I SANTI MISTERI (1)

G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (1)

[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887. PARIS, impr.]

I SANTI MISTERI

Il Trattato dei Santi Misteri si rivolge più in particolare agli ecclesiastici, ai religiosi, ed alle persone maggiormente abituate alle cose di Dio. Preziose testimonianze permettono di affermare che sarà di gran vantaggio a tutti coloro che lo leggeranno con cura soprattutto nei piccoli o grandi seminari e nelle comunità religiose. Sei-settemila esemplari sono andati esauriti in pochi anni, ed è stato tradotto in italiano, spagnolo, fiammingo e, se non erriamo, in tedesco. 

Agli allievi del santuario

La Messa è il centro del culto di Dio sulla terra, è come il cuore della vita sacerdotale. Un Sacerdote che dice bene la Messa è d’ordinario un santo Prete, mentre un Sacerdote che la celebra negligentemente, senza riverenza e senza zelo, senza ardore, è se non una luce spenta, per lo meno una luce misera, senza splendore, senza ardore, prossima allo spegnersi. Voi siete in seminario, amici miei, unicamente per diventare un giorno dei Preti santi, per illuminare i popoli, convertirli infiammarli del fuoco divino dell’amore di Nostro Signore. Per voi, più che tutti gli altri fedeli, è di immensa importanza conoscere per bene le ineffabili grandezze del Sacrificio della Messa e circondarlo di profondo rispetto. La Messa che voi ascoltate ogni giorno, deve essere, fin da ora, ciò che sarà ben presto la Messa che voi celebrerete ogni giorno. Essa deve essere il cuore, il sole di ciascuna vostra giornata, il punto centrale al quale tutto si rapporta, intorno al quale tutto gravita nella grande opera della santificazione. Sappiatelo – amici miei cari – voi direte un giorno la Messa così come l’ascoltate oggi; se voi la ascoltate con pietà, con fede viva ed una religiosità molto intima, più avanti, quando sarete Sacerdoti, la celebrerete santamente; se voi la ascoltate male, la celebrerete male. Ora, uno dei mezzi più efficaci per farci bene intendere e ben celebrare la Messa, è senza dubbio l’intelligenza dei riti che la Chiesa ha istituito per la celebrazione dei santi Misteri. Il senso di queste cerimonie sacre ne è come l’anima, come la via; una volta penetrate e ben comprese, esso ci rivela dappertutto il grande mistero di GESÙ-CRISTO, che riassume in sé il cielo e la terra; questo impedisce la routine, respinge la negligenza  e la svogliatezza; sostiene meravigliosamente il fervore, la fede viva, la devozione. Benché questo piccolo lavoro possa servire a tutte le persone pie, io ve lo porgo in modo speciale, e vi prego di gradirlo come affettuoso omaggio. Possa esso elevare i vostri spiriti, illuminare ed attirare i vostri cuori, farvi venerare ancor più la santissima liturgia cattolica  e l’adorabile mistero dell’Eucarestia, sorgente principale, per non dire unica, di tutta la pietà cristiana e sacerdotale.

11 Aprile 1869, 50° anniversario della prima Messa del nostro Sommo Pontefice, il Papa Pio IX.

I MISTERI

PROLOGO

Prima di penetrare nella contemplazione e nell’esposizione del gran dramma della Messa, è necessario porre qui delle riserve. Esse vertono sulla natura stessa di queste spiegazioni. – Nel tesoro della Chiesa, non esiste, che io sappia, una interpretazione ufficiale e di conseguenza assolutamente certa dei sacri riti della Messa. Quale sia il senso vero, diretto di « queste mistiche benedizioni che ci vengono dalla disciplina e dalla Tradizione degli Apostoli? » Qual sia il vero senso, o quali siano i sensi che i santi Apostoli abbiano voluto celare sotto questi riti? Né i Santi Padri, né la Chiesa hanno creduto rivelarceli, sembra pure, al dire di San Dionigi l’Aeropagita e di Clemente di Alessandria, che i riti misteriosi del divino Sacrificio, siano stati istituiti per esprimere e nel contempo velare abissi di grazie e di luce, per nascondere i misteri della Saggezza divina agli occhi dei profani e per proporli, non alla visione chiara, ma alla meditazione ed alla contemplazione dei Cristiani spirituali, i quali, dice San Paolo, hanno il senso di Cristo e sono pieni dello Spirito « che penetra tutto, anche le profondità di Dio ». Queste profondità di Dio, sono tutte riassunte nel mistero universale del Cristo, ed il mistero del Cristo è Esso stesso interamente riassunto, condensato in questa azione adorabile che, per questa ragione la Chiesa chiama per eccellenza i Santi misteri. Nel Medio Evo, ed anche in seguito, sono state fornite molte spiegazioni su questo soggetto da parte di grandi e santi uomini  (tra gli  altri il Papa Innocenzo III, come dottore privato; San Tommaso, nei suoi Opuscoles; Durand, vescovo di Mende, nel suo Rational; Suarez; il Cardinale Bona; il santo Abate Olier), ma queste interpretazioni, benché moto belle in sé, differiscono le une dalle altre ed esprimono evidentemente delle vedute particolari della pietà e del genio di ciascuno di essi, ed inoltre non riportano il senso proprio e tradizionale, il senso apostolico ed ecclesiastico delle antiche cerimonie del Santo Sacrificio. Vere soggettivamente, queste interpretazioni, lo sono oggettivamente allo stesso grado? Nessuno saprebbe affermarlo. Quelle che andiamo a proporre qui alla pietà del lettore mi sembra realizzino più direttamente, e più completamente l’idea dominante del Sacrificio della Messa, la quale è certamente il riepilogo del mistero universale di GESÙ-CRISTO. Questo mistero adorabile, centro di tutti gli altri, celeste ed insieme terrestre, abbraccia tutti i tempi, fin dal primo momento della creazione degli Angeli e degli uomini, fino alla consumazione ultima, fino alla beata eternità. Questa interpretazione realizza pienamente, come sembra, la celebre parola del Salmo CX, applicato da tutti gli interpreti all’Eucaristia, Sacrificio e Sacramento: Memoriam fecit mirabiliam suorum misericors et miserator Dominus; escam dedit timentibus se.  Essendo la Messa il memoriale delle meraviglie e dei misteri del Signore Nostro, il cerimoniale che l’accompagna deve rispondere a questo pensiero. Ora le interpretazioni che riassumo qui mi sembrano emergere naturalmente dai riti medesimi e non possono avere quella nota di invenzione che spesso si riscontra spesso in tal materia, e che è più propria a discreditare la santa Liturgia che a conciliarne il rispetto e l’ammirazione. Esse non sono punto di fede; si collocano quasi tutte nell’ambito di quelle che si chiamano opinioni, liberi sentimenti; le si può non adottare se, contemplando i nostri santi misteri, si trovano luci che soddisfino di più e la pietà e la ragione e la sapienza. Queste sono state prese da fonti molto autorevoli; esse sono inoltre, mie relazioni con diversi dotti e pii personaggi, sia qui che a Roma. È dunque il frutto di tutto ciò che ho potuto, da venticinque anni, intendere, raccogliere e contemplare su questo bel soggetto che ho cercato di riassumere in un piccolo opuscolo, il cui merito principale è, senza dubbio, di essere breve ed alla portata di tutte le intelligenze e di tutte le borse. Un venerabile superiore di Seminario mi assicura che queste spiegazioni potranno essere molto utili alle anime pie ed al giovane clero. È in questa speranza che io oso proporlo qui, come capace di chiarire santamente lo spirito e di fortificare la pietà. – Studiamoli umilmente, non da dottori sapienti, ma come scolari che indagano. 

I

Quanto sante e venerabili siano le cerimonie della Messa.

Più una cosa o una persona è grande, più è naturale circondarla di rispetto e di onori. Quando un sovrano onora della sua visita una città o un castello, si mette in opera tutto per fare un’accoglienza degna di lui; non c’è nulla che sia di troppo; nulla si risparmia. Ancor meglio se si trattasse della visita del Papa. Come ci si può allora stupire che i santi Apostoli ed i primi Pontefici della Chiesa, regolando il culto divino, abbiano circondata di cerimonie augustissime questa divina visita che il Re del cielo si degna di fare ogni giorno alla terra, mediante la Consacrazione eucaristica? Le une, quelle che precedono la Consacrazione, sono come la preparazione del Sacerdote e del fedele all’arrivo del grande Re Gesù; quando appare questo Re celeste, tutti si prosternano ed adorano in silenzio. La altre cerimonie, quelle che seguono la Consacrazione e terminano la Messa, preparano il Sacerdote ed i Cristiani a ricevere, con la Comunione, l’adorabile Visitatore e ringraziarlo del suo amore misericordioso. – Il Concilio di Trento ci dichiara che: Tra le cose sante, nulla c’è di venerabile, niente di sacro, come queste benedizioni piene di misteri, che gli Apostoli stessi hanno istituito e lasciato in eredità alla Chiesa. « La nostra santa Madre Chiesa, dice il Concilio, ha introdotto, conformemente alla disciplina ed alla tradizione apostolica, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche, le luci, gli incensamenti, gli ornamenti, e molte altre cose di questo genere, alfine di accrescere la maestà di sì gran Sacrificio ed al fine di eccitare gli spiriti dei fedeli, con questi segni sensibili della pietà e della Religione, alla contemplazione dei profondissimi misteri che cela questo Sacrificio. (Sess. XXII, c. V), Riassunto ed imperfetto senza dubbio, ma infine spiegandoli un po’. Le cerimonie della Messa, hanno per oggetto di ricordare e compendiare, intorno alla Persona stessa di Gesù eucaristico, tutto l’insieme del magnifico ed universale mistero di questo divin Salvatore: l’unità di Religione che esiste tra gli Angeli e gli uomini, tra l’Alleanza antica e la nuova, tra la grazia del primo Avvento di GESÙ-CRISTO e la gloria del secondo. Anche i Sacerdoti e tutti coloro che li assistono all’altare, devono rispettarle infinitamente, ed osservarle religiosamente. Omettere o negligere volontariamente quelle che si rapportano più direttamente alla Consacrazione, sarebbe certamente un peccato mortale; e tutte, anche le minime, obbligano in coscienza. È fuor di dubbio che le rubriche dell’Ordinario della Messa, dopo il segno della Croce, dall’inizio fino al Deo gratias finale, sono tutte imperative e non solo direttive. Bisogna osservarle alla lettera, con molta fede, religione ed amore, e fare tutto ciò che viene prescritto dalla Chiesa, così com’è prescritto, e solo ciò che è prescritto, senza nulla omettere, senza nulla aggiungere. Altrimenti si rischierebbe di falsare il senso delle cose sante che queste cerimonie sono destinate a significare. Questo punto è molto importante, e la dottrina che riportiamo è affatto certa, checché se ne possa dire. La Bolla di San Pio V, che è sempre in pieno vigore, come la Santa Sede l’ha espressamente dichiarato in precedenza, decreta che, nel Messale Romano, nulla dovrebbe essere mai aggiunto, né soppresso, né cambiato … « sotto penna dell’indignazione Apostolica », il Sovrano Pontefice « ordina a tutti i Sacerdoti in generale, ed a ciascuno in particolare, qualsiasi sia il rango nella Chiesa, e questo in virtù della santa obbedienza, di dire o cantare Messa secondo il rito, il modo e la regola che prescrive il Messale. »  Ed il Papa Urbano VIII decretò ugualmente, mediante la Congregazione dei Riti, « che in ogni cosa, “in omnibus et per omnia”, si devono osservare le rubriche del Messale Romano, nonostante ogni uso contrario, che egli dichiara essere un abuso. » Inoltre, tante volte la Congregazione dei Riti ha risposto, nel Nome del Sovrano Pontefice, a delle questioni relative a certe pratiche non indicate dalle rubriche: « Serventur rubricæ » [si servano della rucrica]. Questa risposta è significativa; essa ci rinvia puramente e semplicemente alla lettera delle rubriche. Vale a dire: che si osservino le rubriche, non si faccia più di quanto esse non dicano di fare, che si faccia tutto ciò che esse dicono di fare, né più né meno. – Un professore di liturgia insegnava nel passato, in pieno corso, in un gran Seminario molto considerevole, che le rubriche dovessero intendersi in questo senso: che bisognava fare almeno ciò che esse prescrivono; ma che si poteva fare di più, « … purché sia più bello ». A questo riguardo, si potrebbe, si dovrebbe far durare l’Elevazione un quarto d’ora o una mezz’ora, « … purché questo sia più maestoso. » In effetti, questo non è specificato dalla rubrica; essa nulla dice. Questa interpretazione moderna è semplicemente l’introduzione dei principii dell’89 nella liturgia. Questo falso dato liturgico ha aperto le porte alle mille ed una invenzioni che sfigurano la maestosa semplicità della liturgia romana. « Serventur rubricæ»; « … che si osservi la rubrica! » Ecco la regola delle regole, ed essa obbliga in coscienza [L’autorità della Congregazione dei Riti, e in generale, delle Sacre Congregazioni romane, è l’autorità medesima del Sovrano-Pontefice che, attraverso di esse, governa e regge la Chiesa. I Vescovi stessi sono sottomessi ai decreti delle Congregazioni e non possono né dispensarsene, né dispensare gli altri: ancor mano i curati ed i semplici Sacerdoti. Soltanto l’ignoranza del diritto canonico, ha potuto introdurre queste distinzioni chimeriche tra l’autorità del Papa e quella delle Sacre Congregazioni. Le Congregazioni sono all’Autorità del Papa, ciò che per noi sono i diversi ministeri all’autorità del Capo di Stato, ed ancor di più.]. Santa Teresa, che sapeva unire una mirabile larghezza di spirito a tutte le delicatezze dell’obbedienza, diceva: « Io darei la mia testa per le cerimonia più piccole della Chiesa. » Ella aveva ben ragione, pensiamo, diciamo, facciamo come lei.

II

 Cosa rappresenta l’altare sul quale  si celebra la Messa.

   L’altare deve essere di pietra. Se fosse di legno o di bronzo, o anche di argento ed oro, occorrerebbe comunque che lo spazio sul quale si offre il Sacrificio, sia di pietra; questa pietra si chiama appunto “pietra d’altare”. L’altare (o “pietra d’altare”, che è la stessa cosa, almeno in pratica) è consacrata dal Vescovo, che lo marchia con cinque croci, in onore delle cinque piaghe che Gesù-Cristo conserva in eterno nel suo Corpo glorificato; questa consacrazione si fa con il santo Crisma, che è il più sacro degli oli santi, e dopo le unzioni il Vescovo brucia un grano di incenso purissimo in ciascuna delle croci che sono incise nella pietra. – Così consacrato l’altare, in effetti, significa: Nostro Signore GESÙ-CRISTO, al di fuori del Quale, il Padre Celeste non gradisce alcun omaggio religioso, alcuna adorazione, nessun sacrificio. GESÙ-CRISTO è quindi il centro ed il fondamento vivente dell’unica vera Religione, la quale è iniziata con gli Angeli e con Adamo, fin dall’origine del mondo, e non finirà neppure con la fine del mondo, perché Essa durerà nel cielo, per tutta l’eternità. GESU è la pietra consacrata, la pietra angolare che supporta tutto l’edificio della Religione degli Angeli e degli uomini, ed è per questo che è assolutamente vietato celebrare la Messa fuori dall’altare consacrato, o almeno una pietra d’altare consacrata. L’altare significa allora GESÙ-CRISTO, fondamento divino della Religione e del Sacrificio. Ognuno può comprendere allora quale sia la santità dei nostri Altari, e perché sia proibito non solo di farlo servire per alcun uso profano, ma anche di non posarvi sopra nulla di estraneo al Culto divino. Ci sono dei preti che non si curano di posare sull’altare i loro occhiali, il loro berretto, la loro tabacchiera. Io ho visto sacrestani posarvi tranquillamente sopra la loro penna, la spazzola, etc. Il santo abate Olièr, uno degli uomini che hanno usato il massimo rispetto per il Santo Sacrificio ed il Santo Sacramento, era al riguardo di una severità straordinaria: una volta un giovane chierico del seminario di San Sulpizio, di cui Olièr era il Superiore, era stato scelto da lui per servir Messa per la sua grande pietà. Un giorno il pio giovane posò sbadatamente la sua piccola calotta sul cono dell’altare. M. Olièr lo riprese severamente, come per una mancanza di rispetto verso l’adorabile Eucaristia, e lo privò per otto giorni dell’onore di servire Messa. Non si è mai troppo delicati in ciò che concerne le testimonianze della fede e dell’adorazione nei riguardi dei santi Misteri e di tutto ciò che ha rapporto con il Santissimo Sacramento.

III

Gli altari privilegiati

Il Papa accorda talvolta la grazia dell’Indulgenza plenaria per le anime del Purgatorio, ai Sacerdoti che celebrano la Messa su certi altari. Questo privilegio sì prezioso ha fatto attribuire a questi altari il nome di “altari privilegiati”. Talvolta un altare è privilegiato una sola volta a settimana, altre volte il privilegio dell’Indulgenza si estende a due, tre, quattro giorni della settimana; più raramente è quotidiano. Questo dipende unicamente dalla concessione pontificale. L’indulgenza degli altari privilegiati è riservata esclusivamente alle anime del Purgatorio. A meno che il contrario non sia specificato nella concessione, queste indulgenze possono essere lucrate solo celebrando la Messa su un altare “fisso”. Per “altare fisso” si intende un altare immobile, che non possa essere cioè trasportato da un luogo ad un altro. Poco importa che sia consacrato interamente, o che ne sia consacrata solo la pietra, l’importante è che sia sigillato tanto al muro che al suolo. –  È arrivata a Parigi da qualche anno, una simpatica storia a proposito di un altare privilegiato (in francese altare, autel, si pronunzia “otel”): una pia ed eccellente dama, a giusto titolo considerata tale da tutti coloro che la conoscevano, aveva ottenuto dal Santo Padre il favore dell’altare privilegiato per la sua cappella domestica. Quando il rescritto da Roma arrivò, si era alla vigilia della sua partenza per la campagna. Ella fece dunque venire il suo amministratore, uomo di spirito e fiduciario, e gli diede ordini perché in sua assenza facesse venire pittori, scultori, indoratori, senza nulla risparmiare. Secondo la foggia delle Basiliche romane, ella desiderava far porre sopra la porta della cappella, come coronamento dello stesso altare che era appunto vicino alla porta, una bella iscrizione a caratteri d’oro: AUTEL PRIVILÉGIÉ (altare privilegiato). L’eccellente dama non si spiegò probabilmente in modo molto chiaro. In effetti, dopo quattro o cinque giorni dopo il suo soggiorno in campagna, ricevette una lettera dal bravo amministratore che le chiedeva nuove istruzioni. « Madame, lei ha senza dubbio dimenticato, diceva, che al di sopra della porta dell’hotel c’è uno stemma, etc.; i pittori e gli operai non sanno come posizionare l’iscrizione comandata da madame. » Il maldestro aveva confuso « autel » con « hotel » e se per fortuna (o per sventura), sulla grande porta d’entrata che dava sulla strada si fosse proceduto alla decorazione senza che si richiedesse una nuova consultazione, la povera santa signora, al suo rientro avrebbe trovato sopra la porta d’entrata, a grandi lettere d’oro, la scritta: HÔTEL PRIVILEGIATO. – Prova evidente che in materia liturgica, non ci si possa fidare … degli amministratori.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – QUARTO ABEUNTE SÆCULO

Obsecro autem eos, qui hunc librum lecturi sunt, ne abhorrescant propter adversos casus, sed reputent ea quae acciderunt, non ad interitum, sed ad correptionem esse generis nostri. Obsecro autem eos, qui hunc librum lecturi sunt, ne abhorrescant propter adversos casus, sed reputent ea quae acciderunt, non ad interitum, sed ad correptionem esse generis nostri. Questa lettera enciclica di S. S. Leone XIII ha un carattere del tutto particolare, ispirata com’è alle celebrazioni per la scoperta dell’America che in quell’anno ricordava appunto il quarto centenario della sua scoperta. Naturalmente si sottolinea l’aspetto legato alla Chiesa Cattolica ed alla sua diffusione  nel nuovo continente che ha dato effettivamente frutti copiosissimi per la salvezza di tante anime destinate altrimenti all’eterna dannazione. Naturalmente questi aspetti oggi sono completamente negletti, anzi si tende alla diffusione, attraverso il mondialismo politico-finanziario, del credo massonico dell’ecumenismo indifferentista, oggi tanto di moda nelle sette protestanti storiche, ed in gran spolvero in quella del baphomettiano “Novus Ordo” dei marrani antipapi, che fingendosi Chiesa di Cristo, è impegnata, a colpi pure di false e scandalose canonizzazioni, a demolire dalle fondamenta (… si fieri potest) quel che resta in piedi dell’edificio cattolico “esteriore”. Il Nuovo Mondo ed il cosiddetto odierno Terzo Mondo, sono stati, e lo sono sempre più, infarciti di ideologia anticristiana, con il rifiuto palese di ogni dogma definito e conosciuto, prendendo a pretesto una libertà sfrenata non soggetta alle leggi divine, e spesso neppure alle naturali ed umane, per il godimento dei pretesi “diritti dell’uomo” contro quelli di Dio, ed a vantaggio delle “jene usuraie” planetarie, adepte del satanismo praticato nelle conventicole “illuminate”. Ma, sempre fiduciosi nell’opera di Dio, che dal male sa trarre il bene in modo imprevisto all’uomo, [… Obsecro autem eos, qui hunc librum lecturi sunt, ne abhorrescant propter adversos casus, sed reputent ea quae acciderunt, non ad interitum, sed ad correptionem esse generis nostri – II Macc. VI, 12], e a dispetto dei malvagi, dei facinorosi, dei violenti, dei peccatori, dei “congregati contro Dio ed il suo Cristo”, restiamo ben saldi alla navicella di Pietro, ora più che mai battuta dai marosi e nella quale si grida da più parti: “Domine, perimus, … exsurge Domine, quare abdormis?”, fiduciosi che al momento inatteso dagli uomini, il Signore Gesù calmi i venti e faccia tornare la bonaccia buttando nel contempo in mare “… carri e cavalieri”, e con tutta calma, scorriamo il testo così edificante dell’Enciclica … Quarto abeunte ….

