L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

§ III.


Il fiume d’acqua viva.

 
CAPITOLO XXII

Et ostendit mihi fluvium aquæ vitæ, splendidum tamquam crystallum, procedentem de sede Dei et Agni. In medio plateæ ejus, et ex utraque parte fluminis, lignum vitæ, afferens fructus duodecim per menses singulos, reddens fructum suum et folia ligni ad sanitatem gentium. Et omne maledictum non erit amplius: sed sedes Dei et Agni in illa erunt, et servi ejus servient illi. Et videbunt faciem ejus: et nomen ejus in frontibus eorum. Et nox ultra non erit: et non egebunt lumine lucernæ, neque lumine solis, quoniam Dominus Deus illuminabit illos, et regnabunt in sæcula sæculorum. Et dixit mihi: Hæc verba fidelissima sunt, et vera. Et Dominus Deus spirituum prophetarum misit angelum suum ostendere servis suis quæ oportet fieri cito. Et ecce venio velociter. Beatus, qui custodit verba prophetiæ libri hujus. Et ego Joannes, qui audivi, et vidi hæc. Et postquam audissem, et vidissem, cecidi ut adorarem ante pedes angeli, qui mihi hæc ostendebat: et dixit mihi: Vide ne feceris: conservus enim tuus sum, et fratrum tuorum prophetarum, et eorum qui servant verba prophetiæ libri hujus: Deum adora. Et dicit mihi: Ne signaveris verba prophetiae libri hujus: tempus enim prope est. Qui nocet, noceat adhuc: et qui in sordibus est, sordescat adhuc: et qui justus est, justificetur adhuc: et sanctus, sanctificetur adhuc. Ecce venio cito, et merces mea mecum est, reddere unicuique secundum opera sua. Ego sum alpha et omega, primus et novissimus, principium et finis. Beati, qui lavant stolas suas in sanguine Agni: ut sit potestas eorum in ligno vitae, et per portas intrent in civitatem. Foris canes, et venefici, et impudici, et homicidae, et idolis servientes, et omnis qui amat et facit mendacium. Ego Jesus misi angelum meum testificari vobis haec in ecclesiis. Ego sum radix, et genus David, stella splendida et matutina. Et spiritus, et sponsa dicunt: Veni. Et qui audit, dicat: Veni. Et qui sitit, veniat: et qui vult, accipiat aquam vitæ, gratis. Contestor enim omni audienti verba prophetiæ libri hujus: si quis apposuerit ad hæc, apponet Deus super illum plagas scriptas in libro isto. Et si quis diminuerit de verbis libri prophetiae hujus, auferet Deus partem ejus de libro vitæ, et de civitate sancta, et de his quae scripta sunt in libro isto: dicit qui testimonium perhibet istorum. Etiam venio cito: amen. Veni, Domine Jesu. Gratia Domini nostri Jesu Christi cum omnibus vobis. Amen.

[E mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. Nel mezzo della sua piazza, e da ambe le parti del fiume l’albero della vita che porta dodici frutti, dando mese per mese il suo frutto, e le foglie dell’albero (sono) per medicina delle nazioni. Né vi sarà più maledizione: ma la sede di Dio e dell’Agnello sarà in essa, e i suoi servi lo serviranno. E vedranno la sua faccia: e il suo nome sulle loro fronti. Non vi sarà più notte: né avranno più bisogno di lume di lucerna, né di lume di sole, perché il Signore Dio li illuminerà, e regneranno pei secoli dei secoli. E mi disse: Queste parole sono fedelissime e vere. E il Signore Dio degli spiriti dei profeti ha spedito il suo Angelo a mostrare ai suoi servi le cose che devono tosto seguire. Ed ecco io vengo presto. Beato chi osserva le parole della profezia di questo libro. Ed io Giovanni (sono) quegli che udii e vidi queste cose. È quando ebbi visto e udito, mi prostrai ai piedi dell’Angelo, che mi mostrava tali cose, per adorarlo: E mi disse: Guardati di far ciò: perocché sono servo come te, e come i tuoi fratelli i profeti, e quelli che osservano le parole della profezia di questo libro: adora Dio. E mi disse: Non sigillare le parole della profezia di questo libro: poiché il tempo è vicino. Chi altrui nuoce, noccia tuttora: e chi è nella sozzura, diventi tuttavia più sozzo: e chi è giusto, sì faccia tuttora più giusto: e chi è santo, tuttora si santifichi. Ecco io vengo tosto, e porto con me, onde dar la mercede e rendere a ciascuno secondo il suo operare. Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro stole nel sangue dell’Agnello: affine d’aver diritto all’albero della vita e entrar per le porte nella città. Fuori ì cani, e i venefici, e gli impudichi, e gli omicidi, e gl’idolatri, e chiunque ama e pratica la menzogna. Io Gesù ho spedito il mio Angelo a testificarvi queste cose nelle Chiese. Io sono la radice e la progenie di David, la stella splendente del mattino. E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ascolta, dica: Vieni. E chi ha sete, venga: e chi vuole, prenda dell’acqua della vita gratuitamente. Poiché protesto a chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro, che se alcuno vi aggiungerà (qualche cosa), Dio porrà sopra di lui le piaghe scritte in questo libro. E se alcuno torrà qualche cosa delle parole della profezia di questo libro, Dio gli torrà la sua parte dal libro della vita, e dalla città santa, e dalle cose che sono scritte in questo libro. Dice colui che attesta tali cose: Certamente io vengo ben presto: così sia. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo con tutti voi. Così sia.]

I. Vers. 1. – E mi mostrò un fiume d’acqua viva, limpida come il cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell’Agnello. L’Angelo delle piaghe che ha mostrato a San Giovanni la Gerusalemme celeste, ora gli mostra un fiume di acqua viva. Questo fiume, secondo Sant’Ambrogio (Lib. III, De Spiritu Sancto, cap. XXI), significa lo Spirito Santo, fonte di ogni grazia, di ogni gloria e di ogni felicità. Secondo altri interpreti, questo fiume rappresenta l’abbondanza di doni e di consolazioni celesti con cui i santi saranno inondati. Queste interpretazioni sono uguali nella sostanza, anche se sembrano differire nella forma. Infatti, nel mistero della Santissima Trinità, il Padre è la volontà e l’Onnipotenza, il Figlio è il Verbo, espressione della volontà e mano destra dell’onnipotenza del Padre, Onnipotente Egli stesso, e lo Spirito Santo è l’amore in unione con il Padre e il Figlio. Queste tre Persone, che non devono essere confuse l’una con l’altra, sono ugualmente perfette, perché hanno la stessa sostanza e sono un solo ed unico Dio, così che ciascuna delle tre Persone divine possiede in sé tutte le perfezioni delle altre. Ma noi sappiamo, e il nostro testo ce lo dice, sappiamo, diciamo, che è per mezzo dello Spirito Santo che la gloria e la felicità eterna sono comunicate ai Santi in cielo, così come è lo Spirito Santo che ci rende partecipi dei doni di Dio sulla terra. Perciò gli eletti, che sono stati chiamati dal Padre, giustificati dal Figlio e rigenerati dallo Spirito Santo nelle acque del Battesimo, saranno inondati dal fiume di acqua viva che procede dal trono di Dio Padre Onnipotente e dell’Agnello Gesù Cristo, generato dal Padre e seduto alla sua destra. Così questo passo dell’Apocalisse è un’ammirevole conferma del dogma della Chiesa Cattolica, e allo stesso tempo una condanna dell’errore della Chiesa greca, riguardante la processione dello Spirito Santo. Perché è espressamente detto che questo fiume d’acqua viva, figura dello Spirito Santo, è uscito non solo dal trono di Dio Padre, ma anche dall’Agnello Gesù Cristo sacrificato per i peccati del mondo. –  ….. E mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come il cristallo. Quando San Giovanni parla dei fedeli, (capitolo IV, 6), li paragona ad un mare trasparente come il vetro e simile al cristallo; e quando parla del fiume di acqua viva che alimenterà questo mare, non solo paragona questo fiume al vetro, ma dice anche che quest’acqua viva del fiume è essa stessa chiara come il cristallo. Perché questa differenza? È per farci capire che quest’acqua viene o procede dalla sua fonte divina, pura come il cristallo, per alimentare questo mare degli eletti, cioè la nostra umanità, che diventa trasparente come il vetro dalle acque del Battesimo, e sarà come il cristallo, cioè simile alla divinità, con le acque di gloria e felicità del fiume d’acqua viva che procede eternamente dal trono di Dio Padre e dell’Agnello Gesù Cristo per abbeverare gli eletti nel tempo e nell’eternità. Questo fiume di acqua viva renderà dunque gli eletti puri come il cristallo, cioè come Dio, come sta scritto (I. Jo., III, 2): « Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si manifesterà, noi saremo come Lui, perché lo vediamo come è. E chi ha questa speranza in Lui, diventa santo, come santo è Dio stesso. » – Come possiamo vedere, la purezza di Dio è paragonata a quella del cristallo, e la purezza dei Santi è pure paragonata a quella di un vetro trasparente. Ora questo vetro sarà puro e trasparente, perché gli eletti saranno senza macchia; e questo vetro sarà di una purezza simile a quella del cristallo, perché la purezza dei Santi sarà simile a quella di Dio stesso. Pertanto, i Santi che hanno imitato Gesù Cristo sulla terra diventeranno come Dio stesso attraverso la gloria e la felicità di cui saranno inondati in cielo, dal fiume di acqua viva che viene dal trono di Dio e dell’Agnello, cioè, come abbiamo detto sopra, dallo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. Così, Dio userà il fiume di acqua viva per colmare i Santi della sua gloria e felicità, così come usa le acque del Battesimo per rigenerarli con lo Spirito Santo. E siccome tutti questi doni di grazia, di gloria e di felicità celeste ci vengono comunicati dallo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, comprendiamo perché Gesù Cristo, istituendo il Sacramento della rigenerazione, disse ai suoi apostoli (Matth. XXVIII, 18): « Mi è stata data ogni autorità in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. »

II. Questo fiume d’acqua viva rappresenta anche la visione beatifica, secondo queste parole del salmista, Ps. XLV, 4: « Un fiume con il suo corso impetuoso inonda la città di Dio con gioia. L’Altissimo ha santificato il suo tabernacolo: Dio è in mezzo alla città santa. » E altrove: Sal. XXXV, 8: « Signore, i figli degli uomini saranno pieni di speranza sotto l’ombra delle tue ali. Si inebrieranno dell’abbondanza della tua casa, li nutrirai con il flusso delle tue delizie; perché in te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce. »Sal. XXXVI: « Guardatevi dall’imitare i malvagi, e non invidiate quelli che commettono iniquità, perché appassiranno rapidamente come il fieno, e appassiranno rapidamente come le erbe dei prati. Riponi la tua speranza nel Signore e fai il bene, e allora dimorerai sulla terra e sarai nutrito con le sue ricchezze. Deliziatevi nel Signore, ed egli realizzerà i desideri del vostro cuore. Scopri le tue vie al Signore, spera in Lui ed Egli agirà. Egli farà risplendere la vostra giustizia come luce, e farà risplendere la vostra innocenza come il mezzogiorno. » Ascoltiamo Isaia, LXVI, 12: « Questo è ciò che dice il Signore. Farò scorrere su Gerusalemme un fiume di pace; riverserò su di lei la gloria delle nazioni come un torrente straripante. Gerusalemme vi nutrirà con il suo latte, vi stringerà al suo seno e vi accarezzerà sulle sue ginocchia. Come una madre consola il suo bambino, così io vi consolerò e sarete consolati a Gerusalemme. Vedrete queste cose, e il vostro cuore si rallegrerà; le vostre stesse ossa ricresceranno forti come l’erba. ». Termineremo la spiegazione di questo passaggio con le ben rimarchevoli parole che troviamo nel Vangelo della Samaritana.Queste parole alludono anche al fiume di acqua viva, e di conseguenza contengono un’ulteriore conferma della processione dello Spirito Santo secondo il dogma cattolico, e un ulteriore chiarimento della questione che stiamo trattando. Ecco questo Vangelo (Jo. IV, 7): « Allora venne una donna di Samaria ad attingere acqua. Gesù le disse: Dammi da bere. Infatti, i suoi discepoli erano andati in città per comprare del cibo. La donna gli disse: Come puoi tu, giudeo, chiedere da bere a me, donna samaritana? Perché i Giudei non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: Dammi da bere, avresti potuto chiedergli la stessa cosa ed Egli ti avrebbe dato acqua viva. La donna gli disse: Signore, voi non avete un recipiente da cui attingere e il pozzo è profondo; da dove prendereste quest’acqua viva? Siete forse più grande di Giacobbe nostro padre, che ci ha dato questo pozzo e ne ha bevuto lui stesso, così come i suoi figli e le sue greggi? Gesù le disse: Chiunque beve quest’acqua avrà ancora sete, ma chi beve l’acqua che io gli darò non avrà mai più sete. Ma l’acqua che Io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che zampillerà per la vita eterna. » Chi non riconosce in queste ultime parole il fiume d’acqua viva di cui parliamo; e qual è la fonte da cui l’acqua può sgorgare alla vita eterna, se non lo Spirito Santo, che è Dio, infinitamente perfetto, e che procede dal Padre e dal Figlio?

III. Vers. 2. – In mezzo alla piazza della città, ai due lati del fiume, c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Queste parole hanno un significato difficile, diremmo addirittura impenetrabile, poiché contengono i grandi misteri della Santa Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione. Senza voler dunque cercare inutilmente di scrutare verità così profonde che nessun mortale può comprendere, ci limiteremo a dimostrare come questo enigma contenga in sé verità così grandi:  Al centro della piazza della città, su entrambi i lati del fiume, c’era l’albero della vita. Come il fiume di acqua viva menzionato nel versetto precedente allude al fiume del paradiso terrestre menzionato nella Genesi, così l’albero della vita menzionato qui ricorda anche l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. E aggiungeremo anche che tutto il passo che citeremo da questo primo libro della Scrittura, è un tipo e una figura sensibile della città santa che abbiamo appena descritto. È riportato in Genesi, (II, 7): « Così il Signore formò l’uomo dall’argilla della terra ed effuse sul suo volto il soffio della vita, e l’uomo divenne vivo e vitale. Ora il Signore Dio aveva piantato fin dal principio un delizioso giardino, nel quale mise l’uomo che aveva creato. Il Signore aveva anche prodotto dalla terra ogni sorta di alberi, belli alla vista e il cui frutto era piacevole al gusto; e pose l’albero della vita in mezzo al paradiso, con l’albero della conoscenza del bene e del male. In questo luogo di delizie, uscì un fiume per irrigare il paradiso, etc. » Come possiamo vedere, questo delizioso giardino ci offre più o meno le stesse circostanze che troviamo nella Gerusalemme celeste. La prima è per il corpo animale ciò che la città santa è per il corpo spirituale di cui parla San Paolo. Questo giardino era un luogo di delizie per il corpo animale, e la Gerusalemme celeste sarà una dimora di felicità e gloria per il corpo spirituale. L’uomo è stato creato nel paradiso terrestre con un’anima viva; in cielo sarà riempito di uno spirito vivificante. Il primo uomo è quello terreno, formato dalla terra, dice San Paolo; il secondo è quello celeste, che viene dal cielo. Nel paradiso terrestre, c’era l’albero della vita, che doveva rendere incorruttibile il corpo corruttibile del primo uomo; ma c’era anche l’albero della conoscenza del bene e del male, che diede la morte all’anima e poi al corpo dei nostri primi genitori, quando disubbidirono a Dio, mangiando il frutto proibito. In cielo, ci sarà anche un albero della vita, ma quanto diverso da quello del giardino dell’Eden! Questo era materiale e terreno, questo è spirituale e divino. L’uno era destinato a preservare la vita del corpo, l’altro preserverà la vita del corpo e dell’anima. Il terrestre, tuttavia, non ha impedito al corpo umano di perire, il celeste distruggerà il male alla sua fonte e lo renderà impossibile; perché come il primo poteva conservare solo il corpo, il secondo conserverà l’anima, e le ridarà la vita nel tempo, in modo da rendere immortali nell’eternità sia il corpo che l’anima. Così la virtù di questo albero divino è infinitamente superiore a quella dell’albero terrestre, poiché non solo conserva i corpi viventi, ma salverà anche ciò che era perito, restituirà la vita ai corpi e li renderà incorruttibili, restituirà la grazia alle anime e le renderà impeccabili. Perché, secondo San Paolo, « questo corpo corruttibile deve essere rivestito di incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità. E dopo che questo corpo di morte sarà stato rivestito di immortalità, questa parola della Scrittura si compirà: «la morte è stata assorbita nella vittoria: » la vittoria dell’anima sul corpo, la vittoria della vita sulla morte, la vittoria dell’albero della vita sull’albero della morte; e allora questo albero della morte, l’albero della conoscenza del bene e del male, non esisterà più in cielo, dove i Santi godranno di tutti beni, senza paura o possibilità o mescolanza di alcun male. Da qui le parole di San Paolo, (1 Cor. XV, 55), che alludono all’albero della vita, l’albero della vita eterna, e anche all’albero della morte, l’albero della conoscenza del bene e del male: « O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? Ora il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge. » La legge di Dio violata, la legge che proibiva all’uomo di mangiare il frutto proibito. Poi San Paolo aggiunge subito queste parole rimarchevoli, in quanto coincidono perfettamente con il nostro testo: « Ma grazie a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. » Così è dunque Gesù Cristo questo albero della vita, l’albero della vita eterna, di cui il primo, quello del paradiso terrestre era il tipo. E questo albero è anche la vite di cui si parla in San Giovanni XV: « Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.  Egli taglierà tutti i rami che non portano frutto in me, e emenderà con la mortificazione cristiana tutti quelli che portano frutto, affinché portino ancor più frutto. Voi già siete puri a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e Io in voi. Come il tralcio della vite non può portare frutto da solo, se non rimane unito alla vite, così è per voi se non rimanete in me. Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me, e Io in lui, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se qualcuno non rimane in me, sarà gettato via come un tralcio e appassirà, sarà raccolto e lo si getterà nel fuoco e ivi sarà bruciato. » – Come possiamo vedere, Gesù Cristo si paragona a una vite, e tutti i fedeli, dice, sono i tralci di questa vite senza i quali non possono fare nulla. I rami che rimangono attaccati alla vite portano molto frutto. Vedremo presto quali saranno questi frutti.

IV. In mezzo alla piazza della città, su entrambi i lati del fiume, c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Abbiamo visto nel capitolo precedente, che i fedeli credenti formeranno la piazza della città santa, e che questa piazza della città sarà d’oro puro come vetro trasparente. Ora, è al centro della piazza, cioè al centro dei fedeli, che sarà l’albero della vita di cui ci parla San Giovanni. E questo albero era su entrambi i lati del fiume. Come può essere che solo un albero sia posto su ciascuna delle due parti di un fiume? Questo può essere spiegato da ciò che sappiamo della processione dello Spirito Santo nel mistero della Santa Trinità, e soprattutto dalle parole del versetto precedente, in cui vediamo che questo fiume è uscito dal trono di Dio, e anche dall’Agnello, cioè dall’albero stesso di Gesù Cristo, che è la sua fonte. Inoltre, questo passaggio si spiega con il mistero dell’Incarnazione, che ci insegna che il Figlio di Dio si è rivestito della nostra umanità, in modo da essere Dio e uomo allo stesso tempo. Ora, come questo fiume di acqua viva sgorga dalla divinità del Padre e del Figlio, per fecondare l’umanità che Gesù Cristo rappresenta, essendo diventato Egli stesso uomo; ne consegue che questo fiume scorre tra due rive, alle estremità di ciascuna delle quali è posto l’albero della vita, Gesù Cristo, poiché Egli appartiene a queste due parti principali del fiume, la fonte e la foce, essendo Dio e uomo insieme. Come Dio, è la sorgente stessa del fiume, e come uomo e capo della Chiesa, ne è la foce. Possiamo trovare un paragone più ammirevole per rappresentarci, in due parole, l’unione delle tre Persone della Santa Trinità, e allo stesso tempo l’unione della Divinità con l’umanità? È nello stesso senso che la Chiesa termina le sue orazioni; poiché si rivolge a Dio Padre Onnipotente, per ottenere tutti i beni attraverso Nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con il Padre in unione con lo Spirito Santo. Tanto per i misteri della Santa Trinità, dell’Incarnazione e anche della Redenzione. Ma quest’ultimo mistero è espresso ancora più chiaramente dalle parole che seguono:

V. In mezzo alla piazza… c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Chi non riconoscerà in queste ultime parole la santissima Eucaristia, che riassume tutto il piano della Redenzione divina e ci offre un quadro completo di tutta la storia dell’umanità, dall’uomo caduto nel paradiso terrestre all’uomo rigenerato nella Gerusalemme celeste. Infatti, abbiamo visto che Gesù Cristo si paragona a una vite di cui i fedeli sono i tralci, e che questi tralci, per portare molto frutto, devono rimanere attaccati alla vite. « Io sono la vite e voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. » Come fa ora Gesù Cristo a rimanere in noi e noi in Lui? Questo è ciò che ci spiega nel Vangelo, quando ci dice (Jo. VI, 51): « Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che Io darò per la vita del mondo è la mia carne. I Giudei, dunque, disputavano tra di loro, dicendo: Come può quest’uomo darci la sua carne da mangiare? E Gesù disse loro: In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è davvero carne e il mio sangue è davvero bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui. Come vive il Padre mio che mi ha mandato, e Io vivo a causa del Padre mio, così chi mangia me vivrà a causa mia. Questo è il pane che è sceso dal cielo. Non è come la manna che mangiarono i vostri padri e che non impedì loro di morire. Chi mangia questo pane vivrà eternamente. » Ora confrontiamo queste ultime parole del Vangelo che abbiamo appena citato con quelle del nostro testo, e vedremo se questo pane di vita non è lo stesso delle foglie dell’albero che devono guarire le nazioni.

VI. In mezzo alla piazza della città … c’era l’albero della vita…; e le foglie dell’albero sono per guarire le nazioni. Questo paragone delle foglie è mirabilmente scelto per rappresentare la santissima Eucaristia, che è il pane di vita sceso dal cielo per dare la vita eterna agli eletti. Infatti: 1° La foglia di un albero si forma dalla sua sostanza. 2° L’albero che produce la foglia è vivo, ed è la linfa dell’albero che dà vita alla foglia. 3° La foglia di un albero è composta da due sostanze principali che sono le membrane e la linfa. 4° La foglia si stacca dall’albero. 5° Serve da ombra per riparare l’uomo. 6° Il vento la porta via e si sparge sul terreno. 7° Nel rigore dell’inverno l’albero non produce più foglie. 8° Le foglie di certi alberi sono eccellenti rimedi in medicina. 9° Le foglie sono sollevate dall’albero e scendono sulla terra. 10° Se il ramo è secco, non produce più foglie. 11° La foglia che cade ai piedi dell’albero serve, secondo le leggi della natura, a nutrirlo. Ora, queste sono precisamente le caratteristiche della Santissima Eucaristia. Ed infatti: 1°. La santissima Eucaristia è composta dalla sostanza stessa dell’albero della vita che è Gesù Cristo. 2°. Gesù-Cristo è vivente; quando Egli istituì la santa Eucarestia e quando pronunziò quelle parole per sempre memorabili: « Questo è il mio corpo, etc. », il pane che viene distribuito ai fedeli sotto forma di ostie, simile nella forma alle foglie di un albero, questo pane, diciamo, è stato cambiato in Gesù Cristo stesso e vivificato dalla linfa del suo prezioso sangue, un mistero adorabile che viene riprodotto ogni giorno sui nostri altari per la virtù della stesa parola di Dio « Fate questo in memoria di me » e anche perché Egli è il sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedec. 3° Questo pane contiene due sostanze che sono la Divinità e l’Umanità, e contiene anche, sotto quest’ultimo aspetto, due sostanze essenziali che sono l’anima e il corpo; infine, sotto la sostanza del corpo ci sono due sostanze distinte, che sono il corpo e il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. 4° La Chiesa dà a questo pane una forma più o meno simile a quella di una foglia d’albero perché possa essere più opportunamente distribuito ai fedeli. 5°. Gesù Cristo ci fa come ombra nella santissima Eucaristia, e ci protegge dal fuoco delle passioni. 6° È soprattutto con il vento delle persecuzioni che le foglie di questo albero si diffondono sulla terra, come ci mostra la storia della Chiesa. 7°. Nei rigori dell’inverno, cioè nelle regioni fredde che l’assenza del sole della fede rende aride, e anche nei periodi di grande siccità, questo albero produce poco o nulla in foglie. 8°. La santissima Eucaristia è il rimedio per eccellenza, perché guarisce e conserva il corpo e l’anima per l’eternità. 9°. Queste foglie cadono sulla terra da una grande altezza, perché sono il pane della vita che è sceso dal cielo. 10° I rami che sono stati separati dall’albero a causa delle eresie sono secchi e non producono più foglie. 11°. Infine, la foglia che cade ai piedi dell’albero per essere messa in bocca ai fedeli diventa feconda, perché i fedeli che si nutrono della santissima Eucaristia a loro volta nutrono l’albero della vita con la carità, che è il sacrificio di se stessi per la gloria di Gesù Cristo e la salvezza del prossimo, secondo il significato di questa parola: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, etc. » Infine, se il fedele muore con questa foglia divina, sarà unito all’albero, che è Gesù Cristo, per l’eternità, secondo quest’altro detto: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui. »

VII. Nel mezzo della piazza della città … era l’albero della vita che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese; e le foglie dell’albero guariranno le nazioni.  1 ° Va notato che queste parole sono messe al presente, perché si applicano al tempo presente e anche all’eternità. E le foglie dell’albero della vita guariranno le nazioni. Questo passaggio significa che queste foglie, dopo aver guarito le nazioni nel tempo, daranno loro la vita per il tempo e per l’eternità. 2° L’albero della vita che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese. Questi dodici frutti ci mostrano le qualità infinitamente preziose di questo albero della vita, la cui virtù celeste e divina guarirà tutti i fedeli credenti attraverso le epoche della Chiesa per il tempo e l’eternità. Infatti, questi dodici frutti corrispondono per il numero alle dodici tribù d’Israele che rappresentano l’universalità dei fedeli; poi questi dodici frutti si riferiscono anche ai dodici mesi dell’anno, e ancora alle dodici ore del giorno dell’esistenza del mondo. Così che troviamo in questa mirabile figura due pensieri infinitamente profondi, che sono l’immensità e l’eternità di Dio. Diciamo l’immensità, poiché un solo frutto di questo albero può guarire e nutrire tutti i credenti sia per il tempo che per l’eternità. Vediamo anche in esso l’eternità di Dio, poiché è espressamente detto che questo albero della vita dà i suoi frutti ogni mese, anche per il tempo e per l’eternità. 3º Alla lettera, questi dodici frutti sono i dodici Apostoli, e i dodici mesi corrispondono alle dodici tribù d’Israele che rappresentano l’universalità degli eletti nelle varie età della Chiesa; e siccome la fede predicata dai dodici Apostoli era radicata nell’albero della vita che è Gesù Cristo, per essere predicata e produrre i suoi frutti durante i dodici mesi che rappresentano tutte le età della Chiesa, San Giovanni aveva ragione di dire che questo albero dà i suoi frutti ogni mese; perché alla fine di questi dodici mesi, che rappresentano il tempo dell’esistenza della Chiesa, questi dodici frutti avranno prodotto i centoquarantaquattromila fedeli delle dodici tribù d’Israele che formeranno l’assemblea degli eletti nella Gerusalemme celeste. 4° Quest’albero, che fruttifica ogni mese, ce ne mostra la grande fertilità; poiché, come abbiamo visto nel capitolo della Gerusalemme celeste, il numero degli eletti, che Dio solo conosce e che è rappresentato, secondo l’uso dei profeti, dal numero determinato di centoquarantaquattromila fedeli, supererà di gran lunga questo numero; e il numero degli eletti di tutti i tempi e di tutte le nazioni che avranno mangiato le foglie dell’albero della vita sulla terra sarà molto grande. Mangiamo dunque le foglie di quest’albero nel tempo, se vogliamo godere della gloria e della felicità dei suoi frutti nell’eternità. È Gesù Cristo stesso, l’autore della vita, che ci invita a farlo; ascoltiamo dunque la voce di questo Padre buono, che ci chiama a sé e ci dice: « Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò riposo… Io sono il pane vivo disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, ecc. ecc. » Ma non dimentichiamo le parole dell’apostolo San Paolo, I. Cor. XI, 27: « Chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore indegnamente, sarà colpevole del crimine contro il corpo e il sangue del Signore. Si metta dunque l’uomo alla prova, e dopo mangi di quel pane e beva da questo calice. Perché chi mangia e beve di esso indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non facendo il discernimento del corpo del Signore. Per questo ci sono molti tra voi che sono malati e languenti, e molti sono morti. Che se noi ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo giudicati da Dio, etc. ».

VIII. Vers. 3. – Non ci sarà là più alcuna maledizione, ma lì vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello, e i suoi servi lo serviranno. Questo versetto contiene anche la differenza tra il paradiso terrestre e quello celeste. Nel paradiso terrestre c’era, accanto all’albero della vita, l’albero della conoscenza del bene e del male, che portò all’umanità una così grande maledizione. Ma in cielo, non ci sarà più nessuna maledizione possibile, perché l’albero della scienza del bene e del male sarà sostituito dall’albero della vita. Il libero arbitrio, che è stato così fatale all’uomo, non esisterà più per perderlo, ma per goderne di tutta la gloria e la felicità fino alla fine dei tempi, cioè per quanto l’uomo vuole e può godere della luce eterna con l’aiuto della luce eterna. Lì non ci sarà più maledizione, perché non ci sarà più alcun male possibile, ma ci sarà il trono di Dio e dell’Agnello, fonte di ogni bene e di ogni gloria, senza alcuna mescolanza di bene e di male. E i suoi servi lo serviranno con gloria e felicità.

IX . Vers. 4 – Vedranno il suo volto e avranno il suo nome scritto sulla fronte. O Dio, qual gloria e felicità avete riservato a coloro che vi amano, perché potranno contemplarvi faccia a faccia, così da diventare simili a Voi, ed avranno il vostro stesso Nome scritto sulla fronte, perché saranno vostri figli ed eredi della vostra gloria, e porteranno il vostro Nome, come un figlio porta il nome del padre suo! Il loro nome sarà illustrato con la gloria di Dio stesso, e la loro eredità sarà immensa ed eterna come Dio. Questo è confermato dalle seguenti parole, che si spiegano da sole:

Vers. 5E non ci sarà più notte, non avranno bisogno di lampade, né della luce del sole, perché il Signore Dio darà loro la luce, ed essi regneranno nei secoli dei secoli.

X. Le parole che seguono sono una ricapitolazione degli avvertimenti generali che il Signore indirizza alla Sua Chiesa su questa rivelazione. E siccome questi passaggi sono già stati interpretati, ci limiteremo a citarli, lasciando al lettore il compito di farne il proprio confronto e l’applicazione per il proprio uso e per il beneficio che trarrà dalla ricezione di questo libro.

Vers. 6. Ed egli mi disse: Queste parole sono certissime e veraci: il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato un Angelo per rivelare ai suoi servi ciò che deve avvenire presto.

Vers. 7. Io vengo presto: beato chi osserva le parole della profezia di questo libro.

Vers. 8  Io, Giovanni, ho udito e visto queste cose. E quando le ho sentite e viste, sono caduto in adorazione ai piedi dell’Angelo che me le ha mostrate.

Vers. 9: Ma egli mi disse: Guardati dal fare così, perché io sono un servo come te e come i tuoi fratelli profeti, e come coloro che osservano le parole di questo libro, adorate Dio.

XI. Vers 10. Ed egli mi disse: Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Nel linguaggio dei profeti, sigillare una profezia non significa che il suo significato debba essere impenetrabile alle menti degli uomini, come lo fu l’Apocalisse per molti secoli; ma sigillare una profezia significa che il suo adempimento non inizierà che molto tempo dopo la sua pubblicazione. Ma questo non fu il caso di questa rivelazione a San Giovanni. Poiché la sua Apocalisse contiene la storia di tutta la Chiesa dalla sua origine fino alla consumazione dei secoli, questa profezia cominciava già a realizzarsi al tempo di San Giovanni; e anche essa nascondeva sotto i suoi enigmi eventi che erano già passati quando questa rivelazione gli fu fatta. Ma non poté essere compresa per molto tempo, perché gli eventi che annunciava non si erano sufficientemente sviluppati per coglierne il significato e la sequenza. Comprendiamo, quindi, da quanto appena detto, che sebbene questa profezia non sia stata sempre compresa, non è stata, tuttavia, sigillata, poiché ha cominciato ad essere adempiuta dal momento della sua rivelazione ed anche prima; Ma Dio ne nascose la comprensione agli uomini per molti secoli, sotto i suoi difficili e numerosi enigmi, perché lo scopo evidente di questa profezia era di colpire gli uomini come una nuova luce, specialmente verso la fine dei tempi, quando la fede comincerà a perdersi a poco a poco, mostrando, come all’improvviso, per rafforzare i suoi eletti, la verità di questa profezia, già verificata nei tempi passati, e come garanzia della certezza degli eventi futuri. Da qui questo passaggio del testo: Non sigillate le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino.

XII. Vers. 11. – Colui che commette l’iniquità la commetta ancora; colui che è contaminato sia contaminato ancora; colui che è giusto diventi più giusto ancora; colui che è santo sia santificato ancora. Queste parole sono terribili e consolanti allo stesso tempo. Perché contengono maledizioni eterne per i peccatori e benedizioni infinite per i giusti. Infatti, secondo il Salmista, Ps. XLI, 8: « Un abisso chiama un abisso. » Un abisso di ingiustizia richiede un abisso di ingiustizia e punizione; perciò il Salmista aggiunge: « Al fragore delle tue cascate; tempeste e delle acque che tu mandi, o mio Dio, tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. »Al contrario, un abisso di giustizia richiede un abisso di misericordia. Infatti, il salmista continua: « Di giorno il Signore mi dona la sua misericordia, di notte per lui innalzo il mio canto: la mia preghiera al Dio vivente. Dirò a Dio, Voi siete mia difesa: perché mi avete dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? Per l’insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: Dov’è il tuo Dio?”. Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.Giudicatemi, o Dio, e distinguete la mia causa da quella di una nazione non santa. Toglietemi dalle mani dell’uomo malvagio e ingannatore.Poiché tu sei la mia forza, o Dio! Perché mi hai respinto? Perché mi vedo ridotto a camminare nella tristezza, afflitto dal nemico? Mandate la vostra luce e la vostra verità, ed esse mi condurranno al vostro santo monte e ai vostri tabernacoli. Ed entrerò fino all’altare di Dio, fino a Dio stesso, che riempie di gioia la mia gioventù. Canterò le tue lodi sull’arpa, o Dio, o mio Dio. Perché sei triste, anima mia, e perché mi conturbi? Spera in Dio, perché devo ancora lodarlo; Egli è la salvezza del mio volto ed è il mio Dio. » È soprattutto attraverso la preghiera che il giusto deve diventare ancora più giusto, e colui che è santo può diventare ancora più santo, perché la salvezza viene da Dio. Più ci si avvicina a Lui, più si desidera andare da Lui; e più ci si allontana da Dio, più si desidera allontanarsi da Lui. Il malvagio è come un albero che cade dalla parte in cui pende, e più l’albero tende ad inclinarsi per la forza di attrazione, finché alla fine cade da sé o per l’ascia del giardiniere. Il giusto, invece, si eleva in proporzione alla sua giustizia. Perché più l’albero è ritto, più di eleva. E la sua pianta, ora alta e bella, viene utilizzata per la costruzione di edifici e di mobilia, mentre il legno contorto e piegato, è destinato ad essere gettato nel fuoco.

XIII. Vers. 12Ecco, io vengo presto e avrò con me la mia ricompensa, per rendere ad ogni uomo secondo le sue opere. Perché secondo San Matteo, (III, 10): « Già la scure è posta alla radice dell’albero (dal germe di morte che portiamo in noi), e ogni albero che non porta buoni frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco. »

Vers. 13. – Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Perché la verità è eterna, e la giustizia è eterna, e il passato e il futuro appartengono solo a Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere. Io sono il principio e la fine; cioè, vi ho detto la mia parola all’inizio e vedrete il suo compimento alla fine.

Vers. 14. – Beati coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello, per avere diritto all’albero della vita e per entrare nella città dalle porte. Facciamo dunque degni frutti di penitenza e sottomettiamoci alla Chiesa, affinché possiamo un giorno entrare per questa porta nella vita eterna.

Vers. 15. – Lungi da qui i cani, gli avvelenatori, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ami e proferisca menzogna. Lungi da qui i persecutori della Chiesa, che sono come cani rabbiosi, gli avvelenatori, gli eresiarchi, gli impudichi, chi indulge alle voluttà, gli omicidi, che trascurano le vie della giustizia e della carità, gli idolatri, che dimenticano Dio per prostituirsi alla creatura, e chiunque ami e preferisca la menzogna, perché il diavolo è loro padre.

XIV. Vers. 16. – Io, Gesù, ho mandato il mio Angelo a testimoniarvi queste cose nelle Chiese. Io sono la progenie e il figlio di Davide, la stella che brilla al mattino. Qui Gesù cita se stesso come testimone delle verità contenute in questo libro dell’Apocalisse, dicendoci che Egli è la progenie e il figlio di Davide, cioè, Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, la stella che brilla al mattino dall’inizio della Chiesa, e la cui luce non sarà mai più eclissata, che ha mandato il suo Angelo a rendere testimonianza delle cose contenute nell’Apocalisse, e a pubblicarle nelle sette Chiese d’Asia, rappresentanti l’universalità e la perpetuità della Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana.

XV. Vers. 17. – Lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite. Colui che ascolta dica: “Venite”. Chi ha sete, venga; e chi lo desidera, riceva gratuitamente l’acqua della vita. Quante consolazioni sono contenute in questo versetto! Lo Spirito Santo e la sposa, che è la Chiesa, dicono: Vieni. Così non è solo la voce dei predicatori che ci invita; non sono solo i marchi visibili della Chiesa che attirano gli sguardi di occhi di tutti gli uomini: dei buoni che ascoltano e seguono la sposa, e dei malvagi che la perseguitano; perché se questi potenti mezzi sembrano tuttavia troppo deboli per convincere gli uomini della verità eterna; se anche dei Cattolici non possono comprendere i giudizi segreti di Dio, chi rigetterà un gran numero di uomini nelle fosse dell’inferno, perché non sono appartenuti alla Chiesa Cattolica; e se questi giudizi sembrano loro troppo severi perché credono che i segni della vera Chiesa non siano sufficientemente visibili e sensibili per convincerci; questi Cattolici sappiano e imparino dalla bocca di Gesù Cristo stesso, che scruta i cuori e le menti, che non solo la Chiesa ma anche lo Spirito Santo dice a tutti nel segreto delle loro coscienze: Venite! E se tutti non sono venuti, a chi va data la colpa? Chi ascolta dica: “Venite“. Cioè, colui che vuole ascoltare questa voce interiore ed esteriore dica: Venite! Questo gli è sufficiente. Egli ha acconsentito ad accettare liberamente l’acqua della vita che è sempre offerta a tutti, sia per voce della Chiesa che per voce dello Spirito Santo. Questo gli è sufficiente, diciamo, poiché possiede con ciò una delle otto beatitudini che gli promette l’acqua della fonte eterna e il frutto dell’albero della vita; poiché è scritto, (Matteo V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. » Ho già visto sulle vostre labbra un sorriso di pietà, e lo spirito di incredulità vi suggerisce questo pensiero: come possono gli individui ritirati nel centro di nazioni barbare, tra le quali la luce della fede non è mai penetrata, avere anche solo l’idea dell’esistenza della Chiesa Cattolica? Gesù Cristo stesso vi risponde Egli stesso, che lo Spirito Santo dice loro nel segreto delle loro coscienze: Venite; la Chiesa ci dice che il battesimo di desiderio può bastare al bisogno, e il Vangelo aggiunge un mezzo che è possibile e anche facile per tutti gli uomini; un mezzo che chiuderà la bocca di tutti gli empi, che non avranno voluto ascoltare lo Spirito Santo; perché questo mezzo infallibile è a disposizione di tutti. Questo mezzo è tanto sicuro e facile quanto è vero il Vangelo, poiché è scritto: « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. » E chi è l’uomo che, nonostante la sua ignoranza dei misteri della fede di Gesù Cristo, chi è l’uomo, diciamo, per il quale questa ignoranza sarà stata invincibile, che non abbia tuttavia sentito nel suo cuore come due voci opposte, una delle quali lo spingeva al bene e l’altra, diciamo, lo portava al male? Ebbene, questa prima voce era quella dello Spirito Santo, che continuava a dirgli: Venite; in altre parole, questa voce gli stava dicendo: Fa’ il bene ed evita il male, sii giusto e caritatevole verso i tuoi fratelli, resisti al torrente impetuoso delle tue passioni che la concupiscenza ha acceso nella tua anima, etc., etc. Ora, questi non sono forse sentimenti che ogni uomo ragionevole, per quanto ignorante delle verità della fede lo si possa supporre, … non sono sentimenti che la legge naturale, incisa nei nostri cuori, ci ispira costantemente, e che il soffio dello Spirito Santo cerca di far fruttare, secondo queste parole: Lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite. Se poi tutti gli uomini ragionevoli ascolteranno questa voce, Dio non li punirà per la loro invincibile ignoranza, ma li ricompenserà eternamente per i loro sforzi e la loro buona volontà, secondo le parole: « Pace agli uomini di buona volontà. » Perciò l’Apostolo aggiunge: Chi ascolta dica: Venite. Chi ha volontà, venga, e chi lo desidera, riceva liberamente, per la misericordia di Dio, l’acqua della vita, della vita eterna. Poiché sta scritto, (Matth. V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » Aggiungeremo che non è così difficile come si immagina, per le nazioni barbare, desiderare l’acqua della vita. Per convincersene, basta leggere gli annali della propagazione della fede, e si vedranno le frequenti richieste fatte da questi popoli per ottenere dei missionari. Felici queste nazioni, se sfuggono ai lupi che si presentano loro in veste di pecore, che in realtà non sono altro che lupi famelici che escludono le anime dal vero ovile! Perché allora non rimangono altre risorse per queste nazioni sedotte che quelle che abbiamo appena indicato, per assicurare la loro salvezza. Speriamo che Dio tenga conto delle difficoltà in cui il nemico li avrà gettati a loro insaputa e contrariamente ai loro pii e salutari desideri.Ma voi direte ancora: Queste nazioni barbare non hanno mai conosciuto Gesù Cristo, quindi come possono essere appartenuti allo spirito della sua Chiesa? Senza nascondervi la difficoltà dell’obiezione, vi risponderemo che essa non è insolubile nello Spirito Santo; secondo le parole di San Giovanni, III, 8: « Lo Spirito soffia dove vuole, e voi sentite la sua voce, ma non sapete da dove viene, né dove va; così è di ogni uomo che è nato dallo Spirito.  Cioè, ogni uomo che è nato dallo Spirito e non dalla carne, e ogni uomo buono che ha fame e sete di giustizia, sente la voce dello Spirito che gli dice: Venite. E l’uomo risponde: Venite. Perché lo Spirito soffia dove vuole. Allora vi diremo che la conoscenza della venuta passata o futura di un Redentore, non è così limitata come immaginate. Poiché Dio ha permesso nella sua bontà paterna e secondo il piano dei suoi segreti disegni, che le numerose e variate favole, che sono una corruzione della storia del giardino dell’Eden, fossero conservate e diffuse tra queste nazioni, come un mezzo segreto di cui Dio si è servito per dare loro l’idea di un Redentore. Quanto alle difficoltà che potrebbero essere sollevate circa l’assoluta necessità del battesimo, attingendo alle parole di San Giovanni, (III, 5): « In verità, in verità vi dico: se uno non nasce di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio », ci basta far notare che non ci si salva solo col battesimo d’acqua, ma anche col battesimo di desiderio e col battesimo di sangue, e che di conseguenza un numero molto grande di anime che non avrebbero potuto ricevere il Battesimo dell’acqua, saranno non di meno salvate dal battesimo di desiderio o dal battesimo di sangue. Quanto ai bambini morti senza battesimo, la Chiesa non ha mai fissato il loro destino, e sappiamo che non sarà quello dei dannati. Come possiamo vedere, coloro che non rispondono a questa chiamata della Chiesa e dello Spirito Santo non avranno scuse davanti al tribunale di Dio Onnipotente. Essi non avranno nemmeno saputo dell’esistenza della Chiesa, direte voi; e Dio vi risponderà: È vero, ma avevano la legge naturale, che Io avevo inciso nei loro cuori; il mio Spirito Santo ha ispirato loro un desiderio di giustizia e il mio Vangelo ha promesso di soddisfarli. Venite, dunque, o voi tutti che non avete potuto entrare nel corpo della mia Chiesa, ma che vi siete appartenuti in spirito attraverso i vostri santi desideri; venite, perché mio Figlio vi ha riscattato dalla schiavitù del peccato; il Verbo si è fatto carne per salvare la carne e lo spirito. Venite, dunque, o voi tutti che avete risposto alla chiamata dello Spirito Santo e della Chiesa che vi ha detto sulla terra: Venite. Perché Voi li avete ascoltati ed avete detto loro a vostra volta: Venite. Voi avete fatto conoscere loro la vostra sete ascoltandoli e rispondendo loro con i vostri santi desideri: Venite. Ecco perché Io vi darò gratuitamente e di buon grado e misericordia l’acqua della vita, e sarete saziati per sempre, come sta scritto nella mia Apocalisse: lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite. Colui che ascolta dica: “Venite“. Chi ha sete, venga; e chi lo desidera, riceva gratuitamente l’acqua della vita. Lungi da qui i cani, i persecutori della Chiesa, gli avvelenatori, i predicatori del vizio e dell’errore, i falsi apostoli e gli scandalosi, gli impuri che seguono la legge della carne e rifiutano quella di Dio, gli omicidi, i tiranni, coloro che commettono ingiustizie, gli oppressori dei deboli, della vedova e dell’orfano, gli sprezzatori dei poveri, gli idolatri che si prostituiscono alla creatura, e tutti coloro che amano e preferiscono la falsità, perché sono figli del demonio.

