TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (2) “Da Clemente I al Concilio di Nicea”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (2)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

PARTE SECONDA

DOCUMENTI DEL MAGISTERO DELLA CHIESA (101-3997)

Da S. Clemente I al Concilio di Nicea

PIETRO: 30? – 67?

LINO: 67 – 76 (79?)

ANACLETO: 76 (80?) – 90 (88?)

CLEMENTE I ROMANO: 92 (88?)-101 (97?)

Lettera ai Corinzi, c. 96.

(lettera causata da disordini nella comunità; i presbiteri erano stati ingiustamente privati del loro ministero)

Ordine tra i membri della Chiesa

101 – (cap. 40, n. 1)… dopo aver scrutato le profondità della conoscenza divina, dobbiamo fare con ordine ciò che il Maestro ha ordinato di fare secondo i tempi stabiliti. (2) Egli ha ordinato che le offerte e le funzioni liturgiche non si svolgano a caso o senza ordine, ma in tempi e momenti prestabiliti; (3) dove e da chi vuole che si svolgano, lo ha stabilito Lui stesso con la sua sovrana decisione, affinché tutto si compia in santità secondo il suo beneplacito e sia gradito alla sua volontà. (4) Perciò coloro che offrono le loro offerte nei tempi stabiliti sono approvati e felici, perché seguendo i precetti del Maestro non sbagliano. (5) Infatti al sommo Sacerdote sono stati assegnati compiti speciali, ai leviti sono stati imposti servizi speciali. Chi è laico è tenuto a rispettare i precetti propri dei laici. (Cap. 41, n.1) Ognuno di noi, fratelli, si compiaccia (renda grazie) a Dio “nel suo grado particolare”. (1Co XV, 23) secondo una coscienza retta, con dignità, senza violare le regole stabilite per il suo ufficio… (Cap. 42, n. 1) Gli Apostoli ricevettero la buona novella per noi attraverso il Signore Gesù Cristo; Gesù, il Cristo, fu mandato da Dio. (2) Perciò Cristo è da Dio, gli Apostoli sono da Cristo; entrambe le cose uscirono in buon ordine dalla volontà di Dio. (3) Furono istruiti e, pieni di certezza dalla risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, rafforzati dalla Parola di Dio, con la piena certezza dello Spirito Santo, andarono a predicare la buona novella che il Regno di Dio stava arrivando. (4) Predicarono nelle campagne e nelle città e stabilirono le primizie, mettendole alla prova con lo Spirito, per farne gli episcopali e i diaconi dei futuri credenti.

L’autorità della Sede romana

102 – (Cap. 7, n.1) Per avvertirvi, vi scriviamo… (Cap. 58, n.2) Accogliete le nostre raccomandazioni e non vi pentirete. (Cap. 59, n.1) Ma se alcuni disobbediscono a ciò che abbiamo detto loro a nome suo (di Cristo), sappiano che si stanno impegnando in una colpa e in notevoli pericoli. (2) Quanto a noi, saremo innocenti da questo peccato. (Cap. 63, n. 2) Ci procurerete davvero gioia e letizia se obbedirete a quanto vi abbiamo scritto per mezzo dello Spirito Santo, se metterete fine all’ira colpevole che la gelosia vi ispira, secondo l’invito alla pace e alla concordia che vi rivolgiamo in questa lettera.

EVARISTO: 101 (97?) – 105?

ALESSANDRO I: 105 (107?) – 115 (116?)

SISTO I : 115 (116s) – 125?

TELESFORO: 125? – 136?

IGINO: 136? – 140?

PIO I: 140? – 155?

ANICETO : 155? – 166

SOTERO : 166? – 174 (175?)

ELEUTERIO : 174 (175?) – 189?

VITTORIO I : 189 – 198 (199?)

S. ZEFIRINO: 198 (199?)-217

Dichiarazioni dogmatiche di S. Zefirino e S. Callisto.

Il Verbo fatto carne (autenticità dubbia)

105 – Ma egli (Callisto) portò lo stesso Zefirino ad affermare pubblicamente: “Conosco un solo Dio, Cristo Gesù, e all’infuori di Lui nessun altro è stato generato e ha sofferto”. Ma dicendo poi: “Non è il Padre che è morto, ma il Figlio”, egli (Callisto) mantenne la disputa tra il popolo per un tempo indefinito.

URBANO I: 222 ? – 230

PONZIANO: luglio agosto 230 – 28 settembre 235

ANTERO: 21 (22?) novembre 235 – 3 Gennaio 236

FABIANO: 10 gennaio 236 – 20 gennaio 250

CORNELIO: marzo 251 – giugno (settembre ?) 253

Lettera. “Quantam sollicitudinem”. al Vescovo Cipriano di Cartagine, 251.

108 – “Sappiamo… che Cornelio sia stato eletto Vescovo della santissima Chiesa cattolica da Dio onnipotente e da Cristo nostro Signore; confessiamo il nostro errore; siamo stati vittime di una frode; siamo stati ingannati dalla perfidia e dalle chiacchiere ingannevoli. Infatti, anche se sembrava che fossimo in una certa comunione con un uomo scismatico ed eretico, il nostro cuore era sempre nella Chiesa; perché non ignoriamo che c’è un solo Dio, un solo Cristo Signore che abbiamo confessato, un solo Spirito Santo, e che ci deve essere un solo Vescovo nella Chiesa cattolica.

Lettera (di Cornelio) al Vescovo Fabiano di Antiochia, 251.

Ministeri e Stati nella Chiesa.

109 – Il vendicatore del Vangelo (Novaziano) non sapeva che in una Chiesa cattolica ci deve essere un solo Vescovo? In questa, non l’ha ignorata – come avrebbe potuto – ci sono quarantasei presbiteri, sette diaconi, sette suddiaconi, quarantadue accoliti, cinquantadue esorcisti, lettori e ostiari, più di millecinquecento vedove e poveri, tutti nutriti dalla grazia e dalla benignità del Maestro.

S. LUCIO: 25 (26?) giugno 253 – 5 marzo 254

STEFANO I: 12 (28?) maggio 254 – 2 agosto 257

Lettera (frammento) a Cipriano di Cartagine. a. 256.

Battesimo degli eretici

110 – (cap. 1)… “Se poi c’è qualcuno che viene da voi da qualche eresia, non innovate nulla se non secondo ciò che è stato tramandato, imponete loro le mani per la penitenza, poiché gli stessi eretici, quando uno dei loro viene in un altro gruppo, non battezzano, ma semplicemente lo ammettono alla loro comunione. “(Queste parole di Papa Stefano, Cipriano le respinge e continua:) (Cap. 2) (Stefano) proibì il battesimo nella Chiesa di chiunque provenisse da una qualsiasi eresia, cioè ritiene genuini e legittimi tutti i battesimi degli eretici.

Lettera (frammento) ai vescovi dell’Asia Minore, 256.

Battesimo degli eretici.

111 – (Cap. 18) “Ma… il nome di Cristo ha una grande efficacia per la fede e per la santificazione mediante il battesimo, in modo che chiunque, e ovunque, sia stato battezzato nel nome di Cristo, riceve immediatamente la grazia di Cristo”. “(Firmiliano scrive nella stessa lettera quanto segue a proposito della decisione di Stefano I:) (Cap. 5)… Stefano disse questo, come se gli Apostoli avessero proibito il battesimo a coloro che provenivano dall’eresia, e lo avessero trasmesso per essere mantenuto da coloro che avrebbero seguito… (Cap. 8)… Stefano e coloro che condividono il suo pensiero sostengono che la remissione dei peccati e la seconda nascita possono avvenire nel battesimo degli eretici nei quali, come loro si confessano, lo Spirito Santo non è… (Cap. 9)… pensano che non sia necessario chiedere chi sia che ha battezzato, perché chi è stato battezzato ha potuto ricevere la grazia attraverso l’invocazione della Trinità dei nomi del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo… Dicono che chi sia stato battezzato fuori può ottenere la grazia del battesimo con la sua disposizione d’animo e con la sua fede. (Cap. 17)… Stefano, che si vanta di detenere la cattedra di Pietro per successione, non è animato da alcuno zelo contro gli eretici, poiché concede loro un potere di grazia non piccolo ma grande, tanto da dire e assicurare che con il sacramento del battesimo essi cancellano le macchie dell’uomo vecchio, che perdona i vecchi peccati di morte, che rende figli di Dio mediante la rigenerazione celeste e che rinnova mediante la santificazione del bagno divino per la vita eterna.

SISTO II: 30 agosto 257 – 6 agosto 258

DIONISIO: 22 luglio 259 (260?)-27 (26?)

Dicembre 268

Lettera (frammento) ad Dionysium, Vescovo di Alessandria, 262.

Trinità e incarnazione

112 – (Cap. 1) Devo poi rivolgermi a coloro che dividono, separano e distruggono la monarchia, il più venerabile insegnamento della Chiesa di Dio, in tre poteri e ipostasi separati e in tre divinità. Ho sentito infatti che alcuni che predicano e insegnano la Parola divina tra voi professano questa opinione. Sono diametralmente opposti, direi, al pensiero di Sabellius. Bestemmia (egli) quando dice che il Figlio è il Padre e viceversa. Predicano, per così dire, tre dèi, dividendo la Santa Unità in tre ipostasi, estranee tra loro e totalmente separate. È necessario, infatti, che il Verbo divino sia unito al Dio dell’universo, ed è necessario che lo Spirito Santo abiti in Dio; è necessario, inoltre, che la Trinità divina sia ricapitolata e ridotta ad uno, come ad un vertice, cioè al Dio onnipotente dell’universo. La dottrina dello stolto Marcione, che taglia e divide la monarchia in tre principii, è un insegnamento diabolico, e non è quello dei veri discepoli di Cristo, né di coloro che si compiacciono degli insegnamenti del Salvatore. Perché questi sanno bene che la Trinità è stata predicata nelle Scritture divine, ma che né l’Antico Testamento né il Nuovo predicano tre dèi.

113 – (Cap. 2) Non meno biasimevoli saranno coloro che ritengono che il Figlio sia una creatura e pensano che il Signore sia stato fatto come una delle cose fatte, mentre le parole divine attestano una sua generazione adeguata e appropriata, ma non una fabbricazione e una creazione. Non è quindi una bestemmia qualsiasi, ma la più grande, dire che il Signore è in qualche modo una cosa fatta. Infatti, se il Figlio è diventato (tale), allora c’è stato un tempo in cui non era; ma è da sempre se è nel Padre, come dice Lui stesso (Gv XIV: 10 s.), se Cristo è il Verbo, la Sapienza e la Potenza – perché questo è Cristo, dice la Sacra Scrittura (Gv 1:14 – 1Co 1:24), come sapete; e queste sono le potenze di Dio. Se dunque il Figlio è stato creato, c’è stato un tempo in cui non c’era; e c’è stato un tempo in cui Dio ne era privo; il che è assolutamente insensato.

114 E devo soffermarmi ancora su questo argomento davanti a voi, davanti a uomini pieni di Spirito, che conoscono bene le incongruenze che sorgono quando si dice che il Figlio è una creatura? Coloro che promuovono questa opinione non mi sembra che li abbiano avuti in mente, e quindi hanno mancato del tutto la verità, dal momento che questo passo: “Il Signore mi ha creato come principio delle sue vie”, [Pr VIII, 22] (LXX.): lo hanno inteso diversamente da come lo intende la Scrittura divina e profetica. Perché non c’è, come sapete, un solo significato di “creò”. Infatti, “creò” va inteso nel senso di “pose sopra le opere fatte da lui”, ma fatte dal Figlio stesso. Ma “creò” non è detto qui nel senso di “fece”. C’è una differenza tra “creare” e “fare”. Questo tuo padre non ti ha forse acquistato, creato e realizzato? [Deut XXXII, 6] (LXX.) dice Mosè nel grande inno del Deuteronomio. A questi qualcuno potrebbe anche dire: O uomini stolti, è qualcosa di fatto, “il primogenito di tutta la creazione” (Col 1,15) “colui che è nato dal grembo prima della stella del mattino” [Sal. 1o9,3] (LXX.), colui che ha detto, come la Sapienza, “prima di tutti i monti mi ha generato”, [Pr. VIII, 25] (LXX.)? Si possono trovare anche molti passaggi di parole divine in cui si dice che il Figlio è stato generato, ma non che sia stato fatto. Per questi motivi, chi osa leggere che la sua divina e ineffabile generazione sia una creazione, è chiaramente convinto di dire falsità sulla generazione del Signore.

115 – (Cap. 3) Pertanto, l’unità mirabile e divina non deve essere divisa in tre divinità, né la dignità e la grandezza sovrana di Dio devono essere minate parlando di “fare”, ma si deve credere in Dio Padre Onnipotente e nel suo Figlio Gesù Cristo e nello Spirito Santo: il Verbo è unito al Dio dell’universo. Egli dice infatti: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv X, 30) e “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv XIV, 10). È così che la Trinità divina e la santa predicazione della monarchia saranno salvaguardate.

FELICE I: 5 (3?) 269 gennaio – Dic. 274

EUTICHIANO: 4 (3 ?) gennaio 275 – 8 (7 ?)

Dicembre 283

CAIO: 17 (16?) dicembre 283 – 22 aprile 295 (296?)

MARCELLINO: 30 giugno 295 (296 ?) – 25 ottobre (15 gennaio ?) 3

Concilio di Elvira (Spagna), 300-303

Indissolubilità del matrimonio

117 – Can. 9. Allo stesso modo una donna credente, che abbia lasciato il marito credente adultero e ne abbia sposato un altro, le è proibito sposarlo; se tuttavia lo sposa, non riceverà la comunione finché colui che ha abbandonato non abbia prima lasciato il mondo; a meno che forse la costrizione della malattia non la spinga a darla.

Il celibato clericale

118 – Can. 27. Un Vescovo, così come qualsiasi altro chierico, potrà avere con sé solo la propria sorella o figlia se consacrata a Dio; è stato deciso che in nessun modo potrà avere con sé un estraneo.

119 – Can. 33. Si è deciso di imporre ai Vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, come pure ai chierici che esercitano il ministero, la seguente proibizione assoluta: si astengano dalle loro mogli e non generino figli; chi lo farà sarà espulso dal rango di chierico.

Battesimo e Cresima

120 – Can. 38. Quando si naviga lontano o se non c’è una chiesa nelle vicinanze, un fedele che ha mantenuto intatto il suo battesimo e non è bigamo, può battezzare un catecumeno che è sotto la costrizione della malattia, ma in modo tale che, se sopravvive, può portarlo al Vescovo perché sia perfezionato con l’imposizione delle mani.

121 – Can. 77. Se un diacono che guida il popolo ha battezzato alcuni di loro senza il Vescovo o il presbitero, il Vescovo li perfezionerà con la benedizione; ma se hanno lasciato il mondo prima di questo, qualcuno può essere giusto in virtù della fede con cui ha creduto.

MARCELLO I: maggio-giugno 308 (307?)-16 Gennaio 309 (308?)

EUSEBIO: 18 aprile 309 (310?) – 17 agosto

309 (310 ?)

MILZIADE (MELCHIADE): 2 giugno 310 (311)? – 11 gennaio 314

SILVESTERO I: 31 gennaio 314 – 31 Dicembre 335

1° Concilio ARELATENSE (Arles) iniziato il 1° agosto 314.

Battesimo degli eretici

123 – Can. 9 (8). Per quanto riguarda gli africani che praticano una regola propria, quella del ribattesimo, è stato deciso che se qualcuno viene dall’eresia alla Chiesa, deve essere interrogato sul simbolo, e se si vede con certezza che sia stato battezzato nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, solo le mani devono essere imposte su di lui per ricevere lo Spirito Santo. Ma se, interrogato, non risponde proclamando questa Trinità, viene ribattezzato.

1° Concilio di NICEA (1° ecumenico)

19 giugno-25 agosto 325

125-126 Professione di fede nicena, 19 giugno 325.

125Versione greca Noi crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutti gli esseri visibili e invisibili, e in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, che per noi è sceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto ed è risorto il terzo giorno, è salito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti, e nello Spirito Santo.

Versione latina Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E nel nostro unico Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, nato dal Padre, unigenito, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, nato, non creato, di una sola sostanza con il Padre (che in greco si chiama homoousios), per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, sia in cielo che in terra, il quale per la nostra salvezza È sceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto ed è risorto il terzo giorno, è salito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti. E nello Spirito Santo.

126Versione greca – Coloro che dicono: “C’era un tempo in cui non era” e “Prima di essere generato non era” e “È diventato da ciò che non era” o da un’altra ipostasi o sostanza, o che affermano che il Figlio di Dio è creato o suscettibile di cambiamento o alterazione, questi la Chiesa cattolica e apostolica anatemizza.

Versione latina – Coloro che dicono: “C’era un tempo in cui non era” e “Prima di nascere non era” e “È diventato da ciò che non era”, o che dicono che Dio è di un’altra sostanza o essenza o che è suscettibile di cambiamento o alterazione, questi la Chiesa cattolica e apostolica anatemizza.

127-129 Canoni.

Battesimo degli eretici

127 – Riguardo a coloro che si definiscono puri (Catharos), ma che vorrebbero entrare insieme nella Chiesa cattolica e apostolica, è parso bene al grande e santo Concilio che si impongano loro le mani e che restino così nel clero; ma prima di tutto promettano per iscritto di conformarsi ai decreti della Chiesa cattolica e di seguirli, cioè di mantenere la comunione con coloro che si sono sposati la seconda volta nella loro vita e con coloro che hanno fallito nella persecuzione… (testo aggiuntivo di NICEA assente da DENZINGER) … ma che fanno penitenza per le loro colpe. Saranno quindi obbligati a seguire in tutto e per tutto l’insegnamento della Chiesa cattolica. Pertanto, quando nei villaggi o nelle città ci sono solo chierici del loro partito, essi devono rimanere nel clero e nel loro ufficio; Ma se tra loro si trovasse un Sacerdote o un Vescovo cattolico, è ovvio che il Vescovo della Chiesa cattolica deve conservare la dignità episcopale, mentre colui che è stato decorato con il titolo di vescovo dai catari avrà diritto solo agli onori riservati ai Sacerdoti, a meno che il Vescovo non ritenga opportuno fargli godere l’onore del titolo (episcopale). Se non vuole farlo, gli dia un posto come Vescovo corale o Sacerdote, in modo che appaia come un vero membro del clero e che non ci siano due Vescovi in una città.

9. Se alcuni sono stati elevati al sacerdozio senza indagine, o se nel corso dell’indagine hanno confessato i loro crimini, l’imposizione delle mani, contrariamente a quanto comanda il canone, non è ammessa, perché la Chiesa cattolica vuole uomini di reputazione integra. 10. I “lapsis” che sono stati ordinati, sia perché coloro che li hanno ordinati non sapevano della loro caduta, sia perché la sapevano, non fanno eccezione alle leggi della Chiesa; saranno esclusi non appena l’illegalità sarà nota. 11. Quanto a coloro che hanno esitato durante la persecuzione di Licinio, senza esservi stati costretti dalla necessità, dalla confisca dei beni o da qualsiasi altro pericolo, il Concilio decide che siano trattati con dolcezza, anche se in verità non se ne sono mostrati degni. Coloro che sono veramente pentiti e sono già stati battezzati devono fare penitenza per tre anni con gli “audientes” e sette anni con i “substrati”; nei due anni successivi possono frequentare con gli “audientes” i “substrati”, il popolo al Sacrificio sacro, ma senza partecipare all’offerta. 12. Coloro che, chiamati dalla grazia, hanno prima proclamato la loro fede, abbandonando la cintura, ma poi, come cani che ritornano al loro vomito, arrivano a dare denaro e regali per essere reintegrati nel servizio pubblico, questi devono rimanere tre anni tra gli “audientes” e dieci anni tra i “substrati“. Ma per questi penitenti bisogna fare attenzione a studiare i loro sentimenti e il loro tipo di contrizione. Infatti, coloro che con timore, lacrime, pazienza e opere buone dimostrano con i fatti la sincerità di un vero ritorno, dopo aver completato il tempo della loro penitenza tra gli “audientes”, possono essere ammessi con coloro che pregano, e dipende anche dal Vescovo trattarli con un’indulgenza ancora maggiore. Quanto a coloro che sopportano con indifferenza (la loro esclusione dalla Chiesa) e pensano che questa penitenza sia sufficiente a espiare le loro colpe, saranno tenuti a fare tutto il tempo prescritto.

128 – 19. Per quanto riguarda i paulisti che successivamente si ritirano nella Chiesa cattolica, si è deciso di ribattezzarli in ogni caso. Nel caso in cui alcuni di loro siano stati in precedenza membri del clero, se appaiono irreprensibili e al di sopra di ogni sospetto, siano ordinati, una volta ribattezzati, dal Vescovo della Chiesa cattolica. 20. Poiché alcuni si inginocchiano la domenica e il giorno di Pentecoste, il Santo Concilio ha deciso che, per osservare una regola uniforme, tutti debbano rivolgere le loro preghiere a Dio in piedi.

128 – Castrazione

1. Se qualcuno si è sottoposto a un’operazione medica, che rimanga nel clero; ma se qualcuno si è castrato mentre era in buona salute, è giusto che cessi di essere classificato come ecclesiastico e che in futuro non venga ammesso nessuno che lo abbia fatto. Ma come ciò che è stato appena detto riguarda ovviamente solo coloro che lo fanno deliberatamente e osano castrarsi, così se alcuni sono stati resi eunuchi dai barbari o dai loro padroni e si trovano altrimenti degni, la norma ecclesiastica li ammette al clero. 2. Così, a uomini che erano appena passati dalla vita pagana alla fede, e che erano stati istruiti solo per poco tempo, veniva concesso il bagno spirituale e, con il battesimo, la dignità di Vescovo o sacerdote; È giusto che in futuro questo non venga fatto, perché il catecumeno ha bisogno di tempo (per il battesimo) e dopo il battesimo di un processo più lungo (per gli ordini). È saggio che l’Apostolo dica in 1 Tm III, 6 che il Vescovo non debba essere un neofita, per evitare che per orgoglio cada nel giudizio e nella trappola del diavolo. Se in seguito un chierico commette un reato grave, testimoniato da due o tre testimoni, deve cessare di essere un ecclesiastico. Chi agisce contro questa ordinanza ed è disobbediente a questo grande Concilio rischia di perdere il suo ufficio clericale.

3. Il grande Concilio proibisce assolutamente ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai diaconi, in una parola a tutti i membri del clero di avere (con sé) una persona non del proprio sesso, a meno che non si tratti di una madre, di una sorella, di una zia, o delle sole persone che sfuggono ad ogni sospetto. 4. Il Vescovo deve essere stabilito da tutti i Vescovi dell’eparchia (provincia); se l’urgenza o la lunghezza del percorso lo impediscono, almeno tre Vescovi si riuniscono e procedono alla cheirotonia (incoronazione), purché abbiano il permesso scritto degli assenti. La conferma di ciò che è stato fatto spetta di diritto in ogni eparchia al metropolita. 5. Per gli scomunicati, siano essi chierici o laici, la sentenza emessa dai Vescovi di ciascuna provincia avrà valore di legge, secondo la regola per cui chi è stato scomunicato da uno non deve essere ammesso dagli altri. Bisogna però accertare che il Vescovo non abbia emesso questa sentenza di scomunica per ristrettezza di vedute, per spirito di contraddizione o per qualche sentimento di odio. Affinché questo esame abbia luogo, è sembrato bene ordinare che in ogni provincia si tenga due volte l’anno un concilio composto da tutti i Vescovi della provincia; essi faranno tutte le indagini necessarie affinché ciascuno possa constatare che la sentenza di scomunica sia stata giustamente inflitta per una provata disobbedienza e finché non piacerà all’assemblea dei Vescovi ammorbidire questo giudizio. Questi concili devono essere tenuti, il primo prima della Quaresima, affinché, eliminato ogni sentimento di bassezza, si possa presentare a Dio un’offerta gradita; il secondo in autunno.

Viatico per i moribondi

129 – 13. Per quanto riguarda coloro che completano il loro viaggio quaggiù, si osservi anche ora la legge antica e canonica, in modo che colui che completa il suo viaggio non sia privato dell’ultimo e più necessario viatico, Se, in uno stato disperato, ottiene la comunione con la Chiesa e partecipa all’offerta, e poi è di nuovo annoverato tra i vivi, starà tra coloro che hanno la sola preghiera di comunione. In generale, per qualsiasi moribondo che chieda di partecipare all’Eucaristia, il Vescovo, dopo la verifica, gli dia una parte (dell’offerta). 14. Il Santo e Grande Concilio ordina che i catecumeni che non hanno adempiuto ai loro doveri siano solo “audientes” per tre anni; poi possono pregare con gli altri catecumeni. 15. I numerosi disordini e le divisioni hanno reso opportuno abolire l’usanza che, contrariamente alla regola, si è affermata in alcuni Paesi, cioè quella di vietare a Vescovi, sacerdoti e diaconi di passare da una città all’altra. Se qualcuno osasse agire contro l’attuale ordinanza e seguire la precedente pratica errata, il trasferimento sarebbe nullo e dovrebbe tornare alla Chiesa per la quale è stato ordinato Vescovo o sacerdote. 16. I sacerdoti, i diaconi o in generale i chierici che, per sconsideratezza e non avendo più il timore di Dio davanti agli occhi, abbandonano la propria Chiesa in spregio alle leggi ecclesiastiche, non devono in alcun modo essere accolti in un’altra; devono essere costretti in tutti i modi a tornare nella loro diocesi e, se si rifiutano di farlo, devono essere scomunicati. Se qualcuno osa, per così dire, rubare un soggetto appartenente a un altro (Vescovo) e osa ordinare quel chierico per la propria Chiesa senza il permesso del Vescovo a cui quel chierico appartiene, l’ordinazione sarà nulla. 17. Come molti chierici, pieni di avarizia e di spirito di usura e dimentichi della parola sacra: “Il santo e grande Concilio decide che se qualcuno, dopo la pubblicazione di questa ordinanza, prende interessi per qualsiasi motivo, o fa questa attività di usura in qualsiasi altro modo, o se pretende la metà e più, o se indulge in qualsiasi altro modo di guadagno scandaloso, tale persona debba essere espulsa dal clero e il suo nome cancellato dalla lista. 18. Il grande e santo Concilio è venuto a conoscenza del fatto che in alcuni luoghi e in alcune città i diaconi distribuiscono l’Eucaristia ai sacerdoti, sebbene sia contrario ai canoni e alla consuetudine che il Corpo di Cristo venga distribuito a coloro che offrono il Sacrificio da coloro che non possono offrirlo; il Concilio ha anche appreso che alcuni diaconi ricevono l’Eucaristia anche prima dei Vescovi. Tutto questo deve cessare; i diaconi devono mantenersi nei limiti delle loro attribuzioni, ricordando che sono servi dei Vescovi e vengono solo dopo i sacerdoti. Devono ricevere la comunione solo dopo i sacerdoti, come richiede l’ordine, sia che si tratti di un Vescovo o di un sacerdote che la distribuisce loro. I diaconi non devono nemmeno sedere tra i sacerdoti, perché ciò è contrario alla regola e all’ordine. Se qualcuno rifiuta di obbedire a queste prescrizioni, sarà sospeso dal diaconato.

Lettera sinodale agli Egiziani

L’eresia di Ario

130 –(Cap. 1, n. 2) Prima di ogni altra cosa, furono esaminate l’empietà e l’iniquità di Ario e dei suoi seguaci, e fu unanimemente ritenuto opportuno colpire con un anatema la sua empia opinione, le parole e le espressioni blasfeme con cui bestemmiava il Figlio di Dio, dicendo che “è venuto dal nulla”, che “prima di essere generato non era”, che “c’era un tempo in cui non era”, e dicendo che il Figlio di Dio era di sua spontanea volontà capace di male come di virtù, e chiamandolo uno e creato e un essere fatto. Tutto questo il santo Concilio lo colpì con un anatema, non potendo sopportare nemmeno di sentire l’enormità di questa opinione empia, di questa follia e di queste parole di bestemmia.

Altri canoni del 1° Concilio di Nicea

(questi testi non compaiono in DENZINGER)

131 – 6. Che si mantenga l’antica consuetudine in uso in Egitto, Libia e Pentapoli, cioè che il vescovo di Alessandria mantenga la giurisdizione su tutte (queste province), perché c’è lo stesso rapporto che per il vescovo di Roma. Anche le Chiese di Antiochia e le altre eparchie (province) devono essere conservate nei loro antichi diritti. È abbastanza evidente che se qualcuno è diventato vescovo senza l’approvazione del metropolita, il Concilio gli ordina di rinunciare all’episcopato. Ma poiché l’elezione è stata fatta da tutti con discernimento e in modo conforme alle regole della Chiesa, se due o tre si oppongono per pura contraddizione, la maggioranza prevarrà. 7. Poiché la consuetudine e l’antica tradizione impongono di onorare il vescovo di Aelia, si dia a lui la precedenza nell’onore, senza pregiudicare la dignità che spetta alla metropoli.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (3) “Da S. Marco I a S. Damaso”.

TU SEI PIETRO (I)

Monsignor Tihamér Tóth

VESCOVO DI VESZPRÉM

“TU SEI PIETRO” STORIA E ATTUALITÀ DEL PONTEFICE ROMANO (I) 1956

CENSURA ECLESIASTICA

Nihil obstat:

Dr. Vicente SerranO Censore

IMPRIMATUR:

† JOSE MARIA. Ob. Ausiliario e Vicario Generale Madrid, 2 marzo 1956

(Pubblichiamo questo libretto per far meglio comprendere ai nostri lettori, al pusillus grex cattolico e ad eventuali curiosi vaganti in cerca di verità, le qualità e le caratteristiche essenziali di un Pontefice Romano, il Papa, onde capire bene la realtà odierna in cui spiccano personaggi di primo piano mediatico che si spacciano per autorità usurpandone i ruoli, e mostrando, come il lupo di Cappuccetto rosso, zanne, occhi, coda e bocca non confacenti a ciò che vorrebbero apparire. Ai lettori il giudizio, in base agli enunciati della vera fede cattolica divina. – Ndr. -)

ANNUNCIO EDITORIALE

In risposta ai desideri di un appassionato lettore delle Opere di monsignor Tóth, pubblichiamo in questo libro i capitoli IX-XIII che in CREDO NELLA CHIESA dedica il Monsignore allo studio del Papato.

INDICE

CAPITOLO PRIMO…………………………………………………………………………………………..

“TU SEI PIETRO”………………………………………………………………………………………..

CAPITOLO II…………………………………………………………………………………………………..

L’INFALLIBILITÀ DEL PAPA…………………………………………………………………..

CAPITOLO III………………………………………………………………………………………………….

LA CORONA DI SPINE DEL PAPA…………………………………………………………

CAPITOLO IV………………………………………………………………………………………………….

IL PAPA NELLA BILANCIA DELLA STORIA……………………………………….

Capitolo primo

“TU SEI PIETRO

La nostra Chiesa non è solo “cattolica”, ma anche “cattolica romana”, cioè di Roma, dove risiede la testa visibile della Chiesa.

Non voglio disquisire, rivolgendomi ai lettori Cattolici, su ciò che il Papa significhi per la Chiesa. Il Papato significa per la Chiesa Cattolica, la sicurezza della forza, l’unità e il fermo orientamento che le che le comunica.

