescovo), in particolare il solo parroco ha il diritto di predicare, battezzare, dare l’estrema unzione, assistere ai matrimoni e presiedere alle sepolture. – I parroci non esistevano nei primi secoli della Chiesa, in quanto i Vescovi esercitavano da soli la maggior parte delle funzioni sacre e, in seguito, inviavano a distanza i sacerdoti legati alla chiesa cattedrale, con una delegazione temporanea, a celebrare le funzioni e amministrare i Sacramenti. I parroci che il Vescovo pone al di sopra dei parroci di un distretto più ampio sono chiamati Arcipreti, Arcidiaconi.

Su incarico del Vescovo, visitano le chiese e fungono da intermediari tra l’amministrazione episcopale ed i parroci. I parroci delle parrocchie più popolose hanno anche dei sacerdoti di soccorso. Questi Sacerdoti sono chiamati vicari, cappellani, ecc. e sono nominati dal Vescovo. Quando una parrocchia è vacante, viene nominato temporaneamente un amministratore.

3. UN CATTOLICO È COLUI CHE È BSTTEZZATO E CHE PROFESSA ESTERIORMENTE DI ESSERE MEMBRO DELLA CHIESA CATTOLICA.

Un’associazione considera membro solo chi è stato accolto in essa; è membro della Chiesa solo chi è stato accolto in essa. Questa iniziazione avviene attraverso il Battesimo. Il Battesimo è la porta attraverso la quale si entra nella Chiesa, come la finestra che dava accesso all’arca di Noè. La Scrittura annovera tra i membri della Chiesa anche i i 3000 ebrei che furono battezzati il giorno di Pentecoste come membri della Chiesa (Atti II, 41). Inoltre, è necessario fare una professione esterna di questa appartenenza alla Chiesa. Chi se ne separa, ad esempio per eresia, cessa di essere membro della Chiesa, anche se davanti a Dio non è liberato dagli obblighi imposti dal Battesimo; si trova nella situazione di un soldato che ha disertato la sua bandiera ed è passato al nemico. I pagani, gli Ebrei, eretici e scismatici (Conc. di Firenze) non appartengono alla Chiesa cattolica, ma i loro figli battezzati sì. Il Battesimo è un bene dell’unica vera Chiesa, i suoi frutti appartengono quindi solo ad essa. (S. Aug.). Ma questi figli battezzati si separano dalla Chiesa quando raggiungono la maggiore età, fanno professione di eresia, ad esempio ricevendo la Cena del Signore in un tempio eretico. – I cristiani furono chiamati inizialmente con nomi diversi: prima furono chiamati Nazareni, perché Nazareth era la patria di Cristo, poi Galilei (stranieri) , perché i Giudei immaginavano che Gesù Cristo provenisse da lì. Il nome Cristiani (Act. Ap. XI, 26) compare per la prima volta nella grande comunità di Antiochia, dove S. Pietro e, più tardi, S. Ignazio erano Vescovi. Noi portiamo giustamente questo nome di Cristiani (christianus), che significa unto, perché interiormente le nostre anime hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo, così come i nostri corpi lo hanno ricevuto esternamente; inoltre, la nostra vocazione è quella di diventare come Gesù Cristo. (Rom. VIII, 29). Questo nome non viene dagli uomini, viene da Dio (Greg. Naz.). – Non prendiamo il nome da un re temporale, da un Angelo, da un arcangelo o da un serafino, ma dal loro re. (S. G. Cris.). Il titolo di Cristiano è amato da Dio, ma disprezzato dai viziosi e dai superbi (S. Theoph. d’Ant.).

Ma un verocattolico è l’unico che, dopo essere stato battezzato e membro della Chiesa, si impegna seriamente di raggiungere la vita eterna, che quindi crede nelle dottrine della Chiesa, osserva i Comandamenti di Dio e della Chiesa, riceve i Sacramenti e prega Dio nel modo prescritto da Gesù Cristo.

Non si è veri Cristiani quando non si conosce nemmeno la dottrina cristiana; – allora si è come uno che si definisce pittore o medico e non capisce nulla della sua arte. Non si è veramente Cristiano quando non vive secondo la morale di Cristo (S. Giustino), che disse ai Giudei: “Se voi siete i figli di Abramo, fate le opere di Abramo” (S. Giovanni VIII, 39), che per noi significa: “Se volete essere Cristiani, fate anche voi le opere dei Cristiani”. Una vita malvagia ci fa perdere il titolo di Cristiano (Salviano). Perciò, se vogliamo essere Cristiani, viviamo come Cristo (S. Greg. Naz.).

Cristiano è colui che è mite, gentile, misericordioso con tutti, che divide il suo pane con i poveri (S. Aug.). Cristo stesso dice che i suoi discepoli si riconosceranno dalla loro carità verso il prossimo (S. Giovanni XX, 35), che è quindi come l’uniforme del Cristiano. – Un Cristiano che non riceve i Sacramenti, che non prega, è come un soldato disarmato, un artigiano che non esercita il suo mestiere. – Nel nostro tempo, purtroppo, ci sono troppi Cristiani che non meritano il loro nome. Portano questo titolo perché hanno ricevuto il Battesimo e ne hanno un estratto, ma vivono come pagani. Si potrebbero chiamare Cristiani sulla carta o pagano-cristiani. Che responsabilità per l’eternità! “Da un’aratura migliore, abbiamo il diritto di aspettarci frutti più abbondanti, così come possiamo aspettarci più virtù da un Cristiano che pretenderle da un pagano, perché egli ha più grazie a disposizione. (Louis de Gren.).

Ogni cattolico ha diritti e doveri; ha diritto ai mezzi di santificazione della Chiesa ed è obbligato ad obbedire ai capi della Chiesa in materia di religione, contribuire al loro mantenimento ed alle spese del culto divino.

I Cattolici possono quindi esigere che venga loro rivolta la parola di Dio, che vengano loro amministrati i sacramenti, di poter partecipare ai servizi divini e di avere diritto alla sepoltura ecclesiastica, ecc. – La Chiesa non obbliga nessuno ad aderire, ma chiunque entri o rimanga liberamente in essa è obbligato a sottomettersi alle sue leggi. In alcuni casi la disobbedienza alle leggi della Chiesa può portare alla scomunica, cioè l’esclusione dalla Chiesa. La persona scomunicata perde tutti i diritti ai beni spirituali della Chiesa, la partecipazione alle funzioni della Chiesa, la partecipazione alle funzioni religiose, la ricezione dei sacramenti, le funzioni ecclesiastiche, le cariche ecclesiastiche, la sepoltura cristiana; non partecipa più alle preghiere e alle benedizioni della Chiesa. La scomunica si verifica ipso facto per alcuni crimini, come ad esempio l’apostasia, l’adesione alla massoneria, il duello, ecc. (Pio IX, 12. ott. del1869), altre volte si incorre solo dopo una sentenza emessa dall’autorità ecclesiastica e preceduta da ammonizioni canoniche e da un regolare processo. Pio IX ha scomunicato i vescovi vetero-cattolici Reinkens (f 1896) e Herzog, e il prevosto Doellinger fu scomunicato dall’Arcivescovo di Monaco (1871). S. Ambrogio aveva già escluso dalla Chiesa l’imperatore Teodosio, che aveva fatto massacrare dai suoi soldati 7000 abitanti della Tessaglia che aveva attirato nel circo con il pretesto di giochi pubblici. (390) Quando Teodosio invocò l’esempio di Davide Ambrogio rispose: “Tu hai imitato Davide nel crimine, imitalo anche nella penitenza”, ed egli lo riaccolse nella sua comunione solo dopo una severa penitenza. S. Paolo scomunicò anche un membro vizioso della Chiesa di Corinto. (I. Cor. V, 5). La Chiesa ha gli stessi diritti della società civile che punisce certi crimini con la pena dell’esilio; anche gli alunni incorreggibili si escludono dalla scuola.

4. FONDAZIONE ED ESTENSIONE DELLA CHIESA.

Cristo aveva paragonato la sua Chiesa a un granello di senape, che è il più piccolo di tutti i semi, ma che, una volta germogliato, produce un albero sotto il quale gli uccelli del cielo possono abitare. (S. Matth. XIII, 31). Cristo paragona la sua Chiesa a una pianta, perché la Chiesa, nonostante la sua estensione, rimarrà sempre quaggiù in uno stato di umiliazione.

1. Cristo ha posto le fondamenta della sua Chiesa quando, durante la sua vita pubblica, radunò intorno a sé un certo numero di discepoli, tra i quali ne scelse 12 come Apostoli e uno di loro come capo.

Cristo, i 12 apostoli, i 72 discepoli e gli uomini e le donne che lo seguivano abitualmente formavano una sorta di comunità.

2. La Chiesa non fu fondata definitivamente fino alla Pentecoste, quando furono battezzate 3000 persone.

La Pentecoste fu quindi il giorno in cui nacque la Chiesa. 2000 persone dopo il miracolo nel portico del tempio.

3. Immediatamente dopo la discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli andarono in nome di Cristo a predicare il Vangelo in tutto il mondo e fondarono comunità cristiane in molte città.

Il più zelante fu Paolo, il persecutore dei Cristiani che si era miracolosamente convertito nell’anno 34 (I. Cor. XV, 8); viaggiò per tutta l’Asia Minore, l’Europa meridionale e molte isole del Mediterraneo. S. Pietro viaggiò quasi quanto Paolo dopo la sua liberazione miracolosa dalla prigione (44) da parte di un Angelo. La sua sede fu Roma, dove subì il martirio insieme a san Paolo il 29 giugno 69. S. Giovanni, il discepolo amato, si era stabilito a Efeso, dove viveva anche la Beata Vergine, e da lì governava le chiese dell’Asia Minore. Suo fratello, Giacomo il maggiore, si spinse fino in Spagna (dove le sue reliquie si trovano a Compostela) e tornò a Gerusalemme dove fu decapitato. (44), Giacomo il Minore governò la Chiesa di Gerusalemme e fu gettato giù dalla terrazza del tempio (63). Andrea predicò nei Paesi del Basso Danubio e fu crocifisso ad Achaia. – S. Tommaso e S. Bartolomeo evangelizzarono i paesi del Tigri e dell’Eufrate e l’India, San Simone l’Egitto e il Nord Africa, ecc. “O uomini misericordiosi – grida S. Giovanni Crisostomo – quanto vi siamo riconoscenti per la grazia della fede che ci avete dato a costo del vostro sudore e del vostro sangue! Quanto dolore e torture avete sofferto per noi!

Gli Apostoli hanno fondato comunità cristiane convertendo e battezzando un certo numero di abitanti del luogo e scegliendo tra di loro dei collaboratori, ai quali trasmettevano una parte più o meno grande dei loro poteri. Quando si trasferivano, sceglievano un successore e gli conferivano tutti i poteri. (Act. Ap. XIV, 22).

I cooperatori ai quali gli Apostoli hanno trasferito solo una piccola parte dei dei loro compiti erano chiamati diaconi; quelli che avevano più potere, anziani o presbiteri o sacerdoti; i successori degli apostoli, Vescovi (anziani, pontefici). – Il Cristo aveva dato agli Apostoli il potere di scegliere i propri successori, perché aveva dato i poteri che Egli aveva ricevuto dal Padre (S. Giovanni XX, 21); Gesù Cristo li aveva anche ordinati, poiché li aveva incaricati di predicare (S. Matth. XXVIII, 20).

La comunità cristiana di Roma occupava il primo posto tra le altre, perché era governata da San Pietro, il capo degli Apostoli, e perché tutte le prerogative e i diritti passavano al Vescovo della comunità romana.