XVI. Con ciò vediamo quanti Cristiani ci saranno ai quali si possono applicare quelle parole del Vangelo dette al popolo giudaico che sono la figura della Chiesa: « I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi ». Quanti Cristiani, infatti, saranno stati i primi a conoscere la legge di Gesù Cristo, e tuttavia avranno vissuto solo secondo la carne? Quanti sono stati chiamati dalla voce dello Spirito Santo e dalla voce della Chiesa, eppure non hanno risposto a quella chiamata? E poiché molti cattivi Cristiani saranno morti nei loro peccati, e pochi di loro avranno risposto a questa chiamata facendo penitenza, non è giusto applicare loro queste parole rivolte al popolo giudaico, al quale possono essere paragonati per il crimine della morte di Gesù Cristo, che essi crocifiggono con i loro vizi. « Ci saranno molti chiamati e pochi eletti! » Ma poiché il numero dei veri Cristiani sarà stato molto grande, e poiché questo numero sarà immensamente accresciuto da coloro che hanno appartenuto in spirito alla Chiesa di Gesù Cristo tra le nazioni che non hanno potuto far parte del corpo dei fedeli, e poiché il numero di questi ultimi supererà forse di gran lunga il numero di coloro che hanno disertato, il risultato sarà una scena di inaspettata vergogna e confusione per i malvagi, ed una brillante manifestazione di gloria e consolazione, attesa per i giusti. Perché Dio non permetterà che si dica per tutta l’eternità che il sangue del suo Figlio è stato inutile. Quanto più, dunque, Gesù Cristo avrà manifestato la sua potenza, la potenza del Cristianesimo sulla terra, tanto più trionferà in cielo. Perché se, nonostante la sua grande superiorità sulle nazioni barbare, il Cristianesimo ci offre tuttavia sulla terra un’immagine continua delle umiliazioni del suo Autore, per servirci da esempio, come sarà nell’altra vita, quando vedremo l’inizio del vero regno dell’Agnello, e il Padre Onnipotente incoronerà lo Sposo e la sua Sposa per tutta l’eternità? Perché (Ps. CIX): « Il Signore dice al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché non avrò fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi. Il Signore farà uscire da Sion lo scettro della tua potenza; tu stabilirai il tuo impero in mezzo ai tuoi nemici. La regalità è con te nel giorno della tua forza, in mezzo allo splendore dei tuoi santi. Ti ho generato dal mio seno prima dell’aurora. Il Signore ha giurato e non si pentirà: tu sei il sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec. Il Signore è alla tua destra; Egli ha frantumato i re nel giorno della sua ira. Egli eserciterà il giudizio in mezzo alle nazioni; riempirà tutto di rovine; schiaccerà le teste di un gran numero. Egli berrà l’acqua del torrente nella via, “per mezzo del martirio”. » Tale sarà allora il regno di Gesù Cristo sulla terra. Ora ecco la sua gloria in cielo.  Infatti il Salmista aggiunge: « Ecco perché alzerà il capo ». Sarà innalzato sulla croce, e trionferà sulla croce. E quale sarà questo trionfo? Sarà solo il trionfo di una gloria eterna e di un onore infinito per pochi eletti? No, perché altrimenti la gloria del Figlio dell’uomo non sarebbe completa, poiché il Signore ha detto (Mt. XXVI, 28): « Perché questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che sarà versato per molti per la remissione dei peccati. » Vediamo ora se questo sangue sarà stato sterile, e se non sarà stato veramente versato per molti. Ascoltiamo il profeta che annuncia alla Sposa, sotto la figura di Gerusalemme, ciò che sarà soprattutto nel giorno dell’eternità: Isaia, LX: « Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore si è levata su di te. Poiché, ecco, le tenebre ricopriranno la terra, nebbia fitta avvolgerà le nazioni; ma su di te si leverà il Signore, la sua gloria si vedrà risplendere su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli verranno da lontano, le tue figlie verranno da ogni parte. A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te. Sarete sommersi da una schiera di cammelli, dai dromedari di Madian e di Efa. Tutti loro verranno da Saba per portarti oro e incenso e per proclamare le lodi del Signore. Tutti i greggi del Cedar saranno riuniti a te; i montoni di Nabajoth saranno usati per il tuo servizio; saranno offerti al mio altare come ostie gradite, e io riempirò di gloria la casa della mia maestà. Chi sono coloro che si lasciano trasportare come nuvole nell’aria e volano come colombe quando ritornano alle loro colombaie? Perché le isole mi aspettano, e le navi sono pronte sul mare già da molto tempo, per far venire i tuoi figli da lontano, per portare con loro il loro argento e il loro oro, e per consacrarlo nel nome del Signore tuo Dio e del Santo d’Israele che ti ha glorificato. I figli degli stranieri costruiranno le tue mura e i loro re ti serviranno, perché ti ho colpito nella mia indignazione e ti ho mostrato misericordia riconciliandomi con te. Le tue porte saranno sempre aperte, non saranno chiuse né di giorno né di notte affinché le ricchezze delle nazioni siano portate a te e i loro re condotti a te. Perché il popolo e il regno che non si sottomette a te perirà, e io farò di quelle nazioni un terribile deserto. La gloria del Libano verrà in te; l’abete, il bosso e il pino serviranno insieme come ornamento del mio santuario, e glorificherò il luogo dove hanno riposato i miei piedi. I figli di coloro che ti hanno umiliato verranno a prostrarsi davanti a te e tutti quelli che ti hanno disprezzato adoreranno le orme dei tuoi piedi e ti chiameranno la città del Signore, la Sion del Santo d’Israele.  Perché siete stati abbandonati ed esposti all’odio, e non c’era nessuno che ti passasse accanto, io ti stabilirò in una gloria che non finirà mai, e in una gioia che durerà per tutti i secoli. Succhierete il latte delle nazioni, sarete nutriti dalla mammella dei re, e saprai che Io sono il Signore che ti salva e il forte di Giacobbe che ti riscatta. » Prestiamo ora attenzione alle parole che seguono, e che si applicano specialmente alla Gerusalemme celeste; perché il Profeta,  dopo aver annunciato la prosperità della fede sotto la figura di Gerusalemme, alla quale i popoli e le nazioni si sottometteranno, ci mostrerà ora la felicità e la gloria che risulteranno nell’eternità, per un immenso numero di uomini destinati a popolare la più grande e fiorente città che sia mai esistita, la città celeste. Il Profeta aggiunge: « Vi darò oro invece di ottone e argento invece di ferro; ottone invece di legno e ferro invece di pietre. Farò in modo che la pace regni su di voi e che la giustizia regni su di voi. La violenza non sarà più udita nel vostro territorio, né di distruzione e di oppressione in tutte le vostre terre. La salvezza circonderà le tue mura e le lodi si faranno sentire alle tue porte. Non avrai più il sole per illuminarvi durante il giorno, ed il chiarore della luna non brillerà su di voi; ma il Signore stesso sarà la vostra luce eterna, e il vostro Dio sarà la vostra gloria. Il vostro sole non tramonterà più e la vostra luna non diminuirà, perché il Signore sarà la vostra luce eterna e i giorni delle tue lacrime saranno finiti. Tutto il tuo popolo sarà un popolo di giusti; possiederà la terra per sempre, perché saranno i germogli che io ho piantato, le opere che la mia mano ha fatto per la gloria. Mille usciranno dal minimo di loro, e dal più piccolo un grande popolo. Io sono il Signore e farò improvvisamente queste meraviglie quando sarà giunto il tempo. »  – Chi oserà dire che questa profezia non si applichi molto di più alla Gerusalemme celeste che a quella terrena? E chi oserà dire, senza essere temerario, che il numero degli eletti sarà piccolo, dopo queste ultime parole che abbiamo citato in corsivo, affinché il lettore possa fissare la sua attenzione su di esse?

Vers. 18. Ma io dichiaro a tutti coloro che ascoltano le parole della profezia di questo libro, che se qualcuno vi aggiungerà qualcosa, Dio lo colpirà con le piaghe descritte in questo libro;

Vers. 19. – E se qualcuno toglierà una sola parola dal libro di questa profezia, Dio lo cancellerà dal libro della vita e lo escluderà dalla città santa, e gli toglierà la parte delle promesse descritte in questo libro. – Queste parole sono rivolte a tutti coloro che cercheranno di corrompere il significato o il testo dell’Apocalisse, come gli eretici non arrossiscono di fare. Tra quelli dei primi secoli si distingue soprattutto Marcione, poi Lutero e i suoi seguaci fecero lo stesso in molti passi della Scrittura.

Vers. 20: Colui che testimonia queste cose dice: “Sì, verrò presto”. Amen. Vieni, Signore Gesù. Gesù Cristo, l’autore di questa profezia, dando se stesso come testimone della sua veridicità, dice alla Chiesa che verrà presto; perché il tempo non è che un punto in relazione all’eternità. E i fedeli che hanno il vero Spirito di Gesù Cristo devono rispondere nel loro cuore: Vieni, Signore Gesù, secondo il significato di quelle parole che recitiamo ogni giorno nel Padre nostro. « Venga il tuo regno, sia fatta la tua santa volontà come in cielo così in terra ».

Vers. 21. Che la grazia del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Questo libro inizia e finisce come una lettera alle sette Chiese d’Asia e a tutte le altre del mondo cristiano. Amen.

FINE DEL LIBRO NONO

15 SETTEMBRE: I SETTE DOLORI DELLA B. V. MARIA (2021)

15 SETTEMBRE. I sette Dolori della B. V. Maria (2021)

Doppio di 2° classe. – Paramenti bianchi.

Maria stava ai piedi della Croce, dalla quale pendeva Gesù (Intr., Gra., Seq., All., Vangelo) e, come era stato predetto da Simeone (Or.) una spada di dolore trapassò la sua anima (Secr.). Impotente, ella vede il suo dolce Figlio desolato nelle angosce della morte, e ne raccoglie l’ultimo sospiro » (Seq.). L’affanno che il suo cuore  materno provò ai piedi della croce, le ha meritato, pur senza morire, la palma del martirio (Com.). – Queste festa era celebrata con grande solennità dai Serviti nel XVII secolo. Fu estesa da Pio VII, nel 1817, a tutta la Chiesa, per ricordare le sofferenze che la Chiesa stessa aveva appena finito di sopportare nella persona del suo capo esiliato e prigioniero, e liberato, grazie alla protezione della Vergine. Come la prima festa dei dolori di Maria, al tempo della Passione, ci mostra la parte che Ella presa al Sacrificio di Gesù, così la seconda, dopo la Pentecoste, ci dice tutta la compassione che prova la Madre del Salvatore verso la Chiesa, sposa di Gesù, che è crocifissa a sua volta nei tempi calamitosi che essa attraversa. Sua Santità Pio X ha elevato nel 1908 questa festa alla dignità di seconda classe.

Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis ~ Duplex II. classis
Commemoratio: Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Joann XIX:25
Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.

[Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Salome, e Maria Maddalena.]

Joann XIX:26-27
Múlier, ecce fílius tuus: dixit Jesus; ad discípulum autem: Ecce Mater tua.

[Donna, ecco tuo figlio, disse Gesù; e al discepolo: Ecco tua madre]


Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.

[Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Salome, e Maria Maddalena.]

Oratio

Orémus.
Deus, in cujus passióne, secúndum Simeónis prophetíam, dulcíssimam ánimam gloriósæ Vírginis et Matris Maríæ dolóris gladius pertransívit: concéde propítius; ut, qui transfixiónem ejus et passiónem venerándo recólimus, gloriósis méritis et précibus ómnium Sanctórum Cruci fidéliter astántium intercedéntibus, passiónis tuæ efféctum felícem consequámur:

[O Dio, nella tua passione, una spada di dolore ha trafitto, secondo la profezia di Simeone, l’anima dolcissima della gloriosa vergine e madre Maria: concedi a noi, che celebriamo con venerazione i suoi dolori, di ottenere il frutto felice della tua passione:]

Orémus.


Commemoratio Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris
Misericórdiæ tuæ remédiis, quǽsumus, Dómine, fragílitas nostra subsístat: ut, quæ sua conditióne attéritur, tua cleméntia reparétur.

[Signore, te ne preghiamo, sostieni la nostra debolezza coi rimedi della tua misericordia; affinché se per natura vien meno, dalla tua clemenza sia risollevata.]

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII:22;23-25
Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit cœlum et terram: quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri.

[Il Signore nella sua potenza ti ha benedetta: per mezzo tuo ha annientato i nostri nemici. Benedetta sei tu, o figlia, dal Signore Dio altissimo più di ogni altra donna sulla terra. Benedetto il Signore, che ha creato il cielo e la terra, perché oggi egli ha tanto esaltato il tuo nome, che la tua lode non cesserà nella bocca degli uomini: essi ricorderanno in eterno la potenza del Signore. Perché tu non hai risparmiato per loro la tua vita davanti alle angustie e alla afflizione della tua gente: ci hai salvato dalla rovina, al cospetto del nostro Dio.]

Graduale

Dolorósa et lacrimábilis es, Virgo María, stans juxta Crucem Dómini Jesu, Fílii tui, Redemptóris.
V. Virgo Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, hoc crucis fert supplícium, auctor vitæ factus homo. Allelúja, allelúja.
V. Stabat sancta María, cœli Regína et mundi Dómina, juxta Crucem Dómini nostri Jesu Christi dolorósa.


Sequentia

Stabat Mater dolorósa
Juxta Crucem lacrimósa,
Dum pendébat Fílius.

Cujus ánimam geméntem,
Contristátam et doléntem
Pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
Fuit illa benedícta
Mater Unigéniti!

Quæ mærébat et dolébat,
Pia Mater, dum vidébat
Nati pœnas íncliti.

Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si vidéret
In tanto supplício?

Quis non posset contristári,
Christi Matrem contemplári
Doléntem cum Fílio?

Pro peccátis suæ gentis
Vidit Jesum in torméntis
Et flagéllis súbditum.

Vidit suum dulcem
Natum Moriéndo desolátum,
Dum emísit spíritum.

Eja, Mater, fons amóris,
Me sentíre vim dolóris
Fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum
In amándo Christum Deum,
Ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
Cordi meo válida.

Tui Nati vulneráti,
Tam dignáti pro me pati,
Pœnas mecum dívide.

Fac me tecum pie flere,
Crucifíxo condolére,
Donec ego víxero.

Juxta Crucem tecum stare
Et me tibi sociáre
In planctu desídero.

Virgo vírginum præclára.
Mihi jam non sis amára:
Fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,
Passiónis fac consórtem
Et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,
Fac me Cruce inebriári
Et cruóre Fílii.

Flammis ne urar succénsus,
Per te, Virgo, sim defénsus
In die judícii.

Christe, cum sit hinc exíre.
Da per Matrem me veníre
Ad palmam victóriæ.

Quando corpus moriétur,
Fac, ut ánimæ donétur
Paradísi glória.
Amen.

[Addolorata e piangente, Vergine Maria, ritta stai presso la croce del Signore Gesù Redentore, Figlio tuo.
V. O Vergine Madre di Dio, Colui che il mondo intero non può contenere, l’Autore della vita, fatto uomo, subisce questo supplizio della croce! Alleluia, alleluia.
V. Stava Maria, Regina del cielo e Signora del mondo, addolorata presso la croce del Signore.]

Sequenza
Stava di dolore piena e di pianto
la Madre presso la croce,
da cui pendeva il Figlio.

L’anima di Lei gemente,
di tristezza e di dolore piena,
una spada trafiggeva.

Oh! quanto triste ed afflitta
fu la benedetta
Madre dell’Unigenito!

S’affliggeva, si doleva
la pia Madre contemplando
le pene del Figlio augusto.

E chi non piangerebbe
mirando la Madre di Cristo
in tanto supplizio?

E chi non s’attristerebbe
vedendo la Madre di Cristo
dolente insieme al Figlio?

Per i peccati del popolo suo
Ella vide Gesù nei tormenti
e ai flagelli sottoposto.

Ella vide il dolce Figlio,
morire desolato,
quando emise lo spirito.

Orsù, Madre fonte d’amore,
a me pure fa’ sentire l’impeto del dolore,
perché teco io pianga.

Fa’ che nell’amar Cristo, mio Dio,
così arda il mio cuore
che a Lui io piaccia.

Santa Madre, deh! tu fa’
che le piaghe del Signore
forte impresse siano nel mio cuore.

Del tuo Figlio straziato,
che tanto per me s’è degnato patire,
con me pure dividi le pene.

Con te fa’ che pio io pianga
e col Crocifisso soffra,
finché avrò vita.

Stare con te accanto alla Croce,
a te associarmi nel piangere
io desidero.

O Vergine, delle vergini la più nobile,
con me non esser dura,
con te fammi piangere.

Fammi della morte di Cristo partecipe,
e della sua passione consorte;
e delle sue piaghe devoto.

Fammi dalle piaghe colpire,
dalla Croce inebriare
e dal Sangue del tuo.

Perché non arda in fiamme
ma da te sia difeso, o Vergine,
nel dì del giudizio

O Cristo, quando dovrò di qui partire,
deh! fa’, per la tua Madre,
che al premio io giunga.

E quando il corpo perirà,
fa’ che all’anima
la gloria del cielo sia data.
Amen.

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann XIX:25-27.
In illo témpore: Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus Matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit Matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce Mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

[J. B. BOSSUET: LA MADONNA – DISCORSI: V. Gatti ed. Brescia, MCMXXXIV]

L’ADDOLORATA

DISCORSO I.

Dixit Jesus Matri suæ: Ecce filius tuus, mulier; deinde dicit discipulo: Ecce mater tua.

(Giov.).

Noi troviamo sempre l’amore industrioso, ma dobbiamo confessare che se ha sempre nobili gesti e generose iniziative, quando la vita è al suo termine pare diventi più ingegnoso e fecondo… le sue trovate allora, come i suoi slanci, toccano il prodigioso, il sublime. – L’amicizia fa che l’amico non possa vivere quasi, senza la compagnia dell’amico: e quando una legge fatale minaccia una separazione eterna, e strappando l’amico dal fianco, priva della sua presenza, ella fa che l’amico ancor più s’industrii di rimaner vicino all’amico nel vivo ricordo: — Flos memoriæ, lapide perennior —. Per questo gli amici legano parole ed azioni speciali ai momenti dolorosi ed alle lacrime dell’ultimo addio: e la Storia, giungendo a conoscerne qualcuna, vi fece sopra le più profonde e geniali osservazioni. Né la Storia Sacra è meno della profana; il brano d’evangelo che vi ho citato ce ne dà la prova. Giovanni l’Evangelista, che sappiamo il prediletto, tra i discepoli di Gesù, e possiamo proprio dirlo l’Evangelista dell’amore, ebbe grande premura di raccogliere le ultime parole con cui il Maestro amato volle onorare e la sua Madre e il discepolo più caro, le due creature che più aveva amato nel mondo. Quanto le dovremmo meditare queste grandi parole: di quale luce sarebbero feconde, quale e quanta materia possono prestare a pie e pratiche riflessioni! – Voglio farvi una domanda: Trovereste una cosa più commovente e cara, che il contemplare il Salvatore nostro, generoso perfino nella nudità in cui moriva sulla croce? Molte volte aveva detto che i suoi beni non eran di questo mondo, che non aveva dove posare il capo!… Eccolo confitto alla croce: ai suoi piedi l’ingordo soldato si divide le sue vesti, e getta la sorte sulla tunica inconsutile… I carnefici vogliono privarlo di tutto, perché non abbia più nulla da dare ai suoi amici… ma non dubitiamone, Cristiani, Egli non uscirà da questa vita senza lasciar un pegno prezioso della sua amicizia. – L’antichità ha segnalato il gesto di un filosofo, che in morte, non avendo nulla da lasciar con cui potesse campar la sua famiglia, lasciò in testamento i suoi figli e la loro madre agli amici. La povertà suggerì questo gesto al filosofo dell’antichità; ma al Maestro nostro divino lo suggerì l’amore ed in un modo più meraviglioso: Egli non solo dona la Madre all’amico, ma dona l’amico alla sua Madre Santa: li dona tutti e due e l’uno dona all’altra, e per l’uno e per l’altra si fa egualmente benefico: « Ecce filius tuus: ecce mater tua ». Oh, santa Madre del nostro Salvatore, noi siamo certi che queste parole, dette ultime, dal vostro Gesù, nostro Maestro, furono per consolar voi, per istruire noi! Dalla vostra assistenza e preghiera noi ci ripromettiamo di fattivamente capirle: e perché ce le facciate intendere, le parole che vi fecero Madre di Giovanni, noi vi rivolgeremo un’altra parola: quella che vi fece Madre del Salvatore: e l’una e l’altra vi furono dette in nome di Dio: l’una l’udiste dalla bocca del Figlio vostro, l’altra ve la portò il labbro d’un messaggero celeste che vi salutava, come vi salutiamo ora noi: Ave Maria! – Tra gli sprazzi di luce meravigliosi che la croce del Salvatore presenta ai nostri occhi, mi pare sia degno di speciale considerazione quello che fa osservare Giovanni Grisostomo, commentando il Vangelo di questo giorno. Egli, contemplando il Figlio di Dio presso ad esalare l’ultimo respiro, non cessa di ammirare come si domini perfino nell’agonia, e in essa, fino all’ultimo istante, ci si mostri padrone assoluto della sua parola e delle sue azioni. – Nella notte, vigilia della sua morte, dice il santo nella sua 85° omelia su S. Giovanni, suda, trema, freme tanto lo accascia la visione del suo supplizio… qui, in mezzo ai più cocenti dolori, pare quasi, non sia più Lui, ma un altro che soffre, a cui i tormenti non fanno più nulla. S’intrattiene tranquillo col buon ladrone, come senza commuoversi ascolta gl’improperi dell’altro: guarda e conosce distintamente quelli che sono ai piedi della croce, e parla a loro e li consola, e quando vede compiuto quello che da Lui aveva voluto il suo Padre celeste, gli rende l’anima con un gesto così calmo, tranquillo, libero, premeditato, che tutti possono capire che « nessuno gliela strappa la sua anima, ma Egli la dà con pieno volere ». L’assicurava già prima Egli stesso: Nemo tollet eam a me, sed ego ponam eam a meipso (C. Giov., X, 18). Che vuol dire ciò? si domanda S. Giovanni Grisostomo: come mai la visione del male lo strazia violentemente, e poi pare che la realtà lacerante non lo tocchi?Forse il piano della nostra salvezza doveva essere un insieme di forza e debolezze? Egli voleva mostrare nel timore del male che come noi era uomo sensibile al dolore, ed insieme far conoscere che colla sua volontà, ben sapeva star padrone delle sue facoltà facendole piegare davanti alla volontà del suo Padre divino. Questa la ragione che possiamo cavare dalle parole di S. Giovanni Grisostomo; ed io, ve lo confesso, non oserei aggiungere un mio pensiero se non vi fossi costretto dall’argomento che tratto.Considero il Salvatore pendente dalla croce, non solo come una vittima innocente che volontariamente si immola per la nostra salute, ma anche come un buon padre di famiglia che, sentendo prossima la sua ultima ora, dispone con testamento di tutti i suoi beni; fondo questa mia riflessione su di una verità ben nota. Un uomo è disteso ammalato sul suo letto: lo si avverte di disporre ed ordinare e presto gli affari suoi, poiché le sue condizioni sono dichiarate disperate dai medici: nello stesso tempo, benché prostrato dalla violenza del male tenta un ultimo sforzo per raccogliere le sue facoltà e dichiarare con piena coscienza la sua volontà estrema. Mi pare che qualcosa di simile abbia fatto il Salvatore nostro sul letto insanguinato della croce. Intendiamoci che non voglio dire però, che il dolore e la visione della morte abbiano potuto anche un solo istante indebolire le sue facoltà da ostacolarne l’uso più pieno e più completo… vorrei che mi si seccasse la lingua piuttosto che pronunciare tale temeraria parola! Ma siccome Egli voleva dar prova che ogni suo atto a questo riguardo veniva da matura deliberazione, proprio con volontà determinata il suo operare fu tale da palesare che in Lui non era la minima agitazione e che la sua anima era pienamente conscia a se stessa, cosicché nessuno potesse neppur tentare d’impugnare il suo testamento. – Si rivolge perciò a sua Madre ed al prediletto, discepolo con conoscenza sicura, perché sapeva che quanto loro avrebbe detto sarebbe stato una delle principali disposizioni del suo testamento: ecco svelato il segreto. Il Redentore nulla aveva, che fosse più suo di sua Madre ed i suoi discepoli; li aveva acquistati col suo sangue: ne poteva quindi disporre con pieno diritto come di una proprietà legittimamente acquistata. Purtroppo in quest’ora terribile, tutti gli altri discepoli l’hanno abbandonato, non ha più che Giovanni il prediletto, questi solo gli è rimasto vicino, ed Egli lo considera, in quest’ora suprema, come l’uomo rappresentante tutti gli uomini che sarebbero diventati suoi fedeli. È nostro dovere, fratelli, oggi dobbiamo esser pronti a far nostro ed applicare a noi, tutto quanto avverrà nella persona di Giovanni. Vedo bene, o Signore, Voi gli donaste vostra Madre, ed egli subito se la prende come cosa sua… accepit eam discipulus in suam. Comprendiamolo, Cristiani: noi abbiamo gran parte in questo pio legato: è a noi che il Figliolo di Dio dona la sua santissima Madre, mentre la dona al discepolo amato… è questo il brano del grande testamento che voglio far soggetto del mio discorso. Non pensate, che voglia qui esporre ed analizzare tutte le condizioni legali del testamento per farne un confronto esatto colle parole del Vangelo; è molto meglio che, lasciate da parte le sottigliezze di tale confronto, noi fissiamo le nostre attenzioni nella considerazione degli effetti benefici che ci derivarono da un tale testamento. Gesù guarda sua Madre, dice l’autore sacro, le sue mani sono inchiodate non può additarla col dito, la indica collo sguardo: ogni suo movimento indica ch’Egli sta per donarla a noi. La sua Madre, Egli ci dona: sarà quindi potente la sua protezione, Ella avrà grande autorità per assisterci:… Gesù stesso ce la dona perché sia nostra madre: la sua tenerezza sarà dunque pienamente materna, il suo cuore sarà pienamente inclinato a farci del bene. Ecco i due punti che svolgerò in questo discorso. – Perché possiamo esperimentare l’assistenza di una persona al trono della Maestà divina è necessario che la sua grandezza l’avvicini, gradita, al Signore ed insieme la sua bontà la abbassi a noi, Maria Madre del Salvatore è posta ben alto, presso il Divin Padre; Madre nostra, nella sua tenerezza si abbassa fino a compatire le nostre miserie: in una parola Ella può consolarci perché è Madre di Dio, e lo vuole perché Madre nostra. Conseguenza dello sviluppo di questi due punti io miro a trarne una devozione ragionata alla Vergine, che abbia una solida base di dottrina evangelica: siatemi attenti, o fratelli.

I° punto.

Tra i caratteri più belli, che la Sacra Scrittura attribuisce al Figlio di Dio è quello di essere mediatore tra Dio e l’uomo: in Lui, nella sua Persona convengono e si concilian tutte le cose: Egli forma un legame d’amore tra il cielo e la terra: il vincolo di parentela (è uomo come noi) che strinse con Noi nella incarnazione, mentre ci fa propizio il suo Padre divino ci dà facile accesso al trono della sua misericordia infinita: questa verità è la base della speranza dei figli di Dio, ed allora ecco come ragiono io. – L’unione nostra col Salvatore ci fa avvicinare confidenti alla sua Maestà divina: ora quand’Egli scelse Maria per Madre, strinse più intima e viva la sua unione con Lei; fu essa un vincolo così stretto, che né Angeli né uomini non potranno mai capirne la sublimità. E questa unione della Vergine a Dio è tale che il suo ascendente, il suo favore presso di Lui supera certamente sempre la nostra capacità di comprendere. Altro ragionamento non saprei proporvi in questa prima parte del mio discorso, ma perché possiamo penetrarla questa verità quanto ci è possibile, tenterò cavarne altre verità che ci facciano conoscere l’alleanza santa che c’è tra Gesù e Maria… ne avremo per conseguenza, che nell’ordine delle creature nessuna è più vicina alla Maestà di Dio della Vergine Maria. – Vi dico subito che mai al mondo vi fu Madre che abbia teneramente amato suo figlio più di Maria, ed insieme non vi fu figliolo amato che più di Gesù abbia amato sua Madre, più sinceramente. Osserviamo quello che accade attorno a noi, Chiedete ad una madre il perché spesso davanti ai suoi figli è presa da emozioni d’affetto tanto sensibili che ce ne accorgiamo; ella vi risponderà che il sangue non si rinnega: i figli son carne e sangue suo, per questo le sue viscere ed il suo cuore si muovono e commuovono, perché nessuno, dice S. Paolo, odiò mai la sua carne. Vero questo per tutte le madri, lo deve essere ancor più della Vergine che concependo per opera dell’Altissimo, Ella sola diede la materia al corpo di Gesù. Allora io tiro un’altra considerazione: Non vi pare, Cristiani, che la natura abbia come diviso l’amore per i figlioli tra padre e madre? Al padre, di solito, dà un amore più forte, mentre alla mamma dà un amore più tenero: e non è forse per questa ragione che quando la morte porta via l’uno o l’altro dei genitori, quello che rimane prova quasi un bisogno di raddoppiare il suo affetto e le sue cure quasi per supplire la funzione dello scomparso? Mi pare che tutto ciò si constati facilmente nella vita umana. Non dividendo Maria, Madre Vergine, con nessun uomo l’amore tenero e forte ad un tempo, che nutriva per il suo Figlio, non potremo immaginare fino a quel punto di ardore e tenerezza sia stata trasportata e quali soavità abbia provate. Però non è tutto qui quello che voglio dirvi. È vero, l’amore dei figlioli è così naturale, che bisogna rinnegare la natura per non sentirlo: ammetterete però che talvolta, certe circostanze entrano in questo amore e fanno che tocchi i più alti gradi. Abramo ad es. non credeva ormai più possibile aver figlioli da Sara, che era sterile, e poi e lui e lei ormai erano avanti negli anni e molto: Dio nella sua bontà lo visita e Sara ha un figliolo! Figliolo che Abramo avrà carissimo e che chiamerà — figlio della promessa —  il figlio che la sua fede gli aveva ottenuto dal cielo, quando ormai le leggi della natura non lasciavano più speranza: lo chiama Isacco, cioè sorriso, perché doveva essere la loro consolazione, essendo nato contro ogni speranza. E non sappiamo tutti che Giuseppe e Beniamino erano i prediletti di Giacobbe perché natigli nella sua vecchiaia e da una sposa fatta feconda sul finir della vita? Dobbiamo quindi dire che il modo col quale si hanno figlioli, specie quando è straordinario o miracoloso, li rende più cari. Ed allora chi avrà parole così forti da poter descrivere l’amore di Maria per Gesù? Rimirandolo deve certo aver esclamato ogni volta: o Dio, o mio Figlio, come mai siete mio Figlio? chi avrebbe immaginato una Vergine Madre, e madre di un Figliuolo divinamente amabile? Qual mano vi formò dentro il mio seno… come v’entraste, come ne usciste senza che rimanesse traccia del vostro passaggio? Immaginateli voi, o fratelli, questi trasporti celestiali, poiché io non mi sento capace di descriverveli… perché si deve insieme pensare che mai una Vergine fu più innamorata della sua integrità di Maria… Vedrete dove conduce questa osservazione: direi poco dicendo che il suo amore alla verginità subì tutte le prove delle lusinghe e delle promesse degli uomini, devo dire che fu sottoposta fino alla seduzione della promessa di Dio: rileggete l’Evangelo e non meraviglierete della mia frase. Gabriele si presenta a Maria e le annuncia che concepirà, nel suo seno, il Figlio dell’Altissimo, il Re, il Ristoratore del popolo eletto. Ecco la promessa di Dio. Immaginate voi ora, dimenticando per un momento la pagina di storia evangelica, che una donna si turberà a tale annunzio, e che una ragazza vergine rifiuterà tale grandezza preferendole la sua integrità? Nemmeno lo sogneremmo: ma la realtà è diversa: questa Vergine è Maria ed eccola opporre difficoltà all’Angelo: « Come sarà possibile quanto dici, mentre io non conosco uomo? » quasi avesse voluto dire È grande onore la maternità divina, ma che ne sarebbe della mia verginità? C’insegni esempio della Vergine, o fratelli, quanto dobbiamo amare la castità…. purtroppo di questo grande tesoro se ne fa poco conto, e spesso le ragazze d’oggi la danno al primo che capita e lascian che chi primo la domanda se la porti via. – A Maria si fanno le più seducenti promesse che si posson fare ad una creatura: chi le fa è un Angelo, un Angelo che parla in nome di Dio… badate bene a queste circostanze, e tuttavia Ella si turba, Ella trema, è pronta a rifiutare, a dir impossibile la cosa perché non vede salva la sua purezza, tanto la stima preziosa! Pensate col cuore, perché la mente non ne è capace, pensate alla sua gioia alle sue estasi d’amore… quando pur essendo Vergine si sentì fatta Madre da un miracolo: fu certamente quello l’istante in cui si sentì — la beata fra le donne — perché sola aveva sfuggito la maledizione che pesava sul suo sesso: la maledizione alla donna che divien madre, perché avrebbe partorito senza dolore come senza lesione della sua integrità aveva concepito. Qual estasi devono essere stati i suoi abbracci al suo Figliolo, il più amabile dei figlioli, e che Ella abbracciava e baciava suo vero Figliolo, natole senza nulla perdere del suo candore! È sentenza dei Santi Padri, e la riferisce S. Bernardo, che la materia più atta ad un abbraccio divino è il cuore verginale: e traggono tale asserzione da S. Paolo. Quale doveva essere quindi l’amore della Vergine Santa! Ella conosceva che per la sua purezza Dio l’aveva destinata a esser Madre del suo Figlio Unigenito: questo pensiero le doveva far amare ancor più la sua purezza; ma insieme questo amore doveva rendere più ardenti d’affetto gli abbracci a quel Figliolo che volendola Madre gliela aveva conservata misteriosamente. Per Lei, Gesù era il fiore sbocciato dalla sua integrità… e con quanto amore lo avrà baciato… quale ardore avranno avuto quei baci di madre e di Madre vergine! Dobbiamo aggiungere ancora qualcosa per comprendere meglio la forza di questo amore? Dagli stessi principii traggo un’ultima considerazione. L’antichità ci parla d’una delle Regine delle Amazzoni, che bramava ardentemente aver un figlio da Alessandro Magno!… ma, lasciamo da parte la storia profana, e prendiamo la pagina della storia sacra. Vi dissi che Giacobbe preferiva Giuseppe a tutti gli altri fratelli, e vi dissi una ragione: ma ve n’è un’altra: madre di Giuseppe era Rachele, la prediletta fra le spose del Patriarca… e ciò rendeva più tenero l’affetto al figliolo. S. Giovanni Grisostomo, nel suo libro del Sacerdozio, riferendo le parole affettuose con cui sua mamma lo accarezzava, segna in modo particolare queste: « Non posso staccar da te, o figlio, il mio sguardo mai, perché mi sembra che il tuo volto sia un’immagine, scolpita col fuoco, del viso di tuo padre, del mio sposo . » Questo esempio ci dice che un coefficiente d’aumento dell’amore verso i figlioli è il riscontrare in essi una somiglianza con la persona dalla quale nacquero, ed è naturalissimo. Domandiamo alla Vergine donde, da chi ebbe il suo Gesù? se vien da opera d’uomo? Oh Ella sa che la potenza dell’Altissimo la rivestì e lo Spirito Santo pose in Lei il germe celeste di vita nell’amplesso di mistiche effusioni d’amore: curvandosi sul candore del suo corpo virgineo, in una maniera misteriosa, formava Colui che sarebbe stato la consolazione d’Israele come da secoli era l’Aspettato dalle genti. – S. Gregorio così descrive la concezione del Salvatore: quando il dito di Dio compose del sangue puro e della carne immacolata di Maria, la carne ed il sangue del suo Figliolo, « la concupiscenza non osò accostarsi… da lungi stette a contemplare lo spettacolo nuovo; anche la natura s’arrestò, meravigliata nel vedere il suo Creatore e Padrone operar da solo in questa carne verginale ». Non ce lo canta la Vergine stessa, o fratelli, il grande prodigio quando ad Elisabetta risponde: Fecit mihi magna qui potens est? Ma che cosa vi fece di grande, o Vergine, l’Onnipotente? Maria non lo può dire, non lo sa dire, ma nel rapimento dell’estasi del mistero proclama che le furono fatte grandi cose! – Vedeva d’esser Madre d’un Figlio che ha per Padre Iddio… non sapeva né cosa né come fare per cantare la divina bontà, per dire l’estasi della sua maternità… d’aver Figlio suo quegli che è l’Unigenito del Padre! Vorreste allora, Cristiani, da me, povero mortale, che vi descriva la tenerezza e l’ardore dell’amore materno di Maria, quando Ella stessa non è capace di descrivere i palpiti violenti del suo cuore di Madre d’un Dio? Tutte le madri mettono, è giusto, alto sopra ogni amore il loro amore per i figlioli: hanno ragione e ce ne danno prova certi gesti materni veri eroismi: ma io però, badate bene, vi dico che più di quanto l’amore materno s’innalza sopra ogni altro amore umano, l’amore di Maria per il suo Gesù s’innalza senza confronto al di sopra di ogni amore di madre. Il perché è chiaro: madre in un modo miracoloso, in circostanze prodigiose, anche il suo amore deve avere un qualcosa del prodigioso, del miracoloso!… Noi diciamo che solo il cuore d’una madre può comprendere l’amor di madre, ed io dirò che solo il cuore della Vergine Madre saprà comprendere e misurare l’amore del suo cuore di Madre divina. Dovrei ora descrivervi l’amore di Gesù a sua Madre: ma dove posso trovar forza e parole, quando non seppi che dir qualche piccola parola per descrivervi l’amore di Maria? Io dico: quanto sotto ogni aspetto il Salvatore è più grande della Vergine sua Madre, altrettanto Egli le è buon figliolo più di quanto Ella gli sia buonissima mamma. Nulla mi stupisce di più nella narrazione evangelica, che il vedere quanto e come il Salvatore ami la povera natura umana: Egli se la prese per sé con tutti i suoi bisogni con tutte le sue debolezze, tranne il peccato: nulla stima indegno di sé: dalle piccole necessità alle grandi pene. – All’Orto degli Olivi lo vedo in preda alla tristezza più nera, al timore ad un’angoscia tale che alla visione del suo sacrificio suda sangue; fatto inaudito: perché io credo che nessuno mai ebbe né la delicatezza né la forza del sentire del Salvatore. Ah mio Maestro, voi assumeste generosamente i sentimenti di debolezza umana, che pur sembravano indegni della vostra Persona, e li assumeste tali e quali, e tutti i sentimenti nostri. Allora se è certissimo che nessun sentimento è più giusto, spontaneo, più naturale dell’amore dei figlioli ai genitori, quale sarà l’amor vostro per la Vergine quando la mirate scelta a vostra Madre dalla eternità? promessa e santificata nel tempo, preannunziata con simboli e figure al vostro popolo voi, suo Figlio e suo Dio, ve la sceglieste perché più cara e bella fra tutte le creature! A questo proposito, fratelli miei, oso affermarvi una cosa che non è meno vera di quanto vi possa sembrare straordinaria, anzi strana. Tutta la gloria di cui è circondata la Vergine le viene dall’essere Madre del Salvatore: è certissimo: ma io oso dirvi, che al Salvatore nostro Gesù viene grande gloria nell’esser figlio di una vergine. Badate, fratelli, che non mi passa neppur nella mente di voler con questa affermazione menomamente sminuire la grandezza del Cristo Salvatore: ma quando odo i Santi Padri chiamar, sicuri di onorarlo, il Salvatore figliolo della Vergine, non posso più dubitare: essi, nella loro scienza e pietà, sentivano che un tal titolo riusciva caro e d’onore a Gesù. S. Agostino dice una cosa, che a me pare abbia grande importanza, e dà grande valore al mio pensiero. Dice infatti che la concupiscenza, sempre mescolata come sapete all’atto della generazione comune, inquina così la massa di materia che riunisce per formarne il corpo umano, che la carne nostra porta in sé sempre il germe d’una corruzione necessaria. Non insisto nel dilucidare questa verità, che noi troviamo in moltissimi punti negli scritti di S. Agostino. Se dunque questo commercio generativo cui si unisce un non so che d’impuro, trasmette nei nostri corpi un miscuglio d’impurità, potrò per contrario affermare che il frutto d’una carne verginale trarrà da questa radice pura una purezza senza confronto: e questa conseguenza mi pare logica deduzione dei principii affermati da S. Agostino. « Perché il corpo del Salvatore doveva essere più puro del più puro raggio di sole, dice il Santo, si scelse una madre vergine fin dalla eternità ». Poiché era necessario che la carne del Redentore fosse, per così dire, abbellita dalla purezza di un sangue verginale, per esser degna d’esser unita al Verbo divino e presentata all’eterno Padre come vittima palpitante delle nostre colpe. La purezza di questa carne sgorgò in parte da quella purezza, di cui lo Spirito Santificatore inondò il corpo della Vergine, quando, affascinato dal profumo della sua inviolata integrità, la santificava con la sua presenza e come tempio vivo la consacrava al Figlio del Dio vivente. – Riflettete ora con me o fratelli: Il Salvatore nostro è il casto amante delle anime vergini, e si tiene onorato che lo chiamino il Figlio della Vergine, vuole esser circondato da vergini, vuole che anime vergini gli sian portate: esse sole seguiranno questo Agnello senza macchia dovunque andrà. Ma se tanto ama i vergini di cui col suo sangue purificò l’anima ed il corpo, quale tenerezza non avrà per la Vergine scelta dalla eternità per trarre da lei e la sua carne e il suo sangue? – Concludiamo: l’amore reciproco tra Gesù e la sua Vergine Madre supera la nostra capacità di comprendere… solo molto grossolanamente noi possiamo capire questo vincolo meraviglioso! noi! ma credetemelo, gli stessi serafini che ardon d’amore davanti al trono di Dio, non saprebbero neppur essi comprendere e l’ardore e la veemenza delle fiamme che legano i cuori di Gesù e di Maria. Siccome alcuno potrebbe pensare che sorgente di questo amore non sia che il vincolo materiale della carne, io, come promisi, vi mostrerò, e con facilità, usando delle asserzioni già fatte, quali vantaggi abbia ritratti la Vergine dalla sua unione con Dio per il fatto della sua maternità! Da questo, voi potrete, e da soli, io credo, concludere quale debba essere il suo ascendente sul cuore del Padre Celeste. – Considerate subito, vi prego, che l’amore di questa Vergine di cui ho parlato fin qui, non si ferma al suo Figlio in quanto uomo, cioè alla sua umanità… ma va più avanti, e sale più alto: ha un ponte di collegamento e passa alla natura divina da cui la natura umana, nel Cristo, è inseparabile. Perché comprendiate il mio pensiero, devo spiegarvi, come pregiudiziale, una dottrina… spiegazione nella quale bisogna proceder molto cauti e con piede di piombo per non cadere nell’errore: m’aiuti il Signore perché ve la possa mostrare tanto precisa e chiara quanto essa è dottrina sicura. Ecco come ragiono: una buona mamma ama col suo figliolo e per il suo figliolo tutto quanto riguarda la sua persona; va anche più avanti talvolta, ed ama gli stessi amici del figlio suo, e tutte le cose sue: però la tenerezza più tenera, diciamo così, è rivolta alla sua persona. Ora vi domando: Quale rapporto c’era tra la divinità e il Figlio di Maria? quale contatto aveva colla sua persona? Le era estranea? Non intendo far qui una discussione speciale: interrogo soltanto la vostra fede e vi chiedo che cosa vi risponda. Recitando il credo ogni giorno voi affermate di credere in Gesù Cristo Figlio di Dio che nacque da Maria Vergine; ora: sono due persone il Figlio di Dio e Colui che affermate nato da Maria Vergine? Certamente, voi mi dite di no: è lo stesso, mi rispondete, che essendo vero Dio, per la sua natura divina è anche vero uomo per l’umanità che trasse dalla Vergine: perciò voi accogliete la voce dei Padri e dite che la Vergine è Madre di Dio. È questa la fede, che trionfò dell’eresia di Nestorio e che farà tremare l’Inferno fino alla fine dei secoli. Ed allora chi vorrà opporsi alla mia affermazione quando dico che la Vergine ama il suo Gesù, tutto intiero, così come è realmente, lo ama quindi ed accarezza Uomo-Dio? È vero non vi è sulla terra nulla di simile, ed io sono quindi costretto ad innalzare la mia mente cercando un esempio in seno all’Eterno Padre. Siccome nel Cristo l’umanità fu unita alla divinità nella Persona del Verbo, divenne necessariamente oggetto dell’amore e della compiacenza del Padre. Sono verità profondissime lo so; ma esse sono la base fondamentale del Cristianesimo ed è pur necessario che tutti i Cristiani le conoscano le sappiano: però io non voglio presentarvele senza addurre le prove della Santa Scrittura. Ditemi, fratelli, quando sul Tabor s’intese la voce misteriosa: « Questi è il mio Figliol diletto nel quale ho posto le mie compiacenze » di chi parlava il Padre divino, se non del suo Verbo, Dio uguale a Lui, vestito di carne umana, che gli Apostoli contemplavano estasiati splendente come un sole? Mi pare questa una prova autentica che l’amor del Padre per il suo Verbo s’estende anche alla umanità del Cristo che strettamente unita alla divinità non può essere messa da parte dall’amore del Padre celeste! Ed è qui che s’appoggiano e fondano le nostre speranze: poiché considerando Gesù Cristo uomo come noi, lo confessiamo e crediamo, come Egli si affermò, Dio uguale al Padre, e da Dio Padre conosciuto ed amato come Figlio! Non scandalizzatevi se vi affermo qui che qualche cosa di simile avviene anche nell’amore della Vergine per il suo Figlio. Essa ama, in un solo palpito, e l’umanità e la divinità nel suo Gesù, in cui l’onnipotenza divina le unì inseparabili. Dio avendo stabilito, nei suoi misteriosi disegni, l’incarnazione, decretando che una Vergine avrebbe generato nel tempo quegli ch’Ei genera in seno all’eternità, chiamò questa Vergine a partecipare in un cerio modo alla sua generazione eterna. Associarla alla generazione eterna altro non era, o cari, che farla Madre del suo Verbo! Siamo nel mistero… ma non nell’assurdo, o Cristiani! Ora, associatala il Padre, alla generazione con cui nell’eternità genera il Figliolo, doveva lo stesso divin Padre accendere nel cuore della Vergine una scintilla di quell’amor eterno, infinito, con cui Egli Padre ama il suo Figliolo; lo esigevano e la sua sapienza e il suo amore. Siccome la sua Provvidenza dispose tutte le cose con una giustizia mirabile, doveva anche accendere nel cuore di Maria un amore che passando ben alto sulla natura toccasse i limiti estremi della grazia, perché questo amore avesse palpiti degni d’una Madre di Dio, e di un Dio-Uomo. – O Vergine cara, se anche avessi la mente d’uno spirito celeste, io non giungerei mai a comprendere quale sia l’abbraccio perfetto con cui il Padre celeste vi strinse ed unì a Sè. « Dio amò tanto il mondo, osserva l’Apostolo, che diede a lui il suo Unigenito ». E S. Paolo commenta: « Dandoci il suo Figliolo ci diede con Lui ogni altro bene » (Romani, VIII). – Se l’amore del Padre per noi ci fece dare Gesù come Maestro e Salvatore, l’amore indescrivibile che aveva per Voi, o Vergine, deve avergli fatto concepire altri piani di benevolenza in favor vostro! Volle che il suo Unigenito fosse e suo e vostro allo stesso modo: e perché la parentela tra Voi e Lui, durasse eterna, volle voi Madre del suo Unigenito e sè Padre del vostro Figliolo. – Prodigio, abisso di carità, qual mente non si sentirà smarrire contemplando le divine compiacenze di cui foste oggetto, o Maria, quando così da vicino vi stringete a Dio per questo Figlio e vostro e suo che diviene il nodo infrangibile di questa santa alleanza, il pegno del mutuo amore che amorosamente vi scambiate e Dio dà a Voi, pieno della divinità impassibile, Voi, per obbedirgli, date a Lui rivestito di carne mortale!? Ah intercedete per me, per tutti questi miei fratelli, per tutti o Vergine beata… voi tenete nelle mani la chiave delle beneficenze divine! È il vostro Gesù questa chiave benedetta che apre il seno fecondo del Padre celeste: Egli solo chiude e nessuno può aprire, apre e nessuno potrà chiudere mai…: il suo Sangue innocente fa piovere su di noi ogni tesoro di grazie celesti! E chi potrà aver diritti su questo Sangue di benedizione più di voi, che glielo donaste traendolo dal vostro? La Carne sua è vostra, il Sangue suo è vostro, o Maria, e mi pare che questo Sangue prezioso goda sgorgando a larghi fiotti per Voi là sulla croce, sapendo che siete voi la sorgente prima da cui scaturì. E poi… l’amicizia intima della vostra vita con Lui, dice che è impossibile che voi non siate esaudita! Per questo il vostro devoto S. Bernardo si sente sicuro, nella sua preghiera, quando vi dice di parlare al cuore del nostro Signore Cristo Gesù! Cosa intende, il Santo dottore, con questa frase: parlare al cuore? Egli considera la Vergine come eterno meriggio cioè nell’ardore di una perfetta carità nell’amplesso misterioso col suo Gesù «in meridie sempiterno, in secretissimis amplexibus amantissimi Filii ». La considera e vede amare e riamata… sa che, le altre passioni parlano all’orecchio, solo l’amore parla al cuore… ed allora si sente di poterla con sicurezza scongiurare di parlare al Cuor di Gesù, suo Figlio. Ah, fratelli cari, quante volte questa tenera Madre parlò al cuore del suo Diletto!… parlò al cuore là a Cana quando, commossa dalla confusione dei due poveri sposi, cui veniva a mancare il vino del banchetto di nozze, lo sollecitò a trarli d’impiccio. Veramente, dalle parole, il suo Gesù non parrebbe tanto disposto ad ascoltarla… ma il suo cuore era già piegato: « Che importa di ciò a te ed a me, o donna? Non è ancor venuta la mia ora! » È tanto cruda questa frase, che tutti, tranne Maria, l’avrebbero considerata un rifiuto: Maria non se ne dà per intesa e comanda ai servi di stare agli ordini di Gesù — fate quello che vi comanderà — tanto era certa che l’avrebbe ascoltata. Vorreste dirmi, donde possa venire tanta confidenza, dopo tale risposta? Io penso che Maria era sicura perché sapeva d’aver parlato al cuore quindi non si curò di quanto le rispondeva la bocca: né si ingannò, ed il Figlio di Dio, come dice bene S. Giovanni Grisostomo, pensò ch’era meglio anticipare la sua ora davanti alla preghiera di sua Madre. Preghiamola dunque, o fratelli, che parli per noi e molto al Cuore del suo Gesù, dove le sue parole trovano un’eco fedele di corrispondenza e l’amor filiale s’avanza per ricevere l’amor materno… anzi preverrà i desideri suoi. Non vi accorgete, che il vino manca? il vino nuovo della legge nuova la carità di cui l’anima cristiana dovrebbe essere inebriata? Ecco perché le nostre feste sono così tristi, ed abbiamo così poco gusto al cibo celeste della parola di Dio! Ecco perché vediamo divisioni e partigianerie da ogni lato… Il Signore, davanti all’ostinato nostro rifiutare d’unirci, cordialmente amando, alla sua infinita bontà, si vendica e fa che proviamo tutta la sventura di mille lotte intestine. Vergine amabile, impetrate per tutti la santa carità, che Madre di pace, consola, conforta riconcilia gli animi. La nostra confidenza in voi è grande perché siamo persuasissimi che, Madre di Dio, avete grande potere, e Madre nostra non potete sopportare che i vostri figli rimangano delusi, quando sperano le carezze feconde della vostra tenerezza. Tratteremo questo nel

II° punto.

