Profezia di S. Pio X dell’esilio e della prigionia di Gregorio XVII – Fatima e la SEDE IMPEDITA

 “Ho visto uno dei miei successori, dello stesso mio nome, Che stava fuggendo (da Roma) … egli morirà di una morte crudele “.

Vedo i russi a Genova  

Nel 1909, durante una udienza per il capitolo generale dell’Ordine Francescano, Papa Pio X improvvisamente cadde in trance. Il pubblico aspettava in silenzio riverente. Quando si svegliò, il papa gridò: “Quello che vedo è terrificante, sarò io stesso … sarà un mio successore? Certo è che il Papa uscirà da Roma e lasciando il Vaticano dovrà camminare sui cadaveri dei suoi sacerdoti.

Proprio prima della sua morte (avvenuta il 20 agosto 1914), Papa Pio X ebbe un’altra visione: “Ho visto uno dei miei successori, un mio omonimo (Giuseppe), che stava fuggendo sui corpi dei suoi fratelli. Si rifuggerà in un luogo nascosto, ma dopo un breve riposo, morirà di una morte crudele (il 2 maggio del 1989)”.

Lo stesso Papa aveva anche predetto la guerra per l’anno 1914 ; durante la sua agonia di morte (nel 1914), disse: “Vedo i russi a Genova”….“I russi a Genova”: si riferisce alle visite minacciose degli emissari russi a Genova per sondare le intenzioni di Siri una volta asceso al Papato, o forse ai carcerieri fiancheggiatori della giudeo/massoneria che lo sorvegliavano in ogni sua mossa quando era ostaggio a Genova. Ma … “qui habitat in cælis irridebit eos … “

LA PRIGIONE DI GREGORIO XVII a Genova.

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Fatima predice la “Sede Impedita”: la Persecuzione del “vero” Papa

“Vedi l’Inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori … Se [la gente] non smette di offendere Dio, Egli punirà il mondo per i suoi crimini per mezzo della guerra, della fame, e con la PERSECUZIONE della Chiesa e DEL SANTO PADRE ». -Nostra Signora di Fatima, 1917 d.C.

Nota: le persone non hanno mai smesso di “offendere Dio”. Di conseguenza, Dio ha punito il mondo attraverso la peggiore persecuzione di colui che è la “Guida al Cielo” (il Santo Padre) della storia: Gregorio XVII 1958-1989, e Gregorio XVIII 1991-tuttora vivente, hanno sofferto quello che la Chiesa definisce come “SEDE IMPEDITA”. Questa avviene quando un Vescovo (in questo caso di Roma, il Papa) è impedito nel suo ufficio da forze esterne che agiscono PUBBLICAMENTE.

La pastorella Jacinta Marto, che ha aveva avuto una visione speciale di almeno uno dei Papi “impediti” della Chiesa sotterranea, disse: “Povero Santo Padre, dobbiamo pregare molto per lui”. Naturalmente i cattolici devono sostenere anche finanziariamente il Papa (per la sua sicurezza). Il messaggio di Fatima, anche in queste ultime ore, continua a sostenere la speranza … ma a condizione che agiamo! … “Non vi è alcun problema, vi dico, non importa quanto difficile, che non possiamo risolvere con la preghiera del Santo Rosario: con il Santo Rosario ci salveremo, ci santificheremo: “Consola nostro Signore ed ottiene la salvezza di molte anime “. -Suor Lucia di Fatima (?!?), 26 dicembre 1957.

[vedi sul blog, i Dettagli Storici della Consacrazione Pontificale della Russia al Cuore Immacolato di Maria” in: “25 anni di Papato”/exsurgatdeus.org]

La Madonna di Fatima è venuta a diffondere la devozione al suo Cuore Immacolato. Ci ha detto di pregare il Rosario quotidianamente, di fare penitenza e di indossare lo Scapolare marrone.

Il 13 maggio 1991 il Successore di Gregorio XVII consacrò la Russia, per nome, al Cuore Immacolato, in unione con tutti i Vescovi del mondo.

Il Signore a Lucia di Fatima, il 3 agosto 1931 dC (Rianjo, Spagna): “(I Pontefici) non hanno voluto rispettare la mia richiesta ma, come il re di Francia, si pentiranno e la faranno (la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato in unione con tutti i vescovi del mondo), ma sarà troppo tardi: la Russia avrà già diffuso i suoi errori in tutto il mondo provocando guerre e persecuzioni della Chiesa, il Santo Padre avrà molto da soffrire . ”

 Papa Gregorio XVIII ha consacrato la Russia al Cuore Immacolato di Maria, cosa che gli altri Papi non fecero. – “… ma la (consacrazione) sarà fatta troppo tardi: la Russia ha oramai già diffuso i suoi errori …”

“Essi (i Papi, da Pio XI a Gregorio XVII) non hanno voluto seguire la mia richiesta, ma come il Re di Francia, si pentiranno e lo faranno poi (il Papa Gregorio XVIII, il 13 maggio 1991 a Roma), ma La Russia avrà già diffuso i suoi errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni della Chiesa, per le quali il Santo Padre avrà molto da soffrire “.

Storica Correlazione:

Il Re di Francia nel 1688 ed Il Re di Roma (Il Santo Padre) nel 1929! 

1688: 17 giugno, il nostro Signore (attraverso Santa Margherita Maria Alacoque) chiese al re di Francia Luigi XIV di consacrare il suo regno al suo Sacro Cuore, altrimenti si sarebbe verificata una grave calamità alla corona francese. Luigi XIV – non acconsentì. 1788: il 17 giugno, il re Luigi XVI perse il suo trono 100 anni dopo nel giorno esatto in cui Il Signore aveva fatto la sua richiesta di Consacrazione al suo Sacro Cuore.

1929: 1 giugno (in Tuy): Nostra Signora di Fatima chiese a Suor Lucia che il Re di Roma (Il Santo Padre) in unione con tutti i Vescovi del Mondo, consacrasse la Russia al suo Cuore Immacolato, “È arrivato il momento in cui Dio chiede al Santo Padre, in unione con tutti i Vescovi del mondo, di consacrare della Russia al mio Cuore Immacolato, promettendo di salvarla con questo mezzo. Ci sono tante anime che la giustizia di Dio condanna per i peccati commessi contro di me, e sono venuta a Chiederne la riparazione: sacrificatevi per questa intenzione e pregate “. (Pio XI – non ha risposto!).

1958: 26 ottobre, il Re di Roma, il Santo Padre, perse il suo trono (che fu cioè usurpato!!!

1931: 3 agosto (a Rianjo): Nostro Signore a Suor Lucia, “Non hanno voluto rispettare la mia richiesta. Come il re di Francia, si pentiranno e la faranno, ma sarà ormai troppo tardi: la Russia avrà già diffuso i propri errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni della Chiesa; il Santo Padre avrà Tanto da soffrire “.

Preghiamo per la conversione totale della Russia e per il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria [S. S. Papa Gregorio XVIII!]

Le sette preghiere che i bambini di Fatima hanno ricevuto dal cielo

(e che tutti dovrebbero recitare)

 “Santissima Trinità Vi adoro! Dio mio, Dio mio, Vi amo nel Santissimo Sacramento!”

2°
Per la tua pura e immacolata Concezione, o Vergine Maria, ottieni per me la conversione della Russia, della Spagna, del Portogallo, dell’Europa e del mondo intero “.

3° – “O Santissima Trinità, Padre, Figlio e Santo Spirito, ti offro il preziosissimo Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione dei sacrilegi, gli oltraggi e l’indifferenza con cui Esso viene offeso e, per gli infiniti meriti del suo Cuore Sacro e del Cuore Immacolato di Maria Vi prego di ottenere la conversione dei poveri peccatori “(3 volte)

4°
“Mio Dio, io credo, adoro, spero e Vi amo! Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano! “(3 volte)

5 °
“O Gesù mio, perdonate le nostre colpe, liberateci dal fuoco dell’inferno, pietà delle anime nel purgatorio, specialmente per le più abbandonate”.

6°
Da dirsi ogni volta che si offre un sacrificio: * “O mio Gesù, Ve lo offro per amore Vostro, per la conversione dei peccatori ed in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria”.

* (Da dirsi ogni volta che si fa un sacrificio):

7° “E per gli infiniti meriti del Suo Sacro Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi chiedo, la conversione dei poveri peccatori”.

Nota: E un’ultima preghiera di Fatima. Giacinta, quando cominciarono le apparizioni, alle solite sette preghiere, aggiunse tre Ave Maria dopo il Rosario, sempre per “il Santo Padre“.

 

“Pio XII ha detto che dovevo succedergli” – Papa Gregorio XVII

 

“Pio XII ha detto che dovevo succedergli” – Papa Gregorio XVII – Il Papa “vero” legittimo!

Nel 1938 Papa Pio XI si esprimeva dicendo: “Se il Papa muore oggi, domani se ne avrà un altro, perché la Chiesa continua. Sarebbe una tragedia molto più grande invece, se morisse il cardinale Pacelli, perché ce n’è uno solo. Io prego ogni giorno: certo Dio può inviare un altro uomo da uno dei nostri seminari, ma ad oggi, c’è solo lui in questo mondo.” Dopo la morte di Pio XI, il Cardinale Pacelli infatti diventerà Papa Pio XII, e nel 1953, anche lui avrebbe approvato un uomo da elevare al Papato, di 46 anni, Giuseppe Siri, l’arcivescovo di Genova. Quando Pio XII nominò cardinale G. Siri, nel porgli il cappello rosso in testa, un reporter presente ebbe a sottolineare: “questo è un momento storico, il Papa incorona il prossimo Papa.” In effetti, Siri ha scritto nel suo diario personale ora pubblicato: “Pio XII mi ha detto che devo succedergli, egli sta preparando per me lo stesso percorso che Pio XI aveva preparato per lui.”

Il “papa” falso, l’agente massonico (33° liv.): A. Roncalli.

“Questo piano (per installare un falso papa) è stato rivelato anche in una lettera del cardinale Tisserant, il 12 marzo 1970, quando ha fatto allusione appunto alla elezione ‘pianificata’ di ‘papa’ Giovanni XXIII: “L’elezione dell’attuale Sommo Pontefice è stata fatta in fretta. L’elezione di Jean XXIII, venne discussa in numerose riunioni”.

“Nessuno può essere in grado di dare informazioni sul processo dopo il conclave. È stata imposta una segretezza più stretta che mai! E’ assolutamente ridicolo dire che OGNI CARDINALE POTEVA ESSERE ELETTO. I miei migliori saluti. (Fotocopia della lettera pubblicata sul libro di F. Bellegrandi: Nichita Roncalli – p. 30)…

“In un’altra lettera, il cardinale Tisserant ha detto ad un abate docente di diritto canonico che l’elezione di Giovanni XXIII era illegittima perché è stato voluta e “preparata” da forze aliene ALLO SPIRITO SANTO “. (‘Vita’ 18 Settembre, 1977, p. 4: ‘Le profezie sui papi nell’elenco di San Malachia’, de “Il Minutante”- [ ‘Profezie sui papi di Malachia di Armagh’]”(Fonte del testo è: L’Eglise Eclipse par Les Amis du Christ Roi de France 1997)

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Il Papa Prigioniero Gregorio XVII segnala il colpo massonico!

“Siri ha detto che dovevamo pregare per i conclavi futuri, di modo che coloro che volessero partecipare possano essere veramente liberi da ogni tipo di condizionamento o di influenza, non solo in termini etnici o politici, ma anche sociale. Bisogna pregare perché non ci sia alcuna manipolazione da parte di alcuna setta”. [FFr. Raimondo Spiazzi, “Il Cardinale Giuseppe Siri”, Bologna: Studio Dominicani, 1990. (Nota: La citazione dal libro di Spiazzi è stato tratta dall’articolo della rivista “30 Giorni”, “infiltrati Sì …?”, Novembre 1991, pag. 55.) sua Santità, sempre sotto sorveglianza, parlando di come mantenere l’integrità delle decisioni nei “futuri conclavi” … cosa che chiaramente implica che in quelli “passati” [dal 1958 al 1978 –ndr.- ] il VERO LEGITTIMO RISULTATO del Conclave (che lo aveva reso Vicario di Cristo con il nome di GREGORIO XVII) sia stato manipolato satanicamente (cioè falsificato) dalla setta massonica … che aveva installato con successo il “fratello” 33° Roncalli (il sedicente “nuovo” Giovanni XXIII), per accelerare il loro suo obiettivo secolare della distruzione totale della Chiesa cattolica.

Quando gli usurpatori del Vaticano hanno scoperto che si parlava del vero Papa …

“Nella settimana che seguì la pubblicazione di questo articolo (” Il Papa: poteva essere il cardinale Siri”, luglio 1986 – v. nel blog, “quattro articoli”), Monsieur de Franquerie ricevette due telefonate da Roma, a dimostrazione che in Vaticano era stata letta anche questa piccola recensione altamente confidenziale. L’interlocutore voleva sapere se l’articolo fosse attendibile, della qual cosa, Monsieur Franquerie diede loro conferma.

 

L’articolo venne poi tradotto in inglese, tedesco, spagnolo, italiano e distribuito in tutto il mondo ….”(L’Eglise Eclipsée da Les Amis de Christ-Roi, Edizioni Delacroix, 1997 Parigi)

Tutti i veri cattolici devono una quantità incredibile di grazie al marchese de la Franquerie ed ai suoi illustri colleghi, per la loro provvidenziale intervista fatta al “cardinale Siri” (in realtà Papa Gregorio XVII) il 18 maggio, 1985 . Quell’incontro provvidenziale ha spianato infatti la strada per l’odierna Campagna di restauro del vero Pontificato [PRC] – il cui unico obiettivo è quello di ripristinare visibilmente il degno successore di Papa Gregorio XVII, Papa Gregorio XVIII, sul suo legittimo trono.

* Il Marchese de La Franquerie era un realista francese. Nel 1926 venne nominato redattore capo della rivista approvata della Chiesa, la Rassegna Internazionale di società segrete [RISS]. Venne nominato ciambellano di Sua Santità, Papa Pio XII, ed era un noto esperto di Massoneria … per questo era molto rispettato, e anche temuto, da vari prelati del suo tempo. Sono state queste “qualità” che gli permisero di ottenere l’accesso al Papa in ostaggio, a Genova, e di ottenerne udienza quel fatidico giorno di maggio. Di questo storico 18 maggio 1985, esiste la registrazione fatta da uno dei testimoni oculari presenti, signor Luis-Hubert Remy.

E’ importante notare che Papa Gregorio XVII, in incontri clandestini con esponenti del Clero cattolico tradizionale nel giugno 1988, avrebbe inoltre rivelato di essere stato eletto Papa, di avere accettato l’incarico, evendo scelto il nome di Gregorio XVII durante il Conclave del 26 ottobre 1958, e che i suoi carcerieri, fiancheggiatori massonici, avrebbero potuto ucciderlo in qualsiasi momento. (Ed infatti meno di undici mesi dopo questi segreti incontri del giugno 1988, Gregorio XVII, in seguito a “misteriosi” malanni, morì nell’arco di poche settimane, il 2 maggio 1989.). [TCWblog]

PROFEZIA SU FLOS FLORUM (GREGORIO XVIII) DI S. GIOVANNI DA CAPISTRANO

Profezia su Flos Florum (Gregorio XVIII) di S. Giovanni da Capistrano

“Le persone moriranno di fame quando viene creato (Cardinale?), egli dividerà e darà ai poveri (Fior dei fiori).”

S. Giovanni da Capistrano, XV sec.

 * Nota: Fr. Culleton inserisce il suo commento tra parentesi “il Cardinale?” [Vale a dire, la parola “il cardinale” con un punto interrogativo] in questa famosa profezia del XV ° secolo di San Giovanni da Capistrano sugli ultimi papi nel tempo. La citazione si trova nel suo popolare libro sulle profezie Cattoliche: “I Profeti e del nostro tempo”, di p. Gerald Culleton, pag. 157 – 1941 Imprimatur.

La Provvidenza partorì un fiore raro nell’aridità dei deserti in cui la Chiesa si trova …”

Elementare è l’analisi della Profezia di San Giovanni da Capistrano su “Flos Florum”: La gente “moriva di fame” [era cioè senza la grazia soprannaturale dei “Sacramenti”], nutrita per decenni dallo sterco e dal veleno delle eresie degli scismatici, quando nella primavera del 1988, il “Papa in ostaggio “, Gregorio XVII, CREAVA dei veri cardinali, tra i quali un Cardinal Camerlengo, dando loro l’ordine di eleggere il successore tempestivamente, qualora dovesse morire in maniera imprevista. (“Il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente e personalmente ai Cardinali di Santa Romana Chiesa, mentre  è da escludere e rifiutare assolutamente ogni intervento da parte di non importa qualsiasi autorità ecclesiastica o da parte di ogni potere secolare, di qualsiasi grado, che possa condizionarne la regolarità”Papa Pio XII, Costituzione Apostolica “Vacantis Apostolicae Sedis“.. – I suoi cardinali in obbedienza, dopo aver superato molti ostacoli, tennero con successo il Conclave convocato (segreto) a Roma il 2 maggio 1991 e, dopo la Messa da requiem per Papa Gregorio XVII, procedettero il 3 maggio 1991 alla elezione del nuovo Papa, S. S. Gregorio XVIII, tuttora vivente. Deo gratias!., San Giovanni da Capistrano pertanto nella profezia: “che questo Papa dividerà e darà ai poveri”, sembra implicare che i più piccoli, coloro cioè che possiedono la vera infantile semplicità di cuore, ora (e dopo i 3 giorni di buio) raccoglieranno i tesori di grazie celesti senza precedenti, come ricompensa per la loro incrollabile fiducia nelle promesse divine di Cristo fatte alla sua Chiesa e al suo Vicario in terra: Flos Florum “fiore dei fiori”. Nella celebre lista profetica dei Papi di San Malachia, Papa Gregorio XVII è Pastor et nauta ” – mentre, cronologicamente, il successore è proprio Flos florum “Fior dei fiori”.

*La Santità di S. Giovanni da Capestrano: “ Nicola di Fara, dopo aver menzionato diversi grandi predicatori che hanno evangelizzato l’Italia in questo periodo (XV sec.), dice: “Ma di tutti questi nessuno è stato più stimato dai suoi fratelli di Giovanni da Capistrano; nessuno più favorevole alla corte romana; nessuno più sapiente in diritto civile e canonico, nessuno più zelante per la conversione degli eretici, degli scismatici, e degli ebrei, nessuno più sollecito per il progresso della religione, nessuno più potente nei miracoli mostrati … Tante persone .. . lo hanno ricevuto con onore ed erano così ansiosi di ascoltarlo, che coloro che venivano per ascoltare la parola di Dio spesso riempivano le piazze più grandi e gli spazi più ampi: spesso ci sono stati ventimila, trentamila, a volte anche oltre un centinaio di migliaia di persone presenti ai suoi sermoni “. (Dal libro, “San Giovanni da Capistrano”, di P. Vincent Fitzgerald, O.F.M., pp. 24-25, 1911, Longmans, Green and Co., New York. Imprimatur)

Allora la Chiesa sarà … nelle catacombe …. Tale è la testimonianza universale dei Padri della Chiesa antica.” -Cardinal Manning, “The Present Crisis of the Holy See“, 1861, London: pp. 88-90.

” … la successione dei vescovi fino ad oggi nella Sede di San Pietro … è caratteristica della Chiesa Cattolica, e di nessun altro.” -S. Agostino

“Quindi, come dice S. Ireneo,” E necessario che tutti debbano dipendere dalla Chiesa romana come loro testa e fontana; tutte le Chiese devono essere d’accordo con questa Chiesa per la sua priorità del suo principato, perché le tradizioni consegnate dagli Apostoli sono state sempre conservate” (S. Iren, lib 3, c 3..); pertanto dalla tradizione derivata dagli Apostoli che la Chiesa fondata a Roma conserva, e dalla Fede conservata dalla successione dei Vescovi, possiamo confondere coloro che per cecità o per una cattiva coscienza traggono conclusioni errate (ibid).

“Volete sapere”, dice S. Agostino, “quale è la vera Chiesa di Cristo? Contate quei sacerdoti che, in una successione regolare, sono usciti da San Pietro, che è la roccia, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno”(S. Agostino in Psalm. cont. Donat..): e il santo Dottore sostiene come uno dei motivi che lo trattengono nella Chiesa cattolica, sia la successione dei Vescovi fino ad oggi nella Sede di San Pietro” ; (.. Epis fondo, c 4, n. 5),. perché in verità la successione ininterrotta degli Apostoli e dei discepoli è solo caratteristica della Chiesa cattolica, e di nessun altro” [-S. Alphonso M. dei Liguori, La Storia delle Eresie e loro confutazioni; O, Il Trionfo della Chiesa. *Vol I]

Tutta la forza della Chiesa è nel Papa, tutti i fondamenti della nostra fede si basano sul successore di Pietro. Coloro che desiderano il suo assalto del male il Papato in ogni modo possibile ….”.

-Monsignor Sarto, Vescovo di Mantova (il futuro Papa San Pio X) annota: riferendosi a ciò che San Paolo scrive nella II lettera ai Tessalonicesi, II:. I-IV (la rivolta e la separazione dal vero Legale Pontefice, “garanzia della fede” [Gregorio XVII, eletto Papa il 26 ottobre 1958), che il più grande corpo dei persecutori del vero Papato (attualmente in esilio) di oggi, è costituito dallo eretico-scismatico Novus Ordo (con le loro “gemelle” Fraternità non-sacerdotali San Pio X e S. Pietro) nonché dalle sette sedevacantiste antipapali della perdizione.