Anche coloro che non sono d’accordo con la nostra Religione, per il fatto che siano uomini istruiti e che raccontano la storia con imparzialità, sono obbligati a riconoscere in questo trono incomparabile, che ha già diciannove secoli di esistenza, il fatto più imponente della storia universale. È un fatto unico. Esiste in mezzo ai popoli fin dai tempi di Nerone, un trono che si erge con una fermezza inespugnabile, mentre il furore dei tempi e delle rivoluzioni ha fatto nascere e rovesciare popoli e dinastie.

La nostra Chiesa non si chiama semplicemente “Cattolica”, ma “Cattolica romana”, cioè di Roma, dove risiede il capo visibile della Chiesa. Non intendo dissertare, rivolgendomi ai lettori Cattolici, su ciò che il Papato significhi per la Chiesa Cattolica, la sicurezza della forza, la sicurezza del potere, l’unità ed il fermo orientamento che le dà.

Il Papato ha sempre rappresentato una concezione del mondo che suscita le contraddizioni dei malvagi e ne esaspera gli attacchi, eppure il Papato è ancora in piedi. Il Papato non si è mai placato, non si è mai arreso, non ha mai ceduto nei suoi principii; non ha mai ammesso compromessi; eppure resta ancora in piedi. È in piedi perché il suo fondatore non era un puro uomo, ma il Figlio di Dio, ed ha fissato per il Papato degli obiettivi per i quali deve sussistere finché ci sarà un uomo sulla terra.

I. Cristo è stato davvero il fondatore del Papato? II. A quale scopo l’ha fondato? Queste sono le due questioni che ci proponiamo di risolvere in questo capitolo. Perché solo dopo aver risposto a queste domande saremo in grado di capire: III. Il grande rispetto che noi Cattolici professiomo al Papato..

I – Cristo ha fondato il Papato.

Secondo i piani di Gesù Cristo, la Chiesa doveva essere una “città costruita su un monte” (Mt V,14); quindi, doveva essere una società visibile agli occhi di tutti…, e una Chiesa visibile ha bisogno di un capo visibile. Quindi è impossibile immaginare la Chiesa di Cristo senza l’autorità papale.

A) Gesù Cristo la accenna già nella pesca di Gennesaret; B) la promette a Pietro in occasione della confessione della confessione di Cesarea, e C) la dà allo stesso Apostolo dopo la Risurrezione.

A) Il Signore ha alluso all’autorità papale già in occasione della pesca di Gennesaret.

Nel capitolo V del suo Vangelo, Luca descrive la straordinaria animazione e la sublime conversazione straordinariamente animata e sublime tra Gesù Cristo e San Pietro. È l’alba. Il Signore è sulla riva del lago di Gennesaret. Dopo di Lui, il popolo che lo seguiva, ansioso di ascoltare la sua voce. Proprio Pietro e i suoi compagni, gli altri pescatori, scendono dalla barca, che stavano andando a lavare le reti. Cristo sale sulla barca di Pietro e dalla barca inizia a predicare. Quando ha finito di predicare, dice a Pietro: “Prendi il largo e cala le tue reti per la pesca.” (Lc V, 4). Simon Pietro fu sorpreso da questo comando. È un esperto in materia: è un pescatore da molti anni; tutta la sua famiglia e tutti i suoi parenti sono pescatori: non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere: andare a pescare di giorno, e precisamente in mare! Certo, il Signore non è nato in questa regione, sulle rive del lago, ma nell’entroterra, a Betlemme; non è strano che non sappia queste cose. Ma il Signore lo ordina. Deve essere fatto. Egli sa cosa vuole. “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; Tuttavia, alla tua parola, getterò la rete” (Lc V, 5). E Pietro cala le reti. E vengono presi così tanti pesci che la rete comincia a rompersi. Vengono catturati così tanti pesci che si deve chiamare un’altra barca per aiutarli. Vengono catturati così tanti pesci che le due barche si riempiono fino a traboccare e quasi affondano. Pietro trema. Si prostrò davanti al Signore. “Oh, mio Signore! Come ho potuto dubitare anche solo per un momento? Ho esitato, ho dubitato, non ho capito, non ho creduto. Non sono degno di essere la guida del tuo gregge. Allontanati da me, Signore. Sono un semplice, debole, pescatore. Tu hai bisogno di un eroe”. – Sulle acque del lago silenzioso gli echi della confessione emotiva di Pietro: nel silenzio la sentono anche gli altri pescatori. Il Signore si alza in piedi, lo guarda negli occhi con uno sguardo profondo e gli dice: “Ebbene, io voglio te. Ti ho messo al timone; ti ho mandato in mare aperto per farti sentire la tua mancanza di sicurezza, la tua stessa debolezza, e sappi di chi fidarvi, a chi chiedere aiuto quando dovrete fare la grande pesca degli uomini. Guardatevi intorno. Vedete quanti pescatori lavorano su questo lago? Sapete quanti pescatori lavorano sul mare? I pescatori lavorano nel mare e in tutti i mari del mondo! Ma Io ti consacro come pescatore sempre in azione nel corso dei secoli. No, non devi temere: d’ora in poi saranno gli uomini che pescherai. (Gv V, 10), non con le tue forze, ma con la mia virtù, che tie li affido”. – Vedete il primo fondamento di questa istituzione, la più ammirevole della storia universale.

B) Ciò che il Signore ha accennato in questa occasione, lo ha promesso a Pietro con le parole più chiare dopo la confessione di Cesarea.

Conosciamo tutti la magnifica scena che il Vangelo ci racconta. Nei pressi di Cesarea, il Signore chiese ai suoi discepoli come venisse Egli considerato. I discepoli espressero i sentimenti del popolo. Alcuni Giudei credevano che Gesù fosse Giovanni Battista risorto dai morti; altri credevano che fosse Elia, atteso prima dell’avvento del Messia, o di Geremia, o di qualsiasi altro profeta. Allora Gesù Cristo pose questa domanda: “E voi chi dite che io sia? Voi che conoscete tutte le mie parole, tutte le mie opere!”. A questa domanda gli Apostoli tacciono. È Pietro che prende la parola per tutti: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Fu allora che Gesù Cristo pronunciò le parole che valgono per ogni tempo. “Beato sei tu, Simone Bar-Jona, perché la carne e il sangue non ti hanno rivelato questo. Non te lo ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli. E Io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei cieli; e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli” (Mt XVI,17-19). Il Signore avrebbe potuto dirlo più chiaramente? Egli paragona la sua Chiesa ad un edificio e ne fa di Pietro la pietra di fondazione. Il vero nome di Pietro era Simone, e il suo nome simbolico, Pietro, che significa “pietra”, “roccia”, gli fu dato dal Signore quando lo incontrò per la prima volta. Il Signore glielo diede quando lo incontrò per la prima volta (Gv 1,42). È Pietro che riceve le chiavi dell’edificio, il che equivale a dire che gli viene conferito il pieno potere di governo, in modo che possa aprire o chiudere le porte stesse del cielo, secondo i meriti degli uomini. “Legare e sciogliere”, nella fraseologia ebraica, significa proibire, condannare ed assolvere, dare leggi, ordinare, governare, secondo la volontà di Dio.

c) Ciò che Gesù Cristo ha promesso a San Pietro, glielo ha effettivamente dato in quel dialogo sublime, tutto intimo, che i due ebbero dopo la Risurrezione. Per tre volte il Signore chiese a Pietro: “Mi ami? Pietro risponde con felicità traboccante: “Signore, Tu sai tutto: sai che ti amo”. E il Signore gli dice: “Pasci i miei agnelli”. “Pasci le mie pecore” (Gv XXI,15-17). In altre parole, vi affido tutti i miei discepoli, tutti i miei fedeli. Chi non è sorpreso? Il Signore aveva un discepolo preferito, San Giovanni, e non lo fece diventare il capo della Chiesa. San Paolo, il futuro Apostolo, era il più colto degli Apostoli; né fu elevato a tale dignità. Come se Gesù volesse significare che il fondamento della Chiesa non doveva essere amicizia, parentela, conoscenza umana, ma la protezione vigile dell’onnipotenza divina. Voleva mostrare che il potere supremo, conferito al Papa, non dipende dai suoi meriti personali, dalle sue capacità, dalle sue virtù. Voleva dimostrare che né la più alta grandezza né la più illustre scienza di un qualsiasi uomo sarebbero bastate per il governo della Chiesa; e che la meschinità, i difetti e persino i peccati stessi che potrebbero esserci nei successori di Pietro non sarebbero stati in grado di scuotere la forza granitica del del fondamento posto da Gesù Cristo.

D) Dopo aver mostrato le fondamenta del potere papale, fondamento posto da Cristo stesso, non resta che dimostrare che San Pietro lo abbia effettivamente esercitato. Di questo abbiamo abbondanza di dati. Abbiamo la prova più evidente che Pietro ha governato la Chiesa e che ha esercitato la sua alta carica. Pietro esercitava il suo alto ufficio già nei primi giorni dopo l’Ascensione, come capo degli Apostoli. Dopo l’Ascensione di Cristo, e prima della venuta dello Spirito Santo, “Pietro si alzò in mezzo ai fratelli” (Atti degli Apostoli, 1, 15.), ordina che venga scelto un nuovo Apostolo per sostituire il traditore Giuda. E da allora leggiamo diverse volte negli “Atti degli Apostoli” (II, 14; IV, 8; XV, 7.) che Pietro, occupando il primo posto, pronuncia discorsi a nome di tutti gli Apostoli dei fedeli e pronuncia discorsi a nome di tutti gli Apostoli dei fedeli, e dà gli ordini corrispondenti per governare la Chiesa. Se volete conoscere l’attività papale di San Pietro, leggete gli “Atti degli Apostoli”. Chi fu il primo a predicare e ad ammettere proseliti dopo l’Ascensione di Cristo? Pietro! Quale degli Apostoli ha compiuto il primo miracolo: la guarigione dell’uomo nato zoppo? Pietro! Chi scomunicò dalla Chiesa il primo eretico, Simon Mago? Chi ha visitato per la prima volta le chiese della Palestina? Chi ha ammesso nella Chiesa il primo pagano, il centurione Cornelio? Chi ha presieduto il primo concilio apostolico? Pietro! Lo svolgimento di questo primo concilio è molto interessante. Le parole di un Paolo e di un Barnaba non posero fine alla discussione; la questione doveva essere decisa da Pietro. C’era una divergenza di opinioni sulla conversione dei pagani. I pagani convertiti dovevano essere costretti ad abbracciare prima il giudaismo e poi ad essere ammessi alla Chiesa, oppure potevano essere battezzati senza ulteriori indugi? Questa fu la questione molto discussa nel primo Concilio di Gerusalemme. “Dopo un esame maturo, Pietro si alzò” (Act XVI, 7) – si legge negli “Atti degli Apostoli” – e “tutta la folla tacque” (At XV, 12). E questo è comprensibile. È comprensibile che da quel momento la Chiesa e Pietro furono unite intimamente; perché se Pietro è la pietra di fondazione, allora l’edificio non può reggersi che solo sulle fondamenta. E la Chiesa di Cristo non può essere dove Pietro non è. – Questa verità era esplicitamente confessata dai cristiani del III secolo. Già allora San Cipriano scriveva: “Come tutti i raggi nascono dallo stesso sole e tutti i rami nascono dallo stesso tronco, così tutte le comunità sparse nel mondo sono unite alla Chiesa”.

Per quale scopo Cristo ha fondato il Papato?

Non ci basta sapere che sia stato proprio Cristo a fondare il Papato. Il nostro grande rispetto per il Papa si spiega solo se sappiamo quale scopo Cristo abbia perseguito con il Papato. Perché Cristo ha fondato il Papato? Quali sono gli uffici affidati da Cristo al Papa?

A) In primo luogo, il Papa deve essere il primo maestro della Chiesa. Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse “colonna e sostegno della verità” (1 Tim III, 15), un araldo della fede senza macchia. E Pietro ricevette la promessa di essere colui al quale il Signore disse: “Simone, Simone, ecco, satana ti insegue per intrappolarti; è dietro di te per setacciarti come il grano. Ma Io ho pregato per te affinché la tua fede non perisca; e tu, quando ti sarai convertito, rafforzerai i tuoi fratelli” (Lc XXII, 31). Che promessa sublime e commovente! Il Signore prega per Pietro, perché la sua fede non vacilli, perché sia sempre così forte da poter confermare la fede dei fratelli. Che cos’è dunque il Papa nella Chiesa? Colui che assicura l’unità della fede. Ed è proprio questa unità che il Signore custodiva con un desiderio ardente. Per essa ha pregato con tanta insistenza nell’Ultima Cena. Non ha pregato solo per i suoi Apostoli, ma anche per tutti coloro che avrebbero creduto in Lui, affinché “tutti siano una cosa sola e come Tu, o Padre, sei in me, così essi siano una cosa sola in Noi” (Gv XVII, 21).

Se questo ardente desiderio del Signore, l’unità – unità nella fede, unità nei Sacramenti, l’unità nel Capo – è stato così magnificamente realizzato nella Religione Cattolica, è soprattutto merito del Papato, che veglia, dirige e disciplina continuamente (quando è libero di operare!). D’altra parte, se la fede delle denominazioni che si sono staccate dal Cattolicesimo, si è affievolita senza speranza e si è disgregata nella contraddizione, e si è frantumata nelle tesi contraddittorie delle circa trecento confessioni oggi esistenti, ciò ha la sua causa principale nel fatto che esse si sono allontanate dal fondamento, il Papa, che è la roccia su cui poggia l’unità.

B) Ma l’ufficio di Pietro non è solo quello di insegnare, ma anche di governare la Chiesa.

È a San Pietro che il Signore ha detto: “E a te darò le chiavi del regno dei cieli“; e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli ” (Mt XVI,19). E fu anche a Pietro che disse: “Pasci i miei agnelli, pascete le mie pecore“. Pietro, quindi, non è solo il maestro della Chiesa, ma anche il suo principale custode, il suo capo, il suo governatore, la sua testa. Dove vivono insieme tante persone, ci deve essere un presidente, una testa, un direttore, un governatore, un capo. Non c’è forse bisogno di un potere indipendente e sovrano per governare i 360 milioni di Cattolici e mantenere l’unità tra tutti loro? Ecco perché il Papa è il legislatore supremo della Chiesa ed ha il supremo potere esecutivo. Che cos’è il Papa nella Chiesa? L’apoteosi perenne del principio di autorità. Chiunque abbia vissuto tempi rivoluzionari non ha bisogno di ulteriori spiegazioni per vedere il pericolo fatale della mancanza di autorità, la crisi dell’autorità, la crisi del potere di guida, che esige un’obbedienza incondizionata. Quale gratitudine dobbiamo al Signore per non aver permesso che il suo insegnamento, la sua santa eredità, fosse vittima di molte spiegazioni diverse, e che ognuno lo esponesse secondo i propri criteri, e per averla affidata, a tale scopo, al Papa, dandogli il potere di comandare incondizionatamente e di pronunciare l’ultima e decisiva parola! Diciamo allora con San Paolo: “Non lasciamoci trasportare qua e là da tutti i venti dell’opinione umana, dalla malignità degli uomini, che con astuta furbizia hanno ingannato che con astuzia ingannano e inducono all’errore” (Ef IV,14).I Papi divennero così i supremi custodi dell’ordine morale e sociale. A partire dalle lettere del primo Papa, San Pietro, fino alle ultime Encicliche, i Papi sono diventati i supremi custodi dell’ordine morale e sociale, hanno osato difendere con tenacia e coraggio le grandi verità morali e sociali, che le caotiche opinioni individuali, i sofismi e le pericolose correnti delle varie epoche hanno tanto fatto impallidire. Basti citare l’Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII, che per la prima volta ha richiamato l’attenzione del mondo sull’importanza della questione sociale; le coraggiose dichiarazioni di Benedetto XV in favore della pace durante la guerra mondiale, la magnifica Enciclica di Pio XI in difesa della purezza del matrimonio “Casti connubii“,  e della giustizia sociale – “Quadragesimo anno“.

C) In terzo luogo, il Papa non è solo padrone e governatore della Chiesa, ma anche il suo sommo Pontefice, dalle cui mani sgorga e nelle cui mani è raccolto tutto il potere sacerdotale. Chi sono i Sacerdoti della Chiesa? della Chiesa? Quelli consacrati dai Vescovi. Chi sono i Vescovi? Quelli scelti per questa dignità dal Papa. Pertanto, ogni Sacerdote cattolico ed ogni Vescovo cattolico riceve il potere sacerdotale dal Sommo Pontefice, dal Papa, che a sua volta ha ricevuto la sua missione da Gesù Cristo stesso: “pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore“.

Il nostro rispetto per il Papa

Chiunque mediti su ciò che abbiamo detto sul Papa, vale a dire, che egli è il supremo maestro, il supremo governatore e pontefice della Chiesa; chi sa che il Papa sia il Vicario visibile di Gesù Cristo sulla terra, e ancor più, secondo la bella espressione di Santa Caterina da Siena, è “dolce Cristo in terra”, il “dolce Cristo in terra“, comprende – e solo in questo modo può può comprendere lo sconfinato entusiasmo, il rispetto e l’attaccamento filiale che i fedeli cattolici provano per colui che è il capo visibile della Chiesa.

A) In effetti, i fedeli Cattolici hanno sempre avuto per loro caratteristica questo rispetto e attaccamento filiale al Papa. Non vediamo nel Papa come un re in senso terreno, ma il Padre di un’immensa famiglia; un Padre che ama tutti i fedeli allo stesso modo e che esercita il suo potere di governo sempre per il bene di tutti. Per questo gli diamo il nome tenero e intimo di “Santo Padre“. Solo così comprendiamo quell’usanza – che sembra così strana, nei primi momenti, che i pellegrini hanno, quando visitano la Basilica di San Pietro, di baciare il piede della statua bronzea dell’Apostolo, realizzata nel VI secolo. Le sue dita dei piedi – dita di bronzo! – consumate dagli innumerevoli baci ardenti che vi sono stati depositati per quattordici secoli. Ma è la statua di bronzo che onoriamo? Chi oserà dirlo? Vogliamo forse onorare il Papa? Sì, vogliamo onorare il Papa, ma attraverso di lui vogliamo onorare Gesù Cristo!

B) E vediamo qui di toccare un altro punto:  è forse giusta l’accusa che ci viene lanciata qua e là, che noi, invece di onorare Cristo, onoriamo il Papa, e che il nostro rispetto per il Papa diminuisce e mette in pericolo il culto di Cristo?

Prima di rispondere, dobbiamo vedere molto chiaramente un fatto: tutto il nostro rispetto e il nostro entusiasmo per il Papa sono radicati in questa dottrina: il Papa è il Vicario di Cristo e Cristo è il Figlio di Dio. E onorando il Papa onoriamo Gesù Cristo, che il Papa rappresenta e senza il quale il Papa non significherebbe nulla. Quindi non è vero che il Papa ci allontana da Cristo. Al contrario, ci porta a Lui. Se Cristo non è il Figlio di Dio, è incomprensibile come un semplice giudeo, pur non essendo il Figlio di Dio, possa come un semplice giudeo, per quanto abbia vissuto con fervore la sua vita, uomo modesto, dopo tutto, proveniente da un villaggio insignificante, possa aver portato una tale trasformazione globale del mondo come il Cristianesimo sta operando da mille e novecento anni. Ma c’è di più. Sappiamo che quest’uomo disse un giorno a uno dei suoi discepoli, un povero pescatore, semplice e illetterato: “Tu sei Pietro, e… su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno su di essa” (Mt XVI,18). Questo ha detto; e ciò che è ammirevole non è che l’abbia detto, ma che le sue parole si siano realizzate e continuino a realizzarsi alla lettera. Se Cristo è un uomo puro, come si spiega una simile istituzione? Se è Dio, tutto il nostro rispetto ed entusiasmo per il Papa, il suo Vicario, è legittimo. –  Sebbene San Pietro sentisse il peso della dignità conferitagli da Gesù Cristo, non ne fu abbagliato, come dimostrano diversi passaggi delle sue Lettere. Con quali umili parole inizia la sua prima Lettera: “Pietro, Apostolo di Gesù Cristo” (1 Pt I,1). Non dice che la sua opera sia a riscatto del mondo, ma “il sangue prezioso di Cristo come di un agnello immacolato e senza macchia” (1 Pt I,19), e “… dalle cui lacrime siete stati guariti” (1 Pt II, 24), dice altrove. In effetti, non dobbiamo temere che Pietro possa danneggiare gli interessi di Gesù Cristo. E nemmeno i successori di Pietro. Per quanti pregiudizi ci possano essere nei confronti del Papato, e la scoperta di difetti e meschinità nei Papi – uomini alla fine – non si può negare che il fine ultimo della loro opera, due volte millenaria, sia sempre stato quello di estendere il Regno di Gesù Cristo e di difendere i suoi santi interessi. Se oggi la Chiesa cattolica è così ampiamente diffusa in tutto il mondo, e persino in mezzo al caos di popoli, razze, lingue ed epoche, essa conserva la sua unità.

* * *

Quale evento mondiale suscita tanto interesse quanto l’elezione di un nuovo Papa da parte della Chiesa? I cardinali sono in viaggio verso Roma; ma allo stesso tempo la città eterna è presa d’assalto da un gran numero di giornalisti provenienti da ogni parte del mondo, anche le più lontane, e che assediano con nervosa eccitazione i centri telefonici e telegrafici della città eterna. La Basilica di San Pietro si apre per accogliere un’enorme folla di giornalisti ed  una folla immensa, tremante per l’emozione e l’attesa ansiosa. Come nel giorno della prima Pentecoste, si sente ovunque l’accento di ogni lingua. Le ore passano. L’attesa si fa sempre più tesa, tutti gli occhi sono ansiosamente fissi su uno dei camini del Vaticano. Esce del fumo, è nero o bianco? Perché se il voto è stato inconcludente, insieme alle schede dei voti, viene bruciata della paglia e, dal fumo nero della paglia, gli spettatori gli spettatori sanno che non c’è ancora un Papa! Ma la gente continua per ore, per giorni, sempre guardando…. fumo nero, fumo nero…., finché finalmente una debole colonna di fumo bianco esce dal camino. Il voto è stato dato! Allora la folla esplode in un’esultanza, scoppiando in grida trionfali: “Il voto è stato dato! grida di entusiasmo trionfale: “Evviva il Papa! Viva il Papa!

Vive le Pape! Hoch der Papst! Eljen a Papa!…”. Un Cardinale si affaccia al balcone e ripete le parole pronunciate per la prima volta la notte di Natale dagli Angeli: “Anuntio vobis gaudium magnum…. Habemus Papam“, “Sono venuto a portarvi una notizia di grande gioia: abbiamo un Papa…”. E le folle esultano di gioia; e gli uffici postali sono al lavoro; e le redazioni dei giornali lavorano, forse più che dopo una grande battaglia. La notizia si diffonde in tutto il mondo: “Habemus Papam!”, “Abbiamo un Papa!” Sì: tutto il mondo è interessato….. per amore o per odio, chi lo sa? Ma non è vero che adoriamo e divinizziamo il Papa; non è vero che vediamo in lui l’uomo che ha fatto la storia, non è vero che vediamo in lui un essere sovrumano. No. Anche lui è uomo; mortale e fragile come noi. Ma un uomo, che Gesù Cristo ha voluto capo della Chiesa al suo posto, affinché la Chiesa possa meglio ed efficacemente vivere l’amore per il Capo invisibile, Cristo nostro Signore. “Seguimi” (Gv XXI,19), disse una volta il Signore a Pietro, ed egli lo seguì subito. Da allora Pietro continua a dire “Seguitemi” e i suoi successori lo ripetono. I successori di Pietro lo hanno ripetuto dopo di lui. E chi segue Pietro (ma solo il vero Pietro!) può essere certo di seguire il Signore.

Pasci le mie pecore“, disse il Signore a Pietro. E da allora Pietro pasce il gregge di Cristo. E chi fa parte del gregge di Pietro può essere certo di seguire il Signore. “Ti farò pescatore di uomini“, disse il Signore a Pietro. E Pietro, da allora ha pescato nel nome del Signore per diciannove secoli. E chi entra nelle sue reti può essere certo di essere nelle mani del Signore.

TU SEI PIETRO (2)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (1) “I Simboli della fede”

DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (1)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

Simboli e definizioni della fede cattolica –

SYMBOLA FIDEI

(Simboli di fede)

1 – Lettera degli Apostoli (versione etiope).

(Opera apocrifa, scritta intorno al 160-170)

Credo al Padre, sovrano dell’universo, e in Gesù Cristo (nostro Salvatore), e nello Spirito Santo (Paraclito), e nella santa Chiesa, e nella remissione dei peccati.

2 – Papiro liturgico di Dêr-Balyzeh (liturgia del IV secolo).

(frammento del VI sec. scoperto nell’Alto Egitto, contiene una liturgia della metà del IV sec. Il simbolo sembra molto più antico).

Credo in Dio Padre onnipotente e nel suo Figlio unigenito, nostro Signore Gesù Cristo, nello Spirito Santo e nella risurrezione della carne, nella santa Chiesa cattolica.

3-5 Costituzioni della Chiesa egiziana, 500 ca.

a) Versione copta: simbolo battesimale.

3 – Credo in un solo vero Dio, il Padre onnipotente, e nel suo Figlio unigenito, Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, e nel suo Spirito Santo, che dà vita a tutte le cose, una sola Trinità consustanziale, una sola Divinità, una sola potenza, un solo regno, una sola fede, un solo battesimo (cfr. Ef 4,5), nella santa Chiesa cattolica e apostolica, nella vita eterna. Amen.

b) Versione etiopica in forma interrogativa.

4 – Credi in un solo Dio, il Padre onnipotente, e nel suo unico Figlio Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore?

e nello Spirito Santo, vivificante tutta la creazione, uguale nella divinità alla Trinità, e un solo Signore, un solo regno, una sola fede, un solo battesimo (cfr. Ef 4,5) nella santa Chiesa cattolica e nella vita eterna?

c) Versione etiope in forma affermativa.

 5 – Credo in un solo Dio Padre, sovrano di tutte le cose, e in un solo Figlio, il Signore Gesù Cristo, e nello Spirito Santo, nella risurrezione della carne, e nell’unica santa Chiesa cattolica.

6 – Simbolo battesimale della Chiesa armena (Piccolo simbolo di fede)

Crediamo nella Santissima Trinità, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, nell’Annunciazione di Gabriele, (nel concepimento di Maria), nella natività di Cristo, nel Battesimo, (nella festa) nella Passione (volontaria), nella Crocifissione, nella sepoltura di tre giorni, nella (benedetta) Risurrezione, nella Divina Ascensione, nella seduta alla destra del Padre, nella terribile (e gloriosa) venuta – professiamo e crediamo.

STRUTTURE DI SIMBOLI

  1. Schema trinitario tripartito.

A- FORMULE OCCIDENTALI

Symbolum Apostolicum

– Ippolito Romano, “Traditio apostolica” (versione latina).

(presbitero di Roma, composto intorno al 215-217)

10 – (Credi in Dio, Padre onnipotente?) Credi in Cristo Gesù, Figlio di Dio, che nacque per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì, fu sepolto, risuscitò il terzo giorno vivo dai morti, salì al cielo, siede alla destra del Padre e verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa e nella resurrezione della carne?

Salterio di Re Ethelstan (libro liturgico dell’inizio del IX secolo).

Questo simbolo è una delle forme più antiche

11 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Cristo Gesù, suo Figlio, l’unigenito, nostro Signore, che è nato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, e che il terzo giorno è risorto dai morti, è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove viene a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, la santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione della carne (vita eterna).

Codice Laudiano (Codice VI-VIIs)

12 Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Cristo Gesù Cristo), suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, che sotto Ponzio Pilato fu crocifisso e sepolto, il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa (cattolica), nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

Ambrogio, vescovo di Milano: Explanatio Symboli.

(probabilmente trascritta da uno scriba secondo Sant’Ambrogio prima del 397)

13 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque dallo Spirito Santo, da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, morì, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

Agostino: Sermone 213 (“Sermo Guelferbytanus”) nella tradizione del simbolo

(S. Aurelio Agostino Vesc. di Ippona  – 396-430 -) I sermoni da 212 a 215 citano approssimativamente lo stesso simbolo, c. 392

14 –  Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria (patì) sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso e sepolto, il terzo giorno è risorto dai morti, è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

S. Pietro Crisologo: Sermoni 57-62.

(Vescovo di Ravenna dal 433 al 458)

15 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Cristo Gesù, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che è nato dallo Spirito Santo, da Maria Vergine, che sotto Ponzio Pilato è stato crocifisso e sepolto, il terzo giorno è risorto dai morti, è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo (S. 60: crediamo) nello Spirito Santo, nella santa Chiesa (S. 62: cattolica), nella remissione dei peccati, nella resurrezione della carne, nella vita eterna.

AQUILEIA SÆC. IV

Tyrannius Rufinus: Expositio (o Commentarius) in symbolum.

(scritto intorno al 404, simbolo di Aquileia, la sua patria.)

16 – Credo in Dio, Padre onnipotente, invisibile ed impassibile, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che nacque per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nel perdono dei peccati, nella risurrezione di questa carne.

FLORENTIA sæc. VII

Messale e Sacramentario di Firenze (VIIs)

17 – Credo in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, nato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, è risorto dai morti il terzo giorno, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne.

MŒSIA sive DACIA sæc. IV

Nicetas, vescovo di Remesiana: spiegazione del simbolo.

19 – Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, e nel suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, che patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì il terzo giorno e risuscitò dai morti, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti, e nello Spirito Santo, nella santa Chiesa cattolica, nella Comunione dei Santi, nel perdono dei peccati, nella risurrezione della carne e nella vita eterna.

AFRICA LATINA sæc. V-VI

21 – S. Agostino: Sermone 215 alla riconsacrazione del simbolo.

(Africa V-VIs vedi Can.14)

21 – Crediamo in Dio, Padre onnipotente, Creatore di tutte le cose, Re dei secoli, immortale e invisibile. Crediamo anche nel suo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, nato per opera dello Spirito Santo dalla Vergine Maria, che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, risuscitò il terzo giorno dai morti e siede alla destra di Dio, il Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti. Crediamo anche nello Spirito Santo, nella remissione dei peccati e nella vita eterna attraverso la Santa Chiesa Cattolica.

Pseudo-Agostino (Quodvultdeus di Cartagine): Sermoni sul simbolo.

(tra il 437 e il 453)

22 – Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore di tutto ciò che è, Re dei secoli, immortale e invisibile. Credo anche nel suo Figlio Gesù Cristo (il suo unico Figlio, il nostro Signore), che è nato per opera dello Spirito Santo dalla Vergine Maria, (che) è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, è risorto il terzo giorno dai morti, è stato assunto in cielo (è asceso al cielo) e siede alla destra del Padre (di Dio), da dove verrà per giudicare i vivi e i morti. Credo anche nello Spirito Santo, nella remissione dei peccati, nella resurrezione della carne e nella vita eterna attraverso la Santa Chiesa.