Leone XIII
Quarto abeunte sæculo

Lettera Enciclica

Cristoforo Colombo

1892

Allo spirare del quarto secolo dal dì che, auspice Iddio, l’intrepido ligure approdò, primo fra tutti, oltre l’Oceano Atlantico a sconosciuti lidi, sono lieti i popoli di celebrare con sentimenti di gratitudine la memoria di quel fatto e di esaltarne l’autore. E certo non si saprebbe agevolmente trovar cagione d’infervorare gli animi e destar entusiasmo più degna di questa, Poiché il fatto è in sé stesso il più grande e meraviglioso di quanti mai se ne videro nell’ordine delle cose umane; e l’uomo che lo portò a compimento non è paragonabile che a pochi di quanti furono grandi per tempra d’animo e altezza d’ingegno. – Per opera sua dall’inesplorato grembo dell’oceano venne alla luce un nuovo mondo; milioni di creature ragionevoli vennero dall’oblio e dalle tenebre a integrare la famiglia umana; da barbare, fatte mansuete e civili; e quel che infinitamente più importa, da perdute che erano, rigenerate alla speranza della vita eterna, grazie alla partecipazione dei beni soprannaturali, recati in terra da Gesù Cristo. – L’Europa, percossa allora di meraviglia alla novità e grandezza del subitaneo portento, fece poi giusta stima di quanto essa deve a Colombo, man mano che le colonie stabilite in America, le comunicazioni incessanti, la reciprocità di amichevoli uffizi, e l’esplicarsi del commercio marittimo diedero impulso poderosissimo alle scienze naturali, alla possanza e alle ricchezze nazionali, con incalcolabile incremento del nome europeo. – Laonde fra sì varie manifestazioni onorifiche, e in questoconserto di gratulazioni, non vuole rimaner muta la chiesa cattolica, usa com’è a raccogliere volenterosa e promuovere secondo quanto è in suo potere ogni onesta e lodevole cosa. Vero è che i sovrani suoi onori la chiesa li serba all’eroismo delle virtù morali in quanto ordinate alla vita eterna; ma non per questo misconosce ne tiene in poco conto gli altri eroismi: che anzi si compiace ognora di far plauso e onore ai benemeriti della comunità civile, e a quanti vivono gloriosi nella memoria dei posteri, Perché Dio è certo mirabile soprattutto nei Santi suoi; ma l’orma del divino valore rifulge a meraviglia anche negli uomini di genio, giacché il genio è pur esso un dono gratuito di Dio creatore e padre nostro. – Ma oltre a queste ragioni di ordine generico, abbiamo motivi del tutto particolari di voler commemorare, con gratitudine, l’immortale impresa. Imperocché Colombo è l’uomo della chiesa, Per poco che si rifletta al precipuo scopo onde si condusse ad esplorare il mar tenebroso, e al modo che tenne, è fuor di dubbio che nel disegno e nella esecuzione dell’ardua impresa ebbe parte principalissima la fede cattolica: cosicché anche per questo titolo tutta l’umanità ha obbligo non lieve alla chiesa cattolica. – Impavidi e perseveranti esploratori di terre sconosciute e di più sconosciuti mari, e prima e dopo di Colombo, se ne conta parecchi, Ed è ragione che la fama, memore delle opere benefiche, celebri perennemente il nome loro, in quanto riuscirono ad allargare i confini delle scienze e della civiltà, a sviluppare il pubblico benessere: e ciò non a lieve costo, ma a prezzo di fatiche immani, e sovente di rischi gravissimi. – Ma pure da essi a Colombo c’è gran divario. La nota caratteristica di Colombo sta in questo, che nel solcare e risolcare gli spazi immensi dell’oceano, egli aveva la mira a maggior segno che gli altri non avessero. Non già che nulla potesse in lui la compiacenza nobilissima di avanzar nel sapere, di ben meritare dell’umana famiglia: non che disprezzasse la gloria, i cui stimoli chi è più grande più sente, o che disprezzasse affatto la speranza dei materiali vantaggi: ma sopra tutte queste ragioni umane campeggiò in lui il sentimento della religione dei padri suoi, dalla quale egli prese senza dubbio l’ispirazione del gran disegno, e sovente nell’ardua opera di eseguirlo ne trasse argomenti di fermezza e conforto, Imperocché è dimostrato che egli intese e volle massimamente questo: aprire la strada all’evangelo attraverso nuove terre e nuovi mari. – La qual cosa può parere meno verosimile a chi, riducendo ogni pensiero e ogni cura entro i confini del mondo sensibile, ricusa di sollevare l’occhio più in alto. Al contrario a meta più eccelsa amano per lo più aspirare le anime veramente grandi, perché sono le meglio disposte ai santi entusiasmi della fede, Colombo, unendo lo studio della natura allo zelo della pietà, aveva mente e cuore profondamente formati alle credenze cattoliche. Perciò, persuaso per argomenti astronomici e antiche tradizioni che al di la del mondo conosciuto dovevano pure estendersi dalla parte d’occidente gran tratti di paese non ancora esplorati, la fede rappresentavagli allo spirito popolazioni sterminate, avvolte in tenebre deplorevoli, perdute dietro cerimonie folli e superstizioni idolatriche. Infelicità grande, agli occhi suoi, condurre la vita in assuetudini selvagge e costumi ferigni: ma incomparabilmente più grande l’ignorare cose di capitale importanza, e non avere pur sentore dell’unico vero Dio. Onde, pieno di tali pensieri, si prefisse più che altro di estendere in occidente il nome cristiano, i benefici della cristiana carità, come risulta evidentemente da tutta la storia della scoperta, Infatti, quando ai re di Spagna Ferdinando e Isabella, propose la prima volta di voler assumere l’impresa, ne chiarisce lo scopo col soggiungere che “la gloria delle loro maestà vivrebbe imperitura, ove consentissero di recare in sì remote contrade il nome e la dottrina di Gesù Cristo”. E non molto dopo, ottenuto quel che voleva, affida allo scritto ch’egli domanda al Signore di far sì con la divina sua grazia che i re (di Spagna) siano perseveranti nella volontà di propagare a nuove regioni e nuovi lidi la santa religione cristiana. – Tutto premuroso d’implorare missionari da papa Alessandro VI, gli scrive; “spero bene, con l’aiuto di Dio, di poter ormai spargere in tutto il mondo il santo nome e l’evangelo di Gesù Cristo”. E crediamo dovesse sovrabbondare di giubilo, allorché, reduce dal primo viaggio, scriveva da Lisbona a Raffaele Sandiez: “doversi rendere a Dio grazie immortali per avergli largito sì prospero successo. Che Gesù Cristo s’allieti e trionfi qui sulla terra, come s’allieta e trionfa nei cieli, prossima essendo la salvezza di tanti popoli, il cui retaggio sino ad ora fu la perdizione”. Se a Ferdinando e Isabella egli suggerisce di permettere solo a cristiani cattolici di navigare verso il nuovo mondo e piantare traffichi nelle nuove contrade, la ragione è che il disegno e l’esecuzione della sua impresa non ebbe altro scopo che l’incremento e l’onore della religione cristiana. E ciò conobbe appieno Isabella, essa che assai meglio d’ogni altro seppe leggere nella mente del grande: è anzi fuor di dubbio che quella piissima principessa, di mente virile e di animo eccelso, non ebbe ella medesima altro scopo. Scriveva infatti di Colombo, che egli affronterebbe coraggiosamente il vasto oceano “a fine di compiere un’impresa di grande importanza per la gloria di Dio”, E a Colombo medesimo, reduce dal secondo viaggio, scriveva che “erano egregiamente impiegate le spese ch’ella aveva fatte e che farebbe ancora per la Spedizione delle Indie, in quanto ne seguirebbe la diffusione del cattolicismo”. – Dall’altro canto, se si prescinde da un motivo superiore, donde avrebbe potuto egli attingere perseveranza e forza pari alle dure prove, che egli dovette affrontare e sostenere sino all’ultimo? Intendiamo l’opposizione dei dotti contemporanei, le repulse da parte dei prìncipi, i rischi del mare in tempesta, le veglie incessanti, sino a smarrirne più d’una volta la vista: aggiungasi le fiere lotte coi selvaggi, i tradimenti di amici e compagni, le scellerate congiure, le perfidie degli invidiosi, le calunnie dei malevoli, le immeritate catene All’enorme peso di tante sofferenze egli doveva senz’altro soccombere, se non lo avesse sostenuto la coscienza dell’impresa nobilissima, feconda di gloria alla cristianità, di salute a milioni di anime. – Impresa, intorno alla quale fa luce la situazione di quel tempo. Infatti Colombo Svelò l’America, mentre una grave procella veniva addensandosi sulla chiesa: sicché per quanto è lecito a mente umana di congetturare dagli eventi le Vie misteriose della Provvidenza l’opera di quest’uomo, ornamento della Liguria, sembra fosse particolarmente ordinata da Dio a ristoro dei danni, che la santa fede avrebbe poco dopo patito in Europa. – Chiamare gli indi al Cristianesimo, era senz’altro opera e compito della chiesa. Essa fin dai primordi della scoperta, pose mano a fare il suo dovere e proseguì e prosegue sempre a farlo col medesimo zelo, inoltratasi, non molti anni fa, sino all’estrema Patagonia. – Nondimeno persuaso di dover percorrere e spianare la via all’evangelizzazione delle nuove contrade e tutto compreso da questo pensiero, ogni suo atto coordinò Colombo a tal fine, nulla quasi operando se non ispirandosi alla religione e alla pietà. – Rammentiamo cose a tutti note, ma preziose a chi voglia penetrare ben addentro nella mente e nel cuore di lui. Forzato di abbandonare, senza aver nulla concluso, il Portogallo e Genova, e voltosi alla Spagna, all’ombra di un cenobio egli viene maturando l’alto disegno, confortatovi da un monaco francescano suo fido. Dopo sette anni, spuntato finalmente il giorno di far vela per l’Oceano, s’accosta ai divini sacramenti: supplica la Regina del cielo che voglia proteggere l’impresa e guidare la rotta: e non comanda di levare le ancore se non dopo invocata la Santissima Trinità, Avanzatesi quindi in cammino, fra l’infuriare dei marosi e il tumultuare dell’equipaggio, mantiene inalterata la serenità della sua fermezza, mercé la fiducia in Dio, Parlano del suo intendimento persino i nomi nuovamente imposti alle nuove isole: a ciascuna delle quali, appena postovi piede, adora supplichevole Dio onnipotente, e non ne prende possesso che in nome di Gesù Cristo. Dovunque approdi, il primo suo atto è di piantare sulla spiaggia la Croce: e dopo aver tante volte, al rombo dei flutti mugghianti, inneggiato in alto mare al nome santissimo del Redentore, lo fa risuonare egli per primo nelle isole da lui scoperte; per questo alla Spagnola il primo edificio è una chiesa, la prima festa popolare una solennità religiosa, – Ecco dunque ciò che intese, ciò che volle Colombo nell’avventurarsi per tanto spazio di terra e di mare all’esplorazione di contrade ignorate sino a quel tempo e incolte: le quali peraltro in fatto di civiltà, d’influenza, di forza, salirono poi velocemente a quel grado di altezza, che ognuno vede. La grandezza dell’avvenimento e la incommensurabile importanza degli effetti che ne seguirono, rendono doverosa la memoria e la glorificazione dell’eroe. Ma si deve innanzitutto riconoscere e venerare singolarmente gli alti decreti di quella mente eterna, alla quale ubbidì, consapevole strumento, il rivelatore del nuovo mondo. – A celebrare degnamente e in armonia con la verità storicale solennità colombiane, è dunque necessario che allo splendore delle pompe civili si accompagni la santità della religione. Onde come già al primo annunzio della scoperta furono rese a Dio immortale, providentissimo, pubbliche grazie, primo a darne l’esempio il pontefice; così ora nel festeggiare la memoria dell’auspicatissimo evento stimiamo doversi fare lo stesso. – Disponiamo perciò, che il giorno 12 ottobre, o la domenicasuccessiva, se così giudicherà opportuno l’ordinario del luogo, nelle chiese cattedrali e collegiate di Spagna, d’Italia, e delle Americhe, dopo l’Ufficio del giorno, sia cantata solennemente la Messa della Santissima Trinità. – Oltre alle regioni sopra indicate, confidiamo che per iniziativa dei vescovi la stessa cosa si faccia nelle altre, essendo conveniente che tutti concorrano a celebrare con pietà e riconoscenza un avvenimento che tornò profittevole a tutti. Intanto come auspicio dei divini favori e pegno della Nostra patema benevolenza a voi, venerabili fratelli, e al clero e popolo vostro impartiamo affettuosamente la benedizione apostolica,

Roma, presso S. Pietro, 16 luglio 1892, anno decimoquinto del Nostro pontificato.

DOMENICA II DOPO PASQUA (2019)

DOMENICA II DOPO PASQUA(2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXXII: 5-6. Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini cœli firmáti sunt, allelúja, allelúja.

[Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúia: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Ps XXXII: 1. Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio. [Esultate, o giusti, nel Signore: ai buoni si addice il lodarlo.]

Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini cœli firmáti sunt, allelúja, allelúja. [Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúia: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui in Filii tui humilitate jacéntem mundum erexísti: fidelibus tuis perpétuam concéde lætítiam; ut, quos perpétuæ mortis eripuísti casibus, gaudiis fácias perfrui sempitérnis.

[O Dio, che per mezzo dell’umiltà del tuo Figlio rialzasti il mondo caduto, concedi ai tuoi fedeli perpetua letizia, e coloro che strappasti al pericolo di una morte eterna fa che fruiscano dei gàudii sempiterni].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. [1 Petri II: 21-25]

Caríssimi: Christus passus est pro nobis, vobis relínquens exémplum, ut sequámini vestígia ejus. Qui peccátum non fecit, nec invéntus est dolus in ore ejus: qui cum male dicerétur, non maledicébat: cum paterétur, non comminabátur: tradébat autem judicánti se injúste: qui peccáta nostra ipse pértulit in córpore suo super lignum: ut, peccátis mórtui, justítiæ vivámus: cujus livóre sanáti estis. Erátis enim sicut oves errántes, sed convérsi estis nunc ad pastórem et epíscopum animárum vestrárum. [Caríssimi: Cristo ha sofferto per noi, lasciandovi un esempio, affinché camminiate sulle sue tracce. Infatti Egli mai commise peccato e sulla sua bocca non fu trovata giammai frode: maledetto non malediceva, maltrattato non minacciava, ma si abbandonava nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava; egli nel suo corpo ha portato sulla croce i nostri peccati, affinché, morti al peccato, viviamo per la giustizia. Mediante le sue piaghe voi siete stati sanati. Poiché eravate come pecore disperse, ma adesso siete ritornati al Pastore, custode delle ànime vostre].

Omelia I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

SEGUIAMO GESÙ CRISTO.

“Carissimi: Cristo patì per noi lasciandovi l’esempio, perché abbiate a seguire le sue orme. Egli non commise peccato, e sulle sue labbra non fu trovato inganno. Egli, maledetto, non rispondeva con maledizioni, e, maltrattato non minacciava, ma si rimetteva a chi lo giudicava ingiustamente. Portò egli stesso i nostri peccati nel suo corpo sul legno, affinché, morti al peccato viviamo per la giustizia: per le piaghe di Lui siete stati guariti. Infatti eravate come pecore sbandate, ma ora siete ritornate al pastore e al vescovo delle anime vostre”. (1 Piet. II, 21-25).I cristiani dispersi nell’Asia minore, e precisamente nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia proconsolare e nella Bitinia, erano esposti a varie e dure persecuzioni da parte dei Giudei e dei pagani. S. Pietro, venuto a conoscenza di questo, scrive loro una lettera da Roma, per consolarli nelle loro afflizioni, e renderli costanti nella fede, esposta a tanti pericoli. Da questa lettera è tratta l’Epistola di quest’oggi. Dopo aver parlato, precedentemente, dei doveri verso il potere civile, viene a parlare della soggezione dei servi ai loro padroni. Devono star loro soggetti volentieri, seguendo l’esempio di Gesù Cristo, che non malediva quelli che lo maledivano, non minacciava quelli che lo facevano soffrire, ma si rimetteva al Padre, giudice supremo. Egli si caricò dei nostri peccati per procurarci la giustificazione. E così, da pecore erranti quali eravamo, siamo stati condotti al Pastore delle anime nostre. L’imitazione di Gesù Cristo, inculcata da S. Pietro, è necessaria a ogni Cristiano.

1. Gesù Cristo è il nostro Pastore,

2 Che dobbiamo seguire sempre,

3 Anche sotto la croce.

1.

Cristo patì per noi lasciandovi l’esempio, perché abbiatea seguire le sue orme. Niente s’impara senza una guida, e nessuna istituzione si regge senza chi la governa. È necessario uno che guidi nello stato, nella famiglia, in una nave. È necessario un pastore che diriga e sorvegli il gregge. È facile immaginare che cosa avverrebbe d’un gregge, che abbandonasse le orme del pastore. Si sbanderebbe qua e là, prenderebbe sentieri pericolosi; e, nell’ora del pericolo, le povere pecore, rimaste senza guida, invece di ritrovare la via dell’ovile, andrebbero a finire nelle fauci di qualche fiera o nelle mani di qualche ladro. La famiglia cristiana, è, nella Sacra Scrittura, paragonata a un gregge. Chi ne è il pastore? «Io sono il buon Pastore», dice Gesù Cristo (Giov. X, 11). Un giorno vede due fratelli, Pietro ed Andrea, che gettano una rete, e dice loro: « Venite dietro me e vi farò pescatori d’uomini. Ed essi, tosto lasciate le reti lo seguirono » (Matt. IV, 19-20). Sono, a cosi dire, le primizie del gregge di Cristo. Più tardi rivolgerà il suo invito a un pubblicano. «Seguimi», dirà a Matteo, e questi; rizzatosi dal banco lo segue (Matt. IX, 9). Ripeterà questo invito ad altri, alle turbe, a tutti gli uomini di buona volontà. « Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi consolerò » (Matt. XI, 28). Quando gli Ebrei partono dall’Egitto, il Signore li guida in colonna di fumo di giorno, e in colonna di fuoco durante la notte, per illuminare il loro cammino. Gesù Cristo è la luce che guida il suo gregge nei sentieri di questa vita. Egli è «la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (Giov. I, 9). Egli ci è luce con gli insegnamenti che uscirono dal suo labbro, Egli ci è luce con le sue azioni. « Poiché quando Egli fa qualche cosa in silenzio, si fa conoscere quello che noi dobbiam fare » ( S. Gregorio M. Hom. 17, 1). Ed è principalmente alle sue azioni che ci richiama S. Pietro, quando ci dice di seguire le sue orme. Della virtù si è parlato molto dai sapienti di questo mondo, anche prima che venisse sulla terra Gesù Cristo. Ma tutte le loro discussioni portarono ben poco frutto. Quegli insegnamenti, oltre non essere esenti da errori, non erano confortati dall’esempio. Non da loro, ma da Gesù s’impara l’umiltà, la pazienza, l’ubbidienza, il vero amor del prossimo, il perdono delle offese, la purità e tante altre virtù, che formano uno splendido ornamento e una irrefragabile apologia del Cristianesimo. Chi vuol sapere, sappia Cristo. Da lui solo impareremo a camminare nella via di ogni virtù.

2.

Egli non commise mai peccato, e sulle sue labbra non fu trovato inganno, ecc. Queste parole, che S. Pietro riporta da Isaia, c’insegnano quanto fosse perfetta la vita diGesù Cristo, alla quale, per quanto ci è possibile, dobbiamo conformare la nostra. Forse, non è tanto l’eroismo degli esempi datici da Gesù Cristo, che trattiene il Cristiano dall’imitarlo; quanto la forza che esercitano ancora su di lui gli esempi del mondo. Si seguirebbe Gesù Cristo, quando il mondo non seducesse più: si seguirebbe Gesù Cristo, se si potesse seguirlo di nascosto. Fin che si è fanciulli si sente parlar volentieri degli splendidi esempi di virtù che il Salvatore ci ha dato. Ci si accosta frequentemente al sacramento della Penitenza per poter ricevere Gesù nel proprio cuore, e chiedergli la grazia di seguire le sue orme. Ma quando si sono lasciati i banchi della scuola primaria, si trova già un po’ pesante il seguire Gesù. Quando si è avviati alla bottega, allo stabilimento, all’ufficio, invece di seguire Gesù, si seguono coloro che ci circondano, e si prendono le loro abitudini di vita, che, quasi sempre, non sono proprio conformi agli esempi datici da Gesù. Come una lampada brilla sempre meno al nostro sguardo man mano che il giorno si avanza; così, man mano che crescono gli anni, si affievolisce la luce che viene dagli esempi di Gesù, e ci lasciamo abbagliare da altre luci false e nocive. Dobbiamo seguir Gesù non solamente quando siamo soli, ma anche quando siamo in compagnia: non solamente nella vita domestica, ma anche nella vita pubblica. Quando uno è ascritto a una associazione, ma si accontenta di avervi dato solamente il nome, tutt’al più legge al proprio tavolo la relazione di qualche adunanza, a cui non ha partecipato, possiam chiamarlo un cattivo socio. Se tutti fossero come lui, l’associazione dovrebbe sciogliersi. Questo sistema è proprio quello di tanti Cristiani. Seguir Gesù, ma senza disturbarsi, senza dar nell’occhio, senza urtare i sentimenti di coloro che non vogliono sapere di seguirlo. Alla festa dei tabernacoli, i Giudei domandano alle turbe dove si trova Gesù. Tra le turbe è un gran sussurro. «Nessuno, però, parlava di Lui con libertà per paura dei Giudei» (Giov. VII, 13). Tanti Cristiani si trovano indecisi a seguir pubblicamente Gesù con franchezza, per paura di qualche opposizione o di qualche frase. Come sono lontani dalla generosità di S. Ignazio martire, che dichiarava a quei di Efeso: « Nulla vi sia conveniente senza Gesù Cristo, per Lui io porto in giro le mie catene, perle spirituali » (Ep. ad Eph.). Non pensano questi seguaci di Gesù Cristo a metà, che, rifiutandosi di seguirlo apertamente, si rifiutano di seguire un pastore che un giorno potrebbe rinnegarli a sua volta, ed escluderli dal celeste ovile? Se vogliamo seguire Gesù sul serio, non dobbiamo distinguere tra età ed età, tra vita pubblica e vita privata. Dobbiamo seguirlo ovunque, con fermo proponimento, facendo nostre le parole di Rut a Noemi: «Dovunque andrai tu andrò anch’io, e dove starai tu, ivi io pure starò » (Rut. 1, 16).

3.

Per le piaghe di lui siete stati guariti. Qui ci vengono ricordati i dolori di Gesù. I dolori furono il suo retaggio, dalla culla alla croce. E la sorte dei discepoli non dovrà esser diversa da quella del maestro. Le pecore docili seguono il pastore anche pei sentieri stretti e sassosi; e i buoni Cristiani seguono Gesù anche quando c’è da insanguinarsi i piedi. Sarebbe troppo comodo star con Gesù nei momenti della gloria, come durante la trasfigurazione sul Tabor; abbandonarlo nei momenti della tristezza, come durante l’agonia nell’orto. Che giudizio si dovrebbe dare di quei soldati che seguono il loro comandante, che è in testa, quando si tratta di passeggiate piacevoli, e si rifiutano di seguirlo quando si tratta di marce o, peggio ancora, quando si tratta di combattere? Il giudizio è presto dato: sono dei vili che disonorano la loro divisa. I Cristiani sono pure dei soldati. « Sopporta i travagli da buon soldato di Cristo » (2 Tim. II, 3), dice S. Paolo a Timoteo. Quando Gesù Cristo saliva il Calvario, non portava un manto, ma uno straccio di porpora: aveva una corona, ma di spine. Non saliva sopra un carro di trionfo, ma sotto il peso della croce. E la croce è divenuta la divisa del Cristiano. Non è cosa che si possa accettare o respingere a piacimento. Fu assegnata da Gesù Cristo stesso: « Chi vuol venire dietro a me… prenda ogni giorno la sua croce e mi segua » (Luc. IX, 23.). Chi rifiuta di seguir Gesù Cristo sotto la croce, è un soldato vile, che disonora la sua divisa. Il monaco benedettino Maria Gachet, durante la rivoluzione francese, è condotto innanzi alla Commissione rivoluzionaria di Lione. I giudici, che s’intendevano ben poco di carattere sacerdotale, gli chiesero che consegnasse loro gli attestati di sacerdozio. Alla domanda dei giudici repubblicani Gachet risponde francamente: «Che fareste d’un soldato repubblicano, che consegnasse la sua spada la vigilia d’una battaglia? Sarebbe un vile. Non proponetemi una viltà, poiché anch’io sono soldato, soldato di Gesù Cristo, capite?». E il tribunale lo trattò da soldato, condannandolo alla fucilazione, invece che alla ghigliottina (Franc. Rousseau, Moines Bénédictins martyrs et confesseurs de la foi pendant la Révoluction, Paris, 1926, p. 131). Siamo soldati di Gesù Cristo. Ci teniamo a non esser soldati vili? Seguiamolo sempre, seguiamolo ovunque. Seguiamolo se siamo fanciulli, se siamo giovani maturi, se siamo adulti, se siamo vecchi. Seguiamolo soprattutto nelle croci e nelle difficoltà. «Egli camminò per vie aspre — osserva S. Agostino — ma promise grandi cose. Seguilo. Non voler badar unicamente alla via che devi percorrere; ma bada anche al luogo cui devi arrivare; sopporterai gravezze temporali, ma perverrai ai godimenti eterni » (En. 2 in Ps. XXXVI, 16). Tutti abbiam bisogno della misericordia del Signore e « il Signore usa misericordia coi servi suoi, i quali con tutto il cuore seguono le sue vie » (In Paral. VI, 14).

Alleluja

Allelúja, allelúja Luc XXIV: 35.

Cognovérunt discípuli Dóminum Jesum in fractióne panis. Allelúja [I discepoli riconobbero il Signore Gesú alla frazione del pane. Allelúia].

Joannes X: 14. Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ. Allelúja. [Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.

Joann X: 11-16.

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor ánimam suam dat pro óvibus suis. Mercennárius autem et qui non est pastor, cujus non sunt oves própriæ, videt lupum veniéntem, et dimíttit oves et fugit: et lupus rapit et dispérgit oves: mercennárius autem fugit, quia mercennárius est et non pértinet ad eum de óvibus. Ego sum pastor bonus: et cognósco meas et cognóscunt me meæ. Sicut novit me Pater, et ego agnósco Patrem, et ánimam meam pono pro óvibus meis. Et alias oves hábeo, quæ non sunt ex hoc ovili: et illas opórtet me addúcere, et vocem meam áudient, et fiet unum ovíle et unus pastor”.

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali – SPIEGAZIONE XXIII.S. E. I. Ed. Torino,  1921]

“In quel tempo Gesù disse ai Farisei: Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle. Il mercenario poi, o quei che non è pastore, di cui proprie non sono le pecorelle, vede venire il lupo, e lascia lo pecorelle, e fugge; e il lupo rapisce, e disperde le pecorelle: il mercenario fugge, perché è mercenario, e non gli cale delle pecorelle. Io sono il buon Pastore; e conosco le mie, e le mie conoscono me. Come il Padre conosce me, anch’io conosco il Padre: e do la mia vita per le mie pecorelle. E ho dell’altre pecorelle, le quali non sono di questa greggia: anche queste fa d’uopo che io raduni: e ascolteranno la mia voce, e sarà un solo gregge e un solo pastore”. (Jo. X, 11-16).

