IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (10)

G Dom. Jean de MONLÉON Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (10)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat: Elie Maire Can. Cens. Ex. Off.

Imprimi potest:  Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: Lutetiæ Parisiorum die II nov. 1947

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Quinta Visione

I CASTIGHI DEGI ULTIMI TEMPI

PARTE TERZA

LA GRANDE PROSTITUTA

Capitolo XVII, 1-18.

“E venne uno dei sette Angeli, che ave vano le sette ampolle, e parlò con me, dicendo: Vieni, ti farò vedere la condannazione della gran meretrice che siede sopra molte acque, colla quale hanno fornicato i re della terra, e col vino della cui fornicazione si sono ubbriacati gli abitatori della terra. E mi condusse in ispirito nel deserto. E vidi una donna seduta sopra una bestia di colore del cocco, piena di nomi di bestemmia, che aveva sette teste e dieci corna. E la donna era vestita di porpora e di cocco, e sfoggiante d’oro e di pietre preziose e di perle, e aveva in mano un bicchiere d’oro pieno di abbominazione e dell’immondezza della sua fornicazione: e sulla sua fronte era scritto il nome: Mistero: Babilonia la grande, la madre delle fornicazioni e delle abbominazioni della terra. E vidi questa donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E fui sorpreso da grande meraviglia al vederla. “E l’Angelo mi disse: Perché ti meravigli? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia che la porta, la quale ha sette teste e dieci corna. La bestia, che hai veduto, fu, e non è, e salirà dall’abisso, e andrà in perdizione: e gli abitatori della terra (i nomi dei quali non sono scritti nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo) resteranno ammirati vedendo la bestia che era e non è. Qui sta la mente che ha saggezza. Le sette teste sono sette monti, sopra dei quali siede la donna, e sono sette re. Cinque sonò caduti, l’uno è, e l’altro non è ancora venuto: e venuto che sia, deve durar poco tempo. E la bestia, che era e non è, essa ancora è l’ottavo: ed è di quei sette, e va in perdizione. E le dieci corna, che hai veduto, sono dieci re: i quali non hanno per anco ricevuto il regno, ma riceveranno la potestà come re per un’ora dopo la bestia. Costoro hanno un medesimo consiglio, e porranno la loro forza e la loro potestà in mano della bestia. Costoro combatteranno coll’Agnello, e l’Agnello li vincerà: perché egli è il Signore dei signori, e il Re dei re, e coloro che sono con lui (sono) i chiamati, gli eletti e i fedeli. E mi disse: Le acque che hai vedute, dove siede la meretrice, sono popoli, e genti e lingue. E le dieci corna che hai vedute alla bestia: questi odieranno la meretrice, e la renderanno deserta e nuda, e mangeranno le sue carni, e la bruceranno col fuoco. “Poiché Dio ha posto loro in cuore di fare quello che a lui è piaciuto: e di dare il loro regno alla bestia, sinché le parole di Dio siano compiute. E la donna, che hai veduta, è la grande città, che ha il regno sopra i re della terra.

§ 1 – Uno dei sette Angeli parla a San Giovanni.

E dopo aver descritto, nel capitolo precedente, i castighi promessi ai peccatori, l’autore sta per mostrarci la causa della loro dannazione, al fine di renderci noi stessi vigili e di salvaguardarci da un destino simile. A questo scopo, usa la figura di una donna di cattiva reputazione, una di quelle che le Scritture chiamano meretrici, o cortigiane. I profeti dell’Antico Testamento avevano spesso usato la stessa immagine per rappresentare le anime peccatrici, le anime infedeli che abbandonano Dio, il loro legittimo sposo, per correre dietro alle creature e chiedere loro piaceri proibiti. Geremia, per esempio, li apostrofò con queste parole: « Nel nome del Signore, hai spezzato il mio giogo, hai sciolto i miei legami; hai detto: ‘Non voglio servire’ – non serviam. E su ogni alta collina, e sotto ogni albero pieno di fogliame, sei andata a fare la prostituta come una cortigiana. » (II, 20). Ed in effetti, è in questa infedeltà a Dio, in questa febbre che porta l’uomo a cercare ad ogni costo ed ovunque dei piaceri sensibili, delle soddisfazioni immediate, che si trova la causa originale di tutti i peccati commessi dal genere umano e di tutti i mali di cui soffre. San Giovanni ci dice che vide venire da lui uno dei sette Angeli, che aveva raffigurato nella visione precedente occupato a versare le coppe dell’ira di Dio sul mondo. Non importa quale fosse questi fra i sette: sono essi tutti messaggeri dello stesso Dio, araldi della stessa verità, e non c’è discrepanza tra loro. La dottrina della Chiesa è una sola, nonostante la diversità dei maestri che la espongono, e ognuno di loro è aureolato dall’autorità di Cristo. L’inviato celeste venne da San Giovanni e gli parlò, o, più esattamente, parlò con lui.  Questa sfumatura, che segna una maggiore intimità, suggerisce che San Giovanni aveva il privilegio di conversare familiarmente con gli spiriti beati, e questo perché, come vergine Apostolo, era di una purezza che poteva essere paragonata alla loro. « Vieni – gli disse l’Angelo – anima amata del tuo Signore, scelta dal suo Amore per le nozze eterne; lascia il mondo delle creature ed entra in quella camera segreta dove il tuo Dio abita e ti aspetta. Ritirati in preghiera, chiudi gli occhi del tuo corpo e apri quelli della tua anima, e io ti mostrerò la condanna della grande prostituta che siede sulle acque abbondanti. » La causa della dannazione di tutti coloro che si perdono si trova, infatti, in quell’istinto da cortigiana che ogni anima umana sente nel profondo del suo essere e che la porta ad abbandonare il suo Creatore, il suo sposo, il suo legittimo padrone, per abbandonarsi alle creature. Questo istinto fiorisce in modo particolarmente vivace, in coloro che si danno da fare per allontanare gli altri dal culto del vero Dio, nei grandi eretici, in tutti i tribuni che sanno prendere autorità sulle masse per trascinarle nell’errore, per infiammare la loro avidità, per suscitare il loro odio e per scatenare le loro passioni. In senso morale, dunque, ogni anima che sa di essere peccatrice può riconoscersi nella prostituta che qui ci viene presentata; ma in senso allegorico, questa donna rappresenta in primo luogo l’Anticristo, e con lui tutti i cattivi pastori che conducono la folla degli ignoranti e dei deboli alla loro rovina. Sono quelli che siedono sulle acque abbondanti, cioè sui popoli: lo stesso San Giovanni lo spiegherà poco più avanti; sono quelli che hanno fatto peccare i re di questo mondo, spingendoli a perseguitare la Chiesa, ad impadronirsi dei suoi beni, a ridurla in servitù; sono quelli che hanno fatto ubriacare gli abitanti della terra, cioè gli uomini avidi, gli uomini il cui cuore è interamente posseduto da beni, amori, ambizioni terrene senza alcun riguardo nei confronti dell’eternità. I Santi non abitano la terra. Essi vi sono ma solo come in un luogo di passaggio, il meglio di essi è sempre alle porte del cielo. I cattivi pastori di cui parla San Giovanni hanno reso gli uomini ubriachi, cioè hanno tolto loro ogni timore ed ogni sentimento di convenienza. In effetti, come un uomo ubriaco perde ogni senso del pericolo e non si preoccupa della sua dignità personale, così i peccatori induriti dimenticano completamente il pericolo della morte eterna, a cui si avvicinano ad ogni istante; non si fanno scrupoli a vivere come bestie, senza alcun riguardo per l’immagine di Dio di cui le loro anime sono coronate. E il vino che viene presentato loro per sviarli in questo modo è quello della fornicazione della prostituta, cioè il piacere che la sensualità dell’uomo prova nel commercio delle creature.

§ 2 – La Prostituta è mostrata all’Apostolo.

E l’Angelo – continua San Giovanni – mi portò via in spirito nel deserto. Cioè, l’ha separato dal mondo presente attraverso il fenomeno dell’estasi. In questo stato gli fece capire che il cuore di coloro che hanno abbandonato Dio e non ricevono più la rugiada benefica della grazia, diventa come un terribile deserto, in cui non crescono né i fiori della virtù né i frutti delle buone opere, e in cui non rimane alcuna vita interiore. Al posto del Dio che dovrebbe regnare su di loro, una donna siede su una bestia scarlatta, piena di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. Ciò che regna nel cuore dei peccatori è la sensualità, simboleggiata qui dalla “donna”, mentre la volontà opposta è spesso espressa sotto la figura dell’uomo, vir. Non c’è nulla di virile, infatti, nell’atteggiamento dei peccatori: il pensiero del dovere, la conquista della virtù, il desiderio di raggiungere Dio sono estranei a loro… Tutte le loro preoccupazioni sono dirette alla soddisfazione delle tre concupiscenze: lusingare la carne, nutrire la vanità, aumentare la ricchezza. Questa donna, tuttavia, era seduta su di una bestia, e questa bestia non è altro che la figura del diavolo. Come la vita cristiana è fondata su Cristo, così la vita licenziosa poggia sul diavolo, che la impregna dei suoi movimenti e la porta lentamente ma inesorabilmente verso l’inferno. Il diavolo è chiamato rosso a causa dei crimini che fa commettere; ha sette teste, che sono i peccati capitali, e dieci corna che, puntando verso il cielo e per la loro durezza, simboleggiano il suo orgoglio e la durezza che oppone alla volontà di Dio, riassunta nei dieci comandamenti. La donna era avvolta di porpora. La porpora è l’abito dei re: come tale, la sensualità se ne adorna, perché è regina, anzi, regina di questo mondo, dove tutto obbedisce ai suoi desideri. Ma questa porpora è foderata di scarlatto, perché sotto la vita morbida e facile dei servi del mondo, si nasconde una crudeltà segreta, pronta a immolare implacabilmente tutto ciò che si oppone ai desideri della concupiscenza. Inoltre, la donna era coperta con l’oro: si noti questa espressione. L’autore non dice che essa era d’oro, dice che era ricoperta d’oro, cioè che aveva il lustro esteriore della saggezza, anche della santità. Ma questo è un lustro che non è naturale allo spirito del mondo, che non nasce dalla sua propria sostanza, e che prende in prestito quando si trucca con i colori della vera saggezza, dandosi le arie della vera carità. Non teme di aggiungervi la Pietra Preziosa, la pietra su cui poggia la Chiesa; una pietra preziosa tra tutte le altre, poiché non è altro che Cristo stesso, la cui dottrina il mondo talvolta pretende di osservare e di cui imita gli esempi. Egli vi attacca anche tutte le specie di perle, cioè la varietà delle virtù che brillano nei santi. Ma tutto questo è un abito di sfarzo, che non gli appartiene; sotto questa finta saggezza, questa finta carità, questi simulacri di virtù, c’è solo una sensibilità corrotta, una bestialità pronta a divorare tutto. La donna ha in mano un vaso d’oro, simbolo della verità divina, di cui pretende di versare i benefici; ma lo tiene in mano, perché lo interpreta a suo piacimento, e lo riempie di abominio e del sudiciume della sua fornicazione, perché sa solo far uscire da esso menzogne e vizi, che la separano da Dio. E aveva un nome scritto sulla sua fronte, perché la sua iniquità fosse manifesta a tutti coloro che sanno leggere il linguaggio della verità, a tutti coloro i cui occhi sono illuminati dalla luce della fede. Ma per gli altri, per gli ostinati, per coloro che non vogliono vedere, il nome significava mistero, perché il male del mondo è incomprensibile a coloro che ne sono schiavi, e non scorgono l’abisso di perversità che si nasconde sotto le apparenze seducenti della prostituta. E questo nome era quello di: Babilonia. Qui intende, non la città così chiamata, ma la grande Babilonia, la città del male, che l’orgoglio umano costruisce di fronte alla città di Dio, e che è la madre di tutti i crimini e le abominazioni della terra, perché tutti i peccati del mondo hanno il loro principio nella rivolta dello spirito umano contro Dio. E vidi che questa donna era ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Essa ha un odio più forte contro coloro che conducono una vita pura e contro coloro che testimoniano Gesù Cristo. Questo odio è così forte che chi ne è posseduto perde la ragione e non mantiene la misura: ecco perché l’autore lo paragona ad uno stato di ubriachezza.

§ 3. – Il mistero della donna e della Bestia.

Quando San Giovanni vide l’orribile spettacolo della donna sulla bestia che la portava, fu preso da stupore. Era stupito del successo di questa cortigiana, del suo potere, dell’impero che esercitava sugli uomini; stupito soprattutto del terribile castigo che le era riservato per tutta l’eternità, e dell’incoscienza con cui camminava verso questo abisso, credendosi al sicuro, dicendo, come riferisce un altro profeta: « Sarò regina per sempre. » (Isai. XLVII, 7) – L’Angelo disse allora all’Apostolo: « Perché ti meravigli? Se tu conoscessi la malvagità dell’uomo da una parte e la santità di Dio dall’altra, non ti stupiresti dei rigori della sua giustizia. Cercate piuttosto di capire, e io vi rivelerò il mistero della donna e della bestia che la porta di peccato in peccato, e da questo mondo all’inferno. Questa bestia è la figura del diavolo. Era onnipotente sulla terra fino all’avvento di Cristo, e ora non è niente, perché il suo potere è stato rovinato. » Notiamo quanto sia espressiva questa immagine: la bestia è stata e non è più. Prima dell’incarnazione del Salvatore, il diavolo faceva vivere gli uomini sotto la tirannia dei loro istinti, cioè alla maniera delle bestie. Ma Cristo è venuto: ha insegnato ai figli di Adamo la loro dignità di figli di Dio, ha insegnato loro ad usare la ragione, e da allora hanno vissuto come uomini. Questo è ciò che il salmista intendeva misteriosamente quando ha detto: « Il sole è sorto – cioè Cristo è apparso sulla terra – e gli uomini sono stati riuniti. Le bestie della foresta resteranno nelle loro tane, e l’uomo, che finora non si è mostrato, uscirà al suo lavoro » (Psal. CIII, 22). – Torniamo al discorso dell’Angelo. « E la bestia – egli continua – sorgerà dall’abisso. Nei giorni dell’Anticristo, riacquisterà il suo antico potere, ma per un tempo molto breve; quindi, non dobbiamo temerlo. Dopo un momentaneo trionfo, crollerà di nuovo e andrà incontro alla morte. E questa rovina sarà oggetto di stupore per tutti coloro che non vedono nulla al di là dei loro interessi terreni; per coloro i cui nomi, a causa dei loro peccati, non sono rimasti iscritti nel Libro della Vita, dove Dio li ha segnati dall’origine del mondo. Perché Lui non vuole la morte dei peccatori e ha creato tutti gli uomini per partecipare alla Sua stessa vita. Ma quando, con il loro attaccamento al peccato, gli uomini soffocano e distruggono questa vita divina dentro di sé, Dio si vede come costretto a cancellarli dal libro in cui sono scritti gli eletti. Coloro che avevano riposto tutta la loro fiducia nella Bestia si stupiranno nel vedere che era, e che non è più. Era potente e non lo è più, perché è separata da Colui che è e che, possedendo la pienezza dell’Essere, possiede anche quella della Verità, della Giustizia, della Forza e di ogni perfezione.

§ 4 – Le sette teste e le dieci corna.

Ed ecco ora il significato di questa visione. Essa ha lo scopo di far capire a coloro che hanno saggezza e cercano di trarre da ciò che vedono, da ciò che sentono, da ciò che leggono, dei frutti per il loro emendamento personale, le disgrazie alle quali ci esponiamo piegandoci al giogo della sensualità, ed il poco timore che i successi momentanei dei nemici di Dio dovrebbero ispirarci. Le sette teste rappresentano sette montagne, sulle quali la donna è seduta, esse sono sette re. Le sette teste della bestia, cioè del diavolo, rappresentano gli uomini di cui egli si serve, lungo la storia del mondo, per esercitare il suo potere sugli altri, e che sono tutte forme di Anticristo. L’autore li paragona: alle teste, perché svolgono lo stesso ruolo nei confronti dei comuni peccatori come la testa fa nei confronti delle membra del corpo; … alle montagne, per esprimere il loro orgoglio, che si eleva al di sopra degli altri uomini, come le cime sopra la pianura; … ai re, perché guidano gli altri, che è propriamente la funzione del re, ma al termine dove li aspetta il diavolo. – Il numero sette evoca il ciclo completo della storia del mondo, che la Scrittura è solita dividere in sette epoche: la prima va da Adamo a Noè; la seconda, da Noè ad Abramo; la terza, da Abramo a Mosè; la quarta, da Mosè alla cattività babilonese; il quinto, da questa cattività all’avvento di Cristo; il sesto, dall’incarnazione alla venuta dell’Anticristo; quanto alla settima, essa si identifica con il regno dell’Anticristo. Detto questo, è facile capire cosa intende San Giovanni quando aggiunge: Di queste teste cinque sono cadute. Al tempo della sua scrittura, le prime cinque età del mondo erano passate, ed i principi che operavano per conto del diavolo, come Faraone, Nabucodonosor, Antioco, ecc., erano scomparsi uno dopo l’altro; rimane la sesta: è il potere romano che continua, con gli imperatori, a perseguitare i Cristiani; e la settima, cioè l’anticristo, non è ancora venuta. Quando verrà, dovrà rimanere per poco tempo: i suoi giorni saranno abbreviati per il bene degli eletti, secondo la promessa di Nostro Signore. Anch’essa passerà, come tutti i nemici di Dio, come   tutti i pericoli e tutte le persecuzioni. È questo pensiero, pieno di fiducia, che costituisce la saggezza che San Giovanni vuole inculcarci qui e incidere nei nostri cuori. E non sono solo gli uomini che passeranno; anche il diavolo avrà il suo turno, come indicano le parole seguenti: la bestia che era e non è più, è l’ottava nel senso che supera in malvagità i principi più crudeli di tutta la storia del mondo; e tuttavia non è meno della specie delle sette, perché il diavolo è un peccatore allo stesso modo degli uomini reprobi; sarà punito come loro, e va verso la sua rovina eterna. – Quanto alle dieci corna che tu hai visto, esse rappresentano i dieci re che saranno i vassalli dell’Anticristo. Essi non hanno ancora ricevuto la regalità, perché i loro imperi non esistono ancora. Ma questi appariranno al tempo dell’Anticristo, e le dieci corna riceveranno allora un potere simile a quello dei re. L’autore non dice potere reale, ma potere “come i re”, perché saranno tiranni, sfruttando e opprimendo il loro popolo per il proprio beneficio invece di condurlo alla vita eterna, come è dovere dei veri capi. Tuttavia, non temiamoli: avranno questo potere solo per un’ora, cioè per un tempo molto breve, e dietro la bestia, di cui seguiranno fedelmente tutte le direttive. Questi personaggi sono paragonati a delle corna per farci capire che saranno duri, insensibili come il corno di un bue o di un rinoceronte; che aderiranno all’Anticristo con la stessa solidità con cui il corno aderisce alla testa dell’animale, e che gli serviranno come armi per attaccare i suoi avversari e lacerare le sue vittime. Verranno sotto il suo dominio per perseguire l’unico grande scopo su cui sono tutti d’accordo: rovinare il regno di Cristo. Metteranno tutta la loro forza, tutta la loro autorità a sua disposizione. Sotto il suo comando combatteranno con l’Agnello; ma l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei signori, a cui tutte le cose sono soggette, e il Re dei re, a cui nulla può resistere; e vinceranno con Lui e parteciperanno alla Sua gloria, coloro che sono attaccati a Lui per fede e amore, che sono stati chiamati da Lui, che hanno meritato di essere suoi amici, mantenendo la Sua dottrina nella sua integrità, adempiendo fedelmente i Suoi comandamenti, dedicandosi con tutto il cuore alla Sua Chiesa. Ci si può chiedere perché, in questa scena in cui si parla di combattimento e di vittoria, Nostro Signore ci venga rappresentato sotto la figura dell’Agnello, l’animale pacifico e rassegnato per eccellenza, piuttosto che sotto quella del leone di Giuda, che sembrerebbe più naturale e più espressivo, poiché abbatte la sua preda. – A questo i commentatori rispondono che è proprio per farci capire che il Salvatore vincerà non con la forza, ma con la sua pazienza, con la sua dolcezza, con la sua docilità; ed è imitandolo in queste virtù che i Santi trionferanno sui loro nemici. Al momento della Passione, l’inferno e il mondo erano uniti contro Gesù Cristo. I demoni, i Giudei, i carnefici hanno scatenato su di Lui tutta la loro crudeltà, tutto il loro furore, per strappargli un mormorio, un gesto di rabbia, un movimento di rivolta. Ma è stato invano; e questa incomparabile dolcezza del Salvatore in mezzo a questo sfogo d’odio e d’ira senza precedenti, costituisce il suo vero trionfo, quello che mostra vividamente l’impotenza dei suoi nemici. Come dice per bocca dei Suoi Profeti, « Egli rese il Suo volto come una pietra durissima; non lo ha distolto da coloro che Gli sputavano addosso e Gli strappavano la barba » (Is.: L, 6-7). La pietra alla quale Egli si paragona non è quella dell’indifferenza stoica; è il diamante puro della carità, che nessuna crudeltà, nessun insulto è riuscito a tagliare, e che ha continuato a lanciare i fuochi ardenti del suo amore su coloro che hanno trattato il loro Salvatore con ferocia estrema.

§ 5 – Perché le dieci corna odieranno la donna.

Continuiamo con le parole dell’Angelo: Le acque che vedete, sulle quali siede la cortigiana, sono i popoli, le nazioni e le lingue, il che significa, in senso morale, che la sensualità regna sovrana su tutto il genere umano; in senso allegorico, che l’Anticristo e i suoi seguaci riusciranno ad estendere il loro dominio su tutta la terra. Eppure, le dieci corna della Bestia odieranno la prostituta. Cosa significa questo? Abbiamo appena visto che queste corna rappresentano i re, i capi dei popoli che precisamente si metteranno al servizio dell’Anticristo per assicurare il suo impero universale. Come odieranno il padrone per il quale lavorano? Perché si rivolteranno contro di lui e lo odieranno furiosamente quando, dopo la vittoria dell’Agnello, vedranno in quale abisso di mali sono stati gettati da lui. Odieranno Lui e tutti i maestri di errore che li hanno sedotti con i loro sofismi e li hanno allontanati dal giusto cammino. E questo odio non sarà platonico: gettati con i loro seduttori nelle profondità dell’inferno, provocheranno la loro desolazione inseguendoli con i loro rimproveri; metteranno a nudo la loro ignominia, proclamando tutti i loro vizi e le loro tare, senza che questi possano velarli in alcun modo; mangeranno le loro carni, gioendo delle loro sofferenze, e li bruceranno, alimentando nei loro cuori il fuoco del rimorso, ricordando loro la facilità con cui avrebbero potuto evitare il terribile destino che ora è caduto su di loro. Con queste espressioni, l’autore sacro ci insegna che i dannati si odiano l’un l’altro e aumentano le loro sofferenze con l’ira reciproca, gli insulti e i rimproveri. L’odio è l’atmosfera dell’inferno, come la carità è quella del cielo; mentre gli eletti sono l’uno per l’altro oggetto di ammirazione e di gioia, ogni dannato è per gli altri oggetto di desolazione e di orrore. Ed è giusto che sia così, che siano puniti con il massimo rigore. Dio li aveva creati liberi, lasciando loro l’opzione di servirLo o di allontanarsi da Lui. Non voleva costringerli ad essere ostinati. Ha permesso loro di acconsentire nei loro cuori ad abbracciare il partito della Bestia e a cercare di compiacerla; non ha impedito loro di cedere il loro regno interiore al diavolo, e di lasciarsi condurre di peccato in peccato da quest’ultimo; ma, un giorno, la giustizia riconquisterà i suoi diritti. Dio pronuncerà le parole che fisseranno immutabilmente le ricompense e le punizioni per l’eternità. Egli dirà a quelli alla sua destra: « Venite, benedetti del Padre mio, e ricevete il regno preparato per voi fin dall’inizio del mondo », mentre respingerà i malvagi con questa terribile frase: « Andate, maledetti, nel fuoco eterno ». – Infine, l’Angelo spiega a San Giovanni che la donna seduta sul mostro rappresenta la grande città che esercita il suo impero su tutti i re della terra. Questo ci riporta a ciò che abbiamo detto all’inizio e che costituisce il pensiero principale di questo capitolo: cioè, che tutto ciò che costituisce lo spirito del mondo, tutto ciò che lavora per costruire la città del male contro la città di Dio e per popolare l’inferno, tutto ciò ha come causa segreta la sensualità dell’uomo, abilmente manovrata dal diavolo.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (11)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (9)

G Dom. Jean de MONLÉON Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (9)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat: Elie Maire Can. Cens. Ex. Off.

Imprimi potest:  Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: LECLERC.

Lutetiæ Parisiorum die II nov. 1947

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Quinta Visione

I CASTIGHI DEGI ULTIMI TEMPI

PRIMA PARTE

LA MINACCIA DELLE SETTE PIAGHE

Capitolo XV. — (1- 7)

“E vidi nel cielo un altro segno grande e mirabile: sette Angeli che portavano le sette ultime piaghe: perché con queste si sazia l’ira di Dio. E vidi come un mare di vetro misto di fuoco, e quelli che avevano vinto la bestia, e la sua immagine, e il numero del suo nome, stavano ritti sul mare di vetro, tenendo cetre divine: e cantavano il canto di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello, dicendo: Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente: giuste e vere sono le tue vie,  Re dei secoli. Chi non ti temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei pio: onde tutte le nazioni verranno, e si incurveranno davanti a te, perché i tuoi giudizi sono stati manifestati. Dopo di ciò mirai, ed ecco si apri il tempio del tabernacolo del testimonio nel cielo: e i sette Angeli che portavano le sette piaghe, uscirono dal tempio, vestiti di lino puro e candido, e cinti intorno al petto con fasce d’oro. E uno dei quattro animali diede ai sette Angeli sette coppe d’oro, piene dell’ira di Dio vivente nei secoli dei secoli. E il tempio si empì di fumo per la maestà di Dio e per la sua virtù: e nessuno poteva entrare nel tempio, finché non fossero compiute le sette piaghe dei sette Angeli.”

§ 1 – L’apparizione dei sette Angeli.

Io vidi – dice San Giovanni – un altro segno nel cielo, un segno che era grandioso nello spettacolo che offriva e meraviglioso negli insegnamenti in esso contenuti. C’erano sette Angeli che rappresentavano tutti i predicatori del Vangelo nel corso dei secoli. Questi sono paragonati agli Angeli perché sono, come questi spiriti benedetti, messaggeri della verità celeste; e sono numerati essere sette perché questo è il numero della Chiesa, come abbiamo spiegato sopra. Questi personaggi simbolici tenevano tra le mani sette piaghe, che rappresentano i castighi che essi annunciano ai peccatori per la fine della loro vita e che si possono enumerare come segue: il castigo della dannazione, o privazione della visione di Dio; il verme, o il rimorso di coscienza, che roderà l’anima del reprobo; il castigo del fuoco, combinato con un freddo che supera ogni immaginazione; l’orrore delle tenebre perpetue; l’odore spaventoso dell’inferno; e infine la compagnia dei demoni. Questi castighi sono chiamati ultimi, perché non può accadere niente di più terribile a nessuno, e perché appagano, per così dire, la misericordia di Dio.

§ 2 – Modo per evitare le sette piaghe.

Ecco ora la via, l’unica via, per sfuggire a questi terribili castighi, così spesso predetti dal Vangelo e dai Santi: essa è seguire la via tracciata da Gesù Cristo, condurre cioè una vita cristiana. Ora, la vita cristiana è come tre stati sovrapposti, che richiedono ai fedeli un fervore sempre maggiore: lo stato degli incipienti, quello dei proficienti e quello dei perfetti. Questa distinzione è vecchia quanto il Cristianesimo stesso, e la ritroveremo nelle misteriose figure usate dall’Apostolo. Ho visto – continua – un mare di vetro misto a fuoco. Abbiamo già visto questo mare di vetro nel capitolo IV, e abbiamo detto allora che era il simbolo del Battesimo. Il Battesimo libera l’anima da tutti i peccati che la perseguono e che vogliono impedirle di entrare nel regno dei cieli, così come il Mar Rosso inghiottì, senza lasciarne neanche uno, i soldati del Faraone che seguivano i passi di Israele nel loro cammino verso la Terra Promessa. La libera dall’ombra opaca con cui il peccato originale l’aveva coperta, rendendola così penetrabile alla luce divina e traslucida come il vetro; infine accende in essa la torcia divina della vita dello Spirito, qui rappresentata dal fuoco.  Coloro che stanno sul mare sono coloro che, saldamente sostenuti dalla grazia del loro Battesimo, si oppongono alle seduzioni del mondo. Essi hanno vinto la bestia, disprezzando le minacce dell’Anticristo, contrastando la sua ipocrisia, sopportando i suoi maltrattamenti; hanno vinto la sua immagine, astenendosi dall’imitare i suoi seguaci, e il numero del suo nome, riconoscendo, come abbiamo spiegato nel capitolo XIII, che questo era il numero di un uomo, e non quello di un Angelo, né quello di un Dio. Questa fedeltà alla legge divina costituisce la nota specifica dello stato dei principianti o incipienti: è con essa che devono cominciare tutti coloro che vogliono andare a Dio. Lo stato successivo, quello dei “proficienti”, è caratterizzato dalla lotta contro i vizi, una lotta la cui arma essenziale è la mortificazione, simboleggiata qui dalle cetre, che i fedeli detengono. Conosciamo già il significato mistico di questo strumento: è questa cetra che Davide afferrò quando volle mettere in fuga lo spirito maligno da cui era tormentato Saul (I Reg., XVI, 23.), poiché è attraverso la penitenza che gli uomini di Dio trionfano sul diavolo. L’autore dice: le cetre, al plurale, perché ci sono molti modi di mortificarsi, e croci di ogni tipo. E le chiama “le croci di Dio” perché questi dolori, volontari o subiti, sono abbracciati solo per amore di Dio. – Infine, c’è lo stato dei “perfetti”, i Santi che Dio ammette nella sua intimità e ai quali rivela i segreti del suo amore. Questi, illuminati sull’infinita saggezza e sull’ineffabile bontà del loro Creatore, riconoscono, sotto l’apparente disordine del mondo, la Volontà misericordiosa che persegue instancabilmente la salvezza dell’umanità: per questo, essi vivono in un perpetuo stato di azioni di grazie. Essi non possono che lodare, e lodare ancora, questo Dio che è così profondamente misconosciuto dagli uomini, e che tuttavia ha così tanti diritti al loro amore! Questi cantano il cantico di Mosè e quello dell’Agnello, prendendo in prestito a turno gli accenti dell’Antico Testamento e quelli del Nuovo, per esprimere la loro gioia e gratitudine. Dicono: « Grandi e degne di ammirazione sono le tue opere, o Signore Dio Onnipotente. Sono grandi nella potenza che si manifesta in loro, e meravigliose nella saggezza che si manifesta nel loro ordine. Le vostre vie, cioè i mezzi che usate per condurre gli uomini al loro fine, i precetti che date loro, le necessità a cui li sottoponete, le prove che date loro; le vostre vie sono giuste, perché dirigono tutte le cose secondo la più stretta equità, premiando ciascuno in proporzione ai suoi meriti; e sono vere perché portano veramente dove esse dicono; perché Voi siete fedele nelle vostre promesse, o Re dei secoli, Re che governate non solo il tempo presente ma anche le età future, e che disponete di tutto ciò che fate in funzione di questa eternità. Chi sarebbe così insensato da non temervi, o Signore, e da non darsi interamente al vostro servizio, quando la vostra saggezza e la vostra potenza risplendono in tutte le vostre opere? E chi sarà così indurito da non glorificare il vostro Nome davanti allo spettacolo universale della vostra bontà? Voi siete degno di ogni lode per la vostra misericordia, che è così grande e che, paragonata ad essa, la nostra sembra inesistente, e possiamo veramente dire che solo Voi siete misericordioso, Voi che solo prendete tra le mani l’affare della nostra salvezza. Voi siete degno di ogni lode, perché chiamate tutti gli uomini alla vita: non ai soli Giudei, ma a tutta la terra sarà predicato il Vangelo, e tutte le nazioni verranno a Voi, e tutti adoreranno alla vostra presenza, cioè illuminati dalla luce del vostro sguardo. Infine, Voi ne siete degno, infine, perché i vostri giudizi sono manifesti a tutti coloro che cercano sinceramente la verità: non è difficile per loro discernere che, se Voi doveste mettere alcuni alla vostra destra ed altri alla vostra sinistra nel giorno del giudizio, non è per capriccio che lo farete, ma perché avete ragioni profonde per fare ciò che fate.

§ 3 – La punizione degli ostinati.

Così sfuggiranno ai tormenti annunciati dai sette Angeli coloro che sono rimasti fedeli alle leggi della vita cristiana in uno dei tre stati segnati sopra. San Giovanni mostra poi, per contrasto, coloro che cadranno sotto i colpi della Giustizia divina. Questi sono gli ostinati che rifiuteranno di credere nei misteri della vita del Salvatore, predicati dagli Apostoli, e questo nonostante l’abbagliante santità di questi messaggi, nonostante i terrificanti castighi promessi loro. Dopo questo – egli dice – io vidi, ed ecco, il tempio del tabernacolo della testimonianza era aperto nel cielo. Il tabernacolo della testimonianza si riferisce alla Chiesa. Essa è paragonata ad un tabernacolo, cioè ad una tenda, perché è la dimora temporanea di coloro che combattono sulla terra prima di andare in cielo a godere dei frutti delle loro vittorie; e poiché la loro lotta consiste essenzialmente nel testimoniare la verità in ogni circostanza, è chiamata il tabernacolo della testimonianza. Inoltre, la Chiesa ha al suo centro un tempio, che non è altro che l’Umanità di Gesù Cristo, dove si celebra perpetuamente il mistero dell’Incarnazione. Nell’antica Legge, questo Tempio Mistico era rappresentato da quello che era la gloria di Gerusalemme; ma quest’ultimo era allora, spiritualmente parlando, chiuso: era, infatti, proibito ai Gentili e riservato ad una piccolissima parte del genere umano. Fu chiuso soprattutto perché le cerimonie che vi si celebravano erano incomprensibili a tutti coloro che non ne avevano la chiave, e che non capivano che Cristo ne era il nerbo, la realtà, il « tipo ». Al momento della morte del Salvatore, il velo che proteggeva i misteri della liturgia mosaica fu lacerato da cima a fondo (Matth. XXVII. 51); e Gesù, apparendo ai suoi discepoli poco dopo, cominciò ad aprire le loro menti, affinché comprendessero le Scritture (Luc. XXIV, 45). È questa rivelazione dei dati della vera fede agli Apostoli prima, e poi, attraverso di loro, a tutta l’umanità, che San Giovanni indica qui con il tempio che si apre. Dal momento della sua fondazione, in effetti, la Chiesa ha brillato sulla terra come un faro nella notte, gettando una tale luce che è impossibile disconoscerla o ignorarla. O piuttosto, come dice l’autore, brilla nel cielo, perché chi alza gli occhi verso l’infinito, chi si eleva al di sopra delle contingenze materiali della vita quotidiana per pensare all’eternità, non può non vederla. Quando le sante verità furono così rivelate, i sette Angeli, cioè gli Apostoli, lasciarono il Tempio. Essi lasciarono l’antica Legge per diffondersi in tutto il mondo, avendo in mano le sette piaghe, cioè annunciando agli uomini il giudizio da venire e predicando loro la penitenza. Erano vestiti di lino bianco scintillante: le loro anime, lavate nelle fresche acque del Battesimo, erano uscite purificate da tutti i loro peccati, raggianti di innocenza, irradiate dal fuoco delle grazie. Questa luce interiore brillava dalle loro anime ai loro corpi e si rifletteva in tutte le loro azioni, e la loro santità era tale che era impossibile non esserne colpiti. Inoltre, portavano cinture d’oro sul petto; Cristo aveva legato intorno ai loro cuori la cintura della carità, che frenava tutte le loro divagazioni, frenava tutte le loro passioni e raddrizzava tutti i loro pensieri. Nei versetti 6 e 7, San Giovanni insinua successivamente tre ragioni che dovrebbero toccare i peccatori, eccitarli a riflettere e convincerli della verità dell’insegnamento cattolico. La prima, come abbiamo appena inteso, è la santità della Chiesa, la purezza della vita che risplende nei Santi che essa offre come esempio al mondo, e l’ardente carità di cui sono animati. La seconda è l’unità della sua dottrina, un’unità che rimane immutata sotto i molti interpreti e attraverso le generazioni. Questa unità è indicata dalle seguenti parole: è l’uno dei quattro animali; cioè, è l’unica voce che veniva dai quattro animali. Questa voce “una”, dunque, diede ai sette Angeli sette coppe d’oro. I quattro animali rappresentano i quattro Evangelisti, che sono le fonti essenziali di tutta la dottrina cristiana. Ma ognuno di loro non parla da solo: dal mezzo della loro quadriga, e dalla processione di Padri, Dottori e Pontefici che li hanno spiegati, si alza una voce, una sola, quella della Tradizione, che li armonizza in perfetta armonia, e che sola ha il potere di esprimere il pensiero della Chiesa. È questa Tradizione cattolica che dà ai sette Angeli, cioè agli Apostoli ed ai loro successori, ai predicatori di tutti i tempi, gli insegnamenti che devono far ascoltare al popolo cristiano. Dà loro delle coppe d’oro piene dell’ira di Dio; insegna loro ad avere un cuore fatto a immagine di quello di Cristo, un cuore largamente aperto come una coppa, cioè dilatato dalla carità e splendente dell’oro della divina Sapienza. Eppure questi cuori traboccanti di luce e misericordia sono pieni dell’ira di Dio! Cosa vuol dire questo, se non che la vera carità, che arde del desiderio di salvare le anime, lungi dall’ammorbidire la giustizia divina e dal velare i suoi rigori, non cessa, al contrario, di mostrare il suo carattere terribile, per eccitare gli uomini ad abbandonare la via del peccato e a prepararsi al giudizio finale? – Il ripetuto annuncio dell’ira del Dio che vive nei secoli dei secoli, di quell’ira che deve essere anche eterna e non deve mai allentare la sua indignazione contro i dannati, è la terza ragione che dovrebbe portare i peccatori ad ascoltare gli apostoli. Perché non è scusabile non prestare attenzione alle parole di qualcuno che ci avverte con insistenza di un pericolo molto grave, e non prendere precauzioni per evitarlo. È impossibile per qualsiasi persona riflessiva non sentire la voce della Chiesa e continuare a correre un rischio così grave a cuor leggero. Eppure è questo il caso di troppi: invece di accettare la luce e adorare la maestà di Dio e la sua potenza, si ostinano a chiudere gli occhi, e il tempio per loro si riempie di fumo. – In senso storico, queste parole significano che quando gli Apostoli cominciarono a predicare il Vangelo, quando cominciarono ad annunciare al mondo la maestà e la potenza del Dio che Gesù Cristo aveva fatto loro conoscere, il tempio di Gerusalemme si oscurò e l’atmosfera divenne irrespirabile, perché la religione giudaica, di cui esso era il centro, perse l’insigne monopolio che aveva fino ad allora di essere l’unico sulla terra ad assicurare il servizio del vero Dio. Gli altri, perché hanno rifiutato il Salvatore, perché hanno voluto soffocare la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, sono caduti in una cecità che si trasmette di generazione in generazione, e persisteranno nel loro errore finché le sette piaghe dei sette Angeli saranno consumate, finché la predicazione della Chiesa sarà completata, cioè fino alla fine del mondo. Seguendo il loro esempio, vediamo i peccatori di tutti i tempi che rifiutano di arrendersi agli insegnamenti dei pastori e di credere nella Verità. Quando gli Angeli versano le loro coppe davanti a loro, quando i ministri della Chiesa annunciano loro i rigori del giudizio e i castighi dell’inferno, il tempio si riempie di fumo per essi; essi addensano le loro tenebre interiori, sprofondano sempre più nella loro cecità; dichiarano di non capire nulla di una religione così severa, non vogliono ammettere che Dio possa imporre delle formalità nella loro condotta, e si convincono che la sua misericordia li mette interamente al riparo dalle esigenze della sua giustizia. E rimangono in questo stato finché non è troppo tardi, finché la morte non si abbatte su di loro: allora il velo che nasconde loro la verità si dissolverà; allora vedranno il tempio della gloria celeste illuminato con gli splendori della luce divina; ma ne saranno esclusi finché le piaghe predette dai sette Angeli non saranno consumate, e, poiché queste piaghe sono eterne, non vi entreranno mai.

SECONDA PARTE

L’EFFUSIONE DELLE SETTE COPPE

Capitolo XVI, 1-2

“E udii una gran voce dai tempio, che diceva ai sette Angeli: Andate, e versate le sette coppe dell’ira di Dio sulla terra. E andò il primo, e versò la sua coppa sulla terra, e ne venne un’ulcera maligna e pessima agli uomini che avevano il carattere della bestia, e a quelli che adorarono la sua immagine. E il secondo Angelo versò la sua coppa nel mare, e divenne come sangue di cadavere: e tutti gli animali viventi nel mare perirono. E il terzo Angelo versò la sua coppa nei fiumi e nelle fontane d’acque, e diventarono sangue. E udii l’Angelo delle acque che diceva: Sei giusto, Signore, che sei e che eri, (che sei) santo, tu che hai giudicato così: perché hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti, e hai dato loro a bere sangue: perocché ne sono degni. E ne udii un altro dall’altare che diceva: Sì certo, Signore Dio onnipotente, i tuoi giudizi (sono) giusti e veri. E il quarto Angelo versò la sua coppa nel sole, e gli fu dato di affliggere gli uomini col calore e col fuoco: e gli uomini bruciarono pel gran calore, e bestemmiarono il nome di Dio, che ha potestà sopra di queste piaghe, e non fecero penitenza per dare gloria a lui. E il quinto Angelo versò la sua coppa sul trono della bestia: e il suo regno diventò tenebroso, e pel dolore si mordeva o le loro proprie lingue: E bestemmiarono il Dio del cielo a motivo dei dolori e delle loro ulceri, e non si convertirono dalle loro opere. E il sesto Angelo versò la sua coppa nel gran fiume Eufrate, e si asciugarono le sue acque, affinché si preparasse la strada ai, re d’Oriente. E vidi (uscire) dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili alle rane. Poiché sono spiriti di demoni, che fanno prodigi, e se ne vanno ai re di tutta la terra per congregarli a battaglia nel gran giorno di Dio onnipotente. Ecco che io vengo come un ladro. Beato chi veglia e tiene cura delle sue vesti, per non andare ignudo, onde vedano la sua bruttezza. E lì radunerà nel luogo chiamato in ebraico Armagedon. E il settimo Angelo versò la sua coppa nell’aria, e dal tempio uscì una gran voce dal trono, che diceva: È fatto. E ne seguirono folgori, e voci, e tuoni, e successe un gran terremoto, quale, dacché uomini furono sulla terra, non fu mai terremoto così grande. E la grande città sì squarciò in tre parti: e le città delle genti caddero a terra: e venne in memoria dinanzi a Dio la grande Babilonia, per darle il calice del vino dell’indignazione della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e sparirono i monti. E cadde dal cielo sugli uomini una grandine grossa come un talento: e gli uomini bestemmiarono Dio per la piaga della grandine: poiché fu sommamente grande.”

Il capitolo precedente ci ha mostrato i predicatori delle varie epoche della Chiesa che ricevono dal cielo il potere di versare le coppe dell’ira divina su tutti i precursori o sostenitori dell’Anticristo. Stiamo ora per assistere al compimento di questa missione, per un comando di Dio; i reprobi sono classificati in sette categorie, secondo una classificazione stabilita in funzione dell’Anticristo, di cui sono tutti, a qualche titolo, i precursori, servi o membri. Essa distingue: (1) i Giudei non convertiti; (2) i pagani; (3) gli eretici e coloro che pervertono il significato delle Scritture; (4) l’Anticristo stesso; (5) i suoi sostenitori convinti; (6) la massa dei falsi Cristiani; (7) i demoni. In senso morale, questo stesso capitolo descrive l’effetto della predicazione apostolica sui sette peccati capitali. Diremo qualcosa su questo dopo averne spiegato il significato allegorico. E udii una voce forte che veniva dal tempio. Questa voce era quella dell’Onnipotente stesso, che si sentiva dal tempio, cioè dalla Chiesa, perché è solo da lì che parla, come nell’Antico Testamento, dava i suoi ordini a Mosè solo dalla sede della misericordia, tra i due Cherubini. (Ex. XXV, 22) E disse ai sette Angeli, cioè a tutti i predicatori: “Andate avanti, mostrando che nessuno deve cominciare a predicare finché non abbia ricevuto l’ordine dall’autorità legittima, e versate le sette coppe dell’ira di Dio sulla terra, e annunciate ai peccatori i castighi che stanno per cadere su di loro.”

§ 1 – La prima e la seconda piaga.

E il primo Angelo, cioè il collegio apostolico, uscì per ordine di Nostro Signore stesso. Ha versato la sua coppa sulla terra, cioè sui Giudei, che qui sono chiamati terra, perché Dio li aveva circondati, coltivati, curati come un giardino scelto, mentre i gentili saranno chiamati mare, per la loro sterilità, la loro instabilità, la loro violenza. E ci fu una ferita grave e dolorosissima per gli uomini che portavano il segno della Bestia e per tutti quelli che adoravano la sua immagine. Questa ferita, per la quale i Giudei dovevano morire come popolo libero e indipendente, fu letteralmente l’invasione romana che, con Tito e Vespasiano, distrusse Gerusalemme da cima a fondo e disperse la sua popolazione in tutto il mondo. Tuttavia, questa catastrofe fu fatale solo a coloro che portavano il segno della Bestia, a coloro che, con il loro odio per il nome Cristiano, si mostravano già come seguaci dell’Anticristo, e che adoravano la sua immagine, che davano fede ai cattivi pastori, la cui vita era già come un’immagine, un primo schizzo, un primo disegno di quella che sarà un giorno quella dell’Anticristo: Per quelli, invece, che avevano aderito al Cristianesimo, sappiamo dallo storico Eusebio che, ricordando le profezie del Salvatore sulla rovina della città, ebbero il tempo di fuggire e mettersi al riparo. – Ed il secondo Angelo sparse la sua coppa sul mare: gli Apostoli, nella seconda fase della loro predicazione, e i loro immediati successori andarono a portare l’annuncio dei castighi dell’ira divina ai gentili. Ma i gentili, invece di credervi, il più delle volte li hanno perseguitati, torturati e uccisi. Questa era l’epoca dei martiri, dove il sangue veniva versato, non come il sangue di un uomo ferito che può essere guarito e riportato in salute, ma come il sangue di un morto che non tornerà mai più in vita. Così fu per l’Impero Romano, che fu sempre distrutto dalle invasioni barbariche. Così fu soprattutto per i persecutori del Cristianesimo che, in cambio della morte temporale da loro inflitta ai martiri, ricevettero da Dio il colpo di grazia della morte eterna. E ogni anima viva morì nel mare: infatti, in questa rivolta del mare, cioè del paganesimo, contro la Chiesa nascente, nessuna anima viva poté resistere: Tutti coloro tra i pagani che, con la loro intelligenza, con la purezza dei loro costumi, mostravano di avere un’anima umana, un’anima che viveva una vera vita morale, o si convertivano al Cristianesimo, come San Giustino, e, così facendo, uscivano, per così dire, dal mare; o, al contrario, diventando crudeli come i persecutori, assecondavano la furia delle sue onde, e meritarono di essere inghiottiti nella dannazione eterna.

§ 2 – La terza piaga.

E il terzo Angelo versò la sua coppa sui fiumi e sulle sorgenti d’acqua: Il terzo Angelo designa il coro dei grandi Dottori che succedettero ai Martiri, e che difesero la fede contro gli errori cristologici dei secoli III e IV. I fiumi qui rappresentano gli eretici, perché questi, invece di prendere lo stretto sentiero della rinuncia che sale al cielo, preferiscono seguire l’inclinazione della natura, scendendo sempre più in basso, sempre più instabili, sempre più fluenti, finché alla fine si perdono nel mare di fuoco, cioè nell’inferno. Le sorgenti delle acque sono i loro capi, i grandi eresiarchi, come Ario, Nestorio, Eutyche, ecc., o più tardi Lutero, Calvino, Huss, Wicleff, ecc. dai quali errori si alimentano, come i fiumi dalla loro sorgente. E se ne fece del sangue, cioè questi fiumi e sorgenti furono trasformati in sangue, perché Dio colpì questi rinnegati con un terribile castigo. E udii l’Angelo delle acque, ma non più le acque avvelenate alle quali si alludeva nel versetto precedente; piuttosto, l’Angelo delle acque vive che sgorgano dal trono di Dio e offrono alle anime fedeli di che dissetarsi; l’Angelo Custode delle Scritture, personificante tutto il coro dei Dottori, l’ho sentito dire: «Voi siete giusto, Signore, nei giudizi che emettete, Voi che siete, perché possedete immutabilmente la pienezza dell’Essere;  che siete sempre Santo, anche quando le apparenze vi sono avverse. Le condanne che avete pronunciato contro questi maestri di errore erano pienamente meritate. Infatti hanno suscitato l’odio dei principi secolari contro la vostra Chiesa; ed hanno versato il sangue dei Santi – cioè dei Cristiani e quello dei profeti – cioè dei ministri che parlano a vostro nome: Voi, in cambio, avete dato loro da bere del sangue, li ave te immersi di tutto cuore nei tormenti dell’inferno, li hai inebriati di sofferenza e di morte: sono degni, infatti, perché è giusto che chi non si è sottratto all’orrore di versare il sangue del suo prossimo, beva per sempre l’orrore della dannazione. » E ho sentito un’altra voce che diceva dall’altare. Quest’altra voce era la voce di tutti i Santi, che riecheggiava quella dei Dottori. Essi dicevano questo non con le labbra, come il popolo di cui parla il Signore, che « mi onorano con le labbra, ma il cui cuore è lontano da me »; come troppi Cristiani che cantano o recitano preghiere nelle assemblee, per rispondere alle esortazioni dei loro pastori, ma senza pensare a quello che dicono; hanno parlato dall’altare, cioè dal profondo del loro essere, da quel santuario intimo in cui stanno alla presenza del Signore, offrendogli senza sosta le loro preghiere e i sacrifici. Sì, infatti – dicevano – Signore Dio Onnipotente, i vostri giudizi sono veri e giusti.

§ 3. La quarta e la quinta piaga.

E il quarto Angelo versò la sua coppa sul sole, cioè sull’Anticristo, che è chiamato il sole perché pensa di essere la luce del mondo. Questo quarto Angelo rappresenta i predicatori che Dio metterà in guardia contro di lui, e che gli ricorderanno con forza i castighi che egli sta accumulando sulla sua testa con la sua empietà. Ma non cambierà i suoi modi: al contrario, Dio glielo permetterà, e affliggerà gli uomini in mille modi, anche usando il fuoco, che è considerato il più crudele dei tormenti. Allora verrà quella grande tribolazione di cui parla il Vangelo, come non c’è stata dall’inizio del mondo e come non ci sarà mai più (Mt. XXIV, 21). Ma gli uomini, invece di vedere in questa persecuzione una giusta punizione per i loro peccati, lasceranno che tutto il bene spirituale che avrebbero potuto ottenere da essa sia sciupato dall’amarezza della loro impazienza; bestemmieranno il nome del Dio che ha potere su queste piaghe, Lo rimprovereranno di insolenza per non averli preservati da esse quando avrebbe potuto facilmente farlo, e non faranno penitenza, negando così a Dio la gloria che avrebbe tratto dalla loro conversione. – E il quinto Angelo versò la sua coppa sul trono della bestia, cioè sui seguaci dell’Anticristo, così chiamati perché i loro cuori saranno un luogo di riposo per questa bestia feroce. E il suo regno divenne tutto pieno di tenebre: lungi dall’essere illuminata da questa predicazione, la folla di persone che formano il suo impero persisterà nelle tenebre di una cecità voluta; si morderanno di dolore la lingua a vicenda, si lacereranno tra loro con parole velenose, sotto l’azione del dispetto che proveranno nel vedersi confusi dai testimoni del Cristo. Allora si verificherà la promessa del Salvatore: « Vi darò un’eloquenza e una saggezza a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere o opporsi » (Luc. XXI, 15). I settari dell’Anticristo, furiosi per la loro impotenza, si rigetteranno a vicenda la colpa dei loro fallimenti. Bestemmieranno il Dio del cielo, cioè il Cristo, dicendo che non è Dio la causa del dolore che la costanza dei Santi causerà loro, e delle ferite che questi, con i loro discorsi, infliggeranno al loro orgoglio. E non faranno penitenza per le loro azioni malvagie; e poiché non hanno combattuto contro la verità per una convinzione intima, ma solo per soddisfare le proprie passioni, moriranno nell’impenitenza finale, perché questo è il vero peccato contro lo Spirito Santo.