Don MINO – segretario di Giuseppe Siri (S.S. Gregorio XVII)

 

 

GIUSEPPE CARD. SIRI

Arcivescovo di Genova

[futuro GREGORIO XVII]

Don Mino

(Mons. Bartolomeo Pesce)

Profilo

Ai Suoi genitori

LO STUDENTE

Don Mino era nato il 5 febbraio 1921 da Giovanni Pesce e da Elvira Mazza a Genova in Via Casaregis 18. Egli avrebbe portato fino alla fine il senso della saggezza pacata di suo padre e la educazione e finezza di sua madre. L’attaccamento ai suoi genitori fu esemplare, senza stornarlo dal suo dovere di sacerdote. Due anni prima della sua morte, un giorno a Villa Campostano, nel giardino restammo soli. Ne approfittai per fare un certo discorso, su un argomento che mi preoccupava da tempo. Volevo studiare per lui una sistemazione, che gli fosse stata congrua. Mi disse: “Non si preoccupi; vede, io non potrei sopportare la morte di mio padre o di mia madre. Del resto sento che morirò giovane”. Visse sempre del ricordo dei suoi nonni paterni e materni con una devozione commovente. Ebbe profondità e finezza di sentimento – tutta sua – verso gli zii e le zie. Il ceppo della famiglia era a Molare presso Ovada; egli non vi era nato, ma quella era la sua patria. Negli ultimi anni volle si comperasse un terreno nel Cimitero, per trovarsi tutti uniti dopo la morte. Credo però che il tono e il tipo di questo amore per il natìo loco si potrà capire quando la sua figura sarà più completamente delineata. – La sua storia comincio a narrarla da un giorno d’Ottobre quando io cominciai la mia missione di Insegnante di religione al Regio Liceo Doria nel 1937. Don Mino apparteneva alla terza B, che occupava al secondo piano l’aula a destra in fondo al corridoio prospiciente la Questura. Rivedo tutti i miei scolari d’allora e li rivedo al loro posto. Mino occupava la seconda fila da sinistra, il secondo banco a destra, che condivideva con Biagio Petraroli. – Feci il primo appello, adagio come era consuetudine, per stamparmi bene in testa nomi e fisionomie in modo da poter ritenere subito tutti, chiamarli senza alcun bisogno di registri o di piante dell’aula. Cominciai la scuola. Prima della fine avevo una certa idea degli scolari, ma tra questi ne notai uno, attentissimo con due occhi benevoli e penetranti che esprimevano un immenso desiderio di imparare quanto insegnavo. Era Mino Pesce. Quello sguardo era tale, che capii subito esserci qualcosa di non comune. Col tempo seppi che era benvoluto da tutti, che la sua casa era facilmente il ritrovo di compagni, che andavano a studiare con lui in gruppo nutrito. Come ero stato solito fare nelle scuole, nelle quali avevo prima insegnato, diedi inizio al “Focolare”, per curare meglio fuori della scuola l’anima di quei ragazzi. Corrispondevano in modo commovente. Il luogo di incontro era la mia camera in Seminario, nel corridoio dei Superiori, immediatamente prima della Tribuna della Cappella. Sapevo che i ragazzi hanno una immensa sete di verità e di giustizia, di ideali. Il focolare visse sempre per quella grande sete. Sapevano che eravamo in Seminario, che bisognava rispettare il silenzio. Arrivavano al sabato nel pomeriggio, camminavano in punta di piedi, perché bisognava passare davanti alla porta del Rettore. Nella mia camera ci stavamo assiepati in più di trenta, seduti su tutti i mobili in qualche modo senza alcun chiasso. Per anni sono venuti e non hanno mai disturbato nessuno, tanto che io non ebbi mai rimproveri o proibizioni. Dopo che si era tra loro fondata una specie di Società di san Vincenzo de Paoli, si faceva la raccolta e io conservo ancora la busta di panno azzurro che serviva a deporvi i denari. L’anima di questo focolare era don Mino. – Sui suoi compagni aveva un prestigio singolare che non venne mai meno. Il segreto di questo prestigio era la chiarezza del suo contegno, la finezza della sua educazione, l’equilibrio dell’anima sua, la prontezza a fare quello che potesse essere utile agli altri. La sua fu la classe che ricorderò di più: una parte arrivò senza spinte alla Comunione quotidiana, che comportava naturalmente il sacrificio di una molto sollecita levata. I più facevano la Comunione festiva. Ancora oggi il ricordo di quella classe non abbandona quelli che vi appartennero. – I professori erano persone per bene: due – che non sono più – sono particolarmente ricordati: il Prof. Savelli di filosofia e la Signora Settignani di matematica e fisica. Il primo era ammirato per la sua dirittura e per la forza educativa che sapeva infondere nel suo insegnamento. Aveva la statura da grande professore universitario e lo sarebbe certamente stato se si fosse piegato alla moda politica del tempo. Gli fui amico, lui frequentava per anni i Corsi di Villa Maria, nella onesta ricerca della Fede. Durante la guerra, mi pare nel 1942, verso l’estate mi giunse da lui, da Ancona, una cartolina in cui mi annunciava che si era confessato e comunicato. Era quello che attendevo: dopo un mese era morto. Pensando al Prof. Savelli ho sempre pensato essere impossibile che un uomo veramente onesto e desideroso della giustizia non arrivi alla Fede. Quest’uomo ebbe una influenza fondamentale sulla onestà di don Mino: egli lo venerò sempre e spesso di lui si parlava insieme. – La seconda era una donna unica: nubile splendida insegnante, severa, costituiva il terrore delle reclute del Liceo. Il terrore si tramutava presto in rispetto e in serietà di studio. Eppure era una santa donna: viveva leggendo le opere di Santa Teresa. A me veniva a chiedere notizia della salute di questo o quello; temeva che qualcuno patisse per mancanza di mezzi e non voleva mostrare a nessuno che aveva il cuore buono. Più di una volta sono stato strumento della sua carità accuratamente nascosta. Dava un tono a tutta la scuola. Anche questa insegnante ebbe una notevole influenza sulla formazione di don Mino. Fu da studente che lui rivelò la singolarissima capacità di fondere gli animi, di amalgamarli. Lui forse non se ne accorgeva, ma era la sua personalità buona ad imporsi. – Studiava con profondità ed allargava notevolmente la sfera di quello che imparava a scuola. Era un lettore formidabile specialmente nel settore letterario e filosofico. Alcuni compagni facevano con lui un gruppo speciale, che non si accontentava dello studio scolastico. È facile che in studenti così fatti venga a preponderare la cultura nozionistica ed altrettanta coscienza di sapere tutto. Non direi che questo possa pensarsi di quel gruppo, ora che esiste la controprova data nella vita. Per don Mino non fu certamente così. Io l’aiutavo, ma certamente egli si costruì un casellario logico mentale, nel quale le nozioni trovavano giusta collocazione per una costruzione più legata ed una sintesi più alta. Di questo dovrò parlare ancora. Nella lettura aveva il gusto delle opere che restano ed appunto perché restano si chiamano “classici”. Lo attraevano profondamente le grandi idee e le grandi sintesi. Prima ancora che in lui si manifestassero chiari i segni di una vocazione al sacerdozio, la struttura era fatta. È difficile che gli studenti si facciano delle strutture portanti ed evitino la più antipatica delle presunzioni. – Naturalmente tutto questo si perfezionò col tempo allorché entrò in Seminario e quando cominciò egli stesso l’insegnamento. Tutte le mattine era puntuale nel coretto di Santa Zita, ove io celebravo la Santa Messa alle otto.

Dopo, la scuola.

Ho sempre creduto per esperienza alla efficacia dei ritiri minimi. Li volevo in un ambiente monastico, perché avevo osservato che erano incomparabili aiuti, la consuetudine dei monaci, la divina liturgia, il canto corale, i pasti presi in silenzio insieme alla comunità. Quasi sempre i ritiri minimi, nel tempo al quale mi riferisco, si tenevano per i miei alunni alla Abbazia benedettina di San Nicolò del Boschetto. Più tardi ci si trasferiva a Sant’Andrea di Cornigliano. Le vere tappe della formazione e della vocazione di don Mino sono stati questi ritiri. Li predicavo io, facevo fare l’esame di coscienza, partecipavamo al Coro. Si finiva verso sera, prima o dopo a seconda dei casi, ma in modo che non si annoiassero mai e partissero coll’animo contento, disposti a ritornare. – Alla domenica e alle feste era sempre fedelissimo al canto dei Vespri all’Apostolato Liturgico. Viveva ancora mons. Moglia e tutti noi eravamo attratti nell’alone di quell’uomo incomparabile ed indimenticabile. Mancavamo solo quando si andava ad occuparci dei poveri nel Ricovero municipale di Borzoli. Là ci dividevamo per visitare e portare soccorsi alle diverse famiglie. Poi insieme scendevamo a piedi attraverso Coronata a Cornigliano. Erano ben più contenti che se si fossero divertiti e lo dicevano chiaro. – Le vacanze hanno una loro importanza nella breve storia che narro. Mettevo insieme un gruppetto di amici di diversa età (il più anziano, il caro signor Stefano Parodi, aveva quasi settant’anni) sceglievo la località alpina, organizzavo tutto, gite comprese e si partiva. Diversi alunni cominciarono ad unirsi a noi: il gruppo era il più eterogeneo che si potesse immaginare, preti, laici, vecchi e giovani, eppure ancora oggi ripenso con nostalgia al signor Stefano Parodi il più arguto e sereno, singolarmente saggio. Queste vacanze nella amabile mista compagnia, mi permettevano di curare meglio dal punto di vista spirituale e intellettuale il gruppetto degli studenti. Di questo gruppetto Mino era il capo ed anche il più interessato. Fu in queste vacanze che egli con una singolare tenacia, mise a punto la costruzione filosofica e lo fece in modo tale da poterne essere poi maestro a molti altri e da poter dare una particolare e forse unica caratteristica alla sua scuola d’Arte in Seminario. – Afferrava, assimilava, godeva della certezza conquistata e la sapeva comunicare ad altri. Quando si trattava di entrare in Seminario per la Teologia ed egli doveva subire l’esame integrativo di filosofia, feci per lui un riassunto della Metafisica, che in seguito credo sia servito a molti altri. Le nostre campagne oscillavano dal Trentino a Courmayeur, ma la più frequentata restò la colonia P. Semeria a Courmayeur diretta allora dall’indimenticabile Padre Cossio, Barnabita. Non dimenticherò mai più un circolo di studio tenuto in un prato di Dolonne, sullo sfondo delle Gr. Jorasses e nel quale tutti arrivarono a capire l’ammirevole contenuto dello a. 3, c. 3 della parte prima della Somma di San Tommaso. – Don Mino era uno studente al tutto singolare. Era bibliofilo, amante delle nozioni, ma molto più dell’approfondimento razionale sistematico. Obbligava con le sue interrogazioni a mettere a fuoco le questioni, senza mai sbandare. Intellettualmente egli avrebbe portato fino alla fine la fisionomia limpida e sicura del sapere, che lo avrebbe caratterizzato fra tutti. In questo tempo con alcuni indivisibili amici frequentava le migliori manifestazioni d’arte e di cultura che erano allora a Genova ed ho assistito più volte alle nutrite discussioni, che questi ragazzi seri sapevano condurre con competenza e sagacia, dopo quelle manifestazioni. – Oggi occupano tutti il loro posto nella società, ma sono certo che bene spesso ritornano a quei tempi bellissimi, anche se in una cornice di fatti che dovevano ineluttabilmente portare alla seconda guerra mondiale.

LA VOCAZIONE

Non tardai molto a capire che la spiritualità di Mino prendeva un certo indirizzo, scartava passatempi, sceglieva ambienti congeniali ad un certo tipo di vita. Io non parlai mai di quello che mi pareva intuire. Egli era felice di venire nelle solennità a fare il chierichetto all’Istituto Giosuè Signori per ragazze deficienti e abbandonate. Mi occupavo di quell’Istituto in rappresentanza dell’Arcivescovo ed ogni festa vi celebravo io una Santa Messa alle 6,30 del mattino. Penso alle Messe di Natale, che lasciarono a lui un ricordo per tutta la vita. La sua maturazione spirituale limpida e generosa era evidente. Cercò molte volte di incominciare un discorso, che doveva portare a parlare di vocazione. Io feci mostra di non capire. Fu solo all’inizio della terza liceale che egli mi fece il discorso chiaro, al quale non potevo sfuggire. Ci voleva del tempo, bisognava pregare. Intanto la maturazione cresceva, lo spirito di preghiera e soprattutto, di meditazione. Gli dissi che gli avrei comunicata la decisione a Pentecoste. Venisse con me all’Opera Giosuè Signori. Io cantai la Messa. Dopo la Messa, in sacristia gli diedi la risposta: poteva andare avanti nella via del sacerdozio. Era raggiante. Da molto tempo la sua vita sarebbe stata esemplare per il migliore seminarista, da quel giorno, come se avesse dato addio al mondo, la sua vita si affinò e raggiunse una virtù al tutto singolare. Io non ebbi mai ombra di dubbio sulla sua riuscita. Così a Ottobre di quel 1940 entrò nel Seminario Maggiore. I suoi Genitori non lo ostacolarono, pur sentendo il colpo di un inopinato cambiamento di rotta, che poteva sconvolgere i loro piani. Essi erano della sua levatura. Lui sarebbe stato per loro come per la sorella di una devozione unica, che diventò più splendente ancora col passare degli anni. Essi ritrovarono sempre in lui con una chiarezza pura il loro bambino d’un tempo. Ebbe appena, si può dire, la gioia di vederli sistemati a Pegli e quella casa porta in tutto l’impronta del suo gusto. Più tardi i suoi nipoti avrebbero avuto in lui uno zio indimenticabile, proprio per la levatura spirituale. – Mi sono chiesto molte volte quali potessero essere le lontane cause di quella vocazione, che come tutte le vere vocazioni, viene da Dio. Ma egli parlò sempre soprattutto del suo nonno paterno: lo ammirava, l’esempio di lui gli era guida, le sue massime luce. Probabilmente il merito dei padri aveva la sua parte in tutta questa vicenda. Così cominciò con entusiasmo lo studio della Teologia. La assimilò come ho visto accadere a pochi. Non sfarfallò mai nella gustosa e facile bibliografia. Approfondiva tutto e talvolta colle debite licenze faceva excursus più ampi della scuola. Egli vagliò veramente tutto il pensiero moderno alla luce della teologia, raggiungendo una meravigliosa precisione in tutto, quella che lo avrebbe reso ammirato e carissimo tra i suoi futuri alunni del Doria. – Lo ebbi alunno in primo anno per la sola Eloquenza, poi per tutto il corso della Teologia Speciale. Visse la Teologia come una contemplazione continua e come la luce per capire e misurare qualunque altra cosa. Raggiunse una sicurezza che gli permetteva di conoscere senza esitazioni o danno qualunque manifestazione del pensiero moderno. Il cammino della sua vocazione fu un cammino luminoso e sereno.

LO STATO DI SALUTE

Questo costituisce una componente veramente principale della Sua vita. Da ragazzo ebbe qualche indisposizione, ma in sostanza era un ragazzo normale e resistente. Fanciullo di poco più che dieci anni, passò diverse vacanze a Cortina d’Ampezzo. Là, da solo, girò tutte le montagne. Al sentirgli narrare le sue prodezze e la resistenza dimostrata, pareva incredibile non gli fosse successo qualcosa di grave. Egli poteva parlare di tutta la conca Ampezzana con una famigliarità che stupiva. Fu durante la guerra, mentre egli studiava teologia, che cominciò ad apparire quell’esaurimento che avrebbe costituito il merito segreto di tutta la rimanente esistenza. Nel 1942 dopo i gravi bombardamenti a tappeto del 22 e 23 Ottobre il Seminario, non colpito ma danneggiato e divenuto ormai pericoloso, fu chiuso. Poco dopo venne riaperto nei locali allora del Maremonti a Ruta, località che pareva dare una notevole sicurezza in ordine alle possibili operazioni belliche. Là, anche perché l’alimentazione era di guerra, la salute di Mino manifestò quell’abbassamento, dal quale non si sarebbe sostanzialmente rialzato. Fu visitato da un medico estero che gli trovò almeno una dozzina di malattie. La verità era nell’esaurimento nervoso. Il suo sistema neuro vegetativo era in malo arnese e fu il protagonista di una lunghissima passione, sia pure con alti e bassi. Aveva tutti i sintomi, tanto che, a chi non fosse stato edotto, lo avrebbe ritenuto affetto da chi sa quali malanni, mentre il malanno era uno. Tuttavia poté proseguire con una certa regolarità ed arrivò così sereno come sempre e felice alla sacra ordinazione che gli fu conferita nel Santuario dell’Acquasanta il 3 Giugno 1944. Io ero vescovo da un mese; lo chiesi come segretario al card. Boetto, che benevolmente me lo accordò subito. – Due anni dopo, diventato io Arcivescovo, condivise con me le fatiche. Era stremato, tanto che dopo una non lunga permanenza mia in Svizzera a titolo di riposo, decisi di lasciarlo lassù, perché pareva che l’aria e le terapie dessero per lui migliori speranze. Ma anche là i progressi furono insignificanti o assenti del tutto. Da amici di Lucerna venne consigliato di ricorrere ad un Naturarzt dell’Appenzel. Si trattava di un Signore distinto, abitante a Waldstatt, un grazioso villaggio poco distante da Appenzel. Io non sono in grado di giudicare dei metodi seguiti dal Signore di Waldstatt, però Mino seguendo le sue indicazioni riuscì a raggiungere un passabile tenore di vita. Quel bravo uomo lo prediligeva ed egli finché visse, disse di dovere la vita al Naturarzt. Vi sarebbe ritornato poi anche quando questo Signore non esercitava più e ricordo che una volta trovandoci in Svizzera andammo insieme a Waldstatt. Dopo quattordici mesi ritornò in Italia, non perfettamente guarito, ma tale da avere una vita abbastanza normale, anche se sempre più o meno sofferente. – Cominciò una vita, nella quale, pur dimostrando una singolare resistenza, facilmente doveva fare della notte giorno e viceversa con dolori e disturbi di tutti i generi che assiduamente gli tenevano compagnia. Aveva i disturbi più strani, che celava quanto poteva anche a noi di casa. La sua sensibilità gli donò una sofferenza anche per le più piccole cose. Egli celava. Tra l’altro aveva i cinque sensi incredibilmente sviluppati, sentiva e percepiva tutto. Questa situazione di ipersensibilità generale gli rendeva greve quello di cui noi neppure ci accorgevamo. I rumori erano i suoi nemici. Si trovava così esposto a tutti i malanni, che affioravano secondo le stagioni. Di influenze con febbre ne faceva almeno quattro all’anno e quasi mai duravano solo due o tre giorni. Aveva delle prostrazioni che lo facevano privo di forze ed era frequente per lui andare vicino al collasso. La penultima influenza la prese a principio del 1969, fu lunga e se ne liberò in modo soddisfacente con una cura di vaccini. Non c’è merito ad essere sofferente, se manca una accettazione ed una virtù. Egli, nonostante questo, continuava a lavorare e, non solo rappresentava per nulla un aggravio della serenità familiare, ma ne era la luce. La pazienza, la serenità, il sorriso erano lo schermo dei suoi dolori. Questa accettazione del suo stato, assolutamente semplice e senza pose, questa serenità comunicativa a tutti, fatta di Fede e di coscienza, costituisce l’aspetto più grande della sua figura morale. – Bisogna farsi un’idea di quello che lo affliggeva. Per anni ed anni quasi mai mangiò a tavola, tale era la debolezza che lo prendeva. Il pranzo o la cena gli era servita stando lui su una sedia a sdraio per essere in nostra compagnia. E questa era sempre piacevole. Molte volte era costretto a consumare i pasti a letto. Molte notti erano bianche. La ragione di questa debolezza? Si prodigava per tutti e per tutto; anche quando non stava bene, continuava a ricevere, a trattare pratiche. Egli era assolutamente incapace di sbrigare le persone. Doveva servirle tutte fino all’esaurimento; quando era fuori per scuola o per altri motivi facilmente al suo rientro trovava gente che lo aspettava per qualche motivo. Egli, anche sentendosi mancare, senza dare alcun segno di peso o fastidio, ascoltava tutti. Così quando rincasava, non era neppure in grado di mangiare e, spesso doveva attendere sul letto che gli ritornassero le forze. Il sabato era una giornata campale. Nel pomeriggio riceveva nei locali della Segreteria: ascoltava, confessava, consigliava ed erano alunni suoi recenti e lontani, professionisti … Quando rincasava noi eravamo spesso a tavola da un pezzo. – Quando i suoi nervi non reggevano, era per lui un supplizio trattare cogli altri; eppure continuava a ricevere. Il suo ufficio d’arte sacra (egli ne era il titolare) potrebbe raccontare molte cose su questo punto. Parlava poco dei suoi guai; se lo faceva era per rispondere alle nostre affettuose domande o riderci sopra. E quando in casa, tutti, (notare la parola ”tutti”) avevamo qualcosa andavamo da lui. Era il pacificatore di tutte le dure esperienze e di tutte le ansietà. Si rianimava veramente solo in montagna, in alto. Dopo che abbiamo presa l’abitudine di passare le nostre magre vacanze sulle pendici della Bisalta in quel di Peveragno, facilmente di buon mattino, all’alba, partiva per esplorare, cercare sentieri, strade che permettessero le gite oltre i duemila metri. Egli conosceva perfettamente, le valli alpine della provincia di Cuneo e noi abbiamo compiuti degli itinerari noti a pochi, ma scoperti da lui. La sua abitudine contemplativa lo metteva in comunione con tutto: molti animali, piante, fiori. Era felice, allora. E scopriva un’altra caratteristica della sua anima: quella di portare tutto in alto. Nei quattordici mesi in cui tra il 1947-48 restò in Svizzera dove trovò la sua relativa salute, egli conobbe tutto di quel mondo alpino, spesso meraviglioso. Ed imparò anche perfettamente il dialetto tedesco di quei monti. Quella esperienza svizzera deve essere stata assai dura per Lui, ma egli si guardò bene dal metterci a parte delle sue sofferenze: per lui andava sempre bene. I suoi amici svizzeri da allora non l’hanno mai più dimenticato. – Dalla Svizzera ritornò definitivamente sul finire della estate 1948. Nel 1953 ritenni necessario cooptare nella nostra famiglia Arcivescovile un altro giovane sacerdote (don Giacomo Barabino, ndr) che tutti conoscono e stimano. Ma per don Mino questa fu solo la occasione di riempire con altri impegni di pazienza e di carità il tempo che veniva da altri supplito nel lavoro di Segretario. Tempo non ne perse mai. Tutto questo durò, l’ho già detto, per ventotto anni! Il suo peso fu in parte notevole dovuto ai dolori morali. Egli soffriva del male altrui, soffriva dei difetti altrui, partecipava in modo singolare a tutti i dolori che hanno accompagnato il mio ministero (qui, si potrebbe percepire una eco del dramma interiore dell’Arcivescovo, ndr). Questi furono molti e non tanto a causa del Governo della Diocesi, e per le vicende della Chiesa e dell’Italia, per le quali non poteva lasciarmi insensibile la mia appartenenza al Senato della Chiesa stessa. Egli, anche se io non parlavo, indovinava le ombre nei miei occhi e silenziosamente soffriva con me. Soffriva per tutti e spesso era il solo che riusciva ad addolcire l’amarezza di tutti. Lo stato del suo sistema neuro vegetativo faceva rimbalzare nella sua anima paziente i più insignificanti episodi. Alcuni aspetti delle sue sofferenze, per lo più a me nascoste, gli venivano dall’adempimento di taluni suoi doveri … La insonnia aveva il potere di moltiplicargli tutto. Eppure pregava e taceva. Sui suoi guai aveva la capacità di scherzare. Forse lo faceva perché temeva essi pesassero su di noi.