Il divin Redentore per far vie meglio capire la bontà immensa del suo bellissimo cuore verso le anime di tutti gli uomini, si paragonò un giorno, secondo quel che dice il Vangelo di questa domenica, ad un buon Pastore. Io sono, disse Egli ai Farisei, io sono il buon Pastore. Et reliquia. Quanta tenerezza, o miei cari, sotto queste graziose immagini! Quanti amorevoli ed importanti ammaestramenti! Procuriamo in questa breve spiegazione di rilevarne i più importanti.

1. Ed anzi tutto nostro Signor Gesù Cristo col dirci che Egli è buon pastore, che dà la vita per le sue pecorelle, vuol richiamare alla nostra attenzione l’amore immenso, che ci ha dimostrato nel venire quaggiù a morir per noi, che eravamo come pecorelle perdute a cagione del demonio, lupo infernale. E per intendere l’amore che ci ha portato il Figliuolo di Dio nel venire a nascere e patire per noi sopra di questa terra, basta considerare le parole, che di Lui ha scritte San Paolo: « Il figlio di Dio si è impicciolito prendendo forma di servo, e si è umiliato facendosi obbediente sino alla morte e morte di croce ». Oh quale stupore ha recato e recherà agli Angeli per tutta l’eternità il vedere un Dio per amor dell’uomo farsi uomo e assoggettarsi a tutte le debolezze e patimenti dell’uomo! Quale meraviglia sarebbe vedere un re farsi verme per amore dei vermi? Ma è infinitamente maggior meraviglia il vedere un Dio fatto uomo: e dopo ciò vederlo umiliato sino alla morte così penosa e vituperosa della croce, dove finì la sua sacrosanta vita. Parlando di questa morte i profeti Mosè ed Elia sopra il Tabor, dice il Vangelo che la chiamarono un eccesso. Sì, dice S. Bonaventura, con ragione ella fu chiamata eccesso la morte di Gesù Cristo, perché, oltre all’essere stata un eccesso di dolore, fu pure un eccesso di amore, da non potersi mai credere, se non fosse già avvenuto. Sì, eccesso d’amore, ripiglia S. Agostino, mentre a tal fine il Figlio di Dio volle venire in terra a fare una vita così stentata e una morte così amara per far conoscere all’uomo quanto Egli l’amava. Ed in vero se Gesù Cristo non fosse stato Dio, ma un semplice uomo amico degli uomini, qual maggior amore avrebbe potuto dimostrar loro che morire per essi? E chi erano mai cotesti uomini, per cui sentì una passione d’amore così grande? Erano forse cuori che si disfacevano di amore per Lui? Tutt’altro, pur troppo. Erano infelici, che lo avevano e lo avrebbero offeso, che lo avrebbero insultato, perseguitato, disonorato, maledetto, calunniato, tradito, disconosciuto e maltrattato in mille guise. Sì, è per questi sciagurati suoi nemici, che Egli venne quaggiù a patire e morire sulla croce. Ah! ben a ragione tutto questo ad una S. Maria Maddalena de’ Pazzi pareva una pazzia: ond’ella chiamava il suo Gesù pazzo di amore: Sì, Gesù mio – diceva – tu sei pazzo d’amore. E così appunto i gentili, secondo attesta S. Paolo, sentendo predicare la morte di Gesù Cristo, la stimavano una pazzia da non potersi mai credere. Come mai, essi dicevano, un Dio, che è felicissimo da se stesso, che di nessuno ha bisogno, ha potuto morire per amore degli uomini suoi servi? Ciò sarebbe lo stesso che credere un Dio divenuto pazzo per amore degli uomini. Ma pur è di fede che Gesù Cristo vero Figlio di Dio per amore di noi si è dato alla morte. Epperò aveva ancor ragione la stessa S. Maria Maddalena, piangendo l’ingratitudine degli uomini a questo Dio così amante, di esclamare: « O amore non conosciuto, o amore non amato! » Sì, poiché se Gesù Cristo non è amato dagli uomini, si è perché essi vivono scordati del suo amore. Oh! se un’anima considera un Dio incarnato e morto per suo amore, non può vivere senza amarlo. Ben si sentirà ella infiammare e quasi costringere ad amare un Dio, che tanto l’ha amata. Perciocché poteva Gesù – dice un pio scrittore – redimerci con una sola goccia di sangue, ma Egli ha voluto spendere tutto il sangue e la sua vita divina, acciocché, a vista di tanti dolori e della sua morte, non ci contentassimo d’un semplice amore, ma fossimo dolcemente forzati ad amare con tutte le forze un Dio così innamorato. E ciò che ci deve spingere ognor più ad amarlo, si è che tutto quanto ha fatto e pari: Egli l’ha fatto e patito per ciascuno di noi in particolare, imperciocché, sebbene Gesù nel suo gran Cuore abbracciasse tutti gli uomini del mondo, e per tutti patisse e morisse, tuttavia sì grande, ardente e generoso fu l’amor suo, che Egli avrebbe lasciata la sua vita in croce per ciascuna anima in particolare. Gesù Cristo Figlio di Dio – scrisse S. Paolo – mi amò, e diede se stesso per me. Quindi ognuno di noi può dire al pari dell’Apostolo: Se io non sono ancora nell’inferno, se dei miei peccati ho da Dio il perdono, se cessano i miei rimorsi, se mi ritorna la pace nell’anima, se posso gioire di essere tuttavia erede del Cielo, e se ne andrò un giorno al possesso, tutto ciò io devo al buon Gesù, che tanti beni mi meritò con la sua passione e morte. Questa bontà adunque, questo amore di Gesù Cristo, devono essere per il nostro cuore, dice San Francesco di Sales, come un torchio che lo stringa per forza, e ne sprema, per così dire, l’amore per Lui. Ah! perché, soggiunge lo stesso santo, perché non ci gettiamo sopra di Gesù Crocifisso per morire sulla croce con Lui, che ha voluto morirvi per nostro amore! Come vi appagherò – o amante mio Gesù? – domanda alla sua volta il dottor Sant’Alfonso, mirando il Crocifisso. E così al pensiero dell’amore, dimostrato a noi da Gesù Cristo, tanti altri santi hanno stimato far poco il dar la vita e tutto per un Dio così amante. – Quanti giovani, quanti nobili han lasciate le case e la patria, le lor ricchezze, i parenti e tutto per ritirarsi in un chiostro a vivere al solo amore di Gesù Cristo! Quante verginelle, rinunziando le nozze dei principi e primi grandi del mondo, se ne sono andate giubilando alla morte, per render così qualche ricompensa all’amore di un Dio morto per loro amore e giustiziato in un patibolo infame! E noi, che cosa facciamo noi per corrispondere all’amore immenso di questo divino Pastore, che per noi si è sacrificato? Ah! procuriamo di fare anche noi quello che facevano i Santi. Accendiamoci tutti d’amore per Gesù, che ci ha tanto amati. Solleviamo sovente il pensiero a Lui: riponiamo in esso tutta la nostra speranza e tutta la nostra vita. E Gesù da noi sinceramente amato sarà la nostra salute e la vera felicità.

2. In secondo luogo Gesù Cristo nel Vangelo di questa mattina ci dice che essendo Egli il buon pastore, conosce le sue pecorelle, e le sue pecorelle conoscono Lui presso a poco in quel modo che si conoscono tra di loro Egli ed il suo divin Padre. Con le quali parole nostro Signor Gesù Cristo, in un modo così glorioso per noi, paragonando l’unione di amore, che vi ha tra di Lui e le anime fedeli, a quella stessa unione di amore che havvi tra Lui e il suo celeste Padre, ci fa intendere che Egli conosce benissimo tutte le anime, che gli appartengono, di qualunque età, di qualunque stato, di qualunque luogo esse siano, che tutte da qualunque punto del tempo e del mondo sono presenti al suo cuore ed al suo amore, e che alla lor volta tutte queste anime conoscono Lui, sanno l’amore, che ad esse porta, e vicendevolmente lo amano come loro supremo Pastore.Ma chi sono mai queste pecorelle così fortunate che sono conosciute dal divin Pastore, e lo conoscono? Sono quelle che appartengono al suo ovile, vale a dire alla sua vera Chiesa; sono le anime dei fedeli, che fanno professione della fede e della legge di Gesù Cristo nella ubbidienza a quegli altri pastori legittimi, che Egli pose quaggiù a perpetuare il suo ministero, tra i quali pastori tiene il primo posto il Papa. Ed in vero dopo la sua Risurrezione Gesù Cristo, avendo mangiato con i suoi discepoli per assicurarli ancor meglio della realtà del suo risorgimento, si rivolse a Simon Pietro e gli domandò per tre volte: Simone, mi ami tu più di questi? Pietro, che dopo il fallo della negazione di Cristo era divenuto più modesto, si contentò di rispondere: Signore,Voi sapete che io vi amo. E due volte il Signore gli disse: Pasci i miei agnelli. Ed una terza volta: Pasci le mie pecorelle. Per siffatta guisa nostro Signor Gesù Cristo costituiva San Pietro Principe degli Apostoli, Pastore universale di tutta la Chiesa, conferendogli di fatto quel potere supremo, che già avevagli promesso, e nella persona di S. Pietro tutti quanti i suoi successori, i Romani Pontefici, poiché Gesù Cristo, con la durata perpetua della Chiesa, volendo sino alla consumazione dei secoli trasmettere agli uomini il beneficio della sua Redenzione, volle altresì che sino alla consumazione dei secoli avesse. a durare il primato di Pietro. La Chiesa adunque è la Congregazione dei fedeli Cristiani sparsi per tutto il mondo, che a guisa di un numeroso gregge sono governati da un Pastore supremo, che è il Sommo Pontefice. Ma se ciascun Cristiano dovesse aver direttamente relazione col Vicario di Gesù Cristo, con difficoltà si potrebbero far pervenire a vicenda le proprie parole, e di rado comunicarsi i propri pensieri. Dio però pensò e provvide a tutti i bisogni dell’anima nostra. Ascoltate, è questo uno dei più bei tratti del Cattolicismo. Dio, come dissi, stabilì S. Pietro Capo della Chiesa, e morto Lui, succedettero i Romani Pontefici nel governo della medesima, e si succedettero in modo, che dal regnante Papa ne abbiamo la serie non interrotta fino a S. Pietro, e da S. Pietro abbiamo la serie dei Pontefici uno successore dell’altro, che ci conservarono intatta la santa Religione di Gesù Cristo fino a noi. Gli Apostoli poi esercitarono il loro ministero pastorale d’accordo e dipendenti da S. Pietro. Agli Apostoli succedettero altri pastori e Vescovi, che sempre d’accordo e sempre dipendenti dal Successore di S. Pietro governarono le varie Diocesi della cristianità. I Vescovi accolgono le suppliche, ascoltano la voce lei popoli e ne fanno pervenire i bisogni fino alla persona del supremo Gerarca della Chiesa. Il Papa, secondo il bisogno, comunica i suoi ordini ai Vescovi di tutto il mondo, ed i Vescovi li partecipano ai semplici fedeli Cristiani. Oltre gli Apostoli Gesù Cristo stabilì settantadue discepoli, che mandò in vari paesi a predicare il Vangelo. Gli Apostoli eziandio ordinarono sette diaconi, ed altri ministri che li aiutassero nella predicazione del Vangelo e nell’amministrazione dei Sacramenti. Così ai nostri tempi, oltre il Papa ed i Vescovi, ci sono altri sacri ministri, specialmente i Parrochi, i quali strettamente uniti e d’accordo coi Vescovi aiutano questi nella predicazione e nell’amministrazione dei Sacramenti, li aiutano a mantenere l’unità della fede, e soprattutto a conservare stretta relazione col Capo della Religione, la qual cosa è indispensabile per conoscere l’errore e conservare intatte le verità della fede. Onde noi possiamo dire che i nostri parrochi ci uniscono coi Vescovi, i Vescovi col Papa, il Papa ci unisce con Dio. Di più, i sacri pastori che governano le chiese particolari, essendosi regolarmente succeduti sempre dipendenti dal Papa, sempre insegnando la stessa dottrina, amministrando i medesimi Sacramenti, ne segue anzitutto la certezza che i ministri della Chiesa Cattolica in ogni tempo e in ogni luogo hanno sempre praticata la medesima fede, la medesima legge, i medesimi Sacramenti come furono predicati dagli Apostoli, e come furono istituiti dal nostro Signor Gesù Cristo; e in secondo luogo che tutti coloro, i quali non sono nella professione della fede e della legge di Gesù Cristo sotto l’obbedienza del Papa e di tutti gli altri legittimi pastori, non appartengono affatto all’ovile di Gesù Cristo, né sono pecorelle da Lui riconosciute per sue, e che riconoscano Lui per loro pastore. Ed al questo riflesso non vi è da tremare sapendo il gran numero di coloro, che non sono in grembo della Chiesa Cattolica e perciò tutti fuori di quell’ovile, in cui solo si può trovare salute? Ma noi santamente rallegriamoci, perché Iddio ci abbia chiamati senza alcun nostro merito a far parte di questo suo gregge, che è la Chiesa Cattolica. Siamo a Lui riconoscenti di un benefizio così grande, e dimostriamogli la riconoscenza nostra con l’essere docili alle voci del pastore universale, il Papa, e di tutti gli altri sacri pastori, come le pecore lo debbono essere alla voce del loro pastore. Dio ce li ha dati per nostri maestri nella scienza della Religione; dunque andiamo da essi ad impararla, e non dai maestri mondani. Dio ce li ha dati per guida nel cammino del cielo, dunque seguitiamoli nei loro ammaestramenti. Dio disse ai suoi ministri: « Chi ascolta voi, ascolta me: chi disprezza voi, disprezza me ». Pertanto andiamo volentieri ad ascoltarli nelle prediche, nelle istruzioni, nei catechismi, nelle spiegazioni del Vangelo. Secondiamoli nei consigli che ci danno, quando ci accostiamo ai santi Sacramenti, o quando ci istruiscono per riceverli degnamente; ascoltiamo le loro voci, come se venissero da Gesù Cristo medesimo. Abbiamo ancora per essi un grande rispetto, epperò Dio ci guardi dal disprezzarli con fatti o con parole. Alcuni giovanetti avendo deriso il profeta Eliseo con soprannomi, il Signore li castigò facendo uscire alcuni orsi da una selva, i quali avventandosi sopra quelli, ne sbranarono quarantadue. E così, chi non rispetta il sommo Pontefice, i Vescovi, i Sacerdoti, deve temer gran castigo dal Signore. Fuggite pertanto le compagnie di coloro che sparlano del Papa, o degli altri sacri pastori, e si fanno a deriderli, e compiangete la loro insensatezza, perché forse ne parlano male senza neppur conoscere chi essi sono! Che se vi accadesse di sentir questioni riguardo al Papa, ai Vescovi ed ai Sacerdoti, dite francamente: Io so bene questa verità, che chi sta coi legittimi pastori della Chiesa, sta con Dio, epperò non cerco altro, e mi glorio di essere una loro pecorella e di seguire tutti i loro insegnamenti.

 3. E finalmente il divin Redentore disse: Ed ho delle altre pecorelle, le quali non sono di questa greggia: anche queste fa d’uopo, che io raduni, e ascolteranno la mia voce, e sarà un solo gregge ed un solo pastore. E con queste parole Egli ci spiegò come la sua Chiesa sarebbesi formata non solo dei Giudei, che lo riconobbero per Dio, ma ancora dei Gentili, che si sarebbero a Lui convertiti, ed in seguito di tutti gli eretici e scismatici, i quali abiurati i loro errori sarebbero rientrati a far parte del suo gregge. Il che, come Gesù Cristo predisse, si è perfettamente avverato e si va tuttora avverando. Sì, o miei cari, anche oggidì, non ostante l’apparenza del contrario, sono a migliaia a migliaia le pecorelle che entrano o tornano all’ovile di Gesù Cristo. Per farvene un’idea sappiate che nel secolo XIX testé passato, come risulta da documenti ufficiali e irrefragabili, i progressi del Cattolicesimo furono addirittura enormi. E sommando insieme il numero dei Cattolici che presentemente si trovano in certi paesi ancor dominati dall’eresia e dal paganesimo, come nell’Inghilterra, nella Scozia, nell’Olanda, nella Germania, nella Svizzera, nella Turchia, nella Persia, nella Russia, nell’Africa, nell’Asia, nell’Oceania, negli Stati Uniti, nel Canada, nella Patagonia e in molte altre regioni dell’America, e facendo poi la differenza col numero di Cattolici che vi erano appena in questi Paesi medesimi al principio del secolo XIX, si viene a riconoscere come il numero dei Cattolici è ivi salito nientemeno che a 46 milioni in più. E questa cifra di 46 milioni non è una cifra, che dice eloquentissimamente come, nonostante gli sforzi dei nemici di Dio e della sua Chiesa, il gregge di Gesù Cristo tende sempre più a quell’unità, che Gesù Cristo stesso gli ha predetta? – Tuttavia, perché questo fatto si compia con sempre maggior larghezza, dobbiamo ancor noi far la parte nostra col l’adoperarci volentieri in tutti i modi per noi possibili alla propagazione della fede tra coloro che giacciono ancora nelle tenebre e nell’ombra di morte, ed al ritorno alla Chiesa di Gesù Cristo di quei tanti infelici, che ancor gemono tra gli errori dell’eresia e dello scisma. Tutti gli anni dei sacerdoti coraggiosi danno l’addio a tutto ciò che hanno quaggiù di più caro e partono. Il naviglio che li trasporta, fra mille pericoli, li sbarca sui ghiacci del polo o sotto i fuochi dell’equatore. Là essi sacrificano la loro vita ad evangelizzare quei nostri fratelli, che non conoscono ancor Gesù Cristo, affine di condurli al suo ovile.Or mentre essi fanno tanto, non lasciamo di far noi quel che possiamo. Facciamoci pertanto ascrivere volentieri alle opere della Propagazione della Fede e della santa Infanzia ed adempiamone gli obblighi con impegno; aiutiamo i missionari con le nostre offerte, e sopra tutto preghiamo assai, affinché Iddio nella sua infinita misericordia faccia davvero venir presto il tempo, in cui di tutti quanti gli uomini del mondo si farà un solo gregge sotto l’ubbidienza di un solo Pastore.

Credo

Offertorium

Orémus

Ps LXII:2; LXII:5  Deus, Deus meus, ad te de luce vígilo: et in nómine tuo levábo manus meas, allelúja.

Secreta

Benedictiónem nobis, Dómine, cónferat salutárem sacra semper oblátio: ut, quod agit mystério, virtúte perfíciat. [O Signore, questa sacra offerta ci ottenga sempre una salutare benedizione, affinché quanto essa misticamente compie, effettivamente lo produca].

Communio

Joannes X: 14. Ego sum pastor bonus, allelúja: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ, allelúja, allelúja [Io sono il buon pastore, allelúia: conosco le mie pecore ed esse conoscono me, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Præsta nobis, quaesumus, omnípotens Deus: ut, vivificatiónis tuæ grátiam consequéntes, in tuo semper múnere gloriémur. [Concédici, o Dio onnipotente, che avendo noi conseguito la grazia del tuo alimento vivificante, ci gloriamo sempre del tuo dono.]

LO SCUDO DELLA FEDE (59)

LO SCUDO DELLA FEDE (59)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO X.

IL PROTESTANTISMO È FALSO PERCHÈ COL SUO PRINCIPIO RENDE IMPOSSIBILE LA SALVEZZA.