§ 4 – La sesta coppa e gli spiriti sotto forma di rane

E il sesto Angelo versò la sua coppa sul grande fiume Eufrate. L’Eufrate, il cui nome significa: fertilità o abbondanza, rappresenta l’immensa folla di persone senza convinzioni personali, che non hanno altra regola di vita che la ricerca del denaro e dei piaceri di questo mondo. Finché il Cristianesimo è in onore, vi aderiscono volentieri e ne praticano persino le virtù. Ma quando arriva il regno di qualche Anticristo, essi seguono la corrente che li porta invincibilmente verso la ricerca del piacere terreno, e passano spudoratamente dalla parte del più forte. I predicatori del Vangelo versano la loro coppa sul fiume Eufrate e lo prosciugano, quando mostrano la vanità dei beni terreni e il destino di coloro che ne fanno cattivo uso, come il ricco della parabola. Predicano così non solo per spaventare i malvagi, ma anche per preparare la strada ai re, cioè ai Cristiani che, fedeli alla loro promessa battesimale, vogliono regnare con Cristo: perché questi, troppo spesso trattenuti dal loro attaccamento ai beni di questo mondo, non sanno mettersi sotto l’azione del Sole nascente, il Sole di giustizia, Cristo, la cui grazia illumina e riscalda chi lo segue nella via della rinuncia. Ma il demone non lascia fare senza resistenza: egli mette in opera ha usato tutte le sue risorse per annientare l’effetto di questa predicazione. Ecco perché San Giovanni vide tre spiriti immondi in forma di rane che uscivano dalla bocca del drago, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta. Il drago rappresenta il diavolo; la bestia, l’Anticristo; il falso profeta, i suoi araldi. I tre si uniranno così per suscitare nella massa dei Cristiani delle correnti che si opporranno alla sana dottrina. I tre spiriti che escono dalla loro bocca, cioè che procedono dalle suggestioni del demonio e dai discorsi dei suoi adepti, l’Anticristo o i falsi profeti, rappresentano: 1° le arti magiche o le scienze occulte, la stregoneria, lo spiritismo, ecc. 2° tutte le favole della mitologia, o tutte le forme di propaganda che portano l’uomo a rendere ad altri uomini, o a demoni, un onore che appartiene solo a Dio. Queste favole e culti idolatri nascono, come ci insegna il libro della Sapienza, dall’orgoglio dei grandi e dalle adulazioni della moltitudine nei loro confronti (Sap., XIV, 15-21): nessuno spingerà la iattanza più in là in questo campo  che l’Anticristo, in quale tenderà a prendere il posto di Dio stesso nei suoi propri templi; – infine, 3° tutti i falsi sistemi filosofici, proposti dai profeti della menzogna per distogliere l’uomo dal culto della verità. – Gli uomini che sostengono queste invenzioni perniciose sono paragonati a delle rane, perché siedono nel pantano del peccato, come rane nel fango; perché gracchiano incessantemente, ripetendo invariabilmente e forzatamente le stesse affermazioni, la stessa retorica, gli stessi slogan, senza dire nulla di ragionevole, senza ascoltare alcuna argomentazione contraria. Sono questi spiriti di demoni, cioè ispirati e guidati dal diavolo. Per questo faranno miracoli: non dei veri miracoli, nel senso in cui i teologi intendono questa parola; ma prodigi, cose mirabili, atti che superano la potenza della natura corporea. Che il diavolo abbia il potere di compiere tali atti, che sia in grado di comunicare questo potere agli uomini, è chiaramente dimostrato nella Scrittura dall’esempio dei magi di Faraone, i quali, per tenere in scacco Mosè, compirono prodigi apparentemente meravigliosi quanto i suoi (Ex., VII, 22; VIII, 7.). E la teologia lo conferma: Si dà, dice San Tommaso, il nome di miracolo a tutto ciò che deroga all’ordine di tutta la natura creata. Ma poiché non conosciamo tutte le virtù delle creature, ogni volta che, per un potere a noi sconosciuto, un essere creato produce un effetto che va oltre le leggi ordinarie della natura, questo effetto è un miracolo nei nostri confronti. Così, quando i demoni fanno, con il loro potere naturale, qualcosa di straordinario, questi fenomeni non sono miracoli, in assoluto, ma passano essere tali ai nostri occhi. È in questo modo che i maghi compiono miracoli per mezzo di demoni (Summa Theologica, I p., qu. CX, a. 4, ad. 2). Senza conoscere questi princìpi, ci si espone a dare falsi giudizi ogni volta che si tratta di fatti meravigliosi o che si pretende che siano tali. Troppo spesso si ragiona in questi casi come se ci fossero solo due ipotesi possibili: la sovrumana o l’intervento divino. Dimentichiamo che tra i due, c’è spazio per un terzo: ci può essere, e a volte c’è, l’intervento di una potenza che non è quella di Dio, e che però, realmente, oggettivamente, compiere cose impossibili all’uomo. Questo è il potere di colui che Sant’Agostino chiama la scimmia di Dio, e che è il padre della menzogna; egli cerca di operare un cambio, per spacciarsi come Dio agli occhi degli uomini, perché questa è la sua suprema ambizione. Per dare un’idea del tipo di prodigi che è in grado di compiere, lo stesso Dottore riporta, secondo gli storici di Roma, il caso di immagini di divinità che si spostano da sole da un luogo all’altro; il caso di Tarquinio che taglia una pietra con un rasoio; quello di una donna che, per provare la sua castità, tirò con la sua sola cintura una nave che portava la statua di Giunone, quando un gran numero di uomini e di animali non era riuscito a romperla; quello di una Vestale che, accusata di essere venuta meno ai suoi impegni, andò ad attingere acqua dal Tevere con un setaccio, e la portò ai suoi giudici (Città di Dio, L. X, cap. 16.). Molti tratti simili potrebbero essere citati nel caso delle false religioni, specialmente le religioni indù, che sono così popolari oggi. È quindi utile essere avvertiti per non lasciarsi fuorviare o scuotere nella propria fede. La dottrina della Chiesa ha stabilito da tempo i criteri per distinguere i veri miracoli dai fatti che hanno solo l’apparenza di miracoli. Senza entrare nei dettagli, diciamo semplicemente, seguendo il Dottore Angelico, che i cosiddetti miracoli impropriamente detti rimangono soggetti alle leggi della natura, anche se fanno appello a forze segrete della natura, sconosciute agli uomini. Al contrario, i veri miracoli implicano necessariamente un allontanamento dalle leggi della natura, un allontanamento che può essere solo opera di Dio. Perciò, quando siamo in grado di stabilire questo con certezza, dobbiamo inchinarci con i Magi di Faraone menzionati sopra e dire, come loro, quando si sentirono impotenti a continuare il loro duello con Mosè: « Il dito di Dio è qui ». (Ex. VIII, 19). Torniamo ora al testo dell’Apocalisse. -Così gli spiriti immondi inviati dal diavolo faranno miracoli e andranno dai re di tutta la terra per radunarli contro la Chiesa. Tutte le forze del Male si coalizzeranno così al tempo dell’Anticristo, per un combattimento decisivo. Ma mentre penseranno di camminare nella vittoria, e si lusingheranno di distruggere il nome del Salvatore, andranno in realtà al grande giorno di Dio Onnipotente, cioè al giorno in cui sentiranno per bene e in modo irresistibile qual è la potenza di Dio, nel giorno del Giudizio Universale. Perché quel giorno è molto vicino e certo. « Preparatevi senza tregua a vederlo venire all’improvviso, perché ecco, io vengo come un ladro, ve l’ho detto nel Vangelo, e voi non sapete quando sarà. Beato colui che sta in guardia, che sorveglia le sue parole, le sue azioni, i suoi pensieri; che custodisce le sue vesti, che conserva con cura l’innocenza ricevuta nel Battesimo e le virtù che sono l’ornamento della sua anima; affinché non si esponga a passare nudo dalla vita presente alla vita eterna, e a vedere la sua ignominia esposta davanti a tutti i Santi. » Il diavolo radunerà tutti i suoi seguaci in un luogo che si chiama in ebraico Armagedon. Gli autori moderni hanno spesso cercato di localizzare questo punto di raduno da qualche parte in Palestina. Alcuni, seguendo Bossuet, privilegiano la città di Mageddo, nella pianura di Esdrelon, che era già stata insanguinata da numerosi disastri nel corso della storia. La morte di Giosia, in particolare (II Reg. XXIII, 29), « aveva reso il suo nome sinistro alle orecchie dei Giudei » (R. P. Allô, op. cit., p. 239). Questa ipotesi non si impone, né nessun’altra dello stesso tipo. La cosa migliore, fino a nuove meglio informate, è attenersi con i Padri al significato allegorico della parola. Armageddon significa: monte dei ladri, o monte delle tenebre. Come tale, esso designa misticamente l’Anticristo, poiché costui, per la sua potenza ed il suo orgoglio, si ergerà in mezzo agli altri uomini come un monte in mezzo alla pianura; un monte sul quale si raduneranno tutti coloro che cercano di rubare le anime a Dio; un monte oscuro, perché non riceve la luce di Colui che si definisce il fiore della pianura e il giglio delle valli. (Cant., Il, 1).

§ 5 – La settima coppa e la fine del mondo.

Ed il settimo Angelo versò la sua coppa sull’aria. Ciò che è chiamato qui: aria, sono i demoni, per analogia con l’espressione di San Paolo che nomina il loro capo: il principe delle potenze dell’aria (Ephes. II, 2). Il settimo Angelo rappresenta i predicatori degli ultimi tempi che annunceranno la punizione definitiva di questi nemici di Dio. Attualmente, secondo un’opinione comune tra i teologi, è permesso infettare l’aria in cui viviamo, per poter torturare gli uomini. Questo è il sentimento di Pietro Lombardo, il famoso Maestro delle Sentenze, così spesso citato da San Tommaso: [Lucifero e i suoi satelliti], egli dice, hanno ricevuto come loro dimora, cadendo dal cielo, l’aria oscura (che circonda la terra). E questo è stato fatto per metterci alla prova, affinché diventino per noi motivo di esercizio, come ci dice l’Apostolo: Noi non dobbiamo lottare contro la carne ed il sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo oscuro, con gli spiriti di malvagità diffusi nell’aria. (Ephes. VI, 12). Non fu loro permesso di abitare in cielo, perché è un luogo luminoso e delizioso; né sulla terra, per non fare troppo male agli uomini; ma quest’aria oscura fu designata per loro come una prigione, fino al tempo del giudizio. Allora saranno gettati nell’abisso dell’inferno, secondo questo testo di San Matteo: “Andate, maledetti, al fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli” (XXV, 41 — Libro delle Sentenze, dist. VI.). Alcuni dottori pensano addirittura che essi evitino così momentaneamente il tormento di questo fuoco che, benché materiale, ha tuttavia il potere di torturare gli spiriti (S. Bonaventura, in particolare, si mostra favorevole a questa opinione. – Come, sul secondo libro delle Sentenze, dist. VI, art. 2, qu. 2.). Ecco perché quelli che Nostro-Signore aveva cacciati dal corpo del posseduto implorarono con tale insistenza che fosse permesso loro di entrare nel branco di porci: temevano che il Salvatore li costringesse a scendere immediatamente nella gehenna (Mc., V, 12). Ma dopo il Giudizio Universale, essendo terminata la loro missione sulla terra, saranno rinchiusi per sempre con i dannati nelle prigioni di fuoco. – San Giovanni vede dunque i predicatori degli ultimi tempi che annunciano l’imminente punizione del diavolo. E una voce potente, la voce di Colui che sedeva sul trono, la voce di Dio stesso, fu udita fuori del tempio, dicendo: È finita; il potere dell’Anticristo è giunto alla fine, la fine del mondo è arrivata. Allora cominciarono a manifestarsi i segni predetti nel Vangelo, che devono precedere il Giudizio Universale: ci furono lampi, grida di terrore, tuoni ed un terremoto così violento che non se n’è mai verificato uno simile da quando ci sono uomini sulla terra. In senso figurato, queste stesse parole segnano gli ultimi assalti della Bestia, gli sforzi supremi dell’Anticristo e dei suoi satelliti per stabilire il loro impero: I lampi rappresentano gli pseudo-miracoli che essi moltiplicheranno per abbagliare la folla; le grida, lo scatenarsi delle loro predizioni; i tuoni, le minacce che faranno a chiunque pretenda di resistere loro; il terremoto, infine, l’ultima persecuzione, che sarà la più terribile di tutte quelle che hanno mai decimato la Chiesa, come ci attesta Nostro Signore stesso (Matteo, XXIV, 21). – E la grande città, cioè la città del mondo, che abbraccia l’universalità del genere umano, vedrà i suoi abitanti dividersi in tre parti, e cioè: i giusti che avranno sempre osservata la legge di Dio; i peccatori che avranno fatto penitenza, ed i peccatori ostinati. E le città delle nazioni crolleranno: allora spariranno tutte le istituzioni, tutte le società che non hanno che un valore umano. E la grande Babilonia verrà alla memoria davanti a Dio: Dio che per tanti anni sembrava essere così ignaro dei crimini commessi sulla terra, o così disinteressato ad essi, che gli empi potevano alleggerirsi la coscienza, e dire a se stessi: « Egli non ce ne renderà conto » (Ps. IX, 13); Dio allora, uscendo finalmente dal suo silenzio, evocherà al suo tribunale, uno per uno, con estrema precisione, senza lasciare nell’ombra alcun dettaglio, tutti i peccati della grande Babilonia, tutti i disordini, tutte le turpitudini, tutte le ingiustizie della città del Male. E gli darà il calice del vino dell’indignazione della sua ira, distribuirà a ciascuno, in proporzione ai suoi crimini, la misura che gli spetta dei castighi reclamati dalla sua ira; ira generata dalla sua indignazione alla vista di tanti oltraggi fatti al suo Amore. Allora tutte le isole fuggirono via, tutti i gruppi di uomini che, in qualche forma, si erano tenuti fermi in mezzo alla corruzione generale, come isole in mezzo al mare, si separeranno dalla società dei malvagi, sfuggendo così alla rovina universale; e le montagne non furono trovate: vale a dire, i Santi, la cui virtù li solleva sopra la folla come le montagne sopra una pianura, non saranno avvolti nella catastrofe. E una grandine discese dal cielo sugli uomini, e il castigo predetto dai predicatori cadde sui peccatori; e i chicchi di grandine erano ciascuno grande come un talento, perché il castigo per ogni peccato sarà pesato esattamente secondo la gravità di esso; e gli uomini, che furono così gettati nell’inferno, bestemmiarono Dio che li aveva così puniti, ed infatti la grandine divenne estremamente violenta, perché la gravità dei tormenti dell’inferno supera tutto ciò che si possa immaginare.

§ 6 – Spiegazione morale delle sette coppe o sette piaghe.

Le coppe dei sette angeli, di cui abbiamo appena spiegato il significato allegorico, secondo la storia della Chiesa, hanno anche un significato morale, e in questo senso rappresentano le punizioni per i sette peccati capitali. I predicatori sono simboleggiati dagli Angeli, perché come questi spiriti benedetti sono impegnati nella cura delle anime, che devono proteggere contro tutti i mali da cui sono minacciate. – La prima coppa che devono versare, il primo peccato che devono indicare è quello della gola: questo vizio infatti è come la terra in cui crescono tutti gli altri, e, se non viene vinto per primo, rende sterili gli sforzi che si fanno contro i successivi. Inoltre, i golosi sono paragonati alla terra, perché sono insaziabili come essa; hanno il carattere della Bestia, perché vivono come animali, occupati solo a soddisfare i loro appetiti più grossolani, e ne adorano l’immagine, perché il loro Dio è il loro ventre, come dice San Paolo (Filippesi III, 19). Questo vizio prepara una terribile ferita per l’anima, perché i dannati soffriranno tanto più all’inferno per non avere nulla per soddisfare la loro fame e la loro sete, in quanto avranno cercato più avidamente i piaceri della tavola quaggiù. – La coppa del secondo Angelo rappresenta la punizione della lussuria. Gli uomini dediti a questo vizio sono paragonati al mare, a causa dei movimenti tumultuosi, delle violente tempeste che questa passione suscita nelle loro anime, e dell’amarezza di cui le riempie. Il sangue che scorre dalle loro ferite è come quello di un morto, non come quello di un ferito, perché, umanamente parlando, non lascia spazio alla speranza di recupero; chi cade sotto l’influenza di questa passione avrà infinite difficoltà ad uscirne. Ci vorrà un vero miracolo, come per resuscitare un morto. Questo è ciò che l’autore dell’Ecclesiaste vuole farci capire quando dice: « Ho incontrato una donna più amara della morte: è come il laccio dei cacciatori, il suo cuore è una rete, le sue mani sono catene ». (VII, 27). E quello dei Proverbi aggiunge che la cortigiana è un pozzo profondo (XXIII, 27). La terza fiala è l’annuncio del castigo a cui l’ira espone; e poiché questo vizio, a volte dimora sordamente nelle profondità del cuore, a volte si diffonde con forza all’esterno, viene qui paragonato successivamente alle sorgenti delle acque e a un fiume. I due Angeli che entrano in scena per rendere testimonianza alla giustizia di Dio rappresentano i due Testamenti, che garantiscono solennemente che Dio esigerà una resa dei conti rigorosa da chiunque abbia versato il sangue dei suoi simili. – Il quarto vizio è quello della vanagloria, rappresentato dal sole, perché chi ne è afflitto pensa di essere il centro dell’universo. Lungi dal nascondere le loro buone azioni, come consiglia il Vangelo, cercano di renderle visibili, e si lusingano che le loro virtù diffondano una luce meravigliosa intorno a loro. Ecco perché Giobbe si congratulava con se stesso per non aver visto lo splendore del sole: con questo voleva dire che non aveva notato che la sua vita potesse essere un esempio per gli altri. (XXXI, 26). E, continua l’autore sacro, all’Angelo fu dato il potere di affliggere gli uomini, cioè i superbi e i vanitosi, con calore e fuoco: con il calore dell’ambizione, quando i loro affari sono prosperi; con il fuoco dell’ira, al contrario, quando incontrano avversità. Questo è davvero un doppio frutto dell’orgoglio. Infatti, quando avevano successo, erano consumati dall’ambizione; quando fallivano, bestemmiavano il nome di Dio, rimproverandolo di non aver usato il suo potere per risparmiarli dai mali che li colpivano. E rifiutarono di fare penitenza, perché anche questo è uno degli effetti più dannosi dell’orgoglio; tuttavia, questa penitenza sarebbe stata un mezzo di salvezza per loro e di gloria per Dio. – Il quinto Angelo versò la sua coppa sulla sede della Bestia, cioè predicò contro il vizio della gelosia e mostrò le sue devastazioni: coloro che si lasciano soggiogare da essa diventano un regno di tenebre, mettono le loro anime sotto l’impero particolare del diavolo. È infatti per la gelosia del diavolo che la morte è entrata nel mondo, dice il libro della Sapienza (II, 24). Sono immersi nella cecità più perniciosa: le gioie e i successi del loro vicino sono per loro motivo di dolore, e il suo progresso nel bene li spinge ancora di più nel male, attraverso l’odio che ne concepiscono. Si mangiano la lingua nella maldicenza e nella calunnia, che indulgono a causa del dolore causato dalla felicità degli altri, dilaniandosi a vicenda e bestemmiando il Dio del cielo a causa delle ferite che si infliggono con le loro detrazioni. Perché « la detrazione – dice San Bernardo – è una vipera che ferisce tre persone in una volta sola: colui che la fa, colui che l’ascolta volentieri, e colui che ne è oggetto, quando ne viene a conoscenza. E non hanno fatto penitenza per le loro azioni, perché anche qui, l’uomo abituato a questo peccato trova molto difficile correggersi. – Il sesto Angelo, che versa la sua coppa sull’Eufrate, rappresenta i predicatori che denunciano il male dell’avarizia. Questo è simboleggiato dall’Eufrate, perché questo fiume, le cui onde impetuose sembrano voler montare e diffondersi, lascia dietro di sé solo fango: così l’avarizia, mentre si sforza di aumentare la sua ricchezza, lascia dietro di sé solo il fango del peccato. Seccare l’acqua, come fa qui l’Angelo, per preparare la strada ai re, è mostrare la natura volubile e transitoria dell’abbondanza temporale, in modo che i re, cioè i predicatori, possano facilmente cedere al cuore dei loro ascoltatori, sotto l’azione del sole nascente, cioè della grazia di Cristo. Ma contro questa predicazione, sono unite le forze del mondo, cioè la concupiscenza degli occhi, la concupiscenza della carne e l’orgoglio della vita, (I Giov., II, 16.). Essi sono rappresentati qui dal drago, dalla Bestia e dallo pseudo-profeta. La concupiscenza degli occhi, poiché non è mai soddisfatta, è rappresentata dal drago, un animale che è sempre alterato. I tre spiriti ripugnanti che escono dalla sua bocca sono le tre tendenze che promuove nell’uomo: l’avidità di guadagno, la parsimonia quando si tratta di dare e l’accumulo di riserve. La Bestia rappresenta l’orgoglio, che devasta tutte le cose: i tre spiriti immondi che ne derivano sono: l’irriverenza verso i superiori, il desiderio di dominare gli uguali e la durezza verso gli inferiori. Queste sono le tre lance con cui Joab trafisse Assalonne (II Reg., XVIII. 14), i tre colpi con cui l’orgoglio distrugge la sua vittima. Infine, lo pseudo-profeta rappresenta la concupiscenza della carne; i tre spiriti che procedono da essa sono: la gola, la ricercatezza nell’abbigliamento e l’ozio. Questi, dunque, sono gli spiriti di cui il diavolo si serve per turbare gli uomini e portarli alla grande battaglia che vuole condurre contro il suo Creatore. Beato colui che veglia, colui che sta in guardia, sforzandosi di vivere in obbedienza, di rimanere sotto lo sguardo di Dio e di agire sempre con purezza di intenzione. – La coppa del settimo Angelo rappresenta la punizione dei pigri (accidiosi), che vanno avanti e indietro come l’aria, senza fare nulla. Che vergogna per l’uomo pensare di sprecare il tempo di questa vita, quando tutta la natura gli dà l’esempio di un’attività che non si stanca mai … quando gli astri corrono senza tregua e con tutta la loro velocità, sulla sfera che Dio ha tracciato per loro, … quando tanti animali si applicano senza tregua a un lavoro dal quale non hanno alcuna ricompensa da aspettarsi. Perciò Salomone ci esorta a contemplare le formiche: «Vai a vedere la formica, o pigro – ci dice – e considera le sue vie, e vedi la fatica che fa per portare un chicco di grano a casa sua, e prendi saggezza da lui! » (Prov., VI, 6).

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (10)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (8)

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (8)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat: Elie Maire Can. Cens. Ex. Off.

Imprimi potest:  Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: LECLERC.

Lutetiæ Parisiorum die II nov. 1947

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Quarta Visione

ASSALTO DELL’INFERNO CONTRO LA CHIESA

PRIMA PARTE

LA DONNA ED IL DRAGONE

Capitolo XI, 19. – XII, 1- 17

“E si aprì il tempio di Dio nel cielo: e apparve l’arca del suo testamento nel suo tempio, e avvennero folgori, e grida, e terremoti e molta grandine. – E un grande segno fu veduto nel cielo: Una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sulla sua testa una corona di dodici stelle: ed essendo gravida, gridava pei dolori del parto, patendo travaglio nel partorire. ^E un altro segno fu veduto nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna, e sulle sue teste sette diademi, e la sua coda traeva la terza parte delle stelle del cielo, ed egli le precipitò in terra: e il dragone si pose davanti alla donna, che stava per partorire, affine di divorare il suo figliuolo, quando l’avesse dato alla luce. Ed ella partorì un figliuolo maschio, il quale ha da governare tutte le nazioni con scettro di ferro: e il figliuolo di lei fu rapito a Dio e al suo trono, e la donna fuggi alla solitudine, dove aveva un luogo preparatole da Dio, perché ivi la nutriscano per mille duecento sessanta giorni. E seguì in cielo una grande battaglia: Michele coi suoi Angeli combatterono contro il dragone, e il dragone e i suoi angeli combatterono: ma non vinsero, e il loro luogo non fu più trovato nel cielo. E fu precipitato quel gran dragone, quell’antico serpente, che si chiama diavolo e satana, il quale seduce tutto il mondo: e fu precipitato per terra, e con lui furono precipitati i suoi angeli. E udii una gran voce nel cielo, che diceva: Adesso è compiuta la salute, e la potenza, e il regno del nostro Dio, e la potestà del suo Cristo: perché è stato scacciato l’accusatore dei nostri fratelli, il quale li accusava dinanzi al nostro Dio dì e notte. Ed essi lo vinsero in virtù del sangue dell’Agnello, e in virtù della parola della loro testimonianza e non amarono le loro anime sino alla morte. Per questo rallegratevi, o cieli, e voi che in essi abitate. Guai alla terra e al mare, perocché il diavolo discende a voi con grande ira, sapendo di avere poco tempo. E dopo che il dragone vide com’era stato precipitato sulla terra, perseguitò la donna che aveva partorito il maschio: ma furono date alla donna due ale di grossa aquila, perché volasse lungi dal serpente nel deserto al suo posto, dov’è nutrita per un tempo, per tempi e per la metà d’un tempo. E il serpente gettò dalla sua bocca, dietro alla donna dell’acqua come un fiume, affine di farla portar via dal fiume. “Ma la terra diede soccorso alla donna, e la terra aprì la sua bocca, e assorbì il fiume che il dragone aveva gettato dalla sua bocca. E si adirò il dragone contro la donna: e andò a far guerra con quelli che restano della progenie di lei, i quali osservano i precetti di Dio e ritengono la confessione di Gesù Cristo. Ed egli si fermò sull’arena del mare.”

La quarta visione dell’Apocalisse annuncia, sotto la forma di un combattimento tra un drago ed una donna, l’assalto continuo che le potenze infernali porteranno contro la Chiesa, dalla sua fondazione fino alla fine dei tempi. Essa ha come scopo il rafforzare la nostra fermezza di fronte alle prove ed alle persecuzioni, mostrandoci l’aiuto che Dio fornisce alla Sposa di Suo Figlio e la vittoria che gli riserva.

§ 1 – La donna vestita di sole.

Questa visione, la cui descrizione inizia propriamente con il capitolo XII, inizia tuttavia con l’ultimo versetto del capitolo XI, che serve da preambolo. Così questa è strettamente legata alla visione precedente: l’autore sacro, usando la libertà abituale dello stile profetico, porta il lettore senza transizione dalla fine del mondo, che gli ha appena fatto intravedere, al mistero dell’incarnazione ed alle origini della Chiesa: E il tempio di Dio, dice, fu aperto nel cielo. Il tempio di Dio designa qui misticamente il modo in cui Dio vuole essere adorato e servito dagli uomini, per analogia con l’edificio di pietra in cui si celebra il culto divino. È a questa rivelazione di un tempio spirituale superiore al tempio di Gerusalemme che Nostro Signore alludeva quando disse alla Samaritana: « Donna, credimi, non è più a Gerusalemme che adorerai il Padre; ma l’ora viene, ed è ora, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità… » (Giov.  Perché Dio è spirito, e coloro che lo adorano devono adorare in spirito e verità. Così il tempio di Dio è stato aperto quando Cristo ci ha insegnato a servire per amore e ad onorare nel segreto dei nostri cuori quel Dio che i Giudei avevano fino ad allora adorato solo per paura e offrendogli sacrifici cruenti; è stato aperto in cielo, cioè nella Chiesa, perché questo culto spirituale appartiene solo a lei e si trova solo in lei. – E l’arca dell’alleanza apparve in mezzo al tempio: la vera arca dell’alleanza, di cui l’Antico Testamento non conosceva che la figura, rappresenta l’Umanità di Cristo, in cui è depositato il pegno autentico dell’alleanza del Creatore con la sua creatura. L’Umanità di Cristo apparve così in mezzo al tempio come il centro del culto che si doveva rendere a Dio; come la rivelazione essenziale, l’unico e necessario intermediario tra gli uomini ed il loro Creatore; come il dono del cielo per eccellenza, Colui nel quale il Padre ha posto tutta la sua compiacenza e del quale ha fatto l’esempio compiuto di ogni perfezione. Non appena Cristo ebbe rivelato ai suoi discepoli il segreto del mistero divino, essi si diffusero in tutto il mondo, producendo ovunque tuoni, voci e terremoti; cioè fecero miracoli sorprendenti, moltiplicarono la loro predicazione, scossero gli uomini e li convertirono, mentre contro di loro si scatenava un’abbondante grandinata di persecuzioni. Così fu fondata la Chiesa, e una lotta fino alla morte doveva essere condotta tra Essa ed il diavolo per il possesso della razza umana, una lotta che San Giovanni vide simbolicamente svolgersi tra una donna ed una bestia. Un grande segno – dice – apparve in cielo: una donna vestita di sole, figura della Chiesa, avvolta interamente nel Cristo, che è insieme la sua protezione ed il suo ornamento, come la veste lo è per il corpo. Aveva la luna ai suoi piedi, perché è superiore a tutte le vicissitudini terrene. La luna, che cresce e decresce costantemente, è il simbolo delle cose umane, che sempre salgono e scendono. Nulla è stabile quaggiù: le istituzioni più venerabili, le fortune più consolidate, si sgretolano a poco a poco o crollano tutto d’un colpo; altre sorgono all’orizzonte per prendere il loro posto, e che, una volta stabilite, declineranno a loro volta: solo la Chiesa, fondata sulla pietra posta dal Verbo, rimane incrollabile in mezzo a questo perpetuo movimento di flusso e riflusso. Porta sul suo capo una corona di dodici stelle, la dottrina dei dodici Apostoli, che fissa tutto ciò che pensa e tutto ciò che insegna. E avendo nel suo grembo, cioè nel suo cuore, il desiderio della salvezza delle anime, essa gridò nei dolori del parto, supplicando Dio notte e giorno per aiutarla a generare anime alla vita eterna, e soffrì per partorire, dedicandosi a penitenze, veglie e digiuni, per raggiungere questo fine. – La donna vestita di sole designa anche la Vergine Maria, irradiata dal Verbo nel mistero dell’Incarnazione; e ancora, in senso morale, ogni anima santa in cui Cristo stabilisce la sua dimora. – Le dodici stelle che compongono la corona della Vergine – e anche, sebbene in misura molto minore, quella di queste anime sante – sono i dodici frutti dello spirito, come li enumera San Paolo nella sua lettera ai Galati, cioè: carità, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, longanimità, dolcezza, fedeltà, modestia, continenza, castità. Anche la Beata Madre di Dio, portando nel suo cuore un ardente desiderio per la salvezza delle anime, gemeva al pensiero delle sofferenze che suo Figlio avrebbe dovuto sopportare per realizzare la salvezza del mondo; e fu torturata dai dolori del parto: per tutta la sua vita fu perseguitata dallo spettro della croce a cui il Figlio suo sarebbe stato inchiodato un giorno, e ai piedi della quale Ella stessa avrebbe sofferto i dolori che le erano stati risparmiati quando lo aveva dato alla luce. Quanto alle anime sante, esse portano nel segreto del loro cuore un desiderio di vita eterna che le consuma, che le tortura, che le fa gridare al cielo, e, come Santa Teresa, “esse muoiono per non poter morire“.

§ 2 – Il drago.

Poi un altro segno apparve in cielo, un segno che si opponeva al primo e divideva con esso tutta la massa dell’umanità: perché chi è del partito di Dio combatte sotto lo stendardo della Vergine e della Chiesa; chi, al contrario, si fa servo del mondo, indossa i colori di satana. Era un drago enorme e rosso; enorme, perché il diavolo è armato di un potere formidabile; rosso, perché è assetato di sangue. Aveva sette teste, dieci corna e sette corone sulle sue sette teste. Le sette teste del mostro – capita in latino – rappresentano i sette peccati capitali, che servono da principio per tutti gli altri. Nello stile della Scrittura, il corno, che punta al cielo, è spesso un simbolo di orgoglio e di ribellione contro Dio. Le corna che l’immaginario cristiano è abituato a mettere sulla testa del diavolo non sono che la traduzione materiale dell’iniziale Non serviam, con cui questo spirito di orgoglio si è sollevato contro il suo Creatore. Il drago qui ne porta dieci, per mostrare che la sua volontà si oppone in ogni modo alla volontà di Dio, che ci è resa nota essenzialmente dai dieci precetti del decalogo. Infine, i diademi con cui si adorna rappresentano le vittorie che ha ottenuto sugli uomini; il loro numero sette implica che ognuno dei peccati capitali è stato oggetto di molti trionfi per lui. – E la sua coda fece cadere la terza parte delle stelle e le gettò sulla terra: dall’inizio del Cristianesimo ingannò molti del popolo di Dio con la sua ipocrisia; li allontanò dalla ricerca delle cose celesti per le cose della terra. E stava davanti alla donna che stava per partorire, per divorare suo figlio: ogni volta che la Chiesa, attraverso il Sacramento del Battesimo, genera un’anima alla vita soprannaturale, il diavolo cerca di perderla; ogni volta che un’anima produce un’opera buona, egli è in agguato per rubarne il merito con pensieri di vanagloria. La donna, però, partorì un figlio maschio, cioè una generazione di Cristiani vigorosi e pronti ad affrontare tutte le persecuzioni. Notate il raddoppio di questa espressione: un figlio maschio. La Chiesa, infatti, secondo lo stile allegorico della Scrittura, non partorisce che figli; perché il sesso delle anime non è quello dei corpi: ogni anima in cui lo spirito domina la sensualità è di sesso maschile; ogni anima in cui la carne regna sovrana è di sesso femminile. Ecco perché il faraone d’Egitto, giocando il ruolo del diavolo e perseguitando, nella razza d’Israele, l’immagine del popolo di Dio, disse ai suoi servi: Mettete a morte tutti i ragazzi, ma conservate le ragazze (Es, I, 16.). –  Questo figlio doveva governare le nazioni con una verga di ferro, perché le prime generazioni cristiane, grazie al prestigio della loro virtù, riuscirono ad imporre ai popoli barbari leggi così contrarie alla natura dell’uomo che nessun legislatore avrebbe potuto farle accettare, come, per esempio, il perdono delle ingiurie, l’amore dei nemici, la mortificazione dei desideri, ecc. La verga di ferro significa anche, in senso morale, il dominio rigoroso che le anime virili esercitano su tutto il popolo di sensazioni e sentimenti che sono pressanti nella parte inferiore di loro stessi. – E questo figlio fu portato a Dio e al suo trono, perché Gesù, dopo aver compiuto l’opera di redenzione, salì al Padre suo e si sedette sul suo trono per giudicare i vivi ed i morti. In senso morale, questo figlio è lo spirito dei Santi, che, una volta liberato dalla tirannia delle passioni, stabilisce la sua dimora in Dio e cerca in Lui la sua sicurezza e il suo riposo.

§ 3 – Il combattimento nel cielo.

La donna, però, per sfuggire al drago, fuggì nella sua solitudine, dove aveva un posto preparato da Dio: nel tempo delle persecuzioni, la Chiesa lasciando la pompa delle cerimonie e le manifestazioni esteriori del culto, si rifugia nel segreto dei cuori, dove Dio le ha preparato un posto, dove ha stabilito quei santuari intimi in cui Egli è adorato in spirito e verità. Allo stesso modo, è nel deserto, nella separazione dal mondo, nella spogliazione di tutte le cose, che le anime giuste cercano la loro protezione contro gli assalti del diavolo, e Dio, che le ha aspettate lì, viene poi a visitarle, come dice Egli stesso attraverso il suo profeta Osea: Lo condurrò nella solitudine, e parlerò al suo cuore (Os. II, 14). Lì gli angeli li nutrono con il pane della parola divina ed il vino della compunzione per milleduecentosessanta giorni, cioè per tre anni e mezzo, il tempo che la persecuzione dell’Anticristo, e per estensione tutte le persecuzioni, deve durare. Tuttavia, questa figura rappresenta anche, secondo la tradizione, il tempo che Nostro Signore ha dedicato alla predicazione della sua dottrina: San Giovanni intende qui dire che gli Angeli nutrono le anime, nella Chiesa, solo con il pane preparato da Nostro Signore durante il tempo in cui insegnava sulla terra. – E una grande battaglia fu combattuta in cielo: dopo l’Ascensione di Cristo, una battaglia feroce fu combattuta sulla terra per il possesso del cielo: La Chiesa, protetta da San Michele, dalle milizie celesti, ma anche dai suoi Pontefici, dai suoi Dottori, dai suoi Santi, che la Scrittura classifica qui tra gli Angeli, la Chiesa ha combattuto per conquistare, non gli imperi della terra, ma il regno dei cieli; E il diavolo lottò contro di lei con furore per conservare la sua egemonia, per mantenere il culto che allora riceveva dagli uomini, sotto la figura degli idoli, lui la cui massima ambizione è di rendersi simile all’Altissimo e di essere adorato come un dio (Is. , XIV, 13, 14.). La lotta fu combattuta nelle anime, e San Paolo vi allude chiaramente quando dichiara che non dobbiamo lottare solo contro la carne ed il sangue, ma contro i principati e le potestà e contro coloro che governano questo mondo oscuro, contro gli spiriti di iniquità, per il possesso dei beni celesti (Ephes. VI, 12.) .I demoni, tuttavia, non potettero prevalere, essi furono costretti a cedere alla nuova religione ed a rinunciare ad essere adorati dagli uomini. Il paganesimo scomparve dal mondo civilizzato, gli altari dei falsi dei furono ovunque abbattuti. E il grande drago fu abbattuto, nonostante il suo potere; nonostante la lunga esperienza che aveva acquisito, nel corso delle generazioni, dei migliori mezzi per tentare l’uomo, un’esperienza a cui la Scrittura si riferisce qui come: l’antico serpente; lo chiama ancora diavolo, parola che significa “doppio” e, quindi, ipocrita; oppure: satana, cioè l’avversario, il nemico ostinato della nostra salvezza, che inganna tutto l’universo, che riesce ad ingannare e a far peccare tutti gli uomini, anche i più santi. Tutto questo passaggio, il cui significato allegorico e morale abbiamo cercato di indicare brevemente, ha anche un «senso storico »: ricorda la grande battaglia che ebbe luogo in cielo quando Dio, dopo aver creato gli Angeli, li sottopose a una prova per vedere se il loro amore era sincero; questa prova consisteva, secondo l’opinione dei migliori teologi, nel mostrare loro la donna vestita di sole, cioè il mistero dell’incarnazione. Alcuni di loro si sottomisero immediatamente a tutti i desideri del loro Creatore; gli altri si ribellarono alla prospettiva di dover adorare un giorno un Dio fatto uomo. I primi, guidati da San Michele, resistettero valorosamente alle suggestioni di Lucifero, mentre il secondo, gettandosi nella ribellione, perse tutto lo splendore di cui Dio lo aveva rivestito. Divenuto un mostro d’orrore, riuscì tuttavia a trascinare giù la terza parte delle stelle, cioè la terza parte degli spiriti celesti; la prima parte comprendeva coloro che erano stati scelti per rimanere sempre vicini a Dio in cielo, e la seconda, quelli che accettarono di essere deputati agli uomini per servire come loro custodi.  Ma, fedeli al metodo dei Padri che raccomandano la sobrietà ai commentatori della Sacra Scrittura, ci accontenteremo di queste indicazioni e torneremo al senso allegorico, cioè alla profezia sulla storia della Chiesa.

§ 4 – Sconfitta del demonio.

Così il drago fu gettato a terra, e i suoi satelliti con lui. Scacciato dal cielo e dalle anime dei giusti, ha trovato posto solo nel cuore degli uomini sottomessi alle cose della terra. E si udì una grande voce nel cielo, voce di angeli che si rallegravano per la liberazione degli uomini, dicendo: « Ora la morte ha lasciato il posto alla speranza della salvezza, la corruzione alla virtù, il regno del peccato al regno di Dio, la tirannia del diavolo al potere di Cristo. Ecco, l’accusatore dei nostri fratelli è stato abbattuto. – Notate, a proposito, la tenerezza degli Angeli, che dicono: “I nostri fratelli”, quando parlano degli uomini. – Avendoli spinti al peccato con ogni mezzo, non cessò poi di accusarli davanti a Dio, giorno e notte, reclamandoli come sua porzione, in nome del decreto che condannava la loro razza alla morte (Coloss, II, 14). E i nostri fratelli lo hanno vinto, non per i loro propri meriti, ma per il sangue dell’Agnello, e per la testimonianza che hanno dato alla sua risurrezione, alla sua divinità; e perché non hanno amato questa vita presente fino alla perdita delle loro anime. Rallegratevi dunque, cieli, Angeli delle gerarchie superiori, e con voi tutti coloro che abitano tra di voi, cioè che vivono sotto la vostra protezione e ricevono la vostra luce. Rallegratevi che il diavolo e i suoi satelliti sono stati sconfitti. Guai, al contrario, alla terra e al mare; guai agli uomini attaccati solo alle cose di questo mondo e sempre agitati dalle loro passioni, come il mare dalle onde; guai, perché il demonio scende a voi pieno di rabbia, furioso per essere stato scacciato dai cuori degli eletti, consumato dal desiderio di fare del male e sapendo che il tempo che ha è breve. »

§ 5 – Nuovi assalti.

Il drago, in effetti, una volta gettato a terra, non rinunciò alla partita; inseguì la donna, che partorì un figlio maschio. Quando l’imperatore Costantino ebbe assicurato il trionfo del Cristianesimo adorando la croce, il diavolo, sentendo che il mondo stava per sfuggirgli, sollevò contro la Chiesa i grandi errori di Ario, Nestorio, Eutyche e gli altri. Si noti che egli perseguita la donna, non Cristo: questo è, infatti, un tratto comune a tutti gli eretici. Non chiedono ai loro seguaci di rinnegare Gesù Cristo, ma li separano dalla Chiesa Cattolica e rivolgono tutto il loro furore contro di essa. – La donna ricevette da Dio due grandi ali: la saggezza, che le permise di sventare gli argomenti degli eretici, e la pazienza, che rese inutili le loro persecuzioni. Grazie a queste ali, i difensori della fede poterono rifugiarsi nella solitudine, nel senso che abbiamo spiegato sopra, e nutrirsi lì al riparo dai morsi del serpente, per un tempo, e due tempi, e mezzo tempo, cioè tre anni e mezzo, la parola: tempo, avendo qui il valore di un anno. Questi tre anni e mezzo hanno lo stesso significato dei milleduecentosessanta giorni di cui si è parlato sopra. Il diavolo, non potendo raggiungere la donna che era fuggita, gettò acqua dietro di lei come un fiume; cioè, non potendo scuotere i Santi che servono da fondamento alla Chiesa, diffuse, per bocca degli empi, una dottrina simile in apparenza a quella cattolica; Ma invece del fiume d’acqua viva che scorre dal trono dell’Agnello e feconda tutta la Chiesa, questa era solo acqua putrida, acqua inerte, dottrina morta, sotto la quale cercava di sommergere il popolo fedele, per perderlo. – In senso morale, l’anima, sotto la pressione della persecuzione, genera un figlio maschio, Cristo stesso, che diventa presente in essa; le due ali che Dio le dà sono la devozione nella preghiera e la pazienza nella prova. Poi fuggì nel deserto, dove trovò riposo nella contemplazione. Ma il diavolo non la lascia a lungo in pace e la insegue di nuovo con le sue tentazioni; il fiume che le manda dietro è il ricordo dei piaceri mondani, per mezzo dei quali cerca di perderla. La terra, continua l’autore, venne in aiuto della donna. I principi della terra, seguendo Costantino, vennero in aiuto della Chiesa. I Vescovi, riuniti in concilio sotto la protezione degli imperatori, aprirono la “voragine” e assorbirono il fiume lanciato dal drago, condannando formalmente le teorie degli eretici. E il drago si irritò con la donna: non potendo trionfare sulla Chiesa nella sua dottrina, cercò di distruggerla nella sua morale; perciò andò a combattere contro il resto della sua progenie, contro la gente comune, contro coloro che non sono i perfetti, ma che osservano i comandamenti di Dio e testimoniano Gesù Cristo con una vita conforme al Vangelo. E stava sulla sabbia del mare; e sebbene non potesse vincerli tutti, stabilì il suo dominio sugli schiavi del mondo, su quelli che sono leggeri come la sabbia e agitati come le onde del mare.

SECONDA PARTE

LE DUE BESTIE

Capitolo XIII, – (1- 18)

“E vidi salire dal mare una besti, che aveva sette teste e dieci corna, e sopra le sue corna dieci diademi, e sopra le sue teste nomi di bestemmia. E la bestia che io vidi era simile al pardo, e i suoi piedi come piedi d’orso, e la sua bocca come bocca di leone. E il dragone le diede la sua forza e un grande potere. E vidi una delle sue teste come ferita a morte: ma la sua piaga mortale fu guarita. E tutta la terra con ammirazione seguì la bestia. É adorarono il dragone che diede potestà alla bestia: e adorarono la bestia, dicendo: Chi è simile alla bestia? E chi potrà combattere con essa? E le fu data una bocca che proferiva cose grandi e bestemmie: e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. E aprì la sua bocca in bestemmie contro Dio, a bestemmiare il suo nome, e il suo tabernacolo, e quelli che abitano nel cielo. E le fu dato di far guerra ai santi, e di vincerli. E le fu data potestà sopra ogni tribù, e popolo, e lingua, e nazione, e lei adorarono tutti quelli che abitano la terra: i nomi dei quali non sono scritti nel libro di vita dell’Agnello, il quale fu ucciso dal cominciamento del mondo. Chi ha orecchio, oda. Chi mena in schiavitù, andrà in schiavitù: chi uccide di spada, bisogna che sia ucciso di scada. Qui, sta la pazienza e la fede dei Santi. E vidi un’altra bestia che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelli dì un agnello, ma parlava come il dragone. Ed esercitava tutto il potere della prima bestia nel cospetto di essa: e fece sì che la terra e i suoi abitatori adorassero la prima bestia, la cui piaga mortale era stata guarita. E fece grandi prodigi sino a far anche scendere fuoco dal cielo sulla terra a vista degli uomini. E sedusse gli abitatori della terra mediante i prodigi che le fu dato di operare davanti alla bestia, dicendo agli abitatori della terra che facciano un’immagine della bestia, che fu piagata di spada e si riebbe. E le fu dato di dare spirito all’immagine della bestia, talché l’immagine della bestia ancora parli: e faccia sì che chiunque non adorerà l’immagine della bestia, sia messo a morte. E farà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi abbiano un carattere sulla loro mano destra, sulle loro fronti. E che nessuno possa comprare o vendere, eccetto chi ha il carattere, il nome della bestia, o il numero del suo nome. Qui è la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il nome della bestia. Poiché è numero d’uomo: e il suo numero è seicento sessanta sei.

§ 1. — La Bestia che sale dal mare.

Dopo una visione generale della guerra che il drago fa con la donna, cioè che il demonio conduce contro la Chiesa attraverso i secoli, San Giovanni arriva ora alla fase più acuta di questa lotta, ai temuti giorni in cui apparirà l’anticristo. E vidi –  dice – una bestia che usciva dal mare. L’Anticristo era già designato in questa forma nella terza visione, quando ci è stato mostrato il suo duello con Enoch ed Elia. È chiamato bestia e, più esattamente, bestia selvaggia, perché sarà la personificazione delle passioni più crudeli del genere umano; perché reciterà perpetuamente gli assalti dell’inferno contro la chiesa contro la ragione, perché sarà animato da istinti feroci verso tutti gli uomini. Si dice che sorgerà dal mare, cioè dall’amarezza del mondo, nel senso che sarà il prodotto più compiuto della perversione umana. L’apostolo continua: Aveva sette teste e dieci corna. In senso storico, le sette teste rappresentano i diversi principi che, durante le sette età del mondo, ne saranno stati i precursori nel cercare di distruggere il popolo di Dio: come, per esempio, Faraone d’Egitto, che diede ordine di massacrare senza pietà i bambini appena nati dei Giudei, Jezebel, che fece di tutto per sostituire il culto del vero Dio con quello di Baal, e fece massacrare i sacerdoti; Nabucodonosor, che pretese di sottomettere tutta la terra al suo dominio e di essere adorato come unico dio. Aman, che preparò lo sterminio generale degli ebrei; Antioco Epifane, che profanò il tempio e cercò di abolire la religione; Erode, che massacrò gli Innocenti; Nerone e quegli imperatori che perseguitarono i Cristiani. Tutti questi principi, e altri, sono come schizzi disegnati davanti ai nostri occhi da Dio stesso per darci un’idea di quello che sarà “il figlio della perdizione”; per aiutarci a riconoscerlo quando verrà, in modo da non essere spaventati o sedotti dal suo potere. In senso allegorico, le sette teste rappresentano i grandi di questo mondo che, piegati sotto la tirannia dei peccati capitali, diventeranno per questo stesso fatto i feudatari dell’Anticristo; le dieci corna rappresentano la moltitudine degli empi che disprezzano la volontà di Dio e trasgrediscono apertamente il decalogo. Essi costituiranno l’esercito dell’Anticristo e gli serviranno come difese naturali per scoraggiare i suoi nemici. I diademi di cui sono ornati simboleggiano le molte vittorie che vinceranno e gli onori di cui il loro capo li coprirà. I principi menzionati sopra in relazione alle sette teste non solo serviranno sotto il nemico di Dio; essi si uniranno al suo odio per il Salvatore, e le loro armi, i loro standard, i loro motti saranno bestemmie contro di Lui. Ora torniamo alla bestia stessa. Sarà, dice San Giovanni, come una pantera con i piedi di un orso e la bocca di un leone. Che cosa significa? La pantera si distingue tra le bestie per la sua ferocia e la sua necessità di muoversi costantemente. Come tale, esprime bene la malvagità dell’Anticristo e l’agitazione perpetua che lo porterà a nuovi crimini senza sosta. Il suo carattere sornione evoca l’ipocrisia del personaggio, e il suo manto maculato, con peli di tutte le sfumature, è la figura della sua dottrina, che sarà un assemblaggio di tutti i vizi e le eresie. L’orso si distingue sia per la sua crudeltà che per la sua avidità: non ha pietà per la sua vittima, che calpesta prima di divorarla; ed è estremamente avido di miele e di dolci: a sua somiglianza, l’Anticristo combinerà una sensualità effeminata con una ferocia che attaccherà persino i suoi nemici sconfitti. Infine, la sua bocca sarà come quella dei leoni, perché le sue parole saranno piene di orgoglio. – Inoltre, riceverà dal drago, cioè da satana, una forza e un potere singolari. Il diavolo, questa scimmia di Dio, come lo chiama Sant’Agostino, si sforza di imitare il Creatore in tutte le sue opere, per giocare lui stesso il ruolo di un dio. Egli cercherà quindi di ottenere nell’Anticristo qualcosa di paragonabile all’unione ipostatica, come esiste nella sacra persona di Nostro Signore. Non potendo generarlo direttamente lui stesso, né unire la propria natura di angelo caduto con la natura umana in un’unica ipostasi, cercherà almeno di attaccarsi a questo figlio del peccato il più strettamente possibile, fin dal grembo di sua madre; gli comunicherà tutta la sua perversità, tutto il suo genio del male, tutta la sua esperienza millenaria, e metterà a sua disposizione tutto il potere che Dio ha lasciato a se stesso dalla sua caduta. Gli darà così la possibilità di fare, non dei veri miracoli, – perché questi richiedono un potere che appartiene solo a Dio, – ma almeno cose sorprendenti che sono al di là della portata della forza umana e che provocheranno l’entusiasmo delle folle. È così che, per esempio, l’Anticristo potrà simulare, successivamente, la morte e poi la resurrezione, ad immagine del Salvatore. Ciò che San Giovanni esprime qui dicendo: « E vidi una delle teste della bestia, cioè la testa che comanda tutte le altre, la testa delle sette teste menzionate sopra, cioè l’Anticristo stesso, come messa a morte. Notiamo che dice: “come se fosse messo a morte”, e non semplicemente: “messo a morte”, perché questo non sarebbe altro che un grossolano inganno. Dopo tre giorni, fingerà di riacquistare i sensi e dirà di essere risorto. Ma manterrà visibile la cicatrice del colpo che si suppone lo abbia ucciso, per imitare Cristo che conserva sul suo corpo le stigmate della sua Passione. La finzione sarà così ben realizzata che il mondo intero, cioè tutti gli uomini carnali, grideranno al miracolo, saranno pieni di ammirazione per la Bestia e si metteranno tra i suoi sostenitori. Lo ricopriranno di ogni sorta di onori, e questa adulazione andrà fino al diavolo, di cui l’Anticristo sarà il servo, e dal quale attingerà tutto il suo potere. E lo loderanno con abbondanza e lo adoreranno come un dio, dicendo: “Chi è simile alla bestia e chi potrà combattere contro di lei? Perché mai un uomo ha trionfato come lui, né ha posseduto un potere così grande come lui. L’orgoglio dell’Anticristo raggiungerà proporzioni sproporzionate davanti a questo incenso che salirà verso di lui da tutte le parti: allora gli sarà data una bocca che dirà grandi cose; allora si sentirà lodare e glorificare se stesso senza alcun ritegno, mentre impudentemente bestemmierà il nome di Gesù Cristo. E così sarà per quarantadue mesi, cioè per tre anni e mezzo. Non è senza ragione che l’autore sacro ripete spesso questa figura: vuole farci capire che i giorni dell’Anticristo sono rigorosamente contati affinché gli uomini di quel tempo non perdano la testa davanti a successi, stupefacenti senza dubbio, ma che saranno effimeri; affinché un folle errore non li spinga a prendere posto tra gli adoratori di un dio che deve crollare tristemente alla fine di un tempo così breve! – L’Anticristo, tuttavia, ebbro di orgoglio, non cesserà più di vomitare bestemmie; sosterrà che Gesù era solo un impostore, un servo del diavolo, e affermerà che lui stesso è il figlio di Dio mandato da Lui nel mondo. Insulterà il suo tabernacolo, cioè la Chiesa cattolica, e coloro che abitano in cielo, assicurando che gli Apostoli, i Martiri e tutti i Santi canonizzati non erano che ministri di satana ed erano perduti per sempre. Egli intraprenderà una dura lotta per distruggere tutto ciò che resiste alla sua autorità; dichiarerà guerra in particolare ai santi, cioè ai cristiani, e, con il permesso divino, li sconfiggerà, – corporalmente cioè – facendoli perire in crudeli tormenti e costringendo tutta la vita della Chiesa a nascondersi sottoterra, come ai tempi delle catacombe. Con l’aiuto del diavolo, riuscirà ad estendere il suo impero sugli uomini di ogni tribù, nazione, lingua e razza, come se la profezia messianica di Daniele si realizzasse in lui: Tutti i popoli, tutte le tribù, tutte le lingue lo serviranno. Il suo potere sarà un potere eterno, che non gli sarà tolto, e il suo regno non sarà distrutto (Dan. VII, 14). Così, Egli diventerà padrone di tutto l’universo; e tutti i servi del mondo saranno nella sua completa devozione, tutti coloro che non vivono nell’attesa del bene eterno e i cui nomi non sono scritti nel Libro della Vita. Perché questi non sono redenti dal sangue dell’Agnello, che è stato ucciso fin dall’inizio del mondo. Queste ultime parole significano che, fin dalla creazione, gli uomini potevano essere salvati solo dalla morte di Cristo. Fu solo in previsione dei meriti infiniti di Suo Figlio che moriva sulla croce che Dio, anche prima del compimento della Redenzione, che ebbe pietà di loro. Queste parole vogliono anche ricordarci che, dalle origini dell’umanità, dal tempo di Abele e Caino, i giusti, che costituiscono il Corpo Mistico di Cristo, erano destinati alla persecuzione e al martirio. E sarà così fino alla fine dei tempi. Perciò, non stupiamoci quando vediamo lo scatenarsi della furia dell’Anticristo; non lasciamoci sgomentare dal successo travolgente delle sue imprese. Lui e i suoi seguaci pagheranno caro il loro momentaneo trionfo. Se le nostre orecchie non sono chiuse alle cose spirituali, ascoltiamo piuttosto ciò che dice l’Apostolo: Colui che ha ridotto altri in cattività sarà ridotto in cattività a sua volta; colui che ha lavorato per mettere altri sotto il giogo del peccato e del diavolo si troverà improvvisamente preso nella morsa di fuoco della dannazione eterna; colui che ha fatto perire altri con la spada, che sia la morte naturale o quella spirituale, perirà a sua volta, ma con la seconda morte, quella che non ha fine. Così, non ci siano dubbi, le ingiustizie, le persecuzioni, i trionfi dei malvagi sono permessi da Dio su questa terra solo per il bene dei suoi eletti. – Infatti, è di fronte a queste prove e sotto la loro influenza che la pazienza e la fede dei santi si manifestano veramente. Molti uomini quaggiù si credono giusti, perché vivono onestamente finché tutto è prospero per loro; ma quando arrivano le avversità, la loro apparente virtù si scioglie come cera al sole, ed è allora chiaro che servivano Dio solo per i vantaggi che trovavano nella pratica della pietà.

§ 2 – La Bestia che sale dalla terra.