S. Ignazio, vescovo di Antiochia (+ 107), scrisse ai Cristiani di Roma di di non rilasciarlo; nella sua epistola chiamava la Chiesa di Roma maestra della santa alleanza della comunità dei fedeli, cioè la maestra della cristianità. S. Ireneo, Vescovo di Lione (+ 202), scrisse anche: “Tutti i fedeli dell’universo devono essere con la Chiesa romana a causa del suo eminente primato.

Tutte le comunità cristiane fondate dopo gli Apostoli avevano la stessa fede, gli stessi sacramenti, lo stesso sacrificio e lo stesso capo; insieme, formavano un’unica grande comunità, la Chiesa cattolica.

4. QUANDO COMINCIA COMINCIARONO LE PERSECUZIONI, LA CHIESA SI DIFFUSE ANCORA PIÙ RAPIDAMENTE.

Nei primi tre secoli ci sono state 10 grandi persecuzioni da parte degli imperatori romani; le più terribili furono quelle di Nerone (54-68) e di Diocleziano (284-305); questo tiranno martirizzò quasi due milioni di Cristiani, tanto che in 10 anni quasi 17.000 Cristiani furono martirizzati ogni mese. Molto varie erano le tipologie di martirio: crocifissione (San Pietro), decapitazione (San Paolo), lapidazione (Santo Stefano), esposizione a bestie feroci (Sant’Ign. d’Ant.). Altri venivano arrostiti nel fuoco (San Lorenzo), gettati in acqua (San Floriano), scorticati (S. Bartolomeo), gettati da una roccia o da una torre (S. Giacomo il minore), bruciati sul rogo (San Policarpo a Smirne), sepolti vivi (Santa Crisante), ecc. I Cristiani non temevano il martirio, anzi vi volavano come le api all’alveare (San Giovanni Crisostomo). – Tutto ciò che veniva fatto per distruggere i Cristiani serviva solo a moltiplicarli. Le suppliche dei Cristiani davanti ai tribunali erano una vera e propria predicazione che commuoveva e convertiva un gran numero di persone. Anche la gioia con cui i Cristiani andavano incontro alla morte, la loro pazienza e il loro amore per i nemici facevano una grande impressione sui pagani, non meno dei molti miracoli che avvenivano durante i supplizi. (San Giovanni resta sano e salvo nell’olio bollente, Policarpo nel fuoco). I martiri assomigliano1 al seme che muore nella terra, “ma germoglia e diventa fecondo”. (San Ruperto). La tempesta che scuote il seme dal terreno è utile, perché ne genera altri 50 (San Leone Magno). Il sangue dei martiri, dice Tertulliano, divenne semenza di Cristiani. – Il periodo delle persecuzioni è stato il più florido: i Cristiani vi conducevano una vita pe I Cristiani rischiavano la vita per partecipare alle assemblee liturgiche nelle catacombe. L’iniziazione al cristianesimo attraverso il battesimo era preceduta da due anni di istruzione chiamati catecumenato. Quando l’imperatore Costantino il Grande permise ai suoi sudditi di abbracciare il Cristianesimo (313) e successivamente lo dichiarò (324) come religione di Stato, la Chiesa fiorì all’esterno, ma molti Cristiani divennero tiepidi. Costantino emette il suo Editto di Tolleranza dopo l’impressione di una croce luminosa in cielo (312), e certamente anche sotto l’influenza della sua pia madre, Sant’Elena. – Egli prescrisse l’osservanza delle domeniche e delle feste, consegnò i Vescovi, vietò i combattimenti gladiatori, abolì la crocifissione e costruì un gran numero di chiese (312) (fino a 30 solo in Palestina), ecc. – Durante la pesca miracolosa, la rete si strappò e le due barche piene di pesci stavano quasi per rovesciarsi.; questa era un’immagine degli scismi introdotti nella Chiesa dalle eresie e dalle passioni terrene, in cui sarebbero caduti i Cristiani quando la Chiesa si fosse espansa e avesse goduto della pace.

Già al tempo di Costantino apparve la perniciosa eresia di Arîo (318), che si diffuse in lungo e in largo. Divenne anche più facile essere ammessi alla Chiesa ed il catecumenato scomparve gradualmente a partire da Costantino in poi. Agostino ha giustamente detto: “Quando la Chiesa è in pace con i suoi nemici esterni, ne trova molti in mezzo a sé, che con la loro cattiva condotta lacerano il cuore dei buoni.

5. NEL MEDIO EVO, LA MAGGIOR PARTE DEI POPOLI PAGANI D’EUROPA SI UNI’ ALLA CHIESA.

I Franchi, una tribù germanica che aveva invaso le Gallie, furono i primi a convertirsi al Cattolicesimo come nazione. In Austria, il Vangelo fu predicato intorno al 450 dal monaco orientale S. Sévérin, famoso per le sue austerità, che esercitò il suo apostolato lungo il Danubio per trent’anni (t 482), e successivamente da S. Valentino, Vescovo belga, che evangelizzò la regione di Passau e Tyrolo (+ 470 a Merano). Salisburgo ricevette il Vangelo da San Ruperto, vescovo di Worms (580). Intorno al 600, l’Inghilterra ricevette quarantuno missionari da San Gregorio Magno, tra cui il monaco benedettino Agostino, futuro Arcivescovo di Cantorbéry. In meno di 80 anni, l’Inghilterra fu convertita e divisa in 26 vescovati. L’apostolo della Germani fu S. Bonifacio, allora arcivescovo di Magonza, che lavorò a questa missione per quasi 40 anni (+ 755). Gli Slavi, soprattutto quelli della Boemia e della Moravia furono evangelizzati con grande successo dai monaci greci Cirillo e Metodio (+ 885). Gli ungheresi dovettero la loro conversione agli sforzi del loro re, S. Stefano (+ 1038), la cui mano Dio ha conservato intatta fino ad oggi, senza dubbio come ricompensa per le sue numerose opere buone. Stefano ricevette dal Papa il titolo di Re Apostolico. Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda, Polonia e Russia si convertirono solo dopo l’anno 1000.

Nel Medioevo, la Chiesa soffrì molto a causa dell’islamismo.

 L’islamismo è la dottrina di Maometto, che proveniva dall’Arabia e si spacciava per il profeta del vero Dio, prometteva un paradiso dopo la morte, ha permesso la poligamia, ha prescritto il pellegrinaggio alla Mecca in onore di una pietra nera lì conservata, insegnava il fatalismo, cioè la sottomissione al cieco destino, e raccomandava la diffusione della sua dottrina con il ferro e il fuoco. La sua dottrina è riportata nel Corano. Nel 632 fu avvelenato da una donna ebrea. I maomettani osservano il venerdì e pregano cinque volte al giorno, rivolti verso la Mecca. I successori di Maometto, i Califfi (cioè i vicari), intrapresero grandi conquiste che hanno spazzato via la civiltà cristiana; hanno sottomesso gran parte dell’Asia, il nord dell’Yemen e il sud della Cina, gran parte dell’Asia, l’Africa settentrionale, la Spagna e le isole del Mediterraneo; Carlo Martello fermò la loro invasione della Francia con una serie di vittorie (732-38). Le loro invasioni in Occidente furono sventate dall’eroica resistenza di Vienna nel 1683.

Nel Medioevo, la Chiesa perse molti membri a causa dello scisma greco.

Le cause di questo scisma risiedevano nella tendenza degli imperatori dell’Europa orientale a rendere i patriarchi di Costantinopoli sempre più indipendenti da Roma. e molti dei quali erano già stati condannati dai Concili per eresia. Infine, l’ambizioso patriarca Fozio, ferito da una condanna papale convocò un concilio di vescovi orientali e si staccò da Roma (867). Il nuovo imperatore ristabilì le relazioni con il Papa, ma 200 anni dopo il patriarca Michele Cerulario rinnova lo stesso conflitto (1054) e lo scisma da lui provocato si protrae purtroppo, fino ai giorni nostri. I greci scismatici si definiscono ortodossi (veri credenti), noi li chiamiamo greci orientali o non uniti, in contrapposizione ai greci in comunione con Roma, che chiamiamo greci uniti,

5 IN TEMPI MODERNI MOLTI POPOLI DEL NUOVO MONDO SI SONO CONVERTITI.

I navigatori spagnoli e portoghesi scoprirono regioni sconosciute; I missionari li seguirono per predicare il Vangelo. Il più famoso di questi fu S. Francesco Saverio, l’apostolo del Nuovo Mondo. Francesco Saverio, l’apostolo delle Indie, che, con una campana in mano, percorreva le città dell’India, delle Isole Molucche e del Giappone per chiamare a raccolta i suoi ascoltatori. Dotato del dono delle lingue, battezzò quasi due milioni di infedeli (+ 3 dic. 1552). Dopo la sua morte, i gesuiti, tra cui i padri Ricci e Schall, lavorarono con successo in Cina, dove grazie alle loro conoscenze di astronomia, meccanica, ecc. acquisirono il favore dei grandi uomini dell’impero. In Cina il cristianesimo ha fatto progressi da quando la libertà è stata garantita dai trattati del 1845. – S. Pierre Claver (f 1654) fu anch’egli un illustre missionario. tra i negri delle province settentrionali dell’America del Sud (Colombia). Negli ultimi anni l’apostolo dell’Africa è stato il cardinale Lavigerte, arcivescovo di Cartagine; ha girato le grandi città d’Europa per organizzare società antischiaviste e fondato l’Ordine dei Padri Bianchi, dedicato all’evangelizzazione dell’Africa. (+ 1892). – A Roma c’è lo stabilimento di Propaganda, fondato nel 1622, dove vengono formati giovani di tutte le nazioni per le missioni.

1 – Attualmente, i Paesi selvaggi sono evangelizzati da quasi 15.000 sacerdoti, 5.000 fratelli laici e 50.000 suore, la maggior parte dei quali appartengono ai Gesuiti, ai Cappuccini, ai Francescani e Benedettini, Lazzaristi, ecc. La maggior parte di loro proviene dalla Francia e dall’Alsazia. Queste missioni sono mantenute principalmente dall’Opera della Propaganda della fede e della Santa Infanzia. (Si veda la conclusione della Parte III). Il mantenimento delle missioni è per i cattolici è un’opera di primaria necessità; va detto per nostra confusione che gli eretici mostrano la più grande generosità.

Nei tempi moderni, la Chiesa ha perso molti membri a causa dell’eresia luterana e anglicana.

Martin Lutero, inizialmente monaco agostiniano e professore all’Università di Wittenberg, era animato da sentimenti di ripicca nei confronti di Roma, perché in un viaggio che vi aveva compiuto nel 1510 era stato completamente ignorato. Leone X, avendo fatto pubblicare delle indulgenze in favore di collette per la costruzione della basilica di S. Pietro, ed uno di questi predicatori, Tetzel, venne a Wittenberg. Prima del suo arrivo Lutero affisse 95 tesi sulla porta della chiesa del castello, in cui, invece di limitarsi a predicare le indulgenze, combatteva i predicatori di indulgenze, si batteva contro la dottrina cattolica delle indulgenze” (1517). Lutero, avendo resistito all’ordine di ritrattare, il Papa lo scomunicò (1520) e l’imperatore lo bandì dall’impero dopo aver rifiutato di abiurare. alla Dieta di Worms (1521). Ma l’Elettore di Sassonia gli diede asilo nel Wartburg, e l’eresia luterana si diffuse rapidamente in tutta la Germania, portando a lunghe guerre di religione. I suoi aderenti furono chiamati protestanti, perché alla Dieta di Spira, nel 1529, protestarono contro tutte le proposte di conciliazione. La pace di Augusta del 1555 concedeva loro gli stessi diritti dei cattolici, mentre il Concilio di Trento (1543-63) definì chiaramente la dottrina cattolica di fronte agli errori dei protestanti. Lutero morì nel 1546. I suoi errori principali furono:

1. la negazione di un Magistero supremo nella Chiesa;

2. l’attribuzione del potere ecclesiastico a principi laici secolari;

3. la negazione di qualsiasi sacerdozio, essendo l’esercizio del ministero ecclesiastico fatto in nome della comunità dei credenti.

