FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

Doppio di 1^ classe. • Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, la Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da  Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle sue membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il sacerdote offre a Dio sull’altare. – Il gran Sacerdote, attraversando il Tempio, entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi col sangue delle incoscienti e forzate vittime, immolate sull’altare degli olocausti. Questo sangue dava soltanto una purezza legale ed esteriore. Il Cristo è salito fino al vero Santo dei Santi, che è il cielo ed ha presentato al Padre il suo sangue, spontaneamente e liberamente versato sulla croce. Gesù è dunque il mediatore del Nuovo Testamento, e il suo sangue espia i peccati dapprima degli Israeliti, e poi di tutti gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Apoc V:9-10
Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Ps LXXXVIII :2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

[L’amore del Signore per sempre io canterò con la mia bocca: la tua fedeltà io voglio mostrare di generazione in generazione.]


Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr IX: 11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

(Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli. ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.]

Graduale

1 Joann 5:6; 5:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.]

1 Joann 5: 9
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.

[V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]

1 Joann V: 9
V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja

[V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

[A. Rey: Il preziosissimo Sangue – Pia Unione del Prez. Sangue, Roma, 1949]

Discorso II

L’uomo deve tutto a Dio: principio, essere, doni, corpo, anima, vita naturale, elevazione allo stato soprannaturale. Questa gratuita erogazione di generosi doni non ha che uno scopo per Dio: far vivere l’uomo del suo amore, sempre. Fatalmente interviene la colpa e chi era stato creato ad immagine e somiglianza del Signore, n’è allontanato per sempre, condannato in eterno alla maledizione. Ma il Verbo, spinto da quello stesso amore che mosse da prima queste cose belle, scende ad incarnarsi, ad effondere il suo sangue per la redenzione umana, e l’uomo è riportato in grembo al suo Dio: eratis longe; facti estis prope în Sanguine Agni (Eph. II, 13). Quel sangue fu detto prezioso da S. Pietro: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis…, sed pretioso Sanguine tamquam Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!Non è pileggio da picciola barca (parad, 23; 67) addentrarci in questa verità confortante che rappresenta l’abisso insondabile della misericordia divina. La mente s’arresta di fronte a tanto sole; il cuore trasalisce per la gioia, ma non è capace da solo ad intender l’arcano: incomprehensibilia judicia… eius, et investigabiles viæ eius (Rom XI, 33)! Pure, l’incomprensibile. ci è reso chiaro dalla divina Scrittura, e le vie di Dio ci appaiono piane: per correre alla scoperta del vero. Poiché due luci la investono, contenute in queste semplici parole: Sangue prezioso.

I. – Breve preludio sul sangue.

 Cos’è il sangue? Fisiologicamente è un umore, costituito da un tessuto di sostanza liquida intercellulare o di cellule bianche, rosse e di piastrine; partendo dal cuore, con una doppia circolazione, attraverso arterie e vene, al cuore ritorna e tien salda la vita. Se il sangue si arresta il cuor più non pulsa. È la morte. Il Sangue è vita, forza, vigore, nerbo, salute, e tien legato al corpo lo spirito immortale. Donare il sangue è dare la vita. – Preziosa diciamo quella cosa che è di molto prezzo, di grande valore: una pietra Fara, una gemma, l’oro, l’argento, il platino; che ci è cara per la sua bellezza e rarità: un’opera d’arte, un poema, un palazzo. Preziosa la diciamo ancora pel vantaggio che ne deriva, per l’utile che ci dà: una eredità, un donativo regale. Or, qual cosa di maggior prezzo è il valore del sangue che è vita? Qual cosa più rara di un sangue che aderisce profondamente all’anima, creatura bella di Dio, sì da farlo commuovere? Qual cosa  più bella del sangue che rivela quella mirabile opera d’arte che è il carattere dell’uomo? E quali stupendi vantaggi non derivano da un sangue offerto, donato, sborsato dall’uomo spinto dall’amore? Quale utile per quelli pei quali il sangue si effonde? Ed ecco al di sopra del misero sangue umano il Sangue di un Uomo-Dio, che ha prezzo e valore incalcolabile, perché Sangue divino; che è caro per la sua rarità e bellezza, essendo Sangue di grazia; che reca all’uomo il supremo dei vantaggi, quello di farlo consanguineo, partecipe della sua vitalità supernaturale, della sua gloria: Sangue da adorarsi, quindi: da apprezzarsi, da amarsi.

II.

Il Sangue dei martiri

1. – Per apprezzare in tutta l’ampiezza, il valore del Sangue di Gesù è necessario porlo a fianco del sangue dei martiri. Qualche anno fa un cattolico fervente, sul piazzale di S. Marta, prima di accompagnare i giovani delle Associazioni Cattoliche in visita al Papa, avvicinava giustamente il sangue dei martiri del Circo di Nerone al Sangue prezioso, giacché era questo che rendeva l’altro potente e glorioso. Il martire è un testimonio che per la verità giunge fino a farsi sgozzare. Il suo sangue sigilla tutta una vita di bene e fa splendere con più evidenza la causa per cui è versato. La scienza ha i suoi martiri: medici che per lenire gli strazi dell’umanità studiano l’applicazione dei raggi ultravioletti e ne restano uccisi; aeronauti che per togliere i veli misteriosi dei Poli, soccombono… L’amor patrio ha un martirologio che è patrimonio sacro per tutti i popoli: Colletta, Pellico, Filzi e Battisti… son nomi cari ad ogni cuore italiano! Ma è la Fede soprattutto che fa del martirio la più fulgida, significativa, gloriosa testimonianza, perché all’infinito si distanzia, per dignità, da ogni altra idea, da ogni altra potente passione. Essa è al disopra della scienza e della patria!

2.) Il valore del sangue si desume dalla persona che lo versa.

Percorrete i cuniculi, gli ambulacri delle Catacombe. Sui loculi contrassegnati da simboli cristiani, c’è dei nomi, semplici nomi: Agape, Acilio Giabrione, Agnese, Cecilia. Accanto al loculo che racchiude i resti mortali di un senatore, di una donna aristocratica c’è quello di un oscuro bottaio, di un fabbricante di balocchi. La morte tutti ha uguagliato: in ciò il sangue di Couvier non si distingue da quello di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Ma quei nomi contrassegnano una vita, quei corpi rappresentano tesori non tanto perché di Cristiani, ma perché di martiri. Già quei corpi son santi, unti un giorno del crisma del Cristo nel battesimo, incorporati a Cristo nella comunione del suo corpo, del suo sangue, templi dello Spirito Santo. Non per altro Paolo chiamò Santi i fratelli nel Cristo; vedeva in essi la grazia santificante. E Damaso nella epigrafe della celeberrima martire romana Agnese, dice santi i suoi genitori: sanctos… retulisse parentes. E S. Pietro giustifica l’orgoglio gens sancta, regale sacerdotium (1 Piet. II, 9)! Ma un alone di gloria circonda quelle ossa che pullulant de loco suo (Eccl. XLVI, 14), per la morte che la Scrittura chiama appunto preziosa: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum éjus (Ps. CXV, 15), per la morte non nobilitata solo dal Cristo con l’elargizione della suprema grazia, la perseveranza finale, ma resa gloriosa per l’effusione del sangue, degna risposta al Cristo che per tutti ha effuso il suo, in supremo amore! Egli dinanzi ai presidi li rese gagliardi e diede alla loro lingua le parole per confondere i sofismi, le minacce, le blandizie. Egli rese potente la loro volontà sino a farli esclamare; frangar, non flectar! Egli col suo sangue, col valore del suo sacrificio, ha impreziosito il sangue dei martiri. « Che bisogno ha Egli di carne, rifatta ora senza macchia. Che bisogno ha Egli di un cuore che deve sanguinare e soffrire, scegliendo la parte migliore? » domandava a se stessa l’esule poetessa italiana. La risposta è data dai martiri: prese umana carne, umano cuore perché dal suo sangue, dal suo cuore e dalle sue sofferenze gli uomini potessero avere la forza divina di patire e dare per lui il glorioso sangue! Eccoli salgono al cielo agitando corone e palme, seguendo «i fiori dei martiri e le prime gemme della Chiesa nascente in mezzo al verno dell’incredulità e consumate dal gelo della persecuzione »: i Santi Innocenti, dei quali sì bellamente canta Prudenzio:  Il Redentor sue vittime/ prima i scelse: voi/della sua nuova legge/e de’ martiri suoi/ siete tenera gregge; – e in olacausto offerti/sull’are insanguinate/colle palme scherzate/e con i serti! (Prudenzio: 32 e 88 strofa dell’inno famoso: Salvete fiores martyrum (Cfr. Fest. SS. Innoc.) Trad. di L. Venturi — Cfr. Apoc. VI; 9). – Gli angeli si chiedono: Qui sunt hi et unde venerunt? Ed il Padre afferma deciso: Hi venerunt de magna tribulatione et laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Apoc. VII; 14). In quel loro martirio c’è il martirio stesso del Cristo; in quel Sangue lo stesso Sangue del Cristo ch’è il Rex gloriosus martyrum (Br. Rom. Comm. pl. Mart. Hymn. ad Laud.). E l’uomo è sublimato sino al soglio di Dio, dopo la vittoria conseguita sul dragone pel Sangue dell’Agnello: hi vicerunt draconem propter sanguinem Agni! Laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Ap. XII, 11)! Ideo, coronati, triumphant (Cfr. Sap. 4; 2.)! Ma il valore del Sangue si desume ancora dalla causa per cui il martire lo sparge. Il sangue del martire cristiano acquista un valore più alto d’ogni martire, in quanto è sparso per una idealità suprema: la Fede: confessi sunt Christum! È l’apoteosi della virilità cristiana quel sangue. Quel sangue è sparso per un amore supremo, quello per Dio. L’olacausto del martire è il riconoscimento pieno dei diritti di Dio sulle creature, la distruzione di tutto l’essere per l’atto sublime del sacrificio; sicchè Ireneo poteva dir con ragione che il martire diventa altare e sacrificio insieme. Ecco perché sotto la pietra sacra dell’altare ci sono le ossa dei martiri, ed i Greci nei Dittici ne esaltano la memoria che in benectione est (Cfr. Eccl. IV; 7)! I malvagi che li percuotono non sanno immaginare in essi che insania, vano furore, fanatismo; ma debbon poi confessare che s’allontanarono dalla via della verità: locuti sunt falsa (Ps. LVII, 4)! La Scrittura raccoglie il loro straziante lamento: Nos insensati! vitam illorum æstimabamus insaniam et exitum illorum sine honore! Ecce quomodo computati sunt inter filios Dei, et inter sanctos: sors illorum est (Sap. V., 4)!Si spiega così il culto dei martiri nelle Catacombe. Pie mani ne raccolgono i resti, li ravvolgono in preziose stoffe, li adagiano nei loculi; accanto ad essi pongono l’ampolla del sangue; li chiudono con una lapide che, dopo il loro nome porta l’invocazione, la preghiera: Vivas in Deo… Ora pro nobis (Man. Arch. Marucchi, Armellini ete., passim.)! Negli arcosoli, dominati dalla ieratica figura di una orante con le braccia stese e gli occhi grandi ripieni di Dio, son deposti sotto l’altare dell’Agnello i martiri che, come nella visione apocalittica, gridano al sommo Martire: Usquequo, Domine, non iudicas et… non vindicas sanguinem nostrum (Ap. VI, 10)! L’ultimo atto della loro vita non è segnato colla macabra parola che rattrista; fine, morte. La Chiesa lo definisce dies nataliîs, natalicium martyris (Cfr. Martyrol. Roman.). Presso quelle membra anche Damaso Papa vorrebbe sua condere membra, ma teme di vexare con la sua indegnità le loro ossa gloriose (Cfr. Lessico Ecclesiastico, vol. II, pag. 952 seg. Milano, Vallardi, 1902 Iscrizioni Damasiane). Ecco perché i Cristiani, come il gran Papa, cantore delle gesta dei martiri, amano, desiderano ardentemente seguirli nella morte cruenta, per amor di Cristo, come la piccola Agnese che si slaccia dal grembo della nutrice per presentarsi al tiranno, sfidandone la rabbia e dichiarandosi pronta alla morte pel suo Sposo; esser sepolti ov’essi son sepolti; e – pegno di protezione altissima – conservano gelosamente sul petto, vicino al Vangelo, i lini inzuppati nel sangue spicciato dalle loro membra percosse, colato sulla terra santificata! – Pieghiamoci, in riverenza, di fronte a quei nomi, a quelle vite, a queste ossa, a questo sangue! Baciamo quelle tombe che sono are, quelle lapidi tepide ancora del sangue versato per Cristo! Veneriamo quei santi dalla purpurea aureola; preghiamo di esser degni del loro sacrificio, della loro testimonianza!

III.

Il Sangue di Gesù

Ma cos’è questo venerando sangue di fronte a quello versato da Gesù? Chi è Gesù? La poesia ne ha esaltato sembiante e nome. « Un agnello è innocente e mite sulla morbida erbosa zolla; e Gesù Cristo, l’Immacolato, è l’Agnello di Dio. Egli solo è immacolato sulle ginocchia di sua Madre, bianco e rosso, ahimè !.. presto sarà sacrificato per voi e per me! Eppure agnello non è parola abbastanza soave, né  è giglio nome abbastanza puro, e un altro nome ha scosso i nostri cuori, avvivandone la fiamma: Gesù! Questo nome è musica e melodia; il cuore col cuore in armonia, cantiamo ed adoriamo »! Qual è il tuo nome? – gli chiede il Thompson – Oh! Mostramelo ». E Gesù risponde: « Il mio nome non potete saperlo: È un avanzarsi di bandiere, uno sfolgorare di spade; ma i miei titoli che son grandi non sono essi nel mio costato? – Re dei Re – son le parole – Signore dei Signori (Francis Thompson, in Poems: The veteran of heaven, I. pag. 149) »! Storicamente è il più saggio dei sapienti; L’aquila di Stagira non ha ali sufficienti per raggiungerlo nel volo: la Sua sapienza è infinita, in Lui sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ (Lit. del S. Cuore. – Coloss. II; 8) – Il più eccelso dei filosofi, Socrate impallidisce dinanzi a Colui che investe della sua luce tutti i problemi dello spirito, scoprendone le meraviglie: Dante te illis, omnia implebuntur bonitate (Ps, CIII, 28) – I più grandi dei legislatori, Numa Pompilio, Licurgo, Solone paion pigmei nelle loro leggi che sovente giustificano anche il delitto, come la servitù, l’uccisione dei vecchi e dei bimbi malati, il divorzio! Egli stesso è la legge immacolata che india le anime: Lex tua immaculata, convertens animas (Ps, XVIII, 8)! Poeti, oratori, guerrieri non gli stanno a petto. Il Vangelo offusca Omero e l’accieca con la sua grandiosa semplicità. Demostene e Cicerone diventan pedestri dinanzi al Sermone della montagna. Cesare ed Alessandro si arrestano nelle loro inutili stragi di fronte ad una forza che pretende solo il suo sangue per salvare l’umanità: l’amore che ogni cosa vince, Omnia vincit amor (Virgilio, Eglog. 10; 69)! Ma Gesù, vivo e vero nella sua incompresa grandezza, balza dal Vangelo. – Io ed il Padre siamo una cosa sola (Jo. X, 30)! Io sono nel Padre, Egli è in me! Chi vede me, vede mio Padre (ibi XIV, 9)! dice a Filippo. Io son la via, la verità, la vita (ibi, XIV, 6). Son l’alfa e l’omega (Apoc. 1; 8.). Io son la luce del mondo (Joan VIII, 12). Io la fonte che disseta perché contiene le acque che risalgono alla sorgente della eterna vita (ibi, IV, 14).- Io sono il pane di vita disceso dal cielo (ivi VI. 35). Ecco le sue affermazioni apodittiche. Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho poste le mie compiacenze!dice Dio Padre sul Giordano e sul Tabor ( Marc.1; 11 — Lc. III. 22). Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. XVI, 16)! testimonia San Pietro. – Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Joan. I, 29)! – proclama Giovanni dinanzi alle turbe. – Avete crocifisso il Re della gloria; voi avete ucciso Dio! dichiarano Pietro e Paolo a Giudei indurati. Gli angeli stessi, vedendolo salire, possente, col segno della gloria incoronato si chiedono: Quis est iste qui venit de Edom, tinctis vestibus de Bosra iste formosus în stola sua (Is. LXIII, 1)? E si senton rispondere: – Egli è il Re della gloria che sale con le vesti bagnate di sangue (Is.)! – E Cristo entra nella gloria del Padre! In Lui – sappiamo dalla Fede – la divina natura è uguale a quella del Padre e dello Spirito Santo, ma la sua Persona, quella del Verbo, è distinta da quelle del Padre e del Paraclito. QuestoVerbum, genitum non factum (Credo), consustanziale al Padre, Dio vero da Dio vero, eterno, ante omnia sæcula genitus (Symb. Atan.), prende, nel tempo, la umana natura nel seno immacolato di Maria; l’assume nella sua Persona e diviene uomo senza lasciare di essere Dio; verus homo ex substantia matris in sæcula natus (c. s.). Questa incarnazione non è una conversione della divinità nella carne, ma assunzione della umanità in Dio: non conversione divinitatis in carnem, sed assumptionehumanitatis in Deùm (Can. Miss. Praef, Nativ. – Symb. Athan ). È il Verbum caro factum (Joan, I, 14).In Cristo. due nature dunque: la divina e l’umana, ma unica la Persona. Or le azioni, non son della natura ma del supposito,della Persona: actiones sunt suppositorum (S. Th. III, q 19, ad 1). E poiché in Cristo la Persona è divina, divine sono le sue azioni. Sicchè quel Sangue purissimo natus ex Maria virgine (Sym. Ap.), è divino, perciò preziosissimo. Quando si effonde sul Calvario ha un valore divino, perciò preziosissimo.Quando si riversa sull’umanità per riscattarla e purificarla, la sua azione, la sua efficacia son divine, perciò Sangue preziosissimo!Sono adunque preziosissime anche le ragioni per cui Egli lo versa.

a) Ripara infatti l’onore del Padre offeso dall’uomo, con l’onore a Lui reso con l’effusione del sangue: obtulit semetipsum Deo (Heb. IX, 14), e pacifica l’uomo con Dio: pacificans per sanguinem crucis ejus sive quæ in cœlis sive quæ in terris sunt (Coloss. 1, 20). Ma una tale riparazione, una tal pacificazione sono di valore infinito.

b) Redime l’uomo peccatore..- Il Sangue ha una sua peculiare virtù redentrice. Quello di Virginia libera Roma dai Tarquini, quello di Lucrezia l’affranca dai Decemviri, quello delle rivoluzioni dà un nuovo orientamento alla storia. Ma il Sangue di Cristo ha dato l’assetto definitivo all’uomo, sciogliendolo dai vincoli del servaggio, liberandolo dalla pena eterna: redemit de domo servitutis (Deut. 13,5- Galat. 3, 13 – Tit. 2, 14)! Quel Sangue è sborsato per testimoniare la verità: ad hoc veni in mundum ut perhibeam testimonium veritati (Joan XVIII, 37). E la verità è questa: il mondo deve riconoscere Iddio per suo Padre, ed amare il Figlio che l’ha redento: hæc est vita æterna ut cognoscat mundus Patrem et quem misit, Jesum Christum (1 Joan, 5, 6.). L’Agnello di Dio s’immola per affermar questa verità che ha bandito solennemente dinanzi al popolo, al sinedrio, ai tribunali; ed il sangue e l’acqua che escono dal suo cuore, sulla croce, ne sigillano l’infinito amore: hic est qui venit per aquam et sanguinem; non in aqua solum sed în aqua et sanguine (ibi, 18, 3).

Ecco il Sangue preziossimo!

Or, se a Dio si deve l’adorazione ed a tutto ciò che a Dio appartiene come sua essenza e natura, il Sangue preziosissimo, che al Verbo fatto carne appartiene come sua essenza e natura, è degno della nostra adorazione: Dignus est Agnus accipere honorem, gloriam et benedictionem, quia occisus est et redemit nos in Sanguine suo ( Apoc. V, 12)!E noi dobbiamo, tremanti, piegare i ginocchi dinanzi al prezzo di tanto valore, e cantar con la Chiesa al Re dei Martiri: Christum Dei Filium, qui suo nos redemit sanguine, venite, adoremus (Brev. Rom.)!

Esempio:

L’illustre storico Cesare Baronio dell’Oratorio, discepolo insigne di San Filippo Neri, nei suoi Annali, all’anno 446 riporta questo mirabile fatto. In Costantinopoli, un giudeo, di notte, preso un Crocifisso ch’era avanti la casa di un Cristiano l’immagine sfregiò sul volto, e da questa spiccò tepido sangue. Atterrito il sacrilego corse a gittarla entro un pozzo vicino, tornandosene poi in fretta, a casa, ove raccontò tutto alla moglie. Il giorno dopo, la gente che andava ad attingere l’acqua vide con grande sorpresa che essa era tutta rosseggiante di sangue. Giunta la inusitata novella all’orecchio del Prefetto della città, e sospettando questi giustamente che entro il pozzo vi fossero uomini trucidati, ordinò che fosse vuotato. E vuotato che fu, ecco ritrovato il Crocifisso, che ancor versava sangue dalla ferita infertagli. L’imperatore, pur di conoscere la verità dell’accaduto; promise il condono d’ogni pena al reo, purché da se stesso si costituisse. Prima la moglie, poi il giudeo si presentarono lagrimanti, e confessarono schiettamente il delitto. Ma quel sangue gridò misericordia, non vendetta. Compunti a tanto miracolo, chiesero il battesimo ed abbracciarono la fede di Gesù Cristo, divenendo così, da nemici, suoi consanguinei! Il pozzo, essendo poco distante da Santa Sofia, vi fu raccolto con l’erezione di una nuova Cappella che si chiamò del Pozzo santo. Su questo fu posto un coperchio d’oro, sormontato dal prodigioso Crocifisso. Ancora una volta Gesù aveva mostrato di qual valore infinito fosse il suo Sangue! E come Egli è disposto, anche dopo il Calvario, a versarne, per nostro amore, dell’altro ancora! Anima mia, vedi quanto tu vali? Pretium sanguinis es (Mat. XXVII, 6)! Fedeli, non con oro od argento corruttibili voi siete stati redenti, ma col Sangue del Figlio di Dio, col suo Sangue preziosissimo: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis, sed pretioso sanguine quasi Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!

Preghiera

O sangue che i martiri esaltano nel Cielo perché il loro prezioso divenne per la tua preziosità, pel tuo valore; o Sangue che fosti per essi forza e resistenza, gaudio gloria, Sangue di un Dio, perché unito alla Persona santissima del Verbo, Sangue che fosti versato per amore supremo onde placare il Padre, redimere il peccatore, render testimonianza alla verità, sii tu benedetto ed adorato! Ai tuoi piedi non Giuda, che lo sprezza, ma Giovanni che se ne abbevera, nei figli che riconoscono la preziosità che ogni anima ha reso preziosa, per gridarti: – Misericordia, perdono, amore! – Con tutti i santi del Cielo, coi martiri, con gli Angeli ti lodiamo ed adoriamo; e se indegna è ancora pel peccato la nostra anima, mondala, o prezioso Sangue. È tua! Mondala col tuo bagno salutare che ci renda cherubini innanzi al tuo trono. Ognuno di noi ti prega, o Agnello santo, con la strofe mirabile di Tommaso: Pie pellicane, Jesu Domine, / me immundum munda tuo Sanguine (Adoro Te …)! e tutti, con la voce della Chiesa, nell’inno del ringraziamento: Te ergo quæsumus, tutis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti (Te Deum.) – Amen!

Risoluzione

In riparazione della crudele indifferenza di tante anime verso il Redentore, cercate di parlare ogni giorno di questa devozione ed inculcarne la pratica.

(B. Gaspare del Bufalo)

Fiorellino spirituale

O Sangue, medicina delle nostre anime, guariteci!

(S. Caterina da Siena)

Giaculatoria

Factus est Sangue, ineffabile prezzo di vita, a l’alma debole tu porgi aîta!

IL CREDO

Offertorium

Orémus
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.

[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Hebr IX: 28
Christus semel oblítus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio
Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

LE SETTE EFFUSIONI DEL PREZIOSO SANGUE DI GESÙ CRISTO

Le sette Effusioni Del Prezioso Sangue di G. C. Nel di della Festa. (*)

[D. Massimiliano M. Mesini, Missionario del preziosissimo Sague – Rimini, Tipog. Maolvolti, 1884]

INTRODUZIONE

Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat.

Joan. VII.

(*) Incominciato il devoto Esercizio del Mese il primo Venerdì di Giugno, si termina la prima Domenica di Luglio, Festa del Preziosissimo Sangue. Esposto con solenne pompa il Sacramento, si fa il discorso d’introduzione. Un sacerdote annunzia al popolo ciascuna Effusione, e dopo terminato ogni breve discorso recita cinque Pater, e un Gloria col Te ergo quæsumus etc. Strofette in musica, commoventi, ed acconce si cantano negl’intermedi.

Quanto mai Gesù Cristo ama gli uomini! l’Evangelista Giovanni ci descrive questo innamorato Redentore, quando l’ultimo giorno delle feste sen venne in Gerusalemme, dove trattenevasi tra il popolo deliziandosi di far dimora con esso, benché già i suoi nemici pensassero di ucciderlo. Ben egli vedeva l’interno loro, ben conosceva i segreti e scellerati divisamenti, che alimentavano nella lor mente; non gli era occulto l’odio accanito, che covavano in cuore, e ben lo chiarì, tutto mitezza così interrogandoli: Perché cercate voi di uccidermi? Quid me quæritis interficere? Nondimeno stando Gesù ancora in mezzo al popolo, seguita Giovanni a farcelo vedere in aria dolce e compassionevole, che apre la benedetta sua bocca e grida: Se alcuno havvi, che sia arso di sete, venga da me e beva … si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Ma di qual umore Egli qui parla? Secondo l’interpretazione di molti dotti e pii scrittori, egli allude a quel fiume di Sangue, ch’Egli stava per versare a compimento. della redenzione degli uomini. E di qual sete poi Egli favella? A qual sete vuol Egli recare rimedio? Versando Cristo il suo Sangue per mondarci da ogni peccato vuol Egli refrigerare quella sete ardente, che in noi accendono le smodate passioni, che sono, come febbri cocentissime, al dir d’Ambrogio: Vanis criminum febribus caro nostra languebat, et diversarum cupiditatum immodicis estuabat illecebris. Ah! sì pur troppo è nostra febbre l’avarizia, nostra febbre la libidine, nostra febbre la lussuria. Febris nostra avaritia est; febris nostra libido est, febris nostra luxuria est. Ah! pur troppo è nostra febbre l’ambizione; nostra febbre l’iracondia. A refrigerio adunque di quest’ardente sete, prodotta dalle cocenti febbri delle smodate passioni, ecco che Gesù Cristo con quelle parole tutti invita a partecipare del Sangue da lui sparso; ed a godere dei dolci frutti del gran Prezzo di nostra Redenzione: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Per questo venne già il Divin Sangue fin da remoti tempi figurato in quell’acqua, che sgorgò in larga vena dalla rupe presso l’Oreb per dissetare gli Ebrei, che camminavano per l’arenoso deserto, giacché niente havvi, che meglio refrigeri, quanto le freschissime acque di una fonte: Illis aqua de petra fluxit, tibi Sanguis Christi… Illud in umbra, hoc in veritate. Così S. Ambrogio. Ma il Sangue, che versò Cristo non farà poi altro che refrigerare la sete delle disordinate passioni? Ah! no; sarebbe questo troppo poco per un Sangue di un infinito valore qual è il Sangue d’un Uomo-Dio. Esso donerà ancora ristoro di grazia e di novella forza per l’acquisto delle più belle virtù, e della più elevata perfezione. E ve n’era certamente bisogno; ché troppo fiacche sono le forze dell’uomo dopo la caduta di Adamo, e non valevoli a far cosa, che loro compri l’eterna gloria: troppo è da faticare nel battere la via, che conduce alla perfezione, ed al cielo. Però quel Gesù medesimo, ch’altra volta avea detto: Venite omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos; oratutto pieno di pietà, di misericordia, e d’amore invita aricever questo conforto con quelle parole: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat; chè bevendo non si sente sol refrigerioall’arsura, ma ristoro, e rinfrancamento dal languoreche provavasi. Con questo preambolo adunque entriamo,o carissimi ascoltatori, nel pio Esercizio dello Sette Effusionidel Sangue Prezioso, e dalle diverse circostanze, chele accompagnarono, troveremo nelle prime quattro conche smorzare la sete ardente, che la febbre di smodatalibertà, di onori, di piaceri, di ricchezze cagiona: troveremonelle ultime tre il ristoro di forza, e di vigore, chebisogna per seguir Cristo portando la croce, ed arrivarealla perfezione. Ma lungi di qua, o profani. Lungi diqua, voglio dir voi, che abbeverandovi continuamente alleacque putride e fangose di Babilonia, di queste solo vicompiacete, a queste volete ostinatamente restar attacati, Lungi di qua voi, o increduli, che fate di Cristo una favola, od al più solo un uomo, togliendogli dal capo l’aureola della divinità; voi, che non avete di questo Sangue la fede, che vi bisogna, e senza di cui è impossibile piacere a Dio. Che potrebb’esso fare per voi, se voi lo disprezzate? Potrebb’esso a voi essere viva fonte di benedizioni, se voi lo maledite? Ah! che con voi non ha Gesù, che ripetere: Quæ utilitas in Sanguine meo? Ma che dissi io mai? Ah! vengano, vengano tutti avvivando un pò la lor fede, e con animo ben disposto; ed allora tutt’intenderanno bene, e sentiranno scendersi al core quell’invito di Cristo: Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat; e dissetandosi col suo Sangue ne ricaveranno certo abbondante profitto per l’anima.

Effusione 1° di Sanque

Nella Circoncisione

Rimedio alla smodata sete di libertà.