E vidi – continua San Giovanni – un’altra bestia che saliva dalla terra. Questo secondo mostro, che appare qui dopo il primo, rappresenta il gruppo di uomini che diventeranno gli apostoli dell’Anticristo e metteranno al suo servizio tutte le risorse della loro intelligenza, della loro eloquenza e dei loro talenti. La prima bestia sorse dal fondo del mare, e fu formata e crebbe, per così dire, per il solo fatto della sua fondamentale perversità; ma la seconda bestia sorgerà dalla terra, nel senso che sarà generata soprattutto dal desiderio degli individui che ne saranno membri di assicurarsi gloria, onori, ricchezze e piaceri sposando la causa dell’Anticristo. Avrà due corna simili alle corna dell’Agnello. Le due corna dell’Agnello sono, da un lato, la sublime dottrina e, dall’altro, la splendente santità per mezzo della quale il divino Salvatore ha vinto il mondo. A sua imitazione, i seguaci della Bestia predicheranno una dottrina seducente e simuleranno un’alta virtù: con ciò, trionferanno sulle resistenze che cercheranno di opporsi alla loro azione. Parleranno come il drago, bestemmiando come il diavolo stesso, e parleranno con orgoglio e ipocrisia. Essi faranno opere straordinarie come la prima Bestia, perché quest’ultima comunicherà loro il suo potere. Ma come i Dodici operavano miracoli solo in nome di Gesù Cristo e solo per la gloria del loro Maestro, così questi pseudo-apostoli agiranno sempre in presenza della Bestia, cioè nel suo nome e nel suo interesse. Essi condurranno la terra e coloro che ne sono schiavi, ad adorare la Bestia, proclamando ovunque che egli ha trionfato sulla morte, che è risorto dai morti. Essi compiranno prodigi sorprendenti, come, per esempio, far scendere un fuoco dal cielo, sempre per copiare gli apostoli che chiamavano lo Spirito Santo sui primi fedeli in questa forma sensibile. Questo fenomeno non supera d’altronde il potere del diavolo, come la Scrittura insegna espressamente a proposito di Giobbe, le cui greggi satana ha così distrutto.  I segni compiuti dai protagonisti dell’Anticristo raduneranno alla sua causa tutti gli uomini che vivono sotto la schiavitù della carne. Sarà loro ordinato di fare un’immagine della Bestia, che porta sul suo corpo il marchio del colpo che l’ha uccisa e da cui è risorta. Così il figlio della perdizione, come lo chiama San Paolo, si sforzerà di contraffare Cristo in ogni cosa: come il nostro Salvatore è rappresentato in immagini con le cinque piaghe che Egli volle conservare nella Sua sacra carne per richiamarle incessantemente al nostro amore, così l’Anticristo proporrà alla venerazione degli uomini il suo ritratto, nel quale si vedranno i segni della ferita dalla quale pretenderà di essere morto. Tutti saranno invitati a esporre immagini o statue di lui in questo modo. E queste immagini, la seconda Bestia, cioè la banda di predicatori dell’Anticristo, avrà il potere di animarle, di farle parlare e di sterminare chiunque si rifiuti di adorarle. Ciò significa che, su invito di questi maestri dell’inganno, il diavolo stesso darà una parvenza di vita alle statue dell’Anticristo e parlerà attraverso la loro bocca. Infine, questi stessi profeti della menzogna faranno indossare a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, il carattere della Bestia, – qualcosa come una croce uncinata, – o sulla mano destra o sulla fronte, per marcare che tutti dovranno comportarsi come la Bestia, e confessarla senza arrossire. Nessuno potrà comprare o vendere, nessuno avrà il diritto di esercitare alcun commercio o compiere alcun atto civile se non porta ben visibile il carattere della Bestia, o il suo nome, o il numero del suo nome. – Tutti i dettagli precedenti possono anche essere intesi in senso figurato: gli uomini dovranno farsi un’immagine della Bestia, cioè dovranno modellare la loro condotta sulla sua, come i Cristiani si sforzano di imitare Cristo Gesù in tutto. La seconda Bestia avrà il potere di far parlare le immagini della prima: vale a dire che i predicatori dell’Anticristo potranno, con l’aiuto del diavolo, provocare in se stessi o nei seguaci della Bestia ispirazioni e trasporti analoghi ai carismi che hanno colto i fedeli nei primi tempi della Chiesa. Infine, nell’obbligo imposto a tutti gli uomini di ricevere il carattere della Bestia, o il suo nome, o il numero del suo nome, dobbiamo vedere una parodia del battesimo: i seguaci dell’Anticristo dovranno sottoporsi a qualche rito, che dovrà imprimere su di loro, con tratti indelebili, l’appartenenza al loro padrone; come noi riceviamo al Battesimo il nome di figli di Dio, e anche il numero di questo nome, quando siamo firmati con il numero sacro della Santa Trinità, dei Tre che sono Uno, quando siamo segnati con il nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. – Allora la situazione dei Cristiani diventerà estremamente critica. Essi saranno cacciati, denunciati, messi al bando, e questo su tutta la superficie della terra. In questa prova, però, non devono pensare di essere abbandonati da Dio e sprofondare nella disperazione. Più che mai sarà necessario regolare la propria condotta, non in base alle impressioni del momento, ma in base ai consigli della saggezza. Ora, in questo caso, ecco in cosa consisterà la vera saggezza: chi ha intelletto – e quest’ultima parola deve essere presa qui nel suo senso etimologico, intus legere, leggere dentro – chi sa considerare la profondità delle cose senza fermarsi alle apparenze, calcoli il numero della Bestia. E vedrà chiaramente che questo numero non è il numero di un dio, né il numero di un angelo, ma che è il numero di un uomo, e che questo numero è 666.

§ 3 – Il numero della bestia.

Qui arriviamo ad uno dei punti più oscuri dell’Apocalisse, e uno di quelli che hanno più esercitato la sagacia degli studiosi. Se il lettore avrà la pazienza di seguirci, speriamo tuttavia di aiutarlo, non certo a scoprire i dettagli del tempo della fine del mondo, ma a capire prima il significato letterale di questo passaggio, e poi la lezione morale che si cela dietro di esso. L’Apocalisse fu originariamente scritta in greco. In questa lingua, i numeri sono espressi, come in latino, non da segni speciali, ma dalle lettere dell’alfabeto: così α (alfa) significa 1,   β (beta) significa 2, ι (iota) rappresenta 10; κ (cappa), 20, ecc. Stando così le cose, è sufficiente trovare il nome della Bestia cercando le parole le cui lettere sommate danno il totale di 666. Tra i molteplici nomi che si ottengono in questo modo, ce ne sono tre che tutti i Padri o Dottori hanno conservato, e sui quali l’unanimità della tradizione è piamente raggiunta. Questi sono quelli di: Tειτάν (teitan), che significa gigante; Αντἴμος (antimos), che significa onore contrario; e il verbo ‘ᾈρvoῡμαι  (arnoumai), nego. Gli autori hanno fatto lo stesso lavoro sul testo latino, e qui l’unica parola che ha incontrato la loro approvazione è quella di: Diclux, che interpretano come: Dic me esse lucem veram (dici che sono io la vera luce). Questo nome, notiamo di passaggio, conferisce un interesse particolare alla formula che la croce di San Benedetto porta sui suoi rami: Crux sancta sit mihi lux, non Draco sit mihi dux (Che la santa croce sia la mia luce; che il drago non sia il mio capo). Il nostro Beato Padre conosceva i piani del Principe delle Tenebre, sul quale aveva ricevuto un potere speciale. Questi disegni, che si manifesteranno alla piena luce del giorno, al tempo del regno dell’Anticristo, stanno operando in sordina in tutta la storia del mondo, e con molti secoli di anticipo, San Benedetto, per contrastarli, ha messo nelle nostre mani un segno che è, a nostra insaputa, una professione di fede contro il motto della Bestia. Così l’Anticristo porterà un nome, il cui significato sarà: il gigante, l’onore contrario, la negazione, o: Dite che io sono la luce. Qui la nostra interpretazione letterale deve fermarsi: i commentatori che hanno voluto leggere più precisamente in queste lettere misteriose, e hanno preteso di scoprire in esse i nomi di Tito, Traiano, Cesare, Nerone, Diocleziano, Maometto, o altri più vicini a noi, sono entrati nell’ambito della libera fantasia; essi sono usciti dal sentiero segnato dalla tradizione autentica, che è necessario, tuttavia, seguire passo dopo passo per non smarrirsi su un argomento così difficile. L’Anticristo deve venire alla fine dei tempi: è vano cercare di riconoscerlo in questo o quel personaggio dei secoli passati. Come può ora la saggezza consistere nel capire che il numero dell’Anticristo è il numero di un uomo, e che questo numero è 666? Questo servo del diavolo, come abbiamo visto, farà ogni sorta di prodigi. Farà scendere il fuoco dal cielo e parlerà alle statue; trionferà su tutti i suoi nemici e li consegnerà alla morte; in tutte le sue imprese, riuscirà con una felicità che gli permetterà di affermare che “Dio è con lui”, che è il suo luogotenente, il suo inviato, il suo profeta; e gli uomini la cui mente non è guidata dallo Spirito Santo, ingannati da successi così eclatanti, gli crederanno davvero. Ma tali segni sono davvero il marchio del vero Dio? Il nostro Signore ha mai fatto una cosa del genere? Ha fatto scendere il fuoco dal cielo quando i suoi discepoli glielo hanno chiesto? Ha forse acconsentito a fare prodigi nell’aria o sulla terra, quando i farisei o Erode lo hanno invitato a farlo? Ha usato il Suo potere per assicurarsi la gloria e l’onore tra gli uomini? Ha inseguito e fatto perire i suoi nemici, Egli che ha costretto San Pietro a rimettere nel fodero la spada che aveva estratto per difenderlo, e che, inchiodato alla croce, intercedeva ancora per i suoi carnefici: « Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno »? – Al contrario, Egli ha fatto miracoli solo per alleviare altri uomini; si è mostrato nell’abbigliamento il più modesto, ha vissuto nella povertà più grande, non ha cercato altro trionfo che quello del Calvario, e non ha versato altro sangue che il suo. Ma anche davanti a tanta dolcezza, tanta pazienza, tanta bontà, il cuore dell’uomo, quando non era completamente indurito dall’odio, era costretto a riconoscere la presenza della Verità e a confessare, come il centurione che Lo vide spirare, che Egli era veramente il Figlio di Dio. – Al contrario, davanti agli atti dell’Anticristo, chiunque ascolti la voce della sua coscienza sarà costretto a convenire con se stesso che ha davanti agli occhi solo un uomo, e non un Dio; un uomo segnato dalle stimmate del peccato, schiavo delle passioni più crudeli; Un uomo della razza dei giganti, senza dubbio, ma di quei giganti d’orgoglio che pretendono di scalare i cieli e detronizzare Dio; un uomo che merita il nome di Antimos, cioè Onore Contrario, perché cerca di deviare a proprio profitto un onore, una gloria, un’adorazione che appartengono solo al Creatore; un uomo che sarebbe ben chiamato: Negazione, perché la sua dottrina sa solo contraddire le verità insegnate dalla Chiesa, senza essere in grado di costruire nulla di positivo; un uomo, infine, che non è la luce, e tuttavia vuole costringere tutti gli uomini per tale, e dire che lui è la luce. Questo è il senso in cui la vera saggezza consisterà nel riconoscere che il nome Bestia è un nome di uomo. Ma perché questo numero è ora il 666? Qui dobbiamo entrare per un momento nel campo particolarmente oscuro e difficile della mistica dei numeri. Secondo la Genesi, Dio creò il mondo in sei giorni. Alla sera del sesto giorno, l’intero universo era uscito dalle sue mani; tutti gli esseri che dovevano servire da principio per le specie viventi erano venuti alla luce; non c’era più nulla da trarre dal nulla; eppure l’opera non era finita. Per renderlo perfetto, Dio ha dovuto aggiungere il settimo giorno, il sabato, che porta la sua benedizione, che è il suo giorno e il coronamento degli altri sei. Questo era un modo velato di farci capire che la creatura non è venuta nel mondo per rimanere limitata al lavoro dei sei giorni, o, in linguaggio mistico, per rimanere racchiusa nel numero sei; al contrario, deve tendere ad uscirne e cercare il suo riposo, la sua armonia, il suo equilibrio, il suo compimento, la sua perfezione nel settimo giorno, nel giorno del Signore, che è come la fine della creazione e il fine verso cui tende, in questo sabato, che simboleggia la pace eterna e sovranamente benedetta di Dio, una pace alla quale Egli farà partecipare coloro che hanno compiuto fedelmente il lavoro della vita presente. In questo senso, il sei diventa il numero della creatura, in quanto imperfetta; il sette, al contrario, è il numero del Creatore e della perfezione: ecco perché, come abbiamo già visto, questo numero è anche quello dell’Agnello. Ora, davanti alle opere dell’Anticristo, davanti allo spettacolo di quest’uomo ebbro del suo potere, desideroso di un dominio universale, sempre pronto a glorificarsi e pieno di furia selvaggia contro i suoi nemici, la vera saggezza, quella che permetterà ai giusti di salvarsi, consisterà nel comprendere che nulla di ciò che fa tende alla pace del Signore; che tutta la sua potenza, tutta la sua conoscenza, tutto il suo splendore, tutta la sua gloria non esce dall’ordine creato e dal dominio della pura creatura. Per quanto moltiplichi le sue opere, le decuplichi, le centuplichi, per quanto si impegni, per quanto gonfi ed espanda il suo numero sei, il suo numero creaturale, fino a farlo diventare 666, non potrà uscire da questo numero imperfetto, e né lui né coloro che seguono le sue orme entreranno mai nel riposo del Signore.

TERZA PARTE

L’AGNELLO E LA SUA GIUSTIZIA

Capitolo XIV. – (1-20)

“E vidi: ed ecco l’Agnello che stava sul monte di Sion, e con lui cento quarantaquattro mila persone, le quali avevano scritto sulle loro fronti il suo nome e il nome del suo Padre. E udii una voce dal cielo, come rumore di molte acque, e come rumore di gran tuono: e la voce, che udii, era come di citaristi che suonino le loro cetre. E cantavano come un nuovo cantico dinanzi al trono e dinanzi ai quattro animali e ai seniori: e nessuno poteva dire quel cantico, se non quei cento quarantaquattro mila, i quali furono comperati di sopra la terra. Costoro sono quelli che non si sono macchiati con donne: poiché sono vergini. Costoro seguono l’Agnello dovunque vada. Costoro furono comperati di tra gli uomini primizie a Dio e all’Agnello, e non si è trovata menzogna nella loro bocca: poiché sono scevri di macchia dinanzi al trono di Dio. E vidi un altro Angelo, che volava per mezzo il cielo, e aveva il Vangelo eterno, affine di evangelizzare gli abitatori della terra, e ogni nazione, e tribù, e lingua, e popolo: e diceva ad alta voce: Temete Dio, e dategli onore, perché è giunto il tempo del suo giudizio: e adorate colui che fece il cielo, e la terra, il mare, e le fonti delle acque. E seguì un altro Angelo dicendo: È caduta, è caduta quella gran Babilonia, la quale ha abbeverato tutte le genti col vino dell’ira della sua fornicazione. E dopo quelli venne un terzo Angelo dicendo ad alta voce: Se alcuno adora la bestia e la sua immagine, e riceve il carattere sulla sua fronte, o sulla sua mano: anch’egli berrà del vino dell’ira di Dio, versato puro nel calice della sua ira, e sarà tormentato con fuoco e zolfo nel cospetto dei santi Angeli, e nel cospetto dell’Agnello: e il fumo dei loro tormenti si alzerà nei secoli dei secoli: e non hanno riposo né dì, né notte coloro che adorarono la bestia e la sua immagine, e chi avrà ricevuto il carattere del suo nome. Qui sta la pazienza dei santi, i quali osservano i precetti di Dio e la fede di Gesù. E udii una voce dal cielo che mi diceva: Scrivi: Beati i morti, che muoiono nel Signore. Già fin d’ora dice Io Spirito, che si riposino dalle loro fatiche: poiché vanno dietro ad essi le loro opere. E vidi: ed ecco una candida nuvola, e sopra la nuvola uno che sedeva simile al Figliuolo dell’uomo, il quale aveva sulla sua testa una corona d’oro, e nella sua mano una falce tagliente. E un altro Angelo uscì dal tempio gridando ad alta voce a colui che sedeva sopra la nuvola: Gira la tua falce, e mieti, perché è giunta l’ora di mietere, mentre la messe della terra è secca. E colui che sedeva sulla nuvola, menò in giro la sua falce sulla terra, e fu mietuta la terra. E un altro Angelo uscì dal tempio, che è nel cielo, avendo anch’egli una falce tagliente. E un altro Angelo uscì dall’altare, il quale aveva potere sopra il fuoco: e gridò ad alta voce a quello che aveva la falce tagliente, dicendo: Mena la tua falce tagliente, e vendemmia i grappoli della vigna della terra: poiché le sue uve sono mature. E l’Angelo menò la sua falce tagliente sopra la terra, e vendemmiò la vigna della terra, e gettò (la vendemmia) nel grande lago dell’ira di Dio: e il lago fu pigiato fuori della città, e dal lago uscì sangue fino ai freni dei cavalli per mille seicento stadi.”

§ 1. — I cento quaranta-quattro mila Vergini.

Dopo aver descritto profeticamente la persecuzione dell’Anticristo, San Giovanni, per rafforzarci contro questa temuta eventualità, darà ora una breve descrizione dell’aiuto che il Salvatore e i suoi Santi porteranno allora ai fedeli. Io vidi – dice – ed ecco che l’Agnello era in piedi sul monte di Sion. L’Agnello si riferisce senza dubbio a Cristo stesso, modello di pazienza e di dolcezza, che si lasciò condurre alla morte senza la minima resistenza, come testimoniano tutta la tradizione e la liturgia della Chiesa. Tuttavia Egli sta in piedi, nell’atteggiamento di un uomo che lavora o combatte, e sta sul monte Sion, cioè nella Chiesa, che si erge sopra la terra come una montagna, sulla cui sommità si trova la Città Santa, la Gerusalemme celeste. Infatti Cristo, come abbiamo già detto, opera solo nella Chiesa, ed è inutile cercarlo al di fuori di essa. Intorno a Lui si accalcava la folla innumerevole di coloro che portano il suo Nome ed il Nome del Padre suo, cioè il titolo di Cristiani ed il nome di figli di Dio, che lo portano autenticamente, inciso sulla loro fronte, a lettere indelebili, dal sacramento del Battesimo e con la ferma determinazione con cui nulla devono preferire all’amore di Gesù Cristo. – Da questa massa proveniva una voce, terribile come il rumore di grandi acque o il fragore di un tuono, e dolce allo stesso tempo come il suono dei citaredi quando suonano sulle loro cetre. Questa voce è quella dei Santi nella loro predicazione: una voce terrificante, per le sue continue allusioni al rigore dei giudizi divini; e tuttavia piena di affettuosa tenerezza, perché proviene da cuori infiammati dalla carità. La cetra è la figura della croce: le sue corde secche, tese strettamente sul ripiano di legno, e che rispondono con suoni melodiosi quando la mano del musicista le tocca, simboleggiano Cristo, teso strettamente sulla sua croce, proferendo solo parole d’amore sotto gli oltraggi e i tormenti inflitti. I suonatori di cetra sono i predicatori, che, come San Paolo, non conoscono altro che Cristo, e Cristo crocifisso (I Cor., II, 2). Ma essi suonano la cetra sulle loro cetre: cioè non si accontentano di evocare in termini commoventi le sofferenze del loro Maestro. Si mortificano, crocifiggono la propria carne con i suoi vizi e concupiscenze (Galati, V, 24), passano, come l’Apostolo, attraverso il crogiolo della persecuzione, diventano croci viventi; ed è questo che dà alle loro parole un’unzione, una dolcezza che l’eloquenza e il talento sono incapaci di imitare. Ma mentre si “incetrano” in questo modo, nel mortificano, cantano. La loro vita è illuminata dalla gioia, dalla purezza e dalla speranza. Cantano il canto nuovo, quello che l’Antico Testamento non conosceva, e che Cristo è venuto a rivelare alla terra: il canto di un amore che si rinnova sempre senza mai conoscere declino, stanchezza o assuefazione. Notiamo, tuttavia, che essi cantavano non “il” nuovo canto, ma “come” un nuovo canto, sottintendendo l’autore che il vero canto, il canto autentico e completo, risuonerà solo dopo la resurrezione finale, quando gli eletti avranno recuperato, con i loro corpi, l’integrità della loro natura. – E nessun altro poteva dire questo meraviglioso canto, se non quei centoquarantaquattromila, che rappresentavano tutti coloro che il sangue di Cristo ha redento da questo mondo, tutti coloro che i meriti del loro Salvatore hanno strappato dalla tirannia della carne, dalla schiavitù della concupiscenza, e che sono saliti, attraverso la castità, ad uno stato al di sopra della natura. Questi sono la porzione eletta del popolo di Dio, il coro dei vergini, per cui San Giovanni, essendo egli stesso l’Apostolo vergine, ebbe rivelazioni speciali. È a loro, a questi eunuchi spirituali, per parlare la lingua del Vangelo, che Dio disse profeticamente, per bocca di Isaia: “A coloro che hanno osservato le mie solennità, che hanno fatto ciò che ho voluto e hanno mantenuto la mia alleanza, io darò posto nella mia casa e tra le mie mura. E darò loro un nome migliore che se avessero avuto figli e figlie; darò loro un nome che non perderà (LVI, 4). Solo chi è puro può cantare il canto dell’Agnello, perché la castità fa nascere una gioia interiore che è impossibile conoscere senza di essa; perché dà più forza per predicare, per correggere, per consolare, per parlare di Dio. È San Paolo che ce lo insegna, quando scrive: « Chi non è sposato rivolge la sua attenzione alle cose del Signore, cercando di piacere a Dio; chi è sposato si dedica alle cose del mondo, cercando di piacere a sua moglie, ed è diviso » (I Cor., VII, 3a.). Quindi, coloro che non hanno contaminato i loro corpi e che sono vergini hanno il privilegio di seguire l’Agnello ovunque vada. Cosa significa questo? – Non si tratta di un movimento fisico attraverso gli spazi infiniti dell’empireo, come si può facilmente immaginare. Seguire l’Agnello ovunque Egli vada è seguirlo nello stretto sentiero della rinuncia assoluta; è camminare dietro di Lui nella notte della fede, accettando senza discutere tutti i dogmi che enuncia, tutti i misteri che impone alla ragione. Quelli invece che non seguivano l’Agnello ovunque andasse, che dopo avergli sentito dire che dovevano mangiare la sua carne e bere il suo sangue, mormoravano tra di loro: “Ecco, questa è una parola dura, e chi la può ascoltare? – E molti – aggiunge il Vangelo – se ne andarono e non camminarono più con lui; abbandonarono l’Agnello, essendo la loro fede troppo debole per seguirlo fino alla fine del suo corso. San Pietro, invece, e i discepoli fedeli continuarono a stringersi più vicino: « Signore – dissero – da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna » (Jo., VI, 61, 67, 69). Lo seguivano nel tunnel della fede, e dovevano seguirlo fino alle altezze della carità, il giorno in cui, come Lui, avrebbero dato il loro sangue per la conversione dei loro fratelli e per la salvezza dei loro nemici. Questi – continua San Giovanni – erano separati dagli altri uomini. Essi furono scelti e messi da parte, come si mettono da parte i migliori frutti di un frutteto, per essere offerti come primizie a Dio e all’Agnello. Nessuna menzogna è stata trovata nella loro bocca, perché hanno sempre confessato la verità e aderito con tutto il loro essere alla dottrina cattolica; sono senza macchia davanti al trono di Dio, perché hanno evitato il peccato come meglio potevano, sforzandosi di mantenersi costantemente alla presenza del loro Creatore. Essi formano quella truppa scelta che Dio tiene sempre per sé sulla terra, e che costituisce il nucleo della sua Chiesa attraverso le generazioni, e la cui esistenza fu rivelata al profeta Elia quando gli si disse: « Ho tenuto per me settemila uomini che non si sono inginocchiati a Baal. » (Rom. XI, 4 – III Reg., XIX, 18). Possiamo concludere da questo passaggio che la verginità avrà la precedenza su tutte le altre virtù nella vita eterna? – No: è essenzialmente la carità che servirà da fondamento alla gerarchia degli eletti, e la verginità, di per sé, non meriterà che un aureola, cioè una ricompensa accidentale, come la pazienza dei martiri o l’insegnamento dei dottori. Ma la virtù di cui l’autore sacro vuole parlare qui è piuttosto la purezza del cuore che la castità del corpo. Come non basta mantenere la continenza per essere un santo, così, al contrario, non c’è dubbio che ci sono uomini tra i Santi, e tra i più grandi, che hanno vissuto sotto la legge del matrimonio; solo che, anche in questo stato, il loro cuore aderiva a Dio solo. Lo consideravano come il vero Sposo delle loro anime, cercavano di piacere solo a Lui, e la purezza del loro amore permette loro di essere tra i vergini, intendendo questa parola in senso lato.

§ 2 – La punizione di Babilonia

Abbiamo appena visto che Cristo e i suoi Santi sono pronti a combattere per noi dalla montagna. Non temiamo dunque le persecuzioni a venire, tanto più che il resto della narrazione ci mostrerà la rovina dei nostri nemici come imminente e terribile. L’autore sacro presenta quattro Angeli, che rappresentano tutti i predicatori del Vangelo, e la cui azione si oppone a quella degli araldi dell’Anticristo, rappresentati nel capitolo precedente dalla seconda Bestia. Questi avevano ordinato agli uomini di adorare la Bestia, di riprodurre la sua immagine e di indossare il suo carattere: i predicatori stanno per ricordare loro la necessità di adorare solo Dio, e di mostrare le spaventose punizioni che attendono i seguaci dell’Anticristo. Il primo Angelo apparve dunque, portando con sé il Vangelo eterno, che nessun errore può oscurare, che nessuna persecuzione può distruggere; volò in mezzo al cielo, perché nulla può fermare la diffusione della dottrina cristiana; e si fece sentire, se non da tutti gli uomini, almeno da coloro che sono capaci di desiderare i beni eterni e quindi di vivere come sopra la terra, superiori a tutte le distinzioni di razza, tribù, lingua e popolo: infatti sanno che queste separazioni tra gli esseri umani hanno valore solo per il mondo presente, e che in cielo non ci sarà che un solo gregge e un solo Pastore. Notiamo, di passaggio, che questo testo contiene una condanna formale delle dottrine razziste. E questo Angelo gridò a gran voce: “Temete il Signore, o uomini, e non l’ira della bestia“.È a Lui, e a Lui solo, che dovete rendere l’omaggio che gli spetta, perché ecco, l’ora del suo giudizio sta arrivando: presto, se non vi affrettate, sarà troppo tardi. E adoratelo con tutta la vigilanza, tutto il rispetto, tutto il raccoglimento di cui siete capaci, perché è Lui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le sorgenti delle acque. “Infatti, Dio ha creato tutte queste cose in senso letterale. Inteso nel suo senso morale, questo passaggio ci ricorda anche la nostra totale dipendenza da Lui: il cielo designa la parte superiore della nostra anima, fatta per vivere la vita degli Angeli; la terra, il nostro corpo di carne, con i suoi istinti più bassi; il mare, le tribolazioni che la vita presente ci porta. Ma accanto ad esse ci sono le sorgenti d’acqua, cioè le grazie che la misericordia divina ha posto ovunque, per lavare la nostra anima dalle sue contaminazioni, per spegnere l’ardore della concupiscenza, per placare la sete del nostro cuore.E un altro Angelo seguì il primo, dicendo: “Non lasciatevi sedurre dalla Bestia, non correte verso la città del male, che è la sua metropoli. Anche se vi appare in tutto il suo splendore, essa è così vicino alla rovina che si può già dire che sia caduta. È caduta, questa grande Babilonia, con i suoi vizi, i suoi idoli, le sue vanità di ogni genere. È già caduta sotto l’azione della sua stessa putredine, e sprofonderà nell’abisso dell’inferno nel giorno del giudizio, essa che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino dell’ira della sua fornicazione. “Il vino designa qui la concupiscenza, che, infiammandosi, inebria l’uomo, gli fa perdere l’uso della ragione e lo spinge a tutti i peccati. Ora, il peccato costituisce una fornicazione dell’anima: questa, commettendolo, abbandona il suo legittimo Sposo per correre dietro alla creatura e provoca così l’irritazione di Colui che tradisce. Ecco perché questo vino è chiamato il vino dell’ira della sua fornicazione. Ora viene il terzo Angelo, e questo è ciò che dice: « Se qualcuno adora la Bestia o la sua immagine, se ha ricevuto il suo carattere sulla fronte o sulla mano, cioè se ha confessato pubblicamente la sua fede in lui, o se lo ha imitato nei suoi crimini, anch’egli berrà del vino dell’ira di Dio, che è mescolato con vino puro nel calice della sua ira. » Questo passaggio è molto difficile da capire. La migliore interpretazione sembra essere la seguente: quaggiù, i castighi che Dio ci manda sono strettamente misurati nel calice che prepara per ognuno di noi, in proporzione alle nostre colpe, sotto l’azione dell’ira che i nostri peccati gli ispirano; e la feccia, cioè l’amarezza della sofferenza che questi castighi provocano, si mescola al vino puro, cioè alla forza vivificante che una correzione salutare procura. Ma nell’eternità, i dannati non avranno che la feccia di questo vino; troveranno, quando lo berranno, solo una terribile amarezza, senza nulla che li riscaldi o li conforti. Inoltre, saranno tormentati da un fuoco la cui violenza oltrepassa ogni descrizione, e dall’insopportabile odore di zolfo che regnerà in questa prigione senza aria e senza uscita, dove si ammasserà tutta la corruzione dell’universo. Ma ciò che renderà la loro situazione più crudele sarà l’essere torturati in questo modo in presenza dei santi Angeli ed in presenza dell’Agnello. Queste ultime parole sono rivolte a quegli uomini, così numerosi ai nostri giorni, anche tra i Cristiani, che, preferendo il proprio giudizio alle verità insegnate dalla Chiesa, rifiutano di ammettere sia il carattere spaventoso, che la durata eterna dei tormenti dell’inferno, dichiarandoli incompatibili con la misericordia di Dio. Senza dubbio la ragione umana, lasciata a se stessa, si stupisce di un tale rigore; e la sua nozione di giustizia si adatterebbe volentieri a una punizione finita; ma deve inchinarsi davanti ad un mistero che la supera; deve adorare, con l’Apostolo, la profondità dei tesori della sapienza e della conoscenza di Dio, i cui giudizi sono incomprensibili e le cui vie sono imperscrutabili (Rom., XI, 33.). Se sapessimo cos’è Dio, se avessimo intravisto lo splendore della Sua Maestà e la violenza del Suo amore per l’uomo; se capissimo quale male e ingratitudine rappresenta l’ostinazione nel peccato, vedremmo subito la necessità di un inferno eterno. Non dobbiamo dubitarne: coloro sui quali è stata pronunciata la sentenza di riprovazione non hanno più nulla da aspettarsi dalla misericordia di Dio, né dall’intercessione dei Santi, né dalla carità degli Angeli, né dalla tenerezza di Colui che è morto per loro: essi soffriranno alla presenza dei Santi Angeli e alla presenza dell’Agnello, e questa presenza non sarà loro di alcun aiuto! Infine, l’orrore di questi tormenti è aggravato dal fatto che sono eterni: il fumo di questo fuoco salirà per sempre. E non ci sarà riposo per coloro che hanno adorato la Bestia e la sua immagine, e che si sono permessi di essere marchiati con il carattere del suo nome. Badiamo di non allontanarci o dal disprezzare queste verità, non è senza motivo che la Scrittura ce le pone costantemente davanti agli occhi: esse sono vivificanti e fruttuose: in esse sta il fondamento della pazienza dei Santi, ed è dalla loro considerazione che essi traggono la forza di osservare, nonostante tutte le prove, i comandamenti di Dio, rimanendo fedeli alla legge di Gesù Cristo.

§ 3 – Beati quelli che muoiono nel Signore.

Dopo questa fosca immagine del destino che attende i seguaci della Bestia, ecco ora un raggio di pace di cui godono gli eletti. E udii una voce dal cielo che mi diceva: “Scrivi“. Come se dicesse: “Non accontentatevi di annunciare quello che state per sentire, perché le parole si dimenticano presto; ma scrivetelo, perché rimanga e si tramandi di generazione in generazione. Beati i morti che muoiono nel Signore. Beati coloro che sono morti al mondo, al peccato, a se stessi, alla propria volontà, ai propri attaccamenti sregolati, alla vanità delle cose passeggere! Beati coloro che possono dire con l’Apostolo: “Io vivo, ma non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me“. (Gal. II, 20). Questi sono coloro che sono veramente morti, che sono padroni dei loro appetiti e delle loro passioni, che odiano il peccato per amore della virtù e che desiderano soprattutto piacere a Dio. Quando l’altra morte, quella che è il risultato del peccato originale, e il cui avvicinarsi riempie gli uomini di paura, quando quest’altra morte viene a coglierli, essi si addormentano solo dolcemente nel Signore, e subito, appena le loro anime sono separate dai loro corpi – (Qui abbiamo seguito, come sempre, la lezione della Vulgata. Il testo greco ha una puntualizza diversamente. Dice: Beati i morti che muoiono nel Signore adesso, come per significare: senza aspettare la risurrezione generale. Già lo Spirito dice: ecc. Il significato è lo stesso.), – Lo Spirito, cioè il Dio dell’amore, comanda che entrino nella beatitudine eterna, e che godano senza fine del riposo che hanno meritato con le loro opere. Perché gli uomini, quando lasciano questo mondo, non portano con sé nulla delle ricchezze, degli onori o dei piaceri di questo mondo; ma il merito o il demerito di tutte le loro azioni rimane con loro, e questo per l’eternità.

§ 4 – Visione del Giudizio Universale.

Dopo la visione dell’Agnello sul monte, dopo l’annuncio dei castighi riservati agli empi, San Giovanni, sempre con l’intenzione di confortare coloro che dovranno combattere contro l’Anticristo, dà loro una breve descrizione del Giudizio Universale, dove i buoni e i cattivi riceveranno il giusto castigo per la loro condotta. Io guardai – egli dice – ed ecco, apparve una nuvola bianca, e seduto su di essa c’era uno simile al Figlio dell’Uomo. Questa nuvola bianca è il simbolo della carne immacolata di Cristo. Dio, infatti, ha nascosto la sua maestà e lo splendore della sua gloria dietro questa santa Umanità, come fa il sole quando, posto dietro una nuvola, manda sulla terra il suo calore e la sua luce, ma attenuato, e senza mostrarsi nella sua propria forma. – Nel giorno del giudizio, la natura umana di Cristo servirà da trono per la divinità: per questo San Giovanni vide uno seduto su di essa che era come il Figlio dell’Uomo. Era Gesù, e lo riconobbe senza difficoltà, perché lo aveva visto con i suoi occhi ogni giorno per tre anni e lo aveva toccato con le sue mani (1 Jo., I, 1), quando aveva aiutato a portarlo giù dalla croce. Ma era questo, Gesù liberato da tutte le infermità umane, Gesù che irradiava una tale gloria, una tale bellezza, un tale fascino che sembrava non essere più lo stesso: Aveva sul suo capo una corona d’oro, come simbolo del potere regale che aveva ricevuto su tutto il genere umano; e aveva in mano una falce affilata, come segno del suo potere giudiziario, che gli avrebbe permesso di punire i malvagi con la stessa facilità con cui il mietitore abbatte le spighe di grano. E un Angelo uscì dal tempio, gridandogli a gran voce: “Getta la tua falce e mieti, perché è giunta l’ora della mietitura, perché la messe della terra è matura“. Questo Angelo rappresenta l’assemblea dei Santi, che usciranno dalla dimora celeste dove già regnano, per supplicare il Signore di affrettare l’ora del giudizio, perché la perversione del mondo ha raggiunto il suo apice, perché la terra non produce più virtù. Ed il Salvatore, in risposta alla loro preghiera, gettò la sua falce sulla terra, ed essa fu mietuta: sia i buoni che i cattivi perirono e comparvero davanti al giudizio di Dio. Poi un altro Angelo uscì dal tempio, ma questo portava una falce affilata come il Salvatore: egli personifica il gruppo di Santi che occupano le più alte dimore del cielo, e che parteciperanno al potere giudiziario di Cristo; quelli di cui la Sapienza dice che giudicheranno le nazioni (III, 8), e ai quali il Signore ha promesso, nella persona degli Apostoli, di farli sedere vicino a Lui, per giudicare le dodici tribù d’Israele (Matth. XIX, 18). Gli assistenti del Giudice sovrano sono al loro posto. Un altro Angelo appare in mezzo a loro: questo viene dall’altare, cioè dal cuore stesso del tempio, dal seno della divinità; esso rappresenta Nostro Signore in persona. Egli invita i Santi ad usare il potere che ha dato loro, a gettare la loro falce e a raccogliere i grappoli prodotti dalla vigna della terra, perché le sue uve sono mature; cioè a separare i buoni dai malvagi, perché i primi sono maturi per il cielo, mentre la cattiveria dei secondi è ormai senza rimedio. E l’Angelo lanciò la sua falce e vendemmiò la vigna. Questo non significa che i Santi eserciteranno realmente la giustizia suprema al tribunale dell’ultimo giorno, ma l’esempio della loro vita pura, retta e penitente, che si manifesterà improvvisamente nel grande giorno delle assise del mondo, sarà una condanna implacabile della vita degli empi e li coprirà della più amara confusione. L’autore della Sapienza aveva già raffigurato profeticamente questa scena quando raccontava le lamentele disperate dei dannati posti di fronte alla gloria degli eletti. (V) E quello che era stato vendemmiato cadde nel grande lago dell’ira di Dio, cioè nell’inferno. (Abbiamo tradotto le parole lacum… magnum, del verso 19, con: il grande lago, come la maggior parte dei commentatori. Tuttavia, alcuni di loro, tra i quali dobbiamo citare San Girolamo, fanno di magnum un complemento diretto di misit, e leggono: ha mandato il grande, cioè il superbo, l’anticristo, nel lago dell’ira di Dio. Le versioni greche, variando su questo punto, permettono entrambe le interpretazioni). E il lago fu calpestato fuori dalla città di Dio:  tutta la massa dei dannati sarà messa sotto l’oppressione del rimorso e della sofferenza eterna. Ma perché l’autore sottolinea qui che sono calpestati fuori della città? – Per farci sentire la disperazione della punizione dei dannati. Quando i Santi soffrono su questa terra, quando sono messi sotto quella pressione di prove e persecuzioni a cui alludono i titoli di certi salmi, le loro anime senza dubbio sanguinano, sopportano tormenti che li fanno gridare di dolore: ma almeno il loro sangue scorre nella città:  va ad unirsi a quello di Cristo nel calice che egli offre al Padre suo, producendo frutti inestimabili, e si trasforma in un vino delizioso che gli Angeli portano nelle cantine del Paradiso, acquistando per sé in eterno quel peso di gloria di cui parla San Paolo. Lo stesso vale per i Cristiani che fanno penitenza, per le anime che gemono in Purgatorio; le loro pene, per quanto dolorose, non sono perdute: ottengono la remissione dei loro peccati e aprono per essi le porte del cielo. Ma ciò che è terribile per i dannati è soffrire fuori della città, essere tagliati fuori per sempre dalla comunione dei Santi, separati dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, e dover sopportare tormenti indicibili senza ottenerne alcun merito. La loro sofferenza, privata di quella fecondazione che solo la partecipazione a quella di Cristo poteva darle, è sterile, spietatamente sterile. Non farà mai nascere il più piccolo germoglio di compunzione, né il più piccolo fiore di pazienza; servirà solo ad alimentare il loro rimorso, il loro odio per Dio, la loro disperazione, a strappare loro quegli ululati dell’inferno, uno solo dei quali, secondo i Santi, ci raggelerebbe di terrore se ci fosse data la possibilità di sentirlo quaggiù.  E il sangue uscì dal lago e salì all’altezza delle mascelle dei cavalli per una distanza di milleseicento stadi. – Il cavallo è spesso preso, nella Scrittura, come simbolo delle passioni umane. Nel suo stato naturale è un animale fiero, lascivo e selvaggio; ma, domato dall’uomo, diventa il suo compagno più nobile e utile. Allo stesso modo, le nostre passioni, lasciate libere, corrono dietro a tutte le soddisfazioni dei sensi; sottomesse al contrario dalla volontà, aiutano potentemente quest’ultima ad andare verso Dio. Dicendo che il sangue uscì dal lago e salì fino ai morsi dei cavalli, San Giovanni vuole farci capire che la punizione dell’Inferno, attualmente nascosta in fondo all’abisso, diventerà manifesta a tutti gli occhi al momento del Giudizio; essa si diffonderà come una marea su tutte le attività umane che non hanno accettato il morso, o briglia, della ragione. Solo coloro che hanno acconsentito a frenare i loro appetiti e a vivere secondo la legge di Dio scamperanno. – (L’interpretazione che diamo di questo passo si ispira al commento di Andrea di Cesarea (Pat. Gr. de Migne, t. 106, col. 351). Non è tuttavia la più comune: la grande maggioranza degli interpreti autorizzati dell’Apocalisse vede nei cavalli gli uomini abbandonati alle loro passioni; nel morso, i demoni che regolano tutti i loro movimenti, come la briglia dirige quelli del cavallo. La confusione dei dannati si riverserà sui demoni, che saranno crudelmente puniti per ognuno dei peccati che hanno fatto commettere agli uomini) –  Lo stadio è un’arena in cui si giocano i giochi più diversi: gli uomini impiegano tutta la loro abilità e la loro forza per ottenere una futile ricompensa ed una gloria momentanea. In questo senso, è l’immagine del mondo, con le sue vanità e inconsistenze, dove l’uomo spreca tutta l’energia che ha dal suo Creatore. E l’autore parla di milleseicento stadi per mostrare il carattere universale di questa inondazione o castigo che abbraccerà tutto lo spazio, rappresentato qui dal numero mille, e tutto il tempo, rappresentato dal numero seicento a causa delle sei età del mondo.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (9)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (7)

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (7)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES

97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil ObstatA: Elie Maire Can. Cens. Ex. Off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: LECLERC.

Lutetiæ Parisiorum die II nov. 194

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Terza Visione

LE SETTE TROMBE

TERZA PARTE

L’ANGELO ED IL PICCOLO LIBRO.

Capit. X. – (1- 11)

“E vidi un altro Angelo forte, che scendeva dal cielo, coperto d’una nuvola, ed aveva sul suo capo l’iride, e la sua faccia era come il sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco: e aveva in mano un libriccino aperto: e posò il piede destro sul mare, e il sinistro sulla terra: e gridò a voce alta, come rugge un leone. E gridato ch’egli ebbe, i sette tuoni fecero intendere le loro voci. ”E quando i sette tuoni ebbero fatto intendere le loro voci, io stava per iscrivere: ma udii una voce dal cielo, che mi disse: Sigilla quello che hanno detto i sette tuoni, e non lo scrivere. ”E l’Angelo, che io vidi posare sul mare e sulla terra alzò al cielo la mano: e giurò per colui che vive nei secoli dei secoli, che ha creato il cielo e quanto vi è in esso: e la terra e quanto vi è in essa: e il mare e quanto vi è in esso, che non vi sarà più tempo: ma che nei giorni del parlare del settimo Angelo, quando comincerà a dar flato alla tromba, sarà compito il mistero di Dio, conforme evangelizzò pei profeti suoi servi. E udii la voce dal cielo che di nuovo mi parlava, e diceva: Va, e piglia il libro aperto di mano dell’Angelo, che posa sul mare e sulla terra. E andai dall’Angelo dicendogli che mi desse il libro. Ed egli mi disse: Prendilo, e divoralo: e amareggerà il tuo ventre, ma nella tua bocca sarà dolce come il miele. E presi il libro di mano dell’Angelo e lo divorai: ed era nella mia bocca dolce come miele: ma, divorato che l’ebbi, ne fu amareggiato il mio ventre: E disse a me: Fa d’uopo che tu profetizzi di bel nuovo a molte genti, e popoli, e re.”

 1. — L’Angelo che stava sulla terra ed il mare.

Dopo aver descritto nel capitolo precedente l’assalto delle potenze del male contro la Chiesa, sotto il regno dell’Anticristo, l’autore mostrerà ora l’aiuto fornito da Dio ai suoi servi contro questi terribili eventi. Da un lato, questo aiuto sarà l’assistenza speciale del Figlio di Dio e la rinnovata predicazione del Vangelo, di cui si parlerà nel presente capitolo; dall’altro, l’intervento di due misteriosi testimoni che consoleranno i fedeli di Cristo negli ultimi giorni, e la cui missione sarà descritta nel prossimo capitolo. E vidi un altro Angelo – dice San Giovanni – un Angelo molto diverso dai quattro di cui ho appena parlato. Infatti, questi sono usciti dalle profondità dell’abisso, dove erano incatenati, per devastare la terra; questo altro è sceso dal cielo per riparare le rovine del peccato. Era forte, era il Forte per eccellenza, a cui niente può resistere. Fu questa forza che gli permise di sopportare le terribili sofferenze della sua passione senza vacillare, di schiacciare la testa di satana e di strappare all’inferno tutti gli uomini che hanno voluto credere in lui. Scendeva dunque dal cielo avvolto in una nuvola, cioè nella carne immacolata di cui si era rivestito nel grembo della Beata Vergine Maria. Questa carne è paragonata ad una nuvola, perché la sua innocenza la mantenne sempre leggera e come immateriale, al di sopra delle affezioni terrene; infatti la sua ombra si interpose tra il cielo e la terra per proteggere gli uomini dagli ardori della collera divina; e portò con sé una pioggia abbondante di grazie, capace di fecondare tutta la terra. Isaia aveva già fatto uso della stessa immagine: « Ecco – dice – il Signore cavalcherà su una nuvola leggera ed entrerà in Egitto, cioè nel mondo » (XIX, 1). –  « Aveva, – continua San Giovanni – un arcobaleno intorno alla testa. » L’arcobaleno, come sappiamo, è il segno con cui Dio fece sapere agli uomini, dopo il diluvio, che la sua ira era placata. Dicendo che il suo capo ne era coperto, l’autore vuole farci capire che tutti i pensieri di Cristo, tutte le sue riflessioni erano volte a ristabilire la pace tra Dio e gli uomini. Il Suo volto era splendente come il sole, cioè la presenza della divinità in Lui si manifestava nel modo più brillante; e i Suoi piedi erano come colonne di fuoco. I piedi del Salvatore qui denotano i predicatori del Vangelo, che dovevano portare la Parola ai quattro angoli del mondo, come i piedi portano il corpo dove vuole andare. Il profeta Isaia aveva detto nello stesso senso: « Come sono belli i piedi di colui che annuncia la pace! » (LII, 7), Questi predicatori sono paragonati a delle colonne, per marcare sia la fermezza della loro fede, che la pazienza con cui sopportano tutte le contraddizioni, tutti gli insulti, tutti i tormenti. E queste colonne erano di fuoco, come le colonne che un tempo condussero gli Ebrei alla Terra Promessa, perché l’ardore della loro carità illuminava le menti e guidava i cuori verso la patria eterna. E l’Angelo teneva in mano un piccolo libro aperto: questo piccolo libro si riferisce al Vangelo, che non è più grande, come sappiamo da solo, di un grano di senape. È aperto perché è più facilmente accessibile a tutte le menti rispetto ai libri dell’Antico Testamento. Cristo lo tiene in mano perché non si è limitato a predicare la sua dottrina da un pulpito: l’ha praticata alla lettera e ne ha eseguito puntualmente tutti i precetti. – E pose il suo piede destro sul mare e il suo piede sinistro sulla terra; cioè, mandò i suoi discepoli sia sulla terra che nelle isole del mare, per predicarvi il Vangelo. Tuttavia, nella distinzione fatta tra il piede destro e il piede sinistro, possiamo vedere, con Ruperto di Deutz, un’allusione più sottile: il mare rappresenta talvolta nella Scrittura i gentili, abbandonati al movimento delle loro passioni, in opposizione al popolo giudaico, che era la terra scelta da Dio per far crescere il frutto più bello della creazione, Cristo Gesù. D’altra parte, il piede destro simboleggia gli Apostoli confermati nella fede dopo la Resurrezione; il piede sinistro, lo stesso, ma ancora debole e vacillante, perché, dice San Tommaso, “sinistra non ita nobilis et fortis est ut dextra pars“. Gli Apostoli, infatti, non erano sempre stati i pilastri di cui abbiamo parlato prima. Ricordiamo la loro esitazione davanti ai primi annunci dell’Eucaristia: « Molti dei suoi discepoli – dice il Vangelo – quando sentirono Gesù parlare loro della necessità di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, dissero: questa è una parola dura, e chi può intenderla? E molti se ne andarono e non vennero più con Lui » (1(il Jov. VI. 61 – 67). E ci sovviene anche la loro fuga quando il loro Maestro fu arrestato, e la negazione di San Pietro. Finché erano in questo stato di debolezza spirituale, Nostro Signore li fece predicare solo in Giudea e proibì loro di andare oltre i suoi limiti: Non andrete – disse loro – per la via dei Gentili, né entrerete nelle città dei Samaritani; ma andate piuttosto dalle pecore che disperse della casa d’Israele (Mt., X, 5, 6). Ma quando, al contrario, lo Spirito Santo fu venuto e li confermò nella grazia, li rivestì della potenza di Dio e li rese uomini della sua destra, allora il divino Maestro li mandò ad evangelizzare il mondo intero: « Andate – disse loro – e ammaestrate tutte le nazioni, e battezzatele nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt. XXVIII, 19). Dal che possiamo dedurre che chi non è fermo nella fede e trasportato da uno zelo ardente, non deve impegnarsi per andare a convertire gli infedeli; ma può comunque lavorare per evangelizzare i suoi prossimi. In senso morale, i piedi rappresentano, come sappiamo, la misericordia di Nostro Signore. Questa misericordia è sentita da noi talvolta sotto forma di consolazioni: è il piede destro; talvolta sotto forma di prove, destinate a purificarci: è questo il piede sinistro. Il Salvatore mette il suo piede destro sul mare quando, con la dolcezza della sua visita, calma le agitazioni dell’anima e le dà pace; mette il suo piede sinistro sulla terra quando, con le prove che invia, preme sui punti malati, sulle affezioni troppo terrene da cui è infettata e li incide come ascessi.

§ 2 – I sette tuoni ed il giuramento dell’Angelo.

E l’Angelo gridò con una voce forte, come quella del leone quando ruggisce. Questa voce forte era quella che aveva risuscitato Lazzaro dal suo sepolcro, chiamandolo per nome; era quella che aveva pronunciato sulla croce quel grido straziante, capace di commuovere tutti i cuori fino alla fine del mondo: Eli, Eli, lamma sabactani! Come il ruggito del leone fa tremare tutti gli altri animali, come ci insegna il profeta Amos: « Il leone ruggisce – dice – chi allora non avrà paura? » (III, 8) Così la voce di Cristo aprì le tombe, spaccò la roccia, scosse gli inferi, terrorizzò i demoni e liberò i giusti che erano nel limbo. – E quando Egli ebbe gridato, i sette tuoni emisero le loro voci. I sette tuoni rappresentano qui tutte le profezie dell’Antico Testamento. Non è forse ogni profeta, come il tuono, una voce dal cielo? Prima della nascita di Cristo, grandi e piccoli tuonavano sul popolo d’Israele e pronunciavano minacce spaventose, il cui significato rimaneva incomprensibile, perché Colui che è la chiave delle Scritture non si era ancora mostrato. Quando è venuto, quando ha parlato Lui stesso, allora queste profezie hanno fatto sentire la loro voce; allora sono diventate chiare, almeno per coloro che avevano orecchie attente. E poiché San Giovanni era uno di questi, si mise a scrivere ciò che aveva sentito, per far uscire i Giudei dalla loro cecità. Ma il Signore glielo proibì: « Sigilla – gli disse – ciò che i sette tuoni hanno detto, e non scriverlo  ». Non è ancora arrivato il momento di rivelarlo al pubblico dominio. Il significato mistico della parola divina non deve essere dato a coloro che non sono in grado di ascoltarlo, perché se ne farebbero beffe e sprofonderebbero ancora di più nella loro incredulità. – San Giovanni conosceva indubbiamente, come tutti gli Apostoli, il significato occulto della Scrittura: molti passaggi nei Vangeli e nelle Epistole lo mostrano chiaramente. Ma non era il loro compito l’esporlo: la Chiesa era ancora troppo piccola, la sua fede era troppo vicina al paganesimo, perché la maggioranza dei nuovi convertiti potesse sopportarla. Questo doveva essere il compito dei Padri e dei Dottori nelle epoche successive. Per questo San Paolo ci dice: « Io ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra » (I Cor., III, 19). – E l’Angelo che avevo visto in piedi sulla terra e sul mare alzò la mano al cielo: Nostro Signore, quando ebbe terminato l’opera di Redenzione, elevò la propria Umanità al cielo nel giorno della sua gloriosa Ascensione, come segno di richiamo per attirare tutti gli uomini al loro destino eterno. E giurò, cioè affermò nel modo più solenne, sotto la garanzia di Dio onnipotente, che vive nei secoli dei secoli, e che è dunque la fonte inesauribile di ogni vita; che creò il cielo e tutto ciò che contiene, cioè il sole, la luna, l’infinita varietà di stelle; la terra e tutto ciò che contiene, cioè gli animali, gli alberi, le piante, ecc. il mare e tutti i pesci che esso racchiude. Egli ha dunque affermato, da parte di questo Dio che è il Creatore e Maestro sovrano di tutte le cose, che dopo la tromba del settimo Angelo, il tempo cesserà di scorrere, vale a dire: non ci sarà più tempo per la penitenza. Allora si realizzerà ciò che l’apostolo San Paolo ha annunciato: che all’ultima tromba risorgeremo tutti in un batter d’occhio (I Cor. XV, 51, 52.). Allora non ci saranno più vicissitudini per gli eletti, non ci sarà più la notte che si alterna al giorno, non più l’inverno che succede all’estate, non più prove che minacciano la loro felicità. Saranno fissati per sempre in una beatitudine che nulla potrà mai più turbare. Questa immutabilità, tuttavia, non si estenderà ai reprobi, che continueranno a soffrire vari tormenti, e a passare, secondo Giobbe, dalle gelide acque della neve al calore eccessivo (XXIV, 19). Il Salmista ci dice che il tempo per essi durerà nei secoli, cioè per sempre (Ps. LXXX, 14). – Allora dunque, quando la settima tromba comincerà a suonare, quando si sentirà la voce dei predicatori degli ultimi giorni, allora il mistero di Dio sarà consumato; allora il giudizio supremo, che ora ci è nascosto, si compirà nella pienezza dei tempi; allora le ricompense che attendono i buoni saranno brillantemente rivelate, così come i castighi riservati ai malvagi, come Dio l’aveva così spesso predetto attraverso i suoi servi i Profeti.

§ 3 – Il libro che deve essere divorato.

