QUARESIMALE (II)

QUARESIMALE (II)
DI FULVIO FONTANA
Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

(Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA SECONDA


Nella Feria quinta delle Ceneri.


Si mostra quanto meriti di rimprovero, e di castigo un Cristiano che non corrisponde ad un sì santo nome con le opere.

Filii autem Regni ejicientur in tenebras exteriores.
S. Matt. cap. VIII.

Mala nuova! R. A. Si protesta Iddio, che il popolo a lui fedele sarà punito con castigo il più severo, che abbia preparato a’ suoi ribelli la Divina Giustizia, che vale à dire con un’inferno di pene: Filii autem Regni ejicientur in tenebras exteriores. Tutto bene mio Dio, né v’è chi possa opporsi a’ vostri Santissimi Decreti; bramiamo sol sapere la cagione di tanto sdegno; e non vi par giusto, replica Iddio, che Io debba adirarmi, mentre ritrovo più fede nel cuor d’un Gentile, che d’un fedele? …non inveni tantam fidem in Israel: Il mancamento dunque di fede volete punire con pene eterne? Fortunati noi; sento ogn’un, che dice, tali castighi non faranno fulminati ai nostri danni, perché a noi non manca la vera fede, godiamo del nobil titolo di Cristiano. Piano, non così dico io, perché non basta godere un sì bel titolo, ma a questo vi vuole la corrispondenza delle opere, e allora sarete esenti da’ suoi giusti sdegni. Contentatevi dunque, che io questa mattina vi mostri, che quanto fate bene a gloriarvi d’un si bel nome di Cristiano, altrettanto meritate di rimprovero, se non corrispondete ad un sì santo nome con le opere. Rallegratevi pure , miei UU. giacché con fronte aspersa d’acque battesimali, vantate il bel nome di Cristiani; Ah sì, sì, non vi è lingua, né d’uomo, né d’Angelo, che possa abbastanza spiegare la grandezza di chi porta impresso indelebilmente nell’anima il nobile carattere di Cristiano. Cristiano, sapete quello che vuol dire? vuol dire esser Principe del Sangue, non di Principi, non di Regi, non d’Imperatori della terra, ma del Sangue Divino. O che titolo sublime, o che nome glorioso è mai quello di Cristiano, nome veramente, ardirò di dire, sopra ogni nome. Fu pur stolto Sapore re di Persia; mentre, con vanto, non meno arrogante che bugiardo, era salito intitolarsi discendente delle Stelle, fratello del Sole e della Luna. Così appunto s’intitolò, quando scrisse all’Imperatore d’Oriente, Sapor particeps Syderum, frater Solis, Lunae. O che vanto spropositato; ma quando anche fosse stato vero, che gloria farebbe mai esser fratello del sole e della luna, mentre una formica, perché vivente, è più nobile senza paragone di tutte le Sfere, e di quanti pianeti ornano i cieli; Ah, che il vero pregio è l’esser Cristiano, egli è fratello del vero Sole di Giustizia, che è Cristo, Ille meus frater, soror est. Ma quanto fu stolto, miei UU. Sapore Re di Persia, altrettanto fu savio San Lodovico Re di Francia , il quale tanto si gloriava del bel nome di Cristiano, che era solito di soscriversi Lodovico di Poisy, perché in quella nobile Città era stato battezzato. Deh miei UU. date adito alla luce del Cielo, perché vi scopra la nobiltà di questo gran nome di Cristiano. Ah, che se voi daste ad una tal luce la via aperta, non andreste più in cerca di titoli mendicati in questo mondo, e chi li possiede nulla li stimerebbe, ma solamente si prezzerebbe questo titolo di Cristo, e questo solamente farebbe la nostra nobiltà, la nostra gloria, l’antichità della nostra famiglia. Volete meglio conoscere la grandezza di chi è Cristiano: datemi mente. Voi ben sapete, che quel che rende sommamente riverito lo stato d’un Primogenito Reale, sono quelle due prerogative, la nobiltà della nascita, e l’eredità che attende; e questi appunto sono quei pregi che rendono venerabile fino agli Angeli un Cristiano. Qual è mai, Dio immortale, la nascita d’un Cristiano! Taci pure o Poeta adulatore, non mi stare a dire a Cesare, nate sanguine Divum, nato dal sangue degli dei, poiché il tuo parlare non è altro che una svergognata menzogna. Non può esser nato dal sangue degli dei chi è nato dal sangue di peccatore. Il Cristiano sì, che può dire con verità d’aver sortito da Dio medesimo i natali, mentre è rinato nel Santo Battesimo, qui non ex sanguinibus, sed ex Deo nati sunt … Né solo questo nome di Cristiano porta a voi un sì bel pregio d’una nascita sì sublime, quanto l’essere figli di Dio, Filios Dei fieri; ma di più vi dà il diritto il jus alla eredità del Paradiso. Si filii, bæredes, hæredes quidem Dei. O Dio, che pregio è mai questo del Cristiano, essere in stato d’ereditare il Paradiso … Ma, a che serve essere insignito d’un sì bel nome, se poi non si corrisponde con le opere? Questo è appunto come avere una patente d’onore senza soscrizione e senza sigillo. Christianum esse, grida ad alta voce San Pier Damiano, magnum est, non videri, è grande, è sublime, dice il Santo, la gloria del nome di Cristiano; ma non è né sublime, né grande quando non vi sia altro che il nome. Non si merita, no, nome di Fedele, chi non vive una vita degna della sua fede; e se voi, miei UU. ne porterete il nome senza le opere, vi tirerete addosso i rimproveri di tutta la Corte Celeste; giacché, come asserisce Salviano: atrocius sub tanti nominis professione peccator. Ecco dunque, che contro di voi o Cristiani di nome e non di fatti, esclamano i Santi Patriarchi, e vi dicono: Noi, quantunque nati prima di Cristo, fummo Cristiani, come asserisce Sant’Agostino, non di nome, ma di fatti, re non nomine, e come tali eravamo tutti viscere di pietà verso del nostro prossimo, come tali, non ritenevamo rancori nel nostro cuore, come tali eravamo staccati da ogni affetto terreno; ma voi, che siete venuti al mondo in tempi tanto più felici de’ nostri, nati in seno alla Chiesa, nutriti col latte della vera credenza, nulladimeno avete sì bruttamente tralignato detta vostra nascita, siete vissuti tra gli odj, vi siete immersi negli interessi, seppelliti nelle difonestà; sì, sì, noi fummo Cristiani, re non nomine, ma voi lo siete di solo nome. Ah, che se potessero alzare la testa dalla loro tomba i fedeli della primitiva Chiesa; o questi sì, che vedendovi insigniti di quel nome da loro tanto stimato, vi rimprovererebbero atrocemente, dicendovi: voi Cristiani? Noi altresì fummo Cristiani, ma quanto dissimili da voi. Noi all’udir solo nominare il nome di Cristo, ci struggevamo di devozione, e voi col nome di Cristo prendete à sfogar le vostre rabbie, ad autenticar le vostre frodi, à ricoprir le vostre ribalderie: noi eravamo sì lontani dalle impurità, che più gran tormento si stimava l’essere strascinato ai lupanari, che l’esser dato alle fiere; e voi con i vostri impuri costumi contaminate tutta la vostra vita .. Che direbbero quei Padri di famiglia della primitiva Chiesa: Noi si direbbe fummo veri Cristiani, perché fu somma la cura, che tenemmo de’ nostri figliuoli e figliuole, ma voi? Che direbbero i mercadanti della primitiva Chiesa; le nostre compere, le nostre vendite, i nostri traffici eran tutti sinceri, non si vendeva da noi con giuri, con spergiuri; ma voi? Che direbbero i nobili della primitiva Chiesa? La nostra nobiltà ci serviva per proteggere la virtù, per opprimere il vizio, per sollevare il povero; ma voi? Che direbbero le donne della primitiva Chiesa: Non v’era in noi vanità, tutto modestia era il nostro vestire, modeste per le strade, modestissime nelle Chiese; e voi? Che direbbero finalmente gli Ecclesiastici della primitiva Chiesa? Direbbero: Il principal nostro pensiero, se presedevamo alle anime, era condurle à Dio; del patrimonio Ecclesiastico se ne facevan tre parti, alla Chiesa, ai Poveri, a Dio; per noi la peggio, sempre ritirati da bagordi, sempre oranti nelle Chiese, penitenti nelle camere; e voi? Che rispondete a questo rimprovero? bisogna dichiararsi convinti, e asserire, che siete Cristiani di nome, e non di fatti; e quando ardiste negarlo, presto, presto sareste convinti dal fatto, interverrebbe a voi ciò, che in altro proposito intervenne al Vescovo Bellovacense; uditene l’Istoria. Mentre gli Inglesi combattevano già in Francia, questo Prelato dimenticatosi delle sue proprie armi, che erano le Orazioni, si armò da Capitano: e combattendo con gli altri, rimase prigione del Re d’Inghilterra: Giunta questa nuova in Roma, Celestino Terzo, Sommo Pontefice, scrisse lettera efficacissima al Re vincitore; acciocché si contentasse di liberare il Prelato dalla carcere. Or sapete, miei UU. qual fu la risposta che il Re diede al Pontefice? Eccola; gli mandò, per spedito a posta, l’Usbergo, la Corazza, l’Asta, il Cimiero, e tutti gli altri arredi de’ quali era fornito il Vescovo prigioniero, con l’aggiunta di queste poche parole: Vide utrum tunica Filii tui fit, an non … quasi volesse dire: Santo Pontefice, voi mi chiedete la liberazione dalla carcere di un Vescovo vostro Figlio, ma v’ingannate: Quello che è mio prigione, non è vostro Pastor sacro, è un Capitano d’esercito, Vide, utrum tunica Filii tui fit, an non? Ah miei UU. che tanto appunto si può dir di voi; se voi vorrete opporvi al processo, che contro di voi hanno formato i Santi, con dire, che siete Cristiani anche di fatti, ecco, che senza replica vi convinceranno con la numerazione di tanti vostri peccati, in pensieri, in parole, in azioni indegne, ecco, che vi convinceranno con quella robba, che malamente possedete, con quelle lettere cieche, con quei memoriali iniqui che stendeste, con quelle macchine che ordiste per rovinare il vostro prossimo, e rivoltati con sommo sdegno verso di voi, vi diranno: Tu dici d’esser Cristiano? Mira, se queste sono le armi proprie d’un Cristiano; è questa la sopravveste d’un Fedele? è questa quella stola di cui fu vestita l’anima tua nel Battesimo, Vide, utrum…  No, che non è, e però, o spogliati di quel bel nome di Cristiano, o cambia i tuoi scellerati costumi, aufer Cydarim, tolle coronam, vi dirò anche io col Poeta; altrimenti questa corona sì bella non ti ornerà di vantaggio di quella che orni un re da scena colà nel teatro: Sarai chiamato Cristiano, ma per verità non sarai. Né qui finiscono le vostre disgrazie, o Cristiani di nome e non di fatti, perché a rimproverarvi s’uniscono i lamenti di Chiesa Santa, e le querele di Dio: Poveri voi, e che sarà di voi? Ecco le parole di Rut. al cap. primo, Ne vocetis me Noemi, sed vocate me Mara; lo, dice Santa Chiesa, quantunque sempre bella, e sempre santa, per la santità del Capo, che è Cristo, e per la santità di molte membra, che fono i Santi, i quali di continuo mi vivono in seno; ed è pur vero, che per la vita scorretta di tanti Cristiani, che col Battesimo in capo vivono indegnamente, non posso più chiamarmi bella, ma addolorata, ne vocetis me Noemi, sed vocate me Mara. Tempo già fu che le mie chiese eran rispettate, e sol vi si entrava per orare; ma ora non vi si sentono che cicaleggi, che novelle. Tempo già fu, che i miei Sacramenti eran rispettati; ma ora tal’uno si porta a questi con coscienza rea. Tempo già fu, che le mie Feste erano rispettate; ma ora le vedo profanate con giochi, con balli, con bagordi. Tempo già fu che nelle Feste non si poneva mano al lavoro, ora, e si lavora, e si vedon talora spalancate le botteghe ad ogni contratto. Tempo già fu, che i miei digiuni erano osservati; è giunta l’ora, che del tutto sono strapazzati; non si voglion vigilie, non si vuol Quaresima; e con mendicati pretesti strappan di mano de’ medici le licenze surretizie; Nolite, nolite vocare me Noemi, sed Mara. Questi sono i lamenti della santa Chiesa contro chi è Cristiano solo di nome, e non di fatti. Più terribili sono però le querele di Dio, uditele dalla bocca del suo Profeta: si inimicus meus maledixisset me, sustinuissem utique; se un Turco, allevato nel porcile della vile setta di Maometto, che altro paradiso non ha in cuore che il paradiso delle bestie, se questi, dico mi strapazzerà, avrà qualche ombra di scuse, da quelle tenebre d’ignoranza, nelle quali nacque. Se un Irochese mi vilipenderà sarà in qualche modo degno di qualche scusa perché nacque tra le selve, e fu allevato dalla madre, più da fiera, che da uomo; ma tu o Cristiano, tu vero homo unanimis, qui simul mecum dulces capiebas cibos dux meus, et notus meus; ma che tu m’offenda, o Cristiano, non lo posso tollerare; tu, che succhiasti col latte la vera Fede; tu, che avesti questa gran sorte; che tu poi ti sia scordato della tua nascita, ti sia dimenticato della tua dignità, e perciò ti sia dato ai piaceri, agli interessi, alle vendette indegne; e per soddisfare a queste, abbia voltate le spalle al Cielo, al Paradiso, alla mia grazia, a me. O questo sì, che non l’intendo. Io non posso capire, che qui nutriebantur in croceis, amplexati sunt stercora. E quel che è peggio, ed è purtroppo vero, tu in questo fango di peccati non vi sei caduto à caso, per tua malasorte; ma perché vi sei voluto cadere, non una, ma mille volte; e tra questo fango ti ci sei immerso per delizia, te lo sei stretto al seno per felicità, amplexatus es stercora; onde è, che da niuno meriti compassione, e perciò niuno ti ajuterà, quis miserebitur tui Jerusalem, quis contristabit pro te, quis ibit ad rogandum pro te … niuno, niuno, dice Geremia. O va’ pure misero Cristiano di nome, vedi, se ti torna conto vivere senza opere di Cristiano, mentre contro di te vien formato un processo sì terribile da’ Patriarchi, da’ Fedeli, dalla Chiesa, da Dio. Che rispondi? Taci, che a tua confusione sarai ripreso dalli stessi Gentili, che privi d’ogni lume di fede, che poveri d’ogni grazia di Sacramenti non però commisero delitti pari ai tuoi. Io, dirà uno Spurina; quantunque illustre di sangue, e vago di volto, perché mi accorsi d’esser ad altri d’inciampo, non guardai à deformarmi con più ferite il volto, ove restarono alte le cicatrici, volendo più tosto riuscir men vago, che men casto. E voi Cristiani, che rispondete? dice Sant’Ambrogio, che ne riferisce il fatto, converrà diciate, che con abiti pomposi, contanti affettati abbigliamenti altro non faceste, che dare alle anime incentivi più veementi d’iniquità. S’alzerà dalla tomba Anassagora, il quale quantunque nulla possedesse, salvo, che un piccolo podere paterno, se ne spogliò, per esser privo di questo ingombro, e però più spedito all’acquisto delle scienze umane. E voi Cristiani, che direte? Voi, che tutto l’affetto ponete nella robba. Voi, che ogni vostro studio mettete in acquistar di qua, scordati affatto d’acquistare per di là. Sorgeva dalle sue ceneri Torquato, il quale non avendo altro amore in terra, salvo quello verso del suo figlio, e figlio Console, lo volle morto, non per altro, se non per aver violata la militar disciplina, quantunque con esito prospero, felice, e vittorioso. Padri di famiglia, madri di famiglia, capi di casa, ma vuoti di cervello, quali rimproveri non sentirete voi da Torquato, merceché, con amor disordinatissimo amando i vostri discendenti, gli lasciate con la briglia sul collo, sicché si ricreino per ogni prato, per ogni via, per ogni casa, ne’ bagordi, nelle veglie, ne’ balli, ne’ teatri. Ecco Focione sì rinomato tra Greci, il quale vi fa sapere, come egli, quantunque avesse illustrato il suo nome con opere egregie, fosse condennato à morte per invidia de’ suoi maligni; Ad ogni modo, prima di bere il veleno, che doveva ucciderlo, ricercato da’ suoi amici presenti allo spettacolo qual fosse quel ricordo che egli per bocca loro volesse lasciare al figlio lontano, rispose tutto cuore, e intrepido: questo è il ricordo, che io gli lascio, e diteglielo, che si scordi delle ingiurie fatte a me suo padre, e a chi mi preparò su di questa tazza il veleno renda bene per male. Guardami in fronte, o Cristiano temerario, e a confronto di Focione inorridisci. Tu, che vorresti con i tuoi medesimi denti sbranare il cuor de’ tuoi nemici; né contento d’esser solo ad odiarlo, vuoi, che teco s’unisca il parentado, e gli amici, e che la tua nemicizia passi per eredità ne ‘ tuoi discendenti. O che rossore sentirsi rimproverar da barbari: Tu nato in grembo alla Religione, tu fra tanti oracoli di scritture, fra tante dottrine de’ Padri, fra tanti esempi de Santi, vivesti come barbaro? E noi ciechi à tanti lumi vivemmo con massime di Cristiano; a ragione esclama Cristo per San Matteo, Viri Ninivite surgent in Judicio cum generatione ista, condemnabunt eam. Lamentatevi pure, o mio Dio, che ne avete ragione; mentre quelli che doverebbero gloriarsi del bel nome di Cristiano, sono arrivati a segno, che se ne vergognano; Si vergognano si d’esser stimati Cristiani, che perciò s’arrossiscono di esser veduti lungamente genuflessi avanti gli Altari, ond’è che vi stanno con l’irriverenza d’un sol ginocchio piegato; peggio, con le spalle voltate al Santissimo; si vergognano d’esser veduti con l’officio, con la corona in mano, e perciò passano le ore nella Chiesa ciarlandovi. Si vergognano di frequentare i Santissimi Sacramenti, e perciò passano i mesi, per non dir gli anni, che non si prostrano a’ piedi d’un Confessore, e non si accostano à cibarsi del Pane degl’Angeli. Dio immortale, il turco non si vergogna a vivere da turco, l’eretico da eretico, il gentile da gentile, l’ebreo da ebreo, solo il Cristiano si vergogna di comparire da Cristiano. Non così fecero i Santi, che per comparir veri Cristiani diedero la vita. Lasciossi pure arrostir nella graticola un Lorenzo; tollerò pure un’Agata le mammelle recise; sopportò pure l’atrocità del ferro una Lucia, per apparir per quei Cristiani, che erano. Per tale pure volle comparire a costo di sangue svenato quella grande Eroina Santa Solangia, di cui ne narra l’Istoria il Padre Eschenio. Era questa una povera pastorella, priva bensì de beni di fortuna, ma tanto più ricca de’ doni della grazia, nata d’umili vignajoli nelle vicinanze di Berri d’Aquitania, ma di tal venustà, che difficilmente se ne poteva trovare una pari; più bella però era nell’anima, perché innocentissima, e ritirata da ogni ombra di vanità, devota oltremodo, ma specialmente verso la Madonna, a cui aveva consacrata la sua verginità. Guidava questa verginella un picciol branco di pecorelle, e allorché queste si pasturavano, ella, genuflessa sull’erba, s’immergeva nelle orazioni, e ben spesso s’udiva replicare Gesù Sposo mio, à voi consacro questo core. Una tanta luce di venustà e di virtù non poté star nascosta, e arrivò a notizia di Bernardo Conte di Berri, il quale fingendo di portarsi alla caccia, giunse al prato, ove la donzella, non molto lungi dalla sua gregge, genuflessa orava, e appena la vidde, che ne restò preso: scese prontamente da cavallo, salutolla cortesemente, e gli soggiunse, che ella non meritava sì vil mestiere; vi voglio contessa di Berri, vi voglio per mia sposa: dite, parlate. L’innocente donzella s’impallidì, si raccapricciò; indi con parole pesate, rispose: il mio Sposo è Gesù, maggior d’ogni re terreno. S’inasprì il Conte al rifiuto delle sue nozze, e la donzella si pose in fuga; seguilla il Conte, la prese, la gettò sul collo del cavallo; indi montato, dato di sprone, già la conduceva. Raccomandavasi in tanto a Dio la donzella; quando ecco, che nel passar d’un fiume, allorché il Conte pensieroso attendeva al guado, ella bramando più la verginità che la vita, si gettò nelle acque, e via guazzando si rimise in fuga; quand’ecco il perverso cavaliere infierito, disse: giacché non mi vuoi per consorte, m’avrai per carnefice: la raggiunte, e datogli un colpo sul collo, gli troncò la testa. Rimase in piedi quella verginella cosi decapitata, e prese in mano la tronca testa, e così la portò con egual prodigio di San Dionigi à depositarla nella Chiesa di San Martino, ove sepolta, fu glorificata da Dio con stupendi miracoli. Or questa sì, che volle comparir per Cristiana. Se bene, a che stancarmi per persuaderli a voler comparir per Cristiani; mentre nella mia udienza vi saranno di quelli che non solo non vogliono comparire per Cristiani, ma vogliono comparire a tanta forza per eretici, per Maomettani, per Ebrei, per Gentili; e di loro si può dire, fideliter credunt, gentiliter vivunt, perché vivono come se non vi fosse ne Inferno, né  Paradiso, né Giudizio, né  Anima, né  Dio; fideliter credunt, aggiungerò io, et Hebraice vivunt, perché sempre tra le usure, sempre con traffici illeciti, Fideliter credunt, et hebraice vivunt; si strapazzano le Chiese con enormi discorsi, si prendono sacrilegamente i Sacramenti, si vilipendono i Ministri dell’Altare, Fideliter credunt, et Maumetane vivunt, vivono da Turchi, con licenza brutale, senza guardare né  a sesso, né a condizione, né ad età. Passo avanti, e qui non mi fermo; e dico che Fideliter credunt, et diabolice vivunt, credono come Cristiani ed operano da diavoli. Piacesse al Cielo, che qui non vi fosse persona di tal sorte: quante volte avete distolto dal bene quel giovine; dissi poco, quante volte l’avete condotto al male; quante volte con perversi artifizi avete rovinata quell’anima. O Dio, Dio, che sarà di voi con un processo sì formidabile contro di voi. Le vostre scuse già le sento, non suffragano. Voi subito adducete ignoranza e fragilità; l’ignoranza non suffraga, perché à voi non son mancati predicatori evangelici, non libri, non padri spirituali; lo stesso Dio di continuo v’ha picchiato al cuore; se poi adducete fragilità, non nego che nella nostra creta, questa non vi sia, ma, perché non vi siete servito di ciò che poteva stabilirla, perché non siete stati lontani dalle occasioni, perché non avete frequentato i Sacramenti, perché non avete letto qualche buon libro? Siete voluti cadere a forza di volontà perversa; le vostre difese non valgono; onde non potete aspettarvi che sentenza di perdizione. Ricordatevi di quel che San Girolamo racconta di se stesso, che portato al Divino Giudizio, gli fu domandato chi era; rispose: Christianus sum, e sentì replicarsi, non è vero, Ciceronianus es; e per questo ne riportò percosse. Cristiani miei, allorché comparirete al Tribunal di Dio, e direte son Cristiano, no, sentirete rispondervi, perché non perdonaste le ingiurie; no, perché viveste tra tanti vizi; no, e così ne riceverete dannazione eterna.

LIMOSINA.
Chi è Cristiano, sa per fede, date et dabitur vobis, fate limosina, e non dubitate; e noi ci crediamo; appunto; si fanno limosine rarissime volte, quantunque la limosina sia di precetto in chi può farla, e non di consiglio. La vostra fede è morta, e non è viva.

SECONDA PARTE.