Creato l’uomo ad immagine di Dio usciva egli dalle sue mani per tornare a lui, il quale com’era suo principio, così doveva essere suo ultimo beato fine. Intanto, mentre vive sopra la terra, a conseguire quel fine supremo. Iddio col lume stesso del suo volto, con cui l’ha segnato, ed accende la sua ragione, gli scopre quel fa il bene, fac bonum; quell’ordinem serva, osserva quell’ordine, ch’è il principio d’ogni moralità. A questo ha aggiunto la sua legge positiva, incisa sulla pietra, e tra lampi e tuoni là sulla cima del Sinai, che si scuoteva e fumava, pubblicata al tremebondo popolo d’Israello. Legge, che Cristo stesso venendo sulla terra ebbe di sua bocca confermata. A questa legge divina adunque. e naturale, e positiva deve sottostar l’uomo; a questa deve informar tutta sua vita. S’ei fu da Dio arricchito del nobile dono della libertà, chi vi ha che non vegga, che di questa non deve abusarsi a mal fare, ma deve ognora volgerla al bene, all’osservanza di questa legge, per istare sottomesso, com’è ben giusto, al Legislatore? Nondimeno cominciò Adamo a rompere il freno di questa legge; e la sua progenie avendo in sé trasfusi con quel primo peccato tutti i tristissimi effetti di quello, si sentì bruciar le vene da una febbre d’indipendenza, provò una sete cocentissima di libertà smodata. E per verità, come già Faraone a Mosè, che intimavagli a nome di Dio di lasciar în libertà il popolo Ebreo, ogni peccatore se non con le parole, certo coi fatti dice pieno d’orgoglio: Chi è questo Dio, che vuol signoreggiar su di me, e dettarmi legge, e farmi precetti? Che precetti, che legge, che Dio! Io non lo conosco: Nescio Dominum. (Es. V) Sono libero, e voglio viver libero. E così poi scosso il giogo, pronuncia inoltre quel non voglio servire, di cui a buon diritto si lamenta il Signore: Confregisti jugum, dirupisti vincula, dixisti: Non serviam. (Ger. II) Con orgoglio poi ben più matto frenetici di febbre di libertà oh! quanti ai giorni nostri professandosi per gente del progresso, cioè senza fede, non ammettono Dio, e per conseguenza non ne accettan la legge. Libero pensatore, se mai qui m’ascolti, tu, che non vuoi freno di sorta in fede ed in morale, e ammetti solo quel che ti detta il tuo capriccio, sai tu a chi Giobbe te proprio, più, che altri, assomiglia? Ad uno stolido puledro di giumento selvatico, che non avendo freno, né riconoscendo padrone con erto il collo va vagando per la foresta: Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam, pullum onagri se liberum natum putat. (Job. XI) Ma buon per noi, che quest’ardore di libertà sfrenata è venuto Gesù a refrigerare, e guarir col suo Sangue. Venite qua tutti ed avvivando un pò la vostra fede con cuor ben disposto considerate il Salvator vostro in pargolette membra umane. Guardate; egli è il Figliuol di Dio e però Dio egli stesso, il Re dei re. Nondimeno vestendosi di carne mortale si esinanisce, e piglia la forma di servo: Exinanivit semetipsum, formam servi accipiens. (Filip. II) E questaforma di servo vuol far meglio apparire vagendo bambino Egli, ch’era la stessa Sapienza; ridotto alla debolezza di tenero corpicciuolo Egli ch’era la stessa Onnipotenza. Di più vuole assoggettarsi alla legge della circoncisione, a cui non era certamente tenuto. Dovean circoncidersi i figli prevaricatori di Adamo prevaricatore. Ma a che la circoncisione in Gesù, in cui non era verun neo di colpa, ch’era anzi la stessa Santità? Assoggettandosi poi a questa legale cerimonia veniva ad obbligarsi, come Uomo, all’osservanza perfetta di tutta la legge, giusta quel di S. Paolo: Testificor… omni homini circumcidenti se quoniam debitor est universæ legis faciendæ. (Galat. V) Etutto questo perché mai Egli compie se non per nostra istruzione, ed esempio? Per nostra istruzione, ed esempio sottomette il suo tenero corpicciuolo a quel vaglio doloroso.N’è anzi bramosissimo. Quanto gli tarda, che venga alfine il momento! Quante volte in quei primi otto giorni di sua vita mortale va ripetendo quelle parole, che furono a lui riferite dall’Apostolo Paolo: Corpus… aptasti mihi… tunc dixi: Ecce venio. (Hebr. X) Tu mi hai dato, o Padre celeste, un corpo perch’Io patisca: eccomi pronto, eccomi pronto a versare anche il Sangue: Tunc dixi: Ecce venio. Su via, cali dunque l’affilato coltello,e Gesù grondi Sangue. O prime stille preziose, preludio. di quel molto Sangue, che in avvenire sarebbe poi sparso,  io umilmente vi adoro! In vedervi sparse con tanta umiliazione chi non si sentirà dar giù ogni ardore di libertàsfrenata? Chi non imparerà la soggezione, e l’osservanzadella legge da tanto esempio? Sì, o Gesù, vogliamo viverea voi soggetti, ed il vostro Sangue ci donerà ancorala grazia a ciò necessaria. Così noi avremo la vera libertà dei figliuoli di Dio, franchi dalla schiavitù dell’inferno, liberi di quella libertà, che voi ci donaste: Qua libertate Christus nos liberavit. (Gal. IV).

Efusione II°. di Sangue

Nell’Orto del Getsemani

Rimedio alla smodata sete di grandezze.

All’Orto del Getsemani, uditori, andiamo all’Orto del Getsemani, dove Gesù recasi dopo terminata l’ultima cena. Già è arrivata quella notte funesta, in cui Egli deve darsi in balìa de’ suoi nemici; già è arrivato il tempo di quel battesimo di Sangue, di cui favellava sì spesso con grande commozione del suo cuore, ed a cui anelava ardentemente: Baptismo habeo baptizari, et quomodo coarctor usque dum perficiatur? Siccome la colpa incominciò nell’Eden tra le piante amene di quell’amenissimo luogo, così Gesù volendo riparar tutto con la redenzione, anche nelle più tenui circostanze, incomincia la sua passione nell’Orto del Getsemani avanzandosi tra il più folto delle piante degli ulivi. Là nell’Eden avea l’uomo peccato per superbia volendo farsi simile a Dio col prestar fede alle false promesse del Serpente: eritis sicut Dii. Qui nel Getsemani Gesù si umilia, si abbassa, quanto mai può abbassarsi un Uom-Dio, facendo la figura di peccatore. Maladetta superbia! Te vedeva il Redentore attecchire nei cuori di tutta la schiatta del primo Parente prevaricatore. Quanta vanagloria di ciò che non era infine che dono di Dio! Quanta jattanza ed arroganza nelle parole! Quant’orgoglio nel tratto! Che ambizione d’onori e dignità, tanto più grande, quant’era più piccolo il merito! Maledetta superbia, te vedeva nei filosofi sprezzar la stessa rivelazione, e te. udiva pronunciare quelle ardite parole: La ragione basta a sé stessa. Vedea quinci germogliare, qual malefica pianta, quella scienza, che tanto va più tronfia, e si accatta plauso, quanto più fa pompa di ateismo, ed esclude Iddio, e Cristo. Sì, tutto questo vedea il Redentore; ed ecco che si accinge a portare il rimedio, opponendo a tanta alterigia la più profonda umiltà. Caricatosi di tutti i peccati degli uomini per offrirsi egli vittima per tutti al Padre, non disdegna di apparire l’ultimo dei mortali, novissimum virorum; non dubita di divenir Egli la stessa maledizione: Factus pro nobis maledictum. Ma, oh Dio! quanto di pene gli costa questo abbassamento! Coperto della più gran confusione, tutto acceso di rossore nel volto, trema a verga a verga in tutto il corpo, e si prostra con la faccia per terra, ché più non osa di levarla al cielo. Si sente occupar l’anima da una tristezza mortale: Tristis est anima mea usque ad mortem; chè innalzato ha la Giustizia di Dio come un muro di divisione tra la parte superiore, ed inferiore dell’anima, per cui non più il gaudio ha questa della visione beatifica, che quella gode. Parla col Padre, ma non più con quella confidenza, ch’avea altre volte. Altre volte, quando volea operare anche i più stupendi prodigi, dicea: Padre lo voglio: Pater volo. Ora: Padre, se è possibile, passi da me questo calice. E poi ben tosto con uno sforzo generoso l’accetta, sottomettendosi alla volontà di Lui. Ma che stretta ei prova in suo cuore! Agonizza, cade bocconi al suolo; e per la piena dei tempestosi affetti, che intorno si serrano al suo cuore, e gli fan groppo; tanto questo si ristringe, che non potendo aprire per i suoi seni il varco al Sangue, da sè lo respinge; ed il Sangue rigurgitando, impedita la libera circolazione, per non usate vie trasuda da tutto il corpo: Factus est sudor ejus sicut guttæ Sanquinis decurrentis in terram. (Luc. XXII) Uditori, mirate di quel Sangue imporporate l’erbose zolle, inzuppato tutto il terreno.Ah! se voi pure una febbrile sete accende di grandezze, di onori, d’un vano sapere, di fasto immoderato, a cui la vostra superbia aspira, qua venite a sedarla nel Sangue da Gesù sparso fra tante umiliazioni. Sentite le voci di Gesù, che v’invita: Si quis sitit, veniat ad me; et bibat. Venite; ché quel Sangue è pieno di divina virtù.Ed accogliendo nel vostro cuore sensi di verace umiltà,su accorrete a confortare Gesù, ed a sollevarlo di terra,dove in tant’agonia fu prostrato, perché umiliatosi pernoi, perché fattosi per noi la stessa maledizione: factus pro nobis maledictum. (Gal. III).

Effusione III° di Sangue

nella Flagellazione

Rimedio alla sete smodata di piaceri.

Povera natura umana! Dopo che fosti caduta dallo stato d’integrità e d’innocenza primitiva, come ti sei fatta inferma, e ferita rispetto a ciò, che eri prima, per la ribellione della parte inferiore alla superiore, per lo scompiglio di tutte le passioni. Un’altra febbre in fatti, la febbre della concupiscenza della carne tutti gli uomini assale ricercandone ogni vena; e penetrando talora fin nell’ossa non dà lor tregua, e pace giammai; e sfiorate, lor dice, sfiorate pure i più vaghi prati della lussuria, assaporate ogni dolcezza della voluttà. E tanti, e tanti a tali voci prepotenti non sono tardi. a gustar ogni diletto, e tutto vuotare sino all’ultima feccia il calice degl’immondi piaceri. Così avviene pur troppo, o ascoltanti, per la infermità della nostra natura. Che sarà poi, se tolgasi ogni freno di mortificare la carne, se le si diano a pascolo e fomento mille incentivi di soverchie morbidezze, di cibi deliziosi, di spiritose bevande, d’un vestir ricercato ed immodesto, di vezzi i più passionati? Ai nostri giorni poi, che si fa di tutto per condurre i cristiani a vivere alla pagana, si vien fuori col dire, che macerazioni, astinenze, digiuni non si confanno più a questi tempi di luce e di progresso, i quali domandano la riabilitazione della carne. Riabilitazione della carne? E che intendete voi con questa parola, se non accarezzare la carne, e contentarla in ogni sua turpe voglia? Riabilitazione della carne? E non sapete voi, che Gesù Cristo col suo patire volle la santificazion vostra, come dice Paolo ai Tessalonicesi, e che voi vi asteniate da ogni opera immonda, affinché ognun di voi possieda il suo corpo, come vaso di santificazione e di onore? E non sapete voi, che Gesù Cristo venne a riformar questa carne, che vuolsi ora riabilitare, e di sordida e sensuale ch’era, a renderla santa, ed immacolata, ed irreprensibile al suo cospetto, come dice il medesimo Apostolo ai Colossesi? Che se Gesù venuto a riformar la vostra carne, non vuole poi preservarvi dalle tentazioni del senso, ciò fa perché abbiate ancor voi la vostra parte in questo solenne trionfo sopra la carne medesima, tenendola in freno, e mortificandola. E voi questo ricuserete? Forseché Cristo non ha fatto abbastanza, e non ha anche troppo sofferto per parte sua? Per riformare la vostra carne, e per darvi forza a tenerla in freno Egli si è assoggettato nientemeno, che alla crudele flagellazione, a cui condannollo Pilato; e voi ben potete ciò rilevar dalle circostanze. Si tratta qui di rimedio ai rei diletti sensuali del corpo. E Gesù il corpo suo, non formato da seno macchiato di colpa, come ogni altro corpo umano, ma dal seno di Madre vergine per opera solo dello Spirito Santo; il suo corpo dotato d’una purezza infinita, come corredo dell’unione ipostatica, senza riserva alcuna tutto intero consegna ai colpi dei flagelli. Si tratta qui di rimediare ad abusi di nudità scandolose; e Gesù soffre d’essere spogliato delle sue vesti, né fa calare gli Angeli dal cielo a coprire con le loro ali una nudità così sacrosanta. Anche qui ei versa Sangue una terza volta, Sangue vergine, immacolato, come la sua carne, acciocché i sensuali ammorzino l’ardore della concupiscenza, che li asseta fino al peccato, e non pongano le loro delizie in immondezze: Si quis sitit veniat ad me, et bibat. Ed oh! in quanta copia ei lo versa!Già legato alla colonna, una furia di colpi spessi e pesanti si rovescia sulle delicate membra, qual fitta gragnuola cade rovinosa a battere le mature e biondeggianti spighe di un campo. Si ripetono a centinaja i colpi,e la carne avvizza, si pesta, rompesi la pelle, e le belle membra di Gesù s’impiagano. Anzi dalla pianta dei piedi sino alla cima del capo non vi è alcuna parte più sana, a planta pedis usque ad verticem capitis non est in eo sanitas, (Isa. I) e nondimeno si batte ancora. Già alle piaghe si aggiungon le piaghe, ché non più a centinaja, ma a migliaja si ripetono i colpi, super dolorem vulnerum meorum addiderunt, (Ps. LXVIII) ed ancora si batte. Si spargono minuzzoli di carne per l’aria; di Sangue sono inzuppati i flagelli; di Sangue è tinta la colonna; diSangue è tutto bagnato il terreno; di Sangue sono aspersii carnefici stessi. Oh! basta, basta, o mio Gesù. Sì,voi avete fatto anche troppo per rimedio della nostra concupiscenza.A noi stanno meglio quei flagelli per punire questa carne, che si ribellò allo spirito, e per tenerlanell’avvenire in freno. Su, è tempo di mutar vita, e di. far buoni propositi. Dite adunque, ascoltanti così: O Gesù,noi vogliamo far parte di quella eletta schiera, che vive in continenza, e castità. Prima che voi veniste a compiere la redenzione, pochi furono i Giuseppi, poche le Susanne; ma dopo è ben grande la schiera non solo di casti, ma di vergini ancora, che vengon dietro a Voi attratti dal soave olezzo, che manda il vostro Sangue purissimo. Anche noi, se non tutti vergini, certo almen casti nel nostro stato di vita vogliamo essere, casti nel matrimonio elevato a sacramento, ché anche in questo non è lecito abbandonarsi a certe turpitudini. Lo promettiamo, o Gesù: Gesù, lo vogliamo. Confortateci con quella grazia, che ci meritò il vostro Sangue sparso sotto i flagelli.

Effusione IV.° di Sangue

Nella Coronazione di Spine.

Rimedio alla sete smodata di Ricchezze.

Sazi non sono i carnefici d’incrudelire contro di Gesù, che, qual mansueto agnello sotto le forbici del tosatore, non manda un lagno; ma neppur sazio è Gesù di patire, e di versar Sangue. Era Egli stato calunniato di aspirare ad uno scettro, e ad una corona, e di volersi fare re. E quella insolente soldatesca preparagli perciò un nuovo tormento tra i più amari scherni, ed i motti più frizzanti. Messolo a sedere sopra di un sasso, gli mettono indosso un cencio vilissimo di porpora, in mano una fragile canna per iscettro. Manca la corona. Di che la formeranno essi? Prendono un manipolo di spine lunghe ed acute, e ne fanno un diadema, che pongono sulla testa di Gesù: Milites plectentes coronam de spinis, imposuèrunt capiti ejus. (Joann. XIX) E càlcanlo con bastoni, perché quelle spine ben addentro s’infiggano nel capo, ed alcune anche nel cervello. Oh Dio! Che spasimo atroce in questa parte più delicata dell’uman corpo, dove tutti i nervi per la spina dorsale si rannodano! Se una spina sola confitta nella parte più callosa d’ un piede d’una belva la fa fuggire ruggendo dal dolore per la foresta, che tormento crudelissimo non avrà poi provato Gesù con tante spine nel capo? Qual terra mai incolta, all’aratro restìa, e solamente ingombra di triboli e spine porse un sì lugubre dono al Redentore? Quale spietata mano ebbe quelle spine seminate? Ahi! che così ispida corona rosseggiando del Sangue di Cristo muta le acute punte quasi in rose: Christi rubescens Sanguine aculeos mutat rosis. Ahi! che cangia di colore il bel volto di luî, e impallidendo vede già avvicinarsi la morte. Ed intanto il Sangue fila giù per la fronte, e tutte ne tinge le guance in maniera che ben avveransi le parole del Profeta: Non est species ei, neque decor, et vidimus eum, et non erat aspectus. (Isa. LIII) Ma perché questo novello tormento? Perché ancora questo Sangue? Anche qui un’altra volta grida Cristo: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat, perché vuol porgere un refrigerio ad un altr’ardentissima sete, ch’è nel mondo, alla sete delle ricchezze.Questa sete, più si fanno acquisti, più si tesoreggia, e più cresce, come avviene all’idropico, che più beve l’acqua, a cui tanto anela, e più resta arso ed assetato: Plus bibuntur, plus sitiuntur aqua. E per acquistare, e per arricchire quante ingiustizie si commettono,quante frodi s’intessono! Che sordide usure! Che rapacità coperte, cercando di abbellirle con uno specioso titolodi compenso, di annessione, o di altro! Troppo era dunque necessario, che col suo Sangue, da cui esce una Virtù divina, anche a questo recasse rimedio il Salvatore. Vedete qui, come in fatti tutto spira distacco dai beni del mondo, come tutto spira amore alla povertà. Trattato è Cristo da re di scherno solamente, mentr’Egli è vero Re del cielo, e della terra. Quindi non tesori, non splendido trono, non ricca veste, non preziosa corona, non aureo scettro: ma un sasso è il soglio; ma un cencio dicolor rosso è la porpora, che mal lo ricopre; ma lo scettro: è una fragile canna; ma la corona è d’irte e pungentissime spine. Sì, di quelle spine ha cinto il capo, a cui Egli stesso assomigliò le ricchezze nella parabola della semente evangelica, ed il reo abuso qui ne sta pagando, e la immoderata sete spegnendo col Sangue, che da tante trafitture si spreme. O voi adunque, che abbondate di ricchezze, non vogliate con la virtù, che da questo Sangue si diffonde, attaccare il cuore ad esse: Divitia sì affluant, nolite cor apponere: (Ps LXI) Non vogliate esser tutti in arricchire, niente curandovi poi dell’anima vostra, ch’è il vostro meglio. O voi, che poveri di beni di fortuna invidiate i ricchi, e ne agognate gli averi, pigliandovela spesso con la Provvidenza Divina, che non abbia egualmente spartito i beni della terra, e questa egual partizione sognate, che il socialismo sogna e falsamente promette, guardate qua Cristo, che in mezzo a tanta povertà: d’ogni cosa versa Sangue con una povera corona di spine sul capo, e sanate le illusioni della vostra mente, cui la passione delle ricchezze fomenta. O voi finalmente, se qui siete, che non dubitate sacrileghi di stender la mano: rapace su ciò, che appartiene alla Chiesa, comprandone a’ mostri giorni i poderi e gli arredi preziosi, ah! rammentatevi, che voi riducete Gesù Cristo altra volta ad un cencio di porpora, ad uno scettro di canna, ad una corona di spine. Voi, quanto è da voi, altra volta gli spremete Sangue. Ah! badate, che con quel Sangue, col quale dovevate recar rimedio alla vostra passione delle ricchezze, non si scriva l’eterna vostra condanna. Tremate, che quella corona d’ignominia, che si muterà un giorno in corona di gloria, cagione ai Santi di gaudio perpetuo, per voi non si tramuti in corona di terribil giustizia. Ahi! di questa corona vedranno un giorno gli empi cinto Gesù Cristo, vedranno, e periranno: Videbunt eum impiù in corona justitia, et peribunt. (Bernar. Serm. 50).

Effusione V° di Sangue nel viaggio

al Calvario

Conforto nella via della Perfezione.

Poco era a Gesù sanare con lo spargimento del suo Sangue tante infermità della misera natura umana: poco eragli refrigerare la sete ardentissima di peccato, che mettono le febbri delle passioni: volea di più recare col suo Sangue un ristoro, rinfrancando lo forze dell’anima, perchè coll’adornarsi d’ogni virtù giungesse ad alta perfezione. Ma considerate sapienza, e misericordia del Salvatore. Non si addicono agl’infermi le sublimi altezze: In excelsis infirmi esse non possunt. (Ambros. Lib. 5 in Luc.) E però quando trattasi di sanare refrigerando la sete febbrile delle passioni, ei versa Sangue in basso loco prima di salire il Calvario: Quemque in inferioribus sanat. Ma allorchè vuol donare un conforto ad acquistare la virtù e la perfezione si mette Egli stesso a salire, e segna del suo Sangue la via, acciocché ciascuno, che fu risanato, a poco a poco progredendo di virtù in virtù possa giungere alla vetta del monte della perfezione: Ut paullatim virtutibus procedentibus, ascendere possit ad montem. Eccolo infatti con la croce sulle spalle già per l’erta del Calvario. Trema sotto il peso del grave legno, e debole per mancanza di nutrimento, e tanto Sangue versato, più volte trabocca al suolo, e di nuovo Sangue, che da tante piaghe, e tante trafitture va ancora spargendo, bagna e tinge la strada. Pur non sì dà mai per vinto. È alla cima del doloroso monte, ch’Egli anela; è là, ch’Egli fa tendere i suoi passi, e perciò prosegue la via, benché abbia a patire indicibili pene. Ed intanto ci grida a ciascuno: Veni, sequere me. Vieni, mi segui. Lo so, o Gesù, che seguendo Voi arriverò anch’io sul monte, vale a dire conformandomi al mio esemplare mi adornerò d’ogni più bella virtù, e raggiungerò la perfezione, che Voi volete nei vostri seguaci. Lo so, che diverrò puro, come i gigli, umile e mansueto di cuore, distaccato da ogni affetto terreno, tutto inteso alle cose del cielo. Ma oh! Dio, quanti travagli mi si affacciano! Mi si affaccia l’erta salita, che mi toccherà fare: mi si presenta la croce, che, come Voi la portaste, Voi pur volete, che porti chiunque vi vien dietro: mi si offre quel dover agonizzare fino per l’anima, se decorata la voglio di perfetta virtù. Ma a che t’attristi anima mia, perchè ti conturbi? Quare tristis es anima mea, et quare conturbas me? Quel Gesù, che grida portando la croce: Veni, sequere me, non è lo stesso che invita: Chi hasete di mansuetudine, d’umiltà, di pazienza, di purezza,venga a me, e beva? Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Sì sì, ecco il mio ristoro, ecco il mio conforto nelSangue di virtù divina, cui Egli sparge nel camminodel Calvario. Anderò dunque, calcherò quelle vestige rosseggianti.Anderò dunque tenendo l’invito di Cristo,salirò il monte della perfezione, benché sia monte dimirra, o di amarezza, perché poi si trasmuti un giorno in monte di delizie sempiterne: Vadam, vadam ad montem myrrhæ. E voi, o ascoltanti, che fate? Anche da voi tutti vuole Cristo 1° esercizio delle più belle virtù, e v’invita alla perfezione in quello stato a cui ciascuno è chiamato dal cielo, e con quei mezzi che al proprio stato convengono: Estate perfecti, Egli avea altra volta detto, estote perfecti, vi ripete ora, invitandovi a montare con lui il Calvario; ed è pronto il conforto nel suo Sangue anche per voi. Oh! questo sì, ch’è il vero progresso: avanzarsi di virtù in virtù, e andar ognora perfezionando lo spirito. Altro progresso or non si vuole, che nelle scoperte, nelle macchine, nelle arti. Progresso, ch’io certo non condannerei, se non fosse tutto e solo materiale, senza curare punto lo spirito, e non andasse congiunto ad un progresso spaventoso di malizia e d’irreligione. Oh! si capisca bene una volta, quell’invito, che fa ognora Gesù, e vi si risponda. Allora sì, che si coltiveranno le virtù: allora sì, che splenderà la luce del vero progresso, e fiorirà quella vera civiltà nei popoli, che, vogliasi, o no, consiste appunto nel complesso di quelle.

Effusione VI°. di Sangue

Nella Crocifissione

Conforto ad amare Gesù, ed il Prossimo.

Regina di tutte le virtù è la carità, che dall’ Apostolo venne chiamata la pienezza della legge: Plenitudo… legis est dilectio. (Rom. XIII) E S. Agostino domanda qui giustamente: Dov’è la carità, qual cosa mai può mancare? Dove non è, qual mai cosa può recar giovamento? Ubicaritas est, quid est , quod possit deesse? Ubi autem non est, quid est, quod possit prodesse? E però, se Gesù Cristo, o ascoltanti, volle spargendo il Sangue nellasalita del Calvario darvi un conforto all’esercizio dellevirtù; immaginate voi, se giuntone sulla cima, vorràquesto conforto negarvi, perché l’amiate, ora che laredenzione ha il suo compimento. Ah! questo cuor vostro,ch’è portato naturalmente ad amar Dio, perché fatto perlui, n’avea pur bisogno, acciocché gli facesse batterin alto a meta così sublime le ali, senza mai volgerle in basso. Ed ecco Gesù, che inchiodato sul durolegno della croce versa Sangue dalle ferite delle mani,e dei piedi in tanta copia, che quattro rivi quasi parche scorrano. Ben ora Egli può mostrar in sé avveratequelle parole del Salmista: Sicut aqua effusussum. Ben copiosa è la sua redenzione, se non unasola goccia, che pur era a ciò sufficiente, ma tantoSangue Egli sparge. Ma perché sì copiosa? Data estcopia, risponde S. Bonaventura, ut virtus dilectionis inbeneficii redundatione claresceret. (Bonav. In Euchar. Serm. 27) Perchè in unbeneficio così ridondante la sua immensa carità versodi noi chiaramente si palesi. S. Bernardo ci dà a vederela passione e la carità a contesa tra loro, quella pernostro amore, oh! come a riamar ci conforta il nostroGesù, il, nostro Salvatore, il nostro Dio. Chi non amadunque Cristo, io griderò a tutti con S. Paolo, sia danoi separato: Si quis non amat Dominum nostrum Iesum Christum sit anathema: (1 Cor. XVI) E qual è quel cuorecosì ristretto, che non si senta dilatare in veder Gesù, che sparge Sangue, tenendo stese le braccia verso tutti, anche verso un popolo, che non gli crede, e lo contradice? Qual è quel cuore anche di ghiaccio, che non si sciolga, e si accenda ad amare udendo Gesù, che già esangue in sul morire grida: Tutto è compiuto? Espressione che ben vale l’altra: E che dovea Io fare di più, che fatto non l’abbia? Già prenunciato Egli l’avea: Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. (Joan. XII). Ed ecco, ch’Egli donando a tutti nel suo Sangue un vero conforto ad amarlo, tutti al suo seno dolcemente attrae. Ma l’amor divino non va disgiunto dall’amor del prossimo, e però in questa effusione di Sangue ci dona ancora il conforto alla fraterna carità. Fratellanza, fratellanza universale è il grido favorito dei giorni nostri; ma fratellanza sul labbro, e non nel cuore; fratellanza nelle parole, e non nei fatti. Fu solo Gesù, che spargendo in croce il suo Sangue, e riscattandoci dalla schiavitù dell’inferno ci fece tutti liberi figliuoli di Dio, e quindi tutti fratelli, di cui Egli è il Primogenito: Primogenitus in multis fratribus. (Rom. VIII). Ed ecco perché la sua tenerissima Madre lasciò in Giovanni a noi tutti per madre. Ecco come tutti ci legava in uno con nodo dolcissimo di carità, facendo di tutti un cuor solo. Anche qui, ma con molto maggior efficacia ripete: Hoc est præceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilegi vos. (Joan. XV) E siccome egli amò non a sole parole, ma con l’opera dando il Sangue e la vita, per tutti pregando perdono a chi crocifisso l’avea, donando un paradiso per poche lagrime al ladro pentito, ci conforta col suo Sangue a mostrare questa vera fratellanza con far bene d’ogni sorta al prossimo, anche ai nostri nemici, e ad osservare quel precetto non solo in quanto alla sostanza, ma sino alla perfezione. Oh! sì, o Gesù, noi vogliamo amarti; ché troppo ad amarti ci eccita il Sangue per noi da te sparso: ed in virtù del tuo Sangue medesimo vogliamo amarci tra noi di vero amore, e dare il bello e dolce spettacolo di quella vera cristiana fratellanza, che si predica tant’alto da molti, e molti, e poi si sogna, e si cerca dove non è, e dove non può essere. O Gesù, è il tuo Sangue, che ci grida amore, ed amore accende. Il tuo Sangue è quello, che grida fratellanza, e fratellanza apporta.

Effusione VII° di Sangue

Nella lanciata Conforto all’Unione con Gesù Cristo.

Vuotate le vene di Sangue, Gesù già stremato di forze, dopo tre ore di penosissima agonìa, ha mandato al fine l’ultimo respiro, ed è morto. Or che gli resta più a fare per noi? Ah! dilettissimi ascoltanti, soffermatevi un poco ancora col vostro pensiero appiè dell’albero della croce, e voi vedrete, che non è già morta per noi la sua carità, e dormendo Egli il sonno ferale della morte, il suo cuore però vigila per noi: Ego dormio, et cor meum vigilat. (Cant. V) Già sen viene Longino brandendo una lunga lancia; e mentre ai due ladri, che gli pendono ai fianchi, son rotte le gambe con bastoni, perch’erano ancor vivi, a Gesù è aperto da quella lancia il costato, e lo stesso cuore è trafitto, e da quella larga apertura n’esce Sangue misto ad acqua: Unus militum lancea latus ejus aperuit, et continuo exivit Sanguis et aqua. (Jaon. XIX). Non le strette dell’agonie mortali nell’orto del Getsemani, non i flagelli, non le spine, non i chiodi, che gli fecero spargere Sangue in tant’abbondanza aveano potuto trargli questo piccolo avanzo dai più interni penetrali del suo petto. Ma Gesù di se stesso immemore, di noi solo ricordevole, si fa stringere come sotto un torchio per versarne le ultime stille, e niente di esso si riserva, come canta la Chiesa: Sub torculari stringitur, suique Jesus immemor sibi nil reservat Sanguinis. (Hymn. In Festa Prez, Sang.) E questo Sangue sgorgato dal suo cuore esce qual contrassegno a noi della sua più grande carità, iuvitandoci e confortandoci non solo ad amarlo, ma ad unirci intimamente a lui, giacché effetto di vero amore è l’unione. Per questo stando ancora confitto al legno, se non con la voce, parla però con le braccia distese verso di tutti: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. E mostrando aperto il costato, e ferito il suo cuore, invita tutti ad entrarvi, ed a stringersi fortemente con esso. Chi non vorrà a sì dolce invito, confortato dalla grazia, ch’esce da quel Prezioso Sangue, là correre, qual colombella vola alla sua torre, ed al suo nido, e là starsene unito a cuor sì amabile? Chi di là non griderà con Paolo: Quis me separabit a charitate Christi? Non le vanità del mondo, non i piaceri del senso, non l’amor delle ricchezze, non qualunque tribolazione, e tormento potranno più svellermi da questa dimora di pace, di contentezza, di gaudio, di amore. E se alcuno avesse sete di unirsi più perfettamente a Gesù, nascondendosi affatto entro al suo cuore per non sapere, per non sentir più nulla di questa misera terra, oh! entri, entri pure nei più secreti recessi di quel Cuore ferito, ché quel Sangue, che n’uscì, a tanta perfezione è pur ajuto e conforto. Che dolcezze sono là dentro, tutte di Paradiso! Se un po’ avrà a penare nel distaccarsi affatto da ciò che sa di terra, e nel perdere affatto di vista ciò ch’offre il mondo, inebbriato. da quelle delizie dovrà poi esclamare: Bonum, bonum.. est nos hic esse. Ma col Sangue uscìa dal fianco aperto di Gesù formata Sposa di lui la Chiesa, come dal fianco di Adamo addormentato uscìa formata Eva la sua consorte.Quindi è la Chiesa in qualche modo parte delcuor di Gesù. E che vuol dir questo, se non che voi non potete avere intima unione con Gesù, se non istate strettamente uniti alla vera Chiesa; se non ne credete quanto essa propone da credere, se non rispettate la sua autorità, se non osservate i suoi precetti? Ma la Chiesa, vera Sposa di Gesù Cristo è là, dov’è il Successor di S. Pietro, ch’Egli stesso a lei prepose e Capo, cioè il Papa: Ubi Petrus, ibi Ecclesia. E che vuol dir questo, se non che voi non potete essere stretti alla Chiesa, ed uniti al cuor di Gesù, se non istate ancor uniti col Papa, onorandolo come il capo di questa Chiesa, come Pastore, universale, come Maestro infallibile di verità in religione? Questa riverenza, ed unione al Papa in questi giorni, in cui tanto viene bistrattato, quasi fosse un’inutile anticaglia, da riporre tra le ciarpe, è divenuta la pietra di paragone per conoscere chi veramente è seguace di Gesù Cristo, e vero Cattolico. Procuriam dunque d’essere uniti alla Chiesa senza umani rispetti, uniti al Papa coraggiosamente, ed allora star potremo: davvero entro al costato di Gesù accanto al cuor suo in intima unione con esso: anzi chiudendoci entro la ferita del suo cuore grideremo esultando: Bonum, bonum est nos hic esse.