E udii la voce dal cielo che mi parlava di nuovo, dicendo: “Va’ e ricevi il libro aperto dalla mano dell’Angelo, che sta sulla terra e sul mare“; cioè: « Va’ e chiedi a Cristo la comprensione della Sacra Scrittura, che ora domina tutte le potenze della terra e tutte le persecuzioni, perché è Lui che ne ha manifestato i segreti con la Sua vita, morte e risurrezione. » Queste parole non furono rivolte a San Giovanni in persona, poiché egli aveva già ricevuto la comprensione delle Scritture la sera di Pasqua, quando nostro Signore la diede a tutti gli Apostoli. (Lc, XXIV, 45). Ma Dio gli parlava in questo modo perché era la figura dei predicatori a venire, per far capire a tutti loro che la loro prima cura, prima di andare a predicare, doveva essere quella di dotarsi di una conoscenza approfondita dei Libri Santi, studiati alla luce della vita e della morte del Salvatore. –  San Giovanni se ne andò dunque verso l’Angelo, mostrando con questo gesto che l’uomo apostolico deve essere sempre pronto a lasciare tutto per seguire Cristo; e gli chiese il libro: cioè lo pregò, con fervente preghiera, di dargli quella misteriosa conoscenza della Scrittura che il lavoro dell’uomo è impotente a scoprire, ma che Dio concede ai cuori puri. E mi disse: Prendi il libro, cioè ricevilo così com’è, in spirito di fede e di obbedienza, senza pretendere di giudicarlo e interpretarlo a modo tuo. Poi mangialo: studialo attentamente, incidilo nella tua memoria, rimugina su di esso nelle tue meditazioni. Riempirà il tuo ventre di amarezza, ma sarà più dolce del miele nella tua bocca. La Sacra Scrittura è davvero amara per il nostro ventre, inteso in senso spirituale: per la nostra sensualità, per la parte inferiore della nostra anima; perché predica costantemente la rinuncia, la penitenza, la mortificazione; taglia tutte le piccole dolcezze della vita presente, ricorda che è per dura et aspera che si raggiunge il regno di Dio. Allo stesso modo Geremia gemeva: Ventrem meum, ventrem meum doleo, il mio ventre, il mio ventre soffre (IV, 19), esprimendo in questa forma originale la ripugnanza della natura umana di fronte al calice che Dio prepara per ciascuno dei suoi servi. Ma questa divina Scrittura è allo stesso tempo un favo di miele per la bocca, cioè per la parte superiore dell’anima, perché le dà una refezione infinitamente dolce: illumina la sua intelligenza, le rivela l’amore infinito di Dio per l’uomo, eccita il suo fervore e la fa fremere nel profondo di se stessa con tocchi profondi che il linguaggio umano non può imitare. Ecco perché anche il salmista ha cantato: « Quanto sono dolci le vostre parole per la mia gola! Esse sono più dolci del miele nella mia bocca (Ps. CXVIII, 103). – E presi il libro dalla mano dell’Angelo –  continua San Giovanni – e lo divorai; lo ricevetti con fede ardente, gli spalancai le porte del mio interiore assenso. Ed era nella mia bocca dolce come il miele; e quando l’ho divorato, il mio ventre si è riempito di amarezza. E l’Angelo mi disse: « Tu devi ancora profetizzare ai Gentili, ai popoli, alle lingue e a molti re. » Questo deve essere inteso così: « So bene che dopo aver gustato questo cibo celeste, il vostro desiderio più ardente sarebbe quello di essere liberati dai legami del vostro corpo e di andare a vedere faccia a faccia Colui che hai imparato a conoscere sotto il velo delle Scritture. Ma la tua missione non è finita: mentre sei in esilio a Patmos, il tuo gregge si rilassa, compaiono le eresie, si moltiplicano gli anticristi, i re vengono sedotti, abbandonano la vera fede ed i loro popoli li imitano. Devi istruirli di nuovo e ristabilire davanti a loro la sana dottrina. » – Infatti, San Giovanni tornò a Efeso dopo la sua prigionia. Vi insegnò per molti anni e, per difendere la divinità di Cristo e la sua generazione eterna contro gli errori emergenti, scrisse il Vangelo che si apre con questa solenne dichiarazione: « In principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio », parole che dovevano essere tradotte in tutte le lingue e servire all’istruzione dei popoli e delle nazioni, dei re e dei loro sudditi, fino alla fine dei tempi.

Terza Visione

LE SETTE TROMBE

QUARTA PARTE

IL RITORNO DEI DUE TESTIMONI

Capitolo XI. – (1 – 18)

“E mi fu data una canna simile ad una verga, e mi fu detto: Sorgi, e misura il tempio di Dio, e l’altare, e quelli che in esso adorano. Ma l’atrio, che è fuori del tempio, lascialo da parte, e non misurarlo: poiché è stato dato alle genti, e calpesteranno la città santa per quarantadue mesi: ma darò ai due miei testimoni che per mille duecento sessanta giorni profetino vestiti di sacco. Questi sono i due ulivi e i due candelieri posti davanti al Signore della terra. E se alcuno vorrà offenderli, uscirà fuoco dalla loro bocca, e divorerà i loro nemici; e se alcuno vorrà loro far male fa d’uopo che in tal guisa sia ucciso. Questi hanno potestà di chiudere il cielo, sicché non piova nel tempo del loro profetare: e hanno potestà sopra le acque per cangiarle in sangue, e di percuotere la terra con qualunque piaga ogni volta che vorranno. Finito poi che abbiano di rendere testimonianza, la bestia, che viene su dall’abisso, loro muoverà guerra, e li supererà, e li ucciderà. E i loro corpi giaceranno nella piazza della grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il lor Signore è stato crocifisso. E gente d’ogni tribù, popolo, lingua, e nazione, vedranno i loro corpi per tre giorni e mezzo: e non permetteranno che i loro corpi siano seppelliti. E gli abitanti della terra godranno, e si rallegreranno sopra di essi: e si manderanno vicendevolmente dei presenti, perché questi due profeti hanno dato tormento agli abitatori della terra. Ma dopo tre giorni e mezzo lo spirito di vita che viene da Dio entrò in essi. E si alzarono in piedi, e un grande timore cadde sopra coloro che li videro. E udirono una gran voce dal cielo che disse loro: Salite quassù. E salirono in una nuvola al cielo: e i loro nemici li videro. E in quel punto avvenne un gran terremoto, e cadde la decima parte della città: e nel terremoto furono uccisi sette mila uomini: e il restante furono spaventati, e diedero gloria al Dio del cielo. Il secondo guai è passato: ed ecco che tosto verrà il terzo guai. E il settimo Angelo diede fiato alla tromba: e si alzarono grandi voci nel cielo, che dicevano: Il regno di questo mondo è diventato del Signor nostro e del suo Cristo, e regnerà pei secoli dei secoli: così sia. E i ventiquattro seniori, i quali siedono sui loro troni nel cospetto di Dio, si prostrarono bocconi, e adorarono Dio, dicendo: rendiamo grazie a te, Signore Dio onnipotente, che sei, e che eri, e che sei per venire: perché hai fatto uso della tua grande potenza, e ti sei messo a regnare. – E le genti si sono adirate, ed è venuta l’ira tua e il tempo di giudicare i morti, e di rendere la mercede ai profeti tuoi servi, e ai santi, e a coloro che temono il tuo nome, piccoli e grandi: e di sterminare coloro che mandano in perdizione la terra. E si aprì il tempio di Dio nel cielo: e apparve l’arca del suo testamento nel suo tempio, e avvennero folgori, e grida, e terremoti e molta grandine.”

§ 1. – La canna della discrezione.

San Giovanni continua, in questo capitolo, il racconto della sua terza visione: la descrizione dei prodigi che accompagneranno l’avvento dell’Anticristo e precederanno la fine del mondo. Dio lo aveva informato in precedenza che presto avrebbe dovuto lasciare il suo ritiro a Patmos per ricominciare a predicare. Ma fu anche avvertito che prima di riprendere questo ministero avrebbe ricevuto una guida speciale, cosa che qui esprime dicendo che l’Angelo gli diede una canna, simile ad uno scettro. Questa canna rappresenta la virtù della discrezione, così cara a San Benedetto, e che segna con un timbro speciale la sua Regola, così come la sua opera; una virtù tanto necessaria a chiunque debba istruire gli altri, quanto la penna (o la canna) a chi scrive. Senza di essa, è impossibile far penetrare nei cuori la dottrina che si insegna. Ogni esortazione, anzi, ogni predicazione deve essere adattata alla capacità di coloro che l’ascoltano: le stesse verità non possono essere esposte indifferentemente ad ogni uditorio. Non si parla lo stesso linguaggio agli innocenti ed ai peccatori, ai bambini e agli uomini adulti, a coloro che hanno fede e a coloro che la cercano, a coloro che hanno abbracciato la vita perfetta e a coloro il cui ideale non va oltre l’osservanza del decalogo (Il famoso Uber pestoralis di San Gregorio Magno non è che uno sviluppo di questa nozione fondamentale di discrezione). Questa preziosa discrezione è paragonata sia a uno scettro che a una canna. Uno scettro, perché permette a chi lo possiede di dominare le proprie passioni e di governare gli altri uomini. Quando è presente in un’anima, tutto è ordinato e armoniosamente equilibrato. Quando è assente, tutti gli eccessi sono da temere e la rovina è fatale. Necessario per ogni persona per regolare la propria condotta, lo è doppiamente per coloro che hanno la responsabilità di istruire o comandare agli altri. Il re Salomone, che la Scrittura ci dà come modello di saggezza, lo capì bene quando la chiedeva a Dio preferendola alla ricchezza, alla gloria o a una lunga vita, per governare bene il suo popolo (3 Reg., III, 11). Ma questa virtù delicata è allo stesso tempo paragonata ad una canna, perché è leggera come il giogo di Cristo stesso; « essa si piega ma non si spezza », sa tenere conto delle circostanze, dei tempi e dell’ambiente, e applicare i principi della morale evangelica ai casi più diversi. Per rendere più chiaro il simbolismo di questa verga, l’Angelo dice a San Giovanni, e con lui a tutti i predicatori: Alzati: non accontentarti di stare seduto sul tuo pulpito; metti in pratica ciò che insegni, e questo sforzo personale renderà il tuo insegnamento più preciso, più sfumato, più efficace; misura il tempio, l’altare e coloro che vi adorano. Misura il tempio, cioè la Chiesa, e ricorda che Dio l’ha fatta per gli uomini, non per gli Angeli; misura l’altare, cioè l’Umanità di Gesù Cristo Nostro Signore, che è il centro della nostra liturgia, il propiziatorio sul quale devono essere poste tutte le nostre preghiere e tutti i nostri sacrifici, se vogliamo che siano accettati da Dio; ricordati della mitezza di questo Agnello, della sua pazienza, della sua dolcezza, della sua umiltà, della sua povertà, e basa il tuo insegnamento e la tua condotta sul suo esempio; misura coloro che vi adorano, che sono uomini di carne, soggetti all’errore e a mille debolezze; ricordati che non hanno tutti lo stesso temperamento, gli stessi bisogni, le stesse aspirazioni, le stesse risorse; parla loro in un linguaggio che sono in grado di sentire, e imponi a ciascuno solo il fardello che è in grado di portare. – Ma l’atrio fuori dal tempio, non lo considerare,  e non lo misurare. Ma coloro che appartengono solo esteriormente alla Chiesa, come il cortile appartiene alla casa senza farne realmente parte; coloro che, pur mantenendo simulacri esteriori di religione, non accettano né la fede né le leggi della Chiesa nella loro integrità, come fanno i peccatori incalliti e gli eretici, cacciali via, tagliali fuori dalla tua comunione; non discutere con loro, non misurarli affatto, non tenere alcun conto delle loro pretese. È del tutto inutile cercare di adattare la Verità rivelata alle esigenze di coloro che hanno deciso in anticipo di non ascoltarla. Ecco perché Nostro Signore, nell’ora della Sua Passione, non rispose nulla ai giudici che Lo interrogavano; ecco perché, anche oggi, la Chiesa rifiuta così fermamente qualsiasi “conversazione” , [… dialogo] che si proponga un compromesso tra la sua dottrina con quella delle sette dissidenti. Il dogma cattolico è un blocco di diamante da cui è impossibile rimuovere o cambiare una qualsiasi parte. Occorre prenderlo così com’è. Non misurate dunque il mio cortile, perché è dato ai gentili; infatti questi falsi Cristiani saranno dalla parte dei nemici della Chiesa nell’ora della prova. La calpesteranno per quarantadue mesi, cioè il tempo del regno dell’Anticristo. La calpesteranno, come si calpesta l’uva nel torchio, per far uscire il vino della carità; ma non potranno schiacciarla, perché sta scritto che le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. – Tuttavia, quest’ultima persecuzione sarà di una violenza inaudita; perciò Dio fornirà un aiuto straordinario ai suoi fedeli, per evitare che cadano nell’apostasia. A questo scopo, Egli susciterà le due misteriose figure di cui parlerà ora San Giovanni, e che avranno la missione di dare una testimonianza particolarmente eclatante a Cristo, alla sua dottrina, alla sua Chiesa.

§ 2 – I due testimoni.

E io darò ai miei due testimoni – continua l’autore sacro – la forza e la saggezza di cui avranno bisogno per combattere le battaglie degli ultimi giorni, per animare i fedeli, per convertire i miscredenti e per affrontare il martirio. Essi predicheranno la verità, annunciando come una certezza, e senza vacillare, la prossima rovina dell’Anticristo, nonostante i suoi incredibili successi, nonostante il suo potere, il suo genio, le sue ricchezze e gli stupefacenti prodigi che compirà. Vivendo nella più grande austerità, vestiti di sacco in segno di penitenza, profetizzeranno per milleduecentosessanta giorni, cioè circa tre anni e mezzo, che è la stessa durata promessa al regno dell’Anticristo. Chi sono questi due profeti che appaiono improvvisamente nella trama della narrazione apocalittica, e i cui nomi non sono rivelati? La tradizione cattolica li ha sempre visti come Enoch, vissuto prima del diluvio, ed il profeta Elia: entrambi, infatti, sono scomparsi in modo misterioso dal mondo dei vivi, e la Sacra Scrittura lascia intendere in modo velato che un giorno dovranno tornare. Leggiamo, per esempio, nella profezia di Malachia: « Ecco, io vi manderò il profeta Elia prima che venga il giorno grande e terribile del Signore » (IV, 5); e nel Vangelo di San Matteo, dalla bocca di Nostro Signore stesso: « Elia verrà ancora e restaurerà tutte le cose » (XVIII, 11). San Gregorio Magno insegna a questo proposito che il profeta del Carmelo, dopo essere stato portato via sulle rive del Giordano in un carro di fuoco, fu trasportato in una parte sconosciuta dell’universo, dove attende la fine del mondo, per riapparire allora, e pagare il tributo che ogni uomo deve alla morte (Hom. XXIX sul Vangelo). Questa opinione è stata seguita da tutti i dottori della Chiesa: Elia, secondo il loro comune sentire, non è in cielo; non gode, come gli eletti, della visione beatifica. Ma ha recuperato uno stato simile a quello dei nostri primi genitori prima della loro caduta. Temporaneamente liberato dalle condizioni ordinarie della vita umana, attende, in mezzo ad una grande pace del corpo e dell’anima, in uno stato di felicità continua che supera tutte le gioie della terra, il momento di tornare a confessare Cristo, e di versare il suo sangue a testimonianza della sua fede. – Per Enoch, la Tradizione si basa su un passo della Genesi, dove si dice di lui che scomparve, perché Dio lo portò via (V, 32.); e ancora di più sul testo seguente, « Enoch fu gradito a Dio e fu portato in paradiso per predicare la penitenza alle nazioni » (XLIV, 16.); vale a dire: fu posto in un luogo di riposo per tornare un giorno a predicare la penitenza alle nazioni. Alcuni commentatori, tuttavia, hanno pensato che qui si intendesse Mosè, in ricordo della scena della Trasfigurazione; ma la grande maggioranza ritiene che Enoch fosse il compagno di Elia. Questi due uomini sono la figura dei Santi che Dio manda alla sua Chiesa nei tempi della prova, per consolarla e difendere la sua dottrina. L’autore sacro, dunque, dopo aver annunciato il ritorno di questi due servi di Dio, li paragona a due ulivi, e poi a due candelabri: a due ulivi, perché saranno pieni dell’unzione dello Spirito Santo, e perché produrranno carità come l’ulivo produce l’olio; a due candelabri, perché porteranno in loro la luce della verità divina, e serviranno ad illuminare gli altri uomini. Staranno alla presenza del Padrone della Terra, cioè saranno sempre attenti alla presenza di Dio, cercando solo l’esecuzione della sua volontà, indifferenti alle attrazioni e alle minacce del mondo. Ma per compiere la missione di cui saranno incaricati, Dio fornirà loro un potere sovrumano. Se qualcuno cerca di far loro del male, il fuoco uscirà dalla loro bocca e divorerà i loro nemici. – Queste parole devono essere prese in senso figurato; esse significano che se qualcuno vuole tentare di sedurli e cercare di distoglierli dalla predicazione della verità, sentirà una tale saggezza e carità ardente nelle loro parole che sarà coperto di confusione. E se, rifiutando di essere convinto, si sforzasse di usare violenza contro di loro e di ferirli nel corpo, sappia che, per la giustizia divina, si condannerebbe a perire. I due testimoni avranno il potere di chiudere il cielo ed impedire la caduta della pioggia; il potere di trasformare le acque in sangue e di colpire la terra con qualsiasi piaga tutte le volte che lo desiderano. Leggiamo nella Sacra Scrittura che Elia, per fermare l’empietà di Achab, condannò la Palestina ad una siccità di tre anni (III Reg., XVII, 1); che Mosè, per liberare il popolo ebreo dall’oppressione del faraone, trasformò le acque in sangue e colpì l’Egitto con dieci piaghe (Ex., VII e seguenti). È naturale supporre che coloro che devono sottomettere l’Anticristo saranno dotati di un potere ancora maggiore. Tuttavia, alcuni commentatori pensano che, per lasciare all’ultima persecuzione tutta la sua violenza, Dio non concederà a nessuno il potere di fare miracoli. In questa ipotesi, le parole appena dette devono essere intese in senso figurato: Il potere di chiudere il cielo sarà quello di impedire ogni predicazione; gli eretici si sentiranno così dominati dalla saggezza dei due profeti che non oseranno più dire nulla pubblicamente; il potere di trasformare le acque in sangue darà ai due testimoni l’autorità necessaria per far vedere ai più ignoranti il carattere mortale delle perniciose dottrine che fino ad allora avevano bevuto come acqua; quello infine di colpire la terra con ogni sorta di piaghe permetterà loro di toccare i cuori e di imprimere loro la paura del castigo eterno. Quando avranno completato la missione affidata loro da Dio e avranno dato sufficiente testimonianza della divinità di Gesù Cristo, saranno a loro volta consegnati all’Anticristo per subire il martirio. Allora – dice San Giovanni – la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro e li vincerà, almeno in apparenza, e li metterà a morte. La bestia non è altro che l’Anticristo stesso, il quale, per la violenza delle sue passioni, assomiglierà ad una vera bestia selvaggia. Tuttavia, farà attenzione a non mostrare la crudeltà che sarà il fondo del suo carattere. Al contrario, si sforzerà di mostrarsi liberale e generoso, per sedurre gli uomini e rendersi accettabile per loro come capo e re. Ma in seguito, quando il suo potere sarà saldamente stabilito, la bestia risorgerà dall’abisso, la malvagità nascosta nel suo cuore sarà rivelata e si tradurrà in atti di inaspettata ferocia. Irritato dalla resistenza dei due profeti, dichiarerà una guerra feroce contro di loro e, vittorioso per un momento, li farà mettere a morte. E i loro corpi rimarranno insepolti nelle piazze della grande città. L’autore sacro dice qui: le piazze, al plurale, perché i corpi dei due martiri saranno portati a turno, si dice, nei luoghi principali della città, per mostrare a tutti il potere dell’Anticristo e per servire da monito a chiunque sia tentato di resistergli. La grande città dove il loro Maestro, cioè il Signore Gesù, fu crocifisso si chiama Gerusalemme. Questa è misticamente chiamata Sodoma o Egitto: l’Egitto è per eccellenza la terra dell’idolatria, il suo nome significa, in ebraico, « tenebre »; Sodoma è il tipo dell’abominio, il suo nome significa il muto o il cieco: con queste espressioni, l’autore vuole farci capire la cecità e la miseria morale in cui cadde la città santa, per non aver saputo riconoscere il suo Salvatore e per non aver voluto confessare le sue colpe. I corpi dei due martiri rimasero così esposti, senza sepoltura, per tre giorni e mezzo. Molti commentatori pensano che queste ultime parole non debbano essere prese alla lettera, ma che questo spettacolo durerà a lungo, poiché, secondo il resto del racconto, gli uomini di tutte le tribù, tutti i popoli, tutte le lingue, tutte le nazioni potranno contemplarli. Questa esecuzione sarà fonte di gioia per gli uomini che abitano la terra, cioè per coloro che sono interamente dedicati, anima e corpo, alle cose della terra, senza alcuna aspirazione ai beni eterni. In questa occasione faranno feste e doni gli uni agli altri in segno di gioia, lieti di vedere la fine del tormento di angoscia causato dai due profeti con i loro terribili avvertimenti e le loro continue minacce di castighi. Ma quando il termine fissato da Dio sarà scaduto, le anime dei due martiri ritorneranno nei loro corpi. (San Giovanni, a questo punto della sua narrazione, passa senza transizione dal futuro al perfetto, per mostrare che tutto, sia passato che futuro, è simultaneamente presente davanti a Dio, e che gli eventi qui annunciati sono così certi come se fossero già avvenuti. Tuttavia, abbiamo mantenuto il tempo futuro in questo commento per rendere il significato più chiaro). Improvvisamente saranno visti entrambi alzarsi e stare in piedi, e coloro che li avevano visti morti saranno pieni di gran terrore; non dubiteranno più, a questo segno, che i profeti abbiano detto la verità e che le loro minacce saranno presto eseguite. Ma essi, non avendo più niente da fare sulla terra, saranno chiamati da Dio. E saliranno al cielo in una nuvola, tra lo stupore dei loro nemici.

§ 3 – La settima tromba.

Subito dopo la loro ascensione, un terremoto tremenda scuoterà tutta la terra e la decima parte della città sarà distruttoa. La Chiesa ci insegna nell’Ufficio della Dedicazione (Cfr. Inno dei Vespri), che la Città di Dio è costruita, non con pietre ordinarie, ma con pietre vive, cioè con le anime dei giusti. Questi, come si ammette, vengono ad occupare, secondo un’opinione comune tra gli autori mistici, i posti lasciati liberi dagli angeli apostati. Così sono incorporati nelle gerarchie celesti e, secondo il grado della loro carità, sono divisi, come gli Angeli, in nove cori. La decima parte, di cui parliamo qui, sono coloro che non trovano posto in nessuno di questi cori, e che sono quindi condannati alla rovina eterna con i demoni. Questi includeranno nelle loro file un buon numero di servitori dell’Anticristo, ed è la perdita di questi ultimi che San Giovanni qui intravede simbolicamente, sotto la figura dei settemila uomini che allora morirono senza fare penitenza. Gli altri, spaventati da questi terribili eventi, si convertiranno e, tornando a Dio, gli renderanno grazie per averli voluti strappare al potere delle tenebre.

*

* *

Così finirà la seconda delle tre grandi tribolazioni che devono precedere la fine del mondo, cioè: la persecuzione dell’Anticristo. Ora ecco la terza, che sta per arrivare: e questo sarà il terrore-panico che assalirà l’umanità quando i segni del Giudizio cominceranno ad apparire nella natura. Ma sarà preceduta da un breve periodo di pace, annunciato dalla tromba del settimo angelo. Quest’ultima tromba rappresenta gli ultimi predicatori che si sentiranno nella Chiesa, per dire agli uomini dell’imminente avvento del Figlio di Dio, e dell’urgente necessità di convertirsi. Allo stesso tempo, un nuovo inno di gioia risuonerà in cielo: « Il regno di questo mondo – canteranno gli eletti – che per tanto tempo è stato l’impero del diavolo, ora è diventato il regno del Signore Dio nostro e del suo Cristo, ed Egli regnerà nei secoli dei secoli. Amen. » E i ventiquattro anziani che stanno sui loro seggi alla presenza di Dio, cioè tutti i Profeti, gli Apostoli e i Santi che serviranno come assistenti a Nostro Signore nel giorno del Giudizio, come Egli stesso ha promesso; San Giovanni vide prostrarsi tutti quanti con la faccia a terra, adorando Dio e dicendo: Ti rendiamo grazie, Signore, Sovrano Padrone di tutte le cose; Dio Onnipotente, al quale nulla può sfuggire, nulla può resistere; Tu che sei, che eri e che vieni. – Tu che sei, che eri e che vieni. Tu che sei, che sei immutabile nel tuo Essere eterno; Tu che eri presente, anche quando gli empi negavano la tua esistenza e ti deridevano; Tu che vieni incessantemente a giudicare l’universo. – Noi vi ringraziamo che vi degnate di usare il vostro potere per raccogliere la vostra Chiesa, per schiacciare i suoi nemici, e che avete hai stabilito il tuo regno nei nostri cuori. Le nazioni, cioè tutti coloro che sono rimasti nello stato di natura, che non sono stati rigenerati in Cristo, tutti gli ostinati servi del mondo, si sono adirati con voi invece di umiliarsi e fare penitenza davanti ai prodigi di cui sono stati testimoni. Perciò la misura è colma: l’ora della vostra giusta collera è arrivata. È giunta l’ora di giudicare i morti, di premiare i vostri servi, i profeti, i santi e coloro che temono il vostro nome, grandi e piccoli, perché Voi non dimenticherete nessuno; e sterminerete al contrario, coloro che hanno infettato il mondo con la loro corruzione.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (8)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (6)

G Dom. Jean de MONLÉON Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (6)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat:; Elie Maire Can. Cens. Ex. Off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: Lutetiæ Parisiorum die II nov. 194

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Terza Visione

LE SETTE TROMBE

PRIMA PARTE

LE PRIME QUATTRO TROMBE

Capitolo VIII. – (1- 13)

“E vidi i sette Angeli che stavano dinanzi a Dio: e furono loro date sette trombe. E un altro Angelo venne, e si fermò avanti l’altare, tenendo un turibolo d’oro: e gli furono dati molti profumi affinché offerisse delle orazioni di tutti i santi sopra l’altare d’oro, che è dinanzi al trono di Dio. E il fumo dei profumi delle orazioni dei santi salì dalla mano dell’Angelo davanti a Dio. E l’Angelo prese il turibolo, e lo empiè di fuoco dell’altare, e lo gettò sulla terra, e ne vennero tuoni, e voci, e folgori, e terremoto grande. E i sette Angeli, che avevano le sette trombe, si accinsero a suonarle. E il primo Angelo diede fiato alla tromba, e si fece grandine e fuoco mescolati con sangue, e furono gettati sopra la terra, e la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi furono arsi, e ogni erba verde fu arsa. E il secondo Angelo diede fiato alla tromba: e fu gettato nel mare quasi un gran monte ardente di fuoco, e la terza parte del mare diventò sangue, e la terza parte delle creature animate del mare morì, e la terza parte delle navi perì. E il terzo Angelo diede fiato alla tromba: e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una fiaccola, e cadde nella terza parte dei fiumi e delle fontane: e il nome della stella si dice Assenzio; e la terza parte dell’acque diventò assenzio: e molti uomini morirono di quelle acque, perché diventate amare. E il quarto Angelo diede fiato alla tromba; e fu percossa la terza parte del sole, e la terza parte della luna, e la terza parte delle stelle, di modo che la loro terza parte fu oscurata, e la terza parte del giorno non splendeva e similmente della notte. E vidi, e udii la voce di un’aquila che volava per mezzo il cielo, e con gran voce diceva: Guai, guai, guai agli abitanti della terra per le altre voci dei tre Angeli che stanno per suonare la tromba.”

Questo capitolo si apre con un versetto che appartiene ancora alla seconda visione dell’Apocalisse, e che racconta la rottura dell’ultimo dei sette sigilli con cui il libro era segnato. Questa settima rivelazione mostra quale sarà lo stato della Chiesa dopo il regno dell’Anticristo, il cui terribile avvento è stato annunciato nel sigillo precedente; la cristianità godrà allora di una grande pace, durante la quale i maestri e i Santi saranno autorizzati a predicare il Vangelo come vogliono. Ma questa fase durerà poco: mezz’ora, dice San Giovanni. Se ci riferiamo alla profezia di Daniele, questa mezz’ora rappresenta circa quarantacinque giorni. Il profeta, infatti, dopo aver annunciato che l’abominazione della desolazione sarebbe durata milleduecentonovanta giorni, aggiunge: “Beato chi aspetta e arriva a milletrecentotrentacinque giorni“. (XII, 12). Parole che San Girolamo interpreta così: « Beato colui che, dopo la morte dell’Anticristo, avvenuta dopo duemiladuecentonovanta giorni, cioè dopo un regno di poco più di tre anni e mezzo, aspetterà altri quarantacinque giorni, fino alla venuta del Salvatore. »

§ 1 – La distribuzione delle trombe.

Subito dopo la promessa di questa pace, inizia, senza transizione, una nuova visione, la terza: il compimento della nostra salvezza e la storia della Chiesa vi sono riprese sotto simboli misteriosi, la cui successiva apparizione è provocata da sette Angeli, che suonano la tromba a turno. « E vidi – dice l’Apostolo – sette Angeli in piedi alla presenza di Dio, con il cuore rivolto a Lui con il fervore e la continuità della loro contemplazione, pronti a fare qualsiasi cosa e ad andare ovunque al suo servizio. Gli Angeli sono evocati perché i predicatori sappiano che hanno in sé un modello compiuto delle virtù che devono mettere in pratica. Vengono date loro sette trombe, per dire che nessuno può investire se stesso della missione di predicatore, ma che questa funzione gli deve essere affidata dalla legittima autorità della Chiesa. La predicazione è paragonata alla tromba, che è sia uno strumento di guerra che uno strumento di trionfo, perché consiste essenzialmente nel chiamare i Cristiani alla battaglia e nell’annunciare le vittorie di Cristo. E le trombe sono in numero di sette per ricordarci la parte essenziale svolta dal settenario dello Spirito nella conversione degli uomini.

§ 2 – L’incensiere d’oro.

E venne un altro Angelo, un Angelo di natura superiore, l’Angelo del grande consiglio, il Figlio di Dio stesso. Egli infatti, doveva venire prima, affinché gli Apostoli potessero poi predicare il Vangelo; Egli doveva rivestirsi di carne come la nostra, e stare davanti all’altare, offrendosi a Suo Padre come vittima espiatoria, pronto a fare la volontà divina fino alla morte, ed la morte di croce. – Egli aveva in mano un turibolo d’oro, simbolo di quella piccola Chiesa che aveva forgiato con il metallo della propria Sapienza, e nella quale aveva acceso il fuoco del suo amore; una fiamma incandescente di carità, l’unica degna, l’unica capace di far salire al cielo il profumo delle preghiere gradite a Dio. Questo turibolo d’oro, tuttavia, rappresenta anche l’anima o il Cuore del nostro Salvatore Gesù. Egli lo tiene in mano perché è stato sempre padrone dei suoi movimenti più segreti, non avendo nella sua carne la concupiscenza originale. È nello stesso senso che il profeta reale, parlando in suo nome, disse: L’anima mia è sempre nelle mie mani (Ps. CXVIII, 109.). Questo Cuore è veramente un cuore d’oro, che non ha mai conosciuto la minima macchia, la minima imperfezione, e che si identifica con la carità perfetta. Ad imitazione di Cristo, anche noi, quando vogliamo che le nostre preghiere siano esaudite, dobbiamo tenere in mano questo turibolo d’oro e depositare le nostre preghiere in questo Cuore, che solo è capace di piegare la giustizia divina ed ottenere tutto ciò che vuole. E gli portarono un gran numero di carboni ardenti, cioè delle preghiere ardenti dei giusti, perché scegliesse tra queste e offrisse a Dio un’oblazione fatta delle preghiere di tutti i Santi. Nostro Signore, infatti, presenta a suo Padre solo quelle preghiere che sono utili per la salvezza delle anime. E queste preghiere sono accettate dalla Maestà Divina solo se sono poste da Lui sull’altare d’oro, che simboleggia la Sua Passione, il cui ricordo è sempre presente davanti al trono di Dio. Come l’incenso, per sprigionare la sua fragranza, deve essere posto sul fuoco, così le nostre preghiere possono salire ai piedi della Maestà divina solo se sono versate sulle sofferenze di Gesù Cristo. La croce del Salvatore è veramente l’altare dell’eterna liturgia, sul quale è stata immolata la vera Vittima, di cui le altre non erano che la figura; altare scintillante come l’oro perché coperto del sangue di Cristo e costellato delle sue ferite; un legno prezioso tra tutti i legni, come canta la Chiesa (Inno della Passione alle Lodi: Crux fidelis inter omnes, Arbor una nobilis), proprio come l’oro è prezioso tra tutti i metalli. – E il fumo dei carboni ardenti, cioè il fervore delle preghiere dei Santi, salì a Dio dalla mano dell’Angelo, cioè per la virtù, l’intercessione ed i meriti di Gesù Cristo. E l’Angelo prese l’incensiere, la piccola chiesa che aveva forgiato durante la sua vita terrena, e lo riempì di fuoco dell’altare il giorno di Pentecoste, quando fece scendere lo Spirito Santo su di esso; e lo gettò sulla terra, mandando i suoi Apostoli in tutte le nazioni per accendere tra gli uomini il fuoco della carità divina. Allora si produssero tuoni, voci, fulmini, un grande terremoto; abbiamo già spiegato il significato di queste parole, che designano i miracoli ed i segni eclatanti con cui era accompagnata la predicazione apostolica (Cfr. Seconda Visione, IV, 5. – Tutto il passo che abbiamo appena commentato sull’Angelo con il turibolo d’oro è applicato dalla liturgia al Principe delle armate celesti, San Michele. Cfr. Offertorio della Messa del 29 settembre). – E i sette Angeli che avevano ricevuto le sette trombe si prepararono a suonarle. Questo particolare non è riportato invano: è destinato a far capire ai predicatori che anche loro devono prepararsi, prima di annunciare la parola di Dio, con la preghiera, con lo studio della verità e la pratica delle virtù.

§ 3 – La prima tromba.

E il primo Angelo suonò la tromba, o più esattamente: cantò dalla tromba. Le due parole non si accordano bene tra loro; ma il fatto che siano messe insieme deliberatamente insegna a coloro che predicano che, per conquistare il cuore dei loro ascoltatori, devono combinare la proclamazione delle più spaventose verità cristiane, come il rigore del Giudizio Universale, con una grande dolcezza nella forma del loro discorso. Al suono di questa prima tromba, che simboleggia la prima predicazione degli Apostoli, quella che fecero ai Giudei il giorno dopo Pentecoste, vennero la grandine e il fuoco, mescolati al sangue. La grandine rappresenta la violenta persecuzione che fu immediatamente scatenata; il fuoco, la carità dei primi Cristiani, che si infiammò nei tormenti, e si mescolò con loro nel sangue dei primi martiri. L’uccisione di Santo Stefano ci offre un’immagine quasi letterale di ciò che è detto qui: sotto la grandine di pietre con cui i Giudei lo colpirono, il martire fu incendiato dal fuoco della carità. Prega per i suoi carnefici, come aveva fatto Cristo sulla croce: Signore, implorava, non imputare loro questo peccato (Act., VII, 59). E dopo questo magnifico grido d’amore, morì, immerso nel suo sangue. E tutto questo fu mandato sulla terra. La notizia di questi eventi si è diffusa ovunque. E la terza parte della terra fu consumata, e la terza parte degli alberi fu bruciata, e tutta l’erba verde fu consumata. La terra qui si riferisce agli abitanti del nostro pianeta, l’intera umanità. La terza parte non deve essere intesa come il terzo numerico, ma così come il “Terzo Stato” che veniva identificato con il terzo effettivo della popolazione francese. Tuttavia, se consideriamo la totalità degli uomini dal punto di vista della loro salvezza, possiamo classificarli in tre categorie principali: 1° quelli che non hanno mai commesso colpe gravi e che cercano in ogni momento di soddisfare la legge di Dio; 2° quelli che, dopo gravi disordini, si convertono e fanno penitenza; 3° quelli che, al contrario, non vogliono fare penitenza e muoiono nel loro peccato. Le prime due specie sono sulla strada della salvezza, la terza parte è destinata al fuoco eterno. – Gli alberi rappresentano gli uomini che Dio ha piantato con cura speciale nel giardino della sua Chiesa, come i chierici, i prelati ed i religiosi, affinché crescano e portino frutti spirituali. Tra loro, alcuni si santificano nella vita contemplativa, altri nella vita attiva. La terza parte designa coloro che non portano frutto in nessuna di queste due aree e che saranno maledetti nel giorno del giudizio. Infine, l’erba verde si riferisce a coloro che vivono, per così dire, vicino alla terra, che seguono solo le inclinazioni della carne, senza mai elevarsi sopra il mondo presente. Qui non si tratta più solo di un terzo; sono tutti sulla via della dannazione.

§ 4 – La seconda tromba.

E il secondo Angelo suonò la tromba. Questa seconda predicazione è quella che gli stessi Apostoli hanno fatto, non questa volta ai Giudei, ma ai gentili, quando avevano diviso le province del mondo. E ci fu come una grande montagna che bruciante per il fuoco, che fu gettata nel mare; e la terza parte del mare divenne come sangue. Il mare, sempre in movimento, è il simbolo dei Gentili, cioè dell’umanità non rigenerata dal Battesimo, schiava della legge del peccato, sempre agitata dalla triplice concupiscenza degli occhi, della carne e dello spirito. Quando il diavolo, rappresentato qui dalla montagna in fiamme, vide gli Apostoli venire da essa, si gettò furiosamente in mezzo ai gentili per sobillarli contro la nuova dottrina. Nonostante questo, alcuni dei gentili abbracciarono la fede cristiana e furono battezzati; altri rimasero indifferenti. Solo la terza parte si infuriò contro i predicatori e diventò come il sangue nella crudeltà dei tormenti che loro infliggevano. E la terza parte della creatura, di quelli che avevano le anime nel mare, morì. La creatura in questo passo non designa l’insieme degli esseri in generale, ma solo coloro ai quali tutti gli altri sono ordinati e per i quali Dio ha fatto l’universo: coloro che vivono secondo la ragione. La stessa espressione si trova nella Lettera ai Romani (I, 20), quando San Paolo parla degli attributi invisibili di Dio, che la creatura del mondo – cioè l’uomo – può intravedere per mezzo delle cose create. San Giovanni precisa il suo pensiero aggiungendo: di coloro che hanno l’anima nel mare, in opposizione a quelli che vivono come se non ne avessero, e che vanno sempre di qua e di là, sballottati come corpi morti sulle onde, dalle fluttuazioni della loro concupiscenza. Di questi saggi, dunque, alcuni arrivarono quasi naturalmente al Cristianesimo col risultato delle loro riflessioni; altri si convertirono con la predicazione degli Apostoli; altri rifiutarono di arrendersi alla luce, e formano la terza parte di cui si parla, che muoiono spiritualmente, non accettando la Vita che veniva loro offerta. E la terza parte delle navi perì. Le navi simboleggiano misticamente i re, i principi, i capi, tutti coloro ai quali Dio dà autorità sugli uomini per condurli attraverso il mare di questo mondo al porto della salvezza. All’udire la parola degli Apostoli, alcuni si convertirono, altri furono solo tolleranti, e gli ultimi si trasformarono in persecutori, e affondarono nel loro destino eterno come una nave che affonda nelle onde.

§ 5 – La terza tromba.

E il terzo Angelo suonò la tromba. Questa terza predicazione è quella che fecero intendere i grandi Dottori del IV secolo, quando, grazie alla pace di Costantino, poterono sviluppare liberamente la dottrina degli Apostoli, e quando furono dichiarate le grandi eresie. Allora una grande stella cadde dal cielo, bruciando come una torcia. Smascherati da essi, i maestri dell’errore, come Ario, Pelagio, Nestorio, ecc., che all’inizio brillavano nel firmamento della Chiesa per lo splendore delle loro parole ed opere, caddero in rivolta, separandosi dalla comunione cattolica. Essi bruciavano come torce, perché continuavano, una volta cadute, a gettare una certa luce: ma questa luce non ha nulla della purezza di quella delle stelle. La stella brilla, sempre serena, sempre chiara, sempre uguale a se stessa; la torcia, invece, è consumata dalla sua stessa fiamma e divora tutto ciò che tocca. Così fanno gli eretici, che distruggono se stessi e gli altri col furore del loro zelo. – E cadde nella terza parte dei fiumi. I fiumi qui rappresentano le Sacre Scritture che irrigano l’anima, la fecondano e mantengono la sua vita spirituale. Di solito si distinguono solo due parti, il Vecchio e il Nuovo Testamento, ma l’autore ne conta tre, e questo per la nostra istruzione. Questa terza parte designa le esposizioni dei santi Dottori, che sono così strettamente legate, nello spirito della Chiesa, al testo sacro tanto da formare un corpo unico con quest’ultimo per costituire il blocco indeformabile ed inespugnabile della Tradizione cattolica. Abbiamo già menzionato la sua importanza (vedi prefazione), e San Giovanni la sottolinea qui. È su questa terza parte – non lo si ripeterà mai abbastanza – che cadono i teologi che perdono la strada. Gli eretici e coloro che seguono le loro orme accettano senza difficoltà l’autorità dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma rifiutano l’interpretazione autentica data dai santi Padri; pretendono di spiegarli con nuove luci. Così vanno alla loro rovina, trascinando con sé i loro discepoli. Ecco perché San Giovanni aggiunge che la stella cadde nelle sorgenti delle acque, avvelenando le sorgenti dove i Cristiani vengono a nutrire la loro sete e la loro pietà. Ed il nome della stella si chiama Assenzio, perché l’eresia rende amaro tutto ciò con cui è mescolata. Perciò, la terza parte delle acque fu cambiata in assenzio: cioè, secondo quanto abbiamo appena spiegato, il commento perverso dato alle Scritture da coloro che deviano dalla tradizione, ha cambiato in amarezza questo libro divino, la cui dolcezza lo Spirito Santo paragona al latte e al miele. E così infettata dall’errore, diventa una bevanda di morte per coloro che vogliono dissetarsi in essa, che è stata data agli uomini per attingervi da essa le acque vive della grazia.

§ 6 – La quarta tromba e l’annuncio dei tre “Væ”.

La tromba del quarto Angelo designa tutti i dottori che si sono succeduti nella storia della Chiesa, da quelli appena menzionati a quelli che precederanno immediatamente l’Anticristo. Attraverso i secoli, la loro missione è sempre la stessa: consiste nel denunciare gli errori ed i fallimenti che comprometteranno la salute morale del popolo cristiano. – La loro parola ha l’effetto di far cadere la terza parte del sole, della luna e delle stelle, cioè di smascherare i pastori negligenti che non fanno il loro dovere. Perché il sole, la luna e le stelle, che a loro volta illuminano la terra, sono la figura dei prelati, sacerdoti e religiosi, di tutti coloro che sono incaricati da Dio di illuminare la massa dei fedeli durante il tempo del mondo presente. Alcuni di loro sono veramente dediti al loro dovere e si santificano santificando gli altri: essi formano la prima parte; altri trascurano la propria santificazione, ma almeno assolvono correttamente il ministero loro assegnato: essi formano la seconda parte. Altri, infine, non hanno alcuna preoccupazione per le loro anime o per quelle sotto la loro cura: essi costituiscono la terza parte, quella che è oscurata, che perde tutto il suo splendore davanti alla predicazione energica dei servi di Dio. – E la terza parte del giorno non brillò, e così la terza parte della notte: con questo l’autore intende dire che, a causa della defezione di certi pastori, tutta una parte dell’umanità non aveva luce che la illuminasse nel suo lavoro durante il giorno, né luna o stella che la guidasse nella notte. Il lavoro del giorno rappresenta le buone opere che devono essere fatte per guadagnare il denaro della ricompensa eterna; il cammino nella notte simboleggia la ricerca di Dio, nell’oscurità della vita presente, alla sola luce della fede. Privati di coloro che dovevano illuminarli, gli uomini abbandonarono le buone opere e persero la loro fede. – Prima di affrontare la predicazione dei tre Angeli che restano, San Giovanni la annuncia con un breve preambolo, per sottolineare il carattere particolarmente terribile delle lotte che precederanno la fine del mondo: « E vidi – dice – e sentii la voce di un’aquila, che è il simbolo di tutti coloro che penetrano profondamente nei misteri divini. E volò in mezzo al cielo, molto al di sopra delle cose della terra, camminando dritto per la sua strada, senza lasciarsi voltare a destra o a sinistra. E disse con voce potente: “Guai, guai, guai a coloro che abitano la terra, non solo nel corpo ma anche nel cuore; a coloro che hanno come unico affetto e preoccupazione i beni, i piaceri e gli onori del mondo presente. Schiavi delle loro tre concupiscenze, sono minacciati di punizioni spaventose per ciascuna di esse, e gli Angeli che stanno arrivando ne daranno il dettaglio.

SECONDA PARTE

LA QUINTA E LA SESTA TROMBA

Capitolo IX, 1- 21

“E il quinto Angelo diede fiato alla tromba: e vidi una stella caduta dal cielo sopra la terra, e gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso. E aprì il pozzo dell’abisso: e dal pozzo salì un fumo, come il fumo di una grande fornace: e il sole e l’aria si oscurò pel fumo del pozzo: e dal fumo del pozzo uscirono per la terra locuste, alle quali fu dato un potere, come lo hanno gli scorpioni della terra: E fu loro ordinato di non far male all’erba della terra, né ad alcuna verdura, né ad alcuna pianta: ma solo agli uomini, che non hanno il segno di Dio sulle loro fronti. E fu loro dato non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi: e il loro tormento (era) come il tormento che dà lo scorpione, quando morde un uomo. E in quel giorno gli uomini cercheranno la morte, né la troveranno: e brameranno, di morire, e la morte fuggirà da loro. E gli aspetti delle locuste, simili ai cavalli preparati per la battaglia: e sulle loro teste una specie di corone simili all’oro; e i loro volti simili al volto dell’uomo. E avevano capelli simili ai capelli delle donne: e i loro denti erano come di leoni. E avevano corazze simili alle corazze di ferro, e il rumore delle loro ali simile al rumore dei cocchi a più cavalli correnti alla guerra: e avevano le code simili a quelle degli scorpioni, e v’erano pungiglioni nelle loro code: e il lor potere (era) di far male agli uomini per cinque mesi: e avevano sopra di loro per re l’angelo dell’abisso, chiamato in ebreo Abaddon, in greco Apollyon, in latino Sterminatore. Il primo guaì è passato, ed ecco che vengono ancora due guai dopo queste cose. “E il sesto Angelo diede flato alla tromba: e udii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro, che è dinanzi agli occhi di Dio, la quale diceva al sesto Angelo, che aveva la tromba: Sciogli i quattro Angeli che sono legati presso il gran fiume Eufrate. E furono sciolti i quattro angeli che erano preparati per l’ora, il giorno, il mese e l’anno a uccidere la terza parte degli uomini. E il numero dell’esercito a cavallo venti mila volte dieci mila. E udii il loro numero. E così vidi nella visione i cavalli: e quelli che vi stavano sopra avevano corazze di colore del fuoco, del giacinto e dello zolfo, e le teste dei cavalli erano come teste di leoni: e dalla loro bocca usciva fuoco, e fumo, e zolfo. E da queste tre piaghe; dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo che uscivano dalle loro bocche fu uccisa la terza parte degli uomini. Poiché il potere dei cavalli sta nelle loro bocche e nelle loro code. Le loro code infatti sono simili a serpenti, hanno teste, e con esse recano nocumento. E gli altri uomini che non furono uccisi da queste piaghe, neppure fecero penitenza delle opere delle loro mani, in modo da non adorare i demoni e i simulacri d’oro, e d’argento, e di bronzo, e di pietra, e di legno, i quali non possono né vedere, né udire, né camminare, e non fecero penitenza dei loro omicidii, né dei loro veneficii, né della loro fornicazione, né dei loro furti.”

§ 1. — La quinta tromba ed il primo « Væ ».

La tromba del quinto Angelo rappresenta la lotta che la Chiesa dovrà condurre contro le eresie che precederanno la venuta dell’Anticristo: « Vidi – dice San Giovanni – una stella cadere dal cielo sulla terra e le fu data la chiave del pozzo dell’abisso. Questa stella a cui viene data una chiave rappresenta un essere vivente, e questo non può essere che il diavolo. Esso è paragonato ad una stella, perché è stato creato luminoso e puro, perché è stato fatto per adornare il cielo e cantare la gloria di Dio; ma a causa della sua ribellione fu cacciato dalla corte celeste e cadde sulla terra. In realtà, fu gettato giù nelle profondità dell’inferno, ma l’espressione “cadere sulla terra” è usata qui per significare che gli è permesso di rimanere sul nostro pianeta per tentare gli uomini fino alla fine dei tempi. San Giovanni non dice che lo vide cadere davanti ai suoi occhi: la parola cecidisse, in latino, al tempo perfetto, e, in greco, il participio passato “peptokuta” indicano che si tratta di un evento già realizzato: infatti, non è sotto gli accenti della quinta tromba che il demone cadrà. La caduta avvenne all’inizio del mondo, e nessun uomo ne fu testimone, tranne colui che dice nel Vangelo: Ho visto satana cadere dal cielo come un fulmine (Lc., X, 18). – E gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso, cioè l’abilità necessaria per chiudere alla grazia ed aprire al peccato il cuore degli eretici. L’abisso, abyssus, designa propriamente un luogo in cui la luce non può penetrare; aggiungendo la parola “pozzo” che indica un buco profondo scavato dalla mano dell’uomo, l’autore vuole indicare che gli empi hanno fatto del loro cuore, per opera loro, un abisso profondo, in cui i raggi della saggezza divina non possono più penetrare.

§ 2 L’apertura del pozzo dell’abisso e le locuste

Ed aprì il pozzo dell’abisso: ha cioè spinse gli eretici a pubblicare all’esterno tutti gli errori ed i disegni perversi che nascondevano dentro di sé. E il fumo saliva da quella fossa come da una grande fornace, cioè la loro dottrina usciva da essa, accecando e soffocando come fumo denso tutti quelli che la respiravano; ed il fumo era come il fumo di una grande fornace, perché era come il fumo dell’Anticristo stesso. E il sole si oscurò; e la luce di Cristo, che illumina la sua Chiesa, era come velata; e l’aria, cioè la fede, poiché questa virtù è un mezzo necessario per la vita spirituale come l’aria lo è per la vita naturale; l’aria era oscurata, come da una nebbia, nella quale molti hanno perso la via della verità. E dal fumo del pozzo uscirono cavallette che si sparsero sulla terra: la dottrina degli eretici fece nascere una moltitudine di discepoli, che non riuscirono a rimanere in alto come aquile o colombe, cioè come i Santi, sulle ali delle loro virtù, ma si sforzarono vanamente di elevarsi con salti sgraziati e disordinati come cavallette, per poi ricadere sulla terra, sulle loro preoccupazioni materiali, e divorare tutto ciò che trovavano. – Dio ha permesso che fosse dato loro un potere come quello degli scorpioni… Lo scorpione non porta la sua arma velenosa nella testa, come il serpente, ma nella coda; non si getta sulla sua vittima con un atteggiamento minaccioso, ma si avvicina dolcemente, come se volesse accarezzarla; poi all’improvviso fa scattare il suo pungiglione inaspettatamente e le dà una ferita mortale. – Così questi eretici non cercheranno di guadagnare seguaci con le armi in mano; cercheranno prima di sedurre gli ignari, e quando questi saranno stati presi dai loro modi gentili, inoculeranno loro il veleno che li perderà. E fu loro proibito di danneggiare l’erba della terra, né alcuna cosa verde, né alcun albero: questi tre termini segnano i tre gradi classici della vita spirituale: l’erba, che emerge appena dalla terra, simboleggia lo stato degli incipienti; la pianta, che sorge sotto la spinta della linfa interiore, quello dei progrediti, che si sviluppano sotto l’azione della grazia; l’albero, quello dei perfetti, cioè degli uomini che, saldamente stabiliti nella virtù, portano i frutti abbondanti delle loro buone opere e coprono gli altri con la loro ombra. Agli eretici fu dunque proibito di nuocere a qualcuno di coloro che erano dediti alla vita spirituale; al contrario, fu loro concessa piena libertà nei confronti degli uomini che non hanno il segno di Dio sulla fronte, quelli di cui parla il profeta Ezechiele, e che non sono segnati con il thau (IX, 6), cioè con la croce di Cristo; che se ne vergognano, che non vogliono farsi suoi discepoli, né porre in esso la loro speranza; che non hanno né la carità né le opere. – Tuttavia, questo divieto di nuocere ai giusti deve essere inteso solo in ambito spirituale; è solo l’anima di questi ultimi che non può essere uccisa, cioè separata dalla sua Vita, separata da Dio; ma i malvagi avranno il potere di tormentarli nel loro corpo per cinque mesi, cioè di perseguitarli durante tutta la vita presente: il mese, infatti, è la durata della rivoluzione della luna, e questo simboleggia l’incostanza delle cose di quaggiù. Il numero cinque aggiunge l’evocazione delle cinque età della vita umana: infanzia, fanciullezza, adolescenza, età matura e vecchiaia. E la loro persecuzione sarà simile al modo in cui lo scorpione va ad uccidere un uomo, che prima accarezza, poi punge selvaggiamente e lentamente uccide. Sarà così violento che gli uomini, anche i giusti, cercheranno la morte, e non la troveranno: cercheranno la morte temporale, per evitare la morte eterna, temendo di apostatare sotto i rigori dei tormenti; e non la troveranno, perché Dio vuole che subiscano la loro prova; e desidereranno morire, come Elia nel deserto, annientato sotto il peso della tristezza che lo opprimeva (III Reg, XIX, 4); e la morte fuggirà da loro, affinché possano continuare la loro opera e la Chiesa non scompaia. – E queste sembianze di locuste, cioè questi eretici che mi sono apparsi sotto forma di locuste, erano anche come cavalli preparati per la battaglia; perché, contenendo con difficoltà il loro ardore, erano pronti a scattare in qualsiasi direzione, senza discernimento personale, mettendo tutta la loro irruenza e forza al servizio del loro cavaliere, il diavolo. Questa immagine delle locuste che pensano di essere cavalli ricorda anche la rana che pensava di essere un bue, e ci dà un’idea dell’alta opinione di se stessi che avranno gli empi. Sulle loro teste c’erano corone che sembravano d’oro, perché avevano l’aureola di una falsa immagine di saggezza e di comprensione delle Scritture; e i loro volti assomigliavano a quelli degli uomini, perché pronunciavano massime umanitarie e davano l’impressione di agire e parlare secondo ragione. Ma sotto quelle corone avevano capelli come capelli di donna, e sotto quei volti denti come denti di leone. Capelli di donna, perché questa falsa saggezza copriva solo pensieri molli ed effeminati; denti di leone, perché erano sempre pronti a strappare e divorare. – I loro cuori, pieni di pregiudizi e di falsi principi, erano assolutamente impenetrabili ai tratti della verità; ed il rumore delle loro ali era come il rumore dei cavalli dei carri che corrono in gran numero alla battaglia: cioè, incapaci di fornire argomenti ragionevoli per sostenere la loro dottrina, supplivano con il tumulto delle loro parole. L’autore paragona i loro discorsi alle ali, perché gli eretici pretendono di parlare di cose alte, e sembrano librarsi in alto nelle loro considerazioni; ma aggiunge che questi discorsi sono simili a quelli di una truppa di carri che corre alla battaglia. Perché quando una truppa si precipita in battaglia, fa ogni sorta di grida e rumori: il rotolare dei carri, il nitrito dei cavalli, lo squillo delle trombe, le chiamate dei capi, il clamore dei soldati, lo sferragliare delle armi, ecc…. Questo baccano, così prodotto da elementi discordanti, trae la sua unità solo dall’avversario contro il quale è diretto. Così i nemici della Chiesa fanno sentire le voci più eterogenee e contraddittorie: ma formano un blocco a causa del loro comune odio contro la Sposa di Cristo. E avevano code come code di scorpioni: si trascinavano dietro assiomi o principi, che eccellono nel sedurre gli uomini, ma che nascondono pungiglioni pieni di sofferenza e di morte. Questo è stato spesso il caso nella storia del nostro pianeta: le rivoluzioni si fanno con grande clamore e per principi generosi. Si riparano dietro le bandiere della libertà, dell’amore per l’umanità, della difesa dei deboli, ecc; ma dietro di loro c’è la coda dello scorpione: la persecuzione religiosa e l’odio per Cristo. – E avevano il potere di nuocere agli uomini per cinque mesi, cioè per tutto il tempo di questa vita, come abbiamo appena spiegato sopra. Ed essi avevano su di loro un re, il cui nome è chiamato in ebraico Abaddon, in greco Appollyon e in latino Sterminatore. –- Questo re non è altri, è facile da indovinare, che l’angelo dell’abisso. Il suo nome è dato qui in ebraico, greco e latino per far capire che vuole imitare Cristo, il cui titolo regale era iscritto allo stesso modo sulla cima della croce. Queste tre lingue, infatti, rappresentano tutte le altre. Essi mostrano che la sovranità di Cristo si estende a tutto l’universo e si esercita nei tre mondi ai quali l’uomo appartiene: il mondo visibile, unificato a quel tempo sotto la tutela di Roma, e quindi sotto quella del latino; il mondo dell’intelligenza, dove il pensiero greco regna come padrone indiscusso; il mondo soprannaturale, perché quando Dio parlava agli uomini per mezzo dei Profeti o del suo Figlio divino, lo faceva in ebraico. Il diavolo, che Sant’Agostino chiama la scimmia di Dio, ha quindi la pretesa di esercitare un’autorità universale in tutti i campi. Ma mentre Cristo è essenzialmente Re, cioè conduttore, perché tutta la sua attività è stata impiegata per condurre gli uomini al loro fine, che è Dio; il diavolo, invece, è chiamato sterminatore, cioè colui che distoglie dal fine, perché non ha altro disegno, in ogni cosa, che impedire agli uomini di raggiungere questo fine. Tutti devono sapere cosa aspettarsi da Lui. – La prima delle tre tribolazioni annunciate, quella che sarà causata dal precursore dell’Anticristo, finisce qui; ma ne arrivano altre due, con le trombe del sesto e del settimo Angelo: quella dell’Anticristo stesso e quella che accompagnerà il Giudizio Universale.