Gesù Cristo è venuto sulla terra perché  tutti gli uomini acquistassero la salute, ciò è indubitabile: e però con la sua predicazione spianò il sentiero del Cielo in molti modi. Lo spianò con la cognizione più ampia che apportò al mondo delle verità necessarie a sapersi, lo spianò col magistero che lasciò permanente nella sua Chiesa per mezzo della quale tutti possono con facilità arrivarvi, lo spianò con l’abbondanza delle grazie che ci conferì interiormente, lo spianò per mezzo dei santi Sacramenti che sono a guisa di tanti canali che le portano sempre più copiose alle anime nostre, lo spianò co’ suoi esempli onde ci muove sì efficacemente, lo spianò con le nuove virtù che egli fece conoscere agli uomini. Parve però che i Protestanti avessero invidia di tanti beni che Gesù ci aveva procacciati. Che hanno fatto adunque? Hanno chiusa ad anime senza numero la via del Cielo. Voi non crederete facilmente tanta nequizia, ma ponete mente che io ve lo farò vedere chiaro chiaro. – Noi Cattolici per conoscere sicuramente la verità e per praticarla abbiamo un mezzo semplicissimo, alla portata di tutti, l’insegnamento vivo dei Sacri Pastori. Gesù Cristo stabilì i Vescovi e questi subordinò al Sommo Pontefice. I Vescovi mandano i Sacerdoti, i Sacerdoti insegnano a noi quello che abbiamo da credere, quello che abbiamo ad operare. In questo modo noi sappiamo per l’appunto quali verità e quali misteri abbiamo da credere, quali Sacramenti da ricevere e con quali disposizioni, quali orazioni da fare, quali sono gli obblighi dello stato di ciascheduno e da quali peccati ci abbiamo da guardare per non cadere nel fuoco eterno. Questo mezzo che è semplicissimo è ancora sommamente sicuro perché essendo infallibile la S. Chiesa, ed i Sacerdoti sotto la sorveglianza dei Vescovi, i Vescovi sotto quella del Sommo Pontefice, non potendo insegnar altro che quello che tiene tutta la Chiesa, i semplici fedeli sono al tutto certi di possedere la verità. Mirabile trovato della sapienza di Dio, la quale dispone tutte le cose a suoi fini con semplicità ed efficacia divina! I Protestanti però rovesciando questo bell’ordine di cose hanno preteso che non si debba stare alle autorità né dei Sacerdoti, né dei Vescovi, né del Papa, né di tutta la Chiesa, ed hanno stabilito come principio che ognuno debba da sé leggere la S. Bibbia, da sé intenderla ed interpretarla, da sé cavarsene fuori le verità da credere, da sé applicarsela e non stare in nulla agli altrui insegnamenti; la qual cosa se fosse vera (come per grazia di Dio non è) bisognerebbe che quasi tutto il genere umano si rassegnasse ad andare all’Inferno. Ed è chiaro perché prima di tutto come farebbero i più dei Cristiani a leggere la S. Bibbia? Nel passato prima che ci fosse la stampa non era possibile neppure averne una copia senza grandi spese, ed i più non potevano procurarsela. Inoltre i più non sapevano neppur leggere, perché allora non solo i poverelli ed i lavoratori l’ignoravano, ma non sapevano spesso neppure i Signori. Sarebbe stato anche necessario che avessero conosciuto questo precetto, ma nessuno lo conosceva: e certamente questi grandi maestroni che sempre gridano bibbia, bibbia, non sapranno davvero indicarvi il capitolo della Bibbia dove si trovi un tal precetto. Anche al presente il maggior numero dei contadini, dei lavoranti, degli artieri, delle donne non sa leggere. Bisognerebbe dire che come nel passato, così nel presente il maggior numero dei poverelli dovesse dannarsi: e tuttavia Gesù Cristo ha insegnato tutto l’opposto dicendo anzi che il Regno dei Cieli, il Santo Paradiso è fatto principalmente pei poverelli. E però è falso il Protestantismo che col suo principio li esclude senza lor colpa dal Regno di Dio. – Del resto fingete pure che tutti sapessero leggere, oppure che potessero supplire col sentire gli altri a leggere la S. Bibbia. dunque potrebbero salvarsi almeno così? No, miei cari, se fosse vero il principio dei Protestanti il maggior numero dei Cristiani non avrebbe neppure allora modo di salvarsi. Imperocché che cosa giova il leggere la Bibbia se poi non s’intende, oppur s’intende a rovescio? In cambio di averne la vita se ne avrebbe la morte. Se io credo che Dio prescriva una cosa, quando invece ne prescrive un’altra, se io credo che sia una verità quello che è una mia immaginazione, non è egli vero che mi riuscirebbe un veleno quello che dovrebbe darmi la sanità? Or qui è il punto. L a S. Scrittura è molto oscura e molto difficile e ciò per più ragioni. L’antico Testamento comprende la storia di 40 secoli e ne tocca i fatti principali ma con molta brevità, è tutta figurativa dei tempi del Cristianesimo; del quale poi i Profeti accennano più o meno chiaro le vicende mescolandole coi fatti che allora accadevano: richiede però molto acume d’ingegno e molta penetrazione, perché s’intenda. Bisogna avere cognizioni ampie di storia, di critica, di geografia, di lingue antiche, e soprattutto delle usanze di quei tempi, e delle consuetudini di quegli uomini, altrimenti o non s’intende nulla, o s’intende a rovescio come accade frequentemente. Il nuovo Testamento poi oltre alle difficoltà dell’antico, ha oscurità tutte sue proprie per la profondità dei misteri e delle verità che tratta, come sono la SS. Trinità, l’Incarnazione, la grazia, i Sacramenti, ed andate dicendo. Più, in quelle carte divine tutti questi misteri sono spesse volte appena adombrati perché nella S. Chiesa dovevano poi insegnarsi di viva voce, epperò è sommamente arduo il comprenderli. Come dunque ha da fare il più dei Cristiani ad intendere da sé tutte quelle profondità? Costoro vogliono mettervi sulle spalle un peso che affatto vi è importabile. Da giovani non avete certo potuto occuparvi di questi studi nella vostra condizione. Adesso chi ha la moglie ed i figliuoli che vogliono del pane, chi ha il mestiere, e davvero che non vi è possibile di attendere allo studio della S. Scrittura. E le donne che pur sono una metà dell’uman genere come faranno ancor esse? Come, le povere contadine? Come, le persone di servizio? Come, le coniugate? Davvero che se non basta l’insegnamento dei Sacri Pastori, se non basta apprendere le verità alla Parrocchia, se è necessario intendere da sé la S. Scrittura, possono rinunziare alla eterna salute per sempre. Ora che stranezza, e che crudeltà è mai questa? A queste ragioni sì chiare sapete che rispondono poi i Protestanti? Prima si sdegnano che noi diciamo che la S. Scrittura è difficile ed oscura poi affermano che lo Spirito Santo c’illumina ad intenderne tutto quello che è necessario alla salute. Ma se l’andare in collera bastasse per aver ragione, alla buon’ ora: come però non basta; né il loro sdegno, né le loro pretensioni sullo Spirito Santo valgono punto a sciogliere le difficoltà. Imperocché che la S. Bibbia sia oscura è verissimo, e lo afferma la S. Scrittura. L’Apostolo S. Pietro parlando delle lettere di S. Paolo dice espressamente che vi sono in esse delle cose difficili ad intendersi, che perciò alcuni le depravano siccome fanno di tutte le altre Scritture. Lo dimostrano anche i Santi Padri della Chiesa, i quali tutto che dottissimi e pieni del lume di Dio, tuttavia hanno impiegato immenso studio e grandi volumi per spiegarla. Ma lo dimostra assai chiaramente l’esperienza stessa dei Protestanti. Conciossiachè se la Scrittura è tanto chiara, come essi dicono, perché vi hanno sprecato intorno tanti volumi di spiegazioni? Perché in queste spiegazioni non si trovano mai due che siano di accordo? Perché le credenze che fondano sopra queste spiegazioni sono così disparate? Son divisi in tante sette, quante sono le teste, e poi dicono che la Bibbia è chiara. Un bel giorno ci potranno persuadere che gli asini volano se ci trovano così dolci di sale da credere ai loro paradossi. Queste contraddizioni poi in che cadono mostrano fino all’evidenza quanto sia vero quel che soggiungono dell’assistenza dello Spirito Santo. Imperocché se ognuno avesse cotesta assistenza sarebbe mai possibile che si contrariassero sì fattamente? Lo Spirito Santo non può insegnare altro che la verità, e siccome la verità è una sola, così dovrebbe insegnare a tutti lo stesso. Mentre dunque si avversano, si lacerano, si scomunicano a vicenda, è chiaro come la luce del sole che è una fandonia quell’assistenza che vantano dello Spirito Santo. Resta dunque che se la fede cristiana non può formarsi altro che sulla Bibbia spiegata da ognuno che la legge, è impossibile la fede al più degli uomini. Epperò Gesù Cristo che è venuto sulla terra per apprestare a tutti gli uomini i mezzi della salute ha posto il maggior numero degli uomini (bestemmia orribile) in condizione di non potere giungere alla salute. E che sia così io voglio che ve ne convinciate da quello che fanno e dicono poi essi stessi. Osservate. Insegnano che non si deve credere ad altro che alla Bibbia e poi che cosa fanno dopo d’avervi dato un tale insegnamento? Lo trasgrediscono essi i primi ed invece degli insegnamenti della Bibbia, vi danno i loro. Montano essi in pulpito, leggono la Scrittura, e poi si fanno ad esporvela. Vogliono che la intendiate così e così, che non accettiate la spiegazione che ne dà la S. Chiesa Cattolica, ma che crediate che solo la spiegazione loro è buona. Ora che cosa è tutto ciò? Se la S. Scrittura è così chiara, perché vengono essi a spiegarla? Se lo Spirito Santo assiste tutti quei che la leggono, perché vengono essi a guastare l’opera dello Spirito Santo? Se non si ha da stare all’autorità neppur della Chiesa, perché pretendere che si stia alla loro? Sapete che cosa è? Che veggono ancor’essi che con la sola Bibbia, i fedeli mai non saprebbero né che cosa credere, né che cosa operare, e però sono costretti se vogliono mantenere in piedi le loro sette ad insegnare qualche cosa di viva voce. Il che mostra con ogni chiarezza quel che dicevamo, che la fede è al tutto impossibile con le sole Scritture. Frattanto però che si sono messi all’opera d’insegnare si contentino un poco così per nostra curiosità di manifestarci con qual titolo e con qual autorità il facciano. Sarà non ne dubitate un’edificazione il conoscerlo. Essi hanno rigettato l’insegnamento di S. Chiesa sul pretesto che era composta d’uomini, e che gli uomini son sempre soggetti ad errare, orsù come insegnano essi? Non sono anche essi uomini, e soggetti ad errare? Che privilegio hanno? Forse la scienza, l’erudizione, la critica, la cognizione delle lingue, la storia, la cronologia, la cognizione dell’antichità? Lasciamo stare che tutto ciò nella Chiesa non conferisce l’autorità, lasciamo stare che la scienza di questi propagandisti della Bibbia se non l’han trovata nei caffè, nelle bettole, nelle taverne, nei biliardi non si sa donde sia potuta venire loro in corpo, poniamo pure che siano dotti e sapienti, ci dicano però di grazia, e la scienza s’è andata tutta a rifuggire in loro, sicché non ne sia più rimasta un briciolo nei Sacerdoti, nei Vescovi, nei Prelati, nei Dottori Cattolici? Hanno forse la missione affidata loro da una legittima autorità? Si hanno quella missione che ognuno si è presa da sé medesimo facendosi propagatore della Bibbia, e taluno anche espositore, e taluno perfino (trattenete le risa se potete) mitriandosi da sé sé Vescovo. Avranno forse la Santità della vita che li renda cospicui? Ma facciano dunque qualche miracolo in prova della loro Missione, e poi crederemo loro. Alcuni li ho io uditi rispondere in questa occasione che essi insegnavano perché lo Spirito Santo rivelandosi agli umili ed ai rozzi, essi … non osavano per modestia finir la frase, ma volevano dire che erano proprio gli eletti dello Spirito Santo, perché umili e semplici. Manco male che negli Apostoli sta sempre bene un poco di umiltà: solamente sarebbe da fare qualche osservazione a questi umili e semplicetti, ed è che ogni qual volta Iddio si rivelò ai semplici sempre inculcò loro che abbassassero il loro orgoglio, che si sottoponessero in tutto ai Ministri di S. Chiesa, che non si preferissero a veruno, che anzi si stimassero da meno di tutti. Laddove questi umili e semplicetti di nuova stampa per umiltà si arrogano essi soli l’intelligenza della S. Scrittura, per umiltà la negano a tutta la S. Chiesa, per umiltà chiamano illusi tutti i sacri Pastori, per umiltà rinnegano l’autorità di tutti i Sommi Pontefici, per umiltà antepongono il proprio giudizio a tanti milioni di Cattolici, e tanti gran Santi che hanno riempito il mondo di miracoli, che hanno convertiti tutti i Paesi più barbari suggellando infine la loro fede col loro sangue. Ecco la sola osservazione che abbiamo da far loro. Possono dunque comprendere che se per ora non siamo disposti a creder loro, non ce ne manca qualche ragione. – Ma rimettiamoci in via dopo questa breve digressione. Per ottenere la salute è necessario altresì appartenere alla vera Chiesa, e possedere la vera fede. Ciò è indubitato anche ai Protestanti, i quali non per altro vogliono tirarvi alla loro setta se non sul pretesto di darvi la vera fede, e farvi appartenere alla vera Chiesa. Ora sappiate che se fosse vero quel che insegnano essi che ognuno debba da sé medesimo cercarsi nella Bibbia quello che ha da credere, sarebbe al tutto impossibile la salute perché sarebbe impossibile secondo quel principio giungere alla fede, e ritrovare la Chiesa. Attendete a queste due belle ragioni che sono sì chiare che ponderate da parecchi onesti Protestanti bastarono loro per aprir gli occhi alla verità. La fede per esser tale deve essere pienamente certa; altrimenti sarà un’opinione, una maniera di vedere, una probabilità e nulla più. Ora chi si forma la sua fede solamente leggendo la Bibbia, e senza un’autorità infallibile che gliela dichiari, è impossibile che abbia mai una tale certezza. Imperocché come sarà mai sicuro di averlo colto il vero senso di essa? È costretto tanto più a dubitarne quanto che vede degli altri, i quali sanno più di lui, o quanto lui, e che dicono che hanno la stessa assistenza dello Spirito Santo che lui, e che hanno la stessa sincerità nel ricercare il vero, i quali pure la spiegano affatto diversamente: non potrà dunque a meno di dubitare di essere in errore. Il Luterano vede che il Calvinista la spiega in un altro modo ed in un altro l’Anglicano, il Sociniano in un terzo, il Mormone in un quarto, e poi ancora diversamente il Quacchero, lo Syedemborgiano, il Battista, 1’Unitario, ecc. ecc. – In mezzo a tante spiegazioni chi potrà adulare se stesso fino a credere di essere solo il privilegiato a cogliere nel segno delle verità? Se già non giunge costui a credere infallibile se stesso, dopo che ha negata l’infallibilità a tutta la Chiesa, sarà costretto sempre a dubitare. Ora chi dubita di una verità, non può di quella verità averne fede, che è una certezza che esclude ogni dubbio. Di che ne conseguita che è proprio vero che il Protestantismo ha chiusa la via del Cielo ai suoi seguaci; perché ha strappata loro dal cuore la santa Fede. Inoltre per ottenere salute, è necessario altresì appartenere alla vera Chiesa; la quale è come l’Arca fabbricata da Noè, dicono i Santi, fuori della quale niuno si salva da naufragio. E lo Spirito Santo ci fa sapere che chi non ascolta la Chiesa debba essere riguardato come un gentile ed un pubblicano che è quanto dire che debba riputarsi come fuori della via di salvazione. Ebbene, miei cari, se fosse vero il principio dei Protestanti che ognuno è obbligato a formarsi da sé la sua fede leggendo la Bibbia, sarebbe impossibile a tutti noi appartenere alla vera Chiesa e così salvarci. Questa è la seconda ragione fortissima che io vi proponeva. – Ma come mai, direte voi, i Protestanti non possono appartenere alla S. Chiesa? Per due motivi, primo perché non possono aver Chiesa, secondo perché quando tra loro vi fosse anche la vera Chiesa, essi non potrebbero mai conoscerla. Ed è chiaro che non possono averla, perché che cosa vuol dire Chiesa? Chiesa vuol dire al nostro proposito moltitudine di coloro che professano la stessa fede. Ora come volete che si trovi una moltitudine di quelli che professano la stessa fede tra coloro che interpretano a modo loro la S. Scrittura ? Perché si potesse fare una moltitudine di quelli che pensano lo stesso bisognerebbe che vi fosse una moltitudine di quelli che interpretano allo stesso modo la S. Scrittura. Ora questo è ben possibile, anzi facilissimo a noi Cattolici, perché tutti la spieghiamo come la spiega la S. Chiesa Cattolica, ma tra i Protestanti bisogna per necessità che vi siano quante teste, tante sentenze. E nel fatto poi è veramente così, che niuno vuole stare al detto altrui e Io proclamano altamente, e se ne fanno vanto. Dov’è dunque presso di loro la Chiesa, cioè una moltitudine di quelli che professano la stessa fede? Non v’è, non v’è per quanto la cerchino. Dite sarebbe possibile aver del buon grano, se non si ha neppur del grano? Aver del buon vino, se non si ha neppur del vino? Poveri Protestanti che separatisi dalla cattolica Chiesa, son rimasti orfani al tutto e senza madre! Avessero almeno il buon senso, se pure non vogliono ritornare al seno di Lei, di non strapparne gli altri! Che cosa hanno fatto però? Non avendo una Chiesa vera, ne hanno fabbricate molte con le loro mani, ed ognuno ci vanta poi la sua, quasi fosse proprio quella stabilita da Gesù. Ne hanno fabbricate in Inghilterra, nella Germania, in Prussia, negli Stati Uniti di America, una moltitudine e l’una sempre diversa dall’altre: anzi ogni giorno sono al lavoro di foggiarne qualcuna nuova. Ma che? Fingendo anche che fra tante false ve ne fosse una buona (e dico con ragione fingendo poiché certamente son tutte false) come faranno mai i Protestanti a conoscerla, a ravvisarla fra le altre ? Noi Cattolici abbiamo i miracoli, i martiri, le profezie, la santità, l’apostolicità, e andate dicendo tanti altri segni che ci scorgono a ravvisare e distinguere la vera Chiesa tra tutte quelle che pretendono di esser tali; ma i Protestanti alla cui Chiesa mancano evidentemente tutti questi segni, in qual guisa potranno riconoscere che la loro è la vera indubitatamente? Non è possibile. Che se non possono riconoscerla come faranno a salvarsi? Gesù promise i suoi doni, la sua assistenza e la salute, non a qualunque Chiesa, ma solo alla sua; queste altre non le riconosce, anzi le abomina, che cosa adunque diventeranno quegli infelici che ne fan parte? E d ecco la tristissima condizione a cui vorrebbero condurre anche voi. Gesù nelle sue misericordie vi ha concesso il dono della S. Fede che è la vera radice della salute, vi ha collocati come piante avventurate nel bel giardino di S. Chiesa, perché possiate crescere e portare frutti di eterna vita, e questi sgraziati vi vogliono levare dal cuore la fede, e svellendovi dalla S. Chiesa, mettervi pel cammino di perdizione. Per quanto dunque amate Gesù che vi ha fatto sì gran grazia, per quanto vi è caro il S. Paradiso, per quanto vi preme ruggir l’inferno guardatevi cara la S. Fede, tenetevi stretti alla vostra Madre la Chiesa, ed aborrite quelli che con tanta perfidia tentano di rovinare le vostre anime.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (16): Il Sacro Cuore di GESÙ e la sua dottrina

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ – S. E. I. Torino, 1920]

DISCORSO XVI.

Il Sacro Cuore di Gesù e la sua dottrina.

Un giorno il santo re David pieno di sacro entusiasmo cantava: Dalla pienezza del mio cuore è sgorgata una buona parola, una parola che consacra al mio divin Re tutte le mie opere: Eructavit cor meum verbum bonum, dico opera mea regi. (Ps. XLIV, l) Ciò che Davide asseriva come un fatto particolare fu più tardi da Gesù Cristo affermato come un fatto generale e una specie di legge col dire: La bocca parla dalla pienezza del cuore; ex abundantia cordis os loquitur. (MATT. XII) Ed in vero come non è possibile che mandi fuori dalla bocca buone parole un cuore pieno di tenebre, di superbia, di invidia, di malignità, come era quello dei Farisei, per cagion dei quali Gesù Cristo proferì questa sentenza, così non è possibile che un cuore pieno di luce, di sapienza, di amore, di santità non faccia erompere dalla sua bocca parole buone e sante. – Ora il cuore Sacratissimo di Gesù è propriamente quel cuore, nel quale sono riposti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio: In quo sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ Dei absconditi; (Col. II, 3) è il cuore della Sapienza divina stessa incarnata, e per di più è il cuore più nobile, più amante,più liberale, più generoso che mai si possa immaginare. Epperò un cuor tale come avrebbe potuto ritenere nascosti in sé i tesori della sua sapienza? Il Savio dell’antica legge diceva di sè: « Dappoiché io vidi l’uomo pieno di infermità e d’ignoranza, io bramai e chiesi a Dio con istanza l’intelligenza e lo spirito di sapienza e la ottenni. E questa io preferii ai regni o ai troni, e stimai un nulla tutti i tesori del mondo in suo confronto, perciocché riconobbi che ella è di gran lunga più preziosa delle perle, dell’oro, dell’argento, della bellezza, della sanità, della luce istessa, la quale pur si spegne, mentre lo splendore della sapienza è inestinguibile. Ma questa sapienza che io appresi con pura intenzione e con retto fine non voglio tenerla per me, ma senza invidia la comunico agli altri, facendoli partecipi delle sue ricchezze, giacché ella è un tesoro infinito per gli uomini e coloro che la impiegano a loro vantaggio hanno parte all’amicizia di Dio, divenuti commendevoli perciò appunto che della loro sapienza fanno generoso dono agli altri. » (Sap. VII, 7-14) Or bene ciò che Salomone affermava di sé non era su non una pallida immagine di ciò che avrebbe fatto N. S. Gesù Cristo, il Savio, il Maestro, il Dottore per eccellenza. Ed in vero poiché Egli era venuto altresì sopra la terra illuminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent, ad dirigendos pedes nostros in viam pacis, (Luc. I, 79) ad illuminare quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte e a indirizzare i nostri piedi per la via che conduce al godimento della vera pace nel tempo e nell’eternità, giunto che fu il tempo conveniente, uscito dalla sua vita privata si accinse alla grand’opera della predicazione della sua celeste dottrina, facendola uscire come alito divino da quel Cuore Santissimo, che n’era traboccante. La dottrina adunque di Gesù Cristo è pur essa una splendida e specialissima prova dell’amor suo per noi, e ben la simboleggiano quelle fiamme che circondano ilsuo Divin Cuore, giacché nell’ordine spirituale la dottrina di Gesù Cristo è luce e calore come lo è nell’ordine materiale la fiamma. E quest’altra dimostrazione dell’amore divino del Sacro Cuore per noi la studieremo in questo discorso.

I . — Per ben apprendere la grande prova di amore che il Cuore di Gesù ci ha dato con l’insegnamento della sua dottrina,  dobbiamo riconoscere anzitutto che Egli ebbe realmente una vera dottrina. Perciocché tra i più gravi errori sparsi ai di nostri da certi empi scrittori della vita di Gesù Cristo vi ha pur questo che Egli una vera dottrina nel vero senso della parola non l’abbia né avuta né predicata giammai, ma che in quella vece quella dottrina che oggi ci propone a credere e seguire la Chiesa, come opera di Gesù Cristo, siasi formata a poco a poco per opera degli Apostoli, dei Padri e dei Dottori, dei Pontefici, dei filosofi cristiani, in una parola per opera degli uomini. – Or bene egli è certo che Gesù Cristo non formulò Egli in termini né un simbolo, né un codice morale; egli è certo che il piano della sua dottrina non si manifesta in un metodo conforme a quello che sono soliti ad usar gli uomini nell’ammaestrare; egli è certo che nel suo insegnamento non vi ha la prefazione che previene il lettore, né la distribuzione delle materie che solleva l’intelligenza, né l’ordine, la concatenazione ed il progresso che fanno vedere l’unità dell’opera; ma con tutto ciò è pur certissimo che il simbolo ed il codice morale che la Chiesa ci propone a credere e seguire sono racchiusi negli insegnamenti di Gesù Cristo; è pur certissimo che tutti gli insegnamenti suoi sono tra di loro collegati, ordinati e dipendenti gli uni dagli altri per guisa da non essere difficile a qualsiasi uomo dotato di un po’ d’intelligenza e di buona volontà, scoprire una vera dottrina e rilevare l’impronta della più alta sapienza. – Ed ecco perché leggendo il Santo Vangelo si trova ad ogni tratto che Gesù Cristo parla della sua dottrina, de’ suoi precetti, delle verità alle quali è venuto a rendere testimonianza, della luce che ha portata al mondo e della fede che devesi dare alla sua parola. Ecco perché gli Apostoli cominciando la loro predicazione si presentano agli uomini come i testimoni delle virtù, dei miracoli è dei discorsi di Gesù Cristo ed annunziando la sua parola le danno sempre il nome di parola di Dio! Ecco perché S. Paolo dichiara che l’Evangelo che egli va evangelizzando non è secondo l’uomo, né dall’uomo l’ha ricevuto od appreso, ma bensì per rivelazione da Gesù Cristo stesso. Ecco perché ancora i primitivi Cristiani da per tutto, a Gerusalemine, a Roma, a Filippi, a Colossi, ad Efeso, a Corinto, a Tessalonica, a Lione, apprendono e credono la dottrina di Gesù Cristo, osservano i suoi precetti, praticano levirtù che Egli ha predicato con la parola e con l’esempio, s’appoggiano nella loro speranza alle sue promesse, credono e professano in una parola il suo Vangelo, quel Vangelo che leggiamo,apprendiamo e professiamo noi senza differenza di sorta.Come dunque è possibile il dire che la dottrina cristiana non è opera di Gesù Cristo, ma una lenta e graduata creazione degli uomini?Ma quando pure mancasse in ciò la testimonianza dei fatti, non ne mostrerebbe l’impossibilità lo stesso più volgare buon senso? Non credo vi sia alcuno di noi che non abbia veduto qualche bella opera d’arte, ad esempio qualche stupendo quadro. Ora supponiamo che trattandosi del quadro della Trasfigurazione, che forma il capolavoro di Raffaello ci si volesse dare ad intendere che non è già il celebre Urbinate quegli che lo ha fatto, ma che in quella voce ò una moltitudine di pittori diversi, i quali a poco a poco, l’uno dopo l’altro hanno dato sulla tela ciascuno alcune pennellate, donde alfine n’è uscito quella grande meraviglia. Non è egli vero che ci porteremmo a ridere? Che così possa essere stato fatto il quadro della Trasfigurazione è impossibile. Qualsiasi quadro nel quale apparisca unità, armonia, bellezza mostra una stessa intelligenza che l’ha concepito ed una stessa mano che l’ha dipinto; e quando pure, come accadde pel quadro della Trasfigurazionenon finito a tempo da Raffaello, un’altra mano vi entrasse, non tornerebbe difficile a scoprirla. Or bene la dottrina di Gesù Cristo è come un quadro perfettissimo, un disegno a cui nulla manca, un complesso di verità, che non ostante l’apparenza del contrario si legano, si compenetrano tra di loro come i colori di una magnifica tela, e formano un’ammirabile unità. Giacché in questa dottrina tutto mira a farci riconoscere che Gesù Cristo è Figliuolo di Dio, incarnatosi e fattosi uomo per operare la nostra salute, e a questo dogma fondamentale e centrale fanno capo e per questo raggiano tutte le altre verità e dogmatiche e morali. Or come sarebbe possibile che questa dottrina così perfetta, così unita, che non ha che un unico scopo, sia l’opera lenta e graduata di molti? non già di quel solo Gesù Cristo, da cui la Chiesa, appoggiata alle più irrefragabili testimonianze, la riconosce? Gesù Cristo adunque ebbe una dottrina, e questa dottrina Egli la predicò, sia pure in un angolo oscuro della terra, nella piccola regione della Giudea, senza apparato esenza tono di pomposità negli angoli, per le vie e nelle piazze, sul dosso dei monti e sulle rive dei laghi, nel tempio e nei deserti, dovunque vi erano persone ad ascoltarlo, ma la predicò.E a differenza di quei filosofi avari dell’antichità, che riserbavano la comunicazione dei loro pensieri agli spiriti eletti, a differenza di quei Platonici che vedendosi contrastati nell’insegnare la dottrina del loro maestro preferivano di tenerla occulta, Gesù Cristo predicò la sua dottrina a tutti e nel modo più palese: Ego autem palam locutus sum mundo. (Io.XVIII, 20) Egli fu davvero quel seminatore evangelico che sparge da per tutto la sua semenza per la via e sull’arida pietra, tra le spine e il buon terreno, insegnando ai grandi e ai piccoli, ai dotti, e agli idioti, ai ricchi e ai poveri, agli amici ed ai nemici, a tutti. Che se ebbe nel suo insegnamento delle preferenze, queste furono propriamente per gli spiriti rozzi, per i meschini, pei poverelli: Pauperes evangelizzantur.