Quanti qui vedo, tutti siete bagnati d’acque battesimali, e perciò tutti Cristiani; e pure son costretto dire con quel nobile Cartaginese, allevato da giovine in Roma, allorché adulto vi tornò Ambasciatore per la sua patria; merceché trovando la virtù Romana decaduta dal suo antico decoro, esclamò, Romam video, sed mores Romanorum non video, vedo di nuovo Roma ma non vedo più i costumi de’ Romani; Christi fidem video, esclamo ancor io; sed mores Christianorum non video, trovo la fede di Cristo, ma non trovo la fede degli antichi Cristiani. Questi disprezzavano quanto era nel mondo di ricco, di specioso, di nobile, di dilettevole; e voi Cristiani d’oggidì, che fate tutto l’opposto, si vuole ogni contento, spassi, balli, ricchezze, e volete unire ancora alla Fede di Cristo le opere da demonio, che vale a dire sozzi piaceri, traffici illeciti; Christifidem video, sed mores Christianorum non video. – La fede, miei UU. ci fa Cristiani, ma le opere ci fanno buoni Cristiani. In Paradiso non ci vanno quelli che solamente sono Cristiani; ma bensì quelli che sono buoni Cristiani; è parola di Cristo, non omnis, qui dicit Domine Domine intrabit in Regnum Celorum, non entrerà in Paradiso, chi solamente invocherà il nome di Dio, sed qui fecerit voluntatem Patris mei; ma bensì chi farà la volontà di mio Padre, che vale a dire chi opera. O quanti sono quelli, che dicono molto, e nulla fanno; s’odono sempre le loro voci, ma non si vedono le loro opere; sciolgono la lingua, ma non le mani. A voi dunque, che avete la Fede di Cristo sol nella lingua, sol nella apparenza, e non nelle opere, predico la vostra perdizione, se non vi mutate; e ve la predico, come Tiburtio Senatore Romano profetizzò la dannazione di Torquato, quando rivolto a’ seguaci di Cristo disse loro: Voglia Dio, o Fedeli, che io non sia indovino: Torquato non morirà Cristiano; la sua fede è troppo discorde dalla sua vita; Egli è inimico delle astinenze, de’ digiuni, invece del Vangelo legge libri profani e dannosi, tutto è dedito al gioco, alle disonestà: Insomma, o fedeli; non vorrei essere indovino: Torquato non morirà Cristiano, perché la sua vita troppo discorda dalla sua fede; e infatti così fu, perché Torquato senza aspettare la violenza de’ tormenti, spontaneamente rinnegò Cristo; sicché, cacciato dalla comunione de’ Fedeli, morì apostata nelle braccia de’ demonj. – Voglia Dio, miei UU. che io non sia indovino di quanti qui siete, molti non moriranno nelle braccia di Cristo, ma si danneranno perché la loro vita è troppo discorde dalla fede che professano. Non morirà nelle braccia di Dio quella donna, che ad altro non attende che ad abbellire il corpo con ornamenti, ed ad imbrattar l’anima con vizj, che comporta, e lascia star la figlia con gli amanti, ma perirà tra i  demonj, se non si ravvede per tempo, e questo tempo non è nelle mani sue, ma in quelle di Dio, seco adirato; quanto dunque può temere di non averlo, se indugia; Perirà tra le braccia di Satanasso quell’uomo, che sta attaccato a quella mala pratica; perirà quel disonesto, quell’interessato, quel vendicativo, quello irreverente nelle Chiese, quel sacrilego, se non corrono ai piedi del Confessore con un vero pentimento, con un vero dolore. Perirà insomma ognuno, che avverrà i costumi simili a Torquato, perché simili nel vivere, simili altresì gli faranno in morte. Disingannatevi miei UU. Confessar Cristo con le parole, e poi negarlo con i fatti, è un mettersi nel numero infelicissimo di quelli che confitentur senosse Deum, factis autem negant; ed intendetela con San Gregorio, chi in Dio veramente crede, quello, che opera secondo quello che crede, ille solùm veraciter credit, qui exercet operando, quod credit.

QUARESIMALE (III)

QUARESIMALE (I)

QUARESIMALE (1)

Nel Giorno delle Ceneri.

(QUARESIMALE DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ; Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA PRIMA

Si mostra quanto sia stolto l’Uomo, che pecca, mentre sa indubitatamente, che si muore; che si può morire in ogni momento di nostra vita; e che quanti sono i peccati che si commettono, tante sono le citazioni che affrettano la morte a buttarci nel Sepolcro.

Memento homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris

Si muore, e pur si pecca: Si può morire in ogni momento di nostra vita, e pur si offende Iddio. Quanti sono i peccati, che si commettono, tante sono le citazioni, che affrettano la Morte a buttarci nel Sepolcro; e pure si oltraggia la Divinità. Tale è la Pazzia di non pochi Cristiani, che con estremo mio cordoglio m’accingo a deplorare questa mattina. Ma ahi, che sento voci terribili al mio cuore, le quali mi asseriscono, che se i peccatori non si riscuoteranno da’ vizj, quantunque da me ripresi nel corso Quaresimale: tutto dovrà attribuirsi alla debolezza del mio spirito, alla tepidità del mio zelo. Voi dunque, Abitatori Celesti; impetrate (vi supplico) fervore al mio spirito, fiamme al mio zelo. Voi Spiriti tutelari di questa Città: Voi Santi, che ne siete vigilantissimi Protettori; voi Angeli, che sedere Custodi al lato de’ miei. R. A: Voi beati, che giacete sepolti in questo nobil Tempio, correte, vi prego, al Trono di Dio, e unitamente con la Vergine Santissima, vera Madre del Verbo, impetratemi, che io proferisca la Divina parola con la riverenza dovuta: sicche non resti adulterata con facezie, né contaminata con formule vane, ma pura la tramandi nel cuore de’ miei UU., acciò non perda la sua efficacia, benché proferita da me peccatore, mentre io assolutamente mi protesto, che non avrò altra mira nel corso Quaresimale, salvo, che liberare i peccatori dalle mani di satanasso, e porli nel seno di Dio. Intimo, dunque, guerra al demonio; v’apro le porte del Cielo: mi pongo a quelle dell’Inferno, per tenerne indietro quel peccatore, che ostinato nei suoi vizi, volesse a forza di peccati entrarvi. Si muore; né vi è, a mio credere, alcuno tra i miei A A. che temerario ardisca sfacciatamente negare, che si muore .. Sola la Morte tra i quattro Novissimi, è restata intatta dal dente maligno della eresia. V’è chi ha negato con orribile bestemmia il Divino Giudizio l’Inferno ai rei, il Paradiso ai Giusti; ma non giammai la Morte; essendo sicuri, che il mondo tutto con Aristotele, negando ciò, che l’esperienza insegna, gli avrebbe spacciati per matti, suadentes contra experientiam contemptibiles sunt. Bisogna dunque morire; e sino dalla nascita principiò la morte ad intimarci una breve vita, homo natus de muliere brevi vivens tempora, e ogni elemento di continuo ci avvisa il nostro finire; la terra, con tante parole, quanti sono della sua polvere gli atomi ricorda ad ognuno, Pulvis es, in pulverem reverteris. L’acqua col continuo mormorio delle onde sue fugaci, ci avvisa, che omnes morimur, quasi aqua dilabimur. L’aria col soffio de venti, ci fa intendere, che Ventus est vita hominis; e il fuoco con lingue di fiamme dice ad ognuno, Cinis es, et in cinerem reverteris, sei composto di cenere, e in cenere devi ridurti. Così è, così è, date d’occhio à quanti vi precederono. Dove sono le Monarchie degli Assiri, de’ Medi, de’ Persi, de’ Greci, de Romani? le cercò David ad una ad una con occhio Profetico, ma non ne trovò vestigio, quæsivi, et non est inventus locus ejus, cenere, cenere. Dove sono i Socrati, Platoni, gli Aristoteli, che con la loro Dottrina si resero illustri per tutto il mondo? Cenere, cenere. Dove quei Savj della Grecia, benché sapientissimi? Cenere, cenere. Dove quelle bellezze mondane in tante Elene, in tante Cleopatre, in tante Penelopi, che nel loro primo Oriente furono adorate, come il Sole, tra’ Persiani? Cenere, cenere, cenere. Mira, deh mira, esclama S. Bernardo dalle solitudini dell’eremo, scrivendo ad Eugenio Papa, mira tutti i tuoi predecessori dal primo padre Adamo! Dove sono quei grandi che già fiorirono in dignità, in potenza, in ricchezze in sapienza? Interroga di loro e che troverai? Appena una sterile memoria. Dove sono quel fiore d’uomini di ogni umana grandezza riguardevoli? Dove sono quei capi del popolo e magistrati? Dove quegli oratori d’insuperabile fecondia? Dove quei consiglieri di insuperabile sapere? Dove quei tanti regi, quei tanti imperatori, quei tanti Pontefici? Ah, che tutti sono un mucchio di cenere, che non può distinguersi dalle ceneri, dalle ossa di mendici. Della loro grandezza che cosa è rimasto se non l’ombra; delle glorie, se non il fumo, della fama se non il nome: finalmente Memoria rerum in quam paucis ossibus continetur. Ipsi te prædecessoris tui, tuæ certissimæ, ac citissimæ mortis àdmonent. Quel Mondo insomma, e di Principi, e di sudditi, e di nobili, e di plebei, che vi precede, tutto è ridotto in polvere, e cenere. E voi peccatori non vi atterrite a catastrofe sì luttuosa; non v’atterrite alla riflessione, che anche con voi ha da girare per queste strade. Bara funesta, hanno da trar fuori della cassa, per la vostra morte, da’ vostri congiunti gli abiti di lutto, e si hanno da trascinare veli di gramaglia. Come è ordunque possibile, che una tal memoria non ponga freno al vivere licenzioso? Ah Dio, R. A; intendiamola una volta. Quello stesso Dio, che a caratteri, quanto meno veduti, tanto più intesi, prescrisse su le arene de’ lidi ad ogni onda, qual precetto: huc usque venies, et nox procedes amplius, hic confringes tumentes fludus tuos, quello stesso Dio, dico, dice a voi, dice a me, additandoci il sepolcro, huc usque venies, presto arriverai alla tomba, non procedes amplius, e non vivrai più, hic confringes tumentes fluctus tuos, qui finiranno le vostre ricchezze, qui si stracceranno tutte le polize di cambio: qui si lacereranno tutte le Patenti d’onore: qui svaniranno in fumo tutti i titoli, tutti i vostri giardini, tutte le vostre delizie, tutti i vostri palazzi faranno quattro palmi di terra, hic confringes, huc usque venies, et non procedes amplius. Convien morire, non accadde altro. Se voi o Padre non siete qui per altro, che per avvisarci della nostra morte, voi perdete il tempo, quis est homo qui vivet, et non videbit mortem? già sappiamo, che dobbiam morire; dunque sapete d’aver a morire e peccate? O questa sì, che non l’intendo; sapete di avere a morire, e non licenziate colei di casa? o questa sì, che non la capisco; sapete d’avere a morire, e covate gli odj nel cuore. Sapete d’aver à morire e insidiate alla robba, all’opere, ed alla vita del prossimo? e non sapete indurvi a restituir l’usurpato? Io son fuori di me. Se voi m’aveste detto, che non sapevi d’aver a morire, onde facilmente cadevi ne’ peccati, respirerei; ma saper d’avere a morire, e peccare, o questa sì, che non l’intendo. Molto meno però intendo, che sapendo voi d’avere a morire, e che potete morire di momento in momento, tanto offendete Dio; scuotetevi, o disgraziati peccatori al tuono di queste parole: Voi potete morire in ogni momento di vostra vita, e con questa verità ben capita, vi basterà l’animo di stare un momento in peccato? Che voi potiate morire in ogni momento di vostra vita, la Fede ce l’insegna, la ragione ce lo dimostra, l’esperienza ce ne assicura. Rivoltate, leggete le sacre carte, e forse non troverete Articolo di Santa Fede nei quattro Evangelisti replicato più spesso di questo: vigilate, c’intima San Matteo, quia nescitis diem, neque horam; state in veglia, perché non sapete né il dì, né l’ora. Vigilate, grida San Marco, nescitis enim quando Dominus veniet an sera, an media nocte, an mane; vegliate, perché non sapete quando il Signore verrà per voi se la sera, se la mezza notte, se sul far del giorno, se al matutino della gioventù, se al meriggio della virilità, se alla sera della vecchiaja. Replica San Luca: estote parati, quia qua hora non putatis Filius hominis veniet, state apparecchiati, per che quando meno ve l’aspettate sarete citati dal Giudice; finalmente San Giovanni ci rinnova l’avviso: Veniam ad te tanquam fur, et nescis qua hora veniam. Verrò d’improvviso, come il ladro, né saprai l’ora in cui verrò, e pure una verità sì chiara, un articolo di Fede si ripetuto sì poco si teme; e si vive in peccato, quantunque Iddio ci intuoni, che di momento in momento si può morire: ma lasciate da parte la fede, voglio convincervi con la ragione, e farvi vedere, che di momento in momento potete uscir di vita. Ditemi, qual vetro è più fragile della vostra vita, soggetta à tanti accidenti: Non basta una goccia, che vi precipiti sul cuore, una vena che vi si apra nel petto, un catarro, che vi soffoghi la respirazione? e questi casi non possono venire di momento in momento? Anzi, che dissi? ogni creatura, benché piccola è sufficiente à torvi la vita di momento in momento: Non si ricercano fulmini dal Cielo, né precipizį della terra. Una sola spina di pesce bastò à levar la vita a Tarquinio Romano. Un sol capello bevuto nel latte, e attraversato alla gola strangolò Fabio Senatore. Un granello di uva passa soffocò Anacleonte poeta. Da una puntura leggerissima d’ago si vide ridotta à morte Lucia Larina. Per un moschino ingojato nell’acqua perde la vita Adriano Quarto Pontefice. Aprite dunque gli occhi miei U. U., ed intendete, che ogni creatura è sufficiente a togliervi di momento in momento la vita. Ma su via voglio che quella morte, che può venirvi ad ogni momento dalle creature, possiate, se non sfuggirla, almeno allontanarla da voi. Non così però potrete fare di quella che nasce dentro di voi. Come il ferro genera la sua ruggine, come il legno il suo tarlo, come il panno la sua tignola, così l’uomo si genera pur da se stesso la sua morte. Sappiamo pure, che di continuo dentro le nostre viscere, duellano a nostri danni tra di loro gli umori; che la stessa intemperie di nostra complessione ci fabbrica continuamente ordigni mortali; che lo stesso cibo, che prendiamo per alimento di vita ci va ben spesso con le sue contrarie qualità disponendo ad una morte improvvisa. Come è dunque possibile, peccare, mentre la ragione ci insegna, che di momento in momento possiamo morire? Ah stolti che siete! giacché né alla fede, né alla ragione v’arrendete; restate almeno convinti dalla esperienza quotidiana, che avete tutt’ora davanti, fino all’evidenza degli occhi. Quanti de’ vostri amici più sani di voi, o di complessione più robusta, sono restati estinti, quando il vigore prometteva loro più lunga la vita? Quanti de’ vostri compagni nel fiore della età fono svaniti all’improvviso, mentre avevano in capo alti disegni di future imprese? Quante volte è venuta alla vostra casa la croce della morte? avete pur chiusi gli occhi al fratello; accompagnato alla sepoltura l’amico; vestito a duolo per il parente; e ciò quando meno lo pensavi. Tant’è si può morire in ogni momento di nostra vita. Con testimonio d’orrore vi confermi questa verità la gran Città di Lione di Francia, abbondante di vivere, ricca di traffichi, copiosa di merci, e sontuosa per gli edifizj. Ella, ella, ò miei UU. al lume del suo grande incendio vi farà capire, che di momento in momento si può morire. Questa, tutto altro pensando gli abitatori, andati al riposo per levarsi la mattina al negozio, in pochissime ore fu del tutto distrutta, finché il sole nascendo la mattina cercò, ma non vide più quella gran Metropoli, che la sera antecedente aveva lasciata colà, ove la Senna col tributo delle acque accresce il Rodano, e ben poteva cercarla, ma indarno, poiché il fuoco l’aveva mandata in fumo, ed il vento ne spargeva le ceneri: e ciò in si breve spazio, che nox interfuit inter Urbem maximam, et nullam. Intendetela; si muore e quel, che più rilieva si può morire di momento in momento. – Non vi fidate di robustezza; non vi fidate di gioventù, poiché questo momento vi può toglier di vita, quando vi stimate di doverla avere, e più lunga, e più prospera, e più felice. Onde io dirò a voi, per farvi aprir gli occhi, ciò che Seneca disse dei legni ridotti in porto, ove non possono aver maggior sicurezza; e pure anche ivi rimangono assorbiti. Eccovi le parole di Seneca: Momento mare vertitur, vertitur et eodem die, ubi luserunt navigia, forbentur. Legni, infelici i quali dopo lunga navigazione ritornati con sì lungo tempo dalle Indie per arricchire l’Europa, d’incensi, d’ebani, d’avori, d’oro, e di gemme, appena scaricati, quando nel porto si credevano sicuri, e a suono di trombe con rimbombo d’eco giulivo raccontavano i passati pericoli di scogli sfuggiti, di tempeste superate, all’improvviso si vedono fieramente sbattuti dall’onde ed inghiottiti da vortici. Negate, che di momento in momento non si possa morire; e quel che a me preme: notate quelle parole eodem die; in quello stesso dì, che più stavano allegri. E se questo momento ti prende eodem die, in quell’istessa sera, che stai in quella veglia; in quell’istesso giorno che ti trattieni con colei, in quello stesso circolo, ove mormori; in quell’istessa bettola, in quell’istesso gioco, ove bestemmj; in quell’istesso tempo, che trami vendette, eodem die! Svegliatevi dal vostro sonno o peccatori. Volete conoscere la vostra miseria? eccovela espressa in Elia. Chi vi avesse detto, che Elia, allorché era perseguitato a morte dalla Regina Jezabelle , da quella Regina così potente, e che si era protestata di volerlo nelle sue mani, si fosse posto a dormire all’aperto della campagna, projecit se ebdormivit, voi non li avreste potuto credere, e l’avreste rimproverato, dicendoli: che fai Elia? e non ti ricordi, che Jezabelle ti vuol morto? Non è tempo di dormire, svegliati, sta attento; tu sai il pericolo che corri di perder la vita. Io però punto non mi meraviglio, che Elia perseguitato a morte dormisse quietamente; perché alla fine era Santo, se perdeva la vita del corpo, non perdeva l’eternità dell’anima. Stupisco bensì alla riflessione che possano dormire coloro i quali pieni dello sdegno del Signore, plene indignatione Domini, vivono tra le crapule, tra gli odj; e quantunque sappiano che la morte li può corre di momento in momento, a guisa di Sansoni, dormono tra le disonestà. – O voi sconsigliati, che scuotete questo timore dal vostro cuore, come se fosse timor vano, e non ben fondato. Se v’è uomo al mondo, il quale debba temere di morire di momento in momento, lo deve temer colui che sta in peccato mortale. – Volete sapere perché? Ecco, che ve lo dico: San Paolo si protesta nella quinta ai Romani, che la morte è vera figlia del peccato, propter peccatum Mors, la Morte è venuta al mondo per il peccato, e il peccato è quello che sempre le ha fatto fretta, e che ne ha accelerata la venuta Peccate allegramente; non pagate mercedi; non sodisfate legati pii; trafficate pure con usure, con frodi, con inganni; Ma sappiate che questi vostri peccati sono tante voci che chiamano la Morte ad affrettarsi, per togliervi la vita; tendete pure insidie all’onore di quella maritata, al decoro di quella vedova, alla onestà di quella fanciulla; ma siate certi che invitate la Morte a buttarvi dentro del sepolcro: Fremete pure contro del vostro nemico, macchinate alla di lui vita, alla roba, alla riputazione; scrivete contro di lui lettere cieche, memoriali indegni; ma poi dite, e direte il vero: queste mie operazioni indegne sono tante intimazioni alla Morte, che venga presto a togliervi di vita. E non sentite l’Apostolo, che nuovamente ve lo conferma? Stimulus autem Mortis peccatum est. Voi vi date a credere, che la morte debba venire à trovarvi su di quel cavallo tutto magro, e smunto, su di cui fu veduta da Giovanni l’Evangelista! Non sarà così; perché  quando ella ha lo stimolo delle vostre iniquità se ne serve di sprone acutissimo, per farlo volare, nonché correre, e uccidervi. Stimulus autem Mortis peccatum est. Crapule; se erano irriverenti nelle Chiesa dite, e direte il vero: son morti di morte immatura, perché non vivevano giusta la legge di Dio, anni impiorum breviabuntur, gli anni delli empj si abbrevieranno, si scorderanno. Giovane, se seguiti in quella pratica, Anni tui breviabuntur; e perché? Perché stimulus mortis peccatum, perché lo sperone, che affretta la Morte, è il peccato, sono le frodi, sono le oppressioni, sono le confessioni sacrileghe: queste, queste iniquità affrettano la Morte. Intendetela. Iddio con i peccatori fa per appunto, come si fa con i legni di bosco. Si porta l’artefice al bosco, e se deve provvedersi di legno o per lavorare uno scrigno, o per formarne una statua; và con cento riguardi prima di dare il taglio; considera, se il legno sia stagionato; se la luna sia sul crescere, o sul calare. Non si usano però queste diligenze quando si vada alla selva sol per legna da ardere; allora si va d’ogni tempo, e si troncano alla rinfusa legna stagionate, e non stagionate. I peccatori, i disonesti, i rapaci, che legna sono? legna per il fuoco dell’Inferno; dunque, dice con San Luca, excidentur, et in ignem mittentur, non si guardi a nulla, si taglino alla rinfusa, quantunque giovane, quantunque gagliardi, robusti, non si porti loro rispetto alcuno, non est respectus morti eorum; No, no: Son giovane: Non importa, sei legna per fuoco, excidentur: Son nobile, non importa, excidentur. Nella mia testa stà posta tutta l’eredità… non importa: non est respectus Morti eorum, non gli si porti rispetto, son peccatori, e questo basta per esser legni da buttarsi nel fuoco, e ardervi in eterno. Sì, sì stimulus mortis peccatum. Stimulus per la parte vostra, perché col vostro peccare chiamate tutte le creature a vendicare l’ingiuria che fate al Creatore, già che fecondo l’Angelico insitum est unicuique creature vindicare injuriam Crtatoris. Stimulus per la parte di Dio, che irritato sta per scagliare il Fulmine: Stimulus finalmente per la parte del demonio, il quale non si cura che moriate quando siete in grazia di Dio, ma s’adopra, perché moriate quando siete in peccato: allora vi stimola ai disordini, allora vi suscita contro li nemici. Sì, sì, stimulus mortis peccato s’affretta la Morte; credete almeno alle ragioni naturali, che avete sotto degli occhi, e toccate con le mani, negate, se potete, che ben spesso i peccatori si procaccino la Morte con la voracità nella crapula, con la sfrenatezza nelle disonestà, con la libertà delle mormorazioni, con le quali si acquistano de’ nemici: girate pure per ogni vizio, e confesserete, ogni vizio apportare inquietudini al capo, e le inquietudini accelerare la Morte. Il peccato è quello che ben spesso scorta la vita, e nel più bel fiore degli anni ci butta nel sepolcro col corpo, per sbalzar l’anima nell’Inferno. Io vedo le lacrime sugl’occhi ad una delle più riguardevoli Città della Toscana, mentre ancor piange la Morte d’un suo nobilissimo cittadino, messo a terra dagli archibugi d’una truppa di Sbirraglia. Viveva, non ha molto, un giovanetto di tutto spirito, e di un’indole invidiabile; fu allevato questi sotto l’educazione de’ PP. della mia minima Compagnia, e gli furono impressi sentimenti tali di pietà, che egli instantemente ne richiese l’abito. Ciò sentitosi da’ parenti, che conosciutolo d’abilità non ordinaria, lo volevano al mondo, per il mondo; dissero, non negarlo alla Religione, ma volerne esperimentare la vocazione, e l’esperimento fu, dare al nobil giovanetto divertimenti, e libertà tale, che ben presto il demonio, per mezzo di cattivi compagni, scacciò Dio dal di lui cuore, e v’alzò il suo trono; più non si discorreva di Dio; erano sbanditi i libri di Spirito, eran subentrati quelli d’amore, e di questo egli si allacciò talmente con una rea donzella, che la volle complice nello sfogo delle sue passioni. Parenti, ecco il frutto della vostra prova. Che dite? Che dico? Immaginatevi pure, che il cordoglio de’ parenti era grandissimo, spesse le ammonizioni, spesse le minacce, ma tutto invano: Sì, che vi fu un parente, il quale gli disse: Or sappiate, esser risoluti i vostri maggiori di volervi in una prigione, se non abbandonate la rea compagna. Se la rise il giovane, e voltò dispettosamente le spalle al savio parente; indi tra se stesso andò pensando di sottrarsi dalla carcere che gli sovrastava; comunicò l’accidente all’amica. Si risolsero alla fuga con abiti mentiti, vestiti pur da uomo la femmina; e la mattina per tempo si partirono dalla Città. Non erano lungi da essa che poche miglia: quando, videro scendere da una collina una truppa di sbirri, teme il giovane, esser quelli che dovevano catturarlo: si cambiò di sembiante: pose la mano alla pistola per difendersi. Vedutosi ciò dagli sbirri, sospettarono di male, e fattosi loro incontro per indagar chi fossero, la risposta fu spararglisi dal giovane una pistola alla vita, con cui stese a terra uno di quegli sbirri. Gli altri, per assicurarsi, con colpi replicati di pistola, ammazzarono il misero giovane; e già stavano per uccidere l’altro; e intanto non lo fecero, perché udirono dirsi: son donna, son femmina: Ella fu, che disse, esser quegli il tal cavaliere. Or ditemi: chi scortò gli anni, chi abbreviò la vita a questo cavaliere? il peccato: Il peccato l’hà da scortare a voi; quei compagni, quella nemicizia, quell’amore; presto dunque, se bramate vita più lunga, ritiratevi da’ peccati, ritiratevene, perché si muore, e perché si può morire di momento in momento; vivete come volete esser trovato alla Morte, ea ratione vivendum, v’insegna un gentile, qua semper moriendum.