§ 3 – La sesta tromba: L’annuncio della persecuzione dell’Anticristo.

E il sesto Angelo suonò la tromba: questo sesto messaggero rappresenta i predicatori che dovranno combattere contro l’anticristo. – E ho sentito una voce dai quattro corni dell’altare d’oro, che è sempre alla presenza di Dio. L’altare qui rappresenta la Chiesa, sulla quale Dio veglia sempre. Si chiama “d’oro” perché è fatto dello stesso metallo del suo divino Fondatore. Come Lui, ella è tutta saggezza, carità, obbedienza, virtù che l’oro simboleggia con la sua brillantezza, purezza e duttilità. I quattro corni che la proteggono dall’errore sono i quattro Vangeli, e con essi tutta la legione di Dottori e difensori della fede. La voce che si leva da questi corni è quella della Tradizione. E questa voce era una sola, perché questa tradizione è unanime nell’avvertire i pastori che la persecuzione dell’Anticristo sarà particolarmente terribile. Ecco perché dice qui al sesto Angelo, cioè ai predicatori di quel tempo: Slegate i quattro Angeli che sono incatenati nel grande fiume Eufrate. Ascoltate: Annuncia agli uomini che i demoni, che erano incatenati fino ad ora, stanno per essere liberati nel mondo. – L’Eufrate, sul quale fu costruita la città di Babilonia, si segnala per la profondità del suo letto, la rapidità del suo corso, il colore limaccioso delle sue acque: è dunque la figura della corrente fangosa che va da Babilonia al mare, cioè delle passioni che portano dalla città del mondo agli Inferi. Sotto queste passioni, lo spirito del male è sempre presente, ma contenuto dalla misericordia di Dio entro limiti ristretti. Sopravviene un incidente, una guerra, una rivoluzione, una sommossa, eccolo che si agita con il permesso di Dio, e trascina gli uomini in ogni tipo di crimine. Al tempo dell’Anticristo, egli avrà potere contro la Chiesa (Per la spiegazione del numero 4, cfr. sopra, VII, 2), come lo ebbe contro Nostro Signore nell’ora della Sua Passione. E furono sciolti i demoni, che erano pronti per l’ora, per il giorno, per il mese, per l’anno. L’autore vuole mostrarci con questo che il demonio è sempre pronto a nuocere agli uomini, così da esortarci a stare sempre in guardia. E fu data loro licenza di uccidere, cioè di causare la morte spirituale, di precipitare nell’abisso del peccato, la terza parte della terra. Dal punto di vista della salvezza eterna, possiamo dividere gli uomini in tre categorie: gli innocenti, che non hanno mai commesso una colpa grave; i peccatori che si pentono delle loro colpe; e quelli il cui cuore indurito rifiuta di fare penitenza. È quest’ultima tipologia che viene discussa qui. Ma i quattro demoni non andarono in battaglia da soli. Dietro di loro, c’era una massa enorme di cavalieri: ventimila volte diecimila, dice il testo della Vulgata, cioè 200 milioni, una moltitudine immensa. Il testo greco dice semplicemente: miriadi di miriadi. E ho sentito il loro numero, aggiunge San Giovanni. L’apostolo conosceva davvero il numero dei dannati? Queste parole ci permettono di supporlo. In ogni caso, non ce l’ha rivelato. Molti commentatori antichi completano così questa frase: « E capii che il numero dei dannati era maggiore di quello degli eletti. » Questi cavalieri rappresentano sia i demoni inferiori, che obbediscono ai loro principi, sia gli uomini che, pienamente consapevoli di ciò che fanno, sposano la causa di questi spiriti maligni ed impiegano tutte le loro risorse nella lotta contro la Chiesa. Ed oltre ai cavalieri, ho visto in questa visione i loro cavalli. I cavalli, al contrario, designano gli uomini grossolani che, trascinati dalle loro passioni, servono da cavalcatura ai precedenti ed alle potenze infernali per diffondere i loro errori nel mondo. E quelli che li cavalcavano avevano corazze di fuoco, di giacinto e di zolfo: corazze, perché i loro cuori, racchiusi nella loro malizia, sono invulnerabili a tutti i colpi della grazia; e queste corazze sono fatte della triplice concupiscenza scatenata: sono di fuoco, perché ardono dal desiderio di conquistare l’universo, pronti incessantemente ad incendiarlo; sono di giacinto, perché si credono esseri celesti. Il giacinto è infatti una varietà blu cielo della pietra preziosa chiamata “Zirkon” dai naturalisti (Cf. S. Isidoro di Siviglia, Liber Originum, XVI, 9, 3; – S. Epifanio, nel suo Trattato sulle XII Pietre Preziose, VII, dove lo equipara al “Ligurion” dei Greci); sono di zolfo, perché diffondono intorno a loro l’odore fetido della lussuria, e soprattutto di ciò che è contro natura. – Anche se questo passo è direttamente rivolto ai demoni, l’autore ne parla come se fossero uomini, per marcare le passioni che eccitano in questi ultimi, quando essi fanno, per così dire, corpo con loro. Le teste dei cavalli, cioè i grandi eresiarchi e i capi di questo esercito di persecutori della Chiesa, erano come teste di leoni: perché sono orgogliosi, crudeli, pronti a divorare ogni cosa; – dalla loro bocca uscivano fuoco, fumo e zolfo; fuoco, perché la loro parola, a differenza di quella di Cristo, che la Scrittura paragona alla rugiada, è tutta piena di rabbia, odio ed eccitazione al crimine; fumo, perché la loro dottrina è senza coerenza, e acceca invece di illuminare; zolfo, perché i loro discorsi sono pieni di impurità. E sotto l’azione di queste tre piaghe, cioè le piaghe scatenate dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo, che così procedevano dalla loro bocca, un terzo del genere umano fu ucciso. Perché di fronte alla persecuzione, alcuni si nasconderanno, altri confesseranno la loro fede e renderanno testimonianza a Cristo, ed un terzo Lo rinnegherà, ed è questo che perirà della seconda morte, della morte eterna. – Mentre la potenza degli apostoli è nella Parola e nella forza di Dio, la potenza di questi cavalli, cioè di questi messaggeri dell’errore, sarà nelle loro bocche, nella loro abilità nell’adulare e sedurre, e nelle loro code, cioè nella cura che hanno nel coprire la loro ignominia; poiché la coda nasconde la parte più vergognosa del corpo dell’animale. Il libro dei Proverbi dichiara che le labbra della cortigiana, cioè dell’anima che vuole condurre gli altri al peccato, sono come un favo di miele (V, 3); e quello di Isaia, che il profeta che insegna la falsità, quello è una coda (IX, 15.). Egli nasconde la corruzione della sua dottrina sotto la sua apparente onorabilità di profeta. Queste code sono come serpenti, come quel serpente che si insinuò nel Paradiso terrestre per far cadere i nostri primi genitori; ed hanno delle teste, hanno cioè al loro servizio i principi ed i potenti di questo mondo, ed è attraverso di loro che fanno male, è attraverso di loro che possono fare tanto male. Da queste parole vediamo che i nemici della Chiesa useranno sia l’astuzia che il potere secolare per raggiungere i loro fini. E tutti gli altri uomini che non furono uccisi da queste piaghe – cioè quelli che non dovranno soffrire la persecuzione dell’Anticristo – non fecero penitenza per le loro azioni malvagie, ma continuarono ad adorare i demoni e tutti quegli idoli che l’uomo si costruisce con qualsiasi cosa possa trovare: idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra, di legno, mentre Dio è puro spirito, invisibile ed immateriale; idoli che non possono vedere, sentire o camminare, e che quindi sono del tutto incapaci di rendere qualsiasi servizio ai loro adoratori. E non fecero penitenza per i loro omicidi, i loro avvelenamenti e la loro fornicazione – il peccato che popola l’inferno – né per i loro furti.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (7)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (5)

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (5)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat: Elie Maire Can. Cens. Ex. Off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: Lutetiæ Parisiorum die II nov. 194

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Seconda Visione

LA CORTE CELESTE

TERZA PARTE

L’APERTURA DEI SIGILLI

Capitolo VI, (1-17)

“E vidi come l’Agnello aveva aperto uno dei sette sigilli, e sentii uno dei quattro animali che diceva con voce quasi di tuono: Vieni, e vedi. E mirai: ed ecco un cavai bianco, e colui che v’era sopra aveva un arco, e gli fu data una corona, e uscì vincitore per vincere. E avendo aperto il secondo sigillo, udii il secondo animale che diceva: Vieni, e vedi. E uscì un altro cavallo rosso: e a colui che v’era sopra fu dato di togliere dalla terra la pace, affinché si uccidano gli uni e gli altri, e gli fu data una grande spada. E avendo aperto il terzo sigillo, udii il terzo animale che diceva: Vieni, e vedi. Ed ecco un cavallo nero: e colui che v’era sopra aveva in mano una bilancia. E udii come una voce tra i quattro animali che diceva: Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro, e non far male al vino, né all’olio. E avendo aperto il quarto sigillo, udii la voce del quarto animale che diceva: Vieni, e vedi. Ed ecco un cavallo pallido: e colui che vi era sopra ha nome la Morte, e le andava dietro l’inferno, e le fu data potestà sopra la quarta parte della terra per uccidere colla spada, colla fame, colla mortalità e colle fiere terrestri. E avendo aperto il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano, e gridavano ad alta voce, dicendo: Fino a quando. Signore santo e verace, non fai giudizio, e non vendichi il nostro sangue sopra coloro che abitano la terra? E fu data ad essi una stola bianca per uno: e fu detto loro che si dian pace ancor per un poco di tempo sino a tanto che sia compito il numero dei loro conservi e fratelli, i quali debbono essere com’essi trucidati. E vidi, aperto che ebbe il sesto sigillo: ed ecco si fece un gran terremoto, e il sole diventò nero, come un sacco di pelo: e la luna diventò tutta come sangue: e le stelle del cielo caddero sulla terra, come il fico lascia cadere i suoi fichi acerbi quand’è scosso da gran vento. E il cielo si ritirò come un libro che si ravvolge, e tutti i monti e le isole furono smosse dalla sede: e i re della terra, e i principi, e i tribuni, e i ricchi, e i potenti, e tutti quanti servi e liberi si nascosero nelle spelonche e nei massi delle montagne: e dicono alle montagne ed ai massi: Cadete sopra di noi, e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello: perocchè è venuto il gran giorno della loro ira: e chi potrà reggervi?”

§ 1. — Il Cavallo bianco

Nel capitolo precedente, San Giovanni ha riportato la visione che ebbe di un libro sigillato contenente alcune profezie sul futuro del Cristianesimo. Ora l’Agnello aprirà il libro e rivelerà all’Apostolo qualcosa dei misteri in esso contenuti. Uno dopo l’altro i sette sigilli saranno aperti, e ognuno darà un’idea dello stato della Chiesa nei momenti più importanti del suo sviluppo: il primo la mostrerà alla sua nascita, e quando si lancia alla conquista del mondo; i tre successivi specificheranno le varie persecuzioni che l’assaliranno di volta in volta; il quinto manifesterà la gloria di cui godrà, fino al presente, nella persona dei suoi martiri; il sesto annuncerà il trionfo dell’Anticristo ed il settimo, l’inizio della beatitudine eterna. « E vidi – dice l’Apostolo – che l’Agnello aveva rotto uno dei sette sigilli, e sentii una dei quattro animali, cioè uno dei quattro Evangelisti, che diceva con voce simile il rumore del tuono, perché era impossibile non sentirla: « Vieni e vedi ». Vieni, cioè avvicinati, non fisicamente, ma in spirito; avvicinati ai misteri divini, invece di allontanarti da essi, come fa la maggior parte degli uomini, per occuparsi solo delle cose terrene; applicati a penetrarli e, illuminato dalla luce divina, vedrai, capirai ciò che è nascosto sotto questi simboli. » Ed io guardai, ed ecco, un cavallo bianco che avanzava. Questo primo cavallo, secondo l’opinione unanime dei commentatori, rappresenta i primi predicatori del Vangelo. Come quei nobili animali che sono stati compagni inseparabili dell’uomo in guerra per secoli, e che hanno messo tutta la loro velocità, tutta la loro forza, tutto il loro ardore al servizio del loro padrone con generosità smisurata, gli Apostoli ed i primi discepoli sono andati per il mondo, portando il Verbo alle nazioni, gettandosi a corpo morto, sotto la sua guida, nella lotta contro il male. Giobbe aveva già visto nel cavallo l’immagine del predicatore del Vangelo, quando diceva: « Il fiato orgoglioso delle sue narici sparge il terrore, egli colpisce la terra con il piede, si lancia in avanti con audacia, corre con ardore incontro agli uomini armati. Disprezza la paura e non ha paura delle spade. Le frecce gli fischiano intorno, le asce e gli scudi risuonano senza intimidirlo. Schiuma e trema, e sembra voler divorare la terra; è impavido al suono della tromba. Appena sente il suono della carica, dice: « Andiamo ». Sente la guerra da lontano, comprende l’incoraggiamento dei capi e le grida dei soldati » (XXXIX, 20-26). – Questo cavallo è bianco per evocare l’eccezionale purezza dei costumi di questi primi Cristiani, che avevano preso nelle fresche acque del Battesimo il candore della neve, e che conservavano, in mezzo ai pagani, una santità di vita immacolata. E colui che lo cavalcava, cioè il Cristo, che gli Apostoli portavano ai Gentili e che li dirigeva in tutte le loro imprese, teneva un arco in mano. Quest’arco non è altro che la Sacra Scrittura, le cui parole sono usate come frecce per mettere in fuga il diavolo, per confondere i nemici della Chiesa, o per trafiggere le anime sante con le ferite dell’amore che le fanno morire al mondo ed al peccato. Egli ha ricevuto la corona come segno del suo diritto al dominio universale. Questo diritto gli fu confermato dal Padre suo dopo la sua Resurrezione, anche se lo possedeva da tutta l’eternità a causa della sua natura divina. Ed uscì da quel popolo che, scelto da Dio per donare il Messia, era stato infedele alla sua missione, lo aveva rinnegato, disprezzato, crocifisso, e aveva fatto tutto ciò che poteva per soffocare la Chiesa nascente; esso uscì dalla Giudea, sconfiggendo il diavolo con la sua umiltà, il mondo con la sua povertà, la sensualità con il suo amore per la sofferenza.; uscì dunque per riportare altri trionfi, per conquistare gli uomini con la dolcezza penetrante dei suoi esempi, con la verità luminosa dei suoi insegnamenti, e così guadagnarli tutti al regno dei cieli.

§ 2 – Gli altri tre cavalli.

Ma il diavolo non si accontentò di essere sconfitto: sulle orme del cavallo bianco, lanciò altri tre cavalli, tre cavalli propri, che rappresentano le tre forme principali della lotta condotta contro la Chiesa nel corso dei tempi: il cavallo rosso simboleggia le persecuzioni sanguinose; il cavallo nero, le grandi eresie; il cavallo pallido, le ipocrisie e i tradimenti dei cattivi Cristiani. Quando il secondo sigillo fu aperto, San Giovanni vide uscire un altro cavallo, che era rosso, il colore del sangue. E colui che lo cavalcava, cioè il diavolo, i cui agenti sono i persecutori, ricevette il potere di distruggere la pace della terra. Dio ha permesso al diavolo di sollevare violente tempeste contro la Chiesa, così come aveva permesso che esercitasse la sua furia contro Giobbe in passato, non per distruggerla, ma per far risplendere la sua virtù. Gli ha dato una spada di grandi dimensioni, quando gli ha permesso di usare il potere romano a proprio vantaggio, per colpire la Chiesa nella sua carne viva e cercare di tagliarla fuori dal mondo. Non appena si scatena una persecuzione, gli uomini danno libero sfogo ai loro peggiori istinti: si scatenano, si inseguono, si uccidono l’un l’altro con la massima crudeltà. E questa lotta fratricida penetra anche nel seno delle famiglie, come aveva annunciato Nostro Signore: Sarete consegnati alla morte dai vostri genitori, dai vostri fratelli, dai vostri parenti, dai vostri amici. Ecco perché San Giovanni ha visto qui che le persone si consegnavano alla morte una ad una. Ma quando il sangue scorreva liberamente, il diavolo, vedendo che era inutile per lui fare martiri, e che, al contrario, la Chiesa usciva ogni volta più forte e vivace dalle persecuzioni con cui la affliggeva, il diavolo, dico, si risolse a cambiare tattica, e cercò di allontanare gli uomini dalla vera fede fomentando le eresie. Questa nuova forma di guerra è annunciata dal cavallo nero, che uscì all’apertura del terzo sigillo, ed il cui cavaliere teneva in mano una bilancia. Questo cavallo è nero perché, tra tutti i colori, questo è il più refrattario alla luce: ora, gli eretici sono, tra tutti i peccatori, i più incapaci di riflettere la luce della verità, cioè Cristo stesso. Il profeta Geremia aveva scritto nello stesso senso: I loro volti sono più neri dei carboni. Santa Teresa ha notato bene questo punto nel suo racconto della visione in cui la sua anima le fu mostrata in forma di specchio, in cui apparve Gesù Cristo: « Con l’aiuto della luce che mi è stata data – scrive – ho visto come, appena l’anima commette un peccato mortale, questo specchio si copre di una grande nuvola e rimane estremamente nero, così che Nostro Signore non può rappresentarsi in esso o essere visto in esso, sebbene sia sempre presente, in quanto dà l’essere. Per quanto riguarda gli eretici, è come se lo specchio fosse rotto; una disgrazia incomparabilmente più terribile che se fosse solo oscurato. – E il cavaliere che lo cavalcava aveva una bilancia in mano: cioè, pesava le cose nella sua mano, e questa gli serviva da bilancia. Questa è un’immagine di ciò che fanno gli eretici quando pretendono di giudicare tutte le cose, e specialmente il significato delle Scritture, secondo il loro proprio modo di vedere, senza tener conto delle regole che la Chiesa ha stabilito. Lutero aveva in mano una bilancia quando, disprezzando un insegnamento vecchio di quindici secoli, inventò la teoria del libero esame; e Calvino lo imitò quando osò stabilire la società cristiana su nuove basi, o quando spiegò la presenza di Cristo nell’Ostia Sacra in un modo fino ad allora sconosciuto. I veri Dottori, invece, e gli autentici maestri della fede cattolica, incatenando con San Paolo la loro mente alla sequela di Cristo, pesano ogni cosa nella bilancia della Tradizione, stando attenti a non esercitare la minima pressione per alterare i dati. Essi si attengono fedelmente alle spiegazioni elaborate dai santi Padri e, riesprimendole in forme più adeguate alle esigenze del loro tempo, le mantengono tuttavia nel medesimo quadro, secondo il consiglio del sacro autore: « Non oltrepassate i venerabili confini che i vostri padri hanno posto » (Deut., XIX, 4). Gli eventi degli ultimi anni mostrano che il cavaliere sul cavallo rosso non ha perso nulla della sua crudeltà e che è ancora pronto, oggi come in passato, ad esercitare la più sanguinaria violenza contro la Chiesa. Ma anche il guerriero sul cavallo nero non si è arreso. Armato delle sue false bilance, lavora instancabilmente per minare la fede viziando l’interpretazione autentica della Sacra Scrittura. È lui che spinge i commentatori ad abbandonare il significato mistico dell’Apocalisse, troppo spesso i pesi esatti stabiliti dai Padri, per sostituirlo con il loro giudizio personale o quello di autori eterodossi. Di fronte a questa devastazione, la Chiesa sente il bisogno di rassicurare i suoi fedeli, che sono allarmati e temono che la fede sia presto sommersa sotto la marea montante dell’ipercritica e del razionalismo. Dal mezzo dei quattro animali, cioè solidamente appoggiata sulla dottrina del Vangelo, fa sentire la sua voce: « Non temere – essa dice – piccolo gregge: la verità non ha nulla da temere dal progresso dell’errore ». Se saprete rimanere semplici come bambini; se porterete a Dio il danaro di una fede pura, fiduciosa, senza riserve, otterrete sempre, in cambio, una doppia libbra di grano, o tre doppie libbre di orzo, cioè la doppia comprensione della Scrittura, pesata col suo vero peso, nel suo senso letterale e nel suo senso mistico. » Il grano rappresenta il Nuovo Testamento, che è il cibo perfetto per l’anima, come il grano lo è per il corpo. L’orzo, un cibo più ruvido, simboleggia l’Antico Testamento, e ne servono tre misure: perché invece di avere l’unità del Nuovo, è suddiviso in tre parti ben distinte: la Legge, i libri storici ed i Profeti. Oggi, come venti secoli fa, Dio continua a rivelare all’umile e ai piccoli ciò che nasconde ai dotti e ai sapienti di questo mondo. La verità può essere oscurata dai figli degli uomini, ma non sarà occultata. Dio vigila e non permetterà che il significato autentico della Sua parola sia alterato nella Sua Chiesa. Per questo la voce profetica continua: Non toccate né vino né olio, indicando così che al diavolo e a coloro che lavorano per lui è proibito togliere alla Scrittura qualcosa della sua forza o della sua dolcezza. Alle persecuzioni sanguinose, alle eresie dichiarate, il principe delle tenebre aggiunge ora un nuovo nemico: sono gli ipocriti, gli uomini che si danno l’aspetto esteriore della santità e che, grazie al prestigio così ottenuto, seducono gli ignoranti, portandoli alla loro rovina. Questi sono quelli che furono mostrati a San Giovanni, all’apertura del quarto sigillo, sotto la figura di un quarto cavaliere: E vidi un cavallo pallido che avanzava; e colui che lo cavalcava si chiamava Morte, cioè il diavolo. Perché è il padre della morte più terribile, la vera morte, quella che separa l’anima da Dio per sempre. E l’inferno camminava dietro di lui, perché ovunque egli vada, trascina con sé fuoco, disordine e sofferenza. Questo cavallo pallido è dunque la figura degli ipocriti, di coloro che, conducendo apparentemente una vita santa e senza macchia, generano con il loro orgoglio segreto quelle innumerevoli eresie subdole, che rinascono continuamente in nuove forme. Hanno potere sulle quattro parti della terra, cioè sulle quattro categorie di uomini che condividono la fede in Dio: Cristiani, ebrei, pagani ed eretici. Infatti, questi seduttori si trovano in tutte le sette religiose, ma soprattutto nel Cristianesimo. Essi hanno il potere di distruggere le anime con la carestia, privandole della parola di Dio e dei sacramenti; con la spada, trafiggendole con le loro perfide suggestioni; con la morte, separandole dalla vita della Chiesa; con le bestie della terra, scatenando segretamente i loro istinti malvagi, che poi provocano un terribile caos.

§ 3 – Il quinto e sesto sigillo.

Questo è un riassunto dei nemici che devono perseguitare la Chiesa durante la sua esistenza sulla terra. Per incoraggiarci nell’attenderli, San Giovanni ci darà ora un assaggio delle consolazioni riservate a coloro che avranno sofferto per Gesù Cristo: E quando ebbe rotto il quinto sigillo, vidi l’altare, cioè, strettamente unite al Sacrificio del Salvatore, le anime di coloro che furono messi a morte per aver dato testimonianza alla Parola di Dio, ed esse gridarono per il pressante desiderio di ritrovare i loro corpi. Ma il desiderio di cui si parla qui, notiamo, non comporta nessuna impazienza, nessuna ansia: esso è solo quello di vedere il regno di Dio prendere la sua forma completa e perfetta il più presto possibile. Gridavano a gran voce: « Quanto tempo aspetterete, o Signore, Voi che siete santo in tutte le vostre opere e fedele nelle vostre promesse, per pronunciare il vostro giudizio e vendicare il vostro sangue? Quando punirete i nostri persecutori, che vivono in pace sulla terra, perfettamente felici, come se non avessero nulla da rimproverarsi, e che godono di tutti i beni passeggeri, senza desiderare altro? » Anche qui, guardiamoci dall’attribuire ai Santi pensieri di vendetta: il castigo che essi invocano sui loro persecutori non è una riprovazione definitiva, ma una prova temporale che porti questi sventurati a fare penitenza e ad evitare così la morte eterna.

E a ciascuno di loro fu data una veste bianca. Questa veste rappresenta la beatitudine che i teologi chiamano essenziale, e che le anime degli eletti godono fin d’ora,  attraverso la contemplazione dell’Essere di Dio, in attesa della gioia completa che risulterà loro dalla riunione con i loro corpi glorificati. E fu detto loro di pazientare ancora un po’: un po’, perché il tempo che ci separa dal Giudizio è poca cosa, se paragonato all’eternità; finché sia completato il numero di coloro che servono Dio con essi (cioè i confessori) e dei loro fratelli, che devono essere messi a morte come loro (cioè i martiri). Poi, quando gli eletti avranno raggiunto il loro numero finale, recupereranno i loro corpi; il male scomparirà dalla terra ed il regno di Dio sarà stabilito per l’eternità. Non siamo ancora arrivati a questo punto, e dopo questo sguardo verso il cielo, San Giovanni ci riporta al mondo presente: qui arriva l’ultima persecuzione, la più terribile di tutte, quella dell’Anticristo, segnata dall’apertura del sesto sigillo. Il terremoto che lo annuncia rappresenta lo sconvolgimento generale che deve preludere a questi giorni terribili. Il sole diventerà nero come tela di sacco; vale a dire, Cristo, il Sole di giustizia, sarà oltraggiato in mille modi; sembrerà ritirarsi dalla terra, mentre l’Anticristo moltiplicherà i suoi prodigi. Allora, secondo la parola di Nostro Signore, sorgeranno falsi profeti, capaci di ingannare, se si potesse, gli stessi eletti (Matth., XXIV, 24). Allora tutta la luna diventerà come sangue: la Chiesa sarà insanguinata dalla persecuzione più crudele. Le stelle cadranno dal cielo sulla terra: i prelati che dovrebbero servire da luce e guida agli altri uomini apostateranno, sedotti dai falsi miracoli dell’Anticristo, o scossi dalla violenza dei tormenti di cui saranno minacciati. E verranno a mancare in gran numero, e cadranno come cadono i primi fichi quando la ficaia viene scosso da un forte vento. – E il cielo è scomparso come un libro, cioè: la Scrittura diventerà un libro chiuso per la stragrande maggioranza degli uomini; nessun predicatore svilupperà più il senso della parola di Dio; e lo stesso culto della Chiesa, quel culto che, con i suoi canti, la sua pompa, i suoi riti, evoca la liturgia del cielo, scomparirà dalla faccia della terra: la persecuzione sarà così generale che il Santo Sacrificio non potrà più essere celebrato pubblicamente in nessun luogo; la vita cristiana non sussisterà che nascondendosi nel segreto. Un panico indescrivibile si impadronirà dell’umanità all’avanzare del giorno del giudizio: montagne e isole saranno scosse dai loro posti, perché coloro che sembravano fermi come una montagna, indipendenti di spirito come un’isola in mezzo al mare, fuggiranno o apostateranno davanti alla persecuzione dell’Anticristo. E quelli che si credevano padroni della terra: re, principi, tribuni, la cui eloquenza manipolava le folle a volontà, i ricchi e i potenti; e quelli che vivevano come se non avessero nulla da temere: gli schiavi del peccato e gli uomini che si sono liberati dalla legge di Dio, tutti loro si nasconderanno nelle grotte e nelle rocce dei monti. E diranno ai monti e alle rocce: « Cadeteci addosso e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello ». Poiché ecco, viene il gran giorno della loro ira, e chi potrà resistere? Perché tutti i tormenti, non eccetto quelli dell’Inferno, saranno, secondo i teologi, preferibili agli scoppi dell’indignazione del Giudice Sovrano. Giobbe aveva già detto nello stesso senso: a malapena avremo sentito una piccola goccia delle sue parole, chi potrà allora considerare il tuono della sua grandezza? (XXVI, 12).

QUARTA PARTE

LA CHIESA TRIONFANTE

Capitolo VII – (1- 17)

“Dopo queste cose vidi quattro Angeli che stavano sui quattro angoli della terra, e ritenevano i quattro venti della terra, affinché non soffiassero sopra la terra, né sopra il mare, né sopra alcuna pianta. E vidi un altro Angelo che saliva da levante, e aveva il sigillo di Dio vivo: e gridò ad alta voce ai quattro Angeli, ai quali fu dato di far del male alla terra e al mare, dicendo: Non fate male alla terra e al mare, né alle piante, fino a tanto che abbiamo segnati nella loro fronte i servi del nostro Dio. E udii il numero dei segnati, cento quaranta quattro mila segnati, di tutte le tribù dei figliuoli d’Israele. Della tribù dì Giuda dodici mila segnati:

della tribù di Ruben dodici mila segnati:

della tribù di Gad dodici mila segnati:

della tribù di Aser dodici mila segnati:

della tribù di Neftalì dodici mila segnati:

della tribù di Manasse dodicimila segnati:

della tribù di Simeone dodici mila segnati:

della tribù di Levi dodici mila segnati:

della tribù di Issacar dodici mila segnati:

della tribù di Zàbulon dodici mila segnati:

della tribù di Giuseppe dodici mila segnati:

della tribù di Beniamino dodici mila segnati.

Dopo questo vidi una turba grande che niuno poteva noverare, di tutte le genti, e tribù, e popoli, e lingue, che stavano dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello, vestiti di bianche stole con palme nelle loro mani: e gridavano ad alta voce, dicendo: La salute al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello. E tutti gli Angeli stavano d’intorno al trono, e ai seniori, e ai quattro animali: e si prostrarono bocconi dinanzi al trono, e adorarono Dio, dicendo: Amen. Benedizione, e gloria, e sapienza, e rendimento di grazie, e onore, e virtù, e fortezza al nostro Dio pei secoli dei secoli, così sia. E uno dei seniori mi disse: Questi, che sono vestiti di bianche stole, chi sono? e donde vennero? E io gli risposi: Signor mio, tu lo sai. Ed egli mi disse: Questi sono quelli che sono venuti dalla grande tribolazione, e hanno lavato le loro stole, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò sono dinnanzi al trono di Dio, e lo servono dì e notte nel suo tempio: e colui che siede sul trono abiterà sopra di essi: non avranno più fame, né sete, né darà loro addosso il sole, né calore alcuno: poiché l’Agnello, che é nel mezzo del trono, li governerà, e li guiderà alle fontane delle acque della vita, e Dio asciugherà tutte le lacrime dagli occhi loro.”

§ 1. — Il segno del Dio vivente

Dopo averci mostrato, nel capitolo precedente, qualcosa dei rigori del giudizio di Dio, l’autore, per ristabilire la nostra fiducia, solleverà ora un angolo del velo che nasconde alla terra la beatitudine degli eletti: « Vidi allora – ci dice – quattro Angeli ai quattro angoli della terra, che tenevano a freno i quattro venti della terra, per impedire che soffiassero sulla terra, sul mare e su qualsiasi albero. Questi quattro Angeli sono in realtà quattro demoni: il demone infatti, cadendo dal Paradiso, non ha perso la sua natura angelica. Continua persino, come gli spiriti beati, a servire Dio, anche se contro la sua volontà: la sua gelosia e il suo malcostume sono utilizzati dalla Sapienza divina a prova dei giusti. I quattro venti che si impedisce di soffiare sulla terra, rappresentano la predicazione della Chiesa, che diffonde la dottrina dei quattro Vangeli nel mondo. Egli sa bene che nulla è così utile alle anime come la conoscenza della parola di Dio: per questo cerca di ostacolarla con ogni mezzo. L’autore del Cantico dei Cantici usa la stessa immagine quando chiama questi venti sulla sposa per darle tutta la sua bellezza: « Alzati, Aquilone – dice – vieni, vento del sud, e soffia nel mio giardino, perché dia tutta la sua fragranza » (IV, 16.) Come la rosa dei venti, cioè tutta la varietà delle correnti atmosferiche che fecondano la terra, è determinata da quattro punti cardinali, così la predicazione che porta il seme divino alle anime è ordinata interamente intorno a quattro punti fondamentali: il cielo, l’inferno, la fuga dal peccato e la pratica della virtù. – Il diavolo cerca di impedire che questi venti benefici soffino sulla terra, sul mare e sugli alberi, cioè sugli uomini di tutte le condizioni; la terra rappresenta le anime di buona volontà, che sono capaci di lasciarsi solcare dal vomere della predicazione e di far fruttificare la parola ricevuta; il mare è l’immagine dei peccatori instabili ed inquieti; infine, gli alberi sono l’immagine dei giusti, perché, come loro, portano frutto, cioè le loro buone opere; lavorano continuamente per elevarsi verso il cielo, stendono intorno a loro i rami della loro carità, e riparano gli altri uomini all’ombra dei loro buoni esempi, dei loro consigli e delle loro consolazioni. Mentre i demoni cercavano di ostacolare la diffusione del Vangelo sulla terra, San Giovanni vide un altro Angelo apparire in direzione del Sol Levante. Questo era l’Angelo del Gran Consiglio, cioè Cristo in persona. È salito dall’Oriente, cioè è uscito dal seno della luce eterna, ed ha portato con sé, per imprimerlo nel suo popolo, il sigillo del Dio vivente, il segno che dà ogni potere sulla terra, nel cielo e negli inferi, il segno della croce. Allo stesso modo, vediamo nel profeta Ezechiele, un messaggero celeste che imprime il marchio del Tau, cioè della croce, sulla fronte dei giusti di Gerusalemme. Ma questo segno del Dio vivente è anche, in un senso più generale, la potenza che Cristo possedette quando viveva sulla terra, e con il quale manifestava chiaramente che Egli stesso era il Dio vivente, il vero Dio, uguale in tutto al Padre suo. San Pietro, che assisteva ogni giorno ai suoi miracoli, non si sbagliava: fu il primo a confessarlo pubblicamente a Cesarea: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. » E fu questo segno che il centurione aveva riconosciuto nei prodigi che seguirono la crocifissione e che gli fece gridare: « Veramente, questo era il Figlio di Dio. » Questa apparizione di Cristo, nella visione che stiamo analizzando, si riferisce più particolarmente al miracolo della risurrezione e a tutto ciò che seguì: fu allora, infatti, che Nostro Signore si manifestò ai suoi con tutta la sua potenza. – E gridò forte quando la predicazione dei suoi Apostoli si diffuse su tutta la terra. E fece sapere ai quattro angeli, ai quali era stato dato il permesso di perseguitare la terra e il mare, cioè i demoni, che i loro sforzi sarebbero stati vani, che non avrebbero ostacolato il progresso della nuova Religione, che non avrebbero impedito a Dio Onnipotente di realizzare i suoi piani di chiamare, giustificare, glorificare coloro che Egli ha predestinato a diventare conformi all’immagine di Suo Figlio (Rom. VIII, 29-30). È in questo senso che dobbiamo comprendere le seguenti parole: Non distruggete la terra, il mare e gli alberi, finché non segniamo sulla loro fronte i servi del nostro Dio. I servi di Dio sono segnati sulla loro fronte quando non arrossiscono per la loro fede o per la croce del loro Maestro. – Questo marchio non li esime dagli attacchi del diavolo e dalle persecuzioni dei peccatori, al contrario: dà loro solo la forza di superare tutte queste prove e di volgerle a loro vantaggio spirituale.

§2. — Gli eletti di Israele.

E sentii il numero di coloro che erano stati segnati: centoquarantaquattromila di tutti i figli d’Israele. – Dio mostra ora all’amato Apostolo l’immenso esercito di coloro che, grazie a questo segno misterioso, saranno sfuggiti al dominio del diavolo. Sebbene in questa moltitudine non ci sia più alcuna distinzione, secondo San Paolo, tra Giudeo e Gentile, Barbaro e Scita, schiavo e uomo libero (Col. III, 11), San Giovanni separa nella sua descrizione i figli di Israele dalla massa degli eletti. Egli propone un doppio insegnamento. Da un lato, vuole far capire ai primi che non basta appartenere al popolo eletto e discendere da Abramo secondo la carne per essere salvati: bisogna ancora essere annoverati tra i segnati, bisogna essere stati segnati da Cristo con il segno della vita. – D’altra parte, vuole mettere in evidenza la gerarchia che esisterà in cielo tra i Cristiani che avranno seguito la via stretta dei consigli evangelici e quelli che si saranno accontentati della via più ampia e facile dei Comandamenti di Dio. I Giudei rappresentano qui i primi, cioè coloro che hanno praticato la circoncisione spirituale su se stessi, sul loro cuore, sui loro occhi, sulla loro lingua, attraverso l’abitudine alla mortificazione. Sono centoquarantaquattromila, come i vergini di cui si parlerà più avanti, che seguono l’Agnello ovunque vada. Questo numero ha ovviamente solo un valore simbolico. Senza cercare di seguire i Padri nelle spiegazioni che danno, che confondono un po’ le nostre nozioni moderne di aritmetica, riassumeremo solo il loro pensiero dicendo che, se lo analizziamo semplicemente secondo la sua enunciazione, contiene al suo interno la perfezione della carità (mille), quella delle opere (cento), quella della penitenza (quaranta), quella delle virtù evangeliche (quattro), indicando così gli elementi essenziali di ogni santità. Inoltre, questi beati sono raggruppati in dodici tribù, per mostrare prima di tutto che si ricollegano ai dodici Apostoli, come il popolo d’Israele discende dai dodici figli di Giacobbe; ma anche per farci capire che tutti i Santi non hanno seguito lo stesso cammino. Alcuni sono stati santificati nella vita attiva, altri nella vita contemplativa. Alcuni erano ammirevoli per le loro austerità, altri per il loro spirito di sacrificio, altri per la loro obbedienza, altri per la loro carità. I nomi delle dodici tribù, intesi secondo il loro significato mistico, specificheranno dodici punti la cui pratica diligente può condurci alla perfezione. – Notiamo subito che la tribù di Dan non appare nell’enumerazione che segue. La tradizione ha sempre attribuito questa omissione, certamente volontaria, al fatto che l’Anticristo debba provenire da questa tribù. Sant’Ireneo ce lo insegna con le sue stesse parole: « Geremia – scrive – ha mostrato non solo l’avvento improvviso dell’Anticristo, ma anche la tribù da cui verrà, quando dice: … Il rumore dei suoi cavalli si sente da Dan, e alla voce dei nitriti dei suoi soldati tutta la terra è scossa; ed essi sono venuti ed hanno divorato la terra e tutto ciò che è in essa, la città e coloro che vi abitano. Ecco perché questa tribù non è nominata nell’Apocalisse, insieme a coloro che saranno salvati. (Contra Hæreses, Lib. V, cap. 30, 2. – Pat. Pat. VII. – Jerem. VIII, 16.2). Questa opinione è anche dovuta al passo della Genesi, dove Giacobbe paragona questo figlio ad un serpente (XLIX, 17). Eliminata così la tribù di Dan, San Giovanni, per rimanere fedele al numero di dodici, divide quella di Giuseppe; ma, invece di nominare i due figli di questo patriarca, Efraim e Manasse, come ci si aspetterebbe, cita Giuseppe stesso, e poi Manasse: è perché gli ripugna menzionare Efraim tra i santi, perché fu un discendente di costui, Geroboamo, che commise l’orribile crimine di introdurre l’idolatria nel popolo di Dio, facendo fare due vitelli d’oro e stabilendo il culto sacrilego che sarebbe stato dato loro (III Re, XII). – Da questa doppia esclusione, non dobbiamo concludere che nessuno dei discendenti di Dan o di Efraim sarà salvato: il pensiero dell’autore non si limita, ripetiamo, al popolo giudaico; esso abbraccia tutta l’umanità; egli vuole farci capire che nessuno di coloro che avranno aderito al partito dell’Anticristo, così come nessuno di coloro che avranno condotto i Cristiani all’idolatria, potrà prendere posto tra i beati. – Torniamo ora all’enumerazione delle dodici tribù ed al loro significato mistico: 12.000 segnati della tribù di Giuda. Giuda è nominato per primo, anche se è solo il quarto dei figli di Giacobbe. L’autore vuole mostrarci, con questa apparente illogicità, che si tratta qui di generazione spirituale piuttosto che di discendenza naturale. Il nome di Giuda, infatti, significa “confessione”, e la confessione dei peccati è il primo atto da compiere nell’ordine della perfezione. È lì che si acquisisce la vera conoscenza di sé, che è la base indispensabile per l’ascesa in Dio. I dodicimila segnati della tribù di Giuda rappresentano dunque tutti coloro che, con l’umile confessione delle loro colpe, sono saliti, come il Santo Re Davide, Santa Maria Maddalena, Santa Thais e tanti altri, alla beatitudine eterna. 12.000 della tribù di Ruben. Dopo la conoscenza di sé, che è il fondamento dell’edificio spirituale, vedremo le tre virtù teologali. Ed ecco prima di tutto la fede, che San Paolo ci dice essere la sostanza delle cose (Ebr. XI). Essa è rappresentata da Ruben il cui nome significa: figlio della visione. Designa misticamente coloro che, vedendo Dio nell’oscurità della fede, si fanno figli di questa visione, cioè ne traggono il principio della loro vita. Ma, poiché la fede è l’oggetto principale degli attacchi del nemico delle anime, Ruben è seguito da Gad, che significa: cinto, equipaggiato, armato, perché chi abbraccia la fede deve allo stesso tempo – ci dice l’Apostolo – rivestirsi dell’armatura di Dio, per essere in grado di resistere agli agguati del diavolo (Efesini VI, 2). – La tentazione sopportata con coraggio dà origine alla fiducia ed alla gioia, come ci insegna San Giacomo: « Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché quando sarà stato messo alla prova, riceverà la corona della vita » (I, 12). E ancora: Considerate una perfetta gioia, fratelli miei, cadere in varie tentazioni (I, 1). Ecco perché Gad è seguito da Aser, che significa « felice », felice della gioia che porta la speranza. Ed ora ecco la carità: 12.000 dalla tribù di Neftali. Naphtali significa esteso, dilatato, e rappresenta coloro il cui amore abbraccia l’universalità del genere umano, e che vogliono il bene anche per i loro nemici. Ma la carità, una volta accesa nel cuore, lo riempie gradualmente del pensiero di Dio, fino a fargli dimenticare tutto il resto. Alla tribù di Neftali succede quella di Manasse. Questo nome viene interpretato come dimenticato, e raggruppa sotto il suo significato spirituale tutti coloro che, lasciandosi alle spalle le vanità del mondo presente, si applicano alla continua meditazione delle cose celesti. Sotto l’azione di questa meditazione, la durezza naturale del loro cuore si ammorbidisce impercettibilmente; un vero dolore li penetra al pensiero delle sofferenze sopportate da Gesù Cristo, della disgrazia eterna in cui sono precipitate le anime dei malvagi e, soprattutto, del male fatto a Dio dai nostri peccati. – Si passa così alla tribù di Simeone, il cui nome significa: Colui che avverte il dolore. Segue la tribù di Levi, cioè coloro che aggiungono, perché sotto la pressione di questo dolore, moltiplicano le opere buone, aggiungendo alla pratica dei precetti della Legge quella dei consigli evangelici, per raggiungere la perfezione della carità. – Dopo le virtù teologali vengono le virtù cardinali. La giustizia è rappresentata dalla tribù di Issachar. Questo nome è interpretato come ricompensa ed è adatto a tutti coloro che compiono coscienziosamente i loro doveri, per ottenere un giorno la ricompensa eterna. Poi viene la tribù di Zabulon, cioè coloro in cui risiede la forza – questo è il significato della parola – e che sono pronti a sopportare qualsiasi cosa per amore di Dio. La tribù di Giuseppe rappresenta la prudenza, in ricordo della condotta esemplare di questo patriarca in Egitto. E quella di Beniamino, la temperanza, perché questo nome, che significa figlio della mano destra, designa misticamente tutti coloro che sono figli della mano destra, cioè che si governano saggiamente e si lasciano guidare dalla loro ragione, a differenza di coloro che, come figli della mano sinistra, si abbandonano al capriccio dei loro istinti. (Spiegazioni molto più dettagliate del significato mistico delle Dodici Tribù si trovano nei Padri e nei Commentari del Medio Evo. Ci siamo limitati qui a quelle considerazioni che ci sono sembrate le più semplici, le più pratiche, le più adatte ad essere colte dalle menti moderne.)

§ 3. — Gli eletti venuti dalla Gentilità.

Dopo questo ho visto una folla enorme che nessuno poteva contare. Nessuno, cioè nessun uomo vivente su questa terra. Perché va da sé che Dio conosce ogni individuo uno per uno. Essa era composta da tutte le razze, da tutti le tribù, da tutti i popoli e da tutte le lingue. Questa enumerazione ha lo scopo di farci capire che Nostro Signore ha cancellato tutte le divisioni che separavano gli uomini: ha ristabilito l’unità del genere umano intorno alla Sua sacra Persona. Tutti questi eletti così raggruppati stavano in piedi, al contrario dei reprobi di cui il profeta Amos ci dice che cadranno, schiacciati dalla sentenza di dannazione, e non si rialzeranno (VIII, 14). Stavano così alla presenza di Dio, godendo dell’ineffabile felicità di vederLo, e alla presenza dell’Agnello: poiché la contemplazione della santissima umanità del Salvatore è per i beati la fonte di una gioia speciale. Essi erano vestiti con vesti bianche e tenevano le palme nelle mani: alcuni commentatori moderni si sono basati su questo doppio segno per sostenere che questo si riferisce solo ai martiri. Ma questa restrizione non è giustificata: la veste bianca è il simbolo della purezza recuperata nel sacramento del Battesimo, poi in quello della Penitenza. Le palme che più tardi, è vero, divennero l’emblema iconografico del martirio designano semplicemente le vittorie che gli eletti ottennero su se stessi, sul mondo, sul demonio; che ottennero non con belle parole, ma con le loro opere: per questo si specifica che le tenevano in mano, essendo queste il simbolo della loro attività. – E gridavano ad alta voce con voce piena di gioia e di amore: Ave al nostro Dio, cioè: « Se siamo stati salvati dal disastro in cui ci ha portato il peccato del nostro primo padre, è a Dio che lo dobbiamo; a Lui che siede sul trono e all’Agnello, che ha voluto pagare il nostro debito a prezzo del suo sangue. » Così i fedeli attribuiscono a Dio e all’Agnello, indivisibilmente, l’opera della loro salvezza. E tutti gli Angeli, quelli delle più alte gerarchie come quelli delle più basse, stavano in piedi intorno al trono ed ai vegliardi ed ai quattro animali, formando con loro una sola Chiesa; stavano come servi pronti a obbedire, come guardiani pronti a intervenire, come schiere che accolgono i viaggiatori alla fine del loro viaggio. E si prostrarono con la faccia a terra alla presenza del trono e adorarono Dio, celebrando il mistero della Redenzione. – Lungi dal provare la minima gelosia contro gli uomini, per la tenerezza che Dio mostra nei loro confronti, si rallegravano della loro felicità, mettendo in pratica il consiglio dato dal Vangelo al fratello maggiore del figlio prodigo: « Figlio mio, tu sei sempre con me, e tutto ciò che ho è tuo; avresti dovuto rallegrarti che tuo fratello, che era morto, è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato  » (Luca. XV, 32).  Essi dicevano: Amen, cioè, « è bene così, è da Dio solo che viene la salvezza; noi lo confessiamo con voi. A Lui dobbiamo ogni benedizione, gloria, sapienza, azione di grazia, onore, virtù e forza nei secoli. Così sia. » Sette parole, per esprimere l’universalità – poiché questo è il valore simbolico del numero sette – della gloria di Dio, e della lode che vogliono rendergli. Per benedizione, essi intendono lo stato di beatitudine in cui essi, che sono al vertice della gerarchia delle creature, sono stabiliti; per gloria, lo splendore di cui sono rivestiti e i beni di cui sono pieni; per sapienza, la conoscenza della verità di cui sono pieni; per azione di grazia, i sentimenti di gratitudine che li animano. Tutto questo lo devono a Dio, così come l’onore di appartenere alla sua corte, la virtù che permette loro di resistere al male, la forza che trovano nella grazia in cui sono confermati. Ma queste parole si applicano ugualmente agli eletti. A Dio devono anche la benedizione, cioè tutti i beni di cui godono nell’ordine temporale e spirituale; la gloria, cioè lo splendore di una vita pura; la sapienza, o conoscenza di Dio e di se stessi; il ringraziamento, invece del solito stato di ingratitudine in cui vive la maggior parte degli uomini e che deriva dai loro primi genitori; l’onore che rendono al loro prossimo con le loro buone azioni; la forza per resistere alle tentazioni e sopportare le prove.

§ 4 – Dove uno dei vegliardi parla a San Giovanni.