SPAGNA sæc. VI. VIII

S. Ildefonso di Toledo: De cognitione baptismi. (659-669)

23 –  Credo (credi…?) in Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, Dio e Signore nostro, che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso e sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo e siede alla destra di Dio, Padre onnipotente (del Padre), da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo (Credi…?) nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa Cattolica, nella remissione di tutti i peccati, nella resurrezione della carne e vita eterna.

GALLIA MERIDIONALIS sæc. VI. VII

25-26 – Frammenti di un antico simbolo gallico,

(Cipriano, Ev. di Tolone intorno al 530 + Fausto, Ev. di Riez intorno al 470)

25 – Credo in Dio, il Padre onnipotente. Credo anche in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che è stato concepito dallo Spirito Santo, è nato da Maria Vergine, ha sofferto sotto Ponzio Pilato, è stato crocifisso e sepolto, è risorto dai morti il terzo giorno, è asceso al cielo ed è seduto alla destra del Padre, da dove verrà per giudicare i vivi e i morti.

26 – Credo anche nello Spirito Santo, nella santa Chiesa, nella Comunione dei Santi, nel perdono dei peccati, nella risurrezione della carne e nella vita eterna.

27 – Missale Gallicanum Vetus: Discorso (9 di Cesario di Arles) sul simbolo.

27 – Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. Credo anche in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito ed eterno, che fu concepito dallo Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa cattolica, nella Comunione dei Santi, nel perdono dei peccati, nella vita eterna.

28 – S. Pirmino: raccolta di testi tratti da vari libri canonici.

(Gallia Narboniense, intorno al 720)

28 – Credete in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra? Credete anche voi in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, che è stato concepito dallo Spirito Santo, è nato da Maria Vergine, ha sofferto sotto Ponzio Pilato, è stato crocifisso, è morto, è stato sepolto, è sceso agli inferi, il terzo giorno è risorto, è salito al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa cattolica, nella Comunione dei Santi, nella remissione dei peccati, nella resurrezione della carne e nella vita eterna?

HIBERNIA sæc. VII

Antifonario di Bangor.

(manoscritto nel 680-690 ca. in Irlanda del Nord)

29 – Credo in Dio, Padre onnipotente, invisibile, Creatore di tutte le creature visibili e invisibili; credo anche in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, Dio onnipotente, concepito di Spirito Santo, nato da Maria Vergine, che ha sofferto sotto Ponzio Pilato, che, crocifisso e sepolto, è risuscitato dai morti il terzo giorno, è salito al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo anche nello Spirito Santo, Dio onnipotente, che è di una sola sostanza con il Padre e il Figlio, che la Chiesa cattolica è santa, la remissione dei peccati, la comunione dei santi, la resurrezione della carne. Credo in una vita eterna dopo la morte e nella vita eterna nella gloria di Cristo. Tutto questo è la mia fede in Dio.

Ordo Battesimale Romano

(“Ordo Romanus” XI, ed. Andrieu; VII, ed. Mabillon). (forma completa del IX secolo)

30 – (1) Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, (2) e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore (3) che fu concepito dallo Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, (4) patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso morì e fu sepolto, discese agli inferi, (5) il terzo giorno risuscitò dai morti, (6) salì al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente, (7) da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. (8) Credo nello Spirito Santo, (9) (credo) nella Santa Chiesa Cattolica, nella comunione dei santi, (10) nella remissione dei peccati, (11) nella resurrezione della carne, (12) (e) nella vita eterna.

Brevi forme interrogative del Credo battesimale

Sacramentarium Gelasianum.

(Pratica liturgica romana circa Vis, origine più antica)

36 – Credete in Dio, il Padre Onnipotente (il Creatore del cielo e della terra)? Credete anche voi (e) in Gesù Cristo, il suo unico Figlio, nostro Signore, che è nato e ha patito? Credete anche nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa (cattolica), nel perdono dei peccati, nella resurrezione della carne (vita eterna)?

B. FORMULE ORIENTALI

Simboli locali

Cæsarea Palæstinensia sæc. III

Eusebio, vescovo di Cesarea: lettera alla sua diocesi, 325.

(Eusebio è stato battezzato in questa forma, simbolo intorno al 250?).

40 – Noi crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Verbo di Dio, Dio da Dio, luce della luce, vita della vita, Figlio unigenito, primogenito di tutte le creature, generato dal Padre prima di tutti i secoli, per mezzo del quale sono state fatte anche tutte le cose, che per la nostra salvezza si è incarnato e ha abitato tra gli uomini, ha sofferto e il terzo giorno è risorto, è salito al Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. Crediamo anche in un unico Spirito Santo.

Hierosolyma saec. IV

S. Cirillo, vescovo di Gerusalemme: Catechesi VI-XVIII, 348 ca.

(testo ricostruito dalle catechesi)

41 – Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. (Ed) in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’unigenito, che è stato generato dal vero Dio Padre prima di tutti i secoli, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che (discese, si fece carne e) si fece uomo, fu crocifisso (e fu sepolto e) risuscitò (dai morti) il terzo giorno, salì al cielo, siede alla destra del Padre e verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti; il suo regno non avrà fine. (Ed) in un solo Spirito Santo, il Paraclito, che ha parlato nei profeti, e in un solo battesimo di conversione per la remissione dei peccati, e in una sola Chiesa santa e cattolica, nella resurrezione della carne, e nella vita eterna.

Asia Minor sæc. IV

Epifanio, vescovo di Salamina: “Ancoratus”, a. 374.

a) Forma breve (forse interpolata)

42 – Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili. – E in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’unigenito, che è stato generato dal Padre prima di tutti i secoli, cioè dalla sostanza del Padre, luce della luce, Dio vero da Dio vero, generato, non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, in cielo e in terra, che per noi e per la nostra salvezza è disceso dal cielo, È stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha sofferto ed è stato sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. E nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, che procede dal Padre, che con il Padre e il Figlio è coadiuvato e co-glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti; in una sola Chiesa santa, cattolica ed apostolica; confessiamo un solo battesimo per la remissione dei peccati e aspettiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo a venire. Amen.

43 – Quanto a coloro che dicono: “C’era un tempo in cui non era” e “Prima di essere generato non era”, o che è stato creato dal nulla, o che dicono che il Figlio di Dio è di un’altra sostanza o essenza, o che è soggetto a cambiamenti o alterazioni, questi la Chiesa cattolica li condanna con l’anatema.

b) Forma lunga (vicina al simbolo niceno, cfr. anche

[Can.46>46] [Can.48>48]

44 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili; e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato da Dio Padre, unigenito, cioè della sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, quelle visibili e quelle invisibili, che per gli uomini e per la nostra salvezza discese e si incarnò, cioè fu generato perfettamente da Maria, la santa sempre Vergine, per mezzo dello Spirito Santo; si è fatto uomo, cioè ha assunto tutto l’uomo, anima, corpo e spirito e tutto ciò che è uomo, eccetto il peccato, senza provenire da un seme di uomo o da uomo, ma ha formato la carne per sé, realizzando un’unica santa unità; non nel modo in cui respirava, parlava e agiva nei Profeti, ma diventando perfettamente uomo (“perché il Verbo si è fatto carne”, senza subire alcun cambiamento, né trasformare la sua natura divina in natura umana); l’ha unita alla sua santa perfezione e alla sua unica divinità (perché uno è il Signore Gesù Cristo, non due, lo stesso è Dio, lo stesso Signore, lo stesso Re); ma lo stesso ha sofferto nella carne, è risorto, è salito al cielo nello stesso corpo, siede nella gloria alla destra del Padre, verrà nello stesso corpo nella gloria per giudicare i vivi ed i morti; ed il suo Regno non avrà fine; e crediamo nello Spirito Santo, che ha parlato nella Legge e ha predicato per mezzo dei Profeti, che è sceso nel Giordano, parlato negli Apostoli e abita nei santi; e crediamo in Lui in quanto è lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio, lo Spirito perfetto, lo Spirito Paraclito, increato, che procede dal Padre, che si riceve dal Figlio e nel quale si crede; crediamo in un’unica Chiesa cattolica e apostolica, in un unico battesimo di conversione, nella resurrezione dei morti e nel giusto giudizio delle anime e dei corpi, nel regno dei cieli e nella vita eterna.

45 – Ma coloro che dicono che c’è stato un tempo in cui il Figlio o lo Spirito Santo non esistevano, o che sono stati creati dal nulla, o che sono di un’altra sostanza o essenza, o che dicono che il Figlio di Dio o lo Spirito Santo sono soggetti a cambiamenti o alterazioni, questi la Chiesa cattolica e apostolica, vostra e nostra madre, li anatemizza; E anatematizziamo anche coloro che non confessano la risurrezione dei morti e tutte le eresie che non appartengono a questa giusta fede.

(Pseudo ) Atanasio: “Ermeneia eis to sumbolon”.

(attribuzione ad Atanasio (prima del 373) oggi dai più negata; vedi piuttosto Can. 48)

46 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore delle cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, quelle visibili e quelle invisibili; il quale per noi uomini e per la nostra salvezza discese, si incarnò e si fece uomo, cioè fu generato perfettamente da Maria sempre Vergine per mezzo dello Spirito Santo; ha posseduto corpo, anima, spirito e tutto ciò che gli uomini hanno, eccetto il peccato, in verità e non in apparenza; ha sofferto, cioè è stato crocifisso, è stato sepolto, è risorto il terzo giorno ed è asceso al cielo in questo stesso corpo; siede nella gloria alla destra del Padre e sta venendo nella gloria in questo stesso corpo per giudicare i vivi e i morti; il suo Regno non avrà fine. Crediamo anche nello Spirito Santo, che non è di altra natura rispetto al Padre e al Figlio, ma è consustanziale al Padre ed al Figlio, che è increato, perfetto e Paraclito, che ha parlato nella Legge, nei Profeti e negli (Apostoli e) Vangeli; che è disceso al Giordano, che parlerà (ha parlato) agli Apostoli e che abita nei Santi. E crediamo in questa unica Chiesa cattolica e apostolica, nel battesimo di conversione e remissione dei peccati, nella resurrezione dei morti, nel giudizio eterno dei corpi e delle anime, nel regno dei cieli e nella vita eterna.

47 – Ma coloro che dicono che c’è stato un tempo in cui il Figlio non era, o che c’è stato un tempo in cui lo Spirito Santo non era, o che è stato creato dal nulla, o che dicono che il Figlio di Dio o lo Spirito Santo sia di un’altra sostanza o essenza, che sia soggetto a cambiamento o alterazione, questi li anatemizziamo, perché la nostra madre cattolica, la Chiesa apostolica, li anatemizza; Anatematizziamo anche coloro che non confessano la risurrezione della carne (dei morti) e tutte le eresie, cioè coloro che non tengono questa legge della santa ed unica Chiesa cattolica.

Grande simbolo della fede della Chiesa armena.

(Simbolo usato nella Messa, forse all’inizio del IV secolo? Can.44)

48 – Noi crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, delle cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito (cioè della sostanza del Padre) prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. che per noi è disceso dal cielo, si è incarnato e si è fatto uomo (è nato) perfettamente da Maria, la santa Vergine, per opera dello Spirito Santo; da Lei ha preso la carne, lo spirito, l’anima (carne, anima, spirito) e tutto ciò che è nell’uomo (cioè l’uomo che ha posseduto) in verità e non in apparenza; Ha sofferto, è stato crocifisso e sepolto, è risorto il terzo giorno, è asceso al cielo in questo stesso corpo; siede alla destra del Padre e verrà in questo stesso corpo, nella gloria del Padre, per giudicare i vivi e i morti; e il suo Regno non avrà fine. Crediamo (anche) nello Spirito Santo, che è increato, perfetto, che ha parlato per mezzo della Legge, dei Profeti e degli Evangelisti (nella Legge, nei Profeti e nei Vangeli), che è sceso al Giordano, che ha annunciato agli Apostoli e che abita nei Santi. Crediamo (anche) nell’unica e sola Chiesa cattolica e apostolica, nell’unico battesimo di conversione, nella remissione (espiazione) e nel perdono dei peccati, nella resurrezione dei morti, nel giudizio eterno delle anime e dei corpi, nel Regno e nella vita eterna.

49 – Ma coloro che dicono: “Un tempo il Figlio di Dio non era”, o “Un tempo lo Spirito Santo non era”, o che sono stati creati dal nulla, o che dicono che il Figlio di Dio o anche lo Spirito Santo sono di un’altra sostanza o essenza, o che sono soggetti a cambiamenti ed alterazioni, questi la Chiesa cattolica apostolica li colpisce con l’anatema.

Antiochia sæc. IV

Simbolo battesimale di Antiochia (frammenti).

50 – dal testo greco: Noi crediamo nell’unico vero Dio, il Padre onnipotente, Creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E nel Signore nostro Gesù Cristo, suo Figlio, unigenito e primogenito di tutta la creazione, generato da Lui prima di tutti i secoli, e non creato, vero Dio da vero Dio, consustanziale al Padre, per mezzo del quale il tempo è stato ordinato e tutte le cose sono state fatte, che per noi discese e nacque da Maria Vergine, e che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture; ed ascese al cielo e tornerà per giudicare i vivi e i morti, per la remissione dei peccati, per la risurrezione dei morti e per la vita eterna.

Mopsu [h] estia in Cilicia sæc. IV

Teodoro, vescovo di Mopsuestia: Catechesi I-X, (381-392).

51 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’unigenito, il primogenito di tutta la creazione, generato dal Padre prima di tutti i secoli, non creato, vero Dio da vero Dio, consustanziale al Padre, per mezzo del quale fu ordinato il tempo e furono fatte tutte le cose, che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, si incarnò e si fece uomo; È nato da Maria Vergine, è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato, è stato sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e tornerà per giudicare i vivi e i morti. E in un solo Spirito Santo, che procede dal Padre, lo Spirito che dà la vita, confessiamo un solo battesimo, una sola santa Chiesa cattolica, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna.

Ægyptus medio sæc. IV

Apostegmata di Macario il Grande (300-390)

(nucleo pre-niceno, aggiunte nicene + parafrasi finale libera!)

55 – Credo in un solo Dio, Padre onnipotente. E nel suo Verbo consustanziale, per mezzo del quale creò i secoli, che, quando il tempo fu compiuto, per togliere il peccato, dimorò nella carne che preparò per sé dalla santa Vergine Maria (e si incarnò dalla santa Vergine), che fu crocifisso per noi, morì, fu sepolto, risuscitò il terzo giorno (ascese al cielo), siede alla destra del Padre (di Dio Padre) e tornerà nel tempo a venire per giudicare i vivi e i morti. E nello Spirito Santo, che è consustanziale al Padre e alla sua Parola (il Verbo di Dio). Ma vogliamo anche credere nella resurrezione dell’anima e del corpo, come dice l’Apostolo: “(seminato corruttibile, risorge nella gloria,) seminato corpo psichico, risorge corpo spirituale”. cfr. 1Co XV, 42-44

SIMBOLI CONTENUTI IN COLLEZIONE DI CANONI ORIENTALI

Syria e Palestina:

Costituzioni Apostoliche. ca. 380.

(composto in Siria? o a Costantinopoli? aggiunto alla Tradizione apostolica di Ippolito)

60. – Credo e sono battezzato nell’unico e vero Dio, onnipotente, Padre di Cristo, Creatore e Autore di tutte le cose, dal quale provengono tutte le cose. E al Signore Gesù, il Cristo, suo Figlio monogenito, primogenito di ogni creatura, generato prima dei secoli per predilezione del Padre, non creato, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, in cielo ed in terra, visibili ed invisibili; negli ultimi giorni è disceso dal cielo e ha preso carne, generato dalla Beata Vergine Maria, ha vissuto una vita santa secondo le leggi di Dio suo Padre, è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato, è morto per noi, è risorto dai morti dopo la sua Passione il terzo giorno, è salito al cielo e si è seduto alla destra del Padre, e tornerà nella gloria alla fine dei tempi per giudicare i vivi ed i morti; il suo regno non avrà fine. Sono anche battezzato nello Spirito Santo, cioè nel Paraclito, che ha agito in tutti i Santi fin dall’inizio e che poi è stato anche inviato agli Apostoli dal Padre, secondo la promessa del nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo, e in seguito a tutti coloro che credono nella santa Chiesa cattolica ed apostolica, nella resurrezione della carne, nella remissione dei peccati, nel Regno dei cieli e nella vita dell’età futura.

Testamento di Nostro Signore Gesù Cristo.

(compilazione in Vs da Ippolito Romano cfr. Can.10)

61 – Credete in Dio, il Padre onnipotente? Credete anche voi in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che è venuto dal Padre, che era con Dio fin dal principio, che è nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato, che è morto, che è risorto il terzo giorno, che è tornato a vivere dai morti, che è salito al cielo, che siede alla destra del Padre e che verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete anche nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa?

Ægyptus:

Costituzioni della Chiesa egiziana. Cfr. [Can.3>3]

a) Versione copta: professione di fede dopo il battesimo.

62 – Voi credete nel Signore nostro Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio Padre, che in modo meraviglioso si è fatto uomo per noi in un’unità inconcepibile per mezzo del suo Spirito Santo da Maria, la santa Vergine, senza seme di uomo, ed è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, è morto nello stesso momento per la nostra salvezza secondo la sua volontà, è risorto il terzo giorno, ha liberato coloro che erano in catene, è salito al cielo, siede alla destra del suo buon Padre nell’alto e sta per tornare per giudicare i vivi e i morti secondo la sua rivelazione e il suo Regno. E credete nello Spirito Santo buono e vivificante, che purifica tutte le cose, nella santa Chiesa.

b) Versione etiope: professione di fede dopo il battesimo.

63 – Credete nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore, Figlio unigenito di Dio Padre, che si è fatto uomo per un miracolo inconcepibile dello Spirito Santo e della Vergine Maria, senza seme di uomo, e che è stato crocifisso al tempo di Ponzio Pilato, è morto contemporaneamente per la nostra salvezza secondo la sua volontà, è risorto il terzo giorno dai morti, ha liberato coloro che erano in catene, è salito al cielo, siede alla destra del Padre e verrà a giudicare i vivi e i morti secondo la sua rivelazione e il suo Regno? Credete nello Spirito Santo buono e purificatore e nella Santa Chiesa? E credete nella resurrezione della carne che attende tutti gli uomini in un regno e in un giudizio eterni?

Canoni di Ippolito.

(rielaborazione egiziana di Ippolito intorno al 350?)

64 – Credete in Dio, il Padre onnipotente? Credete in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che Maria Vergine ha generato dallo Spirito Santo (venuto per salvare gli uomini), che è stato crocifisso (per noi) sotto Ponzio Pilato, che è morto e risorto dai morti il terzo giorno, che è salito al cielo, che siede alla destra del Padre e che verrà a giudicare i vivi e i morti? Credete nello Spirito Santo (paraclito che procede dal Padre e dal Figlio)?

Simboli e definizioni della fede cattolica –

II. Schema bipartito trinitario-cristologico.

Formula chiamata “Fides Damasi. “

(fine delle V nel sud della Francia?)

71 – Crediamo in un solo Dio, il Padre onnipotente, e nel nostro unico Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e in un (unico) Dio Spirito Santo. Non si tratta di tre divinità, ma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che veneriamo e confessiamo come un unico Dio: Non confessiamo l’unico Dio come se fosse solitario, né come se lo stesso fosse il Padre per se stesso e fosse anche il Figlio, ma confessiamo che il Padre è colui che ha generato e che il Figlio è colui che è stato generato; quanto allo Spirito Santo, non è né generato né non generato, né creato né fatto, ma procede dal Padre e dal Figlio, è coeterno, coeguale e cooperatore del Padre e del Figlio, poiché sta scritto: Per la parola del Signore i cieli sono stati stabiliti”, cioè dal Figlio di Dio, “e tutta la loro forza dal soffio della sua bocca”, Sal. 33:6, e in un altro passo: “Manda il tuo Spirito e saranno creati, e rinnoverai la faccia della terra” (cfr. Sal. 104:30). Pertanto, in nome del Padre, Figlio e Spirito Santo confessiamo un solo Dio, perché “Dio” è un nome di potere, non di proprietà. Il nome proprio del Padre è “Padre”, il nome proprio del Figlio è “Figlio” e il nome proprio dello Spirito Santo è “Spirito Santo”. E in questa Trinità crediamo che c’è un solo Dio, perché ciò che è della stessa natura, sostanza e potenza del Padre è dell’unico Padre. Il Padre ha generato il Figlio non per volontà, né per necessità, ma per natura.

72 – Negli ultimi tempi il Figlio è disceso dal Padre per salvarci e per dare compimento alle Scritture, colui che non ha mai cessato di essere presso il Padre, ed è stato concepito dallo Spirito Santo ed è nato da Maria Vergine, ha preso carne, anima e spirito, cioè l’uomo completo; e non ha perso ciò che era, ma ha cominciato ad essere ciò che non era; ma se è perfetto in ciò che è suo, è anche vero in ciò che è nostro. Perché colui che era Dio è nato uomo, e colui che è nato uomo ha operato come Dio; e colui che ha operato come Dio muore come uomo; e colui che è morto come uomo risorge come Dio. Avendo vinto l’impero della morte, è risorto il terzo giorno con la carne con cui era nato, aveva sofferto ed era morto; è salito al Padre e siede alla sua destra nella gloria che possedeva e possiede tuttora. Crediamo di essere stati purificati nella sua morte e nel suo sangue per essere risuscitati da lui all’ultimo giorno in questa carne in cui viviamo ora; e siamo in attesa di ottenere da lui o la vita eterna come ricompensa per i nostri buoni meriti, o la pena del castigo eterno per i nostri peccati. Leggete questo, tenetelo stretto, sottomettete la vostra anima a questa fede. Così otterrete da Cristo Signore vita e ricompensa.

Simbolo “Clemens Trinitas”.

(durante il V o il VI secolo nel sud della Francia e poi in Spagna)

73 – La Trinità misericordiosa è una sola Divinità. Perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un’unica fonte, un’unica sostanza, un’unica forza, un’unica potenza. Non diciamo che Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo sono tre dèi, ma li confessiamo con grande pietà come uno solo. Infatti, pur nominando tre persone, confessiamo con voce cattolica e apostolica che c’è una sola sostanza. Quindi: Padre, Figlio e Spirito Santo, e “i tre sono uno” (cfr. 1Gv V,7 ). Tre, né confusi né divisi, ma allo stesso tempo distintamente uniti e distinti nella congiunzione; uniti nella sostanza, ma distinti nel nome; uniti nella natura, ma distinti nelle persone; uguali nella divinità, pienamente simili nella maestà, concordi nella Trinità, partecipi della gloria. Sono uno in modo tale che non dubitiamo che siano anche tre; sono tre in modo tale che confessiamo che non possono essere separati l’uno dall’altro. Perciò non c’è dubbio che l’offesa fatta a uno è un’offesa fatta a tutti, perché la lode dell’uno riguarda la gloria di tutti.

74 – “Questo è infatti, secondo la dottrina dei Vangeli e degli Apostoli, un punto principale della nostra fede, cioè che nostro Signore Gesù Cristo e Figlio di Dio non è separato dal Padre né dalla confessione dell’onore, né dalla virtù del potere, né dalla divinità della sostanza, né da alcun intervallo temporale. E quindi se qualcuno dice del Figlio di Dio, che era vero Dio e vero uomo, con la sola eccezione del peccato, che gli mancava qualcosa, sia nella sua umanità che nella sua divinità, deve essere considerato empio ed estraneo alla Chiesa cattolica e apostolica.

Simbolo. Quicumque”, detto  pseudo-Atanasio.

(probabilmente nato tra il 430 e il 500 nel sud della Francia?).

75 – (1) Chi vuole essere salvato deve prima di tutto avere la fede cattolica: (2) chi non la mantiene integra e inviolata andrà, senza dubbio, incontro alla sua eterna rovina. (3) Ora la fede cattolica consiste in questo: noi veneriamo un solo Dio nella Trinità e la Trinità nell’unità, (4) senza confondere le persone o dividere la sostanza: (5) perché la persona del Padre è diversa, la persona del Figlio è diversa e la persona dello Spirito Santo è diversa; (6) ma il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno la stessa divinità, la stessa gloria, la stessa eterna maestà. (7) Come è il Padre, così è il Figlio, così è lo Spirito Santo; (8) increato è il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo; (9) immenso è il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo: (10) eterno è il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo; (11) eppure non sono tre eterni, ma un solo eterno; (12) né tre increati, né tre immensi, ma uno increato (immenso) e uno immenso (increato). (13) Così pure onnipotente è il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo; (14) eppure non sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. (15) Così il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio; (16) eppure non sono tre dèi, ma un solo Dio. (17). Così il Padre è Signore, il Figlio è Signore, lo Spirito Santo è Signore; (18) eppure non sono tre Signori, ma c’è un solo Signore: (19) perché come la verità cristiana ci ordina di confessare ciascuna delle persone in particolare come Dio e Signore, (20) così la religione cattolica ci proibisce di dire che ci sono tre dei o tre signori. (21) Il Padre non è stato fatto da nessuno, non è stato creato, non è stato generato; (22) il Figlio è solo dal Padre, non è stato fatto, non è stato creato, ma è stato generato; (23) lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio, non è stato fatto, non è stato creato, non è stato generato, ma procede; (24) quindi un solo Padre, non tre Padri; un solo Figlio, non tre Figli; un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi. (25) E in questa Trinità nulla è anteriore o posteriore, nulla è maggiore o minore, (26) ma tutte e tre le persone sono co-uguali e co-disuguali, (27) cosicché in ogni cosa, come è già stato detto sopra, devono essere venerate sia l’unità nella Trinità sia la Trinità nell’unità.

76 – (29) Ma per la salvezza eterna è necessario credere fedelmente anche all’incarnazione del Signore Gesù Cristo. (30) È dunque fede giusta credere e confessare che nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è Dio ed uomo: (31) Egli è Dio, generato dalla sostanza del Padre prima dei secoli, e uomo nato dalla sostanza della madre nel tempo; (32) Dio perfetto, uomo perfetto, composto di un’anima ragionevole e di carne umana; (33) uguale al Padre in divinità, inferiore al Padre in umanità; (34) pur essendo Dio ed uomo, non ci sono due Cristi, ma un solo Cristo; (35) uno, non perché la Divinità è stata cambiata in carne (nella carne), ma perché l’umanità è stata assunta in Dio; (36) uno in assoluto, non per mescolanza di sostanza, ma per unità di persona. (37) Infatti, come l’anima ragionevole e il corpo fanno un solo uomo, così Dio e l’uomo fanno un solo Cristo. (38) Egli ha sofferto per la nostra salvezza, è disceso agli inferi, il terzo giorno è risorto dai morti, (39) è salito al cielo e siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. (40) Alla sua venuta tutti gli uomini risorgeranno con (nel) loro corpo e renderanno conto di ogni loro azione; (41) quelli che avranno agito bene andranno alla vita eterna, ma quelli che avranno agito male al fuoco eterno. (42) Questa è la fede cattolica: se qualcuno non la crede fedelmente e fermamente, non può essere salvato.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (2) “Da Clemente I al Concilio di Nicea”.

LO SCUDO DELLA FEDE (246)

LO SCUDO DELLA FEDE (246)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (15)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

2. Contempliamo, come si rivela la essenziale Bontà di Dio, per salvare gli uomini, nel SACRIFICIO che si rinnova nella SANTA MESSA, che soddisfa i sommi bisogni dell’umanità.

La Messa è Sacrificio Latreutico, di adorazione.

Il primo bisogno dell’uomo è l’essere giusto: e la prima sua giustizia è render tutto a Dio, da cui tutto ha ricevuto. L’uomo posto a capo di tutte le creature in terra, poiché partecipa di tutte, ha un sublime dovere da compiere a nome di tutte. Esso, vivendo sulla terra, da tutte le cose che lo circondano assorbe gli elementi, gli assimila a se stesso, li tramuta, gli unifica nell’unità della sua persona, umanizza, per dire e personifica in sé le materiali cose. La terra, le piante, gli animali entrano in certe proporzioni in lui: e come egli ha in sé una porzione di tutte le cose, così è il rappresentante di tutte. Molteplice ed uno, comunica, se così ci lice spiegarci, il suo sentimento alle cose di questo mondo della materia, ed alle corporali cose impresta della sua mente e del suo cuore, per conoscere ed amare il Creatore e Padre di tutto. Più ancora, terreno del corpo colle creature terrene; ma spirituale dell’anima slanciasi in un orizzonte più sublime, nel mondo degli spiriti. Contempliamo! Egli si eleva fino al cielo ….. ha una missione da compiere a nome di tutti gli esseri di questa cerchia mondiale col Signore dei mondi. Lo ha da adorare, cioè rendergli l’onore dovuto. L’onore dovuto in giustizia deve essere grande secondo la grandezza di Lui, che si deve onorare: Un amico con un saluto si onora abbastanza; ad un personaggio di merito illustre, si riconosce il merito suo al nostro rispetto con un inchino; a render omaggio alla maestà del sovrano, s’inchina davanti la bandiera della nazione che pende dai suoi cenni; al rappresentante del Dio in terra, il Pontefice, si baciano i piedi. A terra adunque, a terra innanzi a Dio, cadiamo subissati nel nulla della nostra miseria! Anzi vorremmo fare di più… deh! non possiamo far altro che innalzare i voti dell’umiltà al Padre di tutti i beni, e domandargli il mezzo da poterlo onorare! « Deh! Venga ogni uomo, deve dire col filosofo Platone interprete dei voti dell’umanità, deh! Venga chi ci aiuti ad adorare Dio in modo degno di Dio! » O diremo meglio colla parola che sa dire tutti i bisogni dell’uomo; deh! venga Colui, che nel più gran libro del mondo è chiamato col nome più bello «Il desiderato delle genti. » Sì, è venuto il Mediatore divino, e Dio Uomo, è Gesù Cristo! – Egli è Verbo divino, per cui furono fatte tutte le cose. Egli, come, per provvedere in natura ai bisogni della vita materiale nel tempo ha posto i viventi intorno ad un serbatoio inesauribile di alimenti, che è la terra: così al bisogno che hanno gli uomini di Dio, provvide divinamente facendosi Uomo-Dio, e ponendosi in sacrificio in mezzo a noi. Lasciamo fare a Lui. Egli, Creatore che è della materia e dello spirito, piglia nella mano onnipotente il pane ed il vino; trasmuta la loro sostanza nella sostanza del suo Corpo e Sangue; sicché il pane non è più pane, il vino non è più vino: ma sono transustanziati in Lui; e Gesù sotto le specie delle materiali cose, uomo con noi, Dio col Padre, cade sull’altare, adora Dio umanamente in modo degno di Dio! Deh! Questo è un ingegno divino; e nessun degli uomini, e neppur degli angeli sarebbe giunto a questo Mistero; ma ora che ci è rivelato con una lucidezza che spaventa il pensiero, pare a noi di poter dire, che senza il sacrificio della santa Messa il mondo non giungerebbe ad ottenere il suo fine, il mondo sarebbe (oh! ci si perdoni l’ardita espressione) un’opera fallita in man di Dio…; ma nella santa Messa il Padre che ab eterno conosce se stesso nel Figlio, e per Lui misura, per così dire, la forma della sua Divinità nella Sostanziale sua Immagine, vedendo Gesù, che gli cade a nulla umiliato, annientato davanti per dargli onore, da tale subisso d’umiltà e di ossequio si vede a riflettere pel Divin Figlio tale un grandissimo onor smisurato, che corrisponde alla grandezza di Dio. Così anche noi veniamo a conoscere la grandezza di Dio medesimo; vediamo che vi si voleva un Dio per adorarlo divinamente; né Dio stesso poteva aspettarsi un’adorazione maggiore! Gloria a Lui, gloria a lui per sempre!