II. — Ma non solo Gesù Cristo ebbe e predicò una dottrina, ma una dottrina tutta sua propria, che appartiene interamente a Lui. Vi furono di coloro che parlando della morale asserirono che Socrate ne fu l’inventore. Ma lo stesso Gian Giacomo Rousseau rispose a costoro dicendo: No, inventore della morale non fu Socrate. Altri prima di lui l’avevano messa in pratica, ed egli non fece che dire ed insegnare ciò che altri avevano fatto, egli non fece che ridurre i loro esempi in lezioni. Aristide era stato giusto prima che Socrate dicesse ciò che è giustizia; Leonida era morto per il suo paese, prima che Socrate avesse fatto un dovere dell’amor di patria; Sparta era sobria prima che Socrate avesse lodato la sobrietà; e prima che egli avesse definito la virtù, la Grecia abbondava di uomini virtuosi. (Emil. lib. V) Ora se si potesse adoperare il vocabolo inventare quando si tratta di giustizia e di verità che sono cose eterne, dovremmo aggiungere a quanto disse il filosofo Ginevrino, che inventore della morale fu Gesù Cristo. Ma diciamo piuttosto: Gesù Cristo insegnando fu del tutto originale, sicché ben avevano ragione i suoi contemporanei di esclamare udendolo: Nunquam sic locutus est homo sicut hic; (Io. VII, 46) Nessuno mai ha parlato come egli parlò. – Ah, per certo fanno veramente ridere quei saputi moderni i quali, non potendo negare che Gesù Cristo ebbe una dottrina, asseriscono che egli la tolse in gran parte dai libri ebraici e dai Savii dell’antichità, e che però la sua dottrina non ha nulla di nuovo. Ma vorrebbero dunque costoro che Gesù Cristo per essere originale ne’ suoi insegnamenti avesse rigettate quelle verità che Iddio fece rifulgere al popolo ebreo ed agli stessi Gentili? Se Egli stesso era Dio, poteva Egli mettere da banda ciò che come Dio aveva rivelato e fatto conoscere agli uomini prima di incarnarsi? Non solo non poteva, ma ponendo nella sua dottrina certe verità già rivelate al popolo ebreo e conosciute degli stessi Gentili, Egli non fece altro che appropriarsi legittimamente ciò che da tutta la eternità gli apparteneva e che lungo il corso dei secoli aveva agli uomini comunicato. Ma pur ponendo nella sua dottrina queste verità, quante altre ne proclamò interamente nuove! Egli fu propriamente quello scriba dotto che a somiglianza del padre di famiglia trae fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie. Ed invero chi mai tra i savi antichi diede insegnamenti somiglianti a quelli di Gesù Cristo, per esempio, riguardo a Dio, alla sua bontà, alla tenerezza del suo amore paterno per noi, alle tre Persone perfettamente uguali, Padre, Figliuolo, Spirito Santo, che in esso vi sono? Chi apprese agli uomini come Lui ad adorare Iddio in ispirito e verità e ad implorarne i favori con un’orazione che sebbene brevissima contiene nondimeno tutto ciò che dobbiamo sperare e domandare da Dio, al Quale vi si volge il più dolce dei nomi, quello di Padre? Chi, come Gesù Cristo, diede la vera nozione del bene e del male? Chi al par di Lui fece conoscere in che propriamente consista la virtù? Chi rivelò, come Egli fece, la vera dignità e libertà dell’uomo? Chi die’ precetti simili ai suoi, riguardo alla carità, alla dilezione dei nemici, all’universale fratellanza, all’abolizione d’ogni schiavitù, all’unità e indissolubilità del matrimonio, alla castigazione del corpo, all’obbedienza della civile autorità? Qual savio eruppe come Gesù Cristo in queste esclamazioni: «Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli; beati i mansueti perché possederanno la terra: beati i mondi di cuore perché vedranno Dio; beati coloro che piangono perché saranno consolati; beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati; beati i misericordiosi perché troveranno misericordia; beati quelli che sono odiati, calunniati, perseguitati, perché di essi è il regno dei cieli! » Chi mai disse questo? Nessuno, nessuno mai: Nunquam sic locutus est homo, sicut hic. Né solamente nessuno mai diede certi insegnamenti e precetti dati da Gesù Cristo, ma nessuno mai per quanto sia apparso agli uomini siccome uno de’ più grandi dottori, diede una dottrina per ogni verso perfetta come è quella di Lui. Fate pur passare dinnanzi alla vostra mente tutte le dottrine che portano nomi umani, e in tutte o troverete lacune o troverete errori. Qua ci si dice che tutta la materia è Dio, là che Dio è un’egoista che ignora le nostre miserie, altrove che vi sono due sommi principii, l’uno da cui viene tutto il bene, l’altro da cui origina tutto il male; altrove che ogni cosa è regolata dal fato, altrove che la virtù è la stessa cosa che il piacere, altrove che l’anime finiscono nel nulla, oppure in goffe trasmigrazioni, oppure in un paradiso dei sensi, in un harem eterno. Persino nella dottrina che Iddio stesso diede al popolo ebreo, se non vi sono errori, ciò che sarebbe impossibile, vi sono tuttavia delle lacune, che Iddio lasciò a bella posta avendo Egli stabilito di compiere e chiudere la divina rivelazione nel Figliuol suo incarnato. Ma invece nella dottrina di Gesù Cristo non manca nulla. Cercate pure in essa chi è Dio, chi siamo noi, donde veniamo, a che fare siamo posti su questa terra, dove andiamo, qual è la regola della nostra vita, quali doveri abbiamo col nostro Creatore e Redentore, quali con noi stessi e col nostro prossimo, quali le virtù che dobbiamo esercitare, quali si convengono ad ogni umana condizione, ai principi e ai sudditi, ai padroni e ai servi, ai genitori e ai figliuoli, ai maestri e ai discepoli, ai ricchi e ai poveri, ai felici e ai tribolati, quale premio infine ci sia riservato se faremo il bene, quale castigo ci aspetti se opereremo il male, e a tutto troverete una risposta esatta, precisa, sicura. E con tutto ciò in tutta la dottrina di Gesù Cristo non il più piccolo sbaglio, non il minimo errore. Si potrà certamente da un cuore maligno a bello studio malamente interpretarla or in questo or in quell’insegnamento, ma le anime che l’accettano e la seguono fedelmente si elevano a tale giustizia e perfezione che anche le anime oneste e più irreprensibili secondo il giudizio del mondo impallidiscono e diventano volgari di fronte a quelle. La dottrina di Gesù Cristo fa i santi.

III. — Sì, la dottrina di Gesù fa i santi perché non solo è dottrina originale, ma dottrina al tutto sicura perché al tutto divina. Un giorno quel Socrate che fu tanto celebrato nell’antichità parlando ai suoi discepoli diceva loro: « Voi credete a me in guisa da far più conto della verità che non di Socrate. Che se a voi parrà che io dica il vero accordatevi meco, se non vi parrà, con ogni maniera di ragioni contrastatemi, guardando che per l’ardente desiderio io non induca in errore me stesso con voi. » (Plat. nel Fedone). Or bene come ha parlato questo gran maestro greco, così hanno parlato tutti gli altri grandi Savi. In tutti si manifesta sempre l’uomo, vi ha sempre in essi l’esistenza, l’incertezza, il timore di errare, lo sforzo per concepire la verità, il dubbio di averla appresa e di farla accettare dagli altri, e non di rado una grande sfiducia su tutta la loro dottrina. Quale diversità in Gesù Cristo! Egli si fa ad insegnare dicendo: La mia dottrina è celeste: Io sono la luce, la via, la verità e la vita. Le parole che Io vi parlo sono spirito e vita. Epperò Egli parla con sicurezza, con decisione di linguaggio, disdegnando gli umani argomenti. Ad ogni tratto dalle sue labbra escono fuori queste espressioni al tutto proprie di Lui: « In verità, in verità vi dico — Io, vel dico Io, che parlo — Credete alla mia parola — Fate così Lasciate questo. » Insomma Egli afferma e conclude con l’autorità d’un maestro supremo, che non sente al di sopra di sé  alcun giudice, che non tollera discussioni, che non teme smentite: Erat docens sicut potestatem habens. (MATT. VII, 29) così appunto insegnava Gesù Cristo perché era Dio. – Ed ecco altresì il perché la dottrina di Gesù Cristo è passata e passerà a tutti i paesi e a tutti i secoli fino alla fine del mondo. Ah per certo nessun’altra dottrina di nessun Savio, di nessun Dottore per quanto grande ha ottenuto una tal ventura. Che anzi forse non vi è stato mai dottore alcuno che abbia avuto in cuore tale aspirazione per la sua dottrina se pure vi fu chi l’abbia avuta, certamente nessuno mai ha osato di esprimerla. Gesù Cristo al contrario pur predicando la sua dottrina tra gli stretti confini della Giudea, vede profeticamente questa dottrina spargersi per tutto il mondo e ciò che Egli vede lo annunzia chiaramente, dicendo che la suaparola è un piccolo seme che grandeggerà e diventerà un albero immenso che coprirà tutta la terra. (MATT. VIII , 31). – Forse cheEgli basava tale sicurezza o sulla valentia intellettuale de’ suoi discepoli o sulla potenza di qualche libro magistrale che egli avrebbe scritto? Ah tutt’altro! Egli si sa troppo grande maestro per prendere la volgare cautela di scrivere dei libri, e in quanto ai suoi discepoli, non sono altro che dodici rozzi pescatori. Eppure è a questi che Egli dice: Andate ed ammaestrate tutte le genti: euntes docete omnes gentes. Ed ecco che così succede e la dottrina di Gesù Cristo dapprima per mezzo degli Apostoli, poscia per mezzo dei loro successori si spande sino agli estremi confini della terra e attraverso a tutte le età. E ciò senza che avvenga in tale dottrina la menoma alterazione, giacché anche oggi si insegna ciò che Gesù Cristo ha insegnato, e quel che si insegna qui nella nostra Italia è ciò che si insegna anche nella landa più inospitale della terra, pur che vi giunga l’apostolo di Gesù Cristo. Ecco la potenza di comunicazione che possiede in se stessa la dottrina del divino Maestro, e la possiede appunto per ciò che è la dottrina di un Dio. Oh quale prova di amore adunque ci ha dato Gesù Cristo facendo sgorgare dal suo Cuore divino la sua celeste dottrina! Quale benefizio immenso ci ha fatto! Mercé questa divina parola, che Egli ha affidato alla Chiesa in sicuro deposito, anche noi benché alla distanza di diciannove secoli dalla sua predicazione siamo illuminati, ammaestrati, diretti, santificati, anche noi apprendiamo a conoscere, ad amare e servire Iddio, anche noi vediamo rischiarato il cammino pel quale possiamo giungere alla vita eterna. Se non che a tal fine è necessario assolutamente di corrispondere a tanta prova di amore, e la corrispondenza in questo caso esige che noi ci applichiamo seriamente .a ben conoscere la dottrina di Gesù Cristo. E qui ammiriamo ancora a questo riguardo la previdente delicatezza della bontà del divin Cuore. Non solamente Egli ne ha fatto uscir fuori la sua dottrina, ma ancora quella grazia che trasfondendosi nel cuor nostro per mezzo del Santo Battesimo ci rende atti ad apprendere la dottrina sua. Perciocché per mezzo del Sacramento di rigenerazione il Cristiano contrae delle abitudini di ordine soprannaturale che in rapporto alla dottrina di Gesù Cristo sono ciò che il senso dell’udito è in rapporto ai suoni, ciò che l’apparato digestivo è in rapporto al nutrimento. Ma ad essere veri Cristiani e specialmente devoti del Cuore di Gesù è troppo necessario non lasciar assopite queste abitudini, bisogna tenerle deste ed esercitate nell’apprendere la dottrina del divino Maestro. Questa dottrina cristiana voi l’avete appresa un giorno sulle ginocchia della vostra madre tra le sue amabili carezze e i suoi dolci sorrisi. In seguito, giova crederlo, allargandosi la vostra intelligenza ed essendo ornai giunto il tempo di accostarvi a ricevere Gesù nel vostro cuore per la prima volta, voi avete appreso la dottrina cristiana anche più largamente, seduti sui banchi della Chiesa dal labbro di un buon catechista. E poi? E poi? Ahimè! quanti si credono per tal guisa di aver fatto tutto ciò che importava di fare riguardo alla dottrina cristiana. Ed oh! che grande errore, contro del quale noi rappresentanti, benché indegni, di Gesù Cristo non protesteremo mai abbastanza. La dottrina cristiana che si apprese da fanciulli era quella che bastava all’età nostra di fanciulli; ma come potrà essa bastare quando si è giunti ai quindici, ai sedici anni? Più ancora, come basterà di mano in mano che avanzandosi la nostra vita si arriva ai venti, ai trenta, ai quarant’anni? Chi non sa, chi non vede, chi noi tocca con mano che col crescere dell’età, oltre che crescono in noi le passioni contro le quali dobbiamo premunirci, gli errori e le massime del mondo moltiplicano spaventosamente contro di noi le loro cospirazioni? Non sarà dunque un dovere stringente per ogni età della nostra vita studiare la dottrina di Gesù Cristo, meditarla e custodirla nel nostro cuore per essere costantemente forti e vittoriosi contro gli assalti delle nostre passioni e contro gli errori e le massime del mondo! Deh! adunque, o miei cari, compite sempre volenterosi questi dovere. Venite mai sempre volonterosi a stringervi attorno a queste cattedre, dalle quali a voi si spiega la dottrina di Gesù Cristo. Col vostro gusto al tutto cristiano non cercate e né assaporate mai altro in essa che la verità. Studiatela la dottrina cristiana e meditatela anche da voi con la lettura attenta ed amorosa di quei santi libri che la contengono; e soprattutto praticatela! – E voi, o Cuore SS. di Gesù, con quella dottrina che è proprio tutta vostra, siate luce alle anime nostre per tirarle a voi, siate spada per trafiggerle, siate fuoco per divorarle, siate rugiada per refrigerarle, siate balsamo per confortarle. Discacciate ogni tenebra dalla nostra intelligenza, dissipate ogni dubbio del nostro cuore, rendeteci forti contro gli assalti dell’errore e fateci ben comprendere che tutto il sapere consiste nel conoscere Voi e la vostra dottrina. Perciocché a che cosa ci gioverà un dì l’aver appreso anche tutte le scienze umane, se non avremo appresa la scienza vostra? Voi l’avete detto, e fate che si avveri per ciascuno di noi: In questo si fa acquisto della vita eterna, nel ben conoscere Iddio ed il suo divin Figliuolo, ch’Egli ha mandato a redimerci: Hæc est vita æterna ut cognoscant te solum Deum verum et quem misisti Jesum Christum. (Io. XVII, 3).

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 3 MAGGIO, INVENZIONE DELLA S. CROCE

3 Maggio.

INVENZIONE DELLA SANTA CROCE.

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. Di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim.Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

SULLA CROCE

Complacuit per eum reconciliare

omnia in ipsum, pacificans

per sanguinem crucis

eius, sive quæ in territ, sive

quæ in cœlis sunt.

[Piacque a Dio per Gesù Cristo riconciliar seco ogni cosa, pacificando pel sangue della sua croce tutto ciò ch’è in terra e tutto ciò che è in cielo]. (COLOSSESI: I, 20) .

Chi di noi, miei fratelli, potrà volger lo sguardo a questa Croce sacrosanta, su cui Gesù Cristo ha sacrificato la vita, e non sentirsi compreso dalla più viva riconoscenza? Ecchè, miei fratelli, Gesù Cristo, eguale al Padre, muore per salvarci! O santa Croce! O Croce preziosa! Senza di te non ci sarebbe toccato il cielo! Senza di te non avremmo avuto parte con Dio! Senza di te avremmo dovuto piangere eternamente nell’inferno! Senza di te non avremmo avuto felicità nell’altra vita! Sì, questa Croce ha fatto scendere dal cielo il Figliuol di Dio, pel desiderio, ond’era acceso, di morire sopr’essa e così redimere il mondo intero. Quanti beni rammenta la vista della Croce ad un Cristiano che non ha perduta la fede! Ohimè! Che cos’era di noi prima che questa Croce fosse tinta del Sangue adorabile del Figliuol di Dio! Eravamo sbanditi dal paradiso, separati per sempre da Dio, condannati a vivere eternamente nelle fiamme, e piangere e soffrire per giorni senza fine. Torniamo spesso ai piedi della Croce, e in essa vedremo la chiave che ci ha aperto le porte del cielo e chiuso l’inferno. O mio Dio! se per mezzo della Croce ci furono dati tanti beni, in qual rispetto e in quale stima dobbiamo tenerla! Per accrescere in voi questo rispetto vi mostrerò: 1° quali benefizi riceviamo dalla Croce; 2° quale stima dobbiamo farne.

I. — Prima che la Croce fosse santificata dalla morte di un Dio fatto uomo, i demoni erano padroni sulla terra, e, simili a leoni, divoravano tutto ciò che si faceva loro innanzi. Questo spirito delle tenebre lo confessò un giorno di sua bocca a S. Antonio, dicendogli che, dopo la venuta del Messia, era stato incatenato, e non poteva nuocere che a chi l’avesse voluto. S. Antonio, in tutte le sue tentazioni così frequenti e violente, non aveva altr’arma che il segno salutare della Croce (Vite dei Padri del deserto, T. I , pag. 32, 39); e perciò fu sempre vincitore del suo nemico. Santa Teresa con un solo segno di Croce mise in fuga il demonio, che le apparve un giorno in figura d’una montagna aperta e pronta ad inghiottirla. Non entrerò in lunga enumerazione dei beni che ci vengono dalla Croce. La Croce ci è valsa un’eternità felice; essa ha mutato in amore senza confini la collera del Signore; essa ha strappato i fulmini dalle mani dell’eterno Padre per riempirle d’ogni sorta di doni e di benedizioni. La Croce ci procura altresì e i buoni pensieri, e i buoni desideri, e i rimorsi della coscienza e il dolore delle colpe passate. Ah! non basta ancora! Per mezzo di questa Croce siam divenuti figli ed amici di Dio, fratelli e membri di Gesù Cristo, eredi della sua eterna felicità; sopr’essa è pur nata quella bella Religione, che, con le sue consolazioni, ci dà speranza di felice avvenire. Da questa Croce traggono ogni loro efficacia i Sacramenti. O bella e santa Croce, quanti beni ci hai meritati! Tu fai ogni giorno scorrere sui nostri altari il Sangue adorabile di Gesù Cristo per placare la collera di Dio! Dalla Croce germogliò la manna celeste, cioè l’adorabile sacramento dell’Eucaristia, che, sino alla fine de’ secoli, sarà cibo delle anime nostre. La Croce ha prodotto quelle uve misteriose, il cui succo abbevera l’anima nostra nei giorni di quest’esiguo. Il peccatore vi trova la conversione, il giusto la perseveranza. O Croce bella e preziosa! Sarebbe pur forte e terribile contro le potenze infernali chi venisse spesso a’ tuoi piedi! Dico inoltre che la vista della Croce costituisce la gloria de’ Santi in cielo, e la disperazione dei dannati nell’inferno. Infatti gli eletti in cielo vedono che dalla Croce provennero la gloria e la felicità di cui godono, e che su questo santo legno nacque quell’amore che deve inebriarli eternamente. Invece la vista soltanto della Croce metterà ne’ dannati la disperazione. Ricorderanno che avrebbe potuto esser per essi mezzo di salute, via per sfuggire l’eterna infelicità, sorgente copiosa di aiuti e di grazia. Ah! triste ricordo di tanti beni non curati! Soltanto per via della Croce possiamo giungere al cielo. Vi sono varie specie di croci: le une interiori ed invisibili, le altre visibili o sensibili. Le prime s’aggravano su tutti gli uomini senza alcuna eccezione; ciascun di noi ha la sua. Trattiamo di questo famigliarmente. 1° Mi chiedete che cosa sia una croce invisibile? Con questo nome intendo, p. es., una violenta tentazione che vivamente v’incalza per farvi cadere in peccato; una calunnia che si spaccia contro di voi; la perdita di beni di fortuna; un torto che vi si fa; una malattia che sembri non volervisi più toglier di dosso. Son pure croce invisibile quelli scherni, quei dispregi di cui vi si caricherà senza posa. Tutte codeste croci sono addolcite e perdono quasi tutta la loro amarezza se si riguarda la Croce su cui il nostro buon Salvatore è morto per strapparci dagli artigli del demonio. Volete che le vostre pene vi riescano leggere, anzi dolci e gradevoli? Venite un momento con me ai piedi della Croce, su cui fummo rigenerati in Gesù Cristo. Vi si dispregia? Considerate il vostro DIO tra le mani de’ Giudei, trascinato pei capelli, spinto contro i muri, con gli occhi bendati, con le mani legate a tergo, battuto con violenti colpi di pugno e di bastone, mentre gli si chiede chi l’ha percosso. Siete povero? Ebbene, mirate questo DIO in un presepio, steso su poca paglia. Volete di più? Volgete i vostri sguardi alla Croce, e vedrete questo DIO morire spogliato delle sue vesti. Siete calunniato? Udite le bestemmie e le maledizioni che si vomitano contro un Dio venuto sulla terra per ricolmarla di benedizioni. Tutto quello che si dice contro di Lui è falso; e in che modo si vendica? Pregando per quei che lo calunniano. Siete sotto il peso delle sofferenze e delle malattie? Alzate gli occhi a questa Croce, considerate il vostro DIO appeso ad essa, che muore della morte più crudele e più dolorosa. Padre, deh! perdonate a quei che mi danno la morte: per essi perdo la vita, soffro per i loro peccati. Che cos’è, amici miei, ciò che soffriamo noi, se lo paragoniamo a ciò che Gesù Cristo ha patito per noi? Ah! fratelli miei, i Santi conoscevano pur meglio di noi il pregio de’ patimenti! Vedete S. Giovanni della Croce battuto dai suoi religiosi a segno da cadere immerso nel suo sangue. Gli apparve Nostro Signore e gli disse: « Giovanni, che cosa vuoi che ti dia in ricambio di ciò che soffri con tanto amore? » — « Ah! Signore, non diminuite di grazia i miei patimenti; ma fate invece per tutta ricompensa ch’io soffra sempre più, poiché Voi, che siete l’innocenza medesima, avete sofferto tanti tormenti » ((Ribadeneira, ai 14 di Dicembre). S. Bernardo non poteva guardare la Croce senza versar lagrime vedendo quant’ha patito un Dio per noi. Udite che cosa disse un giorno Gesù Cristo a San Pietro martire, quando si lamentava degli oltraggi che gli venivano fatti: « Ed io, che cosa ho fatto, o Pietro, quando m’hanno crocifisso? » (Ribadeneira ai 29 d’Aprile). Sì, miei fratelli, ai piedi della Croce impareremo che cos’è il peccato, quanto grande è il pregio dell’anima nostra e l’amore di un DIO per gli uomini. Ai piedi della Croce troveremo le più dolci consolazioni nelle nostre pene, la forza più valida nelle tentazioni e all’ora della morte la più ferma fiducia. Torniamo adunque spesso ai piedi della Croce ad espandere il nostro cuore, e vi impareremo che cosa ha fatto un DIO per noi e che cosa dobbiamo fare per Lui.