4. l’affermazione che tutte le verità di fede sono contenute nella Bibbia;

5. che chiunque può interpretare la Bibbia secondo le proprie esigenze.

6. che la sola fede salva e che le opere sono inutili;

7. che l’uomo ha perso il suo libero arbitrio;

8. che non c’è nessun sacrificio della nuova alleanza, né sacramento della penitenza, della confessione, del purgatorio e dei veri santi. – Un gran numero di protestanti è ritornato alla fede grazie all’apostolato dei Gesuiti, fondati nel 1540 da Sant’Ignazio di Loyola; da qui l’odio contro di loro. – Nello stesso periodo in cui Lutero, Zwingle e Calvino pervertivano la Svizzera, Enrico VIII pervertì l’Inghilterra. Egi era irato contro il Papa perché non aveva ratificato il suo divorzio. Si mise a capo della Chiesa anglicana e perseguitò i Cattolici. Gli errori anglicani sono stati in seguito raccolti in 40 articoli che contengono la maggior parte degli errori luterani.

7. LA CHIESA CATTOLICA CONTA ATTUALMENTE

260 milioni di fedeli.

Essi sono guidati da circa 1200 vescovi, tra cui 15 patriarchi, 200 arcivescovi e 20 prelati con giurisdizione episcopale, e da circa 350.000 sacerdoti.

– Italia, Spagna, Francia, Austria, Belgio e Irlanda sono quasi esclusivamente cattoliche; in Germania i Cattolici costituiscono un terzo della popolazione della popolazione e sono 18.000.000, e in Russia 11.000.000. In tutta l’Europa nel suo complesso ci sono 170 milioni di Cattolici, quasi tre quarti della popolazione. In America, 80 milioni, di cui 10 milioni negli Stati Uniti (un sesto della popolazione). Il Messico, l’America Centrale e l’America del Sud con le isole adiacenti, sono quasi tutte cattolici; in Asia solo 10 milioni; in Africa, tre, e in Australia, un milioni. – I protestanti sono circa 150 milioni, divisi in più di 150 sette; occupano la Germania centrale e settentrionale, Olanda, Danimarca, Inghilterra, Svezia, Norvegia, parte di Svizzera e dell’Ungheria e degli Stati Uniti d’America. Inoltre, ci sono circa 100 milioni di orientali scismatici che vivono principalmente nella penisola balcanica e in Russia; a questi si aggiungono quasi 10 milioni di cristiani di varie sette. Complessivamente ci sono quindi quasi 520 milioni di cristiani. Poiché il numero di uomini è stimato in un miliardo e mezzo, solo un terzo dell’umanità è cristiana. – I maomettani sono 170 milioni. Vivono in Arabia, Asia occidentale, Africa settentrionale e parte della Turchia. Ci sono anche quasi 8 milioni di israeliti o ebrei, soprattutto in Russia, Austria e Polonia. La religione ebraica è importante per noi perché è la depositaria dei libri dell’Antico Testamento, che contengono alcune delle prove della missione divina del Salvatore. “Essi sono – dice Sant’Agostino – i custodi dei nostri Libri Santi”. Gli ebrei credono ancora nell’esistenza di Dio, nella sua rivelazione, e nelle sanzioni della vita futura, ma la maggior parte ha rinunciato alla speranza del Messia, la salvezza che sperano è poco più che la liberazione dalla loro presunta oppressione politica. – Infine, ci sono ancora quasi 800 milioni di pagani, molti dei quali nell’Africa meridionale, in Africa meridionale, India, Cina e Giappone. – Dobbiamo pregare ogni ogni giorno per l’illuminazione di coloro che siedono nelle tenebre e nelle ombre della morte” (S. Luc. 1, 79), al fine di affrettare il compimento della promessa di Cristo che ci sarebbe stato un solo gregge e un solo pastore. (S. Giovanni X, 16).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (11).

8. Art. del simbolo: lo Spirito Santo.

I. LA GRAZIA DELLO SPIRITO SANTO CI È NECESSARIA.

.1. Lo Spirito Santo è la terza Persona di Dio, di conseguenza è Dio; è quindi eterno, presente ovunque, onnisciente, onnipotente.

Lo chiamiamo Spirito Santo perché il Padre e il Figlio rivelano la loro santità attraverso di Esso. (Scheeben, erudito trologo tedesco gesuita, 1835-1888). Lo Spirito Santo è Dio da Dio, come una luce è dalla luce da cui è stata accesa. (Tert); come Il vapore che galleggia sopra le acque, non è di altra natura rispetto alle acque, così lo Spirito Santo è consustanziale al Padre e al Figlio. (S. Cyr. Al.). Io scaccio i demoni – disse Cristo – per mezzo del dito di Dio”, cioè con lo Spirito Santo. Così come il dito è della stessa sostanza del corpo da cui proviene, così lo Spirito Santo ha necessariamente la natura divina (S. Isid.); è chiamato dito di Dio perché è attraverso di Esso che il Padre ed il Figlio entrano in contatto con noi, perché è stato Lui a scrivere le tavole della legge (S. Athan.). L’eternità, l’onnipotenza e l’immensità dello Spirito Santo sono state definite dalla Chiesa contro i Macedoniani teretici nel 2° Concilio Ecumenico di Costantinopoli, nel 381. – Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio (cfr. p. 57). I Greci rifiutarono di credere a questo dogma e si separarono dalla Chiesa cattolica nell’867 e nel 1053. – Una curiosa coincidenza! Costantinopoli fu conquistata dai Turchi nel 1453, proprio il giorno di Pentecoste.

2. LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO È QUESTO DI COMUNICARE LE GRAZIE MERITATE DA GESÙ CRISTO NEL SACRIFICIO DELLA CROCE.

Lo Spirito Santo non produce quindi alcuna nuova grazia; agisce solo per completare e rendere fecondo ciò che Cristo ha iniziato; quando il sole sorge, non porta nessun seme sulla terra che illumina con i suoi raggi, ma fa germogliare e crescere i semi già esistenti. – La grazia è un beneficio concesso senza essere obbligati (gratuitamente). Quando un sovrano concede la vita ad un criminale condannato a morte, si dice che gli abbia concesso la grazia. Giuseppe II una volta concesse la grazia ad un bambino. Egli se lo incontrò piangente in una strada di Vienna e gli chiese il motivo delle sue lacrime. Il bambino era andato a vedere un medico per la madre malata, che si rifiutava di venire se non veniva pagato in anticipo. L’imperatore si recò a casa della madre e le scrisse un vaglia di 50 ducati dal tesoro imperiale. Dio fa lo stesso con noi: ci investe di benefici senza alcun merito da parte nostra (Rom. II, 23). Lo scopo di questi benefici divini è talvolta temporaneo, come la salute, la ricchezza e i talenti, e a volte per la nostra salvezza eterna, come il perdono dei peccati”. È dei benefici di quest’ultima specie di cui parliamo qui sotto il nome di grazia. Queste sono le grazie che Gesù Cristo ha guadagnato per noi sulla croce.

3. L’AIUTO DELLO SPIRITO SANTO È ASSOLUTAMENTE INDISPENSABILE PER LA NOSTRA SALVEZZA.

Con le sue sole forze naturali, l’uomo non è in grado di ottenere il paradiso. Ad esempio, si trova in un giardino davanti a un bell’albero e tende le braccia verso il frutto, senza raggiungerlo; arriva il padre, solleva il bambino, che può così raccogliere il frutto. Lo stesso vale per l’uomo: da solo, con le sue forze naturali, è impotente a raggiungere la felicità eterna senza l’aiuto dello Spirito Santo. I nostri occhi non possono vedere o distinguere oggetti troppo lontani, ma hanno bisogno di un telescopio, il nostro braccio ha bisogno di una leva per i carichi troppo pesanti; allo stesso modo le facoltà naturali della nostra anima, così limitate, la nostra ragione e la nostra volontà hanno bisogno di un aiuto soprannaturale per raggiungere la beatitudine eterna; lo Spirito Santo è per l’anima ciò che il telescopio è per l’occhio, la leva per il braccio. Ecco perché Gesù Cristo ha detto: “Se qualcuno è privo dello Spirito Santo, non può entrare nel regno dei cieli. (S. Giovanni III, 5). Non c’è vita senza luce, non c’è navigazione senza nave. È impossibile senza lo Spirito Santo, il soffio di Dio, entrare nel porto della salvezza. (San Macario).

SENZA LO SPIRITO SANTO, NON SIAMO IN GRADO DI COMPIERE IL MINIMO ATTO MERITORIO.

Non possiamo fare nulla senza l’aiuto di Dio, “la nostra capacità viene da Dio”. (II Cor. 111, 5). Dal peccato originale siamo come un malato che, senza l’aiuto degli altri, non è in grado di alzarsi dal letto (S. Tommaso Aq.), ad un bambino che non può badare a se stesso, lavarsi o vestirsi da solo, e che, con gli occhi implora sua madre, versa lacrime finché lei non ha pietà di lui e lo aiuta. (S. Macario). Senza lo Spirito Santo siamo, nonostante i nostri sforzi, come gli Apostoli che, nonostante una notte intera di lavoro, non avevano preso nulla. – L’uomo è incapace di lavorare nelle tenebre; non può fare alcun bene senza la luce della grazia dello Spirito Santo. Il corpo è incapace di qualsiasi azione se non è animato dall’anima; anche l’anima non può fare nulla per il cielo se non è aiutata dal S. Spirito che è la sua vita (S. Fulg.). La luna non brilla senza ricevere luce dall’esterno, così l’anima non può fare nulla di meritorio senza la luce della grazia. (S. Bonav.). La nostra anima produce frutti solo quando è innaffiata dalla pioggia della grazia dello Spirito Santo. (S. Hil.) Senza pioggia non cresce l’erba, non si apre il fiore, non matura il raccolto.; allo stesso modo ogni virtù è impossibile senza la grazia. (S. Greg., S. Iren) La grazia non fa nulla senza la volontà, e la volontà non può produrre alcuna opera meritoria senza la grazia; la terra non fa germogliare nulla senza la pioggia e la pioggia non produce nulla senza essere prima ricevuta dalla terra (S. G. Cris.). L’inchiostro è indispensabile alla penna dello scrittore, e la grazia dello Spirito Santo è essenziale per scrivere le virtù nell’anima (S. Th. Aq.). – Ogni opera meritoria è dunque comunemente prodotta dallo Spirito Santo. e dalla nostra libertà (I. Cor. XV, 10), proprio come il maestro e l’allievo scrivevano insieme quando il primo guidava la mano del secondo. Non possiamo mai attribuirci i meriti delle nostre opere buone. I movimenti del corpo sono opera dell’anima che lo anima, e le nostre opere buone devono essere attribuite a Dio che dà vita alla nostra anima (Rodriguez). Possiamo prenderci il merito delle nostre buone azioni con la stessa facilità con cui un soldato in particolare può prendersi il merito della propria vittoria e non di quella del generale. generale. (San Valeriano).

Con l’aiuto dello Spirito Santo, possiamo compiere il lavoro più difficile.

“Posso fare ogni cosa – dice San Paolo – in Colui che mi fortifica”. (Fil. IV, 13). Gli Apostoli non avevano certo le qualità necessarie per convertire il mondo, né Davide per governare un popolo, né Giuseppe per giustificare la fiducia del Faraone; è il 8. Spirito che li ha resi capaci di ciò che hanno fatto.