Con diritto, pregando, noi invochiamo la Vergine santa: Ella è madre di tutti i fedeli! è una eredità sacra che ci venne dai nostri padri, passando da generazione a generazione. Ci insegnarono essi, che, essendo il genere umano caduto in rovina eterna per opera d’un uomo e d’una donna, Dio aveva predestinati un’Eva nuova ed insieme un novello Adamo perché ci togliessero dalla morte riportandoci alla vita. Da questa dottrina universale dei Padri della Chiesa, trarrò con facilità questa conclusione: come la prima Eva fu la madre dei morti, così la seconda Eva, la Vergine Maria, dovrà essere la Madre dei viventi, cioè dei fedeli. Questa affermazione, la posso ben confermate con una frase scultoria di S. Epifanio, il quale assicura che la prima Eva era stata chiamata la Madre dei viventi, nel genesi in enigma, in quanto era simbolo della seconda Eva, cioè Maria, madre dei richiamati alla vita dal Cristo. Non occorre proprio, ma lasciatemi aggiungere una frase del grande Agostino, togliendola dal suo libro — Della santa verginità — dove insegna che la Vergine è Madre secondo il corpo, del Salvatore che è nostro capo; secondo lo spirito poi è Madre dei fedeli che sono le sue membra: « Carne mater Domini nostri, spiritu mater membrorum eius ». Ma io sono costretto a riassumere in poche parole quanto avevo proposto, per non dilungarmi troppo a danno del restante della funzione sacra, lascio da parte altre citazioni, che numerose potrei togliere dai Santi Padri su questo argomento, e senza esaminare i titoli per i qui la Vergine è con diritto chiamata nella tradizione ecclesiastica la Madre dei fedeli, cercherò solo mostrarvi, e basterà a persuadervi, che ci è Madre per sentimento, cioè perché Ella ha per noi una vera tenerezza e cura materna. Per comprendere, seguite, vi prego, il mio ragionamento, basato sull’insegnamento della Chiesa e la dottrina dei Padri ed anche io ve lo provai benché brevemente, ché Maria è proprio nostra Madre, domando quando cominciò ad aver questa qualità.  Voi mi dite che molto facilmente fu là sul Calvario quando Gesù morente Le diede S. Giovanni per figliolo. Non avete torto, e veramente vi è tutta la probabilità immaginabile, poiché, ve lo dissi in principio di questo discorso e ve lo ricordo ora, S. Giovanni, condotto dalla mano di Dio ai piedi della Croce, vi tenne la rappresentanza di tutti i fedeli, anzi diedi anche una ragione, che non mi parve senza prova: cioè che mentre tutti gli altri discepoli paurosi s’eran squagliati, la Provvidenza ritenne solo il discepolo prediletto, perché egli ricevesse per sé e per gli altri le ultime volontà e parole del Maestro. E davvero bisognerebbe mancasse la ragione, per negare che il Figlio di Dio, le cui azioni e parole in quelle misteriose circostanze erano tanto importanti, in tale momento non abbia solo considerato Giovanni come individuo: quindi ci sentiamo in diritto di dire che ci rappresentava tutti, e per tutti egli raccolse le parole che a lui, come a nostro rappresentante, erano dirette; anzi sentiamo che in nome nostro ex illa hora accepit eam in suam, la Vergine divenne quindi la nostra Madre, in quell’ora.Accettato questo, io faccio un’altra domanda.Qual è la ragione per cui il Salvatore attendequest’ora suprema per darci come figliuoli allaVergine Maria?Potreste rispondermi che ebbe compassione diuna Madre desolata che perdeva il migliore tra ifiglioli degli uomini, e quindi la consolò col darleuna posterità perpetua. È una ragione bella ed anchebuona. Io ne avrei però un’altra che forse nonvi dispiacerà. Io credo che fosse idea del Figlio diDio di scegliere quest’ora per instillare in Lei unatenerezza di madre. -Forse vi pare un po’ ardita la frase: ma a me non pare molto staccata dalla supposizione. Aipiedi della Croce Maria vedeva il suo Figliolo copertodi piaghe, colle braccia aperte e distese ad un popolo incredulo e senza compassione, vedevacolare per il corpo dalle vene lacerate… oh ci potrà descrivere il sussulto del suosangue materno? Certamente, mai come in quegliistanti si sentì madre… erano le pene atroci del Figlio che glielo facevan sentire più vivamente! Che farà il Salvatore?… Vediamo s’Egli conosce il segreto di svegliare efficacemente affetti nuovi! Quando l’animo nostro è scosso da una passione circa un oggetto, per la stessa tensione convulsa rimane disposto a sentire più vivamente tutte le emozioni che possono esservi provocate da altre cause. Se, ad esempio, siete sotto l’azione della collera, molto difficilmente coloro che vi avvicinano, in quei momenti, benché non ne abbian colpa, sfuggiranno agli effetti della collera vostra! È per questo  che nelle sommosse del popolo, un uomo astuto che sappia sfruttare il momento domina e guida i furori della folla fino a spingerli là dove la folla non avrebbe pensato: fatto che rende pericolosissimi i tumulti popolari. Quel che dico della collera ditelo delle altre altre passioni: quando l’anima è emozionata, basta indirizzarla ad un oggetto, benché diverso da quello lo commosse, che subito vi aderisce perché lo stato di eccitazione e ipersensibilità in cui trovasi la rende estremamente facile ad ogni impressione. Per questo il Salvatore, avendo deciso di darci a madre la Madre sua, per esser in tutto nostro fratello (ammiriamo tanto amore, o Cristiani!) vedendo dall’alto della sua Croce come l’anima di sua Madre era intenerita dall’amore ed il suo cuore straziato le riempiva gli occhi di un torrente di lacrime amare, quasi l’avesse atteso, scelse quel momento e le disse, additandole Giovanni, il divino comando: Donna, ecco il tuo figlio! Queste le parole, o fedeli miei: ma penetriamone bene il significato profondo se ci riesce: Donna, le dice, o donna afflitta cui un amore funesto fa sentire fino dove può giungere la forza dell’amore materno, questa tenerezza che inonda l’anima vostra, satura di strazio, e che voi avete per me, abbiatela per il mio Giovanni, il discepolo di predilezione: abbiatela per tutti i miei fedeli che in lui vi presento poiché tutti sono miei discepoli, tutti miei prediletti: Ecce filius tuus! Dovrei dirvi quanto queste parole uscite dal cuore del Figlio penetrassero profonde nel cuore della Madre, e quale impressione vi segnassero… ma vi rinuncio! e chi mai se ne sentirebbe capace? Pensate appena che chi parla è Colui che tutto compie colla sua parola onnipotente, che, se dovunque efficace, doveva esserlo meravigliosamente sul cuore di sua Madre… e per renderla per così dire più forte, la imporporò del suo sangue, la gridò come lamento di un morente vicino a render l’ultimo respiro! Pensate come tutto questo cooperò a farla scendere più profondamente fattiva nel cuore della Vergine. Bastò che dicesse a Giovanni l’« Ecce mater tua », perché subito il cuore del discepolo ardesse di amore filiale e — accepit eam discipulus in sua — quanto più prontamentela parola del Salvatore scendendo nel cuore di Maria vi avrà svegliato improvviso e violento l’amore per noi come per suoi veri figlioli! Passa in questo momento alla mia mente la visione di quelle madri che si fanno aprire il seno per introdurre nel mondo i figlioli quasi per forza. Qualcosa di simile accadde a Voi, o Vergine Maria! Fu attraverso il cuor vostro che ci generaste alla vita, poiché ci generaste nell’amore: Cooperata est charitate ut filii Dei in Ecclesia nascerentur, dice S. Agostino. Ed io oso affermare che queste parole che suonavan come l’ultimo addio del vostro Gesù spirante, penetrarono nel cuor vostro come una lama tagliente che penetra fino al fondo, con uno strazio indicibile che si mutava in palpito di amor materno per tutti i fedeli. – Noi siamo, dobbiamo dirlo, i figli nati da un cuore spezzato dalla violenza di uno strazio senza misura! Vedendo i Cristiani davanti a voi, o Vergine, io credo vi risuoneranno al cuore le parole ultime del vostro Gesù e le vostre viscere contorte dal dolore e dall’amore si muoveranno ad amore e compassione per noi come per i nati dal vostro patire. Non solo: noi siamo, per il vostro cuore, immagini vive del Figliolo che tanto amaste e di cui lo Spirito Santo scolpisce la fisionomia nell’anima dei fedeli, e ci amate, ma ci amate di più, perché essendo noi Cristiani ci vedete imporporati dal Sangue del Cristo, che mentre ci rende purificati segna in noi i lineamenti viventi del Salvatore. – Questa dottrina, che tolgo dalle Scritture, oltreché capace di eccitarci a virtù, illumina di una luce più viva la verità che io tratto; perciò ve la propongo. Da S. Paolo io imparo, e quanto vi dico merita più viva la vostra attenzione, che tutti i Cristiani, la cui vita corrisponda alla professione di fede che fanno, portano impressi nell’anima i lineamenti del Salvatore al naturale. Vivere da Cristiani altro non è che conformare le proprie azioni agli insegnamenti del Figlio di Dio. Ma la dottrina del Salvatore non è altro che la riproduzione della sua vita: la dottrina è copia, Egli è l’originale. In questo si differenzia dagli altri maestri perché  essi solo si sforzano a ben vivere (sarebbero infatti ben temerari se tentassero porre le loro azioni come norma di vita buona!) e quindi essi cercano creare buone e belle idee che pongono come norma sulla quale essi, non sempre, cercano modellare il loro vivere. Il Figlio di Dio no: Egli venne mandato nel mondo per essere modello della più alta perfezione: i suoi precetti sono la ripetizione delle sue azioni, le cose che insegna prima le pratica, la sua parola non è che il ritratto della sua condotta. « Coepit facere et docere ». Qual è l’azione dello Spirito santificatore nell’anima del Cristiano? Non fa che indurla a far sì che la sua vita sia la traduzione quotidiana e pratica dei precetti e dei consigli evangelici: cosicché adagio adagio la dottrina del Maestro passi nella vita e nelle azioni, nelle parole e nei costumi del suo seguace che diventa, per così dire, il vangelo vivente! Tutto in lui rivela il Maestro da cui apprese le lezioni e lo spirito, e penetrando dentro alla sua anima voi ritrovate in essa pensieri ed affetti e modi d’operare del Salvatore nostro e Maestro, È questo che commuove la Vergine! Ve lo posso ben provare recandovi un esempio che tolgo dalla vita di famiglia. Voi vedete talvolta una madre sventurata accarezzare in un modo più appassionato un ragazzo senz’altra ragione che questa: assomiglia al suo! Gli occhi, la bocca, le mani, il suo modo di camminare di ridere di parlare… sono proprio quelli del suo figliolo! E le madri sono d’una intuizione speciale per scorgere anche la più piccola somiglianza coi loro figlioli. E che è questo se non un dilatarsi, parliamo così, dell’amore di una madre, che non sazia d’amar il suo figliolo nella sua persona, lo va a cercare dovunque ne trova una linea di somiglianza? Se un abbozzo, diciamo, tanto commuove le madri, cosa dovrò dire della Madre nostra Maria quando nell’anima nostra contempla i tratti della infinita bellezza del suo Figlio segnatevi dal dito dello Spirito santificatore? Ma v’ha di più: non solo noi siamo le immagini vive del Figliolo di Dio, noi siamo ancora sue membra: ossa delle sue ossa, carne della sua carne, come dice, con frase energica, S. Paolo: con lui noi formiamo un corpo di cui Egli è il capo noi le membra: siamo suo corpo, il suo compimento, e questo, come insegna lo stesso Apostolo, ci unisce così a Lui, che chiunque ama il Salvatore deve necessariamente e dello stesso amore amare tutti i Redenti. – È questo il fatto che attira potente gli affetti della Vergine su di noi così, che nessuna madre può eguagliarla nell’amore… Verità, o Cristiani, che potrei eloquentemente dimostrarvi se non fossi pressato dalla necessità di por fine a questo discorso. A convincervene non faccio che richiamarvi brevemente alcune delle affermazioni che vi dimostrai nella prima parte e che dovete aver dinnanzi per ben capire quanto ancora ho da dire. Vi dissi che la maternità della Vergine non ha esempi sulla terra quindi neppure ha l’eguale l’amore di Lei per il suo Figlio, e come Maria abbia l’onore d’aver un Figlio che non ha altro Padre che il Padre celeste, Dio: quindi noi lasciammo da parte ogni confronto colla natura, e la misura del suo amore la cercammo nel seno dello stesso Padre Eterno. Siccome poi nel Cristo la natura umana è così stretta al Verbo Unigenito, da non poterla separare, il Padre estende il suo amore all’umanità stessa del Salvatore, e dell’Uomo-Dio fa l’oggetto delle sua compiacenze, come riferiscono le Scritture citate. Allo stesso modo e per la stessa ragione la Vergine abbraccia stringe in un unico amplesso d’amore l’umanità e la divinità del suo Figliolo, che l’unione ipostatica rende in Lui inseparabili. Sono queste le verità sulle quali abbiamo basata l’unione di Maria con Dio. – A questa ne aggiungo un’altra e subito vi dico che il Divin Padre ama noi dello stesso amore di cui ama il suo Unigenito: sarei audace in questa affermazione, se non la trovassi sulla bocca stessa del Salvatore, riferitaci dal discepolo dell’amore, che ci dice che Gesù così pregò: « Dilectio qua me dilexisti in ipsis sit, et ego in eis », quasi dicesse: — Padre io sono in essi perché sono le mie membra, prego voi che abbiate per esse l’amore che avete per me. — Parole d’ineffabile carità! – Gesù Salvatore nostro non può sopportare che siamo separati da Lui, pare quasi tema che il suo Padre faccia qualche differenza tra Lui capo e noi membra, mentr’Egli vuole che uno stesso amplesso d’amore stringa e il Maestro ed i discepoli. – Che possiamo concludere da questo per provare l’amore della Vergine per noi? Siccome, lo abbiamo detto, la Vergine modella il suo amore per il Cristo sull’amore del divin Padre, essendo la madre migliore, che possa immaginarsi sulla terra, estenderà il suo amore a tutto ciò che ha attinenza colla Persona del suo Figliolo. E noi siamo così uniti col Salvatore che a stento può immaginarsi unione più stretta: Egli è in noi e noi in Lui… cosicché ogni Cristiano fedele alla sua professione di fede si può dire che è un altro Gesù Cristo: se siamo veri Cristiani, siamo altrettanti Gesù: è punto capitale della dottrina cristiana questo. Stretti così al Cristo, il divin Padre che distinse tutti gli esseri, in una mirabile varietà, non ci distingue più dal nostro Capo e Salvatore, ma volentieri sparge su noi tutte le tenerezze del suo amore paterno, e Maria, modellando sull’amore del Padre il suo cuore, ci ama di tutto l’amore tenero che esige la sua qualità di Madre del Cristo. Su dunque, fedeli, su accorrete confidenti alla Vergine, essa non farà più distinzione tra noi ed il suo Gesù; ci considererà — carne della sua carne, ossa delle sue ossa — come dice l’Apostolo, come persone sulle quali e nelle quali colò e si sparse il suo sangue… ci considererà come altrettanti Gesù! Misura e norma dell’amor suo per noi il suo amore per Gesù suo Figliolo… non temiamo dunque d’invocarla nostra Madre. Ella si mostrerà degna di questo gran nome. – Se non mi inganno, questo è quanto io mi ero proposto di provare in questa seconda parte del mio discorso. Lodiamo insieme il Signore che ci concede di additare le vere basi della devozione sincera alla gran Vergine, basi eminentemente cristiane perché tolte dalla Scrittura e dalla tradizione della Chiesa! Bisogna però star in guardia perché questi ragionamenti destinati a svegliare in noi una devozione confidente a Maria, non producono una certa devozione che genera una confidenza temeraria dalla quale spiriti leggeri si lasciano ciecamente e facilmente trasportare, Avete ben visto, in quanto vi esposi, che la vera devozione alla Vergine non può mai essere separata da una vera vita cristiana. Purtroppo, vi sono molti che confondono la devozione a Maria, con una certa pratica superstiziosa, e si credono devoti suoi, perché fanno certe cose in suo onore, che mescolano ai disordini ed alle licenze dei loro costumi. Se alcuno tra voi credesse di esser in tal modo devoto della Vergine, sappia che Ella rigetta nauseata le preghiere che vengono da un cuore lontano dal suo Gesù! Invano cerchereste rendervela propizia con inchini ed ossequi; inutilmente la invochereste madre con una falsa e finta pietà! Avreste mai l’audacia di credere che il suo latte virginale possa colare su labbra sozze di peccato? Ch’Ella voglia abbracciar il nemico del suo Gesù con quelle braccia stesse con cui lo cullò nella sua infanzia? … e vi voglia porre fratelli, amici a giocare col suo Gesù mentre gli siete nemici? Sappiate, sappiano tutti questi disgraziati, che il suo cuore si ribella e la sua faccia si copre di rossore e confusione sentendosi da essi chiamata madre! Non dobbiamo Pensare, o fratelli, che Maria tutti e subito ci accetti e consideri suoi figlioli: bisogna passare per una prova, e difficile, prima di aver tal nome. Sapete cosa fa la Vergine quando alcuno la chiama mamma? Lo porta alla presenza del Salvatore, e vede se gli assomigli; perché se le è figlio deve essere un altro Gesù Cristo! – Anche tra gli uomini i figlioli portano impresso nelle carni le tracce di cose che impressionarono le loro madri: Maria è completamente ricolma del Salvatore Gesù: Lui è signore del suo cuore, Lui l’oggetto dei suoi desideri, Lui solo tutto occupa e la sua mente ed il suo cuore. Come potrebbe mai pensar suo figlio chi non abbia qualche tratto di somiglianza con Gesù!? – Quindi se dopo questo confronto diligente non trova alcuna somiglianza, scaccia indignata dalla Sua presenza dicendo che non ha nulla da dare, né da chiedere per costui al suo Figliolo, che anzi… « mi sei insopportabile anche colla sola presenza » gli dice! Quale confusione, Cristiani, quale sventura esser insopportabile ad una Madre tanto buona! – Se invece, facciamo esempi pratici, Le si presenta una persona che durante pubbliche sventure e crisi, come sono quelle che attraversiamo noi, davanti a tanta povera gente, ridotta all’estremo della miseria, si sente intenerire ed allarga il cuore e la mano per sollevare e confortare le miserie del povero e del sofferente, « oh, dice subito, costui ha imparato da Gesù che non rimase mai indifferente davanti a chi soffriva ». «Io ho compassione di questa folla » disse, e nello stesso tempo si faceva dare dai suoi Apostoli per essa quel che avevano in serbo per sé, e quel poco pane miracolosamente lo moltiplicava per sfamar quella gente. Le si presenta un individuo sul cui viso è la modestia, che se ne sta raccolto davanti al Signore, e se gli si parla di quanto riguarda la gloria del Signore non va a cercar scuse e pretesti, ma subito vi si dedica con ardore… « Come è amabile!» dice. Anche il mio Gesù alla sua età era così raccolto davanti a Dio, anche Lui a dodici anni lasciò me e il mio Giuseppe, e tutti gli amici, per occuparsi delle cose che erano del suo Padre celeste! – Quando, in modo speciale, vedrà un’anima che è tutta cura nel custodire la purezza della sua carne, della sua mente, del suo cuore, e non ama che caste delizie ed innocenti amori… « Gesù è padrone del suo cuore, dice, e ne fa la sua dimora preferita. Parlate a questo Cristiano una sola parola impudica… è un colpo di pugnale al suo cuore, subito si arma del pudore e corre alle difese! Ecco un vero Cristiano, un vero figlio della Vergine… Ella gode di lui, se ne gloria, se ne vanta! Con quale gioia lo presenta al suo diletto che si delizia soprattutto delle anime pure! Eccitiamoci dunque, o fratelli, eccitiamoci tutti ad un amore sempre più vivo e pratico alla purità, in modo speciale coloro che si sono consacrati a Lei nelle sue congregazioni nella vostra congregazione. Il vostro zelo ha ornato magnificamente questa chiesa in cui celebriamo le grandezze della Maestà divina… Ricordate, però, che abbiamo un altro tempio da ornare, tempio in cui abita Gesù e si riposa lo Spirito del Signore: è il tempio del nostro corpo: santificato dal Salvatore: voi dovete rispettarlo; lo lavò del suo Sangue dovete tenerlo mondo da ogni sozzura: lo consacrò facendolo tempio dello Spirito Santo perché voi l’ornaste di purezza, di innocenza, di virtù qui in terra, ed Egli l’ornerà di gloria e d’immortalità nel regno del Padre. ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Jer XVIII:20
Recordáre, Virgo, Mater Dei, dum stéteris in conspéctu Dómini, ut loquáris pro nobis bona, et ut avértat indignatiónem suam a nobis.

[Ricordati, o Vergine Madre di Dio, quando sarai al cospetto del Signore, di intercedere per noi presso Dio, perché distolga da noi la giusta sua collera].

Secreta

Offérimus tibi preces et hóstias, Dómine Jesu Christe, humiliter supplicántes: ut, qui Transfixiónem dulcíssimi spíritus beátæ Maríæ, Matris tuæ, précibus recensémus; suo suorúmque sub Cruce Sanctórum consórtium multiplicáto piíssimo intervéntu, méritis mortis tuæ, méritum cum beátis habeámus:
[Ti offriamo le preghiere e il sacrificio, o Signore Gesù Cristo. supplicandoti umilmente: a noi che celebriamo. in preghiera i dolori che hanno trafitto lo spirito dolcissimo della santissima tua Madre Maria, per i meriti della tua morte e per l’amorosa e continua intercessione di lei e dei santi che le erano accanto ai piedi della croce, concedi a noi di partecipare al premio dei beati:]


Commemoratio Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris

Hæc hóstia, Dómine, quǽsumus, emúndet nostra delícta: et ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[Questa offerta, Signore, ci purifichi dai nostri peccati: e consacri il corpo e l’anima di noi tuoi servi, perché possiamo celebrare questo sacrificio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Felíces sensus beátæ Maríæ Vírginis, qui sine morte meruérunt martýrii palmam sub Cruce Dómini.

[O Signore Gesù Cristo, il sacrificio al quale abbiamo partecipato celebrando devotamente i dolori che hanno trafitto la vergine tua Madre, ci ottenga dalla tua clemenza il frutto di ogni bene per la salvezza:]

Postcommunio

Orémus.
Sacrifícia, quæ súmpsimus, Dómine Jesu Christe, Transfixiónem Matris tuæ et Vírginis devóte celebrántes: nobis ímpetrent apud cleméntiam tuam omnis boni salutáris efféctum:
[O Signore Gesù Cristo, il sacrificio al quale abbiamo partecipato celebrando devotamente i dolori che hanno trafitto la vergine tua Madre, ci ottenga dalla tua clemenza il frutto di ogni bene per la salvezza:]
Orémus.
Commemoratio Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris
Suméntes, Dómine, dona cœléstia, supplíciter deprecámur: ut, quæ sédula servitúte, donánte te, gérimus, dignis sénsibus tuo múnere capiámus.

[Ricevendo questi doni celesti, ti supplichiamo umilmente, o Signore: fa’ che quanto con sollecito servizio abbiamo compiuto per tua concessione, lo abbiamo pure, per tua grazia, ad accogliere con degni sentimenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

14 SETTEMBRE: ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

14 SETTEMBRE: In Exaltatione Sanctæ Crucis

… Abbiamo peccato parlando contro il Signore e te: prega che allontani da noi i serpenti. Mosè allora pregò per il popolo. E il Signore gli disse: Fa un serpente di bronzo e mettilo come segno: chiunque, ferito, lo guarderà, vivrà. Fece dunque Mosè un serpente di bronzo e lo mise come segno; e i piagati guardandolo, erano guariti.
(Num XXVI, 7-9).

« … e ottenne da Eraclio il diritto di regnare a certe condizioni, la prima delle quali fu la restituzione della Croce del Signore. Così la Croce fu ricuperata dopo quattordici anni, ch’era caduta in potere dei Persiani. Di ritorno a Gerusalemme, Eraclio la riportò sulle proprie spalle con gran pompa sul monte in cui l’aveva portata il Salvatore. – Questo fatto fu segnalato da un gran miracolo. Perché Eraclio, carico di oro e di gemme, fu costretto di fermarsi alla porta che conduceva al monte Calvario. E più si sforzava d’andare avanti, e più si sentiva trattenere. Stupiti della cosa e lo stesso Eraclio e tutti gli altri, Zaccaria, vescovo di Gerusalemme: Vedi, imperatore, disse, che con questi ornamenti di trionfo imiti poco la povertà e l’umiltà di Gesù Cristo con cui egli portò la Croce. Allora Eraclio, gettate le splendide vesti e toltesi le scarpe e indossato un abito volgare, fece facilmente il resto del viaggio, e rimise la Croce nello stesso posto del Calvario, donde l’avevano asportata i Persiani. Quindi la festa dell’Esaltazione della santa Croce, che si celebrava ogni anno in questo stesso giorno, cominciò ad avere maggior importanza in memoria del fatto ch’era stata riposta da Eraclio nel luogo stesso, dove fu innalzata la prima volta per il Salvatore. »

Omelia di san Leone Papa
Sermone 8 sulla Passione del Signore, dopo la metà

Dopo l’esaltazione di Cristo sulla Croce, o dilettissimi, il vostro spirito non si rappresenti soltanto l’immagine che colpì la vista degli empi, ai quali dice Mosè: «La tua vita sarà sospesa dinanzi ai tuoi occhi, e sarai in timore notte e giorno, e non crederai alla tua vita» Deut. 28,66. Infatti essi davanti al Signore crocifisso non potevano scorgere in lui che il loro delitto, ed avevano non il timore che giustifica mediante la vera fede, ma quello che tortura una coscienza colpevole. Ma la nostra intelligenza, illuminata dallo spirito di verità, abbracci con cuore puro e libero la Croce, la cui gloria risplende in cielo e in terra; e coll’acume interno penetri il mistero che il Signore, parlando della sua prossima passione, annunziò così: «Adesso si fa il giudizio di questo mondo, adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me» Joann. XII, 21. – O virtù ammirabile della Croce! o gloria ineffabile della Passione, in cui è e il tribunale del Signore, e il giudizio del mondo, e la potenza del Crocifisso! Sì, o Signore, attirasti tutto a te, allorché, « dopo aver steso tutto il giorno le tue mani a un popolo incredulo e ribelle » Is. LXV, 2, l’universo intero comprese che doveva rendere omaggio alla tua maestà. Attirasti, Signore. tutto a te, allorché tutti gli elementi non ebbero che una voce sola per esecrare il misfatto dei Giudei; allorché oscuratisi gli astri del cielo e il giorno cangiatosi in notte, anche la terra fu scossa da scosse insolite, e la creazione intera si rifiutò di servire agli empi. Attirasti, Signore, tutto a te, perché squarciatosi il velo del tempio, il Santo dei santi rigettò gl’indegni pontefici, per mostrare che la figura si trasformava in realtà, la profezia in dichiarazioni manifeste, la legge nel Vangelo. – Attirasti, Signore, tutto a te, affinché la pietà di tutte le nazioni che sono sulla terra celebrasse, come un mistero pieno di realtà e senza alcun velo, quanto era nascosto nel solo tempio della Giudea, sotto l’ombre delle figure. Difatti ora e l’ordine dei leviti è più splendido, e la dignità dei sacerdoti è più grande, e l’unzione che consacra i pontefici contiene maggior santità: perché la tua Croce è la sorgente d’ogni benedizione, il principio d’ogni grazia; essa fa passare i credenti dalla debolezza alla forza, dall’obbrobrio alla gloria, dalla morte alla vita. E adesso che i diversi sacrifici d’animali carnali sono cessati, la sola oblazione del corpo e sangue tuo rimpiazza tutte le diverse vittime che la rappresentavano: ché tu sei il vero «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo» Joann. I, 29; e così tutti i misteri si compiono talmente in te, che, come tutte le ostie che ti sono offerte non fanno che un solo sacrificio, così tutte le nazioni della terra non fanno che un solo regno.

III

ACTUS ADORATIONIS ET GRATIARUM ACTIO

191

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi; quia per sanctam Crucem tuam redemisti mundum.

Indulgentia trium annorum (S. Pæn. Ap., 2 febr. 1934).

Fidelibus vero, qui pio animi affectu in Passionem ac Mortem D. N. I. C. Credo una cum supra relata precatiuncula recitaverint, conceditur:

Indulgentia decem annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem eamdem recitationem pia mente persolverint (S. Pæn. Ap., 20 febr. 1934).

192

Signore, vi ringrazio che siete morto in Croce per i miei peccati

(S. Paolo della Croce).

Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, invocatione quotidie per integrum mensem devote iterata (S. Pæn. Ap., 18 ian, 1918 et 10 mart. 1933).

IV

HYMNUS

193

Vexilla Regis prodeunt,

Fulget Crucis mysterium,

Qua vita mortem pertulit,

Et morte vitam protulit.

Quæ vulnerata lanceæ

Mucrone diro, criminum

Ut nos lavaret sordibus,

Manavit unda et sanguine.

Impleta sunt quæ concinit

David fideli carmine,

Dicendo nationibus:

Regnavit a ligno Deus.

Arbor decora et fulgida,

Ornata regis purpura,

Electa digno stipite

Tam sancta membra tangere.

Beata, cuius brachiis

Pretium pependit sæculi,

Statera facta corporis,

Tulitque praedam tartari.

O Cruz, ave, spes unica,

Gentis redemptae gloria! (1)

Piis adauge gratiam,

Reisque dele crimina.

Te, fons salutis, Trinitas,

Collaudet omnis spiritus:

(1) Loco: Gentis redemptæ gloria, dicatur: Tempore

Passionis: Hoc Passionis tempore! — Tempore Paschali :

Paschale quæ fers gaudium! — In festo Exaltationis

S. Crucis: In hac triumphi gloria!

Quibus Crucis victoriam

Largiris, adde praemium. Amen,

(ex Brev. Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem hymnus pie recitatus fuerit (S. C. Indulg., 16 ian. 1886; S. Pæn. Ap., 29 apr. 1934).

VII

PRECES IN HONOREM QUINQUE VULNERUM D. N. I. C.

199

O bone Iesu, intra tua vulnera absconde me.

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 21 dec. 1936).

200

V. Deus, in adiutorium meum intende.

R. Domine, ad adiuvandum me festina.

V. Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto.

R. Sicut erat in principio, et nunc, et semper,

et in sæcula sæculorum. Amen.

Amabilissimo mio Signore Gesù Crocifisso, io adoro profondamente prostrato, con Maria santissima, con tutti gli Angeli e Beati del cielo, la Piaga santissima della vostra Mano destra. Vi ringrazio dell’amore infinito col quale voleste sopportare tanti e sì atroci dolori per isconto dei miei peccati, che io detesto con tutto il cuore; vi domando la grazia di concedere alla Chiesa vittoria sui suoi nemici, ed a tutti i suoi figli di camminare santamente nella via dei vostri comandamenti.

Pater, Ave, Gloria.

Amabilissimo mio Signore Gesù Crocifisso, io adoro profondamente prostrato, con Maria santissima, con tutti gli Angeli e Beati del cielo, la Piaga santissima della vostra Mano sinistra, e vi domando grazia per i poveri peccatori e per i moribondi, specialmente per quelli che non vogliono riconciliarsi con Voi.

Pater, Ave, Gloria.

Amabilissimo mio Signore Gesù Crocifisso, io adoro profondamente prostrato, con Maria santissima, con tutti gli Angeli e Beati del cielo, la Piaga santissima del vostro Piede destro, e vi chiedo la grazia che in tutto il clero e fra le persone a Voi consacrate germoglino numerosi fiori di santità.

Pater, Ave, Gloria.

Amabilissimo mio Signore Gesù Crocifisso, io adoro profondamente prostrato, con Maria santissima, con tutti gli Angeli e Beati del cielo, la Piaga santissima del vostro Piede sinistro, e vi prego per la liberazione delle anime del purgatorio, principalmente di quelle che in vita furono più devote delle vostre sante Piaghe.

Pater, Ave, Gloria.

Amabilissimo mio Signore Gesù Crocifisso, io adoro profondamente prostrato, con Maria santissima, con tutti gli Angeli e Beati del cielo; la Piaga santissima del vostro sacro Costato, e vi prego di benedire ed esaudire tutte quelle persone che si raccomandano alle mie preghiere.

Pater, Ave, Gloria.

N. Virgo dolorosissima,

R. Ora pro nobis (tre volte).

Gesù Crocifisso, avvalorate queste preghiere coi meriti della vostra Passione: concedetemi la santità della vita, la grazia di ricevere i santi Sacramenti in punto di morte e la gloria eterna.

Amen.

Indulgentia trium annorum (Sì; C. S. Officii, 6 maii 1915; S..Paen. Ap.,; 15-ian; 1935).

201

En ego, o bone et dulcissime Iesu, ante conspectum tuum genibus me provolvo ac maximo animi ardore te oro atque obtestor, ut meum in cor vividos fidei, spei et caritatis sensus, atque veram peccatorum meorum pænitentiam, eaque emendandi firmissimam voluntatem velis imprimere: dum magno animi affectu et dolore tua quinque Vulnera mecum ipse considero, ac mente contemplor, illud præ oculis habens, quod iam in ore ponebat tuo David Propheta de te, o bone Iesu: « Foderunt manus meas et pedes meos; dinumeraverunt omnia ossa mea » (Ps. XXI V.. I7 et 18).

Fidelibus, supra relatam orationem coram Iesu Christi Crucifixi imagine pie recitantibus, conceditur: Indulgentia decem annorum;

(Ai fedeli che recitano piamente la detta orazione davanti all’immagine di Gesù Cristo crocifisso, si concedono … dieci anni di indulgenza)

Indulgentia plenaria, si præterea sacramentalem confessionem instituerint, cælestem Panem sumpserint et ad mentem Summi Pontificis oraverint (S. C. Indulg., 31 iul. 1858; S. Pæn. Ap., 2 febr. 1934).

202

Deus, qui Unigeniti Filii tui passione, et per quinque Vulnera eius Sanguinis effusione, humanam naturam peccato perditam reparasti; tribue nobis, quæsumus, ut qui ab eo suscepta Vulnera veneramur in terris, eiusdem pretiosissimi Sanguinis fructum consequi mereamur in cælis. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

(ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo oratio quotidie per integrum mensem pie iterata fuerit (S. Pæn. Ap., 12 dec. 1936).

203

Fac, Domine Iesu Christe, ut qui Vulnera tua devote colimus, hæc in nostris cordibus impressa, moribus et vita teneamus. Quinquies Gloria Patri.

Indulgentia trium annorum (S. Pæn. Ap., 12 dec. 1936).

VIII

PRECES IN MEMORIAM SEPTEM VERBORUM QUÆ IESUS IN CRUCE PROTULIT

204

N. Deus, in adiutorium meum intende.

R. Domine, ad adiuvandum me festina.

Gloria Patri et Filio, etc.

PRIMA PAROLA

Padre, perdonate loro, perché non sanno ciò che fanno.

Caro Gesù, che per mio amore agonizzate sulla Croce a fine di pagare con le vostre pene il debito dei miei peccati, ed aprite la vostra divina bocca per ottenermene il perdono dall’eterna giustizia, abbiate pietà di tutti i fedeli agonizzanti e di me; e quando sarò in quell’estremo, per i meriti del vostro preziosissimo Sangue sparso per la nostra salute datemi un dolore così vivo delle mie colpe, che faccia spirare l’anima mia nel seno della vostra infinita misericordia.

Tre Gloria Patri.

Miserere nostri, Domine, miserere nostri.

Mio Dio, credo in Voi, spero in Voi, amo Voi e mi pento di avervi offeso coi miei peccati.

SECONDA PAROLA

Oggi sarai meco in paradiso

Caro Gesù, che per mio amore agonizzate sulla Croce, e che con tanta prontezza e tanta liberalità corrispondete alla fede del buon ladro, che in mezzo alle vostre umiliazioni vi riconosce per Figlio di Dio, e lo assicurate del paradiso, abbiate pietà di tutti i fedeli agonizzanti e di me; e quando sarò in quell’estremo, per i meriti del vostro preziosissimo Sangue ravvivate nel mio spirito una fede così ferma e costante, che non vacilli a qualunque suggestione del demonio, affinché anche io ottenga il premio del santo Paradiso.

Tre Gloria Patri.

Miserere, ecc. Mio Dio, ecc.

TERZA PAROLA

Ecco la tua Madre. Ecco il tuo Figlio.

Caro Gesù, che per mio amore agonizzate sulla Croce, e dimenticando i vostri patimenti mi lasciate in pegno dell’amor vostro la stessa Vostra Madre santissima, affinché per suo mezzo possa con fiducia ricorrere a Voi nei miei maggiori bisogni, abbiate pietà di tutti i fedeli agonizzanti e di me; e quando sarò in quell’estremo, per l’interno martirio di così cara Madre osa nel mio cuore una ferma speranza nei meriti infiniti del vostro preziosissimo Sangue onde possa evitare l’eterna condanna, che mi sono meritata coi miei peccati.

Tre Gloria Patri.

Miserere, ecc. Mio Dio, ecc.

QUARTA PAROLA

Dio mio, Dio mio, perché mi avete abbandonato?

Caro Gesù, che per mio amore agonizzate sulla Croce, e che aggiungendosi patimenti a patimenti, oltre tanti dolori nel corpo, soffrite con infinita pazienza la più penosa afflizione di Spirito per l’abbandono dell’eterno vostro Padre, abbiate pietà di tutti i fedeli agonizzanti e di me; e quando sarò in quell’estremo, per i meriti del vostro preziosissimo Sangue datemi grazia di soffrire con vera pazienza tutti i dolori e le angustie della mia agonia, affinché unendo alle vostre le mie pene, possa poi essere partecipe della vostra gloria in paradiso.

Tre Gloria Patri.

Miserere, ecc. Mio Dio, ecc.

QUINTA PAROLA

Caro Gesù, che per mio amore agonizzate sulla Croce, e che non sazio ancora di tanti obbrobrii e patimenti vorreste soffrirne anche di più, purché tutti gli uomini si salvassero, mostrando così che tutto il torrente della vostra Passione non è bastante ad estinguere la sete del vostro Cuore amoroso, abbiate pietà di tutti i fedeli agonizzanti e di me; e quando sarò in quell’estremo, per i meriti del vostro preziosissimo Sangue accendete tanto fuoco di carità nel mio cuore, che lo faccia morire di desiderio di unirsi a voi per tutta l’eternità.

Tre Gloria Patri.

Miserere, ecc. Mio Dio, ecc.

SESTA PAROLA

Tutto è consumato

Caro Gesù, che per mio amore agonizzate sulla Croce, e da codesta cattedra di verità annunziate di aver compito l’opera della redenzione, per la quale l’uomo da figlio d’ira e di perdizione è divenuto figlio di Dio ed erede del paradiso, abbiate pietà di tutti i fedeli agonizzanti e di me; e quando sarò in quell’estremo, per i meriti del vostro preziosissimo Sangue distaccatemi interamente dal mondo e da me stesso, dandomi la grazia di offrirvi di cuore il sacrificio della mia vita in espiazione dei miei peccati.

Tre Gloria Patri.

Miserere, ecc. Mio Dio, ecc.

SETTIMA PAROLA

Padre, nelle vostre mani raccomando lo spirito Mio.

Caro Gesù, che per mio amore agonizzate sulla Croce, e che a compimento di sì gran sacrificio accettate la volontà dell’eterno Padre con rassegnare nelle sue mani il vostro spirito, per poi chinare il capo e morire, abbiate pietà di tutti i fedeli agonizzanti e di me; e quando sarò in quell’estremo, per i meriti del vostro preziosissimo Sangue datemi una perfetta uniformità al vostro divin volere, onde sia pronto a vivere o a morire, come più piacerà a voi; né altro io brami, che il perfetto adempimento in me della vostra adorabile volontà.

Tre Gloria Patri,

Miserere, ecc. Mio Dio, ecc.

Preghiera alla Vergine Addolorata

Madre santissima Addolorata, per l’intenso martirio, che soffriste a pie’ della Croce nelle tre ore di agonia di Gesù, degnatevi di assistere anche me, che son figlio dei vostri dolori, nella mia agonia, affinché con la vostra intercessione possa dal letto della morte passare a farvi corona nel santo paradiso.

V. A subitanea et improvisa morte,

R. Libera me, Domine.

V. Ab insidiis diaboli,

R. Libera me, Domine.

V. A morte perpetua,

R. Libera me, Domine.

Oremus.

Deus, qui ad humani generis salutem in dolorosissima Filii tui morte exsemplum et subsidium constituisti, concede, quaesumus, ut in extremo mortis nostræ periculo tantæ caritatis effectum consequi, et ipsius Redemptoris gloriae consociari mereamur. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

Indulgentia septem annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidian precum recitatio in integrum mensem producta fuerit

(S. Rit. C., 26 aug. 1814; S. C. Indulg., 8 dec. 1897; S. Pæn. Ap., 27 maii 1935).

209

O mio Dio Crocifisso, eccomi ai piedi vostri, non vogliate rigettarmi ora che mi presento a Voi come peccatore. Vi ho offeso tanto per il mio passato, Gesù mio, ma non sarà più così. Dinanzi a Voi, mio Dio, presento tutte le mie colpe…, già le ho considerate e vedo che non meritano perdono; ma deh! date uno sguardo ai vostri patimenti e guardate quanto vale quel Sangue, che scorre dalle vostre vene. Chiudete, mio Dio, in questo momento gli occhi ai miei demeriti e apriteli agli infiniti meriti vostri e giacché vi siete compiaciuto morire per i miei peccati, perdonatemeli tutti, affinché mai più senta il peso di essi, perché quel peso, o Gesù, troppo mi opprime. Aiutatemi, mio Gesù, voglio ad ogni costo divenire buono; togliete, distruggete, annientate tutto ciò che si trova in me non conforme alla vostra volontà. Vi prego però, Gesù, ad illuminarmi, affinché possa camminare nel vostro santo lume.

(S. Gemma Galgani).

Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn. Ap., 16 febr. 1934 et 26 nov. 1934).

210
Adesto nobis, Domine Deus noster; et quos
sanctae Crucis laetari facis honore, eius quoque
perpetuis defende subsidiis. Per Christum Dominum
nostrum. Amen (ex Missali Rom.).
Indulgentia quingue annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
quotidie per integrum mensem oratio pia mente iterata

fuerit (S. Pæn. Ap., 14 sept. 1934).
211
Deus, qui pro nobis Filium tuum Crucis patibulum
subire voluisti, ut inimici a nobis expelleres
potestatem: concede nobis famulis tuis;
ut resurrectionis gratiam consequamur. Per
eumdem Christum Dominum nostrum. Amen

(ex Missali Rom.).
Indulgentia quinque annorum,
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidiana
orationis recitatione in integrum mensem adducta (S. Pænit.
Ap., 22 nov. 1934).
212
Deus, qui unigeniti Filii tui pretioso Sanguine,
vivificae Crucis vexillum sanctificare voluisti:
concede, quaesumus, eos qui eiusdem sanctae
Crucis gaudent honore, tua quoque ubique protectione
gaudere. Per eumdem Christum Dominum
nostrum. Amen
.

(ex Missali Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
quotidie per integrum mensem oratio devote reiterata
fuerit (S. Pæn. Ap., 7 febr. 1935).
213
Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi, qui hora
sexta pro redemptione mundi Crucis patibulum
ascendisti et Sanguinem tuum pretiosum in remissionem
peccatorum nostrorum fudisti; te humiliter
deprecamur, ut post obitum nostrum paradisi
ianuas nos gaudenter introire concedas:
Qui vivis et regnas in saecula saeculorum. Amen

(ex Missali Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie
per integrum mensem oratio pie recitata fuerit (S. Pæn
Ap., 18 iul. 1936).
214
O Gesù, che per il tuo ardentissimo amore
verso di noi hai voluto essere crocifisso e versare
il tuo preziosissimo Sangue a redenzione
e salvezza delle anime nostre, riguarda a noi
qui raccolti nel ricordo della tua dolorosissima
Passione e Morte, fiduciosi nella tua misericordia;
purificaci, con la tua grazia, dal peccato,
santifica il nostro lavoro, dona 2 noi ed ai nostri
cari il pane quotidiano, addolcisci le nostre
pene, benedici le nostre famiglie e concedi
ai popoli, afflitti da dure prove, la tua pace che solo è la vera, affinché, obbedendo ai tuoi precetti, perveniamo alla gloria celeste. Così sia.

500 gg. Il venerdì santo alle ore 15 (S. Pænit. Ap., 15 Ian. 1940).

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVI)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVI)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende

LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA. DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO NONO


SUI CAPITOLI XXI E XXII

La nuova terra ed il cielo nuovo, la Gerusalemme celeste, e il fiume d’acqua viva, etc.


SEZIONE I.


§I.


Del cielo nuovo e della nuova terra.


CAPITOLO XXI. VERSETTI 1-8.

Et vidi cœlum novum et terram novam. Primum enim cœlum, et prima terra abiit, et mare jam non est. Et ego Joannes vidi sanctam civitatem Jerusalem novam descendentem de cœlo a Deo, paratam sicut sponsam ornatam viro suo. Et audivi vocem magnam de throno dicentem: Ecce u Dei cum hominibus, et habitabit cum eis. Et ipsi populus ejus erunt, et ipse Deus cum eis erit eorum Deus: et absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum: et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra, quia prima abierunt. Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia. Et dixit mihi: Scribe, quia haec verba fidelissima sunt, et vera. Et dixit mihi: Factum est: ego sum alpha et omega, initium et finis. Ego sitienti dabo de fonte aquae vitæ, gratis. Qui vicerit, possidebit hæc: et ero illi Deus, et ille erit mihi filius. Timidis autem, et incredulis, et execratis, et homicidis, et fornicatoribus, et veneficis, et idolatris, et omnibus mendacibus, pars illorum erit in stagno ardenti igne et sulphure: quod est mors secunda.

[E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Poiché il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non è più. Ed io Giovanni vidi la città santa, la nuova Gerusalemme che scendeva dal cielo d’appresso Dio, messa in ordine, come una sposa abbigliata per il suo sposo.E udii una gran voce dal trono che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, e abiterà con loro. Ed essi saranno suo popolo, e lo stesso Dio sarà con essi Dio loro :e Dio asciugherà dagli occhi loro ogni lagrima: e non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né vi sarà più dolore, per- ché le prime cose sono passata. E colui che sedeva sul trono disse: Ecco che io rinnovello tutte le cose. E disse a me: Scrivi, poiché queste parole sono degnissime di fede e veraci. E disse a me: fatto. Io sono l’alfa e l’omega: il principio e il fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fontana dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore, sarà padrone di queste cose, e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliuolo. Pei paurosi poi, e per gl’increduli, e gli esecrandi; e gli omicidi, e i fornicatori, e i venefici, e gli idolatri, e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e dì zolfo: che è la seconda morte.]