LIMOSINA

Thesaurizate vobis thesauros in cœlo!

Tanto è, impone l’odierno Vangelo. Non crediate U.U. che per obbedire a queste voci di Dio che vuole che noi traffichiamo col cielo, e colà posiamo i nostri tesori, sia necessario trovare una nave, la quale carica di danari, possa solcare l’aria e felicemente possa approdare alle spiagge del Paradiso; oppure un corriere che veloce porti in cielo quelle lettere di cambio che chiudono l’oro dentro un inchiostro. Appunto, non vi vuol tanta fatica. Se volete tesoreggiare in Cielo, basta praticare quanto San Lorenzo disse à Valeriano: facultates quas requiris, in cœlestes thesauros manus pauperum deportaverunt. Eccovi il modo sicuro: fate limosina a’ poveri, e sarete certi d’avere collocati tesori in Cielo. Del resto, chi m’ha condotto qui, per nevi, per venti, per ghiacci, per acqua? Una sola cosa: La salute delle anime vostre; perché mi dichiaro che non quæro vestra, sed vos, non quæ mea sunt, sed quæ Jesu Christi, perché mi affaticherò ogni mattina per salvarvi; Io dunque per salvar le anime vostre non ho guardato à stenti, non risparmierò fatica; e voi per salvar voi stessi non vorrete scomodarvi per mezz’ora? Avvertite che non basta dire: verrò una, due, tre volte, ma sempre o qui o altrove; perché non sapete qual sia quella Predica, nella quale il Signore vuol toccarvi il cuore, e può esser, che da quella dipenda la vostra salute. Se poi volete cavar frutto dalla Divina Parola non dovete venire per curiosità per sentire nobiltà di stile, abbondanza di erudizione, ma per migliorare la vostra vita; né pur dovete venire per applicare al terzo, e quarto, quello che forse sarà necessario per voi; Vir sapiens, dice lo Spirito Santo, quodcum que audierit, laudabit, et ad se adjiciet. L’Uomo savio, e prudente, applica à se quanto ode di profittevole, e fa appunto come l’Albero di cinnamomo piantato in terra palustre, il quale, per nutrirsi, tira à sé quanto di acqua gli sta vicino. Volete dunque cavar frutto dalle Prediche? Venite ad udirle, per approffittarvene.

PARTE SECONDA

Quasi, dissi, scuserei costoro che quantunque sappiano che possono morire di momento in momento, si mettono a rischio di perder l’anima, quando ad un
risico di tal sorte vi si mettessero per qualche grand’emolumento. Voi mettete à rischio di perdere l’Anima, l’Eternità, il Paradiso; voi vi ponete super puteum abyssi, sull’orlo di un pozzo pieno di fuoco, ove, se cadete, dovrete starvi per tutta una eternità; l’utile, il guadagno, l’emolumento qual è? Un piacere di senso, uno sfogo di odio, un interesse di robba, che deve lasciarsi; e questo deve presso di voi preponderare di tal modo, che mettiate l’Anima a procinto di perderla? Nolite, nolite, grida Geremia, decipere animas vestras; non ingannate l’anime vostre con metterle a pericolo sì funesto di perderle eternamente. Che si ha dunque da fare? Ciò, che fecero i Niniviti. Questi appena sentirono intimarsi dal Profeta Giona adhuc quadraginta dies, et Ninives subvertetur. Quaranta giorni vi restano per la rovina de’ Niniviti; che subito tutti dal primo fino all’ultimo, plenam terroribus pœnitentiam egerunt, si misero a far penitenza de’ loro peccati; e senza aspettare gli Editti Regi, subito si vestirono di cilizio, si cinsero di corda si aspersero di ceneri, e domandarono perdono e pietà. Peccatori, poco tempo vi rimane; la morte si avvicina, l’avete accelerata con le vostre sceleraggini. Dunque una sollecita e santa Confessione: Che rispondete? che vi farà tempo e vorrete mettere in sì gran pericolo l’anima vostra? I Niniviti sapevano d’aver quaranta giorni di tempo; e pur non dissero: v’è tempo: seguitiamo ne’ nostri amori, negli odii, negl’interessi, ma fecero penitenza. Molto meno puoi dir tu, peccatore: v’è tempo, vi farà tempo; perché a te non fur promessi da alcun Profeta quaranta giorni; Tu non puoi comprometterti né pur d’un’ora: nescitis quando tempus fit. Dunque, che si ha da fare? Io non dico, che vi vestiate di cilicio, che vi cingiate di corde, che vi aspergiate di cenere; ma almeno scindite corda vestra, portatevi à piedi d’un Confessore buono, ma sollecitate: e ivi dopo aver manifestate le vostre colpe tutte, ma tutte, scindite corda vestra con un vero dolore, con un fermo proposito.

QUARESIMALE (II)

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: FEBBRAIO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: FEBBRAIO 2023

FEBBRAIO è il mese che la CHIESA DEDICA alla SANTISSIMA TRINITA’ – Inizio della Quaresima.

All’inizio di questo mese è bene rinnovare l’atto di fede Cattolico – autentico e solo – recitando il Credo Atanasiano, le cui affermazioni, tenute e tenacemente professate contro tutte le insidie della falsa chiesa dell’uomo, parto distocico del conciliabolo Vaticano II, delle sette pseudotradizionaliste, della gnosi panteista-modernista, protestante, socino-massonica, pagana, atea, comunisto-liberista, noachide-mondialista, permettono la salvezza dell’anima per giungere all’eterna felicità. 

 IL CREDO Atanasiano

 (Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)

“Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos. Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.”

L’adorazione della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, con il mistero dell’Incarnazione e la Redenzione di Gesù-Cristo, costituiscono il fondamento della vera fede insegnata dalla Maestra dei popoli, la Chiesa di Cristo, Sposa verità unica ed infallibile, via di salvezza, fuori dalla quale c’è dannazione eterna.  … O uomini, intendetelo quanto questo dogma vi nobiliti. Creati a similitudine dell’augusta Trinità, voi dovete formarvi sul di lei modello, ed è questo un dover sacro per voi. Voi adorate una Trinità il cui carattere essenziale è la santità, e non vi ha santità sì eminente, alla quale voi non possiate giungere per la grazia dello Spirito santificatore, amore sostanziale del Padre e del Figlio. Per adorare degnamente l’augusta Trinità voi dovete dunque, per quanto è possibile a deboli creature umane, esser santi al pari di lei. Dio è santo in se stesso, vale a dire che non è in lui né peccato, né ombra di peccato; siate santi in voi stessi. Dio è santo nelle sue creature: vale a dire che a tutto imprime il suggello della propria santità, né tollera in veruna il male o il peccato, che perseguita con zelo immanchevole, a vicenda severo e dolce, sempre però in modo paterno. Noi dunque dobbiamo essere santi nelle opere nostre e santi nelle persone altrui evitando cioè di scandalizzare i nostri fratelli, sforzandoci pel contrario a preservarli o liberarli dal peccato. Siate santi, Egli dice, perché Io sono santo. E altrove: Siate perfetti come il Padre celeste è perfetto; fate del bene a tutti, come ne fa a tutti Egli stesso, facendo che il sole splenda sopra i buoni e i malvagi, e facendo che la pioggia cada sul campo del giusto, come su quello del peccatore. Modello di santità, cioè dei nostri doveri – verso Dio, L’augusta Trinità è anche il modello della nostra carità, cioè dei nostri doveri verso i nostri fratelli. Noi dobbiamo amarci gli uni gli altri come si amano le tre Persone divine. Gesù Cristo medesimo ce lo comanda, e questa mirabile unione fu lo scopo degli ultimi voti che ei rivolse al Padre suo, dopo l’istituzione della santa Eucarestia. Egli chiede che siamo uno tra noi, come Egli stesso è uno col Padre suo. A questa santa unione, frutto della grazia, ei vuole che sia riconosciuto suo Padre che lo ha inviato sopra la terra, e che si distinguono quelli che gli appartengono. Siano essi uno, Egli prega, affinché il mondo sappia che Tu mi hai inviato. Si conoscerà che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri. « Che cosa domandate da noi, o divino Maestro, esclama sant’Agostino, se non che siamo perfettamente uniti di cuore e di volontà? Voi volete che diveniamo per grazia e per imitazione ciò che le tre Persone divine sono per la necessità dell’esser loro, e che come tutto è comune tra esse, così la carità del Cristianesimo ci spogli di ogni interesse personale ». – Come esprimere l’efficacia onnipotente di questo mistero? In virtù di esso, in mezzo alla società pagana, società di odio e di egoismo, si videro i primi Cristiani con gli occhi fissi sopra questo divino esemplare non formare che un cuore ed un’anima, e si udirono i pagani stupefatti esclamare: « Vedete come i Cristiani si amano, come son pronti a morire gli uni per gli altri! » Se scorre tuttavia qualche goccia di sangue cristiano per le nostre vene, imitiamo gli avi nostri, siamo uniti per mezzo della carità, abbiamo una medesima fede, uno stesso Battesimo, un medesimo Padre. I nostri cuori, le nostre sostanze siano comuni per la carità: e in tal guisa la santa società, che abbiamo con Dio e in Dio con i nostri fratelli, si perfezionerà su la terra fino a che venga a consumarsi in cielo. – Noi troviamo nella santa Trinità anche il modello dei nostri doveri verso noi stessi. Tutti questi doveri hanno per scopo di ristabilire fra noi l’ordine distrutto dal peccato con sottomettere la carne allo spirito e lo spirito a Dio; in altri termini, di far rivivere in noi l’armonia e la santità che caratterizzano le tre auguste persone, e ciascuno di noi deve dire a sé  stesso: Io sono l’immagine di un Dio tre volte santo! Chi dunque sarà più nobile di me! Qual rispetto debbo io aver per me stesso! Qual timore di sfigurare in me o in altri questa immagine augusta! Qual premura a ripararla, a perfezionarla ognor più! Sì, questa sola parola, io sono l’immagine di Dio, ha inspirato maggiori virtù, impedito maggiori delitti, che non tutte le pompose massime dei filosofi.

3

Te Deum Patrem ingenitum, te Filium unigenitum, te Spiritum Sanctum Paraclitum, sanctam et individuam Trinitatem, toto corde et ore confitemur, laudamus atque benedicimus. (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem precatiuncula devote reperita fuerit

(S. C. Ind., 2 iul. 1816; S. Pæn. Ap., 28 sept. 1936).

12

a) O sanctissima Trinitas, adoro te habitantem per gratiam tuam in anima mea.

b) O sanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, facut magis ac magis amem te.

c) O sanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, magis magisque sanctifica me.

d) Mane mecum, Domine, sis verum meum gaudium.

Indulgentia trecentorum dierum prò singulis iaculatoriis precibus etiam separatim (S. Pæn. Ap., 26 apr. 1921 et 23 oct. 1928).

16

a) Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus immortalis, miserere nobis.

b) Tibi laus, tibi gloria, tibi gratiarum actio in sæcula sempiterna, o beata Trinitas (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum prò singulis invocationibus etiam separatim.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem alterutra prex iaculatoria devote recitata fuerit (Breve Ap., 13 febr. 1924; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

40

In te credo, in te spero, te amo, te adoro,

beata Trinitas unus Deus, miserere mei nunc et

in hora mortis meæ et salva me.

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 2 iun.)

43

CREDO IN DEUM,

Patrem omnipotentem, Creatorem cœli et terræ. Et in Iesum Christum, Filium eius unicum, Dominum nostrum: qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus et sepultus; descendit ad inferos; tertia die resurrexit a mortuis ; ascendit ad cœlos; sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis; inde venturus est iudicare vivos et mortuos. Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclesiam catholicam, Sanctorum communionem, remissionem peccatorum, carnis resurrectionem, vitam æternam, Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotìdie per integrum mensem praefatum Apostolorum Symbolum pia mente recitatum fuerit (S. Pæn. Ap., 12 apr. 1940).

ACTUS ADORATIONIS ET GRATIARUM ACTIO PROPTER BENEFICIA, QUÆ HUMANO GENERI EX DIVINI VERBI INCARNATIONE ORIUNTUR.

45

Santissima Trinità, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, eccoci prostrati alla vostra divina presenza. Noi ci umiliamo profondamente e vi domandiamo perdono delle nostre colpe.

I. Vi adoriamo, o Padre onnipotente, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di averci dato il vostro divin Figliuolo Gesù per nostro Redentore, che si è lasciato con noi nell’augustissima Eucaristia sino alla consumazione dei secoli, rivelandoci le meraviglie della carità del suo Cuore in questo mistero di fede e di amore.

Gloria Patri.

II. O divin Verbo, amabile Gesù Redentore nostro, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di aver preso umana carne e di esservi fatto, per la nostra redenzione, sacerdote e vittima del sacrificio della Croce: sacrificio che, per eccesso di carità del vostro Cuore adorabile, Voi rinnovate sui nostri altari ad ogni istante. 0 sommo Sacerdote, o divina Vittima, concedeteci di onorare il vostro santo sacrificio nell’augustissima Eucaristia con gli omaggi di Maria santissima e di tutta la vostra Chiesa trionfante, purgante e militante. Noi ci offriamo tutti a voi; e nella vostra infinita bontà e misericordia accettate la nostra offerta, unitela alla vostra e benediteci.

Gloria Patri.

III. O divino Spirito Paraclito, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di avere con tanto amore per noi operato l’ineffabile beneficio dell’Incarnazione del divin Verbo, beneficio che nell’augustissima Eucaristia si estende e amplifica continuamente. Deh! per questo adorabile mistero della carità del sacro Cuore di Gesù, concedete a noi ed a tutti i peccatori la vostra santa grazia. Diffondete i vostri santi doni sopra di noi e sopra tutte le anime redente, ma in modo speciale sopra il Capo visibile della Chiesa, il Sommo Pontefice Romano [Gregorio XVIII], sopra tutti i Cardinali, i Vescovi e Pastori delle anime, sopra i sacerdoti e tutti gli altri ministri del santuario. Così sia.

Gloria Patri.

Indulgentia trium annorum (S. C. Indulg. 22 mart. 1905; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

Queste sono le feste del mese di FEBBRAIO 2023:

1 Febbraio S. Ignatii Episcopi et Martyris  –  Duplex

2 Febbraio In Purificatione Beatæ Mariæ Virginis  – Duplex II. classis *L1*

3 Febbraio S. Blasii Episcopi et Martyris – Simplex

                  PRIMO VENERDI’

4 Febbraio S. Andreæ Corsini Episcopi et Confessoris – Duplex m.t.v.

                  PRIMO SABATO

5 Febbraio Dominica in Septuagesima – Semiduplex II. classis *I*

                    S. Agathæ Virginis et Martyris – Duplex

6 Febbraio S. Titi Episcopi et Confessoris – Duplex m.t.v.

7 Febbraio S. Romualdi Abbatis  – Duplex m.t.v.

8 Febbraio S. Joannis de Matha Confessoris – Duplex m.t.v.

9 Febbraio S. Cyrilli Episc. Alexandrini Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  Duplex.

                    Commemoratio: S. Apolloniæ Virginis et Martyris

10 Febbraio S. Scholasticæ Virginis – Duplex

11 Febbraio In Apparitione Beatæ Mariæ Virginis Immaculatæ Duplex majus.

12 Febbraio Dominica in Sexagesima – Semiduplex II. classis

                     Ss. Septem Fundatorum Ordinis Servorum B. M. V.    Duplex

14 Febbraio S. Valentini Presbyteri et Martyris – Simplex

15 Febbraio SS. Faustini et Jovitæ Martyrum  – Simplex

18 Febbraio S. Simeonis Episcopi et Martyris    Simplex

19 Febbraio Dominica in Quinquagesima – Semiduplex II. classis

22 Febbraio Feria IV Cinerum  – Feria privilegiata

                     In Cathedra S. Petri Apostoli Antiochiæ – Duplex majus

23 Febbraio S. Petri Damiani Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

24 Febbraio S. Matthiæ Apostoli – Duplex II. classis *L1*

26 Febbraio Dominica I in Quadrag.- Semiduplex I. classis

27 Febbraio S. Gabrielis a Virgine Perdolente Confessoris – Duplex

L’ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL 2023

L’ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA 2023

1 Gennaio – Circoncisione di Gesù

2 SS. Nome di Gesù

6 Gennaio – Epifania

8 Gennaio – Sacra Famiglia   (Domenica entro l’Ottava dell’Epifania)

15 Gennaio – 2a Domenica dopo l’Epifania

22 Gennaio – 3a Domenica dopo l’Epifania.

29 Gennaio – 4 a Domenica dopo l’Epifania

6 Febbraio – 5 a Domenica dopo l’Epifania

– Festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato della B. V.  Maria SS.

5 Febbraio – Domenica di Settuagesima

12 Febbraio – Domenica di Sessuagesima

19 Febbraio – Domenica di Quinquagesima

22 Febbraio – Mercoledì delle CENERI  – Inizio della Quaresima    

26 Febbraio – 1a Domenica di Quaresima 

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

5 Marzo – 2a Domenica di Quaresima

12 Marzo – 3a Domenica di Quaresima

19 Marzo – 4a Settimana di Quaresima

26 Marzo  – I DOMENICA DI PASSIONE

2 Aprile – II DOMENICA DI PASSIONE – DELLE PALME

9 Aprile – DOMENICA DI PASQUA

16 Aprile – Domenica in Albis

23 Aprile – 2a Domenica dopo Pasqua

30 Aprile – 3a Domenica dopo Pasqua

7 Maggio – 4a Domenica dopo Pasqua

14 Maggio – 5a Domenica dopo Pasqua

15-17 Maggio – Giorni delle Rogazioni

18 Maggio – Giovedì in Ascensione Domini

21 Maggio – Domenica entro l’Ottava dell’Ascensione

28 Maggio  – Domenica di Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA)

4 Giugno – Domenica della SS. Trinità

8 Giugno – Corpus Christi

11 Giugno – 2a Domenica dopo Pentecoste

16 GiugnoSACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (Venerdì dopo l’Ottava del Corpus Christi)

18 Giugno – 3a Domenica dopo Pentecoste

2 Luglio  – 5a Domenica dopo Pentecoste

9 luglio – 6a Domenica dopo Pentecoste

16 Luglio – 7a Domenica dopo Pentecoste

23 Luglio  – 8a Domenica dopo Pentecoste

30 Luglio  – 9a Domenica dopo Pentecoste

6 Agosto – 10a Domenica dopo Pentecoste

13 Agosto – 11a Domenica dopo Pentecoste

20 Agosto – 12a Domenica dopo Pentecoste

27 Agosto – 13a Domenica dopo Pentecoste

3 Settembre  – 14a Domenica dopo Pentecoste

10 Settembre – 15a Domenica dopo Pentecoste

17 Settembre – 16a Domenica dopo Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA)

24 Settembre – 17a Domenica dopo Pentecoste

1 Ottobre – 18a Domenica dopo Pentecoste

8 Ottobre – 19a Domenica dopo Pentecoste

15 Ottobre – 20a Domenica dopo Pentecoste

22 Ottobre – 21a Domenica dopo Pentecoste

29 Ottobre – 22a Domenica dopo Pentecoste 

    FESTA DI CRISTO RE

5 Novembre – 23a Domenica dopo Pentecoste

12 Novembre –  Va Domenica dopo Epifania

19 Novembre – VI° Domenica dopo Epifania  

26 Novembre – 24a Domenica dopo Pentecoste

3 Dicembre – 1a Domenica di Avvento

10 Dicembre – 2a Domenica di Avvento

17 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

24 Dicembre – 4a Domenica di Avvento –

In Vigilia Nativitatis Domini  

25 Dicembre – GIORNO DI NATALE

26 Dicembre – SANTO STEFANO,  Primo Martire

27 Dicembre – SAN GIVANNI, Apostolo ed Evangelista

28 Dicembre – SANTI INNOCENTI

31 Dicembre – SAN SILVESTRO I, Papa.

1st GENNAIO 2020 – CIRCUMCISIONE DI NOSTRO SIGNORE

2 Gennaio – SANTISSIMO NOME DI GESÙ

6 Gennaio – FESTA DELL’EPIFANIA

FESTA DELL’EPIFANIA (2023)

FESTA DELL’EPIFANIA (2023)

Stazione a S. Pietro

Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Paramentti, bianchi.

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse • (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel Medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. Il Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Malach 3:1 – 1 Par XXIX:12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Ps LXXI:1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.

[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]

Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium

[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
y

[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX:1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è e è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore”]

GESÙ CRISTO RE

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola la fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi e contemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’Oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme. I Magi che venuti dall’Oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re.

[A. Castellazzi, La scuola degli Apostoli, Artig. Pavia, 1929]

Graduale

Isa LX: 6;1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.]

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II:2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja.

 [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II:1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judæ: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam,”

[Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua madre qui ci si inginocchia e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia

[Mons. Geremia Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. I –  Brescia, ed. Queriniana, 1894]

Tre vie che conducono alla verità. Come ne usarono i Magi.