II. — In primo luogo ho detto che a’ piedi della Croce impareremo che cos’è il peccato e qual orrore dobbiamo averne. Pare, sì, che il fuoco dell’inferno ci faccia intendere in qualche parte l’enormità del peccato, perché per un pensiero di superbia, che sarà durato appena uno o due minuti, se moriamo in tale peccato, saremo condannati ad ardere nelle fornaci accese dalla collera di Dio Onnipotente (Il Beato suppone qui manifestamente un peccato di superbia che sia peccato mortale; ma convien confessare che tal peccato di superbia è raro assai. – Nota degli editori francesi). Un tale avrà rubato cinquanta soldi o tre franchi al vicino; se, potendo, non ha restituito, questo solo peccato lo farà precipitar per sempre negli abissi (Quando il Beato scriveva così, il denaro era più raro, e aveva maggior valore; quindi il furto di cinquanta soldi o tre franchi, specialmente fatto ad un campagnuolo, era materia grave; oggi che il denaro è più abbondante e di minor valore quest’asserzione del Beato parrà severa. I Teologi richiedono comunemente materia più considerevole, perché vi sia peccato mortale. – Nota degli editori francesi – Ben inteso che a decidere della gravità della materia nel furto non si deve badar soltanto alla quantità in sé, ma in relazione alle circostanze del caso. – Aggiunta del Traduttore). E così d’ogni altro peccato; il che fa fremere o mio DIO! è pur cieco l’uomo che lo commette! Ma più cieco ancora è colui che l’ha commesso e, vedendosi in tale stato, spinge la demenza a segno da rimanervi. Tuttavia oso dire che l’amore d’un DIO morente sulla Croce, mostra in modo anche più vivo la malizia e la follia del peccato. In vero se consideriamo tutto quello che Gesù Cristo ha patito per esiliarlo, le sue umiliazioni, gli oltraggi, le bestemmie vomitate contro di Lui, la sua crocifissione e la sua morte, deve dirsi: Solo un DIO può conoscere che cos’è il peccato. Ho detto in secondo luogo che la Croce ci fa conoscere l’amore infinito d’un DIO per le sue creature. Ah! figliuoli miei, ci dice dall’alto della Croce su cui è confitto, vedete se vi è possibile trovar amore simile al mio: poteva Io far di più che morire per voi? Ah! se guardassimo la croce con gli occhi della fede, potremmo forse trattenerci dall’esclamare con S. Paolo: O Croce sacrosanta! O Croce d’amore, quanti beni ci porti! Ah! figliuoli miei, non amerete dunque il vostro DIO? Sì, miei fratelli, se amassimo veramente Iddio, vivremmo solo per Lui! Voglio dir con questo che dobbiamo prenderlo  per modello, aver piacere d’essere umiliati, disprezzati, calunniati, e, anziché vendicarci, riguardare invece tutto questo come cosa venuta dalle mani di DIO e come grazia grande ch’Egli ci concede. Se voleste imitar Gesù Cristo, fuggireste i piaceri, i balli, i festini, i giuochi e le bettole; perché Gesù Cristo ha condannato tutte queste cose coll’esempio di una vita penitente e ritirata. Imitate Gesù Cristo e non temerete punto la morte; anzi sarà per voi una felicità, perché vi riunirà a Lui. Se vivrete staccati dalle cose della terra il vostro cuore sarà tutto pel cielo. Ho detto poi, miei fratelli, che la Croce sarà la consolazione del Cristiano che l’avrà portata con gioia nel corso della vita. In vero quale aiuto avrete in quel terribile momento che deciderà della vostra sorte eterna? Dove volgerete lo sguardo, dove indirizzerete i vostri sospiri e le vostre preghiere, se non verso la Croce? Che cosa vi si metterà sott’occhio, che cosa vi si porrà tra le mani, che cosa vi si accosterà alle labbra? Solo la Croce, fratelli miei. Qual nome vi si farà ripetere in quel momento? Il nome di Gesù e di Gesù crocifisso. Oh! qual consolazione sarà pel Cristiano tenere all’ora della morte tra le sue mani la Croce, se nel corso della sua vita essa fu oggetto delle sue meditazioni e del suo amore! Potrà allora dire al suo Giudice: « Signore, vedete che non ho mai fuggita o spregiata la vostra Croce; l’ho portata con gioia; le umiliazioni, le ingiurie e i patimenti, anziché abbattermi o disanimarmi, mi riempirono di gioia e di coraggio ». O mio Dio, se potessimo intender bene quanto gran dono della vostra mano sono le croci! Non dimentichiamo mai, miei fratelli, che, all’ora della morte, solo nostro aiuto sarà la Croce. Ma qual disperazione per colui che all’ultima sua ora si vedrà dinanzi la Croce, sprezzata nel corso della vita e di cui arrossì per timore d’uno scherno! Quale disperazione quando Gesù Cristo raffronterà la sua vita con quella di questo peccatore! Quando contrapporrà la sua umiltà, e i disprezzi che ha tollerato all’orgoglio di quel peccatore, la sua povertà all’avarizia di lui, la sua purezza alle azioni infami, il perdono dato ai suoi nemici alle vendette, i suoi digiuni alle golosità di quello sciagurato! Che sarà allora di quei poveri infelici che, nel corso della vita, non ebbero alcun tratto di rassomiglianza col loro Salvatore? O mio DIO! Si può pensarvi e non morir di dolore? Un DIO vive e muore ne’ patimenti, e un Cristiano, sebbene carico di peccati, non vuol soffrire nulla! Ohimè! Quanti pentimenti all’ora della morte! Ma sarà troppo tardi.

III. — Vi parlerò adesso delle croci visibili, e vi darò ragione della loro molteplicità, delle benedizioni, di cui son fonte, e dei grandi onori che la Chiesa rende loro. Se le croci interiori sono così numerose, se le croci visibili, immagini di quella su cui è morto il nostro DIO, son pure in gran numero, ciò accade perché abbiam sempre dinanzi agli occhi che siam figli d’un DIO crocifisso. Non ci meravigliamo, fratelli miei, dell’onore che la Chiesa rende a questo sacro legno, da cui ci vengono tante grazie e sì grandi vantaggi. Vediamo che la Chiesa in tutte le sue cerimonie e nell’amministrazione di tutti i Sacramenti fa il segno della Croce. — E perché? domanderete. — Eccolo, amico mio: perché tutte le nostre preghiere e tutti i Sacramenti traggono dalla Croce la loro forza e la loro efficacia. Durante il santo Sacrificio della Messa, ch’è l’azione più grande, più augusta, più sublime di tutte quelle che possono glorificare Iddio, ad ogni tratto il Sacerdote fa il segno della Croce. DIO vuole che non ne perdiamo mai la memoria, come del mezzo più sicuro della nostra salute, e come della cosa più formidabile al demonio. Ci ha pur creati in forma di croce, perché ogni uomo fosse immagine della Croce, su cui Gesù Cristo è morto per salvarci. Vedete come la Chiesa si adopra sollecitamente a moltiplicarne il numero: le pone, ornamento principale, nelle nostre chiese e su tutti gli altari; le pone nei luoghi più elevati per ricordarci il trionfo riportato sul nemico della nostra salute. Qual cosa può esser più commovente di quel monumento glorioso che ci mette dinanzi il compendio dei patimenti del nostro buon Salvatore? Non par ch’Egli ci dica: Vedete, figliuoli miei, che cosa ho fatto per meritare i vostri omaggi? O mio DIO, un tale spettacolo non sarà capace di muovere il cuore più duro e più immerso nelle sozzure del peccato? O mio DIO, quante consolazioni e quante lacrime vi trova un cuore alquanto sensibile! Potrà un Cristiano posar lo sguardo su questo sacro legno e non sentire risvegliarsi i rimorsi della coscienza, e non riconoscere in quale stato sia e che cosa debba fare?

1° Perché si mettono croci vicino alle città ed ai villaggi? Per significare la professione pubblica che il Cristiano deve fare della Religione di Gesù Cristo, e ricordare a chi passa che non si deve perder mai la memoria della morte e della passione del Salvatore. Questo segno salutare ci distingue dagli idolatri, come la circoncisione distingueva già il popolo giudaico dagli infedeli. Perciò vediamo che, quando si vuol distruggere la Religione, si comincia dall’abbattere questi monumenti. I primi Cristiani riguardavano come loro più grande ventura portar sopra sé stessi questo segno salutare della nostra Redenzione. Nei tempi andati le donne e le fanciulle portavano una croce che riguardavano come il più prezioso ornamento: la portavano pendente dal collo, mostrando così ch’erano serve d’un DIO crocifisso. Ma di mano in mano che la fede è scemata, e la Religione si è affievolita, questo segno santo è divenuto raro, o, a meglio dire, è quasi scomparso. Osservate come il demonio conduca al male per gradi. Han cominciato dal lasciar da parte l’immagine del Crocifisso e della SS. Vergine, contente di portare una croce che chiamano papillon (È parso meglio conservare il termine francese, che, come ognun sa, significa: farfalla. – Nota del Traduttore). Ciò fatto, il demonio le ha spinte più oltre: a tenere il luogo di quel segno sacro han messo una catena ch’è un mero ornamento di vanità, e che, invece d’attirar loro le benedizioni di DIO, le impegna anzi nelle vie e negli agguati del demonio. Notate la differenza tra la catena e la croce: per via della Croce siam divenuti figliuoli liberi; per via della Croce Gesù Cristo ci ha liberati dalla tirannia del demonio, a cui il peccato ci aveva soggettato. La catena all’incontro è segno di schiavitù; cioè con questo segno di vanità s’abbandona DIO per darsi al demonio. Signore, il mondo ha pur cangiato dopo i tempi dei primi Cristiani, che ritenevano come onore e santa gioia portar questo segno sacro della nostra Religione!

2° È intenzione della Chiesa che tutti abbiamo la Croce nelle nostre case, per non dimenticar mai che siamo Cristiani e discepoli d’un DIO crocifisso. Se la Religione regna in una casa, si riconosce subito dalle croci e dalle immagini che vi s’incontrano. Entrando in una casa io cerco collo sguardo tutto intorno il segno della nostra Redenzione. Se non lo trovo, non posso non deplorare la sciagura di quella casa e di quei che vi son dentro. Oh! fratelli miei, è pur salutare la presenza e la vista d’una Croce! Basta spesso uno sguardo al Crocifisso per addolcire le pene più profonde e più dolorose, farci fare i sacrifici più grandi e praticare le più sublimi virtù. Chi, vedendo un Dio confitto ad una Croce, potrà ancora aver il coraggio di soddisfare una passione qualsiasi? Chi troverà troppo grandi i suoi patimenti, considerando un DIO il cui corpo è ridotto a brandelli pei colpi che ha ricevuto nella sua flagellazione? Chi potrà trovar ardua la pratica della virtù, vedendo un DIO che nulla ha intimato se prima non l’aveva Egli in persona praticato? Niuno dunque deve lasciar la sua casa senza questo segno salutare, affinché chi entra possa riconoscere che siete Cristiani e che ne fate pubblica professione. Un Cristiano dabbene deve dunque avere un bel Crocifisso e alcune belle immagini, e considerarle come il miglior ornamento e l’onore della propria casa. Di tratto in tratto volgete gli sguardi sulle immagini e sul Crocifisso, fate breve considerazione su ciò che Gesù Cristo ha patito per noi e ripensate quanto ci ha amato. Vedendo l’immagine della SS. Vergine (poiché non dovete lasciar mai le vostre case senza un’effigie di questa buona Madre), pregatela d’accoglier voi e la vostra famiglia sotto la sua santa protezione. Quando riguardate le immagini dei Santi, pensate alle virtù da essi praticate, alle penitenze che han fatto nel corso della vita per meritare la sorte felice di cui godono adesso in cielo. Che cosa pensar d’una casa in cui non si trova né un Crocifisso, né altro segno di Religione? Ohimè! si penserà ch’è abitata da uomini i quali han perduto la fede, son divenuti nemici della Croce, non son più Cristiani che di nome. Ah! quant’è grande il numero di quelli che son Cristiani solo di nome, e che si comportano in modo simile a quello de’ pagani! Ah! (direte forse) è un po’ troppo! Non ci spiace l’esser Cristiani; anzi la cosa è tutt’al contrario: spiegateci in che modo, di Cristiani abbiamo il nome soltanto.

— Eh! amici miei, è cosa facile. Quando temete di compiere i vostri doveri religiosi sotto gli occhi del mondo; quando, trovandovi in qualche casa, non osate, prima di prender cibo, farvi il segno della Croce, o, per farlo, vi voltate dall’altra parte per timore d’essere veduto e schernito; quando, udendo suonar l’Angelus, fate mostra di non udire e non lo dite, per paura che qualcuno si faccia beffe di voi, allora mostrate d’esser Cristiano soltanto di nome. O anche quando DIO vi ispira il pensiero d’andarvia confessare, e dite: « Oh! non vi vado, perché si farebbero beffe di me ». Se vi comportate così, non potete dire d’essere Cristiani. No, amici miei, foste, come già gli Ebrei, rigettati, o piuttosto vi siete da voi medesimi separati; siete apostati; lo mostra il vostro linguaggio, e la vostra maniera di vivere lo fa molto chiaramente manifesto. Perché, miei fratelli, s’era dato il nome d’apostata all’imperator Giuliano? — Perché, mi direte, era prima Cristiano e poi visse da pagano. — Ebbene, amici miei, qual differenza passa tra la vostra condotta e quella de’ pagani? Sapete quali vizi regnano d’ordinario tra i pagani? Gli uni, corrotti dal vizio infame dell’impurità, vomitano dalla lor bocca ogni sorta d’abominazioni; altri, dediti alla gola, non cercano altro che buoni bocconi o si riempiono di vino; tutta l’occupazione delle loro figliuole è attendere ad abbigliarsi e desiderar di piacere. Che vi pare di questa condotta, fratelli miei? — È la condotta di gente che non ispera in un’altra vita. — Avete ragione. Ora qual differenza v’è tra la vostra vita e la loro? Se volete parlar sincero, riconoscerete che non ve n’è alcuna, e che quindi siete Cristiani soltanto di nome. O mio Dio! Quanto pochi tra i Cristiani attendono ad imitarvi! Ohimè! Se così pochi portano la loro croce, ben pochi del pari verranno a benedirvi nell’eternità!

3° Si piantano croci benedette ne’ campi, e se ne pongono ne’ luoghi ove sono i raccolti; ed eccone la ragione: par che i nostri peccati sollecitino continuamente la giustizia di DIO per attirar su noi i flagelli della sua collera: le grandinate, i geli, le siccità, le inondazioni. Siccome per mezzo della Croce il Figlio di DIO ci ha riconciliati col Padre suo e meritato i tesori celesti, è intenzione della Chiesa, piantando le croci ne’ campi, di tenerne lontane le calamità. La benedizione che ricevono ha per fine di chiedere a DIO che non allontani dai campi, ove sono piantate, i suoi occhi misericordiosi e vi spanda le sue benedizioni. Ma non basta piantar croci, bisogna altresì farlo piamente e con fede, e specialmente non essere in quel momento in istato di peccato. Se le pianterete con tali sentimenti, sarete certi che Dio benedirà i vostri terreni e li preserverà da’ flagelli temporali. Se le vostre croci non producono l’effetto che dovevate aspettarne, non è difficile saperne il perché: voile piantate senza fede e senza pietà; piantandole non avete forse neppur recitato un Pater ed un’Ave in ginocchio; o se avete pregato, forse l’avete fatto con un ginocchio in terra e l’altro in aria. Se la cosa è così, come volete che Dio benedica i vostri raccolti? Ma quando le incontrate al momento della raccolta cadete in ben più grave abominazione! Oh! quant’ha perduto la Religione della sua antica bellezza! Sì, quelle croci sono veramente piantate in campi di pagani, e non di Cristiani! O mio DIO! A quale secolo disgraziato siam dunque giunti! Quando la Chiesa istituì questa sacra cerimonia ciascuno ambiva la sorte felice di por croci ne’ suoi campi, e si faceva col più profondo rispetto. Quando s’incontravano o mietendo o vendemmiando, tutti si prostravano con la faccia per terra per adorar Gesù Cristo, morto in croce per noi, e si mostrava così la riconoscenza che gli si aveva per aver voluto conservare e benedire il raccolto. Tutti, con le lacrime agli occhi, baciavano il segno santo della nostra Redenzione. Ohimè! mio DIO, i Cristiani non vi attestano più così la loro riconoscenza! Oserò dirlo? Imitano Giuda e i Giudei! Rassomigliano ai Giudei, quando piegavano il ginocchio per insultare la sua dignità regale; imitano Giuda che lo baciò con la bocca macchiata dai più gravi delitti. Gli uni e l’altro gli rendevano quest’apparenza di rispetto solo per derisione; e non è appunto ciò che fate voi, quando incontrate una Croce? Invece di mostrare a DIO la vostra riconoscenza perché ha voluto benedire e conservare i frutti della terra, non gli fate ingiuria col baciar la Croce ridendo? Non è una derisione, anzi un’idolatria presentargli un pugno di frumento, come se incensaste la persona che tiene fra mano la Croce? Andate, sciagurati, Dio vi punirà o in questo mondo o nell’altro. Padri di famiglia, non vi aveva detto due anni or sono che al tempo della mietitura dovevate togliere tutte le croci ch’erano nei vostri campi per evitarne la profanazione? Non vi aveva raccomandato di rimetterle nel luogo ove accumulate i vostri covoni, e, battuto che abbiate il vostro grano, farle bruciare, per timore che abbiano ad essere profanate? Se non l’avete fatto, siete colpevoli assai, e non dovete lasciare di confessarvene. Ohimè! Chi potrà noverare tutti gli orrori che si commettono in tempo della mietitura o delle vendemmie, in quei tempi nei quali Iddio, nella sua bontà e carità, colma la terra dei doni della sua Provvidenza! L’uomo ingrato pare che allora appunto raddoppi le sue ingiurie e moltiplichi le sue offese. E come osate lagnarvi perché le raccolte vengono meno, perché la grandine o la gelata ve le distruggono? Ah! stupite piuttosto che, non ostante tanti peccati, Dio voglia darvi ancora il necessario, ed anche più di ciò che vi abbisogna! O mio Dio, l’uomo è pur perverso ed accecato!

4° Il segno della Croce è l’arma più terribile contro il demonio; perciò la Chiesa vuole non solo che l’abbiamo continuamente dinanzi agli occhi, per ricordare quanto vale l’anima nostra e quanto è costata a Gesù Cristo; ma di più, che ad ogni tratto lo facciamo su noi: andando a letto, la notte quando ci svegliamo, levandoci, sul cominciar delle nostre azioni, e specialmente quando siamo tentati. Possiam dire che un Cristiano, il quale si fa il segno della Croce con sentimenti di pietà, cioè ben compreso dell’atto che compie, fa tremare l’inferno (Infatti nulla fa più viva impressione che questo seguo il quale rappresenta: 1° il mistero della SS. Trinità; 2° ci ricorda col movimento che fa la mano dalla fronte al petto la discesa di Gesù Cristo dal seno del Padre in grembo alla SS. Vergine; 3° con la croce che facciamo la crocifissione di Gesù Cristo; 4° il giudizio finale col movimento che fa la mano da sinistra a destra. – Nota del Beato). Un Cristiano tentato, che fa con viva fede il segno della Croce, può dir con certezza che vince il demonio e rallegra la corte celeste. Vedete S. Antonio a cui i demoni facevano guerra violenta e continua; di qual mezzo si valeva a sua difesa, se non del segno della nostra Redenzione? Un giorno, che i demoni lo tentavano, disse loro: « Quanto poca cosa siete mai! Io, povero solitario, che a stento mi reggo in piedi, oppresso dalla penitenza, con un solo segno di Croce vi metto tutti in fuga » (Vite dei Padri del deserto, T. I, p. 32). Nella vita di Santa Giustina (RIBADENEIRA, ai 26 di Settembre) si narra che il mago Cipriano, invaghito della sua bellezza, s’era dato al demonio perché usasse tutti i suoi artifizi per trarla al male. Ma il demonio poco tempo dopo gli confessò che non poteva nulla sopr’essa, perché alla prima tentazione si faceva il segno della Croce, e in tal modo rendeva vani i suoi sforzi. Ma quando si fa il segno della Croce bisogna farlo non per abitudine, sì con rispetto, con attenzione, pensando a ciò che si fa. O mio Dio! Di qual santo timore saremmo compresi se, facendo questo segno su noi, ricordassimo che pronunziamo quanto v’ha nella Religione di più santo e più sacro. Pensate da qual devozione saremmo animati se riflettessimo che nominiamo le tre Persone della santissima ed adorabilissima Trinità: il Padre, che ci ha creati e tratti dal nulla, come ha creato tutto ciò che esiste; il Figliuolo che ha preso un corpo ed un’anima nel seno della SS. Vergine per salvarci tutti dall’inferno e meritarci la felicità eterna; lo Spirito santo, a cui siam debitori di tutte le buone ispirazioni e di tutti i nostri buoni desideri. Vedete, miei fratelli, se faceste tutte queste riflessioni, quanto sareste pieni d’amore e di riconoscenza verso questo Dio in tre Persone, specialmente quando, nell’entrare in chiesa, prendete l’acqua benedetta. Oh! se fosse così, vi si entrerebbe tremando. Perciò quando i vostri figliuoli cominciano a muover le braccia, bisogna far loro fare tosto questo santo segno, e ispirarne loro il più grande rispetto.

5° Forse mi domanderete che cosa significano le parole: Invenzione della santa Croce, Esaltazione della santa Croce. Amici miei, son due feste di cui l’una si celebra il 3 di maggio, l’altra il 14 di settembre. Ecco l’origine della prima. Erano 326 anni dacché Gesù Cristo era morto (L’era volgare parte dalla nascita, non dalla morte di Gesù Cristo. – Nota degli editori francesi . Secondo i computi più accurati comincia circa cinque anni dopo la nascita del Salvatore. L’anno poi della vittoria di Costantino non fu il 326, ma il 312. – Aggiunta del Traduttore), quando l’imperator Costantino combattendo contro il tiranno Massenzio, vide  in aria una croce più splendente che il sole, su cui erano scritte queste parole: « Per mezzo di questo segno sarai vincitore del tuo nemico ». L’imperatore, colpito da tale prodigio, fece tosto dipingere questo segno sacrosanto sulle sue armi e sulle sue bandiere, e riportò splendida vittoria. S. Elena, sua madre, concepì tal devozione per la Croce di Gesù Cristo, che non s’acquietò finché non l’ebbe ritrovata. Andò a tal fine a Gerusalemme; e avendole Dio fatto conoscere il luogo dov’era, dopo faticose ricerche la rinvenne insieme alle due croci su cui erano stati confitti i due ladri. Per distinguere qual fosse quella del Salvatore si fece portar là un morto, il quale, posto sulle due prime croci, non risorse: ma appena posto sulla terza s’alzò e cominciò a camminare (La maggior parte degli storici, Eusebio. Teodoreto, Rufino, Socrate, Sozomeno, Teofane, riferiscono che S. Macario, Vescovo di Gerusalemme, fece portar le tre croci in casa d’una ragguardevole dama agonizzante. La sua improvvisa guarigione fece conoscere qual fosse la croce del Salvatore. Secondo S. Paolino e Sulpizio Severo non la guarigione d’una soltanto moribonda, ma la resurrezione d’un morto rese testimonianza alla vera croce. – Nota degli editori francesi). Questa croce fu fonte d’innumerevoli miracoli. S. Giovanni Crisostomo la chiama speranza de’ Cristiani, resurrezione de’ morti, consolazione dei poveri, speranza de’ ricchi, confusione dei superbi e tormento dell’inferno. O miei figliuoli, dice S. Epifanio, stampiamo questo segno santo sull’alto delle nostre porte, sulle nostre fronti, sulla nostra bocca, sul nostro petto; rivestiamoci spesso di quest’armatura impenetrabile al demonio. Badiamo di non restar mai senza questo segno santo su noi. DIO , per farci vedere quanto avesse a cuore che il sacro legno, su cui è morto, fosse venerato in tutto l’universo qual fonte di benedizione, permise che per parecchi secoli il legno della santa Croce non diminuisse, non ostante che se ne prendesse continuamente. Poi, quando questa santa reliquia fu esposta in tutto il mondo cristiano, cominciò a diminuire; ed ora è a credere che non vi sia luogoin cui non s’abbia un frammento di quel legno, su cui Gesù Cristo ha operato la nostra salute. Tal è l’origine della festa detta dell’Invenzione della santa Croce, perché si celebra il giorno in cui la Croce fu ritrovata da S. Elena, madre dell’imperator Costantino. La festa, che si celebra il 14 di settembre, ricorda come essendo questa santa Croce rimasta quattordici anni in mano dei barbari, che l’avevano rapita a Gerusalemme, l’imperatore Eraclio, vincitor de’ Persiani, stipulò nel trattato di pace che gli si dovesse restituire il santo legno; il quale fu riportato trionfalmente a Gerusalemme; e perciò si celebra il 14 di settembre la festa dell’Esaltazione della santa Croce. I Santi tutti, fratelli miei, amarono la Croce, e vi trovarono forza e consolazione. Vedete S. Liduina, a cui trent’otto anni di patimenti sembrano un lampo: tanto si dilata il suo cuore in questa fonte d’amore! (Ribadeneira, 14 d’Aprile) … — Ma, direte, si dovrà dunque aver sempre qualche cosa da patire! Ora malattie o povertà; ora maldicenze o calunnie; ovvero perdita di beni o indisposizioni? — Siete calunniato, amico mio? Siete caricato d’ingiurie? O vi si fa qualche ingiustizia? Tanto meglio: è buon segno; non ve ne inquietate punto: siete sulla via che conduce al cielo. Sapete quando si dovrebbe piangere? Non so se l’intendiate; ma sarebbe appunto da piangere se invece non aveste nulla da patire, e tutti vi stimassero e vi rispettassero; dovreste invidiar coloro che hanno la lieta sorte di passar la vita nei patimenti, nei dispregi e nella povertà. Dimenticate forse che nel vostro Battesimo accettaste una croce, cui non dovete abbandonare sino alla morte, ed è la chiave di cui vi servirete per aprirvi le porte del cielo? Non ricordate forse le parole del Salvatore: « Figliuol mio, se vuoi venir dietro a me, prendi la tua croce e seguimi », non per un giorno, non per una settimana, non per un anno, ma per tutta la vita? ( « Si quia Vult post me venire, obneqet semetipsum, et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me» (S. LUCA IX, 23) I Santi temevano di passare anchesol pochi istanti senza patire, perché consideravanoquel tempo come perduto. Secondo S. Teresa l’uomoè in questo mondo solo per patire, e quando finiscedi patire deve finir di vivere. S. Giovanni della Crocechiedeva piangendo a DIO, qual unico premio de’ suoitravagli, la grazia di patir sempre più.Da tutto questo che cosa dobbiamo concludere, fratellimiei? Eccolo. Risolviamo di aver gran rispettoper tutte le croci, che sono benedette e ci rappresentano compendiosamente quanto IDDIO ha patito per noi. Ricordiamo che dalla Croce provengono tutte le grazie che ci si concedono, e che perciò una Croce benedetta è sorgente di benedizioni; che dobbiamo fare spesso su noi il segno della Croce, e sempre con grande rispetto; e finalmente che nelle nostre case non deve mancar mai questo simbolo salutare. Istillate ai vostri figliuoli, fratelli miei, il massimo rispetto per la Croce, e portate sempre su voi una Croce benedetta, che vi difenderà dal demonio, dal fulmine e da ogni pericolo (Ognuno intende che si tratta qui di effetti che possono provenire dalla fede di chi porta l’oggetto benedetto, non di effetti ch’esso produca per intrinseca virtù. – Nota del Traduttore). Ah! miei fratelli, qual forza dà la Croce a coloro che han fede1 … Quanta poca cosa sono i patimenti per chi contempla quest’istrumento di salute! O bella e preziosa Croce! Quante anime felici anche in questo mondo e quanti Santi fate per l’altro! … Così sia.