CONCLUSIONE

Eccoci finalmente a chiudere il nostro pio, e devoto Esercizio delle sette Effusioni del Sangue Prezioso. Certamente,  se voi a queste avete assistito con le dovute disposizioni, com’io fin dal principio vi ammoniva, e vi esortava, ne avrete provato fin d’ora i benefici effetti. Avrete sentito appressandovi a bere a questa fontana salutare di Sangue Divino, refrigerio all’ardore delle vostre passioni, conforto a salire il monte della perfezione, ornandovi delle più belle virtù; conforto ad amare Gesù ed il prossimo vostro, e ad unirvi intimamente al Divino Sposo dell’anime vostre. Oh qual desideri di far il bene, già sono spuntati nel vostro cuore! Ma deh! non cessi con questo Mese, e con questa sacra e tenera funzione la divozion vostra. Ah? le febbri delle passioni, sapete, torneranno tante volte ad accendere in voi quella maligna sete; e per salire in alto alla virtù avete bisogno ognora d’ajuto, avete bisogno d’essere confortati. E però vi ripete Gesù non solo adesso, ma dopo ancora: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Quindi per godere di quel prezioso umore,convien andar a Lui, intendete? andar a Lui: Veniat, e bibat. Vale a dire è necessario, che facciate anche voila parte vostra, se volete che il suo Sangue sia applicatoparticolarmente all’anima. Continuate adunque ad onorareil Sangue di Gesù Cristo con ogni sorta di ossequi,con spesse giaculatorie, con la quotidiana Coroncina, chesul primo mattino si recita in questa Chiesa, con l’intervenirepuntualmente alle sacre funzioni, che si praticano a rendergli quel culto divino, che ben si merita,Ascrivetevi, se non siete ascritti, alla Pia Unione perlucrare anche le sante indulgenze. Contemplate spessocon Bernardo la vaga rosa della sanguinosa Passionedel Redentore, come rosseggi ad indicare l’ardentissimacarità: Rosam passionis sanguinæ, quomodo rubet in indicium ardentissima charitatis. (Bernard. Lib. de Pass. c. 4l.) Entrate, entratespesso nel giardino della divozione, o Cristiani, a coglierviquesta rosa, e portatela sul petto, portatela sul cuore,e vi sentirete refrigerar sempre le passioni, ed ardere dicarità. È il Sangue di Gesù Cristo specialmente nella santaEucaristia qual vino, che inebria i perfetti; come latte,che i deboli pargoletti nutrisce. Su, accostatevi spesso aquella mensa. Su, io vi dirò con Bernardo, affrettatevimeco, o voi tutti, che amate il Signore, a comprarvi conbuone disposizioni quel Preziosissimo Sangue: Properate mecum, qui diligitis Dominum, emite Sanguinem illum Pretiosissimum; e ne godrete, di continuo i frutti salutari.Di quel Sangue imporporati vi vedrà il Demonio, ed atterritofuggirà lontano. Di quel Sangue adorne le anime vostreavranno nella morte incontro gli Angeli, che verrannoper riceverle, e presentarle al cospetto dell’Altissimo.Di quel Sangue adorne entreranno nel cielo a godere lavisione di quell’Agnello immacolato, che vide il rapito di Patmos, ed a cantare insieme a tutti gli eletti quel cantico d’ineffabil letizia, ed a ripetere in eterno: Sia sempre benedetto, e ringraziato Gesù, che col suo Sangue ci ha salvato.

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (2021)

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (2021)

VENERDÌ DOPO L’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di Ia cl. con Ottava privilegiata di 3° ordine. – Param. bianchi.

Il Protestantesimo nel secolo XVI e il Giansenismo nel XVIII avevano tentato di sfigurare uno dei dogmi essenziali al Cristianesimo: l’amore di Dio verso tutti gli uomini. Lo Spirito Santo, che è spirito d’amore, e che dirige la Chiesa per opporsi all’eresia invadente, affinché la Sposa di Cristo, lungi dal veder diminuire il suo amore verso Gesù, lo sentisse crescere maggiormente, ispirò la festa del Sacro Cuore. L’Officio di questo giorno mostra « il progresso trionfale del culto del Sacro Cuore nel corso dei secoli. Fin dai Primi tempi i Padri, i Dottori, I Santi hanno celebrato l’amore del Redentore nostro e hanno detto che la piaga, fatta nel costato di Gesù Cristo, era la sorgente nascosta di tutte le grazie. Nel Medio-evo le anime contemplative presero l’abitudine di penetrare per questa piaga fino al Cuore di Gesù, trafitto per amore verso gli uomini » (2° Notturno). — S. Bonaventura parla in questo senso: « Per questo è stato aperto il tuo costato, affinché possiamo entrarvi. Per questo è stato ferito il tuo Cuore affinché possiamo abitare in esso al riparo delle agitazioni del mondo (3° Nott.). Le due Vergini benedettine Santa Geltrude e Santa Metilde nel XIII secolo ebbero una visione assai chiara della grandezza della devozione al Sacro Cuore. S. Giovanni Evangelista apparendo alla prima le annunziò che « il linguaggio dei felici battiti del Cuore di Gesù, che egli aveva inteso, allorché riposò sul suo petto, è riservato per gli ultimi tempi allorché il mondo invecchiato raffreddato nell’amore divino si sarebbe riscaldato alla rivelazione di questi misteri (L’araldo dell’amore divino. – Libro IV c. 4). Questo Cuore, dicono le due Sante, è un altare sul quale Gesù Cristo si offre al Padre, vittima perfetta pienamente gradita. È un turibolo d’oro dal quale s’innalzano verso il Padre tante volute di fumo d’incenso quanti gli uomini per i quali Cristo ha sofferto. In questo Cuore le lodi e i ringraziamenti che rendiamo a Dio e tutte le buone opere che facciamo, sono nobilitate e diventano gradite al Padre. — Per rendere questo culto pubblico e ufficiale, la Provvidenza suscitò dapprima S. Giovanni Eudes, che compose fin dal 1670, un Ufficio e una Messa del Sacro Cuore, per la Congregazione detta degli Eudisti. Poi scelse una delle figlie spirituali di S. Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, alla quale Gesù mostrò il suo Cuore, a Paray-le-Monial il 16 giugno 1675, il giorno del Corpus Domini, e le disse di far stabilire una festa del Sacro Cuore il Venerdì, che segue l’Ottava del Corpus Domini. Infine Dio si servì per propagare questa devozione, del Beato Claudio de la Colombière religioso della Compagnia di Gesù, che mise tutto il suo zelo a propagare la devozioni al Sacro Cuore». (D. GUERANGER, La festa del Sacro Cuore di Gesù). – Nel 1765, Clemente XIII approvò la festa e l’ufficio del Sacro Cuore, e nel 1856 Pio IX l’estese a tutta la Chiesa. Nel 1929 Pio XI approvò una nuova Messa e un nuovo Officio del Sacro Cuore, e vi aggiunse una Ottava privilegiata. Venendo dopo tutte le feste di Cristo, la solennità del Sacro Cuore le completa riunendole tutte in un unico oggetto, che materialmente, è il Cuore di carne di un Uomo-Dio, e formalmente, è l’immensa carità, di cui questo Cuore è simbolo. Questa festa non si riferisce a un mistero particolare della vita del Salvatore, ma li abbraccia tutti. È la festa dell’amor di Dio verso gli uomini, amore che fece scendere Gesù sulla terra con la sua Incarnazione per tutti (Off.) che per tutti è salito sulla Croce per la nostra Redenzione (Vang. 2a Ant. dei Vespri) e che per tutti discende ogni giorno sui nostri altari colla Transustanziazione, per applicarci i frutti della sua morte  sul Golgota (Com.). — Questi tre misteri ci manifestano più specialmente la carità divina di Gesù nel corso dei secoli (Intr.). È « il suo amore che lo costrinse a rivestire un corpo mortale » (Inno del Mattutino). È il suo amore che volle che questo cuore fosse trafitto sulla croce (Invitatorio, Vang.) affinché ne scorresse un torrente di misericordia e di grazie (Pref.) che noi andiamo ad attingere con gioia (Versetto dei Vespri); un acqua, che nel Battesimo ci purifica dei nostri peccati (Ufficio dell’Ottava) e il sangue, che, nell’Eucaristia, nutrisce le nostre anime (Com.). E, come la Eucaristia è il prolungamento dell’Incarnazione e il memoriale del Calvario, Gesù domandò che questa festa fosse collocata immediatamente dopo l’Ottava del SS. Sacramento. — Le manifestazioni dell’amore di Cristo mettono maggiormente in evidenza l’ingratitudine degli uomini, che corrispondono a questo amore con una freddezza ed una indifferenza sempre più grande, perciò questa solennità presenta essenzialmente un carattere di riparazione, che esige, la detestazione e l’espiazione di tutti i peccati, causa attuale dell’agonia che Gesù sopportò or sono duemila anni. — Se Egli previde allora i nostri peccati, conobbe anche anticipatamente la nostra partecipazione alle sue sofferenze e questo lo consolò nelle sue pene (Off.). Egli vide soprattutto le sante Messe e le sante Comunioni, nelle quali noi ci facciamo tutti i giorni vittime con la grande Vittima, offrendo a Dio, nelle medesime disposizioni del Sacro Cuore in tutti gli atti della sua vita, al Calvario e ora nel Cielo, tutte le nostre pene e tutte le nostre sofferenze, accettate con generosità. Questa partecipazione alla vita eucaristica di Gesù è il grande mezzo di riparare con Lui, ed entrare pienamente nello spirito della festa del Sacro Cuore, come lo spiega molto bene Pio XI nella sua Enciclica « Miserentissimus » (2° Nott. dell’Ott.) e nell’Atto di riparazione al Sacro Cuore di Gesù, che si deve leggere in questo giorno davanti al Ss. Sacramento esposto

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXXII: 11; 19
Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]


Ps XXXII: 1
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.

[Esultate nel Signore, o giusti, la lode conviene ai retti.]

Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis in Corde Fílii tui, nostris vulneráto peccátis, infinítos dilectiónis thesáuros misericórditer largíri dignáris: concéde, quǽsumus; ut, illi devótum pietátis nostræ præstántes obséquium, dignæ quoque satisfactiónis exhibeámus offícium.  

[O Dio, che nella tua misericordia Ti sei degnato di elargire tesori infiniti di amore nel Cuore del Figlio Tuo, ferito per i nostri peccati: concedi, Te ne preghiamo, che, rendendogli il devoto omaggio della nostra pietà, possiamo compiere in modo degno anche il dovere della riparazione.]


Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios. Eph III: 8-19

Fratres: Mihi, ómnium sanctórum mínimo, data est grátia hæc, in géntibus evangelizáre investigábiles divítias Christi, et illumináre omnes, quæ sit dispensátio sacraménti abscónditi a sǽculis in Deo, qui ómnia creávit: ut innotéscat principátibus et potestátibus in cœléstibus per Ecclésiam multifórmis sapiéntia Dei, secúndum præfinitiónem sæculórum, quam fecit in Christo Jesu, Dómino nostro, in quo habémus fidúciam et accéssum in confidéntia per fidem ejus. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis ei in terra nominátur, ut det vobis, secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo, et longitúdo, et sublímitas, et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei.

[Fratelli: A me, minimissimo di tutti i santi è stata data questa grazia di annunciare tra le genti le incomprensibili ricchezze del Cristo, e svelare a tutti quale sia l’economia del mistero nascosto da secoli in Dio, che ha creato tutte cose: onde i principati e le potestà celesti, di fronte allo spettacolo della Chiesa, conoscano oggi la multiforme sapienza di Dio, secondo la determinazione eterna che Egli ne fece nel Cristo Gesù, Signore nostro: nel quale, mediante la fede, abbiamo l’ardire di accedere fiduciosamente a Dio. A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, da cui tutta la famiglia e in cielo e in terra prende nome, affinché conceda a voi, secondo l’abbondanza della sua gloria, che siate corroborati in virtù secondo l’uomo interiore per mezzo del suo Spirito. Il Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede, affinché, ben radicati e fondati nella carità, possiate con tutti i santi comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza e l’altezza e la profondità di quella carità del Cristo che sorpassa ogni concetto, affinché siate ripieni di tutta la grazia di cui Dio è pienezza inesauribile.]

Graduale

Ps XXIV:8-9
Dulcis et rectus Dóminus: propter hoc legem dabit delinquéntibus in via.
V. Díriget mansúetos in judício, docébit mites vias suas.

[Il Signore è buono e retto, per questo addita agli erranti la via.
V. Guida i mansueti nella giustizia e insegna ai miti le sue vie.]
Mt XI: 29

ALLELUJA

Allelúja, allelúja. Tóllite jugum meum super vos, et díscite a me, quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris. Allelúja.

[Allelúia, allelúia. Prendete sopra di voi il mio giogo ed imparate da me, che sono mite ed umile di Cuore, e troverete riposo alle vostre ànime. Allelúia

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joannes XIX: 31-37
In illo témpore: Judǽi – quóniam Parascéve erat, – ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati, – rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura, et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et alteríus, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium ejus. Et ille scit quia vera dicit, ut et vos credátis. Facta sunt enim hæc ut Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex eo. Et íterum alia Scriptúra dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.

[In quel tempo: I Giudei, siccome era la Parasceve, affinché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era un gran giorno quel sabato – pregarono Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero deposti. Andarono dunque i soldati e ruppero le gambe ad entrambi i crocifissi al fianco di Gesù. Giunti a Gesù, e visto che era morto, non gli ruppero le gambe: ma uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. E chi vide lo attesta: testimonianza verace di chi sa di dire il vero: affinché voi pure crediate. Tali cose sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: Non romperete alcuna delle sue ossa. E si avverasse l’altra Scrittura che dice: Volgeranno gli sguardi a colui che hanno trafitto.]

OMELIA

[Mons. Bonomelli: Misteri cristiani vol. IV, Queriniana ed. Brescia, 1896]

RAGIONAMENTO VIII

Il Sacro Cuore di Gesù

Gesù Cristo è l’autore e l’oggetto della nostra fede, il fondamento ed il fine della nostra speranza, la sorgente e il termine della nostra carità: tutto viene da Lui e tutto ritorna a Lui, principio e fine, primo ed ultimo, alfa ed omega d’ogni cosa, come insegnano i Libri Santi; e perciò è verissimo il dire: « Christus tota religio – La Religione tutta si riduce a Cristo ». Egli per la Sinagoga, pei Profeti, pei riti Sacri, pei patriarchi, per le tradizioni antiche risale ad Adamo: per la Chiesa discende giù giù per la serie dei secoli fino all’ultimo uomo, che vivrà sulla terra. – La Chiesa, l’erede delle sue ricchezze e delle sue glorie, la Sposa sua fedele, che vive solo per Lui e di Lui, colla parola, coi Sacramenti, colla preghiera, colla pompa sacra del culto, in mille modi, richiama senza tregua le menti e i cuori dei fedeli a Lui, che è il suo Capo e suo Sposo: Essa lo fa Vivere continuamente in mezzo agli uomini nelle verità, nella grazia, che sgorgano da Lui, e soprattutto nel mistero Eucaristico, pel quale è veramente e realmente presente tra loro. Considerate l’arte divina, con cui la Chiesa tien sempre viva tra suoi figli la memoria e l’azione di Gesù Cristo. Si apre l’anno ecclesiastico col sacro Avvento: e la Chiesa, se così posso dire, ponendosi nei tempi, che precedettero la venuta di Cristo e, confondendosi coi patriarchi, coi Profeti e con Mosè, lo invoca e lo saluta da lungi suo Salvatore: poi raccoglie tutti i suoi figli presso la culla di Lui e lo adora e nella letizia delle feste Natalizie canta: – Vi annunzio una grande allegrezza: è nato il Salvatore del mondo -. Poi ce lo mostra nell’atto di Versare le prime stille del suo sangue, principio del sacrificio della Croce: è il mistero della Circoncisione. Poi ci invita a vedere i Magi, primizie dei Gentili, prostrati ai piedi del divino Infante: è il mistero della Epifania. E poi nelle Domeniche che seguono, ce lo mette innanzi bambino, riconosciuto e proclamato Salvatore del mondo tra le braccia del venerando Simeone, profugo in Egitto, reduce a Nazaret, fanciullo a 12 anni nel tempio di Gerusalemme, giovane, operaio volontariamente sepolto nella officina paterna. Poi ce lo addita nel deserto, che nel digiuno e nella preghiera si prepara alla vita pubblica; è il tempo Quadragesimale. Poi ci fa assistere alla sua passione e alla sua morte crudele di croce nella settimana che a ragione dicesi Santa. – Poi ci vuole testimonii della gloriosa sua risurrezione nella Pasqua, del suo trionfale ingresso in cielo, nella Ascensione. Ecco l’Anno Liturgico, che ci spiega sotto gli occhi la vita di Gesù Cristo dal dì del suo Nascimento a quello della sua Ascensione. – Ma, chiuso il periodo della vita di Gesù Cristo, comincia quello, che nel suo Nome e nella virtù della sua parola deve continuare fino al termine dei tempi per opera della Chiesa: eccovi la Pentecoste. Ma la vita e la forza della Chiesa tutta deriva da Gesù Cristo. Ed Egli dov’è? In cielo letizia di sé i beati e sulla terra nel Sacramento dei Sacramenti, l’Eucaristia, illumina, nutre, santifica la Chiesa: eccovi la festa del Corpo di Cristo. – Quale magnifico spettacolo ci svolge essa la Chiesa sotto gli occhi nel corso dall’anno! La storia della vita e delle opere di Cristo e con essa inseparabilmente congiunto il richiamo dei dogmi capitali della nostra fede ci passano dinanzi in guisa che tutti, dotti e indotti, li debbono conoscere, direi quasi loro malgrado. La liturgia della Chiesa è la perenne e più efficace predicazione delle divine verità, della vita e delle opere di Gesù Cristo. – Ora, una domanda, o fratelli. Questa serie stupenda delle verità e delle opere di Cristo, che si svolgono dall’Avvento al Corpus Domini, donde derivano? Da qual fonte promanano? Non esito un istante a rispondere: – dalla smisurata carità di Gesù Cristo -. E questa smisurata carità di Cristo dove si adombra perfettamente? Quale ne è lo strumento e l’organo? E dove ci conduce essa? Il Cuore adorabile di Gesù è il simbolo più perfetto dell’amore di Dio: ne è l’organo e lo strumento naturale: è il termine, a cui ci conduce. E sono queste le tre verità, che mi studierò di mettere in luce in questo Ragionamento. – Forse non avrete mai posto mente ad una verità semplicissima per sé stessa e che è pure la prima ragione del culto al Sacro Cuore di Gesù Cristo, culto oggi mai universale nella Chiesa di Dio: la verità è questa: qualunque culto, qualunque devozione praticata e riconosciuta nella Chiesa ha un doppio oggetto, l’uno sensibile e materiale, l’altro invisibile e spirituale, il qual secondo è assai più nobile ed eccellente del primo, perché ne è il fine; noi, per ragione d’esempio, prestiamo culto alla croce, ai chiodi, alla lancia, alle spine, al sudario, agli strumenti tutti, che furono santificati dall’immediato contatto del sangue e del corpo adorabile del Salvatore. Questi strumenti e queste sante memorie della passione di Gesù Cristo costituiscono l’oggetto immediato, visibile e materiale del nostro culto: l’oggetto invisibile ed immateriale, a cui principalmente vuolsi tener volto lo sguardo, è l’amore divino manifestatoci per questi strumenti stessi, è Dio medesimo, che si degnò usare di codesti mezzi e impreziosirli nell’opera della umana redenzione. Ciò stesso avviene nel culto al Cuore sacratissimo di Gesù Cristo. Il Cuore di Lui è primamente oggetto visibile e materiale del nostro culto, perché questo Cuore è il simbolo e la prova della infinita carità di Gesù Cristo verso dell’uomo, come canta la Chiesa: « Hoc sub amoris symbulo -….. Christus sacerdos obtulit – Cristo, sacerdote in eterno offre il suo Cuore qual simbolo della sua carità ». Ciò che altrove la Chiesa in forma solenne dichiara e conferma: «Ut charitatem Christi patientis et pro generis humani redemptione morientis …… fideles sub Sanctissimi Cordis symbulo devotius et ferventius recolant ». Che fu un dire: – La Chiesa venera ed adora il Cuore di Gesù a fine di celebrare e glorificare più devotamente e più fervidamente quella carità che lo condusse alla croce e alla morte per noi, carità che tutta e mirabilmente ci viene simboleggiata nel suo santissimo Cuore -. Vedete, o fratelli, ciò che si fa nel mondo profano: il simbolo od emblema lo trovate dovunque e sempre. Veggo un leone alato, che stringe nelle zampe un Vangelo: saluto la Regina dell’Adria, Venezia. Veggo ondeggiare al vento una bandiera e in essa dipinto un leopardo: riconosco la Regina dei mari, l’altera Albione. Veggo uno scudo e in esso con le ali aperte, stringente nelle unghie una spada, un’aquila incoronata, dalla doppia testa, ed esclamo: Ecco l’Austria. Voi non trovate una nazione, una società qualunque, una famiglia, che si reputi nobile, la quale non si onori del suo segno o simbolo, d’una bandiera, in cui compendia il suo nome e le sue glorie. Guai a chi fa oltraggio a quel simbolo, a quella bandiera! È un nemico! Amico è chi l’onora! – Il somigliante avviene nella Chiesa. Tutto in essa è figura e simbolo: è il suo linguaggio più caro e più eloquente. Qui la colomba vi ricorda lo Spirito Santo, là l’agnello, il pellicano vi rammentano l’Uomo-Dio; altrove il giglio vi rappresenta la purezza, la nave adombra la Chiesa, l’aquila simboleggia l’Evangelista Giovanni, il leone raffigura l’Evangelista Marco e andate dicendo: nella liturgia, nella pittura e scultura, nel linguaggio della Chiesa tutto è simbolico. Essa coi segni, colle figure più svariate parla e ammaestra il popolo, che la intende a meraviglia: dirò anzi che il popolo ama e preferisce questo linguaggio dei segni e delle figure al linguaggio comune, perché meglio gli mette innanzi le cose e le verità. Egli, il popolo, all’udire preferisce il vedere e le cose e le verità, ch’egli riceve per gli occhi, si stampano nella sua mente più assai che quelle, che gli giungono per la via delle orecchie. Ora qual simbolo, qual figura più viva e più naturale dell’amore quanto il simbolo e la figura del cuore? Appena i miei occhi cadono su quella figura vermiglia; appena veggono quella ferita stillante sangue, quella corona di spine, che l’avvolge, quelle fiamme che dal suo vertice si elevano, la mia mente corre a Gesù, pensa all’amor suo per gli uomini tutti, ricorda la sua passione, la sua morte, tutta la storia della sua vita; il mio cuore a quella vista si commuove, si accende e sente che l’amore di Gesù domanda amore ed io l’amo con tutte le forze dell’anima mia. È dunque ragionevole e santa cosa onorare il cuore di Gesù come figura convenzionale e naturale la più espressiva della sua smisurata carità. Tacciano dunque e arrossiscano coloro che volevano sbandito dalla Chiesa il culto del Cuore di Gesù Cristo, questo sì caro e sì perfetto emblema del divino amore e ne faceano bersaglio de’ loro motti sarcastici e delle loro insolenti facezie. Perché non levavano essi la voce con eguale e maggior ragione contro il culto della Croce e degli istrumenti tutti della passione? Perché non condannavano i libri ispirati, che tante volte parlano della carne e del sangue di Gesù Cristo, che sono parte della sua umanità, come parte nobilissima ne è il suo cuore? Allorché parliamo del cuore di Gesù e lo adoriamo, la nostra mente si fissa nel cuore di Gesù, non separato dal corpo e dall’anima sua benedetta, ma nel cuore congiunto a Lui ipostaticamente, nel cuore vivente, formante parte della sua umanità gloriosa. – Ma sarebbe troppo grave errore considerare il cuore di Gesù Cristo come un semplice e nudo simbolo della sua carità, perché esso ne è lo strumento e l’organo materiale. Il cuore di Gesù, o fratelli miei, si ha da adorare non solamente perché ebbe ed ha immediato ed esterno contatto col Verbo divino, come l’ebbero i chiodi, e gli strumenti della passione, ma perché esso fu assunto, vivificato, posseduto, divinizzato, fatto proprio del Verbo Istesso, tantoché esso è veramente e rigorosamente cuore di Dio: cuore in cui Dio stesso vive, sente, ama e si comunica agli uomini. Seguitemi col vostro pensiero. – Nell’uomo convien distinguere due essenzialissime facoltà o potenze, cioè la facoltà o potenza di intendere e ragionare, e la facoltà o potenza di volere ed amare. Come queste due facoltà o potenze sono distinte tra loro e tanto distinte che talora sono opposte, così hanno sede distinta nel corpo: l’intelligenza si attua più propriamente nel capo, la volontà e l’amore riseggono e si svolgono più propriamente nel cuore (Io non voglio entrare in questioni fisiologiche, né seguire gli antichi nelle loro ricerche intorno alla sede dell’anima. Essa è tutta in tutto il corpo, perché semplice: ma come riceve le sensazioni per mezzo dei sensi, così gli atti intellettivi si manifestano nei nervi del cervello, e gli atti affettivi nel cuore. Questo è il fatto, non mi occupo della Spiegazione scientifica); onde chi pensa e ragiona accenna al capo, chi ama accenna al cuore; e chi pensa e medita a lungo e intensamente, prova una molesta, sensazione al capo, e chi ama fortemente sperimenta una scossa gagliarda e una viva commozione al cuore. Allorché voi volete indicare che un uomo è dotato d’alto ingegno, dite: È un uomo di gran testa: se volete indicare che è uomo caritatevole, generoso, amorevole, dite: Ha un bel cuore: è  uomo di cuore eccellente. Come noi vediamo cogli occhi, udiamo colle orecchie, parliamo colla lingua, lavoriamo colle mani, gustiamo col palato, così amiamo col cuore, che si agita, che ci martella in petto, che si dilata, si accende proporzionatamente alla intensità dell’amore. Non è dunque accidentale convenzione di linguaggio quella che indusse tutti gli uomini a scegliere il cuore per simboleggiare l’amore, ma la voce della natura, il grido stesso della verità a talché se noi fossimo vissuti fuori di società, per significare l’amor nostro ad una persona avremmo sempre usate queste o simili espressioni: – Io vi sento, io vi tengo, io vi porto nel mio cuore: io ho scritto il vostro nome nel mio cuore: il mio cuore è vostro: datemi il vostro cuore: il mio cuore arde per voi! – Sì: il cuore è il centro della vita! (Fisiologicamente il centro primo della vita è il cervello, il secondo è il cuore: di là il moto dei nervi e col moto la vita: di qui il moto del sangue, che alimenta i nervi e tutto il corpo. L’uno non vive senza dell’altro. Al mio scopo bastano queste verità e sarebbe superfluo addentrarci in altre questioni.): da esso muove, ad esso ritorna il sangue per rifarsi e vivificarsi e proseguire il misterioso e ammirabile suo giro, ed esso è lo strumento dell’amore, la sede delle affezioni tutte, come il cervello è lo strumento e la sede della intelligenza e del pensiero. – Ora, o fratelli, non vi può essere dubbio, ciò che avviene naturalmente in ogni uomo deve avvenire eziandio in Gesù Cristo, perché Egli è vero e perfettissimo uomo in ogni cosa a noi eguale, del peccato e delle conseguenze del peccato infuori, come insegna la fede; se dunque in noi il cuore è lo strumento e l’organo materiale, per cui dispiegasi la fiamma amorosa, è forza affermare, che anche il cuore di Gesù, dal Verbo personalmente assunto e da Lui inseparabile, sia lo strumento e l’organo materiale dell’amor suo infinito. Come Gesù Cristo vedeva cogli occhi e udiva con le orecchie, così Egli amava col suo cuore. Chi potrebbe dubitarne? È una conseguenza del mistero dell’incarnazione. – Ben è vero che il Verbo anche prima di farsi uomo amava tutte le opere delle sue mani, e l’uomo soprattutto dopo l’Angelo: ben è vero che allora l’amor suo era affatto indipendente da qualsivoglia strumento corporeo, perché incorporeo e sovranamente spirituale era la sua natura; ma dall’istante ch’Egli si fece uomo, ama e deve amare eziandio col cuore materiale, che assunse, per la ragione che questo cuore, congiunto inseparabilmente alla Persona divina del Verbo, nulla opera, né può sperare senza il concorso immanente del Verbo stesso, come osserva acutamente San Anselmo. Dal che segue questa stupendissima verità, che l’amore eterno del Verbo verso gli uomini si riverbera incessantemente in questo amore sacrosanto, che tutto si avviva sotto i cocenti suoi raggi, e fedelmente risponde a Lui come un’arpa armonica appena è tocca dalla mano di un esperto suonatore. Il sole splende sempre egualmente nel mezzo dei cieli e la sua luce è candida: sotto a quei raggi collocate un prisma ed i suoi raggi d’un tratto vestono tutti i colori dell’iride; il sole è il Verbo divino; il prisma meraviglioso che rifrange i suoi raggi e li colora è il cuore assunto; esso è l’organo dell’amor divino, anzi intrecciando ineffabilmente fa scintillare l’amore, e il candore dell’eterna luce si confonde col vermiglio e purpureo di questo cuore benedetto. – E chi varrà mai a spiegare le ricchezze nascoste in questo divinissimo cuore? Chi potrà spingere gli sguardi nei suoi penetrali, accessibili solo agli sguardi di Dio e agli impeti della sua infinita carità? Chi potrà mai nonché descrivere, ma anche solo da lungi immaginare gli infuocati palpiti di questo cuore, che è, badate bene, cuore veramente di Dio? Quando io mi ingegno di concepire in qualche modo i tesori di amori racchiusi nel cuore di Gesù, non trovo immagine più acconcia di questa: immagino un mare, sul quale per quantunque l’occhio si spazii non scopre le sponde e si perde su quella immensa stesa delle acque e in quella non meno immensa vòlta de’ cieli, che sembra circoscriverla; penso che questo cuore sia simile all’amore divino, che da nessuno si comprende; poi immagino che questo mare sterminato sbocchi per un ampio fiume, che solo dà sfogo perenne alle sue acque e per cui solo dilaga e feconda le sottoposte pianure. Così mi sembra possiamo fornirci qualche idea del divino amore, che immensurato ed immensurabile in se stesso, non potendo quasi capire in sé pel cocentissimo desiderio, che lo punge e muove ad effondersi e comunicarsi alle sue creature, si precipita quanto vi cape nel cuore di Gesù, lo riempie, lo inonda e nella sua piena trabocca d’ogni Parte. Per tal modo Questo cuore diviene la sorgente unica, il fiume vastissimo e sempre rigonfio, che a noi tutti  in terra ed in cielo, agli uomini ed agli Angeli deriva le acque della vita,  possiamo ripetere: il fiume della Vita, nella sua piena rallegra la città di Dio – Fluminis impetus lætificat civitatem Dei -. Sì, sì, fratelli miei! Questo cuore è Veramente la fonte, il fiume delle acque della vita, onde verdeggia, fiorisce e fruttifica il campo della Chiesa: è la porta e la via, per la quale Dio stesso discende e viene a noi, Lo volete vedere? Udite e fatemi ragione. – Dio viene a noi e a noi si comunica coll’istruirci, col soffrire e morire per noi: viene a noi col versare nello anime nostre i tesori delle sue grazie, con tutte quelle opere prodigiose, ch’Egli compì per noi sulla terra e che nei sacramenti e nella sua Chiesa durano e dureranno fino al termine dei secoli. – Scorrete col pensiero tutta la vita di Gesù Cristo, cercate ad una ad una tutte le sue opere che germinò quel fiore nel seno verginale di Maria fino all’istante che sulla croce esalò l’estremo anelito: numerate, se potete, tutte le sue fatiche, i suoi affanni, i suoi dolori: contate tutte le sue parole, tutti i suoi passi, tutti i suoi viaggi: mettete insieme tutti i suoi pensieri, tutti i suoi affetti, tutti i suoi desiderii: rammentate l’istituzione di tutti i sacramenti, rivi inesauribili di grazie e di vita: ricordate soprattutto il mistero eucaristico, che lo imprigiona sui nostri altari e lo fa spuntare, vero albero di vita, su tutti i punti del pianeta: pensate alle catene, ai fagelli, alle spine, agli insulti, agli schiaffi, alla sentenza di morte, alla croce, ai chiodi, all’aceto, al fiele, alle agonie, all’abbandonamento desolato del Calvario: considerate Gesù Cristo qual è, quale ci è presentato dal Vangelo, con tutto ciò che ha fatto, che fa, che farà fino all’ultima ora dei secoli: aggiungete tutto quel di più ch’Egli era pronto a fare per noi e non fece, cioè gli ardori di quella carità, che l’avrebbero portato a patire e morire tante volte quante sono le anime da salvare, a tollerare tormenti a mille doppi maggiori di quelli che tollerò, se tutto questo fosse stato necessario. Mio Dio! quali e quante opere d’infinito valore! Quali prove di ineffabile carità! Che poteva fare e non ha fatto per noi questo amabile Gesù? Ora vi domando: tutte queste opere compiute da Gesù per l’uomo e che riempiono lo spazio e si distendono coi secoli, da qual fonte sgorgano? Dove furono prima concepite, maturate, consumate? Tutte, tutte, senza eccezione, rampollano dall’amore divino: Propter nimiam charitatem, qua dilexit. E l’amore divino,dopo l’incarnazione dove risiede? Dove si attua? L’amore divino risiede e si attua in questo Cuore santissimo: tutte spuntano, tutte si spandono da questo cuore, come i rami dalla radice, i ruscelli dal fonte, tutte sono faville dell’incendio beato onde arde questo cuore amoroso. È desso che, raccogliendo in sé tutto il sangue, che è vita divina, coi suoi palpiti lo spinge per le arterie e per le vene e per le ferite aperte in tutto il corpo, a stille a stille lo fa piovere su tutte le anime, le purifica, le risana, le vivifica, le abbellisce, le fa sante. -Se dunque dal divino amore discendono a noi tutti i beni e se i raggi del divino amore per il mistero della Incarnazione si appuntano e si incentrano tutti nel Cuore di Gesù, in cui hanno principio e compimento le azioni tutte (Nella mente splende la verità, norma delle opere: la luce della verità scende come raggio nella volontà, che risiede nel cuore: qui la luce della Verità, quasi scintilla elettrica, accende la fiamma dell’amore e l’amore determina l’opera: perciò ogni opera comincia nella mente e si compie nella volontà, ossia nell’amore, che è quanto dire nel cuore), ne conseguita a tutta evidenza, che questo Cuore è veramente la fontana perenne e vivace d’ogni grazia: ne conseguita che in questo Cuore noi troviamo ogni cosa, che in esso sono scritte a caratteri incancellabili l’opere tutte dell’Uomo-Dio, e che in esso possiamo vedere come nel loro Principio e nel germe tutto ciò che Cristo svolse nei giorni di sua vita mortale. E qui pure non vi spiaccia, seguirmi per pochi momenti. Metto sulla palma della mia mano un granello di frumento, il seme d’un abete, il germe d’un cedro: da quel granello un giorno uscirà una spiga, da quel seme verrà un abete, da quel germe svolgerassi un altissimo cedro: dunque in quel granello è racchiusa la spiga, in quel seme si contiene l’abete, in quel germe esiste il cedro: s’io avessi l’occhio sì acuto da penetrare ogni punto, ogni atomo di quel grano, di quel seme, di quel germe, certamente vi scorgerei in embrione la spiga, l’abete, il cedro, che un giorno germoglieranno, spiegando alla luce del sole le loro foglie e i loro rami. Chi mai potrebbe dubitarne? Ebbene: nel Cuore di Gesù si racchiudono come nel loro germe tutti gli atti di quell’amore, che man mano nel corso della sua vita fioriscono nelle opere, che va compiendo: dunque in quel Cuore si precontiene tutta la serie delle sue opere, figlie tutte del suo amore: in quel Cuore pertanto io posseggo e adoro tutta quanta la meravigliosa economia della Redenzione, perché tutta scaturisce da esso come dal suo principio. Ah! dunque questo Cuore, canterò colla Chiesa, è il santuario della nuova Alleanza (Cor, Sanctuarium novi Intemeratum fœderis); è il tempio senza confronto più santo dell’antico (Templum vetusto sanctius); è il velo, che nasconde il Santo de’ santi (Velumque scisso utilius); è l’Arca, in cui l’uman genere fu salvo dalle acque inondatrici della colpa (Hoc ostium Arcæ in latere est Genti ad salutem positum) [Inni del Sacro Cuore]; è la tavola su cui Dio ha scritto la legge di grazia e di amore: è l’altare, su cui fu offerta l’Ostia di pace e di perdono e l’umanità tutta espiata e riconciliata con Dio; è il talamo in cui Cristo consumò le nozze con la sua Sposa immacolata, la Chiesa, è la porta dei cieli. – Se non che a Gesù Cristo non bastava far distillare dal suo cuore la rugiada fecondatrice dei doni celesti; Egli voleva aprire l’erario dei suoi tesori, voleva spalancarne le porte, affinchè tutti potessero entrarvi liberamente e arricchirsene a talento. E perciò, grida Agostino, ecco che il novello Adamo, punto dall’amore, che l’arde, sale il suo talamo: « Ascendat sponsus noster thalami sui lectum »; sale cioè il letto si doloroso della croce; morendo vi si addormenta: « Dormiat Morendo ». E mentre è immerso nel sonno profondo della morte, voluta per amore, gli si  apre il fianco, gli si fende il Cuore; « Aperiatur eius latus ». E che n’esce? Ne esce, qual Vergine sposa, la Chiesa a Lui inanellata nel dolore e nel sangue: « Et Ecclesia prodeat Virgo ». Così come dal fianco del primo uomo addormentato nel giardino di delizie si formò la madre dei viventi, Eva, dal fianco squarciato di Cristo addormentato sulla croce, che si innalza sul Calvario, si formò la Chiesa, la madre dei viventi secondo lo spirito: « Ut quomodo Hæva facta est ex latere facta est ex latere Christi in cruce pendentis » Graziosissima immagine ricordata da altri Padri e che la Chiesa tradusse in un linguaggio poetico che merita di essere riportato: « Dal Cuore lacerato di Cristo nasce la Chiesa che a Lui si disposa. Da questo cuore a guisa di settemplice fiume scorre perenne la grazia; affinché nel sangue dell’Agnello imbianchiamo le nostre stole »). E S. Giovanni Crisostomo, contemplando questo Cuore aperto e stillante ancora vivo sangue, rivolto al popolo, un impeto di carità, esclama: « Guarda donde emanano principalmente le acque della fede e della grazia: guarda da qual fonte derivano: esse provengono dalla croce, zampillano dal fianco, dal costato trafitto del nostro Gesù » (In Jann., Hom. 19). E veramente allorchè si aperse questo Cuore, parve atterrato l’ argine, che conteneva l’impeto del fiume d’amore, che traboccò, gittando le ultime gocce di sangue e di acqua, che doveano lavare e nutrire la Chiesa. – Ah! rispondete, o fratelli, questo amorosissimo Gesù svenato poteva più eloquentemente testimoniare la sua carità? Il suo Cuore lo trasse a patire: lo fece correre alla obbrobriosa morte della croce: ve lo conficcò, ve lo tenne, ve lo fece spirare: questo Cuore avea già cessato di palpitare e patire: non avea più filo di vita; era già freddo: ma non avea cessato di amare, anzi più che mai ardeva delle fiamme amorose, già morto vuol essere trapassato da crudel lancia per aprirvi larghissima porta e dare, sarei per dire, l’ultimo sfogo all’affocata sua carità. – Ma il Cuore di Gesù com’è per noi lo strumento e la porta, per cui esce l’amor divino e si spande incessantemente sopra tutti gli uomini, così è anche il termine, a cui noi dobbiamo tendere, la via e la porta per unirci a Dio, il punto, nel quale le anime nostre debbono stringere con Gesù Cristo il loro santo connubio: è la fonte, dice S Bonaventura, delle acque della vita e tu vi accosta le labbra e ti disseta. Ogni cosa tende necessariamente e incessantemente a ricongiungersi alla sua origine. Il pellegrino, che viaggia per terra straniera, sospira di rivedere la patria: il raggio, che batte sullo specchio, torna dritto più su al punto onde si parte: i fiumi discendono al mare donde per altre vie ritornano alle sorgenti: il fiore si volge al sole, che gli apre il seno e lo colora e il sangue, che il cuore spinge e preme per tutto il corpo, al cuore ritorna. L’amore divino a noi discende dal Cuore di Gesù, che ne è la bocca e la porta, come dicevamo: i nostri cuori adunque, attratti dal divino amore, quasi da celeste calamita, devono muoversi verso il Cuore di Gesù e in esso quietarsi come nel naturale lor centro. Io vorrei paragonare il divino amore ad un filo d’oro, col quale Gesù Cristo lega e tira dolcemente a sé i cuori degli uomini: ma questo filo d’oro donde a noi si cala? Dal Cuore di Gesù, perché esso ne è il centro e l’organo: è dunque naturale che gli uomini, legati da questo filo, siano soavemente e fortemente tirati al Cuore di Gesù e a Lui si uniscano. Né è da tacere un’altra verità, che conferma a meraviglia il mio pensiero. È cosa indubitata e manifesta per la quotidiana esperienza, che mezzo sovra ogni altro efficace per muovere altri ad amarci è il mostrar loro che noi gli amiamo: « Amor che nullo amato amar perdona », disse sapientemente il poeta filosofo e teologo: l’amore domanda amore, anzi provoca l’amore in quella stessa misura con cui si ama, Ora in qual guisa e in qual misura ci ha Egli amato Gesù Cristo? Questo Cuore ve lo dice: col suo muto, ma eloquente linguaggio ci chiama, ci invita ad accostarci a Lui, ad entrare in Lui per quella stessa via, per la quale si è dato a noi, come scrive un Santo. Quel Cuore ci narra tutta la storia dell’amore divino e col mostrarcisi ci ripete le bibliche parole: « Figliuolo, dammi il tuo cuore – fili, præbe mihi cor tuum ». E in vero per qual altra ragione Gesù Cristo ci avrebbe dischiusa la porta del suo Cuore se non per mostrarci la via della legge, l’ingresso del cielo? Gesù Cristo nel Vangelo chiama se stesso via e porta: « Ego sum via – Ego sum ostium ». So che Gesù Cristo, appropriandosi quelle parole, designava tutto se stesso e non il solo suo Cuore: so pure che tutte le piaghe della sua sacrosanta Umanità diconsi e sono porte a salvezza nostra aperte: ma so ancora, che se tutta l’Umanità di Gesù Cristo si può e si deve chiamar via e porta degli uomini, lo si dee dire eziandio del Cuore, organo precipuo della vita e membro fra tutti nobilissimo del corpo istesso. Se tutte le ferite del corpo di Gesù sono bocche e porte di misericordia e salute, come non lo è quella del suo Cuore? – Ed io credo che non senza altro mistero Gesù Cristo volesse che l’ultima delle sue ferite fosse quella del Cuore per significare, che tutte le altre erano state aperte dal suo Cuore istesso, ma che sembravano troppo anguste alla sua carità e che questa del Cuore era la via regia, che rimaneva aperta a tutti gli uomini e introduceva nel santuario stesso dell’amore. Gesù ha fatto come colui, che riserba per ultimo il dono più caro e più prezioso, qual compimento e  corona di tutti gli altri. – Qual meraviglia, pertanto, che la Chiesa riconosca adombrato il Cuore di Gesù in quella porta che Noè per ordine di Dio aperse nel fianco dell’Arca noetica, per la quale entrò il Patriarca con tutta la sua famiglia e fu salvo dalle acque del diluvio? Qual meraviglia che i Santi a gara ci esortino ad entrare in questo Cuore per unirci a Dio e santificarci? Essi lo chiamano il tempio della Divinità, il santuario della grazia, come S. Bernardo: lo chiamano l’erario e la miniera inesausta dei doni più eletti, il porto del paradiso, come S. Bonaventura. Essi lo paragonano al nido, in cui la Chiesa qual tortorella gemente ripone e assicura contro le insidie del nemico i suoi teneri nati, finché mettano l’ali e venga il tempo d’inviarli al cielo; così S. Tommaso da Villanova. Essi lo appellano la dimora dei vergini, la rocca in cui si riparano le anime fuggiasche dal mondo, l’asilo della pace, della speranza, il rifugio dei peccatori. – Ah! esclamerò con Agostino: « Longino, il soldato che trafisse il fianco di Gesù, colla sua lancia mi aperse il cuore di Lui; io vi entrerò e vi riposerò sicuro e tranquillo – Longinus mihi aperuit latus Christi et ego intravi et requiesco securus ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXVIII: 21