IL SACERDOZIO

Dopo essere stato ordinato all’Acquasanta dal Cardinale Boetto, il giorno appresso 4 Giugno 1944 cantò la Sua prima Messa nella chiesa parrocchiale di Molare. Vi andai e tenni io il discorso. Ricordo che all’inizio della mia predica sentimmo passare con fracasso sulle nostre teste la formazione di bombardieri che, andavano a bombardare Torino. Verso la fine ripassò ancora sulle nostre teste per andare a bombardare Genova nella zona della bassa Polcevera. Era una giornata di eccidio, che a Molare passò serena e luminosa. Io ritornai quel giorno stesso e dovetti lasciare il mio bagaglio a Borzoli, perché oltre era interrotta la linea e, a piedi, me ne andai a Certosa a constatare i disastri, poi a Genova. Egli rimase qualche tempo in famiglia, anche perché un mese dopo dovetti scomparire perché mi si voleva, per lo meno, portare in campo di concentramento. – Don Mino il suo sacerdozio lo realizzò nell’Arcivescovado. Per capire l’anima di questa esistenza sacerdotale bisogna considerare la Sua Messa. La sentiva talmente, vi si addentrava con tale profondità da consumarvi le forze, tanto che molte volte non riusciva celebrare e doveva accontentarsi della sola Comunione. La meditazione e la preghiera duravano, negli intervalli possibili, tutto il giorno. Una volta ad una Superiora che gli riferiva dell’atteggiamento critico di un sacerdote, rispose semplicemente: “Non c’è altro che da pregare”. Questo era il suo atteggiamento costante, che spiega in lui altre cose. Le questioni ecclesiastiche e pastorali specialmente dopo che assunse la difficile Delegazione Arcivescovile per la Università, le risolveva sempre pregando. Era facile a qualunque ora trovarlo nella Cappella dell’Arcivescovado, seduto, colla testa appoggiata sul banco del coro, del tutto immerso nella orazione. Ed a fondamento di quello che faceva come sacerdote metteva la offerta delle sue sofferenze fisiche e morali. Questo mi parve, almeno, di capirlo per quanto egli fosse su questo argomento, estremamente riservato. Preghiera e sofferenza avvolsero il suo sacerdozio e gli diedero le caratteristiche, delle quali dirò appresso. – I suoi contatti con altri, anche quando avevano la apparenza di contatti culturali, d’ufficio, occasionali – ed era sempre di una comunicativa per nulla pesante – avevano uno scopo sacerdotale. Quante sono le persone che per aver avuto a qualunque titolo un contatto con lui hanno riflettuto, hanno trovata una via, hanno cessato di essere anticlericali …? Non saprei dirlo, perché sono molti e lo deduco dai frammentari accenni che arrivano a me. Tutti quelli che non solo lo hanno accostato, ma lo hanno frequentato, sono diventati migliori. Tutto quello che fece, lo fece da sacerdote. – Egli, don Mino, non ebbe mai impegno di parrocchia: né il suo ufficio, né la sua salute glielo avrebbero permesso. Lavorava moltissimo, sorprendeva anzi per la strana resistenza al lavoro; ma il diagramma delle sue forze non combaciava in genere con gli orari. Il suo sacerdozio lo esercitò anzitutto come segretario mio. Non si trattava di un impegno burocratico, come addetto di un sia pure importante ufficio; per lui tutto era un atto ministeriale. Quanto compiva era sempre un atto di Fede e taluni tratti lo davano chiaramente a vedere. L’Arcivescovo lo vedeva coll’occhio della Fede: fino all’ultimo e nonostante le mie reiterate proteste si alzava rispettosamente in piedi ovunque io entrassi. Mai prese confidenza, quella almeno che fa perdere la riverenza. Ogni suo gesto era educatissimo e fine; il contegno diceva chiaro che egli serviva il Signore, non un uomo. – La segreteria di un Vescovo è sempre un posto pericoloso e questo è tanto vero che spesso i segretari, scomparso il Superiore, finiscono ai margini di tutto. La ragione è che per forza di cose possono trovarsi immischiati nei rapporti tra il Vescovo e gli altri, possono venire sollecitati o creduti in modo inopportuno, devono spesso meditare per lasciare fuori questione il loro Superiore. È insomma un ufficio per il quale occorre virtù e saggezza. Don Mino era la discrezione personificata. Nei tanti anni, nei quali mi fu accanto, mai mi rivolse una domanda per sapere quello che avrei fatto, deciso chi avrei nominato o dei segreti di Curia. Queste cose le sapeva dagli altri. Circondava e tutelava la Autorità con una educazione perfetta, con una finezza e delicatezza esimie, con chiunque trattasse egli sapeva che doveva usare tale umanità e tale cortesia (anche con chi non la usava per lui) da trarne prestigio al Superiore. Era il riserbo in persona: mai si permise di dire agli altri quello che veniva a conoscere per ragioni di ufficio. Tutto questo testimoniava non solo di un controllo continuo, ma – come ho già detto – di un movente soprannaturale. Al suo tatto si debbono molte buone figure fatte dalla Autorità. Sapeva trattare con tutti con bontà e decoro e molti Personaggi si sono rallegrati con me per avere un tale segretario. C’erano i viaggi. – Taluni li dovetti compiere all’estero come Legato Pontificio. Il ruolo del segretario per gli alti contatti che si dovevano avere, diventava allora di una singolare importanza. Fu proprio in occasione della mia prima Legazione Pontificia in Spagna che venne nominato Cameriere Segreto di Sua Santità ed ebbe il titolo di “Monsignore”. Egli riusciva perfetto diplomatico, non solo per lo straordinario possesso delle lingue, ma per la affabilità, la cortesia e la intelligenza. In tale qualità mi accompagnò in Spagna e due volte in Belgio. Fu ammirato anche perché in situazioni simili è estremamente facile compiere dei passi falsi. Dopo la mia assunzione al Cardinalato (12 Gennaio 1953) compresi che dovevo prendere contatto e cognizione diretta degli ambienti internazionali. Cominciai una serie di viaggi attraverso i paesi cattolici d’Europa ed attraverso i Paesi di diaspora cattolica. Era preziosissimo don Mino. Egli possedeva perfettamente, parlando speditamente e scrivendo il Francese, l’Inglese, il Tedesco più il dialetto Svizzero. Ero pertanto libero da tutte le noie del viaggio e mi riuscì sempre di mantenere l’incognito ben necessario a chi va per osservare e studiare. La cosa strana era che quando compivamo tali viaggi, sia perché erano quasi sempre al nord ovest o al nord dell’Europa (e a lui il clima continentale o nordico era favorevole), sia per la eccitazione nervosa delle nuove cose da imparare, stava benissimo e poteva, alternandosi con un altro nostro collaboratore (Barabino? ndr), condurre per lunghi tratti la macchina. Io per lui non avevo il fastidio di compitare lingue e di provvedere. Lui mi faceva trovare tutto fatto. Per i sondaggi in ambienti culturali, lui era il compagno ideale. Per le opere d’arte era un vero maestro, data la sua straordinaria competenza in materia. In Inghilterra qualcuno mi chiese perché io avevo con me un segretario inglese; lui! Risposi che era genovese come me, solo parlava la lingua con tale correttezza da far credere che fosse nato a Londra. Bisogna dire che egli aveva una singolare abilità di parlare le lingue estere col più fedele accento dei diversi Paesi. – Questi viaggi con lui li potevo organizzare in modo razionale: molti mesi prima studiavamo tutto quello che poteva sapersi sulla storia, sulla geografia, sulla letteratura, sul diritto del Paese da visitare. L’incognito ci ha sempre protetto a meraviglia se eccettuiamo uno o due casi nei quali fummo in imbarazzo. Un giorno venni riconosciuto da un sacerdote italiano mentre ce ne andavamo con padre Ferrari alla Camera dei Lords a Londra. Me la cavai con una battuta e tutto finì lì. Certo sarebbe stato imbarazzante un cardinale alla Camera dei Lords. – Per don Mino accompagnare me ad acquistare le notizie od informazioni utili al mio ufficio, era sempre un atto sacerdotale. Il nunzio a Vienna del quale fummo ripetutamente ospiti, il genovese Monsignor Dellepiane, era entusiasta del mio Segretario. Anche l’Uditore (agente diplomatico facente parte della Nunziatura ndr); che, diventato a sua volta Delegato Apostolico in Indonesia, precedette di parecchi anni nella tomba don Mino. Come segretario, nel trattare cogli altri, era di una signorilità mai smentita. Credo che molta carità fatta da lui sia nota solo a Dio. Quando nel 1953 venne con noi don Giacomo Barabino (prima volta che lo nomina esplicitamente, peraltro con evidente scarso entusiasmo), per aiutarci e per sostituire don Mino nell’accompagnarmi e nei contatti ordinari, tutto rimase sereno, direi luminoso: la casa arcivescovile fu una vera famiglia. Fino al 1966 il faro della casa restò mio Padre, della cui virtù scriverò a parte; egli amò i miei segretari come figli e ne era riamato. Dopo cena, salvo i frequenti casi nei quali dovevo uscire per ragioni pastorali o dovevo ricevere gente, si stava qualche tempo tutti insieme e quello era l’unico momento di riposo che ci si concedeva dopo le dure e lunghe giornate di lavoro. Le ombre che facilmente sorgevano dai casi della giornata in quel momento, tra tanta serenità si dissipavano. Credo che sia difficile dire che cosa sia stata questa famiglia la quale comprendeva, allo stesso modo, me, mio padre, i collaboratori, chi stava in cucina, chi guidava la macchina. La carità e la serenità giuliva del mio segretario, unita alla singolare presenza di mio padre, (di Barabino non scrive nulla di particolare) hanno creato uno stile, che anche dopo i vuoti tristissimi dura, come se niente fosse accaduto. – L’altro campo della attività sacerdotale di don Mino era la scuola. La fece per molti anni in una o due sezioni, coll’insegnamento della religione al Doria. Negli ultimi anni la lasciò perché troppo onerosa per la sua salute e dati gli altri impegni; fino alla morte invece tenne la cattedra di Arte in Seminario, per la (facoltà di) Teologia. – Per la scuola al Doria, trascrivo qui, quello che scrive uno dei suoi alunni ben certo che interpreta il pensiero di quanti lo ebbero maestro. “Era amico, grandissimo e vero amico e – ciò che più conta – non solo verso le persone che gli volevano bene, applicando così alla lettera l’insegnamento evangelico. Ascoltava tutti, confortava tutti, incoraggiava tutti a guardare con fiducia il giorno seguente. A fondamento di questa sua grande disponibilità verso gli uomini, c’era la sua Fede piena illimitata, illuminata da un pensiero chiarissimo. Essa lo univa a Dio e gli permetteva di vedere negli uomini null’altro che creature Sue, bisognose di comprensione, desiderose di umanità di dignità di verità. Credeva nei suoi studenti liceali, universitari e di tutti esaltava le doti, gli aspetti positivi, mettendo sempre in secondo piano debolezze, mancanze ed altro”. E ancora: “Durante i giorni, che ho vissuto con lui sulle montagne … imparavo sempre cose nuove; mi rendevo conto che ogni minuto trascorso con don Mino era una lezione a livello della Grazia … Per don Mino, animo finissimo, non esisteva il bello fine a se stesso, ma bellezza, armonia, ordine, sintonia, purezza erano doni di Dio a disposizione degli uomini per loro sollievo ed elevazione”. – Ed ancora un ricordo della montagna cuneese: “Partiti da San Giacomo dal sentiero che si stacca dietro la casa di caccia e conduce ai due “gias Colomb”, di qua salimmo per il lago del “Vei del Buc”. Sotto un temporale con tuoni, fulmini e grandine, arrivammo al lago. Entrammo ad asciugarci in un ricovero di pastori, dove c’era un po’ di fuoco, gli levai gli scarponi inzuppati, lo guardai: era felice, con gli occhi radiosi più del solito. In quel momento, per essere arrivato fin lassù, doveva aver capito che poteva dare ancora molto di se stesso …” – Un antico scolaro di don Mino scrive: “ È stato l’unico insegnante del Liceo, che mi abbia lasciato un’impronta. Le doti, che in classe venivano messe più in luce erano la sua serenità, la sua umiltà e la sua scienza. Non ho mai visto Monsignore perdere anche per un solo istante il suo equilibrio; era fermo nei suoi propositi, ma sapeva anche ascoltare e comprendere noi giovani alunni come se avesse potuto scrutare fino in fondo nel nostro animo … Andava sempre al fondo agli argomenti da trattare, ma ci dava la impressione di aver raggiunto noi le conclusioni che ci porgeva. Ci stupiva la sua capacità di assimilare le questioni più disparate e di porgerci risposte chiare e brevi che non lasciavano ombra di dubbio. Aveva una grande erudizione ed una ancor maggiore capacità di far vivere le cose che ci diceva. Ma forse per una dote si distingueva da tutti gli altri …: era l’unico veramente rispettato ed amato, che con la sua stessa presenza ci imponeva una rigida disciplina. – È stato lui il primo insegnante che mi abbia portato ad amare lo studio ed apprendere con umiltà … Era un vero e proprio maestro, colui che trascina con la propria personalità e che non può essere dimenticato da chi lo abbia conosciuto, perché ci ha dato un esempio concreto di quanto si possa e si debba fare”; conosco molti altri compagni suoi ed alunni suoi, che dicono queste cose. Il segreto della scuola? Credo che fosse la sua anima, abitualmente unita a Dio, spoglia di ogni umano interesse e la luminosità interiore che riusciva a mantenere nonostante la prova del dolore e della debolezza continua. Certo in scuola conta l’ingegno e lui l’ebbe, come poche volte ho trovato nella mia vita; si trattava di una intelligenza apertissima, pacata, sicura, nata per la sintesi. I suoi giudizi in materia di pensiero mi hanno spesso meravigliato per la intuizione e per l’equilibrio. Tuttavia questa intelligenza non era sola. Ho trovato pochi uomini, che avessero una cultura varia ed universale come la sua. Non si esibiva mai, ma sosteneva sempre con personaggi di alta cultura una conversazione degna, ferma, illuminante. Quelli che hanno partecipato alle tavole rotonde, guidate da lui, in materia di arte, di scienza e di pensiero lo sapevano bene. Ma la cosa più grande per lui, quella che gli altri intuivano, era che lui insegnava per amore, quello di Dio. Senza una visione della costante altezza di sacrificio e di intenzione dell’anima sua è impossibile spiegare la sua scuola di religione. E le basi messe da lui, in genere resistono. Tutti vedevano che questo giovane sacerdote non aveva nemici, antipatici, avversari. Non che non ne abbia avuti, ma tutto cadeva e svaniva dinanzi alla serenità virtuosa dell’anima sua. – C’era la scuola di arte in teologia. La fece per lunghi anni. Ne fu il fondatore ed ancor oggi non è stato sostituito. Egli aveva in arte una competenza, una cultura ed un discernimento che lo fecero stimare da quanti professionisti ed artisti ebbero a fare con lui nell’ufficio curiale di arte. Per l’arte aveva una predisposizione marcatissima e congeniale. La sua sensibilità estrema gli faceva cogliere con semplicità e naturalezza quello che a molti sfuggiva. Insegnare il criterio, infondere il gusto, svegliare le recondite affinità col bello che gli alunni portavano in sé, gli era facile e quasi immediato. – A questo punto devo soffermarmi, perché una parte non indifferente del suo studio in materia era sul problema filosofico, connesso con l’arte, sulla estetica, sulla teoria del bello. La sua biblioteca d’arte testimonia fin dove sia andato a scovare opere di penetrazione, di valutazione critica, di teoria generale. Egli non poteva concepire l’arte separata dalla filosofia e vedeva nella carenza di obbiettivi principi filosofici le colpe, anche in buona fede di molti artisti alla moda. Sotto questo aspetto la sua cultura, favorita dal pieno possesso delle lingue estere, fu tale che io non ne ho conosciuto una di pari valore. Ho insistito per molti anni perché raccogliesse tutta la fondamentale teoria dell’arte e del gusto in un volume. La sua modestia lo rese sempre attento a non mettersi in mostra ed oggi ci rimane solo la speranza di poter reperire e sistemare le sue carte in modo da stampare, almeno, le sue lezioni. – Egli spaziava da signore su tutti i campi dell’arte, era sensibilissimo alla musica, aveva una stupefacente memoria musicale: per lui l’arte non era una semplice imitazione od espressione, era una vita che assommava tutto. Credo avesse ragione. Per questo mai in arte apparve come il piccolo grammatico dei termini, delle distinzioni, delle catalogazioni; per questo capì fin dove non diventa pazza tutta l’arte moderna. – Credo che se tutto il clero da vent’anni a questa parte ha un gusto più elaborato, lo si debba alla scuola d’arte del seminario fatta da don Mino. La considerazione dell’arte dà un tocco inconfondibile ed insieme rivelatore alla figura di questo sacerdote, perché in fin dei conti la sua inimitabile finezza, la sua educazione, il suo sorriso nel dolore non sono comprensibili affatto senza la presenza di una Suprema Armonia che gli diede fermezza di Fede ed ardore di carità. Noi tutti avevamo la impressione che il suo piano fosse sempre in alto. – Un campo speciale del sacerdozio di don Mino fu la Delegazione Arcivescovile Universitaria della quale fu il primo esecutore ed il primo Delegato. L’Università di Genova, per quanto in qualche settore permeata dalla presenza e dalla azione di buoni studenti cattolici, non aveva una cura spirituale generale, appropriata e diretta. D’altra parte ne era evidente il bisogno: oggi la evidenza è certamente cresciuta. Non si poteva creare una parrocchia della università, perché la grande dislocazione delle facoltà non permetteva una giurisdizione parrocchiale continua, né un solo sacerdote, anche se a tempo pieno coadiuvato da un cooperatore poteva essere sufficiente ai bisogni di una massa, che s’avvicina ormai ai ventimila. Fu così che decisi di istituire una Delegazione Arcivescovile con tutti i poteri e che potesse servirsi dell’opera di numerosi sacerdoti adatti, anche a tempo non pieno. I membri di questa delegazione per evitare questioni giurisdizionali, furono chiamati semplicemente “addetti alla assistenza spirituale degli universitari”. Altri sacerdoti furono aggregati in qualità di “ausiliari”; altri, per la competenza, in qualità di consulenti. Per cementare questo drappello di studio, sull’esempio dell’altro gruppo interessato ai lavoratori, c’era il convegno settimanale del Giovedì nella Segreteria Arcivescovile. Là si studiava, si pregava, si organizzava. Tutto è duro all’inizio. Il peso lo portò tutto don Mino fino alla vigilia della morte. Il suo pensiero era lì. È ovvio che una istituzione simile fosse ritenuta alquanto rivoluzionaria del quieto vivere di tradizioni antiche e di tale stato d’animo si provassero le conseguenze. I colloqui, gli incontri, le ore di conversazione che occuparono il tempo di questo sacerdote sofferente non si possono dire. Certo la sua resistenza, la sua tenacia e la sua pazienza furono in tutto questo eroiche. A me non disse mai male di nessuno – del resto, di chi mai ha detto male questo uomo? – . Per non turbarmi, specialmente in momenti nei quali la mia salute era dolorosamente provata, prospettò sempre quello che era oggetto di gioia e di speranza, senza tentennamenti. Gli era vicino e conforto il buon padre Alberto Boldorini, Barnabita. Tutto il peso lo teneva per sé. Io vedevo e rispettavo il merito della sua virtù. La Delegazione o DAU diventò il centro motore di talune iniziative culturali. Tra queste mi piace annoverare la iniziativa editoriale “Fonti e studi”, che pubblicò documenti originali e studi severi su aspetti interessanti la Storia Ecclesiastica di Genova. Vi collaboravano anzi dirigevano egregi docenti universitari: l’anima con don Mino era il padre Alberto Boldorini. Queste edizioni ebbero dei singolari consensi in Italia ed all’estero. – C’erano le tavole rotonde. Gli elementi della prima e forse della seconda tavola rotonda erano stati raccolti ed animati da un altro benemerito sacerdote. Ma la cosa si affermò splendidamente quando Mino assunse anche questa non comune fatica. Le tavole rotonde radunavano dei competenti su un argomento (urbanistica, arte, scienza, Fede, etc.); i componenti erano pochi, ma il risultato notevolissimo, tanto che mi parve uno degli strumenti più atti all’apostolato di livello. Il nostro intendimento era di arrivare un giorno a stampare gli elaborati di queste tavole rotonde, delle quali mi auguro la resurrezione. Molte volte finivano oltre la mezzanotte ed io non mi accorgevo neppure del ritorno di don Mino. Pensavamo ad una nostra casa editrice, che potrò realizzare quando troverò uomini competenti, disponibili da altri impegni ed obbedienti al pari di Lui. – Il suo apostolato si dilatava in tutte le direzioni, mentre egli stava sempre nella oscurità ed aumentava il peso dei suoi incontri, delle sue conversazioni. Non posso dimenticare che nei primi anni del mio Governo lo volli direttore dell’Opera Giosuè Signori, detta allora “per deficienti e abbandonate”. In seguito alla sua salute dimostrò che non poteva esercitare una tale direzione a distanza e che non la si poteva far combaciare coi suoi possibili orari. Ne lo dispensai con rimpianto, perché la cura di quelle creature l’avevo tenuta io fino alla mia nomina di Arcivescovo, avendola cominciata – me giovanissimo – nell’autunno del 1929. – Questo sacerdozio era illuminato da una pressoché continua preghiera ed era caldo di una intensa carità. Della sua carità ci ha celato tutto quello che ha potuto celare. Ora nelle narrazioni dei molti che lo piangono andiamo lentamente riscoprendo un aspetto, che prima dovevamo solo intuire e ricostruire da casuali elementi. Vi portava una semplicità ed una finezza commovente. – Il sacerdozio di don Mino ha lasciato un singolare rimpianto. La sua finezza aveva risorse commoventi per tutti. Dico per tutti, perché non fece mai differenza tra quelli che lo trattavano bene e quelli che – forse – lo trattavano male. Mai aggressivo, mai reattivo, mai vendicativo: la sua finezza era per tutti. Una luce interiore lo avvolgeva sempre e lontana da ogni discriminazione. Quanti hanno visto arrivare al momento giusto il piccolo dono, la cartolina, la rapida lettera. Fece tante cose, ma come se una regia liturgica lo sovrastasse; fece tutto in ordine al suo sacerdozio. – E questo fece mai pesare a nessuno. Esistono molti che oggi lo rivedono stupiti, in se stessi, come se fosse passato senza fare rumore.