2. LE OPERE DELLO SPIRITO SANTO.

Lo Spirito Santo:

1. concede a tutti gli uomini la grazia attuale,

2. concede a molti uomini la grazia santificante;

3. spesso i suoi sette doni, raramente le grazie straordinarie;

4. conserva e dirige la Chiesa cattolica.

I. La grazia attuale.

1. Lo Spirito Santo agisce spesso su di noi in questa vita, illuminando la nostra comprensione, rafforzando la nostra volontà. Questa azione temporanea dello Spirito Santo si chiama grazia attuale o divina ispirazione.

A Pentecoste lo Spirito Santo ha esercitato questa azione sugli Apostoli; illuminò le loro menti e rafforzò la loro volontà. In precedenza erano stati uomini ignoranti, che Cristo stesso chiamava uomini che tardavano a credere (Lc. XXIV, 25), e da quel momento in poi ebbero risposte per tutto; prima erano timorosi e tenevano le porte chiuse, ora erano audaci come leoni. Le lingue di fuoco significavano la luce della comprensione; la tempesta, la forza della volontà (la tempesta sradica i grandi pini). – Lo Spirito Santo agisce come il sole, che illumina e riscalda; illumina la mente e riscalda la volontà di bene. Appena il sole sorge, la luminosità delle stelle scompare e vediamo solo la sua luce; allo stesso modo l’illuminazione dello Spirito Santo ci fa disprezzare tutto ciò che abbiamo amato nelle tenebre del peccato, i piaceri della tavola, del gioco, del ballo, ecc. e tutti i nostri pensieri si rivolgono a Dio. La luce del sole fa vedere anche la vera forma delle cose, le profanazioni del nostro corpo o dei nostri abiti, le strade lontane; la luce dello Spirito Santo ci permette di cogliere la verità del mondo, il vero valore delle cose terrene, i nostri peccati, il vero scopo della nostra vita. – Appena il calore del sole si fa sentire, il ghiaccio si scioglie e le piante cominciano a diventare verdi; il calore dello Spirito Santo rende morbida la durezza del nostro cuore attraverso l’amore per Dio e per il prossimo, ci fa produrre rami verdi, cioè atti meritori per il cielo.. – Lo Spirito Santo è una luce che proviene dal Padre delle luci (S. Giacomo I, 17); la grazia attuale è una luce che illumina e muove i peccatori. (S. Aug.) – Nel linguaggio comune, la grazia attuale è chiamata ispirazione divina o anche grazia di aiuto, perché costituisce un aiuto temporaneo per realizzare la nostra salvezza. Cristo ci rappresenta la grazia attuale nella figura del buon pastore che segue la pecora smarrita finché non la ritrova. (Luca XV).

Lo Spirito Santo esercita questa azione in diverse circostanze: attraverso una predica, una buona lettura, una malattia, un lutto, immagini o esempi edificanti, ammonizioni di superiori o amici, ecc.

S. Antonio l’eremita (+ 366) ricevette l’influenza dello Spirito Santo attraverso il sermone sul giovane ricco; i Giudei di Gerusalemme attraverso la predica degli Apostoli il giorno di Pentecoste; S. Ignazio di Loyola (+ 1556), attraverso la lettura della Passione e delle vite dei santi; San Francesco d’Assisi (+ 1226), attraverso una malattia; San Francesco Borgia (+ 1572), attraverso la visione del cadavere della regina Isabella; San Norberto (+ 1134), a causa del pericolo che corse per un fulmine; e così via. In tutte queste anime si produsse una presente una trasformazione subitanea scaturita dall’ispirazione divina dello Spirito Santo. Tutti potevano dire, come San Cipriano: “Quando lo Spirito Santo è entrato nella mia anima, mi ha cambiato in un altro uomo”. – Quasi sempre Dio fa precedere queste ispirazioni dalla sofferenza. La cera non riceve l’impronta del sigillo se prima non viene ammorbidita dal fuoco e schiacciata da una pressione.

L’uomo non è sensibile all’azione dello Spirito Santo finché non è stato ammorbidito dalla sofferenza. La carta viene prima impastata e smaltata prima di poter essere usata per la scrittura, e l’uomo ascolta l’ispirazione dello Spirito Santo solo dopo essere stato purificato dai suoi desideri malvagi.

2. A VOLTE. PER MIRACOLO, L’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO POTEVA ESSERE VISTA ED UDITA.

È il caso del battesimo di Gesù, quando si vide la colomba e si udì la voce dal cielo, alla Pentecoste con le lingue di fuoco ed il vento impetuoso, alla conversione di San Paolo. Per donarci lo Spirito Santo, Gesù Cristo ha istituito i Sacramenti, che possono essere percepiti anche con la vista e l’udito.

3. LO SPIRITO SANTO NON CI VIOLA, CI LASCIA LA NOSTRA COMPLETA LIBERTÀ.

Lo Spirito Santo è come una guida che possiamo seguire o meno, soprattutto la colonna di fuoco e di nube che indicava agli israeliti la strada per la Terra Promessa. Lo Spirito Santo è una luce divina, alla quale possiamo chiudere gli occhi. “Seguire la chiamata di Dio o rimanere sordi ad essa è una questione di libero arbitrio”. “Dio non agisce su di noi come su pietre o esseri senza ragione o libertà” (S. Aug.). Dio rispetta la libertà dell’uomo, non la distrugge nemmeno quando l’uomo la usa per perdersi (Mons. Ketteler). Dio non permette allo spirito maligno di toglierci la libertà, non la toglie lui stesso (Santa Gertrude).

L’uomo può collaborare con la grazia attuale, ma può anche resistere.

Saulo collaborava con la grazia, ma il giovane ricco (S. Luc. XVIIÏ) le resisteva. Coloro che, a Pentecoste, si fecero beffe degli Apostoli facendoli passare per ubriachi resistevano alla grazia (Act. Ap. II, 13), così come quelli che deridevano S. Paolo che predicava il Vangelo e la risurrezione dei morti davanti all’areopago di Atene (ibid. XVII, 32). Anche Erode, che aveva saputo della nascita di Cristo dai Magi, si rifiutò di collaborare con la grazia. Anche Lutero si oppose alla grazia alla Wartburg scagliando il suo calamaio contro il muro, dicendo contro il demonio; non era il diavolo che lo perseguitava con questi pensieri: Chi ti ha dato questa missione? Sei saggio tu solo? – Se qualcuno vuole sposarsi, fa una proposta di matrimonio alla persona di cui cerca la mano e il cuore. Questa persona può accettare o rifiutare la richiesta. Dio fa lo stesso: ci fa le sue proposte e noi possiamo accettarle o rifiutarle. (S. F. de Sales). Chi resiste abitualmente alla grazia attuale e muore in questa resistenza, commette un peccato grave e irremissibile contro lo Spirito Santo; assomiglia a satana che resiste ostinatamente alla verità. Da qui l’avvertimento della Scrittura: “Se oggi udite la sua voce, guardatevi dall’indurire i vostri cuori”. (Sal. XCIV, 8).

Chi collabora con la grazia attuale riceve grazie più abbondanti; chi vi resiste perde tutte le altre grazie e subirà un giudizio terribile.

Beato chi collabora con la grazia! Colui che ne utilizza la prima, se ne attira tutta una serie. La grazia usata è come un seme che germoglia. Il servo che ha usato bene i suoi cinque talenti, ne riceve altri cinque come ricompensa. (Matteo XXV, 28). A chi ha già, dice Gesù Cristo, sarà dato di più e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha nulla sarà tolto anche quello che ha. (ibid. XIII, 12). – Ma guai a chi resiste alla grazia. Gerusalemme subì un terribile giudizio (70 d.C) per non aver riconosciuto il giorno in cui Dio l’aveva visitata, le aveva offerto la grazia. (S. Luc. XIX, 41). È alla resistenza alla grazia che si applicano le parole di Gesù: “Getta il servo inutile nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti” (S. Matth. XXV, 30). Un grande signore è irritato per il mancato rispetto dei suoi doni e dei suoi benefici, Dio, il sovrano padrone del cielo e della terra, è irritato dal rifiuto della grazia dello Spirito Santo, il suo beneficio più importante. “Dio abbandona i pigri” (S. Aug.). Colui che ottiene langrazia senza usarla, non raggiungerà il cielo, più di quanto uno non raggiunge la meta del suo viaggio non salendo sul treno quando questo è in stazione. Il momento attuale della grazia è come il momento critico di una malattia. Se non stiamo attenti, rischiamo la vita. – Molti uomini, ahimè, rendono vane le grazie divine e con le distrazioni e i piaceri mondani respingono lo Spirito Santo che voleva agire su di loro nei momenti di lutto, nelle feste della Chiesa, attraverso la ricezione dei Sacramenti. Dovrebbero invece ritirarsi in solitudine, riflettere seriamente, ricorrere alla preghiera. purificare la propria coscienza con la confessione, come fece Sant’Ignazio di Loyola che, dopo la sua conversione, si ritirò per diversi mesi nella grotta di Manresa per diversi mesi, e Santa Maria egiziaca, che dopo la sua conversione si confessò e si stabilì nel deserto. I piloti salpano non appena si accorgono che il vento è favorevole; allo stesso modo dobbiamo lasciarci condurre, non appena sentiamo il soffio dello Spirito Santo (Louis de Gren.). Se non seguiamo la grazia con docilità e prontezza, Dio la ritira da noi. La grazia è come la manna, che doveva essere raccolta al mattino presto e che i pigri trovavano sciolta. (San F. de Sales). – Più grandi sono le grazie ricevute, più grande è la responsabilità (S. Grég. M.), perché, dice Gesù Cristo, molto sarà chiesto a colui al quale molto è stato dato.m(S. Luc. XII, 48).

4. LO SPIRITO SANTO AGISCE SU PECCATORI E GIUSTI, ERETICI ED INFEDELI, COSÌ COME SUI CATTOLICI.

Il buon Dio è come il buon pastore (San Giovanni X) che segue la pecora perduta finché non la trova. (S. Luc. XV). Gesù Cristo, la luce del mondo, illumina ogni uomo che viene al mondo (S. Giovanni I, 8); Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (L Tim. II, 4).

Lo Spirito Santo ha agito per la salvezza degli uomini fin dall’inizio del mondo, ma si è dato nella sua pienezza solo dalla Pentecoste.

Durante la prigionia ebraica a Babilonia, lo Spirito Santo agiva spesso sul popolo attraverso i numerosi miracoli che compiva per glorificare Dio: i tre giovani nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni. I patriarchi e i profeti erano stati illuminati dallo Spirito Santo, e forse anche i filosofi come Socrate, che aveva riconosciuto l’unità di Dio e fu condannato a morte per averla insegnata (399 a.C.). Così come il sole, prima ancora di apparire, è annunciato dai suoi raggi, così Gesù Cristo, il Sole della giustizia: la sua venuta è preceduta dai raggi luminosi dello Spirito Santo. Così come acconsentiamo ai prestiti quando ci aspettiamo di ricevere del denaro, così Dio ha dato la sua grazia dell’Antico Testamento, in vista della futura soddisfazione del Salvatore.

Ma lo Spirito Santo non distribuisce le sue grazie in modo uguale a tutti gli uomini.l; è più generoso nei confronti dei membri della della Chiesa cattolica.

Uno dei servi ricevette cinque talenti, l’altro due, il terzo uno solo. (S. Matth. XXV, 15). Gli ebrei ricevettero più grazie dei pagani. La Vergine, più di tutti gli altri uomini; le città di Corozaïn e di Betsaida più di Tiro e Sidone; Cafarnao, più di Sodoma (ibid. XI, 31). Ci sono delle grazie universali di cui tutti gli uomini, senza eccezione, sono partecipi; altre grazie sono particolari, cioè concesse solo ad alcune anime destinate da Dio ad una speciale vocazione. (Marie Lat.). Alcune grazie si ottengono attraverso le preghiere di altri o attraverso la corrispondenza alla prima grazia; S. Agostino ottenne più grazie attraverso la preghiera di altri Agostino ottenne più grazie attraverso l’intercessione della madre che mille altre anime; S. Paolo ricevette grandi grazie attraverso la preghiera di altri. Paolo ricevette grandi grazie attraverso le preghiere di Santo Stefano. Gli Apostoli ricevettero molte grazie perché seguirono subito la chiamata di Gesù.