È Sacrificio Eucaristico di ringraziamento.

Chi è Dio? Se interroghi l’universo, chi è Dio?dice s. Bernardo, l’universo ti risponde: è il Principio e il Fine di ogni cosa. Egli crea gli esseri aparteciparlo, li vivifica a sentirlo, crea le anime aconoscerlo, le santifica a meritarlo, le perpetua all’immortalità, per alimentarle di sua beatitudine eterna. Così perché tutto viene da Dio, è primaria giustizia, di tutto ringraziare Dio. Ringraziare vuol dire: rendere il merito del ben ricevuto al donatore, e come dicono i latini referre gratias, cioè riportare all’Autore del bene, se non la grazia ricevuta, almeno la gratitudine pel bene che si gode dalla sua bontà. Noi l’abbiamo conosciuto e come Dio è il gran Padre di tutti; su, su, adunque ritorniamo a Lui, per benedirlo, per amarlo per sempre. Figliuoli degli uomini, perché vi perdete in questi nonnulla della terra? Sentite il cuore che vi palpita in seno? Il palpito del cuore è uno slancio del cuore umano, irrequieto sempre, finché non giunga ad essere beato in Dio: e la vita del Cristiano deve essere un continuo tendere a Dio, elevarsi a Dio, riferire tutto a Dio: sì, la vita nostra è ringraziare Dio. Ah! la Madre Chiesa, che esprime il rapporto degli uomini con Dio, questa sposa divina che ben conosce addentro il Cuore di Dio abbassato cogli uomini, non seppe chiamare meglio il suo Gesù in Sacramento, che col nome di Eucaristia, che vuol dire Ringraziamento: perché qui la vita di Gesù è vita di ringraziamento! Veramente è da piangere di consolazione nel vedere come la Chiesa, quando canta il Te Deum in ringraziamento intorno al ss. Sacramento, ci fa levare in piedi, quasi ci pigli per mano, e poco men che non diciamo, ci pigli in braccio nei trasporti di sua gratitudine e mettendoci in seno a Gesù nel Sacramento, ci voglia dire: « su figliuoli, su lodiamo Dio: Te Deum laudamus; e non saremo delusi d’ogni bene noi, che in Lui speriamo: In te, Domine, speravi, non confundar æternum! » La Messa adunque è il gran Sacrificiodel più degno ringraziamento al gran Padre dellabontà. -E qual ringraziamento nella Messa! Gesù è quicon noi: fu d’uopo che si sacrificasse? Ed è sacrificato…Come l’ha promesso, qui piglia in braccioi figli del suo Sangue, e corre dall’altare inseno al Padre a portargli l’umana natura divinizzata e degna di amarlo eternamente. Noi rapiti;colle lagrime di gratitudine infinita possiamo esclamare: « Buon Dio, ecco, ecco che il bene viene dallavostra bontà, e che alla vostra bontà ritorna a rimeritarvi!Dio onnipotente! No, non potevate dall’operadella vostra creazione aspettarvi di più diquanto vi vien offerto. Sì, veramente la terra ha dato il frutto suo, quando dalla terra s’innalza il Verbo vostro ad offrirvisi, in ringaziamento. » Anche pare a noi di poter dire (ci perdoni ancora, se nella povertà del nostro linguaggio non troviam parola umana a dire propriamente così divini misteri) che in Gesù Cristo in sacrificio facciamo a Dio godere quasi moltiplicati gli atti della intima Vita sua divina!… Cielo e terra, contemplate il mistero!… Adoriamo….. Qui sull’altare il Padre si specchia nel divin Figliuolo; dall’altare il Figlio torna in seno al Padre: e dall’uno e dall’altro spira l’Amore Divino, che coopera alla grand’opera della carità. Grand’Iddio! possiamo noi farci d’appresso, e più fortunati che il vostro servo Mosè, contemplarvi così vicini?…. Oh, ammirabil mistero!….. Ci pare di comprendere ora ciò che ci aveva detto Gesù: che ci avrebbe attirati a Sè, per portarci col Padre suo in Paradiso. Egli ecco, è qui; e noi gli siamo d’intorno, anzi siamo incorporati con Lui: da Lui spira lo Spirito Santo, che lo porta in seno al Padre: e con Gesù…. (ma ardiremo di dirlo ?) ha da portar noi e sommergerci nell’oceano di sua Beatitudine eterna !…. Oh subisso di divina bontà! c’ingolferemo ben addentro… in paradiso!

È Sacrificio propiziatorio.

Si offre per espiare i peccati; essendo che ogni pontefice, dagli uomini assunto, viene costituito a trattar per gli uomini con Dio, e per offrire doni e sacrifici per li peccati (Hebr. VII, 2.); e a redimere ì peccati, fa d’uopo che si versi il sangue in sacrificio (Ibi, IX, 22). Vi è qui un mistero profondo, la cui verità, mentre è sentita sì vivamente dalla intiera umana famiglia, ed ha nella storia dell’uman genere troppe prove della sua esistenza, trova una ragione solamente nella Religione cattolica (Rossely. loc. cit.). Ecco difatti il peccato, insegna S. Tommaso, entra per tutti gli uomini per la generazione umana (S. Thom. q. 4, De malo, art. 1, in corp.). Questa si comincia a trasfondere in essi per un elemento di cui il materiale principio è il sangue: Dio poi crea l’anima, la quale, unita alla carne irrorata di sangue, si trova per la viziata generazione in peccato (« Quanti nacquero dal sangue e dalla carne non diverranno figliuoli di Dio. » Io 1). Ora nei sacrifici, per dare soddisfazione del peccato, pare che non si sappia far meglio che versare il sangue, siccome il primo veicolo materiale della umana natura, che dal primo uomo in tutti sì trasfonde viziata in peccato. E che fa adunque Gesù Cristo nella santa Messa? Egli buttando via dall’altare santo ogni altro sangue di vittima morta, che non può piacere al Dio vivente; Egli Pontefice che mai non muore, offre, per man del Sacerdote, se stesso come vittima immortale e santissima. Così sull’altare mostrando il suo Sangue dal Corpo diviso, e come versato sull’altare, sotto la forma della specie del vino divisa dalla specie del pane, si presenta misticamente svenato. Par dunque che dall’altare in quest’atto gridi all’offesa Divinità: « Grande Iddio, nella carne e nel sangue voi foste oltraggiato! Guardate come la Carne ed il Sangue mio paghino il fio di tutti i peccati. Foste Voi offeso nella carne umana: ora io vi rendo soddisfazione in carne divina. » Così Egli glorifica colla maggiore soddisfazione che dir si possa la giustizia del Padre. Ah, peccatori! fortunati noi di aver in mano tanta redenzione! Ripariamo sotto all’altare; affrettiamoci a presentare Gesù Redentore per noi sacrificato, per ottenere colla conversione la remission del peccato. E per meglio intendere che nel Sacrificio sì rimettono i peccati, osserveremo come s. Tommaso (In. 4, Santen. dist. 12, q. 2, art. 2.), che la ss. Eucaristia è Sacramento ed è Sacrificio. In quanto è Sacramento essa produce l’effetto suo in ogni vivente, in cui ritrova lo stato di grazia, ch’è la vita dell’anima. In quanto è sacrificio, ottiene l’effetto per tutti quelli pei quali viene offerto, ancorché non abbiano lo stato di grazia e la vita dell’anima in atto, ma che possono solo averla: e perciò, se li trova disposti, ottiene loro la grazia in virtù di quel vero Sacrificio, da cui ogni grazia in noi discese, e scancella in loro i peccati, in quanto impetra loro la grazia della contrizione: poiché da questa offerta placato Iddio concede grazia e dono di penitenza, e rimette anche i più grandi delitti (Conc. Trid. s. 22, De sacra Euch. cap. 25). Non andando più in là, contempleremo nel canone Gesù, che offre la grande soddisfazione. In quanto poi alla pena, che i peccatori si sono meritata, si fa un vero pagamento nella Messa: ma nella misura che piace alla divina misericordia; e questo anche per le anime del purgatorio (Ben. XIV, De sac. Miss. lib. 2, cap. 13, n. 17). Il che faceva dire a s. Agostino, che nel Sacrificio si fa rimessione dei peccati (Quæst. 57, in Levit.), come s. Cipriano aveva chiamato il Sacrificio medicamento ed olocausto per sanare le infermità nostre, e per purgarci delle iniquità. Noi abbiamo dunque sull’altare tutto il nostro tesoro e la ragione di tutte le nostre speranze. Ah sì, diceva s. Paolo: Guardate, guardate sempre in Gesù Salvator nostro!

È Sacrificio impetratorio.

Tutti i popoli nell’universo corrono nei loro bisogni agli altri, e sperano pei sacrifici ottenere i favori del cielo. Ma la Chiesa cattolica, offrendo il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, sola può dire di avere un diritto alle grazie divine, avendo in mano il valsente da comperare il Paradiso. Gesù, dice san Paolo, l’ha amata fino a donarsi a Lei come tutto suo: ed Ella può dire di buona ragione: « Signore, le grazie che vi domandiamo sono già nostre, perché  le ha guadagnate coi suoi meriti il vostro Figlio. » Innalzando al trono delle misericordie i voti delle anime bisognose, può esclamare confidente: « O Signore, abbisognano di un dono grande, immenso, come sono infiniti i bisogni dei cuori, in cui tutto che vi entra di bene, tranne voi, grande Iddio! Non fa altro che scavarne il vuoto e renderli più affamati. Voi avete promesso di esser la grande mercè: ebbene ve la domandiamo pel Sangue di vostro Figlio. O Padre, o Padre nostro, voi ci avete dato il Figlio: e come mai ci potete negare gli altri doni, anche i più preziosi? Se ci perdonaste nemici, quale vi sarà grazia che ci potrete negare, divenuti che siamo vostri figliuoli pel Figlio vostro divino? » Si racconta, che il santo Vescovo Porfirio venuto a Costantinopoli per supplicare l’imperatore, affinché si degnasse pigliare sotto la sua protezione il suo povero popolo nella lontana città di Gaza angariato dai pagani e tagliuzzato, non poteva ottenere udienza mai! Egli ricorse alla pietà dell’imperatrice, la quale ben combinò con lui che ella avrebbe ottenuto dall’imperatore che gli battezzasse egli stesso, il sant’uomo, il bambino suo, e che battezzato lo presenterebbe all’imperatore con una supplica legata alla manina del bimbo, messa sul cuoricino. Sorpreso l’imperatore! Lesse la supplica, e intenerito alle lacrime assicurò del suo favore il Vescovo: così ebbe questi salvato il suo popolo. Buon Dio! e noi metteremo per man di Maria tutta bagnata di Sangue sotto la croce, sul Cuore di Dio il Figlio suo sacrificato con una lettera; e che cara! che santa lettera! La lettera sono le Piaghe, la lettera è il Cuore ss., che geme Sangue e dice tutti i nostri bisogni!… Bene il venerabile curato d’Ars diceva piangendo sull’altare: « Padre, vi offro in dono il vostro Figlio: ma voglio in cambio la salvezza delle anime; » e l’otteneva !….. Deh! pigliamoci sul cuore Gesù e gridiamo : « Grande Iddio, ci dovete salvare ! O gran Monarca della bontà, Voi pioverete conforti, grazie, misericordie sui figli del Sangue del vostro Figlio. » Taciamo! Il Sacrificio di un Dio vuole lacrime e non parole! Noi verseremo lagrime nel contemplare estatici lo spettacolo della bontà del Signor nostro Gesù Cristo, nell’atto che si sacrifica. Uomini, volete fare tutto ciò che dovete con Dio?….. Ah! poverini! correte in braccio alla Madre nostra che grida: « Emmanuele! Dio è con noi!… il DESIDERATO DELLE GENTI, lo l’ho in seno, e adempie a tutto nel sacrificio Latreutico, Eucaristico, Satisfattorio, Propiziatorio! » Uniamoci, uniamoci insieme con Gesù nel sacrificio in tenerissima umiltà.

LO SCUDO DELLA FEDE (245)

LO SCUDO DELLA FEDE (245)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (14)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

Orazione: Communicantes.

« Noi comunicando, e prima di tutto venerando la memoria di Maria sempre vergine, gloriosa Madre di Dio e nostro Signor Gesù Cristo, come pure dei beati vostri Apostoli e martiri Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone, Taddeo, Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Lorenzo, Grisogono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano, e di tutti i vostri santi: Deh! pei meriti e le preghiere loro concedete, che noi in tutte le cose veniamo muniti dell’aiuto di vostra protezione (qui giunge le mani e continua): Pel medesimo Gesù Cristo, Signor nostro. Così sia. »

Spiegazione dell’orazione: Communicantes.

La Chiesa in terra e in cielo è una sola famiglia. L’altare toglie via l’abisso che separa il cielo dalla terra, ed è come un ponte, per cui i fedeli dal tempo salgono all’eternità, e si mettono in società coi Beati comprensori del paradiso. Di qui, contemplando i loro fratelli in eterna beatitudine, questi figliuoli della Chiesa in battaglia pigliano conforto nel veder tale porzione del loro corpo già coronato in quella gloria infinita: e come membra della stessa famiglia, partecipano col cuore della beatitudine loro. Dall’altare ricordando poi le vicende della vita, in cui si trovarono anch’essi quei felicissimi, dal loro esempio pigliando conforto, insieme con loro rendono grazie a Gesù, comune Salvatore. Così mentre i fedeli in terra ricordano appié della croce coi meriti di Gesù i meriti dei Santi; i Santi sicuri della propria beatitudine, solleciti della nostra sorte come dice s. Cipriano s’affrettano di chiedere in cielo a Dio, che la virtù del suo Sangue quegli stessi prodigi di grazia, che ha già operato per la loro felicità, rinnovi pei fratelli in via; e questi dal canto loro presentano in questa azione, pei doni, che a quelli ha dato, ringraziamento degno di Dio. – Grande consolazione è questa comunione dei Santi! Per essa i fedeli, quando si sollevano coll’anima in cielo, si trovano in quella così lontana regione in mezzo a protettori ed amici, che si fanno premura di presentarsi con loro al trono di Dio per intercedere insieme: solleciti della nostra sorte, come diciamo con s. Cipriano. Il Sacerdote fra quell’immensa schiera di Beati in tanta gloria, non potendo nominarli tutti, (come si suol fare, quando uom si trova fra moltissimi cari in terra) chiama per nome coloro, che hanno titoli particolari per meritare la nostra confidenza. Deh! fra quei Beati, chi prima d’ogni altro dovrà rimemorare? …… In paradiso più dei Cherubini e dei Serafini, e senza paragone più di tutti i Beati, contempla gloriosa Maria in seno alla Santissima Trinità, e subito le corre innanzi con cuor di figlio, perché Maria è Madre.

Maria è Madre.

Oh! qui non sono a dir molte parole, per spiegareperché il Sacerdote in cielo elevato cerca subito la Regina del cielo. Col cuore che batte sìvivo in quella pienezza d’inesprimibili affetti, abbiamobisogno di un cuore che c’intenda, di uncuore che ci voglia il maggior bene ed ami connoi Iddio, come sentiamo di doverlo amare, divinamente.Perciò il nostro cuore si slancia al Cuordi Maria: anche i bambini si gettano in seno allamadre per stringersi al cuore di lei. No, non citroviam meglio che quando noi siam tra le bracciadi Maria a parlare con Dio: perché Maria èMadre. Quando pendeva in croce Gesù, il Sanguepioveva giù dalla testa, grondava giù dalle mani,scorreva giù dai piedi santissimi; e Maria stavasotto la croce, e il caldo Sangue di Gesù cadevasul volto, sulle vesti, sulle mani benedette di MariaSantissima: e Gesù, quando si vide lì sotto allacroce tutta bagnata di Sangue la sua Madre, ce ladiede per Madre nostra (S. Ephrem, Or. de Laur. vir.). Ora Maria dal cielo guarda noi all’altare intorno a Gesù: e da Gesù in Sacramento viene in noi il Sangue, che vorremmo dir Sangue di Lei: perché Gesù è Figlio del suo Sangue…… Ah si, sì senz’altra ragione lo comprendiamo nel cuore, che Maria ci guarda, come figliuoli del suo Sangue! Madre divina! Ella contempla in paradiso nello splendore della Divinità il Figlio suo in seno al Padre, e guarda noi in terra in tante miserie, poverini di figli! lì lì per perderci ad ora ad ora. « Oh! Figliuol mio, gli dice, è Sangue nostro in quei meschinelli. » Contempla poi nel Figlio le Piaghe gloriose, e « Figliuol mio, gli dirà, queste Piaghe vostre io ho sofferte nel mio cuore! » e guarda le piaghe nostre, e gli deve dire: « mi par di sentirle nella mia persona: son Madre vostra, Madre anche di loro », e mirando nel Costato ancora aperto: « mio Gesù, esclama, questa ferita poi l’ho sentita tutta io sola nel cuore mio: salvatemi i figli di tanto dolore! » Pensiamo se in terra una madre fosse così fortunata, che avesse il figlio suo primogenito per ventura diventato re sul più gran trono del mondo; e poi avesse gli altri suoi figliolini, dispersi per la terra, in abbietta miseria; chi, chi vorrà al figlio suo in tanta gloria raccomandare, se non i figliuoli suoi poverini? Ah! consoliamoci, ché abbiamo in cielo la Madre, che è la Madre di Dio (Di Napoleone si racconta (come il buon capitano di Tebe Epaminonda godeva d’ogni vittoria per la consolazione che ne avrebbe avuto la madre) che d’ogni nuova conquista voleva portare egli la novella alla madre sua Letizia; per godere della materna consolazione, e che la madre gli rispondeva sempre con un sospiro: « Ne godo, ma i vostri fratelli ?…..; » e che pur finalmente le dicesse Napoleone: « Mamma, per compiacervi, uno lo farò re di Spagna, poi l’altro re di Portogallo, poi l’altro re di Wesfalia, e regina d’Etruria la sorella » e che allora la madre con un largo sospiro gli rispondesse: La madre vostra è felice! »). Le madri sono sempre madri, anche coi figliuoli che siano stati cattivi: e se mai un figliuolo ravveduto non ardisse di presentarsi al padre, buono sì, ma tanto sdegnato; tra un padre e un figliuolo cattivo, che vuol farsi buono, in sulla soglia, chi si intromette a far pace?… Lasciate fare alla madre. Ella dirà al padre: « avete ragione, fu cattivo quel meschinello…. » Ma intanto va dietro al padre, e mette mano nel forziere, e piglia una manata d’oro (il padre finge di non vederla!) e va sulla porta al figlio e, « to’, gli dice, paga i debiti tuoi, perché ti salvi in onore; » e per giunta lo bacia e gli piange sul volto! Si, veramente l’amor di madre rende immagine dell’amor di Dio! Amor generoso, cresce più quanto è maggiore il dolore che le costa il figlio. Adunque per tutte le ragioni il Cuor di Maria è, dopo il Cuor di Gesù, il rifugio dei peccatori. Ella è Madre! – Il Sacerdote contempla questa Madre in paradiso, l’ama, la benedice; e le si getta in cuore per dirle: « o Maria SS., Madre di Dio, e Madre nostra, da tanta altezza ben conoscerete in questa povera terra i vostri figli! Vedeteci chiamati qui a rinnovare il prodigio, che si operò in voi, Vergine SS., benedetta Madre di Dio. In mezzo a noi deve scendere il vostro Figliuolo divino; ed io Sacerdote devo prestargli in persona quei servigi e ministeri, che voi prestavate a lui Bambino in confidenza di madre; poi tutti noi dobbiamo, come voi, riceverlo in seno ora, che vuole per noi sacrificarsi, come là sulla croce. Santissima Madre, vi avete ben dunque voi il vostro interesse a farci santi, e a darci in prestanza le vostre virtù, per prepararci. » La Regina del paradiso dal trono di Dio, in cui siede coronata di stelle immortali, abbasserà lo sguardo rivolta a noi; e scorgendoci, come siamo, intorno all’altare, rigenerati dal Sangue di Gesù Cristo, penserà quanti le costammo dolori, quando appiè della croce ci ricevette per figliuoli dal Figliuol suo morente. E pare a noi, che dovrà esclamare: « son proprio dessi i miei figliuoli costoro, perché in essi è il Sangue di Voi, o mio Gesù: sì sono essi figliuoli dei miei dolori! » – La Religione cattolica non è una idea astratta, ma è la verità divina, che s’incarna in noi e con noi si umanizza: non distrugge le relazioni che abbiamo tra noi in terra come fratelli della gran famiglia, ma di più santo amor fraterno ci unisce coi fratelli in paradiso. Ah! I  protestanti, quando negano la divozione ai Santi, col voler vantarsi razionalisti cessano di essere umani! Eh! Ci vuol tanto a capire che i Beati in paradiso, così vicini a Dio, hanno da pregare per noi e rispondere alle nostre preghiere con le grazie ottenute! Ecco come la Chiesa prega i Santi. Nell’invocarli ricorda le relazioni particolari ch’ebbero in terra, e mantengono vive in cielo. Questa è la ragione dello sceglierci, che facciamo, i Prottettori particolari dei paesi, delle comunità, delle famiglie, e di ciascuno di noi. Quindi, dopo Maria, invoca il Sacerdote ad uno ad uno i santi Apostoli: Pietro, che della Chiesa è pietra fondamentale; Paolo, il suo gran maestro; gli altri Apostoli, che ne sono colonne. Essi tramandarono a noi questo gran Sacrificio, essi versarono il sangue per innalzare gli altari, su cui offrirlo: essi ce ne fecero precetto (1 Cor. XI, 23) e qui siamo appunto per eseguirlo. Invoca tanti Pontefici e Martiri; i Pontefici, che sostennero colla loro immancabile fede la Chiesa; i Martiri, che la difesero col sangue, lasciando le lor vite appiè della croce, come tanti trofei della Religione divina. Invoca tutti i Santi. E noi così poveri in quella società, preghiamoli, che ci compartano dei loro meriti: e colle preghiere loro all’uopo nostro ci impetrino forza da poter giungere a compiere il numero degli eletti, che faranno corona eterna a Dio in Paradiso. Chiedesi adunque qui, che il sacrificio, già per se stesso accettevole, sia gradito anche per i meriti loro (Bossuet, Expl. de quelq. diffic. sur les priéres de la Messe.). Il Sacerdote invocati i Santi, congiunge le mani, come per attaccarsi alla croce, e dire: « O Santi! da questo divin Redentore viene tutta la vostra giustizia e santità; ai patimenti e meriti suoi uniamo qui i patimenti e meriti vostri; e dallo stesso ancora offerto per noi, speriamo la grazia della vittoria nel tempo, e la corona nell’eternità gloriosa. » Che gaudio pei Beati vedere presentati i meriti loro insieme col Sacrificio divino! Così appiè di Gesù crocifisso si abbracciano coi Beati i fedeli, si bacian dell’animo; e col gaudio di quelli comunican questi le loro speranze, e già all’altare si preparano alle nozze, che celebreranno eterne coll’Agnello immacolato in Paradiso. Il Sacerdote poi stende le mani coi pollici in croce sopra l’offerta, e dice: Hanc igitur oblationem, etc.

Art. II.

Orazione seconda:

Hanc igitur oblationem.

« Quest’oblazione adunque della nostra servitù, e di tutta la famiglia vostra, Vi preghiamo, Signore, di ricevere placato, e di disporre nella vostra pace i nostri giorni, e di scamparci dalla dannazione eterna, e di concedere che veniamo annoverati cogli eletti vostri, (qui giunge le mani) per Cristo Signor nostro: Così sia. »

Esposizione.

Egli è questo forse della Messa il più terribile momento. Ecco il sacerdote, che stende le mani legate coi pollici in croce sopra l’offerta. Per intendere il qual rito, è da ricordare ciò, che si faceva per ordine di Dio nella legge antica in figura. Quando si offriva un sacrificio per i peccati, si conduceva la vittima innanzi al Tabernacolo (Levit, 4, 8.1); ed il sacerdote vi stendeva sopra le mani. Con questo stender le mani, dice Bossuet (De orat. Miss.), S’indicava che il sacerdote s’univa alla vittima per offrirsi con essa a Dio. Il Sacerdote adunque, ad imitazione di tal rito, collo stender le mani sull’offerta, che sta per divenire Corpo e Sangue del Redentore, se stesso col popolo offre, e si mette colle mani legate insieme a Gesù sulla mistica croce, chiedendo per Esso la rimessione dei peccati, la pace per la vita presente e la gloria della futura (Ant. De opt. aud. Miss. orat. pres. — Ben. XIV, lib. 2, cap. 13). Seppure non si vuol accennare ad un rito di più terribile significazione. Giova esporlo qui: fa gran senso! Nel gran tempio del Signore, in Gerusalemme, si menava innanzi all’altare un capro: e sopra quel capro il pontefice degli Ebrei stendeva ambe le mani, e confessando tutte le iniquità dei figliuoli d’Israele, sopra la testa di quello le scaricava tutte, imprecando sopra di esso tutti i castighi e le maledizioni, che si meritavano quei peccatori. Poi si ributtava con ribrezzo dall’altare quel capro, e battendolo si spingeva fuori a morir nel deserto (Lev. XVI, 21). E che poteva mai significare quel capro emissario?… Per poco non ci basta l’animo, e ci trema il cuore nel ricordar la spiegazione, che ne danno alcuni Padri (Teod. h. Hieron. Auct. ep. con Paul. Samos : vedi Dei Sacr. ecc. del Card. Tadini, benché egli creda il capro emissario significhi il genere umano. Noi non concordiamo con lui). Quel capro così maledetto voleva figurare… Gesù Cristo!… Né ardiremmo pronunziarlo, se non avesse detto il profeta Isaia (LIII, 6), che pose in Lui Iddio l’iniquità di tutti noi, e che Egli dovette portare le nostre ingiustizie (LIII, 11): aggiungendo s. Paolo, che Egli diede se stesso a redenzione per tutti (1 ad Tim. II, 6), e s’offrì per togliere i peccati di molti (Hebr. IX, 28) fattosi maledetto Egli stesso (Gal. III, 13), e come tale buttato fuori dalle mura della città a morir per i nostri peccati (Hebr. XIII, 12). Noi qui c’immagineremo di vedere Gesù là nell’ orto di Getsemani per cominciare la sua passione in quella notte, in cui tradide in mortem animam suam et cui sceleratis reputatus est: quando cioè si venne ad offrire alla morte come uomo, che portassei delitti di tutti. Egli si prostrò davanti al Padresuo, e par dicesse: « Con questi meschinelli di uominieccomi uomo anch’io; eglino sono i miei fratellidi sangue…… io sono di loro…… e faccio causacomune con loro… pago io per la mia famiglia…Voi mi avete dato un corpo; ecco che vengo adoffrirvelo per i peccati di tutti….. ricadano sopradi me tutti i peccati… scaricate sopra di mei castighiper lor preparati… Via dall’altare del Diovivente le carni di bestie morte in sacrifizio……..Questi sciagurati in carne e sangue da uomo hannooffeso Voi, Grand’Iddio; ecco Io soddisferò per loroin Carne e Sangue da Dio. » Colla sua mente divinavedendo in ogni tempo di ciascuno ogni peccato,se li raccoglie tutti sul cuore, come se reo nefosse Egli solo: e, misurandone la tremenda enormitàdalla Maestà di Dio offesa, così come se nesentiva gravato Egli stesso, inorridì, fremette; unbrivido gli corse per le vene, e spinse il Sangue alCuore; e il Cuore, stretto in quella pressura ditremendo orrore, respinse il Sangue ancor per levene (Vence Bibl. Sac. Dissert. sul sudor di Sangue di G. C. di Aliot.): e Gesù in quell’angoscia cadeva per terra agonizzante. Fu allora, che in quell’abbandono della vita, cedendo l’eretismo della cute, il Sangue dal Cuore nelle vene respinto, tra i pori di essa s’apri la via, ed esciì di Sangue così profuso sudore, che ne grondava il volto, e la persona, e giù per le vesti scorreva per terra. Deh! Contempliamo Gesù Cristo cogli occhi allargati tutto bagnato di Sangue, boccheggiante in agonia, quasi fissi lo sguardo in volto a noi in quello spasimo e dica: « Intendete che cosa sia il peccato! mi fa sudar Sangue in agonia, e mi spinge a morte. Pregate sempre per non peccar più. » Levossi in piedi e si diede in mano ai Giudei, che lo batterono, e tutto lacero lo spinsero a morir fuori delle mura di Gerusalemme sul Calvario. Noi, picchiandoci il petto col più gran dolore, affrettiamoci di porci tremando coi nostri peccati a piè dell’altare, dove Gesù Cristo se li vuol addossare, affinché Dio si plachi rammentando i colpi, che già per la nostra redenzione e per la punizione e remissione del peccato si scaricarono sul Figlio, o meglio, affinché veda ancora il Figlio suo sacrificato dinanzi; e dal suo sdegno per Esso ci scampi. – Ora conosciuta la mistica significazione del rito, passiamo a considerare il modo eseguito dal Sacerdote protendente le mani in quell’atto, che noi con lui congiunge. Ecco poi perché si congiungono le mani. Siccome le vittime si strascinavano legate ai piedi delle are, dove si dovevano immolare; così il Sacerdote sta col popolo prostrato innanzi all’altare colle mani legate dai due pollici in forma di croce; quale reo dai vincoli stretto si confessa in peccato, e si dà nelle mani di Dio, come vittima sacra alla sua giustizia. In questo atto, di qui d’appié della croce getta uno sguardo nell’abisso d’inferno, che si vede spalancato sotto dei piedi: si slancia ad abbracciarsi alla croce; e mette tal grido di speranza e terrore: « Oh tremendo Iddio! ecco la povera vostra famiglia! Per noi Gesù vi placa coll’offrire se stesso! Vorrete perdere i figli comperati col Sangue del vostro Figlio divino? Deh per Gesù (qui giunge le mani per attaccarsi strettamente a Lui crocifisso) salvateci dalla dannazione meritata dai nostri peccati, e consolateci colla vostra pace; strappateci di bocca all’inferno, e portateci in union con Esso, a farvi, cogli eletti corona in cielo. » Noi passiamo a dare tradotta la terza orazione, prima di commentarla., perché si legga bene: affinché si possano gustare nell’intimo del cuore colla tenerezza della propria pietà, ben più che non possiam noi fare comprendere colle povere nostre parole, i sentimenti al tutto divini ch’essa inspira.

Art. III.

ORAZIONE III : QUAM OBLATIONEM.

Orazione.