I. Vers. 1.E vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi e il mare non c’era più. In questo capitolo e nel prossimo, che sono gli ultimi due dell’Apocalisse, San Giovanni descrive la Chiesa Trionfante, cioè lo stato dei beati nella prossima vita. Infatti, come osserva Sant’Agostino (Civ., XXII, 27), sarebbe troppo stravagante intendere le cose che sono dette qui come dette del tempo presente; poiché le parole del verso di questo capitolo: “Dio asciugherà tutte le lacrime, ecc.“, sono così chiaramente adatte alla vita futura, all’immortalità e all’eternità dei Santi, che non saremmo in grado di trovare nulla di più ovvio nelle Scritture divine se dovessimo considerare questo passaggio come oscuro. Così, dopo la descrizione della caduta dell’anticristo e lo sterminio di tutti i nemici della Chiesa, e dopo aver parlato della risurrezione generale e del giudizio universale, San Giovanni passa alla descrizione della gloria dei beati e del loro trionfo eterno. E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Questo nuovo cielo e questa nuova terra di cui parla San Giovanni saranno dunque la dimora dei beati nella gloria eterna di Dio; perché il primo cielo e la prima terra, che ora abitiamo, erano passati e il mare non c’era più. Questo cielo e questa terra rappresentano i beni del mondo, e il mare rappresenta i suoi mali; ora questi beni e mali terreni, che saranno stati il fuoco con cui Dio prova l’oro, spariranno per sempre e saranno consumati a loro volta dal fuoco del cielo, secondo II. Pietro, III, 12: « La violenza del fuoco dissolverà i cieli e fonderà tutti gli elementi. » Non dobbiamo omettere qui questo passo di Isaia, LXV, 14: « I miei servi si rallegreranno, e voi (peccatori) sarete coperti di confusione; i miei servi esploderanno con canti di lode nell’estasi dei loro cuori, e voi scoppierete con grandi grida nell’amarezza delle vostre anime, e con tristi ululati nello strazio dei vostri spiriti; e voi renderete il vostro nome ai miei eletti come un nome di imprecazione: Il Signore Dio vi distruggerà e darà ai suoi servi un altro nome. Chi è benedetto in questo nome sulla terra sarà benedetto dal Dio della verità; e chi giura sulla terra giurerà nel Nome del Dio della verità, perché le precedenti tribolazioni saranno dimenticate e scompariranno da davanti ai miei occhi. Perché Io creerò nuovi cieli e una nuova terra, e il passato non sarà ricordato né risorgerà nel mio cuore. Ma voi vi rallegrerete e sarete pieni di gioia per sempre nelle cose che Io creerò, perché farò di Gerusalemme una città di gioia e del suo popolo un popolo di gioia. Mi rallegrerò di Gerusalemme, mi rallegrerò del mio popolo, e non ci sarà più né lutto né pianto. Non si vedrà un bambino che non viva che pochi giorni, né un vecchio che non completi i giorni della sua vita, etc. ».

II. Vers. 2Ed io, Giovanni, vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, che scendeva da Dio dal cielo, adorna come una sposa per il suo sposo. San Giovanni si riferisce a se stesso come testimone di ciò che accadrà, volendo dare più forza alle sue parole e renderci più attenti ad esse. E io, Giovanni, vidi la città santa che scendeva dal cielo. Questa città santa è la Chiesa trionfante, o l’assemblea dei beati che regneranno con Dio. Questa Chiesa è la nuova Gerusalemme che è venuta da Dio, e di cui la Gerusalemme terrena era la figura. Perché, come è stato detto, i Profeti usano spesso la stessa figura per significare diverse cose; e così la Gerusalemme terrena, che rappresenta come città e in senso materiale, la grande Babilonia, rappresenta anche in senso mistico la Gerusalemme celeste. San Giovanni la vide scendere dal cielo e dice che veniva da Dio, perché, secondo Sant’Agostino, (Civit. XX, 17), la grazia con cui Dio l’ha formata è celeste, e che, in principio, essa è scesa dal cielo, da dove fu mandato lo Spirito Santo. Essa veniva da Dio, adornata come una sposa per il suo sposo. Cioè, splendente di gloria e di bellezza, con la gloria dei suoi trionfi e la bellezza delle sue virtù e dei suoi meriti. Infatti, la sposa, per essere gradita al suo sposo, deve essere come Lui, poiché devono essere una sola carne. (Gen. II, 23). Adamo, che è tipo dello sposo Gesù Cristo, dice, parlando di Eva, il tipo pure della Chiesa: « Ecco, costei è ora osso delle mie ossa e carne della mia carne. »   Poi la Genesi continua: « Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie (come Gesù Cristo lasciò suo Padre e la sua gloria celeste, per rivestirsi della nostra umanità e unirsi alla nostra carne); e saranno due in una sola carne. » Ora, i Santi, nutrendosi della carne di Gesù Cristo nella santissima Eucaristia, e Gesù Cristo, rivestendosi della nostra carne, sono uniti nella stessa carne; e così lo Sposo celeste e la sua Sposa sono due in una sola carne. E quanto bella, quanto pura, quanto santa e quanto gloriosa deve essere la Chiesa per potersi unire allo Sposo divino? Ecco perché San Giovanni ci dice che la Chiesa sarà adornata come una sposa per il suo sposo.

III. Vers. 3. E udii una grande voce dal trono, che diceva: Questo è il tabernacolo di Dio con gli uomini, ed Egli abiterà con loro. Ed essi saranno il suo popolo, e Dio sarà il loro Dio in mezzo a loro. San Giovanni ha sentito nella sua immaginazione una grande voce dal trono; questa voce sarà quella di Dio Padre, che dirà, annunciando Gesù Cristo alla sua amata sposa: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, cioè, ecco Gesù Cristo mio Figlio, che è il tabernacolo, o alleanza della Divinità con gli uomini. Abbiamo visto come spesso San Giovanni si riferisca all’antico tabernacolo e al tempio. Attraverso questo tabernacolo e questo tempio, Dio aveva dato dei segni dell’alleanza che voleva fare con il popolo giudaico. Ma i Giudei furono infedeli, e le nazioni della terra che divennero cristiane ebbero il grande privilegio di vedere la promessa fatta ai Giudei, compiuta in loro, sotto la figura del tabernacolo e del tempio. Questa promessa si compì nella santissima Eucaristia, dove noi possediamo realmente Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino, in attesa di possederlo in cielo, dove diventerà il vero oggetto della nostra beatitudine, come ora è il vero oggetto della nostra fede. E abiterà con loro, con i suoi eletti, per tutta l’eternità, perché Egli è il sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec; ed essi saranno il suo popolo, e Dio in mezzo a loro sarà il loro Dio. Cioè, gli eletti saranno il popolo di Dio, ed Egli sarà loro Dio, il loro padre, il loro re, il loro sposo; li riempirà di ogni bene; i loro desideri eterni saranno sempre soddisfatti e la loro sete sarà sempre placata. Il loro amore salirà eternamente come una fiamma ardente verso l’oggetto immutabile del loro amore, e questo fuoco non sarà mai consumato. I giusti saranno sempre soddisfatti, secondo tutte le capacità delle loro anime, come vasi di diverse dimensioni che potrebbero sempre essere riempiti con le acque dell’Oceano, e infinitamente ancor più. Più godono, più vorranno godere, e non proveranno mai disgusto, perché ogni dolore cesserà. Questo è ciò che ci assicura San Giovanni nelle seguenti parole:

Vers. 4E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; e non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito. Così dunque, il ricordo dei mali passati, il ricordo dei dolori, delle afflizioni, dei dispiaceri, delle disgrazie, delle malattie, dei disgusti, degli affanni, dei dolori, delle perdite, delle privazioni, della sete, della fame, dei rigori invernali, dei calori dell’estate, il ricordo delle tribolazioni, delle tentazioni, dei sacrifici più costosi alla natura; il ricordo delle ingiustizie, delle persecuzioni, degli insulti, del disprezzo, dell’abbandono, dell’isolamento; il ricordo dei travagli, della fatica, delle lotte, delle veglie, dei digiuni, delle mortificazioni; il ricordo delle umiliazioni, della perdita dei beni, della privazione dei piaceri; il ricordo stesso del peccato non affliggerà più i giusti, perché Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. Il ricordo del peccato non affliggerà più i giusti, perché Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. Tutti i mali della vita saranno cambiati per essi in beni immensi nella loro estensione ed eterni nella loro durata; perché non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito.

IV. Vers. 5: Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, che Io faccio nuove tutte le cose”. Ed egli mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono certissime e veraci. Ricordiamo che è Gesù Cristo stesso che è l’autore di questa rivelazione, secondo queste parole del capitolo I, 1: La rivelazione di Gesù Cristo, etc. Non c’è quindi alcun dubbio che sia Gesù Cristo che San Giovanni ci rappresenta seduto sul trono; perché gli dice: scrivi, etc. Così, dopo aver regnato per il tempo, questo Sposo celeste continuerà a regnare per l’eternità. Egli regna già sulla terra con la sua legge e la sua dottrina; ma San Giovanni ci rappresenta il suo regno nel momento in cui farà nuove tutte le cose. Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Ed Egli mi disse: Scrivi, perché queste parole sono degnissime di fede e veraci. Questo è un modo per attirare la nostra attenzione su ciò che ci verrà rivelato e per garantirci la certezza di esso.

V. Vers. 6Ed ancora mi dice: Tutto è compiuto. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a chi ha sete. Gesù Cristo disse a San Giovanni: Tutto si è compiuto, il tempo della profezia è passato e l’eternità è iniziata. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Queste parole sono molto notevoli, se si ricorda che nel capitolo I, 8, Gesù Cristo ha usato le stesse parole prima di annunciare tutto ciò che sarebbe accaduto nel corso delle epoche della Chiesa. E siccome tutto si sarà adempiuto come aveva predetto, ora ci avverte che tutto è compiuto. Io darò gratuitamente della fonte di acqua viva a colui che ha sete. Queste parole ci ricordano la giustizia di cui si parla nelle otto beatitudini, e di cui i Santi saranno stati assetati; e la giustizia dei Santi sarà la veste nuziale che li renderà degni di partecipare alla cena delle nozze dello Sposo. (Apoc. XIX, 8): E gli diede del puro lino bianco da indossare, e questo lino è la giustizia dei santi. Dobbiamo desiderare questa giustizia per ottenerla, e se la desideriamo veramente e sinceramente, saremo tra coloro di cui sta scritto, (Matth. V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » In effetti (Romani VIII, 27): « Chi scruta il cuore sa quali sono i desideri dello spirito, perché cerca per i Santi ciò che è secondo Dio. Ora sappiamo che tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio, di coloro che Egli ha chiamato, secondo il suo decreto, ad essere santi. Perché coloro che ha conosciuto nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché Egli stesso sia primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinato li ha chiamati, e quelli che ha chiamato li ha giustificati e quelli che ha giustificato li ha glorificati. » Ora, questa glorificazione sarà la fonte di acqua viva di cui parla il nostro testo: Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a colui che ha sete.  E si dice: Io darò gratuitamente, perché la giustizia che dovrebbe renderci eredi del regno eterno ci è concessa gratuitamente per la misericordia di Dio, secondo San Paolo, (Tito III, 5): « Ci ha salvati non per le opere di giustizia che abbiamo fatto, ma per la sua misericordia, in quanto ci ha fatto rinascere per mezzo del Battesimo e ci ha rinnovati per mezzo dello Spirito Santo, che ha riversato abbondantemente su Gesù Cristo nostro Salvatore, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi della vita eterna, secondo la speranza. »

VI. Vers. 7. Colui che vincerà, possederà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio.

Vers. 8Ma i timidi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli avvelenatori, gli idolatri e tutti i bugiardi avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte. Questi due versetti possono ancora essere messi in relazione, per il significato che contengono, con la continuazione del passo di San Paolo che abbiamo appena citato, in cui l’Apostolo ci fa intravedere come avvemga la giustificazione degli eletti che hanno fame e sete di giustizia. E questi due passi di San Paolo e dell’Apocalisse coincidono mirabilmente insieme e si spiegano a vicenda. Infatti Gesù Cristo nella sua Rivelazione ci dice: Chi vincerà avrà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio. Ma i timidi, gli increduli, ecc. avranno la loro parte nello sconvolgimento del mondo. Ma i timidi, gli increduli, ecc. avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e zolfo, che è la seconda morte. Ora, San Paolo ci spiega come gli eletti e i predestinati potranno vincere, e  continua la sua spiegazione del mistero della giustificazione degli uomini mostrandoci come il Cristiano, attraverso il desiderio di giustizia, arrivi al possesso dell’ottava beatitudine, che è come la perfezione e il complemento delle altre, e ci garantisce il possesso del regno eterno, secondo San Matteo (V, 10): « Beati coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. » Ora, soffrire la persecuzione per amore della giustizia è vincere, e chi vincerà possiederà queste cose. San Paolo, volendo farci capire come chi ha fame e sete di giustizia possa e debba vincere, aggiunge nella sua epistola ai Romani, (VIII, 31): « Dopo questo, cosa diremo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Se non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato alla morte per tutti noi, cosa non ci darà, dopo averlo dato a noi? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio stesso li giustifica. Chi li condannerà, quando Gesù Cristo non solo è morto, ma è risorto ed è alla destra di Dio, intercedendo per noi? Chi, dunque, ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? Sarà l’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo quotidianamente consegnati alla morte, o Signore, e siamo considerati come pecore da macellare; ma in mezzo a tutti questi guai noi vinciamo per la virtù di Colui che ci ha amati. Perché io sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i Principati, né le Potenze, né le cose presenti, né le cose future, né la violenza, né alcunché di superiore o inferiore, né alcuna altra creatura, potranno mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore. » È dunque con l’aiuto di Dio e con i meriti e l’amore di Gesù Cristo che possiamo vincere l’amore dei piaceri e la paura dei mali di cui ci parla San Paolo. Ma i timidi, i codardi e i pusillanimi, gli increduli, che non hanno la fede di Gesù Cristo, senza la quale è impossibile piacere a Dio, gli abominevoli, che non mettono la loro speranza in Dio, gli omicidi, che non hanno carità, i fornicatori, che si crogiolano nei piaceri della carne, i venefici, che cercano i beni altrui ingiustamente, gli idolatri, che si prostituiscono bruciando incenso alle creature e cercando il fumo degli onori, e tutti i bugiardi, che sono figli del diavolo, avranno la loro parte nel lago ardente con fuoco e zolfo, che è la seconda morte, la morte eterna. – Dopo aver annunciato un nuovo cielo e una nuova terra, San Giovanni ce ne dà una descrizione sotto la figura della Gerusalemme celeste.

§ II.

Della Gerusalemme celeste.

CAPITOLO XXI. – VERSI 9-27.

Et venit unus de septem angelis habentibus phialas plenas septem plagis novissimis, et locutus est mecum, dicens: Veni, et ostendam tibi sponsam, uxorem Agni. Et sustulit me in spiritu in montem magnum et altum, et ostendit mihi civitatem sanctam Jerusalem descendentem de cœlo a Deo, habentem claritatem Dei: et lumen ejus simile lapidi pretioso tamquam lapidi jaspidis, sicut crystallum. Et habebat murum magnum, et altum, habentem portas duodecim: et in portis angelos duodecim, et nomina inscripta, quæ sunt nomina duodecim tribuum filiorum Israel: ab oriente portæ tres, et ab aquilone portae tres, et ab austro portae tres, et ab occasu portae tres. Et murus civitatis habens fundamenta duodecim, et in ipsis duodecim nomina duodecim apostolorum Agni. Et qui loquebatur mecum, habebat mensuram arundineam auream, ut metiretur civitatem, et portas ejus, et murum. Et civitas in quadro posita est, et longitudo ejus tanta est quanta et latitudo: et mensus est civitatem de arundine aurea per stadia duodecim millia: et longitudo, et altitudo, et latitudo ejus æqualia sunt. Et mensus est murum ejus centem quadraginta quatuor cubitorum, mensura hominis, quæ est angeli. Et erat structura muri ejus ex lapide jaspide: ipsa vero civitas aurum mundum simile vitro mundo. Et fundamenta muri civitatis omni lapide pretioso ornata. Fundamentum primum, jaspis: secundum, sapphirus: tertium, calcedonius: quartum, smaragdus: quintum, sardonyx : sextum, sardius: septimum, chrysolithus: octavum, beryllus: nonum, topazius: decimum, chrysoprasus: undecimum, hyacinthus: duodecimum, amethystus. Et duodecim portæ, duodecim margaritæ sunt, per singulas: et singulae portœ erant ex singulis margaritis: et platea civitatis aurum mundum, tamquam vitrum perlucidum. Et templum non vidi in ea: Dominus enim Deus omnipotens templum illius est, et Agnus. Et civitas non eget sole neque luna ut luceant in ea, nam claritas Dei illuminavit eam, et lucerna ejus est Agnus. Et ambulabunt gentes in lumine ejus: et reges terrae afferent gloriam suam et honorem in illam. Et portæ ejus non claudentur per diem: nox enim non erit illic.  Et afferent gloriam et honorem gentium in illam. Non intrabit in eam aliquod coinquinatum, aut abominationem faciens et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitæ Agni.

[E venne uno dei sette Angeli che avevano sette coppe piene delle sette ultime piaghe, e parlò con me, e mi disse: Vieni, e ti farò vedere la sposa, consorte dell’Agnello. E mi portò in ispirito sopra un monte grande e sublime, e mi fece vedere la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo dappresso Dio, la quale aveva la chiarezza di Dìo : e la luce di lei era simile a una pietra preziosa, come a una pietra di diaspro, come il cristallo.  Ed aveva un muro grande ed alto che aveva dodici porte: e alle porte dodici An- geli, e scritti sopra i nomi, che sono i nomi delle dodici tribù di Israele. A oriente tre porte : a settentrione tre porte : a mezzogiorno tre porte: e a occidente tre porte. “E il muro della città aveva dodici fondamenti, ed in essi i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello. E colui che parlava con me aveva una canna d’oro da misurare, per prendere le misure della città e delle porte e del muro. E la città è quadrangolare, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza: e misurò la città colla canna d’oro in dodici mila stadi : e la lunghezza e l’altezza e la larghezza di essa sono uguali. E misurò il muro di essa in cento quarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, qual è quella dell’Angelo. E il suo muro era costrutto di pietra di diaspro: la città stessa poi (era) oro puro simile a vetro puro. E i fondamenti delle mura della città (erano) ornati di ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento, il diaspro: il secondo, lo zaffiro: il terzo, il calcedonio: il quarto, lo smeraldo: il quinto, il sardonico: il sesto, il sardio: il settimo, il crisolito: l’ottavo, il berillo: il nono, il topazio: il decimo, il crisopraso: l’undecimo, il giacinto: il duodecimo, l’ametisto. E le dodici porte erano dodici perle: e ciascuna porta era d’una perla: e la piazza della città oro puro, come vetro trasparente. E non vidi in essa alcun tempio. Poiché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello è il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole, né dì luna che risplendano in essa: poiché lo splendore di Dio la illumina, e sua lampada è l’Agnello. E le genti cammineranno alla luce di essa: e i re della terra porteranno a lei la loro gloria e l’onore. E le sue porte non si chiuderanno di giorno: perché ivi non sarà notte. E a lei sarà portata la gloria e l’onore delle genti. Non entrerà in essa nulla d’immondo, o chi commette abbominazione o menzogna, ma bensì coloro che sono descritti nel libro della vita dell’Agnello.]

I. Vers. 9. – E uno dei sette Angeli che avevano le sette coppe piene delle ultime piaghe venne e mi parlò, dicendo: Vieni, e io ti mostrerò quella che è la sposa dell’Agnello. Questo Angelo rappresenta tutti gli altri Angeli che tenevano le sette coppe piene delle ultime piaghe. Come è consolante questo Angelo, che prima era così terribile! O Dio onnipotente, quanto siete severo nei vostri giudizi, ma quanto siete magnifico nelle vostre ricompense! Questo Angelo è il vostro braccio destro che colpisce i peccatori e premia i giusti. Per quanto la vostra voce fosse tuonante prima, tanto il vostro linguaggio è dolce e consolante ora che gli ultimi peccatori sono stati convertiti, e tutti i giusti, da Abele all’ultimo dei martiri, sono riuniti per ricevere le carezze dello Sposo. Quest’Angelo venne dunque da San Giovanni e, dopo aver deposto il calice del vino dell’ira di Dio, gli parlò e gli disse: Vieni e ti mostrerò colei che è la sposa dell’Agnello.

II. Vers. 10E mi trasportò in spirito su un monte grande e alto, e mi mostrò Gerusalemme, la città santa, che scendeva dal cielo da Dio. – Questa montagna è una figura della grandezza e dell’elevazione di un’anima, alla quale Dio comunica le sue grazie per elevarla nelle regioni celesti. Questa montagna è sola, perché è solo la potenza di Dio che è capace di innalzarci così in alto. E San Giovanni ci dice espressamente che fu portato lassù in spirito, per farci capire che è con lo spirito, e non con la carne, che possiamo ascendere fino al cielo. Anche il nostro corpo è destinato a salire un giorno in queste alte regioni; ma sarà solo dopo che ci saremo spiritualizzati, per così dire, tagliando con la scure della mortificazione tutti i rami e le radici che ci tengono quaggiù e ci legano alla terra. Dopo essere arrivati in spirito su una grande e alta montagna, sulla montagna o sulla potenza di Gesù Cristo e della sua Chiesa, e dopo essere saliti per virtù di Dio al di sopra di tutte le altre montagne, al di sopra delle potenze terrene che erano appena scomparse nelle ultime piaghe, San Giovanni vide non più Gerusalemme, la grande Babilonia, ma la Gerusalemme celeste, la città santa, che scese da Dio dal cielo. Proprio come la grande Babilonia era sorta dalla terra, così la Gerusalemme celeste veniva da Dio. Lucifero era il re di quella, ed è Gesù Cristo, il Re dei re, che regna in questa. Se la potenza di Babilonia proveniva dall’inferno, la bellezza, la grandezza e la magnificenza della Gerusalemme celeste venivano dal cielo.

III. Vers. 11. – Questa città santa era illuminata dallo splendore di Dio, e la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro trasparente come un cristallo. O ineffabile luce di Dio, dolce come la sua grazia, pura come la sua santità e giustizia, brillante come la sua gloria, e benefica come la sua misericordia e bontà! E la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro, trasparente come il cristallo. Il diaspro è una pietra preziosa molto dura, il cui colore verdastro varia estremamente. Ora, questa solidità del diaspro rappresenta l’eternità della luce divina, e questa estrema varietà di colori rappresenta gli infiniti attributi di Dio. Inoltre, questa pietra era trasparente come il cristallo, per rappresentare la purezza di quella luce eterna in cui i Santi potranno vedere Dio come è. Essi ne godranno secondo l’ampiezza delle facoltà di cui ognuno di loro è dotato. E questa luce brillerà eternamente nei loro occhi, che non si stancheranno mai di contemplarla. Più la vedranno, più vorranno goderne; e tutti i loro desideri saranno soddisfatti in essa, perché la luce eterna li illuminerà e li aiuterà a contemplare le bellezze della luce eterna. Saranno come assorbiti per sempre nelle profondità infinite della felicità e della gloria di Dio stesso.

Vers. 12. – Questa città santa aveva una muraglia di grande altezza, dodici porte, dodici Angeli alle porte e nomi scritti, che erano i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. Questa muraglia della città santa è la fede di Gesù Cristo, le cui fondamenta sono i dodici Apostoli, secondo lo stesso testo (vers. 14): « Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. » E come la fede di Gesù Cristo, unita alla pratica delle buone opere, fa salire gli eletti al cielo, poiché secondo San Paolo, è la fede che ci giustifica, (Rom . V, 1): « Giustificati dunque per fede, etc. », San Giovanni ha ragione nel dirci che questa muraglia fosse di grande altezza. Questa muraglia deve essere costruita con pietre preziose, poiché esse rappresentano la fede, che produce le buone opere e le virtù dei Santi; e queste virtù e buone opere, così poco conosciute nel mondo attuale e nascoste nelle profondità della terra e nel seno delle montagne, che sono le potenze del mondo, devono essere scoperte e scelte all’aperto, ciascuna secondo le sue qualità ed il suo valore intrinseco, per servire nella costruzione di questa muraglia. Perché se la fede produce buone opere, le buone opere mantengono ed elevano la fede. Questa muraglia sarà innalzata ad una grande altezza e formerà il recinto della città celeste. Il cemento di questo muro sarà solido e durevole quanto la ragione che lega la fede alle buone opere e le buone opere alla fede. Infatti, come abbiamo appena detto, è la fede che produce e vivifica le buone opere, e sono le buone opere che mantengono e rafforzano la fede, secondo le parole dell’Apostolo: « Il giusto vive per la fede. » Le dodici porte attraverso le quali si può entrare in questa città rappresentano i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. Perché gli Apostoli, nel diffondere la fede di Gesù Cristo sulla terra, furono veramente le porte attraverso le quali le dodici tribù dei figli d’Israele entrarono nella città santa. E queste dodici tribù i cui nomi sono scritti su queste porte, rappresentano tutti gli eletti. E dodici Angeli alle porte. Questi Angeli sono i dodici capi delle tribù d’Israele.

IV. Vers. 13. – E questa città aveva tre porte ad Oriente, tre a Settentrione, tre a Mezzogiorno, e tre ad Occidente. 1º Queste porte distribuite così verso le quattro parti principali del mondo sono una figura sensibile dell’estensione del regno di Gesù Cristo su tutta la faccia della terra e della facilità con cui Egli offre a tutti gli uomini di entrare nel suo regno. 2° Si allude qui alla disposizione delle dimore delle dodici tribù di cui si è parlato nel libro dei Numeri, II. Vedere anche Ezechiele, XLVIII. Bisogna notare l’ordine in cui sono indicate queste parti del mondo; perché questo ordine sembra coincidere con la diffusione della fede e la conversione delle nazioni nelle varie epoche della Chiesa. Queste porte, divise in quattro categorie, alludono di nuovo al Vangelo di San Matteo XX, in cui il giorno di dodici ore è anche diviso in quattro parti di tre ore ciascuna, come anche la città è divisa in quattro parti, ciascuna delle quali ha tre porte; e tutte queste parole sono figure relative al tempo e all’eternità. Vediamo in questo Vangelo di San Matteo che i primi chiamati saranno gli ultimi, saranno i meno rappresentati nel regno di Dio; perché ci sono molti chiamati e pochi eletti tra coloro che dovevano entrare attraverso le prime tre porte in Oriente. Infatti, i Giudei sono stati i primi ad essere chiamati ad entrare nella Chiesa di Gesù Cristo, ma saranno gli ultimi a farlo; e siccome durante tutto il corso delle età della Chiesa, i Giudei saranno stati dispersi in tutte le regioni del mondo, potendo sempre entrare nella città santa attraverso tutte le porte, e poiché tuttavia non vi saranno entrati fino alla fine dei secoli, Gesù Cristo ha ragione di dirci che i primi saranno gli ultimi, e che questi ultimi saranno numericamente pochi rispetto alla massa di coloro che saranno periti nel corso delle epoche. «Perché molti sono chiamati, ma pochi sono gli eletti ».

V. Vers. 14. – Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Infatti, sono stati gli Apostoli a porre le fondamenta della Chiesa in modo così solido che essa esisterà per tutta l’eternità. E poiché la pietra principale, la pietra d’angolo di questo edificio era l’Agnello sacrificato per i peccati del mondo, San Giovanni ha ragione di aggiungere: E su di esse sono i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Bisogna notare che San Giovanni parla espressamente dei nomi degli Apostoli, per farci capire meglio che si tratta dei dodici Apostoli dell’Agnello che hanno stabilito e propagato la fede di Gesù Cristo.

VI. Vers. 15. – E colui che mi parlava aveva una verga d’oro per misurare la città, le porte e le mura.

Vers. 16. E la città fu costruita in forma di quadrato, tanto lunga quanto larga. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e altezza erano uguali. L’Angelo delle piaghe che parlava a San Giovanni aveva in mano una canna, cioè una misura d’oro, per misurare la città, le porte e le mura. Si dice che questa misura fosse d’oro; e sappiamo che l’oro rappresenta la carità, che significa, in questa circostanza, l’amore e la misericordia di Dio nella distribuzione delle sue ricchezze eterne. Ora, come Dio è rigoroso nella sua giustizia e severo nei suoi giudizi, così magnifico e generoso è nel suo amore e nelle sue ricompense. Ecco perché la città santa che egli destina ai suoi eletti sarà di estensione prodigiosa, e poiché questa città sarà la dimora della gloria e della felicità eterna, si deve supporre che la sua popolazione sarà proporzionata ed anche maggiore di quella della città più fiorente. Da questo possiamo concludere che il numero dei beati in cielo sarà molto grande. Infatti, Dio disse ad Abramo, il padre degli eletti, Gen. XXII, 17: « Io ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia sulla riva del mare; la tua discendenza possederà le porte dei loro nemici e tutte le nazioni della terra saranno benedette in Colui che uscirà da te (in Gesù Cristo), perché tu hai obbedito alla mia parola. (Ibidem, XVII, 6): « Ti farò crescere con molta abbondanza e ti renderò il capo delle nazioni; e da te usciranno dei re. E stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con la tua progenie per tutte le loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio della tua progenie dopo di te. »  Faremmo un’ingiustizia al Dio di ogni bontà se credessimo che la sua misericordia cedesse alla sua giustizia; e poiché la misericordia è un attributo di Dio, che lo porta a perdonare all’infinito, dobbiamo sperare, se facciamo penitenza, e se combattiamo legittimamente le battaglie del Signore, dobbiamo sperare, diciamo, per l’infinita misericordia di Dio e per la fede e i meriti di Gesù Cristo, di essere ammessi un giorno nella città celeste, che sarà di estensione prodigiosa. Perché quando Gesù Cristo, nella sua rivelazione, ci dà la misura di esso, vediamo che avrà 160.000 leghe quadrate, e che la sua altezza sarà uguale ai lati. Ora è ripugnante supporre che una città così grande non sarà popolata in proporzione alla sua estensione. Tuttavia, poiché non sappiamo se siamo degni di amore o di odio, secondo l’Ecclesiaste, (IX), e che tutte le cose sono incerte e saranno conservate per il futuro, continuiamo a servire il Signore con timore e tremore, sperando nella sua infinita misericordia. Seguiamo l’esempio e l’ammonizione di San Paolo: perché questo Apostolo sapeva bene cosa debba costare il regno di Dio nelle pene, lui che fu assunto in spirito al terzo cielo. Ecco perché « egli sacrificò tutto, finanche la sua vita per ottenere questo regno. » – « Io faccio tutte queste cose per amore del Vangelo, per averne parte », ci dice nella sua lettera ai Corinzi, (I Cor. IX, 24); e poi aggiunge: « Non sapete che quando uno corre nella corsa, tutti corrono, ma solo uno vince il premio? Corri, dunque, affinché tu possa vincere. Ora tutti gli atleti vivono nell’esatta temperanza, eppure è solo per vincere una corona corruttibile, invece di quella incorruttibile che noi aspettiamo. Ma io corro, e non corro a caso; combatto, non come se colpissi l’aria, ma castigo severamente il mio corpo e lo porto in schiavitù, per evitare che, avendo predicato ad altri, io stesso sia riprovato. Per questo io non voglio che ignoriate, fratelli miei, che i nostri padri erano tutti sotto la nube, che mangiavano tutti la stessa carne misteriosa, e tuttavia, c’erano pochi tra un gran numero che erano graditi a Dio, ed infatti, perirono nel deserto. Ora tutte queste cose (dette ai Giudei) erano figure di ciò che ci riguarda, affinché non ci abbandoniamo a desideri malvagi, come si abbandonarono loro. Non diventate idolatri come alcuni di loro, dei quali sta scritto: Il popolo si sedette per mangiare e bere e si alzò per divertirsi. Non commettiamo la fornicazione, come fecero alcuni di loro, cosicché ne morirono ventitremila in un giorno. Non tentiamo Gesù Cristo, come lo tentarono alcuni di loro, che furono uccisi dai serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, che furono colpiti dall’Angelo distruttore. Ora tutte queste cose che accaddero loro erano figure, e furono scritte per istruire noi che siamo alla fine dei tempi. Chi pensa di essere saldo, faccia attenzione a non cadere. » Questi sono i preziosi avvertimenti che San Paolo ci dà, avvertimenti che sono del massimo interesse per il nostro futuro nell’eternità. E come sarà questa eternità per noi? Saremo portati, come Lazzaro, nel seno di Abramo dalle mani degli Angeli per entrare a far parte delle dodici tribù dei figli d’Israele, o saremo precipitati, come il ricco cattivo, nell’abisso dell’inferno? Nessuno di noi può saperlo. Degni di odio o di amore; vittime forzate che il Signore rifiuta, o figli amati che chiama a sé; vasi di ignominia e di ira, o vasi di onore e di misericordia? Portiamo, come Uria, le nostre lettere sigillate; nessuno di noi può rispondere della sua sorte. Ma confortiamoci nel fatto che se siamo stati servi vigili e fedeli durante la nostra vita, Gesù Cristo ci assicura il suo regno alla nostra morte; e se, come le vergini sagge, teniamo le nostre lampade accese all’arrivo dello sposo, la sala delle nozze ci sarà aperta. Ascoltiamo San Paolo, che ci promette che se combattiamo con coraggio, ci sarà data una corona di giustizia dal più giusto dei giudici. Ascoltiamo anche San Giovanni, che ci dice che lo spirito di Dio testimonierà al nostro, che siamo figli del Signore, e che, anche se siamo incerti sulla nostra sorte, Egli ci concederà tutto ciò che gli chiederemo secondo la sua volontà, poiché già noi siamo stati esauditi in tanti casi.

VII. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e larghezza ed altezza sono uguali. Come è stato detto, questi dodicimila stadi corrispondono alle dodici tribù d’Israele, che rappresentano la massa degli eletti, così che ogni tribù occuperà mille stadi in lunghezza, in larghezza e altezza. Ci vogliono dieci stadi per fare un miglio romano, secondo il calcolo di Lucio Florus. (Vedi Martini, Nuovo Testamento, pagina 836) e sappiamo che tre miglia romane sono circa una lega di Francia. Da ciò possiamo concludere che questa città misurerà 160.000 leghe quadrate. Ma non dobbiamo dimenticare che Dio, volendo dare agli uomini un’idea delle cose celesti, fa uso di comparazioni tratti dal linguaggio degli uomini e delle cose terrene, così che questa figura della città celeste deve essere ammessa solo come figura, o per la sua forma, o per la sua estensione, o per i materiali di cui è costruita, o, infine, per coloro che dovrebbero essere i suoi abitanti, etc.

VIII. Vers. 17. – E misurò il muro, che era di centoquarantaquattro cubiti, la misura di un uomo, che era quella dell’Angelo. Questi centoquarantaquattro cubiti di misura dell’uomo corrispondono di nuovo alle dodici tribù d’Israele che rappresentano tutti gli eletti, perché 12 x 12 = 144. E siccome questa misura è una misura d’uomo, e siccome la misura del muro non è indicata in modo tale da poterla misurare, poiché l’Apostolo non dice se deve essere misurata in altezza, o in lunghezza, o in larghezza, si deve concludere che questa misura è indicata solo per misurare i posti che gli eletti occuperanno nel recinto delle muraglie della città. Abbiamo visto, inoltre, che questa muraglia rappresenta la fede; ora, gli effetti della fede sono incommensurabili e persino infiniti. Così questa misura dell’uomo, il cui numero corrisponde così esattamente al numero delle dodici tribù d’Israele, non è indicata se non per mostrarci che tutti i posti in paradiso sono contati, misurati e conosciuti dall’eterna prescienza di Dio, che nessuno di questi posti rimarrà vuoto, e che ognuno degli eletti occuperà il suo secondo la misura determinata di santità e di giustizia che avrà acquisito. Infine, questa misura indica un quadrato perfetto, come simbolo di perfezione.

Vers . 18. – Il muro era costruito in pietra di diaspro, ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Il paragone contenuto in questo versetto è veramente ammirevole; perché, come abbiamo visto, questa muraglia della città santa rappresenta la fede. Ora, come una muraglia difende l’ingresso di una città e protegge i suoi abitanti, così la fede serve da bastione per la Chiesa e protegge i fedeli. E chi entrasse nella Chiesa altrimenti che attraverso le sue dodici porte, che sono gli Apostoli e la loro dottrina, troverebbe un muro di altezza infinita come la fede, e solido come il diaspro, che è una pietra molto dura e che rappresenta l’eternità. Abbiamo detto che questa muraglia protegge i fedeli; da qui queste parole di San Paolo (Rom. VIII, 31): « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » Perché Dio è per noi se abbiamo fede, secondo la promessa fatta ad Abramo, il padre dei credenti (Gen. XVII, 7): « Io stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con i tuoi discendenti, per tutte la loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio dei tuoi discendenti dopo di te. » Allora la fede ci dà la speranza di cose celesti e infinite. Ecco perché si dice che questo muro è fatto di diaspro, che è una pietra preziosa, di un colore verdastro, le cui sfumature variano estremamente, perché il verde è il colore della speranza, e questo colore verdastro del diaspro, che varia estremamente, è di nuovo una figura di speranza di cose celesti ed infinite. Ma non è tutto: la fede ci conduce all’amore di Gesù Cristo, ed è in questo che diventa una muraglia impenetrabile per i nemici ed infinitamente potente per proteggere i fedeli, secondo San Paolo (Rom. VIII, 35): « Chi dunque ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? L’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada. Come sta scritto: siamo ogni giorno consegnati alla morte per causa tua; siamo considerati come pecore da macello. Ma in mezzo a tutti questi mali noi vinciamo per la virtù di colui che ci ha amato. Perché io sono sicuro che né la morte né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potenze, né le cose presenti né quelle future. Perché io sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potenze, né le cose presenti, né le cose future, né la violenza, né tutto ciò che è di più alto o di più profondo, né qualsiasi altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore. » Così la fede, che ci dà speranza e ci conduce all’amore di Gesù Cristo, diventa uno scudo e persino una muraglia impenetrabile ai nemici, e infinitamente potente per proteggere i fedeli. E il muro fu costruito di diaspro, cioè di una sola pietra, per rappresentare l’unità della fede. Di diaspro, cioè di pietra molto dura, per rappresentare la fermezza, l’invariabilità, la solidità e la perpetuità della fede. E la fede cristiana è paragonata ad una muraglia, perché, come il muro di una città ne forma il recinto, così la fede in Gesù Cristo è come il recinto che racchiude l’amore di Dio e del prossimo. Poi, come la carità è una virtù più grande della fede e della speranza, rappresentata dal diaspro, secondo San Paolo, (I. Cor. XIII, 13): « Fede, speranza e carità ora rimangono; esse sono tre; ma la più grande delle tre è la carità. » Così San Giovanni, dopo aver paragonato la fede e la speranza al muro di diaspro che circonda la città, rappresenta la carità con la città stessa, volendo farci intendere la superiorità di questa virtù sulle altre due; e aggiunge: Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Così la fede e la speranza sono inferiori alla carità, come il muro di una città è inferiore alla città stessa. Dobbiamo fare attenzione a non applicare questa osservazione agli Apostoli, che hanno fondato il muro ma non sono il muro stesso. La fede e la speranza sono inferiori alla carità, soprattutto in quanto le prime due scompariranno, mentre la seconda rimarrà in eterno. E anche se la fede e la speranza devono scomparire, San Giovanni ha fatto bene a lasciare in piedi il muro che le rappresenta, perché questo muro separerà i buoni dai cattivi per tutta l’eternità, proprio come li ha separati nel tempo. Poiché è scritto: « E le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa ». Inoltre, le pietre di questo muro sono le buone opere, e queste buone opere sono una sola pietra, perché le buone opere ne sono una sola nella fede di Gesù Cristo, e questa pietra resterà in piedi per sempre, perché è scritto, Apoc. XIV, 13: « Beati coloro che muoiono nel Signore. D’ora in poi, dice lo Spirito, si riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono. » Infine, il muro di una città può essere visto da lontano, soprattutto se è grande; per questo la Chiesa è paragonata a una città. Infatti la Chiesa è visibile a tutti attraverso i quattro segni che la distinguono. 1° Poiché la Chiesa è una, cattolica, apostolica e santa, come la città di cui si tratta. Infatti, questa città celeste sarà una sola, poiché tutti i beati vi saranno riuniti in Dio. 2° Essa sarà cattolica, perché tutti, nel corso delle età, vi avranno avuto accesso. 3°. Sarà apostolica, perché è detto: Il muro della città aveva dodici fondamenta e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. 4. Infine, sarà santa, perché è detto: E io, Giovanni, vidi la città santa scendere dal cielo. Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza.  Si sa che l’oro rappresenta la carità, e questa carità dei beati sarà come l’oro più fine e più puro, poiché è detto al versetto 27 dello stesso capitolo, parlando di questa città: Niente di impuro entrerà in essa. – La città era simile a del vetro di grande purezza. Abbiamo visto, nel corso di quest’opera, che il Battesimo è paragonato ad un mare di vetro; così questo passaggio è una conferma di ciò che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo sulla necessità assoluta del battesimo per purificarci (Jo. III, 5): « In verità, in verità vi dico che se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. »

IX. Vers. 19. – E le fondamenta della muraglia della città erano ornate con ogni sorta di pietre preziose. La prima fondazione era di diaspro, la seconda di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo.

Vers. 20. – E il quinto di sardonico, il sesto di sardio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisoprasio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. Queste dodici fondamenta della muraglia, che rappresenta la fede, sono gli Apostoli. E queste fondamenta, che San Giovanni descrive, erano adornate con ogni sorta di pietre preziose, che rappresentano tutti i doni dello Spirito Santo con i quali gli Apostoli erano particolarmente arricchiti e provveduti con più abbondanza. Questi doni sono paragonati a tutti i tipi di pietre preziose secondo le qualità particolari di ciascuna di queste pietre. E come tutti gli Apostoli si distinguono tra di loro per delle qualità più o meno speciali, San Giovanni designa queste qualità di ciascuno degli Apostoli con le pietre preziose che le rappresentano. Ecco perché queste pietre sono indicate nello stesso ordine degli Apostoli stessi. Così San Pietro, che è il primo di tutti, è paragonato al diaspro, cioè alla stessa pietra di cui è costruita la muraglia della città, che è la fede.  Da qui le parole che Gesù Cristo gli rivolse quando fondò la sua Chiesa, (Matth. XVI, 18): « Io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. » La seconda pietra di colore blu [zaffiro] rappresenta San Paolo che è salito al terzo cielo, ecc. Queste dodici pietre preziose erano rappresentate nell’Antico Testamento dalle dodici pietre del Razionale. Un interprete parlando di queste pietre preziose dice elegantemente: La pietra preziosa è un simbolo affascinante. Le pietre di questa natura sono più durevoli del sasso e dei metalli. sfidano il tempo, sovrano distruttore di tutto ciò che è deperibile; occupano poco posto nello spazio. Esse si abbeverano della più sottile di tutte le cose inanimate, la luce, e poi la irradiano in torrenti di colori brillanti. Questa è l’immagine delle anime perfette che si abbeverano alla luce della verità eterna e che sono infiammate dal fuoco dell’amore divino.