LA INTELLIGENZA

Tutto in don Mino parve qualificato. Una componente era la sua intelligenza Non credo che questo semplice profilo sarebbe sommariamente completo se non la considerassi a parte. Era una intelligenza che voleva la ragione delle cose. Lo constatai subito quando era studente al Doria. Non si accontentava mai della piccola giustificazione di una verità e di un fatto. È per questo che diede basi granitiche alla sua Fede. Ci arrivò presto. Su tutto indagò e discusse, assetato della verità. Ma sulla verità certa, mai tornò indietro. Quando si iniziò per la Chiesa un periodo triste di discussioni e negazioni sulle cose certe, egli vide tutto, sentì tutti, ma non seguì nessun facile profeta. Chi parlava con lui finiva coll’avere – in quasi tutti i casi – (non in tutti purtroppo) la sua certezza irradiante. Era una intelligenza che conduceva diritto alle supreme giustificazioni. E qui sta la ragione della sua sicurezza. Io in questo periodo oscuro ebbi molte e gravi preoccupazioni per gli errori che si andavano insinuando, ma non ebbi mai bisogno di trattarne con lui; egli era già al mio fianco con una intuizione precisa e concludente. Tutte le questioni, anche le più periferiche, con lui o prima o poi risalivano – e spesso si trattava di un baleno – ai supremi principi. Vedeva immediatamente col colpo del maestro le crepe, le illogicità, le contraddizioni, le dispersioni. E sapeva convincere. – La intelligenza di don Mino non cercava la platea. Non ho mai vista la più piccola ricerca dell’effetto, né la più piccola compiacenza di esso quando, indipendentemente da lui, l’effetto c’era. Infatti la conoscenza di lui si diffondeva tranquilla, senza colpi e reazioni. Ho conosciuto pochi che avessero come lui chiara la situazione della cultura moderna, nella cui storia, specialmente se si trattava di arte, egli leggeva sempre la vicenda dei supremi principi. Leggeva moltissimo, ricordava, assimilava ed incasellava subito tutto il puro materiale nozionale. Per questo la conversazione con lui, oltreché piacevole, era sempre illuminante. – Aveva il gusto della letteratura finissimo, era un purista della lingua e dello stile. La ridondanza di questa intelligenza la sentivano sempre e la accoglievano quelli che avevano dimestichezza con lui o con lui vivevano, i suoi scolari soprattutto. Con tutto questo niente c’era in lui dell’intellettualoide (tipo oggi di estrema facilità), il senso pratico non gli fu mai offuscato. Teneva la amministrazione della casa e questo con perfetta accortezza, immediatezza e tatto; nei viaggi io potevo occuparmi di nulla ed attendere solamente allo scopo del viaggio stesso, perché tutto si moveva colla esattezza di un orologio per la organizzazione fatta da lui. – Aveva capacità anche nel disegno e nella pittura. Vi si esercitò in anni lontani e non ignobilmente. Poi non ne fece più nulla; non disse il perché, ma credo che ciò sia accaduto per un suo giudizio di inutilità in ordine al suo ministero sacerdotale. Aveva altro da fare. – Spaziava nei grandi problemi della Chiesa; erano gli unici che potessero interessare. Dalla grandezza di questi problemi e dal modo con cui li impostava si capiva l’altezza del suo ingegno. Spesso, quasi sempre, è l’oggetto trattato dall’intelletto che dà la vera misura del vero intelletto. Mi riesce difficile dire che cosa abbia rappresentato per me, in tempi di vero travaglio, la vicinanza di questa autentica intelligenza. Non gli sfuggivano i dettagli anzi aveva l’occhio di lince per vederli; ma prevaleva l’“insieme”. Per forza della intelligenza, da parte di tutti, il contatto con lui era sempre elevato. Egli era l’autentico “signore” per la sua intelligenza.

LA MONTAGNA

Ne parlo perché era lo specchio dell’anima sua. Ho già ricordato che da ragazzo decenne, ospite dello zio paterno a Cortina d’Ampezzo, ebbe il coraggio di girarsi ripetutamente tutte le alpi ampezzane. Solo. La forza, la linea, la maestà della montagna lo attraevano e lo esaltavano. A poco a poco questo diventò sempre più marcatamente un fatto spirituale. Lo si capiva dal fatto che egli in montagna non aveva alcun bisogno di compagnia. Non che la sopportasse; anzi era un compagno amabilissimo, ma cogli altri in realtà continuava il suo dialogo della montagna. Esultava per la purezza dell’aria, per l’irrompere della natura senza conduzione umana, per il vero silenzio, il più ricco in realtà di arcane melodie. Sono convinto che, specialmente negli ultimi anni, il suo appassionato errare per la montagna fosse fatto di contemplazione e di orazione. Non si trattava di una commozione naturalistica; egli trovava la più pura impronta materiale di Dio. La montagna aveva un potere magico su di lui; svanivano per incanto tutti i limiti impostigli dal suo travagliato sistema nervoso. Per questo lo incitavo ad andare anche quando noi si stava a Genova. Gli orizzonti, i colori, le trasparenze lo mandavano in visibilio e gli facevano dimenticare ogni malanno. Filosoficamente egli era ben certo che “ens et pulchrum convertuntur”. La bellezza della natura non cessava mai di agire su di lui, ma si trattava sempre di un influsso religioso. Se amava la fotografia, questo era certo per fissare volti cari di parenti e di amici, ma era soprattutto per fissare la epopea della montagna. Non aveva importanza per lui che fosse irritata, che fosse percossa dai tuoni e dai lampi: era la montagna e basta. Negli anni in cui si fecero le vacanze nel cuneese, la sua attrattiva era Entraque e di lì la valle di San Giacomo, che lo portava fino ad oltre il padiglione reale di caccia, perché quella valle aveva il Gelas e il Clapier, i soli monti delle Alpi Marittime che conservino veri perenni e consistenti ghiacciai. Ne conosceva i sentieri, i pastori, gli abitanti. Penso che lassù qualcuno lo ricorderà a lungo. Si preoccupava della cioccolata da portare agli amici pastori e credo che se non fosse stato per lasciare noi, lui si sarebbe adattato a viversene lassù, nelle baite. Del resto in quegli intervalli, in cui lui tornava e noi eravamo a Genova, era sempre lassù. – Dopo il primo periodo delle sue sofferenze, fu la Svizzera a dargli una relativa stabilità di salute. La amava ed amava soprattutto i monti. Se poteva raggiungeva i monti sopra Lauterbrunnen – le due meravigliose quinte davanti alle alpi bernesi – per godere della Jungfrau e di tutto il grande ammanto di ghiaccio. Conosceva tutto e finché anch’io per ragioni di quiete ho passato le mie povere vacanze in Svizzera, era lui ad organizzare una meravigliosa varietà con conoscenze perennemente nuove ed entusiasmanti. Io mi occupavo piuttosto di imparare le situazioni e le risorse dei contadini svizzeri, nella vaga e mai soddisfatta speranza di trapiantare qualcosa in Italia: lui vedeva i laghi, i fiumi, i monti. Ricordo una escursione per vedere il gruppo del Silvretta davanti a Davos, coll’attraversamento piuttosto periglioso date le misere condizioni della strada, dell’orrido di Berentritt. Le ultime sue uscite verso la montagna furono ancora una volta nella valle di San Giacomo verso il Gelas e il Clapier. Era felice perché suo cognato e sua sorella nell’assicurarsi un alloggio ad Entraque, avevano pensato a lui riservandogli una stanza. In tal modo egli senza uscire dal caldo ambiente familiare avrebbe potuto facilmente ritirarsi lassù di quando in quando. Purtroppo ne usufruì, come vedremo, una volta solo.

LA MORTE

Don Mino l’attendeva con una certa sollecitudine. Eppure era tranquillo. Me lo aveva detto due anni prima che lui sarebbe morto giovane. Era ormai arrivato al suo meriggio, sofferente e sereno. Io avevo la impressione che tutte le cose di questo mondo, dolori compresi, si fossero ormai distesi in una grande pace. La sua finezza educatissima per noi era commovente. – Lui aveva la cura di amministrare la casa Arcivescovile e questo ufficio comportava i contatti e la cura spirituale delle buone suore, che attendono alla Casa stessa. Vi era assiduo, impegnato; vi portava una gran luce. Quella luminosità serena mi impressionava. Lo trovavo facilmente nella Cappella del Righi, curvo e raccolto in quell’atteggiamento di abbandono che gli era caratteristico. Ora che ho la prospettiva del “poi” capisco che la Provvidenza se lo stava preparando. – Nel Gennaio del 1969 fu colpito dalla influenza. Non c’era alcunché di strano, perché egli era abbonato a tutti i fastidi, che le stagioni portavano con sé. Fece ricaduta e questa fu più lunga del solito. Il Dott. Boggero, suo cognato e suo medico curante, per garantirgli una reale e duratura guarigione pensò di ricorrere alle iniezioni di vaccino. Durarono parecchi mesi, anche dopo la salute recuperata, sotto questo aspetto, pienamente. La vita fluì in modo ordinario. Quando il 3 Giugno di quell’anno egli celebrò il suo giubileo sacerdotale d’argento, stava abbastanza bene rispetto agli anni precedenti. Tutto si chiuse colla celebrazione vespertina nella Cappella del Palazzo Arcivescovile. Erano presenti i suoi amati genitori, la famiglia della sorella coi nipoti; c’eravamo tutti noi. Fu una festa semplice, indimenticabile. Non mancava un gruppo di antichi suoi compagni ed amici. Subito dopo ci trasferimmo alla casa Arcivescovile del Righi. Lui non avrebbe fatto più ritorno al Palazzo Arcivescovile! Le vacanze passarono in modo normale. Don Mino poté ritornare a Peveragno a godersi qualche giorno la montagna. Si arrivò ai Santi. Egli accompagnò la sorella alcuni giorni a riposarsi nella casa di Entraque e subito dopo riprese la vita ordinaria. Si occupava fortemente della organizzazione di quanto gli era affidato. Ma fu questione di pochi giorni: l’influenza lo aggredì nuovamente. Stette alcuni giorni a letto, sempre amorosamente curato dal cognato dottore. Dopo pochi giorni era sfebbrato e tutto parve ritornato alla normalità. Egli riprese la sua consuetudine di portarsi di buon mattino dal Righi sulle alture di Genova, per godere dell’aria pura e fresca: era il fascino della montagna, che aveva sempre un benefico influsso anche sul suo usurato sistema nervoso. Penso che queste uscite mattutine, a lui sì care, abbiano provocato la ricaduta. Si era infatti a metà novembre e cominciava a far freddo. – Alla metà di novembre si rimise a letto e questa volta la febbre venne alta e violenta. Suo cognato lo curava amorevolmente. Eravamo ancora alla villa Arcivescovile del Righi dove egli occupava il piano a tetto. Ci stava lui solo, se lo era arredato e disposto lui, là stava la sua non comune biblioteca. Dalla finestra più che la città vedeva il mare, l’infinito. Noi salivamo lassù solo quando era malato. Era sempre tranquillo, sempre sorridente, grato di qualsivoglia attenzione. Questa volta il male era più serio. Il giovedì 20 Novembre il Dott. Boggero chiese il consulto col Prof. Meneghini. Lo chiamai io stesso al telefono, perché la influenza imperversava in tutta la casa ed io solo ero stato immune dalla influenza. Venne subito; era sera. Il consulto confermava la grande preoccupazione. Quella sera don Mino cominciò ad essere davanti alla morte. Era calmo. Soffriva molto per l’affanno, che facilmente lo coglieva, se qualche poco si sollevava sul letto o scendeva, dopo poco aveva sintomi di collasso. Venne la Suora per l’assistenza anche notturna. Parlava sereno e tranquillo con tutti e sorrideva a tutti. Si capiva che la sua occupazione abituale era la preghiera. In quella malattia breve abbiamo vista veramente l’anima di Mino. La sua finezza, la sua educazione, il suo perfetto equilibrio, la sua pace davanti ad un pericolo che, colla sua intelligenza prontissima, doveva certo capire più di noi. Il preoccuparsi degli altri, il ringraziare per tutto quello in cui lo si aiutava, il suo ragionar tranquillo e sereno dimostrava che da molti anni egli era unito a Dio. Non aveva mai detto male di nessuno, non aveva partecipato a nessuna passione faziosa, aveva coperto il difetto altrui anche quando questo lo faceva terribilmente soffrire. Se l’argomento portava a parlare di aspetti spiacevoli, questi si fondevano sempre in una carità senza limite, mai ostentata e mai pesante. In questi ultimi giorni abbiamo capito il riassunto della sua vita. – Aveva vissuto di Fede, continuamente, mai aveva cercato di apparire, lui, al quale erano tormento per lo stato dei nervi il più piccolo sgarbo, mai se ne era commosso. Si stava accendendo, anche per noi una luce retrospettiva, fatta di cose che una umiltà non comune aveva sempre accuratamente nascosto. È difficile dire quanto amasse suo Padre e sua Madre, la famiglia della sua cara sorella, ma, per non disturbarli e impressionarli ebbe l’eroismo di non chiederne la presenza. Io ero cieco e non pensavo che potesse morire. Lui vedeva. Si arrivò così alla mattina del 24 Novembre. Era un lunedì. Quella mattina salii a salutarlo ancora, prima di andare in Curia: l’affanno era fortissimo (mai lo avevo trovato così) e doveva parlarmi a tratti, sempre calmo e sereno. Quella mattina il Prof. Meneghini chiese la consulenza del Prof. Fieschi. È difficile dire come e con quale affetto questi medici illustri lottarono contro il male. Si trattava di polmonite doppia virale. Fu deciso l’immediato ricovero in clinica. Il Prof. Fieschi chiese in quale clinica volesse andare; egli rispose: “In quella che è più comoda a Lei”. Venne così ricoverato alla clinica di Montallegro. Io ero in arcivescovado per le solite udienze e venni avvertito. Fu un colpo. Subito nel pomeriggio andai a Montallegro, lo trovai sotto la tenda ad ossigeno, più sollevato di quella mattina. Mi chiese: “Ma che cosa dicono che ho, i medici?” Io fui interdetto e risposi con una pia scusa. Capì subito: per un attimo seguì e lesse il mio pensiero, poi evidentemente per non contrariarmi chiese più nulla e continuò a parlare per quanto poteva tranquillamente sorridendo. So che al Padre Cappellano della clinica disse poco dopo: “Non mi lascerete morire senza Sacramenti”. Ci avevo pensato subito ed avevo pregato il Padre Damaso da Celle di amministrargli i Santi Sacramenti. Andò, lo avvertì ed egli non si mostrò affatto sorpreso. Con tranquillità e serenità, con intima devozione ricevette i Santi Sacramenti. Io non riuscivo a persuadermi che il pericolo era veramente mortale, ciò nonostante volli fosse subito provveduto. Ritornai in clinica. C’era allarme tra i medici e venne richiesto il polmone artificiale per permettere al paziente di poter respirare senza troppa fatica. Non so come abbia fatto, ma, Padre Damaso riuscì a far arrivare il polmone artificiale dalla Clinica universitaria. Naturalmente si dovette procedere alla intubazione e da quel momento non passando più l’aria espirata per la gola, il paziente non poté più parlare. Le labbra e la lingua articolavano tutto ma la fonazione, mancando l’aria, non avveniva. Egli continuò a parlare così e a sorridere, sempre perfettamente presente a se stesso; per noi era uno strazio. Ogni mattina si facevano le radiografie. Esse rivelavano che l’area di respirazione dei polmoni si andava progressivamente restringendo per la spaventosa infiltrazione del virus violentissimo. Avrei dovuto capire che moriva, ma io non lo volli capire e continuavo a sperare. Lui sorrideva sempre. Al mattino del mercoledì 26 i medici decisero, per un tentativo disperato, di procedere alla tracheotomia. La lotta era tra il ciclo del virus e le risorse vitali. Se il ciclo del virus si fosse esaurito prima delle risorse vitali, sarebbe stato salvo. Io per questo continuavo fortemente a sperare. Ma, come mi fu spiegato dopo, don Mino non aveva risorse immunitarie sufficienti: ci fosse stato almeno un po’ di essudato polmonare si sarebbe potuto fare la cultura del virus e la vaccinazione (l’unica arma contro quel virus); ma essudato non c’era o non ci fu in tempo utile. Lo rividi dunque col respiratore direttamente applicato alla gola tagliata. Mi parlò a segni delle labbra, che io, stravolto come ero, non potevo capire; ma sorrideva e questo era nella piena coscienza e lucidità, testimone della pace e uniformità alla volontà di Dio, colle quali egli andava incontro alla morte. Gli amici più stretti, il cognato medico, si avvicendavano intorno a Lui, il Padre Damaso, il Padre Boldorini. Nella notte ebbe una agitazione nervosa effetto evidente della asfissia galoppante. Gli fu fatta una iniezione. Si assopì, non rinvenne più e cessò colla coscienza il sorriso. – Al mattino del giovedì 27 fu fatta l’ultima radiografia ed i polmoni apparvero completamente presi. Mi venne immediatamente riferito, ma io impenitentemente continuai a sperare. Fu verso mezzogiorno che mi venne data la terribile notizia. Mino era spirato senza riprendere conoscenza alle dodici meno dieci. Era presente il suo devoto cognato Dott. Boggero e proprio in quel momento sopraggiungeva Padre Boldorini. Diedi ordine che la cara salma venisse immediatamente trasportata e composta nel salone dell’Arcivescovado. Fu così che rividi don Mino morto, rivestito dei sacri paramenti e della casula nel salone poco dopo. Sorrideva ancora. Il concorso del Clero, dei molti scolari, condiscepoli ed amici, per visitare la salma fu imponente e si può veramente dire segnato dal pianto. Arrivarono i suoi genitori. Fu uno strazio: essi erano stati fidenti fino all’ultimo momento. Tutti capivano che avevamo perduto un uomo per nulla comune. I funerali li celebrai io nella Chiesa Metropolitana. Con me concelebrarono i sacerdoti membri della famiglia arcivescovile: Mons. Luigi Cuneo, don Alfredo Capurro Cerimoniere, don Giacomo Barabino segretario. Non invitate, spontaneamente vennero le Autorità. Noi non avevamo fatto l’invito per discrezione. La folla fu grande, la commozione intensa. Io non ebbi la forza di parlare ed il silenzio fu assai più eloquente. I Genitori di Lui, la sorella colla famiglia furono oggetto di una attenzione commossa e affettuosa. Chiesi al Padre di poterlo seppellire nel cimitero di Molare, vicino ai suoi nonni. Del resto Lui, in vita aveva fatto chiaramente capire che desiderava là il luogo del suo riposo. Là aveva trascorse tutte le sue vacanze giovanili, là aveva i ricordi più cari, là avevano vissuto e lavorato i suoi nonni, gli antenati; là restavano parenti. Così il vecchio paese lo riabbracciò e lo tenne con sé. Nella attesa di una sistemazione più acconcia e da Lui sognata, la salma riposa ora in loculo che guarda verso mezzogiorno, verso il sole. Sulla lapide è scritto solo così: Mons. Bartolomeo Pesce. Per XXIII anni segretario dell’Arcivescovado di Genova. 1921 – 1969. – Tutti noi abbiamo la impressione che ci segua dovunque e che ci protegga dal Cielo. Ci volgiamo indietro a guardarlo nel suo insieme. – Era alto di statura, slanciato, la pelle bianca, di capelli neri. I suoi occhi di colore castano avevano una straordinaria capacità di rivelare i sentimenti dell’anima e, per questo, i rapporti di tutti con Lui erano facili, immediati e tendevano a diventare profondi. Guidò nello spirito anime giovanili e tutti i suoi antichi discepoli del Doria portano e porteranno con sé la impronta di una profondità, onestà e serietà cristiane, quale da lui ebbero. I suoi condiscepoli lo riguardarono come un maestro ed era per loro un punto di incontro come se non fossero passati gli anni. I confratelli lo sentirono passare accanto a loro umile, sincero, sempre pronto a tenersi in disparte e ad essere amico servizievole. Nessuno mai si accorse esternamente che era il Segretario del Cardinale Arcivescovo di Genova. Stava alle mie spalle e vi si nascondeva. Mai pesò su nessuno. – Portava con sé la sua pena procuratagli costantemente dal suo sistema neuro vegetativo. Questa pena la nascondeva quanto poteva e per gli altri serbava in qualunque momento la giovialità che ha consolato molti. Quando tutti noi (notare il “tutti noi”) si aveva qualche rompicapo si andava da Lui. Allora si raccoglieva, pensava qualche secondo, poi rispondeva, risolveva, incoraggiava, infondeva la gioia. La sua virtù, il suo spirito di orazione che fu in un certo senso continuamente in atto, non erano affatto comuni. Non disse male di alcuno, cercò di capire tutti, fece quanto poté per risparmiare dolori agli altri, o per dirottarne il duro colpo. Ho sentito il dovere di scrivere queste poche pagine, perché molti le hanno invocate e perché molti hanno ancora bisogno di Lui! Rimane un esempio.