Lo Spirito Santo non agisce sulle anime in modo continuo, ma ad intervalli.

S. Paolo scrisse ai Corinzi: “Ora è il tempo opportuno, ora è il giorno della salvezza”. (2 Cor. VI, 2). Nella parabola della vigna, gli operai sono chiamati una sola volta per ogni serie (S. Matth. XX). La Quaresima, le missioni, il Giubileo sono tempi di grazia; sono come le fiere dove le merci sono più numerose e più economiche. Senza dubbio, lo Spirito Santo può essere acquistato senza denaro e completamente gratuito (Is. LV, 1).

Attingete alle fonti della grazia, per quanto potete, a fiumi interi; verrà un tempo in cui non potrete più bere da esse (S. Ephr.).

5. LE GRAZIE ATTUALI SI OTTENGONO FACILMENTE CON LE OPERE BUONE, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO E LELEMOSINA., CON L’USO DEI MEZZI DI SANTIFICAZIONE DELLA CHIESA, LA SANTA MESSA, I SACRAMENTI E LA PREDICAZIONE.

La grazia di Dio non può essere meritata rigorosamente con le opere, dalle buone azioni, altrimenti non sarebbe più grazia (Rm XI, 6). Le opere buone sono necessarie, perché Dio, che ci ha creati senza di noi, non ci salverà senza di noi. (S. Aug.) Quando un mendicante tende la mano per chiedere l’elemosina, questo movimento non costituisce un diritto, ma è necessario per ricevere l’elemosina. (Allioli). Dio ci ha salvati, non per le opere della giustizia che abbiamo fatto, ma per la sua misericordia (Tt II I, 5). Se quindi facciamo molte opere buone, otteniamo più facilmente le grazie. Lo Spirito Santo concede a ciascuno ciò che gli piace (I. Cor. XII, 11), tuttavia secondo la preparazione e la cooperazione di ciascuno. (Conc. de Tr. VI 7); il numero delle grazie attuali è dunque in proporzione alle opere buone. Un mezzo molto efficace per ottenere le grazie è l’invocazione dello Spirito Santo, perché il Padre che è nei cieli dà il buono Spirito a coloro che glielo chiedono (S. Luc.-Xl. 43). – L’invocazione della Beata Vergine non è meno efficace, perché Maria è piena di grazia e dispensatrice di tutte le grazie divine. Questo titolo non è esagerato, perché è il linguaggio dei più grandi Santi, e non è decoroso credere che abbiano mancato la verità, perché erano tutti animati dallo Spirito Santo, che è lo Spirito della verità. (S. Alph.) L’adorazione del Santissimo Sacramento è anche una fonte di grazie, come il ritiro dal mondo, la solitudine in cui Dio parla alla nostra anima (Osea II, 44), la mortificazione dei sensi (repressione della curiosità, evitamento delle conversazioni inutili); gli Apostoli sono un esempio lampante.

II. La grazia santificante.

1. QUANDO IL PECCATORE COLLABORA ALLA GRAZIA ATTUALE, LO SPIRITO SANTO ENTRA NELLA SUA ANIMA PER DARLE UNA LUMINOSITÀ ED UNA BELLEZZA CHE GLI FARANNO GUADAGNARE L’AMICIZIA DI DIO.

Questa bellezza permanente dell’anima, conseguenza della dimora dello Spirito Santo, si chiama grazia santificante.

Quando si permette al fuoco di agire sul ferro, il fuoco penetra nel ferro e il metallo assume un’altra natura: diventa luminoso, incandescente, dorato, per così dire. È lo stesso per l’anima; quando essa si abbandona all’azione della grazia, lo Spirito Santo la penetra e, grazie a questa inabitazione (I Cor. VI, 19) è immediatamente dotata di una qualità permanente: una certa luce, un certo splendore, in altre parole, la grazia santificante. Dio stesso ci ha rivelato che, cooperando con la grazia, l’uomo la attira in sé: “Volgetevi a me e io mi rivolgerò a voi”. (Zac. I, 3); ^Preparate i vostri cuori al Signore.(1 Re VII, 3). L’abito nuziale nella parabola della festa (S. Matth. XXII) e la nuova tunica data al figlio prodigo rappresentano per noi l’anima che ha ricevuto la grazia santificante come un uomo rivestito di una magnifica veste nuova. Lo S. Spirito conferisce una grande bellezza all’anima che l’ha ricevuta, subisce un cambiamento simile a quello di un malato affetto dalla vecchiaia e dalla paralisi, che per miracolo recupera improvvisamente il fulgore di una bella gioventù e si riveste di ornamenti regali. (S. G. Cris.). Perché un palazzo possa degnamente ricevere un sovrano, deve prima essere debitamente preparato, allo stesso modo lo Spirito Santo trasforma l’anima in un magnifico tempio dove Dio possa abitare. (Scheeben). Se potessimo vedere la bellezza di un’anima in grazia di Dio, cadremmo in estasi. (L. de Blois); se potessimo vedere un’anima senza peccato, dimenticheremmo di mangiare e bere per tutta la vita. (S. Vinc. Fer.). Dopo la resurrezione la bellezza del corpo sarà proporzionata a quella dell’anima. “Dobbiamo quindi dedicare tutte le nostre cure alla santificazione dell’anima, perché essa servirà anche al corpo, che altrimenti perirebbe con l’anima. È quindi una follia prendersi tanta cura del proprio corpo, passare tanto tempo ad abbellirlo, senza preoccuparsi della propria anima. – La grazia santificante non consiste quindi semplicemente in una certa compiacenza da parte di Dio nei nostri confronti (Conc. de Tr. VI, 1), ma è un dono dello Spirito divino (S. Giovanni IV, 13). Lo S. Spirito è dunque un fuoco che ci penetra intimamente, e non un semplice raggio di sole che splende in un appartamento. (Scheeben). Questa bellezza dell’anima attira l’amicizia di Dio. Se solo sapessimo quanto ci ama Dio, quando abbiamo la grazia santificante, moriremmo di gioia (S. Madd. de Pazzi). Dio è così buono che, quando siamo in stato di grazia, non ci considera più come suoi servi, ma come suoi amici (S. Giovanni XV, 15). L’amicizia presuppone una certa uguaglianza. – L’elevazione dell’anima dallo stato di peccato a quello di amico di Dio si chiama anche giustificazione. (Conc. di Tr. VI, 4), nuova nascita (S. Giovanni III, 5; Tit. III, 4-7), spogliarsi dell’uomo vecchio e rivestirsi del nuovo (Ef. IV, 22). –

Esempi: appena Davide, il figliol prodigo, Saul si convertirono, ebbero lo Spirito Santo e la grazia santificante; è questo che ha fatto sì che facessero sacrifici così grandi. Infatti, Davide e Saul trascorsero lunghi giorni in preghiera ed in severi digiuni ed il figliol prodigo dovette superare una vergogna straordinaria per tornare da suo padre. È certo che chi ha una contrizione perfetta ha la grazia santificante, anche prima della confessione. Anche i Patriarchi e i Profeti dell’Antico Testamento avevano in loro lo Spirito Santo e la grazia santificante, come risultato del loro spirito di penitenza e della loro fede nella venuta del Salvatore. Molti uomini ricevono lo Spirito Santo Spirito Santo prima del battesimo: è sceso, anche visibilmente, sul centurione Cornelio e su coloro che erano nella sua casa che avevano ascoltato il sermone di S. Pietro (Act. Ap. X. 44).

2. ORDINARDINARIAMENTE LO SPIRITO SANTO ENTRA NELLE ANIME ATTRAVERSO I SACRAMENTI DEL BATTESIMO E DELLA PENITENZA.

Colui che si confessa con contrizione imperfetta riceve la remissione dei peccati soltanto attraverso l’assoluzione del Sacerdote (vedi Parte III: Sacramento della Penitenza). Si può quindi dire che questi sacramenti attingono al tesoro dei meriti di Gesù Cristo, quello che manca alla cooperazione del peccatore penitente, riaccendono la piccola scintilla nel cuore del peccatore in una grande fiamma che divora la pula del peccato; sono anche come una bevanda che accresce le nostre forze.

3. LO SPIRITO SANTO, DIMORANDO NELLE NOSTRE ANIME, COMUNICA LORO LA VERA VITA.

Il nostro Dio è il Dio vivente; la sua presenza produce vita ovunque.

Lo Spirito Santo, abitando nella nostra anima, la vivifica, come vivifica il corpo. Non c’è dubbio che l’anima abbia una vita; essa anima il corpo, è dotata di una volontà e di un’intelligenza in grado di cogliere e amare il bello, il buono ed il vero; ma questa vita naturale dell’anima è una morte rispetto alla vita di Dio, così come la statua è morta rispetto a colui che essa rappresenta. È la vita stessa di Dio che l’anima riceve attraverso la grazia dello Spirito Santo: essa diventa capace di vedere, di amare, di possedere Dio stesso nella sua gloria.. Questa vita divina è chiamata anche soprannaturale. Una volta Elia risuscitò il figlio della vedova di Zareptath (III Re XVII), ed Eliseo, il figlio della sua ospite a Sunam, (IV Re IV) sdraiandosi sul cadavere, applicando la sua bocca, le sue mani, i suoi occhi a quelli del bambino; lo Spirito Santo fa lo stesso per far risorgere la nostra anima alla vita divina con la sua grazia. Si china verso l’anima, la sua immagine, mette la sua bocca sulla nostra per respirare se stesso in noi; mette i suoi occhi sui nostri, cioè ci dà la sua conoscenza; unisce le sue mani alle nostre, dandoci la sua forza divina. La nostra anima rinasce così a nuova vita. (S. Pietr. I, B; 24). L’anima vive in Dio e Dio in essa. – La grazia deposita nell’anima il seme della vita eterna. secondo l’espressione del Salvatore (S. Giovanni IV) una sorgente che scorre verso la vita eterna, cioè ha una forza vivificante per tutta l’eternità. Un seme celeste è posto in noi per far nascere la vita celeste. Siamo una razza celeste il cui Padre è intronizzato nei cieli. Questa è la dignità a cui la grazia ci ha elevato (S. P. Cris.). Mentre i nostri corpi muoiono ogni giorno, la grazia ringiovanisce le nostre anime giorno per giorno. (II Cor. VI, 16). La grazia deposita nel corpo persino il seme della vita eterna. Infatti, dice S. Paolo, se lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù dai morti risusciterà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. (Rom. VIII, 11). Lo Spirito Santo è quindi giustamente chiamato vivificante (Credo della Messa).

Lo Spirito Santo, dimorando in noi per mezzo della sua grazia:

1 . ci purifica da tutti i peccati gravi.

Il ferro arrossato dal fuoco viene liberato dalla ruggine, e noi siamo liberati dal peccato quando il fuoco dello Spirito Santo è penetrato in noi. La grazia è un certo splendore, una luce che cancella tutte le macchie dalla nostra anima e la rende più bella, più brillante. (Cat. rom.). La grazia santificante e il peccato sono quindi incompatibili; – Chiunque sia libero dal peccato grave è la dimora dello Spirito Santo, mentre chi vive nel peccato, è la dimora del diavolo. Tuttavia, anche se la grazia di Dio guarisce l’anima, non guarisce la carne; in questa parte della natura umana, nella carne, come dice l’Apostolo, regna il peccato, cioè il pungiglione del peccato (catech. Romano), la concupiscenza. I più grandi Santi hanno quindi in sé l’inclinazione al male, contro la quale sono obbligati a lottare fino alla morte. Così San Paolo ha detto: “So che nulla di buono abita in me, cioè nella mia carne” (Rm VII, 18). La concupiscenza può essere indebolita in questa vita, ma non distrutta. (S. Aug.). La concupiscenza rimane perché l’uomo riconosca quanto sia pernicioso il peccato, in modo che nella lotta contro la sua natura corrotta abbia sempre la possibilità di acquisire meriti per il cielo.