Impropérium exspectávi Cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni

[Obbrobrii e miserie si aspettava il mio Cuore; ed attesi chi si rattristasse con me: e non vi fu; cercai che mi consolasse e non lo trovai.]

Secreta

Réspice, quǽsumus, Dómine, ad ineffábilem Cordis dilécti Fílii tui caritátem: ut quod offérimus sit tibi munus accéptum et nostrórum expiátio delictórum.

[Guarda, Te ne preghiamo, o Signore, all’ineffabile carità del Cuore del Tuo Figlio diletto: affinché l’offerta che Ti facciamo sia gradita a Te e giovi ad espiazione dei nostri peccati].

Præfatio
de sacratissimo Cordis Jesu

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui Unigénitum tuum, in Cruce pendéntem, láncea mílitis transfígi voluísti: ut apértum Cor, divínæ largitátis sacrárium, torréntes nobis fúnderet miseratiónis et grátiæ: et, quod amóre nostri flagráre numquam déstitit, piis esset réquies et poeniténtibus pater et salútis refúgium. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus.

 [È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai voluto che il tuo Unigenito, pendente dalla croce, fosse trafitto dalla lancia del soldato, così che quel cuore aperto, sacrario della divina clemenza, effondesse su di noi torrenti di misericordia e di grazia; e che esso, che mai ha cessato di ardere d’amore per noi, fosse pace per le anime pie e aperto rifugio di salvezza per le ànime penitenti. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine: Santo …]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes XIX: 34

Unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.

[Uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua.]

Postcommunio

Orémus.
Prǽbeant nobis, Dómine Jesu, divínum tua sancta fervórem: quo dulcíssimi Cordis tui suavitáte percépta;
discámus terréna despícere, et amáre cœléstia:

[O Signore Gesù, questi santi misteri ci conferiscano il divino fervore, mediante il quale, gustate le soavità del tuo dolcissimo Cuore, impariamo a sprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare flagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitæ cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; 7 anni nel giorno della festa – Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. –

Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, 7 anni, e se confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

DEVOZIONE DELLE MANI DIVINE DEL NOSTRO SALVATORE

Devozione de:

LE MANI DIVINE DEL NOSTRO SALVATORE

Opera di Zelo e di Riparazione

Come devozione privata.

(Estratto dal libro omonimo pubblicato nel 1894, con Nihil Obstat, ed Imprimatur, di prossima pubblicazione sul blog tradotto in italiano.)

Aiutiamo il nostro Santo Padre il Papa (il regnante Gregorio XVIII-ndt. -) e tutte le Nazioni della Terra per mezzo delle Mani Divine del nostro Salvatore.

Litanie in onore delle Mani Divine di nostro Signore.

(Approvate dal cardinale Donnet, arcivescovo di Bordeaux, nel 1865, e dal cardinale Deschamps, arcivescovo di Malines).

Recitare queste Litanie con cuore contrito, profondamente addolorati per i dolori di nostra Madre Chiesa.

Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, abbiate pietà di noi e perdonate i nostri numerosi peccati. (3 volte).

Mani Divine, degnatevi di umiliare i nemici della Chiesa, e del nostro Santo Padre Papa. (n. b.).

Sacro Cuore di Maria Immacolata e Madre della Grazia, implorate le Mani Divine di nostro Signore perché siano umiliati i nemici della Chiesa e del nostro Santo Padre il Papa.

San Giuseppe, Sposo della Madonna, chiedete alle Mani Divine del Nostro Salvatore ché siano umiliati i nemici usurpanti del nostro Santo Padre il Papa. (3).

Rp.: Pregate ché le Mani Divine del nostro Salvatore umilino i nemici usurpanti(*) del Santo Padre.

(*) [precisazione del trad. riferita alla situazione odierna che vede “gli” antipapi usurpare la cattedra di s. Pietro nel silenzio e con la complicità di chi sa e finge di dormire.]


San Gioacchino, Padre della Beata Vergine,  pregate …..
Sant’Anna, Madre della Beata Vergine, pregate ….
San Michele Arcangelo ….
San Gabriele ….
San Raffaele ….
O quattro Arcangeli, che in unione con San Michele, San Gabriele e San Raffaele, circondate il trono dell’Altissimo, ….
Santi Serafini, ….
Santi Cherubini, ….
Sacri Troni, ….
Sante Dominazioni, ….
Sante Virtù, ….
Sante Potestà, ….
Santi Principati, ….
Santi Arcangeli, ….
Santi Angeli, ….
San Giovanni Battista,
San Pietro, (3 volte con la risposta)
San Paolo, …
San Giovanni, l’amato Discepolo, …
Santi Apostoli, …
Sant’Ireneo, …
Sant’Agostino, …
San Francesco di Sales, …
San Domenico,…
San Francesco d’Assisi, …
Sant’Antonio da Padova, …
San Pietro d’Alcantara, …
Sant’Ignazio di Loyola, …
San Francesco Saverio, …
San J. Francesco Regis, …
San Vincenzo de’ Paoli,
S. Teresa, (3 volte con la risposta)

Tutti voi Santi di Dio, chiedete alle Mani Sante di umiliare i nemici del Santo Padre.

℣. Che la tua mano sia sull’uomo della tua mano destra:
℟. E sul figlio dell’uomo che Tu stesso hai confermato.

Oremus:

O Dio Onnipotente! Con grande umiltà ti supplichiamo di liberarci dagli usurpanti operatorii d’iniquità, mentre poniamo tutta la nostra fiducia nelle Mani Divine di nostro Signore Gesù Cristo, tuo amato Figlio, che vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, unico Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

[N.B. — Le Litanie di cui sopra possono essere recitate per qualsiasi altra intenzione. È sufficiente modificare l’intenzione per la quale vengono offerte.]

Promesse per coloro che sono devoti alle Mani Divine del nostro Salvatore.

Gesù Cristo disse a questo santo uomo: “Pubblica e lascia che altri proclamino ciò che Io farò

– 1. “Verserò grazie eterne sulle anime di coloro che pregheranno le Mie Mani Divine.

– 2. “Verrò a soccorrere i moribondi che avranno pregato le Mie Mani Divine.

– 3. “Io convertirò il peccatore dal quale sono state invocate le Mie Mani Divine.

4. “Darò beni temporali alle famiglie povere che pregheranno le Mie Mani Divine.

5. “Fortificherò e rafforzerò coloro che invocano le Mie Mani Divine.

– 6. “Curerò i malati che invocano le Mie Mani Divine.

– 7. “Libererò rapidamente dal Purgatorio le anime che, quando erano sulla terra, hanno invocato le Mie Mani Divine.

8. “Libererò da tutti i pericoli coloro che invocano le Mie Mani Divine”.

(“Le Mani Divine del nostro Salvatore, Opera di Zelo e Riparazione, Come devozione privata”, 1894 d.C., Nihil Obstat, Imprimatur.)

IL SACRO CUORE (43)

IL SACRO CUORE (43)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE SECONDA.

CAPITOLO IV

RIASSUNTO E CONCLUSIONE

I

CONFRONTO DI QUESTA DIVOZIONE CON ALTRE

I misteri particolari  e il fondo dei misteri; gli atti e il  principio dell’azione.

Tutte le divozioni, che hanno per oggetto i misteri di Gesù si rivolgono alla Persona adorabile di Gesù, ma la riguardano o in uno stato, o in un fatto della sua vita. A. Natale onoriamo Gesù Nascente; nella Passione: Gesù penante; a Pasqua Gesù resuscitato etc. La divozione del sacro Cuore non si fissa a nessun mistero di Gesù, né a uno stato speciale della sua santa vita. Ma tutti, però, sono dominio di questa divozione in ciò che hanno di più intimo, perché essa vi studia il suo amore; i suoi sentimenti e le sue virtù. Essa va dunque in fondo ad ogni mistero per cercarne l’anima, per approfondirne lo Spirito ed averne, così, l’ultima spiegazione. Così, diceva il postulatore del 1765, con la festa del sacro Cuore (e si può dire altrettanto della divozione), « non ci si rappresentano solamente delle grazie Speciali, ma ci si dischiude internamente tutta la grande Sorgente di tutte le grazie. Non vi si ricorda un mistero particolare, ma vi si propone la meditazione e l’adorazione di tutti i misteri. Tutto quel che vi ha di misteri e di grazie nell’intimo di Gesù è nei segreti del suo cuore; tutti i beni che son venuti agli uomini da questo amore dell’amantissimo Redentore; tutto quello che la interna passione di Cristo… offre ai nostri sguardi e al nostro amore, tutto questo è rappresentato dalla festa del sacro Cuore, tutto vi è ricordato, tutto onorato » (Replicatio, n. 20: in Nilles, L. I, parte I, c. III, § 3, t. I, P. 146). – Da ciò si può comprendere quello che ci dicono i predicatori della convenienza liturgica della festa e il posto che tiene nel ciclo annuale. Questa festa sprigiona come l’essenza, il succo di tutti i misteri speciali di cui la liturgia ci ha ravvivata la memoria, e si capisce quello che essi ci dicono dell’eccellenza di questa devozione, sia che se ne riguardi o l’oggetto, o la fine, o l’atto proprio. – Senza seguirli in questi sviluppi del loro pensiero ci accontenteremo d’indicare come la divozione al sacro Cuore, sia un riassunto chiaro e profondo, una espressione viva e parlante, la formula la meglio indovinata dell’essenza stessa del Cristianesimo,

II.

IL SACRO CUORE E L’ ESSENZA DEL CRISTIANESIMO

Il Cristianesimo, Religione di Gesù; il Cristianesimo religione d’amore. Formula eccellente della divozione al sacro Cuore.

Che cosa è, infatti, il Cristianesimo nella sua intima sostanza? È insieme la Religione di Gesù, la Religione dell’amore, poiché Gesù e l’amore non formano che uno in una fusione ammirabile.

La Religione di Gesù. Riguardiamo le cose in Dio. Egli non ci conosce, per così dire, e non ci ama che in Gesù, nel solo mediatore fra Lui e noi; Egli non gradisce i nostri Omaggi, che presentati da Gesù; non vi è altro commercio fra Lui e noi, che per mezzo di Gesù, e, può dirsi, che non esistiamo per Lui, nell’ordine soprannaturale, che in Gesù, e per Gesù. Riguardando, ora, da parte nostra, noi non siamo salvi che per Gesù; non conosciamo il nostro Padre celeste che per mezzo di Gesù; non possiamo amarlo che per Gesù; non viviamo della vita soprannaturale che in quella misura che diveniamo uno con Gesù. Egli è veramente il tutto della nostra Religione, il tutto della vita cristiana. Ebbene! Nulla ci dà Gesù, ce lo fa conoscere ed amare intimamente in se stesso, ci mette in rapporto stretto e personale con Lui, ci fa vivere di Lui e in Lui, come la divozione al sacro Cuore. Non è essa forse, fra Lui e noi, quella fusione dei cuori che ne fa uno solo di due? Con il sacro Cuore abbiamo tutto Gesù. – Come è dunque possibile poter trovare qualcosa di più espressivo, di più efficace? San Giovanni Crisostomo riassumeva san Paolo, dicendo: « Il cuore di Paolo è il cuore di Cristo ». La divozione al sacro Cuore fa del cuore cristiano il cuore di Gesù.

La religione dell’amore. Si è definita la Religione come l’incontro di due amori. Come religione, non è precisamente questo. È affare di dovere, di riconoscimento dei rapporti essenziali tra Dio e noi. Ma questi rapporti, per non riguardare che la natura delle cose, non sono rapporti di amicizia; sono piuttosto apporti di padrone e di Servo, di Creatore e di creatura. Perché siano possibili rapporti di amicizia, fra Lui e noi, occorre una volontà speciale di Dio, che c’innalzi all’ordine soprannaturale, una effusione dello spirito di adozione, che ci permetta di dire « Padre mio » a quegli che, adottandoci, vuol ben chiamarci suoi figli. Ma, se la Religione, come tale, non può chiamarsi « l’incontro di due amori », il Cristianesimo lo può, ed è questa una delle idee più belle, più vere che se ne possa dare. Da parte di Dio, è un grande sforzo d’amore per vincere il nostro amore. Lo si è definito una grande misericordia, perché viene in soccorso di una grande miseria. Ma questa. Misericordia stessa, da dove viene? Dall’amore. La prima come l’ultima parola delle vie di Dio su di noi, è l’amore. A che cosa dobbiamo Gesù? All’amore: Sic Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret. A che cosa dobbiamo la passione e la redenzione? All’amore, Dilexit me, et tradidit semetipsum pro me. Tutto il mistero di Gesù si presenta come un supremo sforzo d’amore: Cum dilexisset suos qui erant in mundo, in finem dilexit eos. E la Chiesa tutta, coi Suoi sacramenti, e la sua magnifica organizzazione, per propagare nel mondo la grazia è la verità, non è altra cosa che una invenzione d’amore. Dio ha voluto che la prima condizione del governo ecclesiastico sia l’amore, l’amore per Iddio traboccante in amore sugli uomini. Amas me? Pasce agnos meos. Egli ha voluto che la prima legge imposta ai fedeli fosse la legge dell’amore. È il gran comandamento; se si osserva questo tutto andrà bene. Dilige, et quod vis fac (Si dice generalmente: ama et fac quod vis. La formula del testo è la formula stessa di Sant’Agostino. In epist. Joannis ad Parthos, tr. VII, c. IV, n. 8, Migne, t., XXXV, col. 2033. Indicazione dovuta alla erudita cortesia dell’abate Urbain).E pure dalla parte dei fedeli tutto converge all’amore. La legge, lo abbiamo veduto, si riassume nell’amore; la fede cristiana, al dire di San Giovanni, si caratterizza; come la fede, nell’amore: Et nos credidimus caritati. Tutta la vita cristiana consiste nel vivere in Gesù per l’amore; e la perfezione cristiana si definisce come l’unione dell’amore e la trasformazione amorosa in Gesù. La Religione cristiana, dunque, si riassume tutta nell’amore. Ma ciò significa che si riassume tutta nel sacro Cuore poiché la divozione al sacro Cuore è interamente divozione all’amore, divozione d’amore.Infine il Cristianesimo non è già Gesù, o l’amore, come fossero due cose distinte. È l’amore di Gesù per noi, è il nostro amore per Gesù; è l’amore di Dio per noi in Gesù, e il nostro amore per Iddio in Gesù. Non è forse un ridire con ciò in altri termini che il Cristianesimo è tutto intiero nel sacro Cuore?Senza dubbio, non è questa una formula necessaria, ma chi può negarle di essere una formula ammirabile, concisa, luminosa e singolarmente espressiva, siccome quella che parla e allo spirito, all’anima e agli occhi? Mons. Pie lo diceva sino dal 1857: « il Cristianesimo non saprebbe identificarsi così assolutamente con nessun altra devozione, come con quella del Sacro Cuore ». E Mons. Dubois lo diceva non è molto, nella sua bella pastorale (Lettera Sinodale, Dicembre 1857, Oevres, t. III, pag. 42) sul culto del sacro Cuore. « Tutta la Religione è qui, perché è la Religione dell’amore divino. La nostra fede crede a questo amore, principio di tutti i nostri misteri; la nostra morale vi risponde, ciò che è il compimento della legge » Questo culto è dunque con certezza, secondo la parola di Mons. Dubois, « il riassunto e come l’essenza medesima del Cristianesimo » (Lettera Pastorale, riprodotta nella Revue du Clergè français, 1903, t. XXXIV, pag. 646 e segg.). Non vi ha luogo di meravigliarci, se è così, delle magnifiche promesse di Nostro Signore alla beata Margherita Maria in favore dei devoti del Sacro Cuore. Che cosa non possiamo aspettarci da un tale amore? – Ciò può aiutarci a comprendere la parola singolarmente ardita della beata Margherita Maria. Che il Sacro Cuore, cioè, è come un nuovo mediatore, nuovo mediatore si intende come manifestazione nuova dell’eterno ed unico Mediatore, che fa come un nuovo dono di se stesso, dandoci il suo cuore che ci discopre: mediatore per mezzo del quale andiamo a Gesù, e troviamo Gesù, come per Gesù andiamo al Padre suo, e in Gesù troviamo Dio. Ciò può aiutarci anche a comprendere come Leone XIII abbia designato il sacro Cuore come il labarum dei nuovi tempi. Non che la croce debba sparire ed eclissarsi davanti al cuore, ma il cuore ci fa comprendere e conoscere meglio la croce; ci fa penetrare fino in fondo del mistero della redenzione, ne fa discendere, fino a noi le grazie della salute. Il regno del sacro Cuore nelle anime assicura il regno d’Iddio sulla terra (Vedi prima parte, c: II, §7. p. 43-46).

IL SACRO CUORE (42)

IL SACRO CUORE (42)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero”, 1919]

PARTE SECONDA.

CAPITOLO III

L’ATTO PROPRIO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE

Una divozione sì specifica sopra tutto per il oggetto; ma è pur sempre un insieme un insieme di idee, di sentimenti, di pratiche, in relazione con quell’oggetto. Per conoscerla sempre meglio, vi bisogna dunque studiarla anche da questa parte, domandandosi quale è l’atto proprio della devozione al Sacro Cuore. La risposta può dedursi  dall’oggetto e dal fine della devozione, questo fine essendo determinato dalla natura dell’oggetto. Ma, per non procedere unicamente a priori, dovremo pure esaminare i testi ed i fatti (V. sopra – I parte, c. III § 2 – i testi della santa, sullo spirito della devozione). – La questione dell’atto proprio potrebbe esprimersi benissimo così: Quali sono il carattere e lo spirito proprio della devozione al sacro Cuore, quali ne sono le pratiche speciali, secondo quale spirito e questo carattere? Si può riferir tutto a questi due capi: fine e atto proprio delle devozione, spiegandone lo spirito, le pratiche e il carattere.