« La quale offerta da Voi, o Signore, in tutti bene+detta, ascritta, confermata, ragionevole ed accettevole, vi preghiamo che vi degniate di fare che diventi per noi Corpo e Sangue del dilettissimo Figlio Signor nostro Gesù. »

Orazione: Qui pridie,

« Il quale, il giorno innanzi alla sua Passione, (il sacerdote prende l’ostia) prese il pane nelle sante e venerabili mani sue, (eleva gli occhi al cielo) ed elevati gli occhi in cielo) ed elevati gli occhi al cielo a Voi, Dio, Padre suo Onnipotente, a Voi rendendo grazie (fa colla mano il segno di croce sopra l’ostia) benedisse, spezzò e diede a’ suoi discepoli dicendo: « Prendete e mangiate: Hoc EST ENIM CORPUS MEUM. »

Queste della Consacrazione sono così sacrosante parole che vorremmo tenerle come velate col linguaggio della Chiesa in santo mistero.

La Consacrazione.

Pronunziate le parole della consacrazione, adora subito genuflesso la Santissima Ostia, sorge, l’innalza, per mostrarla al popolo, la ripone sopra il corporale, l’adora di nuovo: ed il pollice e l’indice non disgiunge, se non quando si ha da trattar l’Ostia, fino all’abluzione delle dita. – Nello stesso modo cenato ch’ebbe (prende il calice con ambe le mani), prendendo anche questo Calice preclaro nelle sante e venerabili sue mani, similmente rendendo a Voi grazie (tiene il Calice colla sinistra, e fa sopra di esso il segno di croce colla destra) benedisse e diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete, bevete. (Qui proferisce le parole della consacrazione segretamente sopra il Calice, che tiene un poco sollevato tra le mani).

« HIC EST ENIM CALIX SANGUINIS MEI NOVI ET ÆTERNI TESTAMENTI: MISTERIUM FIDEI: QUI PRO VOBIS ET PRO MULTIS EFFUNDETUR IN REMISSIONEM PECCATORUM. » Pronunziate le parole della consacrazione, depone il Calice sopra il corporale, dice segretamente: « Ogni qual volta farete queste cose, le farete in memoria di me. » Il Sacerdote genuflesso adora, sorge, mostra al popolo il Calice affinché adori il Santissimo Sangue; lo depone, lo copre, l’adora di nuovo; di poi tenendo le mani aperte avanti al petto, continua.

Esposizione dell’orazione: Quam cblationem.

Solenne momento della più terribile Azione santissima!….. Ora si consacra il Santissimo Corpo, ed il Santissimo Sangue di Gesù Cristo. Oh, gran Dio della bontà! Possiamo dunque salire sul terribile monte a contemplarvi vicini vicini nel più sublime Mistero d’amore! Deh, quanto ci sentiamo miserabili in questo punto! Pur con così povero cuore ubbidiremo al vostro invito, terremo appresso, per mano, passo passo alla madre Chiesa, per penetrare in questa santissima orazione, che cercheremo di esporre in quattro distinti capitoli. Nel primo esporremo quella parte dell’orazione, in cui accingesi alla consacrazione: e mediteremo il Sacrifizio. Nel secondo contempleremo il Sacerdote nell’atto che si eleva fino ad unirsi con Gesù, e ad identificare l’azione sua con quella di Gesù Cristo stesso. Nel terzo contempleremo il prodigio della Consacrazione. Nel quarto mediteremo il comando del Redentore, che ci lascia il Sacrificio a far memoria della sua Passione.

CAPITOLO I.

ESPOSIZIONE DELL’ORAZIONE:

QUAM OBLATIONEM.

È un istante di grande pietà! I fedeli ricoverati appiè della Croce, coll’inferno che si sprofonda sotto de’ piedi, col paradiso aperto sul capo, col cuore a Gesù che sta per sacrificarsi per loro, non sanno fare meglio che gettarsi fra le braccia di Dio, pregandolo di voler accoglierli per tutti suoi insieme alla grande sua oblazione. A questo fine il Sacerdote fa a nome di tutti questa santa preghiera, che, tramandata a noi dai tempi apostolici dai santi Padri di secolo in secolo, fu riguardata come parte della consacrazione. S. Ambrogio chiama questa orazione , « parole celesti; » e nella professione di fede, che la Chiesa da Berengario, volle, che questo eresiarca confessasse, che il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo sono realmente e sostanzialmente presenti nella SS. Eucaristia per mezzo della sacra preghiera e delle parole di Gesù Cristo. Non già che la Chiesa attribuisca a quest’orazione la virtù di cangiare il pane ed il vino nel SS. Corpo e nel Sangue. È di fede, che questo gran prodigio si opera colle sole parole di Gesù Cristo; ma in quest’orazione si esprime il voto della Chiesa, e l’intenzione di eseguire ciò che il Signore a lei unito vuole per lei operare: e se colle parole sole: « Questo è il mio Corpo » si opera il gran Mistero; colla orazione suddetta lo si prepara in questo ultimo istante. In essa diciamo al Signore: « La quale oblazione preghiamo ecc. » Grande Iddio! Non è già che dubitiamo del Mistero; egli non può mancare: ma col pregare non riconosciamo in noi altro diritto a questo favore, che quello che la vostra misericordia ci concede di domandare, la nostra speranza ci fa attendere, e ferma la fede sull’autorità della vostra parola, sa che si deve verificare certamente. « O Signore, degnatevi di fare che in tutti sia benedetta ecc. » Dio santo! questa gran meraviglia vuole da Voi la vostra Divinità! Voi volete il ristabilimento della giustizia, l’abolizione del peccato, un’adorazione qual è a Voi dovuta. Voi volete anche la nostra santificazione. Deh! operate per carità il miracolo, che vi chiediamo, e fatene un’Oblazione, che in tutte cose porterà la benedizione, che comprenderà tutte le grazie, servirà a tutti i bisogni, soddisferà a tutte le nostre obbligazioni, e sarà atta ad appagare tutti i nostri desideri, secondo la vostra volontà. « Sia Benedetta, ammessa, confermata, ragionevole ed accettabile ecc. » – Il Sommo Pontefice Benedetto XIV cita come la più bella spiegazione di queste parole, questa di Pascasio Abate (Lib. De corp. et sang. C. cap. 12); che noi commenteremo. Con questo gran Sacrificio divino la Chiesa, volendo offrire insieme tutti i suoi fedeli, chiede qui che per la divina Offerta, e con la divina Offerta, anche l’oblazione che di sé fanno i fedeli, sia in tutto e per tutto benedetta; cioè che in quella siam benedetti noi stessi: che sia ammessa, cioè che per essa siamo al cielo ammessi: che sia confermata e resa permanente, irrevocabile, che cioè per essa veniamo inviscerati in Gesù Cristo, così da non essere mai più da Lui separati: che sia ragiongrole, e così degna al tutto di Dio; sicchè soddisfacciamo per essa a tutti i nostri doveri, che altrimenti non abbiamo speranza di poter soddisfare coll’offerta d’irragionevoli creature; ed anche perché per essa veniamo purificati da ogni sozzura, e dall’antica corruzione, e da ogni resto di animalità; sicché alla ragione il mal talento si assoggetti, la carne all’anima, e l’anima a Dio, siccome esige l’ordine della eterna giustizia, che è la somma ragione, la volontà divina. Chiediamo finalmente, che la sia accettevole, ed in essa, senza che guardi Dio ciò che in noi gli spiace, si compiaccia del Figlio suo; così che per Esso diveniamo accettevoli al suo cospetto. – « Affinchè sia fatto per noi Corpo e Sangue del dilettissimo vostro Figliuolo Signor nostro. » Fin qui abbiam fatto tutto che per noi fare sì possa: ora ci affrettiamo di pregar Dio d’intervenire coll’opera sua. Quando Abramo saliva sul Moria disposto a sacrificare a Dio il figliuolo Isacco, che gli portava le legna da abbruciare la vittima, « Padre, gli disse il buon figliuolo, ormai siamo sul monte, la legna è pronta, lì erigeremo l’altare; ma la vittima dov’è? » « Provvederalla Iddio, » rispose Abramo, e saliva sul monte a fare l’offerta (Gen.). Anche la Chiesa dice pel Sacerdote: « Signore, provvedeteci tal vittima, che basti per le colpe nostre e per la vostra grandezza. » Mentre colla coscienza che ci accusa, attendiamo paurosi che ci provveda Iddio, ci pare di sentire il profeta Isaia esclamare: « Ecco ci è nato un Pargolo, ci fu largito un Fi-glio; (Is. XIII, 9) » e ci si presenta al pensiero Maria col Bambino tra le braccia, che placando il Padre, con un sorriso a noi si volse in atto di dirci: « Sono vostro e farò Io per voi. » Ah! sei pur bella e cara, o Religione santa, che per riconciliarci col cielo intrometti tra noi e Dio una così tenera Madre ed un Pargoletto divino! Bene anche noi possiamo esclamare, allargando il cuore ad accoglierlo con tenerezza infinita: « Questo Bambino è proprio nato per noi: e ce lo avremo per tutto nostro qui sull’altare. » Ecco perché dice che: sia fatto per noi il Corpo e il Sangue (S. Tom. Suarez, pres. Ben. XIV): perché, come per l’onnipotenza di Dio si ha da rinnovar sull’altare il prodigio della verginale maternità, e misticamente il divin Figliuolo si ha da incarnare (Bossuet, loc. cit) ; così chiediamo che per la salute dell’anima nostra compia Esso il tenerissimo Mistero, e si trovi qui fra noi fattosi proprio quasi di nostra ragione, senza che i nostri peccati impediscano che sia nostro (Opuc. S. Bern. Sermo de excel. San. Sacra). –  Raccogliamo qui tutti i nostri pensieri, per comprendere, per quanto ci è dato, il Sacrificio.

Il sacrificio.

Qui è da ricordare ciò che abbiamo già detto nei preliminari di questo libro, come la santa Messa è propriamente Sacrificio; ed il Sacrificio è una offerta di cosa sensibile, fatta a Dio solo da un legittimo ministro con distruzione o cambiamento del modo di essere della cosa stessa, per attestare il supremo dominio di Dio sopra tutte le cose, e per dare soddisfazione dei peccati alla sua giustizia. Il sacrificio, diciamo, è qualche cosa di più che una semplice offerta, perché nel sacrificio la cosa offerta deve essere distrutta, o subire cambiamento di stato (Bened. XIV, De sacrif. Miss., lib, 2, c, 16). Distruggendo per tanto una creatura in onore di Dio, l’uomo dice al Signore: Io riconosco che Voi siete il padrone della vita e della morte, e di tutto ciò che ha esistenza, e che nelle vostre mani sta la sorte mia e quella di tutti. Nei sacrifici per lo più si uccide la vittima, e sono chiamati cruenti per quest’atto appunto di versare il sangue per espiare il peccato. Se l’uomo fosse rimasto innocente, non si sarebbero fatti sacrifici accompagnati dalla morte della vittima: poiché la morte, dice S. Paolo, non è entrata per noi nel mondo, se non per il peccato. Ma l’uomo, coll’aver peccato, essendosi reso degno di morte, aveva bisogno di fare sacrifici di sangue, nell’offrire i quali si gettasse ai piedi dell’altare di Dio in umiltà, per dirgli con questo atto: « Confesso che merito la morte, ma della vita non essendo io il padrone, vi presento in sostituzione della mia vita questa vittima che vi sacrifico. » Gli uomini peccatori adunque hanno bisogno di offrire sacrifici; è la coscienza che loro intima il dovere di affrettarsi a scannare vittime innanzi a Dio, in sostituzione ed a scampo della loro vita, già devota e sacra alla divina giustizia. Quindi le genti di tutte le nazioni del mondo si mostrarono persuase in ogni tempo, che senza effusione di sangue non si fa remissione di colpe (Hebr., XIX, 22). Ora quale doveva essere la vittima, e quale il sangue, che valesse a placare lo sdegno di Dio? Immaginiamoci qui, che quando stiamo in devoto raccoglimento nella magione di Dio, una mano di Sacerdoti, spalancate le sacre porte, spingesse fino nel più interno dei magnifici nostri santuari un gregge di pecore e di buoi! Poi il pontefice, di una scure armato e di un coltello, salito sopra l’augusto altare, menasse colpi sulle bestie trascinategli ai piedi e si mettesse a sgozzarle: e presa una manata di quel caldo sangue, con esso cospergesse l’altare e le pareti delle venerande basiliche, e non che altro, le nostre persone!…. Sarebbe questo uno spettacolo che ci irriterebbe i sensi, e ne resterebbe offesa la nostra sensibilità. Eppure si farebbe ciò solamente, che hanno sempre praticato i popoli dell’universo, anche i più colti: e basti nominare i Romani e i Greci (vedi Omero, III, Odissea. – Virg. L’Eneide), della cui cultura e civiltà sono ormai noiosi gli eterni vanti. Anche gli Ebrei per divino comando offrivano di tali vittime, e ponevano sull’altare del Dio vivente le carni, l’adipe, il sangue degli sviscerati animali (Nicolas. Studi filosofici; Sacrificio). Ma i sacrifici degli animali non potevano essere per se stessi a Dio graditi, né potevano avere virtù, se non perché rappresentavano in figura un Sacrificio ben più accettevole, e di merito, e di prezzo infinito. Questo aveva al popolo suo promesso Iddio, annunziando per mezzo dei profeti il Sacrificio del suo Figlio: ed i fedeli a Dio, salutandolo da lungi, lo anticipavano colla speranza, impetravano a quel culto di figura l’efficacia promessa, e desiderata realtà, sospirando il Sacrificio che Dio aveva promesso di dare ai fedeli da offrire. Così i sacrifici erano un misterioso adombramento di quel Sacrificio per eccellenza, che sul Calvario consumato, si doveva poi rinnovare nell’adorato Mistero della santa Messa (S. Joan. Chrys. hom. 49 in Io.). A mantenere viva codesta fede nel popolo d’Israele, destinato ad essere il gran custode delle verità rivelate, erano ordinate quattro sorta di sacrifici (Lev. C. 1 e segg. – S. Tomm., p. 3, quæs. 103. – Lamy, L. 3. De vet. Temp.). L’olocausto, in cui la vittima dal fuoco interamente si consumava, e si offriva per adorare il Signore; il sacrificio Pacifico, che offrivasi per ringraziarlo: il Propiziatorio, per espiare il peccato; l’Impetratorio, per ottenere grazie dal cielo. Intanto tutti questi sacrifici, per la sola fede nel Redentore venturo, traevano il loro merito e la virtù da quello di Gesù Cristo. Così quei fedeli della speranza venivano a dire nell’offrirli: « Questi sono quel tanto, che per noi si può offrirvi, o grande Iddio; verrà poi il Desiderato nostro, che vi offrirà il Sacrificio che basti per tutti, e sia al tutto degno di voi. » E venne a compiere il cotanto necessario gran Sacrificio Gesù Cristo, Vittima e Pontefice eterno, per noi offrendo se stesso a morte in croce (Conc. Lateran. IV, cap. De fide catt.). Ora nella santa Messa si ripete il medesimo Sacrificio, e solo è diverso il modo con cui si offre (Conc. Trid. Sess, 22, c. 2). Così, come nel Sacrificio della croce è il prezzo del nostro riscatto; nel Sacrificio dell’altare è l’applicazione che se ne fa a noi (S. Thom. In cap. 6, Ioan. Lectio 6). Oh! sì veramente a questo fine poteva giungere l’amore di Dio, che seppe morire per noi … in fine dilexit eos! Ma qui sulla soglia dell’altare, nel più santo e tremendo istante, raccogliamo i nostri poveri pensieri; ne resterà soddisfatta come speriamo, questa meschina di ragione umana, che barcolla tra gli abissi di tanti misteri. Perché il Sacrificio divino, 1° spiega il mistero, che è il più gran mistero, di tutte le religioni; 2° rivela la essenziale bontà ch’è Dio, nel salvare gli uomini.

1. Il mistero di tutte le credenze è spiegato.

Qui, e fin dal principio dell’opera, abbiamo osservato:

1° Che tutta l’umanità sente il bisogno di offrire sacrificio a Dio e vittima per lo peccato.

2° La vittima poi sempre si è voluto, che sia tutt’altro che il colpevole, e pura ed umana al possibile. Per questo quasi dovunque si offrivano degli animali i primi nati, i più belli, i domestici sempre, gli agnelli sovente, simboli dell’innocenza.

3° Della vittima velevasi proprio versare il sangue nell’atto del sacrificio.

4° Della vittima, se si consumava una parte, l’altra parte tuttavia gli offerenti se la volevano mangiare.

Per soddisfare questo bisogno, qual cosa potevano presentare sugli altari?. Degli animali! Seppure questo vivo bisogno nelle bordaglie degli inferociti non diventava furore, da scannarvi sopra le persone migliori, che per loro avere si potessero! … Qual mistero qui!… Osserviamo che quanto più è universalmente sentito il bisogno da tutto il genere umano, tanto più sembrano irragionevoli i mezzi con cui si cerca appagare questo bisogno, di placare Dio collo scannare vittime, poi di voler pigliarsi una parte della vittima per mangiarsela. Infatti, si potrebbero a tutti quei popoli far queste quattro domande: La prima: se gli uomini si sentivano colpevoli, quali meriti al perdono pretendono trovare in una vittima scannata per forza, e tal volta con un nuovo orribile delitto, come nei sacrifici umani? – Le seconda: se la vittima valesse per una qualche cosa innanzi a Dio; per qual ragione pretendevano i colpevoli attribuirsi, e pigliarsi per sé i meriti della povera vittima, sacrificata talora con tanto di crudeltà? – La terza: non poteva forse che volessero imputare Dio di crudeltà per questa esigenza di vittime; quasi che Dio non si fosse altrimenti placato, né potesse la sua bontà manifestarsi, senza la distruzione delle creature? – La quarta: quale bisogno, anzi ardimento di mangiarsi parte della vittima offerta? Qui noi domandiamo: Quale risposta potrebbero dare le genti, per mostrare di aver in tanti sacrifici con ragione operato? La ragione umana, piuttosto che sapere rispondere, si adonta e ripugna a questa pratica, che il genere umano volle nel mondo universo mantenere con perseveranza ostinata. Piuttosto ella stessa la ragione incantata dovrebbe domandare: « E chi o genti così svariate, mise in fondo del cuore a voi tutte questa voglia universale di scannare tante povere vittime? » Se i popoli non sapessero rispondere, sappiamo noi dare la bella risposta. È la bontà di Dio! Sì, la bontà di Dio, che mentre rivelava la sua giustizia infinita, per non mancare a se stessa, reclamava una soddisfazione infinita; e mentre vedeva che gli uomini, nella loro miseria non la potevano dare, promise agli uomini, ancor raccolti nella primitiva famiglia, prima che si disperdessero sulla superficie del pianeta, che v’avrebbe provveduto col sacrificio di se stessa questa essenziale bontà!… Ah! d’allora lo sospirarono sempre le genti dell’universo!… e si affannavano intanto incessanti a far sacrifici. Questi sacrifici poi dispiacevano e piacevano a Dio: dispiacevano, se gli si offrivano per la loro realtà, quasi che ne abbisognasse Egli stesso: ma gli piacevano nella figura che rappresentavano. « Non mi piacciono i vostri doni (disse il Signore per Malachia): da dove sorge, fino là dove tramonta il sole, grande è il mio Nome, e al mio Nome si sacrifica e si offre una monda Oblazione » (Nal. X, 11). Ma quale, e dove è questa monda oblazione?… Oh! sentite, sentite: da dove sorge fin dove tramonta il sole s’innalza un cantico, è il cantico della nuova umanità che in tutte le Messe acclama: « È Santo, Santo, Santo, l’Altissimo, il Monarca eterno dell’universo, e per Lui ecco la monda oblazione, benedetto Chi viene a noi mandato da Dio? Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati non dell’uno, o dell’altro popolo; ma del mondo universo. Ecco l’Agnello di Dio, che l’Apostolo dell’amore vide in visione essere sacrificato fin dal principio. Ecco l’Agnello di Dio, che rompe i sigilli del gran mistero dell’umanità: mette in armonia il cielo colla terra: dona la pace agli uomini di buona volontà » Poiché e che cosa vogliono gli uomini, per aver la pace con Dio? Vogliono una vittima degna di Dio?.. Ecco l’Agnello di Dio: la vittima pura; santissima, se la cava Dio stesso dal suo seno: è essa il Figlio suo, a cui ha dato un corpo in terra, ed egli grida: Vengo ad offrirvelo in sacrificio. – Vogliono versare sangue a placare la giustizia di Dio? Ecco l’Agnello di Dio, che per mostrare quanto è grande giustizia divina, effonde il suo Sangue per redimere i peccati e trova in cielo la redenzione. – Vogliono una vittima che abbia meriti da parteciparvi? Ecco l’Agnello di Dio: ma che pure è di nostra ragione: Gesù è carne della nostra carne: partecipiamo adunque in Gesù Cristo dei suoi meriti. Su, su, noi meschinelli di uomini! Non ci resta altro a fare, che unire il nostro al Sacrificio divino, crocifiggere la nostra carne in Lui, attaccarci a Lui colla grazia, Pontefice eterno, Vittima che non muore, Dio con Dio, uomo con noi: e noi unendo il sacrificio della nostra carne coll’Agnello, su, su, con fiducia ritorniamo alla grazia, al trono di Dio; e in Dio troveremo tutto il nostro bene. Adoriamo! Il cielo si abbassa alla terra; i beati l’adorano con noi prostrati in Paradiso: e noi grideremo, che qui vediamo nella grandezza della giustizia eterna il trionfo della divina bontà. Vidimus gloriam eius: Deo gratias! –  È così; il sacrificio della santa Messa è il tuttoper la salvezza dell’umanità.L’umanità lo ha compreso. Daniele profeta l’avevaavvisata, che quando il Cristo sarà ucciso …i sacrifici saranno aboliti. Cessarono di fatto nel tempiosanto; cessarono nei templi pagani. Plinio fin dal principio dell’era cristiana si lamentava coll’imperatoreTraiano, che neppure i pagani non sì curasserodelle vittime più; e sei protestanti abolironola Messa, a rischio di mostrarsi una mostruosa eccezione tra i popoli dell’universo, resteranno senzasacrificio. La profezia di Daniele sul sacrificio delMessia divino è un fatto Mondiale.Buon Dio! .. Qui a noi in contemplazione di cosìalto mistero pare che piova uno splendore di misticaluce, per cui ci è dato di scorgere traccedella verità cattolica in fondo a tutte le religioni,di cui un barlume di luce fosforica ondeggia sullasuperficie dei falsi culti. Faremo di spiegarlo.Bene, il Verbo di Dio, che illumina ogni uomo,nella religione primitiva alla prima famiglia umanarivelò il vero cattolico: ma il diluvio, dai mali spiritiscatenato, dentro il tenebrore dell’ignoranza edella corruzione, rovinò il grande edificio della credenza universale, e vi gettò in mezzo quel putridume delle laide superstizioni. Pur tra mezzo a quella rovina restarono ruderi ammirandi, che accennano alla grandezza del rovinato edifizio; e Dio, perché non mancasse del tutto agli uomini la verità, in mezzo a quell’ondeggiar sconvolto di errori, mantenne fermo un monumento, in cui stanno scolpite in un bronzo indistruttibile le primarie verità cattoliche. Eccole: un Dio creatore da adorare; l’uomo decaduto per il peccato; un mediatore, che riconcilia gli uomini con Dio, senza di cui resterebbero di ogni bene per sempre diseredati. Adunque le principali verità cattoliche stanno scolpite, e si leggono chiaramente nel Sacrificio, è il Sacrificio praticato in tutte le religioni del mondo è come il bronzo, che le conserva incancellabili. In vero, se le nazioni in tutte le religioni fanno sacrificio alla Divinità, e cercano placarla col sangue, lo fanno perché sperano di riconciliarsi con essa: e se si gettano sugli altari a mangiare della vittima deposta quasi come in seno alla Divinità, sperano di trovare in essa tutto il loro bene. Hanno dunque in confuso le stesse credenze, che sì trovano divinamente spiegate nella sola Religione cattolica. – Deh! quale consolazione per un Cattolico, potere dire coscienziosamente con la più alta ragione: « Grazie a Dio! Io possiedo in tutta la sua bella interezza la verità, di cui si vedono gli avanzi in tutte le false religioni. » Così tutti i popoli in religione dissenzienti, a parte a parte, a dispetto delle loro contraddizioni, presentano una porzione di verità in conferma della Religione cattolica: e mostrano il bisogno di essere ristorati nel culto, che splende solo degno di Dio NEL SACRIFICIO DELLA SANTA MESSA. – Qui noi, si, vogliamo gridare d’appiè dell’altare: « Su via, Turchi, Bramini, Buddisti, Feticisti, Idolatri dell’Africa, dell’America, dell’Oceania, voi come i Greci e Romani, e tutti i pagani antichi e moderni, ecché volete ottenere con tanti vostri sacrifici? … quello che volete, si trova solo nella Santa Messa. »

LO SCUDO DELLA FEDE (245)

LO SCUDO DELLA FEDE (245)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (14)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

Orazione: Communicantes.

« Noi comunicando, e prima di tutto venerando la memoria di Maria sempre vergine, gloriosa Madre di Dio e nostro Signor Gesù Cristo, come pure dei beati vostri Apostoli e martiri Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone, Taddeo, Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Lorenzo, Grisogono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano, e di tutti i vostri santi: Deh! pei meriti e le preghiere loro concedete, che noi in tutte le cose veniamo muniti dell’aiuto di vostra protezione (qui giunge le mani e continua): Pel medesimo Gesù Cristo, Signor nostro. Così sia. »

Spiegazione dell’orazione: Communicantes.

La Chiesa in terra e in cielo è una sola famiglia. L’altare toglie via l’abisso che separa il cielo dalla terra, ed è come un ponte, per cui i fedeli dal tempo salgono all’eternità, e si mettono in società coi Beati comprensori del paradiso. Di qui, contemplando i loro fratelli in eterna beatitudine, questi figliuoli della Chiesa in battaglia pigliano conforto nel veder tale porzione del loro corpo già coronato in quella gloria infinita: e come membra della stessa famiglia, partecipano col cuore della beatitudine loro. Dall’altare ricordando poi le vicende della vita, in cui si trovarono anch’essi quei felicissimi, dal loro esempio pigliando conforto, insieme con loro rendono grazie a Gesù, comune Salvatore. Così mentre i fedeli in terra ricordano appié della croce coi meriti di Gesù i meriti dei Santi; i Santi sicuri della propria beatitudine, solleciti della nostra sorte come dice s. Cipriano s’affrettano di chiedere in cielo a Dio, che la virtù del suo Sangue quegli stessi prodigi di grazia, che ha già operato per la loro felicità, rinnovi pei fratelli in via; e questi dal canto loro presentano in questa azione, pei doni, che a quelli ha dato, ringraziamento degno di Dio. – Grande consolazione è questa comunione dei Santi! Per essa i fedeli, quando si sollevano coll’anima in cielo, si trovano in quella così lontana regione in mezzo a protettori ed amici, che si fanno premura di presentarsi con loro al trono di Dio per intercedere insieme: solleciti della nostra sorte, come diciamo con s. Cipriano. Il Sacerdote fra quell’immensa schiera di Beati in tanta gloria, non potendo nominarli tutti, (come si suol fare, quando uom si trova fra moltissimi cari in terra) chiama per nome coloro, che hanno titoli particolari per meritare la nostra confidenza. Deh! fra quei Beati, chi prima d’ogni altro dovrà rimemorare? …… In paradiso più dei Cherubini e dei Serafini, e senza paragone più di tutti i Beati, contempla gloriosa Maria in seno alla Santissima Trinità, e subito le corre innanzi con cuor di figlio, perché Maria è Madre.