E uno dei vegliardi, parlando a nome di tutti ed indovinando le domande che mi ponevo, mi disse: « Quelli che sono vestiti di bianco, sai chi sono e da dove sono venuti? Sai per quale strada sono passati, per arrivare dalla misera condizione degli uomini che vivono sulla terra, ad una tale gloria? » E io risposi: « Mio signore, io non ne so nulla, voi lo sapete. Volete dirmelo? » Con questo, San Giovanni ci mostra come dobbiamo interrogare i testimoni della Tradizione per avere una comprensione delle visioni della Scrittura. Inoltre, non c’è bisogno di consultarli tutti: l’opinione di uno, quando non è in contrasto con gli altri, è sufficiente per darci un’interpretazione esatta. Ecco perché il dialogo è limitato solo ad uno dei vegliardi. – E questi mi rispose: « Questi sono quelli che sono venuti dalla grande tribolazione ». « Sono venuti da essa, cioè sono usciti da essa, sono stati modellati da essa. È essa che li ha fatti ciò che essi sono. Questa « grande tribolazione » designa l’insieme delle prove che devono essere sopportate – da parte del mondo, della carne e del diavolo – da ogni anima che cerca di espiare i suoi peccati. È doloroso per la natura, eppure è poca cosa rispetto alle sofferenze del Purgatorio o a quelle dell’Inferno. Per questo l’autore si accontenta di dire che essa è grande (magna), parola che suggerisce la seguente progressione: magna in mundo, major in Purgatorio, maxima in inferno. – Essi hanno – continua il vegliardo – lavato le loro vesti e le hanno rese bianche nel sangue dell’Agnello. Notiamo che non dice: nel loro stesso sangue, perché, come abbiamo appena dimostrato, non ci si riferisce solo ai martiri, ma a tutti gli eletti. Le due espressioni “lavate” e “rese bianche” non sono assolutamente sinonimi: la prima indica che le macchie sono state rimosse dal Battesimo o dalla Penitenza; la seconda, che queste anime, imitando le virtù di Nostro Signore, hanno assunto un bel colore bianco. Ecco perché sono davanti al trono di Dio: è perché sono così purificati, che gli eletti meritano di godere della visione beatifica. Ed essi Lo servono giorno e notte nel Suo tempio, celebrano perpetuamente la grande liturgia nella patria celeste. E Colui che siede sul trono, Nostro Signore Gesù Cristo in persona, li possederà eternamente: li proteggerà, li governerà e dividerà con loro tutti i suoi beni. Essi non avranno mai più fame, perché saranno nutriti dal Pane supersustanziale (Matth. VI, 11); né sete, perché berranno a volontà alle sorgenti dell’acqua viva. Avranno a disposizione tutto ciò che desiderano e niente li disturberà più. Il sole non cadrà più su di loro, né alcuna intemperia, né dovranno temere alcuna persecuzione o difficoltà. Perché saranno sotto lo scettro dell’Agnello, che è in mezzo al trono, cioè del Cristo, pieno di innocenza e di misericordia. È Lui che li manterrà nel bene, senza che nessuna caduta o errore li possa portare fuori da esso, e li condurrà alle sorgenti delle acque vive, cioè ai tesori della Sapienza, della Potenza e della Bontà divine. Lì troveranno una gioia incontaminata, che nulla potrà ormai togliere loro. Più si attinge a queste sorgenti, più esse appaiono profonde; più si beve da queste acque, più aumenta il desiderio di berne altre. Ma per raggiungerle, dobbiamo prima andare alle cinque fontane che i Giudei hanno aperto nella carne del Salvatore, a quelle cinque sacre piaghe da cui sgorga l’acqua meravigliosa che purifica l’anima, spegne i suoi cattivi desideri e le dà gioia. È di loro che parlava misteriosamente il profeta Isaia quando diceva: Attingerete alle sorgenti del Salvatore le acque della gioia (XII, 3). – E Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. Come spiegare la dolcezza di queste parole? San Giovanni ci dice che le consolazioni divine e la beatitudine eterna andranno a coloro che versano lacrime di compunzione quaggiù, secondo le parole di Nostro Signore stesso: Beati quelli che piangono, perché saranno consolati (Matth. V, 5). L’Apostolo dice: tutte le lacrime, cioè tutti i tipi di lacrime, per mostrare che le cause che fanno piangere i Santi sono diverse: a volte piangono per la perdita delle anime che hanno disprezzato il sangue di Gesù Cristo; a volte sono i loro stessi peccati, o la lunghezza del loro esilio quaggiù, o le persecuzioni che devono soffrire. Ma tutte queste lacrime saranno asciugate, tutti questi dolori diventeranno sorrisi di felicità eterna.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (6)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (4)

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico

dell’APOCALYSSE (4)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat Elie Maire Can. Cens. ex. off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: A. LECLERC. Lutetiæ Parisiorum die II nov. 194

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Seconda Visione

LA CORTE CELESTE

PRIMA PARTE

IL TRONO DI DIO

Capitolo IV- 1-11

“Dopo di ciò vidi, ed ecco una porta aperta nel cielo, e quella prima voce che udii come di tromba che parlava con me, dice: Sali qua, e ti farò vedere le cose che debbono accadere in appresso. E subito fui rapito in ispirito: ed ecco che un trono era alzato nel cielo, e sopra del trono uno stava a sedere. E colui che stava a sedere era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardio e intorno al trono era un’iride, simile d’aspetto a uno smeraldo. E intorno al trono ventiquattro sedie: e sopra le sedie sedevano ventiquattro seniori, vestiti di bianche vesti, e sulle loro teste corone di oro: e dal trono partivano folgori, e voci, e tuoni: e dinanzi al trono sette lampade ardenti, le quali sono i sette spiriti di Dio. E in faccia al trono come un mare di vetro somigliante al cristallo: e in mezzo al trono, e d’intorno al trono, quattro animali pieni di occhi davanti e di dietro. E il primo animale (era) simile a un leone, e il secondo animale simile a un vitello, e il terzo animale aveva la faccia come di uomo, ed il quarto animale simile a un’aquila volante. E i quattro animali avevano ciascuno sei ale: e all’intorno e di dentro sono pieni d’occhi: e giorno e notte senza posa, dicono: Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente, che era, che è, e che sta per venire. E mentre quegli animali rendevano gloria, e onore, e grazia a colui che sedeva sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro seniori si prostravano dinanzi a colui che sedeva sul trono, e adoravano colui, che vive nei secoli dei secoli, e gettavano le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno sei, o Signore Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore, e la virtù: poiché tu creasti tutte le cose, e per tuo volere esse sussistono, e furono create.”

§ 1. — Dio è comparato ad una pietra preziosa.

Dopo aver invitato i suoi ascoltatori a riformare la loro condotta, in modo da poter penetrare i segreti di Dio, San Giovanni inizia a rivelare loro i misteri ai quali è stato iniziato nella sua estasi a Patmos. Egli dice loro: « Ecco, una porta è stata aperta nel cielo. » Questa porta rappresenta la Passione di Gesù Cristo, attraverso di essa, e solo attraverso di essa, gli uomini possono di nuovo entrare nel recinto del regno dei cieli, dal quale il peccato di Adamo li aveva esclusi. Ma questa Passione divina è allo stesso tempo la chiave delle Scritture; è essa che dà il loro vero significato alle figure ed alle profezie dell’Antico Testamento, e che sola ce le rende intelligibili. Ecco perché, la sera della sua uscita dal sepolcro, Nostro Signore cominciò a spiegare ai discepoli sulla strada di Emmaus i libri di Mosè e dei Profeti (Lc, XXIV, 27). E quando, poche ore dopo, apparve ai fedeli riuniti nel Cenacolo, una delle sue prime cure fu quella di aprire le loro menti, ci dice San Luca, affinché comprendessero le Scritture (Id., 45.). Non c’è dunque contraddizione da ammettere con certi commentatori (Cfr. per esempio Riccardo di San Vittore, In Apoc. libri septem. L., II, cap. I. Pat. Lat. t. CXCVI, col. 744 C) che la porta aperta intravista da San Giovanni indica, contemporaneamente alla Passione del Salvatore, il significato spirituale dei Libri Santi, attraverso i quali è possibile per lo spirito umano intravedere qualcosa delle realtà celesti. – Mentre questo spettacolo era davanti a lui, San Giovanni sentì di nuovo la voce che aveva già risuonato nelle sue orecchie nella prima visione, dirgli: « Vieni su. Sali qui, cioè elevati alla comprensione delle cose divine – non si tratta di un movimento del corpo, ma di un’ascesa dello spirito – separati dalle cose della terra, rivolgiti alla vita contemplativa, e io ti mostrerò ciò che dovrà presto accadere, cioè le tribolazioni che la Chiesa dovrà affrontare alla fine del mondo, ma anche le consolazioni che riceverà ed i progressi che non cesserà di realizzare. » – La parola ben presto abbraccia tutta la durata del tempo che trascorrerà fino alla fine del mondo, e ne sottolinea la brevità, se la paragoniamo all’eternità che deve seguire. L’apostolo continua: « Subito fui rapito in spirito, ed ecco, un trono era posto nel cielo, e sul trono c’era uno seduto. E Colui che sedeva sul trono aveva uno splendore come lo splendore della pietra di diaspro e della cornalina. In senso anagogico, San Giovanni vuole, con questa immagine folgorante, designare Dio stesso. Poiché Dio non ha una figura o forma corporea, non lo paragona da un uomo o a qualsiasi altra creatura; ma dice, in termini meravigliosamente espressivi, che era come lo splendore che scaturisce da una gigantesca pietra preziosa, avendo sia il tono del diaspro che quello della cornalina (la corniola, sardix, o pietra di Sardis, è una varietà di calcedonio, che varia dal rosso sangue al rosso carne tenue). Il diaspro è verde, la cornalina è rossa. Attribuendo a Dio il colore verde, l’autore ci fa capire che Egli è il Vivente per eccellenza, perché questo è il segno della vita nella natura: quando la terra rinasce, alla fine dell’inverno, essa lo mostra adornandosene nei prati, nei campi, nei boschi, con tutta la gamma dei toni verdi. Ora Dio è la Vita da cui tutta la vita procede. «Tutta la vita, ogni movimento vitale – scrive San Dionigi – emana da questo focolare posto al di là di ogni vita e di ogni principio vitale… È da questa vita originale che gli animali e le piante ricevono la loro vita ed il loro sviluppo. Ogni vita, sia puramente intellettuale (come quella degli Angeli), razionale (come quella dell’uomo), animale o vegetativa; ogni principio di vita, ogni essere vivente, prende in prestito la sua vita e la sua attività da questa vita sovreminente e preesistente nella sua feconda semplicità. Essa è la vita suprema, primitiva, la causa potente che produce, perfeziona e distingue tutti i germi della vita. Ed a causa dei suoi molti e vivi effetti, può essere chiamata vita multipla ed universale, e può essere considerata e lodata in ogni vita particolare; perché non manca nulla ad Essa, anzi, possiede la pienezza della vita; vive di per se stessa e d’una vita trascendente, ha un sublime potere di vivificare, e possiede tutto ciò che l’uomo può dire di glorioso riguardo a questa vita inesprimibile (De divinis nominibus, cap. VI).  Questa verità fu in parte scoperta dai filosofi pagani. Aristotele, per esempio, ha scritto: l’atto dell’intelligenza è una vita. Ora Dio è questo stesso atto allo stato puro. Egli è dunque la sua stessa vita: questo atto sussistente in se stesso, tale è la sua vita eterna e sovrana. Per questo si dice che è un Vivente eterno e perfetto, perché la vita che dura eternamente, esiste in Dio, poiché Egli è questo: la vita stessa (Metafisica, I. XII, cap. IX.1). – Tuttavia, questi saggi erano arrivati solo ad una nozione molto incompleta di Dio; non conoscevano la grande verità rivelata dalla Parola, il Deus caritas est, di San Giovanni. Non avevano capito che Dio è carità. Ecco perché l’autore ha mescolato la brillantezza della cornalina con quella del diaspro: la cornalina è rossa, e come tale simboleggia la carità. In questo modo, vuole farci capire che Dio non è solo la Vita per eccellenza, ma che è anche, ed essenzialmente, l’Amore. In senso allegorico, Colui che siede sul trono è Cristo. Nostro Signore è paragonato ad una pietra preziosa, cioè ad una pietra brillante e durissima, a causa della brillantezza della sua divinità, e anche per l’invincibile fermezza che gli permise di sopportare senza vacillare le terribili torture della sua Passione. È nel Suo nome ed in questo senso che il profeta Isaia ha detto: Ho posto la mia faccia come una pietra durissima (L, 7). – Questa pietra è sia verde che rossa. Il verde simboleggia qui la vita divina, sempre fiorente in Lui, mentre il rosso evoca il ricordo di quel sangue di cui fu ricoperto da capo a piedi nell’ora della Sua Passione, e la cui vista suscitò negli Angeli questo grido di stupore: Perché la tua veste è rossa come quella dei vignaioli quando pigiano il torchio? (Is. LXIII, 2). I due colori brillano simultaneamente nella stessa pietra, come le due nature, quella divina e quella umana, nell’unica persona di Gesù Cristo. E un arcobaleno circondò il trono, come una visione di smeraldo. L’arcobaleno, che fu dato agli uomini dopo il diluvio come segno di pace, è il simbolo della misericordia di Dio, che avvolge la Chiesa, rappresentata dal trono. I sette colori di cui è formato, e che procedono dalla luce bianca del sole, sono una graziosa immagine dei sette sacramenti, che scompongono in varie sfumature il raggio del Sole di Giustizia, la virtù redentrice del Cristo. L’autore aggiunge che questo arcobaleno era simile ad una visione di smeraldo, il che può sembrare, a prima vista, molto strano. Ecco cosa intende: lo smeraldo era considerato dagli antichi la più bella di tutte le pietre verdi. La sua brillantezza ha qualcosa di morbido e caldo allo stesso tempo, penetrante e calmante, che incanta l’occhio. Ecco perché Nerone, si dice, amava osservare gli spettacoli che lo interessavano attraverso uno smeraldo (S. Isidoro di Siviglia, Originum Lib., XVI, VII,1). Dicendo che l’arcobaleno era come una visione di smeraldo, San Giovanni lascia intendere che nulla è così dolce e così riposante da vedere, per gli occhi della nostra anima, come la misericordia di Dio che si manifesta a noi attraverso l’opera redentrice di Cristo. E tutto intorno al trono c’erano ventiquattro posti. E sui sedili sedevano ventiquattro anziani. Questi anziani rappresentano tutti i Santi che assisteranno Cristo al Giudizio Universale. Nostro Signore, infatti, ha promesso ai Suoi Apostoli di farli sedere su dodici seggi intorno a Lui in quel giorno. Ma questo numero non può, naturalmente, essere preso alla lettera, perché allora, secondo l’osservazione di Sant’Agostino, non ci sarebbe posto nemmeno per San Paolo, che non è annoverato nel collegio dei Dodici (Enarrat super Ps. LXXXVI, 4). Le parole del Maestro Divino indicano chiaramente che tutti coloro che hanno seguito Cristo, ad imitazione degli Apostoli, avranno una parte in questo privilegio e verranno al Giudizio, non come accusati, ma come assessori. Se San Giovanni ha raddoppiato il numero dato nel Vangelo, è per farci capire che i giusti dell’Antico Testamento non saranno esclusi da questo favore, e che siederanno davanti al Giudice Sovrano con i dodici Profeti, come i Santi del Nuovo Testamento con i dodici Apostoli. – Questi uomini sono chiamati vegliardi, perché i Santi sono pieni di prudenza e di saggezza; sono seduti, perché godono del riposo e della stabilità eterna; le loro vesti bianche segnano l’innocenza di cui sono adornati, e le corone d’oro che portano sul capo sono la ricompensa che hanno ricevuto da Cristo per le loro fatiche e lotte. – L’autore descrive poi l’apparato terrificante di questo trono, dal quale provenivano, dice, lampi, voci e tuoni. Cosa significa questo? Il trono, come abbiamo appena detto, è la figura della Chiesa, in mezzo alla quale Dio siede sulla terra. I lampi sono i miracoli con cui questa Chiesa non cessa di proclamare al mondo il suo carattere divino. Come è impossibile, a meno che uno non sia cieco, non vedere il fulmine che taglia improvvisamente l’ombra della notte, così non è possibile, a meno che uno non sia murato nei suoi pregiudizi, non vedere il carattere trascendente della Chiesa e lo splendore luminoso che essa proietta in mezzo alle tenebre del mondo presente. Le voci sono gli appelli che essa fa costantemente attraverso i suoi Pontefici, Dottori, Santi e predicatori, invitando gli uomini a seguire Cristo. I tuoni sono gli avvertimenti che essa dà ai peccatori e gli anatemi che pronuncia senza paura, senza temere alcun potere umano, contro tutti coloro che mettono in pericolo la salvezza delle anime. Quanto alle sette lampade che brillano davanti al trono, San Giovanni stesso spiega il loro simbolismo, dicendo che sono i sette spiriti di Dio, cioè i sette doni dello Spirito Santo, che illuminano la Chiesa, e aggiunge che sono ardenti, perché questi doni hanno l’effetto non solo di dare luce alle anime, ma anche di infiammarle con il fuoco dell’amore. Il narratore continua: Alla presenza del trono c’era un mare di vetro come cristallo, e intorno al trono c’erano quattro bestie piene di occhi davanti e dietro. In senso allegorico, il mare di vetro rappresenta il sacramento del Battesimo e, per estensione, le anime purificate in questo sacramento. Il Battesimo è paragonato ad un mare perché distrugge la massa dei nostri peccati, senza lasciarne uno solo, come il Mar Rosso inghiottì l’ultimo soldato dell’esercito di Faraone. Si dice: di vetro, perché rende l’anima trasparente, permettendo così alla luce divina di raggiungerla e penetrarla; e si dice ancora: come il cristallo, per la purezza e la limpidezza che le dà. Le anime così lavate nel sangue di Cristo sono alla presenza del trono, perché sono l’oggetto costante della sollecitudine della Chiesa, che non perde di vista per un momento gli interessi della loro salvezza. I quattro animali designano i quattro Evangelisti, e con loro l’insieme dei Santi, che sono tutti, in un certo senso, “evangelisti”, perché tutti hanno lavorato per far conoscere Gesù Cristo e la sua dottrina. La posizione occupata da questi animali, sia al centro che intorno al trono, è straordinaria: è abbastanza inutile scervellarsi per cercare di tradurla sulla carta, come cercano di fare alcuni commentatori. Come abbiamo già detto, San Giovanni usa deliberatamente immagini irrealizzabili affinché, andando oltre il significato letterale delle parole, possiamo cercare il loro significato misterioso. I quattro Evangelisti sono allo stesso tempo al centro del trono, cioè della Chiesa, come torce per illuminarla; e tutto intorno, come un muro per difenderla. Sono pieni di occhi davanti e dietro, perché le insegnano a guardare attentamente sia il passato che il futuro, per regolare la sua condotta. Il primo assomiglia ad un leone, il secondo ad un bue, il terzo ad un uomo, l’ultimo ad un’aquila. Il leone è solitamente attribuito a San Marco, per aver sottolineato, più degli altri, la vittoria riportata da Gesù sui suoi nemici e sulla morte. Il bue, figura del sacrificio, è attribuito a San Luca, che pose particolare enfasi sulle sofferenze del Salvatore; l’uomo, a San Matteo, per aver redatto la genealogia umana di Cristo; e l’aquila, a San Giovanni, che rivelò i più alti misteri della sua divinità. Queste attribuzioni, tuttavia, non sono né assolute né esclusive: come ciascuno dei quattro Vangeli contiene in sé la dottrina degli altri tre, così si può dire qui che ciascuno dei quattro animali possiede sia la propria forma, sia quella degli altri tre (Questa considerazione ci farà capire perché troviamo talvolta delle variazioni nell’attribuzione dei quattro animali ai diversi Evangelisti: Così, per esempio, Sant’Agostino e San Beda attribuiscono il leone a San Matteo, l’uomo a San Marco. Ma la distribuzione fatta sopra è di gran lunga la più comune). Ciò diventa chiaro se confrontiamo questo passo con quello in cui il profeta Ezechiele descrive i quattro animali fantastici che gli furono mostrati, e ognuno dei quali ricordava insieme il volto dell’uomo, il volto del leone, il volto del bue e il volto dell’aquila (Ez. I, 6, 10). Ma prima di essere quelli degli Evangelisti, questi attributi sono quelli di Cristo stesso, che è nato come un vero uomo, che ha combattuto come un leone, che si è lasciato offrire come vittima come un bue, e che è salito al cielo più alto come un’aquila. A sua volta, ogni Cristiano deve cercare di farli suoi: sarà un uomo obbedendo alla sua ragione piuttosto che alle sue passioni, e mostrandosi “umano” verso i suoi simili; un leone, attaccando risolutamente i nemici della sua salvezza; un bue, accettando l’immolazione; un’aquila, vivendo in cielo piuttosto che in terra, con la costanza della sua preghiera.

§ 3. — Liturgia celeste.

E ognuno dei sei animali aveva sei ali. Le ali, che sollevano l’uccello sopra la terra, sono la figura delle virtù, che sollevano l’anima sopra le contingenze del mondo presente. Il numero sei è quello dei gradi successivi che si devono attraversare per raggiungere il possesso della pace. Forse nessuno ha espresso il simbolismo meglio di San Bonaventura nel meraviglioso trattato intitolato Itinerario dall’anima a Dio. Come Dio dedicò sei giorni alla creazione dell’universo e si riposò nel settimo, così il mondo inferiore deve essere condotto al riposo perfetto della contemplazione passando attraverso sei gradi successivi di illuminazione. Questo ordine era rappresentato dai sei gradi che portavano al trono di Salomone. Allo stesso modo, i Serafini che Isaia vide avevano sei ali; allo stesso modo, Dio non chiamò Mosè dal mezzo della nuvola se non dopo sei giorni; e fu anche sei giorni dopo averli avvertiti che Gesù Cristo condusse i suoi discepoli sul monte, dove fu trasfigurato in loro presenza. Secondo questi sei gradi di elevazione a Dio, la nostra anima possiede sei gradi o poteri per ascendere dalle cose più basse a quelle più alte, dalle cose esterne a quelle interne, dalle cose temporali a quelle della eternità. Questi sono: i sensi, l’immaginazione, la ragione, l’intelletto, l’intelligenza, il vertice dello spirito… Chi vuole ascendere a Dio deve, dopo aver rinunciato al peccato che sfigura la sua natura, esercitare le potenze di cui abbiamo appena parlato, per acquisire con la preghiera la grazia che riforma, con una vita santa la giustizia che purifica, con la meditazione la conoscenza che illumina e con la contemplazione la sapienza che rende perfetti. (Op. cit. c. 1). Dicendo che ognuno degli animali aveva sei ali, l’autore implica che in ogni Vangelo o anche nelle opere di ogni Santo, si trova tutto ciò che è necessario sapere per elevarsi alla più alta virtù. Questo è il pensiero espresso da San Benedetto alla fine della sua Regola, quando dice: Quale pagina, o quale parola dell’autorità divina, nell’Antico o nel Nuovo Testamento, non è una regola rettissima per la vita umana? O qual è il libro dei santi Padri ortodossi che non ci insegna a raggiungere il nostro Creatore con un percorso retto? (Cap. LXXIII). Gli animali sono pieni di occhi sia fuori che dentro, perché i Santi si osservano con grande attenzione, sia nelle loro azioni esterne che nei loro pensieri. Non si riposano giorno e notte, perché la loro vita è una lode continua al loro Creatore. Tutto ciò che fanno, ed anche il riposo che si concedono di notte, lo ordinano alla gloria di Dio, penetrati come sono dal desiderio di compiere la sua volontà e di piacergli in ogni cosa. Ecco perché la sposa del Cantico diceva: Io dormo, ma il mio cuore veglia (V. 2.), mostrando così che anche durante il tempo del sonno non cessava di cercare Dio. In senso mistico, la notte rappresenta le prove e le sofferenze, in opposizione al giorno, che simboleggia la prosperità. I Santi, dunque, non cessano di lodare Dio né di giorno né di notte, perché cantano la sua gloria nella buona e nella cattiva sorte. Come Giobbe, ringraziano per tutto quello che loro succede, sia buono che cattivo. Proclamano la sua infinita perfezione, la sua sovrana bontà, ripetendo il canto dei Serafini, già ascoltato da Isaia: Santo, santo, santo è il Signore, il Dio onnipotente, che era da tutta l’eternità, che rimane sempre uguale a se stesso, e che verrà a giudicare i vivi e i morti. E mentre gli animali, cioè la moltitudine dei Santi, davano così gloria a Dio, i ventiquattro anziani, che rappresentavano i dottori dei due Testamenti, si prostrarono in umiltà; e adorando Colui che sedeva sul trono, deposero ai suoi piedi le loro corone, cioè i meriti delle loro opere, dicendo: « La gloria non è nostra, ma solo tua, Signore nostro Dio…. ». Notate che essi dicono: il nostro Dio. Sebbene Dio sia il padrone di tutte le creature, Egli è in modo speciale il padrone di coloro che si sono dati a Lui con la rinuncia, e che fanno di Lui l’unico oggetto del loro amore: « A Te solo, dunque – cantavano – è giusto attribuire gloria, onore e potenza, poiché Voi avete creato tutte le cose. È per la Vostra volontà che sono esistiti nella vostra intelligenza prima di essere realizzati in atto, così come un’opera esiste nella mente dell’artigiano prima di essere portata alla luce nella materia. È dunque liberamente, volontariamente, senza essere pressato da alcuna necessità, che li avete concepiti, ed è ancora volontariamente che li avete creati, cioè: che li avete fatti passare da questo essere ideale alla loro esistenza materiale. Così è giusto che tutto ciò che c’è di bello e di buono sulla terra sia attribuito a Voi e rivolto alla vostra gloria, poiché tutte le cose sono uscite da Voi, e Voi siete allo stesso tempo il Principio e la Fine di tutto ciò che esiste. »

SECONDA PARTE

IL LIBRO SIGILLATO

Capitolo V. (1-14)

“E vidi nella mano destra di colui, che sedeva sul trono, un libro scritto dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. ‘E vidi un Angelo forte, che con gran voce gridava: Chi è degno di aprire il libro, e di sciogliere i suoi sigilli? E nessuno né in cielo, né in terra né sottoterra, poteva aprire il libro, né guardarlo. E io piangeva molto, perché non si trovò chi fosse degno di aprire il libro, né di guardarlo. ‘E uno dei seniori mi disse: Non piangere: ecco il leone della tribù di Giuda, la radice di David, ha vinto di aprire il libro, e sciogliere i suoi sette sigilli. E mirai: ed ecco in mezzo al trono, e ai quattro animali, e ai seniori, un Agnello sui suoi piedi, come scannato, che ha sette corna e sette occhi: che sono sette spiriti di Dio spediti per tutta la terra. E venne: e ricevette il libro dalla mano destra di colui che sedeva sul trono. E aperto che ebbe il libro, i quattro animali, e i ventiquattro seniori si prostrarono dinanzi all’Agnello, avendo ciascuno cetre e coppe d’oro piene di profumi, che sono le orazioni dei santi: E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Degno sei tu, o Signore, di ricevere il libro, e di aprire i suoi sigilli: dappoiché sei stato scannato, e ci hai ricomperati a Dio col sangue tuo di tutte le tribù, e linguaggi, e popoli, e nazioni: E ci hai fatti pel nostro Dio re e sacerdoti: e regneremo sopra la terra. E mirai, e udii la voce di molti Angeli intorno al trono, e agli animali, e ai seniori: ed era il numero di essi migliaia di migliaia, I quali ad alta voce dicevano: È degno l’Agnello, che è stato scannato, di ricevere la virtù, e la divinità, e la sapienza, e la fortezza, e l’onore, e la gloria, e la benedizione. E tutte le creature che sono nel cielo, e sulla terra, e sotto la terra, e nel mare, e quante in questi (luoghi) si trovano: tutte le udii che dicevano: A colui che siede sul trono e all’Agnello la benedizione, e l’onore, e la gloria, e la potestà pei secoli dei secoli. E i quattro animali dicevano: Amen. E i ventiquattro seniori si prostrarono bocconi, e adorarono colui, che vive pei secoli dei secoli.”

§ 1. — Apparizione del libro.

Il libro che appare in primo piano in questa descrizione rappresenta prima di tutto, in senso letterale, la profezia che San Giovanni dettaglierà nelle scene seguenti, ed i cui sette sigilli saranno successivamente enumerati. Ma simboleggia anche, in un senso più ampio, la Bibbia, il « libro » per eccellenza, di cui Dio stesso è l’autore; un libro scritto fuori, perché tutti possono decifrare il suo significato letterale; un libro scritto dentro, perché gli occhi dei profani non possono discernere il suo significato mistico. I sette sigilli, che rinchiudono l’intelligenza di ogni mente non iniziata, sono i sette misteri fondamentali della missione redentrice di Cristo, che troviamo enumerati nel Credo: la concezione miracolosa del Salvatore, la sua nascita, la sua passione, la sua discesa agli inferi, la sua resurrezione, la sua ascensione, la sua venuta nell’ultimo giorno per giudicare i vivi e i morti. Nessuno può capire il vero significato della Scrittura se la fede non ha rotto i sigilli che Dio ha posto sul decreto della nostra redenzione e che lo rendono impenetrabile agli sforzi della ragione umana lasciata a se stessa. In senso allegorico, il « libro » designa la santa Umanità di Gesù Cristo Nostro Signore, che contiene in sé tutti i tesori della sapienza e della conoscenza divina. C’è forse un’opera più eloquente, più capace di farci conoscere Dio come è, del Salvatore sulla croce? San Tommaso d’Aquino, la cui erudizione era prodigiosa, diceva che aveva imparato più nella contemplazione del suo Crocifisso che in tutti i trattati che aveva letto. Questo libro è scritto all’esterno: tutti coloro che lo vedono non hanno difficoltà, se sono disposti a considerarlo per un momento, a decifrare la parola Amore, scritta a grandi lettere nelle ferite dei piedi e delle mani, nella testa teneramente inclinata, nella ferita aperta del fianco. Ma sarà un’altra cosa per coloro che, illuminati dalla sua grazia e guidati dallo Spirito settimo, saranno in grado di leggere dentro e penetrare i segreti del suo Cuore. – « E vidi – continua l’Apostolo – un Angelo potente che proclamava a gran voce: Chi è degno di aprire il libro e di romperne i sigilli? » – Questo Angelo, che alcuni autori hanno voluto identificare con San Gabriele, a causa del titolo di Angelum fortem, che la liturgia attribuisce a quest’ultimo, rappresenta in realtà tutti i Dottori della Legge antica. Questi sono chiamati “forti” perché hanno sopportato con coraggio la lunga attesa del Messia, invocando all’unanimità la sua venuta con tutti i loro desideri. « Chi dunque –  chiedevano – è degno di aprire il libro, cioè di renderlo intelligibile? Chi è degno di adempiere le misteriose promesse della Legge? Chi potrà offrire a Dio la vittima pura, la vittima santa, la vittima senza macchia che i Profeti hanno predetto, che i Patriarchi hanno sacrificato come figura nei loro sacrifici, e che sola potrà assicurare la salvezza del genere umano? » – Notiamo che l’autore dice: aprire il libro e rompere i sigilli, il che è contrario all’ordine naturale: perché è evidentemente necessario rompere i sigilli prima, per aprire il libro dopo. Ma la Scrittura eccelle nel moltiplicare le improbabilità apparenti in questo modo, per costringerci ad ascendere al significato spirituale che nasconde sotto la lettera. Cristo, infatti, ha aperto il libro prima, quando ha adempiuto nella sua Persona le profezie della vecchia Legge; poi ha rotto i sigilli, quando ha dato la comprensione di questi misteri ai suoi discepoli, inviando loro lo Spirito Santo. – Tuttavia, alla domanda angosciosa dell’umanità, che aspettava il suo liberatore, nessuno poteva rispondere finché non fosse venuto Lui stesso, né tra gli Angeli, né tra i vivi, né tra i morti, né tra i Patriarchi e i Profeti che erano scesi nel Limbo; Nessuno, nemmeno San Giovanni Battista, il più grande dei profeti; nemmeno la Beata Vergine, la più saggia di tutte le creature, che resterà meravigliata davanti all’annuncio dell’Incarnazione, non vedendo come questa si possa fare, poiché non conosce nessun uomo (Lc. I). Nessuno, come aveva dichiarato il profeta Isaia, potrà spiegare la sua generazione (LIII, 8) e scoprire i modi segreti in cui Dio aveva deciso di operare la salvezza del mondo! Nessuno poteva capire come Dio, che è uno Spirito, e uno spirito senza limiti, potesse racchiudersi interamente nel grembo di una Vergine. E di fronte a questo mistero inesorabilmente sigillato, di fronte a questi ritardi che si prolungavano senza mai realizzare la speranza del genere umano, San Giovanni cominciò a scoppiare in lacrime. Io piangevo abbondantemente, egli dice. Parla in prima persona, perché il suo cuore, pieno di carità, lo rende partecipe, immediatamente e profondamente, di tutte le sofferenze di cui è testimone. E lui conosceva il segreto del libro e la chiave del suo linguaggio misterioso; aveva visto il Salvatore morto, lo aveva visto risorto; aveva ricevuto, nella sua pienezza, nel giorno di Pentecoste, l’effusione dello Spirito. Ma, trasportato dalla sua estasi, San Giovanni dimentica se stesso; si incorpora a quella moltitudine di uomini che vissero e morirono prima che il Messia fosse venuto; si associa a quei re e profeti dell’Antico Testamento, che tanto desideravano vedere ciò che gli Apostoli vedevano, e che non lo vissero (Lc., X, 24); piange con Davide, che fece delle sue lacrime il suo pane quotidiano, gemendo giorno e notte per non vedere il suo Dio (Ps. XLI, 4). Davanti a questo dolore gli anziani si lasciarono toccare, ed uno di loro, parlando a nome di tutti, venne a ripetere a San Giovanni la promessa che ciascuno dei Profeti, in forma differente, aveva portato agli uomini in forma diversa: Non piangere. Ecco, il leone di Giuda viene come un conquistatore, per aprire il libro e rompere i suoi sigilli. Il leone è il simbolo del coraggio: tra gli altri segni della sua imtrepidezza, dà questo che, quando ha scelto la sua preda, le salta addosso e la porta via senza lasciarsi spaventare o fermare da nulla. È così che Cristo agirà con l’umanità: vuole strapparla al diavolo, vuole introdurla in cielo con sé, e niente potrà spezzare il suo slancio. Isaia aveva già usato questa immagine quando diceva: Come il leone e il leoncello, quando salta con un ruggito sulla sua preda e la moltitudine dei pastori gli corre incontro, non sono spaventati dalle loro grida, né intimiditi dal loro numero, così il Signore degli eserciti scenderà a combattere sul monte Sion e sul suo colle (Is. XXXI, 4).

§ 2 – Apparizione dell’Agnello.

Mentre il vegliardo annunciava a San Giovanni l’arrivo prossimo dell’eroe, che sarebbe nato nella tribù di Giuda e nella famiglia di Davide, l’Apostolo, guardando in alto, vide un agnello in piedi in mezzo al gruppo che circondava il trono. In questo animale innocente non abbiamo difficoltà a riconoscere Cristo, pieno di dolcezza e di mitezza, in piedi in mezzo alla sua Chiesa. Ma anche qui, quale apparente incoerenza è presentata dalla narrazione ispirata: è annunciato un leone, ed è un agnello che appare! Ci viene promessa la bestia impavida come nostro Salvatore, che fa tremare tutti gli altri, e vediamo arrivare una bestiolina indifesa, destinata a finire sul banco di un macellaio! Perché? Perché queste incongruenze, se non sempre per farci pensare e condurci a verità più profonde? Se non per farci capire che Cristo, il leone di Giuda, ha sconfitto i suoi nemici, non con la forza e la violenza, ma con la pazienza e la dolcezza! I Giudei si aspettavano un Messia conquistatore, un monarca la cui gloria avrebbe eclissato quella di Davide e Salomone: e Dio mandò il figlio di un falegname, che fu condannato a morte e morì su un patibolo. Troppo spesso, come loro, è al genio, al potere, alla fortuna, che chiediamo il trionfo del Cristianesimo: e dimentichiamo l’Agnello che sta in piedi, come ucciso … Notate che l’antinomia continua tra queste due espressioni, perché non è usuale che coloro che vengono uccisi stiano in piedi. Ma se l’Agnello è visto in piedi, è per farci sapere che opera e combatte; e se sta in piedi come ucciso, è per farci capire che è con la sua morte che ha ottenuto la vittoria. Dicendo che è: “come ucciso”, e non: ucciso, l’autore non intende implicare che la morte di Cristo sia stata solo una morte apparente. Il nostro Salvatore è effettivamente morto sulla croce, e questo è uno degli articoli fondamentali della fede cattolica. Ma si dice “come ucciso” perché, nella sua morte, è rimasto padrone della morte: la morte non poteva tenerlo in pugno. Si è arreso ad essa quando ha voluto, ma è anche sfuggito quando ha voluto. Nessuno – aveva detto [Gesù] ai suoi Apostoli – può togliermi la vita: Io la depongo da me stesso e ho il potere di deporla e di riprenderla (Jo., X, 18). – L’Agnello aveva sette corna e sette occhi. San Giovanni aggiunge subito la spiegazione di questo fenomeno: Questi, dice, sono i sette spiriti di Dio inviati sulla terra, cioè i sette doni dello Spirito Santo, che l’Agnello ha meritato per il mondo con la sua morte. Questi doni sono paragonati a delle corna perché si drizzano sopra l’anima come armi formidabili contro i sette peccati capitali; ed essi rendono lo stesso servizio che gli occhi, perché permettono di discernere i sentieri che portano alle diverse virtù. – Ed egli venne – continua l’Apostolo – e ricevette il libro dalla mano destra di Colui che sedeva sul trono. Così l’Agnello predetto dai Profeti, atteso così a lungo dalla razza umana, finalmente venne. E prese carne nel grembo della Beata Vergine Maria, e la Sua Umanità ricevette da Dio la piena conoscenza del mistero della nostra salvezza. Egli ha aperto il Libro, adempiendo, con la sua sofferenza e morte, tutte le profezie riguardanti l’opera della redenzione. Questo è ciò che ha espresso sulla croce quando ha detto: Tutto è consumato. – Allora gli animali ed i ventiquattro anziani, che rappresentavano la moltitudine dei Santi, caddero ai suoi piedi e scoppiarono in azioni di grazia. Ognuno di loro gli offriva le cetre e le coppe d’oro piene di profumi, che tenevano in mano. Questo doppio simbolo rappresenta i due strumenti essenziali usati dai Santi per avanzare nella virtù, cioè: la mortificazione e la preghiera. I loro cuori, largamente aperti dalla carità, come le coppe d’oro a cui si fa riferimento qui, sono costantemente traboccanti di suppliche, adorazioni e ringraziamenti; e queste salgono verso Dio come profumi di un odore piacevole, come spiega San Giovanni stesso. Per quanto riguarda le cetre, non se ne dà il suo significato mistico, ma questa figura è così comune nei Libri Sacri che non ci possono essere dubbi sul pensiero dell’autore. Quando si mostra Davide che canta i salmi con uno strumento a corda, arpa, cetra o salterio, la tradizione cattolica vuole farci capire che l’anima che canta le lodi di Dio deve accompagnare i suoi canti con una vita mortificata. Le corde rigorosamente tese sul legno della cetra, e che vibrano armoniosamente sotto i colpi con cui vengono percosse, ricordano la carne del Verbo disteso sulla croce, e rispondono ai soprusi, agli affronti, agli insulti con cui lo si carica con le parole dell’amore più sublime. A sua immagine, il discepolo fedele deve cercare di inchiodare la sua sensibilità, i suoi desideri, i suoi affetti, le sue apprensioni sulla croce che la Volontà divina ha preparato per lui, e pronunciare, sotto la pressione della sofferenza, solo parole di gratitudine, sottomissione ed adorazione.

§ 3 – Il cantico nuovo.

E cantavano un cantico nuovo, quello del rinnovamento del mondo per mezzo del Vangelo: « Voi siete degno – dicevano – Signore Gesù Cristo, Voi siete degno, per la vostra incomparabile innocenza, di ricevere il libro e di scioglierne i sigilli. Nessuno avrebbe potuto realizzare, come Voi, gli scopi segreti di Dio e assicurare l’adempimento delle profezie. Perché Voi avete mostrato una virtù incredibile: avete accettato di essere messo a morte a dispetto di ogni giustizia, di sopportare sofferenze indicibili, e così ci avete riscattato; Voi ci avete restituito a Dio a prezzo del vostro sangue, noi che il nostro peccato aveva reso schiavi del diavolo. E non avete posto limiti alla vostra generosità: avete pagato il prezzo della salvezza per tutti gli uomini, per tutte le razze, tutte le lingue, tutti i popoli, tutte le nazioni. Avete così permesso a Dio di regnare su di noi, fin d’ora per la sua grazia e più tardi, nell’eternità, per la sua gloria. Voi ci avete resi sacerdoti al suo servizio, capaci di offrirgli i sacrifici che Egli ama; e, grazie ai meriti che avete acquisito per noi, ci avete permesso di disprezzare i beni di questo mondo, di dominare le inclinazioni della carne, e così di regnare al di sopra di questo mondo. » A questo punto, una moltitudine di Angeli apparve intorno al trono e unì le sue voci a quelle dei Santi. Il loro numero era al di là di ogni stima: ce n’erano miriadi di miriadi. Poiché l’intelligenza umana non è in grado di contare tutti gli spiriti beati; cosa che Giobbe espresse in termini lapidari, quando disse: “C’è dunque un numero ai suoi soldati? (Giob. XXV, 3). Ce n’è, senza dubbio, per la Divina Intelligenza, che ha concepito ciascuno di questi spiriti distinti l’uno dagli altri, con la propria specie, il suo peso e la sua misura (Sap. XI, 21): ma questo numero supera la mente umana. Ce ne sono – scrive San Dionigi (Gerarchia Celeste, cap. XIV), – mille volte mille e diecimila volte diecimila », la Scrittura raddoppia e moltiplica così l’una per l’altra le cifre più alte che abbiamo, e fa così capire che è impossibile per noi esprimere il numero di queste creature beate. Perché le file delle schiere celesti sono foltissime, e sfuggono al debole e limitato apprezzamento dei nostri calcoli materiali; e l’enumerazione di esse può essere fatta abilmente solo in virtù di quella conoscenza sovrumana e trascendente che il Signore comunica loro così liberalmente, sapienza increata, conoscenza infinita, principio superessenziale e causa potente di tutte le cose, forza misteriosa che governa gli esseri e li limita abbracciandoli. – Tutti questi Angeli, dunque, cantando ora con i Santi, dicevano a gran voce: Egli è degno, l’Agnello che è stato messo a morte, di ricevere dagli uomini la lode, la virtù, la divinità, saggezza, forza, onore, gloria e benedizione. (Il testo greco riporta qui: ricchezza, invece di: divinità. Allo stesso modo alcuni manoscritti latini dicono: divitias. Dobbiamo seguire questa lezione se vogliamo tradurre, senza errore teologico, accipere, in: ricevere da Dio. Ma, se si vuole rimanere fedeli al testo della Vulgata, che riporta: divinità, bisogna seguire i commentatori che intendono: ricevere dalla lode degli uomini). Ora che il Suo sacrificio è stato compiuto e ne vediamo i meravigliosi effetti per l’umanità, l’odiosa ingiustizia di cui fu oggetto deve essere riparata. È Egli degno di far proclamare la sua virtù, Lui che fu messo a morte come bestemmiatore e rivoluzionario; la sua divinità, Lui che i Giudei condannarono per essersi chiamato Figlio di Dio; la sua sapienza, lui che fu vestito con la veste degli stolti; la sua forza, lui che si lasciò schiacciare come un verme. Egli è degno di onore, per gli insulti da cui fu investito, gli schiaffi e i colpi che ricevette, gli sputi di cui fu ricoperto; di gloria, per essere stato trascinato al patibolo come l’ultimo dei malfattori; di benedizione di tutti i popoli, per colui che i Giudei respinsero da loro come un essere maledetto. E tutte le creature, quelle del cielo, quelle della terra e quelle del sottosuolo, i flutti del mare e le creature che vi si trovano, le sentii dire: A Colui che siede sul trono (cioè a Dio Onnipotente, Uno e Trino) e all’Agnello (cioè all’Umanità di Cristo), benedizione, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli. (Queste ultime parole sono molto difficili da tradurre. La Vulgata dice: et quæ sunt in mari, et quæ sunt in eo, cioè letteralmente: le cose che sono nel mare, e quelle che sono in esso…. I migliori commentatori pensano che la prima espressione si riferisca al mare stesso; la seconda, agli esseri animati che contiene. Altre versioni dicono anche: mare, et quæ sunt in eo. – Il testo greco è appena più chiaro: ogni creatura che è nel cielo, e sulla terra, e sotto la terra, e sul mare, e tutti gli esseri che sono in esso, li ho sentiti, ecc. (R. P. Âllo.). – Così gli esseri privi di ragione, e quelli stessi che sono inanimati, benedicono il loro Creatore a modo loro. Non lo fanno con una voce articolata, come la nostra. Ma dalla loro bellezza, dalla loro varietà, dalla loro gerarchia, dall’ordine che presiede a tutti i loro movimenti, sorge un magnifico concerto che canta la gloria di Dio. Fu questa voce che Sant’Agostino percepì quando, spinto dal fuoco di cui era infiammato il suo cuore, andò a chiedere al sole, alla terra, alla luna, alle stelle e a tutti gli esseri che incontrava, a turno, di parlargli di Dio, e li sentì esclamare tutti insieme: « È lui che ci ha fatti (Solil. Cap. 3). » E i quattro animali dicevano: Amen, riconoscendo così la validità di questa lode universale. E i ventiquattro anziani caddero con la faccia a terra e adorarono Colui che vive nei secoli dei secoli.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (5)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (3)

G.  Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico

dell’APOCALYSSE (3)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat: Elie Maire Can. Cens. ex. off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: A. LECLERC. Lutetiæ Parisiorum die II nov. 1947

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Prima Visione

LA REFORME DELLE CHIESE

TERZA PARTE

LA LETTERA ALLE SETTE CHIESE (Seguito)

Capitolo III, 1- 22

“E all’Angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Mi sono note le tue opere, e come hai il nome di vivo, e sei morto. Sii vigilante, e rafferma il resto che sta per morire. Poiché non ho trovato le tue opere perfette dinanzi al mio Dio. Abbi adunque in memoria quel che ricevesti, e udisti, e osservalo, e fa penitenza. Che se non veglierà! verrò a te come un ladro, né saprai in qual ora verrò a te. Hai però in Sardi alcune poche persone, le quali non hanno macchiate le loro vesti: e cammineranno con me vestiti di bianco, perché ne sono degni. Chi sarà vincitore, sarà così rivestito di bianche vesti, né cancellerò il suo nome dal libro della vita, e confesserò il suo nome dinanzi al Padre mio e dinanzi ai suoi Angeli. Chi ha orecchio, oda quello che dice lo Spirito alle Chiese.

E all’Angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così dice il Santo e il Verace, che ha la chiave di David: che apre, e nessuno chiude: che chiude, e nessuno apre: Mi sono note le tue opere. Ecco io ti ho messo davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere: perché hai poco di forza, ed hai osservata la mia parola e non hai negato il mio nome. Ecco io (ti) darò di quelli della sinagoga di satana, che dicono d’essere Giudei, e non lo sono, ma dicono il falso: ecco io farò sì che vengano e s’incurvino dinanzi ai tuoi piedi: e sapranno che io ti ho amato. “Poiché hai osservato la parola della mia pazienza, io ancora ti salverò dall’ora della tentazione, che sta per sopravvenire a tutto il mondo per provare gli abitatori della terra. Ecco che io vengo tosto: conserva quello che hai, affinché niuno prenda la tua corona. Chi sarà vincitore, lo farò una colonna nel tempio del mio Dio, e non ne uscirà più fuori: e scriverò sopra di lui il nome del mio Dio, e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme, la quale discende dal cielo dal mio Dio, e il mio nuovo nome. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dice alle Chiese. –

E all’Angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’amen, il testimone fedele e verace, il principio delle cose create da Dio. “Mi sono note le tue opere, come non sei né freddo, né caldo : oh fossi tu freddo, o caldo: ma perché sei tiepido, e né freddo, né caldo, comincerò a vomitarti dalla mia bocca. Perciocché vai dicendo: Sono ricco, e dovizioso, e non mi manca niente: e non sai che tu sei un meschino, e miserabile, e povero e cieco, e nudo. Ti consiglio a comperare da me dell’oro passato e provato nel fuoco, onde tu arricchisca, e sia vestito delle vesti bianche, affinché non comparisca la vergogna della tua nudità, e ungi con un collirio i tuoi occhi acciò tu vegga. Io, quelli che amo, li riprendo e li castigo. Abbi adunque zelo, e fa penitenza. Ecco che io sto alla porta, e picchio: se alcuno udirà la mia voce, e mi aprirà la porta, entrerò a lui, e cenerò con lui, ed egli con me. Chi sarà vincitore, gli darò di sedere con me sul mio trono: come io ancora fui vincitore, e sedei col Padre mio sul trono. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dice alle Chiese.”

§ 1. — Lettera alla Chiesa di Sardi.

E all’Angelo della Chiesa di Sardi, scrivi: Questo è ciò che dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: il Cristo, che dispone a suo piacimento dei doni dello Spirito Santo e che tiene sotto la sua autorità i prelati delle sette chiese, che rappresentano tutta la gerarchia ecclesiastica: « Io conosco le tue opere; so che hai un nome, – cioè un’apparenza esteriore, – che lascia credere agli uomini che vivete, profondamente, intensamente, la vostra vita cristiana; mentre in realtà siete morti, perché siete privi della vera vita, quella della mia grazia. »  Il tono di questa lettera, come potete vedere, prende immediatamente la forma di un rimprovero. Cristo non fa qui uso di argomentazioni preliminari, come ha fatto nelle precedenti ammonizioni. È perché il peccato di cui vuole occuparsi con il Vescovo di Sardi è più grave, perché è segreto e difficile da scoprire. Forse questo prelato, senza saperlo, si dà l’apparenza della santità; compie le opere esterne della santità: ma il motivo segreto a cui obbedisce è la vanagloria, non l’amore di Dio. Lo spirito che ispira questa quinta epistola è lo spirito di Consiglio: perché il vizio dell’ipocrisia, che qui si tratta di riprendere, sfugge alla perspicacia degli uomini comuni. Essi, come dice la Scrittura, vedono la faccia; ma Dio legge nelle profondità del cuore, (Cf. I Reg., XVI, 7.1) e lo spirito di consiglio ha precisamente come primo effetto il comunicare all’uomo qualcosa di questa penetrazione divina; di rendere più acuto lo sguardo della sua ragione, e di permettergli di vedere ciò che non vedrebbe con le sue sole luci naturali, nell’ordine morale. – Forse c’è un certo parallelismo tra il caso del vescovo di Sardi e la storia di quella città. « Il sito di Sardi – scrive il P. Allô – su una collina che si staglia dal Tmolus verso l’Hermus, ed è accessibile solo da sud, sembrava renderlo un luogo inespugnabile; tuttavia, poiché contava troppo sulla sua forza naturale, era stato sorpreso due volte: da Ciro, nella sua guerra contro Creso, e tre secoli dopo, da Antioco il Grande; il nemico era salito come un ladro nella notte, il suo bastione di rocce ripide ma fatiscenti. La chiesa di Sardi, che manca di zelo e di vigilanza, è in pericolo di essere sorpresa allo stesso modo, ma questa volta da Cristo, il giudice. » – In ogni caso, il peccato di questo Vescovo è certamente grave, poiché Nostro Signore non ha paura di dirgli: Sei morto. Egli è morto, eppure, grazie al ministero che esercita, grazie alle buone azioni che compie per abitudine, rimane in lui una scintilla di vita che può essere riaccesa: lo stoppino è ancora fumante. Egli è morto, ma può risorgere, come Lazzaro, come il figlio della vedova di Naim, come la figlia di Giairo, che sono, in gradi diversi, peccatori per cui non dobbiamo disperare. Ecco perché Nostro Signore parla ai morti come ad un vivo: « Esci dal tuo sonno, diventa vigilante, impara a custodire sia il tuo cuore che il tuo gregge. D’ora in poi, preserva dal vento della vana gloria, tutte le opere che ancora farai; altrimenti andranno perdute, come sono andate perdute quelle che hai fatto finora; perché agli occhi del mio Dio non sono piene. Possono apparire tali agli occhi degli uomini, che si lasciano facilmente ingannare dalle apparenze; ma davanti al Dio, davanti a quel Dio che Io stesso ho avuto tanta cura di compiacere, quando ero tra voi, sono vuote: mancano della purezza dell’intenzione, mancano di quell’impulso d’amore che solo darebbe loro valore ai suoi occhi. – Ricordati poi di ciò che hai, ricevuto, di ciò che hai compreso. Ricordati degli esempi che hai ricevuto dagli Apostoli: San Paolo scriveva al suo discepolo Tito: “Il Vescovo deve essere irreprensibile, come si addice a colui che è dispensatore di Dio, che non deve essere né orgoglioso, né collerico, né incline al bere, né brutale, né avido di guadagni vergognosi; ma che sia ospitale, buono, sobrio, retto, santo, continente, fortemente attaccato nelle verità della fede, che sono secondo la dottrina (degli Apostoli), affinché possa esortare secondo la sana dottrina e confondere coloro che la contraddicono (Tit. I, 7). Ricordati di ciò che hai imparato nella Legge di Mosè: Chiunque della stirpe sacerdotale di Aronne sarà contaminato, non si avvicinerà all’altare per offrire ostie al Signore, né pane al suo Dio. E ancora: Ogni uomo della vostra razza che si avvicina alle cose sante… ma in cui c’è contaminazione, perirà davanti al Signore. (Lévit., XXI, 21; XXII, 3). Questo è ciò che dovete ricordare e osservare. Se non vegli, se non ti applichi a correggere te stesso e a raddrizzare la tua intenzione verso Dio, Io verrò da te, non come un amico o come lo sposo della tua anima, ma come un giudice, per chiamarti a rispondere e punirti di conseguenza. Io apparirò all’improvviso come un ladro, e tu non avrai il tempo di metterti in regola, perché non saprai a che ora apparirò, se alla sera, o al mattino, o al canto del gallo, o in pieno giorno (Marc. XIII, 35). – Tuttavia, voglio aspettare ancora un po’. C’è un argomento che depone a tuo favore e che ferma il corso della mia giustizia: è che tu hai in Sardi alcune anime fedeli, di cui conosco i nomi. » Quest’ultima espressione sulla bocca di Dio significa che egli conta tra i suoi amici coloro di cui parla. In questo senso disse a Mosè: Io ti conosco per nome (Es., XXXIII, 17); e nel Vangelo: Io conosco le mie pecore ed esse conoscono me (Jo., X, 14). « Questi – continua – non hanno contaminato le loro vesti; hanno saputo mantenere intatta la veste della loro innocenza, evitando le colpe gravi, purificandosi attentamente dalle colpe leggere, praticando le virtù. Anche loro cammineranno con me in vesti bianche, mi seguiranno ovunque io vada, Io che sono l’Agnello senza macchia, il giglio delle valli e la corona delle vergini; saliranno sulle mie tracce di virtù in virtù, finché non li introduca nel Paradiso. Perché ne sono degni: perché la fedeltà di cui fanno prova, avrà meritato loro la grazia di avanzare nella virtù. » Le vesti bianche rappresentano sia l’innocenza conservata qui sulla terra che la gloria promessa ai corpi risorti. « Prendili come modello. Colui che saprà vincere le vanità del mondo, i desideri della carne, le suggestioni del diavolo, sarà rivestito di vesti bianche come loro, e Io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, non lo cancellerò dalla lista degli eletti. E confesserò il suo nome davanti al Padre mio e ai suoi Angeli. Nell’ora del suo giudizio particolare, come nel giorno del giudizio universale, lo reclamerò per uno dei miei; lo porrò tra coloro ai quali dirò: Venite, benedetti del Padre mio… perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere, ecc…. (Mt. XXV, 34, 35). » E questo riconoscimento ufficiale fatto da Cristo, davanti alla Sovrana Maestà di Dio, davanti alla Santissima Vergine, davanti all’assemblea universale degli Angeli e degli uomini, è l’onore supremo al quale possiamo aspirare, e per il quale dobbiamo disprezzare tutte le glorie di questo mondo. – « Chi ha un orecchio attento, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese; non faccia nulla senza ascoltare lo spirito di consiglio, che gli parlerà o per ispirazione interiore o per bocca dei saggi; e torni a Dio con la penitenza, se ha avuto la sventura di cadere. »

§ 2. – Lettera alla Chiesa di Filadelfia.