X. Vers. 21.E le dodici porte erano dodici perle; e ogni porta era fatta di ogni perla, e il luogo della città era d’oro puro come vetro trasparente. O grandezza e potenza di Dio, quale linguaggio potrebbe mai esprimere la magnificenza e lo splendore delle vostre opere! O bellezza ineffabile della città santa, di quell’immensa Gerusalemme celeste, le cui porte saranno fatte di una sola perla, e il luogo sarà d’oro puro come vetro trasparente! Le parole di questo versetto sono particolarmente notevoli in quanto ci fanno capire che la città di cui si parla in questo capitolo è solo una figura, per cui Dio si serve di cose visibili e materiali, per darci un’idea di come sarà il paradiso, la cui gloria e felicità non saremo in grado di comprendere finché rimarremo sulla terra, poiché sta scritto (I. Cor., II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né il cuore dell’uomo ha compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano.» Diciamo quindi che queste parole ci fanno capire che qui si tratta solo di una figura. Infatti, queste dodici perle rappresentano i dodici Apostoli che sono le porte della città e le fondamenta del muro, come è detto altrove. E le dodici porte erano dodici perle, cioè i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. E il luogo della città era d’oro puro come il vetro trasparente. Come possiamo vedere, San Giovanni applica alla città le qualità che sono proprie del popolo che la comporrà, dal che dobbiamo concludere che tutte queste bellezze e questa magnificenza che egli attribuisce alla città devono essere intese in senso mistico. Le parole che seguono rendono la nostra idea ancora più sensibile, poiché San Giovanni aggiunge:

XI. Vers. 22. E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio, come gli Apostoli e tutti i Santi ne sono la città. San Giovanni ci lascia intravedere cosa queste parole sottendano queste parole. E non vidi una città, ma l’aspetto di una città, perché gli eletti sono la città stessa. San Giovanni non ha visto un tempio nella città, e perché? Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. Ora, poiché Dio è immenso ed è il tempio di questa città, ne segue che questa città è in Dio come Dio è nella città, ed è così che i beati vedranno Dio così com’è. Da qui le parole di San Paolo, (1 Corinzi XIII, 12): « Noi vediamo Dio ora solo come in uno specchio e sotto immagini oscure, ma allora lo vedremo faccia a faccia. Ora lo conosco solo imperfettamente, ma allora lo conoscerò come sono conosciuto da Lui. » Ora, conoscere Dio, secondo il linguaggio della Scrittura, è godere di Lui; e godere di Dio è godere di una felicità immensa nelle sue perfezioni ed eterna nella sua durata. Questo è ciò che vediamo in queste parole: Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. – Perché San Giovanni parla ora dell’Agnello, e perché dice che è anche il tempio? Ne troviamo la ragione nell’Umanità di Gesù Cristo che è l’Agnello immolato per i peccati del mondo e per la salvezza dei suoi. Ora, l’unione dell’Umanità di Gesù Cristo con i corpi dei fedeli sarà simile all’unione che esisterà tra il Signore Dio Onnipotente e le anime dei beati. E come questa unione di spiriti inizia quaggiù con la fede, è rafforzata dalla speranza e si perfeziona con la carità; così l’unione dei corpi è realmente stabilita quaggiù sotto le specie eucaristiche, e continuerà ad esistere in cielo, senza il velo della fede, e nella pienezza della felicità. E così l’Agnello sarà il tempio, secondo le parole dell’Apostolo, (II Cor. VI, 16): « Voi siete il tempio del Dio vivente, secondo quanto dice Dio stesso: Io abiterò in loro e camminerò in mezzo a loro; Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. »

XII. Vers. 23. – E la città non ha bisogno del sole o della luna per dare luce, perché la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è la sua torcia. Questo verso è una continuazione della stessa idea, e vediamo che tutto ciò che ci ricorda gli oggetti materiali e corruttibili scompare nel contesto, per essere sostituito dall’Essere infinito stesso, che prenderà il posto di tutto, e sarà l’unico oggetto della gloria e della felicità eterna dei beati. Ed è così che la città non ha bisogno del sole o della luna per essere illuminata, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua torcia. Queste parole sono al presente, perché i Santi della Chiesa trionfante stanno già godendo di questa luce eterna. Gli stessi eletti saranno così cambiati e trasformati che i loro corpi diventeranno corpi spirituali; poiché la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e la corruzione non possiederà questa eredità incorruttibile. Potresti pensare, caro lettore, che stiamo esagerando, ma ascolta le parole dell’Apostolo che è stato elevato al terzo cielo, e capirai ancora meglio la felicità che ti aspetta se sei fedele al Signore (I. Cor. XV, 35): « Ma come risorgeranno i morti e con quale corpo ritorneranno? Insensati che siete, ciò che seminate non prende vita se non muore prima. E ciò che si semina non è il corpo stesso come deve essere un giorno, ma solo il grano, ad esempio di frumento o di qualsiasi altro seme. E Dio dà a questo grano un corpo come gli piace, e dà ad ogni seme il corpo che gli è proprio. Tutta la carne non è la stessa carne; ma altra è la carne degli uomini, altra è la carne delle bestie, altra è la carne degli uccelli, altra è la carne dei pesci. »  L’Apostolo vuole farci capire che Dio nella sua onnipotenza può anche cambiare il nostro corpo terreno in uno celeste; ecco perché continua in questi termini: « Perché ci sono anche corpi celesti e corpi terreni, ma i corpi celesti hanno una lucentezza diversa da quelli terreni. Il sole ha la sua luminosità, la luna ha la sua luminosità, e le stelle hanno la loro luminosità; e tra le stelle, una è più luminosa dell’altra. Sarà lo stesso nella resurrezione dei morti. Il corpo è ora seminato nella corruzione, ma risorgerà incorruttibile. È seminato nella vergogna e risorgerà nella gloria. È seminato nell’infermità e risorgerà nella forza. Egli è seminato nel corpo animale e risorgerà nel corpo spirituale. Come c’è un corpo animale, così c’è un corpo spirituale, come è scritto: « Adamo, il primo uomo fu creato con un’anima vivente, e il secondo Adamo fu riempito di uno spirito vivificante. » Quindi vediamo che lo stato della natura di Adamo era ben diversa da quella della nostra natura e della sua dopo il peccato; perciò l’Apostolo aggiunge: « E il secondo fu riempito di uno spirito vivente », (essendo stato rigenerato nel battesimo.) « Ma non è il corpo spirituale che è stato formato per prima; ma il corpo animale, ed im seguito quello spirituale » Così da queste ultime parole dobbiamo concludere che questo corpo animale di Adamo, sebbene dotato di un’anima vivente prima del suo peccato, non era però in uno stato così perfetto come sarà in seguito alla sua rigenerazione. Infatti l’Apostolo aggiunge: « Il primo uomo (cioè Adamo, prima del suo peccato) è quello terreno, formato dalla terra; il secondo (cioè l’uomo rigenerato) è quello celeste, che è del cielo. Ecco perché la Chiesa canta del peccato di Adamo: « 0 felix culpa quæ tantum meruit habere Redemptorem! 0 felice colpa che ci ha dato un così grande Redentore! ». Perché Dio, che sa trarre il bene dal male, vendicò l’uomo della gelosia del serpente distruggendo la sua creatura caduta e portandola in uno stato ancora più perfetto di come l’aveva creata. Poi l’Apostolo continua: « Come il primo uomo (Adamo) era terreno, così i suoi figli sono pure terreni; e come il secondo (Gesù Cristo) è celeste, così i suoi figli sono pure celesti. Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Ora quello che voglio dire, fratelli miei, è che la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e che la corruzione non possederà l’eredità incorruttibile. Ecco un mistero che vi insegnerò: tutti risorgeremo, ma non tutti saremo cambiati (nell’immagine di Gesù Cristo). In un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; poiché la tromba suonerà, e i morti risorgeranno incorruttibili d’ora in poi, e noi saremo cambiati (cioè, i buoni saranno cambiati nell’immagine dell’uomo celeste, che è Gesù Cristo). Perché questo corpo corruttibile deve essere rivestito di incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità. E quando questo corpo mortale sarà rivestito di immortalità, allora si compirà questa parola della Scrittura: la morte è stata assorbita dalla vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? Ora, il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge (la legge di Dio violata). Ma grazie siano rese a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Perciò, miei amati fratelli, rimanete fermi e incrollabili, lavorando sempre più per l’opera del Signore, sapendo che il vostro lavoro non sarà più inutile davanti al Signore. » Riprendiamo ora il nostro testo:

XIII. Vers. 24. Le nazioni cammineranno nella sua luce, e i re della terra vi porteranno la loro gloria e il loro onore.

Vers. 25. – E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Oltre al fatto che questo passo segue la descrizione della Gerusalemme celeste, dove saranno rappresentate tutte le nazioni della terra, e cammineranno nella luce eterna di Dio e dell’Agnello, alla quale i re della terra porteranno la loro gloria e il loro onore; queste  parole si riferiscono al primo passo del Vangelo secondo San Giovanni, dove si parla della luce che Gesù Cristo è venuto a diffondere tra gli uomini sulla terra, per dar loro il diritto di divenire figli di Dio a tutti coloro che avrebbero ricevuto questa luce e creduto in Gesù Cristo. Ora, questa luce divina, che è venuta nel mondo, condurrà coloro che la ricevono alla Gerusalemme celeste, le cui porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Infatti, questa luce è eterna, e l’oscurità della notte degli errori e dei vizi non la farà mai sparire. Il resto della notte sarà inutile, perché non ci sarà nessun lavoro, nessun dolore, nessuna fatica durante il giorno dell’eternità.

XIV. Vers. 26. E la gloria e l’onore delle nazioni saranno portati ad essa, perché tutte le nazioni avranno ricevuto quella luce, la luce vera che, secondo San Giovanni, (I, 9): « Illumina ogni uomo che viene in questo mondo. » E l’onore e la gloria delle nazioni saranno coloro che, avendo ricevuto questa luce, si sono distinti dagli empi per la pratica delle virtù cristiane, e coloro che, essendo stati illuminati da questa luce, si sono allontanati dalle tenebre che non l’hanno compresa. Perché i malvagi sono la vergogna delle nazioni, come i buoni ne sono la gloria e l’onore. Così la gloria e l’onore delle nazioni saranno coloro che, secondo San Giovanni, non sono nati dal sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio stesso.  In una parola, la gloria e l’onore delle nazioni saranno le pecore che hanno seguito il buon pastore nell’ovile della Chiesa, seguendo la sua luce, ascoltando la sua voce e vivendo della sua vita, secondo le parole di Gesù, (Jo, XIV. 6). « Io sono la via, la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me ». Così tutti coloro che non hanno conosciuto e praticato la dottrina di Gesù Cristo sulla terra non saranno ammessi nella città celeste. Poiché:

XV. Vers. 27.Non vi entrerà nulla di impuro, né alcuno di coloro che commettono abominazioni e falsità, ma solo coloro che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. – Perciò non ci sarà notte in quel luogo, né la notte del vizio, né la notte dell’errore, perché nulla di impuro vi entrerà, né alcuno di coloro che commettono abominio e falsità. Ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello, cioè quelli che hanno vissuto della sua vita; « perché in lui era la vita », dice San Giovanni, (I, 4): « E la vita era la luce degli uomini. » E tutti coloro che hanno conosciuto questa luce dell’Agnello e hanno vissuto della sua vita nel tempo, godranno della sua luce e vivranno della sua vita nell’eternità. E allora i loro stessi corpi saranno cambiati in corpi spirituali, secondo San Paolo, e questi corpi avranno impassibilità, la chiarezza, l’agilità e la sottigliezza. 1º Questi corpi saranno impassibili, perché non saranno mai più soggetti ad alcuna sofferenza; perché « Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né pianto, né dolore, perché il primo stato è finito. » 2º Questi corpi possiederanno la chiarezza, poiché saranno la città che Dio abiterà, e Dio sarà il tempio e il sole di questa città. (Apoc. XXI, 22): « E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. E la città non ha bisogno del sole, né della luna che le dia luce, perché la gloria di Dio risplende su di essa, e l’Agnello è la sua torcia. E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. » – 3º Questi corpi avranno l’agilità; perché la loro vita sarà secondo la luce che li illuminerà; e poiché questa luce è immensa, la loro vita sarà nell’immensità di questa luce. E questa luce li condurrà e li illuminerà nell’immensità della vita di Dio, che potranno vedere e contemplare faccia a faccia, senza alcun ostacolo. Da qui queste parole: « Le nazioni cammineranno nella sua luce ». Così gli spazi non li fermeranno, dato che non ci saranno più limiti, e il tempo non li riterrà, perché non ci sarà più il tempo. 4 ° Perciò possederanno la sottigliezza, poiché non sperimenteranno più gli ostacoli che possono impedire loro di godere della gloria e della felicità infinita della luce eterna. – Da quanto abbiamo appena visto nel corso di questo capitolo, l’uomo può dare libero sfogo alla sua immaginazione finché gli piace, ma non riuscirà mai, finché è sulla terra, a immaginare la realtà della felicità che gli è riservata se ama Dio suo creatore, perché è scritto, (I Corinzi II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha mai udito, né il cuore dell’uomo ha mai compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. ». Possiamo trovare paragoni più toccanti e magnifici di quelli usati da San Giovanni per descrivere le delizie della gloria eterna? Certamente no. Se l’Apostolo ha fatto ricorso a immagini sensibili per istruirci, è perché ha dovuto parlare l’unico linguaggio possibile per essere compreso dagli uomini. E quando la felicità e la gloria del paradiso non consistono che nel possesso di ciò che le nostre facoltà intellettuali ci permettono di concepire più perfettamente della realizzazione di questa figura, quale uomo, comprendendo bene i suoi interessi più cari, non sacrificherebbe tutti i beni del mondo e sopporterebbe tutti i tormenti del tempo, per essere ammesso un giorno nel numero dei cittadini di questa Gerusalemme celeste? Cosa sono le ricchezze, gli onori e i piaceri della terra in confronto alle delizie di questa città? Eppure, per quanto la magnificenza e lo splendore di questa città possano apparire ai nostri occhi mortali, dopo tutto è solo un’immagine. Ora, se c’è già una differenza estrema tra un uomo e il suo ritratto, tra una luce e l’ombra che ne deriva, tra il giorno e la notte, che differenza ci sarà tra i beni del cielo e quelli della terra, tra la realtà di questi beni e la loro figura, tra la verità e l’espressione, tra il tempo e l’eternità? Questa differenza è espressa in una sola parola; ma né i secoli né gli spazi possono contenere la sua realtà. perché questa realtà è l’infinito.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVII)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLIV.

Stato intermedio delle anime dopo la morte in attesa della resurrezione finale. – Il Purgatorio.

1791. Mediante la meravigliosa economia dei sette Sacramenti Gesù Cristo comunica agli uomini il frutto della sua Redenzione, fuori della quale non vi è salute né vita morale perfetta ad essi possibile. I primi cinque, vale a dire il Battesimo, la Confermazione, la Eucarestia, la Penitenza e la Estrema Unzione, perfezionano l’uomo in quello che riguarda la sua propria persona; mentre gli altri due, l’Ordine ed il Matrimonio, lo perfezionano in vista del bene comune di tutta la società in cui vive, e che doveva in effetto avere in se stessa la virtù di moltiplisarsi e di continuare ad essere sorgente di vita soprannature per tutti gli uomini sino alla fine dei tempi. A qual fine poi Gesù Cristo stesso che per mezzo dello Spirito Santo che la inviato e che ne è l’anima, conduce il genere umano da Lui riscattato col proprio sangue?

Lo conduce al fine della vita immortale, che deve schiudersi nella gloria celeste per tutta la eternità.

1792. Gesù Cristo, mediante l’azione del suo governo redentore, conduce gli nomini alla gloria della vita immortale immediatamente, e per così dire incontanente?

No; perché sebbene i misteri compiuti nella sua santa umanità ed i Saramenti che ci uniscono a tali misteri avessero la virtù di farlo, era tuttavia conveniente alla divina Sapienza che la natura umana, condannata nel suo stesso fondo come natura peccatrice e decaduta a portare la pena di questo peccato di natura, non fosse restaurata come natura in tutta la sua pienezza nella persona dei diversi individui, che al termine del suo corso fra gli uomini. Ed ecco perché anche i battezzati, ossia sia tutti quelli che partecipano ai sacramenti di Gesù Cristo, anche dopo la loro personale santificazione; rimangono soggetti alle pene della vita presente; e specialmente alla più terribile di tutte, cioè alla morte (LXIX, 1).

1793. Dunque soltanto alla fine delle umane generazioni la morte stessa sarà definitivamente vinta, e tutti i redenti di Gesù Cristo potranno risuscitare ad una vita immortale che si manifesterà pienamente nella loro anima e nel loro corpo nel cielo per tutta la eternità?

Sì; sarà soltanto allora, e dal momento che muoiono restano in uno stato intermedio che è uno stato di attesa.

1794. Che cosa intendete quando dite che restano in uno stato intermedio che è uno stato di attesa?

Con questo si vuole intendere che essi, o non ottengono subito la ricompensa della loro vita meritoria, oppure se si trovano posti in grado di ricevere la ricompensa per i loro meriti, o il castigo per i loro demeriti, fino al giorno della resurrezione non avranno tale ricompensa o tale castigo in tutta la pienezza quale l’avranno eternamente a partire da quel giorno (LXIX, 2).

1795. Come chiamate il luogo intermedio dove si trovano dopo la morte coloro che non ottengono subito la ricompensa della loro vita meritoria?

Si chiama Purgatorio (LXXI, 6; Appendice, Il).

1796. Quali sono le anime che dopo la morte occupano questo luogo intermedio che è il Purgatorio?

Sono le anime dei giusti che muoiono nella grazia di Gesù Cristo, ma che nel momento della loro morte non hanno interamente soddisfatto alla giustizia di Dio per la pena temporale dovuta al peccato (Ibid.).

1797. Dunque il Purgatorio è un luogo di espiazione, dove con pene  proporzionate si deve soddisfare alla giustizia di Dio, prima di poter essere ammessi alla ricompensa nel cielo?

Precisamente; il Purgatorio è questo, e niente poteva essere più in armonia tanto con la misericordia che con la giustizia di Dio (Ibid.).

1798. Come ed in che cosa la misericordia di Dio si manifesta nella espiazione del Purgatorio?

Essa si manifesta in questo, che anche dopo la morte Dio dà alle anime dei giusti il mezzo di soddisfare alla sua giustizia e di prepararsi ad entrare in cielo libere da ogni debito verso questa giustizia. Ma essa si manifesta anche in questo, che per mezzo della comunione dei Santi, Dio permette ai vivi che sono sulla terra di offrire in forma di suffragio le proprie soddisfazioni e di applicare, guadagnando indulgenze per loro, le soddisfazioni di Gesù Cristo, della Ss.ma Vergine, e dei Santi, in luogo ed in vece delle soddisfazioni che le care anime del Purgatorio dovrebbero dare alla giustizia di Dio, e con questo affrettare il loro ingresso in paradiso (LXXI, 6).

1799. Fra tutti gli atti che i giusti viventi sulla terra possono fare o procurare per abbreviare la espiazione delle anime del Purgatorio, ve ne è uno più particolarmente efficace?

Sì; è l’oblazione del santo Sacrificio della Messa.

1800. Importa molto che, quando si fa o si procura questa oblazione per le anime del Purgatorio, abbiamo noi stessi un più grande fervore?

Sì; perché quando si tratta di soddisfare alla giustizia di Dio nell’ordine della remissione dei peccati, Dio guarda senza dubbio al valore di ciò che si offre — e nella offerta del santo Sacrifizio della Messa il valore è infinito —; ma guarda più ancora al fervore di colui che offre, sia che offra per se stesso come il sacerdote, od offra per la intromissione o per il ministero di altri, come i fedeli che domandano al sacerdote di offrire in loro nome e secondo la loro intenzione il santo Sacrifizio della Messa (LXXI, 9; Parte Terza LXXIX, 5).

1801. Dunque Dio misura l’applicazione del frutto del sacrifizio della Messa secondo il fervore di coloro che domandano al sacerdote di offrire secondo la loro intenzione il santo saerifizio stesso?

Sì; e questo dimostra quanto essi stessi debbano eccitarsi a fervore facendo questa domanda.

1802. Le opere satisfattorie che i giusti compiono sulla terra offrendole a Dio per modo di suffragio e con la intenzione di applicarle sia alle anime del Purgatorio in generale, sia ad un dato numero di anime, sia ad una determinata anima particolare, vengono applicate conforme alla loro intenzione?

Sì; e con quel grado di valore che dà loro il fervore del soggetto che le compie, e le offre in ispirito di carità (LXXI, 6).

1803. Si possono applicare, sia alle anime delPurgatorio in generale, sia ad un dato numero di anime, sia ad una anima in particolare, le indulgenze che si acquistano e che sono applicabili alle anime del Purgatorio?

Si può ugualmente; e qui tutto dipende dalla intenzione di chi le acquista, regolata essa stessa dalla intenzione della Chiesa manifestata nel tenore dei termini che stabiliscono la concessione (LXXI, 6; Codice, can. 930).

1804. Compiuta la soddisfazione che le anime trattenute in Purgatorio dovevano offrire a Dio per i loro peccati trascorsi, sono esse introdotte immediatamente in Paradiso?

Sì; subito dopo compiuta la loro soddisfazione, le anime dei giusti trattenute in Purgatorio ne sono tolte per essere introdotte in Paradiso (LXIX, 2; Appendice, II, 6).

Capo XLV.

Il Paradiso.

1805. Che cosa intendete per il Paradiso?

Intendo il luogo dove si trovano dal principio del mondo gli Angeli beati, e dove sono ammessi tutti i giusti redenti dal Sangue di Gesù Cristo, dal giorno in cui Gesù Cristo vi ha fatto la sua gloriosa ascensione.

1806. Che cosa ci vuole perché i giusti redenti dal Sangue di Gesù Cristo siano ammessi in Paradiso?

Bisogna che siano giunti al termine della loro vita mortale, e non abbiano alcun debito da pagare alla giustizia di Dio (LXIX, 2).

1807. Si danno delle anime che sono ammesse in Paradiso subito dopo la morte?

Sì; sono le anime che hanno ricevuto con pieno effetto l’applicazione dei meriti di Gesù Cristo, o che su questa terra hanno offerto a Dio, in unione con la soddisfazione di Gesù Cristo, tutta la pienezza di soddisfazione di cui potevano essere debitrici a Dio per i loro peccati (LXIX, 2).

1808. I bambini che muoiono dopo ricevuto il Battesimo e prima di arrivare alla età di poter peccare, sono ammessi in Paradiso subito dopo la morte?

Sì; perché non hanno più il peccato originale, che solo avrebbe potuto loro impedire di entrare in Paradiso.

1309. E sarebbe lo stesso per gli adulti. Che avendo già commesso dei peccati mortali, ricevessero il Battesimo con buone disposizioni e morissero subito dopo, oppure «prima di commettere altri peccati?

Sì; perché il sacramento del Battesimo applica in tutta la loro pienezza, ossia con pieno effetto i meriti della Passione di Gesù Cristo (Parte Terza, LXIX, 1, 2,7, 8).

1810. E coloro che dopo aver commesso dei peccati anche mortali dopo il Battesimo, senza averne ancora fatta penitenza sufficiente, almeno in quanto alla soddisfazione della pena, ma che in punto di morte offrissero la loro vita a Dio con un atto di carità perfetta, potrebbero essere ugualmente accolti in cielo subito dopo la morte?

Sì; specialmente quando questo atto di carità perfetta fosse il martirio (Parte Seconda – Sezione Seconda, CXXIV, 3).

1811. Che cosa divengono le anime dei giusti, dal momento del loro ingresso in Paradiso?

Esse vengono subito ammesse alla visione di Dio, che le ricolma di una felicità in qualche modo infinita (Parte Prima, XII, 11).

1812. Possono vedere Dio di per se stesse, oppure bisogna che esse ricevano a tale effetto una perfezione affatto nuova, oltre alle perfezioni di ordine soprannaturale che potevano già possedere mediante la grazia, le virtù ed doni?

Bisogna che ricevano una perfezione affatto nuova, che è come l’ultimo coronamento di tutte le altre perfezioni soprannaturali – che già possedevano (Ibid., XII, 5).

1813. Come si chiama questa perfezione e questo coronamento?

Si chiama il lume della gloria (ibid.).

1814. Che cosa intendete per questo lume della gloria?

Intendo una qualità prodotta da Dio nella intelligenza dei beati, che dà ad essa la potenza di ricevere in sé, come principio proprio del suo atto di visione, la divina essenza in tutto lo splendore della sua luce infinita (Ibid).

1815. Che cosa risulta per il beato da questa unione della divina essenza con la sua intelligenza, perfezionata dal lume della gloria?

Ne risulta che esso vede Dio come Dio vede se stesso (Ibid.).

1816. È questo ciò che si chiama la visione faccia a faccia?

Sì; è la visione faccia a faccia che ci è promessa nella S. Scrittura, e che rendendoci simili a Dio in quanto una creatura possa esserlo, doveva essere come l’ultima parola di tutto nella opera divina.

1817. Dio ha creato tutte le cose, è le governa nel corso della evoluzione del mondo dal principio alla fine, per questa visione di se stesso da comunicarsi ai beati, e per la infinita felicità che loro ne deriva?

Sì; precisamente per questo. E quando tutte le sedi da Lui fissate nel suo Paradiso saranno riempite; quando mediante l’azione del suo divino governo avrà compiuto la preparazione dell’ultimo eletto che nel mistero della sua libera e sovrana Predestinazione ha stabilito di introdurvi, allora l’andamento attuale del mondo finirà, e Dio ordinerà il mondo in un nuovo stato che sarà quello della resurrezione.

1818. Possiamo noi sapere quando avverrà la fine del mondo attuale, e quando Dio stabilirà il mondo nel nuovo stato della resurrezione?

No; perché questo dipende unicamente dal consiglio di Dio, in ciò che Egli ha di più intimo quale è l’ordine della sua Predestinazione.

1819. I beati che godono già la visione di Dio in cielo si interessano delle cose terrene e del mondo umano in cui essi non sono più?

I beati eletti che godono già la visione di Dio in cielo si interessano sommamente delle cose terrene e del mondo umano, quantunque essi non vi siano più; perché in questo mondo umano continua a svolgersi il grande mistero della divina Predestinazione, ed il compimento perfetto di questo mistero deve coincidere con l’ultimo perfezionamento della loro propria beatitudine, nel giorno della gloriosa resurrezione.

1820. Gli eletti che sono già in Paradiso vedono tutto quello che accade sulla terra?

Nella stessa visione di Dio essi vedono tutto quello che delle cose della terra si riferisce più particolarmente a loro, nel compimento del mistero della Predestinazione nel mondo.

1821. Conoscono le preghiere che si indirizzano loro, ed anche i bisogni spirituali e temporali di coloro che a loro appartengono più da vicino?

Sicuramente; e sono sempre disposti a rispondere a queste preghiere ed a provvedere a questi bisogni, intervenendo presso Dio con la loro intercessione onnipotente (LXXII, 1).

1822. Donde viene dunque che noi non risentiamo sempre l’effetto del loro intervento?

Perché questo intervento si effettua nella piena luce di Dio, dove ciò che a noi e per noi può sembrare un bene, forse non lo è secondo la verità, ossia nell’ordine delle disposizioni divine (LXXII, 83).

1823. In realtà può dunque esservi un commercio continuo fra noi che viviamo sulla terra, ed i Santi che sono in cielo a godere la visione di Dio?

Sì; questo commercio può essere continuo, perché non sta che a noi di evocare il ricordo di queste anime sante, per rallegrarci con esse della loro felicità, e pregarle di aiutarci con la loro intercessione a guadagnarla noi stessi.

Capo XLVI.

L’Inferno.

1824. All’estremo opposto del luogo di eterna felicità che è il Paradiso, esiste un altro luogo che è il luogo della eterna dannazione; e come si chiama?

Sì; questo luogo esiste e si chiama Inferno (LXIX, 2).

1825. Che cosa è dunque l’Inferno?

L’Inferno è un luogo di tormenti in cui sono condannati tutti coloro che con i propri delitti si sono ribellati contro l’ordine della Provvidenza o della Predestinazione, e sono rimasti così fissi in questi delitti, da non convertirsene mai.

1826. Chi sono coloro che si trovano in questo caso?

Fra gli angeli sono tutti quelli che hanno peccato, e fra gli nomini tutti coloro che sono morti nella impenitenza finale (LXIX, 2).

1827. Dal fatto che i dannati sono talmente stabiliti nel male da non poter più ritrarsi dalla loro ostinazione, che cosa ne segue?

Ne segue che le pene ed i tormenti che meritano per causa dei loro delitti, dureranno sempre e non finiranno mai.

1828. Ma Dio non potrebbe porre un termine a queste pene ed a questi tormenti?

Di potenza assoluta lo potrebbe, perché niente è impossibile alla sua onnipotenza. Ma nell’ordine della sua sapienza non lo farà perché secondo questo ordine ormai immutabile, le creature ragionevoli giunte al termine della loro vita di prova, si trovano fisse per sempre nel bene o nel male; e durando sempre il male, bisogna pure che ugualmente ne duri il castigo (XCIX, 1, 2).

1829. Dunque i dannati dovranno subire eternamente le pene dell’Inferno?

Sì; i dannati dovranno subire eternamente le pene dell’Inferno (Ibid.).

1830. E quali sono le pene che i dannati dovranno subire eternamente?

Queste pene sono di due specie, cioè: la pena del danno e quella del senso (XCVII, 1, 2).

1831. Che cosa si intende per pena del danno?

La pena del danno è costituita dalla privazione: del Bene infinito che si possiede in cielo nella visione beatifica.

1832. Questa pena è molto sensibile per i reprobi dell’Inferno?

Essa è e sarà eternamente il tormento indicibile dei reprobi dell’Inferno.

1833. Donde viene che questa pena sarà risentita sì crudelmente dai reprobi dell’Inferno?

Prima di tutto perché essendo giunti al termine, essi avranno veduto il nulla di tutti gli altri beni che avevano cercato a pregiudizio di quello, ed avranno allora la nozione esatta della grandezza del Bene da essi perduto. Poi dalla coscienza certissima che avranno di averlo perduto unicamente per propria colpa.

1834. La vista della loro coscienza e della loro responsabilità nella perdita del Bene infinito, è proprio ciò che il Vangelo indica sotto il nome di « verme roditore che non muore mai »?

Sì; perché questo verme roditore è ciò che si dà di più orribile per un essere cosciente, e non è altro che il rimorso, la stretta del quale dovrebbe ucciderlo mille volte se potesse morire (XCVII, 2).

1835. Si deve intendere anche in senso metaforico, ossia puramente spirituale, l’altra

pena di cui parla il Vangelo, che la chiama «il fuoco che non si estingue mai»?

No; questo fuoco si deve intendere nel senso di un fuoco materiale, perché indica propriamente la pena del senso (XCVII, 5).

1836. Ma come può agire un fuoco materiale su degli spiriti, ossia su delle anime separate dai loro corpi?

Per un ordine speciale della giustizia di Dio, che comunica a questo fuoco materiale, in ragione della sua propria azione di ciò che questa azione significa, la virtù preternaturale del giudizio di servire di strumento a questa giustizia LXX, 3).

1837. I dannati saranno tutti tormentati nella stessa guisa dal fuoco dell’Inferno?

No; perché essendo lo strumento della giustizia di Dio, l’azione di questo fuoco sarà proporziona alla natura al numero e alla gravità dei peccati commessi da ciascuno. (XCVII, 5 ad 3).

1838. Il supplizio dei dannati sarà accresciuto dalla spaventevole compagnia costituita dalla orribile società dove si troveranno tutti i malfattori ed i criminali del genere umano, mescolati ai demoni che avranno l’ufficio di tormentarli sotto il comando del primo di loro; capo supremo del regno del male?

Certissimamente; ed è ciò che sembra significare il Vangelo quando parla delle « tenebre  esteriori, deve è pianto e stridore di denti » (XCVII, 3, 4)

Capo XLVII.

Dell’atto che compie la divisione fra il Purgatorio, il Paradiso l’Inferno; ossia del giudizio.

1939. Per quale atto avviene la divisione tra coloro che vanno immediatamente in Paradiso, oppure in Purgatorio, oppure l’Inferno?

Questa divisione avviene mediante l’atto del giudizio.

1840. Che cosa intendete per giudizio?

Intendo quell’atto della giustizia di Dio, che sentenzia definitivamente sullo stato di un dato soggetto, in ordine alla ricompensa od al castigo da ricevere.

1841. Quando avviene questo atto sovrano della giustizia di Dio?

Avviene immediatamente dopo la morte, nel momento in cui l’anima si trova separata dal corpo.

1842. E dove avviene questo atto del giudizio?

Nello stesso luogo dove avviene la separazione dell’anima dal corpo, che costituisce la morte.

1848. Da chi si fa l’atto del giudizio?

L’atto del giudizio si fa da Dio stesso, la virtù del quale passa attraverso la santa umanità del Verbo fatto carne, dopo l’Ascensione di Gesù Cristo al cielo.

1844. L’anima che viene giudicata, vede Dio e la santa umanità di Gesù Cristo?

Non debbono vedere Dio nella sua essenza né la santa umanità di Gesù Cristo che è in cielo, se non le anime il cui giudizio porta una sentenza di ingresso immediato in Paradiso.

1845. Ed il giudizio delle altre anime come avviene?

Avviene come per mezzo di un colpo di luce, che mette istantaneamente sotto i loro occhi tutto lo svolgimento della loro vita, e mostra loro che il luogo che ricevono immediatamente o nell’inferno o nel Purgatorio, è quanto v’ha di più giusto e di più meritato.

1846. Dunque avviene quasi per un medesimo atto e come nel medesimo istante, che le anime appena separate dal corpo sono giudicate, ed in forza di questo giudizio, collocate o nell’Inferno o nel Purgatorio o in Paradiso?

Sì; quasi per lo stesso atto e come nel medesimo istante, perché tutto ciò avviene per onnipotenza di Dio che agisce istantaneamente.

1847. E su che cosa verte questo grande atto del giudizio, e che cosa mostra all’anima che è giudicata?

Questo atto verte su tutto lo svolgimento della vita morale e cosciente, dal primo momento in cui si è avuto l’uso della ragione, fino all’ultimo atto che ha preceduto la separazione dell’anima dal corpo.

1848. Questo ultimo atto che avrà preceduto la separazione dell’anima dal corpo, avrà potuto qualche volta decidere da sé solo della sorte di un’anima per tutta la eternità, e valerle l’acquisto del cielo?

Sì; ma non avviene mai che per misericordia specialissima di Dio, e perché, il più spesso, altri atti nella vita del soggetto avranno in qualche modo preparato questa grazia; oppure in forza delle preghiere di anime sante che avranno piegato Dio a tale atto di suprema misericordia.

1849. E che cosa vedrà l’anima che è così giudicata, in questa luce che mette istantaneamente sotto i suoi occhi tutto lo svolgimento della propria vita, e le mostra che il luogo che nello stesso momento riceve o nell’Inferno o nel Purgatorio o in Paradiso è quanto vi è di più giusto e di più meritato?

Essa vedrà fino nei loro più minuti particolari tutti gli atti compiuti, e di cui ha potuto essere responsabile nel corso di tutta la vita per quanto lunga possa essere stata, e per ciascun giorno del corso di questa vita e per ciascun momento di questi giorni: i suoi pensieri più intimi e svariati; le sue affezioni, qualunque sia stato il loro oggetto, il loro carattere, il loro moto interno ed esterno; le sue parole gravi o leggere, riflessive od inconsiderate, vane od oziose; i suoi atti e la parte che vi avranno avuto i suoi sensi, gli organi e le membra del proprio corpo. Nell’ordine di ciascuna virtù e di ciascun vizio, dalla virtù della temperanza con tutto quanto le si riferisce, passando per la virtù della fortezza e sue annesse, la virtù della giustizia e sue infinite ramificazioni, la virtù della prudenza e le sue applicazioni in ogni istante nella pratica delle virtù morali, sia che si tratti della pratica di queste virtù sotto la loro ragione di virtù naturali, o di virtù soprannaturali ed infuse; ma più ancora e soprattutto in ciò che riguarda le grandi virtù teologali della fede, della speranza e della carità, che dovevano tutto dominare nella sua vita. Essa vedrà ciò che avrà fatto del Sangue di Gesù Cristo e di tutti i misteri di salute congiunti con questo Sangue redentore, per mezzo dell’uso dei Sacramenti della grazia dispensati nella Chiesa Cattolica: come avrà trascurato o utilizzato la grande virtù della penitenza con le soddisfazioni che le offriva per l’intervento del potere sovrano delle chiavi. E sarà questa visione istantanea che le farà dire, o con la gioia riconoscente degli eletti nel Cielo, o con la rassegnazione amante dei giusti nel Purgatorio, o con la rabbia disperata dei dannati nell’Inferno: «Il vostro giudizio, o Dio, e la vostra sentenza sono la stessa giustizia».

Capo XLVIII.

Del luogo di coloro che non vengono giudicati: Il Limbo dei bambini.

1850. Vi sono degli esseri umani che al momento della morte non sono sottoposti al giudizio?

Sì; sono tutti i bambini che muoiono prima dell’uso della ragione, ed anche coloro che sebbene adulti, muoiono senza avere avuto l’uso della ragione (LXIX, 6).

1851. Non avviene una divisione fra i bambini e fra coloro che muoiono senza avere avuto l’uso della ragione?

Sì; ma non in ragione dei loro meriti o demeriti, e non per modo di giudizio.

 1852. Come avviene dunque questa divisione?

Avviene soltanto per questo, che gli uni hanno ricevuto il sacramento del Battesimo, e gli altri no.

1853. Dove vanno quelli che hanno ricevuto il sacramento del Battesimo?

Vanno immediatamente in Paradiso.

1854. E quelli che non l’hanno ricevuto, dove vanno?

Vanno in un luogo loro riservato, che si chiama Limbo.

1855. Il Limbo dei bambini morti senza Battesimo è un luogo distinto dall’Inferno e dal Purgatorio?

Sì; il Limbo dei bambini nati senza Battesimo è un luogo distinto, diverso dall’Inferno e dal Purgatorio, perché a differenza dell’Inferno e del Purgatorio, non è un luogo dove si soffre la pena del senso per causa di peccati personali (LXIX, 6).

1856. Nel Limbo, i bambini morti senza Battesimo subiscono la pena del danno?

Sì; perché essi si sanno privati eternamente del Bene infinito che è la visione di Dio. Ma questa pena non ha affatto per loro il carattere di suprema tortura che ha per i dannati dell’Inferno (Appendice, I, 2).

1857. Donde nasce questa differenza nel carattere della pena del danno per i bambini morti senza Battesimo?

Nasce da questo che se essi sanno di essere privati della visione di Dio, sanno pure che questa pena li colpisce non in ragione  di una colpa personale da essi commessa, ma soltanto in forza della loro discendenza da Adamo peccatore, ossia in ragione del peccato di natura che essi hanno personalmente contratto per il solo fatto della loro nascita (ibid.).

1858. Non esiste dunque per loro l’orribile verme roditore che tormenta i dannati nell’Inferno?

Niente affatto; ma uno stato che, senza implicare sofferenza o tristezza, fa tuttavia che essi abbiano coscienza della felicità che avrebbero potuto avere se i meriti della Redenzione fossero stati loro applicati, e che non potranno mai avere benché non per loro colpa, ma. per un giusto decreto degli inscrutabili consigli di Dio (Ibid.).

1859. Le anime di questi bambini morti senza Battesimo conoscono, i misteri della Redenzione?

Sicuramente; ma li conoscono con una conoscenza affatto esteriore, se così possiamo dire (Ibid).

1860. Si può dire che queste anime abbiano il lume della fede?

No: non si può dire che queste anime abbiano il lume della fede, nel senso di lume interiore soprannaturale che perfeziona la intelligenza, e le permette di penetrare in certa maniera l’intimo dei misteri rivelati con un tale gusto di ordine soprannaturale che porta a desiderarli con desiderio efficace. Esse non li conoscono che dal di fuori, un po’ come tutti quelli che non possono non confessare la verità dei misteri divini affermati da Dio, ma che non sono punto portati da un moto della grazia ad aderire in modo soprannaturale a questi misteri, e sono nella impotenza radicale di penetrarne il senso intimo.

1861. È dunque una specie di lume affatto esterno e freddo, quello che fa loro conoscere i misteri della fede?

Precisamente; è un lume che non è lume di ribellione come nei dannati dell’Inferno, né lume di adesione ardente che generi la speranza e la carità come quello dei giusti sulla terra, né ancor meno lume di visione inebriante come per gli eletti nel cielo. Ma un lume in qualche maniera spento nell’ordine soprannaturale, che non è né lume di vita, né lume di morte nel senso che lo è per i dannati: è lume senza speranza che non genera affatto il rimorso e neppure il rimpianto, e che soltanto fa prendere loro coscienza di una infinita felicità che non possederanno mai, senza che frattanto esista per loro né pianto né stridore di denti come per i dannati nell’Inferno. Di più, sarà per loro una gioia grandissima il pensiero dei beni di ordine naturale che hanno già ricevuto da Dio, o che riceveranno poi e per sempre nel momento della resurrezione (Ibid. ad 3).

1862. Accanto al Limbo dove stanno le anime dei bambini morti senza Battesimo, non vi è un altro Limbo di cui si fa menzione nel linguaggio della Chiesa?

Sì; è il Limbo dove una volta si trovavano i giusti che non avevano più alcun impedimento personale per ricevere la ricompensa del cielo, ma che per ottenerla dovevano aspettare la venuta del Redentore (LXIX, 7).

1863. Nel Limbo degli antichi giusti non vi è ora più nessuno?

Dal giorno in cui Gesù Cristo discese in questo Limbo nel momento della sua morte e ne risalì nel giorno della sua resurrezione, conducendo seco tutte le anime dei giusti che vi stavano rinchiuse, questo luogo non ha più e non può avere più il suo primitivo uso. Ma può essere che da allora sia adibito ricevere le anime dei bambini morti senza Battesimo, non formando più che una cosa sola col Limbo dei bambini.

LA SUMMA PER TUTTI (24)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI INFAMI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII “MIRÆ CARITATIS”

La Lettera Enciclica Miræ caritatis, di S. S. Leone XIII, è una stupenda catechesi sull’importanza della Eucarestia come elemento centrale del culto cristiano e della intera vita spirituale del Cattolico, elemento di coesione sociale del popolo tutto, foriero quindi di benefici immensi non solo individuali, ma estesi a tutta la società ed all’umanità intera. Ben sapendo questo, i nemici di Dio, della Chiesa e dell’umanità tutta – infiltrati nei sacri palazzi dell’urbe che hanno subdolamente trasformato, con la connivenza di finti ed empi prelati e falsi fedeli, nella sinagoga di satana – hanno fatto in modo da alterare tutto il rito del Sacrificio eucaristico, con forma ed intenzioni blasfeme ed a-cattoliche, con sacrilega temerarietà inserendolo in una pseudo-messa, pantomima dell’offerta del culto al “signore dell’universo”, cioè il lucifero-baphomet delle logge massoniche di alto grado, così da farne una sacrilega “cena eucaristica” condotta dai falsi ed invalidi sacerdoti del “Novus ordo”, o da scismatici ed eretici non-preti tradizionalisti, per cui il Sacrificio eucaristico è stato trasformato in una ridicola e blasfema distribuzione ed accettazione di particole di pane, senza che abbiano subito alcuna transustanziazione apportatrice di grazia, bensì di “disgrazia” infernale. Indubbiamente questa è la peggior punizione o castigo che Dio potesse appioppare a nazioni in larga parte apostate ed ultra-pagane, a popoli dissoluti e privi di rispetto ed amore per Dio, loro Creatore, e di conseguenza per i loro simili che vengono trattati e considerati alla stregua di bestie da sfruttare e salassare. Questa è in effetti la disgrazia più grave che possa capitare ad un popolo indurito di cuore e cieco di intelletto, perciò avviato verso lo stagno di fuoco … mangiando, bevendo, ballando e fornicando come animali selvaggi. Fortunatamente per i pochi Cristiani della Chiesa Cattolica romana, resta la Comunione spirituale che, pur non apportando la medesima qualità di grazia, ci consente di comunicare col Corpo mistico, di assorbire linfa divinizzante – la grazia attuale dei teologi – con la debita disposizione ed il desiderio ardente, unito all’intenzione implicita di ricevere il vero Corpo e Sangue di Cristo sacramentale appena possibile da un vero Sacerdote cattolico in unione con Papa Gregorio, Vicario regnante attuale, materialmente impedito ma spiritualmente operante, se non altro per la sua sofferenza immensa, a pro della conversione dei falsi e sacrileghi Cristiani.