CONFIDENZA NEI MEDICI E NELLE MEDICINE

Della Conformità alla volontà di DIO:

La confidenza nei medici e nelle medicine.

[S. A. Rodriguez: Esercizio di Perfezione, Vol. II, Tratt. VIII, cap. XVII. Marietti ed. Torino, 1917]

CAPO XVII.

Che non abbiamo da mettere la nostra confidenza nei medici né nelle medicine, ma in Dio; e che dobbiamo conformarci alla volontà sua non solo in ordine all’infermità, ma anche in ordine a tutte le altre cose che sogliono accadere in essa.

Quel che s’è detto dell’infermità si ha da intendere ancora delle altre cose che sogliono occorrere nel tempo di essa. S. Basilio dà una dottrina molto buona per quando siamo infermi (D. Basil. In reg. fusius disp. 55). Dice, che talmente abbiamo da valerci dei medici e delle medicine, che non mettiamo in ciò tutta la nostra fiducia; il che non avendo fatto il re Assa, per ciò la sacra Scrittura ne lo riprende: Nec in infìrmitate sua quæsivit Dominum, sed magis in medicorum arte confìsus est (II. Paralip. XVI, 18. 3). Non abbiamo d’attribuire a questo tutta la cagione del guarire, o non guarire dall’infermità; ma abbiamo da mettere tutta la nostra fiducia in Dio, il quale alcune volte vorrà darci la sanità col mezzo di queste medicine, ed altre volte no. E così quando ci mancherà il medico e la medicina, dice S. Basilio, che né anche abbiamo perciò da sconfidarci della sanità; perché, siccome leggiamo nel sacro Evangelio, che Cristo nostro Redentore alcune volte risanava con la sola volontà (nel qual modo risanò quel lebbroso che gli disse: Domine, si vis, potes me mundare (Matth. VIII,2.): Signore, se tu vuoi, mi puoi mondare; ed egli rispose: Volo: mundare (Ibid. 3: Voglio: sii mondo), altre volte risanava applicando qualche cosa [come quando fece il loto con lo sputo, ed unse gli occhi del cieco, e gli comandò che andasse a lavarsi nella natatoria, o fontana di Siloe (Giov. IX, 11)], ed altre volte lasciava gli infermi nelle loro infermità, e non voleva che guarissero, ancorché spendessero tutte le facoltà loro in medici e medicine (Marc, V, 26; Luc. VIII, 43); così anche adesso, alcune volte Dio da la sanità senza medici e senza medicine, per mezzo della sola volontà sua; alcune altre le dà col mezzo delle medicine; e alcune altre, benché uno chiami e consulti con molti medici, e gli siano applicati grandi rimedi, Dio non gli vuol dare la sanità; acciocché con questo impariamo a non metter la nostra fiducia ne’ mezzi umani, ma solamente in Dio. Siccome il re Ezechia non attribuì la sua guarigione a quella massa di fichi che Isaia pose sopra la sua piaga (IV. Reg. XX, 7), ma a Dio, così tu quando guarirai dall’infermità, non hai da attribuirlo ai medici né alle medicine, ma a Dio, che è quegli che risana tutte le nostre infermità. Etenim neque herba, neque malagma sanavit eos: sed tuus, Domine, sermo, qui sanat omnia (Sap. XVI, 12.): Che non sono le erbe né gl’impiastri quei che guariscono, ma Dio. E quando non guarirai, né anche ti hai da lamentare de’ medici né delle medicine; ma hai da attribuire ogni cosa a Dio, il quale non vuol darti la sanità, ma vuole che stia infermo. Similmente quando il medico non ha conosciuta l’infermità, ovvero ha fatto errore nel medicare (cosa che accade assai spesso anche a gran medici e in gran personaggi), hai da pigliar quell’errore per un effetto e adempimento della volontà di Dio, e così ancora la trascuraggine e negligenza e il mancamento dell’infermiere: onde non hai da dire, che per lo tal mancamento fatto teco ti sia tornata la febbre; ma ogni cosa hai da pigliare come venuta dalla mano di Dio, e dire: È piaciuto al Signore che mi sia cresciuta la febbre e che mi sia venuto il tale accidente. Perciocché è cosa certa, che quantunque relativamente a quei che ti governano questo sia stato errore;  nondimeno relativamente a Dio è stato effetto e adempimento della sua volontà, atteso che rispetto a Dio non succede cosa alcuna a caso. Pensi tu, che il passare delle rondinelle e l’acciecare col loro sterco il santo Tobia fosse a caso? non fu a caso, ma una molto particolare disposizione e volontà di Dio per darci in questo santo uomo un raro esempio di pazienza, come nel santo Giob: e cosi lo dice la divina Scrittura: Hanc autem tenlationem permisit Dominus evenire , ut posteris daretur exemplum patientice ejus, sicut et sancii Job (Tob. I, 12). E l’Angelo gli disse poi: Quia acceptus eras Deo, necesse fuit, ut tentatio probaret te (Ibid. XII, 13): Per provarti, Dio ti ha permessa questa tribolazione. Nelle Vite dei Padri si racconta dell’abbate Stefano (De abb. Steph refert etiam D. Dor. doctr.7), che essendo infermo volle il compagno fargli una frittatella, e pensandosi di farla con olio buono, la fece con olio di seme di lino, che è molto amaro, e gliela diede. Stefano, tosto che l’ebbe sentita, ne mangiò un poco, e tacque. Un’altra volta gliene fece un’altra nel medesimo modo, e gustandola e non volendola mangiare, il compagno gli disse: Mangia, Padre, che è molto buona: e fattosi ad assaggiarla egli stesso per indurlo a mangiare, sentita l’amarezza, cominciò ad affannarsi e a dire: Io sono omicida. Allora gli disse Stefano: Non ti turbare, figliuolo, che se Dio avesse voluto, che tu non errassi in pigliar un olio per un altro, non l’avresti fatto. E di molti altri Santi leggiamo, che pigliavano con grande conformità e pazienza i rimedi che si facevano loro, ancorché fossero contrari a quello che ricercava la loro infermità. Ora in questa maniera abbiamo noi altri da pigliar gli errori, le trascuraggini e le negligenze sì del medico, come dell’infermiere senza lamentarci dell’uno né incolpar l’altro. Questa è una cosa nella quale si scopre e si dimostra grandemente la virtù di un uomo: onde edifica grandemente un Religioso infermo il quale piglia con tranquillità d’animo e con allegrezza ogni cosa come venuta dalla mano di Dio, e si lascia guidare e governare dai Superiori e dagli infermieri, dimenticandosi, e deponendo totalmente ogni cura e sollecitudine di se stesso. Dice S. Basilio: Se hai confidata l’anima tua al Superiore, perché, non gli confidi ancora il tuo corpo? Se hai posta nelle mani di Lui la salute eterna, perché non v’hai da mettere ancora la temporale (D. Basil, in reg. fusius disp. reg. 48)? E poiché la Regola ci dà licenza di deporre allora ogni pensiero del nostro corpo, e ce lo comanda (3 p. Coost. c. 2, litt. a. 2); dovremmo stimar grandemente questa cosa e valerci di così giovevole licenza. Al contrario dà molto mala edificazione il Religioso infermo, quando ha gran cura di sé, e di quel che gli hanno da dare, e come glielo hanno da dare, e se lo servono a puntino; e quando no, sa molto ben lamentarsi, e ancora mormorare. Dice molto bene Cassiano: L’infermità del corpo non è impedimento alla purità del cuore, anzi le serve d’aiuto, se si sa pigliare come deve essere pigliata. Ma guardati, dice (CASS. lib. 5, de inst. renun. c.7), che l’infermità del corpo non passi all’anima: che se uno s’inferma in questa maniera, e piglia occasione dall’infermità di far la volontà sua, e di non essere ubbidiente e rassegnato; allora l’infermità passerà all’anima, e farà che l’infermità spirituale dia più da pensare al Superiore, che la corporale. Non per esser uno infermo deve lasciar di mostrarsi Religioso, né pensare, che non vi sia più Regola per esso, e che può mettere ogni sollecitudine per pensare alla sua sanità e al buon governo del suo corpo, e dimenticarsi di quel che concerne il suo profitto. L’infermo, dice il nostro S. Padre, dimostrando la sua umiltà e pazienza, non meno procuri di dare edificazione nel tempo dell’infermità a coloro che lo visiteranno, e seco converseranno e tratteranno, che quando era sano, per maggior gloria di Dio (Reg. 50 Summ.). S. Giovanni Crisostomo sopra quelle parole del Profeta, Domine, ut scuto bonæ voluntatis tuæ coronasti nos, trattando, come finché dura questa nostra vita, sempre v’è battaglia: Sempre, dice, abbiamo d’andar armati per essa; et ægroti, et sani: morbi enim tempore hujus maximæ pugnæ tempus est; quando dolores undique conturbant animam; quando tristitiæ obsident; quando adest diabolus incitans, ut acerbum aliquod verbum dicamus (D. Chrys. in Psal. V, 13): Il tempo dell’infermità è tempo molto proprio da star bene armati e ben preparati per combattere, quando da una banda i dolori ci turbano, la tristezza ci assedia, e il demonio, presa da ciò l’occasione, c’incita e stimola a parlare con impazienza e a lamentarci soverchiamente: e così allora è tempo di esercitare e mostrarla virtù. Per fin Seneca disse colà (Sen. Ep. 78), chel’uomo forte ha occasione di esercitare lasua fortezza non meno nel letto mentre patisce infermità, che nella guerra combattendo contro i nemici; perché la principal parte della fortezza consiste più nel soffrire che nell’assalire: e così il Savio disse, cheè migliore l’uomo paziente che il forte: Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo, expugnatore urbium (Prov. XVI, 32).

ISTRUZIONE SULLA TRADIZIONE DIVINA E SULLA SACRA SCRITTURA

ISTRUZIONE SULLA TRADIZIONE DIVINA E SULLA SACRA SCRITTURA

[Goffiné: Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste, ed. Francese di Besançon, 1852 – traduz. A. Ettorri delle Scuole Pie;  Tipogr. Calas. Dir. da A. Ferroni. Firenze, 1872]

La tradizione divina è la parola di Dio non scritta, ma uscita dalla bocca stessa di Gesù Cristo, o rivelata agli Apostoli dallo Spirito Santo, e comunicata dagli stessi Apostoli ai primi Fedeli, che l’hanno trasmessa ai loro successori, da cui noi successivamente e come di mano in mano l’abbiamo ricevuta. Quando si dice che la tradizione è la parola di Dio non scritta, s’intende dire che non è stata scritta subito dagli autori sacri, come i libri canonici dei due Testamenti, quantunque sia stata scritta in séguito o dai Concili, o nelle opere dei Santi Padri e degli altri autori ecclesiastici, o nei decreti dei Sommi Pontefici etc. La tradizione divina è assolutamente necessaria: la sua necessità e la sua autorità sono fondate sulla Scrittura e sui Padri. – La santa Scrittura è la parola di Dio scritta sotto la ispirazione di Lui: non si dice santa precisamente, perché mira a Dio, né perché è stata scritta col soccorso e con l’assistenza di Dio, ma perché ha Dio per autore, che l’ha ispirata e dettata ai sacri scrittori. – La Scrittura si divide in Antico e Nuovo Testamento:  l’antico Testamento contiene i libri santi scritti avanti Gesù Cristo, che sono in numero di quarantacinque. Il nuovo Testamento contiene i libri che riguardano la legge evangelica, e sono stati scritti da Gesù Cristo in poi: sono ventisette. Si chiama la Scrittura Testamento perché racchiude l’alleanza che Dio ha fatta con gli uomini, e la sua ultima volontà, con la quale lascia loro i suoi beni, come avviene nei testamenti che si fanno tra gli uomini. – Ecco l’ordine e il catalogo dei libri della Scrittura, secondo il decreto del Concilio di Trento, Sess. IV. cap. 1. I libri dell’antico Testamento sono: la Genesi, l’Esodo, il Levitico, i Numeri, il Deuteronomio, Giosuè, i Giudici, Ruth, i quattro libri dei Re, i due libri dei Paralipomeni, i due libri d’Esdra, Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe, i Salmi, i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia, Baruch, Ezechiele, Daniele, i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Habacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due libri dei Maccabei. I Libri del Nuovo Testamento sono: il Vangelo di s. Matteo, il Vangelo di s. Marco, il Vangelo di s. Luca, il Vangelo di s. Giovanni, gli Atti degli Apostoli, le quattordici Lettere di s. Paolo: una ai Romani, due ai Corinti, una ai Galati, una agli Efesini, una ai Filippesi, una ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, una a Tito. una a Filemone, una agli Ebrei; le due Lettere di s. Pietro, le tre di s. Giovanni, una di s. Giacomo, una di s. Giuda, e l’Apocalisse di s. Giovanni. Alla sola Chiesa appartiene di determinare infallibilmente il senso ed i libri della Scrittura.

DELLA LETTURA DELLA BIBBIA IN VULGARE

[Dell’Abate Glaire]

La lettura della Bibbia in volgare è stata il tèma di vive discussioni. Così i Protestanti e i Giansenisti hanno accusato la Chiesa Cattolica: – 1° di non leggere la santa Scrittura in volgare nella celebrazione della sua liturgia; – 2° di non permettere generalmente a tutti i Fedeli di leggerla; – 3° di abusare della sua autorità col proibirne la lettura. – Ma non ci sembra difficile il difender la Chiesa su questi differenti appunti.

l.° Quando la Religione Cristiana si stabiliva, la Sinagoga celebrava i suoi ufizi pubblici in ebraico, lingua che non era più l’usuale; e Gesù Cristo e gli Apostoli, che rimproverarono ai Giudei tante loro costumanze, non condannarono mai, per quanto si sa, quest’uso. Ora abbiam noi più ragione di condannarlo? Aggiungiamo che se vi fosse un obbligo rigoroso per la Chiesa di leggere la Scrittura in volgare, gli Apostoli non avrebbero mancato di farla tradurre nella lingua di tutti i popoli che essi convertirono alla fede. Qal monumento storico vi è, che comprovi un simil fatto? e qual critico oserebbe sostenerlo? – Vi sono ben altri motivi ancora che possono giustificare la Chiesa Cattolica. In primo luogo vi è la grande difficoltà del tradurre i libri liturgici, senza alterarne il senso, e senza porre in pericolo la forma dei Sacramenti: cosa che può dare motivo ad errori ed eresie. – In secondo luogo la diversità delle lingue usate negli ufizi pubblici, non nocerebbe alla comunicazione delle varie chiese della cristianità? Un prete italiano, per esempio, non potrebbe offrire il santo sacrifizio della Messa che nel suo paese, poiché, secondo i principj dei nostri avversari [tra i quali oggi vi sono in prima fila gli ultra protestanti apostati della setta del “Novus Ordo” che, usurpando gli uffizi della Santa Chiesa di Cristo e la Cattedra di s. Pietro, si spacciano fraudolentemente per Cattolici – ndr.-], i semplici Fedeli debbono intender la lingua usata nel pubblico esercizio del culto religioso, e principalmente per questa ragione essi vogliono imporre alla Chiesa l’obbligo di leggere la Scrittura in volgare. – In terzo luogo finalmente la maestà e la dignità dei nostri divini Misteri sono tali, che non si potrebbero senza abbassarli ed avvilirli volgere in certe lingue rozze ed imperfette.

2.° Ma almeno, dicono gli avversari, perché la Chiesa non ne permette la lettura senza distinzione a tutti i suoi figli? Perché ella sa, come insegna l’Apostolo s. Pietro, che vi sono nella santa Scrittura dei passi che gli uomini ignoranti e di fede non salda potrebbero intender male a danno della loro salute. Pensano inoltre i Padri, e molti lo hanno notato, che vi siano nella Scrittura molte cose, le quali invece di edificare certi lettori gli scandalizzerebbero. In fatti quanti giovani non sarebbero posti al pericolo di guastarsi, se loro si mettesse in mano l’intera raccolta dei nostri santi libri? Quanti Cristiani d’ogni età, se leggessero un libro ove incontrassero ad ogni pagina cose di cui non intendessero il senso, correrebbero rischio di far naufragio nella fede! Bisogna prima aver fatto uno studio particolare del linguaggio familiare agli scrittori sacri, per non cadere a ogni momento in qualche sbaglio. Quante cose a prima giunta urtano, e quando sono spiegate appariscono naturali, buone e lodevoli! Aggiungi che permessa una volta indistintamente la lettura della Bibbia, un gran numero di persone la leggerebbero senza fede, senza umiltà, senza purità d’intenzione, come confessano che avviene gli stessi Protestanti più dotti, e come l’esperienza d’ogni giorno dimostra chiaro: e allora essa diverrà senza dubbio una cagione di scandalo e di caduta. Che se i nostri avversari ci dicano ancora, che i santi Padri esortano tutte quante le persone a legger la Scrittura, risponderemo: « Dateci dei Cristiani così istruiti, così docili e così sottomessi come erano quelli a cui son dirette le loroesortazioni, e noi terremo loro il medesimo linguaggio. »

3.° Queste avvertenze sono più che sufficienti per giustificare  la Chiesa dalla terza accusa lanciatale contro, di abusare cioè della sua autorità vietando la lettura della Bibbia ai Fedeli: poiché, se si è dimostrato che ci è pericolo per una certa classe di persone a leggere la santa Scrittura, non si vede come potrebbe contrastarsi alla Chiesa il diritto di proibire in certe circostanze questa lettura. Se la Sinagoga ha esercitata questa autorità vietando la lettura dei primi capitoli della Genesi, di Ezechiello e del Cantico de’ Cantici, alle persone che non erano arrivate ad una certa età, perché negare il medesimo diritto ai pastori della Chiesa Cristiana; mentre sta ad essi il proibire ai Fedeli a loro affidati ciò che può nuocere? Così ne hanno usato in più Concilj, senza che mai alcun Cattolico gli abbia accusati di usurpazione (Concilio di Tolosa, 1229; terzo di Milano sotto s. Carlo Borromeo; Concilio di Cambrai, 1586; concilio di Trento). – Dopo testimonianze sì autorevoli, non fa meraviglia che i più gravi autori e i più rinomati teologi, come gli addetti alla facoltà teologica di Parigi, Gersone, Alfonso di Castro, il Soto, il Catarina, i Cardinali Du Pirron e Bellarmino, il Fromont e l’Ertius, abbiano riconosciuto il diritto che la Chiesa ha di una tal proibizione. Ma non sarà cosa inutile il dimostrare la falsità del principio, su cui i nostri avversari fondano le loro accuse. Il principio sta nel considerare come cosa necessaria, o almeno sempre vantaggiosa a tutti i Fedeli, il leggere la santa Scrittura. Or nulla vi è di più falso. Primieramente, non si verrà mai a provare la necessità di questa lettura per i semplici fedeli; non essendovi nessun testo della Scrittura ove questa verità sia asserita, e dall’altra parte la tradizione prova il contrario. (V. s. Iren., adv. hæres. 1. III, c. IV.; Tertull., de Præscript., c. XIV.; Clem. Alex. Pedagog., 1. III, c. II.; s. August., de Doct. Christ.). – Dopo tutto ciò e perché la lettura della Bibbia sarà assolutamente necessaria ai semplici Fedeli? forse per conoscere le verità della fede? ma non possono apprenderle nei Catechismi e nelle predicazioni dei loro Pastori? Forse per credere? ma la fede è il frutto della sommissione alle verità insegnate dalla Chiesa, e non dell’esame. O finalmente per santificare il giorno del Signore? Ma dopo l’assistenza al santo sacrifizio, e alle istruzioni cristiane, a quante altre opere di pietà non ci possiamo applicare? In secondo luogo, la lettura della santa Scrittura non è sempre utile ai Fedeli. Abbiamo provato di sopra che potrebbe anche esser loro dannosa. Il principio da cui si partono i nostri avversari è dunque falso, per conseguenza i capi d’accusa che ne deducono sono senza fondamento. Per riassumere adunque ciò che avevamo da dire in quest’ultimo articolo concernente la Bibbia, diciamo: 1.° Che le versioni in volgare non sono proibite in modo assoluto dalla Chiesa universale; 2.° Che le Chiese particolari, le quali le hanno proibite, non l’hanno fatto assolutamente e per tutti i Fedeli, ma solamente per quelli a cui questa lettura potrebbe recar danno; 3.° Che queste versioni non sono state proibite se non per certe circostanze, talché se tali circostanze cessassero, queste Chiese cesserebbero di proibir l’uso di quelle versioni; 4.° Che sebbene non sia generalmente proibito di leggere le versioni della Scrittura in volgare, quando sono state approvate dai Vescovi, nondimeno vi è il pericolo per i semplici fedeli a farne uso senza averne chiesto consiglio al proprio parroco o al Confessore.

MESSA DI SAN GIUSEPPE LAVORATORE

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Sap. X: 17
Sapiéntia réddidit iustis mercédem labórum suórum, et dedúxit illos in via mirábili, et fuit illis in velaménto diéi et in luce stellárum per noctem, allelúia, allelúia.

[La sapienza ai santi ha pagato la ricompensa delle loro fatiche: li ha guidati per una via stupenda; diviene per essi riparo di giorno e luce di stelle durante la notte, alleluia, alleluia].
Ps CXXVI: 1
Nisi Dóminus aedificáverit domum, in vanum labórant qui aedíficant eam. [Se non fabbrica la casa il Signore, vi faticano invano i costruttori].


Sapiéntia réddidit iustis mercédem labórum suórum, et dedúxit illos in via mirábili, et fuit illis in velaménto diéi et in luce stellárum per noctem, allelúia, allelúia. [La sapienza ai santi ha pagato la ricompensa delle loro fatiche: li ha guidati per una via stupenda; diviene per essi riparo di giorno e luce di stelle durante la notte, alleluia, alleluia]

Oratio

Orémus.
Rerum cónditor Deus, qui legem labóris humáno géneri statuísti: concéde propítius; ut, sancti Ioseph exémplo et patrocínio, ópera perficiámus quae praecipis, et praemia consequámur quae promíttis.

[O Dio, creatore del mondo, che hai dato al genere umano la legge del lavoro; concedi benigno, per l’esempio e il patrocinio di san Giuseppe, di compiere le opere che comandi e di ottenere la ricompensa che prometti].

Lectio
Léctio Epístolae beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col. III:14-15, 17, 23-24
Fratres: Caritátem habéte, quod est vínculum perfectiónis, et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore, et grati estóte. Omne quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Iesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per ipsum. Quodcúmque fácitis, ex ánimo operámini sicut Dómino, et non homínibus, sciéntes quod a Dómino accipiétis retributiónem hereditátis. Dómino Christo servíte.

[Fratelli, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione. Trionfi nei vostri cuori la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati nell’unità di un sol corpo: e vivete in azione di grazie! Qualunque cosa facciate, in parole od in opere, tutto fate in nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre, per mezzo di lui. Qualunque lavoro facciate, lavorate di buon animo, come chi opera per il Signore e non per gli uomini: sapendo che dal Signore riceverete in ricompensa l’eredità. Servite a Cristo Signore.]

Alleluia

Allelúia, allelúia.
De quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos, et ero protéctor eórum semper. Allelúia.
V. Fac nos innócuam, Ioseph, decúrrere vitam: sitque tuo semper tuta patrocínio. Allelúia.

[In qualsiasi tribolazione mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò sempre il loro protettore. Alleluia.
V. O Giuseppe, concedici di vivere senza colpe. e di godere sempre la tua protezione. Alleluia]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.

Matt XIII: 54-58
In illo témpore: Véniens Iesus in pátriam suam, docébat eos in synagógis eórum, ita ut miraréntur et dícerent: Unde huic sapiéntia haec et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater eius dícitur María, et fratres eius Iacóbus et Ioseph et Simon et Iudas? Et soróres eius nonne omnes apud nos sunt? Unde ergo huic ómnia ista? Et scandalizabántur in eo. Iesus autem dixit eis: Non est prophéta sine honóre nisi in pátria sua et in domo sua. Et non fecit ibi virtútes multas propter incredulitátem illórum.