Maria è Madre. Oh! qui non sono a dir molte parole, per spiegareperché il Sacerdote in cielo elevato cerca subito la Regina del cielo. Col cuore che batte sìvivo in quella pienezza d’inesprimibili affetti, abbiamobisogno di un cuore che c’intenda, di uncuore che ci voglia il maggior bene ed ami connoi Iddio, come sentiamo di doverlo amare, divinamente.Perciò il nostro cuore si slancia al Cuordi Maria: anche i bambini si gettano in seno allamadre per stringersi al cuore di lei. No, non citroviam meglio che quando noi siam tra le bracciadi Maria a parlare con Dio: perché Maria èMadre. Quando pendeva in croce Gesù, il Sanguepioveva giù dalla testa, grondava giù dalle mani,scorreva giù dai piedi santissimi; e Maria stavasotto la croce, e il caldo Sangue di Gesù cadevasul volto, sulle vesti, sulle mani benedette di MariaSantissima: e Gesù, quando si vide lì sotto allacroce tutta bagnata di Sangue la sua Madre, ce ladiede per Madre nostra (S. Ephrem, Or. de Laur. vir.). Ora Maria dal cielo guarda noi all’altare intorno a Gesù: e da Gesù in Sacramento viene in noi il Sangue, che vorremmo dir Sangue di Lei: perché Gesù è Figlio del suo Sangue…… Ah si, sì senz’altra ragione lo comprendiamo nel cuore, che Maria ci guarda, come figliuoli del suo Sangue! Madre divina! Ella contempla in paradiso nello splendore della Divinità il Figlio suo in seno al Padre, e guarda noi in terra in tante miserie, poverini di figli! lì lì per perderci ad ora ad ora. « Oh! Figliuol mio, gli dice, è Sangue nostro in quei meschinelli. » Contempla poi nel Figlio le Piaghe gloriose, e « Figliuol mio, gli dirà, queste Piaghe vostre io ho sofferte nel mio cuore! » e guarda le piaghe nostre, e gli deve dire: « mi par di sentirle nella mia persona: son Madre vostra, Madre anche di loro », e mirando nel Costato ancora aperto: « mio Gesù, esclama, questa ferita poi l’ho sentita tutta io sola nel cuore mio: salvatemi i figli di tanto dolore! » Pensiamo se in terra una madre fosse così fortunata, che avesse il figlio suo primogenito per ventura diventato re sul più gran trono del mondo; e poi avesse gli altri suoi figliolini, dispersi per la terra, in abbietta miseria; chi, chi vorrà al figlio suo in tanta gloria raccomandare, se non i figliuoli suoi poverini? Ah! consoliamoci, ché abbiamo in cielo la Madre, che è la Madre di Dio (Di Napoleone si racconta (come il buon capitano di Tebe Epaminonda godeva d’ogni vittoria per la consolazione che ne avrebbe avuto la madre) che d’ogni nuova conquista voleva portare egli la novella alla madre sua Letizia; per godere della materna consolazione, e che la madre gli rispondeva sempre con un sospiro: « Ne godo, ma i vostri fratelli ?…..; » e che pur finalmente le dicesse Napoleone: « Mamma, per compiacervi, uno lo farò re di Spagna, poi l’altro re di Portogallo, poi l’altro re di Wesfalia, e regina d’Etruria la sorella » e che allora la madre con un largo sospiro gli rispondesse: La madre vostra è felice! »). Le madri sono sempre madri, anche coi figliuoli che siano stati cattivi: e se mai un figliuolo ravveduto non ardisse di presentarsi al padre, buono sì, ma tanto sdegnato; tra un padre e un figliuolo cattivo, che vuol farsi buono, in sulla soglia, chi si intromette a far pace?… Lasciate fare alla madre. Ella dirà al padre: « avete ragione, fu cattivo quel meschinello…. » Ma intanto va dietro al padre, e mette mano nel forziere, e piglia una manata d’oro (il padre finge di non vederla!) e va sulla porta al figlio e, « to’, gli dice, paga i debiti tuoi, perché ti salvi in onore; » e per giunta lo bacia e gli piange sul volto! Si, veramente l’amor di madre rende immagine dell’amor di Dio! Amor generoso, cresce più quanto è maggiore il dolore che le costa il figlio. Adunque per tutte le ragioni il Cuor di Maria è, dopo il Cuor di Gesù, il rifugio dei peccatori. Ella è Madre! – Il Sacerdote contempla questa Madre in paradiso, l’ama, la benedice; e le si getta in cuore per dirle: « o Maria SS., Madre di Dio, e Madre nostra, da tanta altezza ben conoscerete in questa povera terra i vostri figli! Vedeteci chiamati qui a rinnovare il prodigio, che si operò in voi, Vergine SS., benedetta Madre di Dio. In mezzo a noi deve scendere il vostro Figliuolo divino; ed io Sacerdote devo prestargli in persona quei servigi e ministeri, che voi prestavate a lui Bambino in confidenza di madre; poi tutti noi dobbiamo, come voi, riceverlo in seno ora, che vuole per noi sacrificarsi, come là sulla croce. Santissima Madre, vi avete ben dunque voi il vostro interesse a farci santi, e a darci in prestanza le vostre virtù, per prepararci. » La Regina del paradiso dal trono di Dio, in cui siede coronata di stelle immortali, abbasserà lo sguardo rivolta a noi; e scorgendoci, come siamo, intorno all’altare, rigenerati dal Sangue di Gesù Cristo, penserà quanti le costammo dolori, quando appiè della croce ci ricevette per figliuoli dal Figliuol suo morente. E pare a noi, che dovrà esclamare: « son proprio dessi i miei figliuoli costoro, perché in essi è il Sangue di Voi, o mio Gesù: sì sono essi figliuoli dei miei dolori! » – La Religione cattolica non è una idea astratta, ma è la verità divina, che s’incarna in noi e con noi si umanizza: non distrugge le relazioni che abbiamo tra noi in terra come fratelli della gran famiglia, ma di più santo amor fraterno ci unisce coi fratelli in paradiso. Ah! I  protestanti, quando negano la divozione ai Santi, col voler vantarsi razionalisti cessano di essere umani! Eh! Ci vuol tanto a capire che i Beati in paradiso, così vicini a Dio, hanno da pregare per noi e rispondere alle nostre preghiere con le grazie ottenute! Ecco come la Chiesa prega i Santi. Nell’invocarli ricorda le relazioni particolari ch’ebbero in terra, e mantengono vive in cielo. Questa è la ragione dello sceglierci, che facciamo, i Prottettori particolari dei paesi, delle comunità, delle famiglie, e di ciascuno di noi. Quindi, dopo Maria, invoca il Sacerdote ad uno ad uno i santi Apostoli: Pietro, che della Chiesa è pietra fondamentale; Paolo, il suo gran maestro; gli altri Apostoli, che ne sono colonne. Essi tramandarono a noi questo gran Sacrificio, essi versarono il sangue per innalzare gli altari, su cui offrirlo: essi ce ne fecero precetto (1 Cor. XI, 23) e qui siamo appunto per eseguirlo. Invoca tanti Pontefici e Martiri; i Pontefici, che sostennero colla loro immancabile fede la Chiesa; i Martiri, che la difesero col sangue, lasciando le lor vite appiè della croce, come tanti trofei della Religione divina. Invoca tutti i Santi. E noi così poveri in quella società, preghiamoli, che ci compartano dei loro meriti: e colle preghiere loro all’uopo nostro ci impetrino forza da poter giungere a compiere il numero degli eletti, che faranno corona eterna a Dio in Paradiso. Chiedesi adunque qui, che il sacrificio, già per se stesso accettevole, sia gradito anche per i meriti loro (Bossuet, Expl. de quelq. diffic. sur les priéres de la Messe.). Il Sacerdote invocati i Santi, congiunge le mani, come per attaccarsi alla croce, e dire: « O Santi! da questo divin Redentore viene tutta la vostra giustizia e santità; ai patimenti e meriti suoi uniamo qui i patimenti e meriti vostri; e dallo stesso ancora offerto per noi, speriamo la grazia della vittoria nel tempo, e la corona nell’eternità gloriosa. » Che gaudio pei Beati vedere presentati i meriti loro insieme col Sacrificio divino! Così appiè di Gesù crocifisso si abbracciano coi Beati i fedeli, si bacian dell’animo; e col gaudio di quelli comunican questi le loro speranze, e già all’altare si preparano alle nozze, che celebreranno eterne coll’Agnello immacolato in Paradiso. Il Sacerdote poi stende le mani coi pollici in croce sopra l’offerta, e dice: Hanc igitur oblationem, etc.

Art. II.

Orazione seconda:

Hanc igitur oblationem.

« Quest’oblazione adunque della nostra servitù, e di tutta la famiglia vostra, Vi preghiamo, Signore, di ricevere placato, e di disporre nella vostra pace i nostri giorni, e di scamparci dalla dannazione eterna, e di concedere che veniamo annoverati cogli eletti vostri, (qui giunge le mani) per Cristo Signor nostro: Così sia. »

Esposizione.

Egli è questo forse della Messa il più terribile momento. Ecco il sacerdote, che stende le mani legate coi pollici in croce sopra l’offerta. Per intendere il qual rito, è da ricordare ciò, che si faceva per ordine di Dio nella legge antica in figura. Quando si offriva un sacrificio per i peccati, si conduceva la vittima innanzi al Tabernacolo (Levit, 4, 8.1); ed il sacerdote vi stendeva sopra le mani. Con questo stender le mani, dice Bossuet (De orat. Miss.), S’indicava che il sacerdote s’univa alla vittima per offrirsi con essa a Dio. Il Sacerdote adunque, ad imitazione di tal rito, collo stender le mani sull’offerta, che sta per divenire Corpo e Sangue del Redentore, se stesso col popolo offre, e si mette colle mani legate insieme a Gesù sulla mistica croce, chiedendo per Esso la rimessione dei peccati, la pace per la vita presente e la gloria della futura (Ant. De opt. aud. Miss. orat. pres. — Ben. XIV, lib. 2, cap. 13). Seppure non si vuol accennare ad un rito di più terribile significazione. Giova esporlo qui: fa gran senso! Nel gran tempio del Signore, in Gerusalemme, si menava innanzi all’altare un capro: e sopra quel capro il pontefice degli Ebrei stendeva ambe le mani, e confessando tutte le iniquità dei figliuoli d’Israele, sopra la testa di quello le scaricava tutte, imprecando sopra di esso tutti i castighi e le maledizioni, che si meritavano quei peccatori. Poi si ributtava con ribrezzo dall’altare quel capro, e battendolo si spingeva fuori a morir nel deserto (Lev. XVI, 21). E che poteva mai significare quel capro emissario?… Per poco non ci basta l’animo, e ci trema il cuore nel ricordar la spiegazione, che ne danno alcuni Padri (Teod. h. Hieron. Auct. ep. con Paul. Samos : vedi Dei Sacr. ecc. del Card. Tadini, benché egli creda il capro emissario significhi il genere umano. Noi non concordiamo con lui). Quel capro così maledetto voleva figurare… Gesù Cristo!… Né ardiremmo pronunziarlo, se non avesse detto il profeta Isaia (LIII, 6), che pose in Lui Iddio l’iniquità di tutti noi, e che Egli dovette portare le nostre ingiustizie (LIII, 11): aggiungendo s. Paolo, che Egli diede se stesso a redenzione per tutti (1 ad Tim. II, 6), e s’offrì per togliere i peccati di molti (Hebr. IX, 28) fattosi maledetto Egli stesso (Gal. III, 13), e come tale buttato fuori dalle mura della città a morir per i nostri peccati (Hebr. XIII, 12). Noi qui c’immagineremo di vedere Gesù là nell’ orto di Getsemani per cominciare la sua passione in quella notte, in cui tradide in mortem animam suam et cui sceleratis reputatus est: quando cioè si venne ad offrire alla morte come uomo, che portassei delitti di tutti. Egli si prostrò davanti al Padresuo, e par dicesse: « Con questi meschinelli di uominieccomi uomo anch’io; eglino sono i miei fratellidi sangue…… io sono di loro…… e faccio causacomune con loro… pago io per la mia famiglia…Voi mi avete dato un corpo; ecco che vengo adoffrirvelo per i peccati di tutti….. ricadano sopradi me tutti i peccati… scaricate sopra di mei castighiper lor preparati… Via dall’altare del Diovivente le carni di bestie morte in sacrifizio……..Questi sciagurati in carne e sangue da uomo hannooffeso Voi, Grand’Iddio; ecco Io soddisferò per loroin Carne e Sangue da Dio. » Colla sua mente divinavedendo in ogni tempo di ciascuno ogni peccato,se li raccoglie tutti sul cuore, come se reo nefosse Egli solo: e, misurandone la tremenda enormitàdalla Maestà di Dio offesa, così come se nesentiva gravato Egli stesso, inorridì, fremette; unbrivido gli corse per le vene, e spinse il Sangue alCuore; e il Cuore, stretto in quella pressura ditremendo orrore, respinse il Sangue ancor per levene (Vence Bibl. Sac. Dissert. sul sudor di Sangue di G. C. di Aliot.): e Gesù in quell’angoscia cadeva per terra agonizzante. Fu allora, che in quell’abbandono della vita, cedendo l’eretismo della cute, il Sangue dal Cuore nelle vene respinto, tra i pori di essa s’apri la via, ed esciì di Sangue così profuso sudore, che ne grondava il volto, e la persona, e giù per le vesti scorreva per terra. Deh! Contempliamo Gesù Cristo cogli occhi allargati tutto bagnato di Sangue, boccheggiante in agonia, quasi fissi lo sguardo in volto a noi in quello spasimo e dica: « Intendete che cosa sia il peccato! mi fa sudar Sangue in agonia, e mi spinge a morte. Pregate sempre per non peccar più. » Levossi in piedi e si diede in mano ai Giudei, che lo batterono, e tutto lacero lo spinsero a morir fuori delle mura di Gerusalemme sul Calvario. Noi, picchiandoci il petto col più gran dolore, affrettiamoci di porci tremando coi nostri peccati a piè dell’altare, dove Gesù Cristo se li vuol addossare, affinché Dio si plachi rammentando i colpi, che già per la nostra redenzione e per la punizione e remissione del peccato si scaricarono sul Figlio, o meglio, affinché veda ancora il Figlio suo sacrificato dinanzi; e dal suo sdegno per Esso ci scampi. – Ora conosciuta la mistica significazione del rito, passiamo a considerare il modo eseguito dal Sacerdote protendente le mani in quell’atto, che noi con lui congiunge. Ecco poi perché si congiungono le mani. Siccome le vittime si strascinavano legate ai piedi delle are, dove si dovevano immolare; così il Sacerdote sta col popolo prostrato innanzi all’altare colle mani legate dai due pollici in forma di croce; quale reo dai vincoli stretto si confessa in peccato, e si dà nelle mani di Dio, come vittima sacra alla sua giustizia. In questo atto, di qui d’appié della croce getta uno sguardo nell’abisso d’inferno, che si vede spalancato sotto dei piedi: si slancia ad abbracciarsi alla croce; e mette tal grido di speranza e terrore: « Oh tremendo Iddio! ecco la povera vostra famiglia! Per noi Gesù vi placa coll’offrire se stesso! Vorrete perdere i figli comperati col Sangue del vostro Figlio divino? Deh per Gesù (qui giunge le mani per attaccarsi strettamente a Lui crocifisso) salvateci dalla dannazione meritata dai nostri peccati, e consolateci colla vostra pace; strappateci di bocca all’inferno, e portateci in union con Esso, a farvi, cogli eletti corona in cielo. » Noi passiamo a dare tradotta la terza orazione, prima di commentarla., perché si legga bene: affinché si possano gustare nell’intimo del cuore colla tenerezza della propria pietà, ben più che non possiam noi fare comprendere colle povere nostre parole, i sentimenti al tutto divini ch’essa inspira.

LO SCUDO DELLA FEDE (244)

LO SCUDO DELLA FEDE (244)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (13)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

ART. II

LA CHIESA.

La Chiesa è la congregazione di tutti i fedeli, i quali professano la medesima fede e legge di Gesù Cristo, partecipano dei medesimi Sacramenti, sotto la condotta dei legittimi pastori, e l’ubbidienza del sommo Pontefice Romano. È la società degli uomini con Dio riconciliati per Gesù Cristo. Questa società è destinata a compiere il numero degli eletti in Paradiso, essendo ella il mezzo scelto da Dio per far trionfare la sua gloria e la sua bontà. Avendo Iddio creato l’universo pel trionfo della sua gloria e per isfogo della sua bontà, ne consegue, come dice s. Epifanio con energica espressione, che principio di tutte le cose è la Chiesa cattolica; e fine è il numero degli eletti da lei condotti in Paradiso. Ordinata così da Gesù Cristo, è incaricata da Lui di propagare la verità, le grazie, le virtù. La verità, contenendo il deposito dei sacri dogmi ad essa confidati, e predicandoli continuamente, per sempre, in tutte le parti dell’universo: le grazie traendole da Dio coll’oblazione del Sacrificio, e comunicandole agli uomini coll’amministrare loro i Sacramenti: le virtù col condurre gli uomini a far tutto a gloria di Dio, secondo i precetti della dottrina divina. Per questo divino ministero è detta nella Tradizione « ancella del Signore, » (S. August. in Ps. 88, cont. 2.) incaricata che la è del servizio divino: e s. Agostino la chiama tabernacolo della Divinità: vero trono di Dio in sulla terra la dice s. Pietro Damiano (Op. 6, ad Henric. Ar.): tempio e sacrario della Divinità la saluta s. Ambrogio (Lib. 3 Hexam. cap. 1). Così ella, essendo unita con Dio, e Dio affidandole i tesori, che vuol partecipare agli uomini, tiene in mano tutti i sacri carismi, ossia è padrona e dispensiera di tutte le grazie, e forma sulla terra la vera corona di Dio (S. Hier. in Psal. 20.). Tutti questi doni poi derivano nella Chiesa da Gesù Cristo, che non solamente l’ha lavata, e rigenerata col suo Sangue, ma eziandio si è unito a lei come capo di questa società, di cui i fedeli sono le membra, ed ha promesso di star con essa indivisibile, come il capo non si può dividere più dalle altre membra del corpo (S. August. in Ps. 44, con. 2.). Questo gran Capo in cielo, Gesù, sta nella Chiesa, anche in terra sempre personalmente, e realmente frammischiato ai fedeli nel SS. Sacramento. Oggetto delle compiacenze divine in mezzo agli uomini, tira sopra essi tutto il cuor del Padre. Per il che il Padre divino, guardandolo qui, (se ci è permesso di dir cose divine in modo umano) par che dir debba: « Là è il Figliuol mio Unigenito, là fra le membra che si ha formate in terra Io l’amo e per Lui amo tutte le membra che ha seco incorporate.» La Chiesa poi a Gesù tenendosi abbracciata in sull’altare, può dire a Dio in certo qual modo come sposa Divina: « qui siete Voi, mio Dio: e siete Voi carne della mia carne, ossa delle mie ossa, e nessuno mi potrà mai più separare da Voi. » Così a lui unita trae dal suo Costato la virtù di generare dal suo Sangue figliuoli pel paradiso all’eterno Padre. Ecco adunque la Chiesa, vergine casta di corpo, madre feconda di figli, immagine della città eterna (S. August. De unitate Eccl. cap. 4.), vera meraviglia di Dio in sulla terra. Ora il Sacerdote, sollevato in sulla terra fra le braccia di questa sposa, come tutta la famiglia, di cui ella è madre in terra, e padre è Dio in cielo; egli sa che, come le compiacenze del Padre son riposte nel Figlio suo Gesù, così le compiacenze di Gesù sono riposte nei fedeli, che compongono il suo Corpo, anzi il suo più caro corpo (S. Bernard. Serm. 12, in Cant.), che è la Chiesa; e trovandosi così tra le braccia della Chiesa e quelle di Dio, sente il bisogno di raccomandargli cotesta Sposa di Lui e madre sua, e lo supplica, affinché per quei sacrifici accettevoli, che gli vien ad offrire, si degni purificare, custodire, adunare e reggere per tutto il mondo la Chiesa cattolica insieme col suo servo, Papa nostro, col Vescovo e con tutti i fedeli. Raccomanda il romano Pontefice; poiché la Chiesa, nello stato di quaggiù, è fondata sopra una Pietra, contro la quale non possono prevalere le forze d’inferno: cioè sopra il capo degli Apostoli, che è s. Pietro, e sopra i romani Pontefici, suoi successori, supremi vicari di Gesù Cristo in terra. E sapendo per divina rivelazione, che, per beneplacito del divino Fondatore, questa Chiesa del romano Pontefice fu scelta in modo da non venir meno giammai, essendo così diventata per l’elezione come il fondamento e la parte essenziale della Chiesa universale; perciò raccomandando il Pontefice, raccomanda il capo, che è la parte principale del corpo.

(Nell’istante in cui stampiamo queste pagine (prima edizione an. 1855), ci giunge l’infallibile decreto dogmatico del S. P. Pio IX, che dà il Dogma dell’Immacolata Concezione. Con la pienezza del giubilo pel trionfo di Maria SS. noi acclamiamo pure il trionfo del Sommo Pontefice. – Noi pigliavamo ed esporre le nostre idee, quando ci giunse il fascicolo del periodico della Civiltà Cattolica, anno sesto, n. CXVII  seconda serie, vol. 9, in cui troviamo nell’Articolo l’Assemblea Cattolica e le assemblee eterodosse esposto con molta dottrina e lucidezza il meditato nostro concetto. Rimandando a quello il lettore, esponiamo qui brevemente questi pensieri. Il Pontefice pronuncia il Decreto; e la infallibile parola colla rapidità del baleno diffonde la fede in tutte le parti dell’universo. Le luminarie sembrano sull’istante dal telegrafo elettrico trasportate in un attimo dalla cupola di san Pietro per tutte le città, fino nel più piccolo contado al tugurio del povero, che fa festa dinanzi l’immaginetta di Maria Santissima. Dovunque è gioia e tripudio e festa pur non comandata. Il Pontefice ha parlato, e la sua parola è un lampo che rischiara tutte le menti di un medesimo Vero. Ecco ogni ginocchio è piegato, ogni voce è concorde, ogni sospiro unanime, e nell’unità di quei concenti armonici maestosamente dominante l’oracolo del successore di s. Pietro, che quasi non sai se segua il dettato tradizionale della Chiesa, o imponga alla Chiesa il dettato di s. Pietro. Il Pontefice parla ripetendo il domma, che da diciotto secoli si serba per tutte le vie delle generazioni novelle, e la Chiesa è certa di quel domma, perché l’oracolo del Vaticano lo assicura. – È vero, Egli ha consultato le Chiese dell’universo ; e i Vescovi dell’orbe cattolico portaron seco al Pontefice le credenze delle loro Chiese: ma confessavano che a crederlo di fede, aspettavano la parola del Pontefice che lo dichiarasse. L’ha pronunciata la parola infallibile quel labbro, che ha l’impronta della divinità; ogni intelletto crede, come ogni cuore adora. L’universo proclama quella parola come voce di Dio. Noi crediamo evidente questa conseguenza, come è evidente l’assioma, che dal fatto provato deduce la potenza di chi l’ha prodotto; e il fatto ha dimostrato che il Sommo Pontefice col suo oracolo INFALLIBILE dichiara e salda la fede in tutta la Chiesa cattolica. Questa adunque confessa di credere INFALLIBILE questo oracolo. L’infallibilità poi del Papa fu definita come dogma nel Concilio Vaticano.).

 Poi raccomanda i Vescovi, posti dal Signore a reggere le varie altre porzioni e membra, vere, e pastori delle anime, guardie del campo di Dio e duci del suo popolo santo, cui Costantino il Grande chiamava custodi dell’anima sua. Raccomanda, come s. Paolo esorta scrivendo agli Ebrei, ed al suo Timoteo, anche i re col loro nome particolare, dov’è concesso. Ben era edificante la carità dei primi Cristiani, che perseguitati a morte, celebrando nei sotterranei, pregavano, (come attestano Tertulliano, Origene e Dionisio) per la pace e prosperità, per le vittorie dei re tiranni. Ora con egual fervore la Chiesa raccomanda i re cattolici e i potenti della terra; affinché cerchino la felicità dei popoli, e la salute propria come buoni figliuoli in seno alla madre Chiesa; se pur non vogliano tradire i popoli a loro affidati col perdersi insieme con essi, e gettarsi a rovina fuori delle braccia di questa madre celeste. – Finalmente fin qui (dice il Cardinal Bellarmino) il Sacerdote ebbe pregato per tutti questi in modo particolare: convien pur ora che raccomandi tutti i fedeli nell’unità della Chiesa; e lo fa col pregare « per tutti gli ortodossi cultori della Cattolica Apostolica fede. » Poi finalmente passa a raccomandare le persone, verso cui ha particolari doveri, con quest’altra porzione di preghiera, che diamo qui, detta il Memento.

Art. II.

IL MEMENTO E LA COMMEMORAZIONE PEI VIVI.

Orazione.

« Ricordatevi, o Signore, dei vostri servi, e delle vostre serve (qui giunge le mani e prega per le persone che gli preme di raccomandare particolarmente; poi stendendo di nuovo le mani prosegue), e di tutti i circostanti, dei quali conoscete la fede, e vi è nota la divozione, pei quali noi vi offriamo questo sacrificio di lode per sé, per tutti i suoi, per la redenzione delle anime loro, per la speranza della salute e per la liberazione di tutti i mali, e rendono i loro voti a Voi, eterno, vivo, vero Iddio. »

L’ordine della preghiera.

In questa orazione si raccomandano le persone, per cui si ha particolare dovere di pregare. Questo vuol l’ordine della carità. La carità che è quella che spira la vita nell’ordine morale. non ha limiti, né esclude persona; ma tutti abbraccia per riunirli in seno a Dio. Mirando solo a questo fine, ella v’indirizza tutti i suoi atti. Ma essa è come l’ordine universale, con cui Dio tiene insieme tutte le creature, e mantiene l’armonia dell’universo. Quello non distrugge gli ordini particolari, anzi li compone in unità, gli armonizza e li dirige ad eseguire tutti insieme il provvidenziale disegno: ma in modo che ciascuna creatura, aggirandosi nel suo cerchio d’azione con quel movimento che la provvidenza le ha assegnato, ottenga il fine suo proprio, mentre pure concorre ad ottenere il fine universale. Così anche la carità ama tutti, e tutti vorrebbe con Dio: nutre tuttavia particolari affetti, e desidera più vivamente di operare il bene per quelli che ci appartengono più strettamente. Immagine della bontà di Dio, il quale mentre porta in seno e coltiva tutte le creature dell’universo da Lui sostenuto, usa nondimeno di consolare di speciale misericordia quelle anime che predilige per elezione: anche la carità della Chiesa abbraccia tutti i fedeli, e tutti li fa dal Sacerdote raccomandare; ma lascia poi anche alla sua divozione, che con Dio si rammenti in peculiare orazione di coloro, a cui è più strettamente legato, 1° per condizione del proprio stato ; 2° per attinenze, che nascono da particolari circostanze. Quindi dall’ordine della carità nasce l’ordine della preghiera.

L’ordine della preghiera riguardo alle persone da raccomandarsi.

Secondo quest’ordine dobbiamo in particolar modo pregare per coloro verso ai quali abbiamo doveri, prima per condizione di stato: in secondo luogo per casuali attinenze, che possiamo avere con essi. In primo luogo dunque dobbiamo in particolar modo pregare per quelli verso i quali abbiam doveri per condizione di stato. E per questo titolo numeriamo i tre ordini di persone seguenti, che dobbiamo raccomandare.

1° Coloro che sono affidati alle nostre cure; perché, se Dio ci affidò delle anime, il principal nostro dovere è di pregar per quelle; ché questo è il mezzo di tutti più efficace, per fare il loro bene davvero. Perciò appunto la Chiesa impone ai Vescovi ed ai parroci di offrire il santo Sacrificio della Messa, applicandone il frutto in ogni giorno festivo pel popolo alla loro cura commesso. E ciò è conforme all’esempio datoci da Gesù Cristo, il quale pur faceva questa bella orazione (Giov. XVII, 1): « Padre santo, salva nel Nome tuo quelli che hai dato a me; » poi diceva ancora: « non solo per essi prego; ma pure per quelli che sono per credere in me; acciocché tutti siano una cosa sola, siccome tu, o Padre, sei in me ed Io sono in Te; acciocchè essi siano in noi una cosa sola ».

2° Per condizione di stato si deve pregare altresì per coloro, coi quali sì hanno particolari relazioni spirituali . Il Sacerdote deve quindi pregar per coloro, che lo eleggono a fare l’offerta del Sacrificio, e deve applicare il frutto di cui può esso disporre, per loro: e che per tal fine gli offrono la loro elemosina in suo sostentamento, chiedendo che impieghi l’opera del suo ministero a loro vantaggio spirituale.

3° Poi ancora per condizione di stato si deve pregare per coloro, pei quali si hanno particolari e più strette relazioni naturali; cioè pei parenti, amici, benefattori: poi anche per i nemici. Anche Gesù sulla croce, fatto di sé sacrificio, pensò di provvedere alla Madre sua SS. Raccomandandola con tenerezza infinita al discepolo dell’amore: ed in quell’istante pregò in singolar modo per i suoi nemici, che lo crocifiggevano. Anzi ci avvisa il Signore, che se mai avessimo qualche po’ di ruggine nel cuore contro il prossimo, e ce ne ricordassimo sull’altare, piuttosto che far sacrificio coll’odio in cuore, sarebbe meglio lasciar l’offerta a mezz’azione (Matt. V), e correre a riconciliarsi prima col fratello, per venire poi ad offrire col cuore che abbraccia tutti in santo amore e vuole tutti salvi in seno a Dio. – In secondo luogo abbiamo detto, che oltre il dovere di pregare, che nasce dalla condizione dello stato, vi sono altri doveri, che sono prodotti da casuali relazioni, in che ci troviamo cogli altri.

1° E perciò prima si ha da pregare per coloro, che pregano attualmente con noi; giacché questa preghiera, fatta insieme con noi, forma come un legame spirituale ed intimo, per cui davanti a Dio siamo un cuor solo ed un’anima sola; e come una sola voce da un sol corpo da noi s’eleva al trono della divina Maestà. Mentre l’altrui pietà viene in nostro soccorso, le comuni miserie toccano più vivamente il cuor del Padre di tutti. Ne viene quindi essere molto utile la preghiera fatta in comune.

2° Si ha da pregare per quelli, che si raccomandano alle nostre preghiere, perché noi dobbiamo riconoscere nell’istanza, che ci fanno di pregar per loro, come un invito della Provvidenza ad esercitare verso del prossimo la carità delle preghiere. Questo pur ad esempio del Salvatore, che piange sulla tomba di Lazzaro e lo risuscita; compassiona la vedova di Naim, e le ridona a vita il morto figlio. Così l’uom pio stende, diremo la protezione della pietà ed irraggia la sua ordinata carità tutto d’intorno, più viva verso quelli che gli sono più vicini. – Veduto l’ordine delle persone, che si meritano le nostre preghiere, bisogna osservare l’ordine della preghiera riguardo alle grazie da chiedere.

Ordine della preghiera riguardo alle grazie da chiedersi.

Pregando per questi e per tutti, dobbiamo sempre chiedere tutto che torni a gloria di Dio e che giovi alla salute dell’anime, mettendo l’orazione nostra in mano del Padre nostro con grande semplicità e confidenza, affinché Egli esaudisca la nostra preghiera; ma indirizzi nello stesso tempo la nostra ignoranza e grossezza. Sicché, se domandiamo cose inutili, o dannose, ci esaudisca Egli nella sua bontà col « darci altrettanti veri beni; dandoci in tal modo anche più di quello che per noi si domanda; perché Egli è un Padre, il quale sa dare le cose buone ai suoi figliuoli. – Perciò supplichiamo Dio, che si consigli interamente colla sua bontà, e tutti i veri beni ci conceda, pei meriti di Gesù, facendo che la sua misericordia trionfi della divina giustizia, e dei demeriti nostri. Intanto è una consolazione pei cuori ben fatti sentire la Chiesa imporci un dovere di raccomandar le persone, che ci sono più care! Oh la buona Madre! Ella indovina tutti i bisogni del cuore umano e colla Religione santificando gli affetti, gli rende più saldi, più puri, più soavi. Facciam ora di spiegare il Memento, che ci porse occasione a queste osservazioni.

Esposizione dell’Orazione: Memento.

« Ricordatevi, o Signore, dei vostri servi e delle vostre serve ecc. ecc. » Dio non è come gli uomini, soggetto a dimenticarsi; ma questo modo di pregare accenna una gran confidenza, per cui par che si dica a Dio: « Voi li conoscete, o Signore, i vostri servi e le vostre ancelle, a Voi son note le necessità di tutti; pur lasciate che noi vi raccomandiamo il tale ed il tal altro ancora, e quei loro particolari bisogni; » e qui nomina quelle persone, che sente dovere raccomandare con distinzione: e giungendo le mani abbassa il capo in profondo raccoglimento, per far del cuore le sue confidenze intorno ad esse in seno a Dio, quasi dicendo: « esse hanno titoli peculiari verso alla nostra gratitudine: e noi non possiamo meglio mostrar la nostra riconoscenza, che col raccomandarle a Voi, che comandate di così amarle; date loro tutto ciò che è ‘bene per loro. » Anche s. Cipriano domandava nelle sue lettere, lontano che era dal suo gregge in esilio, che gli fossero scritti i nomi di coloro, che facevano del bene alla sua Chiesa ed ai poverelli: per ricordarli co’ loro nomi nel Memento ad uno ad uno. Anticamente usavasi nominare ad alta voce i benefattori, che si raccomandavano: onde san Gerolamo levò la voce, e garri coloro, che offrivano doni per avere il vanto di essere nominati nel tempo del Sacrificio (In cap. XVIII, Ezechiel). Il diacono. portava scritti

sui dittici o tavolette il nome dei benefattori e di coloro che si dovevano raccomandare, e li suggeriva al Sacerdote raccolto in orazione. Il Sacerdote adesso prega in silenzio, affinché i fedeli ricevano da Dio solo la ricompensa di lor carità. – « Dei quali Voi conoscete la fede, e vi è nota la divozione ecc. ecc. » Prega pei circostanti, ma quasi a condizione che sian presenti con viva fede, e con sentimento di devozione verace, come se dicesse: « Noi Vi supplichiamo, o Signore, di degnar d’uno sguardo benevolo questi, che vi adorano nella lor fede, e a voi anelano in carità; ma per quelli, che in quest’ora tremenda, in questo terribile luogo portano gli oltraggi sugli occhi vostri santissimi; ah! per costoro saremmo per dirvi di rivolgere da loro i vostri sguardi, e di non ascoltare preghiere che accompagnate da tante irriverenze, provocan sopra di essi, più che altro, i vostri castighi. »

Poi dice:

« Pei quali Vi offriamo, o che vi offrano questo Sacrificio di lode, ecc, ecc. »

Perchè, dice Innocenzo III (Lib. 3, De Mys. cap. 5, et Tertull. De exhort. cast.), non solamente sono i Sacerdoti coloro, che offeriscono; ma offeriscono pur tutti i fedeli, nel cui nome offerisce il Sacerdote. Finalmente poiché le parole, che seguono, significano che il Sacrificio della Messa è Sacrificio di lode, di adorazione e di ringraziamento, che espia i peccati, e che ottien tutte le grazie da Dio; ne cogliamo occasione di ricordare qui a maggiore chiarezza ciò che abbiamo già altrove toccato quando lo richiedeva l’esposizione nel corso dell’opera, cioè come la santa Messa sia sacrificio Latreutico, Eucaristico, Propiziatorio, Impetratorio; ed ora diremo del frutto (Bened. XIV, De Sacrif. Missae, lib. 2, cap. 13,).