I grandi misteri della nostra Religione, massimamente quelli che si riferiscono alla Persona adorabile di Gesù Cristo, sono miniere, dalle quali con lieve fatica si può cavare in abbondanza l’oro purissimo delle più belle e sublimi verità. In questo giorno faustissimo la Chiesa ricorda con gioia come i Magi, ossia sapienti, o fors’anche principi, partiti dal lontano Oriente, giunsero a Gerusalemme e di là si incamminarono a Betlemme, dove videro e adorarono il celeste Infante, offrendogli i mistici doni d’oro, incenso e mirra, come leggiamo nel Vangelo. Eccovi da una parte la divina bontà, che per mezzo d’una stella, o segno celeste, qual che si fosse, chiama alla fede i primi gentili, e dall’altra la docilità, la prontezza e la generosità d’animo di questi savi, che ubbidiscono alla voce del Cielo. In questi uomini, primizie dei gentili, noi dobbiamo ammirare le vie, per le quali la Provvidenza suol condurre le anime al conoscimento della verità. Essi, prevenuti e mossi dalla grazia, senza la quale non si può far nulla, usarono della loro ragione, e, raffrontando le tradizioni antiche, compresero che l’aspettato Messia era nato. Ma la sola ragione, ancorchè aiutata dalle tradizioni, non poteva far loro conoscere dov’era il Messia. Ecco apparire la stella, o segno celeste, che li guida, ed essi, i Magi, docilmente lo seguono. Se non che, giunti a Gerusalemme, quel segno si eclissa o scompare ed essi, non sanno dove trovarlo. Allora quegli uomini ammirabili non abbandonano l’impresa, non si smarriscono d’animo e chiedono umilmente lume a chi credevano potesse darlo, ad Erode, e gli dicono: « Dov’è nato il Re de’ Giudei? Perocché in Oriente abbiam vista la sua stella. La stella ci ha scorti sin qui; or tu compi l’opera; tu, che il devi sapere, dicci: Dov’è il Salvatore? » – Erode è re; ma non sacerdote; non sa, o non osa rispondere. Raccoglie il gran Consiglio de’ Giudei, i capi del sacerdozio e muove a loro la domanda, che i Magi avevano fatta a Lui: – Dove ha da nascere il Cristo? – E il Sacerdozio prontamente e chiaramente risponde, spiegando così il segno celeste e interpretando la Sacra Scrittura: – In Betlemme -. Cittadini, cortigiani, Erode e Magi s’acquetano all’oracolo del Sacerdozio; a Betlemme adunque si cerchi il Figliuol di Dio fatto uomo; e quelli che colà lo cercano, i Magi, lo trovano e con Lui e per Lui trovano la vita. – Questo fatto registrato nel Vangelo condanna due errori gravissimi, nei quali caddero e cadono oggi ancora milioni di nostri fratelli e ci mostra la via regia, che ci conduce alla verità. È ciò che mi propongo di mostrarvi in questo ragionamento, che merita tutta la vostra attenzione. L’uomo è fatto per la verità. I fiumi scendono dai monti, fremono tra le rocce e i burroni, che contendono loro il passo, poi attraversano le pianure e dopo lungo cammino, s’adagiano in seno al mare; gli astri si muovono silenziosi intorno all’astro polare per ricevere da esso il moto e la luce; così gli uomini cercano sempre e dovunque la verità e in essa si acquetano; se non la trovano, se altri loro la contendono, se ostacoli sorgono sulla via e ne impediscono il possesso, si turbano, si agitano, né si danno pace finché non l’abbiano afferrata e fatta propria. Udiste mai un uomo, un solo uomo, che dica: Io non cerco la verità? È impossibile. Egli, se traviato e perverso, potrà bene cercare l’errore, volerlo, predicarlo, farsene apostolo e fino ad un certo punto, anche martire; ma protesterà sempre, ch’egli cerca, ama e predica la verità. La natura, più forte della perversità sua, l’obbliga a mentire a se stesso e a chiamare verità quella ch’egli sa essere menzogna. Tanta è la forza della verità! Che se l’uomo ha la naturale tendenza a conoscere qualunque verità, l’ha fortissima a conoscere quelle verità, che lo interessano personalmente, che devono essere la norma del suo credere e del suo operare, e colle quali è congiunta la sua sorte presente e futura. Tali sono senza dubbio le verità fondamentali dell’ordine morale e religioso, l’esistenza di Dio, la creazione,  l’origine dell’uomo, l’immortalità dell’anima, la vita futura, la sorte riserbata ai buoni ed ai cattivi e andate dicendo. In faccia a queste verità di ordine naturale e base della Religione, qual uomo mai può vivere indifferente? A me, diceva bene Pascal, poco importa che il sistema di Tolomeo sia vero o falso; ma mi importa assai sapere se vi è Dio, se ho un’anima e se questa sia immortale. » – Ora per quali vie, con quali mezzi può l’uomo pervenire al conoscimento di Dio, delle sue perfezioni, della propria origine, del proprio fine, dei doveri, che deve adempire verso Dio, verso se stesso, verso i suoi simili? Non vedo che tre vie sole: la via della ragione di ciascun uomo; lo studio d’un libro, dato da Dio stesso ad ogni uomo, che insegni le verità a lui necessarie, e un ceto di uomini, stabilito da Dio e che tiene da Lui l’ufficio di ammaestrare tutti gli uomini in queste verità. Sono le tre vie della ragione sola, della Bibbia in mano di ciascun uomo, e l’Autorità vivente, infallibile della Chiesa. Al primo mezzo si appigliano tutti i razionalisti, al secondo i protestanti, al terzo ci atteniamo noi tutti Cattolici. Esaminiamoli spassionatamente al lume della sola ragione. – Il razionalismo antico, e più il moderno, proclama alto: – L’uomo colla sola ragione può conoscere Dio, il proprio fine e tutto ciò che è necessario e bastevole per vivere onestamente; non vi è bisogno alcuno di ammaestramento superiore o di rivelazione divina -. Per fermo, non saremo noi Cattolici quelli de negano le forze della ragione umana o ne restringono soverchiamente i confini. Noi conosciamo e volentieri riconosciamo i suoi trionfi in tutti i rami dello scibile; noi facciamo plauso alle sue scoperte, ai suoi progressi meravigliosi, alle sue creazioni quasi incredibili nelle scienze astronomiche, fisiche, matematiche, meccaniche, e ce ne rallegriamo con voi, che ne siete gli entusiasti cultori e vi gridiamo di cuore: – Più ancora! Più ancora! Sempre avanti! – Ma diteci in fede vostra: Questa vostra ragione quanto a ciò che maggiormente importa e interessa in sommo grado ciascuno, Dio, l’anima, la vita avvenire, la regola della morale condotta, che cosa fece, che cosa può essa fare? Da sé sola può essa bastare all’uomo a condurlo al conoscimento certo ed efficace di quelle verità senza delle quali l’uomo non è uomo, ma un enigma, una manifesta contraddizione? Senza esitare un istante rispondo: No, e cedo l’onore della dimostrazione a S. Tommaso. Ascoltiamolo riverenti (Allorché con s. Tommaso affermiamo l’impotenza della ragione umana individuale e collettiva a conoscere le verità dell’ordine naturale necessarie ad ogni uomo, intendiamo sempre di parlare della impotenza morale, non assoluta, come dichiara il Concilio Vaticano, perché è certo che la sola ragione potrebbe e dovrebbe conoscere sufficientemente queste verità; ma di fatto e in pratica non le conosce; è una potenza che non passa all’atto se non forse per alcune intelligenze elette; e qui si tratta delle verità necessarie a tutti e a ciascun uomo.). – Gettiamo uno sguardo sulla società, in mezzo alla quale viviamo. Che vi troviamo noi rispetto alla capacità intellettuale? Una gradazione sterminata. Moltissimi sono forniti di una povera intelligenza; dotati di forze fisiche, essi svolgono la dura gleba, sudano nelle officine, maneggiano instancabili la pialla, la sega, il martello; sulle robuste spalle portano pietre e travi. Avvicinateli; provatevi a ragionar loro di cose che non si veggono, né si toccano, di Dio, della sua natura, dell’anima, de’ diritti, di virtù, di rapporti con Dio, con se stessi, coi loro simili; essi crederanno alle vostre parole, ammetteranno tutto ciò che voi affermate loro; ma del comprendere queste cose è nulla o quasi nulla. Come volete che questa moltitudine (è per lo meno il quarto della società), abbandonata a se stessa si sollevi agli alti concetti, alle grandi verità, che sono il fondamento della Religione e della morale? Come volete che questi uomini avvezzi alle dure fatiche della vita attendano allo studio, sfoglino libri ed entrino in sottili argomenti, nei quali sì spesso si smarriscono i più acuti ingegni? Se ammaestrati con lungo e paziente lavoro sono impotenti a penetrare queste verità, come volete che le comprendano da sé? Chi ha fior di ragione, intende, alla maggior parte degli uomini far difetto l’acume della mente necessario per sollevarsi all’altezza di queste verità e conoscerle per guisa da tenerle qual norma del vivere e applicarle a se stessi nei casi particolari (S. Tommaso contr. Gent. c. 4). Prosegue il sommo Dottore, che non ebbe l’eguale nello studio della natura umana. Vedete, egli dice, questi uomini; gran numero di loro non pure difetta d’ingegno pronto e atto alle profonde speculazioni delle cose invisibili, ma per le necessità comuni della vita ne sono impediti. Le cure della famiglia, i negozi, le industrie, il lavoro quotidiano, i mille affari, ai quali non possono o non vogliono sottrarsi; il vortice sociale, che volenti o nolenti li trascina seco senza tregua, non concede loro il tempo necessario per occuparsi con calma di quei veri, dai quali dipende la regola del pensare e operare ad ogni uomo. In mezzo all’incessante rumore delle cose mondane, che li assorda, camminano a guisa di storditi e quasi di ebbri, ignari dell’origine e del fine proprio, intesi solo a godere e ai mezzi per godere per trovarsi un giorno, al termine della vita, inconsci di ciò che hanno fatto e dell’ignoto, in cui stanno per gittarsi. Credere che costoro si ritirino dal mondo, lascino lo strepito, che li circonda e quasi li fa delirare, per ridursi in un luogo tranquillo e attendere allo studio degli alti problemi morali e religiosi, che domandano una pronta e decisiva soluzione, è la più strana delle illusioni. Chi conosce alquanto la natura umana e ciò che avviene intorno a noi, converrà meco. V’ha di più, continua S. Tommaso. L’uomo è soggetto all’impero, aggiungo, alla prepotenza dei sensi. La ragione è chiara. La vita dei sensi precede di molti anni lo sviluppo della ragione e questa non può far senza di quelli: di qui il predominio dei sensi sulla ragione e la ripugnanza grande nella maggior parte degli uomini a meditare le cose soprasensibili ed astratte, ad assorgere ai principii, a spaziare nei campi delle pure verità. Ora Dio, l’anima, i doveri, la giustizia, la virtù, il vizio, il bene ed il male sono cose che trascendono i sensi, che non si vedono, non si toccano, che sfuggono a qualunque esperienza, perciò la mente umana prova noia in considerarla, si stanca, sì disgusta e come uccello, che dopo avere per qualche tempo volteggiato per l’aria, sente il bisogno di calare sulla terra e si getta nel mondo sensibile e vi trova il suo diletto e vi dimora. Voi troverete che le moltitudini non si stancano mai di passatempi, di spettacoli, di balli, di musiche, di canti, di conviti, di conversazioni ed anche di lavoro materiale e se si stancano, passano dall’una all’altra di queste cose per riposarsi; ma rarissimamente troverete un uomo, se pure lo troverete, che si raccolga da solo, che metta la testa tra le mani e domandi sinceramente a se stesso: donde vengo, dove vado? Che devo fare per adempire i miei doveri? Chi è Dio? Che cosa è la virtù? Che cosa è il vizio? Qual sarà la mia sorte eterna? E badate che questo fanno pochi uomini ora che la voce del Maestro posto da Dio in mezzo a noi, che è la Chiesa, si fa udire continuamente: che sarebbe se fossimo abbandonati alle sole nostre forze? Chi leverebbe gli occhi dalla terra per fissarli in cielo e leggervi il proprio destino? Ditelo voi, o fratelli miei. Ma voglio concedere che alcuni pochi, di grande ingegno e dotati d’una natura felice e sciolti dalle cure terrene possano consacrarsi allo studio di queste verità ed acquistarne il conoscimento. Parvi egli possibile che a questo conoscimento perverranno in breve tempo? Nessuno che conosca anche solo mezzanamente le difficoltà grandissime di questo studio potrà crederlo. Prima di giungere al conoscimento chiaro ed intimo di queste verità, molti e molti anni dovranno trascorrere. E in questo tempo abbastanza lungo, nel quale la mente dell’uomo dovrà ondeggiiare tra il sì ed il no, tra il vero ed il falso, potrà egli regolare la sua condotta? Sarà necessariamente incerto, come nave sul mare senza stella e senza bussola. L’uomo, appena è capace di ragionare e acquista la coscienza della sua responsabilità, deve anche conoscere la via da battere, i doveri da adempire, il bene da fare, il male da cessare: lo vuole la sua natura d’essere ragionevole e morale; ma ciò è al tutto impossibile, anche agli ingegni privilegiati e alle volontà più elette, se la conquista delle verità necessarie deve essere il frutto degli sforzi di ciascuno. Oltre di che chiunque conosca la debolezza della nostra mente e la incostanza della nostra volontà di leggeri comprenderà che dubbi frequenti e gravissimi si affacceranno e turberanno lo spirito più retto. Le verità che riguardano Dio, l’anima, l’ordine morale e andate dicendo, non sono come quelle, che acquistiamo coi sensi; non sono come le verità matematiche, delle quali non è possibile il dubbio: nessuno può dubitare dell’esistenza della terra, dei monti, dei fiumi, delle città che ha viste; nessuno può dubitare che due parallele non si incontreranno mai e che cinque aggiunto a cinque ci darà dieci. Ma la cosa corre ben altrimenti allorché si tratta dell’ordine morale e religioso: qui il dubbio rampolla troppo spesso a piè del vero, le difficoltà si accumulano, massime in certi momenti di prove, quando le passioni più violenti vengono alle prese con queste verità, che le condannano. Che sarà allora dell’uomo, che per tener ferme quelle verità dovrà mettersi in guerra terribile colle sue passioni? Volentieri e facilmente ci liberiamo di un padrone molesto, che ci siam dati noi stessi e tali sono queste verità: nulla di più naturale che allora i dubbi crescano, piglino il sopravvento e finiscano col velare al tutto quelle verità divenute moleste e quasi nemiche. Ed eccovi l’uomo senza guida sicura in balia di se stesso. – Finalmente – osserva S. Tommaso, – sarà quasi miracolo che l’uomo colle verità conquistate dopo lunghi sforzi non frammischi qualche errore; così col cibo della verità, che dà la vita, avrà il veleno dell’errore, che dà la morte, colla luce mescolate le tenebre, colla virtù il vizio e troncato il cammino della salvezza. Se quei sublimi intelletti di Platone, di Aristotele, di Socrate, di Marco Tullio, dopo essere incanutiti nella meditazione di questi grandi veri, caddero in tanti e sì gravi errori, che vorrà essere della comune degli uomini? – Che se rimanesse ancora qualche dubbio sulla impotenza morale della ragione umana per ciò che spetta queste verità a tutti indispensabili, esso si dilegua dinanzi alla prova irrefragabile dei fatti, volete dell’antica, volete della moderna istoria. I più grandi pensatori dell’antichità greca e romana ci hanno lasciato il frutto dei loro studii e delle loro profonde ed acute lucubrazioni. Scorriamo quei libri, che per la forma e per la sostanza ottennero l’ammirazione del mondo: scorriamo tutti i libri di Platone e di Aristotele, di Epiteto, di Cicerone, di Marco Aurelio, di Seneca: voi non troverete in quegli scritti un sommario delle verità più necessarie a tutti, massime al popolo, per vivere virtuosamente: troverete sparse in molte pagine alcune verità, esposte in forma elegante, miste a molti errori, e quasi sempre avvolte nel dubbio. Essi poi per conto proprio e quel poco di buono e vero, che insegnano, lo propongono come trovato da sé, ve lo mettono innanzi, non come un dovere, ma come un consiglio: nessuna autorità superiore, che lo prescriva a tutti, sempre, egualmente, nessuna sanzione certa e determinata per chi pratica la virtù e per chi si abbandona al vizio. E non dimenticate che a quei sommi doveva pur giungere in qualche modo l’eco delle antiche tradizioni rivelate e dell’insegnamento mosaico. E se que’ grandi sapienti si smarrirono miseramente e non seppero costruire l’edificio della verità più comune e più necessaria a tutti, che sarebbe stato e che sarebbe del nostro povero popolo abbandonato alle sole forze della sua ragione? – Che più? Ponete mente ai dotti del nostro secolo, ai quali sarebbe ingiustizia negare ingegno e studio e che vivono in mezzo alla luce delle verità cristiane. Quanti tra di loro mettono in dubbio od anche francamente negano le verità prime, che si riferiscono a Dio, alla legge morale, alla vita futura! Il razionalismo antico e moderno ha fatto le sue prove per tanti secoli, le fa sotto i nostri occhi e per mezzo di uomini superiori ad ogni eccezione, che avevano tutti i mezzi desiderabili e non riuscirono ad edificar nulla, anzi riuscirono a demolire ciò che la fede aveva edificato. Il razionalismo ha ucciso se stesso ed aspettare dalla sola ragione la face, che ci rischiari la via del presente e dell’avvenire, è aspettare che le lucciole producano il giorno e che la luna riscaldi la terra e la copra di fiori e di messi. I Magi colla sola loro ragione non si sarebbero mossi dall’Oriente, non sarebbero giunti al conoscimento di Cristo. Essi lasciarono l’Oriente, mossero verso Cristo allorché in cielo brillò la misteriosa stella, simbolo della fede e della parola divina; la loro ragione, rischiarata da quella luce sovrumana, si scosse, la loro volontà sentissi attratta a Cristo ed essi fecero il primo passo verso di Lui. Ebbene, qui sottentrano ai razionalisti i fratelli nostri protestanti, e dicono: Noi l’abbiamo la stella, che ci guida infallibilmente a Cristo; essa è la parola di Dio registrata nei Libri Santi; essa risplende sempre in tutta la sua luce, non si eclissa mai; tutti la possono e debbono vedere; tutti possono e debbono camminare alla sua luce. La Bibbia, la sola Bibbia, essa basta a tutti, e come i Magi, seguendo la stella, pervennero al conoscimento della verità, così noi seguendo la Bibbia -. Vediamolo. – Perché la Bibbia sia la vostra stella sicura e bastevole per guidarvi a Cristo, voi, o fratelli protestanti, dovete conoscere con certezza assoluta, scevra d’ogni dubbio, che questo Libro, tutto, in ogni sua parte, è dato da Dio stesso. Il minimo dubbio su ciò fa crollare la base della fede. Ora chi vi dice ch’esso viene e tutto viene da Dio solo? Forse il Libro stesso? Allora dovreste credere che anche il Corano ed altri parecchi libri vengono da Dio, perché lo dicono essi. Bisogna dunque che ricorriate alla autorità di altri monumenti, di uomini, che vi assicurino, la Bibbia essere Libro dato da Dio stesso e in tal caso la Bibbia non basta e dovete ammettere un’altra autorità eguale alla Bibbia, fuori della Bibbia, che fa fede della Bibbia istessa e allora crolla dalla base la vostra dottrina: – La sola Bibbia ci basta -. Più: se la sola Bibbia basta, tutti devono leggerla e meditarla. Ma che sarà di quei tanti milioni che non sanno leggere? – Si rivolgano a quelli che la sanno leggere e intendere. – Ma allora mi appoggio ad uomini; e se questi errano, io cadrò con essi nell’errore. La sola Bibbia! Sia; ma essa è scritta parte in ebraico, parte in caldaico, parte in aramaico e parte in greco. – E se non conosco queste lingue, non potrò conoscere le verità racchiuse nella Bibbia. – Ci sono le traduzioni. – Ottimamente. – Ma se i traduttori si ingannarono o mi vollero ingannare? Erano essi infallibili e impeccabili? – No.- Dunque posso dubitare che nelle versioni per ignoranza o per malizia siasi alterata la verità e allora la mia fede vacilla. E poi: – Questo Libro conta diciannove, venticinque, fin quaranta secoli; le copie fatte sono senza numero e passarono per infinite mani; non sarebbero mai state per avventura, in qualsiasi modo, alterate sostanzialmente? Chi ne sta garante? E nel dubbio, che sarà della vostra fede che tutta e unicamente su quel Libro si appoggia? – Ma diasi che tutte queste difficoltà insuperabili siano da tutti superate. Voi, Fratelli protestanti, leggerete attentamente tutta la Bibbia. Non v’è libro al mondo più difficile di questo ad intendersi, sia per la lingua e per lo stile degli scrittori antichi e orientali, sia per le verità sovrumane che vi si contengono, sia per le contrarie interpretazioni date dagli eretici. Come distinguere in quel Libro le cose necessarie da credersi da quelle che non lo sono? Come sceverare quelle di obbligo da quelle di consiglio? Quelle abrogate da Cristo da quelle da Lui conservate e sancite? Nei dubbi come regolarsi? Allorché i dotti stessi non si accordano, a qual tribunale indirizzarsi per chiarire la cosa? Come mai ciascuno da sé solo, leggendo la Bibbia, dai suoi 34.000 versetti potrà rilevare con sicurezza ciò che deve credere, fare e fuggire per salvarsi? Voi comprendete, non la difficoltà, ma l’assoluta impossibilità, che ciascuno possa fare tutto questo immenso lavoro, e per conseguenza comprendete, come la sola Bibbia interpretata da ciascuno a suo modo possa essere la stella che conduce a Cristo e al conoscimento sicuro,  facile a tutti delle verità per Lui insegnate. – Resta dunque che i fratelli nostri protestanti convengano con noi Cattolici, che veneriamo con essi la Bibbia, la accettiamo come Libro divino, contenente la massima parte delle verità rivelate, ma non tutte; resta ch’essi con noi ricevano questo Libro dalle mani della Chiesa, che esisteva prima di esso, e che lo ricevette dagli Apostoli e da Cristo istesso; resta infine ch’essi con noi ne ricevano la spiegazione dalla Chiesa istessa, che ne è l’interprete naturale e infallibile costituito da Gesù Cristo. Non vi è società che non abbia il suo codice; ma l’interpretazione autentica del medesimo non è lasciata a ciascun cittadino; essa è riservata ai legittimi tribunali. Similmente noi Cattolici abbiamo nella Bibbia il codice datoci da Dio e nel tribunale supremo della Chiesa abbiamo il suo autorevole interprete. Qual cosa più semplice e naturale? Noi Cattolici seguiamo l’esempio de’ Magi; essi seguirono la stella fino a Gerusalemme; ma con essa sola non avrebbero trovato il Salvatore. Fu il Sacerdozio, che, interrogato da Erode, spiegò non solo il significato della stella, ma indicò il luogo, dove Gesù doveva nascere, e diede la interpretazione sicura del Vaticinio di Michea. L’insegnamento della Chiesa, ossia del Sacerdozio sotto la guida del suo Capo Supremo, il Romano Pontefice, è per noi tutti il mezzo spedito e sicuro per intendere la Bibbia e sapere tutto ciò che dobbiamo credere e fare; questo mezzo è alla portata di tutti, dissipa ogni dubbio pareggia tutti i credenti in faccia al Maestro, che tiene il luogo di Dio. Noi dunque, o fratelli carissimi, pur ringraziando Iddio del lume della ragione, che viene da Lui e pel quale siamo uomini fatti a sua immagine, terremo come dogma certissimo, ch’essa non basta a riconoscere le verità spettanti all’ordine naturale, quanto più quelle dell’ordine sovrannaturale! E perciò teniamo necessaria la rivelazione divina, ossia la fede, che risplende sopra di noi come la stella sopra i Magi. Inoltre, pur sempre ringraziando Iddio, che ci abbia dato i Libri santi qual luce che ci rischiara, terremo per fede che questi non sono bastevoli ai nostri bisogni; che li dobbiamo ricevere dalle mani della Chiesa e con essi ricevere dalla Chiesa istessa la loro interpretazione. È questa la via della verità

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXI:10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.

[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster:

[Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt II:2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.

[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO della CHIESA CATTOLICA: GENNAIO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GENNAIO 2023

Gennaio è il mese che la Chiesa Cattolica dedica alla santa Infanzia di Gesù Cristo, all’Epifania, e la Sacra Famiglia.

Rinnovazione dei voti battesimali. — Come i buoni Cristiani chiudono l’anno morente col ringraziare Iddio dei beni ricevuti — così aprono l’anno nuovo col rinnovare i santi Voti Battesimali. — Saremmo noi di quella gente che non se ne cura — o li rinnova solo a fior di labbra — indifferente — fredda — incosciente?

Che cosa sono î voti battesimali? — Sono le proteste solenni che noi — per mezzo del padrino e della madrina – facemmo alla Chiesa Cattolica — la quale — solo a tal patto — ci ammetteva nel suo seno col S. Battesimo — facendoci figli di Dio — eredi del Paradiso — partecipi dei SS. Sacramenti. — Sono dunque una parola solennemente data — confermata poi coscientemente — solennemente — le tante volte — alla quale noi dobbiamo fare onore oggi — e sempre… — Siamo Cristiani — o non lo siamo? — Cristiani di solo nome — od anche di vita pratica?

A che c’impegnano i voti battesimali? — Ad una vita aliena dal peccato — mercè la rinuncia a satana — la rinuncia alle mondanità alle quali egli ci istiga — la rinuncia ai disordini nei quali egli vorrebbe precipitarci… —

C’impegnano a tenerci immuni da ogni errore che ci allontani da Dio — e ciò per mezzo della fede nell’insegnamento cattolico — sincera — ferma — totalitaria… —

C’impegnano infine alla santità cristiana — ed alla perseveranza in essa — vivendo in Gesù — e per Gesù — come membra vive del suo Corpo Mistico, ch’è la Chiesa —- animate perennemente dal Santo suo Spirito.

Come rinnovare i voti battesimali? — Rinnoviamoli con santo entusiasmo per Cristo Re — al cui appello noi — con essi — rispondiamo il nostro: Presente! — Rinnoviamoli con sincero pentimento delle nostre infedeltà passate — e come una fattiva riparazione ad esse! —

Rinnoviamoli con ferma fiducia nell’aiuto indispensabile – e insieme infallibile — se noi lo vogliamo — della divina grazia — aggiungendovi la lieta prospettiva del premio immenso che ci meriteranno in Cielo!

(G. Monetti S. J. : La Sapienza Cristiana vol. II, p. seconda, U.T.E.T. Torino, 1949)

III

ORATIONES

127

Amabilissimo nostro Signore Gesù Cristo, che fatto per noi Bambino, voleste nascere in una grotta per liberarci dalle tenebre del peccato, per attirarci a voi, ed accenderci del vostro santo amore, vi adoriamo per nostro Creatore e Redentore, vi riconosciamo e vogliamo per nostro Re e Signore, e per tributo vi offriamo tutti gli affetti del nostro povero cuore. Caro Gesù, Signore e Dio nostro, degnatevi di accettare questa offerta, e affinché sia degna del vostro gradimento, perdonateci le nostre colpe, illuminateci, infiammateci di quel fuoco santo, che siete venuto a portare nel mondo, per accenderlo nei nostri cuori. Divenga per tal modo l’anima nostra un altare, per offrirvi sopra di esso il sacrificio delle nostre mortificazioni; fate che essa cerchi sempre la vostra maggior gloria qui in terra, affinché venga un giorno a godere delle vostre infinite bellezze in cielo. Così sia.