E all’Angelo della Chiesa di Filadelfia, scrivi: Lo spirito che sta per parlare ora è lo spirito di Intelletto. La virtù propria è quella di rivelare ai piccoli, agli umili di cuore, i misteri della Sapienza divina e le profondità della Scrittura, che i sapienti e i prudenti di questo mondo non possono penetrare. (Mt., XI, 25). Esso sarà diffuso in abbondanza sulla Chiesa di Filadelfia, perché la Chiesa di Filadelfia, se crediamo all’etimologia del suo nome, si distingueva per la sua carità fraterna, che riassume tutta la perfezione del Vangelo. Questo è ciò che dice il Santo e il Veritiero: Colui che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre. Questi epiteti designano chiaramente il Cristo. È Lui il Santo per eccellenza: è l’unico, per essenza, ed è allo stesso tempo l’unica fonte da cui procede la santità di tutti gli altri; è Lui il Veritiero: tutto ciò che ha detto, tutto ciò che ha promesso si realizzerà infallibilmente; Egli ha la chiave di Davide, perché è la sua vita e la sua morte che ci permette di decifrare il significato misterioso dei Salmi, e di tutta la Scrittura. È Lui che apre la mente alla comprensione di questi Libri santi ed il cuore alla grazia: e nessuno chiude, nessun argomento, nessun artificio può sviare coloro che aderiscono a Lui per fede e amore; è anche Lui che chiude, che rende questi Libri impenetrabili alle luci della ragione umana lasciata a se stessa: e nessuno può aprire, perché nessuno, per quanto paziente possa essere nel suo lavoro, per quanto erudito possa essere nelle scienze umane, può capire qualcosa del significato profondo della Scrittura senza il Suo aiuto. « Conosco le tue opere, le approvo, le amo ». Queste sono opere di carità, fatte in umiltà e pazienza, come dirà tra poco. Ma prima di tutto si affretta a mostrare la ricompensa che intende destinare al Vescovo di Filadelfia: Ecco, io ti ho concesso, – cioè ho deciso di concederti, – una porta aperta davanti a te, cioè la comprensione del significato delle Scritture, che di per sé aprirà la porta dei cuori alla verità, e inoltre ti introdurrà personalmente nella mia intimità. E nessuno potrà chiuderti questa porta, nessuno potrà portarti via questo dono. Te lo concedo, perché sei umile: conosci la tua debolezza, sai di avere poca virtù, eppure hai conservato fedelmente la mia parola, hai osservato la dottrina del Vangelo, soprattutto sul punto della carità, e quando è arrivata la prova, non hai rinnegato il mio nome. Per questo motivo, ecco, io ti darò la grazia di convertire alcuni di quelli che appartengono alla sinagoga di satana, che si dicono Giudei e mentono, perché non lo sono: sono circoncisi, è vero, ma solo secondo la carne. Perciò non tormentarti, visto che molti sono insorti contro di te per il modo in cui causa insegni la Scrittura. La stessa cosa è successa a me; quando ho spiegato le profezie ai miei concittadini, essi dicevano: « Come fa costui a conoscere le lettere? Dove le ha imparate? In cosa si mischia il figlio del carpentiere? » – (Jo., VII, 15; — Matt., XIII, 55). Anche quelli erano della sinagoga di satana, sostenevano di essere discendenti di Abramo, mentre in realtà non erano che figli del diavolo. (Jo., VII, 33, 34).  Non lasciarti smuovere dal loro atteggiamento ostile. Io farò in modo che essi vengano a te; un giorno riconosceranno il loro errore, si prostreranno ai tuoi piedi e sapranno che Io ti ho amato e per questo ho permesso che tu fossi perseguitato. – Perché avete osservato fedelmente la parola della mia pazienza… cioè, perché hai cercato di imitare l’esempio che ho dato sulla croce, quando, lungi dall’irritarmi con loro che mi facevano sottoponevano a sofferenze così terribili, ho pregato per loro ed ho detto: « Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno. (Luc. XXIII, 34). Poiché dunque tu hai osservato questa parola, Io ti preserverò dall’ora della tentazione che deve venire su tutto l’universo, per provare quelli che abitano sulla terra. » – Qual è la tentazione di cui il Salvatore vuole parlare qui? I commentatori hanno pensato a volte alla persecuzione di Nerone, a volte a tutti quelli che hanno insanguinato i primi secoli, e a volte a quella che dovrà accompagnare il regno dell’Anticristo. Queste spiegazioni possono essere accettate e contengono senza dubbio una parte di verità; tuttavia, in modo più generale, dobbiamo vedere in questa parola un’allusione alle prove di ogni genere che non cessano mai nella Chiesa, e che affliggono specialmente i giusti, avendo Dio voluto così perché si manifestassero le loro virtù. Perciò non è detto qui che la Chiesa di Filadelfia sarà preservata dalla persecuzione esterna, perché ciò sarebbe privarla di un’abbondante fonte di merito e di gloria: il Figlio di Dio le promette solo un aiuto speciale per evitare che venga meno sotto questa prova. Il Figlio di Dio promette solo un aiuto speciale per impedirle di fallire in questa prova: « Ecco, Io vengo presto; ecco, presto farò conoscere la mia assistenza a coloro che combattono, a coloro che soffrono, che meritano.  Tenete fermo ciò che hai, perseverate nelle tue attuali disposizioni ed opere, affinché nessuno riceva la corona che ti è destinata. Non fare come Giuda, che per il suo crimine e la sua disperazione ha perso le insegne di Apostolo di Cristo, di cui era rivestito e che San Mattia ha ereditato (Cf. Ps. CVIII, 8. et episcopatum ejus accipiat alter.). – Né come il quarantesimo martire di Sebaste, che non ebbe il coraggio di sopportare fino alla fine il tormento del lago ghiacciato: rinunciò alla lotta, ma uno dei suoi guardiani, vedendo brillare in cielo quaranta corone, quando erano rimasti nella lizza solo trentanove atleti di Cristo, si affrettò a prendere il posto del disertore ed ereditò la ricompensa (Bollandisti, 10 Marzo). « Colui che avrà riportato la vittoria, Io lo farò diventare una colonna nel tempio del mio Dio. » Questa comparazione è rivolta ai Santi ed ai perfetti, a causa del solido fondamento della loro fede e della loro pazienza; essi sopportano senza vacillare tutti gli assalti del diavolo e del mondo e, lungi dal vacillare davanti alle colpe dei loro fratelli, li sostengono con le loro esortazioni ed i loro esempi. È in questo senso che San Paolo ha paragonato Giacomo, Cefa e Giovanni a delle colonne (Gal., II, 9), e che Dio ha chiamato Geremia una colonna di ferro (Ez., II, 18). « Quest’uomo dunque non uscirà più fuori », non si allontanerà più dalla retta via, ma continuerà nelle opere buone, senza essere sviato da alcuna tentazione o minaccia. « E scriverò su di lui in modo indelebile il nome del mio Dio, quel nome che era inciso sulla tiara del sommo sacerdote (Ex. XXVIII, 36); cioè: lo farò figlio di Dio per adozione, come Io stesso lo sono per natura. E scriverò anche il nome della città del mio Dio, la Nuova Gerusalemme: lo contrassegnerò con il titolo di cittadino della Gerusalemme celeste, e ne farò un uomo di pace – perché il nome di Gerusalemme significa: Visione di pace – e un uomo nuovo, rigenerato nella grazia. Stabilirò in lui il regno della carità, e tutti potranno vedere che egli non è più della terra, che appartiene a questa meravigliosa Città che non è opera dell’uomo, ma che scende dal cielo, perché, venendo con Cristo, porta quaggiù i costumi della corte celeste, e perché trae tutta la sua vitalità, tutta la sua organizzazione, tutta la sua bellezza, dal mio Dio, e scriverò su di lui il mio nuovo nome, questo nome di Cristo che ho preso quando sono venuto sulla terra e che significa: Unto; Io verserò su di lui questo olio misterioso che lo farà a mia immagine, sacerdote e re. Chi ha orecchio, comprenda ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Che si avvicini al fiume della dottrina della vita e ne beva; che applichi il suo spirito, come Maria, per ascoltare la voce del Maestro, affinché l’occhio della sua intelligenza possa scoprire la verità nascosta sotto le figure. »

§ 3.  – Lettera alla Chiesa di Laodicea.

E all’Angelo della chiesa di Laodicea scrivi. Lo spirito che ascolteremo in questa lettera è lo spirito della sapienza. È indirizzata ad un’anima piena di auto-illusione, e impantanata da essa nella tiepidezza, nemico mortale dell’avanzamento spirituale: così Egli sarà particolarmente severo, ricordando al suo corrispondente l’umiltà, e predicandogli la necessità di conoscere se stesso per elevarsi alla vera saggezza. Tuttavia, non dimentica i diritti della misericordia e incalza il colpevole con sollecitazioni in cui si tradisce la tenerezza del suo Cuore e la costanza del suo Amore. « Questo è ciò che dice l’Amen, il testimone fedele e vero, il principio della creazione di Dio. » La parola Amen, usata qui come sostantivo, esprime la Verità assoluta, infallibile, immutabile, che si identifica con l’Essere, e alla quale si deve aderire ad occhi chiusi, senza discussioni o riserve. Questa Verità è personificata in Gesù Cristo Nostro Signore, testimone fedele perché compie tutto ciò che promette; testimone veritiero perché le sue affermazioni non possono essere messe in dubbio, sia quando parla delle realtà divine che è venuto ad annunciare al mondo, sia quando accusa i peccati degli uomini o proclama i loro meriti. Egli è il principio della creazione di Dio, in quanto tutte le cose sono state create da Lui, e nulla è stato fatto senza di Lui (Jo, I, 3); soprattutto in questo senso, qui, che è per mezzo di Lui che si opera il nostro rinnovamento in Dio: tutti noi abbiamo cominciato, con San Paolo, come figli dell’ira, vivendo nei desideri della carne, facendo la volontà della carne, sepolti nella morte del peccato: ma Dio, che è ricco di misericordia, a causa dell’eccessiva carità con cui ci ha amati, ci ha risuscitato e stabilito nelle cose celesti con il suo Figlio Gesù. Questo è puro dono della Sua grazia, e non saremo mai abbastanza persuasi che noi non siamo « frutto delle nostre opere, ma opera Sua, creati di nuovo in Cristo Gesù » (Ephes., II, 1-11, passim.). « Conosco le tue opere. So che non sei né freddo né caldo: non sei completamente freddo, perché la tua fede non è morta; perché, come il fariseo del Vangelo, che digiunava due volte alla settimana e distribuiva ai poveri la decima dei suoi beni, rimani attaccato a certe pratiche esteriori. Ma tu non sei nemmeno caldo: non hai nessuna preoccupazione di imparare ad amare Dio ed il tuo prossimo, non hai zelo per la salvezza delle anime, né per il tuo avanzamento nella virtù. Vorrei tanto che tu fossi freddo, che non avessi questa osservanza esteriore, che ti dà l’impressione di essere giusto, perché allora sarebbe facile farti capire la tua miseria e condurti alla conversione. – O se tu fossi caldo, se tu avessi davvero la carità, che ti porterebbe alla pratica del bene e alla ricerca della perfezione! Ma poiché sei tiepido, poiché siete inerte e languido nelle vie del bene, comincerò a vomitarvi dalla mia bocca. » Il Signore procede, come sempre, con moderazione e dolcezza. Non colpisce subito il colpevole: semplicemente lo minaccia, se non cambia la sua condotta, di cominciare a ritirare la sua grazia, il che lo getterà gradualmente fuori dalla comunione dei Santi, e cioè, come se fosse fuori da Dio. La parola “vomito” che è usata qui per rappresentare la scomunica, ha lo scopo con la sua stessa eccessività di farci capire il dolore che Dio prova nell’usare questa punizione, e tuttavia questo è l’unico mezzo che può usare per eliminare dal suo Corpo mistico gli elementi che sono resistenti ad ogni assimilazione. Questa espressione segna anche il disgusto che Dio ispira a coloro che pretendono di tenere una giusta via di mezzo tra il servizio a Lui, e quello del mondo. E qual è la causa di questa tiepidezza? – È la buona opinione che il Vescovo di Laodicea ha di se stesso; egli si dice nel segreto del suo cuore: « Sono ricco di vantaggi temporali e spirituali, e sono ancora più ricco per tutte le opere buone che ho fatto; non ho bisogno dell’insegnamento o dell’aiuto di nessuno. – « E tu ignori – gli risponde Dio – e di un’ignoranza colpevole, un’ignoranza che proviene dalla cecità in cui ti immerge il tuo orgoglio; tu ignori di essere un miserabile, un infelice nato nel peccato e del tutto incapace di uscirne con le tue forze; sei un povero uomo, non hai alcun merito dal tuo fondo; un cieco, perché non ti conosci; e sei nudo, avendo perso la veste della tua innocenza. » Il testo greco accentua la forza di queste espressioni aggiungendo l’articolo prima di esse: tu non sai di essere lo che sventurato, il povero, ecc. … Ti invito dunque a comprare da me l’oro di una carità ardente di fervore e sincera, purificata da ogni ricerca di sé, attraverso la prova e la tribolazione. Io voglio che tu lo compri da me, perché non lo troverai nei libri, né nel commercio delle creature, né nell’azione esterna: lo troverai solo chiedendomelo nella preghiera. Ma sebbene questo sia un dono gratuito della mia misericordia, voglio che tu lo compri con i tuoi sforzi, le tue buone opere e le tue penitenze. Allora diventerai veramente ricco di beni spirituali; ti rivestirai delle bianche vesti di una vita pura, e la confusione della tua nudità, delle tue deformità, sarà cancellata dalla mia presenza. – « E ungi i tuoi occhi con il collirio, perché tu possa recuperare la vista ». Questo meraviglioso collirio, che restituisce così la vista ai ciechi, è la Passione di Cristo, che apre gli occhi dell’anima, cioè l’intelletto e la volontà, alla comprensione e all’amore di ciò che è il vero bene dell’uomo. Esso getta la luce della verità su tutte le cose e rende manifesto l’errore e la follia di coloro che corrono dietro alle soddisfazioni della carne o all’amor proprio, mostra il percorso che Cristo ha fatto per tornare in cielo, e che noi dobbiamo fare dopo di Lui. Come il collirio punge gli occhi, facendoli piangere ed espellendo così le impurità che li accecavano, così punge l’anima – questo è il significato originale della parola: compunzione – facendole sentire il dolore dei peccati commessi, il senso di ingratitudine che ha mostrato verso Dio, e così purificandola. Lo stesso simbolismo si trova nel libro di Tobia, quando l’Arcangelo Raffaele ordina al suo giovane protetto di strofinare gli occhi del padre con il fiele del pesce, per ridargli la vista: il pesce, come sappiamo, è la figura di Cristo, ed il fiele rappresenta la parte amara della sua vita, cioè la sua Passione. Dopo questo severo avvertimento, il divin Maestro, unendo come sempre la giustizia e la misericordia, lascia spazio alla tenerezza del suo Cuore: « Sono coloro che amo che Io castigo, aggiunge, cioè, non ribellarti, non prendere i miei ammonimenti nel modo sbagliato. Io non faccio come i servi del mondo, che lusingano solo i loro amici e riservano tutto il loro rigore a coloro che li dispiacciono; al contrario, Io rimprovero e colpisco coloro che amo. Con questo desidero mantenerli sulla strada giusta ed insegnare loro a conoscere se stessi. Esci dal tuo torpore, rispondi al mio amore con l’amore, imita i miei Santi e fa’ penitenza. Se questo sforzo sembra al di sopra delle tue forze, non scoraggiarti; Io sono qui per aiutarti. Ecco, Io sto alla porta del tuo cuore, faccio appello al tuo libero arbitrio – perché questa è l’unica porta attraverso la quale Cristo entra nelle nostre anime – e busso. Cerco di provocare in te dei sentimenti di compunzione, a volte con ispirazioni interiori, a volte per mezzo di circostanze esterne, affinché tu ti apra a Me. Vorrei entrare e sedermi alla tua tavola, a quella tavola interiore dove il tuo spirito banchetta solitamente di vana gloria; vorrei sedermi lì con te, e condividere insieme ciò che ognuno ha portato: tu mi daresti le tue opere, e Io darei la mia gloria. Se qualcuno ascolta la mia voce ed apre la porta del suo cuore con la sua fede, con l’acquiescenza della sua volontà, Io entrerò in lui con la mia grazia e le mie consolazioni; penetrerò nel suo profondo, lo trasformerò, e cenerò con lui e lui con Me: Io gli farò gustare la dolcezza del mio amore, in attesa che venga a sua volta a cenare con Me, nel mio Paradiso. » Si noti che l’autore dice “cena” e non “pranzo” perché dopo la cena, la giornata è finita: non c’è più bisogno di tornare al lavoro, e la conversazione intima può continuare finché gli amici lo desiderano. “Colui che riporterà la vittoria sui nemici della sua salvezza, sul diavolo, sulla carne e sul mondo, gli darò di sedere con me sul mio trono, come ho promesso ai miei dodici Apostoli. Ma questi posti si conquistano solo con una dura lotta; ed Io stesso, solo dopo aver combattuto e vinto, dopo essermi fatto obbediente fino alla morte ed alla morte di croce, ho preso posto con il Padre mio sul mio trono. Chi ha l’orecchio del cuore attento, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. »

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (2)

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico

dell’APOCALYSSE (2)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat Elie Maire Can. Cens. ex. off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur A. LECLERC.

Lutetiæ Parisiorum die II nov. 1947

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Prima visione

PRIMA PARTE

APPARIZIONE DEL CRISTO A SAN GIOVANNI

Capitolo I, 9-20

“Io Giovanni vostro fratello, e compagno nella tribolazione, e nel regno, e nella pazienza in Gesù Cristo, mi trovai nell’isola che si chiama Patmos, a causa della parola di Dio, e della testimonianza di Gesù. Fui in ispirito in giorno, di domenica, e udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò, che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea. E mi rivolsi per vedere la voce che parlava con me: e rivoltomi vidi sette candelieri d’oro: e in mezzo ai sette candelieri d’oro uno simile al Figliuolo dell’uomo, vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d’oro: e il suo capo e i suoi capelli erano candidi come lana bianca, e c0ome neve, e i suoi occhi come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi simili all’oricalco, qual è in un’ardente fornace, e la sua voce come la voce di molte acque: e aveva nella sua destra sette stelle: e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli: e la sua faccia come il sole (quando) risplende nella sua forza. E veduto che io l’ebbi, caddi ai suoi piedi come morto. Ed egli pose la sua destra sopra di me, dicendo: Non temere: io sono il primo e l’ultimo, e il vivente, e fui morto, ed ecco che sono vivente pei secoli dei secoli, ed ho le chiavi della morte e dell’inferno. Scrivi adunque le cose che hai vedute, e quelle che sono, e quelle che debbono accadere dopo di queste: il mistero delle sette stelle, che hai vedute nella mia destra, e i sette candelieri d’oro: le sette stelle sono gli Angeli delle sette Chiese: e i sette candelieri sono le sette Chiese”.

San Giovanni passa ora al racconto delle straordinarie visioni che ebbe sull’isola di Patmos dove l’imperatore Diocleziano lo aveva relegato. Abbiamo appena letto il racconto della prima. L’Apostolo racconta come una domenica si trovò improvvisamente in estasi, mentre si sentiva dietro di lui una voce, brillante come il suono di una tromba, dicendo: “Quello che stai per vedere, scrivilo in un libro e portalo alle sette Chiese d’Asia”, cioè alle sette sedi episcopali dell’Asia Minore, che sono elencate nel resto del racconto. Allora San Giovanni si voltò per vedere chi gli stava parlando in questo modo, e questa è la vista inaspettata che si presentò ai suoi occhi: “Vidi sette candelabri d’oro, e in mezzo ad essi stava uno simile al Figlio dell’Uomo, vestito con la veste sacerdotale e cinto di una fascia d’oro sulla parte superiore del petto. E il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana bianca e come neve; e i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco; e i suoi piedi erano come l’auricalco in una fornace ardente, e la sua voce era come la voce delle grandi acque. E aveva nella sua mano destra sette stelle; e dalla sua bocca usciva una spada affilata da entrambi i lati; e la sua faccia era come il sole, quando brilla nella sua potenza. È ovvio che l’autore non accumulerebbe dettagli così strani come quelli appena ascoltati se non avessero un significato profondo, e cercassero di tradurre in linguaggio immaginario delle realtà di ordine trascendentale. L’Apostolo, inoltre, nel corso del suo racconto, avrà cura di togliere ogni dubbio che possa rimanere a questo riguardo, esponendo lui stesso, qua e là, il significato mistico delle descrizioni che ha appena fatto. Così dirà, per esempio, un po’ più avanti: Le sette stelle sono gli Angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese. Ma egli solleva solo in alcuni punti il velo che nasconde ai nostri occhi il vero significato di ciò che dice: lascia alla profezia la sua forma misteriosa, per colpire più profondamente gli spiriti ed invitare coloro che lo ascoltano a cercare il campo che egli dà loro. Per scoprire i tesori di verità e di saggezza nascosti sotto queste apparenze sconcertanti, seguiamo le orme dei Padri della Chiesa: solo loro sono in grado di darci qualche luce su questi misteri. Impareremo da loro che i sette candelabri indicano senza dubbio la Chiesa stessa. La Chiesa è, infatti, il candelabro che porta Cristo, la luce del mondo. Il suo numero è “sette” perché vive dei sette sacramenti e dei sette doni dello Spirito Santo; perché possiede sette virtù fondamentali: le tre teologali e le quattro cardinali; perché ordina tutta la sua attività alla pratica delle sette opere di misericordia corporale e delle sette opere di misericordia spirituale. Si dice che sia fatta d’oro massiccio, per mostrare che la sua sostanza si identifica con la carità, di cui l’oro è il simbolo; mentre, invece, le sette dissidenti hanno solo la brillantezza esterna e lo scintillio dorato delle loro seducenti ma false teorie. Fu in mezzo ai sette candelabri che San Giovanni riconobbe il Figlio dell’Uomo, perché Cristo sta in mezzo alla Chiesa ed è impossibile trovarlo fuori di essa. Notiamo qui che l’apostolo dice di aver visto non il Figlio dell’uomo, ma qualcuno che era come il Figlio dell’uomo. In senso letterale, questa restrizione indica che durante tutto il corso di questa visione fu in realtà un Angelo che prese il posto di Cristo. In senso mistico, suggerisce che il Salvatore risorto non porta più nella gloria il peso che durante la sua vita terrena dedicò la sua carne di Figlio dell’Uomo alla sofferenza e alla morte. E San Giovanni, pur riconoscendo molto bene Colui che aveva così spesso visto con i suoi occhi e toccato con le sue mani (I Ep., I, 1), lo trovò tuttavia molto diverso da quello che era al tempo in cui si affannava a viaggiare per la Palestina e a predicare tutto il giorno. Il Salvatore indossava una veste che arrivava fino ai talloni, del modello chiamato poderis, e simile a quella usata dal Sommo Sacerdote sotto l’Antica Alleanza: questa veste simboleggia sia la carità di Cristo, che lo avvolge dalla testa ai piedi, sia il suo sacerdozio, poiché Egli è il sacerdote per eccellenza, il Sommo Sacerdote, e l’unico vero Sacerdote. Ed era stretto sul petto con una cintura dorata. In una visione molto simile a questa, un Angelo apparve a Daniele, anch’esso con le sembianze del Figlio dell’Uomo, e anche lui con una cintura d’oro: ma questo era posto più in basso, all’altezza dei lombi, perché l’Antico Testamento prescriveva solo la mortificazione della carne; la visione di San Giovanni era cinta sulla parte superiore del petto, perché il Nuovo Testamento ordina anche la mortificazione dei desideri, e chiede non solo la purezza del corpo, ma anche la purezza del cuore, Ecco perché Nostro Signore disse agli Giudei: « Avete sentito che fu detto agli anziani: Non commetterai adulterio ». Questa è la cintura che si mette intorno ai lombi, la proibizione del peccato di lussuria. Per me, io vi dico che chi guarda una donna con lussuria ha già commesso adulterio: questa è la cintura da serrare sul proprio cuore. (Matt. V, 27). La sua testa e i suoi capelli, continua l’Apostolo, erano bianchi come lana bianca e come neve. Attribuendo a Cristo una testa bianca, l’autore afferma implicitamente la sua natura divina: perché era già sotto questo simbolo che lo Spirito Santo, per bocca dello stesso profeta Daniele, aveva espresso l’eterna sapienza di Dio: l’Antico dei giorni si sedette, disse; i capelli della sua testa erano come lana bianca (VII, 9). Sul suo esempio, ci invita ad avere anche noi capo bianco, cioè uno spirito pieno di prudenza e di saggezza; bianco come la lana, perché la lana è qualcosa di morbido, bianco, caldo: per assomigliargli, i nostri pensieri dovrebbero essere tutti di indulgenza, immacolati nella loro innocenza, ardenti dello zelo della carità; il che non impedirebbe loro di essere allo stesso tempo come la neve, cioè di rimanere gelidi di fronte alle suggestioni della carne, del mondo e del diavolo. – I suoi occhi erano come una fiamma di fuoco: gli occhi del Verbo non sono, come i nostri, recettori di luce, ma sono piuttosto creatori di luce; quando si posano su un’anima, la purificano dalle contaminazioni da cui è infetta, la illuminano con i raggi della Verità eterna, la infiammano con l’ardore dell’Amore divino, di quell’amore di cui Nostro Signore disse: Sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra (Lc. XII, 49). E i suoi piedi erano come l’auricalco che esce da una fornace ardente. L’auricalco è una specie di bronzo che viene portato al colore dell’oro dall’azione del fuoco e da varie operazioni. I piedi di Cristo, immersi in una fornace ardente, rappresentano la sua Passione. I piedi, poiché sostengono, continuamente e senza indebolirsi, tutto il peso del corpo, rappresentano la forza dell’anima, che sostiene l’uomo in tutte le sue prove e difficoltà: e la forza dell’anima di Cristo fu messa alla prova al momento della Passione, che è rappresentata dalla fornace ardente. E lì, lungi dallo sciogliersi e dal dissolversi, si dimostrò duro come il bronzo, poiché la sofferenza non poteva strappare alla vittima divina il minimo mormorio; al contrario, non aveva altro effetto che fargli prendere il colore dell’oro, cioè far apparire la sua carità in una luce radiosa. E la sua voce era come il suono di grandi acque. La voce di Cristo, portata dagli Apostoli, fu udita in tutto l’universo. È paragonato alle grandi acque perché ha coperto tutto il mondo come un nuovo diluvio; ma questo diluvio non era più, come ai tempi di Noè, lo straripamento dell’ira divina che spargeva ovunque terrore e morte: questa volta era un diluvio di misericordia, un diluvio di grazia, un diluvio di vita, che doveva ripulire la terra dall’infezione del peccato e renderla integra. Più sopra la parola di Cristo è stata paragonata al suono di una tromba, perché eccita i Cristiani in battaglia, riempiendoli del timore di Dio, mostrando loro la ricompensa promessa al vincitore; ora l’autore la paragona all’acqua, perché eccelle nell’ammorbidire la durezza del cuore umano e nel renderci teneri. – E teneva nella sua mano destra sette stelle. San Giovanni stesso spiegherà poco più avanti il significato di questa figura: le sette stelle rappresentano i prelati che sono incaricati di governare la Chiesa. Come stelle spirituali, infatti, devono brillare nella notte di questo mondo per guidare gli uomini verso la Gerusalemme celeste. Devono lanciare sia la luminosità della dottrina che quella dei loro buoni esempi. Ma essi sono nella mano di Cristo, come lo strumento è nella mano dell’operaio, o il segnale nella mano del guardiano. Quando un uomo vuole chiamare i suoi compagni smarriti in una notte buia, non ha niente di meglio da fare che accendere una luce e agitarla, per mostrare loro la direzione da seguire. Gli altri non vedono il loro amico, ma vedono il segnale che dà loro, vedono la luce che brilla nell’oscurità, e camminano verso di essa, e così tornano da colui che li sta aspettando. Allo stesso modo il Salvatore innalza i pastori della Chiesa come segni di luce nella notte del mondo presente: gli uomini devono solo seguire i loro insegnamenti, e sono sicuri di camminare nella retta via, nella via che li condurrà direttamente a Cristo. Per questo ha detto, parlando di coloro che Lo rappresentano sulla terra: Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. (Lc. X, 16). – E dalla sua bocca uscì una spada affilata su entrambi i lati. La parola di Nostro Signore è rappresentata da una spada, per mostrare che è dotata di un potere irresistibile e che può trionfare sulla resistenza più tenace. Essa è affilata da entrambe le parti, perché il suo potere si esercita con lo stesso rigore, anche se con risultati molto diversi, su quelli di destra e su quelli di sinistra, sui buoni e sui cattivi. Separa i primi dalla carne e dal mondo; taglia senza indebolire i loro affetti più legittimi, quello del figlio per suo padre, della figlia per sua madre (Luc. XII, 53); arriva a dividere in loro l’anima e lo spirito, le giunture e il midollo (Hebr. IV. 12). Quanto ai malvagi, al contrario, verrà il giorno in cui li separerà impietosamente dal corpo di Cristo, li scaccerà dalla società degli eletti, li rigetterà senza appello nell’inferno. Chiunque avrà lasciato la sua casa, i suoi fratelli, le sue sorelle, suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli e i suoi campi per amore del mio nome, riceverà il centuplo e avrà la vita eterna. (Matt. XIX, 29). – Questo è il primo fil della spada, quello della mano destra; e questo è l’altro, quello della mano sinistra: « Partite da me, maledetti, e andate al fuoco eterno, che è preparato per il diavolo e i suoi angeli. » (Id. XXV, 41). E il suo viso brillava come il sole nella sua potenza. Questo paragone è lo stesso usato dagli evangelisti per esprimere lo straordinario splendore con cui il volto di Cristo fu illuminato sul monte Tabor. Il Libro della Sapienza dice allo stesso modo che nel giorno del giudizio, i giusti brilleranno come il sole (III, 7). L’immagine è ulteriormente rafforzata dall’espressione: nella sua potenza, segna per il sole l’ora del mezzogiorno, l’ora in cui è in tutto il suo splendore. In senso allegorico, il volto di Cristo designa qui la sua santa umanità, che è sorta sul mondo come un sole di giustizia, e che ha gettato la sua luce più brillante quando ha dispiegato tutta la sua virtù, cioè nell’ora della sua passione. E quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Così San Giovanni, che per anni ha vissuto nella più stretta familiarità con Nostro Signore, che ha spinto la fiduciosa semplicità fino al punto di appoggiare il suo capo sul cuore del suo Maestro nell’Ultima Cena; San Giovanni, vedendolo ora di nuovo nello splendore della sua gloria celeste, cade come morto. Daniele, nella visione di cui abbiamo già parlato, dice, per esprimere il terrore con cui si sentiva penetrato, che il volto del Figlio dell’Uomo era come un fulmine. Alla sua vista, aggiunse, tutte le mie forze vennero meno, divenni « un altro uomo, mi inaridii e non rimase più alcuna forza in me. » (X, 6-8). – Tale è l’effetto che produce sull’essere umano la visione della Maestà divina. Improvvisamente intravede l’abisso della sua immensa debolezza, e sente un bisogno irresistibile di annientarsi, di dissolversi e di sparire. Ecco perché Abramo, quando fu portato davanti a Dio, si prostrò con la faccia contro il sole e si dichiarò cenere e polvere. (Gen. XVII. 3) Ecco perché ancora una volta la Sacra Scrittura mostra Ester che cade in priva di sensi alla vista di Assuero (XV, 10); e ci insegna altrove che nessuno può vedere Dio senza morire (Es. XXXIII, 20). Dicendo che è caduto come morto, San Giovanni ci fa inoltre capire che la contemplazione di Dio ci fa morire al mondo e ci rende insensibili alle sue attrattive e alla sua inquietudine. Prendendolo come meta della nostra ricerca, anche noi saremo come morti, ma non morti; vivremo una vita interiore molto più intensa, la vita di Dio stesso. San Paolo aveva detto allo stesso modo: Mostriamoci come moribondi, ed ecco che siamo vivi (II Cor. 9). – E posò la sua mano destra su di me come segno della grazia che Dio dà a coloro che si umiliano. E disse: « Non abbiate paura. » Cosa c’è da temere? Chi può farci del male, quando siamo ai piedi del Signore del mondo, colui che ha tutto il potere in cielo, in terra e negli inferi? Non temere, perché io sono il primo e sono l’ultimo. « Io sono l’unico Figlio di Dio, il primogenito di tutte le creature, il Re degli Angeli e degli uomini; e sono l’ultimo; nessuno è stato trattato con più ignominia di me, nessuno è stato abbeverato dagli oltraggi e dagli affronti simili a quelli come ho ricevuto io. » Già Isaia, prevedendo in una visione profetica lo stato pietoso in cui sarebbe stato ridotto il glorioso Messia atteso da Israele, lo aveva chiamato: l’ultimo degli uomini (LIII, 3). Per quanto miserabili possiamo essere, non saremo mai più abbandonati di Lui; per quanto crudeli siano le persecuzioni scatenate contro di noi, non raggiungeranno mai la violenza di quelle che si abbatterono su di lui. « Io sono – continua – colui che vive di una vita senza inizio e senza fine. Non temere, dunque nulla, anima che ho scelto, anima che amo, anima che voglio condurre al banchetto di nozze eterno, ma per la via che Io stesso ho seguito, che è la via della croce. Perché sono stato morto: la mia anima ed il mio corpo si sono veramente separati sul Calvario. Ma poi sono risorto, ed ecco, sono vivo nei secoli, una vita che nulla può togliermi. E io ho le chiavi della morte e dell’inferno. Posso resuscitare chi voglio, posso strappare chi voglio dall’inferno, così come dalla morte del peccato. E affinché la verità di ciò che dico sia intesa, ascoltata, scrivi ciò che hai visto. Scrivi quello che hai visto tu, Giovanni, quando ero sulla terra con te, e quello che hai visto con i tuoi occhi, quando mi hanno catturato nell’orto del Getsemani, quando mi hanno trascinato da tribunale in tribunale, quando mi hanno schiaffeggiato, picchiato, coperto di sputi, coronato di spine; quando mi hanno trafitto i piedi e le mani con i chiodi, quando mi hanno aperto il costato con la lancia; ma scrivi anche quello che hai visto la domenica mattina, quando sei corso al sepolcro con Pietro, e poi la sera, nel cenacolo, e i giorni seguenti. .. Racconta i misteri della mia Passione e della mia Resurrezione, di cui sei stato testimone. Poi scrivi ciò che sta accadendo ora, cioè le sofferenze che stanno sopportando quotidianamente la Chiesa e le anime giuste; scrivi ciò che accadrà dopo, la persecuzione dell’Anticristo, e la fine dei tempi. Scrivi il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia mano: mostra il significato nascosto di questi simboli, e spiega che le sette stelle sono gli Angeli – cioè i Vescovi – delle sette Chiese, e che i sette candelabri sono le sette Chiese.

Prima Visione

LA RIFORMA DELLE CHIESE

(SECONDA PARTE)

LA LETTERA ALLE SETTE CHIESE

Capitolo II, 1-29

“All’Angelo della Chiesa d’Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene nella sua destra le sette stelle, e cammina in mezzo ai sette candelieri d’oro: So le tue opere, e le tue fatiche, e la tua pazienza, e come non puoi sopportare i cattivi: e hai messo alla prova coloro che dicono di essere Apostoli, e non lo sono: e li hai trovati bugiardi: e sei paziente, e hai patito per il mio nome, e non ti sei stancato. Ma ho contro di te, che hai abbandonata la tua primiera carità. Ricordati per tanto donde tu sei caduto: e fa penitenza, e opera come prima: altrimenti vengo a te, e torrò dal suo posto il tuo candeliere, se non farai penitenza. Hai però questo, che odii le azioni dei Nicolaiti, le quali io pure ho in odio. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese: Al vincente darò a mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al Paradiso del mio Dio.

‘E all’Angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, il quale fu morto, e vive: So la tua tribolazione e la tua povertà, ma sei ricco: e sei bestemmiato da quelli che si dicono Giudei, e non lo sono, ma sono una sinagoga di satana. Non temere nulla di ciò che sei per patire. Ecco che il diavolo caccerà in prigione alcuni di voi, perché siate provati: e sarete tribolati per dieci giorni. Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio, ascolti quel che lo Spirito dica alle Chiese: Chi sarà vincitore, non sarà offeso dalla seconda morte. –

E all’Angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che tiene la spada a due tagli: So in qual luogo tu abiti, dove satana ha il trono: e ritieni il mio nome, e non hai negata la mia fede anche in quei giorni, quando Antipa, martire mio fedele, fu ucciso presso di voi, dove abita satana. Ma ho contro di te alcune poche cose: attesoché hai costì di quelli che tengono la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a mettere scandalo davanti ai figliuoli d’Israele, perché mangiassero e fornicassero: Così anche tu hai di quelli che tengono la dottrina dei Nicolaiti. Fa parimenti penitenza: altrimenti verrò tosto a te, e combatterò con essi colla spada della mia bocca. Chi ha orecchio, oda quel che dica lo Spirito alle Chiese: A chi sarà vincitore, darò la manna nascosta, e gli darò una pietra bianca: e sulla pietra scritto un nome nuovo non saputo da nessuno, fuorché da chi lo riceve.

E all’Angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Queste cose dice il Figliuolo di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco ed i piedi del quale sono simili all’oricalco: So le tue opere, e la fede, e la tua carità, e il ministero, e la pazienza, e le tue ultime opere più numerose che le prime. Ma ho contro di te poche cose, poiché permetti alla donna Jezabele, che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, perché cadano in fornicazione, e mangino carni immolate agli idoli. E le ho dato tempo di far penitenza: e non vuol pentirsi della sua fornicazione. Ecco che io la stenderò in un letto: e quelli che fanno con essa aduterio, saranno in grandissima tribolazione, se non faranno penitenza delle opere loro: e colpirò di morte i suoi figliuoli e tutte le Chiese sapranno che io sono lo scrutatore delle reni e dei cuori: e darò a ciascuno di voi secondo le sue azioni. Ma a voi, io dico, e a tutti gli altri dì Tiatira, che non hanno questa dottrina, e non hanno conosciuto le profondità, come le chiamano, di satana, non porrò sopra dì voi altro peso: Ritenete però quello che avete, sino a tanto che io venga. E chi sarà vincitore, e praticherà sino alla fine le mie opere, gli darò potestà sopra le nazioni, e le reggerà con verga di ferro, e saranno stritolate come vasi dì terra, come anch’io ottenni dal Padre mio: e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchio, oda quello che lo Spirito dica alle Chiese.”

Questo capitolo II e il seguente contengono le lettere alle chiese dell’Asia che appena annunciate. Il Figlio di Dio ordina all’amato Apostolo di scrivere successivamente a ciascuno dei sette Vescovi che occupano le sedi in Asia Minore. Queste lettere sono un modello di correzione fraterna: l’autore mescola abilmente lodi e rimproveri per incoraggiare e stimolare i suoi lettori, indicando loro i punti in cui sono in difetto e i pericoli a cui si espongono. Al di là dei Vescovi che ne sono i destinatari, esse si rivolgono a tutte le anime cristiane che si preoccupano del loro progresso spirituale: ed è a loro che San Benedetto allude nel Prologo della sua Regola quando ci esorta ad ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Essi richiamano i punti essenziali della perfezione evangelica e ci offrono un esatto adempimento di questa profezia del Salvatore ai suoi discepoli: Quando lo Spirito Santo verrà, rimprovererà il mondo sul peccato, sulla giustizia e sul giudizio (Jo., XVI, 8.). Infatti, esse rimproverano ciascuno per i peccati in cui cade, gli mostrano la rettitudine che deve praticare, gli ricordano il giudizio che dovrà subire un giorno. Il loro numero sette evoca chiaramente i doni dello Spirito Santo, che in ognuno di loro possiamo riconoscerne a turno, in modo più particolare, seguendo Ruperto di Deutz, la voce di uno dei sette spiriti che stanno davanti al trono di Dio. È lo spirito di timore che apre la lista, insieme alla Chiesa di Efeso, perché è esso l’inizio della via che conduce a Dio. Perché tutti sanno che il timore di Dio è l’inizio della sapienza. Dopo di questo  sentiremo successivamente quello della pietà, quello della scienza, quello della fortezza, quello del consiglio, quello dell’intelletto comprensione, quello della sapienza.

§ 1 Lettera alla Chiesa di Efeso.

All’Angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene nella sua mano destra le sette stelle, che cammina tra i sette candelabri d’oro. Le sette stelle rappresentano, come abbiamo detto prima, i prelati delle sette chiese. Dio li tiene in mano, per dirigerli e per dirigere gli altri per mezzo di loro; e anche per evitare che cadano, come cadde quella stella del mattino, quel Lucifero che, nel primo giorno del mondo, era apparso sfavillante di gloria e di bellezza, poi improvvisamente cadde sulla terra, e divenne un demone, perché si gloriò nel suo cuore, e dimenticò che doveva tutto a Dio (Isa. XIV, 12 e segg.). Si ricordino dunque, le sette stelle, si ricordino bene, i prelati della Chiesa, che tutta la loro autorità, tutto il loro prestigio, tutta la considerazione di cui godono sono opera della mano di Dio che li tiene, e non lascino che l’orgoglio si impossessi dei loro cuori! – Non solo Dio porta così le stelle che governano il suo popolo, ma cammina anche tra i candelabri d’oro. Questi rappresentano le Chiese, cioè la massa dei fedeli, in opposizione ai prelati, come ci ha insegnato San Giovanni poco più in alto. Dio cammina in mezzo a loro, nel senso che abita con loro, secondo la promessa fatta ai suoi discepoli: Ecco, io sono con voi fino alla fine dei secoli (Matt. XXVIII, 20). Egli abita nei loro cuori. Egli li visita con la sua grazia. Li circonda con la sua sollecitudine. Segue le loro orme. Egli accompagna tutti i loro passi. Ma allo stesso tempo Egli vigila attentamente su questi candelabri, per vedere se la loro luce non è fumosa, se non è in pericolo di spegnersi, se non emana il bagliore della carità. “Io conosco le tue opere”: Dio, è vero, conosce tutte le cose in virtù della sua conoscenza infinita. Ma Egli conosce i suoi, come dice San Paolo (II Tim. II, 19), in quanto li approva e li considera con benevolenza, mentre al contrario ignora i malvagi. (Matt. VII, 23). – « Conosco dunque le vostre opere di carità e la fatica che fate per salvaguardare l’integrità della fede; conosco la pazienza che dimostrate in mezzo alle prove, con gli occhi fissi sul premio eterno; conosco la vostra avversione ai vizi e lo zelo con cui perseguite i malfattori. » Non ti sei lasciato ingannare dai bei discorsi di coloro che pretendono di essere inviati da Dio, come Ebione, Marcione, Cerinto, ecc. Tu li hai messi alla prova, come sta scritto: “Mettete alla prova gli spiriti, per vedere se sono da Dio”,(I Giov. IV, 1) e hai riconosciuto dai loro frutti, come vuole il Vangelo, cioè dalle loro opere, che erano bugiardi. Sei stato paziente con gli eretici; hai sopportato coraggiosamente i loro attacchi, preoccupandoti più dell’onore del mio nome che del tuo interesse; e non hai ceduto alla collera. Tutto questo è molto buono: tuttavia, non è sufficiente per la perfezione che mi aspetto da te, e ho alcuni avvertimenti da farvi intendere: vi rimprovero di aver abbandonato la vostra prima carità. Non vegli più su quella perfetta unione di cuori che era il segno distintivo della Chiesa nascente, e che aveva come corollario la messa in comune di tutti i beni (Act. IV, 32). Non pratichi più le opere di misericordia con il fervore di una volta, ti lasci conquistare dalla tiepidezza. Ora, non dimenticare che la carità è e rimane il segno dal quale i miei veri discepoli si riconoscono; anche se aveste fede per trasportare le montagne, anche se consegnaste il vostro corpo alle fiamme, se non avete questa carità, tutto il resto non vi serve a niente. Riconosci, allora, la tua colpa: ricorda da dove sei caduto, ricorda la generosità che ti ha animato all’inizio della tua conversione, e fai penitenza. Non accontentarti di desideri o promesse: agisci, comportati come facevi allora (Alcuni commentatori, confrontando queste parole con un passo della Seconda Lettera a Timoteo, in cui l’Apostolo invita Timoteo a far risorgere la grazia di Dio in lui (I, 6), hanno pensato che il destinatario della lettera all’Angelo della Chiesa di Efeso non fosse altri che il famoso discepolo di San Paolo, che era in effetti Vescovo di quella città, e che si sarebbe lasciato per un momento sopraffare dalla moltitudine di prove che doveva affrontare.). – Altrimenti verrò da te e sentirai il peso della mia ira. Toglierò il tuo candelabro dal suo posto, cioè darò il tuo posto ad un altro; o ancora spegnerò la luce che brilla nella tua Chiesa e che fa di essa un faro di verità, come è spesso accaduto durante le grandi eresie, quando la caduta di un Vescovo trascina con sé tutto il suo gregge. – « Tuttavia, hai dalla tua, che odi le azioni dei Nicolaiti, che anch’io odio. » Dio non dice che odia i Nicolaiti; parla solo delle loro opere, per farci capire che non dobbiamo mai odiare gli uomini, per quanto malvagi essi siano; sono le loro imprese che dobbiamo avere come un abominio in quanto sono contrarie alla legge di Dio e al bene delle loro anime. San Benedetto rimarca questa discriminazione quando dice nella sua Regola che dobbiamo odiare i vizi e amare i fratelli. Chi erano esattamente questi Nicolaiti di cui stiamo parlando? Alcuni degli antichi Padri concordano che la loro origine può essere fatta risalire al diacono Nicolas, uno dei sette diaconi scelti dagli Apostoli per assisterli nel loro ministero, tra i quali dobbiamo annoverare anche Santo Stefano. D’altra parte, questi stessi Padri differiscono nel modo in cui raccontano come sia successo. Se crediamo a San Clemente di Alessandria, questo Nicolas, che aveva sposato una donna di rara bellezza, sarebbe stato rimproverato dai discepoli per la sua gelosia nei suoi confronti. Pieno di indignazione l’avrebbe poi condotta dagli apostoli, dicendo: « Ecco mia moglie. Che sia di chiunque! » Ma egli ha continuato a vivere una vita santa. Ma alcuni Cristiani malintenzionati si sono impadroniti di questa parola poco saggia e hanno affermato che le donne, come tutti gli altri beni, devono essere messe in comune. (1 Stromatæ, L. III, cap. IV – Patr. Gr., T. 8, col. 1130. – Rufino e Theodoreto danno versioni simili). – Secondo Sant’Epifanio, al contrario, la cui alta autorità è nota come testimone della tradizione, Nicolas, dopo aver preteso la continenza assoluta, ad imitazione degli Apostoli, non ebbe il coraggio di perseverare in questo sforzo, e « ritornò al suo vomito ». Ma per rimediare alla sua sconfitta, immaginò di insegnare che chi vuole assicurarsi la salvezza deve compiere ogni giorno l’opera della carne, e, mettendo in pratica la propria dottrina, sprofondò in vergognosi disordini (Adversus Hæreses, L. I, vol. 2, heres. 25. – Patr. Gr. T. 41, col. 322). Questa seconda versione era molto più diffusa della prima; se giudichiamo dall’autorità di San Tommaso, possiamo dire che essa ha prevalso nella tradizione. (Contra gentes, c. 24) « Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese ». Questa formula, che sarà ripetuta alla fine di ogni lettera, ricorda quella che Nostro Signore stesso usava quando predicava: Chi ha orecchio, ascolti (Mt. XIII, 9). Notiamo che ogni volta lo Spirito si rivolgerà alle Chiese, e non alla Chiesa di Efeso, o alla Chiesa di Sardi, ecc., per mostrare la portata generale dei suoi avvertimenti, che interessano tutti i Cristiani. – « Al vincitore, cioè a colui che saprà trionfare sulle tentazioni del demonio, sulle sollecitazioni del mondo, sulle proprie passioni: Darò da mangiare dall’albero della vita, che è nel paradiso del mio Dio ». Quest’albero è Cristo stesso, che fu emendato duramente e potato nelle sofferenze che precedettero la sua morte, ma che portò un magnifico rigoglio dopo la sua risurrezione. Il suo frutto ci è dato nel sacramento dell’Eucaristia. Cresce solo nel paradiso del mio Dio, cioè nella santa Chiesa, al di fuori della quale non c’è cibo sostanziale, non c’è vita per l’anima. Il nostro Signore dice: del mio Dio, perché parla come un uomo. Vuole mostrare l’ardente amore che la sua Santissima Umanità porta a Dio, insieme alla perfetta obbedienza che gli mostra. Queste parole ci fanno sentire che dobbiamo prepararci a ricevere la Santa Eucaristia con una vita pura. Anche se tutti i Cristiani possono avvicinarsi alla Santa Tavola, Nostro Signore dà questo frutto di vita solo a coloro che sanno superare se stessi. Notiamo, inoltre, che non dice: questo frutto, ma … di questo frutto, per indicare che la partecipazione di ciascuno alla grazia di questo sacramento sarà maggiore o minore, secondo le sue disposizioni. Questa prima lettera ha lo scopo di ispirarci soprattutto, come detto, lo spirito di timore. Per non aver dato ascolto a questo spirito, Adamo ed Eva erano stati cacciati dal paradiso terrestre e condannati a morte; coloro che saranno docili alle sue sollecitazioni meriteranno di ricevere il frutto del nuovo Eden e, in esso, il valore della vita eterna.

§ 2 – Lettera alla Chiesa di Smirne.

« E all’angelo della Chiesa di Smirne, scrivi. » Ora è lo spirito di pietà a parlare. Poiché si rivolge ad una Chiesa già coinvolta nella persecuzione e che il sangue dei martiri arrosserà; non gli fa alcun rimprovero, mostrandoci così come noi stessi dobbiamo comportarci nei confronti di coloro che soffrono; al contrario, la esorta con dolcezza ed indulgenza; e per darle coraggio, inizia offrendole l’esempio del Salvatore: « Questo è ciò che dice il primo e l’ultimo, colui che è morto e colui che è vivo morti. » Il primo, perché è il Figlio di Dio, il più bello dei figli degli uomini; e l’ultimo, perché è stato ridotto all’ultimo grado dell’angoscia e del disprezzo.  Egli è passato attraverso la morte per mostrarci la via; ma è risorto e ora vive una vita che non avrà fine; e quelli che lo seguono nella morte lo seguiranno nella vita. « Conosco le tue prove, e non ignoro nulla di quello che devi soffrire. E se non lo impedisco, è per il tuo bene; perché ti ricompenserò più tardi. Conosco la povertà alla quale ti sei ridotto volontariamente, distribuendo ai poveri, per amore mio, tutto quello che avevi. Ma sta tranquillo: ci sono ben altri beni che l’oro e l’argento, e se ti mancano questi, sappi che sei ricco di beni spirituali, ricco di virtù, ricco di meriti, ricco di cielo. So che sei calunniato, come io stesso sono stato calunniato da coloro che si dicono Giudei. Essi mi rimproveravano di non rispettare il sabato, di essere un agente di Belzebù, un posseduto dai demoni. Essi, al contrario, si lusingano di mantenere la fede alla lettera; si definiscono il popolo santo, il popolo di Dio, si vantano di essere gli autentici figli di Abramo: ma si sbagliano. Se, secondo la carne, essi discendono effettivamente dai Patriarchi, hanno perso completamente lo spirito di questi santi personaggi; non sono più il mio popolo, sono solo un’accozzaglia, una sinagoga che esegue la volontà di satana. Non cedere alla paura, non temere nessuna delle prove che dovrai attraversare, non paventare la povertà, gli insulti, le sofferenze, le tentazioni. Io so in anticipo che tutto questo deve venire, e lo permetto per il tuo bene. Tra non molto il diavolo farà mettere alcuni di voi in prigione dai suoi adepti, affinché siate messi alla prova, affinché abbiate l’opportunità di mostrare la vostra pazienza, e perché siate purificati dalla ruggine dei vostri peccati. Voi sarete perseguitati per dieci giorni, cioè: limitata e di breve durata (Per la maggior parte dei commentatori antichi, il numero dieci è qui un’allusione al Decalogo, e i dieci giorni rappresentano tutto il tempo che l’uomo vive sotto il suo giogo, cioè tutta la vita presente). Sii fedele fino alla morte, resta attaccato al tuo Dio come una moglie a suo marito, come un soldato al suo capo, come l’amico al suo amico; non abbandonarmi lungo il cammino, non lasciare la mano che ti tiene, e riceverai la corona della vita, cioè il possesso di Me stesso, nella beatitudine essenziale (Cf. Isaia, XXVIII, 5). – Chi ha orecchio, ascolti, non quello che dice il diavolo, non quello che dicono la carne, né il mondo, i tre che ci invitano al rilassamento; ma quello che lo Spirito dice alle chiese, esortandole a combattere: chi vince i tre nemici di cui abbiamo appena parlato, non subirà la seconda morte. Chi saprà accettare per il suo Maestro la prima morte, cioè la separazione dell’anima e del corpo, alla quale ogni uomo è condannato dal peccato di Adamo, sfuggirà alla seconda, la separazione definitiva dell’anima da Dio, cioè la dannazione. »

§ 3 – Lettera alla Chiesa di Pergamo.