I.

SCOPO DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE

L’amore vuole amore. L’amore sconosciuto vuole amore riparatore.

Quando Gesù mostrava alla beata Margherita Maria il suo cuore infiammato d’amore per gli uomini e, incapace di contenere più a lungo quelle fiamme che lo consumavano, e desideroso di far parte a, tutti delle ricchezze del suo cuore, che cosa voleva? Attirare l’attenzione degli uomini su questo amore, indurli a rendergli omaggio, invitarli ad attingere in questo cuore infinitamente ricco. Se, al dire della santa, Egli si compiace grandemente di essere onorato sotto la figura del suo Cuore di carne, che scopo vuole che ci proponiamo nel rendergli questo onore? Si tratta del fine preciso e prossimo della divozione, non già del fine ultimo e generale che è, evidentemente, la gloria di Dio e la santificazione delle anime. Egli vuole che ci proponiamo di onorare il suo amore e di corrispondergli, rendendo amore per amore. La manifestazione del sacro Cuore alla beata Margherita Maria è la ma-nifestazione dell’amore. Si può dunque collegare tutta la devozione a questo. Da una parte, un amore che reclama corrispondenza d’amore, un amore tenero, esuberante, che vuole ricambio proporzionato d’amore; dall’altra parte l’amore che risponde all’invito dell’amore, l’amore desideroso di non essere troppo al disotto dell’amore immenso che l’ha prevenuto e lo provoca. Se la divozione al sacro Cuore, secondo la parola di Pio VI, ci conduce a venerare l’immensa vita e il prodigo (effusum) amore di nostro Signore per noi, è evidente che ciò serve ad accendere il nostro amore a questo focolare dell’amore. Il ehe è evidente. Ricorderò qualche testo soltanto per mostrare che è proprio così. La beata scriveva al P. Croiset: « Mi si mostrava di continuo un cuore che gettava fiamme da ogni parte, con queste parole Se tu sapessi quanto io abbia sete d’essere amato dagli uomini tu non risparmieresti nulla per questo…. Io ho sete, io ardo dal desiderio d’essere amato » (Lettres inédites, VI, p. 18o rivedute su G. c. XXXV, 600). E precedentemente aveva scritto alla madre de Saumaise: « Egli vivrà malgrado i suoi nemici, e si farà padrone e possessore dei nostri cuori e ne prenderà possesso; perché il fine principale di questa divozione è di convertire le anime all’amor suo » (Lettres, 1, VII (LIX); t. Il, p. II (132); G. LXV, 355). E ancora al P. Croiset: « Egli mi fece vedere che il suo ardente desiderio d’essere amato dagli uomini…. gli aveva suggerito il desiderio di manifestare il suo cuore agli uomini con tutti i tesori d’amore, di misericordia, di grazia, di santificazione e salute che conteneva, affinché tutti coloro che volessero rendergli e procurargli l’onore, l’amore e la gloria che potessero, fossero arricchiti con abbondanza e profusione di questi divini tesori del Cuore di Dio che ne è la sorgente e che si deve onorare sotto la figura di questo Cuore di carne …. Questa devozione è come un ultimo sforzo dell’amor suo che voleva favorire gli uomini in questi ultimi secoli, con questa redenzione amorosa…. per metterci sotto la dolce libertà dell’impero del suo amore, che voleva stabilire nel cuore di tutti coloro che vorrebbero abbracciare questa devozione » (Lettres IV, p. 142 rivedute su G. CXXXIII, p. 568). È ben così che l’intendevano i promotori della divozione: « Il fine della nuova divozione, diceva il postulatore del 1697, è di pagare un tributo d’amore alla sorgente stessa dell’amore » (Memoriale citato da Nilles, 1.a parte, 2.a C. 11, C. 1, p. 338.). – « Il primo fine che si ha in vista, diceva il P. Galliffet, postulatore nel 1727, è di corrispondere all’amore di Gesù Cristo » (Citato da NILLES, CC. cit. p. 340). – E il P. Croiset: « Non si trova qui, per parlare propriamente, che un esercizio d’amore: l’amore ne è l’oggetto, l’amore ne è il motivo principale, ed è l’amore che deve esserne il fine » (1.a parte, c. I, p. 3-4. Mons. DE PRESSY si esprime presso a poco nello stesso modo: « Il suo oggetto, tanto corporale che spirituale, non si riferisce che alla carità, i suoi motivi non respirano che la carità, le sue pratiche e il suo fine non tendono che ad esercitare e perfezionare la carità ». Lettera pastorale per stabilire la divozione al sacro Cuore, I c., col. 1032). – È ben così che l’intende la Chiesa. Essa dice nell’inno alle Laudi: Quis non amantem redamet? Quis non redemptus diligat? ». E nella segreta della Messa Egredimini prega cosi: « Noi vi supplichiamo, Signore che lo Spirito Santo c’infiammi dell’amore che Nostro Signore Gesù Cristo ha fatto scaturire dal suo amore sulla terra, e che ha voluto tanto vedere accendersi ». – Quando Pio IX, nel 1856, estendeva la festa del Sacro Cuore a tutta la Chiesa, fu per « fornire ai fedeli un’incitamento (incitamenta) per amare e ripagare in amore (ad amandum et redamandum) il cuore di Colui che ci ha amato ed ha lavato col suo sangue le nostre colpe » (in: NILLES, 1. 1, parte 1, c. IV, § 1, t. I, p. 167). E, quando lo stesso Pontefice innalzò la festa a un rito superiore, lo fece perché la devozione d’amore al Cuore del nostro Redentore si propagasse sempre di più e penetrasse più addentro nel cuore dei fedeli, affinché « la carità che si è raffreddata, in molti, si rianimi al fuoco del divino amore » (Ibid, p. 170). Si dice pure nel breve di beatificazione di Margherita Maria: « Gesù non ha nulla così a cuore come di accendere nel cuore degli uomini quella fiamma d’amore di cui il suo proprio cuore è infiammato. Per meglio riuscirvi, ha voluto che si stabilisse e si propagasse nella Chiesa, il culto del suo sacratissimo cuore (In: NILLES, 1. 1, parte 2, C. Il, § 2, t. I, p. 346.). La medaglia commemorativa della beatificazione, coniata a Roma nel 1864, rappresenta Gesù che mostra il suo cuore, con questa leggenda: Cor, ut redametur exhibet » (Vedi: NILLES, I. 1, p. 3a , C. 111, t. 1, p; 468.). –

Leone XIII ha ripetuti) gli stessi insegnamenti nella Enciclica del 28 giugno 1889. Egli scrive: « Gesù non ha desiderio più ardente che di vedere acceso nelle anime il fuoco d’amore da cui il suo proprio cuore è consumato. Andiamo dunque a Colui che non ci domanda altro come prezzo della sua carità, che corrispondenza d’amore ». Tutta la lettera è piena di questa idea. È qui, d’altronde, che ci riconducono sempre i documenti che si riferiscono al sacro Cuore, e nulla è più frequente che incontrare, citata in questo senso la parola del Divin Maestro: « Sono venuto a portare il fuoco nella terra, e che cos’altro desidero se non che si accenda ». Aggiungiamo che, siccome la divozione è un compenso d’amore all’amore sconosciuto e oltraggiato, così quest’amore si presenta naturalmente come un amore di riparazione. Così come vedremo, i documenti ci parlano in pari tempo e di riparazione e d’amore.

II.

L’ATTO PROPRIO DELLA DEVOZIONE

L’atto proprio della divozione al sacro Cuore; l’atto. d’amore; il suo spirito, il carattere, le pratiche. tutto si riferisce all’amore. La riparazione.

È questa una questione su la quale è discusso qualche volta. Per noi è stata già risolta da quel che precede; l’atto proprio della divozione, è, evidentemente, l’atto d’amore. Gesù ci dà il suo cuore per avere il nostro. La divozione all’amore è, essenzialmente, una divozione d’amore. La sua divisa è: Nos ergo diligamus Deum quoniam ipse prior dilexit nos (I Giov., IV, 19). E ancora: Sic nos amantem quis non redamaret? All’amore, rispondiamo con l’amore. Ma, notiamolo bene, per questo appunto che si presenta come una risposta all’amore, quest’amore ha dei caratteri speciali, determinati in gran parte dall’amore che vuol riconoscere rispondendo ad esso. – Io non parlo del colore indescrivibile che gl’imprime il sentimento sempre presente della distanza fra noi e l’Amico divino, la cognizione di ciò che Egli è e di quel che noi siamo; Egli ci mette, a suo riguardo, in una attitudine analoga a quella degli Apostoli dopo la risurrezione, al mattino della pesca miracolosa. Mangiando sotto i suoi sguardi la piccola refezione che Egli stesso aveva preparato loro non osavano domandargli chi fosse ben sapendo che era Gesù. Egli addolcisce tutte le relazioni fra Lui e noi per fondere insieme la condiscendenza infinita che senza abbassarsi discende alla più intima famigliarità, e il rispetto affettuoso che osa amare semplicemente, senza dimenticare l’audacia di rivolger in alto i propri affetti. Voglio indicare certi tratti più speciali di questo amore, tali come li richiede la divozione. È un amore reciproco che non dimentica mai d’essere amato. Se si fosse tentati di dimenticarlo, uno sguardo al sacro Cuore, ce lo ricorderebbe subito. Quest’amore reciproco è, malgrado le distanze, un amore d’amicizia, un amore di famigliarità. di fratellanza intima e tenera. Ciò dipende in parte, senza dubbio, dal fatto che l’amore del sacro Cuore per noi si presenta come un amore umano, sotto forme sensibili, alla misura, per così dire, del nostro cuore. Ma ciò dipende sopra tutto dal fatto che questo amore, essendo quello di Gesù, del Verbo incarnato, non possiamo dimenticare che Egli ha voluto immedesimarsi nella nostra famiglia per immedesimarci nella sua, e che, essendo Dio, ha voluto farsi uomo per fare dell’uomo un Dio. Quest’amore reciproco, pertanto, non dimentica che una parte ha prevenuto, che Gesù ha fatto i primi passi e che non ci resta che corrispondere. Si ferma dunque a studiare questo amore che previene e tutto quello che ha fatto; cerca, pur sapendo di non arrivar mai, di corrispondere alla tenerezza e all’ardore di quest’amore, con tutta la sua potenza di tenerezza e di ardore, alla sua generosità, con tutta la sua forza di abnegazione, disinteressata, ecc…. In una parola si sforza, in una lotta ineguale, di rispondere con la perfezione dell’amore, all’amore perfetto che l’ha prevenuto. Ma l’amore di Gesù, come si è rivelato alla beata Margherita Maria, è un amore sconosciuto e oltraggiato. Ed è questo che dà tutta la sua importanza all’atto di riparazione, al culto del sacro ‘Cuore. Questo posto fatto alla riparazione è tale che, qualche volta, sembra presentarsi come il primo atto e il più essenziale della divozione. E pertanto non è così. Prima di tutto, la riparazione, tale come ci apparisce qui, è una riparazione d’amore, non già una riparazione di giustizia e di espiazione, e si traduce per mezzo dell’ammenda onorevole che si rivolge precisamente all’amore sconosciuto e oltraggiato. L’amore è messo dunque in prima linea. Ag-giungiamo che paranco nei testi la riparazione è sempre messa al secondo posto. Vi si dice che il fine principale della divozione è l’amore; la riparazione vien dopo, e come atto speciale d’amore verso l’amore riconosciuto e oltraggiato. L’amore, la consacrazione, o dono amoroso di sé al sacro Cuore, la vita tutta per lui, e in lui, hanno un’importanza infinitamente maggiore negli scritti e nelle preoccupazioni di beata Margherita Maria, che non ne abbiano la riparazione e l’ammenda onorevole. E, se anche fosse altrimenti, non bisognerebbe, per questo, invertire l’ordine. Per la forza stessa delle cose, la riparazione non vien che dopo e come prova speciale di amore. – Altri atti, altre pratiche son care ai devoti del sacro Cuore: Comunione riparatrice, divozione all’Eucaristia, Ora santa, divozione alla Passione, ecc. Care al loro amore perché chieste espressamente da Gesù ai suoi amici fedeli, nella persona della sua amante prediletta, perché praticate o indicate da lei stessa come gradite al cuore del Divino Amico perché manifestazioni spontanee d’un amore tenero, delicato, generoso. Tutto questo proviene naturalmente dalla natura propria di questa divozione. Sono gli aspetti dell’amore. Niente è estraneo all’amore di quel che è rivelazione, traduzione ne d’amore. Ma tutto quello che si fa, tutto quello che si soffre, non si riferisce all’amore come alla sua sorgente e al suo termine. Leggete quello che dice san Paolo della carità (I Cor. XIII, 5 e segg.). Vi trovate come una descrizione della vera divozione al sacro Cuore, poiché vi trovate la descrizione del vero amore. Lo spirito della divozione è dunque uno spirito d’amore. Tutte le pratiche ne sono animate, tutte ci guidano a lui. – Dappertutto dove incontriamo la divozione al sacro Cuore incontriamo questo carattere dell’amore. – È per amore che si stringe a Gesù per studiarvi il suo amore, dalla culla al Calvario; non arrestandosi ai fatti o esteriori che per ricercarvi le tracce dell’amore. È per meglio amarlo che cerca di meglio conoscerlo. È pure per amare che compatisce alle sue pene, che gli rende omaggio vedendolo sconosciuto, che gode delle sue gioie e dei suoi trionfi come se fossero suoi, che vive di lui, infine, e si sforza di piacergli, amandolo sempre più, per innestargli il proprio amore e rendendosi sempre più amabile ai suoi occhi per soddisfare questo amore. È, a dir vero, ai predicatori e agli autori ascetici che appartiene sviluppare tutte queste considerazioni, ma era pur necessario accennarle per farsi un’idea più giusta e vera della divozione. – Le anime di vote troveranno nella loro divozione stessa di che nutrirsene e penetrarsene. Ed è a misura che se ne nutrono e se penetrano, che la loro divozione cresce e diviene in loro una sorgente inesauribile di considerazioni amorose e di amore sempre più tenero, sempre più operoso.

I MAGGIO, FESTA DI SAN GIUSEPPE LAVORATORE (2021)

TRIDUO A SAN GIUSEPPE IN OCCASIONE DI QUALCHE GRAVE FLAGELLO .

I. È con noi il Cielo sdegnato, o nostro ammirabile Protettore Giuseppe e con pesante flagello ci affligge, e percote . E a chi noi miseri ricorreremo, se non a Voi, cui la vostra amata Sposa Maria tutti i suoi ricchi tesori consegnò perché a nostro vantaggio Voi li versaste? Andate al mio Sposo Giuseppe, par ci dica Maria, ed Egli vi consolerà, e sollevandovi dal mal, che vi opprime, vi renderà felici, e contenti. Pietà dunqne, Giuseppe, pietà di noi, per quanto amor nutriste verso una Sposa cosi degna, ed amabile.

Un Pater, Ave, e Gloria.

II. Sotto la sferza noi siamo della divina Ginstizia, che va sopra di noi aggravando e raddoppiando i suoi colpi. Or qual sarà il nostro rifugio? In qual porto ci potremo noi mettere in salvo? Andate a Giuseppe, par ci dica Gesù, andate a Giuseppe, che fu da me tenuto e riverito in luogo di Padre. A Lui come a Padre ho io ogni mio potere comunicato, perché d’esso si serva vostro bene, a suo talento. Pietà dunque amore, Giuseppe, pietà di noi talento per quanto amore, portaste ad, un Figlio così rispettabile, e caro.

Un Pater, Ave, e Gloria.

III. L’ira di Dio, dalle nostre colpe provocata, sopra il nostro capo non va por rumoreggiando, ma già infierisce con nostro grave danno, e desolazione. In qual arca però ci ricovereremo noi, onde salvarci? Qual sarà quell’Iride benefica, che in tanto affanno ci conforterà? Andate a Giuseppe, par ci dica, l’Eterno Padre, a lui, che le mie veci in terra sostenne sopra l’umanato mio Figlio. lo gli affidai il figliol mio fonte perenne di grazie, ogni grazia però è in mano di Lui. Pietà dunque, Giuseppe, pietà di noi per quanto amore al grand’Iddio addimostraste, così liberale verso di noi.

Pater, Ave, Gloria.

PREGHIERA.

INFIERISCA pure il Cielo e minacci ora turbini ora procelle, ora siccità inondazioni; si scuota pure sin da’ suoi cardini la terra; e la fame, la guerra, la pe ste minaccino pare esterminio, e morte. Sol che voi, o inclito nostro Avvocato S. Giuseppe, un grado propizio a noi rivolgiate, in un’istante saranno qual polve al vento disperse e dissipate le calamită tutte, e tutti i disastri. La vostra possanza sì altamente stabilita, e fondata non solamente nel potere vastissimo di Maria vostra Sposa; ma più ancora in quello immenso ed infinito del Figliuol vostro, del vostro Dio, per sì fatto modo garantisce la nostra fiducia d’esser da Voi soccorsi, che sin d’ora si asciugano le nostre lacrime, fin d’ora cessano i nostri sospiri, e di un bel sereno rivestonsi i nostri volti. Riguardateci dunque con occhio amorevole o Protettor nostro ammirabile, e quel male, che sì fieramente ci travaglia, e per cui abbiamo a Voi fatto ricorso, anderà lungi da noi, e non tornerà più a darci molestia, ed affanno. Noi per tanto beneficio vi renderemo sempre li più devoti ringraziamenti, e finché spirito avremo e vita, non cesseranno mai di risuonare sulle nostre labbra le vostre lodi. Così sia.

ORAZIONE DA RECITARSI OGNI GIORNO IN ONORE DI S. GIUSEPPE.

Ci umiliamo dinanzi a voi, o nostro amorosissimo San Giuseppe, ed adorandovi di tutto cuore ci protestiamo di esser sempre vostri sinceri divoti. Voi però qual Padre amante sovvenitevi de’ miseri vostri figli, i quali ricorrono a voi, perché sanno, che soccorrete i vostri divoti in ogni qualunque siasi indigenza. Donateci sanità e quel tanto di vitto, e di vestito, che abbisognar possa per mantener questa vita nel divin servizio. Donateci pace e tranquillità, l’allontanamento di ogni disgrazia, e l’abbondanza di que’ beni tutti, che render ci possono lieti, e contenti. Tutto questo ci sarà grato, o nostro amabilissimo avvocato; ma soprattutto vi raccomandiamo l’anima nostra, rivestitela voi di tutte quelle virtù che vi fecero degno dell’immenso onore di essere Sposo di Maria, e di esser Padre Putativo di Gesù. Foste umile voi? Fate, che lo siamo ancor noi. Foste puro, foste mite, foste paziente? Fate, che lo siamo egualmente anche noi. Ma più di tutto vi supplichiamo, che ci arricchite l’anima di quella fede, di quella speranza e di quella carità ardentissima, di cui Voi foste sì abbondantemente ricolmo, affinché con questa veste nuziale siamo benignamente accolti a quella Real mensa che a tutti tiene .Iddio imbandita nel Cielo. Sia dunque la nostra vita sotto la vostra protezione, Giuseppe, si riguardo al tempo; sì riguardo all’eternità, e sia ancora sotto la vostra protezione la nostra morte, cosicché come voi abbiamo ad esalare lo spirito fra Gesù, e Maria. Amen.

1. MEDITAZIONE I.

Gesù il primo nostro Maestro, ed Esemplare in onorare S. Giuseppe.

1 . TUTTA la vita del Figlio di Dio nostro Redentore è un Esempio perfetto, anzi un’Esemplare Divino di nostra imitazione. Exemplum dedi vobis, ut quemadmodum ego feci, ita et vos faciatis (Johan. III.). Or se è cosi, vediamo l’esempio, ch’ei ci lasciò intorno a dovere imitarlo in ciò, che riguarda all’onore di S. Giuseppe. Egli è stato il primo tra tutti gli uomini, che l’ha onorato. Dacché ilDivin Genitore glie l’assegnò in terra insuo luogo, dedit illi Deus nomen et auctoritatem Patris, come dice il Damasceno,Gesù sempre lo riguardó come Padre; egli rese gli ossequi, più rispettosi in guisa che maggiori non glie li avrebbe potutirendere , quando stato fosse veramente suoFigliuol naturale. L’Evangelista S. Luca descrivendoci la vita di Gesù Cristo dai dodici ai trent’anni, ne fa tutta l’istoria inqueste tre sole parole. Erat subitus illis (II. v. 51). Oh misteriose parole! Qualsublime. lezione non si rinchiude in esse! È indubitato, che il Figliuolo di Dio nello spazio di que’ diciott’anni operò cosegrandi, e misteriose, e che fece una infinità d’azioni eroiche di pietà, di pazienza, di carità, di zelo, e di tutte le piùeccellenti virtù. E perché dunque non farne menzione? Forse le ignorava il Santo Evangelista? Non ebbe egli S. Luca per Maestra la Santissima Vergine, com’egli medesimo accenna, secondo i ss. Interpreti nel principio del suo santo Evangelo, che molti Scrittori l’hanno chiamato: Notariam Virginis? No, non fu dunque per ignoranza. Ma mentr’egli riduce a queste tre sole parole la più lunga parte della vita di Gesà Cristo: Erat subditus illis; bisogna dire, che Gesù fece una professione si costante di ubbidire in tutte le cose alla Ss. Vergine, e a S. Giuseppe, che sembra, che l’unica sua occupazione sia stata questa di fare l’altrui volere; ond’è, che ha voluto, che tacendosi ogni altra cosa, questa sia espressamente notata nell’Evangelo, come la più degna, la più gloriosa, la più divina.

II. Or vanne, o Anima divota in quella Santa Casa di Nazaret, ad apprendere sì bella lezione, di cui gli Angeli beati ne fanno le più alte meraviglie, e mira attentamente gli ossequi, e gli atti d’obbedienza che presta a Giuseppe come a suo Padre il Divin Figlio. Chi non resta attonito a prima vista! Attonito ammira il Mondo come alla voce di Giosuè obbediente il Sole arrestò il suo corso. Ma oh quanto maggior meraviglia si è, che alla voce di S. Giuseppe non una sola volta, ma mille e mille il Divin Sole di giustizia or si fermasse, or si movesse, e che Giuseppe dasse il moto al Creatore medesimo dell’AUrora, e del sole! Sub quo curvantur, qui portant orbem (Job. cap . IX) Di questa obbedienza del Divin Figlio a Giuseppe cosi rese testimonianza la sua Sposa Maria ss. a S. Brigida: Sic Filius meus obediens erat ut cum Joseph cosas diceret, fac hoc, vel illud, statim ipse faciebat. (Lib. 6. Revel. c. 58.) Il mio Figlinolo era cosi obbediente che appena usciva di bocca a Giuseppe: convien fare questa, o quell’altra cosa; Egli subito pronto la faceva. Non così pronta uscì dagli oscuri abissi del nulla al comando suo la luce: Fiat et facta est lux, con quanta prestezza, e alacrità egli eseguiva i cenni di Giuseppe a porgergli il martello, ed altri fabrili istromenti a segar legni, a raccogliere le schegge in bottega. Così ce lo descrivono S. Basilio nelle sue Regole, S. Giustino nel suo Dialogo con Trifone, S. Girolamo: (Ep. 47) e S. Bonaventura (L. 1. de vita Christi c. 15) Anzi si prestava in Casa a tutti gli uffici domestici ancora i più bassi. Spesse volte accende il fuoco, sovente prepara officioso il cibo. Lava i vasi va ad attinger l’acqua, e la reca dal vicino fonte; ed ora scopa la casa, dice il dotto , e pio Gersone Ora avviva, o anima cara la tua fede. Chi è quegli, che si presta sì ossequioso a Giuseppe? Miralo in Cielo nel suo Trono, come lo videil Profeta Daniele attorniato da innumerabili schiere di Angeli ossequiosi a servirlo: Millia millium ministrabant ei, et decies centena millia assistebant ei (Dan. VII.) ed osservalo qui in terra prostrato a’ suoi piedi, più che Giacobbe riverente al suo Giuseppe, aspettar i snoi ordini per eseguirli. Che te ne sembra?

COLLOQUIO.

Eccomi, o gran Patriarca, che io oggi, vi eleggo per Padre mio, prostrato insieme col divin Figlio a prestarvi riverente i miei omaggi. In voi ebbe compimento quel sogno misterioso dell’antico Giuseppe, che fu vostra figura; mentre non solamente a Voi prestò i suoi ossequj il Divin Sole, ma ancora la mistica Luna Maria sua Madre. Se l’esempio di Giacobbe in ossequiare il Figlio esaltato al secondo trono di Egitto ebbe forza ad animare i suoi Figli ad essergli obbedienti, ed ossequiosi; come l’esempio di Gesù, che seco nella stessa carriera tirò la bella Luna la Madre sua non tirerà ancor me vostro fratello? Deh! Voi non mi sdegnate, rammentatevi, che quell’antico Giuseppe non isdegnò i sleali suoi fratelli, ma pieno di amore li accolse, li protesse, li nutri, e salvò dalla fame, e dalla morte. Casi Voi, che avete cuore, e potere più grande, non isdegnate ma benché indegno, e sconoscente. Ammettetemi nel numero de’ vostri clienti. Siate da oggi in poi il mio Padre, il mio Avvocato, il mio Protettore; mentre per tale io vi eleggo, ed esser voglio vostro Figlio, e Cliente fino all’ultimo mio respiro. Amen.

Frutto . Obbedienza ai Genitori, ed a tutti i Snperiori. Eum parentis honore coluit, omnibus filiis exemplum tribuens, ut subjiciantur parentibus: Gesù onorò come Padre Ginseppe, dando così esempio a tutti i Figlinoli, onde sieno soggetti ai loro Genitori scrisse Origene, Hom. 20. in Luc.

Ossequio. Fare qualche atto speciale di riverenza prostrandosi avanti le sagre immagini della B. Vergine, e di S. Giuseppe. – Volo, ut omni die specialem facias reverentiam laudum B. Virgini, et S. Josepho devotissimo Nutritio meo: Voglio, che tu ogni giorno faccia special riverenza di lodi alla B. Vergine, ed a S. Giuseppe devotissimo mio Nutrizio, disse il Signore a S. Margherita da Cortona. Ap. Bolland. 22. Feb.

Esempio. Tutti i Fedeli debbono prestar riverenza a S. Giuseppe, ma in modo specialissimo dovrebbero venerarlo i Capi di Casa per la bona condotta della loro famiglia, da che questo Santo fu da Dio costituito Capo, e Signore della sua Sacrosanta Famiglia su questa terra. I figli son senza dnbbio i mobili più preziosi delle case Cristiane; onde il loro buon riuscimento dee essere il negozio dei Genitori più premuroso; perciò lo raccomandino al Patrocinio di S. Ginseppe, tanto più, che per la paterna cura, la quale Egli ebbe del Figliuolo di Dio, nella di lui Santissima Infanzia, in particolare si ha preso carico di vigilare alla custodia de’ Figliuoli, massime piccolini. Eccone una prova nel seguente esempio.  Narra il Recapito nelle osservazioni, che fa sopra il monte Vesuvio, come nell’anno 1631, apertasi quivi una larga voragine, né sboccò un tal diluvio di fuoco, e di cenere, che a maniera d’allagamento andò a scaricarsi sopra tutta la provincia circonvicina, ma molto più nella sottoposta Città detta la Torre del Greco, patria d’una donna chiamata Camilla devotissima di San Giuseppe. In tal frangente, preso in braccio un suo nipotino chiamato Giuseppe si die alla fuga per trovare scampo da quell’inondazione di fuoco; ma avendola inseguita il torrente, e chiusole il passo da un’alta rupe, che sporgeva sul mare, si vide in evidente pericolo o d’essere sopraffatta dal fuoco, o incendiata arrestandosi, o di perire nell’acqua saltando in mare. In sì dubbioso cimento la poverina, implorato l’ajuto del suo Santo Avvocato: S. Joseph, disse, commendo tibi Josephulum; Deh! San Giuseppe, prendete voi la custodia del mio Giuseppino: e senza più lasciatolo in abbandono, pensò a salvare se stessa con un salto ardito dall’alta rupe alla riva del mare. Così vedutasi a salvamento, si ricordo del suo fanciullino lasciato sullo scoglio in preda alle fiamme. Onde a guisa di frenetica smaniando qua e là correndo sopra d’un ponte, sotto cui passa il fiume Sabeto, si sente chiamar per nome, ed era appunto il caro suo nipotino che la chiamava, e venivale incontro festosetto giulivo. O Dio (esclamò la Camilla dandogli molti abbracciamenti) e chi mai ti ha potuto salvare, o figliuolo, dall’imminente rischio del fuoco? Chi poté sottrarti dal diluvio della cadente cenere? E il bambino ridente rispose; San Giuseppe, a cui mi deste in custodia: Egli mi ha preso per mano e a questo lido m’ha guidato con sicurezza Allora piena di dolci lagrime la pia Donna genuflessa ringraziò il suo amorevolissimo Protettore, il quale due prodigj avea fatto a un tempo liberando lei dalla caduta nell’acqua, e il suo nipotino dal fuoco. Che non farà dunque per noi, e per i nostri il gran Padre S. Giuseppe per liberarci dal fuoco dell’inferno  se avremo in Lui una simil fiducia?

MEDITAZIONE II.

Maria Santissima secondo Esemplare di Divozione a S. Giuseppe.

I. Mostrò Iddio all’antico Giuseppe in un Sogno Misterioso i Principi de’ Pianeti il Sole e la Luna in atto di ossequiosa adorazione inclinati davanti a lui: Vidi per Somnium quasi Solem , et Lunam et Stellas undecim adorare me. (Gen. XXXVII) Si vide un tal sogno adempito in Egitto; allor quando esaltato al secondo trono, e divenuto Giuseppe Arbitro e Padrone di tutto quel Regno, a lui prestarono il Padre significato nel Sole, e gli undici Fratelli indicati nelle undici stelle, i loro omaggi. Ma  ov’era la Madre significata nella Luna? Ella era già defunta, né poté trovarsi presente col Consorte a prestare anch’essa al fortunato figlio i suoi onori. Un altro Giuseppe era segnato nei decreti di Dio, e un’altra Donna si aspettava nel mondo; perché quel Divino oracolo avesse tutto il suo compimento. Ecco pertanto in questo avverato il tutto in ogni sua parte. Non solamente il Divin Sole s’inclina a Lui riverente, ma del pari, di concerto con esso anche la mistica Luna la Madre divina, ed ambedue gli rendettero come a lor Capo il tributo d’ogni ossequio più rispettoso; nella picciola Casa di Nazaret Gesù, e Maria sempre furono ossequiosi, ed obbedienti ai cenni di Ginsseppe. Abbiamo nella presente meditazione veduto, come si portasse Gesù con Giuseppe; or qui conside riamo come con Lui si portasse Maria. Ella sollecita di adempire perfettissimamente tutte le obbligazioni del suo stato, riconoscendosi come Sposa soggetta al suo Sposo, chi può intendere la venerazione, la deferenza, la sommissione di Lei la più Santa fra tutte le Sante donne conjugate, al suo Sposo ch’era per se stesso, attese le sue sublimi virtù, degno di venerazione, ed il più Santo fra tutti i conjugati? Sapeva la Vergine, che l’eterno Padre nelle mani di Giuseppe, come di suo Vicario, aveva data non meno la direzione del suo Figliuolo, che della Madre; perciò Ella similmente nelle mani di Giuseppe avea riposto qual pia e riverente Figliuola ogni suo arbitrio per esser governato. Giuseppe vuol che gravida si porti seco a Betlemme; ecco pronta Maria in cammino. Vuol, che seco fugga in Egitto col Bambinello; ecco Maria col suo pegno in braccio seguirne i passi per quel viaggio sì disastroso . Sette anni si ferma Giuseppe in quel paese infedele; ecco Maria, che neppure apre bocca per cercare la causa di sì lunga dimora. Intima Giuseppe il ritorno dall’Egitto in Giudea; ecco Maria, che, qual pecorella docile al suo Pastore, lo segue, contenta, che il Cielo a Lui, e non a Lei mandi gli Angeli a far palesi i suoi ordini. Ma tutto ciò è poco. Che diremo, quando poi vide il Figliuolo di Dio, che lo rispettava qual Padre, che lo serviva come Signore e che l’ascoltava come Maestro dica chi può, quanto crescesse in Maria la stima, la venerazione, l’amore verso Giuseppe? Ella gareggiava col Figlio nell’onorarlo: ma perché non poteva ella adeguare un esempio d’umiltà, che in Gesù era Divina, rimaneva confusa; e questa sua bella confusione offriva a Giuseppe in compenso di quel rispetto maggiore, che desiderava non che quale Sposa, ma quale ancella rendergli col Figlio. Quindi ella non isdegnava di apprestare a lui tutto il bisognevole, e di servirlo a mensa, e in tutto ciò, che occorresse come rivelò a Santa Brigida (Revel. L. 7. c. 35) Non dedignabar parare, et ministrare, quæ erant necesaria Joseph et mihi ipsi: altrove ci descrive anche il modo, con cui ciò faceva; Ego me ad opera sua minima humiliabam sua opera: lo mi umiliavo ad ogni minima sua opera.