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oratio devote repetita fuerit (S. C. Indulg., 18 ian. 1894; S. Pæn. Ap., 21 febr. 1933).

128

 O divino Pargoletto, che dopo i prodigi della vostra nascita in Betlemme volendo estendere a tutto il mondo la vostra infinita misericordia, chiamaste con celesti ispirazioni i Magi alla vostra culla convertita in trono di reale magnificenza, e benignamente accoglieste quei santi personaggi che, ossequenti alla divina voce, corsero ai vostri piedi riconoscendovi ed adorandovi come Principe della pace, Redentore degli uomini e vero Figlio di Dio; deh! Rinnovate in noi i tratti della vostra bontà ed onnipotenza, illuminando il nostro intelletto, rafforzando la nostra volontà, infiammando il nostro cuore per conoscervi, servirvi, amarvi in questa vita, meritando così di godervi eternamente nell’altra.

Indulgentia quingentorum dierum (S. Pæn. Ap., 14 iul. 1924 et 15 ian. 1935).

129

«Passati gli otto giorni, il Bambino fu circonciso e gli fu posto nome Gesù ». A riscaldare il cuore indurito e agghiacciato del peccatore, o divino Infante, non sarebbero bastati il freddo, i vagiti, la povertà e le lagrime del vostro presepio, ed ecco che, mentre sopra il vostro capo non s’erano ancora del tutto spente la luce e l’eco delle armonie angeliche, passò sopra le vostre carni, opera dello Spirito Santo, il coltello di pietra, che ne trasse alcune gocce di sangue. Ora, al mattino della vita, sono poche gocce; ma, giunta la sera, lo verserete tutto fino all’ultima stilla. Deh, fate comprendere anche a noi la imprescindibile necessità di espiare la colpa e di riconquistare la libertà dello spirito con la mortificazione dei bassi istinti della, carne. La grandezza del vostro nome, o Gesu, precedette, accompagnò e seguì la vostra comparsa sulla terra. Fin dall’eternità il Padre lo porto scritto a caratteri d’oro nella sua mente ed agli albori della creazione le arpe angeliche gli intonarono un inno di gloria ed i giusti gli mandarono, come salutandovi da lontano, un gioioso palpito di speranza. E al suo primo echeggiare nel mondo, il cielo si aperse, la terra respiro e l’inferno tremò. La sua storia non segna che trionfi. Da venti secoli esso forma la parola d’ordine dei credenti, che sempre vi attinsero e vi attingeranno la ispirazione e l’impulso per spingersi fino alle più eccelse vette della virtù. Esso resterà sempre la voce dolcissima, che, risuonata sulla vostra culla e scritta sulla vostra Croce, ricorderà perennemente all’uomo Colui, che lo amo fino a morire per lui. O Gesù, impossessatevi pienamente del nostro cuore e fatelo vivere solo del vostro amore, finché a Voi abbia consacrato il suo ultimo palpito.

Fidelibus, qui supra relatam orationem devote recitaverint, conceditur:

Indulgentia trium annorum;

Indulgentia plenaria, suetis conditionibus (S. Pæn. Ap., 4 maii 1941).

Queste sono le feste del mese di GENNAIO 2023

1 Gennaio In Circumcisione Domini    Duplex II. classis *L1*

2 Gennaio Sanctissimi Nominis Jesu    Duplex II. classis

5 Gennaio In Vigilia Epiphaniæ    Semiduplex *L1*

      Commemoratio: S. Telesphori Papæ et Martyris

6 Gennaio In Epiphania Domini    Duplex I. classis *L1*

                        PRIMO VENERDI

7 Gennaio        PRIMO SABATO

8 Gennaio Sanctæ Familiæ Jesu Mariæ Joseph    Duplex majus

11 Gennaio Commemoratio: S. Hygini Papæ et Martyris

13 Gennaio in Octava Epiphaniæ –  Duplex majus

14 Gennaio S. Hilarii Episcopi Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

15 Gennaio Dominica II post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Pauli Primi Eremitæ et Confessoris    Duplex

16 Gennaio S. Marcelli Papæ et Martyris    Semiduplex

17 Gennaio S. Antonii Abbatis    Duplex

18 Gennaio Cathedræ S. Petri    Duplex majus *L1*

                Commemoratio: S. Priscæ Virginis

19 Gennaio Ss. Marii, Marthæ, Audifacis, et Abachum Martyrum    Simplex

                  Commemoratio: S. Canuti Martyris

20 Gennaio Ss. Fabiani et Sebastiani Martyrum    Duplex

21 Gennaio S. Agnetis Virginis et Martyris    Duplex

22 Gennaio Dominica III Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

                     Ss. Vincentii et Anastasii Martyrum    Semiduplex

23 Gennaio S. Raymundi de Peñafort Confessoris    Semiduplex m.t.v.

                   Commemoratio: S. Emerentianæ, Virginis et Martyris

24 Gennaio S. Timothei Episcopi et Martyris    Duplex

25 Gennaio In Conversione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

26 Gennaio S. Polycarpi Episcopi et Martyris    Duplex

27 Gennaio S. Joannis Chrysostomi Episcopi, Confess. et Eccl. Doctoris    Duplex

28 Gennaio S. Petri Nolasci Confessoris    Duplex m.t.v.

                   Commemoratio: S. Agnetis Virginis Martyris secundo

29 Gennaio Dominica IV Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

                  S. Francisci Salesii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

30 Gennaio S. Martinæ Virginis et Martyris    Semiduplex

31 Gennaio S. Joannis Bosco Confessoris    Duplex

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: DICEMBRE 2022

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DI DICEMBRE 2022

Dicembre è il mese che la Chiesa Cattolica dedica all’Avvento del Salvatore, e alla Immacolata Concezione della Vergine Maria.

Il decreto dell’Incarnazione Divina. — Iddio, — sì ingratamente offeso dall’uomo — poteva abbandonarlo alla sua sorte — come già vi aveva abbandonato Lucifero — dando corso alla sua giustizia: — volle invece — misericordioso — l’Incarnazione riparatrice!

Che provvidenza! — Senza l’Incarnazione Redentrice, l’uomo — tutto il genere umano — senza eccezioni — non avrebbe più potuto entrare in Cielo; — il « Paradiso perduto » sarebbe stato suo rimpianto eterno! — Inoltre per lo più sarebbe precipitato in peccati personali — irremissibili — traboccando così nell’inferno — a spasimarvi — disperato — per sempre! — E neppure in questa vita egli avrebbe avuta consolazione efficace ai suoi mali: — né valido ritegno ai suoi vizi: — né felicità — neanco relativa — individuale — o sociale!

Che sapienza! — Coll’utilità massima del riscatto dell’umanità, l’Incarnazione del Figliuolo di Dio conciliò anche la massima gloria di Dio. — Gesù, come Uomo, poté espiare le nostre colpe: — come Dio, diede alla sua espiazione valore morale infinito. Ne rimaneva così sovranamente ripagata la Divina Giustizia, — con infinito margine alla Divina Misericordia per reintegrarci e colmarci di grazie — sino alla nostra apoteòsi in Cielo — purché noi non resistessimo… — E Gesù stesso. Che divino Capolavoro! — Che capolavoro la Madonna SS.! Che bontà! — « Sic Deus dilexit mundum. ut… suum Unigenitum daret! » — « Ut servum redimeres. Filium tradidisti!

». — E il Figlio Divino? — « Dilexit me. et tradidit, semetipsum pro me! ». — E questo, pur prevedendotutte le empietà avvenire — tutte le bestemmie — tutti isacrilegi — le mille più odiose persecuzioni ai Sacerdotie alla Chiesa — gli innumerevoli abusi di grazie — leindifferenze incredibili — le freddezze anche di animepie — di persone sacre! — « Tu solus Sanctus! — Tu solus bonus!» — « Copiosa apud Deum redemptio!». — Ringraziamo!— Confidiamo sempre! — Approfittiamo ditanta generosità!

(G. Monetti S. J.: La Sapienza Cristiana, vol. II – Un. Tipog. Edit. Torinese, 1949)

124

Novendiales preces ante festum

Nativitatis Domini

Fidelibus, qui novendiali pio exercitio, in honorem divini Infantis Iesu publice peracto ante festum Nativitatis Domini, devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet die;

Indulgentia plenaria, accedente sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis, si per dies saltem quinque novendiali supplicationi adstiterint.

Iis vero, qui præfato tempore preces vel alia pietatis obsequia divino Infanti privatim praestiterint, cum proposito idem per novem dies continuos explendi, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, novendiali exercitio absoluto; at ubi hoc publice peragitur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Secr. Mem., 12 aug. 1815; S. C. Indulg., 9 iul. 1830; S. Pæn. Ap., 21 febr. 1933).

[A chi pratica un pio esercizio in onore del divino Infante pubblicamente (o privatamente se legittimamente impedito) per nove giorni prima della festa della Natività del Signore, si concede: indulgenza di dieci anni (sette se in privato) per ogni singolo giorno; Indulgenza plenaria a chi, confessato e comunicato e pregato per le intenzioni del Papa, lo avrà praticato almeno per cinque giorni]

125

Novendiales preces

a die i6 ad diem 24 cuiusvis mensis

I. Eterno Padre, io offro a vostro onore e gloria, per la mia salute eterna e per quella di tutto il mondo il mistero della Nascita del nostro divin Redentore.

Gloria Patri.

II. Eterno Padre, io offro a vostro onore e gloria, per la mia eterna salute e per quella di tutto il mondo, i patimenti della Ss.ma Vergine e di san Giuseppe in quel lungo e faticoso viaggio da Nazareth a Betlemme, e l’angoscia del loro cuore per non trovare luogo da mettersi al coperto, allorché era per nascere il Salvatore del mondo.

Gloria Patri.

III. Eterno Padre, io offro a vostro onore e gloria, per la mia eterna salute e per quella di tutto il mondo, i patimenti di Gesù nel presepio ove nacque, il freddo che soffrì, le lagrime che sparse, ed i suoi teneri vagiti.

Gloria Patri.

IV. Eterno Padre, io offro a vostro onore e gloria, per la mia eterna salute e per quella di tutto il mondo, il dolore che sentì il divino Infante Gesù nel suo tenero corpicciuolo, allorché si soggettò alla circoncisione; vi offro quel Sangue prezioso, che allora Egli sparse la prima volta, per la salvezza di tutto il genere umano.

Gloria Patri.

V. Eterno Padre, io offro a vostro onore e gloria, per la mia eterna salute e per quella di tutto il mondo, l’umiltà, la mortificazione, la pazienza, la carità, le virtù tutte di Gesù Bambino, e vi ringrazio, amo e benedico infinitamente per questo ineffabile mistero dell’Incarnazione del divin Verbo.

Gloria Patri.

V- Verbum caro factum est;

S . Et habitavit in nobis.

Oremus.

Deus, cuius Unigenitus in substantia nostræ carnis apparuit; præsta, quæsumus, ut per

eum, quem similem nobis foris agnovimus, intus reformari mereamur: Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

Indulgentia septem annorum semel quovis die.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, novendiali

exercitio in finem adducto (S. C. Indulg., 23 sept. 1846;

S. Pæn. Ap., 14 oct. 1934).

II

PRECES

V. Deus, in adiutorium meum intende;

S . Domine, ad adiuvandum me festina.

V. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto, Sicut erat in principio et nunc et semper, et in sæcula sæculorum. Amen.

Pater noster.

I. Iesu Infans dulcissime, e sinu Patris propter nostram salutem descendens, de Spiritu Sancto conceptus, Virginis uterum non horrens, et Verbum caro factum, formam servi accipiens, miserere nostri.

S. Miserere nostri, Iesu Infans, miserere nostri.

Ave Maria.

II. Iesu Infans dulcissime, per Virginem Matrem tuam visitans Elisabeth, Ioannem Baptistam Præcursorem tuum Spiritu Sancto replens, et adhuc in utero matris suæ sanctificans, miserere nostri.

Miserere, etc. Ave Maria.

III. Iesu Infans dulcissime, novem mensibus in utero clausus, summis votis a Maria Virgine et a sancto Ioseph expectatus, et Deo Patri pro salute mundi oblatus, miserere nostri.

S. Miserere, etc. Ave Maria.

IV. Iesu Infans dulcissime, in Bethlehem ex Virgine Maria natus, pannis involutus, in præsepio reclinatus, ab Angelis annuntiatus et a pastoribus visitatus, miserere nostri.

Miserere, etc. Ave Maria.

Iesu, tibi sit gloria, Qui natus es de Virgine, Cum Patre et almo Spiritu, In sempiterna sæcula. Amen.

V. Christus prope est nobis.

Venite, adoremus.

Pater noster.

V. Iesu Infans dulcissime, in Circumcisione post dies octo vulneratus, glorioso Iesu nomine vocatus, et in nomine simul et sanguine Salvatoris officio præsignatus, miserere nostri.

S . Miserere, etc. Ave Maria.

VI. Iesu Infans dulcissime, stella duce tribus Magis demonstratus, in sinu Matris adoratus, et mysticis muneribus, auro, thure et myrrha donatus, miserere nostri.

Miserere, etc. Ave Maria.

VII. Iesu Infans dulcissime, in templo a Matre Virgine præsentatus, inter brachia a Simeone amplexatus, et ab Anna prophetissa Israeli revelatus, miserere nostri.

Miserere, etc. Ave Maria.

VIII. Iesu Infans dulcissime, ab iniquo Herode ad mortem quaesitus, a sancto Ioseph in Ægyptum cum Matre deportatus, a crudeli cæde sublatus, et præconiis Martyrum Innocentium glorificatus, miserere nostri.

Miserere, etc. Ave Maria.

Iesu, tibi sit gloria, Qui natus es de Virgine Cum Patre et almo Spiritu

In sempiterna sæcula. Amen.

V. Christus prope est nobis.

Venite, adoremus.

Pater noster.

IX. Iesu Infans dulcissime, in Ægyptum cum Maria sanctissima et Patriarcha sancto Ioseph usque ad obitum Herodis commoratus, miserere nostri.

S. Miserere, etc. Ave Maria.

X. Iesu Infans dulcissime, ex Ægypto cum Parentibus in terram Israel reversus, multos labores in itinere perpessus, et in civitatem Nazareth ingressus, miserere nostri.

S. Miserere, etc. Ave Maria.

XI. Iesu Infans dulcissime, in sancta Nazarena domo, subditus Parentibus, sanctissime

commoratus, paupertate et laboribus faticatus, in sapientiæ, ætatis et gratiae profectu confortatus, miserere nostri.

C. Miserere, etc. Ave Maria.

XII. Iesu Infans dulcissime, in Ierusalem duodennis ductus, a Parentibus cum dolore quæsitus, et post triduum cum gaudio inter Doctores inventus, miserere nostri.

S. Miserere, etc. Ave Maria.

Iesu, tibi sit gloria, Qui natus es de Virgine Cum Patre et almo Spiritu.

In sempiterna sæcula. Amen.

Die Nativitatis Domini et per Octavam:

V. Verbum caro factum est, alleluia.

S. Et habitavit in nobis, alleluia.

In Epiphania Domini et per Octavam:

V. Christus manifestavit se nobis, alleluia.

R. Venite, adoremus, alleluia.

Per annum.

V. Verbum caro factum est,

R. Et habitavit in nobis.

Oremus.

Omnipotens sempiterne Deus, Domine cæli et terræ, qui te revelas parvulis; concede, quæsumus, ut nos sacrosancta Filii tui Infantis Iesu mysteria digno honore recolentes, dignaque imitatione sectantes, ad regnum cælorum promissum parvulis pervenire valeamus. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

Indulgentia quinque annorum semel in die.

Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, iis qui die

25 cuiusvis mensis supra relatas preces pia mente recitaverint

[I. P. a chi, in ogni 25 del mese, reciterà le preghiere suddette

(S. C. Indulg., 23 nov. 1819; S. Pæn. Ap., 8

iun. 1935).

Queste sono le feste del mese di Dicembre: 2022

2 Dicembre S. Bibianæ Virginis et Martyris    Semiduplex

                        PRIMO VENERDI

3 Dicembre S. Francisci Xaverii Confessoris    Duplex majus

                        PRIMO SABATO

4 Dicembre Dominica II Adventus  –  Semiduplex II. classis

                      S. Petri Chrysologi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris,  Duplex

5 Dicembre Sabbæ Abbatis  –  Simplex                     

6 Dicembre S. Nicolai Episcopi et Confessoris   – Duplex

7 Dicembre S. Ambrosii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

8 Dicembre In Conceptione Immaculata Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis

10 Dicembre S. Melchiadis Papæ et Martyris    Feria

11 Dicembre Dominica III Adventus  – Semiduplex II. classis

S. Damasi Papæ et Confessoris    Duplex

13 Dicembre S. Luciæ Virginis et Martyris    Duplex

14 Dicembre Feria IV Quattuor Temporum in Adventu    Ferial

15 Dicembre In Octava Concept. Immac. Beatæ Mariæ Virginis    Duplex majus

16 Dicembre S. Eusebii Episcopi et Martyris    Semiduplex

                      Feria VI Quattuor Temporum in Adventu    Ferial

17 Dicembre Sabbato Quattuor Temporum in Adventu   Ferial

18 Dicembre Dominica IV Adventus    Semiduplex II. classis

21 Dicembre S. Thomæ Apostoli – Duplex II. classis

24 Dicembre In Vigilia Nativitatis Domini  –  Duplex I. classis

25 Dicembre In Nativitate Domini – Duplex I. classis

26 Dicembre S. Stephani Protomartyris    Duplex II. classis

27 Dicembre S. Joannis Apostoli et Evangelistæ – Duplex II. classis

28 Dicembre Ss. Innocentium  –  Duplex II. classis

29 Dicembre S. Thomæ Episcopi et Martyris    Duplex *L1

3o Dicembre – Dominica Infra Octavam Nativitatis    Semiduplex Dominica minor

S. Thomæ Episcopi et Martyris – Duplex

31 Dicembre S. Silvestri Papæ et Confessoris    Duplex

NOVENA PER L’IMMACOLATA CONCEZIONE

NOVENA PER L’IMMACOLATA CONCEZIONE

(Inizio 29 Nov. Festa 8 dicembre).

(G. Riva: Manuale di Filotea, XXX Ediz. – Milano 1888)

Che la Concezione di Maria SS. sia stata esente da ogni macchia di peccato, fu in tutti i secoli ritenuto come verità incontestabile insegnata dagli Apostoli. In Oriente la relativa Festa è di data antichissima; ma in Occidente non ebbe luogo prima del VII secolo. Primi a celebrarla furono Gondisalvo vesc. di Tolosa al principio del 600; poi S. Idelfonso vesc. Di Toledo, Federico patriarca di Aquileja circa l’890, l’inglese abb. Elpino e il Cantorberiense S. Anselmo nel 1109, il Clero di Lione nel 1141, tutto l’Ordine Francescano nel 1163, quindi tutte le accademie d’Europa. Il sempre crescente impegno dei fedeli d’ogni ordine per tal festa determinò i Papi ad aggiungervi il suggello di loro infallibile approvazione. Di qui è che Sisto IV nel 1483 la collaudò con tre Bolle, confermate poco dopo da Alessandro VI. Giulio Il approvò gli ordini religiosi intitolati all’Immacolata; Clemente VII ne stese l’apposito Ufficio; Pio V le appropriate lezioni; Clemente VIII ne elevó la festa a Rito Maggiore, Alessandro VII vi aggiunse l’Ottava, Innocenzo VII nel 1693 la rese obbligatoria per tutto il mondo; Clemente XI nel 1708 la dichiarò festa di precetto; Benedetto XIV la volle festa di Cappella Papale: Gregorio XVI permise di aggiungere il titolo immacolata a quello di Concezione nel Prefazio, e Regina sine labe originali concepta nelle Litanie. Pio IX poi, l’8 dic.1854 compi l’opera e i voti di tutti col farne un articolo di fede indispensabile a credersi per salvarsi, a cui nel 25 sett. 1863 aggiunse la distinzione di apposita Messa ed Ufficio di affatto nuova composizione.

NOVENA

I. Vergine amabilissima, che sino ab eterno foste l’oggetto de’ divini amori, ottenete anche a noi tutti di farvi sempre caro oggetto di nostra divozione. Ave.

II. Vergine ammirabile, la cui concezione fu speciale favor di Dio, e frutto di grandi orazioni, limosine e mortificazioni dei Patriarchi, dei Profeti e di tutti i giusti, impetrate anche a noi tutti di sempre disporci con tali mezzi a partecipare dei divini favori. Ave.

III. Vergine privilegiata, che foste concepita da sterili genitori divenuti prodigiosamente fecondi, ottenete anche alle sterili anime nostre di divenir feconde di santi affetti e di virtuose operazioni. Ave.

IV. Vergine immacolata, che unica fra tutte le creature, foste preservata e dal peccato originale e da ogni altra ancor più lieve colpa, ottenete a noi pure di preservarci da qui in avanti da ogni macchia di peccato. Ave.

V. Vergine felicissima, che foste preservata anche dal fomite della colpa, ottenete a noi pure di frenare per modo codesto fomite, che non ci faccia mai schiavi della legge del peccato. Ave.

VI. Vergine singolarissima, che nel vostro concepimento foste confermata nella divina carità, ottenete anche a noi tali e tanti ajuti di grazia, da conservarci sempre cari e fedeli al Signore. Ave.

VII. Vergine santissima, che nella vostra Immacolata Concezione foste riempita d’ogni pienezza di grazia, impetrate a noi pure tutte le grazie necessarie a santificarci e a salvarci. Ave.

VIII. Vergine beatissima, che sino dal primo istante di vostra vita, foste arricchita di tutte le più belle virtù, a noi ancora ottenete la più viva fede, la più ferma speranza, la più accesa carità, e tutte le altre virtù proprie di un’anima cristiana. Ave.

IX. O Vergine benedetta, che annunciaste col vostro concepimento il prossimo spuntare del divin Sole, siate, vi prego, la fiaccola della mia mente, la gioja del mio cuore, la mia difesa nei pericoli, il mio sostegno nelle tentazioni il mio sollievo nelle cadute, e fate che in me fioriscano quelle virtù che resero Voi sì ammirabile qui sulla terra, e sì gloriosa nel Cielo. Ave, Gloria.

OREMUS.

Deus qui per Immaculatam Virginis Conceptionem, dignum Filio tuo habitaculum præparasti, quæsumus; ut qui, ex morte ejusdem Filii tui prævisa, eam ab omni labe præservasti, nos quoque mundos, ejus intercessione ad te pervenire concedas. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

9 NOVEMBRE (2022): DEDICAZIONE DELL’ARCIBASILICA DEL SS. SALVATORE IN LATERANO

9 NOVEMBRE: DEDICAZIONE DELL’ARCIBASILICA DEL SS. SALVATORE IN LATERANO

(Benedetto Baur O.S. B.: I Santi nell’Anno Liturgico; Herder Ed. 1958)

1. – La Basilica lateranense gode di una speciale importanza per essere la Chiesa madre di tutte le chiese del mondo, la prima chiesa del Salvatore, eretta dall’imperatore Costantino. Poiché dal tempo di Costantino per quasi dieci secoli i Papi risiedettero nel palazzo del Laterano, questa basilica è anche la Chiesa Cattedrale del Papa. Come cattedrale papale e come « madre di tutte le chiese », la basilica del SS. Salvatore fu agli occhi del mondo cattolico il simbolo dell’autorità pontificia. La chiesa del Laterano fu consacrata da Papa Silvestro il 9 novembre 324. Nell’896 crollò in seguito a un terremoto, fu ricostruita sotto Sergio III e ricevette come patrono S. Giovanni Battista. Nel secolo XIV subì due incendi, uno nel 1308 e un altro nel 1361. Col restauro barocco del secolo 17° l’interno della basilica perdette molto del suo carattere primitivo e medioevale. – Nella festa della Dedicazione la Chiesa non pensa soltanto alla casa di pietra: questa è per lei il simbolo e la rappresentazione della Chiesa vivente, della Chiesa qui sulla terra e della Chiesa celeste. Questo simbolismo si addice in modo particolare alla chiesa «madre e capo di tutte le chiese ».