E all’Angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice Colui che ha la spada a due taglienti. Ecco lo spirito della scienza che parla: rivolgendosi ad una città particolarmente infestata dall’idolatria, una Chiesa minacciata da molteplici e perfide eresie, Egli predica sopra ogni cosa la virtù della discrezione, che insegna come riconoscere e mantenere la vera dottrina in mezzo agli errori. Si illumina con l’insegnamento di Cristo che penetra, ci dice San Paolo, fino alla divisione dell’anima e dello spirito (Hebr. IV, 12), evocata qui da una spada che esce dalla bocca dell’apparizione (Cfr. supra I, 16). Distingue, sotto le apparenze di cui si avvolgono l’amor proprio e le passioni, ciò che nei nostri desideri, nelle nostre intenzioni, nelle nostre imprese, è la parte dell’uomo animale e la parte dell’uomo spirituale. Perché il primo eccelle nel mascherarsi ed essere preso per il secondo. « Io so dove abiti: la tua dimora è tra i malvagi, dove è più difficile e più meritevole mantenere la giustizia che tra i buoni; in una città così malvagia che può essere chiamata il trono di satana. » – [È infatti a Pergamo, scrive il P. Allô, che fu eretto il primo tempio del culto imperiale provinciale, già nel 29 a.C.; un secondo ed un terzo [vi] furono consacrati in onore di Traiano e Settimio-Severo. Le quattro grandi divinità poliadiche erano Zeus Soter, Atena, Niceforo, Asklepios Soter e Dioniso Kathegemon. Il pellegrinaggio dei malati al santuario di Asklepiade, dove si praticava l’incubazione e si credevano miracolose le guarigioni, i misteri di Dyonisio con la confraternita dei Boûxoloi, soprattutto il colossale altare a cielo aperto di Zeus con la sua Gigantomachia, un grandioso fregio dove i greci avevano eternizzato il glorioso ricordo della loro resistenza all’invasione celtica del III secolo… tutto questo gli assicurava un incomparabile splendore religioso. Questi vari culti erano alleati e più o meno fusi insieme, e si armonizzavano molto bene con quello dei Cesari. Il sacerdote di Zeus Soter era anche un sacerdote del “divino Augusto”. Dioniso-toro fraternizzava con Asklepios-serpente… E tutto questo fece di Pergamo il trono di satana, poiché in nessun luogo il paganesimo mostrò la sua forza con più orgoglio (Apoc. di San Giovanni, Exc. VI, P. 30.)]. – « Tuttavia – continua San Giovanni – nonostante questo, tu esalti il mio nome, ti dimostri degno del tuo titolo di Cristiano, e la paura non ti ha fatto rinnegare la fede che mi hai dato. Siete rimasti fedeli a Me anche quando infuriava la persecuzione, anche quando Antipa fu martirizzato in mezzo a voi, in questo regno di satana, per aver testimoniato il Mio Nome ». La tradizione riferisce che Antipas fu il predecessore del destinatario di questa lettera alla sede di Pergamo, e che fu bruciato in un toro di bronzo, durante il regno di Domiziano. (R. P. Allô, op. cit., p. CCIX, nota.).  – « Ma ho alcune mancanze da rimproverarvi: perché ci sono in voi alcuni che conservano la dottrina di Balaam, che insegnò a Balac a mandare davanti ai figli d’Israele occasioni di caduta – cioè: donne di vita malvagia, – per indurli al peccato, per incitarli a mangiare carne consacrata agli idoli, e per far loro rendere ai falsi dei un onore adulterino. » – Balaam era un indovino che viveva sulle rive dell’Eufrate al tempo dell’Esodo. Quando Balac, re dei Moabiti, vide avanzare verso il suo paese, sulla via della Terra Promessa, il popolo ebreo che aveva appena schiacciato successivamente l’armata degli Amorrei e quella del re di Bashan, gli ordinò di avvicinarsi e lo pregò di invocare la maledizione del cielo su questo nemico che nulla sembrava poter fermare. Balaam, dopo molte esitazioni, perché non ignorava che Dio fosse con Israele, cominciò ad obbedirgli; ma, per permesso divino, le sue labbra potevano solo pronunciare parole di benedizione invece delle maledizioni che avrebbe voluto pronunciare. – Il libro dei Numeri, che riporta questa storia, (XXII, XXIV) non parla esplicitamente della doppiezza a cui allude l’Apocalisse. Ma si può facilmente indovinare sotto il resto della storia. Desideroso di compiacere Balac e di assecondare i suoi disegni, malgrado il miracolo con cui Dio gli aveva appena notificato la sua volontà, Balaam consigliò a questo principe di inviare agli ebrei, di cui conosceva gli istinti passionali, delle donne armate di tutti i loro mezzi di seduzione. Queste donne riuscirono a conquistare il cuore dei figli d’Israele; li condussero alle loro feste religiose, fecero loro mangiare carne consacrata agli idoli, e li iniziarono persino al culto di Beelphegor, il più turpe di tutti gli dei (XXV, I, 3). S, Gregorio ci riporta nei suoi Dialoghi un episodio simile. Il diacono Florenzio era violentemente geloso di San Benedetto, e cercò di avvelenarlo. Non essendoci riuscito, decise almeno di perdere le anime dei suoi discepoli. « Allora mandò nel giardino del monastero sette fanciulle nude che, tenendosi per mano e danzando a lungo davanti ai loro occhi, dovevano accendere nelle loro anime la perversione del piacere. ». – I sostenitori della dottrina di Balaam di cui Nostro Signore parla qui sono da identificare con i Nicolaiti. « Tu hai dunque anche nella loro persona, come il Vescovo di Efeso, dei sostenitori dell’eresia di Nicolas, cioè persone che si permettono le più grandi libertà, sia per quanto riguarda la partecipazione ai sacrifici pagani che nelle loro relazioni con l’altro sesso. Te lo dico come a lui: fate penitenza. Altrimenti verrò da te all’improvviso e farò sentire a te e al tuo popolo tutto il peso della mia ira. Combatterò contro questi eretici con la spada della mia parola, cioè li convincerò del peccato, ridurrò a nulla i loro propositi, anche con le parole penetranti, irresistibili come una spada. Io li punirò come un tempo ho punito Balaam e i Madianiti; tutti gli uomini furono messi a fil di spada, compreso questo falso profeta, le città e villaggi furono dati al fuoco, le donne ed i bambini furono condotti in schiavitù (Num., XXI, 7 e seguenti).mMa se, al contrario, saprai correggerti, ti mostrerò la mitezza della mia misericordia. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: A colui che sa trionfare sulle perfide sollecitazioni della setta di Nicolas, darò la manna nascosta e gli darò una pietruzza bianca. E riceverà il pane di vita, il Cristo velato sotto le specie sacramentali, una volta rappresentato dalla manna; e avrà in sé le primizie della vita futura, quando gusterà le dolcezze segrete, quelle ineffabili delizie di cui il Signore rende partecipi solo i suoi amici prediletti. E per aver conservato il suo corpo puro dal peccato della carne, gli darò, nel giorno della risurrezione, una pietra bianca, cioè un corpo scintillante ed impassibile. ». Il corpo glorioso che sarà quello degli eletti è paragonato qui ad una pietra, perché la corruzione e la sofferenza non avranno più alcuna presa su di esso; a una pietra bianca, o meglio ancora, a una pietra scintillante (candidum), a causa dello splendore luminoso di cui sarà dotato. E su questa pietra è scritto un nome nuovo, che nessuno conosce tranne colui che lo riceve. Questo nuovo nome designa la nuova personalità che gli eletti godranno dopo la risurrezione. Infatti, in questo stato glorioso, la carne non congiurerà più contro lo spirito, la lussuria sarà completamente placata, l’uomo non sarà più soggetto all’ira, né ad alcuna passione, né ad alcun disordine: il corpo sarà perfettamente sottomesso all’anima, e tutto l’essere vivrà in un sentimento di pace, d’armonia ed equilibrio impossibile da descrivere. Per questo l’autore aggiunge che nessuno conosce questo nome se non colui che lo riceverà, perché, come dice San Paolo, ciò che occhio d’uomo non ha visto, il suo orecchio non ha sentito, il suo cuore non ha immaginato ciò che Dio ha in serbo per coloro che ama. Nessuno può avere un’idea di questa felicità se non chi l’ha già assaggiata.

§ 4 Lettera alla Chiesa di Thyatira,

E scrivi all’Angelo della Chiesa di Thyatira. È lo spirito di fortezza che parlerà ora per riprendere un Vescovo, colpevole di aver mancato di energia nella pratica della correzione fraterna. Quest’opera di carità spirituale è infatti uno dei primi doveri dei prelati verso il loro gregge, e la loro negligenza in questo compito è per le loro chiese la fonte dei mali più gravi: la Scrittura ce lo mostra con l’esempio di Eli, il sommo sacerdote di Shiloh, che, per non aver saputo reprimere la cattiva condotta dei suoi figli, vide l’ira di Dio cadere con estremo rigore sulla sua famiglia e su tutto il popolo (cf. I Reg., II-IV). « Scrivi dunque all’Angelo della Chiesa di Thyatira: Queste cose dice il Figlio di Dio, Egli che ha gli occhi simili ad una fiamma di fuoco, perché il suo Cuore è divorato da uno zelo ardente, perché lo sguardo dei suoi occhi penetra i segreti più profondi: illumina le intelligenze ed infiamma le volontà che si lasciano toccare da Lui. E i suoi piedi assomigliano al bronzo dorato: pronti per tutti i percorsi, per tutte le fatiche per salvare le anime, hanno allo stesso tempo la brillantezza dell’oro per la carità che li sospinge, e la resistenza del bronzo per la loro sopportazione. Conosco le tue opere, la tua fede e la tua carità; conosco lo zelo che effondi nel tuo ministero e la pazienza che dimostri in esso; io non ignoro che le tue opere sono più numerose oggi di quanto lo fossero in passato. Ti hai fatto progressi, la cosa è evidente, ma questo non mi impedisce di avere qualche rimostranza contro di te: mentre ti dedichi alla tua santificazione, trascuri i tuoi doveri di pastore. Tu permetti ad una donna, questa Jezebel, che si fa chiamare profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi. Ella insegna loro a commettere adulterio e a mangiare carne consacrata agli idoli, come fanno i Nicolaiti. E tu la lasci fare, invece di armarti contro di lei con lo zelo e la santa indignazione del profeta Elia! » – Cos’era quella Jezebel? È una personalità concreta o è solo una figura simbolica? Alcuni commentatori sostengono che il rimprovero era diretto alla moglie del vescovo di Thyatira, che in realtà si chiamava Jezebel, e la loro testimonianza è corroborata dal fatto che diverse versioni dicono, invece di “ad una donna”, “la tua donna”, cioè tua moglie. Altri vogliono vedere in lei qualche profetessa, qualche donna Nicolaïta che si ispiraba ad un personaggio ispirato, per rivaleggiare con la Sibilla di un tempio clialdeo eretto in città, il Samba-theion. È più probabile che il nome abbia qui un valore simbolico: evoca il ricordo della moglie del re Achab, una delle donne più criminali della storia dell’umanità. È lei che introdusse il culto di Baal tra i Giudei; fece uccidere Naboth perché non voleva cedere la sua casa; ingaggiò un’aspra lotta contro Elia ed i servi del vero Dio, durante la quale ne massacrò un gran numero (III Reg, XVIII, 4; XIX, 2; XXI, 5 e seguenti). In quest’ultima veste, è la figura degli eretici, che introducono l’errore tra i fedeli, per sedurli e scatenare le loro passioni contro la Chiesa. – In senso morale, Jezebel rappresenta la mollezza sensuale che si insinua tra i Cristiani come risultato della mancanza di vigilanza e di fermezza dei loro pastori. Si definisce una profetessa, perché pretende di saperne di più su Dio dei maestri di teologia. Dice, per esempio, che Dio è troppo buono per dannare qualcuno e che non c’è fuoco all’inferno; che il digiuno è una pratica obsoleta e la vita di clausura un detestabile egoismo. « Gli ho dato il tempo di fare penitenza – continua il Salvatore – perché non voglio che il peccatore muoia; al contrario, voglio che si converta e viva; ma ella non vuole rinunciare alla sua dissolutezza. » – L’espressione: non vult, non vuole, deve essere sottolineata. Segna l’ostinazione della volontà umana, che rifiuta di inchinarsi di fronte alla volontà divina e rende inefficaci tutti i suoi sforzi. “Ecco, io sto per ridurla nel suo letto, cioè: colpirla con una malattia grave, che la porterà all’inferno. Lì troverà il luogo del suo riposo, perché lì non avrà più i mezzi per scuotere il mondo: lì incontrerà lo sposo che ha liberamente scelto per la sua anima, il principe delle tenebre. E tutti coloro che partecipano ai suoi disordini, se non fanno penitenza per le loro azioni malvagie, saranno precipitati giù con lei nella peggiore delle tribolazioni, cioè nell’inferno. Ed Io distruggerò i suoi figli, intendete: quelli che lei ha generato, con i suoi esempi ad una vita di lascivia e di empietà; e li piomberò con lei alla morte eterna, come ho distrutto i figli della vera Jezebel al seguito della madre per mano di Jehu. (IV Reg., X 7). Questo esempio servirà da lezione alle varie chiese: tutti sapranno che io sono Colui che è, e che scruta i reni ed i cuori. Non mi accontento di segni esteriori di penitenza; non ho accettato il pentimento di Achab né quello di Giuda, perché questi empi, nel manifestarlo, obbedivano solo a motivi puramente umani; ma ho spalancato le braccia a Davide, quando ho visto il suo profondo dolore per avermi offeso; perché in tutto ciò che gli uomini fanno, è alla loro intenzione che Io guardo. Darò a ciascuno di voi secondo le sue opere: non lascerò nessuna azione meritoria senza ricompensa, nessuna colpa senza punizione. Perciò, miei fedeli, non temete. Io vi dico a voi, a voi e a tutti i membri della Chiesa di Thyatira che sono rimasti fedeli alla fede: Tutti coloro che non sono stati sviati dall’empia dottrina di questa donna, ma che mi sono rimasti fedeli, come i settemila che rifiutarono di piegare il ginocchio davanti a Baal e di cui rivelai l’esistenza a Elia (II Reg., XX, 18).Tutti coloro che non hanno conosciuto i misteri di satana, che essi chiamano loro abominazioni; Io non metterò nessun altro peso sulle loro teste, non imporrò loro il giogo delle osservanze legali, non esigerò da loro nessuna pratica supplementare, come pretendono questi eretici. Vi chiedo solo di essere fedeli ai precetti del Vangelo che voi conoscete. Quelli almeno, conservateli fedelmente, finché non verrò a ricompensare ciascuno secondo i suoi meriti. Colui che saprà vincere le sue passioni e praticare fino alla fine le virtù che mi sono gradite, come la carità, la povertà, la dolcezza, l’umiltà, ecc. gli darò potere sulle nazioni. » Perché Dio assicura ai suoi servi, anche qui sulla terra, una grande autorità sui loro simili, perché chi è capace di autocontrollo può governare a buon diritto anche gli altri. « Essi giudicheranno gli uomini con una regola di ferro », non nel senso che la loro giustizia sarà esercitata in modo spietato e brutale, ma perché né le simpatie né le antipatie, né alcuna influenza o pressione potranno farli deviare dalla loro rettitudine. E li frantumeranno come il vaso del vasaio: avranno una grazia meravigliosa nel toccare i cuori dei loro ascoltatori e trasformarli in uomini nuovi, proprio come il vasaio cambia la forma del blocco di argilla che tiene tra le sue mani a suo piacimento. E coloro che non vorranno ascoltarli saranno frantumati in un altro modo: porteranno all’inferno i cocci del loro essere, privati per sempre della loro unità. Il loro potere sarà come quello che Io, come uomo, ho ricevuto dal Padre mio. E io darò loro come ricompensa, la stella del mattino. » Quest’ultima figura si riferisce essenzialmente a Cristo. È Lui che è la prima ricompensa di tutti gli eletti; è Lui che il frutto dell’albero della vita e la manna nascosta già evocavano misticamente poc’anzi; è Lui che ora è chiamato la stella del mattino. Questo astro, infatti, quando appare nel cielo, annuncia l’alba: allo stesso modo Cristo, sorgendo all’alba, ha annunciato al mondo il grande giorno dell’immortalità, che cominciava con Lui e che non avrà fine. Per la Sua Santissima Umanità, i corpi di tutti gli eletti, divenuti puri e radiosi come stelle, andranno ad illuminare il cielo con il loro splendore. – La stella del mattino designa anche la Santissima Vergine, come mostrano le sue Litanie, e questo per molte ragioni: perché la sua apparizione sulla terra pose fine alla notte del peccato; perché il suo corpo risorto partecipa in modo molto speciale allo splendore della Santissima Umanità del Figlio; perché Ella fu radiosa, serena e pura fin dal principio della sua esistenza: comparati a Lei, gli altri Santi sono stelle della sera: si sono liberati delle ombre del peccato solo con sforzi laboriosi, e hanno brillato di uno splendore assolutamente puro solo alla fine della loro esistenza: la Santissima Vergine, invece, preservata dal peccato originale, piena di grazia nel suo stesso concepimento, ha brillato, fin dal mattino della sua vita, di uno splendore incomparabile. – Inoltre, promettendo di dare ai suoi fedeli la stella del mattino, Nostro Signore vuole far capire che concederà loro la luce interiore della contemplazione, e quindi li eleverà ad un modo di conoscenza trascendente. Questo è anche ciò che San Pietro intende quando ci invita ad aspettare che i vespri del mattino appaiano nei nostri cuori (I Piet. II, 19). Questa conoscenza è detta mattutina, perché è precedente ad ogni studio, in opposizione alla conoscenza ordinaria, che si acquisisce attraverso il lavoro, e che costituisce la luce della sera. – Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (3)

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (1)

Le sens mystique de l’Apocalypse

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (1)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat: Elie Maire Can. Cens. ex. off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: A. LECLERC. – Lutetiæ Parisiorum die II nov. 1947

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

PREFAZIONE

La presente opera non è un trattato di esegesi, almeno nel senso in cui la parola è intesa oggi: lo diciamo espressamente affinché i maestri della scienza biblica non si aspettino di trovarvi alcuna nuova luce, se per caso cadesse nelle loro mani. La sua ambizione molto più modesta si limita a cercare di essere un libro di lettura spirituale. Si rivolge non ai dotti ma alla gente semplice, e si propone, seguendo il filo del racconto di San Giovanni, di parlare loro di Dio, di Gesù Cristo Nostro Signore, delle lotte che la Chiesa militante – e ciascuno di noi con lei – deve sostenere per entrare un giorno nella gloria della Chiesa trionfante. – Inoltre, l’esegesi dell’Apocalisse è stata fatta con un’autorità e una competenza che sfidano tutte le pretese della critica contemporanea; il commento del compianto P. Allô, quello del R. P. Ferret, per non citare che i migliori tra tanti altri, lasciano poche cose da considerare. Tuttavia, se il significato letterale è stato perfezionato da loro; se il significato figurativo è stato studiato con metodo, d’altra parte, il significato spirituale o mistico propriamente detto, è stato generalmente lasciato nell’ombra. Cosa c’è di così sorprendente? – Il senso mistico ha uno svantaggio singolare nel nostro XX secolo, tra gli esegeti di professione.  Origene si lamentava già della guerra che coloro che ascoltano solo la lettera della Scrittura stavano conducendo contro le sue esposizioni allegoriche. Oggi, però, l’ostracismo che lo ha colpito ha raggiunto il suo apice. Senza dubbio nessuno osa negare formalmente la sua esistenza, poiché la teologia lo insegna, ma è trattato più come un parente povero: come un minus habens. L’interpretazione spirituale dei nomi ebraici, dei numeri, dei fatti storici è stata riposta nella soffitta della scienza biblica, come un mucchio di paccottiglia fuori moda. Mai, nei Commentari che si pubblicano oggi, sia sull’Antico che sul Nuovo Testamento, un autore si azzarderebbe a introdurlo nella trama delle sue discussioni, a invocarlo per giustificare un passaggio la cui spiegazione letterale si rivela impossibile, infantile o assurda. Si amerà meglio fare al testo tutte le violenze immaginabili, piuttosto che riconoscere, secondo l’insegnamento unanime e costante dei Padri, che questa oscurità è intenzionale, voluta da Dio, proprio per costringere il lettore a passare dal piano della lettera al piano superiore dello spirito. E se, per ravvivare con un po’ di vita, un po’ di calore, un po’ di luce, l’arida monotonia delle esposizioni critiche, si fa una discreta allusione alle realtà che appartengono all’ambito mistico, lo si relega alle “applicazioni messianiche”, agli “usi liturgici”, o a un piccolo “bouquet spirituale” che arriva in forma di conclusione, ma che non ha nulla a che vedere con la spiegazione seria e scientifica del brano studiato. Tuttavia, forse mai il mondo è stato più assetato di misticismo come ai nostri tempi. Indubbiamente nessuna parola è più pericolosa di questa, nessuna parola è più fertile di aberrazioni ed errori di ogni tipo, e la diffidenza della Chiesa nei suoi confronti è fin troppo comprensibile. Ma la realtà che rappresenta non è meno una delle prerogative più nobili dell’uomo. L’uomo è stato definito: un animale religioso. Non basta dire questo, se la religione è intesa come un semplice ritualismo, o un codice morale. Bisogna andare oltre e dire allora che l’uomo è un animale mistico: aspira a fuggire dalla realtà terrena di cui è prigioniero, verso un mondo soprasensibile, verso l’infinito, lui che è della razza degli Angeli, lui che è fatto a immagine di Dio, e che può trovare il suo equilibrio, il suo riposo, la sua felicità solo nella conoscenza e nel possesso di Dio. È questo bisogno di fuga, questo desiderio di estasi, che è alla base di tutti i mistici. L’intensità di questo bisogno è decuplicata oggi, come la forza di un gas troppo compresso, dall’oppressione che il materialismo ed il positivismo hanno portato su di esso; dalla pretesa formulazione della scienza del XIX secolo, nel nome dei suoi progressi, di sottomettere interamente lo spirito umano alla sua tutela, di risolvere da sola tutti i problemi che lo preoccupano, di chiudere tutti gli orizzonti che non sia in grado di controllare. È a questa irresistibile fame di l’aldilà che dobbiamo attribuire l’attuale rinascita delle scienze occulte, la moda della spiritualità orientale in Occidente, il successo di movimenti come quello di Rama-Krishna, la simpatia dimostrata anche da sinceri cristiani per le pratiche dello Yoga, come se non ci fosse, nel Cattolicesimo, una dottrina della contemplazione superiore a tutte le altre! – Perché a questo bisogno di fuggire, o più esattamente di ascendere ad un mondo superiore, quale cibo più sano, quale guida più sicura può esserci data che la Sacra Scrittura, la Parola di Dio, la pura Verità che scaturisce dalle profondità stesse della Santissima Trinità? Non è senza motivo che i maestri di spiritualità del Medioevo, come San Bernardo o Guiguo il Certosino, per esempio, hanno fatto della lettura, la lectio, il primo grado della contemplazione. E la lectio, per loro, era ovviamente la lettura della Sacra Scrittura, poiché la Bibbia era allora il Libro per eccellenza, quello che si rileggeva e meditava senza mai stancarsene. Il significato mistico che vi è avvolto nel senso letterale, ha proprio come scopo, sulla testimonianza di San Tommaso, di farci conoscere “le cose invisibili per mezzo delle cose visibili” (Quodlibet VII, qu. VI, art. 16, in corp.). Sotto il velo dei racconti storici, delle visioni, delle parabole e degli insegnamenti di ogni genere in essa contenuti, ci rivela, per un lato, il fine verso cui camminiamo, quella meravigliosa Città che l’occhio dell’uomo non ha visto, che il suo cuore non può immaginare e che tuttavia dovrà essere un giorno la sua dimora, se saprà rendersene degno; è questa Città che è oggetto del significato detto: anagogico. D’altra parte, ce ne insinua i mezzi con i quali si va a questo fine, e che sono essenzialmente due: uno riguardante l’intelligenza, l’altro la volontà. Queste due facoltà maestre, infatti, hanno ciascuna il proprio sforzo da compiere per assicurare la salvezza dell’uomo ed il suo progresso spirituale: La prima deve essere nutrita dalla fede, dalla vera fede in Gesù Cristo e nella sua Chiesa, e a questo proposito trova un nutrimento di qualità eccezionale nel cosiddetto senso tipico, o allegorico, o messianico, che nasconde sotto le narrazioni e le figure della Scrittura numerose allusioni alla vita del Salvatore, alla sua morte e ai misteri della Redenzione. La volontà, da parte sua, riceve in senso morale, o tropologico, insegnamenti sulla disciplina che deve imporsi e sulle lotte che deve sostenere. – La combinazione degli elementi che abbiamo appena nominato: anagogico, tipico e morale, e sui quali non è il caso di insistere ulteriormente in questa sede, costituisce propriamente quello che si chiama il senso mistico della Scrittura, che non ha nulla a che vedere con le pie divagazioni o le sottili immaginazioni con le quali si pretende di assimilarla. Non è stato inventato né da Origene, né da Sant’Agostino, né da nessuno dei Padri latini e greci. Ha un valore oggettivo assoluto: è stato “voluto e ordinato da Dio stesso”, secondo le recenti parole di Sua Santità. Pio XII. È lo Spirito Santo che ne è l’autore, è Lui che l’ha racchiuso nei Libri Santi sotto le figure del senso letterale. Lungi dall’indebolire il suo valore, lo illumina e lo ravviva. Esso gli si unisce armoniosamente come l’anima al corpo, per fare della Scrittura una parola viva: ma è Lui che ne è l’anima, è Lui che dà alla Bibbia il suo carattere unico e trascendente. La sua inesauribile ricchezza, le sue infinite ramificazioni ne fanno una miniera dove l’uomo che medita e prega, trova costantemente nuovo nutrimento per mantenere la sua intimità con Dio, nuove luci per guidare i suoi passi nelle tenebre del mondo presente. Tutti i Padri della Chiesa, senza eccezione, i Dottori, i Maestri di vita spirituale, i Santi di ogni secolo ne hanno attinto a piene mani, nello stesso tempo in cui l’hanno arricchita con le loro proprie scoperte. – Tutta la Tradizione cattolica, sancita dagli insegnamenti dei Sommi Pontefici – senza eccettuarne l’Enciclica Divino Afflante, alcuni dei quali, però, sarebbero un’arma contro di essa – ha affermato la sua esistenza e sottolineato il suo valore. È grazie ad esso che il Cristianesimo possiede la mistica più trascendente, la più luminosa… la più deliziosa che si possa immaginare, e l’unica vera. Per averne la certezza, basta aprire qualsiasi trattato di qualunque Maestro su questo argomento: San Bernardo, Ugo o Riccardo di San Vittore, San Tommaso o San Bona-venture, Dionigi il Certosino o San Giovanni della Croce, Santa Gertrude o Santa Teresa: vedremo sempre le loro affermazioni costellate di pietre preziose, cioè sostenute, corroborate, illustrate, da testi della Scrittura. E dalla presenza di questi vediamo una tale luce, una tale forza, un tale splendore, una tale certezza di verità, che, quando li confrontiamo, le altre spiritualità vedono subito svanire la loro brillantezza come lanterne alla luce del sole. Lungi da noi, naturalmente, minimizzare l’immenso servizio alla Chiesa di coloro che lavorano per stabilire il testo autentico e per chiarire il significato letterale dei Libri Santi, soprattutto dopo la magnifica testimonianza data loro da Papa Pio XII nell’Enciclica Divino Afflante. – Il senso mistico stesso non può che guadagnare dal loro lavoro, e nuove strade vengono indubbiamente aperte loro dal progresso della scienza biblica, specialmente dalla conoscenza più profonda delle lingue orientali. Ma infine, bisogna capire che accanto agli specialisti che si appassionano alle questioni esegetiche; accanto agli apologeti che hanno bisogno di una base inattaccabile per rispondere agli avversari della fede, c’è una massa immensa di fedeli che non ha difficoltà ad accettare il testo sacro, così come la Chiesa glielo dà nella sua liturgia; che si stancano presto di osservazioni filologiche, confronti di varianti, allusioni alla storia ed alla morale ebraica, e saggi sulla poesia ebraica, ai mezzi con i quali, quasi esclusivamente, si pretende oggi di commentarli; e domandano che l’intelligenza profonda, la spiegazione spirituale sia data loro, in funzione dei misteri della religione cristiana. In prima linea tra i fedeli ci sono i religiosi appartenenti ai cosiddetti ordini contemplativi, che sono votati, per così dire, per stato alla vita mistica, ma che, tuttavia, possono solo con difficoltà avvicinarsi alle opere antiche stesse, dove è esposto il significato spirituale della Scrittura. È per loro, innanzitutto, ma anche per tutti i Cristiani desiderosi di sentir parlare di Dio, che desiderano fuggire dall’atmosfera pesante del mondo attuale, immergersi ogni giorno, almeno per qualche momento, nel pieno soprannaturale, che abbiamo scritto quest’opera. – Avremmo potuto, è vero, limitarci a fare una catena di spiegazioni prese alla lettera dai Padri e dai Dottori, ma, da un lato, le menti moderne non sono sempre in grado di afferrare il pensiero degli Antichi in queste materie, senza una preparazione preliminare, perché il clima intellettuale e spirituale in cui viviamo è troppo diverso da quello delle epoche della fede. D’altra parte, lo studio del significato mistico della Scrittura è, come tutte le parti della teologia, se non nella sua essenza, nella sua formulazione ed applicazione. Esso beneficia del lavoro di esegesi letterale, e noi stessi abbiamo raccolto molti chiarimenti e precisazioni nei commentari moderni. Ma è soprattutto agli Antichi, a coloro che sono i depositari autentici e qualificati del significato mistico della Scrittura, che abbiamo chiesto il segreto del pensiero di San Giovanni, guardandoci bene da ogni interpretazione che si discostasse dalla linea da loro tracciata. Abbiamo preso come opera di base il trattato di Dionigi il Certosino sull’Apocalisse. Abbiamo completato e arricchito le sue spiegazioni con i commenti di Sant’Alberto Magno, Riccardo di San Vittore, Ruperto di Deutz, Walafrid Strabon, Tommaso d’Inghilterra. Non abbiamo ritenuto necessario caricare questo lavoro con un apparato di riferimenti, che sarebbe stato superfluo per lo scopo che ci siamo prefissi. Ma qui dichiariamo espressamente che la giustificazione di tutte le interpretazioni scritturali date in esso può essere trovata senza difficoltà in uno dei commenti elencati sopra. – Che questo modesto lavoro, nonostante le sue imperfezioni e mancanze, possa dare il suo contributo allo sforzo, già in corso vari modi, di ritornare ad un’interpretazione più spirituale, più gustosa della Scrittura, figlia di quella di cui si sono nutrite le epoche della fede! Possa aiutare soprattutto coloro che lo leggeranno a disegnare all’orizzonte dei loro pensieri, al di sopra del caos in cui si dibatte il mondo attuale, la visione radiosa della Città di Dio, che sola assicurerà all’uomo ciò che invano cerca quaggiù: la felicità totale, la felicità senza misture, nel possesso dell’Amore e della Pace eterni.

INTRODUZIONE

Per comprendere lo scopo generale dell’Apocalisse è necessario ricordare brevemente le circostanze in cui quest’opera fu composta. Quando, dopo l’Ascensione del Salvatore, gli Apostoli si sparsero per il mondo, San Giovanni ricevette in sorte l’Asia Minore, che evangelizzò dopo San Paolo. Lì stabilì sette sedi episcopali: Smirne, Pergamo, Tiatira, Filadelfia, Laodicea, Sardi, con Efeso come metropoli; e dopo averle nominate, si dedicò interamente al ministero della parola. Ma il successo della sua predicazione preoccupò le autorità romane, e intorno all’anno 95, fu arrestato per ordine di Domiziano, portato a Roma, processato e condannato ad essere gettato in una vasca di olio bollente. Subì questa tortura alla Porta Latina, e contro ogni aspettativa, lungi dal perdere la vita, ne uscì senza alcun danno, più sano e più indomito di quando n’era entrato. Impressionato da questo prodigio, temendo nell’apostolo qualche potere magico che potesse rivoltarsi contro di lui, l’imperatore non insistette: si contentò semplicemente di esiliare il santo in un’isola del Mar Egeo, a Pathmos. Anche se viveva lì in assoluta solitudine, San Giovanni fu tuttavia informato che gravi disordini si stavano diffondendo nelle sue Chiese a causa della negligenza di alcuni Vescovi. Mentre pensava a come ricordare ai Vescovi il loro dovere, Nostro Signore gli apparve e si degnò di dirgli Egli stesso ciò che doveva scrivere loro: fu questa rivelazione che l’apostolo ripeté sotto il nome di Apocalisse. – Il libro consiste in sette visioni successive, precedute da un Prologo e seguite da una Conclusione. – Il piano generale è comandato dalla Settima Visione, che descrive la Gerusalemme celeste. Questa descrizione finale non solo domina tutta l’Apocalisse, ma anche, si potrebbe dire, tutta l’intera somma della Scrittura, della quale ne è come il coronamento. Tutto l’insegnamento dei Libri Sacri tende infatti ad un solo oggetto: condurre l’uomo da questa terra ingrata, dove i primi capitoli della Genesi lo mostrano esiliato come punizione del suo peccato, alla sua vera patria, al luogo della sua felicità e del suo riposo, alla Città di Dio. Lo scopo dell’autore sacro è quello di ricordare ai Cristiani il termine sublime verso il quale essi stanno camminando, la magnifica ricompensa promessa loro. Ma allo stesso tempo, vuole ricordare loro quella verità costantemente dimenticata, che può essere raggiunta solo passando attraverso ogni tipo di prova. Il numero sette non è stato scelto a caso per i quadri dell’Apocalisse: ed è per questo che, contrariamente ai commentatori più recenti che pensano di poter adattare questo libro pieno di misteri secondo le proprie idee, i Dottori della Chiesa hanno sempre sottolineato che è un libro da ammirare. Questo numero, infatti, segna il parallelismo tra l’opera della creazione e quella della nostra rigenerazione: come Dio non si è riposato se non al settimo giorno, dopo aver completato l’opera della creazione, così la Chiesa in generale – o ogni anima umana in particolare – può sperare di entrare nel suo riposo definitivo, manifestato dalla VII Visione, se non dopo aver sopportato il lavorio della vita presente, simboleggiata dalle sei visioni precedenti, per compiere la sua rigenerazione. – L’opera inizia con un Prologo (I, 1-8) in cui San Giovanni annuncia prima la rivelazione di cui è stato appena oggetto, e poi, secondo l’usanza degli Apostoli, augura la grazia e la pace di Dio a coloro che la leggono. La Prima Visione, che segue, consiste nella Lettera alle Sette Chiese (I, 9 – III, 22). Il Santo si rivolge successivamente ai titolari delle sette sedi sopra elencate, gli avvertimenti, i rimproveri e gli incoraggiamenti di cui ognuno di loro ha bisogno. Ma, al di là dei loro semplici destinatari, le sue esortazioni contengono anche un’istruzione per tutti i fedeli. Il punto importante è: Vincenti dabo, (al vincitore darò) la promessa di ricompensa, rivolta a colui che saprà vincere. Questa formula è ripetuta sette volte, per farci capire che dobbiamo prima trionfare sui sette peccati capitali. Solo allora potremo gustare il dono di Dio; un dono ineffabile, che l’autore descrive con le espressioni più diverse: albero della vita, manna nascosta, pietra scintillante, stella del mattino, ecc… per indicarci la infinita varietà delle ricchezze che racchiude. Ma queste vittorie saranno evidentemente possibili solo se l’uomo avrà l’occasione di affrontare molte battaglie. Ecco perché ai Santi non mancano mai le persecuzioni, e queste assaliranno la Chiesa durante tutto il corso della sua storia. Questo è l’oggetto delle tre rivelazioni seguenti, II, III e IV. La II visione ci mostra innanzitutto che tutta la salvezza del mondo, che deve essere sviluppata fino alla fine dei tempi, si opera mediante il Cristo (cap. IV). Questo mistero è stato registrato in anticipo da Dio in un libro sigillato con sette sigilli, che nessuno ha potuto aprire o comprendere fino ad ora (cap. V). Ma ora che l’opera essenziale della Redenzione è stata consumata nella Passione del Salvatore, il libro è diventato intelligibile ed il segreto è rivelato a San Giovanni. L’Apostolo assiste alla successiva apertura dei sette sigilli: Il primo mostra lo stato della Chiesa alla sua origine; i tre successivi mostrano le persecuzioni che la colpiranno nel corso dei secoli; il quinto mostra la gloria di cui gioiscono, subito dopo la morte, coloro che sapranno sopportare questi tormenti senza fiaccarsi; il sesto mostra la persecuzione particolarmente formidabile che segnerà il regno dell’Anticristo; e il settimo mostra il riposo che la Chiesa sperimenterà durante i suoi ultimi giorni sulla terra, prima di entrare nella gloria eterna (cap. VI e VII). La terza visione (VII, 2 – XI, 18), riprende lo stesso tema sotto la figura di sette angeli che suonano la tromba. Questi rappresentano le generazioni di predicatori che, in ogni periodo della storia, sosterranno successivamente la Chiesa contro i suoi nemici e assicureranno così la sua vittoria sul mondo: come già i sacerdoti giudei suonarono la tromba nel passato, e così fecero crollare le mura di Gerico in sette giorni. – Il primo Angelo personifica gli Apostoli, che sostennero i primi attacchi, prima dei Giudei e poi dei Gentili; il secondo Angelo rappresenta i martiri, la cui voce fu più forte di quella dei padroni della terra e che trionfarono sul potere romano; il terzo, i Dottori dei primi secoli, la cui eloquenza infranse il potere delle grandi eresie cristologiche; il quarto, i predicatori delle età successive (cap. VIII); il quinto, coloro che dovranno combattere contro i precursori dell’Anticristo; il sesto, coloro che subiranno l’urto dell’Anticristo stesso, sostenuto dallo scatenamento di tutte le forze del male (cap. IX). La battaglia sarà così violenta che Cristo interverrà di persona, mettendo il suo piede destro sul mare e il suo piede sinistro sulla terra, per assistere il suo popolo (cap. X). In seguito, manderà loro Enoch ed Elia, e la vittoria ottenuta grazie a questo aiuto straordinario sarà così completa che il settimo Angelo, che rappresenta i predicatori degli ultimi giorni, dovrà solo annunciare l’instaurazione della pace definitiva (cap. XI). – La Quarta Visione (XI, 19 – XIV, 20) mostra la lotta tra la Città di Dio e la Città del Male, a partire dalle origini del mondo, dalla creazione degli Angeli, sotto forma di un duello tra una donna ed un drago. Quest’ultimo è sconfitto, cacciato dal cielo, gettato sulla terra. Ma egli non sopporta la sconfitta e continua a perseguire la donna quaggiù (cap. XII), incapace di vincerla da solo, solleva contro di lei una prima Bestia che sale dal mare, poi una seconda che sale dalla terra. Uno è l’Anticristo e l’altro è il suo collegio di corifei, che saranno padroni della terra per quarantadue mesi (cap. XIII). Ma ecco che l’Agnello appare sul monte Sion, scortato dai centoquarantaquattromila vergini che lo seguono ovunque vada. I suoi Angeli annunciano la rovina di Babilonia, la terribile punizione che attende i seguaci della Bestia e la ricompensa per coloro che rimangono fedeli a Dio. E la visione finisce con una figura del Giudizio Universale, dove i malvagi sono mandati nel grande sragno dell’ira di Dio (cap. XIV). – Dopo lo spettacolo delle lotte dalle quali la Chiesa – e con essa tutte le anime sante – saranno assalite, San Giovanni mostra nelle due visioni successive il castigo che attende i lassi, i tiepidi, i prevaricatori, tutti coloro che non avranno il coraggio di combattere e vincere, come lo richiedeva la lettera alle sette Chiese. La Quinta Visione (XV, 1 – XVII, 18) riprende il tema su cui si era conclusa la Quarta Visione, e presenta nuovamente i mali che attendono i seguaci dell’Anticristo, sotto forma di sette coppe contenenti le piaghe dell’ira di Dio (cap. XV). Successivamente, queste si riversano, ciascuna per il ministero di un Angelo, sulla terra, sul mare, sui fiumi e sulle sorgenti d’acqua, sul sole, sulla sede della Bestia, sul corso dell’Eufrate, e infine sull’aria, provocando ovunque immense devastazioni (cap. XVI). E la visione finisce con l’annuncio della condanna della grande prostituta, cioè di Babilonia, o la Città del Mondo, e la vittoria dell’Agnello (cap. XVII). – La sesta visione (XVIII, 1 – XX, 15), riprendendo la descrizione della rovina di Babilonia, descrive l’angoscia in cui saranno gettati tutti coloro che l’hanno scelta per loro parte (cap. XVIII). A questa notizia, gli eletti lasciano esplodere la loro gioia, perché vedono in essa il segno che l’ora è vicina per la restaurazione del regno di Dio e le nozze dell’Agnello. Ed ecco che il Figlio di Dio appare nello splendore della sua gloria, seguito dal suo esercito, per combattere la Bestia e i suoi seguaci; ed essi sono presi e gettati vivi nel lago di zolfo e fuoco (cap. XIX). Il demonio, tuttavia, non rinuncia alla lotta: in uno sforzo supremo, lancia Gog e Magog contro la Chiesa. Ma il fulmine distrugge l’immensa massa degli assalitori, e satana a sua volta viene gettato nel lago di fuoco, per esservi tormentato per sempre con la Bestia ed i suoi corifei. Poi è il giudizio supremo, la convocazione di tutti i morti davanti al tribunale di Dio, l’apertura delle coscienze, la condanna definitiva e inappellabile di tutti coloro che non sono iscritti nel libro della vita (cap. XX). – Ma l’Apocalisse non può finire con questi spettacoli terrificanti: la “fine” del mondo, nel senso filosofico della parola, non è Morte, rovina, sofferenza, Inferno; al contrario, è Pace, Gioia, Vita, Paradiso. Ecco perché la VII Visione, l’ultima dell’opera, ci mostra in termini di incomparabile bellezza, la gloria che attende la Sposa – cioè la Chiesa, o l’anima fedele – nel giorno delle sue nozze. L’autore descrive successivamente la meravigliosa Città, pavimentata d’oro e di cristallo, costruita con pietre preziose delle specie più rare, che sarà la dimora degli eletti (cap. XXI); il fiume di acqua viva e l’albero della vita con dodici fruttificazioni, che assicureranno loro eternamente sempre nuove delizie. Infine, l’opera si completa con una Conclusione, in cui San Giovanni attesta nel modo più solenne la verità di quanto ha appena scritto, e in un supremo impulso del suo cuore invoca la pronta venuta del suo amato Maestro (cap. XXII).

L’APOCALISSE di S. GIOVANNI APOSTOLO

PROLOGO

Cap. I, (1-8)

“Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far conoscere ai suoi servi le cose che debbono tosto accadere: ed egli mandò a significarla per mezzo del suo Angelo al suo servo Giovanni, il quale rendette testimonianza alla parola di Dio, e alla testimonianza di Gesti Cristo in tutto quello che vide. ‘Beato chi legge, e chi ascolta le parole di questa profezia: e serba le cose che in essa sono scritte: poiché il tempo è vicino. “Giovanni alle sette Chiese che sono nell’Asia. Grazia a voi, e pace da colui, che è, e che era, e che è per venire: e dai sette spiriti, che sono dinanzi al trono di lui : ‘e da Gesù Cristo, che è il testimone fedele, il primogenito di tra i morti, e il principe dei re della terra, il quale ci ha amati, e ci ha lavati dai nostri peccati col proprio sangue, e ci ha fatti regno, e sacerdoti a Dio suo Padre: a lui gloria, e impero pei secoli dei secoli : così sia. ‘Ecco che egli viene colle nubi, e ogni occhio lo vedrà, anche coloro che lo trafìssero. E si batteranno il petto a causa di lui tutte le tribù della terra: così è: Amen!  Io sono l’alfa e l’omega, il principio e il fine, dice il Signore Iddio, che è, e che era, e che è per venire, l’Onnipotente.”

La parola Apocalisse significa, in greco, rivelazione. Il libro che l’apostolo San Giovanni scrisse con questo titolo non è altro che il resoconto di una rivelazione particolarmente importante che gli fu fatta durante il suo esilio sull’isola di Patmos, e in circostanze che egli preciserà più tardi. L’ha intitolato: Apocalisse di Gesù Cristo. Con questo, vuole indicare che Gesù Cristo è sia l’autore che il soggetto di questa rivelazione. L’Apocalisse parla di Gesù Cristo, che essa mostra nelle sue funzioni di Giudice supremo e di Re dei re; e viene da Gesù Cristo, che ne ha sviluppato i quadri davanti al suo discepolo: San Giovanni lo dichiara, affinché si sappia che egli sta per parlare non di sua iniziativa, ma sotto l’ispirazione del Maestro divino, e che non è uno di quei falsi profeti, così frequenti tra i Giudei, che vi fanno rivelazioni e vi ingannano, diceva Geremia, perché parlano secondo il proprio cuore e non per bocca del Signore (XXIII. 16). Questa rivelazione l’ha ricevuta Gesù Cristo stesso – come del resto tutta la dottrina che ha predicato (Cfr. Jo, VIII 16: La mia dottrina non è la mia, ma quella di Colui che mi ha mandato) – da Suo Padre, con il mandato di farla conoscere, non a tutti gli uomini, ma a coloro che sono i veri servitori di Dio e che, con la pratica della carità e dell’umiltà, lavorano per la Sua gloria. È a loro, e solo a loro, che la divina Sapienza rivela i suoi segreti, come disse il Salvatore: «Vi ringrazio, Padre, Dio del cielo e della terra, perché avete nascosto queste luci ai sapienti e ai prudenti di questo mondo e le avete rivelate ai piccoli. (Luc. X, 21). – La profezia che l’Apostolo sta per farci ascoltare riguarda le cose che devono essere compiute senza indugio, cioè, in senso letterale, le persecuzioni che la Chiesa dovrà presto soffrire, ed in senso spirituale, le tribolazioni che i giusti devono sopportare prima di raggiungere la gloria. Le prove annunciate si compiranno senza indugio, perché il tempo delle prime persecuzioni è vicino, in quanto tutta la durata di questo mondo non è che un istante in confronto all’eternità; o perché le sofferenze sono sempre brevi, se le confrontiamo con la ricompensa infinita che le seguirà. È necessario che si compiano, come era “necessario” che Cristo soffrisse per entrare nella gloria (Lc., XXIV, 26). La sofferenza, in effetti, è necessaria all’uomo per espiare i suoi peccati, per distruggere le tendenze corrutte della sua natura, come dimostra l’esempio di Nostro Padre San Benedetto che chiede alle spine di spegnere il fuoco della passione che si era acceso nella sua carne; per far fiorire la carità nel suo cuore: “Nella tribolazione”, dice il Salmista, “tu mi hai dilatato” (Sal IV, 2); per risvegliare in lui il desiderio della vita eterna, e per metterlo in condizione di acquisire i meriti indispensabili: Beati coloro che soffrono per la giustizia, disse Nostro Signore, perché a loro appartiene il regno dei cieli (Matth. V, 10). – Questa rivelazione fu a sua volta partecipata da Gesù, attraverso il ministero del Suo Angelo, al Suo servo Giovanni. L’ha “significata” (significavit), cioè gliel’ha fatta sentire con segni sensibili. – Ma qui sorge una domanda. I dottori che hanno trattato questo argomento pensano generalmente che l’Apocalisse appartenga all’ordine più alto delle visioni, cioè a quelle che si chiamano visioni “intellettuali”, e nelle quali gli oggetti si manifestano all’anima, senza alcuna dipendenza effettiva dalle immagini sensibili – (La teologia mistica distingue tre tipi di visioni: le corporee, le immaginative e le intellettive. Le prime sono indirizzate ai sensi esterni, ai quali offrono un oggetto in forma materiale e corporea; le seconde sono indirizzate all’immaginazione, alla quale manifestano un oggetto mediante l’impressione interiore di un’immagine sensibile; le ultime sono indirizzate direttamente all’intelligenza pura, senza alcuna rappresentazione sensibile.). – “Si crede – scrive per esempio San Bonaventura – che l’evangelista San Giovanni abbia visto e compreso, senza l’intervento di alcuna figura, tutte le cose di cui tratta nella sua Apocalisse. “. – Perché allora l’autore sacro parla qui di “segni”? Si risponde comunemente che il beato Apostolo, dopo aver contemplato, nella loro essenza e senza velo, le realtà di cui sta per parlare, ricevette da Dio stesso le figure sotto le quali doveva presentarle agli uomini, per stimolare la loro curiosità, per indurli a cercare il significato nascosto di queste descrizioni straordinarie, e quindi per indurli a mettere in pratica gli insegnamenti in esse contenuti. Il Dottore Serafico continua: “È vero che abbia usato delle figure per esprimere ciò che aveva conosciuto, ma nel farlo ha avuto riguardo per la debolezza degli altri, ai quali la verità pura e semplice sarebbe stata impercettibile a causa della luminosità di cui essa è circondata. – Tale oscurità serve ad esercitare la fede dei giusti e difende questi venerabili misteri dagli occhi degli indegni. Del resto, tutte le Scritture sono coperte da veli simili, e questo è significato dal velo steso davanti al Santo dei Santi, in cui solo i sacerdoti, e non il popolo, potevano entrare. (Sul progresso spirituale dei religiosi. L., I, cap. LXXV). – Gesù, dunque, a sua volta, l’ha fatta conoscere al suo servo Giovanni, il discepolo prediletto, che che rese testimonianza alla Parola di Dio, cioè alla divinità di Cristo, attraverso il carattere trascendente della sua predicazione; e che rese testimonianza anche alla sua Umanità, riferendo tutto ciò che aveva visto compiere da Gesù Cristo, facendo conoscere i dettagli della sua vita, della sua morte, della sua resurrezione, ecc… Questa rivelazione fu senza dubbio fatta propriamente solo a San Giovanni: ma tutti coloro che sono in stato di grazia hanno qualche somiglianza con questo Apostolo, il cui nome significa, secondo San Girolamo: pieno di grazia. Nella misura in cui anch’essi testimoniano la divinità di Gesù Cristo con la fermezza della loro fede, e la sua umanità con la diligenza che mettono nell’imitare le sue opere, parteciperanno alla conoscenza delle comunicazioni divine. Beato chi legge attentamente e ascolta, cioè chi comprende e imprime nel suo cuore le parole piene di mistero di questa profezia, e chi osserva fedelmente gli insegnamenti che contiene. Perché il giorno del giudizio è vicino. Infatti il tempo di questa vita è ben poca cosa rispetto all’eternità, e possiamo dire, con San Giacomo, che il giudice è già davanti alla porta. (V, 9).

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Giovanni, alle sette chiese dell’Asia. Nella lettera, l’Apostolo intende nominare le principali chiese dell’Asia Minore, che saranno designate in seguito, che aveva sotto la sua giurisdizione, e di cui Efeso era la metropoli. Ma il numero sette, nel suo senso mistico, ha il significato di totalità, o pienezza, e le sette chiese rappresentano qui tutta la cristianità, come i “Sette Dolori” abbracciano tutte le sofferenze della Beata Vergine, o come i sette peccati capitali abbracciano la somma dei peccati che si possono commettere. La grazia e la pace siano con voi: la grazia, per portarci la remissione delle nostre colpe; la pace, per spegnere la lotta che la concupiscenza genera, e che lacera l’uomo interiore; e questo, per il dono di Colui che è, che era, e che viene. Queste ultime parole possono essere intese per le tre Persone della Santa Trinità: Dio è, perché possiede la pienezza dell’Essere, secondo la definizione che diede di se stesso a Mosè: Io sono Colui che è (Ex., III, 14). Egli era da tutta l’eternità e deve venire alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti. Alcuni commentatori, tuttavia, li attribuiscono qui al solo Padre, a causa del contesto. Essi vedono nei sette spiriti in piedi davanti al trono lo Spirito Santo, che è uno in Persona, ma settiforme nei suoi doni; e la Santa Trinità è completata dalla presenza di Gesù Cristo nel versetto successivo. Altri – e questi sono i più numerosi – applicano al Verbo stesso le espressioni: che è, che era e che verrà; i sette spiriti rappresentano allora la moltitudine degli Angeli che, secondo la visione di Daniele, si affannano continuamente intorno al trono dell’Altissimo. E le parole che seguono si riferiscono, in questo caso, solo all’Umanità di Cristo. Gesù Cristo, che è un testimone fedele: un testimone fedele perché ha insegnato la verità senza distinzione di persone; perché ha dato al mondo una testimonianza esatta di suo Padre e di se stesso, sigillata con il suo sangue; perché l’evento ha sempre verificato ciò che ha detto; un testimone fedele, ancora, perché testimonierà con rigorosa precisione sul conto di ognuno di noi, nel giorno del giudizio. Egli è il primo a nascere dai morti, cioè il primo a risorgere, il primo a essere generato alla vita eterna; il principe dei re della terra, perché gli è stato dato il potere assoluto su tutte le creature; ci ha amato fino al punto di subire le sofferenze più terribili e la morte più ignominiosa, per purificarci nel suo sangue dai peccati che abbiamo commesso. Egli ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti per il suo Dio e Padre: un regno, perché prima della sua venuta la nostra anima era dominio del demonio, che regnava su di essa con il peccato. Ma Cristo, nella sua passione, ha spogliato i principati e le potenze (Coloss. II, 15): ha distrutto il loro impero, permettendo a Dio di prendere con la sua grazia il possesso su di noi. – E dei sacerdoti: perché tutti i figli della Chiesa sono sacerdoti, dice sant’Ambrogio (Lib. IV, de Sacram., c. I.); non, naturalmente, nel senso che tutti sono investiti del potere sacerdotale, e che possono celebrare indistintamente i misteri, riservati dalla liturgia a coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine Santo; ma perché c’è nella Chiesa un doppio sacerdozio, l’uno interiore e l’altro esteriore, dice il Catechismo Romano. Ora sono considerati sacerdoti del sacerdozio interno tutti i fedeli, quando sono stati purificati dall’acqua del Battesimo, e specialmente i giusti che hanno lo spirito di Dio in loro, e che sono diventati, per un beneficio della grazia divina, le membra vive di Gesù Cristo, il sovrano Sacerdote. Questi, infatti, sotto l’influsso di una fede infiammata dalla carità, immolano a Dio, sull’altare del loro cuore, delle ostie spirituali, tra le quali vanno annoverate le buone azioni che portano a Dio… Per questo il Principe degli Apostoli disse: “Voi stessi, come pietre viventi, siete posati su di Lui (cioè su Gesù Cristo), per essere un edificio spirituale ed un sacerdozio santo, per offrire a Dio sacrifici spirituali a Lui graditi per mezzo di Gesù Cristo. (I Pet., Il, 5. — Catéch. Rom. chap. VIII, 23). Da ciò vediamo che, sebbene solo i ministri legittimamente consacrati abbiano il diritto di compiere atti validi di culto pubblico nella Chiesa, tutti i Cristiani hanno il diritto di offrire, in quell’intimo santuario dell’anima dove Nostro Signore ci ha insegnato ad adorare il Padre in spirito e verità (Giov. IV, 23), sacrifici che, sebbene siano interamente spirituali, sono tuttavia veri sacrifici, e quindi presuppongono un reale potere sacerdotale in colui che li compie. Così, Gesù Cristo ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti per il suo Dio e il suo Padre. L’autore sacro dice: il suo Dio, per indicare che Gesù era un uomo; il suo Padre, perché era Dio. A Lui, dunque, gloria e potenza nei secoli, cioè: glorifichiamolo e obbediamogli, nel presente come nell’eternità, per riconoscere tanti benefici. Amen. Ecco, egli viene nelle nuvole, come gli Angeli annunciarono al momento della sua ascensione (Act. I, 9 e 11). In senso spirituale, le nuvole sono la figura degli Apostoli che, stando sopra la terra con la rinuncia, e lasciandosi muovere dal soffio dello Spirito Santo, portano a tutta la terra la pioggia benefica della dottrina evangelica. E ogni occhio, cioè ogni uomo, la vedrà allora: i buoni l’accoglieranno con gioia indicibile; ma i malvagi, quelli che lo hanno crocifisso, la guarderanno con un terrore inesprimibile. Essi riconosceranno con stupore, in questo Giudice pieno di maestà e di gloria, il condannato che avevano pensato di annientare trafiggendolo con i loro colpi. E tutte le tribù della terra faranno cordoglio per Lui. Le tribù della terra sono quelle che sono rimaste schiave dei beni della terra: esse piangeranno, cioè piangeranno la propria miseria, al pensiero che saranno private per sempre di un tale tesoro. L’Apostolo sottolinea ciò che ha appena detto con una doppia affermazione, una in greco e l’altra in ebraico, per marcare la certezza di ciò che sta dicendo sul Giudizio Universale; anche per rendere chiaro che si sta rivolgendo sia ai Gentili che ai Giudei, poiché tutto il genere umano deve essere convocato a questo tribunale finale. E per incidere ancora più profondamente nella mente dei suoi ascoltatori la verità delle sue affermazioni, San Giovanni dà la parola a Cristo stesso: Io sono l’alpha e l’omega, cioè la somma della conoscenza umana: perché come l’alfabeto porta, tra la prima e l’ultima lettera, tutto ciò che l’uomo può conoscere, così l’Umanità di Cristo contiene in sé tutta la verità e tutta la conoscenza, secondo quanto Egli stesso disse a San Filippo: Chi vede me, vede anche il Padre (Giov. XIV, 9). – Io sono, continua, il principio e la fine. Colui prima del quale non c’era nulla, Colui oltre il quale non c’è nulla; Colui dal quale tutte le creature procedono, Colui al quale sono tutte ordinate; Colui che è, che possiede la pienezza, la perfezione e l’invariabilità dell’Essere; Colui che era da tutta l’eternità, e Colui che verrà, nell’ultimo giorno, a giudicare tutte le cose, con un potere al quale nulla può resistere.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (2)