Il Sacrificio.

È imminente l’istante in cui nella Messa si esegue il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo in memoria del sacrificio in sulla croce. Ma noi ci riserbiamo di esporre queste qualità del Sacrificio nell’istante più solenne e più terribile, in cui abbiamo bisogno di raccogliere i pensieri più santi; quando contempleremo Gesù, che compie il Sacrificio Divino. Là tendono come raggi al centro tutti gli Articoli della povera Opera nostra ora invece parleremo brevemente del frutto.

Art. IV.

Del frutto del Sacrificio.

Il frutto, che viene dal SS. Sacrificio, è di tre sorta. Il primo è il frutto, che ne vien direttamente dalla redenzione operata da Gesù Cristo; e questo si produce sicuramente dalla parte di Gesù Cristo; e si richiede solo che non si ponga impedimento da chi lo deve ricevere. – Il secondo è il frutto, che ne viene dalla divozione della Chiesa. Questa sposa del Signore, sempre in ogni luogo, pel ministero di tutti i Sacerdoti offrendo sacrifici, acquista continuamente meriti di grazie per la santità, con che esercita le sue funzioni. Siccome per questo si serve del ministero delle membra sue, che sono i Sacerdoti ed anche gli altri fedeli; così, a seconda della maggiore o minor innocenza, e santità, e divozione, può crescere o diminuire questo frutto. Qual tesoro adunque è la santa Messa, posta in nostra mano per fare acquisto di vita eterna; e come possiamo noi aggiungere accrescimento in merito della nostra divozione! – Il terzo frutto nasce dallo zelo e dalla divozione del particolar Sacerdote offerente, la cui pietà in quel momento così prezioso può ottener grazie particolari. Deh quanto è vero che un Sacerdote santo è un vero ministro di benedizioni per la Chiesa (Ben. XIV. De Sac. Miss. lib. 2, cap. 3, n. 20)! Sì però, che le sue miserie non diminuiscano il primo frutto, che vien tutto intero da Gesù Cristo.

LO SCUDO DELLA FEDE (243)

LO SCUDO DELLA FEDE (243)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (12)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

Il Canone.

Siamo giunti al terribile momento dell’Azione la più tremenda per cui eseguire con dignità è ordinato il Canone, il qual nome significa la grande regola. In esso sta, come in grandi caratteri, scolpita la legge eterna immutabile della sostanza, dei modi dell’esecuzione del gran Sacrificio da offrirsi per tutto l’universo. S. Gregorio e s. Cipriano chiamano il Canone « la preghiera per eccellenza, » il Pontefice Vigilio « il testo della preghiera canonica, » tanti altri Padri (Ben. XIV.) « l’Azione; » perché in esso si compie l’Azione delle azioni, l’azione più grande, più perfetta, anzi più divina, che per gli uomini sì possa fare nella Chiesa, per virtù di Gesù Cristo; regolare cioè la legittima consacrazione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, e il sacrificio che si fa di essi a Dio in ricognizione della sua Divinità. –  Fermarci a far questione per trovare l’autore di alcune sue parti particolari, o a cercare chi l’abbia ordinato e così ridotto, né giova, né piace, né abbiam tempo da sprecare in ciò, che non è di grande importanza. Solo osserveremo, che di molte e delle più solenni e più comuni, e pubbliche orazioni, e dei riti più universalmente ricevuti, per lo più s’ignora l’autore. E doveva essere così; perché  l’autore non ebbe poi la parte maggiore nella loro istituzione. Sovente esso interpretava, e traduceva in atto un’idea, che era nel popolo cristiano, e che dove più, dove meno, si manifestava in qualche modo: sicché egli collo stabilire il rito e dar la forma all’orazione, non altro faceva che coglierne la più vera espressione, e la più rispondente all’idea, purgandola da ogni inutile ingombro. Piuttosto a consolazione dei fedeli tradurremo ciò che insegna lo Spirito Santo, per mezzo del Concilio generale di Trento, intorno al Canone stesso. (Sess. XXII, cap. 4). Dice adunque il sacro Concilio: « E conveniente che le cose sante siano santamente amministrate; ed essendo questo (della s. Messa) il santissimo di tutti i sacrifici, la cattolica Chiesa, perché degnamente e con la dovuta riverenza venisse offerto ed adempiuto, già da molti secoli istituì il sacro Canone, d’ogni errore così depurato, che niente in esso si contenga, che non sappia specialmente di certa santità, e pietà, e le menti sollevi in Dio, perocché esso consta, e delle stesse parole del Signore e delle tradizioni degli Apostoli, e delle pie istituzioni dei Pontefici. » E questo basta, perché, derivato a noi da queste fonti così pure e santissime, noi lo veneriamo come cosa tutta celeste, anzi come dono fattoci da Dio, nella sua carità, per alimentarci la divozione. Noi lo teniamo in conto di un misterioso componimento, in cui sono espressi i segreti adorabili dell’amor santo di Dio. Perché ci pare di scorgere nei riti i tratti più espressivi, e nelle parole i più santi affetti, che ci rivelano le ragioni più intime, che legano a Dio la sua sposa, la Chiesa. La Sapienza divina, dice lo Spirito Santo, si ha fatto un talamo nuziale in sulla terra (S. Thom. in Off. SS. Sacram.). Questo talamo è l’altare, vero santuario degli amori divini; ed il canone è l’epitalamio dello sposalizio di Dio coll’umanità. In esso troviam compendiati e spiegati i più reconditi misteri della Natura Divina; in esso appare nella sua grandezza la tremenda giustizia eterna, e si scorge come essa s’accorda in pace colla misericordia, e come questa trionfa. Del qual trionfo della misericordia sulla giustizia di Dio si manifesta quella bontà sua essenziale, che alimenta la beatitudine del paradiso. Così il canone contenendo in sé tanti misteri divini, adombrati nella santità dei riti, è quasi come quella gran nube che involgeva l’uomo eletto a parlar con Dio sul monte Sinai, la quale nella grandezza sua e maestà, e nei baleni di vivissima luce, di che sfolgorava, dava segno della presenza di Dio, che dentro ad essa compariva, e si manifestava a quegli argomenti. – Noi ci avvicineremo tremanti, e coll’anima umiliata, e lasceremo che parli in esso lo Spirito di Dio, e la sua sposa, la Chiesa, e solo ridiremo quel poco che abbiamo imparato da coloro, che furon degni per la loro santità di farsi più dappresso a contemplare. Quali oggetti! quali idee per un credente in questo istante! La terra non fu mai meglio in armonia col cielo. In cielo la Trinità augustissima sul trono d’inaccessibile luce, e intorno intorno le schiere dei Principi angelici, e di tutte le Virtù dei cieli; mentre l’Agnello Divino, sull’altare d’oro si presenta innanzi, e rompe il misterioso sigillo al Libro che contiene i secreti della Divinità, i quali fino agli Angeli eran nascosti; e tutta la Corte celeste si prostra cantando il trisagio dell’eternità. In terra tutti i fedeli genuflessi intorno alla croce vessillo di loro speranza sull’altare: alla loro testa il Sacerdote, che innalza le braccia innanzi al Crocifisso, quasi ponendo la sua testa sotto il Capo di Gesù coronato di spine, le mani su quelle sante Mani insanguinate, il petto sul Petto divino squarciato. Tutto assorto in Gesù Cristo, cogli occhi in cielo, quasi vi cerchi il volto del suo divin Padre, stende le palme, come per slanciarsi a Lui: e contemplando nella SS. Trinità Dio nell’alto della sua intima Vita Divina adora il Padre col Figlio in seno a lui generato ab eterno, e lo Spirito Santo, che dal Padre e dal Figliuolo procede; e insieme col Figlio, che si fa Agnello Divino sull’altare celeste, cade anch’esso sull’altare terrestre per trovare in cielo la redenzione. – Per esprimere quest’atto di adorazione, s’inchina, s’inabissa nel suo nulla, e cadendo colle mani giunte si mette come vittima legata; bacia l’altare, e coll’anima bacia in cielo le soglie dell’eterno trono. – Poi sorge, e comincia a trattare i più cari interessi, per cui Egli quella missione divina ha intrapreso. – Noi qui ci ricorderemo del prefazio, di quel cantico, che lasciò per dir così nell’anime del Sacerdote e dei fedeli quale una certa vibrazione e una eco di armonia celeste, che continua nei movimenti degli affetti, come dopo la scossa continua a vibrare ancora la corda od il metallo sonante. Ben qui a lui ancora nell’estasi dell’armonia di paradiso, fluiranno come espressioni spontanee quei gemiti inenarrabili, che lo Spirito Santo mette in bocca alla sua Sposa divinizzata: e sono queste le orazioni del canone. Buon Dio! Ci voleva proprio lo Spirito del Signore nella Chiesa, per dir quello, che si conviene, in un istante così tenero e così tremendo, così terribile, e così consolante. Prega il Sacerdote in secreto: e questo silenzio esprime il nascondersi che fece Gesù, quando non era ancora venuta l’ora sua. Veramente in questo terribile momento l’anima ha bisogno di non esser da rumore di parole disturbata dal suo raccoglimento con Dio (Innoc. III, lib. 2, Myster. Miss. cap. 54, et lib. 3, c. 1.). Veramente inspira anche grande venerazione il veder il popolo col Sacerdote all’altare pregar segretamente, quando lo Spirito del Signore opera segretamente sotto il velo dei simboli il gran mistero (Bened. XIV. lib. 2, c. 23, 16). Le anime adunque si hanno qui da trovare sole con Dio: e davanti a Dio che si sacrifica vogliono lagrime e non parole. Giova, ripeterlo: noi esitammo qui, se tornasse meglio tentare la spiegazione, o metterci di conserva col lettore a meditare ciascuna parola nel silenzio del labbro, e nella profonda umiltà del cuore. Ma abbiamo sperato di non riuscire inutili, se cercheremo d’inspirarci ai pensieri dei Santi, nell’esporre così sante orazioni. Ecco la prima, che procureremo di spiegare.

Art. I.

PRIMA PARTE DEL CANONE.

Orazione I: Te Igitur.

« Voi adunque, o clementissimo Padre, per Gesù Cristo Figliuol vostro e Signor nostro, supplichevoli preghiamo, e vi chiediamo che vi degniate di aver per accettevoli, e benedir questi, (qui fa tre segni di croce sull’offerta colla destra stesa nel pronunciare le seguenti parole) questi + doni, questi presenti, questi sacrifici santi, illibati, che noi vi offriamo in prima per la Chiesa vostra, santa, cattolica; cui vi preghiamo che vi degniate di purificare, custodire, adunare, e reggere per tutto il mondo universo, insieme col vostro servo, il Papa nostro (e qui nomina il sommo Pontefice) ed il nostro Vescovo (nomina il Vescovo), e con tutti gli ortodossi cattolici adoratori dell’apostolica fede. »

Esposizione di quest’orazione.

Pertanto il canone comincia colle parole: « Te igitur, Clementissime Pater, Voi adunque, o Padre,la cui clemenza è infinita, ecc. ecc. »Alcuni autori con bizzarria piuttosto, che conacume e solidità di ragione vorrebbero, che laChiesa avesse incominciata questa importantissimapreghiera col T; perché la lettera T ha forma dicroce.Ma noi avvertiamo ora per sempre, che le pratiche della Chiesa sono semplici, ma piene di maestà,e non bisognose di fantastiche interpretazioni,che pendano all’inezia, come è questa, di che noinon ci cureremo. La quale nacque forse dal vedere il pio uso di mettere, di fianco alla prima preghiera del canone, stampata l’immagine del Crocifisso: pratica suggerita dalla pietà dei fedeli, che spiega essere intenzione della Chiesa, che noi accompagniamo questa tremenda azione colla mente tutta piena delle idee della passione e della morte del Salvatore benedetto. « Voi adunque o clementissimo Padre, noi preghiamo supplichevoli ecc. ecc. » Questa congiunzione adunque fa intendere, che questa preghiera, come abbiam detto, è una continuazione del prefazio. In esso, reso omaggio di profonda umiltà al Signore dei cieli gli abbiam detto: « Egli è giusto e ragionevole e salutare di rendere grazie a Voi, Signore santo, Padre onnipotente, eterno Iddio ; » continuiamo ora qui la preghiera: Voi adunque, o clementissimo Padre, noi preghiamo supplichevoli ecc. Ammiriamo tratto di confidenza devota, in cui il Sacerdote parla a Dio come a tenerissimo Padre. E per giustificarsi di tal atto, che dovrebbe sembrar ardimento, gli mette dinanzi, per ossequiosa scusa, che il figlio suo Gesù ci acquistò il merito, e ci ottenne il diritto di chiamar Padre Iddio, soggiungendo subito: « Per Gesù Cristo, Figlio vostro, e Signor nostro preghiamo, e vi chiediamo di avere bene accetti, e di benedire questi doni, questi presenti, ed officiose offerte, questi sacrifici santi. » – Li segna di croce perché siano bene accolti dal Padre, vedendoli sotto la croce del suo Figliuolo. I tre segni poi esprimono che questo gran mistero si verrà compiendo dalla santissima Trinità ( Marsebius, Sum. Christ. 3 p.). È pure devota e commovente la spiegazione di questi tre segni di croce, che dà il Serafico Bonaventura (Esp. Miss. c. 4, 1. 7). Il primo segno, dice egli, significa 1’atto della carità del Padre verso di noi, che il proprio Figlio non risparmiò, come c’insegna l’Apostolo: ma ce lo diede per la salute di tutti. Onde possiam dire: «questo è dono vostro, perché da Voi ci fu dato. » Il secondo esprime quell’atto, in cui Gesù si abbandonò nella morte l’anima sua, e coi scellerati venne riputato: e qui possiam dire: « queste offerte sono nostre; perché il Redentore, che ci fu donato, è nostro. » Il terzo par voglia esprimere il tradimento di Giuda, con cui diede Gesù col bacio in mano ai nemici; e qui noi ancora possiamo dire nell’offrire « ma questo ora è santo sacrificio illibato , in cui non ha più parte umana malvagità. » – Giova qui osservare, che queste tre diverse espressioni di doni, presenti, santi sacrifizi illibati, non sono già una semplice ripetizione della stessa cosa; ma contengono tre idee diverse. Chiamasi l’offerta in prima doni, e sono doni la sostanza del pane e del vino presentata a Dio per essere trasmutata nel Corpo e nel Sangue di Gesù. No! l’oblazione non poteva essere fatta di una sostanza più conveniente. Dovendo noi rendere a Dio tutto che abbiam ricevuto, scegliamo una porzione di quella cosa, che maggiormente concorra al nostro sostentamento: e nell’offrirgliela preghiamo Dio di aggradire ciò ch’Egli ha posto nelle nostre mani (Paralip. XXIX, 14.). Così confessandogli con umiltà, che i doni che gli offriamo, come ogni cosa, sono già suoi, è un atto di giustizia che noi esercitiamo, essendo l’umiltà vera giustizia: poiché l’umiltà è virtù, che di tutto il bene rende l’onore a Dio. Ora, come tutto ciò che è bene, viene da Dio; (così conviene intenderla), la prima giustizia è rendere a Dio del tutto almen l’onore, come dice il Salmo: « Non a noi, non a noi, o Signore, ma al nome vostro date gloria » (Psal. CXIII.). Ci si perdoni di questo che ripetiamo qui: perché crediamo dover ripetere con Ss. Agostino che il primo, il secondo, il terzo fondamento della santificazione delle anime è sempre questa primiera giustizia, l’umiltà. Chiamansi poi questi doni col nome di presenti, cioè di offerte officiose, presentate da noi come un regalo nostro: così dicendogli doni, si confessa che sono cosa, che viene direttamente da Dio; dicendogli offerte officiose, o presenti, si dice in certo qual modo, che in essi si offerisce anche qualche cosa del nostro (Ugo, De sanct. Vict.). E qui nel modo più delicato diamo gloria alla bontà di Dio che benignamente alla nostra povertà ha provveduto, rendendo proprii di noi, o personali questi doni suoi. Invero il pane ed il vino sono doni suoi materiali, ma e’ sono anche nostri: perché la terra, che li produce per comando di Dio, ce li somministra rispondenti alle nostre fatiche. Sicché sono doni di Dio, e frutto del nostro lavoro. Ma elevando poi il nostro pensiero, sentiamo nella fede di poter dire, che sono doni e presenti nostri anche il Corpo e il Sangue SS., in che il pane ed il vino verranno trasmutati. E questo è il più gran trovato della divina bontà, che la mostra veramente infinita, e vince di lunga mano le più grandi speranze dei Profeti. Dio pagò egli stesso la divina giustizia per noi: e, si veda raffinamento di carità! ci volle anche risparmiare la vergogna di fare per noi il pagamento gratuito, senza nulla metterci del nostro, ma il prezzo del riscatto ci pose in mano, lo fece nostro, e di vera nostra ragione: e poi disse: « pagate. » Ci risparmia così quella naturale timidità di comparire debitori, e colle mani vuote ((3) Cesar. Oraz. del S. Natal.). Esso ci ha provvista la vittima; ma l’ha fatta nostra. L’infinito debito noi pagheremo, sì noi veramente pagheremo, e con valsente di nostra proprietà !… Qual sarà adunque questo presente di nostra ragione?….. Qual sarà?… Forse Gesù Cristo in Persona?! Sì proprio il Corpo e il Sangue di Gesù, che essendo Dio fatto uomo, si è fatto porzione di nostra natura; fratello nostro, a noi donato dal Padre: Ah! noi siamo d’avviso che neppure gli Angioli vanno al fondo di tanto mistero, vero Subisso d’amore divino! Chiamansi infine santi sacrifici illibati: santi, perché sono riservati a Dio solo, ed a Lui solo vengono offerti in ricognizione del suo supremo dominio: sacrifizi, perché rendono al gran Monarca dell’universo l’onor dovutogli da tutto il creato. In essi il supremo suo dominio è riconosciuto. In essi lasciando noi nelle mani di Lui l’offerta dei frutti della terra e dei nostri sudori, Dio trasmuta il dono terreno in un santo Sacrificio mondissimo, che sarà il vero olocausto per l’intera consumazione della vittima a gloria di Dio; e sacrificio eucaristico, offerto in ringraziamento; come pure vera ostia pacifica e sacrificio propiziatorio, che riconcilierà gli uomini a Dio, ed otterrà la remissione dei peccati; sacrificio accettevole impetratorio, che impetrerà tutte le grazie a favore degli uomini. Il che tutto già abbiam toccato, ed avremo occasione di esporre ancora con maggiore chiarezza. Da ultimo sacrifizi illibati, integerrimi, siccome li ha fatti Dio, senza che né uomo, né spirito immondo vi possa metter sopra la mano ad usurparli, o profanarli. Illibati, dice anche Innocenzo III (1), cioè immacolati; perché senza macchia e di cuore e di corpo devono essere offerti, sicché niente vi sia frammesso, che degno non sia dello sguardo santo di Dio. Essendo questo, pertanto, il santo Sacrificio illibato, affrettiamoci, che questa è l’occasione più bella, di presentar con esso le nostre suppliche, e chiedere ciò che più ci sta a cuore. Quindi continua l’orazione. « I quali sacrifici, vi offeriamo per la Chiesa vostra santa, cattolica. » Anche Gesù Cristo faceva per essa la sua preghiera, e raccomandava di porre gl’interessi di essa in cima di tutti i nostri voti. « Cercate, dice Egli, prima il regno di Dio e la sua giustizia », ed il regno e la sua giustizia sta nel trionfo della Chiesa Cattolica. Quindi il Sacerdote la raccomanda subito in prima.

LO SCUDO DELLA FEDE (237)

LO SCUDO DELLA FEDE (242)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (11) SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908 »

Art. VII.

LE ORAZIONI SEGRETE ED IL SACERDOTE INTERPRETE DEI BISOGNI DI TUTTI

Poi nell’atto di serrare le braccia, pare che accolga i voti di tutti in cuore portandoli, si volga a trattar segretamente con Dio degli interessi di tutti. Il popolo gli risponde colla orazione:

Suscipiat.

« Riceva il Signore dalle vostre mani il Sacrificio a lode e gloria del Nome suo, anche a vantaggio di noi e di tutta la santa Chiesa. » Il Sacerdote, che recitò sotto voce col popolo la stessa preghiera, gli risponde: « amen, ben sia così. »

Il Sacerdote appiè della croce elevato tra il popolo e Dio alza le mani al crocifisso, e vuol avvisare che da noi soli non ci possiamo salvare e che per salire al Paradiso bisogna che qui in terra ci attacchiamo a Gesù Cristo. Egli Dio col Padre, Uomo con noi si abbandona al nostro amore nel Sacramento; e noi per farci da Dio ascoltare e tirarci salvi nella sua bontà dobbiamo mettere, massime quando preghiamo, col cuore le nostre teste sotto la sua Testa coronata di spine, le nostre mani sopra le sue Mani piene di Sangue, il nostro Cuore sul Cuore suo per noi ancora aperto. – Quindi il sacerdote è qui interprete di tutto il cuore della Chiesa, e il palpito del cuore di questa Sposa di Dio è la preghiera. Or tocca al Sacerdote dire tutto per Lei, e farle battere il cuore di questo palpito vicino al cuor di Dio. Stanno bene adunque sull’altare, a capo di tutti i fedeli preganti, i Sacerdoti consacrati a Dio, della cui vita la principale occupazione è la preghiera. Essi, dice s. Gregorio Magno (Pastor. par. 1.), sono come i profeti santi, che soliti a parlare con Dio, basta che comincino ad esclamare: « Signore, Signore, » perché il Signore debba loro rispondere: « ecco che sono presente ad ascoltarvi. » Qual consolazione per il popolo fedele aver alla testa uomini fidenti di ottener colle orazioni le grazie che chiedono a Dio. Per questo, prima che si assuma al sacerdozio un fedele, si fa esercitare nell’orazione; poi la Chiesa gli fa promettere solennemente di far continua preghiera presso che in tutte le ore della sua vita, obbligandolo all’ufficio divino, canonica orazione, che significa, il pregare essere l’uffizio, l’impegno il servizio continuo della vita sacerdotale. Fattosi promettere che pregherà, recitando l’ufficio tutti i giorni; crede poterlo mandare alla sua missione, affidato alla guardia della preghiera; sicura che dall’uomo che conversa con Dio almen un’ora ogni dì, tutto è a sperare di bene. Ecco perché s. Bernardo (S. Bernard. lib. 4, De Cons.) al pontefice Eugenio faceva questa raccomandazione: fa che tu assuma al santissimo ministero uomini dell’orazione zelanti, che nel ministero pongano fidanza ben più che nelle loro industrie. Incaricati degl’interessi del popolo innanzi a Dio, devono essere come quegli Angeli, che salivano e scendevano incessantemente per la scala di Giacobbe. Devono discendere per raccogliere i voti e i bisogni del popolo: salire (S. Jo. Chrys., Hom. 79, ad popul. Antioch.) colla preghiera, affine di recarli sino ai piedi del trono di Dio, ed aprire il seno delle sue misericordie sopra le miserie di tutti i fratelli. I loro voti sono i voti di un gran ministro mandato davanti a Dio dalla Chiesa a piangere sulle miserie umane, ad implorar grazie, e trattare della vita eterna de’ suoi figliuoli (Massillon, Conf. I.). In virtù del loro sacerdozio essendo immedesimati con Gesù Cristo; come il Verbo conversa con suo Padre, così essi con Dio, per mezzo di Gesù suo Figliuolo: sicché S. Gregorio Magno concludeva (Lib. 3, cap. 5 in s. Reg.), che l’anima del Sacerdote, più che un’anima pregante, si deve dire una continua preghiera. Imperocché, se l’anima è una potenza in atto, dell’animo del Sacerdote l’atto vitale deve essere uno slancio continuo verso del cielo, e l’orazione è il palpito del cuore sacerdotale. Perciò, quando egli si trova alla testa del popolo sopra l’altare a pregare Dio, allora, sì allora propriamente è nella sua atmosfera, e nel pregare sente di vivere veramente. Alto silenzio nel luogo santo: il popolo genuflesso sul pavimento, gemente in segreto per umiltà, i cuori aperti innanzi a Dio, gli sguardi di tutti all’altare sull’offerta santificata, il dono dei fedeli combattenti posato sulle reliquie dei trionfanti gloriosi a piè della croce, e sotto la croce il Sacerdote colle palme benedette e piene di sacri crismi al ciel alzate! (Fra le varie ragioni, per cui sì recitano le orazioni in secreto, noi accenneremo queste, recate dai diversi espositori. 1° Si vuole esprimere la secreta operazione dello Spirito Santo nell’augusto mistero (Martene, tom. 1, De antig. Eccl. nit.). 2° Si vuol eccitare ed alimentare nel popolo col segreto la maggior venerazione, e tenerlo più raccolto nella meditazione (Conc. Trid. sess. 22, cap. 5). 3° Col silenzio del Sacerdote si vuol esprimere il nascondimento del Salvatore quando non era ancora l’ora sua di patire (Inn. III, lib. 2, Mist. Miss. cap. 54). 4° Si muta poi la voce, massime nel Canone, per imitare quella di Gesù Cristo, il quale ora pregava ad alta voce, come: Padre, perdonate, ecc. Nelle vostre mani raccomando, ecc. Dio mio, Dio mio, ecc; ora favellava alla Madre, al discepolo, al ladro; ora taceva e pregava fra sé.). Ecco, egli è l’uomo di propiziazione, l’angelo del tempio della nuova legge, più che uomo e più che Angelo, è creatura divinizzata nella partecipazione dell’immortal sacerdozio, di cui lo investe dal cielo Gesù, e lo fa dito di Dio potente ad operare il prodigio, che i Cherubini adorano velati sull’altare. Con quel capo che ricorda la corona di spine, egli è il giglio del campo che tra le spine spiega al cielo la candidezza dei pensieri purificati: con quell’anima stanca delle fatiche dell’apostolato, amareggiata dai peccati, pascolata ben sovente d’ingratitudine, mandata dalla Chiesa per confidare a Dio i suoi dolori, è come un mazzetto di mirra, deposto dal petto della mistica sposa in seno a Dio: martire di privazioni, vittima d’amor divino, infiorata dalle più belle virtù, rappresenta al vivo tutta la Chiesa, che dalle sue angustie in terra si getta a trovare pace in braccio alla bontà del suo Iddio. Col cuore infiammato di carità egli si frammette ai Cherubini, che bruciano d’amore tra quei sette candelabri, che ardono eternamente innanzi al sommo Bene: viva immagine di Gesù, Sacerdote e Vittima con esso, si mette col cuore nel sacro suo Costato, e di là manda un grido, che sarà nel più alto de’ cieli ascoltato per la riverenza che gli merita l’essere immedesimato col divin Redentore. – Deh! in quel prego solenne che mai deve e potrà egli dire? Se egli da quell’altezza abbassa lo sguardo alla terra, vede una corona di figliuoli, e in essa vagheggia le sue speranze di averli seco in Cielo. Se guarda in Cielo, scorge sopra quel trono di luce inaccessibile Iddio, che dissipa colla sua mano stessa i baleni, di che sfolgora la sua Maestà, e in quell’oceano di gloria si lascia travedere nell’aspetto di Padre, e sorride amoroso alla famigliola sua diletta. Se guarda in terra, vede a sé d’intorno tutte quelle anime affamate di bene; quei cuori con tante piaghe aperte: e s’affretta di raccoglierle, e lagrime di un popolo sofferente nel calice di benedizione, che viene ad offrire. Se guarda al Cielo, vede il Padre delle misericordie, che a ciascun dei patimenti di un istante di rassegnazione prepara una gioia che non avrà fine. Se torna alla terra, ascolta tanti figliuoli pellegrini, che gridano: « dateci pane e forza per poter reggere nel viaggio insino a Voi. » Mentre in cielo ascolta Gesù che dice al Padre: « Sono essi i figli del mio Sangue!» e Maria che esclama: « anche del mio quei poverini sono figliuoli! » e i santi che esclamano: « e’ sono fratelli; » e vede gli Angeli che scuotono sul capo le palme e le corone nel dire: « coraggio, queste sono per voi! » Allora pieno di confidenza allarga le braccia e s’abbandona dell’animo coi beati comprensori del Paradiso, presenta i bisogni della Chiesa e le sue speranze, piange le sue angustie, e le sue perdite, sospira colle lacrime di tutti gli afflitti, anela coi gemiti dei moribondi, vuole, sì, vuole la vita eterna di tutti. Poi con le più accese preghiere chiede pei suoi figliuoli, e questa e quest’altra grazia.., poi quest’altra ancora… « O gran Monarca del bene, pare che esclami finalmente, no, non vi chiedo più grazie particolari! E che sappiamo noi, che buono sia per noi, bisognosi di tutto, come siamo, e poveri ciechi, che non vediamo ciò che per noi sia meglio? Per effetto della vostra bontà, che ai supplicanti, le desiderate cosa concede (Orat. Domin. IX post. Pent.), deh! fate che vi chiediamo tutto e solo quello che voi vedete essere bene per noi: Voi ispirate le dimande, e la nostra preghiera raddrizzate, correggete, purificate. Padre Santo! noi per tutto il bene nostro ci getteremo in braccio a Voi, e i nostri bisogni vi dica il vostro Amore divino: noi vi mettiamo dinanzi il cuore squarciato di Gesù a dirvi tutto tutto per noi!… Per Lui dateci tutte le grazie; ma la grazia più grande, che vi domandiamo, è di essere per Lui beati a darvi gloria in Paradiso. » – Qui cessa il silenzio, alza la voce e annunzia questo grido, questo sospiro all’eternità a nome di tutti esclamando: « Per omnia sæcula sæculorum » (Questo alzar la voce del Sacerdote e terminare le acclamazioni dell’Osanna, esprime le acclamazioni delle turbe a Gesù entrante in Gerusalemme. (S. Bonav. n. 3 în Expos. Miss. cap. 8, De offert.).

Art. IX.

IL PREFAZIO.

Sul finire delle preghiere secrete il Sacerdote alza la voce qui, come per fare appello ai fedeli che ha d’intorno, quasi loro dicesse: « Non è vero, o figliuoli, che tutti i nostri desideri alla per fine vanno a finir qui, che noi vogliamo essere beati col sommo Bene per sempre in Paradiso? Io credo d’interpretar per bene i voti di tutte le bisognose anime nostre col domandarvi, o gran Padre di tutti i beni, per Gesù nostro qui con noi, e con Voi in gloria, il Paradiso per tutti i secoli, per omnia sæcula sæculorum. » E il popolo. « Amen. Sì, sì è questo appunto, proprio questo, che al tutto noi desideriamo il Paradiso. »

Il sacerdote. « Dominus vobiscum. » Il Signore v’accompagni tutti al Paradiso!