2.-« In quel tempo Gesù, entrato a Gerico, attraversava la città. Ed ecco che un uomo, per nome Zaccheo, che era capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e montò sopra un sicomoro per vederlo, perché egli doveva passar di là. E come Gesù fu giunto in quel luogo, guardò su, lo vide e gli disse : « Zaccheo, scendi presto, perché oggi devo albergare in casa tua. Ed egli s’affrettò a scendere e lo accolse con allegrezza ». In Zaccheo, pagano e pubblicano, la liturgia della festa della Dedicazione riconosce la Chiesa che è pervenuta a Cristo, alla salvezza, dal paganesimo. Piccolo di statura e insignificante, disprezzato dal popolo eletto d’Israele, il paganesimo anela ardentemente di conoscere il Salvatore che il giudaismo, nel suo accecamento, rigetta. In Zaccheo esso precorre il popolo d’Israele ed ottiene per primo la salvezza. Presso la Chiesa proveniente dalla gentilità il Signore prende alloggio ed elargisce benedizioni. Essa lo accoglie con allegrezza. « Oggi su questa casa (la santa chiesa), è venuta la salvezza », poiché in Zaccheo anch’essa, la Chiesa delle Genti, è divenuta un « figliuolo di Abramo » cui va l’eredità del popolo eletto. Essa, la santa Chiesa è diventata « il tabernacolo di Dio in mezzo agli uomini ». Nella Chiesa « Egli abiterà con loro: ed essi saranno Suo popolo » (Epistola). Essa, la santa Chiesa sa di essere l’abitazione di Dio, piena di Dio e di Cristo, piena di grazia e di verità, « la casa di Dio e la porta del cielo ». Per questo la Chiesa ringrazia ed esulta senza fine. Essa accoglie il Signore con allegrezza in ogni santo Sacrificio, in ogni sua parola, in ogni grazia che Egli dona ai suoi figli. « Oggi su questa casa è venuta la salvezza ». « Ma Zaccheo si presentò al Signore e gli disse: Ecco, Signore, la metà dei miei la dò ai poveri, e se ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo » (Vangelo). Non appena il Signore è entrato nella casa di Zaccheo, opera una completa conversione e trasformazione nel cuore del pubblicano. Che cosa eravamo, che cosa avevamo prima che venissimo alla Chiesa e a Cristo? « Eravate morti per i vostri falli e i vostri peccati, seguendo le cupidigie della carne. Facevamo i voleri della carne e dei pensieri ed eravamo per natura figliuoli dell’ira. Ma Dio, ricco di misericordia, ci richiamò in vita con Cristo, e con lui ci risuscitò » (Efes. II, 1 segg.). Il Signore alloggia presso Zaccheo. Egli solleva la gentilità fuor dall’abisso del suo traviamento e della sua perdizione, riempie le anime con la sua luce, con la sua vita col suo spirito di santità. La gentilità abbandona la precedente perversione e diviene la « santa » Chiesa, la Sposa del Signore « senza macchia, né  ruga » (Efes. V, 27). Così dice il Signore: « Ecco, io rinnovo tutte le cose » (Epistola). Questo è il gioioso ringraziamento della Chiesa nella giornata odierna. Noi ci associamo.

3 – Il giorno in cui Papa Silvestro consacrò la basilica Lateranense, Cristo Signore nel Santissimo Sacramento ha preso dimora in questo tempio e da allora, attraverso lunghi secoli ha salvato e santificato innumerevoli uomini. Nell’odierno anniversario della dedicazione lo ringraziamo per questo suo continuo e misericordioso operare. Nella Chiesa-madre del mondo riconosciamo la sublime immagine della santa Chiesa da Cristo fondata. Cristo continua a vivere, attraverso tutti i tempi, nella sua Chiesa. Egli la sorregge e guida e la compenetra del suo Spirito e della sua forza, della sua verità e della sua grazia, cosicché in definitiva « è lui che mediante la Chiesa battezza e ammaestra, lega e scioglie, offre ed immola ». Se già il popolo d’Israele considerava una grandissima gioia di pensare al suo tempio in Gerusalemme (Ps. CXXXVI, 5-6) « con quanta maggior gloria e più ampio gaudio abbiamo noi il dovere di esultare appunto per questo che siamo cittadini di una Città costruita sul monte santo con vive e scelte pietre e della quale è pietra angolare Gesù Cristo » (Efes. II, 20; 1 Pietr. II, 4-5). Giacché niente si può immaginare di più glorioso, niente di più nobile, niente senza dubbio di più onorifico, che appartenere alla santa, cattolica, apostolica e romana Chiesa, per la quale diventiamo membra di un unico e così venerando Corpo, siamo guidati da un unico e così eccelso Capo, siamo ripieni di un unico divino Spirito, siam nutriti in questo terrestre esilio da una sola dottrina e da uno stesso Pane angelico, finché ci ritroveremo a godere di un’unica sempiterna beatitudine nei cieli » (Papa Pio XII, Enciclica sul Mistico Corpo di Cristo).

Preghiera

O Dio, che da pietre vive e scelte prepari alla tua Maestà una eterna abitazione, soccorri il tuo popolo che ti prega, affinché mentre la tua Chiesa si sviluppa nello spazio materiale, moltiplichi anche i suoi progressi spirituali. Amen.

2 NOVEMBRE (2022): MESSE PER I DEFUNTI

MESSA PER I DEFUNTI (2022)

Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti.

Doppio. – Paramenti neri.

Alla festa di tutti i Santi è intimamente legato il ricordo delle anime sante che, pur confermate in grazia, sono trattenute temporaneamente in « Purgatorio » per purificarsi dalle colpe veniali ed « espiare » le pene temporali dovute per il peccato. Perciò, dopo aver celebrato nella gioia la gloria dei Santi, che costituiscono la Chiesa trionfante, la Chiesa militante estende le sua materna sollecitudine anche a quel luogo di indicibili tormenti, ove sono prigioniere le anime che costituiscono la Chiesa purgante. Dice il Martirologio Romano: « In questo giorno si fa la commemorazione di tutti i fedeli defunti; nella quale commemorazione la Chiesa, pia Madre comune, dopo essersi adoperata a celebrare con degne lodi tutti i suoi figli che già esultano in cielo, tosto si affretta a sollevare con validi suffragi, presso il Cristo, suo Signore e Sposo, tutti gli altri suoi figli che gemono ancora nel Purgatorio, affinché possano quanto prima pervenire al consorzio dei cittadini beati ». E questo il momento in cui la liturgia della Chiesa afferma vigorosamente la misteriosa unione esistente fra la Chiesa trionfante, militante e purgante, e mai come oggi si adempie in modo tangibile, il duplice dovere di carità e di giustizia che deriva, per ciascun cristiano, dalla sua incorporazione al corpo mistico di Cristo. Per il dogma della « Comunione dei Santi» i meriti e i suffragi acquistati dagli uni possono essere applicati agli altri. In questi modo, senza ledere gli imprescrittibili diritti della divina giustizia, che sono rigorosamente applicati a tutti nella vita futura, la Chiesa può unire la sua preghiera a quella del cielo e supplire a ciò che manca alle anime del Purgatorio, offrendo a Dio per loro, per mezzo della S. Messa, delle indulgenze, delle elemosine e dei sacrifizi dei fedeli, i meriti sovrabbondanti della Passione del Cristo e delle membra del suo mistico corpo. – Con la liturgia che ha il suo centro nel Sacrificio del Calvario, rinnovantesi continuamente sull’altare, è sempre stato il mezzo principale impiegato dalla Chiesa, per applicare ai defunti la grande legge della Carità, che comanda di soccorrere il prossimo nelle sue necessità, così come vorremmo esser soccorsi noi, se ci trovassimo negli stessi bisogni. – Forse la liturgia dei defunti è la più bella e consolante di tutte, ogni giorno, al termine d’ogni ora del Dìvin Ufficio sono raccomandate alla misericordia di Dio le anime dei fedeli defunti. Al Suscipe nella Messa, il sacerdote offre il Sacrificio per i vivi e per i morti; e a uno speciale Memento egli prega il Signore di ricordarsi dei suoi servi e delle sue serve che si sono addormentati nel Cristo e di accordar loro il luogo della consolazione, della luce e della pace. – Già fin dal V secolo si celebrano Messe per i defunti. Ma la Commemorazione generale di tutti i fedeli defunti si deve a S. Odilone, quarto Abate del celebre monastero benedettino di Cluny. Egli l’istituì nel 998 fissandola per il giorno dopo la festa di Ognissanti (In seguito a questa istituzione, la S. Sede accordò un’indulgenza plenaria toties quotìes alle medesime condizioni che per il 2 agosto, applicabile ai fedeli defunti il giorno della Commemorazione dei morti, a’ tutti quelli che visiteranno una Chiesa, dal mezzogiorno di Ognissanti alla mezzanotte del giorno dopo e pregheranno secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. — ). L’influenza di questa illustre Congregazione fece sì che si adottasse presto quest’uso da tutta la Chiesa e che questo giorno stesso fosse talvolta considerato come festivo. Nella Spagna e nel Portogallo, come anche nell’America del Sud, che fu un tempo soggetta a questi Stati, per un privilegio accordato da Benedetto XIV in questo giorno i sacerdoti celebravano tre Messe. Un decreto di Benedetto XV del 10 agosto 1915 estese ai sacerdoti del mondo intero questa autorizzazione. Pio XI con decreto 31 ottobre 1934 concesse che durante l’Ottava tutte le Messe celebrate da qualunque Sacerdote siano ritenute come privilegiate per l’anima del defunto per il quale vengono applicate. La Chiesa, in un’Epistola, tratta da S. Paolo, ci ricorda che i morti risusciteranno, e ci invita a sperare, perché in quel giorno tutti ci ritroveremo nel Signore. La Sequenza descrive in modo avvincente il giudizio finale; nel quale i buoni saranno eternamente divisi dai malvagi. – L’Offertorio ci richiama al pensiero S. Michele, che introduce le anime nel Cielo, perché, dicono le preghiere per la raccomandazione dell’anima, egli è il « capo della milizia celeste », nella quale gli uomini sono chiamati ad occupare il posto degli angeli caduti. – « Le anime del purgatorio sono aiutate dai suffragi dei fedeli, e principalmente dal sacrificio della Messa » dice il Concilio di Trento! (Sessione| XXII, cap. II). Questo perché nella S. Messa il sacerdote offre ufficialmente a Dio, per il riscatto delle anime, il sangue del Salvatore. Gesù stesso, sotto le specie del pane e del vino, rinnova misticamente il sacrificio del Golgota e prega affinché Dio ne applichi, a queste anime, la virtù espiatrice. Assistiamo in questo giorno al Santo Sacrificio, nel quale la Chiesa implora da Dio, per i defunti, che non possono più meritare, la remissione dei peccati (Or.) e il riposo eterno (Intr., Grad.). Visitiamo i cimiteri, ove i loro corpi riposano, fino al giorno nel quale, alla chiamata di Dio, essi sorgeranno immediatamente per rivestirsi dell’immortalità e riportare, per i meriti di Gesù Cristo, la definitiva vittoria sulla morte (Ep.).

(La parola Cimitero, dal greco, significa dormitorio, nel quale ci si riposa. Chi visita il cimitero durante l’Ottava e prega anche solo mentalmente per i defunti, può acquistare nei singoli giorni, con le consuete condizioni, l’indulgenza Plenaria; negli altri giorni l’indulgenza parziale di sette anni; tanto l’una che l’altra sono applicabili soltanto ai defunti – S. Penit. Ap. 31- X – 1934)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

4 Esdr II: 34; 2:35
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
Ps LXIV:2-3
Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam, ad te omnis caro véniet.

[In Sion, Signore, ti si addice la lode, in Gerusalemme a te si compia il voto. Ascolta la preghiera del tuo servo, poiché giunge a te ogni vivente].
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Fidélium, Deus, ómnium Cónditor et Redémptor: animábus famulórum famularúmque tuárum remissiónem cunctórum tríbue peccatórum; ut indulgéntiam, quam semper optavérunt, piis supplicatiónibus consequántur:
[O Dio, creatore e redentore di tutti i fedeli: concedi alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la remissione di tutti i peccati; affinché, per queste nostre pie suppliche, ottengano l’indulgenza che hanno sempre desiderato:]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 51-57
Fratres: Ecce, mystérium vobis dico: Omnes quidem resurgámus, sed non omnes immutábimur. In moménto, in ictu óculi, in novíssima tuba: canet enim tuba, et mórtui resúrgent incorrúpti: et nos immutábimur. Opórtet enim corruptíbile hoc induere incorruptiónem: et mortále hoc indúere immortalitátem. Cum autem mortále hoc indúerit immortalitátem, tunc fiet sermo, qui scriptus est: Absórpta est mors in victória. Ubi est, mors, victória tua? Ubi est, mors, stímulus tuus? Stímulus autem mortis peccátum est: virtus vero peccáti lex. Deo autem grátias, qui dedit nobis victóriam per Dóminum nostrum Jesum Christum.

[Fratelli: Ecco, vi dico un mistero: risorgeremo tutti, ma non tutti saremo cambiati. In un momento, in un batter d’occhi, al suono dell’ultima tromba: essa suonerà e i morti risorgeranno incorrotti: e noi saremo trasformati. Bisogna infatti che questo corruttibile rivesta l’incorruttibilità: e questo mortale rivesta l’immortalità. E quando questo mortale rivestirà l’immortalità, allora sarà ciò che è scritto: La morte è stata assorbita dalla vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Ora, il pungiglione della morte è il peccato: e la forza del peccato è la legge. Ma sia ringraziato Iddio, che ci diede la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo].

Graduale

4 Esdr II: 34 et 35.
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
Ps CXI: 7.
V. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.
[Il giusto sarà sempre nel ricordo, non teme il giudizio sfavorevole].Tractus.
Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium ab omni vínculo delictórum.
V. Et grátia tua illis succurrénte, mereántur evádere judícium ultiónis.
V. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.

[Libera, Signore, le anime di tutti i fedeli defunti da ogni legame di peccato.
V. Con il soccorso della tua grazia possano evitare la condanna.
V. e godere la gioia della luce eterna].

Sequentia

Dies iræ, dies illa
Solvet sæclum in favílla:
Teste David cum Sibýlla.

Quantus tremor est futúrus,
Quando judex est ventúrus,
Cuncta stricte discussúrus!

Tuba mirum spargens sonum
Per sepúlcra regiónum,
Coget omnes ante thronum.

Mors stupébit et natúra,
Cum resúrget creatúra,
Judicánti responsúra.

Liber scriptus proferétur,
In quo totum continétur,
Unde mundus judicétur.

Judex ergo cum sedébit,
Quidquid latet, apparébit:
Nil multum remanébit.

Quid sum miser tunc dictúrus?
Quem patrónum rogatúrus,
Cum vix justus sit secúrus?

Rex treméndæ majestátis,
Qui salvándos salvas gratis,
Salva me, fons pietátis.

Recordáre, Jesu pie,
Quod sum causa tuæ viæ:
Ne me perdas illa die.

Quærens me, sedísti lassus:
Redemísti Crucem passus:
Tantus labor non sit cassus.

Juste judex ultiónis,
Donum fac remissiónis
Ante diem ratiónis.

Ingemísco, tamquam reus:
Culpa rubet vultus meus:
Supplicánti parce, Deus.

Qui Maríam absolvísti,
Et latrónem exaudísti,
Mihi quoque spem dedísti.

Preces meæ non sunt dignæ:
Sed tu bonus fac benígne,
Ne perénni cremer igne.

Inter oves locum præsta,
Et ab hœdis me sequéstra,
Státuens in parte dextra.

Confutátis maledíctis,
Flammis ácribus addíctis:
Voca me cum benedíctis.

Oro supplex et acclínis,
Cor contrítum quasi cinis:
Gere curam mei finis.

Lacrimósa dies illa,
Qua resúrget ex favílla
Judicándus homo reus.

Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu Dómine,
Dona eis réquiem.
Amen.

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann V: 25-29
In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Amen, amen, dico vobis, quia venit hora, et nunc est, quando mórtui áudient vocem Fílii Dei: et qui audíerint, vivent. Sicut enim Pater habet vitam in semetípso, sic dedit et Fílio habére vitam in semetípso: et potestátem dedit ei judícium fácere, quia Fílius hóminis est. Nolíte mirári hoc, quia venit hora, in qua omnes, qui in monuméntis sunt, áudient vocem Fílii Dei: et procédent, qui bona fecérunt, in resurrectiónem vitæ: qui vero mala egérunt, in resurrectiónem judícii.

[In quel tempo: Gesù disse alle turbe dei Giudei: In verità, in verità vi dico, viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio: e chi l’avrà udita, vivrà. Perché come il Padre ha la vita in sé stesso, così diede al Figlio di avere la vita in se stesso: e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non vi stupite di questo, perché viene l’ora in cui quanti sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio: e ne usciranno, quelli che fecero il bene per una resurrezione di vita: quelli che fecero il male per una resurrezione di condanna].

Omelia

[Giov. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle Feste del Signore e dei Santi – Soc. Edit. Vita e Pensiero, Milano, VI ed. 1956]

LE ANIME PURGANTI

Ora che la campagna è spoglia, che i cieli si fanno grigi per le nebbie, che le foglie cadono, la Santa Chiesa con un fine intuito educativo ci richiama al pensiero della morte, al pensiero dei nostri cari morti. La nostra vita sulla terra è rapida come una stagione, poi vengono le nebbie della vecchiezza, il vento autunnale e triste della fine e ci spoglia di ogni terrestre illusione. Debemur morti nos nostraque; e noi e le nostre cose siamo destinati a morire. Quanti tra quelli stessi che conoscemmo ed amammo già sono morti; compagni di scuola, compagni d’allegria, compagni d’armi, compagni di lavoro, sono già stati innanzi tempo presi dalla morte e condotti nell’eternità. Nella nostra stessa casa forse c’è più d’un vuoto: care persone sparite da anni o solo da mesi, comunque sparite dalla nostra vista. Oggi s’aprono i cancelli e noi pellegriniamo in folla su quella terra che nasconde la loro salma. Portiamo fiori e lumi, ed è questo un atto molto gentile. Ma quei fiori e quei lumi sono uno sterile simbolo se non vi aggiungiamo preghiere, elemosine, suffragi d’opere buone. Noi sappiamo, Cristiani, che se alcuno muore in grazia di Dio, ma con qualche peccato veniale non perdonato, o con qualche debito di paradiso, è ritenuto in purgatorio finché abbia pienamente soddisfatto alla divina giustizia. Non solo, ma noi sappiamo anche un’altra verità che è molto consolante. Siccome noi, vivi o morti formiamo tutti ancora nella Santa Chiesa una famiglia sola, possiamo, noi che camminiamo sulla terra placare Dio anche per loro che più non sono qui.  S. Giovanni Crisostomo rivolgeva queste esortazioni ai fedeli del suo tempo: « Perché piangete, se al defunto si può ottenere grande perdono? Non è questo un bel guadagno, un cospicuo vantaggio? Molti furono: liberati» con un’elemosina. fatta per loro da altri; perché l’elemosina ha la virtù di togliere i peccati, se mai il morto è partito di qua con qualche venialità sulla coscienza. Vi assicuro che l’aiuto nostro per le anime non è mai vano: è Dio che vuole che ci soccorriamo l’un l’altro ». Con questa confortante fede chiudeva gli occhi S. Monica, e morendo pregò il figlio Agostino di offrire per lei il sacrificio della, Messa; E S. Agostino; come narra nelle sue Confessioni subito dopo la morte offerse per lei il sacrificio del nostro riscatto, e per lei pregò: così: «Ascoltami, Dio Onnipotente.; ascoltami, per Gesù Medico delle nostre ferite che pendette dalla croce; e ora alla tua destra supplica per noi. So che ella ha usato soave misericordia ai poveri e ha rimesso i debiti suoi debitori. E tu rimetti ora anche a lei i debiti suoi! Condonale anche il peso di quelle miserie di cui s’è caricata nei molti anni che visse dopo il lavacro del Battesimo. Perdonala, o Signore, perdonala; te ne prego, non chiamarla al tuo giudizio ». Ecco il suffragio migliore che un figlio può mandar dietro alla madre diletta: la S. Messa, accompagnata dalla sincera e personale preghiera. È vero che i nostri cari nel Purgatorio non mancano di profonde dolcissime consolazioni, tra cui la più grande è quella d’esser certi che Dio li ama, e che andranno alla fine della loro purificazione a goderlo per sempre; ma è pur vero che fin tanto che dura la loro purificazione le anime soffrono gravissime pene. Soffrono i nostri cari morti! E noi possiamo e dobbiamo aiutarli.- 1. I MORTI SOFFRONO. Un giovanetto di nome Giuseppe, un giorno, fu calato in una cisterna, e, sopra, i suoi undici fratelli vi gettarono una pietra con rimbombo, perché non potesse uscire più. Poi vi sedettero sopra mangiando, e bevendo il vino dei loro fiaschi. Comedentes et bibentes vinum in phialis. Giuseppe singhiozzava nel fondo della cisterna, ove non scendeva una boccata d’aria, ove non filtrava un filo di luce: in una cisterna stretta e profonda, umida e muffolente. Singhiozzava; ma i suoi fratelli, sopra, mangiavano e bevevano e non potevano udire il suo grido straziante. Lui moriva, essi se la godevano. Lui in prigione, essi nella libertà delle loro case e dei loro campi. Lui senza pane e senz’acqua, essi pieni di carne e di vino. Comedentes et bibentes vinum in phialis (Amos, VI, 6). Questa scena angosciosa si ripete ogni giorno, anche oggi. Nel carcere del Purgatorio c’è qualche nostro fratello, un amico, forse il babbo, forse la mamma nostra che soffre; e noi non ci ricordiamo mai di loro che sono morti. Noi ci divertiamo, bevendo e mangiando, mentr’essi soffrono tormenti più struggenti della fame e della sete. Ricordiamoli i morti perché soffrono. Che cosa soffrono? Soffrono misteriose pene, più o meno gravi, ma che sono sempre cagione d’acuto dolore. Ma la sofferenza più affliggente è il ritardo che li disgiunge da Dio. Qui sulla terra l’anima che si allontana da Dio, immersa com’è nei sensi, può non penare, può cercare conforto nelle creature. Ma nell’eternità non sarà più così: non solo l’uomo non potrà cercare un surrogato alle creature, ma si accenderà nella sua anima un bisogno, anzi una fame di felicità divina, di congiungimento nella visione col suo Signore. Pensate allora la dolorosa aspirazione nelle anime purganti: sentirsi fatte per Dio, sentirsi ormai giunte al sicuro porto, e vedersi rattenute dall’entrare in patria, impedite dell’abbraccio divino! È la penosa speranza dell’ammalato a cui il medico assicurò la guarigione, ma che intanto deve stare immobile per mesi nel letto. È la tensione acerba dell’assetato che quando crede d’essere giunto alla fonte d’acqua viva, s’accorge ch’essa gli scorre ancora molto lontana. È l’attesa struggente del prigioniero di guerra, che giunto il giorno di rimpatriare e d’abbracciare la vecchia madre e la sposa e i figliuolini, si vede messo in quarantena per una certa sua infezione. « Miseri noi: credevamo d’essere giunti al termine, ed ecco il cammino ci si allunga davanti… ». Così sospirano con pacato dolore le anime sante del Purgatorio. – 2. NOI LI POSSIAMO AIUTARE. Uno degli episodi più pietosi delle Sacre Scritture è quello del paralitico sotto i portici della piscina probatica. V’era a Gerusalemme una vasca con cinque portici in giro: ed ogni anno quell’acqua scossa da un Angelo, acquistava una virtù miracolosa, che qualunque malato per primo vi si fosse immerso ne sarebbe riuscito sanato perfettamente. Ed erano già 38 anni che un povero paralitico era là ad aspettare la smorto per tanto soffrire, le carni incadaverite, le vesti luride. Bastava soltanto che qualcuno, appena l’Angelo commoveva l’acqua, gli desse un tuffo. Eppure, dopo 38 anni ch’era là, non uno gli aveva saputo fare quel piacere. E quando Gesù Passò sotto il portico, quel poverino ruppe in singhiozzi « Domine, hominem non habeo! ». O Signore, non ho proprio nessuno! Anche molte anime del Purgatorio ripetono il grido del paralitico: non ho proprio nessuno! nessuno che si ricordi di me, nessuno che preghi, che faccia pregare… ». E son anni e anni che gemono là; e per strapparle dal fuoco non occorre enorme fatica, e neppure grosse somme di denaro: ma basta una preghiera detta col cuore, basta una Comunione fervorosa, una santa Messa ascoltata o fatta celebrare … Ed è un dovere d’amore ricordarsi, è un dovere di giustizia. Chi sono quelle povere anime? Forse i n otri fratelli, le sorelle, le spose, i padri, le mamme … Oh vi ricordate in quel giorno, di quella notte in cui morirono? Là, sul letto, disteso: già i suoi occhi dilatati v’era l’immagine della morte. Ardeva accanto una candela benedetta, quella dell’agonia. Egli non poteva parlare più, già la morte gli sigillava le labbra per sempre; eppure qualche cosa voleva pur dirci, ché tremava tutto: « Ricordati di me, quando sarò morto! » E noi scoppiammo in pianto, e tra i singhiozzi abbiamo giurato, in faccia alla morte, di non scordarlo più. Invece dopo qualche settimana noi ci demmo pace, e chi è morto, giace. « Ricordati di me, tu mi puoi aiutare! ». Non la sentite questa voce alla sera, quando invece di fermarvi in casa a rispondere il Rosario voi uscite a chiacchierare, a giocare? Non la sentite questa voce alla mattina presto, quando suonano le campane della Messa, dell’Ufficio, e voi poltrite nelle piume del letto? Non la sentite questa voce che vi supplica di cambiar vita, di frequentare i Sacramenti, di lasciare quella relazione? Non la sentite questa voce a scongiurarvi che facciate un po’ d’elemosina, che procuriate una S. Messa, un Ufficio di suffragio? Eppure dovreste sentirla: forse, quei campi che voi lavorate, quella casa che voi abitate, quel gruzzolo di danaro che avete alla banca, è il frutto del sudore dei vostri morti. Siete obbligati, per giustizia, a ricordarli! – Dall’esilio S. Giovanni poteva finalmente rientrare in Efeso. Entrando egli nella sua città incontrò un funerale: portavano a seppellire il corpo di Drusiana, la quale aveva sempre seguiti i suoi ammaestramenti. Come la gente s’accorse della presenza dell’Apostolo, a gran voce diceva: « Benedetto tu che nel nome di Dio ritorni! ». Allora le vedove che Drusiana aveva in vita consolate, i poveri che aveva nutrito, gli orfani a cui aveva fatto da madre, circondarono l’Evangelista, e col pianto nella voce cominciarono a supplicarlo: « O santo Giovanni! vedi che portiamo Drusiana morta a seppellire: ella ci ha confortati, ci ha dato da mangiare, ci ha protetti, ed ora è morta, senza poterti rivedere, che pur lo desiderava tanto ». S. Giovanni fu commosso da quelle preghiere ardenti. Fermò il funerale, fece deporre in terra la bara, e con chiara voce disse davanti a tutti: « Drusiana! Per l’amore che portasti agli orfani, per l’elemosina che facesti ai poveri, per l’aiuto che prodigasti alle vedove, il mio Signor Gesù Cristo ti risusciti ». E subito ella si levò dalla bara, sì che pareva non resuscitata da morte, ma destata da dormire (BATTELLI, Leggende cristiane). Verrà un giorno, e per quanto sia tardi non è lontano, che noi pure porteranno a seppellire. Ma la nostra anima, nuda e sola, convien che vada al tribunale di Cristo. Oh, se durante questa vita ci saremo ricordati dei poveri morti, allora molte anime si faranno intorno a Gesù giudice e a gran voce diranno: « Signore! Ricordati che costui mi ha alleviato il fuoco del Purgatorio con le sue preghiere, con le mortificazioni, con l’elemosina. Signore! Ricordati di quelle Messe e di quegli Uffici che m’ha fatto celebrare, ricordati delle Comunioni, delle elemosine che faceva in mio suffragio ». E Gesù non saprà resistere a queste suppliche e ci dirà: « Per la misericordia che hai avuto dei poveri morti, anch’io ti faccio misericordia: vieni presto in paradiso ».