2. Lo Spirito Santo ci unisce a Dio e ci rende templi di Dio.

Quando lo S. Spirito viene a dimorare in noi, siamo intimamente uniti a Dio. Lo Spirito viene ad abitare in noi, e siamo intimamente uniti a Dio.; sempre secondo l’esempio del ferro arrossato dal fuoco. Chi ha lo Spirito Santo è unito a Cristo, come il tralcio della vite è unito al tronco (S. Giovanni XV, 5), come una goccia d’acqua con il vino di una coppa dove viene versata e da cui acquisisce il colore, l’odore e il sapore del vino (S. Greg. Naz.). Attraverso lo Spirito Santo diventiamo partecipi della natura divina (II. S. Pietro I, 4), non solo di nome, ma in realtà. (S. Cir. Al), siamo per così dire divinizzati (S. Th. A.). Lo Spirito Santo, venendo in noi, agisce come un balsamo che profuma tutto ciò che tocca, come un sigillo che lascia un’impronta sulla cera (Scheeben). La grazia comunica la divinità. (S. Max.). Il fuoco trasforma il ferro nella sua stessa sostanza e lo Spirito Santo trasforma l’uomo in Dio, tanto che la Scrittura chiama gli uomini dèi. (Sal. LXXXI, 6; S. Giov. X, 36). Il raggio di sole che passa attraverso il cristallo lo rende chiaro e luminoso, simile al sole stesso. Lo spirito, questo raggio di oceano di luce della divinità, rende l’anima, toccandola, simile a Dio, santa e celeste (Dr. Schmitt). Il diavolo e i nostri primi genitori desideravano questa somiglianza con Dio, ma in unione con Lui (Scheeben). La grazia ci rende uguali agli Angeli, poiché anch’essi hanno il S. Spirito (S. Bas.). – Lo Spirito Santo fa di noi dei templi di Dio; indubbiamente la sua dimora immediata è nelle anime alle quali dà la vera vita, ma essendo l’anima nel corpo, anche quest’ultimo diventa la dimora dello Spirito Santo. (S. Aug.). L’anima in stato di grazia è quindi come il tempio di Gerusalemme. Il tempio era di un bianco abbagliante all’esterno, ricoperto di lamine d’oro all’interno, abitato da Dio nascosto in una nube, illuminato dal candelabro a sette bracci. Quest’anima è pura da ogni peccato, piena di carità simboleggiata dall’oro, è il trono dello Spirito Santo illuminato dai suoi sette doni. Così San Paolo scriveva ai primi Cristiani: “Non sapete che siete templi dello Spirito Santo?” (I. Cor. III, 16)”. “Voi siete i templi dello del Dio vivente”. (II Cor. VI, 16). Nel Padre nostro diciamo: “Padre nostro che sei nei cieli”; ma sulla terra, il cielo è l’anima del giusto dove abita Dio (S. Aug.). Se qualcuno mi ama, cioè ha lo Spirito Santo in lui, dice Cristo., io e il Padre mio verremo ad abitare in lui. (S. Giovanni XIV, 23).

3. Lo Spirito Santo nobilita le facoltà della nostra anima e ce ne dona di nuove attraverso le virtù teologali e morali.

Per la spiegazione di questa proposizione è sufficiente ricordare i paragoni del ferro arrossato dal fuoco, del cristallo trafitto dai raggi del sole. Lo Spirito nobilita le nostre anime con la sua grazia: vi accende la fiaccola della fede (II. Cor. IV, 6) e il fuoco della divina carità (Rom. V, 5). Ci dona la capacità di credere in Dio, di sperare in lui, di amarlo (cfr. p. 21). In altre parole, ci trasmette le tre virtù teologali (Conc. di Tr. 6, 7). Ci rende anche capaci di seguire le ispirazioni dello Spirito Santo e docili ai suoi impulsi, in altre parole ci conferisce i suoi 7 doni. L’anima in cui abita lo S. Spirito è incline al bene, come il ferro rovente è facilmente piegabile. Questa azione è molto visibile in San Paolo. Paolo; appena l’ha sentito, ha gridato Signore, che cosa vuoi che io faccia?” (Atti degli Apostoli IX, 6). E poiché la grazia inclina la volontà alla pratica del bene morale, noi possediamo grazie ad essa le virtù morali (come facoltà, non come abitudini che possono essere acquisite solo con l’esercizio). – In questo modo, la nostra vita spirituale diventa molto diversa. La vita interiore di un santo differisce radicalmente dalla vita di una persona mondana. Quest’ultima, non avendo lo Spirito Santo, di solito pensa solo al buon cibo, al gioco d’azzardo, ai piaceri, al denaro, agli onori; ha un amore per il mondo, ma manca di pace interiore; l’altro, invece, di solito pensa a Dio, cerca di piacergli e ha un amore per Dio. Così San Paolo diceva: “Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me”(Gai. II,20). Un uomo di questo tipo disprezza le cose terrene, gode della pace interiore e di un’incommensurabile consolazione, nonostante le più grandi sofferenze. Lo S. Lo Spirito è davvero il Consolatore. (S. Giovanni XIV, 26).

4. Lo Spirito Santo ci dà la vera soddisfazione.

Esso ci dona una pace che supera ogni comprensione (Fil. IV, 7). Colui che è in stato di grazia, e quindi alla luce dello Spirito Santo, assomiglia a un viaggiatore che va per la sua strada alla luce del sole e sotto un cielo sereno, che quindi è in uno stato di gioia. Ben diverso è il caso dell’uomo che dalla luce della grazia è caduto nelle tenebre del peccato; è come il viaggiatore che è costretto a camminare nella notte in mezzo alla tempesta, e che mormora pieno di cattivo umore. Quando un usignolo vede l’alba, canta con tale ardore da scoppiare, per così dire. Tale è la gioia dell’anima quando vede sorgere in lei il sole della giustizia. (S. Vinc. Ferr.). Il ghiaccio non si trasforma in acqua finché il calore non lo penetra e lo scioglie, così l’anima si riempie di coraggio e di consolazione, quando lo Spirito Santo penetra in essa (Alb. Stolz).

5. Lo Spirito Santo è il nostro maestro, il nostro educatore.

Il nostro maestro. Esso ci istruisce nella dottrina della Chiesa cattolica; l’unzione che riceviamo da Lui ci istruisce in tutti i suoi punti. (San Giovanni II). Possiamo imparare la dottrina cristiana, ma senza di Esso non la si coglie; è una scienza morta. Possiamo vedere il corpo umano senza poterne dedurre la natura dell’anima. Allo stesso modo, senza lo Spirito Santo, si può ascoltare esternamente la parola di Cristo senza coglierne il senso e il significato. Al buio è quasi impossibile leggere un libro, così come la Parola di Dio rimarrà incomprensibile per noi senza la luce dello Spirito Santo. (Alb. Stolz.) Ciò che lo Spirito Santo ci dice è infallibile, ma non possiamo mai essere sicuri che lo Spirito Santo ci abbia parlato; ogni Cattolico, per quanto illuminato, ha l’obbligo di attenersi strettamente agli insegnamenti della Chiesa. Chi non li accetta, non ha lo Spirito Santo in sé. (S. Giovanni IV, 6). – Lo Spirito Santo è anche il nostro maestro; ci guida come un padre conduce per mano il suo bambino lungo i sentieri malvagi. “Coloro che sono in stato di grazia sono guidati da Dio in modo molto speciale, e possono dire: ‘Non sono io a governarmi, ma Dio governa in me”. I giusti hanno davvero il regno di Dio dentro di loro” (Cat. rom.), come Cristo ha detto: “Il regno di Dio è dentro di voi”. (S. Luc. XVII, 21).

6. Lo Spirito Santo ci stimola alle opere buone e le rende degne del cielo.

Lo Spirito Santo ci eccita alle opere buone. Lo Spirito, aleggiando sulle acque della creazione primitiva, ha tirato fuori dal caos piante, animali e uomini; Essi fa lo stesso con le anime. Con la sua luce celeste e il suo calore divino, fa sì che esse producano frutti dell’amore di Dio che dureranno per l’eternità. (Scheeben). Il vapore muove la macchina, e lo Spirito Santo (in greco il soffio) che risiede nell’uomo lo muove al bene; lavora in noi come un operaio in una miniera. (Il fiore sboccia ai raggi del sole, così l’anima del peccatore si apre ai raggi della sua luce e diffonde il profumo della virtù e della pietà. – S. Macario). Il corpo si muove sotto l’influsso vivificante dell’anima e l’anima compie opere buone quando è animata dallo Spirito Santo. Questo Spirito è sempre in azione come il fuoco; stimola continuamente al bene, come il vento muove le pale di un mulino a vento. – La grazia dello Spirito Santo rende le nostre opere meritorie. L’anima rende ragionevoli gli atti animali dell’uomo, e lo Spirito Santo rende le nostre azioni umane sante e, per così dire, divine. Senza il sole, la luna non brilla; senza la grazia santificante, le nostre azioni non hanno merito per il cielo. Lo Spirito Santo agisce come un giardiniere che innesta un ramo su una pianta selvatica e le fa produrre non frutti selvatici, ma frutti coltivati. Egli innesta su di noi la grazia santificante, un tralcio dell’albero della vita, Gesù Cristo, e da allora non produciamo più frutti selvatici, cioè frutti puramente naturali, ma opere soprannaturali, e meritorie. In stato di grazia siamo tralci della vite, uniti alla vite, Gesù Cristo, che possono quindi portare frutto. (S. Giovanni XV, 4). – Le opere buone fatte in stato di peccato mortale ci procurano semplicemente le grazie attuali, necessarie per la nostra conversione.

7. Lo Spirito Santo ci rende figli di Dio ed eredi del cielo.

Quando lo Spirito Santo entra nella nostra anima, rinnova in noi il mistero del battesimo di Gesù Cristo, sul quale è sceso in quell’occasione Dio Padre. Dio Padre ci adotta come suoi figli prediletti e il cielo si apre a noi. Essere annoverati tra i figli di Dio è nobiltà suprema. (S. Cipr.). Non abbiamo ricevuto lo spirito di servitù, ma lo spirito di adozione con il quale gridiamo: “Abbah Padre! (Rm VIII, 15). “Tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio.” (ibid. 14). Ma se siamo figli, siamo anche eredi di Dio e coeredi con Gesù Cristo (ivi, 18). Infatti, i figli hanno sempre un titolo sulla ricchezza del padre (eredità). Sappiamo che questa casa di terra in cui viviamo si dissolve. Dio ci darà un’altra casa in cielo, una casa non fatta con le mani, che durerà per sempre. (II. Cor. V. 1). Lo Spirito Santo rimarrà eternamente in noi. (S. Giovanni XIV, 16). – Quale splendore è quello dell’uomo in stato di grazia! È vero che è invisibile quaggiù, come la brillantezza di un diamante non ancora lucidato. La grazia santificante è, per così dire, l’alba del sole divino. Occorre attendere che essa sorga in noi, che ci penetri e ci illumini con tutto il suo fuoco (Scheeben). Davide ha giustamente cantato: “Rallegratevi nel Signore, ed esultate, o voi giusti (Sal. XXXI, 11). In effetti, la felicità più grande qui sulla terra è lo Spirito Santo nell’uomo; chi lo possiede, possiede il più grande regno, il regno di Dio in lui (S. Luc. XVII, 21). Eppure quanti uomini disprezzano questa suprema felicità, questa filiazione divina, e la vendono alla loro misera carne, preda di vermi.!