II . Tal fa l’ossequio, che la gran Madre di Dio prestò in terra al Padre eletto del Salvatore. Ma qui considera , ch’Ella non paga di questo, fin del Cielo nel più alto soglio della sua gloria si è inchinata, dirò cosi, a continuarne la servitù con allettare, ed invitare i Cristiani tutti alla venerazione del suo Sposo: Non allicit Diva Virgo, ut Sponsum ejus veneremur, suscipiamus. (Hieron. Quadalup. in c. 2. Luc.): Ella fu, che nella Santa Casa di Nazaret, oggi Lanretana, dove a Giuseppe rese vivendo Maria tante testimonianze di onore, e di servitù tanto esimie, diede ordine a quel suo gran Servo (di cui faceva alta stima s. Teresa) dico il P. Baldassarre Alvarez della Compagnia di Gesù, di eleggersi S. Giuseppe per suo particolar Protettore: Ella fu, che ad un altro insigne suo devoto dell’Ordine Premostratense per nome Ermanno, mutò il nome, e gl’impose quel di Giuseppe (In ejus Vita c . 6): Ella fu, che ad uno schiavo moro in Napoli comandò, che al sacro fonte prendesse il nome di Giuseppe in memoria del suo carissimo Sposo (Surius 17 Apr.); Ella fu, che in ricognizione della gloria, la quale a questo suo Sposo aveva procurata la Santa Madre Teresa venne dal Cielo a portarle un preziosissimo donativo (In ejus vita c. 6). Ella fu,  che scoperto il Cielo, diede a vedere agli occhj di Santa Geltrude l’immensa gloria del Soglio, in cui stava assiso il suo Sposo, e le fece anco vedere come al nome solo di Giuseppe inchinavano dolcemente per riverenza il loro capo i Santi tutti del Paradiso (Revel. l. 4. 6. 12.) Or noi che faremo?

COLLOQUIO.

Eccomi, o gran Patriarca, prostrato ancor io chinarmi riverente al vostro sublime trono. Mi unisco fin da questo momento alla vostra Sposa Maria, ed a tutt’i Santi del Cielo ad asseqojarvi. Intendo di dedicare a Voi la mia servitù. Tutto ciò, che saprò fare per vostro onore, intendo di farlo in tutti giorni della mia vita; affinché voi mi assistiate sempre, ma specialmente nell’estremo momento, onde sia fatto degno di venire ad onorarvi nel celeste Regno per tutta la beata eternità. Così sia.

Frutto. Imitare gli esempi di Maria SS. e di Gesù nell’onorare S. Giuseppe, e, cercare Gesù nella loro santa unione. Se tu vuoi trovar Gesù, cercalo con Giuseppe con Maria; scrisse Origene: Tu Jesum quærens cum Joseph Mariaque reperies. Hom. 18. in Luc.

Ossequio. Onorare l’immagine di s. Giuseppe tenendola nella camera, ove si dorme, come la Santissima Vergine onora la sua persona; imitando S. Francesco di Sales, il quale nel suo Breviario altra immagine non aveva, che quella di S. Giuseppe.

Esempio. Non v’ha Immagine su questa terra che ci rappresenti con vera simiglianza il glorioso S Giuseppe. Il seguente esempio autenticamente approvato, come vale ad ispirarci fiducia nel Santo così serve ancora a darci un’idea delle sue fattezze. Ritrovavasi in Lione di Francia oppressa da mortale infermità già vicina a spirare Suor Giovanna degli Angeli Priora dell’Orsoline. Priva già di sensi esterni, ma colla mente libera si vide recato dal cielo il soccorso per mano di S. Giuseppe suo singolare Avvocato. Ed Oh! che bella vista. La sua cella le si cangiò in un piccolo Paradiso: imperocchè videsi comparire una vaghissima nuvoletta, entro cui dalla parte destra, mirò assiso un leggiadro Giovine con laminosa capelliera longa, e distesa, con in mano una candida face ma fiammeggiante; e questo era l’Angelo suo Custode. Dall’altra parte mirò il glorioso Patriarca S. Giuseppe, che con un viso più brillante del Sole, e con una maestà soprumana, non vecchio ma di età ben matura, di crine splendido sì, ma non già canuto. Il Santo con occhio pien di dolcezza prima la riguardò; indi accostatosi al letto stava, le radice pose la mano sopra la costola, ove stava la radice del male, e fattale sopra un’unzione di prodigioso liquore, disparve la visione, e nell’istesso istante l’inferma si trovò perfettamente guarita. Si levò di letto, e venuto il Medico, che temeva di trovarla morta, gli andò incontro sana e libera, qual’egli la dichiarò Ma qui non finirono le meraviglie. Poiché la guarita Religiosa sentendo qualche umidore nel la costola unta dal Santo, l’asciugò con in pannolino, e sentì, che spargeva un odore soavissimo eziandio di Paradiso a medaglie, il quale si comunicava eziandio ad immagini e corone, che gli si applicavano, operando altre guarigioni meravigliose, che qui per brevità si tralasciano. (Vide Paulum de Barry c. 12)

28.– MEDITAZIONE XXVIII.

Gesù occupato nella Bottega di Nazaret .

CONSIDERA, come nel tempo, in cui il Signore dimorò in Nazaret, ajutava il suo Padre putativo S. Giuseppe ch’era Legnajuolo, nell’arte sua per potere colle fatiche delle sue mani soccorrere ai bisogni della S. Famiglia. Ciò è manifestato dal S. Vangelo, in cui Gesù è chiamato Fabro (Marc. cap. VI.). Or chi può intendere quali fossero i sentimenti di Maria, e di Giuseppe in vedere quelle mani Divine, che fabbricarono l’Aurora, ed il Sole, maneggiar l’ascia, la pialla, ed altri rozzi strumenti, in vedere grondante di sudore quella fronte Divina, in cui si specchiano gli Angeli beati? Oh come si umiliava Giuseppe, e s’industriava ad alleviare la sua fatica! mentre dall’altra parte lo preveniva Gesù, bene intendendo ciò che avrebbe voluto fare Giuseppe. Che bella gara era questa! Un Dio, che ama obbedire, ed un’Uomo costretto a comandargli, che tutte le strade cerca di alleggerire i di lui travagli. E di Maria che diremo? Immaginati di vederla occupata nelle incombenze proprie d’una Madre di Famiglia, che non le lascia, o trascura per esser presente al suo benedetto Figliuolo. Qual sacrificio non era mai questo? Non sapea la Maddalena staccarsi dai piedi del Redentore per l’amore, che a lui portava, e per la dolcezza, che sentiva alla cara di Lui presenza. Né il Signore volle darle la pena di mandarla ad ajutare la sua Sorella, che di lei si querelava. E Maria amantissima Madre non manca di di staccarsene per attendere alle sue faccende. Oh Dio! Quest’è la mortificazione ed abnegazione più grande della propria volontà che mai si sia veduta su questa Terra.

II. Quindi impara, o anima Cristiana, che tutta la perfezione consiste in fare la volontà di Dio in ogni cosa, e perfettamente. Ecco perciò Giuseppe, per quanto ciò gli fosse arduo, comandare al Figliuolo di Dio, e tenerlo assistente nella sua Bottega. Questa era la volontà di Dio, e questa egli eseguisce continuamente. Ecco perciò Maria ora presente al Figlio ed ora da lui appartata e divisa, secondo che la voleva la medesima volontà Divina. A te come piace far questa? Oh quante anime insensate non la curano! Oh quante cieche credono di farla, e non la fanno, seguendo i loro capricci, e le immaginazioni di una falsa pietà! Quante seducono loro stesse dicendo, che sarebbero pronte a fare la volontà del Signore, ma che non sanno qual sia. Hai tu, anima cara, impegno di sapere qual sia riguardo a te la volontà Divina per eseguirla? Non hai da stentare a conoscerla. Torna a guardare Maria, e Giuseppe. Com’essi fanno il volere di Dio? Con eseguire perfettamente ciò che si conviene al proprio stato. Or questa è, e non altra, che la volontà Divina, che ognuno adempia i doveri di quello stato, in cui essa lo ha collocato. Chi per esempio trascura questi per starsene in Chiesa ancora opere le più sante, non fa certamente la volontà di Dio, ma contra quella di Dio fa la sua propria.

COLLOQUIO.

Cara Madre, o mio Giuseppe, quanto mai mi sono allontanato dai vostri esempi, coi quali si bene mi mostraste la via della perfezione adempiendo sempre perfettamente la volontà Divina! Oh Dio! E perché mai io ho così traviato? Ah si! l’intendo: solo perché la volontà di Dio non si accordava colla mia storta, ed iniqua, ebbi l’ardire di seguire questa per regola del mio vivere falsamente devoto, e conculcai quella arditamente. Ah! chi mi dà ora due fonti di lagrime per piangere giorno e notte in disordine si mostruoso! Voi Madre di Pietà, e di Misericordia: dolce rifugio de’ miseri: Voi che qual Padre, la volontà di cui volle eseguire il Divin Figlio, da lui foste tenuto qui in terra, o Glorioso S. Giuseppe, impetratemi una tal grazia e quella di far sempre in tutto e per tutto la volontà del mio Signore. Amen.

Frutto. Essere inappuntabile in eseguire i propri doveri.

Ossequio. Fare oggi il proprio dovere nell’ufficio, e nello stato proprio con ogni attenzione ad onore di S. Giuseppe.

Esempio. La Ven. Suor Margherita Teresiana, chiamata da Gesù la Sposa della sua SS.ma Infanzia, fin da fanciulla interrogata sopra a varie cose di San Giuseppe; ella dava ai quesiti risposte altissime e tanto più degne d’ammirazione, quanto più concordi a quelle, ch’hanno scritto Teologi i più famosi; tant’era penetrata per la continua contemplazione dell’eccellenze di questo Santo. Una delle belle pratiche di Margherita nelle faccende diurne del suo Convento era questa da lei medesima inculcata in una lettera ad una Monaca sua confidente: lo godo dic’ella (L. 5. c. 5.) di vederyi nell’ufficio, in cui siete. lo vi supplico di legarvi al nostro caro, ed amato Gesù Fanciullo, il quale nella Bottega non presiedeva come Capo al ļavoro, ma n’era solo per ajuto di S. Giuseppe, Unite l’uffizio vostro a quello di questo Divino Infante; attendete a riguardar la Suora, a cui vi siete data in ajuto, co me questo Bambino riguardava S. Giuseppe glorioso. Io ancora servo d’ajutatrice a una, e per quanto mi sarà possibile procurerò di rendermi fedele in questa pratica. Dopo la sua morte furono ritrovate nel suo cuore tre preziose Margherite. Nella prima era scolpita Maria Santissima con corona d’oro in testa. Nella seconda il Bambino in mezzo a due giumenti. E nella terza S. Giuseppe con manto d’ oro e con una Colomba sul capo, a’ cui piedi stava prostesa Margherita in segno del grande amore, che gli aveva portato in vita. Beato Cuore, che fosti un amoroso sacrario di Gesù, Maria, e Giuseppe. Profittiamo della pratica insegnataci da questa serva di Dio, che riceveremo ancora noi le grazie a proporzione della nostra divozione. (Razzini in ejus vita, P. Barri.).

(IL MESE DI MARZO CONSECRATO AL GLORIOSISSIMO PATRIARCA SAN GIUSEPPE SPOSO DI MARIA VERGINE

Composto dal dotto, e pio Sacerdote

GIUSEPPE MARCONI

DEDICATO ALLA SANTITA’ DI N. SIGNORE PAPA PIO VII.

ROMA MDCCCXVIII. – NELLA STAMPERIA CONTEDINI

Con licenza de’ Superiori)

IL SACRO CUORE (41)

IL SACRO CUORE (41)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi; LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE SECONDA.

CAPITOLO II.

I FONDAMENTI DELLA DIVOZIONE

I.

FONDAMENTI STORICI

Rapporto della divozione con le visioni di Margherita Maria; certezza storica di queste visioni. — Sino a qual punto vi sia interessata la teologia.

È un fatto che la divozione al sacro Cuore, tale come è stata accettata dalla Chiesa, ha ricevuto l’impulso dalla beata Margherita Maria e dalle sue rivelazioni. Vedremo che ai suoi tempi la divozione era già come nell’aria, che se ne aveva come un’intuizione, ma è pur sempre vero che l’impressione dei devoti è che la beata Margherita Maria è stata lo strumento provvidenziale scelto per sviluppare la divozione, propagare il culto e ottenere la festa. L a Chiesa, è vero, non si è appoggiata, per parlar propriamente, sulla verità delle visioni, per approvare il culto ed istituire la festa. Sono cose che si dimostrano da sé stesse, ma è sempre vero che la dipendenza storica ne è reale. Se dunque le rivelazioni fatte a Margherita Maria fossero state false, la festa, senza mancare d’appoggio, mancherebbe, però, di fondamento storico e si potrebbe dire che, in fondo, l’avremmo avuta per i sogni, di una visionaria. La Chiesa la intende così, tanto è vero che, in simili casi, si circonda di tutte le garanzie umane per assicurarsi della verità dei fatti. Le visioni della beata hanno queste garanzie; qualunque ne sia il come e la natura, che Gesù si sia servito di uno strumento di temperamento malaticcio o perfettamente sano poco importa; i fatti sono provati sufficientemente, come è provato sufficientemente il loro carattere soprannaturale, tanto da appoggiare la certezza umana per modo da potere agire e stabilire seguendo questa certezza. Fatti così ben constatati bastano nelle condizioni ordinarie; la Chiesa non ha creduto sin qui che il loro carattere soprannaturale sia ragione sufficiente per non agire in questo caso, come si agisce umanamente in casa, simile e va’ innanzi. Essa, la Chiesa, non v’impegna la sua infallibilità; ma v’impegna la sua fama di serietà, di prudenza e di discrezione. Le rivelazioni della beata, esaminate come dovevano esserlo da giudici competenti, sopportano la luce dell’indagine della verità; ese vi è negli storici qualche traccia di leggerezza, d’ignoranza e di pregiudizio, non è già nei giudici ecclesiastici che hanno ammesse le visioni e le loro realtà solo dopo maturo esame, ma invece in coloro che si rifiutano di ammetterli dopo un esame fatto in tali condizioni da non poter dare fondamento ad una seria decisione. Si leggano gli scritti della beata, la sua vita, i suoi processi di beatificazione e di santificazione, esi vedrà se le garanzie di serietà e di scienza sono con quelli che accettano o con quelli che negano.

II.

FONDAMENTI DOGMATICI

L’adorazione del sacro Cuore e l’adorazione di Gesù. La divozione all’amore.

Il fondamento ben stabilito della divozione è rischiarato dalla teologia e risulta di già da quello che è stato già detto. Il cuore di Gesù è degno d’adorazione, come tutto quello che appartiene alla persona di Gesù; ma non già considerato come separato dalla sua persona quasi non avendo nessun rapporto con essa. Non è così che vien da noi considerato. Alle accuse dei Giansenisti si era sempre risposto che si riguardava il sacro Cuore come unito alla persona del Verbo; Pio VI l’ha spiegato autenticamente nella bolla Auctorem fidei. Così cadono tutte le accuse di Nestorianismo, di idolatria, ecc. – Ma la divozione al sacro Cuore non è solo il culto del Cuore di Gesù; è il culto dell’amore. E certo, per questo capo, sarebbe una invenzione del genio, se non fosse l’azione dello Spirito Santo, sempre vivente e operante nella Chiesa. Che ammirabile idea è quella di far scaturire così l’amore di Gesù, da ogni atto della sua vita, da ogni sua parola, da tutta la sua persona adorabile! Come ben conviene, questa divozione, all’idea di Dio. che è amore e bontà, con l’idea di Gesù, apparizione vivente della benignità di Dio e del suo amore paterno, con l’idea stessa del Cristianesimo che si presenta, nel suo fondo, come una grande effusione dell’amor divino per noi! Avremo occasione di ritornare su questi pensieri; ma come non notare qui, per coloro che ricercano l’essenza del Cristianesimo, che questa essenza non è altro che l’amore di Dio per l’uomo, amore manifestato in Gesù? Ora la divozione al sacro Cuore va appunto a cercare questo amore in Gesù stesso, per accenderne il nostro amore. Nulla vi ha di più efficace per aiutarci a realizzare il voto che san Paolo formava per i fedeli. « Io, dic’egli, piego i ginocchi dinanzi al Padre da cui ritrae il nome ogni paternità (trad. dalla Vulgata), in cielo e in terra, affinché ci conceda, secondo le ricchezze della sua gloria, di esser investiti dalla fortezza del suo Spirito, in vista dell’uomo interiore; e che il Cristo abiti per la fede, nei vostri cuori, in maniera che, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi tutto quel che ha di larghezza, d’altezza, di profondità; conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ripieni della pienezza di Dio » (Eph. III, 14-20). Da questo lato, dunque, la divozione al sacro Cuore merita tutti gli entusiasmi e tutti gli elogi e Dio sa se essa ha avuto il pregio di svegliare gli entusiasmi e di attirare gli elogi. Ma la divozione al sacro Cuore, non è solo il culto del cuor di Gesù, né il solo culto dell’amore che ci ha amato sino a non vivere che per noi, sino a morire per noi, sino a darsi a noi nell’Eucaristia. Ma è il culto dell’amore, nel culto del cuore; è il culto del cuore per onorare l’amore. In questa relazione stabilita tra il cuore e l’amore sta la difficoltà principale sollevata contro la divozione. Questa relazione non è forse un errore dei vecchi tempi? Tutto ciò ci conduce alla terza questione.

III.

FONDAMENTI FILOSOFICI (1)

Il cuore organo, e il cuore simbolo. Storia della questione. — Controversie. — Situazione attuale. — Vi è pertanto un punto di relazione che ha dato origine al simbolismo. — Fatto d’esperienza la cui spiegazione deve esser lasciata al fisiologo.

(1) Su questa questione si può indicare, oltre Benedetto XIV e s. Alfonso, che saranno citati al loro luogo: J . JUNGMANN,  P. H. DE BIGAULT,  P. RAMIÈRE, ibid., t. XXXI, p. 481-801.  Soprattutto di CLAUDE BERNARD, M. RICHE, VALLET, La téte et le coeur, Parigi, 1891; LA BÉGASSIÈRE, art. cit., II col., 567-570).

Non si può negare che fra i teologi del sacro Cuore non vi è stato sempre accordo su questo punto e che non han saputo trarsi tutti, con onore, dalle difficoltà sollevate su questo punto contro la cara devozione. Qualcuno ha anche dato delle cattive spiegazioni alle quali bisogna francamente rinunziare. Ma altri, mi sembra, rinunziano un po’ troppo facilmente a dare delle spiegazioni, oppure sostituiscono alle vecchie spiegazioni delle spiegazioni nuove che mettono, forse, in cattiva luce la devozione tradizionale. Queste difficoltà non son nate oggi e non hanno aspettato il magnifico progredire della fisiologia moderna per venir fuori. Nel 1726 il P. Galliffet, « postulò » perché la festa fosse istituita, e rimise ai Cardinali e ai consultori della Sacra Congregazione dei Riti, prima il suo bel libro : De culla sacrosancti cordis Dei ac Domini nostri Jesu Christi, e poi l’opera: Excerpta dello stesso libro, ad pleniorem cognitionem causæ necessaria. Si trovò il suo lavoro, ci dice Benedetto XIV, in ogni parte eccellente, omnibus numeris absolutæ (Dei servotum Dei beatificatione, t. IV, parte 2.» , c. XXXI, n. 20, Prato, 1831, t. IV, p. 702). Il promotore della fede, che era Prospero Lambertini stesso, il futuro Papa Benedetto XIV, quantunque personalmente favorevole alla causa, fece coscienziosamente le sue obbiezioni, dice il P. Galliffet, di « avvocato del diavolo ». Una di queste obbiezioni, non fu proposta che a viva voce, e sembra che fosse quella che più commosse la Sacra Congregazione: « Aggiunsi di viva voce, scrive il Papa, che i postulatori presentavano come verità acquisita che il cuore è, come si dice, il comprincipio sensibile di tutte le virtù e affezioni e come il centro di tutta le gioie e pene intime; ma s’incontrava in ciò un problema filosofico, poiché i filosofi moderni mettono l’amore, l’odio e gli altri affetti dell’anima (animi), non già nel cuore come nella loro sede propria, ma bensì nel cervello ». E rimanda a consultare Muratori. » E perciò, continua il Papa, siccome la Chiesa non ha ancor dato nessuna decisione, sulla verità di questa o quell’altra opinione, e siccome la Chiesa si è sempre prudentemente astenuta e si astiene ancora dal pronunziarsi su queste questioni, insinuai rispettosamente che non bisognava acconsentire a una domanda fondata soprattutto sulle opinioni degli antichi filosofi, in contradizione coi moderni » (Loc, cit,. p.705). In conseguenza (his cohœrenter) la risposta fu aggiornata, ciò che, infine, equivaleva a risparmiare un rifiuto (1727). Ma, avendo i postulatori insistito nel loro punto di vista, il rifiuto non tardò a venire (1729). Sant’Alfonso de’ Liguori vede in questo, egli pure, la principale causa della sconfitta (« Secondo la mia umile maniera di vedere, il buon Padre non raggiunse il suo scopo perché, nella sua supplica, si appoggiò su di un punto dubbio, dandolo per certo ». Novena del Cuor di Gesù. Vedi: Opere complete di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, t. III, p. 457, Parigi, 1835). Si constata, infatti, che il P. Galliffet faceva molto largamente parte al cuore nella produzione stessa degli affetti. In seguito acquistò una maggior prudenza. Si distinsero i fatti tenuti per certi dalle spiegazioni incerte (Si veda in NILLES, t. I, part. c. II, § 4, n. 4, pag. 73; c. III, § 2, p. 150). Però, anche nell’esposizione di questi fatti dati per certi, si venivano a mescolare, senza pur rendersene conto, delle asserzioni erronee; ma era ormai solidamente basato il principio che la Chiesa poteva pronunziarsi sulla divozione senza farlo sulle opinioni contestate. Ed è questo che Essa ha fatto. – Era ben difficile, non pertanto, che nei considerando che la Chiesa unisce ai grandi atti della sua autorità, non venisse qualcosa a tradire il flusso e riflusso dell’opinione scientifica in questa materia. Se ne può, infatti, afferrare qualche traccia leggera in una parola, nella preferenza data a una espressione. In generale, Essa ha evitato le espressioni contrastate, come coprincipium, come pure, io credo, organum; l’abbiamo veduta sostituire, in un caso, la parola symbolum alle parole fons e origo, che le si erano proposte; ha usato la parola sedes, per esprimere un fatto d’esperienza, il contraccolpo  dei nostri affetti nel cuore (Veggasi più sopra, c. I , § 6). Grazie a questa prudenza, le nuove opinioni dei fisiologi si sono sostituite, a poco a poco, alle antiche opinioni, senza che la divozione al sacro Cuore se ne sia trovata punto compromessa. Si sono lasciati gli scienziati ricorrere, per la spiegazione della sensibilità, non più al cuore, ma al cervello e al sistema nervoso, l’uno facente funzione di ricevere e dì trasmettere, l’altro servendo di filo di trasmissione; e si è continuato a parlare, come altra volta, del cuore che soffre e che ama, che si commuove palpitando più forte, che si agghiaccia restringendosi, perché il linguaggio abituale non pretende dare spiegazioni scientifiche, ma esprimere, in modo da esser compreso, un fatto d’esperienza. Così la scienza e la divozione andavano ciascuna per la sua via senza quasi conoscersi; e se, qualche volta, s’incontravano non si urtavano però quasi mai. Qualche medico materialista lanciava bensì, di tratto in tratto, qualche ingiuria grossolana contro la divozione, ma si era così abituati all’ingiuria e all’ignoranza da quella parte che non ci si faceva attenzione.

FONDAMENTI FILOSOFICI

Qualche volta, ancora, qualche teologo cercava di spiegare il culto del sacro Cuore secondo qualche nuovo dato della scienza. Così il P. Jungmann, professore all’università di Innsbruck, nei suoi Fiinf Sàtse. Così suo fratello, l’abate Bernardo Jungmann, professore all’Università di Louvain, nelle sue tesi sul sacro Cuore. Questi ritocchi alle vecchie spiegazioni, pertanto, erano fatte con mano leggera e discreta, e l’insieme dei teologi ne profittava per evitare qualche errore d’espressione, per delineare con maggior precisione il senso e l’importanza del culto. Nel febbraio 1870 il P. Bigault esponeva negli Études le idee del P. Jungmann, e nessuno vi trovò da ridire. L’urto, nondimeno, avvenne fra la scienza e la pietà. La condizione d’un accordo durevole si è che ciascuno impari a conoscere i limiti del suo dominio e vi si fortifichi, per lasciare il vicino a spaziare nel suo a suo piacere. Sino dal 1874 il P. Ramière, negli Études, si preoccupava di certe opinioni di Claudio Bernard sulla fisiologia del cuore (Citato da RICHE, Les jonctions de l’organe cardìaque, Paris). Fu peggio assai quando Riche, prete di san Sulplizio, pubblicò Les Merveilles du coeur (Paris 1877), e Le coeur de l’homme et le sacre coeur de Jesus (Paris 1878). Riche faceva sue le nuove spiegazioni dei fisiologi e demoliva così quelle che erano pur state accettate, in molti libri, sul sacro Cuore. È possibile, d’altronde, che le sue spiegazioni fossero insufficienti e che non lasciasse più al cuore la parte che gli spetta. Il P. Ramière credé compromessa la sua cara divozione ed entrò in lotta contro Riche. La polemica ebbe, come accade sempre, degli scatti riprovevoli; le anime devote ne furon turbate, e Pio IX intervenne « perché si cessasse ogni polemica sul sacro Cuore, giudicando il momento inopportuno per fare, fra i Cattolici, delle discussioni su questo soggetto ». In ogni modo la polemica però, come sempre, non mancò di portare buoni risultati. Nessuno, io penso, scriverà più « che il Cuore di Gesù è l’organo principale degli affetti sensibili del Verbo incarnato; che è il principio delle sue virtù, il focolare e la sorgente della sua carità », che « la funzione eterna del cuore è di ricevere le impressioni di questo amore e di produrne gli atti »; che « nello stesso modo che l’anima pensa e giudica per mezzo del cervello, è pur essa che sente, che ama, che si commuove per il cuore, come è essa stessa che vede per gli occhi ». Nessuno, soprattutto, potrà pretendere che la divozione al sacro Cuore sia essenzialmente interessata a questa questione, né che « la divergenza delle opinioni, su questo punto, non abbia servito che a ritardare sino al giorno d’oggi il trionfo della beata Margherita Maria e l’inaugurarsi del regno sociale del sacro Cuore di Gesù », e neppure che sostenere questa opinione sia « vendicare la tradizione, la Chiesa e i suoi dottori, Gesù Cristo medesimo e la beata, Pio IX e i teologi che hanno insegnato questa verità » (Testi citati da TERRIEN, p. 53-54). – A questa affermazione poco illuminata basta opporre i testi. È come simbolo d’amore, non come organo d’amore, che la divozione è stata approvata e ha progredito, Il Cardinale Gerdil, che già combatteva le spiegazioni del P. Feller, sul senso puramente metaforico da darsi alla parola cuore, nella divozione, approvava volentieri questa frase di Mons. Albergotti: « L’unica ragione, per la quale la sacra Congregazione ha creduto dovere accordare l’ufficio e la Messa propria del sacro Cuore, si è che esso è il simbolo dell’amore di Gesù Cristo » (Risposta p. 419). Quelli stessi che son più attaccati alle vecchie opinioni ne convengono; così il P. Emanuele Marquez, nella sua Defensio cultus SS. Cordis, scrive: « La festa del sacro Cuore ce lo presenta come un simbolo d’amore; essa non è un’altra cosa che una festa in cui la carità di Cristo è onorata sotto il simbolo del suo cuore. Ora una siffatta festa non suppone nulla di falso o d’incerto. Infatti che cosa ci abbisogna per provarlo? Una cosa sola, e cioè che questo cuore simbolizza realmente la carità di Gesù ». E, rispondendo direttamente all’obbiezione che il cuore potrebbe non essere l’organo dell’amore sensibile, scrive: « La risposta è facile. Né la festa, né la divozione del Cuore di Gesù riposano sull’opinione che assegna al cuore la parte di organo nella produzione dei nostri sentimenti. E infatti e la festa e il culto suppongono come unica condizione il simbolismo del Cuore di Gesù. E ciò non è punto contrastabile per qualunque opinione si voglia abbracciare sulla missione del cuore. Che questi sia o no l’organo dell’amore, ne è pure sempre il simbolo naturale grazie alla stretta affinità che vi si collega » (Testi citati da TERRIEN, p. 61-62). – E non si parli qui di una ritirata davanti alla scienza. La Chiesa ha tenuto conto così bene sin dal principio delle ipotesi della scienza (non erano che delle ipotesi, e anche poco esatte, al tempo di Gallifet e di Lambertini), che non ha voluto pronunziarsi in favore del culto che quando si è ben persuasa che poteva farlo senza farsi ligia a opinioni variabili e incerte. Che i primi teologi della divozione (e parecchi fra loro, come il P. Croiset, siano stati molto riservati su questo punto), abbiano riferito troppo al cuore, sia; ma lo hanno fatto più nello sviluppare l’eccellenza della divozione, che nella spiegazione del suo oggetto. Riman fermo che la divozione al sacro Cuore è bastantemente ben fondata, se il cuore è veramente l’emblema dell’amore. E chi può negare che lo sia, almeno nel nostro mondo e nella nostra civilizzazione? Temo, nondimeno, che qualcuno possa essere indotto da questa idea dell’emblema o a sacrificare ogni relazione reale del cuore di carne all’amore, relazione che è il fondamento del simbolismo, o a non dare più alla divozione tutta la sua ampiezza e la sua importanza, restringendo troppo il campo del simbolismo e il valore rappresentativo del cuore. Non dimentichiamo mai che la divozione al sacro Cuore non sarebbe più quello che è, se perdesse il suo contatto col cuore reale, e se il cuore di Gesù non fosse più concepito come in reale rapporto con la vita affettiva e per tal modo con tutto l’essere intimo di Gesù. – Ecco, dunque, se non mi inganno, come a poco a poco si possono orientare i rapporti della divozione al sacro Cuore con la scienza del cuore. Il cuore di Gesù è un cuore umano perfetto; il cuore è in lui quello che è normalmente in noi. Ora noi sentiamo il nostro cuore immedesimato nel nostro stato affettivo e persino nelle nostre disposizioni morali; noi sentiamo il nostro stato affettivo, e anche le nostre disposizioni morali in stretto rapporto con certi stati e certi movimenti del nostro cuore. Non è solo per metafora che diciamo: Il cuore mi batteva fortemente; avevo il cuore grosso; ne ho ancora il cuore stretto; il mio cuore si dilatava; era come liquefatto; cuore freddo, cuore caldo, ecc. Queste espressioni traducono una realtà fisiologica e, insieme una realtà psichica. In che cosa consista questa realtà fisiologica non sapremmo dirlo, e lasciamo ai fisiologi la cura di spiegarlo. Ma questa corrispondenza pertanto è per noi un fatto di esperienza, ed è su questo fatto che si appoggia il simbolismo del cuore, come tutta la divozione. (Sii questo fatto d’ esperienza si fondano tutti gli autori che hanno scritto sulla divozione. Mons. D E – PRESSY, per esempio, si esprime così : « Questa verità è confermata dall’esperienza generale. Chiunque ha cuore ed ha amato qualcosa un po’ vivamente, non ha bisogno che della testimonianza dei suoi propri sentimenti per convincersi della realtà delle impressioni che l’amore produce sul cuore. Non sta a noi descrivere queste impressioni – nelle linee omesse si tratta di effetti straordinari prodotti dall’amore sul cuore- ; ma sulla testimonianza che ne fanno coloro che li provano non temiamo di essere smentiti quando affermiamo come verità incontrastabile che il cuore ha molta parte nell’amore. lstruction su la divozione al sacro-Cuore di Gesù, c. II. Oeuvres très complètes de M.gr De Pressy, Parigi 1842, t. II, col. 1056-1057edizione Migne). – Per renderci conto delle cose in sé stesse, ricorriamo ai filosofi e ai sapienti. I filosofi ci dicono che il cuore non potrebbe essere l’organo d’un amore spirituale; e aggiungono che un amore pienamente umano ha, naturalmente, qualcosa di sensibile e di spirituale insieme, perché essendo l’Uomo e un animale ragionevole e un amore sensibile deve essere in rapporto con un organo corporeo. Qui interviene il fisiologo, e, pur dicendo che l’organo proprio delle nostre emozioni sensibili non è il cuore, riconosce che il cuore, organo principale della circolazione del sangue, è ancora un centro ove vengono a ripercuotersi tutte le impressioni nervose sensitive (CLAUDE BERNARD, citato da TERRIEN, p. 137. Vedi RICHE, Les fonctions de l’organe cardiaque, c. I V , p. 98 sq.). Certo è interessante sentir gli scienziati darci spiegazioni di quel che proviamo e ridirci quello che del resto sappiamo molto bene, che « l’amore che fa palpitare il cuore non è… solo una forma poetica, ma anche una realtà fisiologica ». (CLAUDE BERNARD, citato da RICHE, op. cit., p. 105. Vedi altri testi più recenti, raccolti da M. DE LA BÉGASSIÈRE art. cit. I I , col. 567-569).