 

Omeopatia e Chiesa Cattolica (vera)!

La diversità di opinioni tra i cultori dell’Omeopatia ed i suoi detrattori fin dall’inizio della diffusione del metodo omeopatico, era rimasta confinata sul piano della clinica medica, della ricerca sperimentale, dei risultati terapeutici, delle possibili teorie che possono spiegare i meccanismi di azione, [dall’effetto inverso di Arndt-Schultz, cardine della farmacologia classica, ai salti quantici con emissioni frequenziali, all’informazione dell’acqua, dalla struttura molecolare dell’acqua del Prof. Del Giudice, alla emissione coerente di biofotoni sec F. A. Popp, agli studi dei fisici sovietici, etc. etc.], e le diatribe restavano comunque nell’ambito squisitamente scientifico e delle conoscenze di chimica, fisica, fisiologia medica, farmacologia. Negli ultimi anni, però, una serie di “piccoli scienziati” improvvisati ed infervorati da uno zelo esorcistico antiesoterico di stampo modernista pseudo cattolico [decisamente settario, come l’attuale apostatica falsa “chiesa dell’uomo” postconciliare Vat. II], si è scalmanata nel voler vedere la pagliuzza nell’occhio dell’avversario [non avvedendosi delle travi nei propri], accusando cioè l’omeopatia ed i professionisti che in tutto il mondo la praticano, di costituire una magia moderna l’una, e dei rozzi operatori dell’occulto gli altri, solo perché non ne comprendono principi, metodologia clinica, ed ignorano completamente le ricerche effettuate da professionisti e società mediche di serietà conclamata, in questo essendo sostenuti dai “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, che quando scorgono qualcosa che possa aiutare l’umanità sofferente, si scagliano contro di essa con inaudita violenza. Questi nuovi “asini” moderni [senza offesa per gli asini!], non sapendo a cosa appigliarsi per denigrare un metodo terapeutico dai risultati innegabili, forse il primo in assoluto che si sia dato un assetto scientifico con i cosiddetti “proving”, cioè con il testare i possibili rimedi su soggetti sani, riportandone minuziosamente e scrupolosamente [in certi casi anche maniacali] i risultati, hanno iniziato a dire che i rimedi vengono preparati con metodiche nientemeno che … “esoteriche”, con interventi magici, e direttamente ispirati dal demonio in persona, che poi favorirebbe i risultati evidenti che si ottengono [un po’ come dire che l’aspirina ottiene dei risultati perché preparata con la polvere delle ossa dei morti!]. In questo sono appoggiati da fantasmagorici personaggi di pretesa appartenenza al corpo ecclesiastico cattolico, quasi (togliamo il quasi… ) sempre “falsi” preti mai tonsurati e quindi mai validamente consacrati, o vescovi apostati [gli eletti manichei del rito blasfemo montiniano], ed al servizio del “signore dell’universo”, cioè il lucifero-baphomet adorato nelle logge massoniche ed oggi purtroppo anche nei riti quotidiani, di sapore rosacrociano, che hanno soppiantato la santa Messa cattolica di sempre. Ora con questi personaggi, che definire “ignoranti” sarebbe per essi un onore ed un elogio eccessivo, non vogliamo parlare di cose scientifiche, visto che il loro livello è presso a poco quello della scuola dell’infanzia (senza offesa per i bambini … ), ma a causa dei tanti poveri pazienti sedicenti cattolici, ingannati e spaventati dalle terroristiche pubblicazioni che mettono in guardia dal rivolgersi all’omeopatia in quanto pratica magico-esoterica, vogliamo per loro tranquillità ricordare quanto la Santa Madre Chiesa Cattolica, per mezzo dei Santi Padri che, lo ricordiamo solo per inciso a chi eventualmente lo avesse dimenticato o facesse solo finta, è, quale successore di S. Pietro, il dolce Cristo in terra, assistito in materia di fede e di costume dallo Spirito Santo, sono l’espressione più alta della “verità” che la Chiesa stessa ha il compito di propagare infallibilmente vigilando sulle falsità, eresie, e tutto quanto possa danneggiare la vita spirituale e materiale dei fedeli cristiani. La Chiesa, corpo di Cristo [parliamo di quella “vera” ovviamente, non del baraccone da Cinecittà post-conciliabolo Vat. II della setta modernista del Novus Ordo], non può ingannare i suoi fedeli discostandosi anche di un solo millimetro dal deposito della fede insegnata da Gesù Cristo, deposito tramandato nei secoli dagli Apostoli e dai loro successori, conservato gelosamente da tutti i “veri” Papi succedutisi fino a Gregorio XVIII, felicemente regnante anche se costretto all’esilio. Osserviamo allora quale è stato l’atteggiamento dei Papi del XVIII e XIX secolo nei confronti dell’omeopatia, da Gregorio XVI a Pio XII, quelli che hanno potuto esercitare liberamente la loro funzione di Papa, prima dell’eclissi iniziata con Gregorio XVII cardinal Siri, e provvidenzialmente annunciata dalla Santa Vergine Maria nell’apparizione approvata di La Salette. Ci aiutiamo qui riportando stralci di un lavoro storico approfondito del dr. Fernando Piterà di Genova [“Breve storia dello sviluppo dell’Omeopatia in Italia”], la cui serietà professionale e la valenza indiscussa nel campo medico clinico, è tale da far arretrare sul nascere effimere contestazioni da parte di improvvisati “dilettanti allo sbaraglio”, anche se direttori di cattedre universitarie o funzionari di organizzazioni sanitarie e parasanitarie.

RAPPORTI DELL’OMEOPATIA CON LA CHIESA CATTOLICA

Sin dalla prima comparsa in Italia l’Omeopatia incontrò il favore dei movimenti cattolici e del Vaticano. La posizione del Vaticano nei confronti dell’Omeopatia era ben nota anche in Francia. Nel Giornale Omeopatico del 1875 edito a Nîmes, comparve un articolo dei Fratelli Peladan i quali scrivevano: « La Chiesa Romana lascia piena libertà alla scienza, è scritto, finché questa rimane nel campo che le è proprio. Ciò è talmente vero che mai nessuna opinione medica fu oggetto della minima censura. D’altra parte i Papi non hanno mai mostrato quell’odiosa intolleranza che l’aggruppamento degli scienziati sapienti ostinati nella loro routine hanno ostentato uno dopo l’altro contro i medicamenti eroici, contro le riforme farmaceutiche, contro le nuove scoperte, le proprietà dell’Antimonio e quelle della China, le preparazioni spagiriche, la teoria della circolazione del sangue e infine contro l’Omeopatia, la più importante delle novità mediche. Mentre molte Università e molti governi, essendo influenzati dai rappresentanti degli studi ufficiali, rifiutavano l’Omeopatia senza averne nemmeno studiato il nome e impedivano ai successori di Hahnemann di dispensare dei rimedi direttamente e liberamente – condizione indispensabile al successo in ogni località in cui non esiste una Farmacia Omeopatica specializzata, – la Corte di Roma procedeva con grande larghezza di vedute nei confronti del nuovo metodo di guarigione. Tutti quelli che considerano l’Omeopatia come una verità in medicina devono testimoniare a Pio IX tutta la gratitudine che la nostra scuola gli deve per i favori eccezionali che le ha concessi. » – Fu nel 1827 che l’Omeopatia fu introdotta a Roma dal Dottor Kinzel, un austriaco. Il metodo hahnemanniano ottenne in quella città un trionfo completo sugli avversari, cioè i partigiani della vecchia scuola allopatica. Il loro decano, il Dottor Luppi, era riuscito a convincere il Papa che era necessario proibire agli Omeopati la libera distribuzione dei rimedi a Wahle, nativo di Leipzig, omeopata, i cui numerosi e brillanti successi hanno dato alla nuova medicina un’immensa popolarità, fece invano valere i suoi privilegi di straniero e l’influenza di uno dei suoi protettori, il Barone Liedderkerke, Ambasciatore olandese. Ma, nel 1841, sebbene non possedeva nessun titolo accademico regolare, questo Medico ottenne l’autorizzazione di praticare l’Omeopatia negli Stati Pontifici da Sua Santità essendo questi, dopo essersi fatto fare un resoconto del modo in cui gli Hahnemanniani preparano le loro medicine, stato sollecitato da qualche nobile famiglia romana. [quindi il Santo Padre era a corrente per conoscenza diretta del metodo di preparazione dei rimedi – ndr.-]. Da allora Wahle vide crescere notevolmente la cerchia della sua clientela, e il convento dei Gesuiti l’adottò come Medico, concedendogli onorari doppi rispetto a quelli assegnati ai suoi predecessori allopati. Egli, in seguito alle sue energiche proteste contro il divieto di distribuire rimedi e grazie alla protezione di prelati eminenti, riuscì a rendere nulle le severe ordinanze pubblicate in proposito dalla municipalità di Roma e Bologna. Infine, nel 1842, Sua Santità, meglio istruito sul modo di preparazione dei rimedi Omeopatici, revocò in favore dei Medici Omeopatici il divieto di distribuire medicine ai malati [Sua Santità prima di decidersi in tal senso aveva perciò adottato una linea di somma prudenza imponendosi una conoscenza diretta del metodo – ndr. -]. – Per di più, nel 1852, una bolla di Pio IX sanciva, come anche il suo predecessore, il diritto agli ecclesiastici di distribuire delle medicine Omeopatiche in caso di urgenza o in assenza degli uomini dell’Arte. Tale permesso era esteso alle regioni senza medici. Il Dottor Charge di Marsiglia, in seguito agli importanti servizi resi in ospizio religioso durante l’epidemia di colera nel 1849, ha ricevuto dal Santo Padre un’onorificenza del tutto particolare: la Croce di Cavaliere di San Gregorio Magno. Inoltre, il nostro governo, che non ha potuto disconoscere la devozione di questo Medico intrepido, gli ha assegnato la Croce della Legione d’Onore e lo ha innalzato, in seguito, al grado di Commendatore dello stesso ordine. Credo che il Dottor Charge sia il primo Omeopata, per lo meno in Francia, che abbia ricevuto una decorazione pontificia. »

I PONTEFICI E L’OMEOPATIA: PAPA GREGORIO XVI DIFENSORE DELL’OMEOPATIA

Se i Pontefici Leone XII e Pio VIII si erano manifestati sempre favorevoli all’Omeopatia, fu il Papa Gregorio XVI (1831-1846) che si distinse più degli altri a difesa del metodo omeopatico, come si può rilevare dal seguente documento (simile a quello francese precedente -ndr.-): « Il metodo omeopatico ha ottenuto a Roma un trionfo completo sugli avversari partigiani dell’antica scuola. Il decano di questi, Dott. Lupi, era riuscito a persuadere il Papa Gregorio XVI che bisognava interdire agli Omeopatici la libera distribuzione dei rimedi. Il Dott. Wahle, brillante medico omeopatico, i cui numerosi e brillanti successi terapeutici hanno guadagnato all’Omeopatia la popolarità attuale, mise al servizio della causa i suoi privilegi di straniero, e l’influenza di uno dei suoi protettori: l’ambasciatore olandese, il barone di Liederkerke. Il Papa però, meglio informato del metodo di preparazione dei rimedi Omeopatici [vieve ribadito anche in questo caso che il Papa aveva personalmente acquisito informazioni – ndr. -], e sollecitato da qualche nobile famiglia romana, rese a Wahle il diritto di distribuzione. Da allora il nostro compatriota ha visto estendersi considerevolmente il cerchio della sua clientela, e il Convento dei Gesuiti al Gesù l’ha nominato Medico dell’Istituto, accordandogli onorari doppi di quelli già dati al suo predecessore allopatico. » [Estratto del Deutschen Allgemeine Zeitung, n. 827, del 22 Novembre 1844.]. – È dunque Papa Gregorio XVI che autorizza, nel 1841, il Dottor Wahle all’esercizio dell’Omeopatia, sebbene egli non possedesse alcun regolare titolo accademico conferitogli dalle Università Pontificie. Con quel riconoscimento ufficiale di Wahle l’Omeopatia si afferma sempre più, ma il decano dei medici allopatici, il Dottor Lupi, riesce a persuadere Gregorio XVI ad interdire agli Omeopatici la libera distribuzione dei loro medicinali. Dietro questa sordida manovra era evidente non soltanto l’ostilità della scuola allopatica ma anche il palese interesse dei farmacisti. Il Dottor Wahle, nativo di Lipsia, cerca allora di difendere come meglio può l’omeopatia e gli interessi dei colleghi, facendo valere i suoi privilegi di straniero e l’influenza di uno dei suoi protettori, l’Ambasciatore olandese Barone di Liederkerke, nonché quella di numerosi patrizi romani suoi pazienti. Il Papa Gregorio XVI allora si informa più dettagliatamente sul metodo di preparazione dei rimedi Omeopatici ed infine rende giustizia al Dott. Wahle concedendo a lui ed ai suoi colleghi il diritto di distribuire gratuitamente i rimedi Omeopatici ai loro pazienti, rendendo così nulle le vessatorie ordinanze delle Municipalità di Bologna e di Roma che invece lo proibivano. Wahle, inoltre, viene nominato Medico del Convento dei Gesuiti ed ottiene un salario doppio a quello già accordato al suo predecessore. In seguito Papa Gregorio XVI concede la Gran Croce di Cavaliere al Dottor Centamori, intimo amico di Hahnemann, che dedicò tutta la sua vita alla diffusione dell’Omeopatia nello Stato Pontificio. E fa ancora un gesto che certo dovette allarmare notevolmente gli allopatici: con una Bolla accorda agli ecclesiastici l’autorizzazione di somministrare rimedi Omeopatici in casi urgenti in assenza del Medico, e in tutte le località che sono sprovviste di Medici Omeopatici.

PIO IX LA CATTEDRA DI FILOSOFIA DELLA NATURA

Gregorio XVI non fu l’unico Papa a manifestare interesse per l’Omeopatia. Il suo successore, Pio IX (1846-1878) nomina nel Marzo del 1848, per interessamento del Cardinale Orioli, del Gioberti, del Ventura e del Rosmini, il Prof. Ettore Mengozzi, Medico Omeopatico, alla Cattedra di Filosofia della Natura nell’Università di Roma. Nel 1869 lo stesso Papa affida al Prof. Ladelci la Cattedra di Botanica nell’Università Pontificia di Macerata. – Papa Pio IX insignì di decorazioni e riconoscimenti Medici Omeopatici italiani e stranieri e qui ricordiamo: la Croce di San Gregorio Magno, conferita, nel 1849, al Dottor Charge di Marsiglia per i servizi resi durante l’epidemia di colera in un ospizio religioso; l’Ordine di San Silvestro conferito, nel 1855, al Conte De Guidi in riconoscimento dei suoi meriti di Medico Omeopatico; un breve Apostolico Speciale inviato nel 1847 al Dottor Perrussel, Medico Omeopatico a Parigi; nel 1862 il Dottor Ozanam di Parigi viene insignito dell’Ordine di San Gregorio e, sempre nello stesso anno, un altro Medico Omeopatico di Parigi, il Dottor Tessier, viene nominato Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno. – « Il 10 Marzo 1848 venne presentata a Papa Mastai dal Cardinale Orioli, a nome dei Professori dell’Università di Roma, mentre già il sommo Gioberti, il Chiarissimo Ventura, l’Illustre Rosmini al medesimo verbalmente avevano fatta la identica commendatizia, la petizione per la nomina del Prof. Ettore Mengozzi, Medico Omeopatico, alla cattedra di Filosofia della Natura nell’Università di Roma. » – « Per la testimonianza dello stesso Cardinale Orioli, il Papa mentre scorreva con l’occhio la Petizione esclamò: “Oh! Il Prof. Mengozzi è già creato Maestro della Romana Università. Non vede, Eminenza, che sono sette i Maestri che lo desiderano?” – E soggiunse: “Dica al nostro Ministro di Pubblica Istruzione Cardinale Vizzardelli che lo munisca della nostra nomina!”. » La Petizione e la Nomina in originale si trovano presso il Notaro Camerale di Roma, Giacomo Gaggiotti; la prima registrata l’anno 1848, Atti Pubblici; la seconda registrata l’anno prima della Repubblica Romana 1849, Atti Privati. – Felice Argenti, Segretario e Cancelliere delle R.C. Apostolica. »

[Una deliberazione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione sul Libero Insegnamento della Medicina Omeopatica. Memoria del Prof. MENGOZZI, Roma, 1879, Tipografia Altero e C.].