5. LA GRAZIA SANTIFICANTE SI CONSERVA E SI ACCRESCE CON LA PRATICA DRLLE BUONE OPERE E CON L’USO DEI MEZZI DI SANTIFICAZIONE DEPOSITATI NRLLA CHIESA.

Il rossore del ferro, la luce ed il calore di un appartamento possono essere aumentati; la grazia santificante può crescere in un’anima. Chi è giusto sia più giustificato, chi è santo sia più santificato! (Apoc. XXII, 11). La rettitudine si conserva e si accresce con le buone opere (Concilio di Trento, VI, 24); è così che Stefano, per esempio, era un uomo pieno di Spirito Santo”. (Act. Ap. VI, ô). “Quando lo Spirito Santo, che è Esso stesso elemosina, non vedrà in te alcuna elemosina, ti abbandonerà, perché non rimane in un’anima senza misericordia”. (S. G. Cris.). Pietre ed erbacce impediscono al sole di dare ai campi tutta la loro fecondità. I nostri peccati sono ostacoli all’azione pienamente efficace dello Spirito Santo. Spirito, devono essere la ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia (Alb. Stolz). I campi devono essere ben preparati se si vuole che il sole sia loro utile. Allo stesso modo le anime devono essere preparate per ricevere lo Spirito Santo attraverso una frequente istruzione negli insegnamenti di Cristo. Cristo non ha agito diversamente con gli Apostoli. – Il peccato mortale porta alla perdita della grazia santificante. Dio non abbandona mai coloro che sono stati giustificati dalla sua grazia, se prima non viene abbandonato da loro. (Concilio di Trento VI, 11). Solo attraverso il peccato mortale l’anima si separa completamente da Dio; ma quando questo viene commesso, lo Spirito Santo lo abbandona immediatamente, ed è ciò che accade ad un corpo quando l’anima lo abbandona. Perciò S. Paolo dà questo avvertimento: “Non spegnete lo Spirito.” (I Tess. V, 19). Il peccato mortale introduce tra Dio, il sole della giustizia, e la nostra anima, nuvole oscure di tempesta, che immediatamente fanno impallidire lo splendore celeste della nostra anima (Scheeben). Il peccato mortale annerisce improvvisamente la veste bianca della grazia santificante; la perdita della grazia porta all’oscuramento dello spirito e all’indebolimento della volontà. “Quando il sole tramonta, l’oscurità e le tenebre velano gli occhi che perdono la vista delle cose, allo stesso modo l’anima, dopo la scomparsa della luce della grazia dello Spirito Santo, si riempie di tenebre e perde la chiara visione della verità. della verità. (Louis de Grenade). Un uomo senza grazia è come un occhio senza senza luce. (Vedi Parte II, gli effetti del peccato mortale). – Chi ha perso la grazia santificante, può recuperarla attraverso il Sacramento della Penitenza, ma solo con uno sforzo serio. Lo spirito maligno entra in un’anima di questo tipo e porta con sé altri sette spiriti più cattivi di lui (S. Matth. XII, 45). È impossibile (cioè molto difficile) per coloro che sono stati illuminati una volta e poi sono nuovamente caduti, essere rinnovato con la penitenza. (Eb. VI, 4).

5. COLUI CHE NON HA LA GRAZIA SANTIFICANTE È SPIRITUALMENTE MORTO E PERIRÀ IN ETERNO.

Come il corpo senza anima è morto, così l’anima senza la grazia dello Spirito Santo è morta al cielo. (S. Aug.); siede nelle tenebre e nell’ombra della morte (S. Luc. I, 79); non sente nulla dello Spirito di Dio, la sua parola gli sembra stoltezza. (Cor. II, 14). Chi non ha la veste nuziale, cioè la grazia santificante, non è ammesso al banchetto nuziale, ma viene gettato nelle tenebre. (S. Matth. XXII, 12). Il tralcio che non è unito alla vite appassisce e viene gettato nel fuoco, così sarà reprobo chi non rimane in Gesù per grazia. Colui che non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene (Rm VIII, 9). Chi non ha la grazia santificante, è in stato di peccato mortale, è abitato da uno Spirito maligno.

6 . NESSUNO SA CON CERTEZZA SE POSSIEDE LA GRAZIA SANTIFICANTE O MENO, O LA POSSIEDERÀ AL MOMENTO DELLA MORTE.

L’uomo non sa se è degno di amore o di odio. (Eccles. IV, 1). Anche S. Paolo dice di sé: “Non sono consapevole di alcuna colpa, ma non per questo sono giustificato”. (I Cor. IV, 4). Salomone, questo re dalla sapienza così divina, divenne comunque un idolatra prima della sua morte. “Possiamo avere la fiaccola della grazia e della carità; ma siamo lontani dalla nostra casa, camminiamo all’aria aperta e un soffio di vento può spegnerla” (S. Bernardo). Il nostro cuore è come un vaso di argilla che può essere rotto dal peccato mortale e il suo contenuto, la grazia santificante, può sfuggire. (Teofilatto). Portiamo il tesoro della grazia in vasi di terracotta molto fragili (II Cor. IV, 7). Perciò san Paolo ci esorta a lavorare per la nostra salvezza con timore e tremore (Fil. II, 12). Possiamo essere fiduciosi di essere in stato di grazia, ma senza una rivelazione speciale non abbiamo la certezza di fede (Concilio di Trento VI, 6). – Si può indubbiamente concludere dalle buone opere lo stato di grazia, perché un albero cattivo non può dare buoni frutti. (S. Matth. VII, 18).

III. I sette doni dello Spirito Santo e le grazie straordinarie.

1. TUTTI COLORO CHE HANNO LA GRAZIA SANTIFICANTE, RICEVONO DALLO SPIRITO SANTO I SUOI SETTE DONI, CIOÈ SETTE ATTITUDINI DELL’ANIMA CHE LE PERMETTONO DI ESSERE FACILMENTE ILLUMINATA E MOSSA DALLO SPIRITO SANTO.

Lo spettro solare ha sette colori. Il candelabro a sette bracci del tempio di Gerusalemme rappresentava i sette doni dello Spirito Santo – Questi doni completano le quattro virtù cardinali. Essi non fanno altro che rimuovere gli ostacoli che ci tengono lontani da Dio, sottomettendo le nostre passioni sensibili all’impero della ragione (S. Thom. Aq.); i sette doni ci spingono verso Dio. Essi perfezionano e illuminano il nostro spirito in modo tale che lo Spirito Santo possa facilmente agire su di esso (illuminare l’intelligenza, muovere la volontà). Nello stesso modo in cui le scuole elementari formano la mente degli alunni in modo da renderla capace di beneficiare delle lezioni di una scuola superiore, così i 7 doni rendono l’uomo capace di ricevere più facilmente lo Spirito Santo. – I 7 doni sono sorpassati dalle tre virtù teologali, perché i 7 doni non fanno altro che condurre l’anima a Dio. Se i 7 doni conducono l’anima a Dio, le virtù teologali la uniscono a Kui. – Chiunque abbia lo Spirito Santo Santo, ha anche i 7 doni, e chi li perde con il peccato mortale li perde allo stesso tempo. – Più si progredisce nella perfezione, più abbondante è la partecipazione ai sette doni. Questi vengono accresciuti anche dalla Cresima.

I sette doni dello Spirito Santo sono: sapienza, intelletto, scienza, consiglio, fortezza, pietà e timor di Dio. I primi 4 illuminano la ragione, gli altri rafforzano la volontà. Questi 7 doni sono enumerati da Isaia, che dice che il futuro Messia li avrebbe posseduti (Is. XI, 3), va da sé, nel grado più eminente.

1. Il dono della sapienza ci fa riconoscere con chiarezza che i beni temporali sono transitori e che solo Dio è il nostro bene sovrano.

S. Paolo considerava spazzatura tutto ciò che il mondo ama e ammira. (Fil. III, 8). Salomone, che aveva goduto del mondo, chiamava tutti i suoi beni e piaceri vanità. (Eccl. I, 2). Sant’Ignazio esclamava spesso: “Come mi disgusta la terra quando penso al cielo! ” e San Francesco d’Assisi: “Mio Dio e mio tutto!”. – Quando il sole tramonta, proietta ombre molto lunghe; le ombre al contrario sono piccole quando è a mezzogiorno. Lo stesso vale per l’uomo; quando lo Spirito Santo si allontana da lui, le cose di questo mondo gli appaiono più grandi. Se lo Spirito regna al centro di questo mondo, esse gli sembreranno piccole, un puro nulla.

2. Il dono dell’intelletto ci permette di distinguere la vera dottrina cattolica da qualsiasi altra e ci rende capaci di difenderla.

B. Clém. Hofbauer, l’apostolo di Vienna (+ 1820), iniziò come garzone di un fornaio. Egli iniziò gli studi solo all’età di 21 anni, li completò molto rapidamente e fu costretto a limitarsi alle conoscenze teologiche più elementari. Le sue numerose occupazioni nel ministero non gli permisero di ampliare considerevolmente le sue conoscenze in in seguito. Eppure, i grandi dignitari della Chiesa chiedevano spesso il suo parere nelle controversie teologiche e sulle nuove opere. Egli senza lunghe riflessioni indicava ciò che non era ortodosso. Per modestia nascondeva l’illuminazione divina dicendo scherzosamente: “Ho un’attitudine cattolica”. Il dono dell’intelligenza – L’intelletto ci dona una profonda convinzione della verità cattolica e una tale facilità nel difenderla che la persona più semplice può confondere i nemici della Chiesa. Santa Caterina (+307) confutò 70 filosofi di Alessandria e li convertì al Cristianesimo. Il Salvatore aveva promesso ai suoi discepoli “di dare loro una tale sapienza che tutti i loro avversari non saranno in grado di resistere o di contraddirla”. (S. Luc. XXI, 15).

3. Il dono della scienza ci permette di comprendere la dottrina cattolica senza uno studio particolare.

Il Curato d’Ars (1859) aveva fatto solo studi ordinari, ma predicava in modo tale che persino i Vescovi assistevano alle sue prediche e si meravigliavano del suo sapere. San Tommaso d’Aquino (+ 1274) affermava spesso di aver imparato sull’altare più di quanto avesse mai imparato dai libri. Allo stesso modo, sant’Ignazio di Loyola diceva di essere dalla grotta di Manresa più sapiente che se fosse stato sotto la direzione di tutti i dottori del mondo. B . Clém. Hofbauer ripeteva spesso queste parole “Io non ho la scienza dei libri” (Sal. LXX, 15). Il vecchio Simeone non aveva appreso dai libri che il bambino posto tra le sue braccia fosse il Messia (S. Luc. II, 26). Dopo la venuta dello Spirito Santo, gli Apostoli furono rivestiti con potenza dall’alto, cioè con una chiara conoscenza di Dio (ibid. XXIV, 49). Paolo fu rapito in Paradiso e udì parole misteriose (II Cor. XII, 4). Tutti i dottori della Chiesa, che, nonostante le loro molteplici occupazioni, scrissero così tanti libri, erano dotati del dono della scienza.