Il popolo. « Et cum spiritu tuo. » O buon padre, sia pure con voi il Signore, ed accompagni l’anima vostra.

Il sacerdote. « Sursum corda. » Per pietà, non vi perdete adunque dietro all’ombra

dei beni, che vanno in dileguo colla fugace instabilità del tempo. Al cielo, al cielo i vostri cuori! – Il Sacerdote, diceva s. Cipriano (De orat. Dom.) fino dai primi secoli della Chiesa, a fine di dare principio alla grande preghiera; dispone i suoi figliuoli con questa prefazione: « elevate i cuori; » lungi i pensieri della carne e del secolo; elevate i cuori vostri, questi cuori, cui niente è atto a riempiere sulla terra da Dio in fuori. Così si avvertono i fedeli che si appressa il formidabile Sacrificio, e tutti i pensieri debbono distaccarsi dalla terra, per unirsi a Dio in cielo, in braccio alla sua bontà (S. Cir. Mystac. 5.).

Il popolo. « Habemus ad Dominum. » I cuori nostri abbiamo già con Dio.

Il Sacerdote. « Gratias agamus Domino Deo nostro. »Ah! sien grazie all’eterno Signore Dio nostro:perché, dice s. Cipriano, noi indegni così volle atanta sua grazia chiamare (Cip. loc. cit.).

Il popolo. « Dignum et justum est. » È troppo degno, è troppo giusto, che gli rendiamo grazie per sempre.

Il Sacerdote. Veramente è troppo degno, e troppo giusto il render sempre grazie al Signore. No, non conviene che solo il Sacerdote, ma il popol suo tutto render deve grazie al Signore (S. Jo. Chrys. Hom. 18, in 2 Cor.).

Perché la gratitudine è la migliore disposizione per prepararci alle maggiori misericordie, che Dio è pronto a donarci: poiché, siccome noi non abbiamo niente che buono sia del nostro; così le nostre orazioni dovrebbero sempre incominciare col rendere a Dio le più umili grazie per tutti i suoi benefizi: essendo che il rendere a Dio tutto il merito di ogni bene è la prima giustizia. Poiché la giustizia sta nella rettitudine della volontà, la quale suol rendere agli altri quello che a loro si deve. Ora, ogni bene viene da Dio, il primo dovere di giustizia è di rendere gloria e grazia a Dio di tutto il bene che ognora ci dona. Perciò così sublimato il Sacerdote, sostenuto dalle preghiere del popolo, di cui è interprete e rappresentante, mandato dalla Sposa di Dio diletta, nell’intuonare il cantico di grazie, si slancia dell’animo in Paradiso esclamando : « Sì, veramente è troppo degno e troppo giusto; giusto non solo, ma salutare che noi sempre ed in ogni luogo rendiamo grazie a voi, o Signore santo, Padre onnipotente: e tali grazie, che, incominciate nel tempo, vogliamo continuarvi nel cielo, o Dio dell’eternità, per mezzo di Gesù Cristo. – È perché il Sacerdote in quell’istante porta il cuor pieno della memoria massime del particolare mistero che si va celebrando; col suo cantico acclama festeggiando quella solennità, che dà pascolo alla devozione dei fedeli. Quindi varia il prefazio col variare delle solennità.

(Nella festa della Natività di Gesù Cristo esclama: « Sì, veramente è degno e giusto di ringraziarvi, perché per il mistero di questo Verbo incarnato, agli occhi della mente nostra splendette una nuova luce della vostra chiarezza, sicché mentre per esso conosciamo visibilmente Iddio, per questo pure siamo rapititi all’amore delle invisibili Cose. »

Nel dì dell’Epifania dice: «Vi dobbiamo ringraziare, perché quando apparve questo Unigenito vostro, allora ebbe noi ristorati della luce della sua immortalità »

Nella Quaresima dice: « O Sigore, che pei meriti di esso Gesù, col corporale digiuno comprimete i vizi, elevate la mente, donate la virtù ed i premi. »

Nelle feste della Croce e della Passione: « O Signore, esclama, che la salute dell’umano genere avete messa sul legno della croce, affinché donde usciva fuori la morte, di là risorgesse la vita, e colui che nel legno vinceva, nel legno pure restasse vinto per Cristo Signor nostro. »

Nella Pasqua poi esclama: « È degno e giusto e salutare in ogni tempo invero rendervi grazie, ma specialmente in questo con maggior gloria esaltarvi, quando appunto fu immolato il Cristo per nostra Pasqua: Egli si è il vero Agnello, che toglie i peccati dal mondo, che la morte col morir suo distrusse, e la vita col risorgere suo ebbe ai suoi riparato. »

Nell’Ascensione poi dice di ringraziarlo: « Per Cristo Signor nostro, il quale dopo la sua risurrezione a tutti i suoi discepoli manifestossi nelle apparizioni ed al loro cospetto elevossi in cielo, per fare della sua divinità noi stessi partecipi. »

Nella Pentecoste rende grazie a Dio « Per Gesù Cristo Signor nostro, che ascendendo sopra tutti i cieli e sedendo alla destra di Lui, lo Spirito Santo promesso diffuse in quel giorno nei figli dell’adozione. »

Nella festa della SS. Trinità e in tutte le domeniche, nelle quali si rende ossequio particolare a quest’augustissimo mistero, ringraziando l’Eterno Padre, adora e confessa le tre Persone in tal modo: « Voi, o Padre, che coll’unigenito Figlio vostro e collo Spirito Santo siete un Dio solo e solo Signore, non nella unità di una persona sola, ma nella Trinità di una sola sostanza; poiché ciò, che rivelando Voi della vostra gloria, abbiam creduto, l’istesso pure del vostro Figlio e dello Spirito Santo noi teniam senza differenza di discrezione. »

Finalmente, rammentando le feste della SS. Vergine, dice teneramente all’Eterno Padre: « E cosa degna, giusta, equa e salutare il ringraziarvi in questa festa (e nomina qui la festa particolare) della beata Maria sempre vergine, tutti insieme qui lodarvi, benedirvi ed esaltarvi. Essa è colei che per opera dello Spirito Santo concepì l’Unigenito vostro, e restandole la gloria della virginità, diffuse nel mondo il lume eterno, Gesù Cristo Signor nostro. »

Nelle feste degli Apostoli ed Evangelisti dice: « E cosa degna, ecc. il supplicare Voi, o Signore, affinché Pastor che siete, non abbandoniate il gregge vostro, ma pei vostri Apostoli con continua protezione lo custodiate. Affinché dai medesimi rettori sia governato, i quali come vicari dell’opera vostra alla medesima avete collocato a presiedere come pastori. »).

Ma il canto di esultanza sempre conchiude col rendere grazie nel più tenero modo per Cristo Signore nostro. Deh! Quanto è grande la confidenza, che lo rianima ad invocare il Divin Salvatore, come strettosi ed identificato col Redentore in tal sublime elevazione, egli si frammischia alle schiere degli spiriti celesti, che assistono indivisibilmente al trono di Dio, e loro congratulandosi annuncia esultante, che lo stesso Verbo, Splendor della gloria, che in loro effonde tanta beatitudine, fattosi uomo, sta ora per stendere la sua mano divina anche a noi sulla terra, per sollevarci al Paradiso. Onde già essendo colla speranza aggregati alla chiesa del cielo anche noi; associati all’immortale radunanza degli eletti di Dio; sortiti all’eterna cittadinanza della celeste Gerusalemme, dove l’eternità sarà per noi con essi il termine della beatitudine: deh! intanto ci lascino pur di qui gli Angeli con loro lodarlo, le Dominazioni adorarlo; e le Potestà stare con esse tremanti innanzi all’Eterno ad ossequiarlo; i cieli, le Virtù dei cieli, i Cherubini ed i Serafini arder con loro dell’incendio dell’Amore Sostanziale; ed in santa esultazione provare fin d’ora il cantico dell’immortalità, incominciando a compiere l’officio dell’eterna beatitudine. Anche noi, domestici di Dio, candidati del Paradiso, facciamo eco al coro dei beati comprensori coll’immortale trisagio:

« È Santo, è Santo, è Santo delle vittorie il Re! Dio, che di tutto ha vanto, Che fu, sarà, qual è. In terra, in ciel solenne Osanna suonerà: Benedetto nel Signore chi pel Verbo al ciel verrà. »

Così in quest’inno di esultanza cantasi la gloria di Dio in tre modi di lode, a cui si frammischia due volte il grido dell’umiltà, che chiede salute coll’Osanna, che vuol dire « salvateci » (Card. Bona, Trat. Ascet. de Missa.). Cioè in prima si esalta la santità, la potenza ed il dominio di Dio acclamandolo tre volte santo Dio in se stesso, nell’augustissima Trinità, Signore degli eserciti, Dominatore del tutto. Poi si dà lode a Dio, celebrando la sua gloria creature coll’escmare, « che della sua gloria sono pieni il cielo e la terra. » E poi infine all’Onnipotente, al Padre di tutti i beni si grida « Osanna; salvateci; » e si acclama « benedetto » al Redentore, che viene a salvare. – Il Sacerdote intanto va già coll’anima in cielo a prostrarsi dinanzi a Dio. Squilla il metallo scosso dal chierico tremante appiè dell’altare, e dà avviso, il Cielo si abbassa alla terra. Le campane echeggiano per l’aria, e proclamano nella regione delle nubi il trionfo del Dio della bontà, che ammette gli uomini a conversare con Lui. Prostesi sul suolo in questo terribile momento adoriamo tremanti il tremendo mistero! …. Il Cielo è aperto sopra la terra. Qui le cose divine alle umane si confondono; e noi frammischiati con gli Angioli, sull’altare come sulla porta del Paradiso, teniamoci stretti col Sacerdote; affrettiamoci di coprire le nostre miserie colla croce di Gesù Cristo (fa il segno di croce), ivi sotto la croce offriamo il tremendo Sacrificio. Qui il Sacerdote, lasciandosi andare col cuore a Dio, è tutto tra il benedirlo e supplicarlo. (Quì abbassa la voce). Oh! par che la sua voce si perda per la via del cielo; e l’anime con esso volino ad incontrare il Salvatore benedetto, e a gridargli innanzi: « Osanna, Osanna, o Signore del cielo, salvateci tutti!… » Silenzio!… Silenzio!…. il Sacerdote e il popolo si smarriscono in Dio!… Anticamente in questo istante si serravano le porte della chiesa: nel rito armeno si cala giù un gran velo, che copre il Sacerdote e l’altare: nel rito latino una nube d’incenso involge il nuovo Mosè, che è sul mistico monte a parlar con Dio, e rende più misterioso e più augusto questo luogo tremendo. L’organo ha cessato i suoi trilli, ma sospira sommessamente; e direste che si fa interprete dei trepidi pensieri, che s’alzano tremanti, ma pur s’ avvicinano a Dio, come tirati a forza dall’amor di Gesù Cristo; direste, che l’organo nostro sta in forse, se debba far sentire la pia armonia agli Angeli assuefatti ai concenti del Paradiso; direste che organo confuso anch’esso, non rende un suono da festeggiare Iddio, che si abbassa, e non sa far altro che gemere in umiltà, e sospirare soavemente! O direm meglio col gran maestro Rossini, con quella sua anima piena di melodie che lo elevano all’armonia del Paradiso; l’organo colla flebile voce umana soavemente penetra nei cuori, li indovina, si fa interprete de’ più delicati affetti, e solleva i palpiti del cuor umano ai rapimenti de’ Cherubini e de’ Serafini, che s’imparadisano col Divin Figliuolo in seno a Dio.

LO SCUDO DELLA FEDE (241)

LO SCUDO DELLA FEDE (241)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (9)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

ART. V.

LAVARSI LE MANI.

Il sacerdote si reca perciò dal lato sinistro dell’altare, e si lava le mani. Noi daremo brevemente la storia di questo rito e la sua significazione per ispirarci della sua santità. Questo rito di lavarsi e di purificarsi prima di trattar le cose sacre, forse è antico, come è antico, anzi naturale, il sentimento, che ha la creatura ragionevole, di essere indegna per le colpe di trattar colla Divinità. Anche nell’antica legge i sacerdoti si purificavano colla lavanda prima di accingersi al Sacrificio, e nel cortile dell’antico tempio di Gerusalemme era posta una gran vasca, chiamata mare di bronzo, in cui si lavavano gli Israeliti in sullo entrare nel luogo santo. Fra tutti i riti degli antichi popoli, che accennano al dovere di purificarsi, piace a noi di ricordare una legge dei sacerdoti egiziani, come accenna san Girolamo. Essi erano obbligati a vestire per le loro funzioni candidissimi lini, e a conservarli mondi così, che, se si fosse trovato morto un minuto insetto nei loro abiti, venivano condannati a morte. Che gran lezione per noi!… La Chiesa pertanto non poteva fare a meno di adottare il rito di purificarsi coll’acqua, per esprimere il desiderio della mondezza interiore, il quale rito fu sempre accetto e adottato dagli antichi Cristiani, usi fino da’ primi tempi anch’essi a lavarsi prima di entrare nelle chiese. S. Cirillo (Catech. Mystag. 5.) dice che era officio del diacono, (che poi fu da s. Clemente assegnato al suddiacono), di porger l’acqua da lavare le mani, non solamente al celebrante, ma anche agli altri preti assistenti all’altare; ed osserva come era simbolo della mondezza, che si richiedeva pei santi misteri. Di qui l’uso di porre alle porte delle chiese le pile dell’acqua benedetta, in cui il popolo fedele s’asterge. Quest’acqua alla porta ci ricorda che noi siamo stati purificati col Sangue di Gesù Cristo nell’acqua del santo Battesimo; e con benedirci con quell’acqua col segno di croce si vuol dir che copriamo le nostre miserie colle piaghe di Gesù, e corriamo sotto al vessillo, a cui fummo ascritti, quando il nostro nome nel Battesimo fu scritto nel libro della vita. Con la pratica di segnarci in contrizione si ottiene la remissione dei peccati, ed il sommo Pontefice Pio IX concesse cinquanta giorni d’indulgenza tutte le volte, che ci segniamo; e cento sempre che ci segniamo coll’acqua santa. È perciò commendevole l’uso di segnarci nell’entrar ed uscir di Chiesa, e nelle case cristiane, prima e dopo il cibo, affine di alimentarci a gloria di Lui, nel porci a riposo, nel sorgere ai nostri doveri, e negli istanti delle più pericolose tentazioni; per porre in fuga i nemici delle anime nostre, mettendoci sotto la croce del Salvatore, vessillo delle nostre speranze, innanzi a cui trema l’inferno. Il sacerdote si lava qui, non perché aspetti a purificarsi in quest’istante; ma perché, qualunque sia la purificazione che l’uomo abbia premessa, allorché si avvicina il momento tremendo, in cui si ha da trovar faccia a faccia colla Santità sostanziale, debbe sentire la necessità di fare uno sforzo ancora per purificarsi di nuovo. Per questo il Sacerdote, ritiratosi alquanto in un angolo, pare che chieda un po’ di tempo a raccogliersi in se stesso, e fare quest’ultima prova, e quindi esclama nel lavarsi: Lavabo.

Il Salmo: Lavabo.

« Laverò le mie mani fra gl’innocenti e circonderò il vostro altare, o Signore: Lavabo inter innocentes manus meas, et circumdabo altare tuum, Domine. » Quasi dicesse: Signore! È questo un popolo di rigenerati all’innocenza, segregato dai peccatori esclusi or ora dal luogo santo. Di questi innocenti avrò io cuore di mettermi a capo, senza prima purificarmi ancora? Per lavarmi dell’anima io non posso fare altro, che entrare nella mia coscienza, e mettere l’anima mia dinanzi a Voi confessandomi peccatore, e pregandovi di mondarmi ancor più (Ps. L). Voi colla grazia. Così purificherò le opere mie; e con mani monde m’avvicinerò ai sublimi vostri misteri. E circonderò l’altare vostro, su cui è il prezzo della nostra giustificazione. Convertiti adunque a Voi, noi ci terremo stretti al vostro altare: « ut audiam vocem laudis, et enarrem universa mirabilia tua. » – Riconoscenti alla vostra grazia, dal nostro cuore consolato pel vostro perdono escir deve una voce, che darà lode alla vostra bontà; e così noi racconteremo le vostre meraviglie. E di quali meraviglie ci rende testimonio la nostra coscienza? Ella, che mentre ci accusa per peccatori, nello stesso tempo ci consola col sentimento, che le sia ridonata l’innocenza? « Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ. »Sì, o Signore, siamo peccatori, ci confessiamo tali;ma un po’ di cuor l’abbiamo, e fortunati di avervifra noi, amiamo di darvi gloria noi, in mezzo ai qualiabitate. Amiamo il decoro della vostra casa, e il luogo,dove date gloria alla vostra bontà: ed appuntoin esso ci siamo ora raccolti, segregati dai peccatori.« Ne perdas cum impiis Deus animam meam et cum viris sanguinum vitam meam, in quorum manibus iniquitates sunt, et dextera illorum repleta est muneribus. »Salvateci, o Signore, liberateci dai peccati commessi e da quelli che pur possiamo commettereancora. Ah! non isperdete insieme cogli empi l’animanostra, e cogli uomini di sangue non mandatea male questa nostra vita! Sciagurati; hannoessi le mani piene d’iniquità, e la loro destra è ripienadi doni: poveri ingannati, che tengono le cosedel mondo in prezzo maggiore, che non la vostragiustizia!« Ego autem in innocentia mea ingressus Sum, redime me, et miserere mei. »Ma, Signore, noi siamo qui entrati nella speranza di essere da voi restituiti nell’innocenza; io poi, Sacerdote e uomo meschino, ho fatto di me stesso giudizio, come ho potuto, in nome della vostra giustizia. Non mi pare di essere reo di grave colpa; ma mi dirò dunque giustificato? E chi ardirebbe dinanzi a voi dirsi innocente? Affrettatevi di redimerci: perché tutte le nostre speranze poniamo nella vostra misericordia. « Pes meus stetit in directo, in Ecclesiis benedicam te, Domine. Gloria Patri etc. » Sì, vostro è il merito, e vostra è la gloria, se abbiamo fatto bene: noi vi benediciamo qui raccolti, e le nostre opere buone saranno per noi tutti ragione di rendervi sempre nuove benedizioni. Ah! sia gloria nel tempo e nell’eternità, qual si conviene, a Dio Padre, Creatore ecc. Così sia. – Noi non crediamo di aver raggiunto a pezza il senso di questo salmo; ma speriamo di averlo almeno in qualche parte interpretato; specialmente avendo noi cercato di compendiare in qualche modo la spiegazione di s. Agostino nelle sue Enarrazioni sui salmi, e di adattarla all’occasione, in cui si recita quivi. – Ora ci resta, nel considerare questo rito, di ricavarne lezione di cristiana umiltà. « Perché, dice s. Cirillo (Catech. Mystag. 5), si lava il Sacerdote? Forse per mondarsi da corporali sozzure? E chi ardirebbe presentarsi colle mani insozzate all’altare? Nessuno al certo. Le mani adunque significano le azioni; e il lavarsi le mani significa la mondezza e la purità della vita nostra. Non avete sentito Davide, che, per disporsi a trattar santi misteri, si vuol lavare cogli innocenti le mani? Questo lavarsi le mani è adunque un simbolo, e significa di non essere immondi di peccati. Si lava solamente le estremità delle dita; il che significa, come dice s. Dionisio (S. Dion. Areop. De Eccl. Hierar., cap. 3, n. 2.), il bisogno di purificarsi anche dei leggieri peccati. Deve ben essere una vergognosa impudenza l’avvicinarsi con libertà a Gesù Cristo nel Sacramento così di frequente, quasi si avesse il diritto di trattare con Lui colla confidenza d’amico; mentre facciamo al giorno tante minute azioni, che gli dispiacciono, e ad ogni ora! In vero non si può comprendere, come osiam di portare sull’altare sempre le solite infedeltà. Per questo, uomini santi, per quanto umanamente si può, a celebrare ben preparati, s’astengono tratto tratto, dall’altare, per richiamare in giudizio davanti a Dio la propria coscienza in qualche tempo di solitudine spirituale, a render conto del profitto fatto del dono di Dio. Noi lodiam ben di cuore lo zelo dei più, che ogni giorno niente meglio desiderano, che di rendere il più grande omaggio alla ss. Trinità, parendo loro di defraudare troppo gran gloria a Dio, se non celebrassero tutte le mattine. Noi sì lodiamo e benediciamo al fervore di quelle anime predilette, la cui vita è sospiro d’amore a Gesù, ed un continuo a Lui anelare, e che non sanno altrimenti quietare ed empiere la propria fame, se non hanno con tutta dolcezza e avidità il sacro Corpo (Imit. Christi lib, 4.). Questi lodiamo, perché danno opera a tenersi ben preparati per compiere ogni giorno la più tremenda azione. Ma se veneriamo questi fervorosi, non possiamo a meno di benedire a quegli altri, che sì astengono qualche giorno, per ritirarsi e disporsi a ricevere i santi misteri meglio preparati (Imit. Christi lib. 4.): e perciò fanno nell’anno un po’ di ritiro nei santi Esercizi.

ART. VI.

L’ORAZIONE: SUSCIPE, SANCTA TRINITAS.

Il lavarsi le mani in quel punto significa la sollecitudine di un’anima, che affina i suoi pensieri, purifica i suoi affetti, e tenta deporre ogni resto di umana miseria, per sollevarsi a Dio. Questo convien massime al Sacerdote, che deve in nome di Gesù Santissimo presentarsi alla ss. Trinità, e offrirle nel Sacrificio tale un omaggio, che, sebbene mandato dalla terra, al tutto è divino. Eccolo che torna in mezzo all’altare, e s’inchina posando sopra di esso le mani giunte. In questa giacitura ricorda il Salvatore benedetto, che nella sua vita mortale offriva tutto se stesso alla gloria del suo Padre celeste: ed era come il suo cibo d’ogni ora fare la volontà di Lui fino alla morte. Onde con Gesù assorto nel pensiero della grande offerta, dice l’orazione, che comincia:

Suscipe, sancta Trinitas.

« Accogliete, o Trinità santa, questa oblazione, che vi offriamo in memoria della Passione, Risurrezione ed Ascensione di Gesù Cristo, Signor nostro, ed in onor della beata Maria sempre vergine e del beato Giovanni Battista, e dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e di codesti e di tutti i Santi, affinché a loro torni in profitto d’onore, e per noi in profitto di salute: e intercedere per noi si degnino in cielo quegli, di cui facciamo memoria in terra. Per il medesimo Gesù Cristo, Signor nostro. Così sia. » – Per ben intendere quest’orazione, diremo che il Sacerdote, avendo già fatta l’offerta del pane e vino distintamente, ora in questa preghiera la rinnova offrendoli insieme, perché insieme sono ordinati a concorrere in unità al Sacrificio (Bened. XIV, De sac. Miss. Lib. I, cap. II, n.4). Vogliono anche alcuni, che le due prime orazioni, che accompagnano le due offerte suddette, fatte ad una ad una separatamente, venissero dal Sacerdote recitate col popolo, e poi questa solo dal Sacerdote. Per penetrare nello spirito di questa sublime preghiera, osserveremo prima di tutto, che in essa si fa menzione della Passione, Risurrezione ed Ascensione di Gesù Signor nostro, supplicando la ss. Trinità ad accogliere, in memoria di quelle, l’offerta immacolata che si va preparando. Quest’offerta dev’essere il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, per merito del quale solamente venivano accettati i sacrifizi antichi, che lo figuravano (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 1). Ora considereremo quanto appunto si sperava con quelli in figura, e lo vedremo poi tutto eseguito nel Sacrificio della Messa in un modo veramente degno di Dio. – In primo luogo per fare i sacrifizi, comandati da Dio nell’antica legge, si eleggeva la vittima: e con questa elezione quella diveniva cosa santa, e vuol dirsi segregata dagli usi profani, e a Dio devota. Questa elezione della vittima ha già fatto nel mistero dell’Incarnazione il Figlio di Dio, quando prese l’umana natura, ed immedesimandola colla sua Natura Divina si fece nostro Salvatore offrendosi da vittima e pontefice, consacrato coll’unzione della Divinità all’immortal sacerdozio (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 1). Da quel primo istante da cui nacque uomo il Nazareno, Figliuolo di Dio Santissimo, o come cosa tutta santa, consacrata a Dio per venir poi per noi sacrificata in sulla croce: e sospirando il momento di farlo, sclamava sino dal primo istante della sua umana esistenza: « m’avete adattato un Corpo: ecco, ecco che io vengo » (Hebr. X). In secondo luogo i sacerdoti giudaici la vittima eletta ponevano e immolavano in sull’altare, e del sangue suo cospergevano l’altare e tutto d’intorno. La vittima così immacolata era un’immagine viva di Gesù Cristo, grande vittima che fu sacrificata sul Calvario; del cui Sangue di tutte le Piaghe, e massime del santo suo Costato, fu cosperso l’altare della croce e tutto intorno (Bened. XIV, lib. I, cap. II, n. 5, De sac. Miss.). Finalmente quell’antica vittima di carne mortificata veniva abbruciata, e purificata così dal fuoco; e dall’altare, come in profumo, saliva al cielo in odore di soavità; mentre in terra il popolo vi aveva la sua parte. Anche questa era simbolo, che accennava e prometteva al cielo il profumo veramente divino della gran Vittima, che col morire crocifissa deponeva nella morte, come insegna san Paolo (2 ad Cor.), ciò che di mortale aveva, e sorgeva immortale nella Risurrezione. Nell’Ascensione poi il Redentore trionfante portava l’umana carne spiritualizzata nel più alto de’ cieli in seno al Padre; e qui in terra ancora si comunica e s’incorpora coi fedeli, per portare la nostra povera umanità alla beatitudine in Paradiso in seno al Padre. – Ora ecco perché (Bened. XIV, ibi) nella Messa si supplica che sia accolto quel Sacrificio in memoria prima della Passione; perché come nella passione la gran vittima per la divina incarnazione già preparata, venne uccisa e colla morte distrutta; così nella futura consacrazione la vittima misticamente sì svenerà, e misticamente si distruggerà, e si priverà di vita, presentandosi come agnello trafitto, dal cui corpo è tratto il sangue sino all’ultima goccia. E per questo fine appunto si consacra il Corpo e il Sangue sotto diverse specie, l’una dall’altra divisa (S. Thom. 3 p., 74, art. 1.). Diremo, nel Sacrificio della Messa Gesù Cristo si offre davanti al Padre col suo Corpo proprio come era pendente in croce, là svenato col suo Sangue come era diviso dal corpo e tutto là sparso per terra. Così col corpo sotto le specie del pane, col sangue sotto le specie del vino si presenta come li avesse ancor separati benché sia in Persona vivo e glorioso sotto ciascuna specie. Oh vittima ed Agnello divino che caduto innanzi al trono di Dio come svenato trova in cielo la redenzione! Poi si prega, che sia accolta in memoria della Risurrezione: perché, come dicemmo, nella .risurrezione quel corpo, purificato d’ogni avanzo di mortalità (come la vittima si purificava pel fuoco), si rivestì dell’immortalità; e così pure nel Sacrificio il Corpo di Gesù Cristo sotto le specie sacramentali si presenterà nello stato di gloria e risorto all’immortalità. – Finalmente s’implora, che sia accolto il Sacrificio in memoria dell’Ascensione. Poiché, come nell’Ascensione l’umana natura divinizzata in Lui elevossi in seno al Padre; così dall’altare santo Gesù Cristo sacrificato si eleverà come profumo divino in seno al Padre, e il Padre accoglierà l’Unigenito, sua eterna compiacenza, che, essendo Dio con esso divin Padre, a Lui di qui rende onore divino, nel sacrificio tutto a Lui offertosi. S’aggiunge poi di offrirlo in onore di Maria ss. e di tutti i Santi; affinché per loro torni ad onore, e riesca per noi a salute coll’intercessione di loro pei meriti di Gesù Cristo. Oh sì veramente! Per tutti quei felicissimi, che in virtù di questo Sacrificio sono beati in Paradiso, quale dovrà essere la consolazione e quale la gloria del sentire ricordare le proprie virtù, ed all’augustissima Trinità fare di esse un presente in uno coi meriti e colla Persona del Figliuolo divino? Essi inabissati nel seno della Divinità, d’uno sguardo abbracciando il cielo e la terra, il tempo passato ed il futuro, come l’istante presente, contempleranno in chiarezza i misteri della grazia, l’ordine della redenzione operata dal figliuolo di Dio; di là comprenderanno bene, come la loro santità sia il frutto della gran radice, che in tutti i popoli si va diffondendo; così d’ogni ben perfetto in sulla terra riconosceranno la causa, la virtù, il merito essere in Gesù Cristo. Onde con quelle espressioni, che si sanno formare solo in seno a Dio, d’ogni bene a Lui daran gloria eternamente. Qui par bene che al Sacerdote siasi nella contemplazione rivelato un raggio di quella beatitudine, che riflesso sulle anime in terra, diventa celeste speranza dell’anima cristiana; per cui egli confida vivamente per Gesù Cristo di salire anch’esso coi suoi figliuoli a’ piedi di Maria a ricongiungersi con quei beati. In tale elevazione di mente, con questo desiderio, in questa speranza s’attacca all’altare, che lega la terra al trono di Dio, e, stringendosi al petto le reliquie dei Santi, colle braccia allargate in atto di accogliere tutti i fratelli, che ha intorno, e portarseli in cuore in Paradiso, con quelli bacia l’altare, che ne è la porta, e in quella piena di affetti ineffabili e misteriosi si rivolge, e si raccomanda a tutti di rianimare il fervore nell’accompagnarlo colle preghiere, col dire: Orate, fratres.

Art. VII.

L’ORAZIONE: ORATE, FRATRES.

Ci piace di premettere l’osservazione, che il sacerdote, nell’atto di rivolgersi per dire: Orate, fratres, compie il giro; cioè voltandosi al popolo dal lato destro, girandosi intorno si rivolge all’altare dal lato sinistro; mentre tutte l’altre volte, che dall’altare si volta al popolo, non compie il giro, ma ritorna dalla parte, donde s’era voltato. Per conoscere il perché di questo girarsi intorno, che fa il Sacerdote, è da considerare, che in altri tempi nelle chiese stavano dagli uomini separate le donne in luogo appartato, che si chiamava il matroneo, cioè luogo serbato alle cristiane matrone. Il perché si legge ancora in antichi rituali, che il Sacerdote rivolto alla parte degli uomini diceva; « Pregate o fratelli; » poi rivolto dalla parte delle donne diceva; « Pregate o sorelle (Card. Bona, R:r. lit. lib. 2, cap. 9, n. 6) » Ora questo giro compiuto potrebbe significare, che il Sacerdote in così fare si rivolge a tutti i fedeli, che si trovano in ogni parte, e va, per così dire, coll’animo in cerca di ciascuno in ogni angolo della chiesa, ed allargando loro le braccia incontro, li supplica della carità d’accompagnarlo colle preghiere. Dice adunque questa:

Orazione

« Pregate, o fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia fatto accettevole presso Dio, Padre onnipotente. »