Leone XIII
Miræ caritatis

Lettera Enciclica

La santa eucaristia

28 maggio 1902

È nostro altissimo dovere tenere sempre presenti e diligentemente imitare i luminosi esempi della carità ammirabile di Gesù Cristo per la salvezza degli uomini. Abbiamo cercato fino ad oggi di fare questo, col suo divino aiuto, e Ci studieremo di continuare a farlo, fino alla fine della Nostra vita, Costretti a vivere in tempi assai avversi alla verità e alla giustizia, per quanto dipendeva da Noi, con gli insegnamenti, con le ammonizioni, con gli atti, come ne fa fede anche l’ultima Lettera Apostolica a voi indirizzata, non abbiamo mai tralasciato nulla di quello che poteva servire meglio sia a dissipare il molteplice contagio degli errori, sia a rinvigorire la pratica della vita cristiana. Fra questi atti, ve ne sono due più recenti, fra loro strettamente connessi, la memoria dei quali Ci torna di opportuna consolazione, in mezzo a tante cause di amarezza. L’uno ebbe luogo quando stimammo bene che tutta la famiglia umana si consacrasse al Cuore augustissimo di Cristo redentore; l’altro quando esortammo seriamente tutti coloro che si professano Cristiani ad unirsi a Lui stesso, il quale è in modo divino “via, verità, vita” non soltanto per i singoli individui, ma anche per l’intera società. – Ora poi da questa medesima carità apostolica, che veglia sui bisogni della chiesa, Ci sentiamo mossi e come spinti ad aggiungere a quei due atti già compiuti, qualche altra cosa, come a loro coronamento: a raccomandare cioè, quanto più possiamo, al popolo cristiano la santissima eucaristia, come quel divinissimo dono uscito dal fondo del Cuore del medesimo Redentore, ardentemente bramoso di unirsi con questo mezzo agli uomini, mezzo escogitato specialmente per elargire i salutari frutti della sua redenzione. Anche in questo campo Noi abbiamo già promosse e raccomandate diverse opere. Ricordiamo con gioia specialmente di avere approvato e arricchito di privilegi molti istituti e sodalizi, che sono addetti all’adorazione perpetua della Vittima divina; di aver curato che i congressi eucaristici fossero numerosi e fruttuosi come conviene; di avere ad essi e ad altre opere simili assegnato per protettore celeste san Pasquale Baylon, che si segnalò nella devozione e nel culto verso il mistero eucaristico. – Perciò, venerabili fratelli, di questo stesso mistero – nella difesa e illustrazione del quale si adoperò costantemente sia la solerzia della chiesa, non senza preclare palme di martiri, sia lo zelo di uomini dottissimi ed eloquentissimi, sia anche il magistero delle nobili arti -, Ci piace ora rilevare alcuni aspetti, affinché in modo più vivo risplenda la sua efficacia, specialmente per recare in maniera notevolissima rimedio ai bisogni dei nostri tempi. In verità, poiché Cristo Signore, la vigilia della sua morte, ci lasciò questo attestato d’immensa carità verso gli uomini, e questo presidio massimo “per la vita del mondo” (Gv VI, 52), Noi, cui resta poco da vivere, nulla possiamo desiderare di meglio, di quello che Ci sia dato d’eccitare negli animi di tutti e coltivare il dovuto affetto di gratitudine e di devozione verso quell’ammirabile sacramento nel quale giudichiamo basarsi in modo speciale la speranza e l’efficienza di quella salvezza e di quella pace che è il sospiro di tutti i cuori. – Questo Nostro pensiero, che al mondo, da ogni parte turbato e ridotto in così misera condizione, convenga provvedere principalmente con simili aiuti e rimedi, ad alcuni certamente farà meraviglia, e da altri sarà forse accolto con superbo disprezzo. Ma ciò viene soprattutto dalla superbia, vizio che, quando alligna negli animi, vi snerva necessariamente la fede cristiana, la quale esige un ossequio religiosissimo della mente, e vi addensa più scura la caligine intorno alle cose divine, così che a molti si addice quel detto: “Bestemmiano tutto ciò che non conoscono” (Gd. 10). Noi però, invece di desistere per questo dal Nostro proposito, continuiamo, con più vivo ardore, ad illuminare i ben disposti e ad impetrare da Dio perdono, interponendovi la fraterna implorazione dei giusti, ai bestemmiatori delle cose sante. – Il conoscere con perfetta fede quale sia l’efficacia della santissima Eucaristia, vale quanto conoscere quale sia l’opera che, a beneficio del genere umano, Dio fatto uomo compì con la sua potente misericordia, come e infatti ufficio della fede retta professare e adorare Cristo quale sommo fattore della nostra salute, che, con la sapienza, con le leggi, con le istituzioni, con gli esempi, con l’effusione del sangue, restaurò ogni cosa; così ad essa appartiene professarlo e adorarlo realmente presente nell’eucaristia in modo che, verissimamente egli rimane tra gli uomini sino alla fine del mondo, e da Maestro e Pastore buono e intercessore accettissimo verso il Padre, dà personalmente agli uomini, in continua abbondanza, i benefici della redenzione operata. Fra questi benefici poi provenienti dall’Eucaristia, chi attentamente e religiosamente considera, vedrà primeggiare e risplendere quello che tutti gli altri contiene: dall’Eucaristia cioè proviene agli uomini quella vita che è la vera vita; “II pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv VI, 52). In più maniere, come abbiamo detto altra volta, Cristo è “vita”. Egli diede per motivo della sua venuta fra gli uomini il voler loro portare una sicura abbondanza di vita più che umana: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” (Gv X, 10). E infatti appena sulla terra “apparve la benignità e l’amore del Salvatore Dio nostro” (Tt 3,4), nessuno ignora che subito eruppe una certa forza creatrice di un ordine affatto nuovo di cose, e s’infiltrò in tutte le vene della società domestica e civile. Di là nuovi vincoli tra uomo e uomo; nuovi diritti privati e pubblici; nuovi doveri; nuova direzione alle istituzioni, alle discipline, alle arti; e, ciò che più importa, gli animi e le cure degli uomini furono volti alla verità della religione e alla santità dei costumi, e anzi fu comunicata agli uomini una vita del tutto celeste e divina. A ciò infatti si riferiscono quelle espressioni così frequenti nelle divine Scritture: “legno di vita, verbo di vita, libro di vita, corona di vita“, e soprattutto “pane di vita”. Ma poiché questa medesima vita, di cui parliamo, ha una evidente somiglianza con la vita naturale dell’uomo, come l’una si alimenta e vegeta col cibo, così bisogna che anche l’altra, con cibo suo proprio, si sostenti e si accresca. E qui cade a proposito il rammentare in qual tempo e in qual modo abbia Gesù Cristo mosso e indotto gli animi degli uomini a ricevere convenientemente e degnamente il pane vivo che stava per dare. Perché quando si sparse la fama di quel prodigio che Egli aveva operato sulla spiaggia di Tiberiade, moltiplicando i pani per saziare la moltitudine, subito molti accorsero a Lui, per vedere se per avventura potesse a loro toccare un ugual beneficio. E Gesù, colta l’occasione, come quando, dall’attingere che fece la Samaritana l’acqua del pozzo, prese lo spunto per mettere in lei la sete dell’acqua “che zampillerà in vita eterna” (Gv IV,14), così allora sollevò le menti avide delle moltitudini a bramare anche più avidamente un altro pane “che dura per la vita eterna” (Gv VI, 27). Né già questo pane, insiste ammonendo Gesù, è quella manna celeste che fu apprestata ai padri vostri pellegrinanti per il deserto; e neppure è quello che voi stessi testé avete ricevuto da me con tanta meraviglia; ma io medesimo sono questo pane: “Io sono il pane di vita” (Gv VI, 48). E la stessa cosa va sempre più insinuando a tutti, ora con gli inviti, ora coi precetti: “Chi mangerà di un tal pane, vivrà eternamente; e il pane che io darò è la mia carne per la salute del mondo” (Gv VI, 52). Dimostra poi la gravità del precetto asserendo: “In verità, in verità vi dico: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita” (Gv VI,54). – Si corregga perciò quel dannosissimo errore comune, che fa credere che l’uso dell’Eucaristia si debba lasciare a quelle persone che, libere da impegni e di animo gretto, amano dedicarsi alla vita devota. Quella cosa, che fra tutte è la più eccellente e salutare, appartiene a tutti, qualunque sia il loro grado e il loro ufficio; appartiene a tutti quelli cioè che vogliono (e ognuno deve volerlo) alimentare in loro la vita della grazia divina, che conduce al conseguimento della vita beata in Dio. – E Dio volesse che della sempiterna vita rettamente pensassero e si prendessero cura principalmente coloro, i quali, o per ingegno o per industria o per autorità, tanto possono nella direzione delle cose temporali e terrene, Ma invece siamo costretti a vedere e a deplorare che molti fastosamente spacciano d’aver essi dato al mondo vita nuova e felice, perché lo spingono a correre ardentemente all’acquisto di tutte le comodità e di tutte le meraviglie. Ma intanto, ovunque si guardi, si vede la società umana, che, se è lontana da Dio, invece di godere l’agognata tranquillità, soffre e trepida come chi è agitato da smaniosa febbre; mentre cerca ansiosamente la prosperità e confida solo in essa, se la vede sfuggire dinanzi, e corre dietro ad un’ombra che si dilegua. Perché gli uomini e la società, come necessariamente provengono da Dio, così in nessun altro possono vivere, muoversi e fare qualche bene, se non in Dio, per mezzo di Gesù Cristo; dal quale derivò sempre e deriva quanto vi è di buono e di eletto. – Ma la sorgente e il coronamento di tutti questi beni è soprattutto l’augusta Eucaristia, la quale, come nutre e sostenta quella vita, che tanto ci sta a cuore, così accresce immensamente quella dignità umana, che oggi sembra tenersi in gran pregio. Qual cosa infatti, è maggiore o più desiderabile che l’essere reso, per quanto è possibile, partecipe e consorte della divina natura? Or questo ci fa Gesù Cristo specialmente nell’eucaristia, nella quale, prendendo l’uomo già innalzato dalla grazia alle cose divine, più strettamente lo unisce e stringe a sé. La differenza tra il cibo del corpo e quello dell’anima, sta in questo, che il primo in noi si converte, il secondo ci converte in lui; perciò Agostino fa dire a Cristo medesimo: “Non tu muterai me in te, come il cibo della tua carne, ma tu stesso sarai mutato in me“. – Il grande progresso, che gli uomini fanno in ogni virtù soprannaturale, deriva da questo eccellentissimo sacramento, nel quale specialmente appare come gli uomini vengono inseriti nella divina natura. E prima nella fede, in ogni tempo la fede ebbe avversari perché, sebbene con la cognizione di importantissime cose elevi le menti umane, tuttavia sembra deprimere le menti umane, perché nasconde l’intima qualità di quelle cose che mostrò essere di soprannaturale. Una volta si combatteva ora questo ora quell’articolo di fede; nei tempi moderni invece la guerra divampò in campo assai più vasto, e siamo ora al punto che assolutamente nulla si ammette di soprannaturale. Orbene a ristorare negli animi il vigore e il fervore della fede nulla è più atto che il mistero eucaristico, detto per eccellenza il “mistero di fede”; come quello nel quale tutte le cose soprannaturali, con una singolare abbondanza e varietà di miracoli, sono comprese: “Ha lasciato un ricordo delle sue meraviglie il Signore clemente e misericordioso; ha dato un cibo a quelli che lo temono” (Sal CX, 4-5). Perché, se tutto quello che Dio fece di soprannaturale, lo riferì all’incarnazione del Verbo, in virtù del quale si doveva riparare la salute del genere umano, secondo quel detto dell’apostolo: “Ha stabilito… di riunire in Cristo tutte le cose, e quelle che sono nei cieli, e quelle che sono in terra” (Ef 1, 9-10); l’Eucarestia, per testimonianza dei santi padri, deve considerarsi come una continuazione e un ampliamento dell’incarnazione. Per essa infatti, la sostanza del Verbo incarnato si unisce coi singoli uomini, e si rinnova mirabilmente il supremo sacrificio del Golgota, come preannunziò Malachia: “In ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un’oblazione pura” (Mal 1,11). Questo miracolo, massimo nel suo genere, è accompagnato da innumerevoli altri, perché qui tutte le leggi della natura sono sospese; tutta la sostanza del pane e del vino si converte nel corpo e nel sangue di Cristo, le specie del pane e del vino, senza appoggio alcuno, sono sostenute dalla potenza divina; il Corpo di Cristo si trova contemporaneamente in tutti quei luoghi nei quali si compie simultaneamente il sacramento. Affinché poi si faccia più intenso l’ossequio dell’umana ragione verso così grande mistero, vengono, come in aiuto, i prodigi fatti a gloria di esso, in antico, e anche a nostra memoria; dei quali in più luoghi vi sono pubblici e insigni monumenti. In questo sacramento dunque, vediamo alimentarsi la fede, nutrirsi la mente, sfatarsi le fisime dei razionalisti, e illustrarsi grandemente l’ordine soprannaturale. – Allo snervamento della fede nelle cose divine molto contribuisce non solo la superbia, come abbiamo detto, ma anche la depravazione dell’animo. Perciò, se avviene ordinariamente che quanto più uno è morigerato, tanto più è sveglio di mente, e che i piaceri sensuali annebbiano la mente; come riconobbe la stessa prudenza pagana, e la sapienza divina ci aveva già prima ammoniti (cf. Sap I, 4); assai più ciò si verifica nelle cose divine, perché le voluttà corporali oscurano il lume della fede, ed anche, per giusto castigo di Dio, totalmente l’estinguono. Di questi piaceri oggi arde una insaziabile cupidigia, che quasi morbo contagioso infetta tutti fin dalla più tenera età. Ma un eccellente rimedio a questo gravissimo male a nostra disposizione sempre nella divina Eucaristia. Perché, prima di tutto, aumentando la carità, raffrena la libidine, secondo quanto dice Agostino: “II nutrimento di essa (della carità) è lo smorzamento della passione, e la sua perfezione è il freno della passione“. Inoltre, la carne castissima di Gesù reprime l’insolenza della nostra carne, come ammonì Cirillo di Alessandria: “Cristo venendo in noi sopisce la legge che infuria nelle nostre membra”. È anche un singolare e giocondissimo frutto dell’Eucaristia quello che è significato da quel detto profetico: “Qual è il buono di lui (Cristo), qual è il bello di lui, se non il frumento degli eletti e il vino che fa germogliare le vergini?” (Zc IX, 17), cioè il forte e costante proposito della sacra verginità, il quale, anche in mezzo a un mondo che si stempera nella mollezza, di giorno in giorno più largamente nella Chiesa Cattolica fiorisce rigoglioso: e con grande vantaggio e decoro della religione e della stessa convivenza umana, come ognuno può constatare. – Si aggiunge che con questo sacramento mirabilmente si rinforza la speranza dei beni immortali e la fiducia nei divini aiuti, Aumenta infatti sempre più il desiderio della beatitudine, che in tutti gli animi è insito e innato, constatando la fallacia dei beni terrestri, la ingiusta violenza dei malvagi, e tutte le altre molestie dell’anima e del corpo. Ora l’augusto sacramento dell’Eucaristia è causa insieme e pegno della beatitudine e della gloria, e ciò non solo per l’anima, ma anche per il corpo. Perché nel tempo stesso che arricchisce gli animi con l’abbondanza dei beni celesti, li sparge anche di soavissime gioie, che di molto sorpassano ogni umana estimazione e speranza; sostenta nelle cose avverse, fortifica nella lotta della virtù, custodisce per la vita sempiterna, e ad essa conduce quasi apprestando il viatico. Similmente nel corpo caduco e labile ingenera la futura risurrezione, perché il Corpo immortale di Cristo vi inserisce un seme d’immortalità, che un giorno dovrà germogliare. La Chiesa ha sempre insegnato che questi due beni, uno per l’anima e l’altro per il corpo, provengono dall’Eucaristia; lo ha sempre insegnato in ossequio alla parola di Cristo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna; ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv VI, 55). – Torna qui opportuno e molto importa il considerare che l’Eucaristia, essendo stata da Cristo istituita quasi “memoriale perenne della sua passione”, manifesti al Cristiano la necessità della penitenza salutare. Gesù infatti a quei primi suoi sacerdoti disse: “Fate questo in memoria di me” (Lc XXII, 19), cioè fate questo per commemorare i dolori, le amarezze, le angosce mie, la mia morte di croce. Perciò questo sacramento e insieme sacrificio è per tutti i tempi un’esortazione alla penitenza e ad ogni maggiore mortificazione, e insieme è una grave e severa condanna di quei piaceri, che uomini impudentissimi vanno tanto magnificando: “Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta” (1Cor XI, 26). – Oltre a ciò, se si cercano le cause dei mali presenti, si troverà che esse procedono dal fatto che, raffreddandosi la carità verso Dio, anche la carità fra gli uomini venne a languire. Si sono essi dimenticati di essere figli di Dio e fratelli in Gesù Cristo; non curano se non ciascuno le cose proprie; le cose altrui non solo le trascurano, ma spesso le combattono e invadono. Quindi sorgono, fra le diverse classi di cittadini, frequenti turbolenze e contese: arroganza, durezza, frodi nei potenti; miserie, odi, scioperi nei sottomessi. A questi mali si aspetta invano il rimedio dalla provvidenza delle leggi, dal timore delle pene, dai consigli dell’umana prudenza. Bisogna procurare, con ogni sforzo, ciò che più volte Noi stessi abbiamo particolarmente inculcato, che cioè le classi dei cittadini si concilino tra di loro mediante uno scambio di buone opere che, derivate da Dio, siano informate al vero spirito e alla carità di Gesù Cristo. Cristo portò la carità sulla terra, di questa volle infiammata ogni cosa, perché essa sola potrebbe fin d’ora far gustare qualche saggio della beatitudine non solo all’anima, ma anche al corpo. La carità infatti, reprime nell’uomo lo smodato amore di se stesso e frena l’avidità delle ricchezze, che “è la radice di tutti i mali” (1Tm VI, 10). Sebbene poi sia giusto che tra le classi dei cittadini tutte le parti della giustizia siano convenientemente tutelate; pure, con gli aiuti e moderazioni suggeriti dalla carità, sarà dato di ottenere che nell’umana società “si faccia quell’uguaglianza” (2Cor VIII, 14), che raccomandava san Paolo, e che, una volta realizzata, la si conservi. Ecco ciò che intese Cristo nell’istituire questo augusto sacramento: eccitando l’amor di Dio, volle fomentare il mutuo amore fra gli uomini. Perché questo da quello, com’è chiaro, naturalmente deriva e spontaneamente si effonde: né potrà mai mancare in parte alcuna, anzi sarà necessario che cresca e divampi, quando si consideri la carità di Cristo verso gli uomini, in questo sacramento; nel quale, come magnificamente spiegò la sua potenza e sapienza, cosi “effuse le ricchezze del suo amore divino verso gli uomini“. Dopo questo insigne esempio di Cristo, che ci dona tutte le cose sue, quanto dobbiamo noi amarci e soccorrerci a vicenda, ogni giorno sempre più uniti da un legame fraterno! E si noti come anche i segni esteriori di questo sacramento sono opportunissimi incitamenti all’unione. A questo proposito san Cipriano dice: “Infine anche il Sacrificio del Signore dichiara l’universale unione dei Cristiani fra di loro, e, con ferma e inseparabile carità, uniti a Lui. Perché quando il Signore chiama suo corpo il pane, fatto con l’unione di molti grani, significa che il popolo nostro da Lui condotto è un popolo riunito insieme, e quando suo sangue chiama il vino, che è spremuto da grappoli e acini moltissimi e fuso in uno, significa similmente che il nostro gregge è composto di una mista moltitudine raccolta insieme”. Così l’angelico dottore, ripetendo un pensiero di Agostino,dice: “Il Signore nostro ci lasciò rappresentato il corpo e il sangue suo in quelle cose che da più si raccolgono in uno; perché l’una di esse, cioè il pane, è un tutto formato da più grani, l’altra, cioè il vino, è un tutto composto di più acini: perciò Agostino dice altrove; O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità!”. Tutte queste cose si confermano con la sentenza del Concilio Tridentino, che insegna “avere Cristo lasciato alla Chiesa l’Eucaristia come simbolo di quella unità e carità, con la quale volle che i Cristiani fossero congiunti e uniti fra loro, … simbolo di quel corpo uno, di cui Egli è il capo, e al quale volle che noi, come membra, fossimo uniti con strettissimo vincolo di fede, di speranza e di carità”. E questo aveva detto Paolo: “Siccome vi è un unico pane, noi, pur essendo molti, formiamo un sol corpo, comunicandoci col medesimo pane” (1Cor X, 17). Ed è davvero un bellissimo e festosissimo spettacolo di cristiana fratellanza e uguaglianza sociale, l’accorrere che fanno assieme, ai sacri altari, il patrizio e il popolano, il ricco e il povero, il dotto e l’ignorante, partecipando ugualmente al medesimo convito celeste. – Che se giustamente nei fasti della Chiesa nascente si attribuisce a lode sua propria che “la moltitudine dei credenti formava un solo cuore e un’anima sola” (At IV, 32), certamente appare che questo gran bene essi dovevano alla frequenza della Comunione eucaristica, perché leggiamo di loro; “Erano assidui alla istruzione degli Apostoli, nell’unione, nello spezzare il pane” (At II,42), – Inoltre, la grazia della mutua carità fra i viventi, che tanta forza e incremento riceve dal sacramento eucaristico, in virtù specialmente del sacrificio, si partecipa a tutti quelli che sono nella comunione dei Santi. Poiché, come tutti sanno, la Comunione dei santi non è altro che una scambievole partecipazione di aiuto, di espiazione, di preghiere, di benefici, tra i fedeli, o trionfanti nella celeste patria, o penanti nel fuoco del purgatorio. o ancora pellegrinanti in terra, dai quali risulta una sola città, che ha Cristo per capo, e la carità per forma, Sappiamo poi dalla fede che, sebbene l’augusto Sacrificio solo a Dio possa offrirsi, si può pure celebrare in onore dei Santi che regnano in cielo con Dio, “che li ha coronati”, al fine di ottenere il loro patrocinio, e anche, come sappiamo dalla tradizione apostolica, per cancellare le macchie dei fratelli, che già morti nel Signore, non siano ancora interamente purificati. – Dunque quella sincera carità, che a salute e vantaggio di tutti, tutto suole fare e patire, scaturisce e divampa operosa dalla santissima Eucaristia, dov’è lo stesso Cristo vivente, dove allenta il freno al suo amore per noi, e spinto da un impeto di carità divina rinnova perpetuamente il suo Sacrificio. Così facilmente appare donde abbiano avuto origine le ardue fatiche degli uomini apostolici, e donde tanti e sì svariati istituti di beneficenza, insieme con l’origine, traggono le forze, la costanza e i felici successi. – Queste poche cose in materia sì ampia non dubitiamo che torneranno utilissime al gregge cristiano, se per opera vostra, venerabili fratelli, saranno opportunamente esposte e raccomandate. Ma un sacramento così grande ed efficace da ogni punto di vista non si potrà mai da nessuno né lodare, né venerare secondo il merito. Sia che esso si mediti, sia che devotamente si adori, sia ancora che con purezza e santamente si riceva, dev’essere considerato quale centro in cui tutta la vita cristiana si raccoglie: gli altri modi di pietà, quali che siano, tutti a questo conducono e in questo finiscono. E quel benigno invito e quella più benigna promessa di Cristo: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed Io vi ristorerò” (Mt XI,28), si compie specialmente in questo mistero e in esso si avvera ogni giorno. – Infine esso è ancora come l’anima della Chiesa, e ad esso la stessa ampiezza della grazia sacerdotale si dirige per i vari gradi degli ordini. La Chiesa di là attinge ed ha tutta la virtù e gloria sua, tutti gli ornamenti dei divini carismi, infine ogni bene: ed essa perciò pone ogni cura nel preparare e condurre gli animi dei fedeli ad una intima unione con Cristo mediante il sacramento del corpo e sangue suo: e, con l’ornamento di cerimonie santissime, gli accresce la venerazione. La perpetua provvidenza di santa madre Chiesa, in questa parte, emerge chiarissima, principalmente da quella esortazione, che fu fatta nel sacro Concilio di Trento, spirante una certa carità e pietà mirabile, davvero degna di essere qui da Noi tutta intera ripresentata al popolo cristiano: “Con paterno affetto, ammonisce il santo sinodo, esorta, prega e scongiura, per la bontà misericordiosa del nostro Dio, che, tutti e singoli, quelli che appartengono alla professione cristiana, in questo segno d’unità, in questo vincolo di carità, in questo simbolo di concordia finalmente una buona volta si uniscano e si accordino; e memori di tanta maestà e di tanto esimio amore di Gesù Cristo Signore nostro, che diede la diletta anima sua a prezzo della nostra salute, e la sua carne ci porse a mangiare: con tanta costanza e fermezza di fede, con tanta devozione e pietà e culto, di cuore credano e adorino questi sacri misteri del corpo e sangue di Lui, affinché possano frequentemente ricevere questo pane soprasostanziale, ed esso sia veramente la vita dell’anima loro, e la perpetua sanità della mente, e confortati dal suo vigore, possano giungere, dalla via di questo misero pellegrinaggio, alla patria celeste, dove mangeranno senza alcun velo questo medesimo Pane degli angeli, che ora ricevono velatamente”. – La storia poi ci mostra che la vita cristiana allora fiorì più rigogliosa, quando fu più in uso l’accostarsi spesso a questo divin sacramento. Invece è manifesto che quando gli uomini avevano questo pane celeste in noncuranza e come in fastidio, a poco a poco veniva languendo il vigore della professione cristiana. Il quale affinché un giorno non si estinguesse del tutto, opportunamente provvide, nel Concilio Lateranense, Innocenzo III, gravissimamente ordinando che ogni Cristiano dovesse comunicarsi almeno per Pasqua. È chiaro poi che questo precetto fu dato a malincuore, e come rimedio estremo; perché il desiderio della Chiesa fu sempre questo, che ad ogni Messa vi fossero alcuni partecipanti a questa divina mensa. “Bramerebbe il sacrosanto sinodo che, nelle singole messe, i fedeli assistenti si comunicassero non solo spiritualmente ma anche col ricevere sacramentalmente l’Eucaristia, affinché potessero percepire in maggior abbondanza il frutto di questo santissimo sacrificio”. – Certamente una ricca abbondanza di salvezza, non solo per i singoli, ma per gli uomini tutti, ha in sé questo augustissimo mistero, in quanto è sacrificio; perciò dalla Chiesa suole assiduamente offrirsi “per la salute di tutto il mondo”, del quale Sacrificio è conveniente che tutti i buoni si uniscano per diffondere la devozione e il culto, anzi questo è, ai giorni nostri, assolutamente necessario, E perciò vorremmo che le sue molteplici virtù fossero più largamente conosciute e più attentamente valutate. – Sono princìpi chiari, al solo lume naturale, che Dio creatore e conservatore ha un supremo e assoluto dominio sugli uomini, in privato e in pubblico; che quanto siamo e quanto abbiamo di bene, in privato e in pubblico, tutto ci viene dalla divina bontà; e che per conseguenza noi dobbiamo somma riverenza a Dio, come Signore, e massima gratitudine, come munifico benefattore. Ma quanti sono oggi coloro che apprezzano e osservano come e quanto dovrebbero questi doveri? Più di ogni altra, l’età nostra riottosa s’inalbera contro Dio, e fa risuonare di nuovo contro Cristo quella nefanda parola: “Non vogliamo che costui regni su di noi” (Lc XIX,14), e quel nefando proposito: “Facciamolo sparire!” (Ger XI, 19); né altro con maggior forza molti cercano, se non che Dio venga allontanato dalla società civile. E, sebbene non si giunga ovunque a tale eccesso di scellerata demenza, è però cosa lacrimevole vedere quanti vivono affatto dimentichi della divina Maestà e dei suoi benefìci, e specialmente della salvezza portataci da Gesù Cristo. Orbene questa sì grande nequizia, o infingardaggine che dir si voglia, bisogna che sia riparata con un aumento di ardore nella comune pietà del culto del Sacrificio eucaristico, del quale nulla può tornare a Dio più onorevole, nulla più gradito. Poiché la Vittima che si immola è divina, ne consegue che tanto di onore all’augusta Trinità per lei si rende, quanto l’immensa dignità di questa ne esige; offriamo altresì al Padre un dono e per prezzo e per soavità infinito, quale è il suo Unigenito; e così non solo alla sua benignità porgiamo grazie, ma veniamo ad offrirle un vero ricambio. E un altro doppio insigne frutto si può e si deve ricavare da tanto sacrificio. Si stringe il cuore al pensare quanta colluvie di peccati dappertutto dilaga, una volta trascurata, come dicemmo, e disprezzata l’autorità di Dio. Una gran parte del genere umano sembra proprio volere attirarsi sul capo l’ira celeste, sebbene i mali stessi che ci premono, ci mostrano chiaramente che il giusto castigo è già maturato. Bisogna dunque eccitare i fedeli anche a questo; che piamente gareggino nel placare Dio, giusto Giudice, e nell’implorarne gli opportuni aiuti al mondo pieno di calamità. Or queste cose, s’intenda bene, si devono ottenere principalmente per mezzo di questo Sacrificio.
Ché il soddisfare abbondantemente alla giustizia di Dio e l’impetrare largamente i doni della sua clemenza, non può altrimenti farsi dagli uomini se non in virtù della morte sofferta da Gesù Cristo. Ma questa stessa virtù, sia d’espiare sia d’impetrare, volle Cristo che tutta intera restasse nell’Eucaristia, la quale non è una vuota e semplice memoria della sua morte, ma ne è una vera e mirabile, sebbene incruenta e mistica, rinnovazione. Per altro, non poco Ci rallegra, e lo palesiamo volentieri, che in questi ultimi anni si noti nei fedeli un certo risveglio dell’amore e dell’ossequio verso il Sacramento eucaristico; donde prendiamo augurio e speranza di tempi e cose migliori, Molte infatti e varie cose di questo genere, come da principio dicemmo, furono dalla solerte pietà introdotte, specialmente sodalizi, sia per accrescere lo splendore del culto eucaristico, sia per l’adorazione perpetua dell’augustissimo sacramento, sia per la riparazione delle ingiurie e contumelie che gli si fanno. In queste cose però, venerabili fratelli, non dobbiamo fermarci, né Noi, né voi; perché troppe altre ne restano da promuovere o da intraprendere, affinché questo divinissimo dono, presso quei medesimi che adempiono i doveri della religione cristiana, sia posto m quella luce e in quell’onore che merita, e un mistero così grande sia venerato il più degnamente possibile. – Questo perché le Opere già avviate si hanno da condurre sempre più innanzi; le antiche istituzioni, se in qualche luogo andarono in disuso, si devono richiamare in vigore, come sono ad esempio i sodalizi eucaristici, le preghiere delle Quarantore, le solenni processioni, le visite al santissimo sacramento nel tabernacolo, e altre simili pratiche molto salutari; e di più s’ha da intraprendere tutto quello che la prudenza e la pietà potranno suggerire a questo proposito. Ma soprattutto bisogna adoperarsi perché rifiorisca, in ogni parte del mondo cattolico, la frequenza alla mensa eucaristica. Questo ci dicono i sopra allegati esempi della Chiesa nascente; questo i decreti dei Condii, questo l’autorità dei Padri e dei Santi di tutti i secoli: perché come il corpo, così l’anima spesso abbisogna del proprio cibo, or l’alimento più vitale è fornito appunto dal sacramento dell’Eucarestia. Perciò bisogna togliere del tutto certi pregiudizi degli avversari, certi vani timori di molti, certi pretesti per astenersene: si tratta di cosa della quale nessun’altra è più vantaggiosa ai fedeli, sia per redimere il tempo dalle troppe sollecitudini terrene, sia per risvegliare lo spirito cristiano e costantemente mantenerlo, Ad ottenere questo saranno di grande aiuto le esortazioni e gli esempi delle classi più ragguardevoli, e soprattutto la solerzia e l’industria del clero. Poiché i sacerdoti, ai quali Cristo redentore affidò l’ufficio di celebrare e dispensare i misteri del corpo e sangue suo, non possono meglio ripagarlo del sommo onore ricevuto, che col promuovere con ogni diligenza, la sua eucaristica gloria, e con l’invitare e condurre, secondando cosi i desideri del suo sacratissimo Cuore, tutte le anime alle salutari sorgenti di un cosi grande Sacramento e Sacrificio. – In tale modo avverrà, ciò che grandemente bramiamo, che gli eccellenti frutti dell’Eucaristia si percepiscano sempre più abbondanti ogni giorno, mediante il felice aumento della fede, della speranza, della carità e d’ogni cristiana virtù, Ciò tornerà pure a vantaggio dello Stato: sempre più si manifesteranno i disegni della provvidentissima carità del Signore, che un tale mistero stabilì in perpetuo “per la vita del mondo”. – Con questa speranza, venerabili fratelli, a pegno dei doni divini e a testimonianza della Nostra carità, a tutti voi, al vostro clero, e al popolo, impartiamo con grande affetto la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, il giorno 28 maggio, vigilia della solennità del Corpo di Cristo, dell’anno 1902, anno XXV del nostro pontificato.

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Come Domenica scorsa, la lettura dell’Uffizio divino coincide spesso in questo giorno con quella del libro di Giobbe che si suol fare nella 1a e nella 2a Domenica di Settembre. – Continuiamo quindi a leggere i testi del Messale in corrispondenza con quelli del Breviario. Giobbe è la figura del giusto, che il demonio superbo cerca di umiliare profondamente, affinché si rivolti contro Dio. « Lascia che io lo provi, dichiarò satana all’Altissimo, egli ti bestemmierà ». E Jahvè glielo permise, per fare di Giobbe il modello dell’anima che proclama il supremo dominio di Dio e si sottomette interamente alla sua volontà divina. La gelosia del demonio non conobbe allora più freno e fece piombare sullo sventurato Giobbe, con gradazione sapiente, tutte le calamità che ebbero potuto abbatterlo. Pure, benché privo di tutto e coricato sul letamaio, Giobbe non maledisse la mano onnipotente di Dio, che permetteva al demonio di accanirsi contro di lui, ma la baciò umilmente. Il Salmo dell’Introito rende mirabilmente la sua preghiera. « Abbi pietà di me, o Signore, porgi, o Signore, il tuo orecchio, poiché sono misero e povero ». Il Salmo del Graduale è anch’esso « la preghiera del povero quando è nell’afflizione », e i Versetti da 3 a 6: «Sono stato colpito come l’erba, a forza di gemere le ossa mi si sono attaccate alla pelle », sembrano l’eco delle parole di Giobbe che dice: « Le mie ossa si sono attaccare alla pelle, non mi restano che le labbra intorno ai denti » (Vers. 19, 20). Il Salmo dell’Offertorio parla anch’esso «del povero e dell’indigente» che supplica Iddio: « Non allontanare da me le tue misericordie, o Signore, poiché mali senza numero mi hanno circondato. Siano svergognati coloro che insidiano la vita mia » (Versetti 12-14). Infine, l’antifona della Comunione dice: « Piega, o Signore, verso di me, il tuo orecchio! Quante numerose e crudeli tribolazioni mi facesti provare! La mia lingua proclamerà dovunque soltanto la tua giustizia, e questa giustizia mi renderai quando coloro che cercano il mio danno saranno coperti di confusione e di vergogna » (Vers. 2, 20 e 24). Iddio, dicono infatti gli amici di Giobbe, esalta coloro che si sono abbassati, rialza e guarisce gli afflitti. La gloria degli empi è breve e la gioia dell’ipocrita non dura che un momento. Quando anche il suo orgoglio si innalzasse fino al cielo e la sua testa toccasse le nuvole, alla fine egli perirà. Tale è il retaggio che Dio serba agli empi. Essi si sono innalzati per un momento e saranno umiliati. – E Giobbe aggiunge: « Iddio ritirerà il povero dall’angoscia. Dio è sublime nella sua potenza. Chi può dirgli: Hai commesso un’ingiustizia? L’uomo che discute con Dio non sarà giustificato». Infatti, commenta S. Gregorio, chiunque discute con Dio si mette alla pari con l’Autore di ogni bene; attribuisce a se stesso il merito della virtù, che ha ricevuta, e lotta contro Dio con gli stessi beni di Lui.. È quindi giusto che « l’orgoglioso sia abbattuto e l’umile innalzato » (2° Notturno, 2a Domenica di Settembre). « Chiunque si innalza sarà abbassato e chiunque si umilia sarà rialzato », dice anche il Vangelo di questo giorno. Dio, infatti, dopo aver umiliato Giobbe, lo rialzò, rendendogli il doppio di quanto prima possedeva. Giobbe è una figura di Gesù Cristo, che, dopo essersi profondamente abbassato, è stato esaltato meravigliosamente; è anche figura di tutti i Cristiani, ai quali Iddio darà un posto di onore al banchetto celeste se di tutto cuore avranno praticato la virtù dell’umiltà sulla terra. L’orgoglio, dice S. Tommaso, è un vizio per il quale l’uomo cerca, contro la retta ragione, di innalzarsi al disopra di quello che egli è in realtà; l’orgoglio è quindi fondato sull’errore e l’illusione; l’umiltà, ha, al contrario, il suo fondamento nella verità, ed è una virtù che tempera e frena l’anima, affinché questa non si innalzi al disopra, super, di quello che è realmente (donde il nome di superbia dato all’orgoglio). L’anima umile accetta in piena sottomissione il posto che ad essa si conviene; quel qualsiasi posto che da Dio, verità suprema ed infallibile, le è assegnato. Umiltà nelle parole, umiltà nelle azioni, umiltà nel sopportare le prove e le contraddizioni, è la virtù che Giobbe ci insegna durante tutta la sua vita e che Gesù Cristo ci raccomanda nel Vangelo della Messa di oggi. « Dopo aver guarito l’idropico, dice S. Ambrogio, Gesù dà una lezione di umiltà » (3° Notturno). Vedendo come i Farisei scegliessero sempre i posti migliori, Egli volle farli accorti della loro malattia spirituale e spingerli a cercarne la guarigione; a questo scopo guarì dapprima uno sventurato, che la malattia aveva fatto gonfiare, e cercò quindi, velando la lezione sotto una parabola, di guarire la spirituale enfiagione che affliggeva i convitati presenti e che purtroppo affligge anche la maggior parte degli uomini. – Il mondo è in balìa di tutte le esaltazioni e di tutte le infatuazioni dell’orgoglio, mentre l’umiltà è la condizione assoluta per entrar nel regno dei cieli, ed è questa la virtù che la Chiesa ci inculca nell’Orazione ove dice che la grazia di Dio deve sempre prevenire ed accompagnarci, e che S. Paolo insegna con energia ai Cristiani nell’Epistola di questo giorno. Senza merito alcuno da parte nostra, spiega l’Apostolo agli Efesini, ma unicamente perché serviamo di strumento di lode alla sua gloria, Dio ci ha eletti in Cristo. Allorché eravamo figli della collera, l’Onnipotente, che è ricco di misericordia, ci ha reso la vita in Gesù Cristo, per l’amore immenso che ci porta. Noi tutti, pagani ed estranei alle alleanze conchiuse da Dio col popolo di Israele, siamo stati riavvicinati e riuniti nel Sangue del Redentore, poiché Egli è la nostra pace, Egli che di due popoli ne ha fatto uno solo e per il quale abbiamo, gli uni e gli altri accesso presso il Padre, in un medesimo Spirito. Non siamo più dunque degli estranei, ma dei membri della famiglia divina. E questo non è opera nostra, ma di Dio, affinché nessuno glorifichi se stesso. Gettiamoci dunque ai piedi del Padre nostro di nostro Signore Gesù Cristo, che è anche Padre nostro, affinché, attingendo nei tesori della sua divinità, sempre di più ci mandi lo Spirito Santo che ha effuso sulla Chiesa nella festa di Pentecoste e che nella fede e nell’amore ci unisce a Gesù, in modo che noi siamo colmati della pienezza di Dio. E chi potrà mai misurare questa carità sconfinata che iddio ci ha manifestata per mezzo del Figlio Suo? Questo amore del Padre per i suoi figli sorpassa infinitamente tatto quello che noi potremmo concepire e domandare a Dio. – A Lui dunque sia gloria in Gesù Cristo e nella Chiesa per tutti i secoli. « Cantiamo al Signore un cantico nuovo, poiché Egli ha operato prodigi » (Alleluia). « Tutte le nazioni temano il nome del Signore, tutti i re della terra annunzino la gloria sua », perché  Dio ha stabilito il suo popolo nella celeste Gerusalemme (Graduale). E questo  popolo che prenderà parte al gran banchetto della visione beatifica, sarà formato di tutti quelli che, rifuggendo da un’orgogliosa ambizione, saranno sempre stati umili sulla terra: Dio li esalterà nella stessa misura in cui essi si saranno con buon volere sottomessi alla sua santa volontà.

S. Paolo ha ricevuto da Dio la missione di annunziare ai Gentili che essi, al pari degli Ebrei, sono eletti a far parte del popolo di Dio: elezione gratuita che deve riempirli di un’umile riconoscenza verso il Signore e premunirli contro lo scoraggiamento che è una forma di orgoglio.

Per non lasciare un asino o un bue annegare in fondo ad un pozzo, i Giudei non esitavano a fare tutto quello che era necessario per ritirarneli, non ostante il giorno di Sabato in cui ogni opera servile era proibita. Perché dunque il Redentore non doveva poter guarire un ammalato in quel giorno? – « Va, mettiti all’ultimo posto » non vuol dire che il superiore debba mettersi al di sotto dei suoi subordinati, né esporre la sua dignità al disprezzo; ma egli deve ricordare queste parole dei Sacri Libri: « Quanto più sei grande, tanto più devi mostrarti umile in tutte le cose e troverai grazia davanti a Dio » (Eccl. III, 20).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXV: 3; 5
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].


Ps LXXXV: 1
Inclína, Dómine, aurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego.

[Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero].

Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].

Oratio

Orémus.
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus júgiter præstet esse inténtos.

[O Signore, Te ne preghiamo, che la tua grazia sempre ci prevenga e segua, e faccia che siamo sempre intenti alle opere buone].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes III: 13-21

Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis: quæ est glória vestra. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire etiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei. Ei autem, qui potens est ómnia fácere superabundánter, quam pétimus aut intellégimus, secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia et in Christo Jesu, in omnes generatiónes sæculi sæculórum. Amen.

[“Fratelli: Vi scongiuro di non perdervi di coraggio a motivo delle tribolazioni che io soffro per voi. Esse sono la vostra gloria. Perciò io piego i ginocchi davanti al Padre del Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni famiglia, in cielo e in terra, affinché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, d’essere fortemente corroborati, mediante il suo spirito, nell’uomo interiore: che Cristo per mezzo della fede abiti nei vostri cuori, affinché, profondamente radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; e d’intendere anche quell’amore di Cristo che sorpassa ogni coscienza, di modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A Lui che, secondo la possanza che opera in noi, può tutto infinitamente di là di quanto noi domandiamo e pensiamo: a Lui sia gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni di tutti i secoli”.]

PIENI DI DIO IN GESU’ CRISTO.

Una delle cose più stupende, e, se volete anche strane, quando ci facciamo a studiare bene l’uomo, è la sua estrema elasticità. Gli animali sono quel che sono, tutti: i buoi tutti lenti, gravi; i cervi tutti veloci; i leoni tutti crudeli, e gli agnelli tutti mansueti. Ma l’uomo… l’uomo è capace di assumere gli atteggiamenti più diversi, più contrari. Può andare da un estremo all’altro. Un trasformismo fenomenale. Possiamo purtroppo abbrutirci, e quanti uomini si abbrutiscono! Potrebbero essere degli uomini e diventano animali e peggio. S. Paolo l’afferma nettamente l’esistenza di questo « animalis homo.» E’ l’uomo che discende la scala dell’abisso. Si abbrutisce nel pensiero, che non è più pensiero, ricerca faticosa, conquista umile della verità, ma schiavitù dei sensi, superficialismo di impressioni molteplici e varie. Pensa e ragiona come una bestia: cioè non pensa, non ragiona più; urla, non parla. Si abbrutisce l’animalis homo, nel cuore corrotto e violento. Nessun battito generoso più, ma bramiti come di belva. Sogni, compiacenze voluttuose: il fango. Oppure la crudeltà: la belva accanto al bruto; col fango il sangue. La guerra e il dopoguerra hanno moltiplicate queste dolorose esperienze di crudeltà feroce, di ferocia bestiale. Abbiam visti uomini capaci di far paura alla bestia. Artigli, zanne, occhi iniettati di sangue. E per queste vie trionfali di discesa, si direbbe non ci sia limite. Si può andare, e si va sempre più in giù, e ci si abbrutisce sempre più. Tutto questo bisognava ricordare, bisogna meditare per comprendere l’altro moto diametralmente contrario. L’uomo può angelicarsi, mi direte voi. Ciò, vi dico con San Paolo, è ancora poco, troppo poco per il Cristiano, il quale, invece, può e deve divinizzarsi. Dal fango a Dio. Sicuro, è il programma del Cristianesimo, di quel Cristianesimo che davvero atterra e suscita questa povera umanità. L’atterra nella polvere davanti a Dio, la umilia profondamente, ci proclama peccatori, guasti; corrotti, figli di ira, vuole che ci mettiamo in ginocchio, che ci mostriamo davanti a Lui. « Venite adoremus. » Ma ci esalta, perché ci scopre la nostra origine e razza divina, ci dà il diritto di chiamarci, e il potere di diventare figli di Dio, di divinizzarci. Meditiamo pure bene, meditiamo spesso questi contrasti. L’umanità è cattiva, peccatrice, ci insegna il Cristianesimo, ed eccoci nella polvere della abbiezione. E, a parte che dobbiamo stare in ginocchio, colla faccia a terra, perché siamo peccatori, dovremmo starci ginocchioni così, prostrati così davanti a Dio, perché siamo uomini, povere creature di Dio, scintille davanti a un incendio, gocce di fronte al mare. È questo il preludio del dramma, non è il dramma. Il dramma è l’esaltazione sino a Dio. L’eritis sicut Dei, che suonò audace bestemmia sulle labbra del demone, suona dolce invito sulle labbra di Gesù Cristo. « Estote perfectì sicut Pater vester coelestis perfectus est. » Gesù non invita all’impossibile; se mai, ci invita all’impossibile,rendendolo possibile. Dobbiamo diventare come Dio in ciò che Dio ha di più tipico, di più suo, di più caratteristico: la bontà.«Nemo bonus nisi unus Deus:» ma anche noi dobbiamo diventare buoni, anzi perfettamente buoni (estote perfecti), come Lui, come Dio. Non si può andare più in là, più in su. Ma San Paolo adopera un linguaggio ancor più espressivo, più enfatico, direi, se la parola enfasi non portasse con sé l’idea della esagerazione. Paolo vuole che ci riempiamo noi Cristiani, ci riempiamo di Dio, anzi, per usare proprio la sua frase, d’ogni pienezza divina. Quanti sono i Cristiani pieni di Dio? Ne conosco tanti pieni di ben altre cose, di vanità, d’orgoglio, di avarizia, di viltà, di invidia… ma pieni di Dio! Cerchiamo di fare noi questo miracolo in noi stessi, coll’aiuto di Dio, nel nome di Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua.

[Poiché il Signore ha edificato Sion e sarà veduto nella sua maestà.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit Dóminus. Allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché Egli fece meraviglie. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIV: 1-11
In illo témpore: Cum intráret Jesus in domum cujúsdam príncipis pharisæórum sábbato manducáre panem, et ipsi observábant eum. Et ecce, homo quidam hydrópicus erat ante illum. Et respóndens Jesus dixit ad legisperítos et pharisæos, dicens: Si licet sábbato curáre? At illi tacuérunt. Ipse vero apprehénsum sanávit eum ac dimísit. Et respóndens ad illos, dixit: Cujus vestrum ásinus aut bos in púteum cadet, et non contínuo éxtrahet illum die sábbati? Et non póterant ad hæc respóndere illi. Dicebat autem et ad invitátos parábolam, inténdens, quómodo primos accúbitus elígerent, dicens ad illos: Cum invitátus fúeris ad núptias, non discúmbas in primo loco, ne forte honorátior te sit invitátus ab illo, et véniens is, qui te et illum vocávit, dicat tibi: Da huic locum: et tunc incípias cum rubóre novíssimum locum tenére. Sed cum vocátus fúeris, vade, recúmbe in novíssimo loco: ut, cum vénerit, qui te invitávit, dicat tibi: Amíce, ascénde supérius. Tunc erit tibi glória coram simul discumbéntibus: quia omnis, qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.

[“In quel tempo Gesù entrato in giorno di sabato nella casa di uno de’ principali Farisei per ristorarsi, questi gli tenevano gli occhi addosso. Ed eccoti che un certo uomo idropico se gli pose davanti. E Gesù rispondendo prese a dire ai dottori della legge e ai Farisei: È egli lecito di risanare in giorno di sabato? Ma quelli si tacquero. Ed egli toccandolo lo risanò, e lo rimandò. E soggiunse, e disse loro: Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo trae subito fuori in giorno di sabato? Né a tali cose poterono replicargli. Disse ancora ai convitati una parabola, osservando com’ei si pigliavano i primi posti dicendo loro: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere a sedere nel primo posto, perché a sorte non sia stato invitato da lui qualcheduno più degno di te: e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedi a questo il luogo; onde allora tu cominci a star con vergogna nell’ultimo posto. Ma quando sarai invitato va a metterti nell’ultimo luogo, affinché venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su. Ciò allora ti fia d’onore presso tutti i convitati. Imperocché chiunque si innalza, sarà umiliato; e chi si umilia sarà innalzato”.]

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’umiltà.

“Omnis qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat, exaltabitur.”

(Luc.. XVIII, 14).

Poteva forse, Fratelli miei, il nostro divin Salvatore, mostrarci in modo più chiaro ed evidente la necessità di umiliarci, cioè di sentire bassamente di noi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, se vogliamo sperare di andar a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità? — Trovandosi un giorno in compagnia di persone, le quali, a quanto pare, si gloriavano del bene che avevano fatto, e disprezzavano gli altri, Gesù Cristo propose loro questa parabola, che, nulla vieta credere riproduca un fatto storico: “Due uomini, disse, ascesero al tempio per farvi orazione; l’uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo ritto in piedi, così parlava a Dio: “Ti ringrazio, o Signore, perché non sono come il resto degli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano: digiuno due volte la settimana, do le decime di quanto possiedo. „ Ecco la sua preghiera, ci dice S. Agostino: (Serm. CXV, cap. 2, in illud Lucæ) vedete bene che essa non è altro che uno sfoggio pieno di boria, di vanità e di orgoglio. Il fariseo non viene al tempio per supplicare Iddio o ringraziarlo: ma per dir le sue lodi ed insultare l’altro che sta pregando. Il pubblicano invece, stando lungi dall’altare, non osava neppure di alzar gli occhi al cielo; si percoteva il petto, dicendo: “Mio Dio, abbi pietà di me che sono peccatore. „ — “Vi dichiaro, aggiunge Gesù Cristo, che questi se ne partì giustificato, non l’altro. „ I peccati del pubblicano vengono perdonati, ed il fariseo con tutte le sue virtù, ritorna a casa più colpevole di quando ne era uscito. Se volete saperne la ragione, eccola: l’umiltà del pubblicano, quantunque peccatore, fu più accetta a Dio che tutte le pretese opere buone dei fariseo col suo orgoglio (Respexit in orationem humilium, et non sprevit precem eorum. Ps, CI, 18).E Gesù Cristo ne concluse che: “chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.„ Ecco la regola, F. M., non illudiamoci; la legge è generale; è il nostro divino Maestro che l’ha pubblicata. “Quando avrete alzata la testa sino al cielo, dice il Signore, Io ve ne strapperò. „ (Jer. XLIX, 16) Sì, F. M., l’unica strada che conduce alla gloria dell’altra vita, è l’umiltà. (Gloriam præcedit humilitas. Prov. xv, 33). Senza umiltà, senza questa bella e preziosa virtù, non entrerete in cielo, come non vi entrerete senza il battesimo (Matth. XVIII, 3). Comprendiamo adunque oggi, F. M., l’obbligo che abbiamo di umiliarci, ed i motivi che vi ci devono impegnare. Perciò, F. M., vi mostrerò:

1° che l’umiltà è una virtù assolutamente necessaria, se vogliamo che le nostre azioni siano accette a Dio e ricompensate nell’altra vita;

2° che tutti abbiamo obbligo di praticarla, sia riguardo a Dio, sia riguardo a noi stessi.

I . — Prima, F. M., di farvi comprendere il bisogno che abbiamo di questa bella virtù, tanto necessaria quanto il battesimo dopo il peccato originale; tanto necessaria, aggiungo quanto il sacramento della Penitenza dopo il peccato mortale, bisogna vi dica in che cosa consiste questa amabile virtù, che dà si gran merito a tutte le nostre buone azioni, ed orna così riccamente tutte le nostre opere buone. – S. Bernardo, questo gran santo che l’ha praticata in modo così straordinario, che ha abbandonato beni, piaceri, parenti ed amici, per passare la sua vita nelle foreste, tra le fiere, a piangervi i suoi peccati, ci dico che l’umiltà è una virtù per la quale conosciamo noi stessi: cosa che ci porta a non avere per noi che disprezzo, ed a non provar nessun gusto nel sentirci lodati . (De gradibus humilitatis et superbiæ, cap. 1).

1° Anzitutto questa virtù ci è assolutamente necessaria se vogliamo che le nostre azioni siano premiate in cielo: poiché Gesù Cristo stesso ci dice che non possiamo salvarci senza umiltà, come non possiamo salvarci senza il battesimo. S. Agostino ci dice: ” Se mi domandate qual è la prima virtù del Cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate qual è la seconda, vi dirò ancora l’umiltà; e ogni volta mi farete questa domanda, vi darò sempre la medesima risposta. „(Epist. CXIII ad Dioscorum, cap. III, 22). Se l’orgoglio genera tutti i peccati (Initium omnia peccati est superbia, Eccli. x, 15), possiamo anche dire che l’umiltà produce tutte le virtù (Vedi RODRIQUEZ, Trattato dell’umiltà, cap. III). Coll’umiltà, avrete quanto v’occorre per piacere a Dio e salvar l’anima vostra; senza umiltà, aveste pure tutte le altre virtù, avrete nulla. Leggiamo nel santo Vangelo che alcune madri presentavano i loro bambini a Gesù Cristo perché li benedicesse. Gli Apostoli li respingevano. Nostro Signore, volendo mostrare la sua disapprovazione, disse loro: “Lasciate venire a me questi pargoli, poiché il regno dei cieli è per loro e per chi ad essi rassomiglia. „ E li abbracciava, e dava loro la sua santa benedizione. Perché tanta accoglienza da parte del divin Salvatore? Perché  i bambini sono semplici, umili, e senza malizia. Parimente, F. M., se vogliamo essere bene accolti da Gesù Cristo, dobbiamo essere semplici ed umili in quanto facciamo. “Fu – ci dice S. Bernardo – fu questa bella virtù, la cagione per cui l’eterno Padre fermò sulla santissima Vergine lo sguardo della sua compiacenza: e se, la verginità, aggiunge, attrasse lo sguardo di Dio, l’umiltà fu causa che ella diventasse Madre del Figlio di Dio. Se Maria santissima è la Regina dei vergini, ella è altresì la Regina degli umili. „ (Hom. I, super Missus est, 5) S. Teresa domandava un giorno a nostro Signore, perché altre volte lo Spirito Santo si comunicava con tanta facilità ai personaggi dell’Antico Testamento, ai patriarchi, ai profeti, e manifestava loro i suoi secreti, mentre al presente non lo fa più. Nostro Signore le rispose perché erano più semplici e più umili, mentre gli uomini di oggi hanno il cuor doppio, e sono ripieni di orgoglio e vanità. Dio non si comunica ad essi, non li ama, come amava quei buoni patriarchi e quei profeti, che erano semplici ed umili. S. Agostino ci dice: “Se vi umiliate profondamente e riconoscete di esser nulla, di non meritar nulla, Dio vi darà grazie in abbondanza; ma se volete innalzarvi e credervi qualche cosa, Egli si ritirerà da voi, e vi abbandonerà nella vostra miseria. „ – Nostro Signore per farci ben comprendere che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, comincia le beatitudini coll’umiltà, dicendo: “Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli. „ S. Agostino ci dice che questi poveri di spirito sono quelli che hanno l’umiltà per patrimonio! (Serm. LIII, in illud Matth. Beati pauperes spiritu). Il profeta Isaia dice a Dio: “Signore, su chi il vostro Spirito Santo discende? Forse su quelli che hanno gran riputazione nel mondo, o sugli orgogliosi? — No, dice il Signore, ma su chi ha il cuore umile. „ (Is. XLVI, 2).Non solo questa virtù ci rende accetti a Dio,ma anche agli uomini. Tutti amano colui che è umile; si gode della sua compagnia. Perché  ordinariamente i fanciulli sono amati, se non perché sono semplici ed umili? Una persona umile cede in tutto, non contraria e non affligge mai nessuno, s’accontenta di tutto, cerca sempre di nascondersi agli occhi del mondo. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di S. Ilarione. S. Girolamo racconta che questo gran santo era richiesto dagli imperatori, dai re, dai principi, dalla folla del popolo attirato nella solitudine del deserto dal profumo di sua santità e dallo splendore e dalla fama dei suoi miracoli; ma che egli al contrario fuggiva il mondo quanto poteva. Cambiava spesso di cella, per vivere nascosto e sconosciuto; piangeva senza posa alla vista di quella moltitudine di religiosi e d’altra gente che venivano da lui per essere guariti dai loro mali. Rimpiangendo l’antica solitudine: “Sono, diceva tutto in lacrime, sono ritornato nel mondo, riceverò la mia ricompensa in questa vita, poiché mi si tiene per una persona considerevole. „ — “E ci dice S. Girolamo, niente di più ammirabile che vederlo così umile in mezzo a tanti onori che gli venivano prodigati. Essendosi sparsa la notizia che si ritirava nel fondo di un deserto selvaggio, dove nessuno avrebbe potuto più visitarlo, ventimila uomini si misero ad invigilarlo; ma il Santo disse loro che non avrebbe preso cibo sinché non lo avessero lasciato libero. Gli si fece la guardia per sette giorni: ma vedendo che non mangiava nulla… Fuggì nel deserto più remoto e selvaggio dove si diede a tutto ciò che poteva ispirargli il suo amore per Dio. Solamente là credette di cominciare a servire il buon Dio. „ (Vita dei Padri del deserto). Ditemi, F. M., non è questa umiltà, disprezzo di se stesso? Ahimè! quanto queste virtù sono rare! ma anche i Santi sono rari! Quanto si odia un orgoglioso, altrettanto si ama una persona umile, perché essa prende sempre l’ultimo posto, rispetta tutti e stima tutti, e perciò appunto piace tanto la compagnia di persone che hanno così belle qualità.