PAPA LEONE XIII GUARITO DALL’OMEOPATIA

Anche Leone XIII (1878-1903), successore di Papa Mastai, fu nettamente a favore dell’Omeopatia e si fece curare dal Dottor Francesco Talianini, che esercitava ad Ascoli, come risulta dalla Rivista Omiopatica, (Anno XXXVIII, n. 3, 1892, pag. 99): “S.S. Papa Leone XIII che investito di lenta affezione tracheale con grave pericolo di vita allorché nell’Accademia Ecclesiastica in Roma addestravasi nelle prove per la futura grandezza, ebbe meravigliosamente ristorata e rinnovata e può ben dirsi la salute. Si che fu indubbiamente merito dell’Omeopatia e del Dott. Talianini se il sapientissimo Pontefice gode di una bene auspicata e provvidenziale longevità.”. – Il Dottor Francesco Talianini nacque a Trevi in Umbria il 21 Maggio 1776 e morì il 13 Ottobre 1857. Si laureò nell’Università della Sapienza di Roma e divenne Assistente nell’Ospedale di San Gallicano. Fu Medico condotto a Trevi, San Severino, Tolentino, Cingoli, Gubbio, Foligno e Ascoli dove fu nominato Membro della Commissione di Sanità. È concordemente ritenuto come uno dei primi Medici Omeopatici italiani. Conobbe l’Omeopatia studiando la Materia Medica Pura sulla traduzione di Romani e la traduzione dell’Organon del Dottor Bernardo Quaranta. Nel 1826 si recò a Napoli dove incontrò il Necker, Romani, De Horatiis e Mauro. Il Dott. Talianini fu il primo ad introdurre l’Omeopatia nello Stato Pontificio, dopo aver constatato a Napoli i successi terapeutici del Romani che pare gli sia stato maestro. In Ascoli rimase celebre la guarigione della Marchesa Vittoria Mosca di Pesaro che riacquistò la vista, grazie alle cure omeopatiche, dopo essere stata tenuta al buio per ben cinque anni dai medici allopatici per una grave affezione agli occhi. La Marchesa visse ancora molti anni dopo tale guarigione. Celebre fu, come già accennato, anche la guarigione di Sua Santità Papa Leone XIII, il quale, “ammalatosi di lenta affezione tracheale, con grave pericolo di vita, allorché nell’Accademia Ecclesiastica in Roma addestravasi nella prova per la futura grandezza, ebbe meravigliosamente ristorata e rinnovata la salute.” (Pompili, Rivista Omeopatica, Ottobre 1892, n. 4). – « Si che fu indubbiamente merito dell’Omeopatia e del Dott. Talianini se il sapientissimo Pontefice gode di una bene auspicata e provvidenziale longevità. » – (Dalla Rivista “La Strenna Spoletina”, del 1892: Una pagina dell’Omeopatia nell’Umbria, del Dott. Gioacchino Pompilj). Per i suoi servigi e l’alta professionalità dimostrata, il Dott. Talianini ebbe in dono dal Vaticano una medaglia d’oro, e continuamente vi era chiamato per consulti. Nel 1830 andò in Inghilterra con il Dottor Romani, al seguito del Principe Doria Pamphili, su invito di Lord Shrewsbury. Anche in Inghilterra egli ebbe molto successo e fu nominato Membro di varie Accademie.

SUA SANTITÀ PIO XII CURATO DALL’ARCHIATRA OMEOPATA

Anche, Sua Santità Papa Pio XII fu un convinto difensore dell’Omeopatia. Si legge infatti nell’Europeo del 16 Luglio 1947: “Il primo curante è Galeazzi–Lisi. Segue il metodo Omeopatico e lo applica al Papa Pio XII ”. È doveroso ricordare che questo stimabile clinico specialista, divenuto in seguito Archiatra Pontificio, fece molto per la causa Omeopatica ai tempi del C.O.R. (Centro Omeopatico Romano). La sua opera venne molto apprezzata da tutti gli Omeopati italiani. – Con tanti riconoscimenti ufficiali, la vita dell’Omeopatia nello Stato Pontificio non fu così difficile come in altre regioni d’Italia. Dopo un primo tentativo di ostacolare la libera distribuzione dei rimedi Omeopatici, fortunatamente superato grazie all’intervento di Papa Gregorio XVI nel 1842, per alcuni anni lo Stato Pontificio non si occupò più giuridicamente dell’Omeopatia. I Medici Omeopati poterono così distribuire gratuitamente i loro medicinali e non subiranno più denuncie e polemiche. – Con l’andar degli anni il numero dei Medici Omeopatici crebbe però al punto che lo Stato non poteva più restare indifferente di fronte alla quantità, sempre maggiore, di ricette mediche che passavano incontrollate direttamente dalle mani del Medico a quelle del paziente. Basandosi sul fatto che la precedente legge permetteva ai Medici Omeopatici di distribuire gratuitamente i rimedi omeopatici là dove non vi era una farmacia omeopatica, un Decreto Ministeriale Notificato il 15 Novembre 1856, (n° 53196, sull’ordinamento delle Farmacie nello Stato Pontificio) ordinava l’apertura di Farmacie Omeopatiche esclusive a Roma e in Provincia. Così là dove vi era una Farmacia Omeopatica, i Medici non potevano più distribuire gratuitamente i loro medicinali, senza incorrere nei rigori della legge.

L’OMEOPATIA ALL’OPERA PIA COTTOLENGO NELLE PAROLE DEL CHIRURGO LORENZO GRANETTI, AMICO DEL SANTO

Il Dottor Lorenzo Granetti racconta come divenne Medico Omeopatico: “Anch’io pensava come pensa la maggior parte dei medici allopatici sul merito di questa scienza; anch’io nutrii per gran tempo gli stessi pregiudizi, la medesima incredulità all’annunzio del principio hahnemanniano, Similia Similibus Curentur, quando ancora era digiuno della nuova dottrina e dei suoi risultamenti, e sentiva d’essere fondata sul principio opposto all’abituale ed invecchiato assioma – Contraria Contrriis – quantunque persone degnissime di fede mi raccontassero con entusiasmo molti casi di guarigione press’a poco miracolose.” (Giornale di Medicina Omiopatica, n. 1, 1848, pp. 155 e segg.). Queste “storie sorprendenti” lo indussero a sperimentare l’Omeopatia nella clinica chirurgica. Abbandonò salassi e sanguisughe e scelse per il trattamento Omeopatico i casi più difficili e, consigliato e guidato in principio da Omeopati esperti, ottenne anch’egli guarigioni sorprendenti. – “Io sarò eternamente riconoscente ad alcuni medici insigni di questa Capitale, che mi indussero a studiare ed a sperimentare l’Omeopatia, e ad osservare ed impiegare l’Aconito nelle febbri infiammatorie; l’Arnica nelle malattie traumatiche; la Tuja nella sicosi, il Solfo nella psora, ecc.; e difatti sono ormai più di dieci anni che nella mia vasta clinica all’Opera Pia Cottolengo, in grazia dell’Arnica, dell’Aconito, ecc. un caso solo io non posso contare d’averlo perduto. Io mi chiamerei pago se i miei colleghi, già benemeriti della Patria per i loro incessanti e gloriosi servizi resi, e che tuttora scientemente e con somma singolarità rendono ai nostri prodi difensori della Patria e della libertà italiana, prestassero attenzione all’azione specifica ed elettiva dell’Arnica, perché sarebbero meglio coronate le loro fatiche e più presto guarirebbero i loro feriti.”. Dottor Lorenzo GRANETTI, Chirurgo Direttore dell’Ospedale Cottolengo a Torino de La Medicina specifica applicata in particolare al trattamento delle lesioni organiche risultanti da violenza di corpi meccanici, massime dei proiettili di guerra. Dissertazione dedicata al prode e valoroso Esercito Piemontese. Torino, Tipografia di Enrico Mussano, 1848, pag. 8, 10. – Nel 1851 partecipò a Parigi al Congresso di Medicina Omeopatica. Nel 1855 fu nominato Medico di Re Carlo Alberto e di Casa Savoia. Fu intimo amico del Santo Giuseppe Cottolengo e Direttore Chirurgo dell’Opera Pia Cottolengo. Ebbe il coraggio di esercitare apertamente l’Omeopatia nell’Ospedale del Cottolengo in un momento particolarmente difficile. I risultati furono superiori ad ogni aspettativa e le reazioni nel campo avverso furono così numerose e violente che il Granetti fu nominato Direttore delle Terme di Acqui ed allontanato dall’Ospedale. Nel 1858 era Direttore dell’Istituto dello Spirito Santo di Nizza. Ebbe una vivace polemica con il Dott. Borelli, direttore della Gazzetta Medica Italiana. Moriva a Torino il 5 Settembre 1871.

LE CONDOTTE OMEOPATICHE NELLO STATO PONTIFICIO

Con la creazione delle Condotte Omeopatiche nello Stato Pontificio la legge implicitamente riconosceva l’Omeopatia. La prima Condotta Omeopatica ad essere istituita fu a Bevagna, in Umbria, ma il Dott. Giuseppe Bonino precisa che fu per lui il primo ad avere la prima Condotta Omeopatica perché accettò la Condotta Sanitaria in due Comuni, cioè Villar Perosa nel 1859 e nell’anno successivo a Pinasca… inotre a Montedoro in Sicilia fin dal 1862 fu istituita una Condotta Omiopatica, occupata dal Dott. Pappalardo, cui più tardi si è associato il Dott. Stonaci. (Ricordo Cronografico dell’Omeopatia in Italia, l’Omiopatia in Italia, Agosto 1907). Il Dottor Agostino Mattoli si era prodigato per anni a favore della popolazione curando i concittadini sempre omeopaticamente finché, come riconoscimento ufficiale della sua opera, fu unanimemente deliberata, il 22 Aprile 1869, nello stesso giorno del suo decesso, l’istituzione di una Condotta Omeopatica. Il 20 Dicembre 1869 (visto del 9 Luglio 1869, n. 821, della R. Sottoprefettura del Circondario) si apre così il concorso alla prima Condotta Medica Omeopatica. I concorrenti erano tre ed il vincitore, con unanime consenso, fu il Dottor Vincenzo Massimi di Teramo. Per tale avvenimento vi furono molte polemiche, specialmente ad opera del Dottor Agostino Bertani (Gazzetta Medica Italiana Lombarda, n. 3, pag. 23-24), in quanto si riteneva un sopruso da parte del Municipio di Bevagna l’imporre ai cittadini di curarsi Omeopaticamente. Tutto fu messo a tacere quando si rese noto che contemporaneamente esisteva anche una Condotta Allopatica, affatto soppressa, e che i cittadini avevano la più ampia libertà di scelta. Con il tempo la Condotta Omeopatica di Bevagna fu eliminata per il motivo, si dice, che fu impossibile trovare un successore poiché il trattamento economico era troppo esiguo e inadeguato. Il 31 Ottobre 1875 anche il Consiglio Municipale di Piperno delibera con voto unanime l’istituzione di una Condotta Medica Omeopatica, affidata al Dottor Pasi, che la tenne fino alla sua morte, avvenuta nel 1878. – Ugualmente il Dottor Carlo Berretti tenne, per 27 anni, la Condotta Medica di Paliano, fino al 1875, anno della sua morte. – Ma non sempre la situazione si risolveva in favore dell’Omeopatia e molte proposte di istituire Condotte Omeopatiche furono bocciate. Il Placci racconta infatti a proposito di una Condotta nello Stato Pontificio dove già esistevano una Farmacia ed un Medico Omeopatico. Accettando condizioni economiche più favorevoli, questo medico si trasferì in una città vicina. Rimasta la Condotta scoperta, fu bandito un concorso nel quale si esigeva espressamente che il Medico fosse perfettamente istruito nella teoria e nella pratica Omeopatica. Ma il bando fu bocciato dal Consiglio Provinciale di Sanità e gli abitanti del luogo furono costretti a ritornare alle sanguisughe, ai vescicamenti, ai cauteri, ai setoni, ai purganti, agli emetici della scuola allopatica (Giornale di Medicina Omiopatica, anno IV, 1847, Vol. XII, pag. 135).

RICONOSCIMENTI E ONORIFICENZE VATICANE CONCESSE A MEDICI OMEOPATICI:

Ripetiamo in uno schema riassuntivo alcune informazioni già ricordate in precedenza: “nel 1841 il Dott. Wahle ottiene da Papa Gregorio XVI il diritto ai Medici Omeopatici di distribuire gratuitamente i farmaci omeopatici ai pazienti rendendo così nulle le vessatorie ordinanze delle Municipalità di Bologna e di Roma che invece lo proibivano. Wahle, inoltre, viene nominato Medico del Convento dei Gesuiti ed ottiene un salario doppio a quello già accordato al suo predecessore. – Papa Gregorio XVI concede la Gran Croce di Cavaliere al Dott. Centamori, intimo amico di Hahnemann, che dedicò tutta la sua vita alla diffusione dell’Omeopatia nello Stato Pontificio. – Papa Gregorio XVI con una Bolla accorda agli ecclesiastici l’autorizzazione di somministrare rimedi Omeopatici in casi urgenti in assenza del Medico, e in tutte le località che sono sprovviste di Medici Omeopatici. – Nel 1847 Sua Santità nominò il Dott. Tessier, Medico Omeopata che introdusse l’omeopatia negli ospedali di Parigi, Commendatore dell’Ordine di S. Gregorio il Grande. – Nel 1849 Pio IX conferisce al Dott. Charge di Marsiglia, la Croce di Cavaliere di San Gregorio il Grande per gli importanti servizi resi in ospizio religioso durante l’epidemia di colera nel 1849. – Nel 1847 Pio IX invia un breve Apostolico Speciale al Dottor Perrussel, Medico Omeopatico a Parigi; – Nel Marzo del 1848, Pio IX nomina il Prof. Ettore Mengozzi, Medico Omeopatico, alla Cattedra di Filosofia della Natura nell’Università di Roma. – Nel 1855 Pio IX conferisce l’Ordine di San Silvestro al Conte de Guidi in riconoscimento dei suoi grandi meriti di Medico Omeopatico; – Nel 1862 Sua Santità Pio IX conferì le insegne dell’Ordine di S. Gregorio Magno al Dott. Ozanam, medico omeopatico a Parigi, fratello del Beato Federico Ozanam. – Nel 1869 lo stesso Papa Pio IX affida al Ladelci la Cattedra di Botanica nell’Università Pontificia di Macerata. – Per i suoi servigi e l’alta professionalità dimostrata nel curare e guarire Papa Leone XIII, il Dott. Talianini ebbe in dono dal Vaticano una medaglia d’oro, e continuamente vi era chiamato per consulti. – Nel 1947 il primo medico curante di Papa Pio XII è il Dottor Galeazzi–Lisi, medico omeopata. È doveroso ricordare che questo stimabile clinico specialista divenne infatti Archiatra Pontificio e applicava con successo il metodo omeopatico al Papa Pio XII. [In verità ci sono diverse perplessità e dubbi sull’operato di Galeazzo-Lisi, in particolare durante la malattia terminale e la morte del Pontefice!-ndr.-] – Verso la metà del secolo XIX cominciano a intravedersi i segnali, che porteranno ad una fase di declino dell’Omeopatia italiana che si prolungherà per alcuni decenni. In Italia l’Omeopatia, essendosi legata ai movimenti cattolici popolari, con l’aperto consenso delle gerarchie ecclesiastiche che favorivano tutto ciò che poteva contrapporsi al materialismo illuminista, è destinata a pagare un caro prezzo. Ben presto infatti il Prof. Ettore Giovanni Mengozzi, dovette abbandonare la Cattedra di Omeopatia presso l’Università romana, assegnatagli nel 1848 da Pio IX, per il precipitare degli eventi. Le successive vicende storiche e politiche [determinate dalle logge massoniche -ndr. -] che porteranno all’unità d’Italia, saranno realizzate contro il Cattolicesimo e l’Omeopatia italiana, essendosi troppo schierata con quest’ultimo, non poteva che essere emarginata nel nuovo clima culturale che si andava configurando. Si instraurava il regime della massoneria imperante, come al giorno d’oggi, che non si fa scrupolo di utilizzare ogni mezzo, anche il più ridicolo, come l’accusa di “stregoneria”, “magia moderna” o esoterismo, essi che adorano il baphomet, per contrastare l’espansione del metodo omeopatico, che allevierebbe le sofferenze di tanti malati costretti a curarsi “legalmente” e senza risultati con ferro [interventi chirurgici mutilanti ed inutili], fuoco [le famigerate radioterapie] e veleno [chemioterapie tossiche]. – È evidente quindi che, allora come oggi, dietro il movimento anti-omeopatia c’è la “longa” mano delle logge, braccio operante e tentacolo della piovra nemica di Dio e di tutti gli uomini, di coloro cioè che hanno per padre il diavolo. I maggiori detrattori in Italia ad esempio, sono noti frequentatori delle logge che in cambio hanno permesso loro rapide e brillanti carriere, e sono gli stessi che si sperticano al contrario nelle lodi dell’evoluzionismo e della psicanalisi, basate su teorie assurde e mai provate [-ndr.-]. Pertanto stiano sicuri i cultori e gli utilizzatori dell’omeopatia, metodica dichiarata dalla “vera” Chiesa di Cristo utile e benemerita, e cerchino caso mai di evitare pittoreschi operatori sanitari che utilizzano impropriamente l’omeopatia in associazione estemporanea con metodi dichiaratamente anticristiani, e quindi suggeriti dal nemico infernale … medicina cinese, yoga, meditazioni orientali ed occidentali, antroposofia, magnetismo e mesmerismo, psicoanalisi gnostico-cabalista, e via di seguito.

Tutta la “vera” Chiesa non ha mai dubitato della elezione di Gregorio XVII: sul “Papa dubius”

Su: “Papa dubius, nullus Papa

(Profezia sul Papa del Venerabile Bernardo de Bustis, XV sec.): “… nel tempo dell’Anticristo avverrà … un conflitto così violento con la Chiesa Romana che ci saranno grandi tribolazioni. In questo periodo, si produrrà nel seno della Chiesa uno scisma in occasione dell’elezione del Papac’è uno che sarà chiamato il vero papa, ma egli non sarà veramente tale … egli farà perseguitare il vero Papa e tutti coloro che gli obbediscono, affinché la maggioranza si dichiari per l’antipapa, piuttosto che per il vero Papa. Ma questo antipapa farà una triste fine e quello vero RIMARRÀ il Pontefice unico ed incontrastato. …”

Mani violente si abbatteranno sul capo supremo della Chiesa Cattolica… Sì, sì, il gregge diventerà piccolo.” (profezia di G. Wittman d. 1833)

Il Cardinale Johann Baptist Franzelin S.J., d. 1886 (nella foto sopra), considerato da molti come il più grande teologo del XIX secolo – espone la corretta comprensione di questo assioma spesso citato a sproposito e compreso erroneamente : “Papa dubius, nullus papa.”

Nel 1857, Franzelin fu nominato professore di teologia dogmatica, presso il Collegio Romano, posizione che mantenne fino al 1876. Nominato Consultore della Sacra Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari il 23 aprile 1869, servì come teologo del Papa nel Concilio Vaticano e diede un contributo considerevole alla stesura della Costituzione “De Fide Catholica”. Consultore della sacra Congregazione di Propaganda Fide, Concilio Tridentino, per gli affari ecclesiastici straordinari e ‘qualificatore’ del Sant’Uffizio. Creato Cardinale il 3 aprile 1876 dal Papa Pio IX, quest’ultimo lo nominò prefetto della Sacra Congregazione delle Indulgenze e delle Reliquie il 28 marzo 1885. Le sue opere teologiche sono conosciute in tutta la Chiesa per la loro solidità, erudizione e scrupolosa precisione.

Ecco un passaggio del cardinale Franzelin che discute circa “l’assioma del Papa dubbio“.

Versione breve: una volta che un uomo sia diventato un vero Papa, nessun dubbio da parte della Chiesa può privarlo del Pontificato. Se l’intera chiesa dovesse dubitare della legittimità di colui che rivendica il Papato, questo sarebbe un segno certo che costui non è mai stato un vero e legittimo Pontefice.

[Cardinale Franzelin, S.J., De Ecclesia Christi, pp. 230-36] (tradotto dal latino). Ci sembra opportuno esporre qui molto brevemente il nostro parere sul modo in cui avvenne l’estinzione di questo scisma tanto disastroso ed il ristabilimento della piena unità della Chiesa, o meglio della comunione effettiva di tutti i Cattolici con l’erede legittimo alla Sede Apostolica; questo dovrebbe a nostro avviso essere spiegato. Per ammissione di tutti i teologi, infatti tutta la Chiesa fu interamente d’accordo per il fatto in sé dell’estinzione dello scisma mediante l’elezione legittima e indubbia di Martino V come un vero successore di Pietro, tuttavia non c’è tale consenso, anche se non esiste nessuna piccola differenza di opinione tra i teologi e gli interpreti della legge quando si è trattato di valutare del modo in cui si giunse legittimamente a questo felice esito. Soprattutto ora, dopo le lucide ed esplicite definizioni del Concilio Vaticano [1870 D.C.–ndr.-] circa i diritti divini del Primato e sulle relazioni che esistono tra esso e tutto il resto della Chiesa, i principi dogmatici contenuti in queste definizioni del Concilio o che necessariamente sono seguiti ad esse, dovrebbero essere tenuti bene in vista per un più certo e costante trattamento della questione proposta.

. Come da legge divina, è stabilito che il “PRIMATO” di Pietro viene propagato in ognuno dei suoi legittimi successori, per tutta la durata della Chiesa, la quale è costruita e eretta su questa roccia perpetua; la legittima elezione del Pontefice Romano è l’UNICA CONDIZIONE, soddisfatta la quale, l’eletto entra nella serie dei successori di Pietro, ricevendo tutto il potere divinamente istituito del primato, non dagli elettori, che non ce l’hanno, ma dalla forza dell’istituzione di Cristo e da Cristo stesso, che è la Roccia propriamente originaria, costituita come una roccia dal potere partecipativo.

2º. A colui che è stabilito come Pontefice, la Chiesa sia nei suoi singoli pastori che nelle greggi e pecore, è considerata un tutt’uno, con tutti i pastori e greggi e pecore insieme, soggetto come un gregge ad un Pastore supremo: non che la Chiesa, anche presa nella sua interezza, abbia alcun potere di giurisdizione sopra il Pastore supremo, ma al contrario Egli ha la pienezza del potere su di Essa, come sul gregge, secondo le norme divinamente stabilite. –

3°. Così non esiste nessun potere nella Chiesa che, una volta che un Pontefice sia stato costituito, possa limitare o togliere il Potere supremo divinamente conferitogli con tutti i suoi diritti. Il potere stabilito da Cristo e conferito al successore di Pietro, non può cessare in lui tranne che in caso di: – rinuncia spontanea, la cui validità è abbastanza certa dopo la definizione di San Celestino V come dottrina ed azione nota nella Chiesa universale, o – per la spontanea defezione dalla Chiesa per eresia manifesta e pertinace. Tale scandalo si andrebbe a verificare quando come pastore e dottore della Chiesa, si allontanasse dalla promessa e dall’istituzione di Cristo con l’errare formalmente nelle sue definizioni, anche solamente come dottore privato, cosa mai avvenuta e che non senza ragione è contestata dai teologi, considerando la tenera Provvidenza di Cristo per la sua Chiesa e la sua divina promessa (cfr Bellarmino in “de ROM. Pontif.” l. IV. CC. 6. 7.).