4. Il dono del consiglio ci permette di riconoscere nelle situazioni difficili ciò che sia conforme alla volontà di Dio.

Gesù Cristo ha dato una risposta prudente alla domanda: Dobbiamo pagare il tributo a Cesare? (S. Matth. XXII, 15). Questo dono fece sì che Salomone portasse avanti giudizi notevoli. (III Re 111). Ai satelliti di Giuliano che domandavano a S. Atanasio in fuga : “dov’è Attanasio?” egli rispose: “Non è lontano”. Era il dono del consiglio che lo guidava. Il monaco Notker di S. Gallo (+912) fu spesso consultato da Carlo Magno. Una volta, per gelosia, uno dei cortigiani cercò di umiliare questo santo uomo. Un giorno, mentre quest’ultimo stava pregando in chiesa, il cortigiano andò dritto da lui con i suoi compagni e gli disse: “Uomo dotto, sai cosa sta facendo Dio in cielo?”. – Sì, rispose Notker, Egli innalza gli umili e abbassa i superbi. I cortigiani scoppiarono a ridere e il tentatore se ne andò coperto di vergogna. Il giorno stesso cadde da cavallo e si ruppe una gamba. La risposta di Notker fu l’effetto del dono del consiglio. Il Salvatore aveva già detto agli Apostoli, annunciando le imminenti persecuzioni: “Non preoccupatevi di ciò che risponderete, né di come risponderete, perché in questa stessa ora lo Spirito Santo vi insegnerà ciò che dovrete dire”. (S. Luc. X ll, 12).

5. Il dono della fortezza ci fa sopportare tutto per compiere la volontà di Dio.

5. Giovanni Nepomuceno (+ 1393) si lasciò gettare in carcere, torturare con i ferri rossi, precipitare nella Moldova piuttosto che violare il segreto della confessione. Giobbe non si perse d’animo, nonostante la rovina della sua salute e del suo patrimonio, nonostante la morte dei suoi figli, nonostante la derisione dei suoi amici e di sua moglie. Abramo era pronto a sacrificare il suo unico figlio amato, perché Dio lo voleva. Il dono della fortezza risiedeva in misura eminente nei cuori dei martiri, dei confessori e dei penitenti., ma soprattutto nel cuore della Madre di Dio, la Regina dei martiri. “Fu così costante durante la passione del Salvatore che, se non ci fossero stati i carnefici, lei stessa avrebbe crocifisso suo Figlio se Dio glielo avesse ordinato, perché aveva il dono della fortezza in misura molto maggiore di Abramo (S. Alf.).

6 . Il dono della pietà ci porta a onorare Dio con sempre maggiore fervore ed a compiere sempre più perfettamente la sua santa volontà.

S. Luigi faticava ad allontanarsi dal tabernacolo anche dopo ore di adorazione. Il suo confessore fu costretto a ordinargli di abbreviare le sue visite. Molti dei Santi versavano lacrime durante le loro preghiere e la meditazione delle cose divine.

Quale pietà, quale profonda adorazione di Dio! Santa Teresa aveva fatto voto di fare sempre ciò che riteneva più perfetto, e Sant’Alfonso, quello di non stare mai in ozio.

7. Il dono del timore di Dio ci fa temere la più piccola offesa a Dio come il più grande male del mondo.

Questo dono portò i tre giovani nella fornace a preferire la morte all’apostasia. S. Francesco Saverio disse nel mezzo di una pericolosa traversata: “Non temiamo altro se non offendere Dio onnipotente”.

2. ALCUNI UOMINI RICEVONO DONI STRAORDINARI,

come ad esempio il dono delle lingue, i miracoli, il discernimento degli spiriti, visioni, estasi, ecc.

Il giorno di Pentecoste gli Apostoli ricevettero il dono delle lingue; anche San Francesco Saverio, l’apostolo delle Indie, lo possedeva. S . Biagio (+ 316) guarì un bambino malato al collo. I Profeti dell’Antico Testamento avevano il dono di predire il futuro. S. Pietro conosceva i pensieri di Anania. Caterina Emmerich, una monaca di Dolmen (1824), vedeva in spirito l’intera vita di Gesù, della Beata Vergine e di un gran numero di santi. Santa Caterina da Siena (+ 1380) cadde in estasi dopo le comunioni e rimase sospesa a mezz’aria. Il principe Alessandro di Hohenlohe (+ 1849), consigliere episcopale di Bamberga, poi canonico di Grosswardein, ha curato molti malati con le sue preghiere, l’imposizione delle mani o semplicemente con un ordine; molti sacerdoti pii avevano questo dono in quel tempo di incredulità. (Vedi le promesse di Gesù Cristo, in S. Marco. Marco. XVI, 17). Anche Bernadette Soubirous cadde in estasi all’apparizione della Vergine nella grotta di Lourdes (1858).

Le stimmate, cioè l’impronta delle ferite del Salvatore, sono anch’esse un dono straordinario dello Spirito Santo. Sono circa 50 le persone di eminente santità la cui stimmatizzazione è autenticamente nota, tra cui: San Francesco d’Assisi durante l’apparizione sul Monte Arverna, Santa Caterina da Siena e in tempi moderni, Cath. Emmerich in Dülmen e Marie de Morl (+ 186S) a Caldern nel Titolo meridionale. – Questi doni sono distribuiti dallo Spirito Santo a suo piacimento. (1, Cor. XII, II). – Il sole che illumina i fiori fa sì che essi emanino profumi diversi, così lo Spirito Santo li distribuisce a suo piacimento. Lo Spirito con la sua luce divina produce nei giusti diversi risultati e concede loro doni secondo il loro temperamento (Louis de Gren.).

Lo Spirito Santo concede queste grazie straordinarie solo per la salvezza delle anime e per il bene della Chiesa.

Questo era il caso al tempo degli Apostoli (I. Cor. XÎI, 14). Dio è come un giardiniere che innaffia le piante solo quando sono giovani (S Greg. M.). Quando la fede è in pericolo, Dio aiuta la sua Chiesa con grazie straordinarie che devono essere usate solo per il bene comune. (I. Cor. XIV, 12). Il mercante non lascia mai il suo denaro in cassa senza farlo fruttare; allo stesso modo Dio non vuole che le sue grazie rimangano inutilizzate, vuole che gli uomini ne traggano beneficio. (S. Iren.). Le grazie straordinarie non rendono migliore l’uomo in sé. Si tratta di talenti che Dio concede secondo il suo buon volere, come la ricchezza, gli onori, la vita lunga. Sono senza dubbio doni preziosi con cui si può fare molto bene e accumulare molti meriti; così diceva Santa Teresa: “Non avrei scambiato uno solo di questi doni con tutti i beni e le gioie del mondo; li ho sempre considerati come un grande dono del Signore ed un tesoro inestimabile. Questi beni di per sé non aumentano il valore di un’anima, è solo il loro buon uso. Si può possedere il dono dei miracoli e perdere la propria anima. I miracoli non danno alcuna certezza di salvezza (S. Fulgenzio). Giuda Isc. ha persino fatto miracoli, si dice. Queste grazie non sono sempre una prova di santità: lo afferma Gesù Cristo stesso (S. Matth. VII, 22). Tuttavia, sarebbe difficile trovare nella Chiesa un Santo che non avesse questi doni straordinari dello Spirito Santo. “Come regola generale – dice Benedetto XIV – questi doni non sono dati ai peccatori, ma ai giusti; se, quindi, sono combinati con le virtù eroiche, sono una prova della loro santità”. Questi doni straordinari sono spesso accompagnati da grandi sofferenze, ad esempio l’aridità interiore, le tentazioni diaboliche, malattie, persecuzioni, problemi con i superiori, ecc.

3. QUESTI DONI DELLO SPIRITO SANTO SONO STATI DATI NELLLA. LORO PIENEZZA A GESÙ CRISTO, (Act. ap. X , 38) molto abbondantemente alla Beata Vergine, e agli Apostoli, ai Patriarchi e ai Profeti dell’Antico Testamento e a tutti i Santi della Chiesa cattolica.

IV. Governo della Chiesa da parte dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo conserva e governa la Chiesa cattolica.

Ciò che l’anima è per il corpo, lo Spirito Santo è per la Chiesa. L’azione di entrambi è invisibile. – Lo Spirito Santo può essere chiamato l’Architetto della Chiesa. Nella creazione ha formato, organizzato e vivificato ogni cosa; agisce allo stesso modo nel rinnovamento e nella redenzione delle anime: è attraverso di Lui che si è realizzata l’Incarnazione (S. Luc. I, 35), è Lui che ha operato nell’umanità di Cristo (ibid. IV, 18; Act. Ap. X, 38), Esso continua e completa l’edificio della Chiesa fondata da Cristo (Ef. II, 20):

1 . Lo Spirito Santo preserva la Chiesa dalla rovina (S.Matth. XVI, 18) e dall’errore. (S. Giovanni XIV, 16).

2. Lo Spirito Santo sostiene i capi della Chiesa nelle loro funzioni sacre, (Act. Sp. XX, 28) specialmente il Papa, Vicario di Gesù Cristo.

Lo Spirito Santo li ispira in ciò che devono insegnare (S. Matth. X, 19); parla attraverso di loro come attraverso gli Apostoli nel giorno della Pentecoste (ib. X, 20). Come il vento dirige le nuvole, così lo Spirito Santo muove gli annunciatori del Vangelo e ispira loro ciò che debbano dire (S. Greg. M.). La penna scrive “ciò che vuole lo scrittore”, così i predicatori del Vangelo non parlano da soli, ma secondo l’ispirazione dello Spirito Santo. (S. Bas.). Dio parla alle anime attraverso la bocca dei Sacerdoti (S. Thom. da Villanova).

3. Lo Spirito Santo suscita uomini provvidenziali nella Chiesa.

Al tempo degli ariani, S. Atanasio (+ 375); al tempo della decadenza, S. Gregorio VII (+ 1085); al tempo degli Albigesi, S. Domenico (+ 1221); durante il Grande Scisma, Santa Caterina da Siena (1380); S. Ignazio (+ 1556), al tempo di Lutero; i miracoli postumi di S. Giovanni Nepomuceno (+ 1393), al tempo degli Hussiti in Boemia. Nell’Antico Testamento troviamo già uomini come Abramo, Giuseppe e Mosè che Dio scelse come suoi strumenti1.

4. Lo Spirito Santo fa sì che nella Chiesa cattolica ci siano sempre dei santi.

3. APPARIZIONI DELLO SPIRITO SANTO.

Lo Spirito Santo è apparso sotto forma di colomba e di lingue di fuoco, per simboleggiare le sue operazioni.

Lo Spirito Santo apparve sotto forma di colomba e di lingue di fuoco, perché rende miti e ardenti tutti coloro che riempie; chi non ha queste due virtù non è ripieno di Spirito Santo (San Gregorio Magno). Lo Spirito Santo Spirito scese su Cristo sotto forma di colomba per la sua grande mitezza verso i peccatori. (id) – Lo Spirito Santo apparve sotto forma di lingue. Lo Spirito Santo è apparso sotto forma di lingue, perché dà agli uomini la grazia di parlare, in modo che infiammino il loro prossimo per amore di Dio (id.); perché la Chiesa sotto la sua direzione deve parlare la lingua di tutte le nazioni (id.); perché Esso procede dal Verbo eterno e conduce gli uomini a questo Verbo, e la parola e la lingua sono intimamente connesse (id.). Lo Spirito Santo è apparso sotto forma di lingue di fuoco, per purificare le anime dalla ruggine del peccato, per dissipare le tenebre dell’ignoranza, per sciogliere il ghiaccio dei cuori e renderli ardenti di carità verso Dio e verso il prossimo, per renderci forti come il fuoco indurisce i vasi di argilla impastati dal vasaio. “Il nostro Dio è un fuoco divorante” (Eb. XII, 29). Lo Spirito è apparso in mezzo ad un vento impetuoso. Un uragano violento fa crollare torri e sradica alberi. Lo Spirito ha abbattuto, attraverso la predicazione degli Apostoli, l’idolatria, il potere dei tiranni, la sapienza e l’eloquenza dei filosofi” (P. Faber).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XV)