2° Inoltre l’umiltà è il fondamento di tutte le altre virtù (Cogitas magnam, fabricam construere celsitudinis? De fundamento prius cogita humilitatis. S. Aug., Serm. in Matth.). Chi desidera servire il buon Dio e salvare l’anima propria, deve cominciare dal praticar questa virtù in tutta la sua estensione, altrimenti la nostra divozione sarà simile ad uno stelo di paglia che fu piantato, ma che al primo soffio di vento sarà abbattuto. Sì, F. M., il demonio teme pochissimo quelle divozioni che non hanno l’umiltà per fondamento, perché sa benissimo che le potrà abbattere quando a lui piaccia; come accadde a quel solitario che giunse sino a camminar sui carboni ardenti senza abbruciarsi, ma, privo d’umiltà, cadde poco dopo negli eccessi più deplorevoli (Vita dei Padri del Deserto). Se non avete l’umiltà, dite che non avete nulla, e che alla prima tentazione cadrete. Si racconta nella vita di S. Antonio (ibid.), che il buon Dio gli fece vedere il mondo tutto ripieno di lacci tesi dal demonio per far cadere gli uomini nel peccato. Ne fu tanto stupito, che il suo corpo tremava come le foglie della foresta, e rivolgendosi a Dio:  “Ahimè! Signore, chi potrà evitare tante insidie? „ Intese una voce rispondergli: “Antonio, chi sarà umile; perché Dio dà la sua grazia agli umili per resistere alle tentazioni, mentre permette «he il demonio si prenda giuoco degli orgogliosi, i quali esposti all’occasione, cadranno nel peccato. Il demonio non osa neppure attaccare le persone umili. „ Quando S. Antonio era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente innanzi a Dio, dicendo: “Ahimè, Signore, sapete che non sono altro che un miserabile peccatore! „ Allora il demonio fuggiva. Quando siamo tentati, F. M., teniamoci nascosti sotto il velo dell’umiltà, e vedremo che il demonio avrà poca forza su di noi. Leggiamo  nella vita di S. Macario, che andando egli un giorno nella sua cella carico le braccia di foglie di palma, gli si fece innanzi il demonio con spaventevole furore tentando di percuoterlo, ma non riuscendo perché Dio non gliene aveva dato facoltà, esclamò: “O Macario! quanto mi fai soffrire: non ho la forza di maltrattarti, quantunque io adempia più perfettamente di te ciò che tu fai; perché tu digiuni qualche volta, ma io non mangio mai: tu vegli qualche volta ed io non dormo mai. Non v’è che una cosa, in cui confesso che mi superi. „ S. Macario gli domandò quale fosse. “È la tua umiltà. „ Il santo si gettò con la faccia contro terra, domandò a Dio di non soccombere alla tentazione, e subito il demonio fuggi. (Vita dei Padri del deserto. S. Macario d’Egitto). Ah! F. M., questa virtù quanto ci rende cari a Dio, ed è potente a scacciare il demonio. Ma quanto è rara! ed è facile comprenderlo, poiché vi sono ben pochi Cristiani che resistano al demonio quando sono tentati. Ma, affinché non vi facciate illusione e riconosciate che questa virtù non l’avete avuta mai, entriamo in un semplice particolare. No, F. M., non sono prova che noi possediamo l’umiltà le belle parole e belle manifestazioni di disprezzo di noi stessi. E prima di cominciare vi citerò un esempio il quale vi proverà che le parole contano poco. Leggiamo nella Vita dei Padri, che essendo venuto un solitario a trovare S. Serapione, (idem)  quegli non voleva pregare con lui, perché, diceva, ho commesso tanti peccati e ne sono indegno: non oso neppure respirare l’aria in cui vi trovate. Seduto in terra, non osava neppure assidersi sullo stesso sgabello su cui stava S. Serapione. Volendo il santo lavargli i piedi secondo il costume, egli resisté ancor più. Ecco l’umiltà che secondo noi ha tutta l’apparenza di essere sincera, eppure vedete dove va a finire. S. Serapione si limitò a osservargli che avrebbe fatto assai meglio a starsene nella sua solitudine, invece di andare di cella in cella al pari di un girovago, e a lavorare per vivere. Allora il solitario non seppe trattenersi dal mostrare che la sua umiltà non era che falsa virtù; si adirò contro il santo, e lo lasciò. Perciò il santo gli disse: “Eh! figlio mio, mi dicevate or ora che avevate commesso tutti i delitti immaginabili, che non osavate né pregare né mangiare con me, e per un semplice avvertimento, che in nulla può offendervi, vi lasciate vincere dalla collera! Andate, amico mio, la vostra virtù e tutte le vostre opere buone sono prive della più bella dote, che è l’umiltà. „ Vedete da questo esempio, che ve n’è ben poca di vera umiltà. Ahimè! quanti vi sono che finché vengono adulati, lodati o ricevono dimostrazioni di stima, sono tutto ardore per le pratiche di pietà, darebbero tutto e si spoglierebbero di tutto; ma basta un piccolo rimprovero, un tratto d’indifferenza per gettare l’amarezza nel loro cuore; tutto questo li tormenta, li fa piangere, li mette di cattivo umore, fa commettere loro mille giudizi temerari, pensando che vengono trattati indegnamente, mentre con altri non si usa così. Ahimè! quanto questa bella virtù è rara fra i Cristiani dei nostri giorni! quante virtù non hanno che l’apparenza, ed al primo urto se ne vanno in fumo! Ma in che cosa consiste l’umiltà? Eccolo: vi dirò anzitutto che vi sono due specie di umiltà, l’una interiore e l’altra esteriore. L’umiltà esterna consiste:

1° nel non lodarsi di esser ben riusciti in qualche opera da noi fatta, e non ripeterne il racconto a tutti; nel non narrare le nostre prodezze spiritose, i nostri viaggi, la destrezza ed abilità mostrate, né ciò che per avventura è stato detto a nostro onore:

2° nel nascondere il bene che possiamo aver fatto, come le elemosine, le preghiere, le penitenze, i servigi prestati al prossimo, le grazie interne che Dio ci ha largito;

3° nel non compiacerci quando siamo lodati; nel cercare di divergere la conversazione, attribuendo a Dio il buon successo pel quale siamo encomiati; facendo conoscere che ciò ci dà fastidio, ed andandocene se lo possiamo;

4° nel non dir mai né bene né male di sé stesso. Alcuni parlano spesso male di se medesimi allo scopo di venir lodati: questa è falsa umiltà, è un’umiltà posticcia. Di voi stesso non dite nulla, accontentatevi di riconoscere che siete un miserabile, che occorre tutta la carità di Dio per sopportarvi sulla terra;

5° nel non mai disputare cogli eguali; bisogna loro ceder in tutto ciò che non è contrario alla coscienza; non creder d’avere sempre ragione; se la si avesse, bisogna pensar subito che potremmo ingannarci, come avvenne tante volte; e soprattutto non ostinarci mai a voler dire l’ultima parola, ciò che rivela uno spirito assai orgoglioso:

6° nel non mostrarci mai tristi, quando sembriamo disprezzati, né lamentarcene con altri; ciò proverebbe che non abbiamo umiltà, poiché se ne avessimo, non crederemmo mai d’essere disprezzati, giacché mai non potremmo essere trattati come meritiamo pei nostri peccati; al contrario bisogna ringraziare il buon Dio, come il santo re Davide, che rendeva bene per male (Ps. VII, 5), pensando quanto aveva egli stesso disprezzato Dio coi suoi peccati;

7° nell’essere ben contenti che ci si disprezzi, ad esempio di Gesù Cristo, di cui fu detto “che sarebbe stato saziato d’obbrobrio (Thren. III, 30), „ e ad esempio degli Apostoli, dei quali è scritto 3 (Act. V, 41) “che gioivano grandemente d’esser trovati degni di soffrire qualche disprezzo, qualche ignominia per amore di Gesù Cristo: „ e tutto questo all’ora della morte ci sarà argomento di sperare la felicità;

8° nel non scusarci delle nostre colpe, quando abbiamo fatto qualche cosa di riprovevole, e non dar ad intendere che non è così, o con menzogne o con rigiri, o col far apparire di non essere stati noi. Quand’anche fossimo accusati a torto, purché non siavi interessata la gloria di Dio, non dobbiamo dir nulla. Vedete che cosa capitò a quella giovinetta, alla quale si era messo il nome di fratello Marino Ahimè! chi di noi sottoposto a simili prove non sarebbesi giustificato, potendolo così facilmente? (v. XI Domenica dopo Pentecoste).

9° Finalmente l’umiltà esteriore consiste nel fare ciò che è più ripugnante, ciò che gli altri non vogliono fare, e amare di andar vestiti semplicemente. Ecco. F. M.. in che cosa consiste l’umiltà esteriore. Ma in che cosa consiste quella interiore?

Eccolo. Consiste:

1° nel sentire bassamente di noi, non applaudendosi in cuore, quando abbiamo fatto qualche cosa ben riuscita, ma crederci indegni e incapaci di fare qualsiasi buona azione, appoggiati alle parole di Gesù Cristo medesimo, che ci dice che senza di Lui nulla possiam fare di bene (Joan. XV, 5): non possiamo neppur pronunziare una buona parola, neppur ripetere il Ss. Nome di Gesù, senza il soccorso dello Spirito Santo (I Cor. XII, 3);

2° nell’essere lieti che gli altri conoscano i nostri difetti, per aver occasione di tenerci nel nostro nulla;

3° nell’essere contenti che gli altri ci superino in ricchezze, in ingegno, in virtù, od in altra cosa e nel sottometterci alla volontà, al giudizio altrui, ogni volta che non sia contro alla coscienza. Sì, F. M., una persona veramente umile deve essere simile ad un morto, che ne s’inquieta per le ingiurie che gli si fanno, né gode per le lodi che gli vengono date. – Ecco, F. M., che cos’è possedere l’umiltà cristiana, che ci rende così accetti a Dio ed amabili al prossimo. Vedete ora, se l’avete o no. E se non l’avete, non vi resta per salvarvi che di domandarla a Dio fin che l’abbiate ottenuta, perché senza di essa non entreremo in cielo. Leggiamo nella vita di S. Elzeario, che, trovatosi in pericolo di perire in mare con quanti erano nella nave, passato il pericolo, santa Delfina sua sposa gli domandò se non avesse avuto paura. Le rispose: “Quando mi trovo in simile pericolo, raccomando a Dio me stesso e quanti sono con me, e gli dico che se alcuno deve morire, sia io quello, come il più miserabile ed indegno di vivere. „ (Ribadeneira, 27 Sett.,m t. IX). Quale umiltà!… S. Bernardo era così penetrato del suo nulla, che quando entrava in una città, si metteva in ginocchio a pregare Iddio di non punire quella città a cagione de’ suoi peccati; credeva che. dovunque andasse, non fosse capace che d’attirare la maledizione su quel luogo. Quale umiltà, F. M., in un santo così grande in cui vita fu una catena non mai interrotta di opere meravigliose! Bisogna, F . M., che tutto quanto facciamo sia accompagnato da questa bella virtù, se vogliamo che abbia premio in cielo. Facendo le vostre preghiere, avete voi questa umiltà che vi fa riguardare voi stessi come miserabili, indegni di stare alla santa presenza di Dio? Ah! se così fosse non vi accontentereste di farle vestendovi o lavorando. No, non l’avete. Se l’aveste quando siete alla S. Messa, con qual rispetto, modestia e timore non vi assistereste? Ah! no, no, non vi si vedrebbe sorridere, parlare, voltar la testa, girare i vostri sguardi per la chiesa, dormire, far le preghiere vostre senza divozione, senza amor di Dio. Lontani dal trovar lunghe le funzioni, non potreste più uscirne, pensando quanto dev’essere grande la misericordia di Dio per sopportarvi in mezzo ai fedeli, voi che meritate pei vostri peccati d’essere annoverato fra i reprobi. Se aveste questa virtù, quando domandate qualche grazia al buon Dio, fareste come la Cananea che si inginocchiò ai piedi del Salvatore in presenza di tutti (Matt. XV, 25); come Maddalena, che baciò i piedi del Salvatore in una numerosa assemblea (Luc. VII, 88). Se l’aveste, fareste come quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue, ed andò con tanta umiltà a chinarsi davanti al Salvatore per toccare umilmente il lembo del suo vestito (Marc. V, 25). Se aveste l’umiltà d’un S. Paolo, che era stato rapito fino al terzo cielo (II Cor. XII, 2), eppure si considerava come un aborto, come l’ultimo degli Apostoli, indegno del nome che portava (I Cor. XV, 8, 9) … Mio Dio! quanto è bella questa virtù; ma quanto è rara!… Se aveste questa virtù, F. M., quando vi confessate, ahi sareste lungi dal nascondere i vostri peccati o raccontarli come una storia divertente, e sovratutto raccontar quelli degli altri! Ah! da qual timore non sareste compresi, considerando da una parte la gravità delle vostre colpe, l’oltraggio che esse hanno recato a Dio, e osservando dall’altra la carità che Egli ha di perdonarvele? Dio mio! non sarebbe il caso di morire di dolore e di riconoscenza?,.. Se dopo aver confessato i vostri peccati, aveste quell’umiltà di cui parla san Giovanni Climaco (La scala santa, quinto grado), che essendo in un monastero, ci dice di aver visto coi propri occhi dei religiosi così umili, mortificati, i quali sentivano per modo il peso dei loro peccati che i loro lamenti, e le preghiere indirizzate a Dio erano capaci di toccare cuori duri some la pietra. Ve n’erano alcuni coperti di ulceri, da cui usciva un fetore insopportabile; essi curavano sì poco i loro corpi, che non avevano ormai più che pelle ed ossa. Si udivano risuonare pel monastero le grida più strazianti. – Ah! guai a noi peccatori miserabili! Giustamente mio Dio. potete precipitarci nell’inferno!,, Altri esclamavano: “Ah! Signore, perdonateci, se le nostre anime possono ancora ricevere perdono! Avevano tutti il pensiero della morte fisso nella lor mente e si dicevano gli uni gli altri: “Che sarà di noi dopo aver avuto la disgrazia d’offendere un Dio così buono? Potremo noi avere qualche speranza pel giorno delle vendette divine? „ Altri domandavano d’esser gettati nel fiume, per venirvi mangiati dai pesci. Il superiore vedendo S. Giovanni Climaco, gli disse : ” Ebbene! Padre mio, avete visto i nostri soldati? „ S.Giovanni Climaco ci dice che non poté né parlare né pregare, perché le grida di quei penitenti così profondamente umiliati, gli strappavano, suo malgrado, lagrime e singhiozzi. Come va, F. M., che noi non abbiamo umiltà, sebbene siamo assai più colpevoli? Ahimè! è perché non ci conosciamo abbastanza!

II. — Sì, F. M., ad un Cristiano, che si conosca bene, tutto serve per portarlo ad umiliarsi. Voglio dire tre cose: la considerazione delle grandezze di Dio, le umiliazioni di Gesù Cristo, e la nostra miseria.

1° Chi potrà considerare bene la grandezza di Dio, senza annichilarsi alla sua presenza, pensando che Egli dal nulla ha creato il cielo con una sola parola, ed un solo suo sguardo potrebbe tutto annientare? Un Dio che è così grande, e la cui potenza non ha confini, un Dio ripieno di ogni sorta di perfezioni, un Dio con la sua eternità senza fine, colla sua giustizia così severa, colla sua provvidenza che tutto governa con grande saggezza e provvede ai nostri bisogni con tanta cura! Mentre noi siamo un nulla vile e meschino! O mio Dio! non dovremmo, a più forte ragione, temere, come S. Martino, che la terra non si apra sotto i nostri piedi per inghiottirci, tanto siamo indegni di vivere? A questa considerazione, F. M., non fareste come quella grande penitente, di cui si parla nella vita di S. Pafnuzio? (Vita dei Padri del deserto. S. Pafnuzio e santa Taide) Questo buon vecchio, dice l’autore della sua vita, andato in cerca di quella peccatrice, e fu assai sorpreso di sentirla parlare di Dio. Il  santo abate le disse: “Sapete dunque che vi è un Dio? „ — “Sì, rispose ella: so di più che vi è un regno beato per quelli che vivono secondo i suoi comandamenti, ed un inferno, nel quale verranno cacciati i peccatori ad abbruciarvi. „ — “Se conoscete tutto ciò, sapete anche che avendo rovinato tante anime, vi siete messa in pericolo di andare a bruciare nell’inferno?,, La peccatrice, conoscendo a queste parole, che egli era un uomo di Dio, si gettò ai suoi piedi sciogliendosi in lacrime: “Padre mio, gli disse, datemi quella penitenza che vorrete, ed io la farò. ,, La rinchiuse in una cella dicendole: “Colpevole come siete non meritate di pronunciare il Nome di Dio; vi accontenterete di rivolgervi verso oriente, e per unica vostra preghiera direte: “O Voi che m’avete creata, abbiate pietà di me! „ Questa fu tutta la sua preghiera. S. Taide passò tre anni ripetendo tale preghiera, versando lagrime, e mandando sospiri giorno e notte. O mio Dio! l’umiltà ci fa davvero conoscere ciò che siamo!

2° Inoltre gli annientamenti di Gesù Cristo devono umiliarci ancor di più. “Quando considero, ci dice S. Agostino, un Dio che dalla sua incarnazione fino alla croce, ha trascorso una vita tutta di umiliazioni e di ignominie, un Dio disconosciuto sulla terra, temerò io di umiliarmi? Un Dio cerca le umiliazioni, ed io, verme della terra, vorrò elevarmi? „ Mio Dio! per pietà, distruggete quest’orgoglio, che tanto ci allontana da Voi.

3° Un altro motivo, F. M. , che ci deve umiliare è la nostra propria miseria. Non abbiamo che a guardarla davvicino, per trovare un’infinità di ragioni per umiliarci. Il profeta Michea ci dice: “Portiamo in noi stessi il principio ed il motivo della nostra umiliazione. Non sappiamo noi, ci dice, che il nulla è la nostra origine, che passò un’infinità di secoli prima che noi fossimo, e che da noi stessi non avremmo giammai potuto uscire da questo oscuro ed impenetrabile abisso? Possiamo ignorare che sebbene creati, abbiamo una violenta inclinazione al nulla, e che la mano potente di Colui che ce ne ha cavati, bisogna che ci impedisca di ripiombarvi, e che, se Dio cessasse di guardarci e sostenerci, saremmo cancellati dalla faccia della terra con la stessa rapidità d’una paglia trasportata da furiosa tempesta? „ Che cosa è dunque l’uomo per vantarsi della sua nascita e degli altri suoi comodi? “Ahimè! ci dice il santo Giobbe, chi siamo noi? Sozzura prima di nascere, miseria quando veniamo al mondo, infezione quando ne usciamo. Nasciamo di donna, ei dice (Giob. XIV, 1) viviamo poco tempo: durante la vita, sia essa pur breve, piangiamo molto e la morte non tarda a coglierci. „ — “Ecco la nostra porzione, ci dice S. Gregorio Papa, giudicate da questo se possiamo avere ragione di insuperbirci menomamente! Cosicché chi osa aver la temerità di credere d’esser qualcosa è un insensato, che non si è mai conosciuto, perché conoscendoci quali siamo, non possiamo avere che orrore di noi stessi. „ Ma non abbiamo minor motivo di umiliarci nell’ordine della grazia. Quali che siano i doni e le belle qualità che abbiamo, tutti li dobbiamo alla mano liberale del Signore, che li dà a chi gli piace per conseguenza non possiamo gloriarcene. Un Concilio ha dichiarato che l’uomo ben lungi d’esser l’autore della sua salvezza, non è capace che di perdersi, e non ha di proprio che il peccato e la menzogna. S. Agostino ci dice che tutta la nostra scienza consiste nel sapere che non siamo nulla, e che quanto abbiamo lo dobbiamo a Dio. Infine, che dobbiamo umiliarci per riguardo alla gloria e felicità che aspettiamo nell’altra vita, perché da noi, non possiamo meritarla. Se Dio è così buono da darcela, non possiamo fare assegnamento che sulla misericordia di Lui e sui meriti infiniti di Gesù Cristo, suo Figliuolo. Come figli di Adamo, noi meritiamo soltanto l’inferno. Oh! come Iddio è caritatevole dandoci la speranza di tanti beni, a noi che nulla abbiam fatto per meritarli! Che cosa dobbiamo concludere da ciò? F. M., eccolo: domandiamo al buon Dio, ogni giorno, l’umiltà, cioè che ci faccia la grazia di conoscere che noi siamo nulla, e che i beni, sia del corpo, sia dell’anima, ci vengono da Lui. .. Pratichiamo l’umiltà tutte le volte che potremo…; siamo ben persuasi che non c’è virtù più accetta a Dio dell’umiltà, e che con essa avremo tutte le altre. Per quanto siamo peccatori, stiamo sicuri che se possediamo l’umiltà, Dio ci perdonerà. Sì, F. M., attacchiamoci a questa bella virtù; essa ci unirà a Dio, ci farà vivere in pace col prossimo nostro, renderà le nostre croci meno pesanti, ci darà la grande speranza che un giorno vedremo Dio. Egli stesso ci ha detto: “Beati i poveri di spirito, perché vedranno Iddio! „ (Matt. V, 3). E quello che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 14; 15
Dómine, in auxílium meum réspice: confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam: Dómine, in auxílium meum réspice.

[Signore, vieni in mio aiuto: siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita per rovinarla: Signore, vieni in mio aiuto.]

Secreta

Munda nos, quǽsumus, Dómine, sacrifícii præséntis efféctu: et pérfice miserátus in nobis; ut ejus mereámur esse partícipes.

[Purificaci, Te ne preghiamo, o Signore, in virtù del presente Sacrificio, e, nella tua misericordia, fa sì che meritiamo di esserne partecipi].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXX: 16-17;18
Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus: Deus, docuísti me a juventúte mea: et usque in senéctam et sénium, Deus, ne derelínquas me.

[O Signore, celebrerò la giustizia che è propria solo a Te. O Dio, che mi hai istruito fin dalla giovinezza, non mi abbandonare nell’estrema vecchiaia.]

Postcommunio

Orémus.
Purífica, quǽsumus, Dómine, mentes nostras benígnus, et rénova coeléstibus sacraméntis: ut consequénter et córporum præsens páriter et futúrum capiámus auxílium.

[O Signore, Te ne preghiamo, purifica benigno le nostre anime con questi sacramenti, affinché, di conseguenza, anche i nostri corpi ne traggano aiuto per il presente e per il futuro].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

12 SETTEMBRE (2020): SS. NOME DI MARIA

I SERMONI DEL CORATO D’ARS: “SULL’UMILTÀ”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’umiltà.

“Omnis qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat, exaltabitur.”

(Luc.. XVIII, 14).

Poteva forse, Fratelli miei, il nostro divin Salvatore, mostrarci in modo più chiaro ed evidente la necessità di umiliarci, cioè di sentire bassamente di noi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, se vogliamo sperare di andar a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità? — Trovandosi un giorno in compagnia di persone, le quali, a quanto pare, si gloriavano del bene che avevano fatto, e disprezzavano gli altri, Gesù Cristo propose loro questa parabola, che, nulla vieta credere riproduca un fatto storico: “Due uomini, disse, ascesero al tempio per farvi orazione; l’uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo ritto in piedi, così parlava a Dio: “Ti ringrazio, o Signore, perché non sono come il resto degli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano: digiuno due volte la settimana, do le decime di quanto possiedo. „ Ecco la sua preghiera, ci dice S. Agostino: (Serm. CXV, cap. 2, in illud Lucæ) vedete bene che essa non è altro che uno sfoggio pieno di boria, di vanità e di orgoglio. Il fariseo non viene al tempio per supplicare Iddio o ringraziarlo: ma per dir le sue lodi ed insultare l’altro che sta pregando. Il pubblicano invece, stando lungi dall’altare, non osava neppure di alzar gli occhi al cielo; si percoteva il petto, dicendo: “Mio Dio, abbi pietà di me che sono peccatore. „ — “Vi dichiaro, aggiunge Gesù Cristo, che questi se ne partì giustificato, non l’altro. „ I peccati del pubblicano vengono perdonati, ed il fariseo con tutte le sue virtù, ritorna a casa più colpevole di quando ne era uscito. Se volete saperne la ragione, eccola: l’umiltà del pubblicano, quantunque peccatore, fu più accetta a Dio che tutte le pretese opere buone dei fariseo col suo orgoglio (Respexit in orationem humilium, et non sprevit precem eorum. Ps, CI, 18).E Gesù Cristo ne concluse che: “chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.„ Ecco la regola, F. M., non illudiamoci; la leggo è generale; è il nostro divino Maestro che l’ha pubblicata. “Quando avrete alzata la testa sino al cielo, dice il Signore, io ve ne strapperò. „ (Jer. XLIX, 16) Sì, F. M., l’unica strada che conduce alla gloria dell’altra vita, è l’umiltà. (Gloriam præcedit humilitas. Prov. xv, 33). Senza umiltà, senza questa bella e preziosa virtù, non entrerete in cielo, come non vi entrerete senza il battesimo (Matth. XVIII, 3). Comprendiamo adunque oggi, F. M., l’obbligo che abbiamo di umiliarci, ed i motivi che vi ci devono impegnare. Perciò, F. M., vi mostrerò:

1° che l’umiltà è una virtù assolutamente necessaria, se vogliamo che le nostre azioni siano accette a Dio e ricompensate nell’altra vita;

2° che tutti abbiamo obbligo di praticarla, sia riguardo a Dio, sia riguardo a noi stessi.

I . — Prima, F. M., di farvi comprendere il bisogno che abbiamo di questa bella virtù, tanto necessaria quanto il battesimo dopo il peccato originale; tanto necessaria, aggiungo quanto il sacramento della Penitenza dopo il peccato mortale, bisogna vi dica in che cosa consiste questa amabile virtù, che dà si gran merito a tutte le nostre buone azioni, ed orna così riccamente tutte le nostre opere buone. – S. Bernardo, questo gran santo che l’ha praticata in modo così straordinario, che ha abbandonato beni, piaceri, parenti ed amici, per passare la sua vita nelle foreste, tra le fiere, a piangervi i suoi peccati, ci dico che l’umiltà è una virtù per la quale conosciamo noi stessi: cosa che ci porta a non avere per noi che disprezzo, ed a non provar nessun gusto nel sentirci lodati 1. *(De gradibus humilitatis et superbiæ, cap. 1).

1° Anzitutto questa virtù ci è assolutamente necessaria se vogliamo che le nostre azioni siano premiate in cielo: poiché Gesù Cristo stesso ci dice che non possiamo salvarci senza umiltà, come non possiamo salvarci senza il battesimo. S. Agostino ci dice: ” Se mi domandate qual è la prima virtù del Cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate qual è la seconda, vi dirò ancora l’umiltà; e ogni volta mi farete questa domanda, vi darò sempre la medesima risposta. „(Epist. CXIII ad Dioscorum, cap. III, 22). Se l’orgoglio genera tutti i peccati (Initium omnia peccati est superbia, Eccli. x, 15), possiamo anche dire che l’umiltà produce tutte le virtù (Vedi RODRIQUEZ, Trattato dell’umiltà, cap. III). Coll’umiltà, avrete quanto v’occorre per piacere a Dio e salvar l’anima vostra; senza umiltà, aveste pure tutte le altre virtù, avrete nulla. Leggiamo nel santo Vangelo che alcune madri presentavano i loro bambini a Gesù Cristo perché li benedicesse. Gli Apostoli li respingevano. Nostro Signore, volendo mostrare la sua disapprovazione, disse loro: “Lasciate venire a me questi pargoli, poiché il regno dei cieli è per loro e per chi ad essi rassomiglia. „ E li abbracciava, e dava loro la sua santa benedizione. Perché tanta accoglienza da parte del divin Salvatore? Perché  i bambini sono semplici, umili, e senza malizia. Parimente, F. M., se vogliamo essere bene accolti da Gesù Cristo, dobbiamo essere semplici ed umili in quanto facciamo. “Fu – ci dice S. Bernardo – fu questa bella virtù, la cagione per cui l’eterno Padre fermò sulla santissima Vergine lo sguardo della sua compiacenza: e se, la verginità, aggiunge, attrasse lo sguardo di Dio, l’umiltà fu causa che ella diventasse Madre del Figlio di Dio. Se Maria santissima è la Regina dei vergini, ella è altresì la Regina degli umili. „ (Hom. I, super Missus est, 5) S. Teresa domandava un giorno a nostro Signore, perché altre volte lo Spirito Santo si comunicava con tanta facilità ai personaggi dell’Antico Testamento, ai patriarchi, ai profeti, e manifestava loro i suoi secreti, mentre al presente non lo fa più. Nostro Signore le rispose perché erano più semplici e più umili, mentre gli uomini di oggi hanno il cuor doppio, e sono ripieni di orgoglio e vanità. Dio non si comunica ad essi, non li ama, come amava quei buoni patriarchi e quei profeti, che erano semplici ed umili. S. Agostino ci dice: “Se vi umiliate profondamente e riconoscete di esser nulla, di non meritar nulla, Dio vi darà grazie in abbondanza; ma se volete innalzarvi e credervi qualche cosa, Egli si ritirerà da voi, e vi abbandonerà nella vostra miseria. „ – Nostro Signore per farci ben comprendere che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, comincia le beatitudini coll’umiltà, dicendo: “Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli. „ S. Agostino ci dice che questi poveri di spirito sono quelli che hanno l’umiltà per patrimonio! (Serm. LIII, in illud Matth. Beati pauperes spiritu). Il profeta Isaia dice a Dio: “Signore, su chi il vostro Spirito Santo discende? Forse su quelli che hanno gran riputazione nel mondo,o sugli orgogliosi? — No, dice il Signore, ma su chi ha il cuore umile. „ (Is. XLVI, 2).Non solo questa virtù ci rende accetti a Dio,ma anche agli uomini. Tutti amano colui che è umile; si gode della sua compagnia. Perché  ordinariamente i fanciulli sono amati, se non perché sono semplici ed umili? Una persona umile cede in tutto, non contraria e non affligge mai nessuno, s’accontenta di tutto,cerca sempre di nascondersi agli occhi del mondo. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di S. Ilarione. S. Girolamo racconta chequesto gran santo era richiesto dagli imperatori, dai re, dai principi, dalla folla del popolo attirato nella solitudine del deserto dal profumo di sua santità e dallo splendore e dalla fama dei suoi miracoli; ma che egli al contrario fuggiva il mondo quanto poteva. Cambiava spesso dicella, per vivere nascosto e sconosciuto; piangeva senza posa alla vista di quella moltitudine di religiosi e d’altra gente che venivano da lui per essere guariti dai loro mali. Rimpiangendo l’antica solitudine: “Sono, diceva tutto in lacrime, sono ritornato nel mondo, riceverò la mia ricompensa in questa vita, poiché mi si tiene per una persona considerevole. „ — “E ci dice S. Girolamo, niente di più ammirabile che vederlo così umile in mezzo a tanti onori che gli venivano prodigati. Essendosi sparsa la notizia che si ritirava nel fondo di un deserto selvaggio, dove nessuno avrebbe potuto più visitarlo, ventimila uomini si misero ad invigilarlo; ma il Santo disse loro che non avrebbe preso cibo sinché non lo avessero lasciato libero. Gli si fece la guardia per sette giorni: ma vedendo che non mangiava nulla… Fuggì nel deserto più remoto e selvaggio dove si diede a tutto ciò che poteva ispirargli il suo amore per Dio. Solamente là credette di cominciare a servire il buon Dio. „ (Vita dei Padri del deserto), Ditemi, F. M., non è questa umiltà, disprezzo di se stesso? Ahimè! quanto queste virtù sono rare! ma anche i santi sono rari! Quanto si odia un orgoglioso, altrettanto si ama una persona umile, perché essa prende sempre l’ultimo posto, rispetta tutti e stima tutti, e perciò appunto piace tanto la compagnia di persone che hanno così belle qualità.

2° Inoltre l’umiltà è il fondamento di tutte le altre virtù (Cogitas magnam, fabricam construere celsitudinis? De fundamento prius cogita humilitatis. S. Aug., Serm. in Matth.). Chi desidera servire il buon Dio e salvare l’anima propria, deve cominciare dal praticar questa virtù in tutta la sua estensione, altrimenti la nostra divozione sarà simile ad uno stelo di paglia che fu piantato, ma che al primo soffio di vento sarà abbattuto. Sì, F. M., il demonio teme pochissimo quelle divozioni che non hanno l’umiltà per fondamento, perché sa benissimo che le potrà abbattere quando a lui piaccia; come accadde a quel solitario che giunse sino a camminar sui carboni ardenti senza abbruciarsi, ma, privo d’umiltà, cadde poco dopo negli eccessi più deplorevoli (Vita dei Padri del Deserto). Se non avete l’umiltà, dite che non avete nulla, e che alla prima tentazione cadrete. Si racconta nella vita di S. Antonio (ibid.), che il buon Dio gli fece vedere il mondo tutto ripieno di lacci tesi dal demonio per far cadere gli uomini nel peccato. Ne fu tanto stupito, che il suo corpo tremava come le foglie della foresta, e rivolgendosi a Dio:  “Ahimè! Signore, chi potrà evitare tante insidie? „ Intese una voce rispondergli: “Antonio, chi sarà umile; perché Dio dà la sua grazia agli umili per resistere alle tentazioni, mentre permette «he il demonio si prenda giuoco degli orgogliosi, i quali esposti all’occasione, cadranno nel peccato. Il demonio non osa neppure attaccare le persone umili. „ Quando S. Antonio era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente innanzi a Dio, dicendo: “Ahimè, Signore, sapete che non sono altro che un miserabile peccatore! „ Allora il demonio fuggiva. Quando siamo tentati, F. M., teniamoci nascosti sotto il velo dell’umiltà, e vedremo che il demonio avrà poca forza su di noi. Leggiamo  nella vita di S. Macario, che andando egli un giorno nella sua cella carico le braccia di foglie di palma, gli si fece innanzi il demonio con spaventevole furore tentando di percuoterlo, ma non riuscendo perché Dio non gliene aveva dato facoltà, esclamò: “O Macario! quanto mi fai soffrire: non ho la forza di maltrattarti, quantunque io adempia più perfettamente di te ciò che tu fai; perché tu digiuni qualche volta, ma io non mangio mai: tu vegli qualche volta ed io non dormo mai. Non v’è che una cosa, in cui confesso che mi superi. „ S. Macario gli domandò quale fosse. “È la tua umiltà. „ Il santo si gettò con la faccia contro terra, domandò a Dio di non soccombere alla tentazione, e subito il demonio fuggi. (Vita dei Padri del deserto. S. Macario d’Egitto). Ah! F. M., questa virtù quanto ci rende cari a Dio, ed è potente a scacciare il demonio. Ma quanto è rara! ed è facile comprenderlo, poiché vi sono ben pochi Cristiani che resistano al demonio quando sono tentati. Ma, affinché non vi facciate illusione e riconosciate che questa virtù non l’avete avuta mai, entriamo in un semplice particolare. No, F. M., non sono prova che noi possediamo l’umiltà le belle parole e belle manifestazioni di disprezzo di noi stessi. E prima di cominciare vi citerò un esempio il quale vi proverà che le parole contano poco. Leggiamo nella Vita dei Padri, che essendo venuto un solitario a trovare S. Serapione, (idem)  quegli non voleva pregare con lui, perché, diceva, ho commesso tanti peccati e ne sono indegno: non oso neppure respirare l’aria in cui vi trovate. Seduto in terra, non osava neppure assidersi sullo stesso sgabello su cui stava S. Serapione. Volendo il santo lavargli i piedi secondo il costume, egli resisté ancor più. Ecco l’umiltà che secondo noi ha tutta l’apparenza di essere sincera, eppure vedete dove va a finire. S. Serapione si limitò a osservargli che avrebbe fatto assai meglio a starsene nella sua solitudine, invece di andare di cella in cella al pari di un girovago, e a lavorare per vivere. Allora il solitario non seppe trattenersi dal mostrare che la sua umiltà non era che falsa virtù; si adirò contro il santo, e lo lasciò. Perciò il santo gli disse: “Eh! figlio mio, mi dicevate or ora che avevate commesso tutti i delitti immaginabili, che non osavate né pregare né mangiare con me, e per un semplice avvertimento, che in nulla può offendervi, vi lasciate vincere dalla collera! Andate, amico mio, la vostra virtù e tutte le vostre opere buone sono prive della più bella dote, che è l’umiltà. „ Vedete da questo esempio, che ve n’è ben poca di vera umiltà. Ahimè! quanti vi sono che finché vengono adulati, lodati o ricevono dimostrazioni di stima, sono tutto ardore per le pratiche di pietà, darebbero tutto e si spoglierebbero di tutto; ma basta un piccolo rimprovero, un tratto d’indifferenza per gettare l’amarezza nel loro cuore; tutto questo li tormenta, li fa piangere, li mette di cattivo umore, fa commettere loro mille giudizi temerari, pensando che vengono trattati indegnamente, mentre con altri non si usa così. Ahimè! quanto questa bella virtù è rara fra i Cristiani dei nostri giorni! quante virtù non hanno che l’apparenza, ed al primo urto se ne vanno in fumo! Ma in che cosa consiste l’umiltà? Eccolo: vi dirò anzitutto che vi sono due specie di umiltà, l’una interiore e l’altra esteriore. L’umiltà esterna consiste,

1° nel non lodarsi di esser ben riusciti in qualche opera da noi fatta, e non ripeterne il racconto a tutti; nel non narrare le nostre prodezze spiritose, i nostri viaggi, la destrezza ed abilità mostrate, né ciò che per avventura è stato detto a nostro onore:

2° nel nascondere il bene che possiamo aver fatto, come le elemosine, le preghiere, le penitenze, i servigi prestati al prossimo, le grazie interne che Dio ci ha largito;

3° nel non compiacerci quando siamo lodati; nel cercare di divergere la conversazione, attribuendo a Dio il buon successo pel quale siamo encomiati; facendo conoscere che ciò ci dà fastidio, ed andandocene se lo possiamo;

4° nel non dir mai né bene né male di se stesso. Alcuni parlano spesso male di se medesimi allo scopo di venir lodati: questa è falsa umiltà, è un’umiltà posticcia. Di voi stesso non dite nulla, accontentatevi di riconoscere che siete un miserabile, che occorre tutta la carità di Dio per sopportarvi sulla terra;

5° nel non mai disputare cogli eguali; bisogna loro ceder in tutto ciò che non è contrario alla coscienza; non creder d’avere sempre ragione; se la si avesse, bisogna pensar subito che potremmo ingannarci, come avvenne tante volte; e soprattutto non ostinarci mai a voler dire l’ultima parola, ciò che rivela uno spirito assai orgoglioso:

6° nel non mostrarci mai tristi, quando sembriamo disprezzati, né lamentarcene con altri; ciò proverebbe che non abbiamo umiltà, poiché se ne avessimo, non crederemmo mai d’essere disprezzati, giacché mai non potremmo essere trattati come meritiamo pei nostri peccati; al contrario bisogna ringraziare il buon Dio, come il santo re Davide, che rendeva bene per male (Ps. VII, 5), pensando quanto aveva egli stesso disprezzato Dio coi suoi peccati;

7° nell’essere ben contenti che ci si disprezzi, ad esempio di Gesù Cristo, di cui fu detto “che sarebbe stato saziato d’obbrobrio (Thren. III, 30), „ e ad esempio degli apostoli, dei quali è scritto (Act. V, 41) “che gioivano grandemente d’esser trovati degni di soffrire qualche disprezzo, qualche ignominia per amore di Gesù Cristo: „ e tutto questo all’ora della morte ci sarà argomento di sperare la felicità;

8° nel non scusarci delle nostre colpe, quando abbiamo fatto qualche cosa di riprovevole, e non dar ad intendere che non è così, o con menzogne o con rigiri, o col far apparire di non essere stati noi. Quan d’anche fossimo accusati a torto, purché non siavi interessata la gloria di Dio, non dobbiamo dir nulla. Vedete che cosa capitò a quella giovinetta, alla quale si era messo il nome di fratello Marino Ahimè! chi di noi sottoposto a simili prove non sarebbesi giustificato, potendolo così facilmente? (v. XI Domenica dopo Pentecoste).

9° Finalmente l’umiltà esteriore consiste nel fare ciò che è più ripugnante, ciò che gli altri non vogliono fare, e amare di andar vestiti semplicemente. Ecco. F. M.. in che cosa consiste l’umiltà esteriore. Ma in che cosa consiste quella interiore?

Eccolo. Consiste:

1° nel sentire bassamente di noi, non applaudendosi in cuore, quando abbiamo fatto qualche cosa ben riuscita, ma crederci indegni e incapaci di fare qualsiasi buona azione, appoggiati alle parole di Gesù Cristo medesimo, che ci dice che senza di Lui nulla possiam fare di bene (Joan. XV, 5): non possiamo neppur pronunziare una buona parola, neppur ripetere il Ss. nome di Gesù, senza il soccorso dello Spirito Santo (I Cor. XII, 3);

2° nell’essere lieti che gli altri conoscano i nostri difetti, per aver occasione di tenerci nel nostro nulla;

3° nell’essere contenti che gli altri ci superino in ricchezze, in ingegno, in virtù, od in altra cosa e nel sottometterci alla volontà, al giudizio altrui, ogni volta che non sia contro alla coscienza. Sì, F. M., una persona veramente umile deve essere simile ad un morto, che n’è s’inquieta per le ingiurie che gli si fanno, né gode per le lodi che gli vengono date. – Ecco, F. M., che cos’è possedere l’umiltà cristiana, che ci rende così accetti a Dio ed amabili al prossimo. Vedete ora, se l’avete o no. E se non l’avete, non vi resta per salvarvi che di domandarla a Dio fin che l’abbiate ottenuta, perché senza di essa non entreremo in cielo. Leggiamo nella vita di S. Elzeario, che, trovatosi in pericolo di perire in mare con quanti erano nella nave, passato il pericolo, santa Delfina sua sposa gli domandò se non avesse avuto paura. Le rispose: “Quando mi trovo in simile pericolo, raccomando a Dio me stesso e quanti sono con me, e gli dico che se alcuno deve morire, sia io quello, come il più miserabile ed indegno di vivere. „ (Ribadeneira, 27 Sett.,m t. IX). Quale umiltà!… – S. Bernardo era così penetrato del suo nulla, che quando entrava in una città, si metteva in ginocchio a pregare Iddio di non punire quella città a cagione de’ suoi peccati; credeva che. dovunque andasse, non fosse capace che d’attirare la maledizione su quel luogo. Quale umiltà, F. M., in un santo così grande in cui vita fu una catena non mai interrotta di opere meravigliose! Bisogna, F . M., che tutto quanto facciamo sia accompagnato da questa bella virtù, se vogliamo che abbia premio in cielo. Facendo le vostre preghiere, avete voi questa umiltà che vi fa riguardare voi stessi come miserabili, indegni di stare alla santa presenza di Dio? Ah! se così fosse non vi accontentereste di farle vestendovi o lavorando. No, non l’avete. Se l’aveste quando siete alla S. Messa, con qual rispetto, modestia e timore non vi assistereste? Ah! no, no, non vi si vedrebbe sorridere, parlare, voltar la testa, girare i vostri sguardi per la chiesa, dormire, far le preghiere vostre senza divozione, senza amor di Dio. Lontani dal trovar lunghe le funzioni, non potreste più uscirne, pensando quanto dev’essere grande la misericordia di Dio per sopportarvi in mezzo ai fedeli, voi che meritate pei vostri peccati d’essere annoverato fra i reprobi. Se aveste questa virtù, quando domandate qualche grazia al buon Dio, fareste come la Cananea che si inginocchiò ai piedi del Salvatore in presenza di tutti (Matt. XV, 25); come Maddalena, che baciò i piedi del Salvatore in una numerosa assemblea (Luc. VII, 88). Se l’aveste, fareste come quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue, ed andò con tanta umiltà a chinarsi davanti al Salvatore per toccare umilmente il lembo del suo vestito (Marc. V, 25). Se aveste l’umiltà d’un S. Paolo, che era stato rapito fino al terzo cielo (II Cor. XII, 2), eppure si considerava come un aborto, come l’ultimo degli apostoli, indegno del nome che portava (I Cor. XV, 8, 9) … Mio Dio! quanto è bella questa virtù; ma quanto è rara!… Se aveste questa virtù, F. M., quando vi confessate, ahi sareste lungi dal nascondere i vostri peccati o raccontarli come una storia divertente, e sovratutto raccontar quelli degli altri! Ah! da qual timore non sareste compresi, considerando da una parte la gravità delle vostre colpe, l’oltraggio che esse hanno recato a Dio, e osservando dall’altra la carità che Egli ha di perdonarvele? Dio mio! non sarebbe il caso di morire di dolore e di riconoscenza?,.. Se dopo aver confessato i vostri peccati, aveste quell’umiltà di cui parla san Giovanni Climaco (La scala santa, quinto grado), che essendo in un monastero, ci dice di aver visto coi propri occhi dei religiosi così umili, mortificati, i quali sentivano per modo il peso dei loro peccati che i loro lamenti, e le preghiere indirizzate a Dio erano capaci di toccare cuori duri some la pietra. Ve n’erano alcuni coperti di ulceri, da cui usciva un fetore insopportabile; essi curavano sì poco i loro corpi, che non avevano ormai più che pelle ed ossa. Si udivano risuonare pel monastero le grida più strazianti. – Ah! guai a noi peccatori miserabili! Giustamente mio Dio. potete precipitarci nell’inferno!,, Altri esclamavano: “Ah! Signore, perdonateci, se le nostre anime possono ancora ricevere perdono! Avevano tutti il pensiero della morte fisso nella lor mente e si dicevano gli uni gli altri: “Che sarà di noi dopo aver avuto la disgrazia d’offendere un Dio così buono? Potremo noi avere qualche speranza pel giorno delle vendette divine? „ Altri domandavano d’esser gettati nel fiume, per venirvi mangiati dai pesci. Il superiore vedendo S. Giovanni Climaco, gli disse : ” Ebbene! Padre mio, avete visto i nostri soldati? „ S.Giovanni Climaco ci dice che non poté né parlare né pregare, perché le grida di quei penitenti così profondamente umiliati, gli strappavano, suo malgrado, lagrime e singhiozzi. Come va, F. M., che noi non abbiamo umiltà, sebbene siamo assai più colpevoli? Ahimè! è perché non ci conosciamo abbastanza!