[In quel tempo, Gesù giunto nel suo paese, insegnava loro nella sinagoga, così che meravigliati si chiedevano: «Di dove gli vengono questa sapienza e i miracoli? Non è costui il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria, e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove, dunque, gli viene tutto questo?». Ed erano scandalizzati riguardo a lui. Ma Gesù disse loro: «Non c’è profeta senza onore, se non nella sua patria e nella sua casa». E non fece là molti miracoli, a causa della loro incredulità.]

Omelia

[A. Carmignola: S. Giuseppe, modello, maestro e protettore dei Cristiani; Tipog. e Libr. Salesiana, Torino, 1896]

RAGIONAMENTO IV.

S. Giuseppe modello di facile imitazione per tutti.

Imitare nostro Signor Gesù Cristo, ecco l’indispensabile nostro dovere per potere un giorno entrare nel regno de’ cieli e appartenere a Gesù Cristo in eterno. Ma se tuttavia Gesù Cristo per la sua sublimità ci sembra un modello troppo difficile ad imitarsi da noi, che ne siamo tanto lontani, ecco che lo stesso Gesù Cristo si accontenta che noi pieghiamo lo sguardo sopra di coloro che riuscirono a diventare sue bellissime copie, vale a dire sopra dei Santi, i quali appunto perché sono della nostra sola natura sembrano per noi più facilmente imitabili. Senonché i Santi, come non sono tutti uguali nel grado di santità, così non tutti risplendono alla stessa guisa in tutte le virtù, ma gli uni di più in questa, gli altri di più in quella. Così vi ha tra i Santi chi spicca maggiormente per la fede, chi invece per la carità, chi per la castità, chi per l’umiltà, chi per la dolcezza, chi per la povertà, chi per la pazienza e chi nelle altre diverse virtù. Epperò la Chiesa, considerando questa varietà di perfezione, che rifulge nei Santi, li propone come particolari modelli ora di questa, ora di quell’altra condizione di persone. Così ad esempio S. Luigi Gonzaga, che morì giovane, viene offerto come modello alla gioventù, e per aver praticato in modo eminente la santa purità è offerto a tutti come modello di questa virtù. San Tommaso d’Aquino, che scrisse tante opere teologiche e filosofiche, è offerto come modello agli studenti ecclesiastici. S. Isidoro, contadino, è offerto modello ai contadini. S. Francesco Zaverio, apostolo delle Indie, ai missionari: S. Luigi re di Francia, ai re; e così dicasi di altri Santi. Ma non vi sarà fra i Santi alcuno che la Chiesa possa presentare come modello facile ad imitarsi da tutti e in ogni genere di virtù? Sì, vi ha, e questo Santo è il nostro caro S. Giuseppe. Egli, essendo il più perfetto imitatore di Gesù Cristo dopo Maria, ne è ancora, dopo Maria, la più perfetta copia in ogni genere di virtù e quasi in ogni condizione di vita; per modo che, anche con maggior ragione dell’Apostolo Paolo può rivolgersi a tutti noi e dire: Siate imitatori miei, come io lo sono di Gesù Cristo: Imitatores mei estote, sicut et ego Christi (1. Cor. IV, 16). Ed ecco l’argomento, che vi propongo per quest’oggi: S. Giuseppe modello di facile imitazione per tutti. Incominciamo.

PRIMA PARTE.

Ed anzi tutto io dico che S. Giuseppe è un Santo di facile imitazione. Noi ordinariamente riguardiamo siccome difficili ad imitarsi, per non dire quasi inimitabili, quei Santi che nella loro vita hanno molto del prodigioso e dello straordinario; quelli che hanno operato molti e strepitosi miracoli, quelli che ebbero delle continue estasi, quelli che abbandonarono il mondo e andarono a vivere da solitami nei deserti e nelle caverne, quelli che si diedero alle più aspre penitenze, alle flagellazioni, ai digiuni, alle veglie; quelli insomma, che sebbene siano vissuti in questo mondo, a noi paiono piuttosto Angeli calati quaggiù dal cielo. E ciò non è senza un po’ di ragione; perché, sebbene in ogni Santo vi sia ciò che è imitabile, tuttavia in taluni di essi molte cose sono soltanto degne di ammirazione, sia perché noi non dobbiamo aspirare di imitare altrui nei miracoli e nelle estasi, sia perché non è ciò che il Signore esige, che noi imitiamo nei Santi. Or bene il nostro S. Giuseppe appartiene egli forse al numero di questi Santi, che a noi si mostrano come difficili ad imitarsi? Oh no! Tutt’altro. Egli si mostra a noi come modello di facilissima imitazione, perché appunto in lui non vi ha nulla in apparenza di prodigioso e di straordinario. Ed infatti da quel poco che ci dice di lui il Vangelo e la tradizione non apparisce che egli abbia mai compiuto alcun miracolo, si conosce che egli era di nobile stirpe, ma decaduto, che esercitava perciò il mestiere di fabbro falegname, che non passò la vita nel deserto, che non si diede a rigide penitenze, che insomma visse una vita comunissima. Or dunque non è egli vero, che si presenta perciò a noi come modello di facile imitazione? Che non vi ha perciò alcuno, che possa esimersi dall’imitarlo, col dire che ciò è impossibile? Ma non solamente tutti possono imitare S. Giuseppe, perché modello di facile imitazione, ma ancora perché egli è modello universale. Vediamolo in breve. S. Giuseppe è modello ai religiosi, a coloro cioè che sono consacrati a Dio coi tre voti di povertà, di castità e di obbedienza e si sono in certa guisa separati dal mondo, poiché S. Giuseppe visse una vita tutta nascosta e ritirata, consacrato interamente al suo Dio, perfettamente povero, casto ed obbediente. S. Giuseppe è modello ai sacerdoti, a coloro cioè che hanno ricevuta una speciale consacrazione nel Sacramento dell’Ordine e sono destinati a trattare con le loro mani le carni adorabili di Gesù Cristo, poiché S. Giuseppe con vi va fede, con ardente carità, con pietà e riverenza profonda trattò mai sempre il suo caro figlio putativo Gesù. S. Giuseppe è modello a coloro che sono dedicati all’apostolato della fede cattolica, poiché S. Giuseppe, sia nella sua dimora in Nazaret, come ne’ suoi viaggi e nel suo esilio in Egitto non tralasciò mai di fare quanto poteva per essere vero apostolo ed eccitare sia i cattivi ebrei che i gentili e gli idolatri a convertirsi sinceramente a Dio. S. Giuseppe è modello degli sposi cristiani, perché essendo stato sposo purissimo di Maria Vergine, offre loro l’esempio del più perfetto e del più puro amore scambievole. S. Giuseppe è modello dei padri e delle madri di famiglia, perché essendo stato quale padre in terra di nostro Signor Gesù Cristo, insegna ai genitori quale debba essere la loro sollecitudine nella santa educazione dei loro figli. S. Giuseppe è modello ai maestri ed agli educatori della gioventù, perché ancor egli la fece da educatore al suo caro Gesù. S. Giuseppe è modello ai re, ai nobili, ai potenti della terra, perché anch’egli fu di sangue reale ed insegna loro a non vanagloriarsi punto né della nobiltà dei loro natali, né degli onori che ricevono nel mondo, né delle alte cariche che esercitano nella società. S. Giuseppe è modello ai padroni, perché anch’egli fu padrone di bottega ed insegna ai medesimi di praticare mai sempre la giustizia verso dei loro clienti, come verso dei loro dipendenti. S. Giuseppe è modello agli operai, perché  esercitò appunto durante tutta la sua vita l’umile mestiere di fabbro falegname e nell’esercizio di questo mestiere operò tuttavia la sua grande santificazione, lavorando sempre coscienziosamente, impiegando utilmente i suoi guadagni per i bisogni della sua famiglia e santificando sempre i giorni festivi. Fu modello ai poveri col vivere contento nello stato di povertà, fu modello ai ricchi con l’impiegare il soprappiù de’ suoi guadagni nel far elemosine; fu modello ai felici, perché non abusò mai della felicità somma in cui si trovava dall’essere sposo di Maria e Custode di Gesù; fu modello ai tribolati perché in mezzo alle pene e ai dolori più acerbi chinò sempre umilmente la testa ai voleri di Dio e benedisse la sua mano, che lo metteva alla prova; fu modello ai giovani perché santo da giovane, e modello ai vecchi perché col crescere della vita crebbe eziandio nella santità; fu insomma modello universale: talché non vi è alcuno, a qualsiasi condizione egli appartenga, che possa dire: Io non posso prendere S. Giuseppe per mio modello. – E come è modello a tutti, così lo è di ogni virtù. Egli lo è anzi tutto delle virtù teologiche, della fede, della speranza e della carità. Nessuno al certo, dopo la beata Vergine, ebbe una fede più viva, una speranza più ferma, una carità più ardente di S. Giuseppe. S. Paolo diceva che il giusto vive di fede: iustus ex fide vivit(Ebr. X, 38), e S. Giuseppe è proprio quel desso: egli credette sempre, prontamente, umilmente non ostante che gli fossero proposti a credere misteri altissimi. Davide diceva di sé, chegli era cosa buona abbandonarsi in Dio e riporre in lui tutta la sua speranza: Mihi autem adhærere Deo bonum est, ponere in Deo spem meam (Salm, LXXII, 28), e S. Giuseppe, suo discendente, ripeteva queste parole anche con uno slancio di gran lunga superiore. Davide ancor protestavano di non voler amare che Iddio, sua fortezza: Diligam te, Domine, fortitudo mea (Salm. XVII, 1), e Giuseppe con un ardore incomprensibile si slanciava ad ogni istante ad amare il suo caro Gesù e suo Dio. Così S. Giuseppe era modello delle teologiche virtù.Nello stesso modo lo era delle virtù cardinali, della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza. Non è che guidato dalla prudenza che non ostante il voto di verginità col quale erasi consacrato a Dio, consigliato come piamente si crede dal Sommo Sacerdote, si unì in matrimonio con Maria SS., Vergine Ella pure. Ed è ancora per prudenza che fu sul punto di abbandonarla nascostamente, quando egli non ancora edotto del mistero che erasi operato in Lei, si avvide che era divenuta madre. È per la sua somma giustizia, che è appunto chiamato dal Vangelo giusto per eccellenza, perché egli dava a Dio quel che a Dio si conveniva, al prossimo quel che si conveniva al prossimo, e da se stesso quel che a se stesso doveva. È per la sua fortezza che resistette intrepido e fidente in Dio a tutte le avversità, a tutti i disagi, a tutti i patimenti cui dovette andare incontro come sposo di Maria e come Custode di Gesù. Ed è per la sua temperanza, che egli regolò mai sempre i suoi sensi secondo la ragione e la fede e non permise mai che questi creassero il minimo intoppo nell’esercizio delle virtù. Da ultimo, oltre all’essere stato modello delle virtù teologiche e cardinali, lo fu ancora di tutte quante le virtù morali; e dell’obbedienza, facendo subito ed appuntino quel che Iddio per mezzo degli Angeli gli comandava, né obbedendo solo a Dio, ma ancora agli uomini, come fece allora che si recò a Betlemme a dare il proprio nome; e dell’umiltà, non parlando mai di sé, non menando mai con alcuno il minimo vanto del suo altissimo ufficio, anzi tacendo fino allora che a noi sembra avrebbe dovuto parlare; e della castità, e della dolcezza, e della mansuetudine, e della pazienza, e della rassegnazione ai voleri di Dio, e dello spirito di preghiera, e di qualsiasi altra virtù possa da un uomo praticarsi sopra di questa terra, avendo egli, come già dicemmo ieri, copiato in sé tutte quelle virtù di cui Gesù Cristo, nostro primo modello, ci lasciò l’esempio. Or dunque non è egli vero che S. Giuseppe può volgersi a noi e dire con tutta ragione: Siate imitatori miei come io lo sono di Gesù Cristo?Imitatores mei estote sicut et ego Christi? Sì, senza alcun dubbio, e noi dobbiamo imitarlo. Dobbiamo imitarlo, perché modello di facile imitazione; dobbiamo imitarlo, perché modello a tutti, di qualsiasi condizione; dobbiamo imitarlo, perché modello bellissimo di tutte quante le virtù. Molti Cristiani si trovano in gravissimi errori per ciò che riguarda la vera divozione ai Santi. Ed in vero taluni si pensano che la divozione a qualche Santo consista in nient’altro che in una certa qual simpatia speciale per lui. Costoro nutrono nel loro animo un certo qual sentimento che io chiamerei di parzialità per il Santo di cui sono devoti, epperò se accade che ne abbiano a parlare, lo fanno con entusiasmo e con esagerazione tale che secondo loro la Madonna Santissima e Iddio stesso sono al di sotto assai del loro Santo. E cadono appunto in questo eccesso costoro, perché la loro divozione è falsa, essendoché si ferma tutta lì a quel sentimento di special simpatia. Difatti, li vedete voi mai costoro a far opere buone ad onor del loro Santo? Ecchè? Son Cristiani, che non vanno neppur più in Chiesa. Altri poi ve ne sono che si pensano che la divozione ai Santi consista unicamente nell’invocare il loro aiuto, massime nei momenti del bisogno e per quelle necessità in cui i Santi si mostrano particolari patroni. Così certa gente non appena è presa dal mal di denti ricorre a S. Apollonia; se è travagliata dal mal di gola prega S. Biagio; se corre pericolo della vista si raccomanda a S. Lucia; se ha perduto qualche cosa recita dei Pater a S. Antonio per ritrovarla, e così via via: e se poi è accaduta qualche grave sciagura, dalla quale troppo le importi di sorgere, va all’altare della Madonna e fa il voto di un cuore d’argento. Ma intanto anche questa gente non si cura troppo di chiesa; è forse anche da gran tempo che non va ai Sacramenti, è in continuo stato di peccato mortale. E questa gente avrà essa la vera divozione ai Santi?Altri poi spingono l’errore anche più in là. Poiché sebbene non possano ignorare che sia peccato il rubare, il vendicarsi delle ingiurie, il fornicare e simili, arrivano a tale da invocare l’aiuto dei Santi per riuscire a fare destramente quella ladreria, quella vendetta, quel peccato che hanno in animo di fare. Par quasi incredibile, eppure non ne mancano degli esempi. Ed altri poi nella loro devozione portano una presunzione tale, da non poter immaginare la maggiore. Poiché mentre si avvedono della mala vita che conducono e vogliono tuttavia persistere nella medesima, non dimeno perché dicono qualche Pater o qualche Ave Maria o a questo o a quel Santo, si tengono come certi di potersi salvare. Or dite non è egli chiaro, chiarissimo che tutti costoro sono falsi devoti? Invocare l’aiuto dei Santi è cosa che certamente fa parte della loro devozione, ma non è il tutto, ed invocarli poi per essere aiutati a fare il male è il più grave oltraggio che loro si possa fare. La vera divozione ai Santi consiste in tre cose massimamente: anzitutto nell’ammirare le loro grandezze, in secondo luogo nell’imitare le loro virtù, in terzo luogo nell’invocare il loro aiuto. Ma di tutte queste tre cose, la più importante e la più essenziale si è quella di mezzo, l’imitazione delle loro virtù. È S. Agostino che ce lo insegna: Vera devotio est imitari quod colimus. La vera divozione è imitare colui che onoriamo. Di qui pertanto noi possiamo farci un’idea esatta della divozione nostra verso di S. Giuseppe e ad ogni modo possiamo imparare come ci convenga essere suoi veri devoti. È dunque certamente bello venire in chiesa nel corso del mese di marzo, a sentire le sue glorie e le sue grandezze, oppure leggerle in qualche libro che parli di lui; è bello adornare il suo altare e la sua immagine di fiori e di ceri, è bello rivolgere a lui con fiducia la nostra preghiera, ma pur facendo tutto ciò, questo ha da essere il nostro principalissimo studio: imitarlo nelle sue virtù. Se così adunque e non altrimenti noi possiamo essere veri devoti di questo caro Santo, gettiamo attentamente sopra di lui il nostro sguardo per apprendere bene i suoi grandi esempi e con tutta la più buona volontà ricopiarli in noi medesimi: insomma mettiamo in pratica l’esortazione che ci fa lo stesso S. Giuseppe: Siate imitatori miei come io lo sono di Gesù Cristo: Imitatores mei estote sicut et ego Christi.

Credo

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIX: 17
Bónitas Dómini Dei nostri sit super nos, et opus mánuum nostrárum secúnda nobis, et opus mánuum nostrárum secúnda, allelúia. [E’ con noi la grazia del Signore Dio nostro: essa conferma su di noi l’opera delle nostre mani, conferma l’opera delle nostre mani, alleluia]

Secreta

Quas tibi, Dómine, de opéribus mánuum nostrárum offérimus hóstias, sancti Ioseph interpósito suffrágio, pignus fácias nobis unitátis et pacis. [O Signore, questa offerta che è frutto del lavoro delle nostre mani, per l’intercessione di san Giuseppe ci sia pegno di unità e di pace].

Praefatio de S. Ioseph

Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Solemnitáte beáti Ioseph débitis magnificáre præcóniis, benedícere et prædicáre. Qui et vir iustus, a te Deíparæ Vírgini Sponsus est datus: et fidélis servus ac prudens, super Famíliam tuam est constitútus: ut Unigénitum tuum, Sancti Spíritus obumbratióne concéptum, paterna vice custodíret, Iesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem maiestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti iúbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:  [E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno: noi ti glorifichiamo, ti benediciamo e solennemente ti lodiamo di S. Giuseppe. Egli, uomo giusto, da te fu prescelto come Sposo della Vergine Madre di Dio, e servo saggio e fedele fu posto a capo della tua famiglia, per custodire, come padre, il tuo unico Figlio, concepito per opera dello Spirito Santo, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode:]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Matt XIII: 54-55
Unde huic sapiéntia haec et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater eius dícitur María? Allelúia. [Da dove vengono a lui tanta sapienza e sì grandi portenti? Non è forse lui il figlio dell’operaio? Non è forse sua madre Maria? alleluia.]

Postcommunio

Orémus.
Haec sancta quae súmpsimus, Dómine, per intercessiónem beáti Ioseph; et operatiónem nostram cómpleant, et praemia confírment. [
O Signore, per l’intercessione di san Giuseppe, questo sacramento che abbiamo ricevuto renda perfetto il nostro lavoro e ci assicuri la ricompensa.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2019

MAGGIO È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA ALLA SANTISSIMA VERGINE MARIA

 …. La divozione a Maria Santissima è una cara eredità, che abbiamo ricevuto dai padri nostri. Sì, la divozione a Maria è una delle più splendide glorie della nostra Italia. E non poteva essere altrimenti. Da questo nostro fortunato Paese, che è il centro della Cattolica Chiesa, doveva partire altresì per le altre nazioni l’esempio di un culto, che nella Chiesa forma una parte tanto importante. Epperò non vi è monte, non vi è valle, per quanto remota e solitaria, dove non si scontri una sua immagine, che inviti il viandante a porgerle un riverente saluto. Non vi è paese e non vi è città che non abbia, oltre alle feste della Chiesa, consacrato a Lei una festa particolare, che sia come la festa che si celebra in famiglia ad onore della propria madre, e nella quale si vada a gara per solennizzarla e con sfarzo di ceri, e con sceltezza di musica e con splendore di rito. I geni poi della nostra poesia alla Vergine innalzarono i loro cantici più ispirati e sublimi, dall’Alighieri e dal Petrarca sino al Manzoni ed al Pellico. I geni della pittura, e Raffaello, e Tiziano, e Caravaggio, e frate Angelico, ritrassero la venerata effigie di Maria nelle loro tele più celebrate. I geni della musica trovarono per lei le note più tenere e soavi, e quelli della pietà e della scienza quali un S. Ambrogio, un S. Tommaso, un S. Bernardo, un S. Bernardino, un S. Filippo, un S. Alfonso ebbero per Maria il linguaggio più entusiastico ed espressivo. Tutti poi e dotti e idioti e grandi e piccoli, giovani e vecchi ebbero mai sempre come naturale in cuore la devozione a Maria, che può ben dirsi trasfusa dai padri ai figli, di generazione in generazione, col trasfondersi della vita. E Maria in ogni tempo rispose allo slancio dei padri nostri e ben possiamo asserire con gloria, che come non vi ha spazio considerevole di tempo, così non vi ha paese o città italiana, che non abbia ricevuto da Maria un qualche peculiar segno del suo amore. Tutta Italia ebbe in dono da Lei quella casa benedetta, nella quale nacque, trascorse tanto tempo della vita e divenne Madre del Verbo incarnato. Ed ogni provincia, ogni città e direi quasi ogni paese conta autenticamente le miracolose apparizioni di Lei, le sue speciali benedizioni, i suoi celesti insegnamenti, i suoi stupendi prodigi. Cosi Maria dando prova evidentissima del suo particolare affetto per la nostra Italia, corrispose all’affetto dei nostri padri. E noi non cammineremo sulle loro orme gloriose!? Non ci mostreremo veri eredi della loro antica pietà? Non cercheremo anzi di santamente emularli? Sì, senza dubbio, e ciò particolarmente in questo bel mese, che stiamo per consacrare a Maria. E fin di quest’oggi, prostrati dinnanzi al suo altare, esaltiamola e preghiamola col dirle: Ave, o Regina dei Cieli, Ave, o Signora degli Angeli; salve, radice e porta, dalla quale è nata al mondo la luce. Ti allieta, o Vergine gloriosa, bella sopra tutte; vale, o adorna d’ogni grazia, e prega per noi il tuo caro Gesù. Fanne degni di lodarti, o Vergine benedetta e dacci forza contro ad ogni tuo nemico. Così sia. [A. Carmagnola: La porta del cielo. S. E. I. Torino, 1986]

EXERCITIA

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Fidelibus, qui mense maio pio exercitio in honorem beatæ Mariæ Virginis publice peracto devote interfuerint, [Ai fedeli che nel mese di Maggio praticheranno in pubblico un pio esercizio in onore della Beata Vergine Maria, per ogni giorno del mese si concede …] conceditur:

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die:

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea sacramentalem confessionem instituerint, ad sacram Synaxim accesserint et ad mentem Summi Pontifìcis oraverint [se lo avranno praticato almeno per 10 giorni, s. c.].

Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia beatæ Mariæ Virgini privatim præstiterint, [a coloro che lo praticheranno privatamente …] conceditur:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Secret. Mem. 21 mart. 1815; S. C . Indulg., 18 iun. 1822; S. Pænit. Ap., 28 mart. 1933).

QUESTE SONO LE FESTE DEL MESE DI MAGGIO

1 Maggio S. Joseph opificis. I. Duplex I. classis

2 Maggio S. Athanasii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

3 Maggio Inventione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

1° Venerdì

4 Maggio S. Monicæ Viduæ    Duplex

1° Sabato

5 Maggio Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

  S. Pii V Papæ et Confessoris    Duplex

6 Maggio S. Joannis Apostoli ante Portam Latinam    Duplex majus *L1*

7 Maggio S. Stanislai Episcopi et Martyris    Duplex

8 Maggio In Apparitione S. Michaëlis Archangeli    Duplex majus *L1*

9 Maggio S. Gregorii Nazianzeni Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 Maggio S. Antonini Episcopi et Confessoris    Duplex

11 Maggio Ss. Philippi et Jacobi Apostolorum    Duplex II. classis *L1*_

12 Maggio Dominica III Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                   Ss. Nerei, Achillei et Domitillæ Virg. atque Pancratii Martyrum    Semiduplex

13 Maggio S. Roberti Bellarmino Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Maggio S. Bonifatii Martyris    Feria

15 Maggio S. Joannis Baptistæ de la Salle Confessoris    Duplex

16 Maggio S. Ubaldi Episcopi et Confessoris    Semiduplex

17 Maggio S. Paschalis Baylon Confessoris    Duplex

18 Maggio S. Venantii Martyris    Duplex

19 Maggio Dominica IV Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Petri Celestini Papæ et Confessoris    Duplex

20 Maggio S. Bernardini Senensis Confessoris    Semiduplex

25 Maggio S. Gregorii VII Papæ et Confessoris    Duplex

26 Maggio Dominica V Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                    S. Philippi Neri Confessoris    Duplex

27 Maggio S. Bedæ Venerabilis Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

                   Feria Secunda in Rogationibus    Semiduplex

28 Maggio S. Augustíni Episcopi et Confessoris    Duplex

                   Feria Tertia in Rogationibus    Semiduplex

29 Maggio In Vigilia Ascensionis    Feria

                    S. Mariæ Magdalenæ de Pazzis Virginis    Feria

30 Maggio In Ascensione Domini    Duplex I. classis *I*

31 Maggio S. Angelæ Mericiæ Virginis    Duplex