Li ascolteremo con lo stesso interesse quando ci spiegheranno le funzioni capitali del cuore nella nostra vita, e come il cuore sia l’organo centrale che sembra entrare il primo in attività, che sembra morire l’ultimo, che distribuisce da per tutto la vita, distribuendo il sangue; e quando ci diranno che la vita vegetativa, e specialmente la circolazione del sangue, di cui il cuore è l’organo principale, è in stretta relazione di causa e d’aspetto con la vita affettiva. Ma non dimenticheremo già che la nostra divozione riposa su esperienze immediate, anteriori alla scienza, e che non è, perciò, solidale con le scoperte della scienza e tanto meno con tutte le incerte prove delle sue ipotesi variabili. La divozione del resto si muove, vive in un altro dominio. Qualche fatto di giornaliera esperienza basta per fondare la teoria del simbolismo del Cuore e per stabilire che è in reale rapporto con la nostra vita affettiva. – Con questo la devozione al sacro Cuore è bastantemente d’accordo con la fisiologia. La scienza vien dopo, e tace una questione collaterale. I teologi del sacro Cuore l’hanno dimenticato qualche volta, speriamo non la dimentichino più.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (40)

IL SACRO CUORE (40)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE SECONDA.

Spiegazioni dottrinali. (3)

X.

ALTRI TRATTI: RICORDO DELLA PASSIONE,

DELLA EUCARISTIA

L’idea della Passione e della Eucaristia nella divozione. — Ragioni.

Infatti il pensiero della passione è intrecciato, molto spesso e intimamente, al culto del sacro Cuore. Lo abbiamo già veduto negli atti e negli scritti di Margherita-Maria (I parte cap. 3). Tutti i documenti confermano la stessa cosa. La Messa Miserebitur ne è tutta penetrata; l’ufficio della festa, lo è quasi altrettanto; le litanie del Cuore ce lo ricordano facendoci invocare il cuore di Gesù come propiziazione per i nostri peccati, come satollato d’obbrobri, come spezzato a causa dei nostri peccati, come fattosi obbediente sino alla morte, come trafitto da una lancia; d’altra parte le litanie della Passione e l’ora santa passata in unione con Gesù nel giardino degli Ulivi erano, per la beata Margherita Maria, due dei principali esercizi della divozione. Ella va, come per istinto, a Gesù che soffre e che muore. Vi si potrebbe vedere una delle delicatezze dell’amore; non è forse quando l’amico soffre, quando è abbandonato, che l’amico gli sta più vicino per tenergli compagnia, a ridirgli il suo amore, rendergli omaggio o prender parte alle sue pene? Vi è qualche cosa di questo, certamente, nell’istinto che spinge i devoti del sacro Cuore verso il giardino degli. Ulivi o verso il Calvario. Ma vi ha pure altra cosa. La loro divozione cerca le tracce dell’amore. E dove brilla maggiormente quest’amore, se non nella passione? Soffrire e morire per colui che si ama è, secondo la testimonianza stessa di Gesù, lo sforzo supremo dell’amore. Essa va dunque alla passione, perché là, più che altrove, ritrova questo Cuore che « si esaurisce e consuma per dimostrare il suo amore ». Per ragioni consimili, la divozione al sacro Cuore, ha stretto rapporto con l’Eucaristia. I postulatori del 1765 sono motto espliciti a questo riguardo (Lettres inédìtes. IV, p. 140 ; riveduto su G. CXXXIII, p. 567). Margherita Maria fu l’amante dell’altare, come lo fu della croce. Tutto il suo desiderio è di fare la santa comunione, tutto il suo appoggio, dice ella, è « il cuore del mio amabile Gesù nel SS.mo Sacramento ». Gesù le domandava la Comunione riparatrice e voleva che facesse la Comunione tutte le volte che avesse potuto, qualunque cosa dovesse accaderle. La divozione ha cominciato sempre per la stessa via. A misura che cresce in un’anima, la spinge ad accostarsi alla santa Comunione sempre più e sempre meglio. La liturgia del sacro Cuore offre le stesse testimonianze; la Messa e l’Ufficio si dividono in parti uguali fra il pensiero della Passione e il pensiero dell’Eucaristia. Il P. C roiset, univa 1’Eucaristia e la Passione nella sua definizione quando diceva: « L’oggetto particolare di questa divozione è l’amore immenso dei Figlio di Dio, che lo ha spinto a offrirsi per noi alla morte e a darsi tutto a noi nel sacramento dell’altare ». Ed è pur questo, che ci ripete la sesta lezione del breviario nel giorno della festa: « Quam caritatem Christi patientis et prò generis humani redemptione morientis, atque in suæ mortis commemorationem instituentìs sacramentum corporis et sanguinis sui, ut fideles sub sanctissimi Cordis symbolo devotius ac ferventius recolant eiusdemque fructus percipiant ». – Veramente come per l’Eucaristia, così per la Passione, la cosa potrebbe ben spiegarsi a prò dei fedeli. È nella Eucaristia che troviamo attualmente il cuore di Gesù ben vicino a noi; è nella Eucaristia che noi ci uniamo a lui. Ma una ragione, anche più obiettiva, di questo stretto rapporto fra l’Eucaristia e la divozione al sacro Cuore si è che l’Eucaristia è, come la Passione, la testimonianza più espressiva dell’amore del sacro Cuore per noi. È così che l’intende il P. Croiset, così che l’intende la Chiesa, come lo provano i testi che abbiamo citato. La Passione e l’Eucaristia, sono i due principali benefici effetti di questo amore che la Chiesa, come Essa stessa spiega, nell’orazione della festa onora nel culto del sacro Cuore: « In sanctissimo Corde gloriantes, precipua in nos caritatis ejus beneficia recolimus ». Si potrebbe domandare se, e perché, il beneficio della Incarnazione, che è stato il mezzo che ci ha dato Gesù medesimo, e che è esclusivamente un effetto di amore (sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret), non deve esser messo in rapporto speciale nella nostra divozione, insieme con l’Eucaristia e con la Passione. Questo si fa qualche volta e il decreto del 1765, approvando la festa, diceva che per mezzo di questo culto: « si rinnova simbolicamente la memoria dell’amore che aveva indotto il Figlio unico di Dio a prendere la natura umana » (Lettres ìnédites, IX, p. 164; G. CXXXVIII, 608. Vedi più sopra parte la , c. 2, § 3, p. 26 ; c. 3, § I , n. 4). L’inno ai Vespri della festa esprime la medesima idea:’ « Amor coegit te tuum mortale corpus sumere ». Ma questi testi non risolvono definitivamente la questione. La soluzione dipende dalla risposta a un’altra questione che bisogna esaminare per precisare sempre meglio l’idea che dobbiamo farci della divozione al sacro Cuore.

XI.

OGGETTO PRECISO: IL CUORE CHE AMA GLI UOMINI

Qual è l’amore che onoriamo nella divozione al sacro Cuore. — L’amore per gli uomini. — In qual senso l’amore per Iddio.

La questione è tutta qui: Di quale amore intendiamo parlare, quando diciamo che la divozione al sacro Cuore ha per oggetto di onorare sotto la figura del cuore, l’amore di Nostro Signor Gesù Cristo? Ma la questione ha due sensi.Questo amore del sacro Cuore può esser riguardato da partedell’oggetto amato e si può domandarci chi ne è l’oggetto. « È l’amore per Iddio? È l’amore per gli uomini? » Essopuò esser riguardato da parte del soggetto che ama e laquestione sarebbe: Quale è l’amore di Gesù che onoriamoonorando il suo cuore? L’amore suo come uomo o l’amoresuo come Dio? Il suo amore umano o il suo amore divino? Il suo amore creato o il suo amore increato? Quello che lofece pianger su Lazzaro, o quello che dette l’essere a Lazzaro?Alla prima domanda è facile rispondere. L’amore cheonoriamo in questo culto è l’amore che chiede corrispondenzad’amore: « Ecco il cuore che ha tanto amato gli uomini », dicevaGesù alla beata Margherita Maria. Quis non amantem redamet? Quis non redemptus diligat ? … cantiamo nell’innoalle Laudi. Præcipuam in nos caritatis ejus beneficia recolimus, aggiungiamo nell’Orazione. Tutti i testi sono improntatiallo stesso senso, e sarebbe perder tempo volerne accumularequi per provare una tesi che nessuno contrasta. Nonrimane che dare una spiegazione e prevenire una difficoltà.Una spiegazione. L’amore di Gesù per gli uomini, nonva certo disgiunto dall’amore per il Padre suo, ne è anzitutto penetrato, vi prende sorgente e vi ha il suo motivo.Gesù conosceva bene il gran comandamento: « Tu amerai ilSignore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, contutte le forze », e lo praticava come nessuno lo ha mai praticato.E conosceva, del pari, che il secondo comandamentoè simile al primo: « Amerai il prossimo tuo come te stessoper amor di Dio », e lo praticava con la stessa perfezione ideale.Con ciò si viene a dire che l’amore di Gesù per il prossimo,era un amore soprannaturale, un amore ben regolatoe perciò tutto informato all’amore per il Padre suo. Per esseresoprannaturale, per essere regolato, è però meno vivo,meno tenero e, se così posso esprimermi, meno naturale?  Non manca chi stoltamente si rappresenta le cose in questamaniera; si vorrebbe che, per amor degli uomini, si cessassedi amare Dio. Se le delicatezze del cuore dei Santi non bastanoper disingannarli, studino certuni le delicatezze delCuor di Gesù. E ciò per quel che riguarda la spiegazione.Rimane però sempre una difficoltà. Abbiamo detto chetutti i testi si accordano nel riguardare l’amore del sacroCuore come il suo amore per gli uomini, il che è verissimo.Vi sono, nonpertanto, delle eccezioni, almeno apparenti,e ne abbiamo già incontrate sulla nostra via. Nella replicadei postulatori polacchi si dice che il Cuore di Gesù deveessere considerato, in secondo luogo, come il simbolo o lasede naturale di tutte le virtù e di tutte le affezioni internedi Cristo e, in particolare modo, dell’amore immenso che ebbeper il Padre suo e per gli uomini; — imprimisque amoris illius immensi quo Patrem et homines prosecutus est (Replicatio, n. 18, Nilles, t. I, p. 145)). IlP. della Colombière non si esprime altrimenti: « Le principalivirtù che si pretende onorare in lui sono: in primo luogoun amore ardentissimo per Iddio suo Padre » (Oeuvres, t. VI, p. 124. Cf. più sopra: § 7, p. 110 e ss.).Sarebbe facile citare dei testi analoghi, prendendone ancheda coloro che dicono, più espressamente, che la divozioneal sacro Cuore ha per oggetto di onorare l’amore concui Gesù ha amato gli uomini; come per esempio dal P.Croiset o dal P. Galliffet. Ma non sarebbe questo un portarconfusione in tutte le nostre nozioni e definizioni? No. Perché  non dimentichiamo le due maniere che abbiamo segnalateper ben comprendere la divozione al sacro Cuore.Essa è, nel suo oggetto diretto e immediato, la divozione al cuore amante di Gesù, al cuore emblema dell’amore; malo è pure, per una estensione legittima e naturale, la divozioneal divin cuore di Gesù in tutta la sua vita intima, perconseguenza nelle sue virtù e, in special modo, nel suo amoreper Iddio. Come emblema d’amore è il suo amore per noiche Gesù ci scopre, scoprendoci il suo cuore adorabile, ece lo scopre in tutta la sua realtà, come l’ideale della nostravita, non meno che come l’oggetto del nostro amore.Si vede quanto è importante questa distinzione per renderchiare le idee. Forse vi troveremo anche lume per risolverela seconda questione, che è più difficile e dove l’accordodelle opinioni non è così unanime.

XII.

OGGETTO DETERMINATO:

AMORE CREATO E AMORE INCREATO

Qual è l’amore che onoriamo? — L’amore del Verbo

incarnato. — Amore creato e amore increato. — Controversie,

distinzioni e spiegazioni.

Quale è l’amore di Gesù che onoriamo nella divozione al sacro Cuore? È il suo amore creato o il suo amore increato, l’amore con cui ama come uomo, nella sua natura umana, o quello con cui ama come Dio, nella sua natura divina e, per ripetere una espressione chiara e breve, quello che dette l’essere a Lazzaro o quello che pianse su Lazzaro? È una questione questa che, forse, non è stata mai trattata a fondo, sino ad oggi. Non già che essa sia stata ignorata. Molti teologi del sacro Cuore l’hanno, anzi, considerata esplicitamente. Ma non abbiamo ancora una soluzione che s’imponga, e molti opinano che la questione non sia stata ancora sufficientemente discussa anco fra quelli che la risolvono. Tale è l’opinione del P. Vermeersch (L‘objet propre de la dévotion au Sacre Coeur negli Études, 20 gennaio 1906, t. CVI, p. 146-179. Vedi pure Pratìque et doctrìne, 2.a parte, c. I , art. 5, p.399-400).« Quest’articolo, dic’egli, è diretto contro una opinionespeciosa e seducente, che guadagna terreno, ma nella qualenon possiamo a meno di vedere una confusione e un errorebiasimevole. Il favore relativo della quale essa gode non sispiega, ai miei occhi, che per una mancanza di attenzione. »Crediamo servire gl’interessi della divozione al sacro Cuorerichiamando delle serie riflessioni su di una questione che,d’altronde, sappiamo essere studiata in Germania e in Austriae dove preoccupa gli spiriti » (Loco cit, p. 146). Dopo ciò, il P. Vermeersch combatte l’opinione che allarga la divozione al sacro Cuore sino alla carità increata. Senza impegnarci ad accettare le sue conclusioni, seguiamolo nelle sue ricerche. Molti non hanno riguardato la questione in una maniera esplicita. Di qui una prima serie di testi dove si parla, senza altro precisare, del cuore di carne che ha tanto amato gli uomini, dell’immenso amore del Verbo incarnato, rivelantesi in tutta la sua vita, nella sua morte, nel SS.mo Sacramento, ecc. Così fa santa Margherita Maria, così il P. della Colombière, il P. Croiset, il P. Galliffet, i vescovi di Polonia nel loro bel Memoriale; così il cardinale Gerdil, Zaccaria, il P. Roothaan nella sua bella lettera sulla divozione al sacro Cuore, Dalgairns; così, almeno sembra, Franzelin e Ramière (Vedi i testi e le citazioni in VERMEERSCH, loc. cit, p. 178 e seguenti; Pratique, p. 405-427). In questo caso, non si ha in vista l’amore di Dio, come Dio, ma l’amore di Dio fatto uomo. Si vuol dir forse, con ciò, che nel Dio fatto uomo non si riguarda che il suo amore umano? Forse, ma ciò non è giusto. È piuttosto il contrario che si dovrebbe dire, lo vedremo, salvo ad aver ragioni positive per separare quello che lo sguardo della fede non separa ordinariamente. È un fatto che constatiamo, anche in quelli che riguardano direttamente l’amore del cuore di carne, delle espressioni agrandi prospettive in cui l’irradiamento della Persona divina nella natura umana di Gesù illumina tutto e fa sentire che anche nell’ uomo si vede Dio (Avanti di dare una spiegazione più precisa, che verrà data a suo luogo, una parola della B.ta Margherita Maria farà comprendere ciò che qui si vuol dire: « Egli mi fece vedere che l’ardente desiderio che ha d’essere amato…. gli aveva fatto concepire l’idea di manifestare il suo Cuore agli uomini con tutti i tesori che contiene, affinché tutti quelli che vogliono rendergli tutto l’onore, l’amore e la gloria che è in loro potere, siano da lui arricchiti di quei divini tesori del Cuore di Dio che ne è la sorgente…. e che bisognava onorare sotto la figura di quel cuore di carne ». Lettres inédites, IV, p. 142, rivedute su G. CXXXIII, 598. Come potrebbe Margherita Maria non vedere che l’amore umano di Gesù, mentre il Dìo amante le è così presente al pensiero?). – Questo ci conduce a una seconda serie di testi in cui l’amore che onoriamo nella divozione al sacro Cuore è designato in termini tali che sembrano includere l’amor divino del Verbo incarnato. Io non parlo di quelli secondo i quali questo amore è qualificato di divino, poiché tutto è divino in Gesù, anche l’umanità. Ma si parla incessantemente d’amore infinito. Cor Jesu, infinite amans et infinite amandum, come nell’enciclica Annum sacrum, dove Leone XIII ci dice « che nel sacro Cuore vi è il simbolo e l’immagine sensibile della carità infinita di Gesù Cristo: « In sacro corde inest symbolum atque expressa imago infinitæ Jesu Cristi caritatis ». È il linguaggio corrente, che usa continuamente la parola « carità infinita » o altra equivalente (Vedi CH. SAUVÉ, libro citato, t. I, p. 26-28). Queste parole avrebbero un senso, senza dubbio, anche applicate all’amore umano di Gesù. Ma, poiché indicano così chiaramente la Persona divina, perché non vi si porrebbe pur’anco l’amor divino? – Un terzo gruppo di testi stringe la questione ancor più da vicino. Si parla espressamente, a proposito del sacro Cuore, dell’amore creatore, dell’amore che ha motivato l’Incarnazione, ecc. Ma come è possibile non riconoscervi l’amor divino, sia come amore della Persona divina che s’incarna, sia come amore di Dio che opera l’incarnazione e ci dà il sacro Cuore? Più d’una volta questo amore è espressamente designato nei documenti ufficiali. Abbiamo già notato un passo dell’Ufficio, che parla precisamente in questo senso (Il P. VERMEERSCH, loc. cit. p. 171 e 472 risponde che è una espressione poetica e che è in « strofe obbligate al metro ». Cf. Pratique, pag. 428. I teologi quanto, e più, dei poeti, dureranno fatica a comprendere che ci si possa così facilmente sbarazzare da un testo imbarazzante.). Si trova nell’inno del Vespro. Vi si parla dell’amore che ha « costretto Gesù a prendere un corpo mortale ».

Amor coegit te tuus

Mortale corpus sumere.

Quest’amore è subito dopo descritto come « l’artefice che che ha fatto la terra, il mare e gli astri ».

Ille amor almus artifex —

Terræ marisque et siderum.

Si tratta dunque dell’amore increato. Il decreto del 1765, quello che stabiliva la festa, indica come oggetto del culto « l’amore che ha spinto il Figlio unico di Dio a prendere la natura umana ». Si potrebbe, con esegesi sottile, giungere ad eliminare da questo testo l’amore increato? Forse ((2) Cf. VERMEERSCH, loc. cit, p. 178-180. Pratique p. 423-427). Ma è ben più certo che il segretario della Sacra Congregazione dei Riti nel 1821, ci vedeva questo Cuore. « Questa festa, diceva, non ha per oggetto un mistero particolare, di cui la Chiesa non ha fatto menzione a tempo e luogo; è come un riassunto (compendium) delle altre feste in cui si onorano dei misteri speciali; vi si ricorda l’immenso amore che ha spinto il Verbo a incarnarsi per il nostro riscatto e per la nostra salute, a istituire il Sacramento dell’altare, a caricarsi delle nostre colpe, a offrirsi in croce come ostia e sacrificio » (Citato in NILLES, libro I, parte I, c. III, § 5, A., p. 163). – Ma, si dice, il decreto del 1765, come quello del 1821, non è riprodotto nella nuova collezione autentica dei decreti della Sacra Congregazione dei Riti. Qualunque sia la causa di questa omissione — che non ha certo nulla di dottrinale — la Congregazione non rigetta l’idea che esprime, poiché l’ha ripetuta, quasi con le stesse parole, fra i considerando di un decreto recente, 4 aprile 1900. Il decreto ha per oggetto lo Scapolare, ma la festa vi è pur menzionata. E come? Come « una solennità che non ha solo per oggetto di adorare e di glorificare il cuore del Figlio di Dio fatto uomo, ma di rinnovare, simbolicamente la memoria di quel divino amore, che ha spinto il Figlio unico di Dio a prendere la natura umana, ecc., sed etiam symbolice renovatur memoria illius divini amoris quo idem Unigenitus Dei Filius humanam suscepit naturam » (Analecta ecclesiastica, 1900, t. VIII, p. 206). I teologi che si son proposti esplicitamente questa questione fanno generalmente parte all’amore increato. Così il P. Froment. Così, più tardi, Benoit, Tetamo, e Marquez; così Muzzarelli. Gautrelet, Jungmann, Bucceroni, Leroy, Chevalier, Nilles. Terrien, De San, Nix, Billot, Baruteil, Tini, Sauvé (Vedi i testi e le citazioni, parte in VERMEERSCH, loc. cìt. p. 178 e seguito; parte in CH. SAUVÉ, t. I , prefazione p. XVII. Il P. RAMIÈRE che pone la tesi che « l’amore eterno e divino di cui arde N. S. Gesù Cristo non gli è punto estraneo ». Messagger du Cœur de Jesus, 1868, t. XIV, p. 275 e seguenti.). Vi è forse uno, fra questi, che escluda l’amore increato? Qualcuno ne ha l’apparenza, ma, a bene approfondire, si vedrebbe, forse, che esclude soprattutto un amore di Dio che non avrebbe a far nulla col sacro Cuore e col Verbo incarnato. Vi ha, forse, qua e là qualche confusione nelle idee e nelle parole piuttosto che opposizione sostanziale di dottrina. Una cosa pertanto è sicura, ed è, io credo, ammessa da tutti. L’amore che onoriamo direttamente nel culto del sacro Cuore, è l’amore del Verbo incarnato, di Dio fatto uomo. Un amore di Dio, senza contatto con l’umanità di Gesù, non potrebbe essere l’oggetto proprio della divozione. Se l’amore di Dio vi ha dunque la sua parte, bisogna riguardarlo e nella persona del Verbo fatto carne, o in rapporto causale con l’Incarnazione e l’opera Redentrice. – Altra cosa egualmente certa, e che conferma la precedente, si è che, per propriamente parlare, non vi ha divozione al sacro Cuore là dove il cuore di carne non entra per nulla. La devozione al sacro Cuore non potrà dunque raggiungere l’amore di Dio per noi che nella misura in cui quest’amore sarà simbolizzato dal cuore di carne. Fuori di qui potremo onorare l’amore di Dio, dirne meraviglie, ma la divozione al sacro Cuore non vi avrà altra parte che d’aver servito, forse, di opportunità. – Questi sono i principi della soluzione. Vediamo ora a che punto ci conducono. L’amore che onoriamo direttamente nel culto del sacro Cuore è l’amore del Verbo incarnato, di Dio fatto uomo. Gesù è l’Uomo-Dio e i fedeli che vedono Gesù vivente e concreto non separano dai loro omaggi l’uomo da Dio. L’irradiamento della persona divina illumina per loro tutto quello che vedono in Gesù. Anche quando riguardano l’uomo, quando ascoltano le parole che cadono dalla sua bocca, quando compassionano i suoi dolori, non dimenticano che egli è Dio, ed è questo pensiero, sempre presente, che imprime il suo carattere a tutti i loro rapporti con Gesù in quello stesso modo che la realtà sempre attuale dell’unione dà il suo carattere e il suo valore a ciascuno degli atti e delle sofferenze e delle parole di Gesù. Gesù, per loro, è essenzialmente l’Uomo Dio, nell’unità indissolubile dell’unione ipostatica. Il loro amore e la loro fede non possono concepirlo altrimenti. Ma, allora, la divozione al sacro Cuore è necessariamente la divozione all’uomo-Dio; l’amore che vi si onora è, necessariamente, l’amore dell’Uomo-Dio. Ecco quel che deve essere considerato, come certo. In questo senso, almeno è giusto di dire col P. Terrien: Quod Deus coniunxit, homo non separet. Ma, non è forse questo un giuocare con la questione, piuttosto che risolverla? Nessuno, infatti, nega l’unione personale; nessuno pretende che l’amore che i fedeli onorano nella divozione al sacro Cuore, sia un amore puramente umano; è sempre l’amore per Iddio. Ma si pone la questione se è solamente l’amore con cui ci ha amato col suo cuore umano, nella sua natura umana, o se è pure anco l’amore con cui ci ama eternamente nella sua natura divina, con quest’atto semplice d’amore che è la sua essenza infinita. I fedeli, se non m’inganno, non fanno distinzione, quantunque sappiamo distinguere molto bene in Gesù la natura divina e la natura umana, quantunque sappiamo ben riconoscere in lui un amore con cui ci ama come Dio. E il fatto ch’essi non fanno distinzione è in favore della « non distinzione » dei due amori nel loro culto; è Gesù tutto intiero che onorano sotto la figura del suo cuore di carne; tutto il suo amore, sembra, come tutta la sua Persona. Per distinguere, dove essi non distinguono, occorrerebbero delle ragioni, e i Teologi studiano, appunto, se ve ne sono. Si è molto rimproverato alla nostra divozione di favorire il nestorianismo. Pura calunnia dei giansenisti. I teologi del sacro Cuore l’avevano già confutata, e Pio VI ne aveva già reso giustizia (Testo citato più sopra § 2,). Ma, se i fedeli non onorano il sacro Cuore da nestoriani, non bisogna neppur supporre che confondano nel loro culto le nature e le operazioni, o supporre che onorino da eutichiani o da monoteliti. Ma è forse questo il pericolo da temersi, ragionando come facciamo, passando dalla persona all’amore, e concludendo che, poiché l’onore va alla Persona, va pure all’amor divino? I teologi rispondono a nome dei fedeli: non è vero che passiamo, senz’altra considerazione, dalla Persona all’amore. Noi non passiamo ad ammettere dall’unità di Persona la fusione o la confusione di due amori in un solo. Diciamo solamente questo: Pur distinguendo le nature, nell’oggetto della loro divozione, i fedeli vi vedono Gesù tutto intiero, la Persona totale, la persona nelle sue due nature; così si deve dire che la vedono nei suoi due amori, a meno che ragioni speciali non ci facciano constatare che essi hanno in vista un solo di questi due amori: l’amore umano. Si dice. I documenti non parlano che dell’amore creato. Distinguo. Essi non parlano che dei benefìci ove trasparisce pur’anco l’amore creato, ed io sono con loro (salvo per le eccezioni accennate); ma, se essi attribuiscono questi benefici al solo amore creato, aspetto che ne dieno le prove. Vi ha gran differenza, a questo riguardo, fra l’ordine dell’amore e quello dell’azione. È Gesù, nella sua natura umana, che parla, che agisce, che soffre, che istituisce i sacramenti, che rimane dell’Eucaristia; ma ciò non vuol due che abbia parlato, agito, sofferto, e compiuto il resto, sotto l’influenza del suo solo amore creato. Perché non vedere, a meno che ci abbiano ragioni in contrario, l’amore increato compiacersi del pari in queste opere dell’amore creato, dando l’impulso, per così dire, a questo amore creato? Ma, si dirà, « se sì deve ammettere la carità increata, bisogna che occupi il primo posto (VERMEERSCH, loc. cit., p. 164; Pratique, p. 403). Qui ancora distinguo: Se i due amori fossero considerati in loro stessi, lo concedo; se sono contemplati a traverso il cuore di carne, distinguo, ancora: Quando se ne parla esplicitamente sia; se ne potrebbe però dubitare, ma, se non si fa questione esplicitamente, io lo nego. A meno che non si preferisca accordare, ciò che torna lo stesso, che, parlando dell’amore di Cristo, senza averlo in vista né come creato, né come increato, si dà implicitamente il primo posto all’amore increato, poiché si parla di questo amore, tale, come esso è. Non è dunque, neppure per questa via, che dobbiamo cercare la soluzione della questione. Ma « l’amore d’un cuore umano è considerato come umano esso stesso, se non si dice il contrario » (VERMEERSCH, loc. cit, p. 164; Pratique, p. 403).Si potrebbe, forse, esitare a dir sì, quando si tratta di un caso unico come quello dell’Uomo-Dio. Bisogna, nondimeno, dir se si tratta dell’amore, di questo cuore, dell’amore che ha interesse vitale per questo cuore. Ma la questione è precisamente qui: se non si tratta che di questo amore nella divozione al sacro Cuore. Quelli che lo spiegano in special modo per il cuore organo, come fa il P. Galliffet, devono esser portati a riguardare la divozione, come divozione all’amore umano di Gesù. La conclusione, però, non s’impone. Il cardinale Billot, che dice così chiaramente che « il cuore è il simbolo dell’amore, perché né è l’organo », scrive altrove, e con la stessa precisione, che « nel Verbo incarnato il cuore è insieme simbolo e della carità increata che fece discendere il Verbo sulla terra, e della carità creata, che, irrompendo sino dal primo istante della sua concezione, lo condusse sino alla croce (De Verbo incarnato, thesis 38, § 2, p. 348 ; 4-a edizione, Roma 1904). Egli vuol significare, senza dubbio, che il simbolismo, pur avendo il suo fondamento nel rapporto vitale, non vi trova, però, i suoi limiti. Poiché il sacro Cuore non è organo che in rapporto all’amore umano. Altri vi scorgono tutto quel che ha rapporto all’amore e vi ritrovano tutto Dio, quel Dio che, secondo il discepolo diletto, è amore. Ma essi, sono portati a perdere il contatto col cuore reale, col cuore di carne di Gesù. Ma non dimentichiamo che, senza contatto col cuore di carne, non vi ha più divozione al sacro Cuore. Con la nozione al sacro Cuore emblema, si riprende contatto col cuore reale e si riman liberi di far significare all’emblema, non solo l’amore che si ripercuote nell’organo, ma ancora l’amore divino, che non vi ha nessun’ eco diretta. La questione non è risolta interamente però. Non si tratta di ciò che può essere, ma di ciò che è nel pensiero della Chiesa, poiché si tratta della divozione, pubblica e ufficiale della Chiesa, non già d’una divozione privata e che potrebbe essere diversa. Non dimentichiamo neppure che il cuore emblema, come è onorato dalla Chiesa, è nello stesso tempo il cuore organo, il cuore di carne vivente in Gesù e palpitante nel suo petto il ritmo della vita e dell’amore. Quest’ultima menzione non ci obbliga forse a concludere, in mancanza di testi precisi, che nel pensiero della Chiesa la divozione al sacro Cuore è decisamente la divozione all’amore creato, all’amore umano, che solo è l’amore del sacro Cuore, l’amore in cui esso ha sua parte come organo e, insieme, come emblema? Non è forse questa la ragione che domandavamo per aver diritto di limitare all’amore umano nel Cristo l’amore di Dio fatto uomo, amore che dicevamo essere certamente l’oggetto della divozione? (È questo che invoca, sopratutto, il P. VERMEERSCH, Pratique, p. 434).La conclusione non s’impone, mi sembra. Eccone il perché,e sarà questo un dire nello stesso tempo le ragioni cheabbiamo di fargli la sua parte nella divozione all’amore increato.

a) L’amore creato del Cuore di Gesù non riceve, forse, impulso del suo amore increato? Perché, dunque, il cuore, simbolo dell’amore creato, non lo riceverebbe in pari tempo dall’amore increato che pure è unito con un legame così intimo di causalità con l’amore creato? Questo amore increato non si ripercuote direttamente nel cuore di carne; lo ammetto, ma vi si ripercuote producendo quell’eco creata da lui stesso, che è l’amore del cuore di carne, e ciò è bastante perché il cuore di carne me lo ricordi, nel medesimo tempo che mi ricorda l’amore creato.

b) In un senso analogo, io posso riguardare l’amore increato che crea il cuore amante di Gesù. Questo focolare d’amore, da chi è acceso? Chi mi presenta, chi mi dà questo emblema vivente dell’amore? Se Gesù è una manifestazione vivente di Dio nel mondo, come non sarebbe il sacro Cuore la manifestazione vivente dell’amore e dell’amabilità di Dio stesso? Ma, se questo è, l’amore increato ha bene il suo posto nella divozione.

c) Infine, la divozione al sacro Cuore ci conduce naturalmente, come abbiamo veduto, alla persona di Gesù che ci si mostra amabile e amantissimo. Il sacro Cuore è Gesù, Gesù che mi si rivela nella sua natura umana, ma Gesù che nello stesso tempo s’impone alla mia fede come Persona divina; e in questo modo si constata che l’amore increato ha il suo posto nella divozione al sacro Cuore.