IL CREDO

Offertorium

Oremus

Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum: sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam:
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.
V. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam.
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.

[Signore Gesù Cristo, Re della gloria, libera tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dall’abisso. Salvali dalla bocca del leone; che non li afferri l’inferno e non scompaiano nel buio. L’arcangelo san Michele li conduca alla santa luce
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
V. Noi ti offriamo, Signore, sacrifici e preghiere di lode: accettali per l’anima di quelli di cui oggi facciamo memoria. Fa’ che passino, Signore, dalla morte alla vita,
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza].

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, quas tibi pro animábus famulórum famularúmque tuárum offérimus, propitiátus inténde: ut, quibus fídei christiánæ méritum contulísti, dones et præmium. [Guarda propizio, Te ne preghiamo, o Signore, queste ostie che Ti offriamo per le ànime dei tuoi servi e delle tue serve: affinché, a coloro cui concedesti il merito della fede cristiana, ne dia anche il premio].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Defunctorum

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. In quo nobis spes beátæ resurrectiónis effúlsit, ut, quos contrístat certa moriéndi condício, eósdem consolétur futúræ immortalitátis promíssio. Tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur: et, dissolúta terréstris hujus incolátus domo, ætérna in cælis habitátio comparátur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. In lui rifulse a noi la speranza della beata risurrezione: e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima me
a.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

4 Esdr II:35; II:34
Lux ætérna lúceat eis, Dómine:
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.
V. Requiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

[Splenda ad essi la luce perpetua,
* insieme ai tuoi santi, in eterno, o Signore, perché tu sei buono.
V. L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
* Insieme ai tuoi santi, in eterno, Signore, perché tu sei buono].

Postcommunio

Orémus.
Animábus, quǽsumus, Dómine, famulórum famularúmque tuárum orátio profíciat supplicántium: ut eas et a peccátis ómnibus éxuas, et tuæ redemptiónis fácias esse partícipes:

[Ti preghiamo, o Signore, le nostre supplici preghiere giovino alle ànime dei tuoi servi e delle tue serve: affinché Tu le purifichi da ogni colpa e le renda partecipi della tua redenzione:].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

SECONDA MESSA

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

4 Esdr II:34; II:35
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
Ps LXIV: 2-3
Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam, ad te omnis caro véniet.
[l’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
Ps LXIV: 2-3
[In Sion, Signore, ti si addice la lode, in Gerusalemme a te si compia il voto. Ascolta la preghiera del tuo servo, poiché giunge a te ogni vivente].
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis. [l’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, indulgentiárum Dómine: da animábus famulórum famularúmque tuárum refrigérii sedem, quiétis beatitúdinem et lúminis claritátem.
[ O Dio, Signore di misericordia, accorda alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la dimora della pace, il riposo delle beatitudine e lo splendore della luce].

Lectio

Léctio libri Machabæórum.
2 Mach XII: 43-46
In diébus illis: Vir fortíssimus Judas, facta collatióne, duódecim mília drachmas argénti misit Jerosólymam, offérri pro peccátis mortuórum sacrifícium, bene et religióse de resurrectióne cógitans, nisi enim eos, qui cecíderant, resurrectúros speráret, supérfluum viderétur et vanum oráre pro mórtuis: et quia considerábat, quod hi, qui cum pietáte dormitiónem accéperant, óptimam habérent repósitam grátiam.
Sancta ergo et salúbris est cogitátio pro defunctis exoráre, ut a peccátis solvántur.

[In quei giorni: il più valoroso uomo di Giuda, fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato].

Graduale

4 Esdr 2:34 et 35.
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

[L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua].

Ps 111:7.
V. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.

[V. Il giusto sarà sempre nel ricordo, non teme il giudizio sfavorevole].

Tractus.

Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium ab omni vínculo delictórum.
V. Et grátia tua illis succurrénte, mereántur evádere judícium ultiónis.
V. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.

[Libera, Signore, le anime di tutti i fedeli defunti da ogni legame di peccato.
V. Con il soccorso della tua grazia possano evitare la condanna.
V. e godere la gioia della luce eterna].
Sequentia

Dies Iræ …. [V. sopra]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Gloria tibi, Domine!
Joann VI: 37-40
In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Omne, quod dat mihi Pater, ad me véniet: et eum, qui venit ad me, non ejíciam foras: quia descéndi de cælo, non ut fáciam voluntátem meam, sed voluntátem ejus, qui misit me. Hæc est autem volúntas ejus, qui misit me, Patris: ut omne, quod dedit mihi, non perdam ex eo, sed resúscitem illud in novíssimo die. Hæc est autem volúntas Patris mei, qui misit me: ut omnis, qui videt Fílium et credit in eum, hábeat vitam ætérnam, et ego resuscitábo eum in novíssimo die.

[In quel tempo: Gesù disse alla moltitudine degli Ebrei: Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno].

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum: sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam:
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.
V. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam.
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.

[Signore Gesù Cristo, Re della gloria, libera tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dall’abisso. Salvali dalla bocca del leone; che non li afferri l’inferno e non scompaiano nel buio. L’arcangelo san Michele li conduca alla santa luce
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
V. Noi ti offriamo, Signore, sacrifici e preghiere di lode: accettali per l’anima di quelli di cui oggi facciamo memoria. Fa’ che passino, Signore, dalla morte alla vita,
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza].

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, pro animábus famulórum famularúmque tuárum, pro quibus tibi offérimus sacrifícium laudis; ut eas Sanctórum tuórum consórtio sociáre dignéris.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche in favore delle anime dei tuoi servi e delle tue serve, per le quali Ti offriamo questo sacrificio di lode, affinché Tu le accolga nella società dei tuoi Santi..]

Praefatio
Defunctorum

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. In quo nobis spes beátæ resurrectiónis effúlsit, ut, quos contrístat certa moriéndi condício, eósdem consolétur futúræ immortalitátis promíssio. Tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur: et, dissolúta terréstris hujus incolátus domo, ætérna in coelis habitátio comparátur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

 [È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. In lui rifulse a noi la speranza della beata risurrezione: e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

4 Esdr II:35-34
Lux ætérna lúceat eis, Dómine:
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.
V. Requiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

[Splenda ad essi la luce perpetua,
* insieme ai tuoi santi, in eterno, o Signore, perché tu sei buono.
V. L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
* Insieme ai tuoi santi, in eterno, Signore, perché tu sei buono].

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, Dómine: ut ánimæ famulórum famularúmque tuárum, his purgátæ sacrifíciis, indulgéntiam páriter et réquiem cápiant sempitérnam.
[Fa’, Te ne preghiamo, o Signore, che le anime dei tuoi servi e delle tue serve, purificate da questo sacrificio, ottengano insieme il perdono ed il riposo eterno].

TERZA MESSA

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

4 Esdr 2:34; 2:35
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
[L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]
Ps LXIV:2-3
Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam, ad te omnis caro véniet.

[In Sion, Signore, ti si addice la lode, in Gerusalemme a te si compia il voto. Ascolta la preghiera del tuo servo, poiché giunge a te ogni vivente.]


Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

[L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, véniæ largítor et humánæ salútis amátor: quǽsumus cleméntiam tuam; ut nostræ congregatiónis fratres, propínquos et benefactóres, qui ex hoc sǽculo transiérunt, beáta María semper Vírgine intercedénte cum ómnibus Sanctis tuis, ad perpétuæ beatitúdinis consórtium perveníre concédas.

[O Dio, che elargisci il perdono e vuoi la salvezza degli uomini, imploriamo la tua clemenza affinché, per l’intercessione della beata Maria sempre Vergine e di tutti i tuoi Santi, Tu conceda alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la grazia di partecipare alla beatitudine eterna..]

Lectio

Léctio libri Apocalýpsis beáti Joánnis Apóstoli
Apoc XIV:13
In diébus illis: Audívi vocem de cœlo, dicéntem mihi: Scribe: Beáti mórtui, qui in Dómino moriúntur. Amodo jam dicit Spíritus, ut requiéscant a labóribus suis: ópera enim illórum sequúntur illos.

[In quei giorni, io intesi una voce dal cielo che mi diceva: «Scrivi: “Beati i morti che muoiono nel Signore”. Sì, fin d’ora – dice lo Spirito – essi riposano dalle loro fatiche, perché le loro opere li accompagnano».]

Graduale

4 Esdr II:34 et 35.
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

[L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]
Ps 111:7.
V. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.
[Il giusto sarà sempre nel ricordo, non teme il giudizio sfavorevole.]

Tractus.

Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium ab omni vínculo delictórum.
V. Et grátia tua illis succurrénte, mereántur evádere judícium ultiónis.
V. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.
[L ibera, Signore, le anime di tutti i fedeli defunti da ogni legame di peccato.
V. Con il soccorso della tua grazia possano evitare la condanna.
V. e godere la gioia della luce eterna.]
Sequentia [ut supra]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem
Joann VI: 51-55
In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Ego sum panis vivus, qui de cœlo descéndi. Si quis manducáverit ex hoc pane, vivet in ætérnum: et panis, quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita. Litigábant ergo Judæi ad ínvicem, dicéntes: Quómodo potest hic nobis carnem suam dare ad manducándum? Dixit ergo eis Jesus: Amen, amen, dico vobis: nisi manducavéritis carnem Fílii hóminis et bibéritis ejus sánguinem, non habébitis vitam in vobis. Qui mánducat meam carnem et bibit meum sánguinem, habet vitam ætérnam: et ego resuscitábo eum in novíssimo die.

[In quel tempo: Gesù disse alla moltitudine degli Ebrei: «Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne». I Giudei dunque discutevano tra di loro, dicendo: «Come può costui darci da mangiare la sua carne?» Perciò Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».]

OMELIA

COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.

Venit nox, quando nemo potest operati.

Vien la notte, in cui niuno può lavorare.

(S. GIOVANNI IX, 4).

Tal’è, miei fratelli, la crudele e terribile condizione, in cui si trovano adesso i nostri padri e le nostre madri, i nostri parenti e i nostri amici, che sono usciti da questo mondo senza aver interamente soddisfatto alla giustizia di Dio. Li ha condannati a passare lunghi anni nel carcere tenebroso del purgatorio, ove la sua giustizia rigorosamente s’aggrava su loro, finché le abbiano interamente pagato il loro debito. «Oh! com’è terribile, dice San Paolo, cader nelle mani di Dio vivente! » (Hebr., X, 31) Ma perché, fratelli miei, sono oggi salito in pulpito? Che cosa vi dirò? Ah! vengo da parte di Dio medesimo; vengo da parte de’ vostri poveri parenti, per risvegliare in voi quell’amore di riconoscenza, di cui siete ad essi debitori: vengo a rimettervi sott’occhio tutti i tratti di bontà e tutto l’amore ch’ebbero per voi, quand’erano sulla terra: vengo a dirvi che bruciano tra le fiamme, che piangono, che chiedono ad alte grida il soccorso delle vostre preghiere e delle vostre opere buone. Mi par d’udirli gridare dal fondo di quel mare di fuoco che li tormenta: « Ah! dite ai nostri padri, alle nostre madri, ai nostri figliuoli e a tutti i nostri parenti, quanto sono atroci i mali che soffriamo. Noi ci gettiamo a’ loro piedi per implorare l’aiuto delle loro preghiere. Ah! dite ad essi che da quando ci separammo da loro, siamo qui a bruciar tra le fiamme! Oh ! chi potrà rimaner insensibile al pensiero di tante pene che soffriamo? » Vedete voi, miei fratelli, e udite quella tenera madre, quel buon padre, e tutti quei vostri congiunti che vi tendono le mani? « Amici miei, gridano gemendo, strappateci a questi tormenti, poiché lo potete ». Vediamo dunque, fratelli miei,

1° la grandezza de’ tormenti che soffrono le anime nel purgatorio;

2° quali mezzi abbiamo di sollevarli, cioè le nostre preghiere, le nostre opere buone, e soprattutto il santo Sacrificio della Messa.