. Non potrà mai cadere nell’eresia formale né nell’eresia materiale, cioè negando positivamente ciò che è rivelato, o affermando come rivelato ciò che non è rivelato, la Chiesa tutta, il Regno della verità, promessa dello Spirito di verità, che rimane in Essa per l’eternità; con lo stesso ragionamento della promessa dell’unità perenne, il cui centro e legame visibile è il romano Pontefice, tutta la Chiesa, Corpo di Cristo, non può mai essere separata da un vero e legittimo Romano Pontefice, suo Capo visibile, né con uno scisma formale né materiale. Se ad un certo momento “sembra” che tutta la Chiesa abbia operato una secessione, come negli ultimi anni di Pietro de Luna, che aveva preso il nome di Benedetto XIII, non si tratta di una defezione dal “vero” e legittimo Pontefice, che veniva privato del suo potere, cosa che è impossibile (v. al n. 3.), ma questo è semplicemente un segno certo che costui non è mai stato un vero e legittimo Pontefice. Pertanto ciò che viene detto da molti per spiegare gli atti dei concilii di Pisa e di Costanza, con l’assioma: “Il papa dubbio non è un Papa”, vale solo se c’è un dubbio e a causa di questo dubbio c’è una secessione dell’intera Chiesa; ma esso non può essere ammesso se, dopo che un Pontefice sia stato legittimamente costituito, in una parte o anche nella sola parte più elevata della Chiesa ci siano dubbi e ne derivi una secessione a causa delle anomalie introdotte.

. Quando una parte della Chiesa, senza sua colpa, a causa della oscurità nel presentarsi delle cose, aderisce con uno scisma materiale a qualcuno come ad un legittimo Romano Pontefice, alcuni dei suoi atti giurisdizionali, soprattutto quelli che riguardano il foro interno, possono acquisire validità mediante un titolo colorato; ma né da essa, né da alcun altro suo potere, anche legittimo, ma inferiore, possono validamente essere abrogate o modificate le leggi stabilite da un “vero” Romano Pontefice, in particolare quelle che determinano la validità degli atti relativi alla Fondazione visibile  della Chiesa stessa, come è appunto l’elezione del Capo della Chiesa (v. al n. 2.). – Premessi questi principi, non riusciamo a capire come si potrebbe ammettere l’opinione di coloro che nello spiegare gli atti DEL CONCILIO [di] Constanza dicono, con Bellarmino e Suarez, che il diritto di tutti i tre che a quel tempo rivendicavano il pontificato, era dubbioso, perché le “obbedienze individuali”, come le parti aderenti ai diversi pontefici sono state definite, consideravano due di loro come illegittimi; tuttavia, un tale Pontefice “dubbio” non è un vero pontefice, o come abbiamo sentito dire da Suarez: “potrebbe essere che nessuno di loro fosse stato un Pontefice certo e quindi si trattasse di un non-pontefice, perché nessuno di loro aveva ancora ricevuto il consenso sufficiente della Chiesa.”Ma colui che è legittimamente eletto, è costituito da questo unico fatto vero Pontefice, non dalla Chiesa ma da Cristo stesso (v. al n. 1.), né è richiesto il “consenso sufficiente” della Chiesa che debba servire come condizione necessaria perché egli sia un vero Pontefice; il “consenso sufficiente” è ottenuto dalla preghiera e dalla promessa di Cristo per l’unità della sua Chiesa a cui segue l’obbedienza dovuta, essendo questi un “vero” Pontefice (n. 4.). Inoltre, è evidente che a Costanza, per quanto riguarda le modalità di elezione ed i legittimi elettori stessi, sono state dichiarate e fatte molte cose particolari che erano contrarie alle leggi per la valida elezione istituite, per il potere supremo dei Romani Pontefici, da Alessandro III, Gregorio X e Clemente V. Ma tale cambiamenti e sospensioni delle leggi del potere supremo non possono essere che fatti dalla stessa potenza suprema del Romano Pontefice, divinamente costituita e che pone tutta la Chiesa in obbedienza al potere del supremo Pastore, cosa che anche Suarez ammette: “… perché una potenza inferiore non può cambiare ciò che è stato stabilito da una superiore e perché il primato di Pietro è stato dato a lui ed i suoi successori, e solo a lui o al Supremo Pontefice… appartiene il prescrivere le modalità della sua elezione e della successione” (Vedi sopra th. XII. n. III.). Ora infatti se a quel tempo non c’era nessun vero Pontefice, perché (come questi teologi asseriscono) nessuno era indubbio e determinato, è manifesto che il potere inferiore della Congregazione a Costanza, abbia agito contro le modalità dell’elezione prescritte dal potere supremo dei Sommi Pontefici. Così, nel modificare le modalità prescritte per l’elezione, sono stati ammessi ad esempio come elettori, oltre ai cardinali, anche altri vescovi e sacerdoti semplici non appartenenti oltretutto al clero della Chiesa Romana; ma le difficoltà sono esistite per quanto riguarda anche gli stessi Cardinali appartenenti alle tre obbedienze [e quindi molti di essi falsamente nominati -ndr.-], difficoltà che non si vedono risolte né citate da questi teologi, né si vede allo stesso modo come, secondo le loro ipotesi, si possano risolvere. Se per circa quarant’anni (dal 27 marzo 1378, quando morì Gregorio XI, fino all’elezione di Martino V l’11 novembre 1417) nessuno fosse stato un vero Pontefice, tutti questi cardinali creati da tali pseudo-pontefici, come hanno potuto essere considerati legittimi Cardinali, visto che provenivano dalle varie obbedienze e quindi da pontefici contrari, riconosciuti reciprocamente come illegittimi nei raduni di Pisa e di Costanza, contraddicendo quindi gli stessi pontefici dai quali erano stati creati, e come hanno potuto reclamare per se stessi i diritti propri del Cardinale? Inoltre, se l’elezione di Urbano VI (8 aprile 1378) non fosse stata valida, perché non era allora da considerarsi valida l’altra di Clemente VII (20 settembre 1378)? Se tuttavia, cosa che non può ora essere giustamente messa in dubbio, Urbano VI era stato creato Papa, e molti di quei Cardinali che in seguito hanno defezionato, lo avevano riconosciuto in atti pubblici come il legittimo successore di San Pietro, almeno fino al mese di giugno, mentre poi in lettere scritte successivamente si è gradualmente insinuato e propagato il dubbio fino al punto da farlo ritenere decaduto dal Pontificato, come non riconoscerlo, visto che il Primato non viene conferito né dai Cardinali né dalla Chiesa, ma immediatamente da Cristo-Dio? Pertanto, se non poteva essere spogliato del Pontificato divinamente conferito da eventuali atti di un uomo qualunque fino alla sua morte (avvenuta il 15 ottobre 1389 nella sua sede romana), egli è rimasto il “vero” successore di Pietro, e senza dubbio i suoi successori, eletti secondo tutte le leggi stabilite, e cioè Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, furono dei veri e legittimi successori nella sede di Pietro. Quei dubbi che da parte dei Cardinali causarono i noti problemi e furono insinuati e propagati dopo che l’elezione e il riconoscimento di Urbano VI era stato già stabilito, validazioni pertanto estese pure ai suoi successori, potrebbero bastare solo, come abbiamo detto sopra, a considerare coloro che erano legati alle fazioni di Roberto di Ginevra (Clemente VII) e del suo successore Pietro de Luna (Benedetto XIII) e poi di Alessandro V eletto a Pisa (26 giugno 1409) e del suo successore Giovanni XXIII, a non essere stati formalmente, ma solo materialmente, degli scismatici, per cui tra essi potevano pure trovarsi uomini santi; ma questi dubbi, né quelli seguiti al conciliabolo di Pisa con l’elezione anche di un terzo [falso -ndr.-] romano pontefice, potrebbero assumere, al di là di Urbano VI e dei suoi successori validamente eletti, la dignità e la potenza della Chiesa Universale. L’accusa di scisma e di “famigerate eresie” portate da Pisa contro Gregorio XII, come promotore e difensore ostinato di un scisma e che, avendo negato la verità rivelata dell’unità della Chiesa, fosse di conseguenza decaduto dal Pontificato, implicava una contraddizione; essi dicevano: “ … se fosse stato il vero Pontefice che aveva da Cristo la suprema potestà sulla Chiesa universale, avrebbe dovuto difendere questo suo potere contro avversari che erano, almeno materialmente, scismatici”; tali avversari infatti egli non attaccò, né tantomeno egli negò la dottrina dell’Unità della Chiesa istituita da Cristo, principalmente nel suo Capo e sotto il suo Capo visibile. Né in seguito, “queste famigerate eresie” di Gregorio XII a Costanza sono mai state riconosciute tali come avallate nella verità dal giudizio di Pisa, cosa che fu subito chiarita. Quindi secondo essi, Gregorio, che non era obbligato a lasciare il suo Pontificato spontaneamente, in quella dispersione della Chiesa avrebbe peccato nell’opporsi a tale obbligo; ma l’asserzione che il Pontefice è privato del suo potere a causa di peccati diversi dalle eresie, è condannata all’articolo 8 contro Wycliff e negli articoli 12, 13, 20, 22 e 24 contro John Hus così come fu definito da Martino V nello stesso Concilio di Costanza.

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Questo scritto di Franzelin evidentemente è di somma importanza nella comprensione dei diritti pontifici, per cui la tanto sbadierata sedevacanza durante lo Scisma d’occidente, in realtà non è mai esistita, essendosi succeduti a Gregorio XI, sia il “vero” Papa legittimamente eletto, Urbano VI, sia, alla sua morte, i successori Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, fino all’elezione a Costanza di Martino V. Questi princìpi ovviamente sono i medesimi che fanno considerare il Pontificato di Gregorio XVII [che coloro che sono a-cattolici dicono: Cardinal Siri] legittimo e valido a tutti gli effetti, potendosi così considerare assolutamente “fasulli” gli impostori antipapi che ne hanno impedito il Magistero, ed i loro ancor più fasulli gli attuali sacrileghi successori nonché i fiancheggiatori pseudo-chierici. Questo conferma ancora una volta che le leggi della Chiesa costituiscono un ingranaggio perfetto, più perfetto di un orologio svizzero, e solo stolti e malvagi servi di satana e dell’anti-Cristo possono pensare di modificarlo o interpretarlo maldestramente a loro piacimento!

… et IPSA conteret caput tuum!

Profezia del Vescovo George Wittmann sul vero gregge

(Immagine del santo Vescovo George Wittman (d. 1833). La sua causa di canonizzazione è stata ufficialmente aperta il 30 gennaio del 1956, sotto il Pontificato di Papa Pio XII. “ Mani violenti saranno posate sul Capo Supremo della Chiesa Cattolica. … Sì, sì, il gregge diventerà piccolo.” (Profezia del Vescovo Wittman sulla fine dei Tempi)

GEORGE M. WITTMAN

Il pio e devoto Vescovo di Ratisbona, George M. WITTMANN nacque il 23 Gennaio del 1760. Si distinse per la straordinaria capacità di apprendimento e di erudizione, per l’ortodossia vigorosa e per la grande attitudine all’insegnamento, un ardente zelo per le anime, e la sua carità verso i poveri. – Nel 1788 divenne il vicepresidente e nel 1803 il presidente del Seminario ecclesiastico di Ratisbona; nel 1821, Canonico della Cattedrale; nel 1829, Vescovo suffraganeo prevosto della Cattedrale e Vicario generale. Alla morte del vescovo Sarto, nel 1832, divenne il suo degno successore, ed è morto l’8 marzo, 1833. La voce popolare lo proclamò santo, e tutti coloro che lo conoscevano ebbero a dire: “Era un uomo dei primi giorni apostolici della Chiesa, – un sacerdote secondo il cuore di Dio . -L’occhio illuminato di Wittman prevedeva il futuro quando ha detto le seguenti parole: “Guai a me! Tristi giorni sono in arrivo per la Santa Chiesa di Gesù Cristo. La Passione di Gesù sarà rinnovata nella maniera più dolorosa nella Chiesa e nel suo Capo supremo. In tutte le parti del mondo ci saranno guerre e rivoluzioni, ed una grande quantità di sangue deve essere versato. Angosce, disastri e povertà saranno grandi, dal momento che si susseguiranno malattie pestilenziali, carestie, ed altre disgrazie.Mani violente si poseranno sul Capo Supremo della Chiesa Cattolica; vescovi e sacerdoti saranno perseguitati, e saranno provocati scismi, e regnerà la confusione in mezzo a tutte le classi sociali. Arriveranno tempi così particolarmente cattivi, che sembrerà come se i nemici di Cristo e della sua santa Chiesa, fondata con il suo Sangue, stiano per trionfare su di essa. … Sarà operata una generale separazione: il grano viene vagliato, e il pavimento spazzato. Le società segrete lavoreranno per una grande rovina, ed eserciteranno uno straordinario potere monetario, e attraverso questo molti saranno accecati ed infettati dai più orribili errori; tuttavia, tutto ciò deve avvenire. Cristo dice, “chi non è con me è contro di me, e chi raccoglie lontano da me, disperde”. Gli scandali saranno diffusi dappertutto, ma guai a coloro per cui essi avvengono! Sebbene la tempesta sarà terribile, e molti si allontaneranno al suo passaggio, tuttavia, non potrà scuotere la ROCCIA su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa … “Portae inferi non praevalebunt”. – “Le pecore fedeli si riuniranno insieme, e in unione di preghiera opporranno una potente resistenza ai nemici della Chiesa cattolica. Sì, sì, il gregge diventerà piccolo. Molti di voi vedranno quei tempi ed i giorni tristi che porteranno grandi mali …. una grande confusione regnerà tra i principi e le nazioni. L’incredulità di oggi sta preparando quei mali orribili.”

(Fonte: THE CHRISTIAN TRUMPET; PREVISIONS AND PREDICTIONS ABOUT IMPENDING GENERAL CALAMITIES, THE UNIVERSAL TRIUMPH OF THE CHURCH, THE COMING OF ANTICHRIST, THE LAST JUDGMENT, AND THE END OF THE WORLD.” COMPILED BY PELLEGRINO, PP. 57-58, 1873) (LA TROMBA CRISTIANA, previsioni e predizioni sull’IMMINENTE GENERALE CALAMITA’, il trionfo universale della Chiesa, la venuta dell’anticristo, il giudizio finale E LA FINE DEL MONDO” compilato da PELLEGRINO, pp 57-58. 1873)

-LA SEDE IMPEDITA-

-LA SEDE IMPEDITA-

Fr. Jean-Marie Charles-Roux afferma:

Siri fu Eletto Papa nel Conclave del 1958

… e non ha mai Abdicato!

Il ben noto Fr. Jean-Marie Charles-Roux (m. 2014) racconta:

Le baruffe intorno alla stufa!!

 Jean-Marie Charles-Roux è nato a Marsiglia in una famiglia diplomatica francese il 12 dicembre, 1914. I suoi primi ricordi di Roma sono motivati dal fatto che il padre era un membro dell’ambasciata francese al Re d’Italia.

Fr. Jean-Marie Charles-Roux, un ex ufficiale effettivo in forza all’intelligence del Vaticano sostiene che il cardinale Siri di Genova fosse stato eletto ed avesse anche accettato l’Ufficio Papale (1), ma fu poi subito deposto, senza che ci fosse la sua volontà di abdicare (2). Secondo P. Charles-Roux, una minaccia molto grave fu rivolta a Siri dai Cardinali riuniti, attraverso il cardinale Tisserant, decano del Sacro Collegio dei Cardinali, poco dopo l’accettazione della carica da parte del nuovo Papa. I ministri del Conclave avevano già cominciato a bruciare le schede con la paglia secca nella stufa della Cappella Sistina, per produrre il fumo bianco che annunciasse l’elezione del nuovo Papa. Benché gli applausi fragorosi del pubblico dall’esterno cominciassero a farsi sentire da coloro che erano all’interno del conclave, un gruppo di cardinali in accordo con Tisserant [l’infiltrato nel Conclave, agente massonico 33° liv. –ndr.-] comandava ai ministri di modificare la miscela di paglia nella stufa in modo da bagnarla affinché producesse fumo nero.Quando i funzionari del Conclave si rifiutarono di eseguire l’ordine di inviare un falso segnale che potesse indicare risultati elettorali fasulli, un gruppo di cardinali si è avvicinato ai monsignori in disparte cominciando a scaricare paglia bagnata nella stufa. Charles-Roux riporta il curioso episodio che ne seguì: “Successivamente iniziava una “partita di spintoni” per conseguire il controllo della stufa, e le miscele di paglia secca ed umida che venivano scaricate nella stufa stessa da parte dei due gruppi di contendenti, producevano alternativamente un fumo che variava dal bianco al nero, al bianco di nuovo, e, infine, al grigio“.

.(1) La persona che è stata eletta [Papa] acquisisce la piena giurisdizione sulla Chiesa Universale immediatemente e acconsentendo, diventa il Vicario di Cristo in terra. [Cost. Vacante Sede Apostolica, 25 dic. 1904]

(2) In vari incontri clandestini alla fine del 1980 con un sacerdote fidato, il Papa in ostaggio, Gregorio XVII, ha confermato le reali minacce illegali che aveva ricevuto al Conclave del 26 Ottobre 1958.


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La Chiesa perfetta di Cristo ha una “barriera in atto a sua salvaguardia” [legge] per proteggerla contro questo tipo di aggressioni illegali, e che provvidenzialmente fornisce anche il rimedio contro la possibile fragilità umana di uno dei suoi minacciati legali titolari dell’Ufficio. Così, nello stato di timore grave che è stato ingiustamente inflitto a Papa Gregorio XVII (che è durato tutto il suo pontificato), egli non poteva (per legge) dimettersi dal suo ufficio di Papa – anche se lui lo avesse desiderato – come decreta il Codice di diritto canonico della Chiesa: (Codice di Diritto Canonico – 1917:

Canone 185)

Renuntiatio ex metu gravi, iniuste incusso, dolo aut errore substantiali vel simoniace facta, irrita est ipso iure.

[La rinuncia non vale se fatta per timore grave, ingiusto, dolo, errore sostanziale, simonia …”.

Pertanto al posto di Siri, GREGORIO XVII,  sono arrivati gli usurpatori, illegittimi, invalidi, che hanno prodotto atti invalidi ed illegittimi perché ANTIPAPI … e non c’è titolo colorato che tenga …

Suicidio ed eutanasia: telepass garantito per l’eterno fuoco!

Quinto comandamento.

[E. Ione: compendio di teologia morale – Marietti ed. ]

Il quinto comandamento proibisce, in primo luogo, ogni ingiusta uccisione, tanto di se stessi quanto di altri. In secondo luogo, proibisce ogni ingiusto ferimento o mutilazione.

E poiché la morte può venire anche per trascuratezza della propria salute, v’è pure un obbligo correlativo di curare la propria sanità.

CAPITOLO I .

Obblighi verso la propria vita.

I. Il suicidio diretto è peccato grave, quando si faccia di propria autorità. – È pure vietato il tentativo di suicidio, ponendo un atto da cui « per accidens » segua la morte, per abbreviarsi la vita, per es. bere eccessivamente, fumare troppo. — I suicidi vengono puniti con la privazione della sepoltura ecclesiastica, se prima di spirare non abbiano dato segni di pentimento (can. 1240), ovvero non possano essere scusati per mancanza di grave imputabilità (cfr. can. 2218, § 2) . — Probabilmente è lecito eseguire contro se stessi, per incarico dell’autorità pubblica, la sentenza di morte pronunziata legittimamente dalla stessa autorità. –

II. È pure proibito per sé uccidersi indirettamente; tuttavia è lecito, per un motivo proporzionatamente molto grave. – Si uccide indirettamente chi, in realtà non ha lo scopo di sopprimere la vita, ma sapendo e volendo, pone un’azione da cui non solo segue un buon effetto inteso e voluto, ma anche la morte. In ciò si presuppone che l’effetto buono abbia a seguire immediatamente da quell’azione, almeno nello stesso tempo della morte. – Pertanto è lecito gettarsi giù da un punto alto per sfuggire la morte nel fuoco, specialmente quando v’è ancora speranza di salvare la vita. Allo stesso modo può agire una donna per liberarsi dalle mani di un male intenzionato, che voglia afferrarla e violentarla. — Similmente è lecito in guerra far saltare una fortezza, una nave ecc. per danneggiare il nemico, anche se si prevede che si incontrerà la morte.