[Queste conclusioni sono pur quelle di M. R. DE LA BÉGASSIÈRE, articolo citato, col. 569-570. È probabile, che il P. VERMEERSCH le ammetta pur lui. Egli non ha preteso escludere l’amore increato, inteso così. Vedi Etudes, loc. cit., p. 482; Pratique, p. 430 e 440. Gli Etudes sono ritornati nella questione. Vedi la discussione fra M. VIGNAT e il P . VERMEERSCH; Etudes, 5 Giugno 1906, t. CVII, p. 643-665. M. LEROY si è pronunziato con forza contro il P. VERMEERSCH nella Révue ecclesiastique de Liège, sett. 1906; questi rispose. Ibìd, Nov. 1906, p. 125-148. M. LEROY tornò pure a rispondere. Il P . ALVERY si mette dalla parte del P. VERMEERSCH nella Révue Aqustinienne, 15 Feb. 1907, p. 173-190. Io credo potere e dovere mantenere le mie posizioni].

XIII.

RIASSUNTO.

SGUARDO AL CUORE VIVENTE.

FORMULE.

Che vasto campo si dischiude per il devoto del sacro Cuore! Se la divozione è poco profonda, o poco illuminata, sì perderà, forse, a parlare dell’amore di Dio nel mondo; e il sacro Cuore non vi entrerà per nulla, o vi entrerà solo come sinonimo d’amore; ma se comprende e gusta il sacro Cuore, come esso è, nella sua realtà viva e concreta, e nel suo simbolismo, sì ricco ed espressivo, saprà leggervi tutto Gesù, Gesù che ci ama di un doppio amore, così come è composto di due nature, armoniosamente unite nella Persona divina, in Dio fatto uomo. Guardiamoci bene dal misurare la ricchezza della realtà con la ristrettezza delle nostre formule; cerchiamo, piuttosto, di allargare le nostre formule per renderle meno inadeguate, meno sproporzionate alla ricchezza della realtà. Per questo rimettiamoci dinanzi al cuor di Gesù, vivo e vero, o, se si preferisce, dinanzi a Gesù che ci apre il suo cuore. Studiamo questo cuore in se stesso, ciò che esso è e quel che significa. Così comprenderemo, meglio che analizzando le formule (le quali, per quanto possano essere ammirabili per ampiezza e valore espressivo, sono però sempre inadeguate) ciò che è la divozione al sacro Cuore e qual ne sia l’oggetto proprio. E non pertanto ci abbisognano delle formule. Ecco quelle che riassumono quel che abbiamo detto sull’oggetto della divozione al sacro Cuore. Quest’oggetto è il cuore di carne di Gesù, cuore vivente nel suo petto e palpitante d’amore per gli uomini. È il cuore di carne, simbolo espressivo e vivente di quell’amore che Gesù ha avuto, ed ha ancora, per gli uomini. Così questo cuore ci apparisce, prima di tutto, come avente rapporto d’espressione e di vita con l’amore del Verbo incarnato per noi. È così, soprattutto, che si definisce la divozione al sacro Cuore. Essa è la divozione all’amore di Gesù per noi, all’amore con cui ci ha amato come uomo, e anche, in una certa misura (se le nostre osservazioni su questo soggetto son giuste), all’amore con cui ci ha amato come Dio. Perciò questa divozione si compiace di studiare questo amore liberale e generoso in tutti i suoi benefici e si ferma di preferenza alle sue principali manifestazioni: la passione e l’eucaristia. Ma, rinchiudendosi troppo strettamente in questo simbolismo dell’amore, la divozione rischierebbe, forse, di dimenticare, o di non vedere abbastanza chiaramente questo amore vivente e operoso, e rischierebbe, forse, di perdere il contatto con questo cuore vivo e vero. Ritorna, dunque, al Cuore amante, per vedervi tutto l’intimo di Gesù, le sue virtù e le sue perfezioni, i suoi dolori e l’amor suo. La visione dell’amore ne è più precisa, e le amabilità vi risplendono maggiormente. Di là, per una transizione insensibile e senza perder di vista il cuore di carne, la divozione si rivolge a Quegli che ci mostra il suo cuore amabile e amante, nel cuore che ci presenta, nel cuore che ci mostra e ci offre. La divozione al sacro Cuore è dunque una forma speciale di divozione alla Persona adorabile di Gesù. Abbiamo già potuto travedere quanto sia eccellente e perfetta. Lo vedremo ancor meglio con l’avanzare in questo studio.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (39)

IL SACRO CUORE (39)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE SECONDA.

Spiegazioni dottrinali. (3)

CAPITOLO VII.

OGGETTO PER ESTENSIONE: L’INTERIORE DI GESÙ

Il cuore di Gesù, emblema del suo amore, ci ricorda, nello stesso tempo, tutto l’essere intimo di Gesù: la vita del suo cuore, le sue virtù, ecc. — Da qui viene una prima estensione della divozione.

Una prima serie di divergenze, nelle spiegazioni di alcuni autori, ci hanno permesso di meglio spiegarci i due elementi essenziali della divozione al sacro Cuore, l’amore e il cuore, il cuore amante e l’amore del cuore. Ma la questione si presenta ora sotto un altro aspetto. È l’amore o, almeno, è unicamente l’amore che pretendiamo onorare? – La questione è risolta, almeno in parte. Infatti, i documenti ci dimostrano chiara una cosa; che la divozione al sacro Cuore, cioè, si presenta, prima di tutto, come la divozione al cuore amante di Gesù, all’amore del sacro Cuore. I testi che abbiamo citato, lo dicono il più chiaramente possibile; e se ne potrebbero accumulare all’infinito, che ci ridirebbero sempre la stessa cosa. Ma ce sono altri — e spesso sono i documenti medesimi — che indicano pure altra cosa, come oggetto della divozione, che la estendono a tutta la vita intima di Gesù, qualche volta a tutta la sua persona, ai suoi lavori, alle sue sofferenze, alle sue virtù, ai suoi sentimenti, alla sua presenza eucaristica, a Gesù tutto intero, designato sotto il nome di sacro Cuore. Per rendersene conto, basta leggere un trattato sul sacro Cuore ed esaminare qualcuna delle pratiche in onor suo. – Nessuno, meglio del P. Galliffet, ha dato l’idea vera e precisa della divozione. Esaminiamo ciò che egli dice sull’eccellenza della divozione al sacro Cuore di Gesù. « Se ne deve giudicare, dic’egli, dal suo oggetto, dal suo fine, dagli atti e pratiche di virtù che contiene, dal frutto che produce ». E sviluppa questi quattro punti. Che cosa dice dell’oggetto? « È precisamente dall’oggetto che una divozione ritrae la sua eccellenza, come ne ritrae il vero carattere. L’oggetto di questa, è il Cuore di Gesù». Il P. Galliffet continua col considerare questo cuore in sé stesso (L, II, c. I, art. 2, p. 72), e constata l’eccellenza:

a) « delle proprietà naturali del cuore », b) della sua unione con l’anima più perfetta e eccellente che sia mai stata, c) della sua unione col Verbo eterno, d) della funzione divina per cui fu formato e che non è altro che ardere incessantemente delle fiamme più pure e più ardenti dell’amor divino, e) della santità che gli è propria, f) « delle virtù di cui è sorgente ». Tutte cose, si vede bene, che sono indubitatamente in rapporto col cuore. E s’intravvede che il P. Galliffet forza un poco questo rapporto, presentando il cuore come « la sorgente » delle virtù e dei sentimenti. L’autore studia, in seguito, il cuore di Gesù, in rapporto agli uomini. « Considerate, dice egli, che questo Cuore divino vi si presenta tutto infiammato dell’amore che vi porta e tutto pieno di quei generosi sentimenti di bontà a di misericordia, ai quali siete debitori della vostra redenzione, e ricordatevi che è questo medesimo Cuore che ha risentito, così vivamente, tutte le vostre miserie, che è stato così crudelmente afflitto dai vostri peccati, e nel quale si sono formati tanti desideri ardenti della vostra felicità. Ma consideratelo, soprattutto nei dolori sofferti, per amor vostro nella sua passione ». – Qui, senza dubbio, l’amore è messo in prima linea, ma per quanto l’autore s’inganni vedendo meno il simbolo che il principio, l’amore non è solo, in vista. Vi è, pertanto, qualche considerazione ancora più chiara. Riassumendo, alla fine del cap. IV, libro I, la sua dottrina, sull’oggetto della divozione al sacro Cuore per darne un’idea « netta e perfetta », il padre Galliffet dice: « Molti vi prendono inganno. Sentendo pronunziare questo sacro nome: Cuore di Gesù, limitano i loro pensieri al cuore materiale di Gesù Cristo; non riguardano questo Cuore divino che come un pezzo di carne, senza vita e senza sentimento, come farebbero, presso a poco, di una reliquia santa, ma tutta materiale. Ah! come l’idea che si deve avere di questo sacro Cuore, è differente, è ben altrimenti magnifica! ». – Egli vuol dunque che si consideri, da prima, « come cuore unito intimamente e indissolubilmente all’anima e alla persona adorabile di Gesù Cristo…, cuore pieno di vita, di sentimento e d’intelligenza ». In secondo luogo, « come l’organo principale e più nobile delle affezioni sensibili di Gesù Cristo, del suo amore, del suo zelo, della sua obbedienza, dei suoi desideri, dei suoi dolori, delle, sue gioie, delle sue tristezze; come il principio e la sede di queste medesime affezioni e di tutte le virtù dell’Uomo-Dio ». In terzo luogo, « come il centro di tutti i dolori interni che ha sofferto per la nostra salute, e di più come cuore ferito crudelmente dal colpo di lancia, che ricevé sulla croce; infine come santificato dai doni più preziosi dello Spirito Santo e per l’infusione di tutti i tesori di grazia di cui è capace ». – « Tutto questo, continua l’autore, appartiene realmente a questo Cuore divino; tutto questo forma parte dell’oggetto della divozione al Cuore di Gesù ». E, come se questo non fosse abbastanza chiaro, conclude: « Si consideri dunque questo composto mirabile che risulta del cuore di Gesù, dell’anima e della divinità che gli sono unite, dei doni e delle grazie che racchiude, delle virtù e degli affetti di cui è il principio e la sede, dei dolori interni di cui è il centro, della ferita che ricevé sulla croce; ecco l’oggetto completo, per così esprimermi, che si propone all’amore e all’adorazione dei fedeli » (loc. cit. pag. 53, 54). Si faccia pur grande quanto si vuole la parte ad una fisiologia inesatta, ciò non potrà mai niente, lo vedremo, contro la divozione. Non è forse vero che onesto oggetto, sì ampio e sì esteso, scaturisce naturalmente dalla definizione ricevuta: « il culto del cuore di carne come emblema dell’amore di Gesù per noi » ? E quello che dice il P. Galliffet vien ripetuto, quasi parola per parola, dai postulatori del 1765, in un passo da cui abbiamo già estratto un brano ripetuto da molti altri in termini equivalenti. Gli autori moderni sono più circospetti nella scelta delle loro espressioni, nel definire l’oggetto proprio della divozione. Ma quando, nei loro svolgimenti, sono meno circospetti, arrivano a dire lo stesso. E bisogna ben riconoscere che l’idea viva della divozione trabocca da ogni parte, per confermare questa formula del cuore come emblema d’amore, e va a ricercare nel cuore di Gesù tutta la vita intima di Dio fatto uomo, tutte le ricchezze nascoste nella sua umanità e, per parlare come i Sulpliziani, tutto « l’interiore di Gesù ». Si leggano le litanie del sacro Cuore e vi si troverà conferma di ciò. E fu così fin dal principio. Ecco come si esprime il P. de la Colombière nella sua spiegazione « della offerta al sacro Cuore di Gesù ». « Quest’offerta, egli dice, si fa per onorare questo Cuore divino, la sede di tutte le virtù, la sorgente d’ogni benedizione, il rifugio di tutte le anime sante. Le principali virtù che si vogliono onorare in lui sono: in primo luogo, un amore ardentissimo per Iddio, suo Padre, unito con un profondissimo rispetto e con la .più grande umiltà che fosse mai; in secondo luogo, una pazienza infinita; e, in terzo luogo, una compassione sensibilissima per le nostre miserie, ecc. ». « Questo Cuore è sempre animato, per quanto gli è conveniente di esserlo, dagli stessi sentimenti, e soprattutto sempre infiammato d’amore per gli uomini ». Si potrebbero citare mille pagine dello stesso genere nella beata Margherita Maria. Come spiegasi questa anomalia, questa specie di sproporzione fra la definizione e l’uso, fra la teoria e la realtà? Senza porsi di fronte esplicitamente alla questione, gli autori la risolvevano praticamente in due sensi. Dapprima cercando di riferire tutto all’amore intimo di Gesù. La sua vita affettiva, non è forse tutta amore? E le varietà di questa vita affettiva, che cosa sono se non lo stesso amore, diversificato secondo le condizioni dell’oggetto?  È quello che già aveva detto sant’Agostino; quello che hanno ripetuto san Tommaso, Bossuet e tutti i discepoli di questi grandi maestri. Quello che non è amore in Gesù, è però sempre sotto l’influenza dell’amore. Perché i suoi dolori? Egli ha amato. Che cosa sono i suoi miracoli? Effetti della sua bontà e del suo amore. Se san Tommaso concepisce tutti gli atti buoni dell’uomo retto come prodotti sotto l’impero dell’amore (egli intende però l’amore per Iddio), non si potrebbe forse dire che tutta la vita di Gesù si compendia nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo? Tutta la sua vita non è stata forse per il prossimo, come per Iddio? Questo ci dà certo una bella idea della divozione al sacro Cuore. Bisogna convenire, pertanto, che questa idea non esaurisce tutte le ricchezze della divozione, come la troviamo negli scritti del P. Galliffet, (potrei ben dire in tutti quelli della beata Margherita Maria) e come pur la constatiamo nella pratica dei fedeli. – Pur essendo essenzialmente quale lo abbiamo definito, il culto del sacro Cuore va ancor più lungi. Si può e si deve concepirlo come la divozione all’amore del sacro Cuore per noi. Perché ne è ben questa la sostanza secondo la parola già citata di Pio VI. Ma va anche più lungi; essa è la divozione al cuore vivente di Gesù, perché considera il cuore di Gesù secondo le condizioni in cui ci troviamo a riguardo del cuore umano. – Il cuore è soprattutto l’emblema d’amore. Ma il cuore vivo e vero non è solo questo. Di qui viene che la divozione al cuore vivo e vero di Gesù non vi onora solamente l’amore. Tutta la nostra vita intima e profonda ha i suoi rapporti col cuore; i nostri sentimenti vi si ripercuotono; tutta la nostra vita affettiva vi trova come un centro di consonanza per il quale ci si manifesta sensibilmente (Si sa che l’amore di volontà, come tutti gli atti della vita spirituale, non ha organo materiale per parlare propriamente. Ma qui non si fa questione d’organo o di principio, si tratta di concorso e di risonanza. Ora si sa bene che anche l’amore spirituale, quando è veramente e primamente un amore umano, si riversa sulla parte sensibile dell’uomo; ha il suo contraccolpo nell’organismo). – Ora, la nostra vita affettiva e la nostra vita morale, sono strettamente unite, tanto da non potersi dire se sono distinte l’una dall’altra. Così il linguaggio corrente, che è espressione delle realtà profondamente sentite, collega col cuore tutta la vita morale e affettiva dell’uomo; le virtù come i sentimenti, il primo impulso all’azione e i moventi intimi. Non si arriva perfino a dire che i grandi pensieri vengono dal cuore, e che il cuore ha delle ragioni che la ragione stessa non conosce? Non è forse vero che, quando Pascal parla di « Dio sensibile al cuore », traduce una realtà profonda e che « Dio sensibile al cuore » è altra cosa che la conoscenza puramente astratta e fredda del filosofo? Gesù stesso non si è forse rivelato a noi come dolce e umile di cuore e non vediamo noi forse, in ciò, una manifestazione del suo sacro Cuore? Ma, si dirà, non si tratta forse qui del « cuore metaforico » contro il quale ci si metteva in guardia, allorché si definiva la divozione al sacro Cuore? No. È al cuore reale che va il nostro pensiero. E non solamente come simbolo dell’amore, come un’eco interna che rivela coi suoi palpiti la vita affettiva, ma in quel modo che l’uso popolare, fondato su di una esperienza vaga ma sicura, riferisce al cuore la nostra vita intima, di cui vediamo in esso il simbolo e l’espressione, nello stesso tempo che scorgiamo la ripercussione del nostro stato affettivo e delle nostre divozioni morali. – Prima estensione della nostra divozione. Estensione, come si vede, legittima e naturale non appena si concepisce la divozione come riferentesi al cuore vivo e vero di Gesù, per onorare in esso tutto quello che è, tutto quello che fa, tutto quello che ricorda e rappresenta allo spirito. Considerata da questo punto di vista la divozione al sacro Cuore, non è solo la divozione all’amore del Cuore di Gesù, ma essa diviene la divozione a tutta la vita interiore del Salvatore, in quanto che quanta vita ha nel cuore vivente un centro di ripercussione, un simbolo o un segno di richiamo. – Vi è pure un’altra idea della divozione, idea ugualmente naturale e consacrata del pari dall’uso e fondata sul linguaggio corrente. È il passaggio dal cuore alla intera persona.

VIII.

OGGETTO PER ESTENSIONE: LA PERSONA DI GESÙ

Nuova estensione del culto. — Come e in qual senso il cuore significa e riassume la persona.

È sempre la persona che si onora quando si onora il cuore; come è la persona che si onora quando le si bacia rispettosamenté la mano. È la condizione del culto; né v’ha bisogno d’insistervi qui. Pio VI ha fatto giustizia delle accuse formulate a questo riguardo dal Giansenismo, come se i fedeli, onorando il sacro Cuore di Gesù, l’onorassero facendo astrazione della sacra Persona del Verbo incarnato. Sino dai primi giorni della divozione, la dottrina fu molto chiara a questo riguardo. Abbiamo già veduto il P. Galliffet insistere sempre più sull’unione del cuore alla persona divina del culto del sacro Cuore. Si può, diceva egli, rivolgere a questo Cuore divino delle preghiere, degli atti, degli affetti, delle lodi, in una parola tutto quello che si può rivolgere alla persona stessa, poiché infatti è la persona unita al cuore che lo riceve realmente. – Margherita Maria aveva già detto, con una perfetta chiarezza, che Gesù si compiaceva molto di essere onorato sotto la figura di questo cuore di carne. Il culto, in questo caso non è d’altronde puramente relativo, come quello che si rende a una immagine, come quello, pur anco, che si rende alla vera croce; perché il cuore fa parte della persona e ha in sé la dignità della persona di cui fa parte. Basta ricordare queste nozioni, perché non vi ha nulla in questo che sia proprio al culto che esaminiamo. La stessa cosa si applica in special modo al culto delle cinque piaghe, di cui una ci riconduce al cuor di Gesù. Che cosa è infatti, diceva il cardinale Gerdil (Animadversiones, § I, Opere t. V, p. 174, Napoli 1855), che cosa è la piaga del cuore, senonché il cuore piagato? Ma nella divozione al sacro Cuore, così come è accettata nella Chiesa, si trova un passaggio speciale dal cuore alla persona, che merita attenzione. Col trascurare di farne oggetto di nota: si confondono qualche volta le nozioni, e non si sa più come spiegare né il linguaggio della beata Margherita Maria, né il movimento del culto. Nel linguaggio abituale, la parola cuore è usata spesso per una figura che i grammatici chiamano sinedoche per disegnare una persona si dice: « È un gran cuore, è un buon cuore », per dire: È una grande, è una bell’anima. E quando diciamo: « Che cuore »! è la persona che designiamo direttamente, non è già il suo cuore. Ciò avviene, naturalmente, nella divozione al sacro Cuore. Margherita dice: Questo sacro Cuore, come direbbe: Gesù. Nei due casi, ella ha in vista direttamente la persona. E l’uso è divenuto ormai familiare di designare Gesù col nome di sacro Cuore. Non già, notiamole bene, che i due nomi siano sinonimi. Non si può dire, indifferentemente Gesù o sacro Cuore. Non si designa sempre la persona per il suo cuore. Per farlo bisogna avere in vista la persona nella sua vita affettiva e morale, nel suo intimo, nel suo carattere, nei principi della sua condotta. L’idea del cuore non sparisce, ma domina la frase; il cuore non designa la persona che sotto gli aspetti rappresentati dal cuore. Ma questo passaggio dal cuore alla persona, questo riguardar la persona nel cuore, dà alla divozione un andamento più libero, una importanza maggiore. Di qui segue che il sacro Cuore mi ricorda Gesù in tutta la sua vita affettiva e morale, l’interiore di Gesù, amabile e amante, Gesù modello e virtù. La vita di Nostro Signore può così concentrarsi tutta sul cuore: in tutti i suoi stati posso studiare quanto vi ha di più profondo, di più intimo, di più personale. Gesù si riassume tutto e si esprime nel sacro Cuore, attirando sotto questo simbolo espressivo il nostro sguardo e il nostro cuore sul suo Cuore e sulla sua amabilità. Gesù non è forse, in tutto e per tutto, amantissimo e amabilissimo? E Gesù non è forse tutto cuore? Eravamo già arrivati a constatare ciò per altra via, per quella del simbolo e della cooperazione del cuore alla vita affettiva di Gesù. Ma ora ci troviamo più a nostro agio nella divozione, grazie a questa specie di comunicazione d’idiomi fra ciò che conviene al cuore e quel che conviene alla persona stessa di Gesù riguardata in ciò che ha di più profondo e di più personale. Che cosa è per noi una statua del sacro Cuore ? Una statua nella quale Gesù, mostrandoci il suo cuore, cerca tradurre ai nostri sguardi tutta la sua vita intima, la sua amabilità e soprattutto il suo amore. – Grazie a questa nuova estensione, possiamo descrivere la divozione al sacro Cuore come la divozione a Gesù che si rivela a noi rivelandoci il suo cuore, nella sua vita intima e nei suoi sentimenti più personali, che, infine, non ci ripetono che amore e amabilità. Questa divozione, se così posso esprimermi, ci scopre il fondo di Gesù. Non è già che il cuore sparisca in questa nuova accettazione. È la persona stessa di Gesù che ce la dischiude, ripetendoci, come già alla beata Margherita Maria: « Ecco questo cuore ». E noi riguardando il cuore che ci viene dischiuso dinanzi, impariamo a conoscere la persona nel suo fondo. Così tutto Gesù si riassume nel sacro Cuore, come tutto il resto, secondo i divini disegni, si riassume in Gesù (Cf. RENÉ DU BOUAYS DE LA BÉGASSIÈRE, Notre culte catholique français du sacre Cœur, p. 7, Lyon 1901).

IX.

UN CARATTERE DISTINTIVO. L’AMORE MISCONOSCIUTO

L’idea dell’amore misconosciuto e oltraggiato. — Il suo posto nella divozione.

La divozione al sacro Cuore è dunque soprattutto la divozione all’amore, all’amabilità di Gesù, la divozione a Gesù così amabile e così amante. Si può ben dire che tutto è là, e che tutto viene di là. Ma vi è un tratto che la divozione mette in tal special rilievo e che le dà il suo carattere particolarmente commovente. Gesù non si accontenta di mostrare il suo cuore ferito d’amore, con la sua tenerezza squisita, con la sua generosità, che va « sino a esaurirsi e consumarsi per dimostrar loro (agli uomini) il suo amore ». Ci mostra pure questo amore misconosciuto, oltraggiato da quelli stessi da cui aveva maggior diritto di aspettarsi la corrispondenza e che per vocazione avrebbero dovuto amarlo di più. Dopo aver detto: « Ecco questo cuore che ha tanto amato gli uomini ». aggiunse: « E per riconoscenza, non ricevo, dalla maggior parte, che della ingratitudine, e con le loro irriverenze e i loro sacrilegi, con la freddezza, il disprezzo che hanno per me in questo sacramento d’amore. Ma quello che mi è ancor più sensibile, è che vi siano dei cuori a me consacrati che agiscon così » (Mémoire nella Vìe et Oeuvres, t. II, p. 355, 2.» edizione, p. 413; G. n. 92, p. 102). Commentando queste parole il P. Galliffet scrive: « Bisogna osservare ancora un punto essenziale della natura della nostra divozione, ed è che l’amore da cui è infiammato il suo divin Cuore deve essere considerato come un amore disprezzato e offeso dall’ingratitudine degli uomini…. Il Cuore di Gesù Cristo deve esser dunque considerato qui sotto due rapporti: da una parte come infiammato d’amore per gli uomini; dall’altra come offeso crudelmente dall’ingratitudine di questi uomini stessi. Questi due motivi, uniti insieme, devono produrre in noi due sentimenti ugualmente essenziali alla divozione verso questo sacro Cuore: cioè, un amore che risponda al suo e un dolore che ci muova a riparare le ingiurie che si son fatte dalla durezza degli uomini » (T. I, cap. IV, P . 43). Il primo grido della divozione al sacro Cuore è: Quale amore! Il secondo : L’amore non è amato! È  questo che spiegano a lungo i postulatori del 1765: « Bisogna notare, dicono essi, che il sacro Cuore deve essere considerato sotto due aspetti; dapprima come traboccante d’amore per gli uomini…. ; poi come crudelmente ferito dall’ingratitudine degli uomini, satollato d’oltraggi e reso degno così non solo del nostro amore, ma della nostra compassione pur anco » ( Memorie n. 34, 38; NILLSE, t. I, p. 117, 120). – Gesù non soffre più; non può più soffrire, ma l’oltraggio, da parte degli uomini, non è meno reale; essi farebbero tutto quello che dipenderebbe da loro per farlo soffrire, se per la sua condizione attuale non fosse al sicuro dei loro colpi! V ha ancor di più ; tutti questi oltraggi piombarono veramente sul suo cuore ; Egli ne soffrì, quant’era possibile soffrire. Nella sua passione, non risenti solo le ingiurie dei Giudei e dei Romani; non seppe solo dell’ingratitudine dei suoi concittadini e dell’abbandono dei suoi amici. L’avvenire e il passato ebbero il contraccolpo nei suoi dolori e vi si concentrarono. Se dunque Gesù non soffre più nel presente, ha però sofferto del presente; e i fedeli non hanno torto di rappresentarselo sofferente, perché ha veramente sofferto per le offese del presente. Senza contare che ci è sempre permesso di trasportarci nel passato per compatire Gesù, poiché l’avvenire d’allora è il presente d’oggi. È possibile che qualche volta il modo di esprimere di tutto ciò non sia rigorosamente esatto. Ma è ben certo che l’esattezza dell’espressione potrebbe correggersi senza toglier nulla alla verità profonda delle cose e all’impressione che devono produrre. È sempre vero, in ogni modo, che la beata Margherita Maria ha veduto il sacro Cuore coronato di spine e sormontato dalla croce, e lo ha spiegato molto bene vedendovi il segno di una grande realtà: « Era circondato, il sacro Cuore da una corona di spine, a significare le punture che i nostri peccati gli facevano, e aveva una croce al disopra a significare che, non appena questo sacro Cuore fu formato, vi fu piantata la croce » (Lettres inédites, IV, p. 141; riveduto su G. CXXXIII, p. 567). La Chiesa conosce bene queste maniere psicologiche di sopprimere il tempo e lo spazio; la sua liturgia è piena di questi riflessi della eternità divina proiettati sul nostro mondo passeggiero e incostante. – Queste spiegazioni erano necessarie per far comprendere come la divozione al sacro Cuore può rappresentarci Gesù oltraggiato. Ma questo rapporto del presente con la passione non è la sola, né  probabilmente la principale ragione dello stretto rapporto che esiste tra la devozione al sacro Cuore e il ricordo dei dolori di Gesù.