II. — Sì, F. M., ad un Cristiano, che si conosca bene, tutto serve per portarlo ad umiliarsi. Voglio dire tre cose: la considerazione delle grandezze di Dio, le umiliazioni di Gesù Cristo, e la nostra miseria.

1° Chi potrà considerare bene la grandezza di Dio, senza annichilarsi alla sua presenza, pensando che Egli dal nulla ha creato il cielo con una sola parola, ed un solo suo sguardo potrebbe tutto annientare? Un Dio che è così grande, e la cui potenza non ha confini, un Dio ripieno di ogni sorta di perfezioni, un Dio con la sua eternità senza fine, colla sua giustizia così severa, colla sua provvidenza che tutto governa con grande saggezza e provvede ai nostri bisogni con tanta cura! Mentre noi siamo un nulla vile e meschino! O mio Dio! non dovremmo, a più forte ragione, temere, come S. Martino, che la terra non si apra sotto i nostri piedi per inghiottirci, tanto siamo indegni di vivere? A questa considerazione, F. M., non fareste come quella grande penitente, di cui si parla nella vita di S. Pafnuzio? (Vita dei Padri del deserto. S. Pafnuzio e santa Taide) Questo buon vecchio, dice l’autore della sua vita, andato in cerca di quella peccatrice, e fa assai sorpreso di sentirla parlare di Dio. Il  santo abate le disse: “Sapete dunque che vi è un Dio? „ — “Sì, rispose ella: so di più che vi è un regno beato per quelli che vivono secondo i suoi comandamenti, ed un inferno, nel quale verranno cacciati i peccatori ad abbruciarvi. „ — “Se conoscete tutto ciò. sapete anche che avendo rovinato tante anime, vi siete messa in pericolo di andare a bruciare nell’inferno?,, La peccatrice, conoscendo a queste parole, che egli era un uomo d Dio, si gettò ai suoi piedi sciogliendosi in lacrime: “Padre mio, gli disse, datemi quella penitenza che vorrete, ed io la farò. ,, La rinchiuse in una cella dicendole: “Colpevole come siete non meritate di pronunciare il nome di Dio; vi accontenterete di rivolgervi verso oriente, e per unica vostra preghiera direte: “O Voi che m’avete creata, abbiate pietà di me! „ Questa fu tutta la sua preghiera. S. Taide passò tre anni ripetendo tale preghiera, versando lagrime, e mandando sospiri giorno e notte. O mio Dio! l’umiltà ci fa davvero conoscere ciò che siamo!

2° Inoltre gli annientamenti di Gesù Cristo devono umiliarci ancor di più. “Quando considero, ci dice S. Agostino, un Dio che dalla sua incarnazione fino alla croce, ha trascorso una vita tutta di umiliazioni edi ignominie, un Dio disconosciuto sulla terra, temerò io di umiliarmi? Un Dio cerca le umiliazioni, ed io, verme della terra, vorrò elevarmi? „ Mio Dio! per pietà, distruggete quest’orgoglio, che tanto ci allontana da Voi.

3° Un altro motivo, F. M,, che ci deve umiliare è la nostra propria miseria. Non abbiamo che a guardarla davvicino, per trovare un’infinità di ragioni per umiliarci. Il profeta Michea ci dice: “Portiamo in noi stessi il principio ed il motivo della nostra umiliazione. Non sappiamo noi, ci dice, che il nulla è la nostra origine, che passò un’infinità di secoli prima che noi fossimo, e che da noi stessi non avremmo giammai potuto uscire da questo oscuro ed impenetrabile abisso? Possiamo ignorare che sebbene creati, abbiamo una violenta inclinazione al nulla, e che la mano potente di Colui che ce ne ha cavati bisogna che ci impedisca di ripiombarvi, eche, se Dio cessasse di guardarci e sostenerci, saremmo cancellati dalla faccia della terra con la stessa rapidità d’una paglia trasportata da furiosa tempesta? „ Che cosa è dunque l’uomo per vantarsi della sua nascita e degli altri suoi comodi? “Ahimè! ci dice il santo Giobbe, chi siamo noi? Sozzura prima di nascere, miseria quando veniamo al mondo, infezione quando no usciamo. Nasciamo di donna, ei dice (Giob. XIV, 1) viviamo poco tempo: durante la vita, sia essa pur breve, piangiamo molto e la morte non tarda a coglierci. „ — “Ecco la nostra porzione, ci dice S. Gregorio Papa, giudicate da questo se possiamo avere ragione di insuperbirci menomamente! Cosicché chi osa aver la temerità di credere d’esser qualcosa è un insensato, che non si è mai conosciuto, perché conoscendoci quali siamo, non possiamo avere che orrore di noi stessi. „ Ma non abbiamo minor motivo di umiliarci nell’ordine della grazia. Quali che siano i doni e le belle qualità che abbiamo, tutti li dobbiamo alla mano liberale del Signore, che li dà a chi gli piace per conseguenza non possiamo gloriarcene. Un Concilio ha dichiarato che l’uomo ben lungi d’esser l’autore della sua salvezza, non è capace che di perdersi, e non ha di proprio che il peccato e la menzogna. S. Agostino ci dice che tutta la nostra scienza consiste nel sapere che non siamo nulla, e che quanto abbiamo lo dobbiamo a Dio. Infine, che dobbiamo umiliarci per riguardo alla gloria e felicità che aspettiamo nell’altra vita, perché da noi, non possiamo meritarla. Se Dio è così buono da darcela, non possiamo fare assegnamento che sulla misericordia di Lui e sui meriti infiniti di Gesù Cristo, suo Figliuolo. Come figli di Adamo, noi meritiamo soltanto l’inferno. Oh! come Iddio è caritatevole dandoci la speranza di tanti beni, a noi che nulla abbiam fatto per meritarli! Che cosa dobbiamo concludere da ciò? F. M., eccolo: domandiamo al buon Dio, ogni giorno, l’umiltà, cioè che ci faccia la grazia di conoscere che noi siamo nulla, e che i beni, sia del corpo, sia dell’anima, ci vengono da Lui. .. Pratichiamo l’umiltà tutte le volte che potremo…; siamo ben persuasi che non c’è virtù più accetta a Dio dell’umiltà, e che con essa avremo tutte le altre. Per quanto siamo peccatori, stiamo sicuri che se possediamo l’umiltà Dio ci perdonerà. Sì, F. M., attacchiamoci a questa bella virtù; essa ci unirà a Dio, ci farà vivere in pace col prossimo nostro, renderà le nostre croci meno pesanti, ci darà la grande speranza che un giorno vedremo Dio. Egli stesso ci ha detto: “Beati i poveri di spirito, perché vedranno Iddio! „ (Matt. V, 3). E quello che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (173)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

1 MISTERI

III. — Il mistero della Creazione.

a) La Creazione stessa.

D. Perché chiami la creazione un mistero?

R. Perché Dio è un mistero, e benché non si tratti qui delle sue intimità, come nel mistero in senso proprio, tuttavia per noi, l’oscurità è grande altrettanto. Per capire la creazione, punto di sutura tra Dio e il mondo, bisognerebbe poter comprendere e il mondo e Dio.

D. Il mondo è dunque tratto da Dio?

R. Così dev’essere, in una certa maniera. Come quest’indigente si sarebbe arricchito d’essere, se non per un prestito dall’Essere perfetto?

D. Sei dunque partigiano delle emanazioni?

R. S. Tommaso usa questa parola, ma non nel senso degli emanatisti. Costoro fanno dell’universo, materiale e spirituale, una derivazione, un irradiamento necessario del primo Principio; la loro concezione è panteistica e più o meno trascina Dio nel divenire, distruggendo la sua trascendenza. Per il pensiero giudeo-cristiano, Dio è la causa del mondo e il mondo partecipa di Dio; ma l’essere del mondo non esce dall’essere di Dio; non ne è punto una parte; contuttociò non si addiziona con esso, e lì appunto sta il mistero.

D. Dio e il mondo non sono più che Dio solo?

R. No, nello stesso modo che, in matematica, l’infinito più un numero qualunque è uguale all’infinito. Del resto abbiamo già toccato questo problema e ne abbiamo riconosciuto la necessaria oscurità.

D. Non dici forse che il mondo fu tratto dal nulla?

R. È un modo di parlare. Il niente, non essendo niente, non se ne può trarre niente, né come si trae un’opera d’arte da una materia, né come si trae un oggetto dal vaso in cui era contenuto.

D. Forse vuoi dire che il niente è qui un punto di partenza?

R. È ben questo che si vuole dire; ma non è ancora se non un modo di parlare; perché il niente non può essere un punto di partenza più che un recipiente o una materia: il niente è niente e non potrebbe avere alcun compito positivo. Quando si menziona il termine, bisogna intenderlo negativamente, e ciò vuol dire che la creazione non presuppone nessuna materia, nessun punto di partenza, nessun antecedente qualsisia; essa dà tutto, e non vi sono materie, punti di partenza, antecedenti, se non dopo di essa; voglio dire in ragione di essa; perché dopo o prima della creazione, questo non ha senso.

D. La creazione non ha avuto luogo in un dato momento?

R. Dove si prenderebbe questo momento, poiché i momenti stessi hanno bisogno di essere creati? Il tempo non è un figlio di Dio come tutto il resto, un attributo delle cose, dunque anche una cosa?

D. Ma allora la creazione ha luogo eternamente!

R. La creazione, se si vuol significarla come azione, è di fatto un’azione eterna; è un’azione di Dio, e l’azione di Dio è Dio. Se Dio è immutabile ed eterno, la creazione presa dal suo lato, dev’essere tale; se non che l’effetto, che è il mondo, è temporale. Il tempo è posteriore alla creazione, come uno de’ suoi risultati; non può dunque fornirle il suo momento. Per la creazione, tutto si radica nell’eternità, anche la nostra durata effimera.

D. Ecco una cosa assai oscura!

R. Ti ho già detto che la creazione è un mistero.

D. Che cosa è, finalmente, in se stessa?

R. Presa attivamente, se si vuole, è come l’irradiamento d’un Centro ineffabile, in cui il tempo e gli oggetti del tempo prendono la loro origine. Passivamente è la connessione del raggio al suo focolare, cioè la sospensione del temporale all’eterno, la sua dipendenza totale; è dunque una pura relazione; ma questa relazione forma il nostro essere. Per noi, essere, o dipendere da Dio, o prendere da Dio, è la stessa cosa.

D. Ma se Dio «irradia» così nel mondo, tu ritorni alle emanazioni.

R. Ti ho avvertito che noi ci esprimiamo come possiamo. Ci rappresentiamo così le cose, perché la nostra mente, abituata alle relazioni reciproche, concepisce che vi è irradiamento dovunque vi è il raggio. Ma in realtà, qui, il raggio non discende, ma sale. Da Dio a noi le relazioni non sono reciproche; noi dipendiamo, ma Egli non dipende affatto, ciò che avrebbe luogo se Egli «irradiasse » in modo da comunicarci qualche cosa. Perché chi tocca è anche toccato; chi agisce nel senso umano del termine riceve anche un’azione; non vi è azione senza reazione, e quando io appoggio la mano sulla tavola, anche la tavola preme sopra di me.

D. Allora?

R. Allora, finalmente, rimovendo ogni immagine e ogni concessione al discorso, bisogna dire che la creazione è la dipendenza del mondo relativamente a Dio; essa non è altro.

D. Raccolgo le tue parole e dico: Il mondo è eterno.

R. Perché ciò?

D. Perché, secondo te, la creazione è una relazione del mondo riguardo a Dio che è eterno; perché, presa attivamente, la creazione è azione di Dio, vale a dire è Dio, che è eterno; perché, non essendovi « momento » per collocare l’azione creatrice, e la creazione-relazione non toccando alcun momento piuttosto che un altro, non si vede posto per un cominciamento del mondo, il che è veramente essere eterno.

R. Tutto ciò non ne segue in alcun modo. Che per la creazione il mondo dipenda da un Dio eterno, ciò non rende il mondo eterno come il dipendere da un uomo bianco non rende un oggetto bianco; la dipendenza del mondo essendo totale, dipende anche la sua durata, ed essa sarà quello che Dio vuole che essa sia. Presa attivamente, la creazione è Dio stesso, ma Dio operante per la sua volontà, non per una necessità della sua natura (il che sarebbe un ritornare al sistema delle emanazioni): la durata del mondo sarà dunque misurata dalla volontà di Dio, non misurata alla natura di Dio, all’eternità di Dio. Finalmente, non vi è momento estraneo al mondo, che possa servire a creare il mondo; ma vi sono momenti nel mondo, e vi può essere un primo momento del mondo. In altri termini, la creazione in se stessa è intemporale, ma tale non è il suo effetto. Il mondo dura. Quanto dura? la sua durata è finita in avanti, finita in addietro, infinita in avanti, infinita in addietro, ciò dipende dalla pura e semplice volontà di Dio.

D. E allora nulla impedisce di dirlo eterno.

R. Difatti nulla lo impedisce, stando però nei limiti del ragionamento; ma poiché ciò dipende dalla volontà di Dio, è naturale riferirsene a Dio, ed è quello che fanno i Cristiani, ammaestrati dai loro sacri testi. Nulla, per noi, è sempre esistito. Ma del rimanente, e bisogna notarlo bene, essere sempre esistito non vorrebbe dire, per il mondo, essere eterno nel senso proprio, essere eterno come Dio. L’eternità di Dio è un’immobilità, un’indivisibilità, una semplicità; la corsa infinita del tempo sarebbe una moltiplicità inesauribile. Una tale durata sarebbe, in certo modo, più lontana ancora dalla durata eterna che una corsa che incomincia. Se si volesse rappresentare con un’immagine quantitativa l’eternità e il tempo infinito, questo sarebbe figurato da una linea senza termine, l’eternità da un punto.

D. Mistero!

R. Mistero.

b) Gli Angeli e i Demonii.

D. Quali sono, per ordine, gli esseri che godono il benefizio della creazione?

R. Gli Angeli, che noi crediamo aver preceduto la creazione materiale; la creazione stessa materiale; l’uomo, e, se esistono, gli esseri ragionevoli che abitano negli altri mondi.

D. Credi tu veramente a questi esseri che non si vedono? non è un’illusione, un inganno?

R. L’uomo ingannato — ingannato da’ suoi sensi — è colui che non crede se non a quello che si vede.

D. Perché questo mondo supererogatorio, questa creazione di esseri supplementare?

R. Tu trovi cosa naturale che Shakespeare abbia creato Ariel, che è al di sopra dell’uomo, e Caliban, che è al di sotto; e ricusi a Dio di creare dei gradi tra lui e la carne terrestre?

D. I poeti hanno tutti i diritti.

R. Se i poeti sono poeti, è perché prima Dio fu poeta. Del resto l’antichità filosofica credette agli Angeli quanto l’antichità istintiva. Aristotile e Platone li fanno intervenire in cosmologia, Socrate in morale; gli Angeli custodi figurano in Esiodo e la caduta dei cattivi angeli in Empedocle.

D. Quello che mi stupisce è la tua concezione dello spirito puro.

E. Lo spirito puro è un intermedio affatto naturale tra il Super-Spirito e gli spiriti intenebrati di materia, quei « mostri » nel senso pascaliano, che hanno l’aria di appartenere a due mondi,

D. Tu evochi così la Scala degli esseri?

R. Questa antica nozione rischiarava molti problemi. Si poté dimenticarla; ma la sua attualità reale non è indebolita. Le specie di esseri sono manifestamente disposte a gradi secondo un ordine di valore crescente o di valore decrescente, secondo il punto di vista da cui si considerano. Il minerale, l’essere vegetale, l’essere sensitivo, l’essere pensante si dispongono a gradi e s’appoggiano l’un l’altro. In noi lo spirito si schiude appena; è attivo durante un periodo assai ridotto della vita; durante questo periodo, è intorpidito una buona metà del tempo; impigliato, sempre, nelle insidie dell’immaginazione; sfuggente a se stesso perfino nel suo migliore funzionamento, che non pochi errori sviano. Come credere che tutto si fermi qui, e che lo spirito non abbia se non questi magri trionfi!

D. Non è già assai bello che la materia si desti allo spirito?

R. È così bello che essa non vi si potrebbe destare affatto da sola, come diremo presto. Ma se ne giudica così guardando dal basso, ciò che è l’atteggiamento del panteismo evoluzionista. Guarda dall’alto, come un figliuolo di Dio; prendi l’occhio del Padre supremo, e vedrai, da Lui a noi, un immenso posto vuoto. La creazione saliente si ferma tronca, « lo Spirito artefice che fece il mondo », come dice Bossuet, non s’è veramente rappresentato.

D. Non dici l’uomo «a immagine di Dio »?

E. Sì, ma è principalmente per opposizione a tutto il resto di ciò che si vede, e ciò che si vede, sia pure l’uomo, non è a immagine di Dio come spirito. Noi non siamo spiriti, come un ossido non è ossigeno o un cloruro non è cloro; noi siamo dei misti. La nostra natura è una natura limitrofa. La nostra intelligenza, anziché parlare, balbetta; il discorso che le è naturale è un tragitto titubante, come un camminare puerile. Il procedimento naturale dello spirito sarebbe l’intuizione, cioè la visione dell’idea come abbiamo per gli occhi la visione dei corpi, e questo, noi non facciamo altro che presagirlo e tendervi, senza raggiungerlo. Dov’è dunque lo spirito vero, lo spirito tutto Spirito, lo spirito che funziona secondo la legge dello spirito, senza nebbia di materia? Questo grado di essere e di valore dovrebbe mancare alla creazione? Un uomo che crede in Dio non lo potrebbe veramente ammettere. Dio spirito dovette rivelarsi prima di tutto per via dello spirito, e non ridursi a una degradazione dello spirito, a una concrezione di spirito. Dopo tutto, lo stato normale dell’essere è appunto lo spirito, benché noi, esseri inferiori, non concepiamo l’essere che come corpo o sotto gli auspici del corpo.

D. Come spieghi che vi possano essere degli esseri di cui non abbiamo nessuna idea?

E. Ti risponde Pascal: « L’anima nostra è gettata nel corpo, dove trova tempo, numero, dimensioni; essa ragiona lì sopra e chiama questo natura, necessità, e non può credere ad altro ». E ancora: « L’assuefazione è la nostra natura… Chi dunque dubita che, essendo l’anima nostra abituata a vedere numero, spazio, movimento, creda questo e nient’altro che questo? ».

D. Tu dicevi sopra che la natura stessa è spirito.

R. La natura è spirito in questo senso che l’importante, in sè, sono le idee che vengono alla luce, le sue invenzioni, anziché le sue opere materiali, di cui si vede che essa fa così poco conto. Ma le idee della natura sono fugaci; passano incessantemente e corrono dietro all’esistenza, senza fissarvisi; è come un gioco di folgori, un fuoco artificiale. Io cerco il mondo dell’idea stabile, il mondo di Platone senza le illusioni di Platone; il mondo che non sia l’inutile duplicato di questo, ma un altro, uno più alto, uno più perfetto, più prossimo alla Sorgente ideale. E, come filosofo, sono tutto sollevato, quando la Chiesa mi dice: Ecco il tuo mondo: un nuovo ripiano partendo dall’uomo, invece di terminare a lui; dei gradini di spirito in spirito, fino al supremo Spirito, come tu hai dei gradini di corpo in corpo, fino al corpo animato da spirito; ecco le mie celesti « gerarchie »; ecco i « cori » degli Angeli.

D. Dunque i tuoi Angeli non sono tutti della stessa natura, non sono dunque uguali?

È. Sono uguali e della stessa natura negativamente, cioè sono tutti esenti da materia, tutti puri spiriti. Ma positivamente, non ce ne sono due della stessa natura, non ce ne sono due uguali; perché, non differendo che secondo lo spirito, rappresentano ciascuno, necessariamente, un’idea di natura differente, e un’idea, come tale, non si ripete. Si può effettuare due volte l’idea d’uomo; ma non si può effettuare due volte Socrate, e se tutto ciò che vi è in Socrate fosse contenuto nell’idea d’uomo, l’idea dell’uomo non si ripeterebbe neppur essa. Tal è il caso degli Angeli.

D. Li credi numerosissimi?

E. L’Apocalisse ne parla come di miriadi di miriadi. E non è forse naturale che la loro varietà oltrepassi di molto, nei loro gradi, la scala vivente e la scala chimica, se è vero che essi, per i primi, posseggono il diritto dell’essere, che rappresentano la creazione, che sono l’opera di Dio? Così ragiona S. Tommaso, e l’osservazione è giusta.

D. Gli Angeli hanno relazione con noi?

E. Tutti i gradi dell’essere comunicano; i regni si compenetrano e si rendono servizi scambievoli. Gli Angeli collocati tra noi e Dio, sono come gli ambasciatori di Dio, i suoi inviati, come indica la parola angelo. Sono anche i nostri, per l’incarico che si prendono delle nostre preghiere e dei nostri voti. Lo stato in cui si trovano relativamente a noi crea in essi un movimento inverso del nostro. Noi cerchiamo quello che non possediamo; i nostri sguardi vanno dal basso all’alto, verso le regioni superne. Essi, che posseggono, tendono a comunicare con benevolenza quello che posseggono a quelli che vi tendono ancora e potrebbero sbagliarne la via.

D. Ve ne sono tuttavia dei cattivi?

R. Tutti furono creati buoni; ma crediamo di fatto che ce ne sono dei decaduti, cioè di quelli che rigettarono il bene e scelsero il male, nella inevitabile opzione proposta dalla Provvidenza a ogni essere libero.

D. È questa una ragione perché essi nuocciano?

E. È naturale che un essere ancorato nel male volga a male la sua stessa perfezione; caduto, egli ama che si cada; grande nondimeno, egli è propenso a trascinare dei più deboli, e si fa loro tentatore.

D. Una tale credenza non è oggi un po’ scaduta?

R. Di’ piuttosto che è ignorata. I veri Cristiani sanno che essa è attuale più che mai; i Santi l’appoggiano sopra la loro esperienza; in quanto agli spiriti forti, si ridono del diavolo e lo servono a gara.

D. Com’è possibile servirlo senza credervi?

R. «Mentre non si può servire Dio se non credendo in Lui, il diavolo, da parte sua, non ha bisogno che si creda in lui per servirlo. Anzi, non si serve mai così bene come gnorandolo » (ANDREA GIDE).

D. Come può agire sopra di noi?

R. Non ha che da entrare nella corrente delle nostre proprie inclinazioni, nel sorriso delle cose che ci seducono; non ha che da premere sopra ciò che si piega, da impedire ciò che sale. La sua influenza si spande come un gas deleterio che si assorbe senza sentirlo.

D. Non si ha dunque coscienza di quest’azione?

R. No; perché essa passa per l’intermedio dei nostri propri poteri, in certo modo vi si confonde e non si presta punto da parte nostra a una sicura dissociazione.

D. Lo stesso avviene indubbiamente delle felici influenze.

R. Certamente; ma piamente si attribuisce loro un compito nei lumi subitanei, nelle consolazioni insperate, negli stimoli virtuosi, nelle diffidenze istintive che ci avvertono di un pericolo, nelle vedute superiori che si presentano a noi per giudicare di questo mondo e dell’altro, ecc. Senza che si possa precisare, è certo che non tutte le nostre impressioni segrete vengono dall’ambiente umano o dal lavoro spontaneo dello spirito.

D. Noi siamo dunque circondati da esseri invisibili?

R. La nostra vita è in pieno cielo. Se i nostri occhi s’aprissero, voglio dire che se avessimo quell’intuizione della mente che ci manca, noi saremmo come Giacobbe rinvenuto dal suo misterioso sonno; anche noi vedremmo delle moltitudini salire e scendere la scala simbolica, e percepiremmo, coi gradi dell’essere, gli scambi di attività che riallacciano tutto.

LA SUMMA PER TUTTI (22)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLI

Del sacramento della Estrema Unzione.

1742. Fra i sacramenti della Chiesa, Ve ne è uno che ha per oggetto speciale di preparare l’uomo ad entrare in cielo quando sta per morire?

Sì; è il sacramento della Estrema Unzione (XXIX, 1).

1743. Che cosa intendete per Estrema Unzione?

Intendo quel sacro rito istituito da Gesù Cristo, che consiste nell’ungere con gli oli santi un infermo in pericolo di morte, chiedendo a Dio che tutto ciò che può restargli di debolezza spirituale per causa dei suoi peccati passati, gli venga rimesso per ricuperare la piena e perfetta salute spirituale che gli permetterà di entrare, nel pieno vigore dell’anima, nella vita della gloria in cielo, per godervi eternamente Dio (XXIX – XXXII).

1744. Questo sacramento ha per effetto di rimettere i peccati?

No; perché non è ordinato né contro il peccato originale come il Battesimo, né contro i peccati mortali come la Penitenza; oppure in un certo senso, contro i peccati veniali come la Eucarestia; ma a ristabilire le forze, tolto che sia stato il male del peccato. Tuttavia, in forza della grazia speciale che esso conferisce e che è incompatibile col peccato, può rimettere, per modo di conseguenza, i peccati che per caso si trovassero nell’anima, purché non vi siano ostacoli da parte del soggetto, vale a dire che egli sia in buona fede ed abbia già fatto da se stesso ciò che da lui dipendeva, perché questi peccati fossero rimessi (XXX, 1).

1745. Il sacramento della Estrema Unzione può rendere anche la sanità del corpo?

Sì; ed è questo un effetto proprio di questo sacramento. Di modo che se il soggetto che lo riceve non mette ostacoli alla virtù del sacramento, per la virtù sacramentale che gli è propria, il sacramento stesso rende le forze fisiche e la sanità corporale, nelle circostanze e nella misura che questo ritorno alla sanità corporale è utile alla perfetta sanità spirituale, che il sacramento ha per effetto primo e principale di produrre (XXX, 2).

1746. Quando si può e si deve ricevere questo sacramento?

Non si può ricevere che in istato di infermità o di debolezza corporale che induca pericolo di morte. Ma si deve fare tutto il possibile perché sia ricevuto in piena conoscenza e col più grande fervore (XXXII, 1, 2).

1747. Si può ricevere più volte il sacramento della Estrema Unzione?

Non si può ricevere più volte nello stesso pericolo di morte. Ma se dopo averlo ricevuto si ritorna in salute, o almeno si cessa di essere nel primo pericolo di morte, si può ricevere di nuovo, e tante volte quante il pericolo di morte, per diverse malattie o nel corso della stressa malattia che si prolunga, potesse rinnovarsi (XXXIII, 1, 2).

1748. Il sacramento della Estrema Unzione è l’ultimo dei sacramenti istituiti da Gesù Cristo, per assicurare agli uomini il benefizio della vita della sua grazia?

Sì; esso è l’ultimo dei sacramenti ordinati al bene della vita della grazia. In quanto l’individuo ne vive per se stesso. Ma vi sono ancora altri due sacramenti di somma importanza, ordinati per assicurare il bene di questa vita di grazia, in quanto gli uomini

Formano una società che può e deve estendersi fino alle estremità del mondo, e fino alla fine dei tempi.

1749. Quali sono questi altri due sacramenti?

Sono l’Ordine ed il Matrimonio.

CAPO XLII.

Del sacramento dell’ordine. – I sacerdoti, i Vescovi ed il Sommo Pontefice. La Chiesa madre delle anime.

1750. Che cosa si intende per sacramento dell’Ordine?

Intendo quel sacro rito istituito da Gesù Cristo, per conferire a certi uomini il poterer speciale di consacrare il suo Corpo reale, in ordine al suo corpo mistico (XXXVII, 2).

1751. Il potere che si conferisce nel sacramento dell’Ordine è unico o molteplice?

È molteplice; ma la sua molteplicità non nuoce alla unità del sacramento dell’Ordine, perché gli ordini inferiori non sono che una partecipazione dell’Ordine superiore (XXXVII, art. 2).

1752. Che cosa intendete per Ordine superiore?

Intendo 1’Ordine dei sacerdoti, che nella loro consacrazione ricevono il potere di consacrare la Eucarestia (XXXVII, 2).

1753. E gli Ordini inferiori quali sono?

Sono tutti gli Ordini fuori del presbiterato, che hanno per ufficio di servire il sacerdote nell’atto della consacrazione. Vengono prima i ministri che servono il sacerdote all’altare: essi sono i diaconi, i suddiaconi e gli accoliti. I primi arrivano sino alla facoltà di distribuire la Eucarestia almeno sotto le specie del vino, quando si distribuisce anche sotto questa specie; i secondi dispongono la materia del Sacramento nei vasi sacri; i terzi presentano la materia stessa. Quindi vengono i ministri aventi l’ufficio di preparare coloro che devono ricevere il sacramento; non mediante l’assoluzione sacramentale che il solo sacerdote è in grado di dare, ma allontanandone gli indegni, istruendone i catecumeni e liberando gli ossessi: uffici che avevano soprattutto la loro ragione di essere nella Chiesa primitiva, quando si andava formando fra gli infedeli, ma che la Chiesa conserva sempre per la integrità della sua gerarchia (XXXVII, 2).

1754. Dei sette ordini che sono stati enumerati, quali sono quelli che si chiamano maggiori e quali i minori?

Gli ordini maggiori sono quelli del Presbiterato, del Diaconato e del Suddiaconato Gli ordini minori sono gli altri quattro, cioè di quello degli accoliti; degli esorcisti, dei lettori e degli ostiari (XXXVII, 2; 3).

1755. Dove stanno ordinariamente i soggetti dei diversi ordino, ad eccezione del presbiterato?

Stanno ordinariamente negli stabilimenti ecclesiastici dove si formano i membri del clero, e dove si preparano a ricevere il supremo ordine del Presbiterato.

1756. Dunque quando un soggetto è sacerdote, è messo veramente a contatto col popolo fedele per lavorare alla sua santificazione?

Sì; i fedeli debbono propriamente trattare con i sacerdoti.

1757. Il sacerdote è rivestito di un carattere speciale, che nella Chiesa di Dio lo distingue dagli altri uomini?

Non soltanto il sacerdote, ma ogni membro della gerarchia ecclesiastica, fin dal primo ordine minore, è rivestito di un certo carattere speciale che gli viene impresso quando riceve il sacramento dell’Ordine. Tuttavia, tale carattere è più particolarmente impresso nei soggetti degli ordini maggiori, e più ancora in coloro che hanno ricevuto il Presbiterato, nel quale viene conferita la potestà di consacrare il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo e di rimettere i peccati.

1758. Dunque i fedeli debbono veramente tutto al sacerdote, nell’ordine dei beni di grazia e di salute annessi ai sacramenti della redenzione operata da Gesù Cristo?

1758. Sì; perché ad eccezione del solo sacramento della Confermazione che è ordinariamente riservato al Vescovo, appartiene di ufficio al sacerdote di amministrare ai fedeli i sacramenti che abbiamo detto essere ordinati al bene della vita individuale, cioè il Battesimo, la Eucarestia, la Penitenza e la Estrema Unzione. Come pure è il sacerdote che ha, come abbiamo detto, la potestà suprema e divina di rendere presente in mezzo agli uomini e di offrire in sacrifizio, mediante la consacrazione sacramentale, il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo.

1759. I fedeli non debbono pure al sacerdote il bene inapprezzabile della conoscenza dei misteri cristiani e delle verità di salute?

Sì; perché egli, mediante il suo ministero continuo, è applicato ad istruirli in questi misteri ed in queste verità.

1760. Ma il sacerdote stesso da chi riceve tutte le sue facoltà?

Le riceve dal Vescovo (XXXVIII,1;XL,4).

1761. In che cosa ed in che modo il Vescovo è superiore al sacerdote e può conferirgli le sue facoltà?

Il Vescovo è superiore al sacerdote in ciò che riguarda la consacrazione del Corpo reale di Gesù Cristo nella Eucarestia, ma in ciò che riguarda il corpo mistico di Gesù Cristo, vale a dire i fedeli che formano la Chiesa. La potestà episcopale è stata infatti costituita

da Gesù Cristo stesso propriamente e. direttamente in ordine a questo Corpo mistico. Di per sé essa comprende tutto ciò che è necessario per la creazione e la organizzazione del Corpo mistico, allo scopo di comunicargli nella sua pienezza la vita della grazia annessa ai sacramenti della Redenzione. Per conseguenza il Vescovo ha in sé, per il fatto della consacrazione episcopale, la pienezza del sacerdozio col potere non soltanto di consacrare il Corpo reale di Gesù Cristo come qualunque sacerdote, ma anche di amministrare senza riserva tutti gli altri sacramenti compresa la Confermazione, e di conferire ai sacerdoti stessi ed ai ministri inferiori la loro potestà di ordine, consacrandoli od ordinandoli; e la loro potestà di giurisdizione sui fedeli, affidando loro, nella misura che gli piacerà di determinare, la cura di questi stessi fedeli (XL, 4, 5).

1762. Dunque in qualche modo tutta la vita della Chiesa si riconcentra nella persona del Vescovo?

Precisamente: nella persona del Vescovo si riconcentra tutta la vita della Chiesa; e niente può appartenere a questa vita che non provenga da Lui, e non resti alla sua piena e perfetta dipendenza.

1763. Che cosa ci vuole perché il Vescovo sia questo principio di vita per la sua Chiesa?

Bisogna che Egli stesso sia in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma, Capo dell’universo di tutte le Chiese riunite per mezzo suo e sotto la sua suprema autorità e somma potestà in un solo tutto, che forma in senso puro e semplice la Chiesa di Gesù Cristo (XL, 6).

1764. Il Vescovo di Roma, ossia il Sommo Pontefice, ha dei poteri che gli altri Vescovi non hanno?

Se si tratta di atti gerarchici riflettenti l’amministrazione dei Sacramenti in quanto tali, i poteri del Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, sono gli stessi di quelli degli altri Vescovi. Ma se si tratta del potere di giurisdizione che comprende tutto ciò che ha attinenza col governo della società che forma la Chiesa, e col diritto di amministrare, i sacramenti a determinati soggetti, questo potere si trova tutto intero e come nella sua origine nella persona del Sommo Pontefice, applicandosi di per sé a tutta la società della Chiesa Cattolica nell’intero universo; mentre negli altri Vescovi non si trova se non in rapporto a quella porzione della Chiesa universale che forma la Chiesa di cui essi sono i Vescovi, o che formano le Chiese più o meno dipendenti da loro nella organizzazione della società della Chiesa universale. Ed anche in rapporto a questa parte determinata che è affidata al loro governo, il loro potere, nella sua natura e nel suo esercizio, dipende dal potere supremo del Sommo Pontefice, da cui lo ricevono ed in dipendenza del Quale essi lo esercitano (XL, 6).

1765. Perché questo supremo potere, nell’ordine della giurisdizione ossia del governo della Chiesa, è assegnato al Sommo Pontefice?

Perché la perfetta unità della Chiesa richiedeva che fosse così. Ed è per questo che Gesù Cristo incaricò di pascere tutto il suo gregge, agnelli e pecorelle, il solo Simon Pietro, di cui il Romano Pontefice resta il solo legittimo successore sino alla fine dei tempi (XL, 6).

1766. Dunque dal solo Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, dipende in tutto l’universo e dipenderà sino alla fine del mondo, per ogni uomo vivente sulla terra, la sua unione  Gesù Cristo per mezzo dei Sacramenti, per conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua eterna salute?

Sì; perché se è vero che la grazia di Gesù Cristo non è in modo assoluto attaccata al ricevimento dei Sacramenti quando è impossibile riceverli, almeno per gli adulti, e che l’azione interiore dello Spirito Santo vi può supplire purché non vi sia malafede nel soggetto, d’altra parte è assolutamente certo che nessun essere umano che scientemente si separa dalla comunione del Sommo Pontefice, può partecipare della grazia di Gesù Cristo; e per conseguenza se muore in questo stato va irrimediabilmente perduto.

1767. Si dice in questo senso che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa?

Sì; precisamente in questo senso si dice che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa, ed ancora che non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre.

Capo XLIII.

Del sacramento del Matrimonio. – Sua natura.- Degli impedimenti. – Dei doveri. – Del divorzio. – Delle seconde nozze. – Degli sponsali.

1768. Accanto al sacramento dell’Ordine, destinato a perfezionare l’uomo in ordine alla vita sociale soprannaturale, per mezzo della potestà che gli conferisce di agire sugli altri uomini, per comunicare loro i beni della grazia di Gesù Cristo, quale è l’altro Sacramento istituito dallo stesso Gesù Cristo, per perfezionare l’uomo in ordine alla vita sociale sprannaturale?

È il sacramento del Matrimonio (XLII).

1769. Come è ordinato il sacramento del Matrimonio al bene della società soprannaturale?

Il sacramento del Matrimonio è ordinato al bene della società soprannaturale per la stessa ragione che è ordinato essenzialmente alla propagazione della specie umana, i cui membri sono chiamati a far parte della società soprannaturale (XLI, XLII).

1770. Che cosa intendete per il sacramento del Matrimonio?

Intendo la unione dell’uomo e della donna, indissolubile fino alla morte di uno dei due, coniugi, che esclude di per sé ogni partecipazione di terzi a questa unione, la quale si contrae tra soggetti battezzati mediante il consenso reciproco dei due soggetti che si danno l’uno all’altro, in ordine al diritto che acquisteranno ambedue di esigere di fare gli atti che hanno per effetto di dare alla patria terrena ed alla patria celeste membri degni che debbano popolarle (XLI, XLII).

1771. Perché questa unione, nel momento che si contrae tra battezzati, ha ragione di Sacramento?

Perché Gesù Cristo ha voluto così e l’ha elevata alla dignità di significare la propria unione con la Chiesa, uscita in certo modo dalle sue viscere sulla Croce, come la prima donna era stata da principio estratta da Dio dal primo uomo misteriosamente addormentato (XLII, 2).

1772. Che cosa ci vuole perché questi due soggetti battezzati abbiano il diritto di contrarre tale unione?

Bisogna che ambedue possano disporre di sé, e che non vi sia alcun ostacolo che si opponga alla loro unione.

1773. Quali sono gli ostacoli che possono opporsi alla unione matrimoniale?

Sono quelli che si chiamano impedimenti del matrimonio.

1774. Gli impedimenti del matrimonio sono tutti della stessa natura?

No; perché ve ne sono di quelli che non fanno che rendere il matrimonio illecito; ed altri che lo rendono nullo.

1775. Come si chiamano gli impedimenti che rendono il matrimonio illecito, e come si chiamano quelli che lo rendono nullo?

I primi si chiamano impedimenti proibenti o impedienti; i secondi, impedimenti dirimenti (Codice, can. 1036).

1776. Quali sono gli impedimenti impedienti?

Sono anzitutto il voto semplice di verginità, di castità, di non maritarsi o di ricevere gli ordini sacri e di abbracciare lo stato religioso; poi la parentela legale risultante dalla adozione, nei paesi dove la legge civile ne fa un impedimento impediente; finalmente quello che darebbe un matrimonio misto, quando uno dei due soggetti battezzati fosse affiliato ad una setta eretica o scismatica (Codice, can. 1058, 1059, 1060).

1777. Che cosa ci vuole perché il matrimonio si possa fare esistendo uno di questi impedimenti?

Bisogna che la Chiesa dispensi da questo impedimento, cosa che Essa non fa che per ragioni gravi, specialmente nel caso del matrimonio misto; e per questo caso esige l’assicurazione che la parte non cattolica escluda ogni pericolo di perversione per la parte cattolica, e che ambedue le parti procurino che tutti i figli ricevano il Battesimo e non altra educazione che la cattolica (Codice, Can. 1061).

1778. Se una delle due parti, senza appartenere ad una setta eretica o scismatica, fosse notoriamente empia, avendo ripudiato la fede cattolica, od essendosi iscritta in società condannate dalla Chiesa, vi sarebbe in questo caso impedimento per il matrimonio?

No; nel senso che vi sia bisogno di ricorrere ad una dispensa della Chiesa; ma la Chiesa vuole che i fedeli aborriscano dal contrarre tali unioni, per causa dei pericoli di ogni sorta che vi si trovano uniti (Codice, can. 1065).

1779. Potreste dirmi quali sono gli impedimenti dirimenti del matrimonio?

Eccoli quali sono determinati nel Codice del nuovo diritto canonico: 1° il difetto di età richiesta, vale a dire prima dei sedici anni compiuti per l’uomo, e dei quattordici parimente compiuti per la donna; 2° la impotenza anteriore al matrimonio e perpetua, tanto da parte dell’uomo che da parte della donna, conosciuta o non conosciuta, assoluta o relativa; 3° il fatto di essere già maritato, anche Se il matrimonio non è stato consumato; 4° la disparità del culto, quando una delle parti non è battezzata e l’altra è stata battezzata nella Chiesa Cattolica, o è venuta alla Chiesa convertita dallo scisma o dalla eresia; 5° il fatto di essere negli ordini sacri; 6° l’avere emesso voti solenni di religione, o anche voti semplici ai quali fosse unita, per una prescrizione speciale della S. Sede, la virtù di rendere nullo il matrimonio; 7° il ratto o la violenta detenzione della donna in ordine al matrimonio, finché la parte rapita o detenuta non sia restituita alla sua piena libertà; 8° il delitto di adulterio con promessa o tentativo di matrimonio anche solo civile, oppure l’adulterio seguito dal delitto di assassinio dell’altro coniuge commesso da uno dei due, oppure la cooperazione anche senza adulterio, sia fisica sia morale, all’assassinio del coniuge; 9° la consanguineità. in linea retta sempre, ed in linea collaterale fino al 3° grado, il quale impedimento si moltiplica tante volte quante si moltiplica lo stipite comune alle due parti; 10° la affinità in linea retta sempre, ed in linea collaterale fino al secondo grado inclusivamente; e questo impedimento si moltiplica in quanto si moltiplica l’impedimento di consanguineità che lo produce, oppure per il matrimonio susseguente con un consanguineo del coniuge defunto; 11° la pubblica onestà derivante da un matrimonio invalido, consumato o no, e dal concubinato. pubblico e notorio; questo dirime il matrimonio nel primo e secondo grado della linea retta fra l’uomo ed i consanguinei della donna e viceversa; 12° la parentela spirituale contratta fra il soggetto battezzato e colui che lo battezza, il padrino e la madrina; 13° la parentela legale proveniente dall’adozione, se la legge civile la riguarda come un ostacolo alla validità del matrimonio, diviene per diritto canonico un impedimento dirimente (Codice, can. 1067 a 1080; L-LXII).

1780. La Chiesa dispensa qualche volta da questi impedimenti dirimenti?

Non dispensa mai nè può dispensare dagli impedimenti dirimenti che sono di stretto diritto naturale o di diritto divino, quali ad esempio la impotenza, il matrimonio consumato, la consanguineità in linea retta o in linea collaterale troppo prossima. Ma dagli altri impedimenti che dipendono piuttosto da Lei, Essa può dispensare; cosa che peraltro non fa se non per gravi ragioni.

1781. Non esiste anche un altro impedimento dirimente, che non riguardi più la condizione delle parti contraenti, ma è qualche cosa di estrinseco?

Sì; è l’impedimento di clandestinità.

1782. Che cosa intendete per impedimento di clandestinità?

Intendo quella legge della Chiesa che dichiara nullo ogni matrimonio contratto fra loro da battezzati Cattolici che hanno appartenuto alla Chiesa cattolica; e da questi battezzati con dei non cattolici, battezzati o no; e dai latini con orientali: che non sia contratto davanti al Parroco della parrocchia o davanti all’Ordinario del luogo dove si celebra il matrimonio, davanti ad un sacerdote delegato dall’uno o dall’altro nei limiti del loro territorio, almeno alla presenza di due testimoni. Se il Parroco o l’Ordinario non potessero assolutamente o senza gravissime difficoltà essere chiamati e vi fosse pericolo di morte, oppure le difficoltà dovessero rendere impossibile per un mese questa chiamata, il matrimonio potrebbe contrarsi validamente con la sola presenza di due testimoni (Codice, can. 1094 a 1099).

1783. Quando da parte dei contraenti si trovano riunite tutte le condizioni richieste in ordine al sacramento del matrimonio, che cosa ci vuole perché essi ricevano di fatto questo sacramento e quale ne è il ministro?

Bisogna e basta che le due parti si diano luna all’altra, attualmente, mediante un consenso libero, ossia senza violenza e senza timore grave ed ingiusto incusso estrinsecamente, formale e reciproco, manifestato esternamente con parole o segni non equivoci; ed essi stessi. sono i ministri del Sacramento (Codice, can. 1081 a 1087; XLVII, 1-6).

1784. Il consenso che fa il matrimonio potrebbe essere infirmato ed annullato, se vi fosse errore da parte dei contraenti?

Se l’errore riguardasse la persona stessa, il matrimonio sarebbe nullo; se riguardasse le qualità della persona, sarebbe illecito (Codice, can. 1083).

1785. È cosa buona che nella occasione della celebrazione di questo Sacramento i contraenti assistano ad una Messa speciale, nella quale dal sacerdote sarà benedetta la loro unione?

Sì; anzi la Chiesa desidera vivamente che tutti i suoi figli, prima di ricevere questo grande Sacramento che deve loro accordare una grazia speciale in ordine ai doveri del matrimonio, si dispongano a ricevere questa grazia in tutta la sua pienezza, con una buona confessione ed una fervorosa Comunione (Codice, can. 1101).

1786. Quale è la grazia speciale unita al sacramento del Matrimonio?

E la grazia di una perfetta armonia coniugale ispirata ad un affetto vero, profondo, soprannaturale; tale da resistere a tutto ciò che potrebbe comprometterlo fino alla morte, e nel medesimo tempo la grazia di una generosità a tutta prova in ordine ai futuri piccoli esseri di cui la loro unione potrà essere benedetta da Dio, per non impedire la loro venuta, per vederli moltiplicati con santa gioia e per attendere con la cura più gelosa a tutto quanto potrà formare le loro anime ed i loro corpi, sia come membri della patria terrena sia come membri della patria celeste (XLI, 1-6).

1787. Il matrimonio una volta contratto, può essere sciolto dal divorzio civile?

Niente affatto; perché nessuna legge umana può separare ciò che Dio ha congiunto. Tanto che anche dopo il divorzio civile le due parti restano unite dal legame matrimoniale, e se l’una o l’altra passa a nuove nozze, la nuova unione agli occhi di Dio e della Chiesa è puramente concubinaria.

1788. Dopo la morte di uno dei coniugi è permesso alla parte che resta di contrarre un nuovo matrimonio?

Sì: la cosa è permessa quantunque lo stato di vedovanza sia di per se stesso più lodevole. Soltanto, nel caso di nuove nozze, la donna che ha già ricevuto la prima volta la solenne benedizione nuziale, non può riceverla di nuovo (LXIII; Codice, can. 1142, 1143).

1789. Gli sponsali celebrati prima del matrimonio sono cosa buona?

S’; essi consistono essenzialmente nella promessa che si fanno scambievolmente due aspiranti al matrimonio, in ordine al matrimonio stesso da contrarsi fra loro in avvenire. Perché siano validi, sia nel foro interno sia in quello esterno, bisogna che la promessa sia fatta in iscritto e firmata dalle due parti, dal Parroco o dall’Ordinario del luogo, o almeno da due testimoni. Se una delle parti non sapesse scrivere o non potesse farlo, bisognerebbe notarlo nell’atto ed addurre un altro testimone per firmare (XLIII, 1; Codice, can. 1017).

1790. Gli sponsali danno il diritto di usare del matrimonio prima che il matrimonio sia celebrato?

Niente affatto; ed i fidanzati che agissero siffattamente, oltre a commettere una colpa grave, si voterebbero da se stessi alla giustizia di Dio che potrebbe far loro pagar caro più tardi nel matrimonio l’abuso che avessero fatto della onestà degli sponsali.

LA SUMMA PER TUTTI (23)