I . — Non voglio trattenermi a dimostrarvi l’esistenza del Purgatorio: sarebbe tempo perduto. Niuno di voi ha su questo punto alcun dubbio. La Chiesa, a cui Gesù Cristo ha promesso l’assistenza del suo Santo Spirito, e che non può quindi né ingannarsi né ingannare, ce l’insegna in modo ben chiaro ed evidente. È certo e certissimo che v’è un luogo ove le anime dei giusti finiscono d’espiare i loro peccati prima d’essere ammesse alla gloria del paradiso per esse sicura. Sì, miei fratelli, ed è articolo di fede: se non abbiam fatto penitenza proporzionata alla gravezza e all’enormità de’ nostri peccati, sebben perdonati nel santo tribunale della penitenza, saremo condannati ad espiarli nelle fiamme del purgatorio. Se Dio, essenziale giustizia, non lascia senza premio un buon pensiero, un buon desiderio e la minima buona azione, neppur lascerà impunita una colpa, per quanto leggera; e noi dovremo andare a patire in Purgatorio, onde finir di purificarci, per tutto il tempo che esigerà la divina giustizia. Gran numero di passi della santa Scrittura ci mostrano che, quantunque i nostri peccati ci siano stati perdonati, pure Iddio c’impone anche l’obbligo di patire in questo mondo per mezzo di pene temporali, o nell’altro tra le fiamme del Purgatorio. Vedete che cosa accadde ad Adamo: essendosi pentito dopo il suo peccato. Dio l’assicurò che gli aveva perdonato, e tuttavia lo condannò a far penitenza per oltre 900 anni (Gen. III, 17-19); penitenza che sorpassa quanto può immaginarsi. Osservate ancora (II Re, XXIV): David, contro il beneplacito di Dio, ordina il novero de’ suoi sudditi; ma, spinto dai rimorsi della sua coscienza, riconosce il suo peccato, si getta con la faccia per terra e prega il Signore a perdonargli. E Dio, impietosito pel suo pentimento, gli perdona di fatto; ma tuttavia gli manda Gad che gli dica: « Principe, scegli uno de’ tre flagelli, che Dio ti ha apparecchiato in pena del tuo peccato: la peste, la guerra e la fame ». David risponde: «Meglio è cadere nelle mani del Signore, di cui tante volte ho sperimentato la misericordia, che in quelle degli uomini ». Scegli quindi la peste che durò tre giorni e gli tolse 70000 sudditi: e se il Signore non avesse fermato la mano dell’Angelo, già stesa sulla città, tutta Gerusalemme sarebbe rimasta Spopolata. David, vedendo tanti mali cagionati dal suo peccato, chiese in grazia a Dio che punisse lui solo, e risparmiasse il suo popolo ch’era innocente. Ohimè! miei fratelli, per quanti anni dovremo soffrire nel purgatorio noi che abbiam commesso tanti peccati: e che, col pretesto d’averli confessati non facciamo penitenza alcuna e non li piangiamo? Quanti anni di patimenti ci aspettano nell’altra vita! Ma come potrò io farvi il quadro straziante delle pene che soffrono quelle povere anime, poiché i SS. Padri ci dicono che i mali cui esse son condannate in quel carcere, sembrano pari ai dolori che Gesù Cristo ha sofferto nel tempo della sua passione? E tuttavia è certo che se il minimo dei dolori che ha patito Gesù Cristo fosse stato diviso tra tutti gli uomini, sarebbero tutti morti per la violenza del dolore. Il fuoco del Purgatorio è il fuoco medesimo dell’inferno, con la sola differenza che non è eterno. Oh! bisognerebbe che Dio. nella sua misericordia permettesse ad una di quelle povere anime, che ardono tra quelle fiamme, di comparir qui a luogo mio, circondata dal fuoco che la divora, e farvi essa il racconto delle pene che soffre. Bisognerebbe, fratelli miei, ch’essa facesse risuonar questa chiesa delle sue grida e de’ suoi singhiozzi; forse ciò riuscirebbe alfine ad intenerire i vostri cuori. « Oh! quanto soffriamo, ci gridano quelle anime; o nostri fratelli, liberateci da questi tormenti: voi lo potete! Ah! se sentiste il dolore d’essere separate da Dio! » Crudele separazione! Ardere in un fuoco acceso dalla giustizia d’un Dio! Soffrir dolori che uomo mortale non può comprendere! Esser divorato dal rammarico, sapendo che potevamo si agevolmente sfuggirli! «Oh! miei figliuoli, gridan quei padri e quelle madri, potete abbandonarci? Abbandonar noi che vi abbiam tanto amato? Potete coricarvi su un soffice letto e lasciar noi stesi sopra un letto di fuoco? Avrete il coraggio di darvi in braccio ai piaceri e alla gioia, mentre noi notte e giorno siam qui a patire ed a piangere? Possedete pure i nostri beni e le nostre case, godete il frutto delle nostre fatiche, e ci abbandonate in questo luogo di tormenti, ove da tanti anni soffriamo pene si atroci?… E non un’elemosina, non una Messa che ci aiuti a liberarci!… Potete alleviar le nostre pene, aprir la nostra prigione e ci abbandonate! Oh! son pur crudeli i nostri patimenti! » Si, miei fratelli, in mezzo alle fiamme si giudica ben altrimenti di tutte codeste colpe leggere, seppure si può chiamar leggero ciò che fa tollerare sì rigorosi dolori. « O mio Dio, esclamava il Re-profeta, guai all’uomo, anche più giusto, se lo giudicate senza misericordia! » (Ps. CXLII, 2). « Se avete trovato macchie nel sole e malizia negli Angeli, che sarà dell’uomo peccatore? » (I Piet. IV, 18). E per noi che abbiam commesso tanti peccati mortali, e non abbiamo ancor fatto quasi nulla per soddisfare alla giustizia divina, quanti anni di purgatorio!… – « Mio Dio, diceva S. Teresa, qual anima sarà tanto pura da entrare in cielo senza passare per le fiamme vendicatrici? » Nella sua ultima malattia essa ad un tratto esclamò: «O giustizia e potenza del mio Dio, siete pur terribile! » Durante la sua agonia Dio le fece vedere la sua santità, quale la vedono in cielo gli Angeli e i Santi, il che le cagionò sì vivo terrore, che le sue suore, vedendola tutta tremante e in preda ad una straordinaria agitazione, gridarono piangendo: « Ah! madre nostra, che cosa mai vi è accaduto? Temete; ancora la morte dopo tante penitenze, e lacrime sì copiose ed amare? » — « No, mie figliuole, rispose S. Teresa, non temo la morte; anzi la desidero per unirmi eternamente al mio Dio ». — « Vi spaventano dunque i vostri peccati dopo tante macerazioni? » — « Sì, mie figliuole, rispose, temo i miei peccati, ma temo più ancora qualche altra cosa ». — « Forse il giudizio? » — « Sì, rabbrividisco alla vista del conto che dovrò rendere a Dio, il quale in quel momento sarà senza misericordia; ma vi è oltre a questo una cosa il cui solo pensiero mi fa morire di spavento ». Quelle povere suore grandemente si angustiavano. « Ohimè! Sarebbe mai l’inferno? » — « No, disse la santa, l’inferno, per grazia di Dio, non è per me: Oh! sorelle mie, è la santità di Dio! Mio Dio. abbiate pietà di ine! La mia vita dev’essere confrontata con quella di Gesù Cristo medesimo! Guai a me, se ho la minima macchia, il minimo neo! Guai a me, se ho pur l’ombra del peccato! ». — « Ohimè! esclamarono quelle povere religiose, qual sarà dunque la nostra sorte?…  E di noi che sarà, fratelli miei, di noi che forse con tutte le nostre penitenze ed opere buone non abbiamo ancor soddisfatto per un solo peccato perdonatoci nel tribunale della penitenza? Ah! quanti anni e quanti secoli di tormenti per punirci!… Pagheremo pur cari tutti quei falli che riguardiamo come un nulla, come quelle bugie dette per divertimento, le piccole maldicenze, la non curanza delle grazie che Dio ci fa ad ogni momento, quelle piccole mormorazioni nelle tribolazioni ch’Egli ci manda! No, miei fratelli, non avremmo il coraggio di commettere il minimo peccato, se potessimo intendere quale offesa fa a Dio, e come merita d’esser punito rigorosamente anche in questo mondo. – Leggiamo nella santa Scrittura (III Re, XII) che il Signore disse un giorno ad uno de’ suoi profeti: « Va a mio nome da Geroboamo per rimproverargli l’orribilità della sua idolatria: ma ti proibisco di prendere alcun nutrimento né in casa sua, né per via ». Il profeta obbedì tosto, e s’espose anche a sicuro pericolo di morte. Si presentò dinanzi al re, e gli rimproverò il suo delitto, come gli aveva detto il Signore. Il re, montato in furore perché il profeta aveva avuto ardire di riprenderlo, stende la mano e comanda che sia arrestato. La mano del re rimase tosto disseccata. Geroboamo, vedendosi punito, rientrò in se stesso; e Dio, mosso dal suo pentimento, gli perdonò il suo peccato e gli restituì sana la mano. Questo benefizio mutò il cuore del re, che invitò il profeta a mangiare con lui. « No, rispose il profeta, il Signore me l’ha proibito: quando pure mi donaste metà del vostro regno, non lo farò ». Mentre tornava indietro, trovò un falso profeta, che si diceva mandato da Dio, il quale l’invitò a mangiar seco. Si lasciò ingannare da quel discorso, e prese un poco di nutrimento. Ma, uscendo dalla casa del falso profeta, incontrò un leone d’enorme grossezza, che si gettò su lui e lo sbranò. Or se chiedete allo Spirito Santo, quale sia stata la cagione di quella morte, vi risponderà che la disobbedienza del profeta gli meritò tal castigo. Vedete pure Mosè, che era sì caro a Dio: per aver dubitato un momento della sua potenza, battendo due volte una rupe per farne zampillar l’acqua, il Signore gli disse: « Aveva promesso di farti entrare nella terra promessa, ove latte e miele scorrono a rivi; ma per punirti d’aver battuto due volte la rupe, come se una sola non fosse stata bastante, andrai fino in vista di quella terra di benedizione, e morrai prima d’entrarvi » (Num. XX, 11, 12). Se Dio, miei fratelli, punì così rigorosamente peccati così leggeri, che cosa sarà d’una distrazione nella preghiera, del girare il capo in chiesa, ecc.?.. Oh! siam pur ciechi! Quanti anni e quanti secoli di Purgatorio ci prepariamo per tutte queste colpe che riguardiam come cose da nulla! … Come muteremo linguaggio, quando saremo tra quelle fiamme ove la giustizia di Dio si fa sentire così rigorosamente!… Dio è giusto, fratelli miei, giusto in tutto quello che fa. Quando ci ricompensa della minima buona azione, lo fa oltre i confini di ciò che possiamo desiderare; un buon pensiero, un buon desiderio, cioè il desiderar di fare qualche opera buona, quand’anche non si potesse fare, Ei non lascia senza ricompensa; ma anche quando si tratta di punirci, lo fa con rigore, e quando pur fossimo rei d’una sola colpa leggera, saremmo gettati nel Purgatorio. Quest’è verissimo, perché leggiamo nelle vite de’ Santi che parecchi sono giunti al cielo sol dopo esser passati per le fiamme del Purgatorio. S. Pier Damiani racconta che sua sorella stette parecchi anni nel purgatorio per avere ascoltato una canzone cattiva con qualche po’ di piacere. – Si narra che due religiosi si promisero l’un l’altro che, chi morisse pel primo, verrebbe a dire al superstite in quale stato si trovasse; infatti Dio permise al primo che morì di comparire all’amico, egli disse ch’era stato quindici giorni al purgatorio per aver amato troppo di far la propria volontà. E siccome l’amico si rallegrava con lui perché vi fosse stato sì poco : « Avrei voluto piuttosto, gli disse il defunto, esser scorticato vivo per diecimila anni continui; perché un simile tormento non avrebbe potuto ancora paragonarsi a ciò che ho patito tra quelle fiamme ». Un prete disse ad uno de’ suoi amici che Dio l’aveva condannato a più mesi di purgatorio per aver tardato ad eseguire un testamento in cui si disponeva per opere buone. Ohimè! miei fratelli, quanti tra quei che mi ascoltano debbono rimproverarsi un simile fatto! Quanti forse da otto o dieci anni ebbero da’ loro parenti od amici l’incarico di far celebrar Messe, distribuir limosine, e han trascurato tutto! Quanti, per timore di trovar l’incarico di far qualche opera buona, non si vogliono dar la briga neppur di guardare il testamento fatto a favor loro da parenti o da amici! Ohimè! quelle povere anime son prigioniere tra quelle fiamme, perché non si vogliono compiere le loro ultime volontà! Poveri padri e povere madri, vi siete sacrificati per mettere in miglior condizione i vostri figli o i vostri eredi; avete forse trascurato la vostra salute per accrescere la loro fortuna: vi siete fidati sulle opere buone, che avreste lasciate per testamento! Poveri parenti! Foste pur ciechi a dimenticare voi stessi! – Forse mi direte: « I nostri parenti son vissuti bene, erano molto buoni ». Ah! quanto poco ci vuole per cader tra quelle fiamme! Udite ciò che disse su questo proposito Alberto Magno, le cui virtù splendettero in modo straordinario: rivelò un giorno ad un amico che Dio l’aveva fatto andare al purgatorio, perché aveva avuto un lieve pensiero di compiacenza pel suo sapere. Aggiungete (cosa che desta anche maggior meraviglia) che vi son Santi canonizzati, i quali dovettero passare pel purgatorio. S. Severino, Arcivescovo di Colonia, apparve ad uno, de’ suoi amici molto tempo dopo la sua morte, e gli disse ch’era stato al Purgatorio per aver rimandato alla sera certe preghiere che doveva dire al mattino. Oh! quanti anni di purgatorio per quei Cristiani, che senza difficoltà differiscono ad altro tempo le loro preghiere, perché han lavoro pressante! Se desiderassimo sinceramente la felicità di possedere Iddio, eviteremmo le piccole colpe, come le grandi, poiché la separazione da Dio è tormento sì orribile a quelle povere anime! – I santi Padri ci dicono che il Purgatorio è un luogo vicino all’inferno; il che si capisce agevolmente, perché il peccato veniale è vicino al peccato mortale; ma credono che non tutte le anime per soddisfare alla giustizia divina sian chiuse in quel carcere, e che molte patiscano sul luogo stesso ove hanno peccato. Infatti S. Gregorio Papa ce ne dà una prova manifesta. Riferisce che un santo prete infermo andava ogni giorno, per ordine del medico, a prender bagni in un luogo appartato; e ogni giorno vi trovava un personaggio sconosciuto, che l’aiutava a scalzarsi e, fatto il bagno, gli presentava un panno per asciugarsi. Il santo prete mosso da riconoscenza, tornando un giorno da celebrare la santa Messa, presentò allo sconosciuto un pezzo di pane benedetto. « Padre mio, gli rispose egli, voi m’offrite cosa, di cui non posso far uso, quantunque mi vediate rivestito d’un corpo. Sono il Signore di questo luogo, che faccio qui il mio purgatorio». E scomparve dicendo: «Ministro del Signore, abbiate pietà di me! Oh! quanto soffro! Voi potete liberarmi; offrite, ve ne prego, per me il santo Sacrifizio della Messa, offrite le vostre preghiere e le vostre infermità. Il Signore mi libererà ». Se fossimo ben convinti di questo, potremmo sì facilmente dimenticare i nostri parenti, che ci stanno forse continuamente d’intorno? Se Dio permettesse loro di mostrarsi visibilmente, li vedremmo gettarsi a’ nostri piedi. « Ah! figli miei, direbbero quelle povere anime, abbiate pietà di noi! Deh! non ci abbandonate! ». Sì, miei fratelli, la sera andando al riposo, vedremmo i nostri padri e le madri nostre richiedere il soccorso delle nostre preghiere; li vedremmo nelle nostre case, nei nostri campi. Quelle povere anime ci seguono dappertutto; ma, ohimè! son poveri mendicanti dietro a cattivi ricchi. Han bell’esporre ad essi le loro necessità e i loro tormenti; quei cattivi ricchi sgraziatamente non se ne commuovono punto. « Amici miei, ci gridano, un Patere un Ave! una Messa! » Ecché? Saremo ingrati a segno da negare ad un padre, ad una madre una parte sì piccola dei beni che ci hanno acquistato o conservato con tanti stenti? Ditemi, se vostro padre, vostra madre o uno de’ vostri figliuoli fossero caduti nel fuoco, e vi tendessero le mani per pregarvi a liberarli, avreste coraggio di mostrarvi insensibili, e lasciarli ardere sotto i vostri occhi? Or la fede c’insegna che quelle povere anime soffrono tali pene cui nessun uomo mortale sarà mai capace di intendere Se vogliamo assicurarci il cielo, fratelli miei, abbiamo gran divozione a pregar per le anime del Purgatorio. Può ben dirsi che questa divozione è segno quasi certo di predestinazione, ed efficace motivo di salute. La santa Scrittura nella storia di Gionata ci mette sott’occhio un mirabile paragone (1 Re XIV). Saul, padre di Gionata, aveva proibito a tutti i soldati, sotto pena di morte, di prendere alcun nutrimento prima che i Filistei fossero stati interamente disfatti. Gionata, che non aveva udito quella proibizione, sfinito com’era dalla fatica, intinse in un favo di miele la punta del suo bastone e ne gustò. Saul consultò il Signore per sapere, se alcuno aveva violato la proibizione. Saputo che l’aveva violata suo figlio, comandò che mettessero le mani su Gionata, dicendo: « Mi punisca il Signore, se oggi non morrai ». Gionata. vedendosi dal padre condannato a morte, per aver violato una proibizione che non aveva udita, volse lo sguardo al popolo, e, piangendo, pareva rammentare tutti i servigi che gli aveva reso, tutta la benevolenza che aveva loro usata, il popolo si gettò subito ai piedi di Saul: « Ecché? Farai morir Gionata, che ha poc’anzi salvato Israele?Gionata che ci ha liberati dalle inani de’ nostri nemici? No, no: non cadrà dal suo capo un capello: troppo ci sta a cuore conservarlo: troppo bene ci ha fatto, e non è possibile dimenticarlo sì presto ». Ecco l’immagine sensibile di ciò che avviene all’ora della morte. Se, per nostra buona ventura, avremo pregato per le anime del purgatorio, quando compariremo d’innanzi al tribunale di Gesù Cristo per rendergli conto di tutte le nostre azioni, quelle anime si getteranno ai piedi del Salvatore dicendo: «Signore, grazia per questa anima! Grazia, misericordia per essa! Abbiate pietà, mio Dio, di quest’anima così caritatevole, che ci ha liberate dalle flamine, e h a soddisfatto per noi alla vostra giustizia! Mio Dio, mio Dio, dimenticate, ve ne preghiamo le sue colpe, com’essa vi ha fatto dimenticare le nostre! » Oh! quanto efficaci son questi motivi per ispirarvi una tenera compassione verso quelle povere anime sofferenti! Ohimè! esse ben presto sono dimenticate! Si ha pur ragione di dire che il ricordo de’ morti svanisce insieme col suono delle campane. Soffrite, povere anime, piangete in quel fuoco acceso dalla giustizia divina; ciò non giova a nulla; nessuno vi ascolta; nessuno vi porge sollievo!… Ecco dunque, fratelli miei, la ricompensa di tanta bontà e di tanta carità ch’ebbero per noi mentre ancora vivevano. No, non siamo nel numero di questi ingrati; poiché lavorando alla loro liberazione, lavoreremo alla nostra salute.

II. — Ma, direte forse, come possiamo sollevarle e condurle al cielo! Se desiderate prestar loro soccorso, fratelli miei, vi farò vedere che è cosa facile il farlo; 1° per mezzo della preghiera e dell’elemosina; 2° per mezzo delle indulgenze; 3° soprattutto col santo sacrificio della Messa.

Dico primieramente per mezzo della preghiera.

Quando facciamo una preghiera per le anime del purgatorio, cediamo loro ciò che Dio ci concederebbe se la facessimo per noi; ma ohimè! quanto poca cosa sono le nostre preghiere, poiché è pur sempre un peccatore che prega per un colpevole! Mio Dio. Deve esser pur grande la vostra misericordia! … Possiamo ogni mattina offrire tutte le azioni della nostra giornata e tutte le nostre preghiere pel sollievo di quelle povere anime sofferenti. È ben poca cosa, certamente; ma ecco: facciamo ad esse come ad una persona, che abbia le mani legate e sia carica d’ un pesante fardello, a cui si venga di tratto in tratto a togliere qualche po’ di quel peso; a poco a poco si troverà libera del tutto. L’istesso accade alle povere anime del purgatorio, quando facciamo per esse qualche cosa: una volta abbrevieremo le loro pene di un’ora, un’altra volta d’un quarto d’ora, sicché ogni giorno avviciniamo al cielo.

Diciamo in secondo luogo che possiamo liberare le anime del purgatorio con le indulgenze, le quali a gran passi le conducono verso il paradiso. Il bene che loro comunichiamo è di prezzo infinito perché applichiamo ad essi i meriti del Sangue adorabile di Gesù Cristo, delle virtù della SS. Vergine e dei Santi, i quali han fatto maggiori penitenze che non richiedessero i loro peccati. Ah! se volessimo, quanto presto avremmo vuotato il purgatorio, applicando a queste anime sofferenti tutte le indulgenze che possiamo guadagnare!… Vedete, fratelli miei, facendo la Via Crucis, si possono guadagnare quattordici indulgenze plenarie (C. d. Ind. 1742). E si fa in più modi … (Nota del Santo andata persa – nota degli edit. francesi) . Oh! siete pur colpevoli per aver lasciato tra quelle fiamme i vostri parenti, mentre potevate così bene e facilmente liberarli!

Il mezzo più efficace per affrettare la loro felicità è la santa Messa, poiché in essa non è più un peccatore che prega per un peccatore, ma un Dio eguale al Padre, che non saprà mai negargli nulla. Gesù Cristo ce ne assicura nel Vangelo; dicendo; « Padre, ti rendo grazie perché mi ascolti sempre ! » (Joan. XI, 41-42). Per meglio persuadercene, vi citerò un esempio dei più commoventi, da cui intenderete quanto grande efficacia abbia la santa Messa. È riferito nella storia ecclesiastica che, poco dopo l a morte dell’imperator Carlo (Carlo il Calvo), un sant’uomo della diocesi di Reims, per nome Bernold, essendo caduto infermo e avendo ricevuto gli ultimi Sacramenti stette quasi un giorno senza parlare, e appena appena si poteva riconoscere che ancor vivesse; finalmente aprì gli occhi, e comandò a chi lo assisteva di far venir al più presto il suo confessore. Il prete venne tosto, e trovò il malato tutto in lacrime, il quale gli disse: «Sono stato trasportato all’altro mondo, e mi son trovato in un luogo ove ho veduto il Vescovo Pardula di Laon, che pareva vestito di cenci sudici e neri, e pativa orribilmente tra le fiamme; ei m’ha parlato così: « Poiché avete la buona sorte di tornare in terra, vi prego d’aiutarmi e darmi sollievo; potete anzi liberarmi, e assicurarmi la grande felicità di vedere Iddio ». — « Ma, gli ho risposto, come potrò procurarvi tale felicità? ». — « Andate da quelli che nel corso della mia vita ho beneficato, e dite loro che in ricambio preghino per me, e Dio mi userà misericordia ». Dopo fatto ciò che mi aveva comandato l’ho riveduto bello come un sole: non pareva più che soffrisse, e, nella sua gioia mi ringraziò dicendo: « Vedete quanti beni e quante felicità mi han procurato le preghiere e la santa Messa » . Poco più in là ho veduto re Carlo, che mi parlò così: « Amico mio, quanto soffro! Va dal Vescovo Iucmaro, e digli che son nei tormenti per non aver seguito i suoi consigli; ma faccio assegnamento su lui perché m’aiuti ad uscire da questo luogo di patimenti; raccomanda pure a tutti quelli i quali ho beneficato nel corso della mia vita che preghino per me, ed offrano il santo Sacrificio della Messa, e sarò liberato » . Andai dal Vescovo che si apparecchiava a dir Messa, e che, con tutto il suo popolo, si mise a pregare con tale intenzione. Rividi poi il re, rivestito dei suoi abiti regali, e tutto splendente di gloria: « Vedi, mi disse, qual gloria m’hai procurata: ormai eccomi felice per sempre » . In quell’istante sentii la fragranza d’uno squisito profumo, che veniva dal soggiorno de’ beati. « Mi ci accostai, dice il P. Bernold, e vidi bellezze e delizie, che lingua umana non è capace di esprimere » (V. Fleury T. VII, anno 877). Ciò dimostra quanto siano efficaci le nostre preghiere e le nostre opere buone, e specialmente la S. Messa, per liberar dai loro tormenti quelle povere anime. Ma eccone un altro esempio tratto anche questo dalla storia della Chiesa: è anche più meraviglioso. Un prete, informato della morte d’un suo amico, che amava solo per Iddio, non trovò mezzo più potente per liberarlo che andar tosto ad offrire il santo Sacrificio della Messa. Lo cominciò con tutto il possibile fervore e col dolore più vivo. Dopo aver consacrato il Corpo adorabile di Gesù Cristo, lo prese tra mano, e levando al cielo le mani e gli occhi, disse: « Eterno Padre, io vi offro il Corpo e l’Anima del vostro carissimo Figliuolo. Eterno Padre! Rendetemi l’anima dell’amico mio, che soffre tra le fiamme del Purgatorio! Sì, mio Dio, io son libero d’offrirvi o no il vostro Figliuolo, voi potete accordarmi ciò che vi domando! Mio Dio facciamo il cambio; liberate l’amico mio e vi darò il vostro Figliuolo: ciò che vi offro val molto più di ciò che vi domando ». Questa preghiera fu fatta con fede sì viva, che nel punto stesso vide l’anima dell’amico uscir dal purgatorio e salire al cielo. Si narra pure che, mentre un prete diceva la S. Messa per un’anima del Purgatorio, si vide venire in forma di colomba e volare al cielo. S. Perpetua raccomanda assai vivamente di pregare le anime del purgatorio. Dio le fece vedere in visione suo fratello che ardeva tra le fiamme, e che pure era morto di soli sette anni, dopo aver sofferto per quasi tutta la vita d’un cancro che lo faceva gridar giorno e notte. Essa fece molte preghiere e molte penitenze per la sua liberazione e lo vide salire al cielo splendente come un angelo. Oh! son pur beati, fratelli miei, quelli che hanno di tali amici! A mano a mano che quelle povere anime s’avvicinano al cielo, par che soffrano anche di più. Sono come Assalonne: dopo essere stato qualche tempo in esilio torna a Gerusalemme, ma col divieto di veder suo padre che l’amava teneramente. Quando gli si annunziò che rimarrebbe vicino a suo padre, ma non potrebbe vederlo, esclamò: « Ah! vedrò dunque le finestre e i giardini di mio padre e non lui? Ditegli che voglio piuttosto morire, anziché rimaner qui, e non aver la consolazione di vederlo. Ditegli che non mi basta aver ottenuto il suo perdono. ma è ancor necessario che mi conceda la sorte felice di rivederlo » [II Re, XIV — Veramente le parole qui citate furon dette da Assalonne, non quando udì la sentenza del Re, ma due anni dopo. (Nota del Traduttore)]. Così quelle povere anime, vedendosi tanto vicine a uscire dal loro esilio, sentono accendersi così vivamente il loro amor verso Dio, e il desiderio di possederlo, che pare non possano più resistervi. « Signore, gridano esse, rimirateci con gli occhi della vostra misericordia: eccoci al fine delle nostre pene ». — « Oh! siete pur felici, gridano a noi di mezzo alle fiamme che le tormentano, voi che potete ancora sfuggire questi patimenti! … ». Mi pare anche d’udir quelle povere anime, che non han né parenti, né amici: Ah! se vi resta ancora un poco di carità, abbiate pietà di noi, che da tanti anni siamo abbandonate in queste fiamme accese dalla giustizia divina! Oh! se poteste comprendere la grandezza de’ nostri patimenti, non ci abbandonereste come fate! Mio Dio! nessuno dunque avrà pietà di noi? È certo, miei fratelli, che quelle povere anime non possono nulla per sé; possono però molto per noi. E prova di questa verità è che nessuno ha invocate le anime del purgatorio senza aver ottenuta la grazia che domandava. E ciò s’intende agevolmente: se i Santi, che sono in cielo e non han bisogno di noi, si danno pensiero della nostra salute, quanto più le anime del purgatorio che ricevono i nostri benefìci spirituali a proporzione della nostra santità. « Non ricusate, o Signore, (dicono) questa grazia a quei Cristiani che si adoperano con ogni cura a trarci da queste fiamme! » Una madre potrà forse far a meno di chiedere a Dio qualche grazia per figli, che ha tanto amato e che pregano per la sua liberazione? Un pastore, che in tutto il corso della sua vita ebbe tanto zelo per la salute de’ suoi parrocchiani, potrà non chieder per essi, anche dal purgatorio, le grazie, di cui hanno bisogno per salvarsi? Sì, miei fratelli, quando avremo da domandar qualche grazia, rivolgiamoci con fiducia a quelle anime sante e saremo sicuri d’ottenerla. Qual buona ventura per noi avere, nella divozione alle anime del purgatorio, un mezzo così eccellente per assicurarci il cielo! Vogliamo chiedere a Dio il perdono de’ nostri peccati? Rivolgiamoci a quelle anime che da tanti anni piangono tra le fiamme le colpe da loro commesse. Vogliamo domandare a Dio il dono della perseveranza? Invochiamole, fratelli miei, che esse ne sentono tutto il pregio; poiché solo quei che perseverano vedranno Iddio. Nelle nostre malattie, nei nostri dolori volgiamo le nostre preghiere verso il Purgatorio, ed otterranno il loro frutto. Che cosa concluder, miei fratelli, da tutto questo? Eccolo. È certo molto scarso il numero degli eletti, che sfuggono interamente le pene del purgatorio; e i patimenti a cui quelle anime sono condannate, son molto superiori a quanto potremo intenderne. È certo pure che sta in nostra mano quanto può dar sollievo alle anime del Purgatorio, cioè le nostre preghiere, le nostre penitenze, le nostre elemosine e soprattutto la santa Messa. Finalmente siam certi che quelle anime, così piene di carità, ci otterranno mille volte più di quello che loro daremo. Se un giorno saremo nel Purgatorio, quelle anime non lasceranno di chiedere a Dio l’istessa grazia che avremo ad esse ottenuto; poiché han pur sentito quanto si soffre in quel luogo di dolori e quanto è crudele la separazione da Dio. Nel corso di quest’ottava consacriamo qualche momento ad opera sì bene spesa. Quante anime andranno in paradiso pel merito della santa Messa e delle nostre preghiere!… Ognun di noi pensi a’ suoi parenti, e a tutte le povere anime da lunghi anni abbandonate! Sì, fratelli miei, offriamo in loro sollievo tutte le nostre azioni. Cosi piaceremo a Dio che ne desidera tanto la liberazione, e ad esse procureremo la felicità del godimento di Dio. Il che io vi desidero.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum: sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam:
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.
V. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam.
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.

[Signore Gesù Cristo, Re della gloria, libera tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dall’abisso. Salvali dalla bocca del leone; che non li afferri l’inferno e non scompaiano nel buio. L’arcangelo san Michele li conduca alla santa luce
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
V. Noi ti offriamo, Signore, sacrifici e preghiere di lode: accettali per l’anima di quelli di cui oggi facciamo memoria. Fa’ che passino, Signore, dalla morte alla vita,
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.]

Secreta

Deus, cujus misericórdiæ non est númerus, súscipe propítius preces humilitátis nostræ: et animábus fratrum, propinquórum et benefactórum nostrórum, quibus tui nóminis dedísti confessiónem, per hæc sacraménta salútis nostræ, cunctórum remissiónem tríbue peccatórum.

[Dio, la cui misericordia è infinita, accogli propizio le nostre umili preghiere, e in grazia di questo sacramento della nostra salvezza, concedi la remissione di ogni peccato a tutti i fedeli defunti a cui hai accordato di dar testimonianza al tuo nome.]

Præfatio
Defunctorum

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. In quo nobis spes beátæ resurrectiónis effúlsit, ut, quos contrístat certa moriéndi condício, eósdem consolétur futúræ immortalitátis promíssio. Tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur: et, dissolúta terréstris hujus incolátus domo, ætérna in cælis habitátio comparátur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. In lui rifulse a noi la speranza della beata risurrezione: e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

4 Esdr II:35; 34
Lux ætérna lúceat eis, Dómine:
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.
V. Requiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

[Splenda ad essi la luce perpetua,
* insieme ai tuoi santi, in eterno, o Signore, perché tu sei buono.
V. L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
* Insieme ai tuoi santi, in eterno, Signore, perché tu sei buono.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut ánimæ fratrum, propinquórum et benefactórum nostrórum, pro quibus hoc sacrifícium laudis tuæ obtúlimus majestáti; per hujus virtútem sacraménti a peccátis ómnibus expiátæ, lucis perpétuæ, te miseránte, recípiant beatitúdinem.

[Fa’, o Dio onnipotente e misericordioso, che le anime dei tuoi servi e delle tue serve, per le quali abbiamo offerto alla tua maestà questo sacrificio di lode, purificate da tutti i peccati per l’efficacia di questo sacramento, ricevano per tua misericordia la felicità dell’eterna luce.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)