III. Solo per un motivo proporzionato, è lecito esporsi ad un pericolo di morte. Il motivo deve essere tanto più grande quanto più prossimo è il pericolo di morte. Esporsi a un pericolo remoto di morte, senza un motivo sufficiente, costituisce soltanto peccato veniale. — È lecito curare gli appestati, anche con pericolo di incontrarvi la morte. — I carpentieri edili possono lecitamente esporsi ai pericoli propri della loro professione. Ai prigionieri è lecito tentare l’evasione, sia pure con pericolo della vita, per sfuggire alla esecuzione capitale o alla prigionia perpetua. – È illecito eseguire giochi da saltimbanco pericolosi o giochi da circo per la sola brama di guadagno. Qualora, data l’abilità personale acquisita, il pericolo sia divenuto remoto, non vi è peccato, almeno mortale. Sotto tale categoria di azioni illecite, devono porsi pure le irragionevoli scommesse di prendere eccessive quantità di cibi o di bevande. –

IV. Abbreviare il tempo della vita anche di parecchi anni o danneggiare la salute a causa di una professione o genere di vita o di lavori pesanti, è lecito per motivi proporzionati. È perciò permesso il lavoro negli altiforni, nelle miniere, nelle vetrerie, in certi stabilimenti chimici. Similmente sono leciti ragionevoli esercizi di penitenza. Chi scientemente abbrevia al quanto la vita con l’abuso dei cibi e delle bevande, commette peccato veniale; ma abbreviare notevolmente la vita o rovinare la salute con l’abuso, per es. di morfina o di cocaina, è peccato grave.

V. La mutilazione del proprio corpo è permessa soltanto per salvare la vita. – La mutilazione di solito è peccato grave. L’amputazione di una parte insignificante e che non ha importanti funzioni fisiologiche, per es. il lobo dell’orecchio, è solo veniale. – L’evirazione e la sterilizzazione diretta sono gravemente colpevoli, sia che si abbia lo scopo di diminuire le tentazioni, sia che lo si faccia per conservare la voce di soprano, oppure per motivi di eugenetica sociale (S. U f f . 24 febb. 1940, AAS, XXXII, 1940, p. 73; cfr. pure il discorso di Pio XII alle ostetriche, 29 ott. 1951, AAS, XLIII, 1951, p. 835-854; XLVI, 1954, p. 587 ss.). Sembra lecita, per motivi proporzionatamente gravi di salute, la sospensione temporanea delle facoltà generative. — La vasectomia, l’estirpazione dell’utero e delle ovaie sono colpe gravi, se si fanno per impedire la procreazione. — In casi di cancro, di avvelenamenti ecc. è lecita l’amputazione di un membro.

VI . È lecito per motivo proporzionato desiderare la morte [ma non metterla in atto!! -ndr.-], sottomettendosi però alla divina volontà. – Motivo buono è il desiderio dell’eterna beatitudine, la preservazione da un infortunio o dolore terreno oltremodo grande (per es. una malattia molto penosa e diuturna). — Per i soliti incomodi della vita, desiderare seriamente la morte è peccato grave.

VII. La conservazione della vita e della sanità esige l’uso dei mezzi ordinari indispensabili. Fra i mezzi ordinari viene in primo luogo una adeguata nutrizione. Pertanto lo sciopero della fame, quando sia fatto realmente con la decisa intenzione di morire di fame piuttosto che rinunziare al raggiungimento del proprio scopo, è peccato grave. Ai mezzi ordinari appartengono pure un conveniente vestiario, abitazione, sollievo fisico moderato; l’uso di relative medicine e di rimedi sanitari, supposto che non siano eccessivamente costosi per l’ammalato; la visita o chiamata del medico. Si suppone, in tali casi, che non si tratti di malattia o di incomodi piuttosto leggeri, che passino da sé, e che vi sia fondata speranza che il medico o la medicina possa giovare. – L’uso di mezzi straordinari per la conservazione della vita non è di solito obbligatorio. Quindi, anche le persone ricchissime non sono obbligate a ricercare soggiorni climatici o bagni distanti, a chiamare celebrità della medicina, neppure nel caso che, altrimenti, dovessero morire. Similmente, nessuno è per sé obbligato a sottoporsi a una operazione difficile. — Si fa solo eccezione quando qualcuno sia moralmente necessario alla famiglia o alla società e il successo sia moralmente certo; solo, in tale ipotesi, il padre o il superiore può anche comandare di sottoporsi all’operazione chirurgica.

LE ALLEGRE CONSACRAZIONI “FAIDATE” DI MONS. Thuc

LE ALLEGRE CONSACRAZIONI “FAIDATE” DI MONS. Thuc.

Molti lettori ci chiedono notizie di questo discusso prelato estremo-orientale; a tal proposito riportiamo quanto pensa un membro della Gerarchia della Chiesa cattolica in eclissi che, parlando con due membri dello staff di Papal Restoration Campaign, ha tenuto a precisare che il Santo Padre, Papa Gregorio XVIII,  considera le cosiddette “consacrazioni” di Ngo Dinh Thuc, come minimo, dubbiose. Per semplificare, diciamo che nelle intenzioni della Chiesa tal genere di consacrazioni non si sono mai verificate, poiché il monsignore venuto dall’oriente Thuc, in queste “consacrazioni”, diciamo azzardate, agiva con un proprio mandato (procuratogli dal demonio?). Questo è incontrovertibile, così come quando, ad un certo momento, chiese perdono all’antipapa Montini, il sedicente Paolo VI, per aver tentato di consacrare un gruppo di Alumbrados (Illuminati) in Palmar de Troya, Spagna [quelli che hanno poi fondato la barzelletta della “chiesa”c. d. palmariana], come vescovi senza mandato papale!

Ma i fatti gettano gravi dubbi circa la validità delle “consacrazioni” di Thuc. Ne diamo alcuni motivi:

  • Partecipa al falso concilio Vaticano II e ne firma i decreti.
  • Ha rimproverato pubblicamente l’intero Concilio per non essere abbastanza ecumenico;
  • ha cercato di ottenere che il Concilio accettasse l’uguaglianza con le donne nella Chiesa;
  • con la possibile eccezione del Sacramento dell’Eucaristia, non ha mai affermato che i sacramenti della Chiesa del Vaticano II fossero invalidi, ma solo che essi sono respinti da Dio;
  • ha sempre firmato i documenti con i titoli a lui “conferiti” dalla Chiesa del  Vaticano II;
  • fatto riferimento a Giovanni XXIII come ad un papa santo;
  • riconosciuto il marrano Paolo VI come Santo Padre;
  • ha “ordinato” / “consacrato” un gran numero di uomini, sacerdoti e vescovi senza missione e giurisdizione, senza chiedere loro di rinunciare alle loro false sette, anzi creandone di nuove. [tra questi il “grande” teologo Gerard des Lauriers, sacrilego pseudo-vescovo senza giurisdizione, l’inventore della stravagante antitomistica c. s. “tesi cassiciacum”, nonché i fondatori della barzelletta palmariana, e diversi personaggi riciclatisi nella setta C.M.R. I.];
  • ha “ordinato” / “consacrato” uomini del tutto inadatti ad essere ministri;
  • Ha regolarmente servito come accolito la nuova “messa”, quando era in Francia;
  • ha concelebrato la nuova “messa” con un vescovo del Vaticano II in tante e diverse occasioni;
  • ha ascoltato confessioni da settari del Vaticano II con il permesso di un vescovo del Vaticano II;
  • prima della sua morte, ha esortato alcuni collaboratori discendenti dalla sua “linea” a tornare alla chiesa del Vaticano II;
  • si è lamentato che alcune abitudini alimentari orientali fossero state escluse dalla Santa Messa.
  • E’ stato detto che fosse fisicamente e psicologicamente esaurito;
  • La sua sanità mentale era stata pubblicamente messa in dubbio dai suoi contemporanei;
  • Il guadagno monetario è stato riconosciuto dai suoi amici, essere un fattore motivante nel “conferimento” dell’Ordine sacro; • Nella sua autobiografia ha ammesso ad un prete del Vaticano II, di aver mentito.
  • Una sua amica ha detto che spesso parlava con doppi sensi;
  • Si comportava da tradizionalista solo quando intorno aveva altri tradizionalisti;
  • ha ammesso di simulare la “messa”;
  • ha ammesso di aver trattenuto la sua intenzione sacramentale nel conferimento dell’Ordine sacro. Nota: questo in almeno 10 diverse occasioni, vale a dire in 10 cerimonie false!

Il requisito minimo della Chiesa per accettare la validità di un sacramento è la “certezza morale.” La certezza morale “esclude ogni prudente timore di errori, in modo tale che l’opposto è reputato come del tutto improbabile.” Ora, sulla base delle evidenze sopra riportate si impone la seguente domanda: “Abbiamo la certezza che le c.d. consacrazioni del Vescovo Thuc raggiungessero un livello tale da escludere ogni prudente timore di errore?” – C’è la possibilità che egli non abbia validamente consacrato? … è del tutto improbabile che i riti non siano validi? – Mi sembra che nessuna persona obiettiva che possieda l’uso della retta ragione possa in coscienza concludere che le consacrazioni del Vescovo Thuc siano certe nella misura in cui si possa escludere ogni prudente timore di errori, in modo tale che l’opposto sia reputato come del tutto improbabile. – I Cattolici, quindi, devono indubbiamente respingere la validità delle consacrazioni del Vescovo Thuc. E se dobbiamo rifiutare le consacrazioni del Vescovo Thuc, ovviamente dobbiamo anche respingere tutte le ordinazioni e (pseudo-) consacrazioni provenienti dalla progenie Thuc, dalla linea episcopale Thuc, che non può fornire il Sacramento dell’Ordine, originariamente incerto, per cui non si può dare ad altri ciò che non si possiede da se stessi. Così la mancanza di certezza morale con il quale i Cattolici devono respingere la validità degli ordini del Vescovo Thuc, deve essere applicata anche alla progenie del Vescovo Thuc.

 Fotografia del vescovo Thuc che pubblicamente simula il Sacramento dell’Ordine Sacro su un Alumbrados, l’eretico venditore di assicurazioni, il Sig. Gomez, in Spagna nel gennaio del 1976.

La foto riportata sopra è l’esempio di una consacrazione episcopale FALSA al 100% D.O.C. garantita, come ha ammesso lo stesso vescovo Thuc che l’ha “eseguita”. (egli avrebbe poi formalmente affermato che stava trattenendo la sua intenzione sacramentale – un sacrilegio! -) “consacrando” il sig. Gomez senza un mandato papale – un altro sacrilegio!- anche se lo stesso vescovo Thuc aveva scritto e firmato un documento ufficiale [completamente fuori luogo] dichiarando di aver “consacrato” Clemente Dominguez y Gomez il 1° gennaio 1976) ??? Ecco il testo del documento, memoriale di tanta nefandezza sacrilega, attestante la perfetta malafede di questo, a dir poco “strano”, prelato vietnamita.

* “Io Peter Martin Ngo-Dinh Thuc, Arcivescovo titolare di Bulla Regia certifico che, il primo giorno del mese di gennaio 1976 ho conferito la tonsura e gli minori ordini, così come gli ordini maggiori (cioè suddiaconato, diaconato e sacerdozio) sulla seguenti persone: …. Clemente Domínguez, nato a Siviglia, National Identity Number 28279369 … […] Ho inoltre attestato che i Vescovi ed i Sacerdoti appartengono all’Ordine dei Carmelitani del Santo Volto, fondata a Siviglia il 23 dicembre 1975. – La Casa Madre di questo Ordine è al n 20 di via Redes a Siviglia. Il Fondatore e Padre Generale è Sua Eccellenza Clemente Domínguez, vescovo. – Di mia mano e di mia penna firmo questo documento perché abbia tutti gli effetti ecclesiastici e civili. – Dato il mio sigillo, il giorno dodici di gennaio dell’anno del Signore 1976   Firmato + Peter Martin Ngi-Dinh Thuc, Arcivescono di Bulla Regia.

A suo dire egli avrebbe avuto un mandato da S.S. Pio XII di consacrare dei Vescovi nella sua nazione, martoriata dalla guerra, anche senza l’autorizzazione di Roma. Di questo documento non c’è traccia, ed anche se fosse stato così, con prassi mai attuata in alcun tempo dalla Chiesa Cattolica anche in analoghe e ben più gravi situazioni, questo valeva per la sua terra durante il tempo di guerra, non certo si trattava di un permesso “speciale” per non-consacrare cani e p… in ogni angolo del pianeta creando il presupposto per sette e “chiesette” scismatiche ed eretiche, chiedendo una lauta ricompensa per “coprire le spese”.

(I Cattolici romani riconoscono che il sacro sacerdozio viene solo da Dio che chiama l’anima prescelta, mentre la Chiesa di San Pietro conferma il mandato dal Cielo. … E questi sedevacantisti patetici cercano di deridere pubblicamente i cattolici [della Chiesa in Eclisse perché non frequentano i loro servizi sacrileghi?!?).

Tra gli altri, anche il sacerdote vietnamita Peter Khoat Van Tran, ha avuto nel 1983 la “fortuna” di incontrare il Vescovo suo conterraneo a Tolone in Francia in Rue Garibaldi 22. Durante quelle lunghe riunioni, dove c’erano gatti che saltavano intorno, dentro e fuori dai mobili, Bp. Thuc e P. Tran hanno parlato tra loro nella lingua nativa Vietnamita, circa la crisi della Chiesa. – Thuc, espose gli insegnamenti di Cum ex apostolatus officio a P. Tran, che conosceva bene la bolla pontificia. Il vescovo Thuc parlava del documento di Paolo IV applicandolo all’usurpatore antipapa Giovanni Paolo II, per cui egli riteneva che al momento, la sede pietrina fosse vacante.- Fr. Tran, che ha avuto il più grande rispetto per il Vescovo Thuc, ha potuto notare, registrandolo, che il suo connazionale “variava i suoi stati di lucidità durante i loro incontri”. La cosa più scioccante, secondo la testimonianza scritta e firmata di p. Tran, fu che durante il loro ultimo incontro a Tolone, Thuc sottolineava il fatto che Giovanni Paolo II fosse un cattivo antipapa (cosa che P. Tran già sapeva), ma quando p. Tran poi si alzò per andarsene, anche il Vescovo Thuc si alzò e lo guardò dritto negli occhi dicendo: “E come è buono il nostro papa Giovanni Paolo II!” – – Così tragicamente Bp. Thuc non ha mai avuto la sua “testa a posto”, cosa di nuovo ulteriormente evidenziata (oltre ai punti elencati sopra) dal fatto di consigliare ai suoi conoscenti di tornare alla massonica setta del Vat. 2°, poco prima di morire nel 1984. Abbiamo poi la testimonianza giurata della consacrazione di Guerard des Lauriers, che continuamente dovette intervenire durante la cerimonia perché Thuc citava continuamente Giovanni Paolo II, nonostante che avesse detto due settimane prima che lo stesso non fosse il Papa. Anche altri sacerdoti (ad es. il noto padre Noel Barbara e padre Barthe nel 1981), hanno incontrato il vescovo vietnamita che serviva nella cattedrale la messa del N. O. e confessava i fedeli conterranei autorizzato dall’arcivescovo locale), riportandone analoghe impressioni circa la sua salute mentale. Il padre Barbara, in particolare lo rimproverava, e gli consigliava di non seguire la via del non-monsignor Lefebvre, che a parole diceva di riconoscere la legittimità della gerarchia post-conciliare [egli che sapeva bene come fossero andate le cose nei conclavi dal 58 in poi, perché informato dettagliatamente dagli infiltrati massoni Tisserant e Lienart, suoi amici e confratelli di merenda …-ndr-], e poi pubblicamente li disubbidiva secondo il suo mutevole umore giornaliero. Ci sono tante altre testimonianze giurate di sacerdoti sedicenti tradizionalisti (es. W. Jenkins, A. Cekada, il già citato G. des Lauriers, etc.) che testimoniano delle infelici condizioni mentali del nostro vescovo vietnamita; secondo alcuni osservatori pare che le sue “pittoresche” consacrazioni fossero motivate da un disperato bisogno di denaro! –

D’altra parte il Signore ci aveva ampiamente avvertito e con largo anticipo: “… dai frutti li riconoscerete” … e qui i frutti marci sono proprio evidenti!

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Le consacrazioni senza mandato sono anatemizzate, cioè colpite da scomunica “ipso facto”; ricordiamo a proposito cosa ci dice il Dottore Angelico: Art.1,4 Chi col battesimo è inserito nella Chiesa è reso capace di due cose: di costituire il ceto dei fedeli e di partecipare ai sacramenti. E questa seconda cosa presuppone la prima, poiché mediante la partecipazione ai sacramenti i fedeli sono anche in comunione tra loro. Perciò si può essere posti fuori della Chiesa con la scomunica in due modi. Primo, con la sola esclusione dai sacramenti: e questa è la scomunica minore. Secondo, con l‘esclusione da entrambe le cose: e questa è la scomunica maggiore definita in questo articolo…. «Chi è colpito di anatema per un delitto, è escluso dalla bocca, dalla preghiera, dal saluto, dalla comunione e dalla mensa». «Dalla bocca», cioè dal bacio, «dalla preghiera», poiché non si può pregare con gli scomunicati, «dal saluto», poiché essi non vanno salutati, «dalla comunione», cioè da ogni rapporto sacramentale, «dalla mensa», poiché non si può mangiare con essi. Ora, la definizione data implica l‘esclusione dai sacramenti con le parole «quanto al frutto», e dalla comunione dei fedeli quanto alle realtà spirituali con il riferimento ai «suffragi comuni della Chiesa». [suppl. III, arg. 21, art.3]. In altro luogo:

Articolo 2,2 – In S. Matteo [XVIII, 17], di chi si rifiuta di ascoltare la Chiesa, sta scritto: «Sia per te come un pagano e un pubblicano». Ora, i pagani sono fuori della Chiesa. Perciò è giusto che la Chiesa, con la scomunica, escluda dalla sua comunione coloro che non vogliono ascoltarla.

Parte III, Questione 36, artic. 5, in contrario:

-. 1) Dionigi [Epist. 8, 2] ha scritto: «Costui», ossia chi non è illuminato [dalla grazia], «sembra molto presuntuoso, mettendo mano alle funzioni sacerdotali; e non sente timore e vergogna nel trattare le cose divine senza dignità, pensando che Dio ignori i segreti della sua coscienza; e pensa di poter ingannare colui che egli falsamente chiama Padre; e osa servirsi delle parole di Cristo per pronunziare sui segni divini, non oso dire delle preghiere, ma delle immonde bestemmie». Perciò il sacerdote che indegnamente esercita il proprio ordine è come un bestemmiatore, o un ipocrita. Quindi pecca mortalmente. E per lo stesso motivo peccano in caso analogo tutti gli altri ordinati. 2. La santità è richiesta negli ordinandi in quanto indispensabile per esercitare le loro funzioni. Ora, chi si presenta agli ordini in peccato mortale pecca mortalmente. A maggior ragione quindi pecca chiunque esercita in stato di peccato il proprio ordine.

-.2) Dimostrazione: La legge [Dt 16, 20] comanda di «compiere santamente le cose sante». Perciò chi esegue le funzioni del proprio ordine in modo indegno compie le cose sante in maniera non santa, e quindi agisce contro la legge, per cui pecca mortalmente. Chi infatti esercita un ufficio sacro in peccato mortale, senza dubbio lo esercita indegnamente. Perciò è evidente che fa peccato mortale.

           Punto chiave della teologia morale è: “In caso di dubbio, ASTENERSI”.

Henry Davis, S.J.: “Teologia morale e pastorale”; Londra: Sheed & Ward, 1935 Volume III, pag. 27

L’UTILIZZO DEI PARERI PROBABILI [CAPO VII, SEZIONE I: Opinioni probabili di Validità]

Nel conferire i Sacramenti (così come anche nella consacrazione nella Messa) non è mai permesso adottare una probabile linea di condotta per la validità, ed abbandonare il corso più sicuro. Il contrario è stato esplicitamente condannato da Papa Innocenzo XI.  Fare ciò sarebbe un grave peccato contro la religione, cioè un atto di irriverenza verso ciò che Cristo nostro Signore ha istituito, sarebbe un grave peccato contro la carità, quindi il destinatario sarebbe probabilmente privato delle grazie e dell’effetto del Sacramento; sarebbe un grave peccato contro la giustizia, poiché il destinatario ha diritto a Sacramenti validi, ogni volta che il ministro, sia d’ufficio o no, si impegna a conferire un Sacramento. Nei Sacramenti necessari non vi è alcun dubbio circa il triplo peccato; nei Sacramenti che non sono indispensabili ci sarà comunque sempre il sacrilegio grave contro la religione!

“E’ una grave responsabilità di tutti i cattolici dimostrare a se stessi che i sacramenti che frequentano siano leciti [legali] agli occhi della Chiesa di Cristo, perché se i cattolici si avvicinano ai Sacramenti senza sapere per certo che i ministri hanno sia validi ordini sacri, sia ordini che sono stati dati con approvazione canonica [autorizzazioni alla pratica], si mettono fuori della Chiesa. ”

Il Magistero espressamente dichiara: che [Il seguente errore è] condannato da un decreto del Sant’Uffizio, del 4 marzo 1679:Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro, a meno che non lo vieti la legge, le convenzioni o il pericolo di incorrere in danni gravi. Pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento del battesimo, degli ordini sacerdotali, o episcopali.” (Denzinger n.1151). Innocenzo XI (1676-1689).

[P. s. Qui non si tratta di distinguere il potere d’ordine dal potere di giurisdizione, perché gli ordini sacri in realtà non sono mai stati conferiti, come nel caso del cavaliere Kadosh Lienart, il mai-prete e mai-vescovo che non ha trasmesso mai alcun ordine a nessuno, così come pure la sua “progenie”.]